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Linguaggio cinematografico
Il cinema è un linguaggio con le sue regole e le sue tecniche espressive.
Cinema -> insieme dei film -> testo trascritto (qualsiasi mezzo comunicativo di senso compiuto,
impressionato) su pellicola o in digitale, i film girati in pellicola vengono riversati in formato
digitale per poi essere proiettati al cinema. Un film è un succedersi di immagini fotografiche in un
determinato periodo di tempo, si forma una successione di istanti in 24 scatti al secondo (un
secondo di immagine in movimento corrisponde a 24 scatti fotografici) che danno il movimento
delle immagini, François Truffaut definì il cinema come.
la vita ripresa a ventiquattro fotografie al secondo
Per scrittura cinematografica si intende l’insieme articolato di elementi visivi e auditivi che
compongono un qualsiasi testo filmico. Anche il linguaggio è fatto di regole non dette, di
suggerimenti.
Analogie tra lingua e film
Volendo fare un’analogia fra la scrittura del film e la scrittura di una lingua parlata o scritta, pur
essendo queste di natura completamente diversa possiamo dire che il fotogramma può essere
paragonato alla singola parola mentre l'inquadratura può paragonarsi a una frase semplice. Il
susseguirsi delle "parole-fotogrammi" crea le "frasi-inquadrature" e l'insieme di queste ci dà il
“discorso filmico”.
Differenze tra lingua e film
La composizione delle inquadrature e la loro alternanza, nel passare da un'inquadratura a un'altra,
rispettano spesso una grammatica e una sintassi che non sono delle rigide norme codificate come
nella grammatica di una lingua. In un audiovisivo, infatti, le regole sono accorgimenti di natura
visiva e auditiva, sono delle convenzioni spesso ignorate dagli stessi autori. L'errore nel linguaggio
audiovisivo può definirsi come una discontinuità illogica percepita dall'occhio o dall'orecchio,
perciò è chiamato "salto". L'autore del film ha a sua disposizione tanti ELEMENTI ESPRESSIVI,
come: campi e piani, angoli di ripresa, luci e colori, parole, suoni e rumori.
Espressione filmica
→ Limitazione spaziale del quadro ripreso e proiettato, io vedo ciò che l’autore vuole
mostrarmi (immagine limitata al quadro);
→ Distanza variabile e angolazione dell’oggetto dell’inquadratura, si fa caso all’inquadratura
che l’autore vuole mostrarci e su cui vuole che ci soffermiamo (primo piano su qualcosa);
→ Illuminazione e policromia, esiste una figura professionale che si chiama “direttore della
fotografia” che, insieme ad altre figure decide il tipo di luce che definisce il giorno, la notte,
uno spazio limitato e definisce anche il colore del film (giallo, rosso, toni freddi piuttosto
che usare toni caldi, non è mai al naturale) la cui scelta ha sempre una motivazione, non è
mai, la luce, fine a sé stessa ma da forma plastica al pensiero e al sentire dell’autore;
→ Colonna sonora, comprende parlato, suono, rumori e accompagna il racconto;
→ Abolizione della continuità spazio-temporale: il cinema è in grado di manipolare il tempo
grazie al montaggio, in cui si può decidere se far durare una notte 10 minuti e racchiudere
centinaia di migliaia di anni in un secondo [2001 odissea nello spazio]. Nella messa in scena
del film lo spazio e il tempo sono frantumati e ricreati in modo che solo il cinema può
rappresentare, eliminando appunto frazioni di spazi e tempi fisici (reali) inutili alla
rappresentazione. Nel film si creano spazi, tempo e ritmi che lo spettatore percepisce così
come sono stati ideati dall’autore dell’opera. La specificità dell’arte cinematografica sta
nella continuità di spazio-tempo-ritmo.
Fasi della composizione del film, dall’idea si arriva alla composizione dell’audiovisivo percorrendo
le seguenti fasi:
1°. Fase letteraria, stesura della sceneggiatura;
2°. Fase esecutiva delle riprese, creazione delle inquadrature;
3°. Fase di edizione dell’audiovisivo (impropriamente detta di post-produzione).
Movimenti di macchina
I movimenti della macchina da presa si eseguono o con la macchina montata su cavalletto o su
teste panoramiche, carrelli o attrezzature semoventi, oppure con la macchina a spalla. Per
comprendere i movimenti base di macchina, immaginiamo che alla macchina da presa si
sostituisca un osservatore: i suoi occhi sono l'obiettivo, la sua testa è la macchina, il suo collo è la
testa panoramica del cavalletto con i suoi snodi e le gambe sono il carrello.
Panoramica orizzontale: analoga al movimento dell’osservatore che, stano fermo, si guarda
intorno ruotando il suo corpo a destra per la panoramica verso destra o a sinistra per la
panoramica verso sinistra;
Panoramica verticale: analoga al movimento dell’osservatore che alza o abbassa la testa,
guardando su o giù ma stando fermo con il corpo;
Carrellata orizzontale: analoga alla vista di un osservatore che, stando fermo su un
cavalletto, è da questo trasportato;
Carrellata verticale: analoga alla vista di un osservatore che sale o scende con un ascensore
con pareti trasparenti posto su una vista di un paesaggio.;
Carrellata ottica "zoom": si esegue variando l'ingrandimento dato all'immagine
dell'obiettivo durante la ripresa con macchina ferma. Con la zoomata si ha l'illusione che la
Camera esegua una carrellata orizzontale pur restando, essa ferma.
Dolly o gru: la macchina da presa è posta all’estremità di un braccio mobile, sostenuto da
una piattaforma munita di ruote, in modo tale che allo spostamento lungo il piano, reso
possibile dalla piattaforma, si può associare anche quello in verticale e in orizzontale
effettuato muovendo il braccio. Di fatto con questo tipo di supporto si riesce a passare da
un’inquadratura molto ravvicinata, come quella di un dettaglio, a un campo lunghissimo;
Ripresa a mano: la macchina è in spalla a un operatore, in modo da seguirne gli stessi
movimenti. Se l’operatore si muove velocemente, le immagini risulteranno mosse e
traballanti;
Steadycam: la macchina è disposta sul corpo (come nella ripresa a mano) ma, per evitare
sobbalzi viene fissata al corpo con un’intelaiatura ammortizzata;
Skycam: si utilizzava (prima dei droni) per le riprese aeree. Si agganciava la macchina a un
cavo di acciaio e comandandola a distanza (monitor) attraverso impulsi elettronici.
Campi
Il campo la quantità di spazio mostrata dall’inquadratura, è usato spesso per costruire forti effetti
drammatici e se ne intuisce la presenza e la natura per mezzo delle espressioni dei personaggi o dei
movimenti di macchina.
→ Lunghissimo: quando abbraccia, nelle riprese degli esterni, un grandissimo spazio e offre
una visione di insieme del luogo, sicché le figure umane o non sono presenti o appaiono a
notevole distanza, distinguendosi a malapena;
→ Lungo: quando negli esterni la figura umana resta di dimensioni limitate, vediamo la figura
ma senza distinguerne i dettagli;
→ Medio: quando la figura, pur avendo maggior rilievo, non arriva a toccare con testa e piedi i
margini superiore e inferiore del quadro;
→ Totale: quando si riporta la totalità di un interno con tutti i personaggi che vi agiscono (p.es.
il totale di una piazza o di uno studio);
→ fuori campo: tutto ciò che è escluso dal campo, ma si intuisce tuttavia essere presente nei
sei luoghi intorno al campo e cioè: ai quattro lati del campo, dietro la scenografia, dietro la
cinepresa.
Il fuori campo lo intuiamo grazie al campo sonoro, ossia lo spazio in cui si manifestano i suoni, lo
spazio in cui si manifestano i suoni che lo spettatore deve percepire. I suoni che udiamo,
provengono da ogni direzione anche se le loro sorgenti sono escluse: per esempio il bussare alla
porta oppure, in questo caso la sorgente è esclusa dal nostro sguardo ma è relativamente vicina,
come nei film horror, percepire dei passi senza vedere chi li produce. Nella finzione filmica, per la
ragione sopra accennata, i suoni uditi possono provenire anche da fonti sonore che non sono in
campo, ma supposti nel fuori campo.
Colonna sonora, vi sono almeno tre tracce (o colonne) che formano la colonna sonora:
• Colonna del parlato: contiene i dialoghi, le voci fuori campo, tutto ciò che attiene alla voce.
Durante l’esecuzione del montaggio si possono sfruttare più track, normalmente se ne
adoperano almeno due, una per ciascun “dialogante”;
• Traccia degli effetti sonori: tutti quei rumori realizzati in presa diretta o aggiunti in post-
produzione;
• Colonna della musica: costituisce un commento al film, è generalmente eseguita
espressamente, prima, durante o dopo la sua realizzazione. Ci possono essere musiche
eseguite “in scena”, cioè eseguire sul set, durante la ripresa (diegetiche).
[diegetica: la colonna sonora è all’interno del film (personaggio che suona qualcosa); extra-
diegetica: musica scelta/composta che accompagna il film è inserita in post-produzione e serve a
raccontare la storia].
I suoni e i rumori si classificano come segue:
- Sonoro ON (oppure IN):se le emittenti sonore sono effettivamente inquadrate nel campo di
ripresa.
- Sonoro OFF: se si suppone che le fonti sonore siano poste nel fuori-campo.
- Sonoro OVER: se la provenienza di parlato, suoni, rumori, non può ̀ritenersi proveniente
da alcuno spazio fisico in campo o fuori campo, supposto reale, ma dal pensiero di persone
inquadrate o no, oppure da voci narranti fuori campo (voice over). Si definiscono anche
OVER le musiche non provenienti da fonti sonore, però presenti nel film (musiche di
accompagnamento).
Fuoricampo sonoro, per fuori campo si intende una qualsiasi battuta o commento che avviene fuori
dalla portata visiva della macchina da presa: può essere anche una battuta recitata mentre
inquadrano il personaggio che la sta ad ascoltare (piano di ascolto).
Quest’ultimo caso è frequentissimo > la maggior parte delle battute sono recitate a cavallo tra una
inquadratura e l’altra, se non addirittura su un piano d’ascolto. Vi sono poi dei virtuosismi nei quali
intere scene sono sintetizzate attraverso un fuori campo. (vedi finale di Blow-up, 1966).
Doppiaggio e presa diretta, la colonna sonora, ma soprattutto la colonna del parlato, può essere
realizzata in presa diretta o doppiata.
Negli Stati Uniti i film si girano, normalmente, in presa diretta; ciò vuol dire che mentre si
eseguono le riprese delle immagini, si riprendono anche i rumori meno impegnativi (passi, ecc.) e i
dialoghi. Questa pratica si è diffusa anche in Europa ed ormai è pratica comune realizzare un film
in presa diretta. Tuttavia, in alcuni casi (per esempio quando un film prevede l’impiego d’attori non
professionisti) è possibile girare un film prevedendo un doppiaggio finale.
Piani. Il piano è una inquadratura in cui predomina l’elemento umano. I piani sono di diverso tipo:
• primissimo piano, quando compare solo il volto dell’attore o un oggetto molto ravvicinato;
• primo piano, quando appare il volto e una parte del busto dell’attore;
• mezza figura, quando l’attore è ripreso dalla cintola in su. (vedi Persona, 1966).
• figura intera, quando l’attore tocca i margini superiore e inferiore del quadro;
• piano americano, quando la figura è ripresa dalle ginocchia in su (tipica nei duelli dei film
western);
• particolare, quando appare solo un particolare del corpo umano;
• dettaglio, quando compare solo un particolare di un oggetto o di un animale. (vedi il buono,
il brutto, il cattivo 1966).
Piano sequenza, un’unica inquadratura che segue il soggetto in modo uniforme, senza tagli o
stacchi di ripresa: in tal modo si evita il montaggio in moviola. Tempo cinematografico e tempo
reale coincidono. Il termine piano-sequenza individua una tecnica cinematografica che prevede la
costruzione di una sequenza attraverso un’unica inquadratura: di norma, di lunghezza sufficiente a
svolgere il ruolo di un’intera scena. Si tratta di una tecnica che rifiuta la “frammentazione” del
montaggio, in quanto si articola su un unico ed autonomo segmento che non prevede soluzioni di
continuità (i cosiddetti «stacchi»). L’espressione piano-sequenza (plan-séquence) è di André Bazin
e spiega la scelta registica, che rompe del tutto le regole del cinema classico. Permette di
allontanarsi dalla mera riproduzione di situazioni e di trasmettere allo spettatore la continuità
percettiva del reale; rinunciando esplicitamente all’artificio del montaggio, si riesce a creare un
maggiore coinvolgimento dello spettatore, assoggettandolo ad un lavoro di interpretazione che, di
solito, viene facilitato dal montaggio stesso. (vedi l’infernale Quinlan 1958 e nodo alla gola 1948).
