Si può parlare non di una storia del cinema ma di storie del cinema, o di ciò in cui il cinema si è trasformato dopo le rivoluzioni: tecnologiche, culturali, politiche ed economiche. Una pluralità prospettica il cui valore aggiunto risiede proprio nella varietà dei punti di vista e dei modi di raccontare la storia, nella molteplicità delle angolazioni e delle possibile riletture dei processi in gioco. La parola “cinema” prima stava ad indicare un rituale collettivo fondato sull’opera da fruire in un modo sedimentato nei decenni. Ad oggi con la parola “cinema” si designa un qualcosa di molto più ampio e complesso. A seguito dell’irruzione della tecnologia digitale e dei processi di convergenza tra gli strumenti di comunicazione e di rappresentazione, abbiamo un cinema “espanso”, cioè un oggetto fondato sempre più sull’ibridazione di materiale e media eterogenei e quindi sulla co-fusione tra confini: quelli tra opera di finzione e documentario, tra lungo e cortometraggio, tra videogame e prodotto web. Eugeni parlava di “condizione pstmediale”, sostenendo che i dispositivi otto e novecenteschi definiti tradizionalmente “media” si siano dissolti in un’altra tipologia di apparati proprio della società contemporanea. Arcagni 2016, De Rosa e Hediger 2016 parlano di “postcinema”, cioè una galassia di mondi e tecnologie dell’audiovisivo contemporaneo rispetto alla quale lo spettatore si è trasformato in utente attivo, coinvolto e partecipe proprio come dimostrano le varie ibridazioni inedite del remix, del mash-up, app series e web series. A ciò va aggiunta la realtà aumentata, la mixed reality, che è capace di immergere lo spettatore in un ambiente interattivo a 360 gradi e che nell’ultimo periodo ha conquistato uno spazio stabile nei festival cinematografici un esempio può essere quello del registra Alejandro Gonzalez Inarritu con Carne y Arena, il quale immerge e dà allo spettatore una sua possibilità di costruirsi le proprie angolazioni e punti di vista attraverso la ricostruzione in realtà virtuale, di una serie di drammatiche scene di migranti messicani arrestati dalla polizia americana al confine con gli Stati Uniti. All’interno di tutto ciò si inserisce anche il caso dei “computer screen film”, definiti anche “film desktop”, cioè opere interamente ambientate sullo schermo di un computer o sugli schermi dei differenti devices digitali utilizzati dai personaggi tipo laptop, smartphone o tablet. Rispetto al passato si ha anche un nuovo di fruizione, come dimostra la pratica del binge watching cioè la consumazione intera di una serie tv senza la necessità di aspettare per la nuova puntata. Da tutto ciò consegue che ad oggi le parole “cinema” e “film” si trovano profondamente in crisi o perché sono superate tecnologicamente, o perché i mezzi risultano contaminati nella globalizzazione, quindi sarebbe più idoneo parlare di “immagini in movimento”. Il panorama del nuovo millennio, quindi, presenta cambiamenti epocali e numerose ricchezze ed è proprio a causa di queste trasformazioni che il più delle volte la parola crisi risulta dominante nelle industrie cinematografiche. Un nuovo tipo di crisi si sta diffondendo in questo periodo ed è proprio legata al Coronavirus: a causa dei vari decreti vengono chiusi teatri e cinema quindi cambiano i luoghi di fruizione e cambia la percezione da parte dello spettatore, costretto a consumare immagini solo attraverso un tablet o un computer. Il cinema quindi viene messo in discussione, prevalendo così l’individualità rispetto alla collettività, ma al contempo la pandemia costringe a una riflessione sui destino dell’immagine in movimento, e rivela e mette in luce mutazioni che erano già in atto. CINEMA E STORIA Le reciproche influenze tra cinema e storia si sono di fatto rese più strette e rilevanti proprio in considerazione dell’accelerazione dei processi sociali, economici e politici che hanno attraversato la nostra epoca a partire