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Storia del cinema

Linguaggio cinematografico
Il cinema è un linguaggio con le sue regole e le sue tecniche espressive.
Cinema -> insieme dei film -> testo trascritto (qualsiasi mezzo comunicativo di senso compiuto,
impressionato) su pellicola o in digitale, i film girati in pellicola vengono riversati in formato
digitale per poi essere proiettati al cinema. Un film è un succedersi di immagini fotografiche in un
determinato periodo di tempo, si forma una successione di istanti in 24 scatti al secondo (un
secondo di immagine in movimento corrisponde a 24 scatti fotografici) che danno il movimento
delle immagini, François Truffaut definì il cinema come.
la vita ripresa a ventiquattro fotografie al secondo

il film trascrive e racconta il fluire del


tempo. Composto di fotogrammi e
inquadrature.
Tutto il cinema è una trascrizione soggettiva in modo audiovisivo del pensiero di chi manovra la
macchina da presa/telecamera. Lo sguardo oggettivo NON esiste. La macchina da presa trascrive in
maniera visivo-auditiva le idee di chi la manovra, collocandola in un certo modo, e inquadrando
quello che ritiene opportuno riprendere, per esprimere il suo pensiero. Anche per quanto riguarda
quelli che chiamiamo ‘cinema verità’ come la candid camera e la cronaca televisiva, i documentari…
non sono realtà soggettiva perché c’è sempre qualcuno che decide come fare una determinata
inquadratura; non sono una verità oggettiva ma il modo di vedere di vedere la realtà di coloro che
l'hanno trascritta in pellicola.
Come già detto, il film è composto:
→ Fotogrammi, singola fotografia;
→ Inquadratura, ogni sequenza di fotogrammi impressionati in un’unica ripresa.
Il cinema è una scrittura, Robert Bresson.

Per scrittura cinematografica si intende l’insieme articolato di elementi visivi e auditivi che
compongono un qualsiasi testo filmico. Anche il linguaggio è fatto di regole non dette, di
suggerimenti.
Analogie tra lingua e film
Volendo fare un’analogia fra la scrittura del film e la scrittura di una lingua parlata o scritta, pur
essendo queste di natura completamente diversa possiamo dire che il fotogramma può essere
paragonato alla singola parola mentre l'inquadratura può paragonarsi a una frase semplice. Il
susseguirsi delle "parole-fotogrammi" crea le "frasi-inquadrature" e l'insieme di queste ci dà il
“discorso filmico”.
Differenze tra lingua e film
La composizione delle inquadrature e la loro alternanza, nel passare da un'inquadratura a un'altra,
rispettano spesso una grammatica e una sintassi che non sono delle rigide norme codificate come
nella grammatica di una lingua. In un audiovisivo, infatti, le regole sono accorgimenti di natura
visiva e auditiva, sono delle convenzioni spesso ignorate dagli stessi autori. L'errore nel linguaggio
audiovisivo può definirsi come una discontinuità illogica percepita dall'occhio o dall'orecchio,
perciò è chiamato "salto". L'autore del film ha a sua disposizione tanti ELEMENTI ESPRESSIVI,
come: campi e piani, angoli di ripresa, luci e colori, parole, suoni e rumori.
Espressione filmica
→ Limitazione spaziale del quadro ripreso e proiettato, io vedo ciò che l’autore vuole
mostrarmi (immagine limitata al quadro);
→ Distanza variabile e angolazione dell’oggetto dell’inquadratura, si fa caso all’inquadratura
che l’autore vuole mostrarci e su cui vuole che ci soffermiamo (primo piano su qualcosa);
→ Illuminazione e policromia, esiste una figura professionale che si chiama “direttore della
fotografia” che, insieme ad altre figure decide il tipo di luce che definisce il giorno, la notte,
uno spazio limitato e definisce anche il colore del film (giallo, rosso, toni freddi piuttosto
che usare toni caldi, non è mai al naturale) la cui scelta ha sempre una motivazione, non è
mai, la luce, fine a sé stessa ma da forma plastica al pensiero e al sentire dell’autore;
→ Colonna sonora, comprende parlato, suono, rumori e accompagna il racconto;
→ Abolizione della continuità spazio-temporale: il cinema è in grado di manipolare il tempo
grazie al montaggio, in cui si può decidere se far durare una notte 10 minuti e racchiudere
centinaia di migliaia di anni in un secondo [2001 odissea nello spazio]. Nella messa in scena
del film lo spazio e il tempo sono frantumati e ricreati in modo che solo il cinema può
rappresentare, eliminando appunto frazioni di spazi e tempi fisici (reali) inutili alla
rappresentazione. Nel film si creano spazi, tempo e ritmi che lo spettatore percepisce così
come sono stati ideati dall’autore dell’opera. La specificità dell’arte cinematografica sta
nella continuità di spazio-tempo-ritmo.
Fasi della composizione del film, dall’idea si arriva alla composizione dell’audiovisivo percorrendo
le seguenti fasi:
1°. Fase letteraria, stesura della sceneggiatura;
2°. Fase esecutiva delle riprese, creazione delle inquadrature;
3°. Fase di edizione dell’audiovisivo (impropriamente detta di post-produzione).
Movimenti di macchina
I movimenti della macchina da presa si eseguono o con la macchina montata su cavalletto o su
teste panoramiche, carrelli o attrezzature semoventi, oppure con la macchina a spalla. Per
comprendere i movimenti base di macchina, immaginiamo che alla macchina da presa si
sostituisca un osservatore: i suoi occhi sono l'obiettivo, la sua testa è la macchina, il suo collo è la
testa panoramica del cavalletto con i suoi snodi e le gambe sono il carrello.
Panoramica orizzontale: analoga al movimento dell’osservatore che, stano fermo, si guarda
intorno ruotando il suo corpo a destra per la panoramica verso destra o a sinistra per la
panoramica verso sinistra;
Panoramica verticale: analoga al movimento dell’osservatore che alza o abbassa la testa,
guardando su o giù ma stando fermo con il corpo;
Carrellata orizzontale: analoga alla vista di un osservatore che, stando fermo su un
cavalletto, è da questo trasportato;
Carrellata verticale: analoga alla vista di un osservatore che sale o scende con un ascensore
con pareti trasparenti posto su una vista di un paesaggio.;
Carrellata ottica "zoom": si esegue variando l'ingrandimento dato all'immagine
dell'obiettivo durante la ripresa con macchina ferma. Con la zoomata si ha l'illusione che la
Camera esegua una carrellata orizzontale pur restando, essa ferma.
Dolly o gru: la macchina da presa è posta all’estremità di un braccio mobile, sostenuto da
una piattaforma munita di ruote, in modo tale che allo spostamento lungo il piano, reso
possibile dalla piattaforma, si può associare anche quello in verticale e in orizzontale
effettuato muovendo il braccio. Di fatto con questo tipo di supporto si riesce a passare da
un’inquadratura molto ravvicinata, come quella di un dettaglio, a un campo lunghissimo;
Ripresa a mano: la macchina è in spalla a un operatore, in modo da seguirne gli stessi
movimenti. Se l’operatore si muove velocemente, le immagini risulteranno mosse e
traballanti;
Steadycam: la macchina è disposta sul corpo (come nella ripresa a mano) ma, per evitare
sobbalzi viene fissata al corpo con un’intelaiatura ammortizzata;
Skycam: si utilizzava (prima dei droni) per le riprese aeree. Si agganciava la macchina a un
cavo di acciaio e comandandola a distanza (monitor) attraverso impulsi elettronici.
Campi
Il campo la quantità di spazio mostrata dall’inquadratura, è usato spesso per costruire forti effetti
drammatici e se ne intuisce la presenza e la natura per mezzo delle espressioni dei personaggi o dei
movimenti di macchina.

→ Lunghissimo: quando abbraccia, nelle riprese degli esterni, un grandissimo spazio e offre
una visione di insieme del luogo, sicché le figure umane o non sono presenti o appaiono a
notevole distanza, distinguendosi a malapena;
→ Lungo: quando negli esterni la figura umana resta di dimensioni limitate, vediamo la figura
ma senza distinguerne i dettagli;
→ Medio: quando la figura, pur avendo maggior rilievo, non arriva a toccare con testa e piedi i
margini superiore e inferiore del quadro;
→ Totale: quando si riporta la totalità di un interno con tutti i personaggi che vi agiscono (p.es.
il totale di una piazza o di uno studio);
→ fuori campo: tutto ciò che è escluso dal campo, ma si intuisce tuttavia essere presente nei
sei luoghi intorno al campo e cioè: ai quattro lati del campo, dietro la scenografia, dietro la
cinepresa.
Il fuori campo lo intuiamo grazie al campo sonoro, ossia lo spazio in cui si manifestano i suoni, lo
spazio in cui si manifestano i suoni che lo spettatore deve percepire. I suoni che udiamo,
provengono da ogni direzione anche se le loro sorgenti sono escluse: per esempio il bussare alla
porta oppure, in questo caso la sorgente è esclusa dal nostro sguardo ma è relativamente vicina,
come nei film horror, percepire dei passi senza vedere chi li produce. Nella finzione filmica, per la
ragione sopra accennata, i suoni uditi possono provenire anche da fonti sonore che non sono in
campo, ma supposti nel fuori campo.
Colonna sonora, vi sono almeno tre tracce (o colonne) che formano la colonna sonora:

• Colonna del parlato: contiene i dialoghi, le voci fuori campo, tutto ciò che attiene alla voce.
Durante l’esecuzione del montaggio si possono sfruttare più track, normalmente se ne
adoperano almeno due, una per ciascun “dialogante”;
• Traccia degli effetti sonori: tutti quei rumori realizzati in presa diretta o aggiunti in post-
produzione;
• Colonna della musica: costituisce un commento al film, è generalmente eseguita
espressamente, prima, durante o dopo la sua realizzazione. Ci possono essere musiche
eseguite “in scena”, cioè eseguire sul set, durante la ripresa (diegetiche).
[diegetica: la colonna sonora è all’interno del film (personaggio che suona qualcosa); extra-
diegetica: musica scelta/composta che accompagna il film è inserita in post-produzione e serve a
raccontare la storia].
I suoni e i rumori si classificano come segue:
- Sonoro ON (oppure IN):se le emittenti sonore sono effettivamente inquadrate nel campo di
ripresa.
- Sonoro OFF: se si suppone che le fonti sonore siano poste nel fuori-campo.
- Sonoro OVER: se la provenienza di parlato, suoni, rumori, non può ̀ritenersi proveniente
da alcuno spazio fisico in campo o fuori campo, supposto reale, ma dal pensiero di persone
inquadrate o no, oppure da voci narranti fuori campo (voice over). Si definiscono anche
OVER le musiche non provenienti da fonti sonore, però presenti nel film (musiche di
accompagnamento).
Fuoricampo sonoro, per fuori campo si intende una qualsiasi battuta o commento che avviene fuori
dalla portata visiva della macchina da presa: può essere anche una battuta recitata mentre
inquadrano il personaggio che la sta ad ascoltare (piano di ascolto).
Quest’ultimo caso è frequentissimo > la maggior parte delle battute sono recitate a cavallo tra una
inquadratura e l’altra, se non addirittura su un piano d’ascolto. Vi sono poi dei virtuosismi nei quali
intere scene sono sintetizzate attraverso un fuori campo. (vedi finale di Blow-up, 1966).
Doppiaggio e presa diretta, la colonna sonora, ma soprattutto la colonna del parlato, può essere
realizzata in presa diretta o doppiata.
Negli Stati Uniti i film si girano, normalmente, in presa diretta; ciò vuol dire che mentre si
eseguono le riprese delle immagini, si riprendono anche i rumori meno impegnativi (passi, ecc.) e i
dialoghi. Questa pratica si è diffusa anche in Europa ed ormai è pratica comune realizzare un film
in presa diretta. Tuttavia, in alcuni casi (per esempio quando un film prevede l’impiego d’attori non
professionisti) è possibile girare un film prevedendo un doppiaggio finale.
Piani. Il piano è una inquadratura in cui predomina l’elemento umano. I piani sono di diverso tipo:

• primissimo piano, quando compare solo il volto dell’attore o un oggetto molto ravvicinato;
• primo piano, quando appare il volto e una parte del busto dell’attore;
• mezza figura, quando l’attore è ripreso dalla cintola in su. (vedi Persona, 1966).
• figura intera, quando l’attore tocca i margini superiore e inferiore del quadro;
• piano americano, quando la figura è ripresa dalle ginocchia in su (tipica nei duelli dei film
western);
• particolare, quando appare solo un particolare del corpo umano;
• dettaglio, quando compare solo un particolare di un oggetto o di un animale. (vedi il buono,
il brutto, il cattivo 1966).
Piano sequenza, un’unica inquadratura che segue il soggetto in modo uniforme, senza tagli o
stacchi di ripresa: in tal modo si evita il montaggio in moviola. Tempo cinematografico e tempo
reale coincidono. Il termine piano-sequenza individua una tecnica cinematografica che prevede la
costruzione di una sequenza attraverso un’unica inquadratura: di norma, di lunghezza sufficiente a
svolgere il ruolo di un’intera scena. Si tratta di una tecnica che rifiuta la “frammentazione” del
montaggio, in quanto si articola su un unico ed autonomo segmento che non prevede soluzioni di
continuità (i cosiddetti «stacchi»). L’espressione piano-sequenza (plan-séquence) è di André Bazin
e spiega la scelta registica, che rompe del tutto le regole del cinema classico. Permette di
allontanarsi dalla mera riproduzione di situazioni e di trasmettere allo spettatore la continuità
percettiva del reale; rinunciando esplicitamente all’artificio del montaggio, si riesce a creare un
maggiore coinvolgimento dello spettatore, assoggettandolo ad un lavoro di interpretazione che, di
solito, viene facilitato dal montaggio stesso. (vedi l’infernale Quinlan 1958 e nodo alla gola 1948).
Tempo filmico; un film nasce per frammenti di riprese (inquadrature), la continuità dello spazio e
del tempo viene ricreata dalla composizione e dalla messa in sequenza delle inquadrature. Per cui
spazio e tempo filmici non ricalcano spazi e tempi reali, ma sono ricreati e modellati in modo
autonomo ed interno al racconto del film. Il tempo, inoltre, può essere rallentato, accelerato,
saltato, bloccato o addirittura fatto scorrere all'indietro, modificando la cadenza e lo scorrimento
della pellicola.
Arresto del tempo: si ottiene col fermo del fotogramma (fermo-immagine) ovvero,
bloccando l'inquadratura e ripetendo un unico fotogramma per un tempo stabilito;
Fluire all'indietro del tempo si ottiene se si riprende l'azione facendo scorrere a marcia
indietro la pellicola nella cinepresa;
Accelerazione del tempo si ottiene riprendendo dei fotogrammi intervallati nel tempo, in tal
modo è possibile, proiettando poi alla normale velocità di proiezione, vedere l'evoluzione di
un'azione non percepibile dall'occhio umano (sbocciare un fiore);
Ritardo del tempo: Si ottiene riprendendo a velocità accelerata (oltre 36 fotogrammi al
secondo), è così possibile analizzare fenomeni rapidissimi e non percepibili.
Tempo della storia: è più lungo del tempo del discorso: la maggior parte dei film in 90 minuti
racconta una storia più lunga e coincide con il tempo del discorso (vedi nodo alla gola 1948). Il
tempo viene «tagliato» attraverso: ellissi piccola: alcuni fotogrammi ed ellissi grande: molto tempo
(vedi odissea nello spazio 1968).
Focalizzazione del racconto, il rapporto tra narratore, personaggio e spettatore è un importante
elemento per la comprensione della narrazione filmica (e non solo). Chi parla? Chi vede?
Genette inventa il termine “focalizzazione del racconto” ovvero, la prospettiva dalla quale viene
raccontata una storia. Secondo Genette l’autore può porsi in tre modi nei confronti della narrazione
e dei personaggi.
All’esterno del racconto:
▪ Focalizzazione esterna, in questo caso il narratore ne sa meno dei personaggi e può
descrivere solo ciò che vede esteriormente senza rivelarci niente dei loro pensieri. È detta
focalizzazione zero, il minimo della narrazione ed è la focalizzazione più usata nel
cinema. Dietro l’impressione di realtà che ci illude che i fatti accadano davanti ai nostri
occhi, c’è sempre qualcuno (il narratore) che sceglie e organizza la messa in scena per noi.
Inquadrature oggettive realizzate con la macchina da presa su un cavalletto, troviamo anche
una progressione temporale lineare e il montaggio invisibile;
▪ Focalizzazione del narratore, è la focalizzazione definita del “nulla” ed è il massimo della
narrazione, il racconto è presentato attraverso l’ottica del narratore che ne sa più dei
personaggi. Talvolta il narratore si mette in mostra esplicitamente sul piano della storia,
talvolta è implicito, sul piano del racconto.
All’interno del racconto:
▪ Focalizzazione interna, l’autore-narratore racconta dal punto di vista di un determinato
personaggio, identificandosi con lui. Questa narrazione prevede l’assunzione, da parte del
narratore, del punto di vista di uno dei personaggi. Si tende spesso a confondere il
procedimento con la soggettiva in senso stretto, ovvero a confondere la focalizzazione con la
semplice ocularizzazione. La soggettiva è ambigua. Non può esserci una totale
intercambiabilità tra sguardo del personaggio e quello della macchina. Spesso la
focalizzazione è anticipata dalla voce off (il personaggio racconta la sua storia). La voce off
aggiunge l’interiorità dei sentimenti all’esteriorità degli avvenimenti.
Ci sono molte contaminazioni fra queste tre modalità…
Narratore esplicito: è onnisciente, sa tutto:
1°. voce fuori campo del narratore, compare di solito all’inizio del racconto;
2°. Camera look, il soggetto inquadrato guarda in macchina e racconta la storia (io e Annie,
1977);
3°. Il narratore mostra con un movimento di macchina che sa più dei personaggi;
4°. Dissolvenze, come disse Balazs “l’autore ci avverte che il luogo dell’azione muta e che il tempo
passa”;
5°. Montaggio alternato, solo il narratore conosce più dei personaggi nella scena A e di quelli
nella scena B;
6°. Flash-forward, il futuro lo conosce solo un narratore.
Narratore implicito, “andare al di la di quello che dice l’autore esplicitamente”. I segni stilistici
denotano lo stile dell’autore a prescindere del racconto (per esempio Hitchcock, Kubrick).
Ambiguità della focalizzazione; la gran parte dei film adotta più focalizzazioni. Altrimenti
diventerebbe un esercizio di stile.
o Focalizzazione multipla;
o Focalizzazione variabile, l’inquadratura oggettiva diventa soggettiva e poi di nuovo
oggettiva in pochi secondi.

Cinema delle origini


Una semplice convenzione storica attribuisce ai fratelli lumiere l’invenzione del cinema: la prima
proiezione pubblica a pagamento all’interno del Cinematographe Lumiere ha luogo il 28 dicembre
1895 a Parigi. Questa è ritenuta la data simbolica d’inizio del cinema. Ci furono però esperimenti
avvenuti ben prima di questa data; tuttavia, questa è la data attribuita alla nascita del cinema.
Un’immagine in movimento non definisce il cinema, è definito da diversi fattori:
Soggetto produttore, ci mette o trova i soldi;
Un dispositivo Cinematographe, dispositivo che permette la possibilità di guardare un film
in modo collettivo, prima bisognava guardare immagini in movimento una persona alla
volta attraverso dispositivi che permettevano solo questo, il cinema è collettivo;
Un atto di vendita;
uno spazio pubblico, la sala.
Si paga un biglietto per vedere in modo collettivo un film. Il fenomeno del cinematografo si
estenderà velocemente a tutti i paesi economicamente più avanzati/sviluppati, in Occidente.
Convenzionalmente sono gli inventori del cinema, ma come per gli esperimenti per la televisione, il
WWB, non c’è un giorno in cui si ‘inventa’ ma c’è un processo di eventi. Il cinematografo
Lumiere nasce in seguito alle ricerche di Edison, l’inventore del Kinetoscopio (dispositivo che
consente la visione attraverso un mirino di un brevissimo film, da parte di un solo spettatore per
volta) l’apparecchio dei Lumiere invece, consente una proiezione collettiva. Trasformano questo
“cannocchiale” che consente di vedere un film ad una persona alla volta.
Questo evento diventa un evento di massa. Il cinema consce ben presto un vero e proprio boom.
La Francia diventa il primo paese per la produzione di film. Sorgono case di produzione con Méliès,
e la Pathé, che si impone come leader a livello mondiale, con grandissima velocità, lo spettacolo del
cinema è un evento inaudito, lo spettatore rimane folgorato della possibilità di vedere immagini in
movimento. Questo spettacolo ha come obbiettivo quello di dare una sensazione di magia,
straniamento: i primi spettatori sono spaventati, colpiti e il cinema viene quindi associato ad uno
spettacolo di magia. Passa del tempo prima che venga definita un’opera d’arte, la sua origine
spettacolare di intrattenimento. Nasce la possibilità di narrare, costruire nuove realtà, città,
immaginari e mondi. I pionieri del cinema sono in grado di costruire piccolissime narrazioni, con la
tecnologia.
In Italia, nel 1914, a Torino, la “Itala film” produce “Cabiria” di Giovanni Pastrone, il primo kolossal
monumentale realizzato in Italia da poco restaurato, otterrà un successo planetario.
In Danimarca e nei paesi scandinavi nasce la Nordisk, Negli Stati Uniti si affermano Max Linder,
Mack Sennett, con la slapstick Comedy. Negli Stati Uniti, nel 1908, la Biograph di Griffith e la
Vitagraph, pongono fine alla cosiddetta “guerra dei brevetti” con la possibilità di arrivare a film
della durata di addirittura 160 minuti, con la quale Edison cercava di impedire lo sfruttamento
commerciale del brevetto del cinema, costituendo un monopolio: il potente trust della Motion
Picture Patents Company MPPC.
In Europa nascono delle scuole nazionali, legate soprattutto ad alcuni autori e generi.
Negli anni Dieci, negli US, si diffonde l’industria cinematografica americana, nascono le più grandi
case di produzione, come la Paramount, la Fox, la Warner Bros, riusciranno ad avere il monopolio.
Nasce lo Studio System, il producer system, lo star system: basati sulla diversificazione e
specializzazione dei ruoli. Il produttore sta al vertice della lavorazione, mentre gli attori diventano
il principale veicolo pubblicitario del film. Gli stati uniti sono i primi a cogliere il potenziale
industriale, fare profitto con questo nuovo modo di intrattenere.
Il sistema americano riesce a mettere a punto una struttura piramidale da cui dall’idea alla sua
pubblicizzazione e alla messa in sale si coordina in modo tale da ottenere il massimo profitto: apice
tra gli anni 30 e 40 con un successivo declino ma comunque in funzione. Il cinema è ANCHE
industria.
Subito dopo essere nato il film si incanala in un sistema dove deve fare profitto: divismo,
sfruttamento dell’immagine di un attore per fare profitto. Esce dallo schermo per avere un sistema
economico esterno (pubblicità e indotto che deriva) fino ad arrivate ad un sistema contemporaneo
(universo Marvel, merchandising e promozione).
Il cinema delle origini rappresenta un sistema stabile. Utilizza un Modo di Rappresentazione
Primitivo (MRP): l’inquadratura è il centro privilegiato della rappresentazione, NON è il
montaggio; gli autori delle origini si occupano dell’inquadratura, non sono ancora in grado di
costruire una narrazione attraverso il taglio della pellicola e l’unione di diversi punti di vista.
Caratteristiche macchina da presa:
illuminazione uniforme, non c’è ancora la possibilità di sviluppare la narrazione con un
significato narrativo specifico;
Macchina da presa fissa, in posizione frontale (Cabiria, 1914);
Distanza tra macchina da presa e attori fissa, non si può ancora zoomare, le macchine sono
grandi, pesanti e difficili da spostare;
montaggio discontinuo, senza raccordi tra le inquadrature (brusche ellissi).
In circa un ventennio assistiamo ad una veloce evoluzione di questa forma mediale (dal 1895 al
1915), cinema è:
o SISTEMA delle ATTRAZIONI MOSTRATIVE: il cinema viene qui accostato all’esperienza
del Circo, trucchi e ad altre forme di spettacolo con una componente narrativa debole.
Contatto tra attore e spettatori. FINO AL 1908.
o SISTEMA di INTEGRAZIONE NARRATIVA: il cinema riesce a costruire una narrazione e a
dare linearità narrazione, unità del racconto; grazie alla possibilità di muovere la macchina,
costruire degli spazi tridimensionali (scenografie realizzate negli studi di posa che non sono
composte solo da fondali pittorici), possibilità di iniziare ad utilizzare il montaggio in
funzione narrativa, gli stacchi hanno quindi un senso narrativo.

Padri fondatori
- Fratelli Lumière
- Méliès
Una consuetudine storiografica oppone il cinema delle origini dei fratelli Lumiere al cinema delle
origini di Méliès, sono percepiti storicamente come diversi e addirittura opposti:

→ da una parte i Lumière sono identificati come i genitori del futuro cinema realista,
interessati a mostrare la vita reale che scorre in una pellicola, genitori del documentario,
dall’altra si identifica Méliès come il padre fondatore del modello di fiction (modello
cinematografico di narrazione finzionale) e di racconto spettacolare. Questa distinzione va
presa con le pinze: i fratelli lumiere si specializzano nella ripresa di attività quotidiane senza
attori o narrazioni e specifiche ed è vere che Méliès da inizio alla narrazione finzionale
(viaggio sulla luna). IN REALTA’ entrambi realizzano film spettacolari all’interno del
sistema mostrativo del primo cinema.
Le vedute dei fratelli Lumiere: proprietari di un’industria di prodotti fotografici, avevano messo in
commercio una macchina che faceva riprese, stampava e proiettava i positivi (Cinematographe) e
mettono gli spettatori dell’epoca di fronte allo spettacolo del quotidiano, della vita nel suo scorrere.
Treno che sembra andare incontro al pubblico. È il movimento a rendere spettacolari i loro film.
Ogni movimento diventa ATTRAZIONE, è anche il luogo dove viene posizionata la macchina da
presa, da DOVE viene catturato questo movimento. Le composizioni musicali sono realizzate sul
momento, alcuni film muti hanno una partitura realizzata apposta per essere suonata durante lo
spettacolo. Veduta degli operai che abbattono un muro e le lumiere che utilizzando la pellicola
nell’altro verso mostrano come viene costruito: primo effetto -> capacità di manipolare la pellicola.

→ Mèliés, di questa sperimentazione spettacolare con trucchi per manipolare la pellicola


Mèliés ne fa uno dei suoi elementi principali; si propone fin da subito di spettacolarizzare al
massimo i suoi film, soprattutto perché di professione fa il mago, il suo obbiettivo è quello
di fare spettacoli di magia non più attraverso uno spettacolo di forma teatrale ma attraverso
di forma del cinema, lavora più direttamente sullo spettacolo e la spettacolarizzazione
essendo di professione un mago. Sperimenta e perfeziona i suoi trucchi di magia, attraverso
la manipolazione fisica della pellicola. Nel 1897 fonda una società di produzione, la STAR
FILM e costruisce un teatro di posa e sperimenta nei film gli stessi trucchi di illusionismo
che portava in scena negli spettacoli teatrali.
Nel 1902 realizza “un viaggio sulla luna”, film che racconta la spedizione di una capsula spaziale
sulla luna, non ha la coerenza di un racconto di fantascienza e presenta trucchi e attrazioni che
hanno una funzione di meraviglioso, non di coerenza fantascientifica di qualsiasi sorta. Utilizza, dal
punto di vista del montaggio, spesso delle dissolvenze che non servono a dare il senso del tempo
(come avviene nel linguaggio del montaggio) ma servono prevalentemente a mettere in atto i
trucchi di magia che vuole mostrare il pubblico.
Hugo Cabret, 2011, Martin Scorsese, questo film racconta in forma romanzata l’amore del regista
per il cinema, che fu un grandissimo conoscitore della storia del cinema, e parla proprio di Mèliés.
Attraverso l’espediente del racconto di formazione di un bambino che supera il fatto di essere
diventato orfano, conosciamo chi fu Mèliés. Questo autore vide sparire la sua produzione durante
la guerra e finì dimenticato. Nel film possiamo osservare un teatro di posa realizzato in vetro per
servirsi della luce naturale, espedienti di trucchi.

Viaggio sulla Luna, 1902.

Fondali per lo più dipinti e grande attrazione all’aspetto fantastico e divertente dell’esperimento
portato avanti da Mèliés.
Porter
Contestualmente, nel 1903, nel US abbiamo un autore, Porter che realizza “la grande rapina al
treno”, per la prima volta fonda l’attrazione (processo per cui interessa attrarre lo spettatore
attraverso elementi fantasiosi) con la narrazione: primo film che si propone di utilizzare un
montaggio composito.
Realizza le riprese ‘on location’, non in un teatro di posa ma in una situazione dal reale con diversi
movimenti della macchina da presa. Rapida evoluzione dal punto di vista dell’uso della tecnologia
nel cinema; siamo fra i primi casi di utilizzo di montaggio incrociato dove alcune scene vengono
mostrate in svolgimento simultaneo ma in luoghi diversi. Lo spettatore, già nel 1903, si trova di
fronte ad uno spettacolo per cui ricompone mentalmente la possibilità di osservare situazioni che si
svolgono contemporaneamente ma in luoghi diversi, cosa a cui lo spettatore cinematografico verrà
abituato a partire da quel momento in avanti.
Primo film d’azione americano e si tratta anche di quello che possiamo considerare il primo film
western, ovvero il primo film che appartiene ad uno dei generi più importanti che connota la
storia americana. Vero treno, NON all’interno di un teatro di posa, difficoltà anche di posizionare
una macchina da presa all’interno di un treno in movimento.