Tempo filmico; un film nasce per frammenti di riprese (inquadrature), la continuità dello spazio e
del tempo viene ricreata dalla composizione e dalla messa in sequenza delle inquadrature. Per cui
spazio e tempo filmici non ricalcano spazi e tempi reali, ma sono ricreati e modellati in modo
autonomo ed interno al racconto del film. Il tempo, inoltre, può essere rallentato, accelerato,
saltato, bloccato o addirittura fatto scorrere all'indietro, modificando la cadenza e lo scorrimento
della pellicola.
Arresto del tempo: si ottiene col fermo del fotogramma (fermo-immagine) ovvero,
bloccando l'inquadratura e ripetendo un unico fotogramma per un tempo stabilito;
Fluire all'indietro del tempo si ottiene se si riprende l'azione facendo scorrere a marcia
indietro la pellicola nella cinepresa;
Accelerazione del tempo si ottiene riprendendo dei fotogrammi intervallati nel tempo, in tal
modo è possibile, proiettando poi alla normale velocità di proiezione, vedere l'evoluzione di
un'azione non percepibile dall'occhio umano (sbocciare un fiore);
Ritardo del tempo: Si ottiene riprendendo a velocità accelerata (oltre 36 fotogrammi al
secondo), è così possibile analizzare fenomeni rapidissimi e non percepibili.
Tempo della storia: è più lungo del tempo del discorso: la maggior parte dei film in 90 minuti
racconta una storia più lunga e coincide con il tempo del discorso (vedi nodo alla gola 1948). Il
tempo viene «tagliato» attraverso: ellissi piccola: alcuni fotogrammi ed ellissi grande: molto tempo
(vedi odissea nello spazio 1968).
Focalizzazione del racconto, il rapporto tra narratore, personaggio e spettatore è un importante
elemento per la comprensione della narrazione filmica (e non solo). Chi parla? Chi vede?
Genette inventa il termine “focalizzazione del racconto” ovvero, la prospettiva dalla quale viene
raccontata una storia. Secondo Genette l’autore può porsi in tre modi nei confronti della narrazione
e dei personaggi.
All’esterno del racconto:
▪ Focalizzazione esterna, in questo caso il narratore ne sa meno dei personaggi e può
descrivere solo ciò che vede esteriormente senza rivelarci niente dei loro pensieri. È detta
focalizzazione zero, il minimo della narrazione ed è la focalizzazione più usata nel
cinema. Dietro l’impressione di realtà che ci illude che i fatti accadano davanti ai nostri
occhi, c’è sempre qualcuno (il narratore) che sceglie e organizza la messa in scena per noi.
Inquadrature oggettive realizzate con la macchina da presa su un cavalletto, troviamo anche
una progressione temporale lineare e il montaggio invisibile;
▪ Focalizzazione del narratore, è la focalizzazione definita del “nulla” ed è il massimo della
narrazione, il racconto è presentato attraverso l’ottica del narratore che ne sa più dei
personaggi. Talvolta il narratore si mette in mostra esplicitamente sul piano della storia,
talvolta è implicito, sul piano del racconto.
All’interno del racconto:
▪ Focalizzazione interna, l’autore-narratore racconta dal punto di vista di un determinato
personaggio, identificandosi con lui. Questa narrazione prevede l’assunzione, da parte del
narratore, del punto di vista di uno dei personaggi. Si tende spesso a confondere il
procedimento con la soggettiva in senso stretto, ovvero a confondere la focalizzazione con la
semplice ocularizzazione. La soggettiva è ambigua. Non può esserci una totale
intercambiabilità tra sguardo del personaggio e quello della macchina. Spesso la
focalizzazione è anticipata dalla voce off (il personaggio racconta la sua storia). La voce off
aggiunge l’interiorità dei sentimenti all’esteriorità degli avvenimenti.
Ci sono molte contaminazioni fra queste tre modalità…
Narratore esplicito: è onnisciente, sa tutto:
1°. voce fuori campo del narratore, compare di solito all’inizio del racconto;
2°. Camera look, il soggetto inquadrato guarda in macchina e racconta la storia (io e Annie,
1977);
3°. Il narratore mostra con un movimento di macchina che sa più dei personaggi;
4°. Dissolvenze, come disse Balazs “l’autore ci avverte che il luogo dell’azione muta e che il tempo
passa”;
5°. Montaggio alternato, solo il narratore conosce più dei personaggi nella scena A e di quelli
nella scena B;
6°. Flash-forward, il futuro lo conosce solo un narratore.
Narratore implicito, “andare al di la di quello che dice l’autore esplicitamente”. I segni stilistici
denotano lo stile dell’autore a prescindere del racconto (per esempio Hitchcock, Kubrick).
Ambiguità della focalizzazione; la gran parte dei film adotta più focalizzazioni. Altrimenti
diventerebbe un esercizio di stile.
o Focalizzazione multipla;
o Focalizzazione variabile, l’inquadratura oggettiva diventa soggettiva e poi di nuovo
oggettiva in pochi secondi.
Padri fondatori
- Fratelli Lumière
- Méliès
Una consuetudine storiografica oppone il cinema delle origini dei fratelli Lumiere al cinema delle
origini di Méliès, sono percepiti storicamente come diversi e addirittura opposti:
→ da una parte i Lumière sono identificati come i genitori del futuro cinema realista,
interessati a mostrare la vita reale che scorre in una pellicola, genitori del documentario,
dall’altra si identifica Méliès come il padre fondatore del modello di fiction (modello
cinematografico di narrazione finzionale) e di racconto spettacolare. Questa distinzione va
presa con le pinze: i fratelli lumiere si specializzano nella ripresa di attività quotidiane senza
attori o narrazioni e specifiche ed è vere che Méliès da inizio alla narrazione finzionale
(viaggio sulla luna). IN REALTA’ entrambi realizzano film spettacolari all’interno del
sistema mostrativo del primo cinema.
Le vedute dei fratelli Lumiere: proprietari di un’industria di prodotti fotografici, avevano messo in
commercio una macchina che faceva riprese, stampava e proiettava i positivi (Cinematographe) e
mettono gli spettatori dell’epoca di fronte allo spettacolo del quotidiano, della vita nel suo scorrere.
Treno che sembra andare incontro al pubblico. È il movimento a rendere spettacolari i loro film.
Ogni movimento diventa ATTRAZIONE, è anche il luogo dove viene posizionata la macchina da
presa, da DOVE viene catturato questo movimento. Le composizioni musicali sono realizzate sul
momento, alcuni film muti hanno una partitura realizzata apposta per essere suonata durante lo
spettacolo. Veduta degli operai che abbattono un muro e le lumiere che utilizzando la pellicola
nell’altro verso mostrano come viene costruito: primo effetto -> capacità di manipolare la pellicola.
Fondali per lo più dipinti e grande attrazione all’aspetto fantastico e divertente dell’esperimento
portato avanti da Mèliés.
Porter
Contestualmente, nel 1903, nel US abbiamo un autore, Porter che realizza “la grande rapina al
treno”, per la prima volta fonda l’attrazione (processo per cui interessa attrarre lo spettatore
attraverso elementi fantasiosi) con la narrazione: primo film che si propone di utilizzare un
montaggio composito.
Realizza le riprese ‘on location’, non in un teatro di posa ma in una situazione dal reale con diversi
movimenti della macchina da presa. Rapida evoluzione dal punto di vista dell’uso della tecnologia
nel cinema; siamo fra i primi casi di utilizzo di montaggio incrociato dove alcune scene vengono
mostrate in svolgimento simultaneo ma in luoghi diversi. Lo spettatore, già nel 1903, si trova di
fronte ad uno spettacolo per cui ricompone mentalmente la possibilità di osservare situazioni che si
svolgono contemporaneamente ma in luoghi diversi, cosa a cui lo spettatore cinematografico verrà
abituato a partire da quel momento in avanti.
Primo film d’azione americano e si tratta anche di quello che possiamo considerare il primo film
western, ovvero il primo film che appartiene ad uno dei generi più importanti che connota la
storia americana. Vero treno, NON all’interno di un teatro di posa, difficoltà anche di posizionare
una macchina da presa all’interno di un treno in movimento.
Griffith
David Griffith, colui che inventò il “modo di rappresentazione istituzionale” (MRI), riesce a
elaborare il neonato linguaggio del cinema facendo uso per la prima volta del montaggio alternato:
permette a Griffith di realizzare una serie di film (tra cui nascita di una nazione, durata di 160
minuti) che riescono attraverso il montaggio a costruire una narrazione complessa.
- Nascita di Una Nazione, prima opera cinematografica pienamente narrativa dove l’interesse
nei confronti del racconto è più alto rispetto all’interesse nei confronti delle immagini. In
viaggio sulla luna e nelle vedute dei Lumiere abbiamo osservato come l’immagine è più
importante rispetto al racconto, si sviluppano qui varie metodologie di elaborazione delle
immagini, come per esempio la manipolazione di queste (rewind del muro); sono tutte
sperimentazioni che lasciano nelle opere di Griffith il posto alla narrazione. Il film è una
ricostruzione romanzata di alcuni episodi della guerra di successione, nascono spesso
dibattiti critici sulle modalità di rappresentazione di determinate situazioni sociali.
[Griffith era razzista e così anche il suo film; bisogna prendere le distanze da determinate posizioni
sociali per dare uno sguardo oggettivo all’oggetto in quanto tale a prescindere il tema, bisogna
studiare cosa ha apportato un oggetto filmico nella narrazione].
Contemporaneamente a Griffith, in Italia vediamo la realizzazione di “Cabiria”, il più celebre film
muto italiano. Oltre a questo, è anche un film fondativo di un genere noto come ‘peplum’.
Peplum, dei sandaloni, si sviluppa in Italia all’inizio del 900, avrà una caduta libera dopo Cabiria
per poi ritornare in auge verso la metà degli anni ’50; è un genere nel quale vediamo raccontate
delle storie che appartengono al passato (epoca greca, epoca romana…). Il nome serve per
inquadrare il modo in cui i personaggi protagonisti sono abbigliati/vestiti, in modo da richiamare
quella che è l’epoca greca o romana. Si tratta di un genere che trova terreno fertilissimo all’inizio
del secolo ma è anche un genere dispendioso e faticoso da mettere in pratica, necessita costumi e
scenografie particolare proprio perché l’epoca di ambientazione del racconto è diversa da quella
attuale. Negli ambiti degli studi di scenografia, Cabiria è ancora di più: punto di partenza obbligato
nella storia di tutta la scenografia italiana perché le scene sfarzose e monumentali, progettate da
Luigi Romano Borgnetto, ‘scenografo’, danno un apporto decisivo al nuovo modo di costruire gli
spazi cinematografici e diventa un punto di riferimento sostanziale per tutta l’arte della
scenotecnica e scenografia. Sulla scia di questi film di ricostruzione storica, Borgnetto sceglie di
utilizzare delle costruzioni reali al posto dei fondali dipinti; dedica particolare attenzione alla
luce, ai costumi per tentare di essere il più coerente possibile al periodo in cui di inserisce la
narrazione. L’epoca che tratta è quella del terzo secolo avanti cristo, guerre puniche: contrasto tra
civiltà occidentale e orientale. Il registra Pastrone, spesso lavora personalmente ai bozzetti dei
costumi, ai disegni dell’arredamento e delle diverse ambientazioni di sviluppo per il film, su
documenta attraverso le pubblicazioni storiche e grazie al museo della civiltà egizia di Torino
(Pastrone è torinese e il film è stato prodotto proprio lì). Ebbe poi una grande idea:
- Nel 1914, il cinema è ancora molto lontano dall’essere considerato un’arte, ma per far si che
il suo film potesse essere valutato come un’opera d’arte, chiede e ottiene da Gabriele
D’Annunzio la partecipazione al film, pagando un prezzo elevatissimo (50.000 lire) e
ottiene il nome di D’Annunzio nei titoli di testa; il film diventa quindi un oggetto di
attrazione anche per quelle persone che fino ad allora hanno ritenuto l’arte cinematografica
come qualcosa di assolutamente impossibile da accostare alle altre arti. Cabiria acquisisce
lo statuto di film d’arte, nuova opera di un poeta universalmente riconosciuto
(D’Annunzio). Il poeta è solo autore di alcuni nomi, si fa pagare per essere citato nel film.
Trionfo in Italia, negli altri paesi europei e subito dopo negli stati uniti. Da un lato portò a una
completa maturazione tecnica e formale un modello di cinema basato sullo spettacolo grandioso,
dal punto di vista spettacolare è un film grandioso; dall’altro divenne un nuovo modello
spettacolare di riferimento per gli anni seguenti, tanto in Europa quanto in America. Grazie a
Cabiria il cinema comincia ad affacciarsi nel panorama culturale internazionale.