dagli anni Settanta. Gli strumenti metodologici messi a disposizione dagli studi culturali, possono rivelarsi, purchè siano utilizzati con cura, degli ottimi strumenti per coadiuvare l’analisi e la comprensione del ruolo delicato ricoperto ad oggi dalle immagini in movimento. A dimostrarlo vi è il forte ritorno di attenzione nei confronti dei gender studies, in concomitanza con la rinascita di una vera e propria questione femminile, ma anche gli studi di orientamento etnografico e postcoloniali basati sul rapporto con l’Altro. Da una parte si hanno gli antropologi, i filosofi e gli storici che tentano di analizzare il mondo e i cambiamenti in atto, dall’altro si nei film studies un’attenzione maggiore nei confronti del “cinema reale”, cioè la produzione documentaristica che testimonia una forte esigenza di contatto con il mondo. NUOVE CHIAVI DI LETTURE DEL CINEMA In un quadro così complesso e sfuggente, si hanno nuove chiavi di lettura delle dinamiche in atto, sia da un punto di vista della produzione e di fruizione, sia da quello delle estetiche, degli stili e delle forme. Negli ultimi anni sembrano imporsi nuove tendenze della messa in scena: tecniche non del tutto nuove ma che, grazie al supporto delle nuove tecnologie, si aggiornano in termini di potenzialità espressiva. Se ne segnalano due in particolare: 1) La ripresa in continuità temporale, elemento molto ricorrente nell’attuale produzione audiovisiva. Si necessita distingue e sottolineare la differenza che intercorre tra il piano- sequenza e il long take. Il piano- sequenza corrisponde a una ripresa continua, una lunga inquadratura senza stacchi, che riprende una o più scene che normalmente sarebbero raccontate con più inquadrature; il long take invece corrisponde a una parte della sequenza, che verrà poi completata in montaggio con altre inquadrature. Si tratta di una scelta estetica che, è stata ampliata dal potenziamento del digitale come strumento di post produzione attraverso i quali si può attuare una manipolazione dell’immagine, e dall’uso sempre più ampio di sistemi di ripresa come la steadycam. La tecnica della lunga durata accomuna il cinema di carattere commerciale a quello “art house” (“Cinema artistico” realizzato per la ricerca di valori artistici ed estetici), ma anche ad altri ambiti come le produzioni audiovisive per gallerie o le videoinstallazioni. Koepnick lo chiamava “slow cinema” il quale permette allo sguardo una velocità e un intensità di osservazione diverse. Esistono casi di film che, grazie al digitale e alla steadycam, sono stati interamente girati in piano- sequenza, il primo fu Arca Russa di Aleksandr Sokurov nel 2002, o ancora come Valzer di Salvatore Maira nel 2007. L’esempio più celebre di questi ultimi anni è Birdman di Alejandro Gonzalez, un film che illude lo spettatore di essere stato realizzato in un unico piano- sequenza mascherando abilmente in fase di montaggio i raccordi fra una ripresa e l’altra. Uno dei film- evento, invece, della stagione 2019-20 è 1917, opera girata come un continuo, esasperato piano-sequenza, come il registra sentisse l’esigenza di racconta a presa diretta l’esperienza della Prima Guerra Mondiale. 2) Il punto di vista, articolato a sua volta nella visione soggettiva e in quella “scorporata” tipica della videosorveglianza. Tutti i regimi della visione contemporanea sono la diretta conseguenza della radicalizzazione della relazione tra corpo umano e tecnologia audiovisiva che conduce, da un lato ad un innesto tra dispositivi di ripresa e corpo umano, dall’altro a un completo distacco tra questi due. Questo è la diretta conseguenza della tendenza a contenere il peso dei mezzi di ripresa al fine di inserirli nel modo più diretto possibile sul corpo umano oppure, di porli in direzioni di punti di vista “impossibili”. Il punto di vista scorporato, tipico della sorveglianza, è quando lo strumento di ripresa restituisce una visione dall’alto,come