Griffith
David Griffith, colui che inventò il “modo di rappresentazione istituzionale” (MRI), riesce a
elaborare il neonato linguaggio del cinema facendo uso per la prima volta del montaggio alternato:
permette a Griffith di realizzare una serie di film (tra cui nascita di una nazione, durata di 160
minuti) che riescono attraverso il montaggio a costruire una narrazione complessa.
- Nascita di Una Nazione, prima opera cinematografica pienamente narrativa dove l’interesse
nei confronti del racconto è più alto rispetto all’interesse nei confronti delle immagini. In
viaggio sulla luna e nelle vedute dei Lumiere abbiamo osservato come l’immagine è più
importante rispetto al racconto, si sviluppano qui varie metodologie di elaborazione delle
immagini, come per esempio la manipolazione di queste (rewind del muro); sono tutte
sperimentazioni che lasciano nelle opere di Griffith il posto alla narrazione. Il film è una
ricostruzione romanzata di alcuni episodi della guerra di successione, nascono spesso
dibattiti critici sulle modalità di rappresentazione di determinate situazioni sociali.
[Griffith era razzista e così anche il suo film; bisogna prendere le distanze da determinate posizioni
sociali per dare uno sguardo oggettivo all’oggetto in quanto tale a prescindere il tema, bisogna
studiare cosa ha apportato un oggetto filmico nella narrazione].
Contemporaneamente a Griffith, in Italia vediamo la realizzazione di “Cabiria”, il più celebre film
muto italiano. Oltre a questo, è anche un film fondativo di un genere noto come ‘peplum’.
Peplum, dei sandaloni, si sviluppa in Italia all’inizio del 900, avrà una caduta libera dopo Cabiria
per poi ritornare in auge verso la metà degli anni ’50; è un genere nel quale vediamo raccontate
delle storie che appartengono al passato (epoca greca, epoca romana…). Il nome serve per
inquadrare il modo in cui i personaggi protagonisti sono abbigliati/vestiti, in modo da richiamare
quella che è l’epoca greca o romana. Si tratta di un genere che trova terreno fertilissimo all’inizio
del secolo ma è anche un genere dispendioso e faticoso da mettere in pratica, necessita costumi e
scenografie particolare proprio perché l’epoca di ambientazione del racconto è diversa da quella
attuale. Negli ambiti degli studi di scenografia, Cabiria è ancora di più: punto di partenza obbligato
nella storia di tutta la scenografia italiana perché le scene sfarzose e monumentali, progettate da
Luigi Romano Borgnetto, ‘scenografo’, danno un apporto decisivo al nuovo modo di costruire gli
spazi cinematografici e diventa un punto di riferimento sostanziale per tutta l’arte della
scenotecnica e scenografia. Sulla scia di questi film di ricostruzione storica, Borgnetto sceglie di
utilizzare delle costruzioni reali al posto dei fondali dipinti; dedica particolare attenzione alla
luce, ai costumi per tentare di essere il più coerente possibile al periodo in cui di inserisce la
narrazione. L’epoca che tratta è quella del terzo secolo avanti cristo, guerre puniche: contrasto tra
civiltà occidentale e orientale. Il registra Pastrone, spesso lavora personalmente ai bozzetti dei
costumi, ai disegni dell’arredamento e delle diverse ambientazioni di sviluppo per il film, su
documenta attraverso le pubblicazioni storiche e grazie al museo della civiltà egizia di Torino
(Pastrone è torinese e il film è stato prodotto proprio lì). Ebbe poi una grande idea:
- Nel 1914, il cinema è ancora molto lontano dall’essere considerato un’arte, ma per far si che
il suo film potesse essere valutato come un’opera d’arte, chiede e ottiene da Gabriele
D’Annunzio la partecipazione al film, pagando un prezzo elevatissimo (50.000 lire) e
ottiene il nome di D’Annunzio nei titoli di testa; il film diventa quindi un oggetto di
attrazione anche per quelle persone che fino ad allora hanno ritenuto l’arte cinematografica
come qualcosa di assolutamente impossibile da accostare alle altre arti. Cabiria acquisisce
lo statuto di film d’arte, nuova opera di un poeta universalmente riconosciuto
(D’Annunzio). Il poeta è solo autore di alcuni nomi, si fa pagare per essere citato nel film.
Trionfo in Italia, negli altri paesi europei e subito dopo negli stati uniti. Da un lato portò a una
completa maturazione tecnica e formale un modello di cinema basato sullo spettacolo grandioso,
dal punto di vista spettacolare è un film grandioso; dall’altro divenne un nuovo modello
spettacolare di riferimento per gli anni seguenti, tanto in Europa quanto in America. Grazie a
Cabiria il cinema comincia ad affacciarsi nel panorama culturale internazionale.
Innovazioni portate da Pastone (produttore, sceneggiatore, pubblicitario, costumista, scenografo,
regista):
- deposita una serie di brevetti di apparecchiature cinematografiche, tra le quali
anche il “carrello”, brevettato nel 1913 e responsabile di alcune fra le soluzioni espressive
più affascinanti del film, da Cabiria in avanti uno degli strumenti più utilizzati nella storia
del cinema;
- Si serve inoltre dell’illuminazione artificiale in maniera costante con luci radenti e dal
basso;
- Il montaggio nel film serve ad alternare spazi diversi e vicini fra loro (per esempio
l’interno e l’esterno di uno stesso palazzo) ma serve anche in funzione della valorizzare
quegli elementi scenografici che passerebbero altrimenti in secondo piano, l’elemento
principale che vuole fare emergere è la grandiosità degli spazi costruiti e per farlo necessita
del carrello, riprese il più possibile ravvicinate e anche dell’utilizzo del montaggio così che lo
spettatore sia particolarmente attratto dalla ricostruzione fatta da Pastrone (l’esempio più
importante è quello del sacrificio nel tempio di Moloch, ricostruisce il tempio che viene
valorizzato proprio dalle inquadrature e dal montaggio, vuole che lo spettatore venga
colpito dalla grandiosità). L’obbiettivo è ancora quello di attrarre prima di raccontare la
storia;
- Le scenografie sono “eccedenti”, che, insieme alla cura del dettaglio (degli interni per
esempio) ed effetti speciali completamente innovativi per l’epoca;
- Effetti speciali: innovativi per l’epoca, curati da Segundo de Chomon e rappresentano un
unicum. Depositati una serie di altri brevetti che serviranno poi al cinema in futuro.
Si rivolge ad un pubblico che deve amare il “colossal”, fu un film estremamente costoso per l’epoca.
Tutte queste cose fanno di Cabiria un punto di partenza fondamentale per lo sviluppo dell’intero
del cinema, in particolare che appartiene al genere del Colossal.

Nuovo genere: commedia (slapstick), basa il suo essere comico e divertente sulla performatività del
corpo (buccia di banana)
Buster Keaton e Charlie Chaplin.
Buster Keaton: crebbe in una compagnia teatrale ed è conosciuto come “l’uomo che non ride
mai”, stoneface. In estremo contrasto con la figura coeva di Chaplin, due registi e autori
completamente diversi. La carriera di Keaton, come quella di tanti di questa epoca muta, è tanto
folgorante quanto veloce perché si conclude con l’arrivo del sonoro. Il loro modo di fare cinema è di
gesti e di corpo, la mimica chiede un modo di stare davanti alla macchina da presa è diverso
rispetto ad avere la voce.

- La palla n.13 (1924, meta-cinema, nel film vediamo un film): Il film è ricordato come una
delle prime sperimentazioni di meta cinema: in una scena, il protagonista si addormenta
nella cabina di proiezione del cinema in cui lavora, e la sua immagine in sovrimpressione
abbandona il suo corpo per vivere un’avventura onirica. E vive quella che è la sua avventura
sentimentale fuori dallo schermo. Il Buster Keaton del sogno si avvicina allo schermo
cinematografico ed entra nel film che sta venendo proiettato. È allora che la storia mostrata
nel prologo (il furto di un orologio di cui Buster era accusato ingiustamente) si ripete, con le
dovute differenze, su quello schermo, generando un “film nel film”. La scena dell’entrata
dentro lo schermo è rappresentativa dello stile innovativo del comico/regista: lo sfondo in
cui si trova Buster muta ripetutamente (una villa, una strada, una giungla, dei binari, una
scogliera…) è un effetto speciale “casereccio” ideato dal direttore della fotografia Elgin
Lesley.
Ci sono degli effetti speciali estremamente curati. Questo film ci dà la misura di come nel 1924 il
film diventa anche la possibilità di auto raccontarsi. La scena dell’entrata all’interno dello schermo
è rappresentativa dello stile innovativo dell’autore che lavora sia nell’ambito del comico e dello
slapstick, sia su quelli che sono le possibilità date dagli effetti speciali dati soprattutto dalla
fotografia.
C’è quindi una riflessione sulla magia del cinema: un luogo imprevedibile dove, proprio come un
sogno, si può viaggiare nel tempo e nello spazio e tutto sembra possibile. Le tante piccole avventure
che vive buster Keaton che da grande dimostrazione delle sue abilità fisiche (proviene da un
ambiente circense, abilissimo e agilissimo attore oltre che regista pioniere della commedia). La
sequenza finale vede il protagonista che, svegliatosi dal suo sogno, riesce a ricongiungersi con la
sua amata. Il personaggio, essendo molto timido e non sapendo come approcciarsi alla ragazza,
guarda i due amanti sullo schermo e imita loro per trovare ispirazione per poter fare quello che
effettivamente ci aspetteremmo per la chiusura del racconto sentimentale: prende le mani della
donna, come l’attore sullo schermo, poi la abbraccia e infine la bacia. Noi spettatori osserviamo ciò
che avviene sullo schermo ma anche sullo schermo nello schermo; la cosa interessante è che lui, on
soltanto guarda lo schermo ma nel momento in cui lo fa guarda anche lo spettatore perché guarda
oltre una telecamera, il significato di biforca pertanto abbiamo la sensazione che ci guardi ma al
contempo guarda lo schermo per imitare quanto vede su di esso.

Tornando in Europa: Germania.


Espressionismo Tedesco
Alla fine della Prima guerra mondiale e nell’era di mezzo tra le due guerre. Grandi difficoltà dal
punto di vista sociale ed economico, nonostante queste difficoltà la Germania conobbe
un’affermazione molto forte della neo-industria cinematografica, al pari, per quanto concerne
l’efficienza, solo a quella americana. Il cinema tedesco, più di tutte le altre cinematografie europee,
riesce ad imporsi molto velocemente sulla cultura artistica, letteraria, architettonica e teatrale,
l’accoglienza del cinema in Germania è molto più felice rispetto agli altri paesi europei; il cinema
tedesco può contare fin dalle origini una grande collaborazione da parte di architetti, scenografi,
autori teatrali e letterati che vedono nel nuovo medium una possibilità creativa molto forte e
investono le proprie energie attraverso questo nuovo mezzo di comunicazione ed espressione:
scrittori, pittori, drammaturghi vivono una interazione continua con il cinema. Per convenzione,
siamo abituati ad assimilare e identificare il periodo del cinema muto tedesco con l’espressionismo:
convenzione che va messa tra parentesi. L’espressionismo è una delle tendenze del cinema muto
tedesco, all’interno di un quadro realizzativo più ampio e diversificato. Non tutto il cinema muto
tedesco appartiene all’’espressionismo, ma è la corrente che più delle altre si impone ed esce dal
suo paese e diventa influente per altre cinematografie: assume una importanza rilevante per tutta
la storia della cinematografia in generale.
Caratteristiche della corrente:
- Effettua una sintesi radicale tra l’immaginario e lo stile attraverso un particolare lavoro di
messa in scena;
- Forte ricerca sulla configurazione dell’immagine (spazio e scenografia), le inquadrature
sono realizzate per esaltare e mostrare le soluzioni artistiche scelte dagli autori nell’ambito
della messa in scena;
- Tutti gli elementi della scena sono rielaborati e rafforzati dall’obbiettivo espressivo del film:
non una sedia, oggetto o sfondo pensano alla realisticità dell’impaginazione, tuti gli oggetti
e persino i trucchi sono realizzai con una funzione espressiva con l’obbiettivo di comunicare
qualcosa.
La messa in scena è dunque la coordinatrice di tutte le componenti del film espressionista;
- Le scenografie e gli spazi sono il più delle volte irregolari e molto spesso deformati,
osserviamo oggetti ingigantiti in maniera particolare (muri e pareti oblique) il tutto con
l’obbiettivo di creare nello spettatore un senso di angoscia e malessere che è l’elemento
portante di quasi tutti i racconti portati sullo schermo. Angoscia, amore, ossessione e
talvolta follia di personaggi, viene rappresentato non solo con la narrazione e il racconto che
spesso si basa su storie di orrore, come vampiresche, storie di persone folli con problemi
psichici importanti, tutti questi elementi vengono a farmi materia nella scenografia (nello
spazio rappresentato);
- La recitazione degli autori (siamo ancora in epoca muta) riflette il rafforzamento
dell’espressività e rende più forti i gesti, tensione e angoscia, situazioni orrori Fiche che
vogliono essere raccontate: mimica molto marcata e trucco particolarmente elaborato;
- Illuminazione, insieme alla scenografia, è realizzato con una funzione simbolica espressiva:
la contrapposizione tra luce e ombra è uno degli elementi più importanti di questi film;
- Il montaggio, d’altra parte, non è mai troppo elaborato o rapido perché l’immagine deve
rimanere sullo schermo abbastanza tempo per permettere allo spettatore di rendersi conto
di quello che è il lavoro svolto nell’ambito dello spazio, della scenografia e
dell’illuminazione. I raccordi, i montaggi alternati sono effettuati con una progressiva
abilità nel tempo durante l’espressionismo, ma non è attraverso i montaggi che si sceglie di
raccontare ma attraverso la scena, quello che noi vediamo nelle immagini.
Si parla quindi di un cinema metaforico-intensivo, che valorizza gli elementi figurativi di più
rispetto agli elementi ritmici (dati dal montaggio), valorizza la ricchezza a talvolta esagerata delle
componenti visive di più rispetto all’azione e alla velocità dell’azione.
I personaggi protagonisti dei film espressionisti: sono negativi, tendono sempre verso un obbiettivo
che non riescono a raggiungere, violano le leggi, si ribellano alla società, sono deboli e quindi molto
spesso si ricorre alla letteratura e ci si appropria di quelle figure mitologiche, archetipiche, come
vampiri, mutanti, cloni e sonnambuli, figure generalmente appartenenti ad un genere fantastico
orrorifico. Si fa questo perché nell’epoca storica di sviluppo dell’espressionismo, di difficoltà dal
punto di vista sociale ed economico che attraversano la Germania, dove il pessimismo e senso di
inquietudine sono gli elementi che maggiormente emergono e che vogliono essere portati sullo
schermo dagli autori.
Wiene
➢ Il Gabinetto del dottor Caligari, Robert Wiene, 1920: l’affermazione della corrente
dell’espressionismo tedesco è normalmente correlata al successo di questo film, non è il
primo dell’espressionismo ma ce ne sono altri precedenti (studente di Praga), ma questo
film in particolare sarà in grado di tracciare una linea che nessun altro film aveva fatto fino
a quel momento. Questo film costituisce una svolta nel modo di mettere in scema, nel modo
di rappresentare, nel modo dell’espressionismo ma anche nel modo di successivi autori. Il
film narra la storia di un ciarlatano da fiera (Caligari) che ipnotizza un sonnambulo, Cesare,
per fargli compiere alcuni omicidi finché non verrà smascherato; le scenografie del film
sono completamente irrealistiche, sono fatti di oggetti deformati, case irregolari e oggetti
altamente amplificati e spesso le luci e le ombre sono dipinte così da essere enfatizzate al
massimo. L’autore scrive, in relazione al suo interesse di rappresentazione in questo film e
non solo
Per l’artista espressionista ciò che è esterno è apparente, egli cerca piuttosto di rappresentare
quello che è interiore…
La deformazione di tutti questi spazi non è altro che il tentativo di rappresentare una sorta
di angoscia, di deformazione interiore che vivono i personaggi che vivono sullo schermo di
Wiene. Si insegue per questo un obbietti irrealistico, quello che l’autore vuole mostrarci è la
visione del mondo del personaggio che è colpito da un disagio mentale (in questo caso
siamo davanti ad un uomo ipnotizzato che commette omicidi e non sa di commetterli).
Rappresenta il punto massimo di intrusione del pittorico all’interno del film. Dipingere un
ombra: entrare nel film con una tecnica pittorica. Il tentativo utopico da parte di questo e
tanti altri autori che seguiranno le tracce del gabinetto del dottor Caligari (caligarismo) è
quello di trattare lo schermo come se fosse la tela di un quadro. Il cinema, quindi, in questo
frangente, assume uno stile pittorico: si rifà allo stile pittorico dell’espressionismo, stile
pittorico che già all’inizio del 900 assume un ruolo molto importante nella storia dell’arte.
La gran parte delle vedute esterne (anche interne) sono ottenute con scenografie teatrali,
fondali dipinti e l’effetto pittorico è esibito, enfatizzato, non c’è alcuna volontà di
nascondere il trucco rispetto al fatto che la città o l’interno rappresentato siano dipinti su
un fondale. Nel 1914 Pastrone viene meno al fondale dipinto perché vuole mostrare la
tridimensionalità della scenografia, in Wiene c’è l’esatto opposto, obbiettivo di mostrare la
scena attraverso dei dipinti.
Se è vero, dunque, che nel caso del caligarismo il modello pittorico gioca un ruolo abnorme
al punto da mettere in discussione le basi fotografiche del cinema, non va dimenticato che
la decantazione dei residui pittorici permette in seguito un’espressività propriamente
cinematografica che il caligarismo ha contribuito a preparare (Tim Burton, David Lynch).