Innovazioni portate da Pastone (produttore, sceneggiatore, pubblicitario, costumista, scenografo,
regista):
- deposita una serie di brevetti di apparecchiature cinematografiche, tra le quali
anche il “carrello”, brevettato nel 1913 e responsabile di alcune fra le soluzioni espressive
più affascinanti del film, da Cabiria in avanti uno degli strumenti più utilizzati nella storia
del cinema;
- Si serve inoltre dell’illuminazione artificiale in maniera costante con luci radenti e dal
basso;
- Il montaggio nel film serve ad alternare spazi diversi e vicini fra loro (per esempio
l’interno e l’esterno di uno stesso palazzo) ma serve anche in funzione della valorizzare
quegli elementi scenografici che passerebbero altrimenti in secondo piano, l’elemento
principale che vuole fare emergere è la grandiosità degli spazi costruiti e per farlo necessita
del carrello, riprese il più possibile ravvicinate e anche dell’utilizzo del montaggio così che lo
spettatore sia particolarmente attratto dalla ricostruzione fatta da Pastrone (l’esempio più
importante è quello del sacrificio nel tempio di Moloch, ricostruisce il tempio che viene
valorizzato proprio dalle inquadrature e dal montaggio, vuole che lo spettatore venga
colpito dalla grandiosità). L’obbiettivo è ancora quello di attrarre prima di raccontare la
storia;
- Le scenografie sono “eccedenti”, che, insieme alla cura del dettaglio (degli interni per
esempio) ed effetti speciali completamente innovativi per l’epoca;
- Effetti speciali: innovativi per l’epoca, curati da Segundo de Chomon e rappresentano un
unicum. Depositati una serie di altri brevetti che serviranno poi al cinema in futuro.
Si rivolge ad un pubblico che deve amare il “colossal”, fu un film estremamente costoso per l’epoca.
Tutte queste cose fanno di Cabiria un punto di partenza fondamentale per lo sviluppo dell’intero
del cinema, in particolare che appartiene al genere del Colossal.
Nuovo genere: commedia (slapstick), basa il suo essere comico e divertente sulla performatività del
corpo (buccia di banana)
Buster Keaton e Charlie Chaplin.
Buster Keaton: crebbe in una compagnia teatrale ed è conosciuto come “l’uomo che non ride
mai”, stoneface. In estremo contrasto con la figura coeva di Chaplin, due registi e autori
completamente diversi. La carriera di Keaton, come quella di tanti di questa epoca muta, è tanto
folgorante quanto veloce perché si conclude con l’arrivo del sonoro. Il loro modo di fare cinema è di
gesti e di corpo, la mimica chiede un modo di stare davanti alla macchina da presa è diverso
rispetto ad avere la voce.
- La palla n.13 (1924, meta-cinema, nel film vediamo un film): Il film è ricordato come una
delle prime sperimentazioni di meta cinema: in una scena, il protagonista si addormenta
nella cabina di proiezione del cinema in cui lavora, e la sua immagine in sovrimpressione
abbandona il suo corpo per vivere un’avventura onirica. E vive quella che è la sua avventura
sentimentale fuori dallo schermo. Il Buster Keaton del sogno si avvicina allo schermo
cinematografico ed entra nel film che sta venendo proiettato. È allora che la storia mostrata
nel prologo (il furto di un orologio di cui Buster era accusato ingiustamente) si ripete, con le
dovute differenze, su quello schermo, generando un “film nel film”. La scena dell’entrata
dentro lo schermo è rappresentativa dello stile innovativo del comico/regista: lo sfondo in
cui si trova Buster muta ripetutamente (una villa, una strada, una giungla, dei binari, una
scogliera…) è un effetto speciale “casereccio” ideato dal direttore della fotografia Elgin
Lesley.
Ci sono degli effetti speciali estremamente curati. Questo film ci dà la misura di come nel 1924 il
film diventa anche la possibilità di auto raccontarsi. La scena dell’entrata all’interno dello schermo
è rappresentativa dello stile innovativo dell’autore che lavora sia nell’ambito del comico e dello
slapstick, sia su quelli che sono le possibilità date dagli effetti speciali dati soprattutto dalla
fotografia.
C’è quindi una riflessione sulla magia del cinema: un luogo imprevedibile dove, proprio come un
sogno, si può viaggiare nel tempo e nello spazio e tutto sembra possibile. Le tante piccole avventure
che vive buster Keaton che da grande dimostrazione delle sue abilità fisiche (proviene da un
ambiente circense, abilissimo e agilissimo attore oltre che regista pioniere della commedia). La
sequenza finale vede il protagonista che, svegliatosi dal suo sogno, riesce a ricongiungersi con la
sua amata. Il personaggio, essendo molto timido e non sapendo come approcciarsi alla ragazza,
guarda i due amanti sullo schermo e imita loro per trovare ispirazione per poter fare quello che
effettivamente ci aspetteremmo per la chiusura del racconto sentimentale: prende le mani della
donna, come l’attore sullo schermo, poi la abbraccia e infine la bacia. Noi spettatori osserviamo ciò
che avviene sullo schermo ma anche sullo schermo nello schermo; la cosa interessante è che lui, on
soltanto guarda lo schermo ma nel momento in cui lo fa guarda anche lo spettatore perché guarda
oltre una telecamera, il significato di biforca pertanto abbiamo la sensazione che ci guardi ma al
contempo guarda lo schermo per imitare quanto vede su di esso.
Molti autori della contemporaneità devono molto all’espressionismo tedesco, uno dei motivi
principali per cui molti autori del cinema americano, nato come indipendente, hanno subito una
grande influenza da parte dell’espressionismo tedesco è il fatto che gran parte dei registi
espressionisti, prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, si sposta negli stati uniti (in
molti erano di origine ebrea). Faranno la loro fortuna proprio lì, entreranno a far parte
dell’industria americana: a partire dalla fine degli anni ’20 e dall’inizio degli anni ’30 daranno
origine ad uno dei generi più importanti, il Noir. Ha come elemento principale la rappresentazione
dell’oscurità della città e il protagonista normalmente non è in grado di raggiungere gli obbiettivi
che si pone. Anche se viene abbandonato il pittorico (di grande espressione nel caligarismo)
rimangono i temi principali portati avanti dall’espressionismo, evolvono la poetica ma i temi
restano uguali.
Codice Hays: prende il nome da William Harrison Hays, mise a punto questo codice che
costituisce una auto-regolamentazione da parte dell’industria cinematografica che individua quello
che si può e quello che non si può mostrare. È un codice molto dettagliato che viene reso vincolante
dal 1934 e norma il modo in cui può essere mostrata la violenza, le attività legate alla sfera sessuale
tutto quello che ha a che vedere con le devianze. A partire dagli anni ’30 non si vedranno più due
persone giacere senza fare niente nello stesso letto, cosa che negli anni precedenti era
completamente svincolata da ogni tipo di norma. Ci sarà un grande freno alla rappresentazione
della violenza in ogni sua forma e non sarà possibile mostrare in nessun modo amori omossessuali
e non vengono inseriti nella struttura tradizionale di una relazione. Questi elementi saranno da una
parte molto vincolanti per la stesura delle sceneggiature, mentre dall’altra l’industria
hollywoodiana americana decide di mettere a punto questo codice di auto-regolamentazione in
modo tale da non dover eventualmente incorrere ad una censura successiva. Molto spesso siamo di
fronde a grandi soluzioni creative che ci fanno immaginare cosa due persone hanno fatto o faranno,
immaginiamo e non vediamo -> nasce una grande abilità da parte degli sceneggiatori di farci
intuire certe scene senza che vengano esibite. Questo codice rimane attivo fino agli inizi degli anni
’50, quando molti registi e sceneggiatori incominciano a infrangere questa norma, norma che viene
definitivamente abbandonata a metà anni ’60. L’obbiettivo di questo codice è quello di evitare un
intervento diretto da parte dello stato: controllo, dal punto di vista industriale, più forte ed
efficiente economicamente. Scene già girate, interpretate, montate che vengono censurate
comportano una dispersione di denaro.
Star-system: sistema di carattere industriale che mette a punto determinate regole in modo tale
da far fruttare il più possibile l’immagine dei divi. Dagli anni ’20 nasce un divismo di massa, tutta
la popolazione è completamente attratta dai divi che vede sullo schermo, tutti i giornali, i rotocalchi
e tutti i modi di comunicazione hanno sulle prime pagine hanno immagini di divi e dive del cinema
che prendono il posto di altre forme di divismo (teatrale). Questi divi, ovviamente, contribuiscono
in maniera sostanziale a far andare la gente al cinema, e quindi ad accrescere l’industria. È
un’industria che ambisce a colonizzare e conquistare il mercato cinematografico di tutto il mondo,
ambisce e ottiene velocemente l’esportazione dei suoi film in tutto il mondo. Consiste, lo star-
system, nella promozione, costruzione e nel lancio delle star. I divi vengono reclutati e messi sotto
contratto, dal momento in cui vengono contrattualizzati dalle case di produzione divengono
proprietà di queste: un divo quindi è obbligato ad interpretare un certo numero di film, non sceglie
quali interpretare ed è obbligato a lavorare per quella casa di produzione e non di altre (sistema
molto diverso da quello italiano dell’epoca), non viene sottoposto un copione ad un attore perché si
pensa che possa essere la persona adatta, l’attore qui non ha nessuna voce in capitolo. In secondo
luogo, l’attore è sotto contratto sempre, dentro e fuori dallo schermo. Era IMPOSSIBILE mostrare
l’omosessualità in pubblico, venivano fatti sposare con altre dive in modo tale che la loro immagine
fosse la stessa immagine sia dentro che fuori. Il film è una piccola parte del dovere contrattuale
dell’autore. È un sistema integrato, l’attore porta sulle sue spalle il volto ed il successo del film e lo
fa 24h. il periodo d’oro va dagli anni ’20 agli anni ’50, quando il sistema comincia a sgretolarsi e
l’attore comincia a essere scelto per le sue capacità o per il suo aspetto. La sensibilità a partire dalla
metà degli anni ’50, dal punto di vista della produzione, comincia a cambiare e ci sono delle
esigenze di libertà e creatività che svincolano il divo dalla casa di produzione per la quale lavora. Il
sistema dello star-system si inizia a sgretolare nel suo periodo di massima espansione: si pensi solo
a Marylin Monroe o James Dean, segnano in assoluto il trionfo di questa struttura, ma il loro
grande successo e la loro fine drammatica fa sì che lo star-system cominci ad incrinarsi. Nel
decennio successivo l'imporsi di un nuovo tipo di produzione cinematografica e di una diversa
sensibilità e l'affermarsi di rinnovate esigenze creative espresse dallo sviluppo a livello mondiale
delle nouvelles vagues, determinarono la fine dello star system.
Studio-system: sta davanti agli altri elementi perché si costituisce in una struttura piramidale
dove a capo del film c’è esclusivamente il produttore. Un gruppo di grandi case di produzione,
Major companies, si accaparrano tutto il mercato cinematografico hollywoodiano. A differenza di
tutte le altre produzioni europee, non è il regista o lo sceneggiatore ad avere un ruolo determinante,
lo è il produttore che dirige l’intero sistema: è lui che decide chi contrattualizzare tra gli attori, i
registi, gli sceneggiatori e poi a scendere a cascata tra tutte le maestranze. Il regista
fondamentalmente è un dipendente, al quale viene consegnata una sceneggiatura con la quale
dovrà lavorare: non significa che non ci siano dei registi che lasciano un’impronta indelebile grazie
alle loro capacità, significa che non ha in nessun modo la possibilità di prendere decisioni che
riguardano l’intero film, queste vengono prese dal produttore. Abbiamo dunque 5 case di
produzione, dette Big Five: Paramount, MGM, 20th Century fox, Warner Bros e RKO), e poi ci sono
le Little Three, case di produzione più piccole: United Artists, Universal e la Columbia. A queste si
aggiungerà poi in maniera autonoma la Walt Disney. La differenza tre le grandi e le piccole è che le
prime non solo realizzano i film, dall’idea fino alla distribuzione, ma possiedono anche le sale, sono
perciò loro a decidere in quante copie e in quante sale andranno, è un sistema completamente
chiuso. Le piccole tre non hanno le sale, quindi producono l’intero film ma poi dovrà essere
piazzato nelle sale cinematografiche di proprietà delle grandi case di produzione. Quello delle 5
grandi è un sistema di tipo oligopolistico, c’è una bassissima possibilità di manovra in questo
sistema industriale; delle eccezioni ci sono lo stesso: per esempio, piccole case di produzione
indipendenti che si specializzano in film a basso budget o che riescono comunque a realizzare i
propri film indipendentemente da questo sistema industriale, dal punto di vista economico però le
5 grandi con le 3 piccole si accaparrano l’intero sistema cinematografico americano.
David O. Selznik, proprietario della casa di produzione del film “Via Col Vento”, 1939; riesce
con questo film, nonostante sia solo, a destabilizzare completamente il sistema industriale
per via del clamoroso successo del film.
I produttori che sono al vertice di questo sistema sono i cosiddetti “Tycoon” (Samuel Goldwyn o
Irving Thalberg, c’erano dei produttori minori come Walter Wanger o Hal Walli) e hanno un
governo totale su una numerosissima serie di dipendenti di questa grande industria. Esistevano
anche delle società di produzione fondate singolarmente o in gruppo da attori o registi (Capra,
Wyler, Bogart, Ford). Il sistema era chiuso con qualche margine di manovra.