una sorta di “punto di vista di Dio”. Si trasferisce, quindi, all’interno del cinema i nuovi regimi visuali che dominano la nostra quotidianità invasa letteralmente da dispositivi digitali di ogni genere. In particolare si parla la diffusione di telecamere a circuito chiuso, diffuse ovunque, e che hanno influenzato l’orizzonte del “guardare” sollecitando processi di controllo scopico nelle spersone e spingendo l’intero sistema dei media, in particolar modo il cinema, a confrontarsi con questo nuovo paradigma visuale. Molti sono i film che trattano il tema del controllo a distanza, della guerra dei droni e l’idea di una sorveglianza globale, ad esempio Full Contact di David Verbeek (2015) Un operatore di droni specializzato nella distruzione di obiettivi strategici ma che finisce accidentalmente per bombardare una scuola. American Sniper dove la sorveglianza è quella costante del mirino del cecchino. La dimensione della videosorveglianza, in questo film, si salda perfettamente con la trasformazione della soggettiva cinematografica propria dell’audiovisivo classico e moderno all’interno dei media contemporanei. Si tratta quindi di una riappropriazione del punto di vista da parte di uno spettatore, sempre più protagonista come è dimostrato nello sport con l’utilizzo sempre più frequente e diffuso di Gopro nei Piloti di Formula1. La scelta stilistica di immersione radicale dello spettatore nella narrazione, è figlia dell’estetica tipica di alcuni videogame nei quali si passa dal punto di vista su personaggio al punto di vista del personaggio, ovvero quelli in cui l’autore adotta la posizione percettiva di un personaggio all’interno del mondo rappresentato*. A dare impulso all’adozione di questa tipologia di visione, oggi diffusa trasversalmente, è stato il successo di mockumentary (falso documentario, un espediente narrativo adottato dal mondo audiovisivo, nel quale eventi fittizi o di fantasia sono presentati come se fossero reali), genere non nuovo, che grazie all’adozione dello strumento digitale di ripresa, ha registrato una potente rinascita. *Un altro fondamentale fenomeno di tendenza del cinema contemporaneo è costituito proprio dall’influenza esercitata dai videogiochi sul cinema a vari livelli. I videogiochi non sono testi singoli o oggetti fissi, ma grazie alla loro “flessibilità”, sono oggetti che possono essere manipolati, modificati e duplicati all’infinito. Lo studioso inglese Warren Buckland analizzò la relazione tra narrazione filmica e logiche dei videogame, utilizzando come case study Source Code: la vicenda di un pilota di elicotteri e veterano di guerra in Afghanistan, al quale viene innestato un dispositivo sperimentale nel cervello, rivive gli ultimi minuti di vita da vittima di un attentato, ma non muore; da un monitor appare un ufficiale donna che lo informa che dovrà tornare sul treno per identificare l’attentatore e prevenire un successivo attacco, ogni volta che farà ritorno sul treno avrà otto minuti a disposizione nella speranza di scoprire l’identità dell’autore della strage. Viene, quindi, fatta rivivere parossisticamente la stessa scena come in un videogame e lo scopo è quello di evitare il game over, che si collega fatalmente con la morte del personaggio. L’irruzione del videogioco nel cinema è dimostrata da numerosi titoli di film tratti direttamente dai videogame, come ad esempio Need for Speed o Assassin’s Creed. Questa produzione è fondata per definizione sugli effetti computerizzati ed è caratterizzata da continui e stupefacenti effetti, in cui si fa ampio uso della computer grafica e delle tecniche di realizzazione impiegate proprio nel mondo dei videogame, come la motion o la performance capture. Queste procedure sono basate sul prelievo dei movimenti (motion capture) e delle espressioni facciali (performance capture) di attori o controfigure in carne e ossa, e sull’attribuzione, ad essi, dei dati ricavati ai personaggi creati