Molti autori della contemporaneità devono molto all’espressionismo tedesco, uno dei motivi
principali per cui molti autori del cinema americano, nato come indipendente, hanno subito una
grande influenza da parte dell’espressionismo tedesco è il fatto che gran parte dei registi
espressionisti, prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, si sposta negli stati uniti (in
molti erano di origine ebrea). Faranno la loro fortuna proprio lì, entreranno a far parte
dell’industria americana: a partire dalla fine degli anni ’20 e dall’inizio degli anni ’30 daranno
origine ad uno dei generi più importanti, il Noir. Ha come elemento principale la rappresentazione
dell’oscurità della città e il protagonista normalmente non è in grado di raggiungere gli obbiettivi
che si pone. Anche se viene abbandonato il pittorico (di grande espressione nel caligarismo)
rimangono i temi principali portati avanti dall’espressionismo, evolvono la poetica ma i temi
restano uguali.

Altri registi che fanno il successo del movimento:


✓ Murnau: autore de “Nosferatu il Vampiro”, il cinema, per lui, è una pittura dinamica, ogni
elemento è elaborato su un modello pittorico, lo spazio e l’inquadratura hanno
prevalentemente una forma pittorica. Si sposterà poi negli stati uniti e già nel 1926 sarà
autore di “Aurora”.
✓ Lang: autore di “Metropolis”, asse portante, insieme agli altri, di questo periodo pittorico.
In questo film siamo però di fronte ad un utilizzo diverso dello spazio e della scena: realizza
il film tra il 1925-26, è il film a più alto budget della cinematografia tedesca mai realizzato.
Il film, che sarà di ispirazione a centinaia di altri film (Blade Runner) è una sorta di
parabola scientifica, è un capolavoro dal punto di vista della messa in scena. Oltre a Blade
Runner, anche Star Wars deve molto all’impianto spaziale di questo film. Ha una
sceneggiatura, racconto molto complesso: dal punto di vista delle immagini, siamo di fronte
alla rappresentazione di un mondo utopico/distopico (mondo dedicato ai ricchi che prevede
una città in cui ci si sposta attraverso messi aerei e grattacieli enormi che ha uno spazio nel
sottosuolo dedicato ai poveri), lavoro di rappresentazione delle classi sociali e critica sociale
molto forte; la difficoltà del film sta nella struttura narrativa, è molto faticosa, fa acqua da
tutte le parti e spesso non conduce lo spettatore nel racconto. Il modo di rappresentazione
di un mondo diverso va evidenziato.
Racconto: nel futuro 2026 un gruppo di ricchi industriali governa la città di Metropolis dai
loro grattacieli e costringe al continuo lavoro una classe di uomini-operai relegata nel
sottosuolo cittadino. L'imprenditore-dittatore è Joh Fredersen, che vive in cima al
grattacielo più alto; il figlio Freder vive invece in un irreale giardino eterno popolato da
sensuali fanciulle. Improvvisamente irrompe nel giardino l'insegnante e profeta Maria,
accompagnata dai figli degli operai, che lo invita a guardare i "suoi fratelli” Freder decide di
visitare il sottosuolo e si rende conto delle condizioni disumane in cui sono costretti a
lavorare gli operai. Ancora in preda alle allucinazioni, dovute agli scoppi e ai fumi degli
impianti, vede la macchina come un grande Moloch che ingoia le sue vittime umane.
Il film è ambientato nel 2026, a distanza di 100 anni dall’uscita del film. L’ispirazione deriva da un
suo viaggio a New York e viene colpito dalla vista notturna della città e del suo skyline, immagina
quindi un futuro dove le città si evolvono sul modello di questa città. La produzione impegna 19
mesi (numero enorme di mesi da dedicare ad un film, viene solitamente realizzato in 6 mesi),
600.000 metri di pellicola realizzati e compaiono 36.000 persone nel film: una spesa enorme che,
nonostante il successo del film, non riesce ad essere ricoperta e la casa produttrice va in banca rotta
e viene acquistata da un membro del partito nazista e a partire da ciò diventerà poi parte della
macchina propagandista del partito nazista.
C’è una differenza sostanziale tra i due autori dell’espressionismo tedesco: se nel Caligari abbiamo
una rappresentazione pittorica e deformata dello spazio, nel Lang c’è invece attenzione nella
rappresentazione di un mondo architettonico altro dove la deformazione non esiste, esiste la
possibilità di immaginare una metropoli futura, una città fatta di disegni architettonicamente
molto rigorosi o ricostruzioni scenografiche architettonicamente molto rigorose. Il punto di
partenza nei due è completamente diverso. Caligari si interessa di mostrare esteriormente la
deformazione interiore del personaggio, Fritz Lang si interessa di mostrare la distopia di vivere
all’interno di una grande città: deformazione sociale con la crescita esponenziale delle grandi città e
la conseguente divisione in classi.
Un altro dei capolavori di Lang è “il mostro di Düsseldorf”, 1931, è una rappresentazione molto
angosciosa dello spazio urbano e si tratta del primo film sonoro di Lang. Si ispira a dei delitti
commessi da Fritz Haarmann e Peter Kürt, i quali commisero una serie di efferati crimini in
Germania negli anni Venti, il punto di partenza è un fatto di cronaca. È uno dei prototipi del filone
Noir. In Italia non ebbe il visto di censura e uscì nelle sale solo nel 1960. Il film, non soltanto è il
primo sonoro di Lang, ma Lang fa del sonoro una componente sostanziale soprattutto nel creare
tensione nello spettatore: il suono diventa uno degli elementi portanti di quello che è a tutti gli
effetti un racconto orrorifico. Per esempio: all’inizio c’è un fischio che sentiamo dal fuoricampo
sonoro che è quello che fa il killer quando si avvicina alla vittima. Situazione pionieristica del
sonoro.
Il film è ricco di simbologie e metafore che aiutano lo spettatore a comprendere il racconto e al
contempo ci inseriscono all’interno di un genere horror a tutti gli effetti. Per la prima volta il regista
fa un utilizzo del montaggio diverso rispetto agli altri espressionisti: si serve di tecniche innovative,
mutuate in parte dall’opera di Eisenstein (in unione sovietica sarà il maestro dell’uso del montaggio
in forma espressiva), Lang dimostra di far suo le teorie del montaggio sovietico e di servirsi dunque
di un montaggio che ha una finalità narrativa importantissima, le soluzioni narrative sonore fanno
capire molto. La messa in scena di Lang:
1. Figurazione del visibile;
2. Spazio costruito con strutture rigorose: linee di
fondo riconoscibile;
3. Strutture geometriche e simmetriche: volontà di
una particolare figurazione estetica;
4. Capacità di dinamizzare le strutture geometriche
costruite;
5. Concezione del cinema come immagine, forma e
idea fuse in un’unica unità rigorosa.
Tim Burton e l’espressionismo
Anche il cinema contemporaneo rende omaggio allo stile pittorico caligarista con, per esempio, Tim
Burton: Batman il ritorno, 1992, racchiude l’immaginario espressionista di Murnau, Lang e Wiene.
Max Shrek, il cattivo del film, è una storpiatura di Max Schreck, il nome dell’attore che interpreta il
vampiro di Nosferatu (Murnau). Il Pinguino (De Vito) ha un aspetto che ricorda da vicino il trucco
e le movenze del Caligari e Gotham city è una palese citazione di Metropolis, in Batman fu creata
dallo scenografo Anton Frust, questo film assume dimensioni più cupe e meno geometriche
rispetto a prima (Bo Welsh). Warner Brothers riuscì, a grandi spese, ad ottenere i set per Gotham
City di Anton Furst, gli stessi di Batman, dei Pinewood Studios, Burton credette che il sequel
dovesse avere a disposizione una scenografia completamente differente; perciò, si decise per gli
studi di Burbank (California).
A Furst, fu offerta nuovamente di curare la scenografia del film, ma fu forzato a declinarla per
"motivi contrattuali". Burton ingaggiò così Bo Welch, con cui aveva già lavorato in Beetlejuice -
Spiritello porcello ed in Edward mani di forbice.
Cinema classico americano
A differenza di tutte le altre cinematografie, quella americana si struttura, dal punto di vista
industriale, in un modo molto solido, per certi versi affine al modo di fare cinema contemporaneo
degli stati uniti.
Struttura industriale, si basa su quattro assunti fondamentali:
- Studio-system;
- Star-system;
- Codice Hays, codice censorio;
- Strutturazione dei film in generi.

Codice Hays: prende il nome da William Harrison Hays, mise a punto questo codice che
costituisce una auto-regolamentazione da parte dell’industria cinematografica che individua quello
che si può e quello che non si può mostrare. È un codice molto dettagliato che viene reso vincolante
dal 1934 e norma il modo in cui può essere mostrata la violenza, le attività legate alla sfera sessuale
tutto quello che ha a che vedere con le devianze. A partire dagli anni ’30 non si vedranno più due
persone giacere senza fare niente nello stesso letto, cosa che negli anni precedenti era
completamente svincolata da ogni tipo di norma. Ci sarà un grande freno alla rappresentazione
della violenza in ogni sua forma e non sarà possibile mostrare in nessun modo amori omossessuali
e non vengono inseriti nella struttura tradizionale di una relazione. Questi elementi saranno da una
parte molto vincolanti per la stesura delle sceneggiature, mentre dall’altra l’industria
hollywoodiana americana decide di mettere a punto questo codice di auto-regolamentazione in
modo tale da non dover eventualmente incorrere ad una censura successiva. Molto spesso siamo di
fronde a grandi soluzioni creative che ci fanno immaginare cosa due persone hanno fatto o faranno,
immaginiamo e non vediamo -> nasce una grande abilità da parte degli sceneggiatori di farci
intuire certe scene senza che vengano esibite. Questo codice rimane attivo fino agli inizi degli anni
’50, quando molti registi e sceneggiatori incominciano a infrangere questa norma, norma che viene
definitivamente abbandonata a metà anni ’60. L’obbiettivo di questo codice è quello di evitare un
intervento diretto da parte dello stato: controllo, dal punto di vista industriale, più forte ed
efficiente economicamente. Scene già girate, interpretate, montate che vengono censurate
comportano una dispersione di denaro.

Star-system: sistema di carattere industriale che mette a punto determinate regole in modo tale
da far fruttare il più possibile l’immagine dei divi. Dagli anni ’20 nasce un divismo di massa, tutta
la popolazione è completamente attratta dai divi che vede sullo schermo, tutti i giornali, i rotocalchi
e tutti i modi di comunicazione hanno sulle prime pagine hanno immagini di divi e dive del cinema
che prendono il posto di altre forme di divismo (teatrale). Questi divi, ovviamente, contribuiscono
in maniera sostanziale a far andare la gente al cinema, e quindi ad accrescere l’industria. È
un’industria che ambisce a colonizzare e conquistare il mercato cinematografico di tutto il mondo,
ambisce e ottiene velocemente l’esportazione dei suoi film in tutto il mondo. Consiste, lo star-
system, nella promozione, costruzione e nel lancio delle star. I divi vengono reclutati e messi sotto
contratto, dal momento in cui vengono contrattualizzati dalle case di produzione divengono
proprietà di queste: un divo quindi è obbligato ad interpretare un certo numero di film, non sceglie
quali interpretare ed è obbligato a lavorare per quella casa di produzione e non di altre (sistema
molto diverso da quello italiano dell’epoca), non viene sottoposto un copione ad un attore perché si
pensa che possa essere la persona adatta, l’attore qui non ha nessuna voce in capitolo. In secondo
luogo, l’attore è sotto contratto sempre, dentro e fuori dallo schermo. Era IMPOSSIBILE mostrare
l’omosessualità in pubblico, venivano fatti sposare con altre dive in modo tale che la loro immagine
fosse la stessa immagine sia dentro che fuori. Il film è una piccola parte del dovere contrattuale
dell’autore. È un sistema integrato, l’attore porta sulle sue spalle il volto ed il successo del film e lo
fa 24h. il periodo d’oro va dagli anni ’20 agli anni ’50, quando il sistema comincia a sgretolarsi e
l’attore comincia a essere scelto per le sue capacità o per il suo aspetto. La sensibilità a partire dalla
metà degli anni ’50, dal punto di vista della produzione, comincia a cambiare e ci sono delle
esigenze di libertà e creatività che svincolano il divo dalla casa di produzione per la quale lavora. Il
sistema dello star-system si inizia a sgretolare nel suo periodo di massima espansione: si pensi solo
a Marylin Monroe o James Dean, segnano in assoluto il trionfo di questa struttura, ma il loro
grande successo e la loro fine drammatica fa sì che lo star-system cominci ad incrinarsi. Nel
decennio successivo l'imporsi di un nuovo tipo di produzione cinematografica e di una diversa
sensibilità e l'affermarsi di rinnovate esigenze creative espresse dallo sviluppo a livello mondiale
delle nouvelles vagues, determinarono la fine dello star system.