Gli ultimi fuochi, 1976, tratto dall’omonimo romanzo di Fitzgerald ed è ispirato alla vita di un
produttore cinematografico della MGM.
Il sistema piramidale con al vertice il produttore vede il suo declino dopo la fine della Seconda
guerra mondiale. Questo sistema viene accusato di avere delle pratiche monopolistiche e di
bloccare tutto il mercato di registi e autori indipendenti; nel 1948, dunque, ci fu la sentenza
definitivamente in cui le majors accettarono di abbandonare il possesso delle catene di sale. Nel
momento in cui si taglia il cordone con la sala è ovvio che la possibilità da parte di autori
indipendenti e case di produzione aumentano proprio perché hanno la possibilità di portare in sala
il loro film. Non era impossibile ma molto complesso portare in sala i film prima. Il divieto del 1948
di carattere statale per cui la casa di produzione non può essere colei che mette a sistema l’intera
filiera cinematografica: ecco perché determinati registi (Hitchcock) posso entrare in un sistema che
è quello autoriale che conosciamo da sempre in Europa, il regista può produrre e portare in sala il
suo film.
→ plot: racconto, intreccio, come una storia è costruita. Nel western, come in ogni
altro genere, abbiamo una struttura narrativa che si ripete;
→ setting: ambientazione; un esempio è il genere noir che ha l’obbligo di essere
ambientato in una situazione cupa e possibilmente te metropolitana, il western sarà
ambientato nel west con gli indiani d’America ecc.;
→ personaggi: hanno caratteristiche specifiche e tratti identificativi per identificarsi
nel genere, per esempio il cappello da cowboy o il cappotto nel film noir.
Tanto ci sono delle necessità di presenza di personaggi/oggetti di un certo tipo, tanto c’è la
necessità di assenza di altri elementi. In una commedia devono essere evitate le morti violenti, ci
sono però delle trasgressioni come, per esempio, in una delle commedie più importanti della storia
del cinema, A Qualcuno Piace Caldo di Billy Wilder inizia con il massacro di San Valentino. Quindi
ci sono delle regole, convenzioni che valgono sempre, funzionano in quel genere e non funzionano
in un altro genere -> verosimile filmico:
Il genere non è soltanto un gruppo di film ma è il prodotto delle aspettative del pubblico, l’etichetta
del genere è una promessa implicita. Può capitare che il film non risponda al patto implicito
stipulato tra il genere e lo spettatore, sbagliare ad inserire un film all’interno di un genere può
rivelarsi fatale dal punto di vista della produzione.
La distinzione di generi tocca anche lo star-system: Jennifer Aniston fa commedie, John Wayne nel
western, anche i registi vengono identificati come coloro che sono specializzati in quel determinato
genere, come John Ford per il genere western, Hitchcock è il maestro del genere del noir. I generi
oltretutto non sono fissi nel tempo ma si evolvono: oggi un film western non sono più tanto
popolari, questo genere “tace” da decenni. Il musical, dopo un momento di massimo splendore in
questo periodo ha taciuto per molto tempo per poi, all’inizio degli anni duemila, essere riportato in
auge (La La Land). I generi considerati minori nella Hollywood classica, come l’horror, la
fantascienza ed il giallo (detection) nel tempo hanno avuto fortuna e sono diventati molto più
importanti dal punto di vista produttivo. L’unico genere che non ha mai subito fasi calanti è la
commedia, rimane, nella storia del cinema, il genere invariato. Va sottolineato che il cinema
risponde a delle regole economiche, quello d’autore (riconosco prima di tutto il modo di fare film
dell’autore) è un cinema che cresce e si sviluppa all’interno del film. Parare id generi in Europa ha
per molto tempo avuto una connotazione negativa: l’autore, Fellini, Antonioni, Pasolini…
normalmente non si identifica in nessun genere perché fa dei film personali che raccontano sé
stesso, il suo modo di vivere e la sua poeta e perciò non possiamo individuare l’appartenenza ad un
genere in modo preciso. Il film americano, invece, sviluppandosi direttamente all’interno del
genere, costruisce i suoi autori dentro al genere. Non possiamo dire che Billy Wilder NON sia un
autore inteso nel senso Più ALTO del genere perché si specializza all’interno del genere della
commedia perché è proprio dentro a questa che mostra la sua visione del mondo. Alfred Hitchcock
ha sempre realizzato dei film che passano dalla detection al quasi horror, all’interno del giallo
inteso nel senso più ampio del termine, ma è proprio in quelle storie che l’autore ha mostrato la sua
poetica e la sua visione del mondo; quindi, dentro a questa scatolina (il genere) non vuol dire che
l’autore non riesca ad esprimersi nel migliore dei modi.
A partire dalla metà degli anni ’50 questo rigido sistema inizia a sgretolarsi però…
Nel 1948 c’è la perdita delle sale cinematografiche, dopo c’è lo sgretolarsi del sistema divistico
(causato in alcuni casi dalla scomparsa tragica di alcuni di loro, come Marylin Monroe), abbiamo
l’affacciarsi di nuovi autori indipendenti che sgomitano per avere la libertà di produzione. Tutto
porterà ad un cambiamento enorme nel sistema cinematografico americano, sarà però un
cambiamento MAI radicale: la grande abilità dell’industria è sempre stata, anche oggi, quella di
riuscire a dare spazio alle sue criticità e ad attirare all’interno dell’industria anche gli aspetti più
critici, come i dissidenti. L’industria, trovandosi di fronte a dei registi europei che impongono il
modo di vedere differente del cinema rispetto al sistema industriale, ingloba, li porta dentro al
sistema industriale. I fratelli Cohen, Tim Burton, hanno visioni che sono molto diverse rispetto a
questa rigida struttura: l’industria americana lo porta dentro e gli dà la possibilità di prodursi,
produce questo tipo di visione differente perché intuisce il potenziale nel regista con la visione del
mondo diversa. Spielberg è un altro esempio: nasce come indipendente ma l’industria americana
riesce ad intuire che vale.
(Vedere “Viale del Tramonto” per vedere quali autori ce l’hanno fatta e quali no). Esce nel 1950, è
probabilmente il film più noto realizzato da Hollywood su Hollywood, non è la prima opera che
riflette sull’industria ma Billy Wilder riesce meglio degli altri a raccontare il passaggio sostanziale
che vive l’industria. Abbiamo da una parte la rappresentazione del sogno, dall’altra abbiamo la
rappresentazione della dura vita del mondo cinematografica. La protagonista, che era una vera diva
del cinema muto, vive una situazione drammatica dal punto di vista mentale: passa dall’essere
considerata una divinità ad essere completamente dimenticata da tutti. Abbiamo l’opposizione tra
lo sfarzo e la bellezza del cinema e la difficoltà dei protagonisti che vivono all’interno di questa
industria. Un’attrice che vive poco, un regista che non lavora abbastanza. Il casting, diretto da
Wilder, vede protagonista Gloria Swanson, negli ultimi 15 anni aveva girato un solo film quando
invece era stata la principessa assoluta del cinema muto americano. Ci sono nel film molti attori
che interpretano sé stessi: un regista che in epoca muta aveva scandalizzato il cinema americano ed
europeo, Erich Von Stroheim, in epoca muta, in assenza del codice Hays, fu regista di film molto
audaci e fu regista di film molto importanti della carriera di Gloria Swanson che, oltre ad essere
diva del muto, era anche capace di interpretare personaggi molto audaci; troviamo anche camei
molto importanti, come Buster Keaton, non supera la prova del sonoro e interpreta sé stesso come
amico della diva che una volta a settimana va a giocare con la protagonista a casa sua a Bridge; poi
abbiamo un altro grande regista del cinema classico americano, Cecil B. De Mill. Raccontano sé
stessi, chi nella dimensione estremamente decadente, chi ancora capaci di incidere all’interno
dell’industria cinematografica. Il ruolo del protagonista maschile che interpreta lo sceneggiatore
squattrinato è affidato a William Holden e interpreta il personaggio di Joe Gillis, sarà un attore
molto importante nella carriera di Billy Wilder. Altro elemento fondamentale da tener presente è
l’ambientazione, ossia la cassa dove si svolge gran parte del film: era stata dell’attrice protagonista
del film e al suo interno possiamo osservare non solo i mobili ma anche molti cimeli appartenenti
alla diva stessa, elementi che ci riportano al suo mondo. Con grande generosità l’attrice, chiamata
dal regista ad interpretare la ragazza malata di mente, regala non solo la migliore performance
della sua carriera (nonostante in declino) ma anche le sue cose al film. È un regista che non si
forma all’interno dell’espressionismo tedesco, è però di origine austro-ungarico ed è uno dei tanti,
come Lang, che per ragioni politiche e razziali si deve spostare negli stati uniti durante gli anni ’40
come sceneggiatore, si affianca a registi importanti nella scrittura di molte commedie di successo
per poi approdare nella regia. Uno dei film che lo porta al successo è “La Fiamma del Peccato”,
1944, che inaugura la stagione della grande infortuna del cinema noir. Si mostra nella sua abilità di
sceneggiatore e regista, successivamente nel 1950 realizza “viale del tramonto”, film che lo
consolida come uno dei registi più importanti della storia di Hollywood.
Tornando in Italia…
NEOREALISMO
Siamo nella fine della seconda guerra mondiale, durante il periodo del neorealismo. Il cinema
internazionale deve molto a questo genere.
Radici: il cinema italiano, pur non avendo una struttura industriale come quella americana, si basa
comunque su un sistema di generi che vedono la commedia come il genere più importante come
genere cinematografico italiano prima dello scoppio della guerra: la commedia interpretata nel
“Cinema dei Telefoni Bianchi”, prima dello scoppio della guerra c’è un guardare al cinema
americano classico non tanto per le trame e le narrazioni ma per le scenografie e i costumi, il
telefono bianco diventa quindi un simbolo. L’italia si appropria delle ambientazioni del cinema
hollywoodiano classico (genere della commedia o del melodramma) dove sono presenti grandi
scenari fastosi, grandi palazzi. Usualmente in questi grandi palazzi, dove si svolgono struggenti
storie d’amore è sempre presente un telefono bianco. L’Italia quindi lavora all’interno del genere
della commedia dirottano le sue storie in una dimensione molto più piccola, confacente a quella
che è la narrazione dell’italianità del popolo italiano, ma utilizza in maniera poco realistica, grandi
palazzi o scaloni (Norma Desmond). Siamo in una situazione controllata dal regime. Fanno del
cinema un elemento di evasione, molte commedie, che vedono protagonisti persone che
appartengono alla bassa/media borghesia che vivono in palazzi enormi, con scaloni enormi e con
telefoni bianchi: c’è un tentativo di copiare il grande sapere scenografico da parte del cinema
hollywoodiano: ci troviamo spesso di fronte a protagoniste che sono impiegate, delle commesse in
negozi che abitano in appartamenti non così grandi ma occupati da scale quasi più grandi
dell’appartamento stesso; dal punto di vista della trama/del racconto quella commessa non
potrebbe mai permettersi quell’appartamento, ambientazione. È un modo di evadere, far rilassare e
far passare allo spettatore un momento spensierato. In particolare, il cinema, non deve portare
temi sociali importanti, non deve portare nessuna forma di critica. Ci sono però tanti film che
racontano molto bene la situazione che l nostro paese vive a cavallo delle due guerre, film che si
discostano del “trend”. (Studiare sul libro di testo). Questo excursus sui telefoni bianchi indica il
punto di partenza e indica poi cosa avviene dopo la fine della seconda guerra mondiale e quindi
l’arrivo del neorealismo.
Non si tratta di un “movimento” unitario, organico come l’espressionismo, però di una
affermazione del mezzo cinematografico, un nuovo modo di usare il cinema per raccontare
qualcosa di urgente, che è indispensabile da raccontare. Con il neorealismo, il cinema di rivela
capace di cogliere un momento fondamentale nella storia del nostro paese, cogliere uno scenario
umano e visivo, prima ancora che politica. Non si parla tanto di politica quando di sapere cogliere
cosa è successo alle persone durante e dopo la guerra e all’indomani della seconda guerra
mondiale. Uno dei punti di forza del neorealismo è la capacità di assimilare nuovi modelli
cinematografici e nuovi modelli letterari e di adattarli alla realtà italiana. Il neorealismo fa la sua
comparsa alla fine della seconda guerra mondiale ma è durante il periodo della resistenza armata
che si manifesta appieno. Nel 1946, un film chiamato “Roma, città aperta”, diretto da Roberto
Rossellini, sancisce l’inizio del neorealismo, è il primo film importante che esce dopo la guerra.
Perché questo film definisce il neorealismo?