digitalmente. Sono delle grandissime tecniche di animazione, che addirittura in alcuni casi hanno addirittura permesso di riportare in vita anche attori scomparsi come è successo recentemente con Peter Cushing, attore morto nel 1994 e riportato in scena digitalmente nel 2016 in Rogue One: A Star Wars Story. Oltre al riportare in vita personaggi si ha la possibilità anche di ringiovanire quest’ultimi come quello operato su Robert De Niro in The Irishman di Martin Scorsese, attraverso effetti speciali prodotti dalla Industrial Light e Magic. In questo universo iconico salta la nozione di “realismo”, e non esiste più veridicità del paesaggio e del personaggio. Motion Capture e perfomance Capture vengono utilizzate, anche se parzialmente, nella lavorazione dei cartoon computerizzati come ad esempio in Shrek o Le avventure di TinTin, i quali attraverso proprio questi strumenti di cattura digitale del movimento umano, sono integralmente derivate dalla performance di attori in carne e ossa. L’animazione quindi è diventata, negli ultimi anni, il vero motore delle nuove immagini in movimento, modificando così il suo ruolo ancestrale da appartenente a uno specifico genere, ad una tecnica, un linguaggio e un modo di produzione e di espressione che hanno portato ad oggi a considerare l’animazione la logica dominante delle immagini in movimento. Sono in particolare i Pixar Animation Studios a imporsi in tale orizzonte che nel 1995, esattamente a cento anni dalla sua nascita, fonda la settima arte realizzando -Toy Story. Il Mondo dei giocattoli di John Lasseter- il primo lungometraggio d’animazione computerizzato della storia del cinema. Sull’esempio dei successi ottenuti dalla Pixar, altre compagnie cominciarono a produrre opere d’animazioni computerizzate come ad esempio DreamWorks o Blue Sky Studios ecc. La Pixar già a partire dagli anni Ottanta, si impose anche come leader nella produzione dei software di rendering sottostanti ai visual effects, cioè la costruzione di ambienti ed episodi virtuali che vengono fuori da disegni o fotogrammi messi in movimento grazie ad un algoritmo matematico: basti pensare Jurassic Park di Steven Spielberg, o Forrest Gump di Robert Zemeckis. La stessa Pixar a partire solo dal 2006 fa parte dell’universo multibrand, insieme ad un altro studio che proprio sui cartoon ha fondato il suo impero: la Walt Disney Company. Quest’ultimi dopo il periodo di crisi del duemila vivono un momenti di grandissimo rilancio proprio grazie alle professionalità e alle tecnologie della Pixar, ottenendo successi planetari come con Frozen. Il regno di Ghiaccio o Oceania. La Disney ad oggi attraverso la live action cerca anche di riproporre i grandi successi del passato come Cerentola, il Libro della Giungla, Aladin o la Bella e la Bestia; opere totalmente invase da effetti visivi digitali, cioè della manipolazioni di personaggi, oggetti, scenografie, luci colori ed effetti effettuati in postproduzione, e in cui risulta davvero difficile trovare il confine tra animazione e ripresa del vero. All’interno dell’industria dell’intrattenimento, ad oggi, a questa grandiosa holding appartiene non solo la Pixar ma anche la Marvel e la Lucasfilm. L’animazione diventa quindi un fenomeno centrale nel nuovo universo delle immagini, anche perchè dimostra di saper riflettere, con maggiore forza ed efficacia, sulle contraddizioni del mondo contemporaneo. CINEMA HOLLYWOODIANO Il cinema Hollywoodiano conferma la sua centralità e anche la sua capacità di aderire alla realtà del nuovo millennio, di raccontarne le ansie segrete, di rispecchiare la Storia e i suoi conflitti e anche di autorappresentarsi, in maniera metalinguistica. In esempio e in esame possiamo prendere due film che possono essere il pieno emblema dei nostri tempi: C’era una volta a… Hollywood di Quentin Tarantino, e l’altro Joker. 