Studio-system: sta davanti agli altri elementi perché si costituisce in una struttura piramidale
dove a capo del film c’è esclusivamente il produttore. Un gruppo di grandi case di produzione,
Major companies, si accaparrano tutto il mercato cinematografico hollywoodiano. A differenza di
tutte le altre produzioni europee, non è il regista o lo sceneggiatore ad avere un ruolo determinante,
lo è il produttore che dirige l’intero sistema: è lui che decide chi contrattualizzare tra gli attori, i
registi, gli sceneggiatori e poi a scendere a cascata tra tutte le maestranze. Il regista
fondamentalmente è un dipendente, al quale viene consegnata una sceneggiatura con la quale
dovrà lavorare: non significa che non ci siano dei registi che lasciano un’impronta indelebile grazie
alle loro capacità, significa che non ha in nessun modo la possibilità di prendere decisioni che
riguardano l’intero film, queste vengono prese dal produttore. Abbiamo dunque 5 case di
produzione, dette Big Five: Paramount, MGM, 20th Century fox, Warner Bros e RKO), e poi ci sono
le Little Three, case di produzione più piccole: United Artists, Universal e la Columbia. A queste si
aggiungerà poi in maniera autonoma la Walt Disney. La differenza tre le grandi e le piccole è che le
prime non solo realizzano i film, dall’idea fino alla distribuzione, ma possiedono anche le sale, sono
perciò loro a decidere in quante copie e in quante sale andranno, è un sistema completamente
chiuso. Le piccole tre non hanno le sale, quindi producono l’intero film ma poi dovrà essere
piazzato nelle sale cinematografiche di proprietà delle grandi case di produzione. Quello delle 5
grandi è un sistema di tipo oligopolistico, c’è una bassissima possibilità di manovra in questo
sistema industriale; delle eccezioni ci sono lo stesso: per esempio, piccole case di produzione
indipendenti che si specializzano in film a basso budget o che riescono comunque a realizzare i
propri film indipendentemente da questo sistema industriale, dal punto di vista economico però le
5 grandi con le 3 piccole si accaparrano l’intero sistema cinematografico americano.

David O. Selznik, proprietario della casa di produzione del film “Via Col Vento”, 1939; riesce
con questo film, nonostante sia solo, a destabilizzare completamente il sistema industriale
per via del clamoroso successo del film.

I produttori che sono al vertice di questo sistema sono i cosiddetti “Tycoon” (Samuel Goldwyn o
Irving Thalberg, c’erano dei produttori minori come Walter Wanger o Hal Walli) e hanno un
governo totale su una numerosissima serie di dipendenti di questa grande industria. Esistevano
anche delle società di produzione fondate singolarmente o in gruppo da attori o registi (Capra,
Wyler, Bogart, Ford). Il sistema era chiuso con qualche margine di manovra.

Gli ultimi fuochi, 1976, tratto dall’omonimo romanzo di Fitzgerald ed è ispirato alla vita di un
produttore cinematografico della MGM.

Il sistema piramidale con al vertice il produttore vede il suo declino dopo la fine della Seconda
guerra mondiale. Questo sistema viene accusato di avere delle pratiche monopolistiche e di
bloccare tutto il mercato di registi e autori indipendenti; nel 1948, dunque, ci fu la sentenza
definitivamente in cui le majors accettarono di abbandonare il possesso delle catene di sale. Nel
momento in cui si taglia il cordone con la sala è ovvio che la possibilità da parte di autori
indipendenti e case di produzione aumentano proprio perché hanno la possibilità di portare in sala
il loro film. Non era impossibile ma molto complesso portare in sala i film prima. Il divieto del 1948
di carattere statale per cui la casa di produzione non può essere colei che mette a sistema l’intera
filiera cinematografica: ecco perché determinati registi (Hitchcock) posso entrare in un sistema che
è quello autoriale che conosciamo da sempre in Europa, il regista può produrre e portare in sala il
suo film.

Specializzazioni degli Studios: gli studios cinematografici si specializzano in determinate


tipologie di film. La Warner Bros si specializza nei film di taglio sociale, noir e gangster, la MGM si
specializza nei musical e nei drammi psicologici e la Universal negli horror. Perché si
specializzano? Perché il sistema industriale americano ha come altro elemento portante il discorso
dei generi cinematografici? Prima di tutto, specializzarsi in un genere significa avere dei dipendenti
all’interno della casa di produzione capaci di fare quel tipo di film. L’attore di western è
specializzato in quello e non farà drammi, la casa di produzione potrà contare sul fatto che
quell’attore sappia interpretare il genere. La specializzazione in generi è quindi strettamente legata
all’industria economica del film prima che all’aspetto creativo del film. I generi in questo periodo
più interessanti per comprendere l’industria cinematografica americana sono i cosiddetti
“autoctoni”, nati ossia all’interno della cinematografia americana stessa: western, gangster-
movie, che può avere risvolti nel noir, e musical. Questi sono i generi che identificano il carattere
del cinema americano di questo periodo; il genere è un elemento fondante, le piattaforme online si
formano sulla base del genere, ci suggeriscono quale genere o sottogenere da guardare (film con
eroine forti, da seconda serata…). I sottogeneri ci guidano nello scegliere cosa vogliamo vedere.
Qua nascono i generi, nel cinema americano, lo spettatore sceglie innanzitutto di vedere il genere.
L’inserimento di un film all’interno di un genere è una promessa di intrattenimento. Da cosa nasce
un genere? Nasce dall’interazione di tre elementi fondamentali:

→ plot: racconto, intreccio, come una storia è costruita. Nel western, come in ogni
altro genere, abbiamo una struttura narrativa che si ripete;
→ setting: ambientazione; un esempio è il genere noir che ha l’obbligo di essere
ambientato in una situazione cupa e possibilmente te metropolitana, il western sarà
ambientato nel west con gli indiani d’America ecc.;
→ personaggi: hanno caratteristiche specifiche e tratti identificativi per identificarsi
nel genere, per esempio il cappello da cowboy o il cappotto nel film noir.

Tanto ci sono delle necessità di presenza di personaggi/oggetti di un certo tipo, tanto c’è la
necessità di assenza di altri elementi. In una commedia devono essere evitate le morti violenti, ci
sono però delle trasgressioni come, per esempio, in una delle commedie più importanti della storia
del cinema, A Qualcuno Piace Caldo di Billy Wilder inizia con il massacro di San Valentino. Quindi
ci sono delle regole, convenzioni che valgono sempre, funzionano in quel genere e non funzionano
in un altro genere -> verosimile filmico:

è un effetto di realtà che permette allo spettatore di


credere a determinate cose quando guarda un film,
concetto semplice ma fondante dell’essere spettatore
cinematografico; pensiamo a Star Wars, mi consegno al
film e accetto la sua verosimiglianza nonostante gli
aspetti fantastici, in quel momento decido di credere a
quella storia perché essa si inserisce all’interno di quel
genere.

Il genere non è soltanto un gruppo di film ma è il prodotto delle aspettative del pubblico, l’etichetta
del genere è una promessa implicita. Può capitare che il film non risponda al patto implicito
stipulato tra il genere e lo spettatore, sbagliare ad inserire un film all’interno di un genere può
rivelarsi fatale dal punto di vista della produzione.

La distinzione di generi tocca anche lo star-system: Jennifer Aniston fa commedie, John Wayne nel
western, anche i registi vengono identificati come coloro che sono specializzati in quel determinato
genere, come John Ford per il genere western, Hitchcock è il maestro del genere del noir. I generi
oltretutto non sono fissi nel tempo ma si evolvono: oggi un film western non sono più tanto
popolari, questo genere “tace” da decenni. Il musical, dopo un momento di massimo splendore in
questo periodo ha taciuto per molto tempo per poi, all’inizio degli anni duemila, essere riportato in
auge (La La Land). I generi considerati minori nella Hollywood classica, come l’horror, la
fantascienza ed il giallo (detection) nel tempo hanno avuto fortuna e sono diventati molto più
importanti dal punto di vista produttivo. L’unico genere che non ha mai subito fasi calanti è la
commedia, rimane, nella storia del cinema, il genere invariato. Va sottolineato che il cinema
risponde a delle regole economiche, quello d’autore (riconosco prima di tutto il modo di fare film
dell’autore) è un cinema che cresce e si sviluppa all’interno del film. Parare id generi in Europa ha
per molto tempo avuto una connotazione negativa: l’autore, Fellini, Antonioni, Pasolini…
normalmente non si identifica in nessun genere perché fa dei film personali che raccontano sé
stesso, il suo modo di vivere e la sua poeta e perciò non possiamo individuare l’appartenenza ad un
genere in modo preciso. Il film americano, invece, sviluppandosi direttamente all’interno del
genere, costruisce i suoi autori dentro al genere. Non possiamo dire che Billy Wilder NON sia un
autore inteso nel senso Più ALTO del genere perché si specializza all’interno del genere della
commedia perché è proprio dentro a questa che mostra la sua visione del mondo. Alfred Hitchcock
ha sempre realizzato dei film che passano dalla detection al quasi horror, all’interno del giallo
inteso nel senso più ampio del termine, ma è proprio in quelle storie che l’autore ha mostrato la sua
poetica e la sua visione del mondo; quindi, dentro a questa scatolina (il genere) non vuol dire che
l’autore non riesca ad esprimersi nel migliore dei modi.

A partire dalla metà degli anni ’50 questo rigido sistema inizia a sgretolarsi però…
Nel 1948 c’è la perdita delle sale cinematografiche, dopo c’è lo sgretolarsi del sistema divistico
(causato in alcuni casi dalla scomparsa tragica di alcuni di loro, come Marylin Monroe), abbiamo
l’affacciarsi di nuovi autori indipendenti che sgomitano per avere la libertà di produzione. Tutto
porterà ad un cambiamento enorme nel sistema cinematografico americano, sarà però un
cambiamento MAI radicale: la grande abilità dell’industria è sempre stata, anche oggi, quella di
riuscire a dare spazio alle sue criticità e ad attirare all’interno dell’industria anche gli aspetti più
critici, come i dissidenti. L’industria, trovandosi di fronte a dei registi europei che impongono il
modo di vedere differente del cinema rispetto al sistema industriale, ingloba, li porta dentro al
sistema industriale. I fratelli Cohen, Tim Burton, hanno visioni che sono molto diverse rispetto a
questa rigida struttura: l’industria americana lo porta dentro e gli dà la possibilità di prodursi,
produce questo tipo di visione differente perché intuisce il potenziale nel regista con la visione del
mondo diversa. Spielberg è un altro esempio: nasce come indipendente ma l’industria americana
riesce ad intuire che vale.
(Vedere “Viale del Tramonto” per vedere quali autori ce l’hanno fatta e quali no). Esce nel 1950, è
probabilmente il film più noto realizzato da Hollywood su Hollywood, non è la prima opera che
riflette sull’industria ma Billy Wilder riesce meglio degli altri a raccontare il passaggio sostanziale
che vive l’industria. Abbiamo da una parte la rappresentazione del sogno, dall’altra abbiamo la
rappresentazione della dura vita del mondo cinematografica. La protagonista, che era una vera diva
del cinema muto, vive una situazione drammatica dal punto di vista mentale: passa dall’essere
considerata una divinità ad essere completamente dimenticata da tutti. Abbiamo l’opposizione tra
lo sfarzo e la bellezza del cinema e la difficoltà dei protagonisti che vivono all’interno di questa
industria. Un’attrice che vive poco, un regista che non lavora abbastanza. Il casting, diretto da
Wilder, vede protagonista Gloria Swanson, negli ultimi 15 anni aveva girato un solo film quando
invece era stata la principessa assoluta del cinema muto americano. Ci sono nel film molti attori
che interpretano sé stessi: un regista che in epoca muta aveva scandalizzato il cinema americano ed
europeo, Erich Von Stroheim, in epoca muta, in assenza del codice Hays, fu regista di film molto
audaci e fu regista di film molto importanti della carriera di Gloria Swanson che, oltre ad essere
diva del muto, era anche capace di interpretare personaggi molto audaci; troviamo anche camei
molto importanti, come Buster Keaton, non supera la prova del sonoro e interpreta sé stesso come
amico della diva che una volta a settimana va a giocare con la protagonista a casa sua a Bridge; poi
abbiamo un altro grande regista del cinema classico americano, Cecil B. De Mill. Raccontano sé
stessi, chi nella dimensione estremamente decadente, chi ancora capaci di incidere all’interno
dell’industria cinematografica. Il ruolo del protagonista maschile che interpreta lo sceneggiatore
squattrinato è affidato a William Holden e interpreta il personaggio di Joe Gillis, sarà un attore
molto importante nella carriera di Billy Wilder. Altro elemento fondamentale da tener presente è
l’ambientazione, ossia la cassa dove si svolge gran parte del film: era stata dell’attrice protagonista
del film e al suo interno possiamo osservare non solo i mobili ma anche molti cimeli appartenenti
alla diva stessa, elementi che ci riportano al suo mondo. Con grande generosità l’attrice, chiamata
dal regista ad interpretare la ragazza malata di mente, regala non solo la migliore performance
della sua carriera (nonostante in declino) ma anche le sue cose al film. È un regista che non si
forma all’interno dell’espressionismo tedesco, è però di origine austro-ungarico ed è uno dei tanti,
come Lang, che per ragioni politiche e razziali si deve spostare negli stati uniti durante gli anni ’40
come sceneggiatore, si affianca a registi importanti nella scrittura di molte commedie di successo
per poi approdare nella regia. Uno dei film che lo porta al successo è “La Fiamma del Peccato”,
1944, che inaugura la stagione della grande infortuna del cinema noir. Si mostra nella sua abilità di
sceneggiatore e regista, successivamente nel 1950 realizza “viale del tramonto”, film che lo
consolida come uno dei registi più importanti della storia di Hollywood.