- Ci racconta cosa succede sul finire della guerra ma si serve anche di tutto quel sistema di
generi che, seppur in maniera diversa rispetto agli stati uniti, apparteneva anche al cinema
italiano. Si sviluppa dal punto di vista culturale, attorno al circolo di critici cinematografici
che ruotano attorno ad una rivista fondamentale di nome “Cinema”
Rivista Cinema: fondata dal figlio di Mussolini, Vittorio. Cinecittà, nata nel ’37, è stat fortemente
voluta dai due.
Il neorealismo è il movimento italiano che ha conquistato, senza dubbio, maggiori consensi e
maggiore fama. Ancora oggi, a distanza di quasi 80 anni, il cinema italiano viene spesso
identificato con il neorealismo. Si tratta di un fenomeno molto complesso, non può essere ridotto
ad una formula o ad una immagine stereotipata. Possiamo isolare tre aspetti principali intrecciati
nei film neorealisti:
1. Morale: il neorealismo è una reazione morale agli orrori della guerra che spinge un certo
numero di cineasti a ritrovare i valori essenziali dell’esistenza e della convivenza sociale, è
un bisogno;
2. Politico: è necessario in questo periodo dare una risposta sul piano politico agli orrori
commessi dal fascismo;
3. Estetico: necessario trovare un linguaggio nuovo che possa esprimere in maniera diretta un
a presa di coscienza e volontà molto forte di cambiamento politico ed estetico.
Il neorealismo dura poco e sono altrettante le opere riconducibili appieno a questo periodo. Ma
queste poche sono sufficienti a definire una nuova estetica del cinema italiano, che sarà capace di
rinnovare il cinema italiano ma anche quello turco, francese, inglese, portoghese e più tardi anche
quello americano.
La situazione che si presenta all’indomani della guerra dal punto di vista cinematografico:
Cinecittà, nata nel 1937 e fino allo scoppio della guerra grande luogo in cui realizzare decine di
film (struttura molto simile ad Hollywood), in questo anno l’Italia ha gli studios cinematografici
più grandi d’Europa, pari soltanto agli stati uniti. In questo periodo è occupata dagli sfollati, chi
non aveva più una casa dopo la guerra e quindi sono inutilizzabili, i mezzi sono pochissimi, le
pellicole sono irreperibili e lo staff è ridotto al minimo. I registi si ritrovano a dover utilizzare le
città, distrutte dalla guerra, per ambientare le loro storie, sono obbligati ad ideare uno stile di
ripresa immediato, con un carattere talvolta documentaristico, e perché sentono il bisogno di
immergersi e raccontare la realtà così come è e anche per un bisogno tecnico. Bisogna adattarsi a
qualcosa di differente. La produzione cinematografica di un film è largamente legata al caso. Tutto
è passibile di cambiamento continuo, per esigenze soprattutto tecniche. Le pellicole non solo sono
poche ma sono anche ‘scadute’, quindi la poca nitidezza di tanti film realisti è dovuta anche
all’utilizzo di mezzi non appropriati a fare delle riprese. Non sono ancora tecnologicamente capaci
di supportare il sonoro.
Caratteristiche del neorealismo:
- Rappresenta la quotidianità nel suo farsi, ottenuto grazie all’abbandono dei teatri di posa a
favore delle riprese esterne. L’abbandono non è però totale, “Germania anno zero” ha delle
parti che vengono poi realizzati nei teatri di posa;
- Scarsità dei mezzi, la indisponibilità di teatri di posa dopo il 1944 costringe appunto a girare
nelle strade e ad ambientare i lungometraggi nei luoghi autentici;
- Spostamento dell’attenzione dal singolo alla collettività, da storie con uno o due
protagonisti a molti protagonisti, i film neorealistici non raccontano la vicenda di una sola
persona a meno che non serva a raccontare la storia di una collettività;
- Lucida, straziante analisi dei dolori provocati dalla guerra, i racconti sono di vita quotidiana
e le vicende sono per lo più ispirate a fatti di cronaca, l’osservazione della realtà è minuta e
attenta al comportamento dell’uomo in una determinata situazione sociale e storia che è il
dramma vissuto dal popolo italiano della guerra;
- Totale superamento del cinema come puro divertimento, il cinema neorealista non è
pensato per divertire o intrattenere o per acquisire denaro, è un film necessario a
raccontare il paese.
Precursori di “Roma, città aperta”, annunciano quello che sarebbe stato il neorealismo: quattro
passi fra le nuvole, i bambini ci guardano e ossessione.
Quest’ultimo, realizzato da Visconti nel 1943, è indicato come la strada giusta per un nuovo cinema
del reale. Questi film sono realizzati in teatro di posa e usano lo star-system ma a livello tematico
annunciano il neorealismo. Ossessione è il film d’esordio di Luchino Visconti, che sarà uno dei
protagonisti del movimento ma prenderà subito le distanze per diventare il regista di film come “il
Gattopardo”. È l’opera che anticipa prima ancora della caduta del fascismo i temi del neorealismo.
Il film è tratto dal romanzo “il postino suona sempre due volte”, Cain, parte dalla narrativa
statunitense. Non parte dal racconto del reale ma Visconti decide di ambientare questo racconto
nella provincia italiana, nel dintorni di Ferrara. Già nel ’43 ci mostra il bisogno e l’esigenza di
mostrare dei luoghi inediti con un taglio di regia e con un tipo di interpretazione che si avvicinano
molto a quello che sarà il modo di lavorare del neorealismo.
➢ Roma, Città Aperta, 1945.
Racconta l’esperienza della guerra e il trauma dell’occupazione, racconta della resistenza e
non rinuncia però ad alcuni tratti melodrammatici e neanche allo Star-System. Da parte di
Rossellini c’è la decisione di servirsi di alcuni tratti del melodramma, della commedia e di
attori professionisti e che sono già delle star, insieme ad attori presi dalla strada
(improvvisati) ed il tutto girato fuori dagli studi e nella Roma devastata dalla guerra. Prende
spunto da fatti realmente accaduti, fatti di cronaca: in attesa dell’arrivo delle truppe
americane ed è teatro dello scontra tra la resistenza ed i tedeschi. Presenta vicende
intrecciate di gente comune e di vita comune. Alcune scene di questo film diventeranno
celebri, come la fucilazione di Anna Magnani.
Il neorealismo non abbandona il genere, ha solo bisogna di raccontarci qualcosa di completamente
diverso rispetto a quello che ha fatto il cinema dino ad ora.
(Vedere sequenza Anna Magnani). In questa sequenza Rossellini usa diversi registri,
l’obbiettivo è mostrarci l’orrore della guerra ma che appartengono al linguaggio
cinematografico usando momenti di comica (prete/padella) per poi seguire una altra scena
di suspence e tragedia. Usa elementi fondamentali dell’industria cinematografica, Fabrizi e
Magnani, star nascente del cinema italiano, veri attori di professione insieme ad altri attori
presi dalla strada e chiamati ad interpretare delle parti.
Rossellini sarà autore di tre film fondamentali del neorealismo, poi si staccherà e seguirà un’altra
scia poetica. Il primo è appunto Roma, Città Aperta, Paisà (1946), film corale costituito da sei
episodi ambientati in Sicilia, Napoli, Roma, Firenze, Porto Tolle e nell’Appennino Emiliano:
racconta sei luoghi distinti distrutti dalla guerra con episodi singoli a se stante anche se intrecciato.
Infine c’è Germania Anno Zero, 1948 e racconta la situazione di distruzione delle Germania,
Berlino in particolare, per Rossellini la guerra è una situazione generale, lui si reca in loco per
raccontare cosa vivono TUTTI gli uomini. Il protagonista è un ragazzino che uccide suo padre
perché pensa sia un peso per la famiglia, viene persuaso da un maestro nazista (Ubermensch) il
ragazzino si toglierà infine la vita per l’atto che ha commesso; racconta la storia dell’umanità tutta.
Finale disperato che rappresenta la tragicità degli uomini che si ritrovano ad affrontare la guerra.
Questa trilogia compone uno dei pilastri del neorealismo: trilogia della Guerra.
Vittorio de Sica, si forma come attore di commedie romantiche e nel 1946 realizza il film Sciuscià e
nel 1948 realizza il film Ladri di Biciclette. Assieme a questi due film e alla trilogia di Rossellini va
citata anche la Terra Trema di Luchino visconti (1948). Altri titoli fondamentali dove prevale una
visione di istanza politica, Il sole Sorge Ancora, 1946, e Caccia Tragica di de Santis, 1947. Un ruolo
centrale nel neorealismo lo hanno registi come Visconti, Se sica e Rossellini ma anche uno
sceneggiatore: Cesare Zavattini.
Nativo di queste zone, nasce come scrittore, come giornalista per poi approdare nella
sceneggiatura. Scrive tutti i principali film di De Sica e collabora con i principali registi del
periodo, anche con Pietro Germi (commedia all’italiana). Costituisce l’anello di
congiunzione tra il cinema, la letteratura e il giornalismo; dall’interazione di queste tre
derivano pi molti dei caratteri originali del cinema italiano del secondo dopoguerra, a
partire dal neorealismo alla commedia italiana. Con le sue sceneggiature riesce a sviluppare
un discorso sulle condizioni e le miserie che vive il popolo italiano in questi anni. Prima con
il neorealismo e poi con la commedia all’italiana a mostrare una serie di elementi che
appartengono ad un tema fondante: l’ingiustizia sociale, sfruttamento dell’uomo. La
commedia italiana, pur utilizzando un genere specifico, racconterà sempre questioni serie
legate alle ingiustizie sociali, allo sfruttamento e alla difficoltà da pare della popolazione
italiana di fronte al boom economico ma una difficoltà da parte degli uomini di adeguare la
propria essenze ad un periodo che vede dei cambiamenti enormi all’interno del tessuto
sociale. Zavattini individuerà, durante il neorealismo, nel cosiddetto ‘pedinamento’ del
personaggio, la possibilità di cogliere con la macchina da presa la realtà quotidiana. Il
pedinamento è, letteralmente, la scelta di mettersi accanto con la macchina da presa
all’uomo e osservarlo nella sua realtà quotidiana; è l’unica possibilità per fare in modo che il
protagonista diventi il centro dell’azione drammatica e diventi il filo conduttore della
rappresentazione che vuole essere il più documentaristica possibile della realtà sociale.
Capolavoro di questa tecnica è il film “Ladri di Biciclette”.
Ladri di Biciclette
A questo film si arriva per caso. Zavattini aveva per caso incontrato incontrato l’autore
dell’omonimo romanzo, Luigi Bartolini, e a partire da questo casuale incontro costruisce il soggetto
del film, costruito in modo molto veloce e ruota intorno a due protagonisti, padre e figlio, che
vivono all’interno della realtà pulsante della vita romana dopo la guerra. Con questo film vuole
rintracciare elementi drammatici dentro a situazioni totalmente quotidiane. Trama: un uomo che a
fatica riesce ad ottenere un lavoro, per il quale ha bisogno di una bicicletta per spostarsi che poi gli
verrà rubata; disperato perché senza bicicletta otterrà il lavoro ottenuto con tanta fatica, decide di
rubare una bicicletta ma viene subito fermato. Si tratta di una trama molto esile che però ci porta a
riflettere sul dramma esistenziale dell’uomo, sul rapporto di quest’uomo con il figlio che assiste al
momento in cui il padre viene fermato durante il tentativo di furto, la delusione negli occhi del
figlio che vede il padre commettere un errore, errore commesso per poter mantenere il lavoro che
avrebbe potuto dare sostentamento al figlio. Il film è in qualche modo, insieme a Roma città
Aperta, il centro ideale del neorealismo e ha tutte le caratteristiche di fondo del movimento:
ambienti reali, il film è girato nelle strade di Roma, attori non professionisti, presi dalla strada e
una vicenda drammatica sulla durezza della vita quotidiana vissuta dalle classi popolari. Il film
incarna nell’immaginario collettivo internazionale la quintessenza del neorealismo: se da una parte
Rossellini si serve ad alcuni elementi appartenenti a generi, commedia e melodramma e teatri di
posa, De Sica invece realizza un’opera che è in tutti i suoi elementi pienamente descrivibile nel
neorealismo. Scena centrale: momenti di disperazione, il protagonista antonio vive in una
situazione di incapacità, di far parte di quello che da li a poco sarà il miracolo italiano, non può
ambire ad avere un lavoro che possa cambiare le sorti della situazione drammatica vissuta fino ad
allora.
Il film viene salutato con grande entusiasmo a livello internazionale, in particolare André Bazin
(padre spirituale della nouvelle vague), per lui questo film rappresenta un modello di cinema ‘senza
cinema’, capace di far passare la realtà sullo schermo senza mediazioni.
“Ladri di Biciclette è uno de primi esempi di cinema puro. Niente più attori, niente più storia, niente più
messa in scena, cioè finalmente, nell’illusione estetica perfetta della realtà: niente più cinema”.