1) C’era una volta a… Hollywood Tarantino ha la capacità di reinventare la storia attraverso un’imitazione parodica sul cinema e sulla televisione americani tra anni Cinquanta e Sessanta. La storia che in questo caso viene ridisegnata riguarda la vicenda di Sharon Tate, la moglie di Roman Polanski drammaticamente uccisa dalla banda Manson nel 1969. Cambiando, con un colpo di scena, il finale tragico di quel tragico episodio, Trantino propone una mutazione utopica della storia stessa, che può mutare nel suo intero sviluppo se solo slitta uno dei tasselli che compongono la storia. Quindi è più di una semplice parodia su Hollywood o di un gioco sui generi, egli ragiona sulla storia, tira i fili delle sue narrazioni e manipola la realtà. Questo film è anche un omaggio al “mito italiano” ovvero quello di Sergio Leone, C’era una volta il West. 2) Joker di Todd Phillips, un registra di molti film di cassetta, come Una Notte da Leoni o The Hangover. La storia, infatti, dovrebbe essere quella delle origini del personaggio di Joker, il cattivo avversario di Batman nella Gotham City, ma anche in questo caso il film diventa qualcosa di ben diverso: una riflessione sulla diversità e sulla pazzia, anche un apologo sulla follia della collettività della società. Molte nuove tendenze che connotano il cinema contemporaneo, soprattutto sul piano della sperimentazione messa a punto di nuovi regimi della visione, si radicano nella produzione statunitense, ma quest’ultima non potrebbe sussistere senza il “sistema delle immagini” che si muove a livello planetario. Questo è dimostrato dai molteplici registri che, provenendo da culture visuali e tradizioni cinematografiche differenti, hanno contribuito al rinnovamento delle estetiche e degli stili di regia della Hollywood contemporanea: basti pensare al celebre “trio messicano” Guillermo del Toro, Alfonso Cuaron e Alejandro Gonzalez Inarritu che fondono un cinema sperimentale ma al contempo blockbuster, mettendo così d’accordo sia il pubblico e che la critica. Uscendo dal continente americano possiamo citare altri grandissimi registri di successo: - L’Australia, al quale si fa poco riferimento perché molto spesso finisce per convergere con quello hollywoodiano, in quanto si ha la stessa lingua. Questo è il caso Baz Luhrmann con Ballroom. Gara di Ballo, che ottenne un successo mondiale, che si consolidò successivamente con produzioni a cavallo tra Stati Uniti e Australia come Romeo + Giulietta di William Shakespeare, Australia e Moulin Rouge; oppure il caso di Peter Weir autore di molti film cult, dagli anni Settanta sino ad oggi come l’Attimo Fuggente e The Truman Show. - Nel contesto zelandese abbiamo Jane Campion, la quale è una registra e una sceneggiatrice capace di imporsi nel mondo del cinema per diversi anni con film come Un angelo alla mia tavola, Lezioni di Piano e Ritratto di Signora. Risalenti agli ultimi anni abbiamo: - Il cinema cinese, che dal 2012 è diventato il secondo più grande mercato al mondo per incassi. - Il cinema africano, in cui già dagli anni Novanta è emersa una produzione filmica, specialmente in Nigeria, resa possibile dalla diffusione del digitale. A questo fenomeno, da cui derivano migliaia di film all’anno, è stata attribuita il nome di “Nollywood” (fusione di Nigeria e Hollywood). - Il cinema indiano, il quale produce mille film all’anno e conta sei milioni di persone impiegate nel settore e viene indicato come la più grande industria cinematografica. Al quale è stato attribuito il nome “Bollywood” (fusione di Bombay e Hollywood) - L’Iran e la Corea invece esprimono film particolarmente attenti alle grandi dinamiche della storia contemporanea. Possiamo citare due esempi: 1) Una separazione di Asghar Farhadi, il quale tratta di un problema familiare cioè un uomo che non può seguire la propria famiglia in Europa perché deve badare al padre malato di Alzheimer, una microstoria che diventa un’allegoria dell’Iran contemporaneo; 2) Il prigioniero coreano di Kim Ki-duk, che racconta la storia