Tornando in Italia…

NEOREALISMO
Siamo nella fine della seconda guerra mondiale, durante il periodo del neorealismo. Il cinema
internazionale deve molto a questo genere.
Radici: il cinema italiano, pur non avendo una struttura industriale come quella americana, si basa
comunque su un sistema di generi che vedono la commedia come il genere più importante come
genere cinematografico italiano prima dello scoppio della guerra: la commedia interpretata nel
“Cinema dei Telefoni Bianchi”, prima dello scoppio della guerra c’è un guardare al cinema
americano classico non tanto per le trame e le narrazioni ma per le scenografie e i costumi, il
telefono bianco diventa quindi un simbolo. L’italia si appropria delle ambientazioni del cinema
hollywoodiano classico (genere della commedia o del melodramma) dove sono presenti grandi
scenari fastosi, grandi palazzi. Usualmente in questi grandi palazzi, dove si svolgono struggenti
storie d’amore è sempre presente un telefono bianco. L’Italia quindi lavora all’interno del genere
della commedia dirottano le sue storie in una dimensione molto più piccola, confacente a quella
che è la narrazione dell’italianità del popolo italiano, ma utilizza in maniera poco realistica, grandi
palazzi o scaloni (Norma Desmond). Siamo in una situazione controllata dal regime. Fanno del
cinema un elemento di evasione, molte commedie, che vedono protagonisti persone che
appartengono alla bassa/media borghesia che vivono in palazzi enormi, con scaloni enormi e con
telefoni bianchi: c’è un tentativo di copiare il grande sapere scenografico da parte del cinema
hollywoodiano: ci troviamo spesso di fronte a protagoniste che sono impiegate, delle commesse in
negozi che abitano in appartamenti non così grandi ma occupati da scale quasi più grandi
dell’appartamento stesso; dal punto di vista della trama/del racconto quella commessa non
potrebbe mai permettersi quell’appartamento, ambientazione. È un modo di evadere, far rilassare e
far passare allo spettatore un momento spensierato. In particolare, il cinema, non deve portare
temi sociali importanti, non deve portare nessuna forma di critica. Ci sono però tanti film che
racontano molto bene la situazione che l nostro paese vive a cavallo delle due guerre, film che si
discostano del “trend”. (Studiare sul libro di testo). Questo excursus sui telefoni bianchi indica il
punto di partenza e indica poi cosa avviene dopo la fine della seconda guerra mondiale e quindi
l’arrivo del neorealismo.
Non si tratta di un “movimento” unitario, organico come l’espressionismo, però di una
affermazione del mezzo cinematografico, un nuovo modo di usare il cinema per raccontare
qualcosa di urgente, che è indispensabile da raccontare. Con il neorealismo, il cinema di rivela
capace di cogliere un momento fondamentale nella storia del nostro paese, cogliere uno scenario
umano e visivo, prima ancora che politica. Non si parla tanto di politica quando di sapere cogliere
cosa è successo alle persone durante e dopo la guerra e all’indomani della seconda guerra
mondiale. Uno dei punti di forza del neorealismo è la capacità di assimilare nuovi modelli
cinematografici e nuovi modelli letterari e di adattarli alla realtà italiana. Il neorealismo fa la sua
comparsa alla fine della seconda guerra mondiale ma è durante il periodo della resistenza armata
che si manifesta appieno. Nel 1946, un film chiamato “Roma, città aperta”, diretto da Roberto
Rossellini, sancisce l’inizio del neorealismo, è il primo film importante che esce dopo la guerra.
Perché questo film definisce il neorealismo?
- Ci racconta cosa succede sul finire della guerra ma si serve anche di tutto quel sistema di
generi che, seppur in maniera diversa rispetto agli stati uniti, apparteneva anche al cinema
italiano. Si sviluppa dal punto di vista culturale, attorno al circolo di critici cinematografici
che ruotano attorno ad una rivista fondamentale di nome “Cinema”
Rivista Cinema: fondata dal figlio di Mussolini, Vittorio. Cinecittà, nata nel ’37, è stat fortemente
voluta dai due.
Il neorealismo è il movimento italiano che ha conquistato, senza dubbio, maggiori consensi e
maggiore fama. Ancora oggi, a distanza di quasi 80 anni, il cinema italiano viene spesso
identificato con il neorealismo. Si tratta di un fenomeno molto complesso, non può essere ridotto
ad una formula o ad una immagine stereotipata. Possiamo isolare tre aspetti principali intrecciati
nei film neorealisti:
1. Morale: il neorealismo è una reazione morale agli orrori della guerra che spinge un certo
numero di cineasti a ritrovare i valori essenziali dell’esistenza e della convivenza sociale, è
un bisogno;
2. Politico: è necessario in questo periodo dare una risposta sul piano politico agli orrori
commessi dal fascismo;
3. Estetico: necessario trovare un linguaggio nuovo che possa esprimere in maniera diretta un
a presa di coscienza e volontà molto forte di cambiamento politico ed estetico.
Il neorealismo dura poco e sono altrettante le opere riconducibili appieno a questo periodo. Ma
queste poche sono sufficienti a definire una nuova estetica del cinema italiano, che sarà capace di
rinnovare il cinema italiano ma anche quello turco, francese, inglese, portoghese e più tardi anche
quello americano.
La situazione che si presenta all’indomani della guerra dal punto di vista cinematografico:
Cinecittà, nata nel 1937 e fino allo scoppio della guerra grande luogo in cui realizzare decine di
film (struttura molto simile ad Hollywood), in questo anno l’Italia ha gli studios cinematografici
più grandi d’Europa, pari soltanto agli stati uniti. In questo periodo è occupata dagli sfollati, chi
non aveva più una casa dopo la guerra e quindi sono inutilizzabili, i mezzi sono pochissimi, le
pellicole sono irreperibili e lo staff è ridotto al minimo. I registi si ritrovano a dover utilizzare le
città, distrutte dalla guerra, per ambientare le loro storie, sono obbligati ad ideare uno stile di
ripresa immediato, con un carattere talvolta documentaristico, e perché sentono il bisogno di
immergersi e raccontare la realtà così come è e anche per un bisogno tecnico. Bisogna adattarsi a
qualcosa di differente. La produzione cinematografica di un film è largamente legata al caso. Tutto
è passibile di cambiamento continuo, per esigenze soprattutto tecniche. Le pellicole non solo sono
poche ma sono anche ‘scadute’, quindi la poca nitidezza di tanti film realisti è dovuta anche
all’utilizzo di mezzi non appropriati a fare delle riprese. Non sono ancora tecnologicamente capaci
di supportare il sonoro.
Caratteristiche del neorealismo:
- Rappresenta la quotidianità nel suo farsi, ottenuto grazie all’abbandono dei teatri di posa a
favore delle riprese esterne. L’abbandono non è però totale, “Germania anno zero” ha delle
parti che vengono poi realizzati nei teatri di posa;
- Scarsità dei mezzi, la indisponibilità di teatri di posa dopo il 1944 costringe appunto a girare
nelle strade e ad ambientare i lungometraggi nei luoghi autentici;
- Spostamento dell’attenzione dal singolo alla collettività, da storie con uno o due
protagonisti a molti protagonisti, i film neorealistici non raccontano la vicenda di una sola
persona a meno che non serva a raccontare la storia di una collettività;
- Lucida, straziante analisi dei dolori provocati dalla guerra, i racconti sono di vita quotidiana
e le vicende sono per lo più ispirate a fatti di cronaca, l’osservazione della realtà è minuta e
attenta al comportamento dell’uomo in una determinata situazione sociale e storia che è il
dramma vissuto dal popolo italiano della guerra;
- Totale superamento del cinema come puro divertimento, il cinema neorealista non è
pensato per divertire o intrattenere o per acquisire denaro, è un film necessario a
raccontare il paese.
Precursori di “Roma, città aperta”, annunciano quello che sarebbe stato il neorealismo: quattro
passi fra le nuvole, i bambini ci guardano e ossessione.
Quest’ultimo, realizzato da Visconti nel 1943, è indicato come la strada giusta per un nuovo cinema
del reale. Questi film sono realizzati in teatro di posa e usano lo star-system ma a livello tematico
annunciano il neorealismo. Ossessione è il film d’esordio di Luchino Visconti, che sarà uno dei
protagonisti del movimento ma prenderà subito le distanze per diventare il regista di film come “il
Gattopardo”. È l’opera che anticipa prima ancora della caduta del fascismo i temi del neorealismo.
Il film è tratto dal romanzo “il postino suona sempre due volte”, Cain, parte dalla narrativa
statunitense. Non parte dal racconto del reale ma Visconti decide di ambientare questo racconto
nella provincia italiana, nel dintorni di Ferrara. Già nel ’43 ci mostra il bisogno e l’esigenza di
mostrare dei luoghi inediti con un taglio di regia e con un tipo di interpretazione che si avvicinano
molto a quello che sarà il modo di lavorare del neorealismo.
➢ Roma, Città Aperta, 1945.
Racconta l’esperienza della guerra e il trauma dell’occupazione, racconta della resistenza e
non rinuncia però ad alcuni tratti melodrammatici e neanche allo Star-System. Da parte di
Rossellini c’è la decisione di servirsi di alcuni tratti del melodramma, della commedia e di
attori professionisti e che sono già delle star, insieme ad attori presi dalla strada
(improvvisati) ed il tutto girato fuori dagli studi e nella Roma devastata dalla guerra. Prende
spunto da fatti realmente accaduti, fatti di cronaca: in attesa dell’arrivo delle truppe
americane ed è teatro dello scontra tra la resistenza ed i tedeschi. Presenta vicende
intrecciate di gente comune e di vita comune. Alcune scene di questo film diventeranno
celebri, come la fucilazione di Anna Magnani.
Il neorealismo non abbandona il genere, ha solo bisogna di raccontarci qualcosa di completamente
diverso rispetto a quello che ha fatto il cinema dino ad ora.
(Vedere sequenza Anna Magnani). In questa sequenza Rossellini usa diversi registri,
l’obbiettivo è mostrarci l’orrore della guerra ma che appartengono al linguaggio
cinematografico usando momenti di comica (prete/padella) per poi seguire una altra scena
di suspence e tragedia. Usa elementi fondamentali dell’industria cinematografica, Fabrizi e
Magnani, star nascente del cinema italiano, veri attori di professione insieme ad altri attori
presi dalla strada e chiamati ad interpretare delle parti.
Rossellini sarà autore di tre film fondamentali del neorealismo, poi si staccherà e seguirà un’altra
scia poetica. Il primo è appunto Roma, Città Aperta, Paisà (1946), film corale costituito da sei
episodi ambientati in Sicilia, Napoli, Roma, Firenze, Porto Tolle e nell’Appennino Emiliano:
racconta sei luoghi distinti distrutti dalla guerra con episodi singoli a se stante anche se intrecciato.
Infine c’è Germania Anno Zero, 1948 e racconta la situazione di distruzione delle Germania,
Berlino in particolare, per Rossellini la guerra è una situazione generale, lui si reca in loco per
raccontare cosa vivono TUTTI gli uomini. Il protagonista è un ragazzino che uccide suo padre
perché pensa sia un peso per la famiglia, viene persuaso da un maestro nazista (Ubermensch) il
ragazzino si toglierà infine la vita per l’atto che ha commesso; racconta la storia dell’umanità tutta.
Finale disperato che rappresenta la tragicità degli uomini che si ritrovano ad affrontare la guerra.
Questa trilogia compone uno dei pilastri del neorealismo: trilogia della Guerra.
Vittorio de Sica, si forma come attore di commedie romantiche e nel 1946 realizza il film Sciuscià e
nel 1948 realizza il film Ladri di Biciclette. Assieme a questi due film e alla trilogia di Rossellini va
citata anche la Terra Trema di Luchino visconti (1948). Altri titoli fondamentali dove prevale una
visione di istanza politica, Il sole Sorge Ancora, 1946, e Caccia Tragica di de Santis, 1947. Un ruolo
centrale nel neorealismo lo hanno registi come Visconti, Se sica e Rossellini ma anche uno
sceneggiatore: Cesare Zavattini.
Nativo di queste zone, nasce come scrittore, come giornalista per poi approdare nella
sceneggiatura. Scrive tutti i principali film di De Sica e collabora con i principali registi del
periodo, anche con Pietro Germi (commedia all’italiana). Costituisce l’anello di
congiunzione tra il cinema, la letteratura e il giornalismo; dall’interazione di queste tre
derivano pi molti dei caratteri originali del cinema italiano del secondo dopoguerra, a
partire dal neorealismo alla commedia italiana. Con le sue sceneggiature riesce a sviluppare
un discorso sulle condizioni e le miserie che vive il popolo italiano in questi anni. Prima con
il neorealismo e poi con la commedia all’italiana a mostrare una serie di elementi che
appartengono ad un tema fondante: l’ingiustizia sociale, sfruttamento dell’uomo. La
commedia italiana, pur utilizzando un genere specifico, racconterà sempre questioni serie
legate alle ingiustizie sociali, allo sfruttamento e alla difficoltà da pare della popolazione
italiana di fronte al boom economico ma una difficoltà da parte degli uomini di adeguare la
propria essenze ad un periodo che vede dei cambiamenti enormi all’interno del tessuto
sociale. Zavattini individuerà, durante il neorealismo, nel cosiddetto ‘pedinamento’ del
personaggio, la possibilità di cogliere con la macchina da presa la realtà quotidiana. Il
pedinamento è, letteralmente, la scelta di mettersi accanto con la macchina da presa
all’uomo e osservarlo nella sua realtà quotidiana; è l’unica possibilità per fare in modo che il
protagonista diventi il centro dell’azione drammatica e diventi il filo conduttore della
rappresentazione che vuole essere il più documentaristica possibile della realtà sociale.
Capolavoro di questa tecnica è il film “Ladri di Biciclette”.

Ladri di Biciclette
A questo film si arriva per caso. Zavattini aveva per caso incontrato incontrato l’autore
dell’omonimo romanzo, Luigi Bartolini, e a partire da questo casuale incontro costruisce il soggetto
del film, costruito in modo molto veloce e ruota intorno a due protagonisti, padre e figlio, che
vivono all’interno della realtà pulsante della vita romana dopo la guerra. Con questo film vuole
rintracciare elementi drammatici dentro a situazioni totalmente quotidiane. Trama: un uomo che a
fatica riesce ad ottenere un lavoro, per il quale ha bisogno di una bicicletta per spostarsi che poi gli
verrà rubata; disperato perché senza bicicletta otterrà il lavoro ottenuto con tanta fatica, decide di
rubare una bicicletta ma viene subito fermato. Si tratta di una trama molto esile che però ci porta a
riflettere sul dramma esistenziale dell’uomo, sul rapporto di quest’uomo con il figlio che assiste al
momento in cui il padre viene fermato durante il tentativo di furto, la delusione negli occhi del
figlio che vede il padre commettere un errore, errore commesso per poter mantenere il lavoro che
avrebbe potuto dare sostentamento al figlio. Il film è in qualche modo, insieme a Roma città
Aperta, il centro ideale del neorealismo e ha tutte le caratteristiche di fondo del movimento:
ambienti reali, il film è girato nelle strade di Roma, attori non professionisti, presi dalla strada e
una vicenda drammatica sulla durezza della vita quotidiana vissuta dalle classi popolari. Il film
incarna nell’immaginario collettivo internazionale la quintessenza del neorealismo: se da una parte
Rossellini si serve ad alcuni elementi appartenenti a generi, commedia e melodramma e teatri di
posa, De Sica invece realizza un’opera che è in tutti i suoi elementi pienamente descrivibile nel
neorealismo. Scena centrale: momenti di disperazione, il protagonista antonio vive in una
situazione di incapacità, di far parte di quello che da li a poco sarà il miracolo italiano, non può
ambire ad avere un lavoro che possa cambiare le sorti della situazione drammatica vissuta fino ad
allora.
Il film viene salutato con grande entusiasmo a livello internazionale, in particolare André Bazin
(padre spirituale della nouvelle vague), per lui questo film rappresenta un modello di cinema ‘senza
cinema’, capace di far passare la realtà sullo schermo senza mediazioni.
“Ladri di Biciclette è uno de primi esempi di cinema puro. Niente più attori, niente più storia, niente più
messa in scena, cioè finalmente, nell’illusione estetica perfetta della realtà: niente più cinema”.