Questa affermazione di Bazin, molto enfatica, ci porta a riflettere sul bisogno di De Sica di
raccontare la realtà vissuta dalla popolazione italiana. Se osserviamo Ladri di Biciclette non è
affatto un film senza film, se lo spettatore viene conquistato è perché dietro c’è un sapientissimo
lavoro di sceneggiatura e di scrittura da parte di Zavattini che però punta a negare la sua presenza.
È la percezione dello spettatore di trovarsi davanti alla realtà pura ma per ottenere questa
percezione, il lavoro di scrittura che c’è dietro è enorme, tutto è molto scritto prima di essere girato.
Ci troviamo di fronte al momento cruciale dell’esperienza neorealista, preannuncia una svolta. Ci
sono dei personaggi secondari nel film che anticipano di alcuni anni quello che sarà poi il modo di
denunciare la società tipico della commedia all’italiana. Ci sono delle figure, come la Santona, gli
amici di Baiocco, che in tutto e per tutto ci ricordano una delle caratteristiche tipiche del cinema
successivo italiano che sono le Macchiette, figure che ci fanno ridere e al contempo riflettere, con i
loro difetti ci raccontano qualcosa di molto più profondo.
Il neorealismo vive un momento molto breve, non si può definire un anno di inizio e di fine però
possiamo inscrivere questo movimento nella sua purezza nell’arco di cinque/sette anni al massimo.
Già dopo la trilogia della guerra, Rossellini, con “Stromboli terra di dio”, 1949, da il via a quello che
sarà il suo nuovo modo di fare cinema e prenderà le distanze dal neorealismo. Darà il via al suo
sodalizio artistico importantissimo con Ingrid Bergman, che lo porterà a cercare altre tematiche
non sono la rappresentazione dell’Italia all’indomani della guerra ma legate alla solitudine
dell’individuo e dopo Stromboli Terra di dia, girerà “Europa ‘51” e “Viaggio in Italia”
rispettivamente nel 1951 e nel 1954 costruendo un’altra trilogia, segnata dall’attrice Ingrid
Bergman, protagonista di questi film, dove l’unico interesse è rappresentare la solitudine
dell’essere umano. L’aspetto sociale passa in secondo piano. Rossellini e Ingrid si innamorano sia
nella vita professionale che dal punto di vista cinematografico. Ci sarà anche un grandissimo gossip
nei confronti della coppia ma anche nel cinema, un elemento fondamentale di quesi film,
neorealismo e post neorealismo, sono film che incassano tantissimo, non sono assolutamente di
nicchia, questi film il popolo italiano li guarda. Rossellini ama devolvere la sua poetica, dopo la
trilogia con la Bergman e dopo una sua crisi artistica e personale, cambierà ancora strada e si
dedicherà dapprima ad opere impeccabili dal punto di vista stilistico, come Il Generale della
Rovere (1959), come Era Notte a Roma e Viva l’Italia, e poi si dedicherà interamente per il resto
della sua carriera a lavori di carattere divulgativo e didattico pensati per la televisione (1954). Il suo
lavoro successivo sarà dedicato al cercare attraverso il mezzo cinematografico utilizzato però dal
medium televisivo di istruire il popolo italiano a grandi temi. Gli ultimi film di Rossellini saranno
film didattici.
Una data fondamentale è il 1948, le elezioni del ’48 segnano un periodo di fortissimo cambiamento
culturale. Cominciamo ad osservare il declino dell’esperienza neorealistica. La politica culturale
dopo il ’48 tende ad un ottimismo di facciata, l’esposizione delle tragedie e dei dolori della
popolazione viene vista con estremo fastidio da parte del potere e si tenterà di incentivare la
produzione di film che non raccontano le tragedie ma che tentano di portare gli spettatori in sala
con l’intento di intrattenere, con divertimento. Categorizzando, si può individuare in “Umberto D”
di Vittorio de Sica, il film di chiusura dell’esperienza neorealista. Racconta la tristezza e la
solitudine di un vecchio pensionato che per raccontare questa solitudine umana comincia ad
utilizzare altri modi di narrazione, teatri di posa e ricostruzione di scenografie: torniamo in un
sistema cinematografico che si richiama al pre guerra, all’industria cinematografica ante-guerra.
Un altro film che segna in modo importantissimo il declino di un periodo e l’inizio di un altro
periodo è “Bellissima”, 1951, di Luchino Visconti.
Luchino Visconti, Bellissima (1951)
È stato protagonista del neorealismo, ne prenderà le distanze anche scrivendone in maniera anche
violenta, allontanandosi a livello politico dal neorealismo. “Quella del neorealismo è un’etichetta che
non ho mai troppo gradito e che, anzi, in occasione di Bellissima respinge totalmente” siamo di fronte ad
un film che supera questo movimento e che poi il successivo film, Senso, dichiarerà l’evidentissima
presa di distanza da questo movimento. (Vedere pezzo di bellissima). Ci troviamo di fronte ad una
scena straziante, uno degli elementi (anche se siamo oltre al neorealismo) quello che caratterizza
questo corpo filmico è la presenza dei bambini, giocano un ruolo fondamentale in tutti i film
neorealisti e post. Trama: una donna che investe tutto quello che ha per tentare di far fare una
carriera cinematografica alla figlia, si gioca qualunque cosa e vende il suo corpo per fare ottenere
un provino per coronare il sogno di far entrare la figlia nel mondo del cinema e quindi offrire un
futuro migliore di quello che si prospetta alla figlia. Qua, come ne “Il Viale del Tramonto” di Billy
Wilder, siamo in un film dentro un film. Blasetti è considerato uno dei più grandi registi del cinema
pre-guerra e di propaganda, lui interpreta se stesso e siamo negli studi di Cinecittà: si rigira in una
Cinecittà che si è appena riappropriata, e non per intero dei suoi spazi. Osserviamo la distribuzione
degli studios di Cinecittà che da qui a poco che nel giro di pochi anni diventerà la “Hollywood sul
Tevere”. Le grandi produzioni cinematografiche americane, soprattutto colossal, arriveranno a
Cinecittà a realizzare i loro film: da qui nascerà un momento importantissimo per l’industria
italiana, il cosiddetto ‘Made in Italy’, dove anche la moda, il design, l’architettura acquisiranno un
peso importantissimo a livello internazionale veicolati molto dal cinema. Veicolati dal fatto che
l’America e i grandi divi Hollywoodiani entrano a Roma e vestiranno con gli abiti progettati e
realizzati dalle sartorie italiane, si sposteranno con la Vespa e così nascerà il made in Italy.
Oltre al neorealismo abbiamo da una parte lo svilupparsi, durante gli anni’50, della commedia
italiana, con protagonisti Germi, risi, Monicelli e tanti altri registi che almeno per un decennio
occuperanno la scena del cinema italiano, dall’altra parte abbiamo la Cinecittà che diventa la
fabbrica dei sogni e l’Hollywood sul Tevere, quindi la realizzazione di tanti film colossal (Ulisse,
Camerini del 1954); contestualmente abbiamo lo sviluppo del “cinema d’autore” con protagonisti
Antonioni, Fellini e Pasolini per citarne alcuni e poi c’è lo sviluppo del cinema di impegno politico
con Bellocchio, Olmi, Rosi e tanti altri che fanno del cinema il mezzo principale dell’impegno
politico.
Inizio degli anni’50…
Il cinema d’autore
Con il tramonto del neorealismo, in un clim di restaurazione politica, estremamente mutato,
abbiamo l’emergere di una serie di registi che rivendicano un’identità personale di autori che sono
attenti al pieno controllo sul film. Siamo in una situazione completamente diversa rispetto
all’industria hollywoodiana: gli autori ovviamente si servono delle maestranze, degli sceneggiatori,
degli operatori, dei montatori, dei direttori della fotografia ecc… ma esigono un controllo totale
sulla loro opera, che rappresenta quella che è la propria visione del mondo. Il cinema d’autore
infatti affronta tematiche per lo più esistenziali, porta avanti un discorso personale ed
estremamente riconoscibile. Il cinema d’autore avrà un corso lunghissimo, attraversando gli anni
’60 e ’70 e ancora oggi possiamo identificare in un certo tipo di film, possiamo utilizzare l’etichetta
di “cinema d’autore”. È a partire ancora dal neorealismo che l’istanza ‘autoriale’ acquisisce un
valore nuovo, un’istanza notevole: è a partire da Rossellini, Visconti e de sica che nel regista
individuiamo nel regista uno stile specifico. Ma è dopo il neorealismo che si sviluppa la possibilità
da parte di alcuni registi di mostrare più che la società, il proprio pensiero relativamente all’essere
umano, al mondo e relativamente al linguaggio cinematografico. Siamo in un periodo in cui il
cinema ha un ruolo importantissimo: si parla di cinema, si scrive di questo e ci si occupa a tutti i
livelli di cinema. In una rubrica del settimanale “Italia Domanda”, alla domanda ‘quali sono i temi
più importanti di attualità stringente?’ Il cinema sta al secondo posto. Religione, cinema. Chiunque
va al cinema, legge di cinema, nasce una grandissima quantità di riviste legate o al gossip o a riviste
che trattano di critiche importanti riguardanti temi sia artistici che politici.
Nel 1954 arriva la televisione, il panorama culturale e di intrattenimento della popolazione, si
differenzierà il modo di vivere e del tempo libero. Le persone inizieranno ad andare in vacanza, una
serie di attività che le persone iniziano a fare nel tempo libero. In questo panorama così fervente
coesistono il cinema d’autore, la commedia di evasione, la commedia all’italiana, i colossal
americani e tutta un’altra serie di tipologia cinematografiche senza dimenticare il cinema
documentario. Il marchio autoriale diventa una sorta di garanzia di qualità: autori come Antonioni,
Fellini e molti esteri e anche negli stati uniti come Wilder ecc… saranno capaci di dare un’impronta
personale al loro cinema, saranno anche ‘segno di qualità’. Precedentemente si diceva “vado a
vedere un film si… Anna Magnani” era l’attore, lo star-system che trainava il mercato
cinematografico. A partire da questi autori vanno a vedere un film dell’autore. Diventano il punto
di riferimento della cinofilia, di coloro che sono appassionati di cinema a più livelli. Consce
un’espansione rapidissima soprattutto nel “cine club” recupero di luoghi spesso appartenenti alla
parrocchia, alla chiesa, luoghi dove le persone vanno a vedere e rivedere i film. La passione per il
cinema, vedere, scoprire e studiare il cinema. Sapere cinematografico che va ad incrementare
grazie alle riviste del settore.
Fellini
Nasce a Rimini nel 1920. Si sposta giovanissimo a Roma con l’intenzione di fare cinema. È stato
senza dubbio uno dei registi che ha maggiormente inciso sugli sviluppi degli sviluppi del cinema
nella seconda metà del ‘900. Inizia la sua carriera come fumettista, caricaturista e collabora per 18
anni con tanti giornali realizzando vignette e articoli umoristi. La sua fortuna inizia con “Roma
Città Aperta”, conosce Rossellini e collabora alla sceneggiatura di uno dei film più importanti del
neorealismo italiano. È travolto dal fascino di Rossellini e rimane al suo fianco anche per opere
quali “Paisà”, “Francesco Giullare di Dio” e “Europa ‘51”. Dopo questo folgorante innamoramento
nei confronti di Rossellini, prenderà immediatamente le distanze dal cinema neorealista e quello
che consideriamo il suo primo film “Lo Sceicco Bianco”, 1952, (fu co-regista di Luci del Varietà) è
una commedia insolita che presenta una visione grottesca e parodistica dei fotoromanzi.
Protagonista è Alberto Sordi, il film viene salutato malissimo dalla critica proprio perché
apparentemente di inscrive ancora nella tecnica neorealista. Trama: una giovane coppia va in
viaggio di nozze a Roma, la giovane moglie totalmente innamorata dello Sceicco Bianco,
protagonista di un fotoromanzo molto noto, va a cercare il protagonista, lo torva, lei sparisce e il
marito non la trova perché lei rimane catturata dal mondo fatato del fotoromanzo. In verità
l’ambientazione si avvicina a quella tipica del neorealismo ma nella sostanza si tratta di un film di
estrema rottura con il cinema neorealista. È invece un film che ha già le basi di quella che sarà la
sua poetica, l’esplorazione del sonno, dell’onirico, del fantastico che rappresentano il tratto
distintivo di Federico Fellini. Dopo un inizio con lo sceicco bianco accolto in maniera molto tiepida,
Fellini, nel giro di pochi anni, sarà l’autore di film che cambieranno le sorti del cinema italiano. A
partire dai “Vitelloni”, poi con “La strada”, interpretata dalla moglie Giulietta Masina e Anthony
Quinn e poi “Le Notti di Cabiria” per poi arrivare a quello che viene considerato un film ‘ponte’: La
Dolce Vita, 1960.
Opera ponte: essa chiude infatti una fase del cinema italiano, per inaugurare una nuova era, e,
percorrendo non poche tensioni e spinte del cinema internazionale. Segna una svolta nel cinema
italiano tutto. (Vedere un pezzo dello sceicco bianco). Alberto Sordi impersona le caratteristiche
dell’italiano medio, Fellini vuole lui, sarà l’unico film che contiene le caratteristiche tipiche della
commedia italiana.