di un pescatore della Corea del Nord che, per un guasto alla barca, sconfina in Corea del Sud. Qui viene arrestato come una spia e torturato ma, nonostante le sofferenze, non tradisce la sua patria e viene rispedito al suo paese. In Corea del Nord riprende tutta l’odissea in quanto anche la Corea del Nord lo considera un traditore, lo tortura, e alla fine lo costringe a una sorta di suicidio. Una storia che racchiude al proprio interne diversi problemi reali come lo scontro tra la Corea del Nord e la Corea del Sud, il capitalismo contro il consumismo, l’idea di nazione e di valori familiari. 3) Sempre appartenente al cinema coreano possiamo citare il film Parasite, premiato con la Palma d’oro al Festival di Cannes e vincitore di quattro premi Oscar, tra cui quello di miglior film. La storia narra la storia di una famiglia povera coreana, i parassiti, che sfruttano l’ingenuità di una famigli alto- borghese, insediandosi nella casa lussuosa di quest’ultimi e diventando indispensabili. Ma ben presto scoprono che in quella casa vivono altri parassiti: l’ex marito della governante che vive da anni in un bunker sotterraneo all’abitazione e sconosciuto agli stessi proprietari. Da qui la storia si complica e s’intreccia diventando un paradosso inverosimile ma realistico, muovendosi tra il slapstick comedy (comico attraverso il corpo) e l’horror. - Il cinema della Gran Bretagna, basti pensare a registri come Steve McQueen o Tom Hooper, oltre al veterano Ken Loach, il quale si batte da sempre per un cinema ideologicamente impegnato pur se non privo di una sottile ironia. - Il cinema francese che si basa su un solido apparato produttivo e industriale, come dimostra il film Quasi amici di Oliver Nakache ed Eric Toledano, campione d’incassi, o ancora La Vita di Adele vincitrice della Palma d’oro nel 2013. A queste opere sembra doveroso citare L’ufficiale e la spia di Roman Polanski, che ricostruisce il famoso caso di Dreyfuss in cui un ufficiale ebreo è ingiustamente accusato di tradimento dai vertici dell’esercito francese. Una sorta di riflessione sulla storia che passa per l’analisi delle dinamiche psicologiche umane e per la critica dei “muri di gomma” sociali, ma che è anche una sorta di opera autobiografica, attraverso la quale Polanski vuole scrollarsi di dosso le accuse di violenze sessuali. - Il cinema svedese con The Square di Ruben Ostlund. - Il cinema greco con il registra Yorgos Lanthimos. - Il cinema spagnolo con registri come Daniel Monzon e Alejandro Amenebar. Il Cinema italiano ha una sua grande storia alle spalle e su cui studiosi e critici hanno speso molto analisi, dal cinema muto al Neorealismo, dai grandi maestri come Vittorio De Sica, Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini ai nuovi autori come i fratelli Taviani, Bernando Bertolucci e Marco Bellocchio. Il cinema italiano ad oggi vive su un doppio binario: da un lato sconta la crisi cominciata molti anni fa, nella metà degli anni Settanta, dall’altro offre un vasto panorama di giovani autori pronti a far riscattare il cinema italiano. Una nuova “onda” si può storicizzare collocando il punto di inizio si può collocare nel 2008, data in cui Il Divo di Paolo Sorrentino e Gomorra di Matteo Garrone vincono due importanti premi al Festival di Cannes; e il punto di “fine” si può collocare nel 2018 quando escono Loro 1 e Loro 2 e Dogman, firmati rispettivamente da Sorrentino e da Garrone. Tra il 2008 e il 2018, trascorrono ben dieci anni in cui si susseguono eventi di un certo calibro come: la crisi che ha impoverito la popolazione e la cultura, le grandi immigrazioni ed emigrazioni che produssero ansia, paura e anche razzismo, la fine della sinistra storica, l’accento dei populismi e molti altri evento. In questo contesto, nonostante comunque i risultati negativi registrati dagli incassi dei film italiani, accentuati ulteriormente dalla grave crisi del settore a causa della pandemia in corso, vi