Questa affermazione di Bazin, molto enfatica, ci porta a riflettere sul bisogno di De Sica di
raccontare la realtà vissuta dalla popolazione italiana. Se osserviamo Ladri di Biciclette non è
affatto un film senza film, se lo spettatore viene conquistato è perché dietro c’è un sapientissimo
lavoro di sceneggiatura e di scrittura da parte di Zavattini che però punta a negare la sua presenza.
È la percezione dello spettatore di trovarsi davanti alla realtà pura ma per ottenere questa
percezione, il lavoro di scrittura che c’è dietro è enorme, tutto è molto scritto prima di essere girato.
Ci troviamo di fronte al momento cruciale dell’esperienza neorealista, preannuncia una svolta. Ci
sono dei personaggi secondari nel film che anticipano di alcuni anni quello che sarà poi il modo di
denunciare la società tipico della commedia all’italiana. Ci sono delle figure, come la Santona, gli
amici di Baiocco, che in tutto e per tutto ci ricordano una delle caratteristiche tipiche del cinema
successivo italiano che sono le Macchiette, figure che ci fanno ridere e al contempo riflettere, con i
loro difetti ci raccontano qualcosa di molto più profondo.
Il neorealismo vive un momento molto breve, non si può definire un anno di inizio e di fine però
possiamo inscrivere questo movimento nella sua purezza nell’arco di cinque/sette anni al massimo.
Già dopo la trilogia della guerra, Rossellini, con “Stromboli terra di dio”, 1949, da il via a quello che
sarà il suo nuovo modo di fare cinema e prenderà le distanze dal neorealismo. Darà il via al suo
sodalizio artistico importantissimo con Ingrid Bergman, che lo porterà a cercare altre tematiche
non sono la rappresentazione dell’Italia all’indomani della guerra ma legate alla solitudine
dell’individuo e dopo Stromboli Terra di dia, girerà “Europa ‘51” e “Viaggio in Italia”
rispettivamente nel 1951 e nel 1954 costruendo un’altra trilogia, segnata dall’attrice Ingrid
Bergman, protagonista di questi film, dove l’unico interesse è rappresentare la solitudine
dell’essere umano. L’aspetto sociale passa in secondo piano. Rossellini e Ingrid si innamorano sia
nella vita professionale che dal punto di vista cinematografico. Ci sarà anche un grandissimo gossip
nei confronti della coppia ma anche nel cinema, un elemento fondamentale di quesi film,
neorealismo e post neorealismo, sono film che incassano tantissimo, non sono assolutamente di
nicchia, questi film il popolo italiano li guarda. Rossellini ama devolvere la sua poetica, dopo la
trilogia con la Bergman e dopo una sua crisi artistica e personale, cambierà ancora strada e si
dedicherà dapprima ad opere impeccabili dal punto di vista stilistico, come Il Generale della
Rovere (1959), come Era Notte a Roma e Viva l’Italia, e poi si dedicherà interamente per il resto
della sua carriera a lavori di carattere divulgativo e didattico pensati per la televisione (1954). Il suo
lavoro successivo sarà dedicato al cercare attraverso il mezzo cinematografico utilizzato però dal
medium televisivo di istruire il popolo italiano a grandi temi. Gli ultimi film di Rossellini saranno
film didattici.
Una data fondamentale è il 1948, le elezioni del ’48 segnano un periodo di fortissimo cambiamento
culturale. Cominciamo ad osservare il declino dell’esperienza neorealistica. La politica culturale
dopo il ’48 tende ad un ottimismo di facciata, l’esposizione delle tragedie e dei dolori della
popolazione viene vista con estremo fastidio da parte del potere e si tenterà di incentivare la
produzione di film che non raccontano le tragedie ma che tentano di portare gli spettatori in sala
con l’intento di intrattenere, con divertimento. Categorizzando, si può individuare in “Umberto D”
di Vittorio de Sica, il film di chiusura dell’esperienza neorealista. Racconta la tristezza e la
solitudine di un vecchio pensionato che per raccontare questa solitudine umana comincia ad
utilizzare altri modi di narrazione, teatri di posa e ricostruzione di scenografie: torniamo in un
sistema cinematografico che si richiama al pre guerra, all’industria cinematografica ante-guerra.
Un altro film che segna in modo importantissimo il declino di un periodo e l’inizio di un altro
periodo è “Bellissima”, 1951, di Luchino Visconti.
Luchino Visconti, Bellissima (1951)
È stato protagonista del neorealismo, ne prenderà le distanze anche scrivendone in maniera anche
violenta, allontanandosi a livello politico dal neorealismo. “Quella del neorealismo è un’etichetta che
non ho mai troppo gradito e che, anzi, in occasione di Bellissima respinge totalmente” siamo di fronte ad
un film che supera questo movimento e che poi il successivo film, Senso, dichiarerà l’evidentissima
presa di distanza da questo movimento. (Vedere pezzo di bellissima). Ci troviamo di fronte ad una
scena straziante, uno degli elementi (anche se siamo oltre al neorealismo) quello che caratterizza
questo corpo filmico è la presenza dei bambini, giocano un ruolo fondamentale in tutti i film
neorealisti e post. Trama: una donna che investe tutto quello che ha per tentare di far fare una
carriera cinematografica alla figlia, si gioca qualunque cosa e vende il suo corpo per fare ottenere
un provino per coronare il sogno di far entrare la figlia nel mondo del cinema e quindi offrire un
futuro migliore di quello che si prospetta alla figlia. Qua, come ne “Il Viale del Tramonto” di Billy
Wilder, siamo in un film dentro un film. Blasetti è considerato uno dei più grandi registi del cinema
pre-guerra e di propaganda, lui interpreta se stesso e siamo negli studi di Cinecittà: si rigira in una
Cinecittà che si è appena riappropriata, e non per intero dei suoi spazi. Osserviamo la distribuzione
degli studios di Cinecittà che da qui a poco che nel giro di pochi anni diventerà la “Hollywood sul
Tevere”. Le grandi produzioni cinematografiche americane, soprattutto colossal, arriveranno a
Cinecittà a realizzare i loro film: da qui nascerà un momento importantissimo per l’industria
italiana, il cosiddetto ‘Made in Italy’, dove anche la moda, il design, l’architettura acquisiranno un
peso importantissimo a livello internazionale veicolati molto dal cinema. Veicolati dal fatto che
l’America e i grandi divi Hollywoodiani entrano a Roma e vestiranno con gli abiti progettati e
realizzati dalle sartorie italiane, si sposteranno con la Vespa e così nascerà il made in Italy.
Oltre al neorealismo abbiamo da una parte lo svilupparsi, durante gli anni’50, della commedia
italiana, con protagonisti Germi, risi, Monicelli e tanti altri registi che almeno per un decennio
occuperanno la scena del cinema italiano, dall’altra parte abbiamo la Cinecittà che diventa la
fabbrica dei sogni e l’Hollywood sul Tevere, quindi la realizzazione di tanti film colossal (Ulisse,
Camerini del 1954); contestualmente abbiamo lo sviluppo del “cinema d’autore” con protagonisti
Antonioni, Fellini e Pasolini per citarne alcuni e poi c’è lo sviluppo del cinema di impegno politico
con Bellocchio, Olmi, Rosi e tanti altri che fanno del cinema il mezzo principale dell’impegno
politico.
Inizio degli anni’50…

Il cinema d’autore
Con il tramonto del neorealismo, in un clim di restaurazione politica, estremamente mutato,
abbiamo l’emergere di una serie di registi che rivendicano un’identità personale di autori che sono
attenti al pieno controllo sul film. Siamo in una situazione completamente diversa rispetto
all’industria hollywoodiana: gli autori ovviamente si servono delle maestranze, degli sceneggiatori,
degli operatori, dei montatori, dei direttori della fotografia ecc… ma esigono un controllo totale
sulla loro opera, che rappresenta quella che è la propria visione del mondo. Il cinema d’autore
infatti affronta tematiche per lo più esistenziali, porta avanti un discorso personale ed
estremamente riconoscibile. Il cinema d’autore avrà un corso lunghissimo, attraversando gli anni
’60 e ’70 e ancora oggi possiamo identificare in un certo tipo di film, possiamo utilizzare l’etichetta
di “cinema d’autore”. È a partire ancora dal neorealismo che l’istanza ‘autoriale’ acquisisce un
valore nuovo, un’istanza notevole: è a partire da Rossellini, Visconti e de sica che nel regista
individuiamo nel regista uno stile specifico. Ma è dopo il neorealismo che si sviluppa la possibilità
da parte di alcuni registi di mostrare più che la società, il proprio pensiero relativamente all’essere
umano, al mondo e relativamente al linguaggio cinematografico. Siamo in un periodo in cui il
cinema ha un ruolo importantissimo: si parla di cinema, si scrive di questo e ci si occupa a tutti i
livelli di cinema. In una rubrica del settimanale “Italia Domanda”, alla domanda ‘quali sono i temi
più importanti di attualità stringente?’ Il cinema sta al secondo posto. Religione, cinema. Chiunque
va al cinema, legge di cinema, nasce una grandissima quantità di riviste legate o al gossip o a riviste
che trattano di critiche importanti riguardanti temi sia artistici che politici.
Nel 1954 arriva la televisione, il panorama culturale e di intrattenimento della popolazione, si
differenzierà il modo di vivere e del tempo libero. Le persone inizieranno ad andare in vacanza, una
serie di attività che le persone iniziano a fare nel tempo libero. In questo panorama così fervente
coesistono il cinema d’autore, la commedia di evasione, la commedia all’italiana, i colossal
americani e tutta un’altra serie di tipologia cinematografiche senza dimenticare il cinema
documentario. Il marchio autoriale diventa una sorta di garanzia di qualità: autori come Antonioni,
Fellini e molti esteri e anche negli stati uniti come Wilder ecc… saranno capaci di dare un’impronta
personale al loro cinema, saranno anche ‘segno di qualità’. Precedentemente si diceva “vado a
vedere un film si… Anna Magnani” era l’attore, lo star-system che trainava il mercato
cinematografico. A partire da questi autori vanno a vedere un film dell’autore. Diventano il punto
di riferimento della cinofilia, di coloro che sono appassionati di cinema a più livelli. Consce
un’espansione rapidissima soprattutto nel “cine club” recupero di luoghi spesso appartenenti alla
parrocchia, alla chiesa, luoghi dove le persone vanno a vedere e rivedere i film. La passione per il
cinema, vedere, scoprire e studiare il cinema. Sapere cinematografico che va ad incrementare
grazie alle riviste del settore.

Fellini
Nasce a Rimini nel 1920. Si sposta giovanissimo a Roma con l’intenzione di fare cinema. È stato
senza dubbio uno dei registi che ha maggiormente inciso sugli sviluppi degli sviluppi del cinema
nella seconda metà del ‘900. Inizia la sua carriera come fumettista, caricaturista e collabora per 18
anni con tanti giornali realizzando vignette e articoli umoristi. La sua fortuna inizia con “Roma
Città Aperta”, conosce Rossellini e collabora alla sceneggiatura di uno dei film più importanti del
neorealismo italiano. È travolto dal fascino di Rossellini e rimane al suo fianco anche per opere
quali “Paisà”, “Francesco Giullare di Dio” e “Europa ‘51”. Dopo questo folgorante innamoramento
nei confronti di Rossellini, prenderà immediatamente le distanze dal cinema neorealista e quello
che consideriamo il suo primo film “Lo Sceicco Bianco”, 1952, (fu co-regista di Luci del Varietà) è
una commedia insolita che presenta una visione grottesca e parodistica dei fotoromanzi.
Protagonista è Alberto Sordi, il film viene salutato malissimo dalla critica proprio perché
apparentemente di inscrive ancora nella tecnica neorealista. Trama: una giovane coppia va in
viaggio di nozze a Roma, la giovane moglie totalmente innamorata dello Sceicco Bianco,
protagonista di un fotoromanzo molto noto, va a cercare il protagonista, lo torva, lei sparisce e il
marito non la trova perché lei rimane catturata dal mondo fatato del fotoromanzo. In verità
l’ambientazione si avvicina a quella tipica del neorealismo ma nella sostanza si tratta di un film di
estrema rottura con il cinema neorealista. È invece un film che ha già le basi di quella che sarà la
sua poetica, l’esplorazione del sonno, dell’onirico, del fantastico che rappresentano il tratto
distintivo di Federico Fellini. Dopo un inizio con lo sceicco bianco accolto in maniera molto tiepida,
Fellini, nel giro di pochi anni, sarà l’autore di film che cambieranno le sorti del cinema italiano. A
partire dai “Vitelloni”, poi con “La strada”, interpretata dalla moglie Giulietta Masina e Anthony
Quinn e poi “Le Notti di Cabiria” per poi arrivare a quello che viene considerato un film ‘ponte’: La
Dolce Vita, 1960.
Opera ponte: essa chiude infatti una fase del cinema italiano, per inaugurare una nuova era, e,
percorrendo non poche tensioni e spinte del cinema internazionale. Segna una svolta nel cinema
italiano tutto. (Vedere un pezzo dello sceicco bianco). Alberto Sordi impersona le caratteristiche
dell’italiano medio, Fellini vuole lui, sarà l’unico film che contiene le caratteristiche tipiche della
commedia italiana.
Gli anni ’60…
Gli anni ’60 rappresentano per Fellini la stagione della massima espansione creativa, caratterizzata
da una serie di opere che danno vita a fantasmi ricorrenti e ossessivi. Dopo l’episodio Le Tentazioni
del Dottor Antonio, del film collettivo Boccaccio ’70 del 1962, fu la volta del capolavoro 8 ½.
8 ½.
Fellini, con questo film, prelevava dal proprio immaginario fantasmi dell’inconscio, ereditando e
fondendo, oltre alle suggestioni di Pirandello, Dante, Thomas Elliot e Jung, quelle di una
vastissima ed eterogenea iconografia popolare. Nel capolavoro felliniano, tutto un mondo
immaginativo è convocato in scena, in un affresco grandioso, in un enorme contenitore in cui si
mescolano insieme forme alte e basse della cultura di massa. Non c’è più i racconto: al contrario, le
immagini fluiscono in modo tumultuoso, spesso accavallandosi e costruendo il loro senso per
accumulazione e mantenendo tutta ala loro ambiguità e il loro senso epifanico e misterico. La
scena finale, rasserenante, arriva dopo un desiderio di morte, una fantasticheria di suicidio, e
rappresenta non solo il ritrovamento e la pacificazione con le figure parentali, ma l’accettazione
totale dell’esistenza in nome dell’amore. Come confermano le parole a lui rivolte da Carla,
interpretata da Sandra Milo: “ho capito che cosa vuoi dire, che non puoi fare a meno di noi”. Nel
cinema felliniano la memoria gioca un ruolo fondamentale perché, come testimoniatoci dallo
stesso Fellini, “essa è qualcosa di assolutamente misterioso, quasi indefinibile, che tuttavia ci lega a
eventi che non ricordiamo nemmeno di avere vissuto e che ci sospinge ad entrare in contatto con
sensazioni provate che non sappiamo definire”.
Sull’onda dell’interesse per Carl Gustav Jung, e di u trattamento analitico intrapreso con Ernst
Bernhard, Fellini affidò ancora una volta a Marcello Mastroianni, divenuto ormai il suo alter ego, il
ruolo di protagonista.
Sogno e memoria: Felini fa nascere ogni sua storia dal suo vissuto personale. Accanto alla
componente della memoria autobiografica però, Fellini ha sempre anche amato tanto
perdersi in un labirinto di sogni ed epifanie che si accendono nella sua immaginazione,
collegandosi fra loro in modo imprevedibile e casuale. Fellini, vede con una sorta di “occhio
interiore” che pesca il suo repertorio d’immagini nell’inconscio, nel sogno, nella memoria
anche quando osserva il presente, Fellini è sempre un regista della soglia tra mondi e la
sua immagine appare sospesa tra realtà vissuta o realtà sognata. Perciò la vita, come la
sua rappresentazione, ha sempre avuto per Fellini il valore di un miracolo e di un
mistero. Tali caratteri emergono chiaramente già ne “Lo Sceicco Bianco” del 1952, dove il
tema del sogno e della sua smentita nel confronto con la realtà appare primario.
Lo Sceicco Bianco, 1952.
Questo film nasce da un’idea di Michelangelo Antonioni. Si tratta di una piccola ma significativa
storia, scritta da Fellini stesso, Pinelli e da Ennio Flaiano, di una coppia di sposi venuti dalla
provincia, in cui lei sogna il suo beniamino dei fotoromanzi, ruolo ricoperto da Alberto Sordi. Il
film, per le cui musiche fu scelto come compositore Nino Rota, con il quale nacque un rapporto di
collaborazione lungo e fecondo, incuriosì molto ma non ottenne il successo sperato. Furono scarsi
gli apprezzamenti alla Mostra del Cinema di Venezia e deludenti gli incassi al Botteghino.
I Vitelloni, 1953.
Si tratta di una ricostruzione autobiografica della vita di provincia. Il film, nonostante una struttura
narrativa che possiamo definire “lineare”, contiene almeno un personaggio onirico: il ragazzino che
Moraldo, interpretato da Franco Interleghi, incontra per le strade di notte. “Vitellone” è una parola
che Ennio Flaiano riconduce a “‘vudellone’, ovvero grosso budello, Fellini invece a ‘vidlòn’ in
dialetto romagnolo. La parola indicava gente spensierata, nullafacente e golosa di passatempi e
amori, oltre che di cibo. Il film è un affresco di ragazze e ragazzi in vista di un futuro he, nella
morbida Rimini, appariva sonnacchioso , con improvvise fiammate di divertimento alternate a
momenti di amarezza tra ricordi romagnoli ed esperienze romane. Nel finale vi si trova una
soluzione linguistica interessante: quando i protagonista decide di abbandonare la città di
provincia in cui è cresciuto. Mentre guarda fuori dal treno, il film si stacca dal realismo e non
mostra il paesaggio come sarebbe naturale, ma le persone care che lui lascia e che stanno ancora
dormendo, sono riprese con un movimento di camera composito (camera laterale con panoramica)
che imita lo sguardo di chi passa avanti e intanto gira la testa. Il personaggio di Moraldo si pone,
silenziosamente degli interrogativi nel finale del film, affacciandosi al finestrino del treno: si chiede
a quale destino stia andando incontro. Si tratta di una domanda rivolta dal regista anche agli
spettatori e a se stesso, in una società che stava completando la ricostruzione e che, da paese
contadino, si stava trasformando in paese industriale.
La Strada, 1954.
Si tratta di un vero e proprio percorso di redenzione per un personaggio brutale come Zampanò,
interpretato da Anthony Quinn, Che nel film vediamo sempre accompagnato da “una specie di
angelo inconsciamente toccato dalla Grazia”, ovvero Gelsomina, interpretata da Giulietta Masina. Il
film da la definitiva notorietà internazionale a Fellini; tra i premi vinti troviamo il Leone d’Argento,
il nastro d’argento e il premio oscar per il migliore film straniero e ottenne anche una nomination
per la sceneggiature.
Tra i più importanti dilm di Federico Fellini troviamo “la dolce vita” del 1960.
Diretto e co-sceneggiato da Fellini, è considerato uno dei capolavori di Fellini e tra i più celebri film
della storia del cinema. Rappresenta un viaggio all’interno della dolce vita romana alla fine degli
anni ’50 che vede come protagonista Marcello Mastroianni. La pellicola ha ottenuto 4 candidature
e vinto un premio Oscar e fu inoltre vincitore della Palma d’oro al 13esimo festival di Canne; dopo
solo quindici giorni di proiezione, il film aveva già coperto le spese di produzione. Alla fine della
stagione cinematografica 1959-1960, risultò il maggior incasso dell’annata in Italia.
L’autobiografismo di Fellini: lo stesso autore ribadisce l’idea proustiana secondo cui l’artista
trae per sua natura nutrimento dai traumi psicologici della sua esistenza psichica e che non si
possono tracciare confini netti tra passato, presente, futuro e immaginazione, perché anche il
tempo è inventato. Sostanzialmente tutto il cinema di Fellini si nutre di una forte componente
autobiografica, facendo di Marcello Mastroianni il suo alter ego per raccontare sempre i suoi
ricordi, le sue fantasie e le sue ossessioni in una specie di unico e grande poema che con colori,
scenografie, metafore e simboli finisce per riproporre sempre la stessa vita interiore dell’autore
filtrata attraverso la sua memoria.