Gli anni ’60…
Gli anni ’60 rappresentano per Fellini la stagione della massima espansione creativa, caratterizzata
da una serie di opere che danno vita a fantasmi ricorrenti e ossessivi. Dopo l’episodio Le Tentazioni
del Dottor Antonio, del film collettivo Boccaccio ’70 del 1962, fu la volta del capolavoro 8 ½.
8 ½.
Fellini, con questo film, prelevava dal proprio immaginario fantasmi dell’inconscio, ereditando e
fondendo, oltre alle suggestioni di Pirandello, Dante, Thomas Elliot e Jung, quelle di una
vastissima ed eterogenea iconografia popolare. Nel capolavoro felliniano, tutto un mondo
immaginativo è convocato in scena, in un affresco grandioso, in un enorme contenitore in cui si
mescolano insieme forme alte e basse della cultura di massa. Non c’è più i racconto: al contrario, le
immagini fluiscono in modo tumultuoso, spesso accavallandosi e costruendo il loro senso per
accumulazione e mantenendo tutta ala loro ambiguità e il loro senso epifanico e misterico. La
scena finale, rasserenante, arriva dopo un desiderio di morte, una fantasticheria di suicidio, e
rappresenta non solo il ritrovamento e la pacificazione con le figure parentali, ma l’accettazione
totale dell’esistenza in nome dell’amore. Come confermano le parole a lui rivolte da Carla,
interpretata da Sandra Milo: “ho capito che cosa vuoi dire, che non puoi fare a meno di noi”. Nel
cinema felliniano la memoria gioca un ruolo fondamentale perché, come testimoniatoci dallo
stesso Fellini, “essa è qualcosa di assolutamente misterioso, quasi indefinibile, che tuttavia ci lega a
eventi che non ricordiamo nemmeno di avere vissuto e che ci sospinge ad entrare in contatto con
sensazioni provate che non sappiamo definire”.
Sull’onda dell’interesse per Carl Gustav Jung, e di u trattamento analitico intrapreso con Ernst
Bernhard, Fellini affidò ancora una volta a Marcello Mastroianni, divenuto ormai il suo alter ego, il
ruolo di protagonista.
Sogno e memoria: Felini fa nascere ogni sua storia dal suo vissuto personale. Accanto alla
componente della memoria autobiografica però, Fellini ha sempre anche amato tanto
perdersi in un labirinto di sogni ed epifanie che si accendono nella sua immaginazione,
collegandosi fra loro in modo imprevedibile e casuale. Fellini, vede con una sorta di “occhio
interiore” che pesca il suo repertorio d’immagini nell’inconscio, nel sogno, nella memoria
anche quando osserva il presente, Fellini è sempre un regista della soglia tra mondi e la
sua immagine appare sospesa tra realtà vissuta o realtà sognata. Perciò la vita, come la
sua rappresentazione, ha sempre avuto per Fellini il valore di un miracolo e di un
mistero. Tali caratteri emergono chiaramente già ne “Lo Sceicco Bianco” del 1952, dove il
tema del sogno e della sua smentita nel confronto con la realtà appare primario.
Lo Sceicco Bianco, 1952.
Questo film nasce da un’idea di Michelangelo Antonioni. Si tratta di una piccola ma significativa
storia, scritta da Fellini stesso, Pinelli e da Ennio Flaiano, di una coppia di sposi venuti dalla
provincia, in cui lei sogna il suo beniamino dei fotoromanzi, ruolo ricoperto da Alberto Sordi. Il
film, per le cui musiche fu scelto come compositore Nino Rota, con il quale nacque un rapporto di
collaborazione lungo e fecondo, incuriosì molto ma non ottenne il successo sperato. Furono scarsi
gli apprezzamenti alla Mostra del Cinema di Venezia e deludenti gli incassi al Botteghino.
I Vitelloni, 1953.
Si tratta di una ricostruzione autobiografica della vita di provincia. Il film, nonostante una struttura
narrativa che possiamo definire “lineare”, contiene almeno un personaggio onirico: il ragazzino che
Moraldo, interpretato da Franco Interleghi, incontra per le strade di notte. “Vitellone” è una parola
che Ennio Flaiano riconduce a “‘vudellone’, ovvero grosso budello, Fellini invece a ‘vidlòn’ in
dialetto romagnolo. La parola indicava gente spensierata, nullafacente e golosa di passatempi e
amori, oltre che di cibo. Il film è un affresco di ragazze e ragazzi in vista di un futuro he, nella
morbida Rimini, appariva sonnacchioso , con improvvise fiammate di divertimento alternate a
momenti di amarezza tra ricordi romagnoli ed esperienze romane. Nel finale vi si trova una
soluzione linguistica interessante: quando i protagonista decide di abbandonare la città di
provincia in cui è cresciuto. Mentre guarda fuori dal treno, il film si stacca dal realismo e non
mostra il paesaggio come sarebbe naturale, ma le persone care che lui lascia e che stanno ancora
dormendo, sono riprese con un movimento di camera composito (camera laterale con panoramica)
che imita lo sguardo di chi passa avanti e intanto gira la testa. Il personaggio di Moraldo si pone,
silenziosamente degli interrogativi nel finale del film, affacciandosi al finestrino del treno: si chiede
a quale destino stia andando incontro. Si tratta di una domanda rivolta dal regista anche agli
spettatori e a se stesso, in una società che stava completando la ricostruzione e che, da paese
contadino, si stava trasformando in paese industriale.
La Strada, 1954.
Si tratta di un vero e proprio percorso di redenzione per un personaggio brutale come Zampanò,
interpretato da Anthony Quinn, Che nel film vediamo sempre accompagnato da “una specie di
angelo inconsciamente toccato dalla Grazia”, ovvero Gelsomina, interpretata da Giulietta Masina. Il
film da la definitiva notorietà internazionale a Fellini; tra i premi vinti troviamo il Leone d’Argento,
il nastro d’argento e il premio oscar per il migliore film straniero e ottenne anche una nomination
per la sceneggiature.
Tra i più importanti dilm di Federico Fellini troviamo “la dolce vita” del 1960.
Diretto e co-sceneggiato da Fellini, è considerato uno dei capolavori di Fellini e tra i più celebri film
della storia del cinema. Rappresenta un viaggio all’interno della dolce vita romana alla fine degli
anni ’50 che vede come protagonista Marcello Mastroianni. La pellicola ha ottenuto 4 candidature
e vinto un premio Oscar e fu inoltre vincitore della Palma d’oro al 13esimo festival di Canne; dopo
solo quindici giorni di proiezione, il film aveva già coperto le spese di produzione. Alla fine della
stagione cinematografica 1959-1960, risultò il maggior incasso dell’annata in Italia.
L’autobiografismo di Fellini: lo stesso autore ribadisce l’idea proustiana secondo cui l’artista
trae per sua natura nutrimento dai traumi psicologici della sua esistenza psichica e che non si
possono tracciare confini netti tra passato, presente, futuro e immaginazione, perché anche il
tempo è inventato. Sostanzialmente tutto il cinema di Fellini si nutre di una forte componente
autobiografica, facendo di Marcello Mastroianni il suo alter ego per raccontare sempre i suoi
ricordi, le sue fantasie e le sue ossessioni in una specie di unico e grande poema che con colori,
scenografie, metafore e simboli finisce per riproporre sempre la stessa vita interiore dell’autore
filtrata attraverso la sua memoria.
Antonioni
Realizzò film improntati su tematiche esistenziali, indagando in profondità per la prima volta nel
cinema italiano la relazione uomo-donna. Tra i suoi film più importanti troviamo Cronaca di
un’amore, 1950, Il Grido, 1957, L’Avventura, 1960, La Notte, 1961, L’Eclisse, 1962.
Nacque a Ferrara nel 1912, è considerato uno dei massimi autori del dopoguerra. Trasferitosi a
Roma nel 1939 frequentò per alcuni mesi il Centro sperimentale di Cinematografia ed entrò a far
parte della redazione della rivista “Cinema”. Proprio il nascente neorealismo costituisce il terreno
di partenza per Antonioni, che nel 1943 gira il suo primo documentario ‘Gente del Po’, ambientato
nella sua terra d’origine, e che con ‘Ossessione’ di Luchino visconti viene considerato il primo
esempio di cinema neorealista. Degli autori neorealisti non lo interessano i temi, quanto piuttosto
le scelte lessicali e la forza visiva. Il suo esordio registico in lungometraggi di finzione appare alla
critica come un ulteriore segno della diaspora, dispersione e decomposizione del corpo neorealista.
Il suo primo film a soggetto è “Cronaca di un Amore” del 1950, dramma dalle venature gialle
ambientato nella borghesia di Milano e Ferrara.
I Vinti, 1953, è un film a episodi sella crisi della gioventù europea del dopoguerra, e la Signora delle
Camelie, sempre del 1953, feroce rappresentazione del mondo del cinema, segnano poi l’inizio delle
difficoltà di Antonioni con la critica e la censura. Segue Le Amiche, 1955, liberamente tratto dal
racconto ‘tra donne sole’ di Cesare Pavese, il cui regista privilegia l’attenzione nei confronti dei riti,
delle nevrosi e del vuoto ideale e affettivo della borghesia torinese. Le prime vere e proprie opere di
rottura nel cinema di Antonioni saranno però Il Grido, 1957, e il successivo l’Avventura, 1960: con
quest’ultima opera, ispirata ad un evento realmente accaduto, una ragazza scomparsa
misteriosamente nelle Isole Eolie e mai più ritrovata, Antonioni ottiene la definitiva attenzione
della critica mondiale, prima fra tutte fu quella francese che gli dedicò la definizione di
“neorealismo interiore”. Antonioni scardina le griglie e i condizionamenti spazio-temporali delle
teoriche e delle poetiche del neorealismo. Rispetto al gruppo neorealista, Antonioni ha esplorato
nuove dimensioni narrative e rappresentative, modificando le coordinate spaziali i rapporti tra le
figure e lo spazio e la percezione dei vuoi e dei pieni come rappresentazione del dramma dei
personaggi.
Spesso è stato definito il regista dell’alienazione dell’incomunicabilità e dell’inafferabilità del reale.
La struttura stessa dell’inchiesta o del giallo, che caratterizza molti film di Antonioni, incarna
narrativamente il desiderio di indagare aspetti del reale che tendono a “sottrarsi” continuamente ai
nostri sensi. È dal conflitto più o meno dichiarato tra l’ambizione di un tutto visibile e la ricerca di
una verità nascosta nelle cose e nei personaggi che Antonioni ottiene i risultati migliori, dando
prova di un’inesauribile inventiva tecnica e stilistica.
Cronaca di un amore,: Paola, che si è sposata con un ricco industriale, ha pianificato insieme
all’amante Guido l’assassinio del marito. Inaspettatamente però il marito muore per conto suo in
un incidente, qualche istante prima di essere ucciso. Formatosi nel cinema documentario,
Antonioni fa spesso uso del piano-sequenza, come nella scena in cui i due amanti sono ripresi sul
ponte: la scena è realizzata grazie ad un preciso movimento di macchina a 360 gradi; Antonioni
lavora sulla focale dell’obbiettivo, ottenendo una profondità di campo tesa a sviluppare quella che
per lui finirà col diventare una figura stilistica preminente, il rapporto tra figura e sfondo. Con
la ‘costruzione’ dell’immagine di Lucia Bosè, getta le basi per l’inizio del lungo e duraturo sodalizio
tra moda e cinema. Alcune scene del film sono state girate nell’atelier milanese di Noberasko.
Il rapporto di Antonioni con la modo continua con il film “Le Amiche”, in particolare ocn i costumi
delle sorelle Fontana e con Blow-Up. Antonioni ha sempre avuto un interesse particolare per la
moda. Già nel 1940 firma alcuni articoli sulla rivista “cinema” e nel 1947 realizza un documentario
sulla produzione della viscosa: sette canne, un vestito.
I personaggi: già in cronaca di un amore, il regista raccoglie in un solo sguardo d’insieme
personaggi e ambiente circostante, catturando tutti i possibili segni e sintomi dello stato interiore
dei personaggi stessi. L’apice della fase creativa di Antonioni, nonché il prologo al suo cinema
successivo degli anni ’60, è però costituito da ‘Il Grido’
Paesino del Po, un operaio, Aldo (Steve
Cochran), abbandonato dall’amante (Alida
Valli), se ne va portandosi via la loro bambina.
Vagando per la pianura padana, ricerca un suo
vecchio amore e poi va a vivere con una
benzinaia. Ma si lasciano e l’uomo, tornato
presso l’amante che non sa dimenticare, si
uccide. Una ricerca straziante in un paesaggio
desolato. Alla conclusione, la morte della
protagonista coincide con una manifestazione
operaia contro la costruzione di un aeroporto
militare nella zona.