sono i segnali di una rinascita con nuovi talenti della regia, della sceneggiatura e della recitazione. A dimostrazione di ciò vi è l’Oscar per il miglior film straniero a La Grande bellezza di Paolo Sorrentino, Gli Orsi d’oro di Berlino ai fratelli Taviani (per Cesare deve morire) e Gianfranco Rosi (per Fuocoammare); a questi si aggiungono anche i numerosi riconoscimenti assegnati agli attori italiani. Senz’altro, quindi, si registra una nuova tendenza del cinema italiano, in cui vi sono molteplici tendenze in termini di linee tematiche, estetiche e produttive: come l’idea documentaria, il contesto legislativo e i nuovi modi di produzione, lo sguardo dell’Altro e il gender e le sue mutazioni. In altre parole si ha praticamente l’esplosione del “cinema del reale”, cioè moltissime opere dedicate a temi sociali o alla registrazione e interpretazione della realtà italiana contemporanea. Sono molti i “documentari”, che rendono e fanno capire meglio questo ibrido tra docu e fiction che restituiscono l’immagine di un paese contradditorio ma anche pieno di elementi affascinanti. Legata a questa nuova idea di documentario vi è la presenza, quasi ossessiva, del paesaggio, dovuto principalmente alla rivoluzione digitale, che attraverso nuove pratiche di ripresa e di montaggio, attua una presa diretta sulla realtà con una camera stylo e in grado di raccogliere immediati appunti audiovisivi. Il digitale è il formato tipico e denominatore comune a tutti i documentari. Altro fenomeno importante è la creazione delle Film Commission, cioè la nascita di istituzioni locali, i quali hanno contribuito sicuramente alla formazione di nuovi e giovani registri e ad una nuova onda di tematiche narrative. I nuovi sistemi produttivi legati al territorio hanno finito con l’influire sulla stesura delle sceneggiature e persino con l’ideazione delle storie, e molti film sono stati resi possibili solo grazie all’appoggio delle Film Commission. Se passiamo anche sul versante del cinema mainstrem (la corrente più tradizionale) possiamo trovare importanti novità. Il classico “cinepanettone” cioè una commedia natalizia caratterizzata da una comicità molto leggera, che ad oggi ancora sopravvive ma ciò che è cambiato è la commedia. basti pensare al film campione d’incassi del 2020, Tolo Tolo di Checco Zalone, un prodotto che mette alla berlina i difetti “dell’italiano vero” o “degli italiani brava gente”, ma allo stesso tempo favorisce una riflessione su temi nevralgici come l’immigrazione. Nel versante opposto a questo troviamo un cinema “fuori norma”, spesso a basso o a zero budget, una produzione indipendente e non pensata secondo le regole del mercato tradizionale, difficilmente identificabile, ma ricca di fermenti creativi. Di questo versante è doveroso citare Pietro Marcello, Leonardo di Costanzo e moltissimi altri. È molto importante identificare questi autori atipici nel panorama non solo del nostro cinema, ma anche delle arti, e allo stesso tempo analizzare la mutazione dell’audiovisivo nel nuovo millennio, tenendo in considerazione una pluralità di schermi in cui rientrano anche quelli del consumo televisivo. In questo contesto si inserisco anche registri non più “giovani” con un’immensa capacità di interpretare l’attualità e, insieme, il carattere e l’identità di questo paese basti citare Nanni Moretti. Tutta la produzione di Moretti è un originale lettura di questioni in cui il personale e il politico sconfinano l’un nell’altro, dando vita a una visione caustica, capace di volta in volta di segnare anche il dibattito pubblico. Possiamo citare ancora Giuseppe Tornatore o Gabriele Salvatores, o ancora Marco Bellocchio con il Traditore: un film sulla vita del boss mafioso Tommaso Buscetta. Questo film di Bellocchio si può leggere come l’ultimo capitolo di una personalissima quanto originale rilettura e interpretazione della storia, della politica, della società e delle identità italiane.