Con ‘L’Avventura’, e da qui in avanti, Antonioni cerca poi di sostituire agli spazi reali nuove
tipologie di spazi, capaci di misurare le distanze interiori. La percezione dello spazio ne risulta
perciò sconvolta: egli cerca insomma di captare anche le ‘radiazioni mentali’ dei suoi personaggi in
fuga dal quotidiano.
La Trilogia dell’Incomunicabilità
Ne ‘L’Avventura’ e nei film successivi (La Notte, 1961 e L’Eclisse, 1962) lo spazio, come nella pittura
è ridotto alle sue strutture elementari per aprirsi poco alla volta di ulteriori dimensioni metafisiche.
In tale “trilogia esistenziale” il rifiuto della forma tradizionale di narrazione trova espressione in
diversi elementi: nella sottile descrizione di comportamenti non prevedibili ma sempre verosimili;
nel rifiuto dell’evento drammatico, privilegiando i momenti precedenti o successivi. Nella
desertificazione progressiva dell’inquadratura.
Il deserto Rosso, 1962.
Lo scenografo esplora per Antonioni soluzioni inedite e sperimentali in questo film, proseguendo la
ricerca iniziata con L’Avventura e l’Eclisse. È in particolare la manipolazione del colore e degli
esterni che rende visibile la volontà di interiorizzare lo spazio. Il personaggio principale del
film è Giuliana, interpretata da Monica Vitti, moglie di un industriale e madre di un bambino
piccolo, appena uscita da una clinica psichiatrica dopo un tentato suicidio. Il rapporto tra Giuliana
e lo spazio è dominato dal colore; i personaggi, e lei in particolare, agiscono sui colori e ‘sono agiti’
dai colori. Le deformazioni hanno ora un lato oggettivo, ora un aspetto di sensazione, quasi
tattilità. Una simile ambiguità si ripercuote sullo spazio che diventa, proprio grazie al colore,
mobile e deformabile.
I colori: nella rappresentazione di questo spazio interiorizzato, Antonioni chiede a Piero Poletto di
dipingere il film come se fosse un quadro. Non vuole affidarsi alle tecniche di manipolazione del
colore in fase di post-produzione, non vuole fotografare i colori naturali ma vuole un intervento
diretto sull’ambiente. Il paesaggio acquista una “sua bellezza originale, fatta di grigi aridi, di neri
imponenti e semmai di pallide macchie rosa e gialle, tubi o cartelli lontani”.
Andando in Francia…
Nouvelle Vague
Anno 1959, l’espressione ‘Nouvelle Vague’ compare a partire dal febbraio di questo anno e rimanda
ad un preciso periodo della storia del cinema francese, ossia la fine degli anni ’50 e gli inizi
degli anni’60. Definisce un fenomeno cinematografico complesso e difficile da circoscrivere.
Sono due i film che daranno via al movimento: 400 colpi di Truffaut e Hiroshima Mon Amour di
Resnais. Gli autori del movimento di formano principalmente alla scuola critica dei “cahiers du
cinéma” degli anni cinquanta e tra i nomi che risaltano maggiormente troviamo: Claude Chabrol,
Jean-Luc Godard, Eric Rohmer, Jacques Rivette e Francois Truffaut.
Definizione: l’espressione era nata come etichetta giornalistica e venne utilizzata anche in un
contesto estraneo a quello del cinema, in relazione a un sondaggio di opinione sulla gioventù
francese, pubblicato nel 1957 dal settimanale “L’Express”, mentre nello stesso periodo era apparsa
un riferimento al ‘nouvelle roman’. Passò poi a indicare complessivamente la generazione dei
registi che cominciarono a girare lungometraggi verso la fine degli anni cinquanta. Questo
spostamento verso il settore cinematografico è legato a un’inchiesta pubblicata nel febbraio del
1958 dal caporedattore della rivista “Cinema 58” Perre Billard, che compilò un elenco dei cineasti
francesi di età inferiore ai quarant’anni. La definizione divenne in seguito critica e persino
dispregiativa, a indicare una trascuratezza nella realizzazione e nella messa a punto artistica di
alcuni film. I gestori delle sale cinematografiche dell’epoca ricorrevano alla formula ‘è un film
nouvelle vague’ per film di giovani registi improvvisati e poco professionali, ma comunque
sorprendenti. È stato solo successivamente che l’espressione si è importa come denominazione del
movimento.
Truffaut : i registi fra loro sono molto diversi e non mancano i conflitti. Nel 1962, Truffaut
affermava che l’unica caratteristica che accomunava tra loro gli esponenti del movimento era la
passione per i biliardini elettrici, aggiungendo:
Non si è ancora sottolineato a sufficienza questo punto: la nouvelle vague non è ne un movimento ne un
gruppo, ma un concetto di quantità. È una denominazione collettiva inventata dalla stampa per
indicare i nomi dei 50 nuovi registi emersi in soli due anni in un campo professionale in cui in precedenza
non si accettavano più di tre o quattro nuovi nomi all’anno. Dicembre del 62.
Raggruppò alcuni cineasti che affrontarono la regia tra il 1958 e il 1962. Riguardò almeno un
centinaio di nuovi autori. Il dizionario alfabetico del numero speciale die “Cahiers du cinéma”,
dedicato alla nouvelle vague e fu pubblicato nel dicembre del 1962, infatti, indicò i nomi di ben 162
nuovi autori.
La generazione precedente: tra la liberazione e il 1958, il numero di nuovi registi si limit ogni anno
a qualche nome. Erano registi sui 40 anni che avevano fatto una lunga gavetta sui set dei registi più
esperti prima di arrivare al lungometraggio. I cineasti francesi del 1055, in generale piuttosto
anziani, furono nella maggior parte dei casi gli stessi che avevano fondato le cosiddette regole del
‘cinema di qualità’ che conobbe il suo apogeo alla fine degli anni ’30. Questo cinema si basava su tre
principi:
- Primato dello sceneggiatore dialoghista;
- la realizzazione delle riprese all’interno degli studi con una folta équipe tecnica controllata
da sindacati;
- Il ricorso ad attori esperti e popolari che il pubblico ritrovava in ogni film.
Questi principi furono attaccati con estrema violenza dal giovane critico Truffaut nell’articolo “une
certaine tendence du cinéma francais” pubblicato in “cahiers du cinéma” nel 1954. I cineasti più
importanti di questo periodo (della generazione precedente) furono Claude Autant-Lara, René
Clair, Henri- Georges Clouzot e René Clément. C’erano anche alcuni registi originali che il Truffaut
critico considerava veri e propri autori perché si dedicavano alla stesura delle sceneggiature e
perché la loro regia si identificava con una particolare visione del mondo: Jean Renoir, Robert
Bresson, Jacques Tati, Jacques Becker, Abel Gance e Max Ophuls.
Tar le caratteristiche più significative del movimento troviamo sicuramente la tendenza a riferirsi
al cinema americano, il ricorso ad un budget ridotto, l’esperienza come critici e l’originalità nella
scelta dei soggetti e delle tematiche affrontate, in particolare il tema della giovinezza, problemi
della realtà contemporanea e l’emergere di una nuova forma di libertà sessuale (soprattutto da
Vadim).
- Imposizione della nouvelle vague: questo movimento in quanto tale acquisì il suo status
solo nel corso della stagione cinematografica del 1958-59; l’idea della nouvelle vague come
movimento teso a rinnovare la produzione cinematografica si impose quando i critici
iniziarono a interessarsi ai nuovi registi: Chabrol, Truffaut, Godard, Alain Resnais e
Marguerite Duras, che insieme firmarono Hiroshima, mon amour nel 1959.
Nell’arco di questo anno furono distribuite una serie di opere prime e al festival di Cannes furono
presentati i seguenti film firmati nouvelle vague: Orfeu Negro, il primo film di Marcel Camus e
ottenne la palma d’oro; i quattrocento colpi di Truffaut, premiato per la migliore regia;
Hiroshima… presentato fuori concorso ottenne il riconoscimento internazionale della critica
anglosassone, italiana e tedesca e infine l’estate seguente ‘fino all’ultimo respiro di Godard.
Per quanto concerne la produzione, la nouvelle vague non riguardò solo i critici ed i registi ma fu
anche un fenomeno economico che segnò il trionfo di pubblico del film a budget ridotto, da due a
cinque volte inferiore rispetto al costo medio dei lungometraggi commerciali di quel periodo e fu
molto remunerativo per i produttori.
Godard
Fu il più radicale dei registi del movimento; l’attività critica è stata per lui un’anticipazione
dell’attività come regista
“Frequentare i cineclub e la cineteca significava già pensare in termini di cinema e pensare il cinema.
Scrivere già significava fare del cinema… oggi invece di scrivere una critica, faccio un film; salvo (e non
Gianni) poi introdurvi la dimensione critica”.
Hollywood Renaissance
La nouvelle vague ha avuto un peso importantissimo anche negli stati uniti, dove si sviluppa la
cosiddetta “nuova Hollywood”. Arriva molto dopo rispetto al periodo 59-62 ma arriva alla fine degli
anni ’60. Le date sono indicative: siamo tra il 1967 ed il 1975. Dopo il 1975 tantissime produzioni
cinematografiche hollywoodiane possono essere in qualche modo inscrivibili nella nuova
Hollywood. Non si tratta di un movimento ma di un ‘ristrutturarsi’ del sistema cinematografico
americano. All’inizio degli anni ’60, tanti autori giovani riescono a portare dell’innovazione
all’interno del cinema: negli stati uniti una serie di autori indipendenti da vita ad una serie di
esperienze che rompono le regole stilistiche del cinema classico hollywoodiano; siamo di fronte a
film che realizzano montaggi spezzati, riprese non fisse e strutture narrative talvolta non lineari
ecc.. sono influenzati dal cinema europeo e dalla nouvelle vague in particolare che nel usa circola
soprattutto grazie al cinema d’essai, dedicano la loro programmazione a film provenienti da altri
paesi del mondo. Queste sale attraevano giovani e intellettuali e passarono da avere nel 1950 un
centinaio di sale e solo a metà degli anni’60 superarono le 600/700, quindi uno sviluppo enorme
da parte della costruzione di sale, esercenti che si dedicano a fare conoscere il cinema non
americano (cinema inglese, neorealista). Questo modo diverso di fare cinema influenza la
successiva nuova Hollywood, gli autori si formano attraverso uno stie cinematografico che non
appartiene allo studio-system.
Come ha affermato Franco la Polla, docente di cinema, ha lavorato maggiormente su quello che è
stato il cinema americano e il nuovo cinema americano, ci dice
Verso la fine degli anni sessanta si assiste a quello che quantitativamente è probabilmente il massimo
tentativo di rinnovamento del cinema americano dai tempi del sonoro. 1978, Venezia.
I fratelli Coen
Ten decide di andare al cinema e deve scegliere tra un film turco e uno di René ma sceglie quello
turco e si sente emozionato e decide di ringraziare il ragazzo della biglietteria che lo ha aiutato a
scegliere il cinema. Ci mostra cosa è il cinema per i fratelli Coen. Si sono formati seguendo corsi di
cinema a New York, laureati a Pringston e sono cresciuti guardando film al cinema e in televisione
e il loro interesse è di fare appassionare e hanno una visone che appartiene a livello viscerale a
quello che è il cinema americano, che vuole avere una partecipazione di pubblico in sale; al
contempo sono registi estremamente acculturati non solo dal punto di vista cinematografico ma
anche filosofico e letterario. Attraverso i loro film sono riusciti ad avere incassi elevatissimi e
quindi ad inserirsi nell’industria del cinema ma contemporaneamente riescono a lavorare con lo
spettatore attraverso più tracce: in questo caso quello che sa cos’è la ‘regola del gioco’ di René
intuisce l’importanza di quel film è l’importanza di buttarsi in una sala e vedere un film sconosciuto
per vedere una nuova cinematografia. Sono autori di genere e non vanno contro la regola del
genere cinematografico classico hollywoodiana, cavalcano il genere e dentro di esso portano la loro
autorialità: realizzando quello che si chiama un ‘pasticcio post moderno’, mischiano
completamente e continuamente le carte. La loro autorialità, più che in movimenti di macchina o
soluzioni di montaggio, va cercata proprio nella rivisitazione originale e profonda nei modi che
hanno reso solito il cinema classico hollywoodiano. I generi classici hollywoodiani, western,
classico, musical, noir, sono il loro elemento di indagine ed è lì che collocano la loro capacità
autoriale: inserirsi nella fortuna dell’industria hollywoodiana classica.
Sul genere dicono
“Generalmente, quello che ci interessa nel nostro rapporto con un genere, è di deludere l’attesa dello
spettatore che è condizionato dalle regole e dai cliché, per spingerlo nella direzione opposta. Più il nostro
film sembra citare altri film appartenenti al genere, più noi tentiamo di minare il genere dall’interno,
modificando le situazioni, le reazioni dei personaggi, i loro rapporti”