Antonioni
Realizzò film improntati su tematiche esistenziali, indagando in profondità per la prima volta nel
cinema italiano la relazione uomo-donna. Tra i suoi film più importanti troviamo Cronaca di
un’amore, 1950, Il Grido, 1957, L’Avventura, 1960, La Notte, 1961, L’Eclisse, 1962.
Nacque a Ferrara nel 1912, è considerato uno dei massimi autori del dopoguerra. Trasferitosi a
Roma nel 1939 frequentò per alcuni mesi il Centro sperimentale di Cinematografia ed entrò a far
parte della redazione della rivista “Cinema”. Proprio il nascente neorealismo costituisce il terreno
di partenza per Antonioni, che nel 1943 gira il suo primo documentario ‘Gente del Po’, ambientato
nella sua terra d’origine, e che con ‘Ossessione’ di Luchino visconti viene considerato il primo
esempio di cinema neorealista. Degli autori neorealisti non lo interessano i temi, quanto piuttosto
le scelte lessicali e la forza visiva. Il suo esordio registico in lungometraggi di finzione appare alla
critica come un ulteriore segno della diaspora, dispersione e decomposizione del corpo neorealista.
Il suo primo film a soggetto è “Cronaca di un Amore” del 1950, dramma dalle venature gialle
ambientato nella borghesia di Milano e Ferrara.
I Vinti, 1953, è un film a episodi sella crisi della gioventù europea del dopoguerra, e la Signora delle
Camelie, sempre del 1953, feroce rappresentazione del mondo del cinema, segnano poi l’inizio delle
difficoltà di Antonioni con la critica e la censura. Segue Le Amiche, 1955, liberamente tratto dal
racconto ‘tra donne sole’ di Cesare Pavese, il cui regista privilegia l’attenzione nei confronti dei riti,
delle nevrosi e del vuoto ideale e affettivo della borghesia torinese. Le prime vere e proprie opere di
rottura nel cinema di Antonioni saranno però Il Grido, 1957, e il successivo l’Avventura, 1960: con
quest’ultima opera, ispirata ad un evento realmente accaduto, una ragazza scomparsa
misteriosamente nelle Isole Eolie e mai più ritrovata, Antonioni ottiene la definitiva attenzione
della critica mondiale, prima fra tutte fu quella francese che gli dedicò la definizione di
“neorealismo interiore”. Antonioni scardina le griglie e i condizionamenti spazio-temporali delle
teoriche e delle poetiche del neorealismo. Rispetto al gruppo neorealista, Antonioni ha esplorato
nuove dimensioni narrative e rappresentative, modificando le coordinate spaziali i rapporti tra le
figure e lo spazio e la percezione dei vuoi e dei pieni come rappresentazione del dramma dei
personaggi.
Spesso è stato definito il regista dell’alienazione dell’incomunicabilità e dell’inafferabilità del reale.
La struttura stessa dell’inchiesta o del giallo, che caratterizza molti film di Antonioni, incarna
narrativamente il desiderio di indagare aspetti del reale che tendono a “sottrarsi” continuamente ai
nostri sensi. È dal conflitto più o meno dichiarato tra l’ambizione di un tutto visibile e la ricerca di
una verità nascosta nelle cose e nei personaggi che Antonioni ottiene i risultati migliori, dando
prova di un’inesauribile inventiva tecnica e stilistica.
Cronaca di un amore,: Paola, che si è sposata con un ricco industriale, ha pianificato insieme
all’amante Guido l’assassinio del marito. Inaspettatamente però il marito muore per conto suo in
un incidente, qualche istante prima di essere ucciso. Formatosi nel cinema documentario,
Antonioni fa spesso uso del piano-sequenza, come nella scena in cui i due amanti sono ripresi sul
ponte: la scena è realizzata grazie ad un preciso movimento di macchina a 360 gradi; Antonioni
lavora sulla focale dell’obbiettivo, ottenendo una profondità di campo tesa a sviluppare quella che
per lui finirà col diventare una figura stilistica preminente, il rapporto tra figura e sfondo. Con
la ‘costruzione’ dell’immagine di Lucia Bosè, getta le basi per l’inizio del lungo e duraturo sodalizio
tra moda e cinema. Alcune scene del film sono state girate nell’atelier milanese di Noberasko.
Il rapporto di Antonioni con la modo continua con il film “Le Amiche”, in particolare ocn i costumi
delle sorelle Fontana e con Blow-Up. Antonioni ha sempre avuto un interesse particolare per la
moda. Già nel 1940 firma alcuni articoli sulla rivista “cinema” e nel 1947 realizza un documentario
sulla produzione della viscosa: sette canne, un vestito.
I personaggi: già in cronaca di un amore, il regista raccoglie in un solo sguardo d’insieme
personaggi e ambiente circostante, catturando tutti i possibili segni e sintomi dello stato interiore
dei personaggi stessi. L’apice della fase creativa di Antonioni, nonché il prologo al suo cinema
successivo degli anni ’60, è però costituito da ‘Il Grido’
Paesino del Po, un operaio, Aldo (Steve
Cochran), abbandonato dall’amante (Alida
Valli), se ne va portandosi via la loro bambina.
Vagando per la pianura padana, ricerca un suo
vecchio amore e poi va a vivere con una
benzinaia. Ma si lasciano e l’uomo, tornato
presso l’amante che non sa dimenticare, si
uccide. Una ricerca straziante in un paesaggio
desolato. Alla conclusione, la morte della
protagonista coincide con una manifestazione
operaia contro la costruzione di un aeroporto
militare nella zona.
Con ‘L’Avventura’, e da qui in avanti, Antonioni cerca poi di sostituire agli spazi reali nuove
tipologie di spazi, capaci di misurare le distanze interiori. La percezione dello spazio ne risulta
perciò sconvolta: egli cerca insomma di captare anche le ‘radiazioni mentali’ dei suoi personaggi in
fuga dal quotidiano.
La Trilogia dell’Incomunicabilità
Ne ‘L’Avventura’ e nei film successivi (La Notte, 1961 e L’Eclisse, 1962) lo spazio, come nella pittura
è ridotto alle sue strutture elementari per aprirsi poco alla volta di ulteriori dimensioni metafisiche.
In tale “trilogia esistenziale” il rifiuto della forma tradizionale di narrazione trova espressione in
diversi elementi: nella sottile descrizione di comportamenti non prevedibili ma sempre verosimili;
nel rifiuto dell’evento drammatico, privilegiando i momenti precedenti o successivi. Nella
desertificazione progressiva dell’inquadratura.
Il deserto Rosso, 1962.
Lo scenografo esplora per Antonioni soluzioni inedite e sperimentali in questo film, proseguendo la
ricerca iniziata con L’Avventura e l’Eclisse. È in particolare la manipolazione del colore e degli
esterni che rende visibile la volontà di interiorizzare lo spazio. Il personaggio principale del
film è Giuliana, interpretata da Monica Vitti, moglie di un industriale e madre di un bambino
piccolo, appena uscita da una clinica psichiatrica dopo un tentato suicidio. Il rapporto tra Giuliana
e lo spazio è dominato dal colore; i personaggi, e lei in particolare, agiscono sui colori e ‘sono agiti’
dai colori. Le deformazioni hanno ora un lato oggettivo, ora un aspetto di sensazione, quasi
tattilità. Una simile ambiguità si ripercuote sullo spazio che diventa, proprio grazie al colore,
mobile e deformabile.
I colori: nella rappresentazione di questo spazio interiorizzato, Antonioni chiede a Piero Poletto di
dipingere il film come se fosse un quadro. Non vuole affidarsi alle tecniche di manipolazione del
colore in fase di post-produzione, non vuole fotografare i colori naturali ma vuole un intervento
diretto sull’ambiente. Il paesaggio acquista una “sua bellezza originale, fatta di grigi aridi, di neri
imponenti e semmai di pallide macchie rosa e gialle, tubi o cartelli lontani”.

Andando in Francia…

Nouvelle Vague
Anno 1959, l’espressione ‘Nouvelle Vague’ compare a partire dal febbraio di questo anno e rimanda
ad un preciso periodo della storia del cinema francese, ossia la fine degli anni ’50 e gli inizi
degli anni’60. Definisce un fenomeno cinematografico complesso e difficile da circoscrivere.
Sono due i film che daranno via al movimento: 400 colpi di Truffaut e Hiroshima Mon Amour di
Resnais. Gli autori del movimento di formano principalmente alla scuola critica dei “cahiers du
cinéma” degli anni cinquanta e tra i nomi che risaltano maggiormente troviamo: Claude Chabrol,
Jean-Luc Godard, Eric Rohmer, Jacques Rivette e Francois Truffaut.
Definizione: l’espressione era nata come etichetta giornalistica e venne utilizzata anche in un
contesto estraneo a quello del cinema, in relazione a un sondaggio di opinione sulla gioventù
francese, pubblicato nel 1957 dal settimanale “L’Express”, mentre nello stesso periodo era apparsa
un riferimento al ‘nouvelle roman’. Passò poi a indicare complessivamente la generazione dei
registi che cominciarono a girare lungometraggi verso la fine degli anni cinquanta. Questo
spostamento verso il settore cinematografico è legato a un’inchiesta pubblicata nel febbraio del
1958 dal caporedattore della rivista “Cinema 58” Perre Billard, che compilò un elenco dei cineasti
francesi di età inferiore ai quarant’anni. La definizione divenne in seguito critica e persino
dispregiativa, a indicare una trascuratezza nella realizzazione e nella messa a punto artistica di
alcuni film. I gestori delle sale cinematografiche dell’epoca ricorrevano alla formula ‘è un film
nouvelle vague’ per film di giovani registi improvvisati e poco professionali, ma comunque
sorprendenti. È stato solo successivamente che l’espressione si è importa come denominazione del
movimento.
Truffaut : i registi fra loro sono molto diversi e non mancano i conflitti. Nel 1962, Truffaut
affermava che l’unica caratteristica che accomunava tra loro gli esponenti del movimento era la
passione per i biliardini elettrici, aggiungendo:
Non si è ancora sottolineato a sufficienza questo punto: la nouvelle vague non è ne un movimento ne un
gruppo, ma un concetto di quantità. È una denominazione collettiva inventata dalla stampa per
indicare i nomi dei 50 nuovi registi emersi in soli due anni in un campo professionale in cui in precedenza
non si accettavano più di tre o quattro nuovi nomi all’anno. Dicembre del 62.

Raggruppò alcuni cineasti che affrontarono la regia tra il 1958 e il 1962. Riguardò almeno un
centinaio di nuovi autori. Il dizionario alfabetico del numero speciale die “Cahiers du cinéma”,
dedicato alla nouvelle vague e fu pubblicato nel dicembre del 1962, infatti, indicò i nomi di ben 162
nuovi autori.
La generazione precedente: tra la liberazione e il 1958, il numero di nuovi registi si limit ogni anno
a qualche nome. Erano registi sui 40 anni che avevano fatto una lunga gavetta sui set dei registi più
esperti prima di arrivare al lungometraggio. I cineasti francesi del 1055, in generale piuttosto
anziani, furono nella maggior parte dei casi gli stessi che avevano fondato le cosiddette regole del
‘cinema di qualità’ che conobbe il suo apogeo alla fine degli anni ’30. Questo cinema si basava su tre
principi:
- Primato dello sceneggiatore dialoghista;
- la realizzazione delle riprese all’interno degli studi con una folta équipe tecnica controllata
da sindacati;
- Il ricorso ad attori esperti e popolari che il pubblico ritrovava in ogni film.
Questi principi furono attaccati con estrema violenza dal giovane critico Truffaut nell’articolo “une
certaine tendence du cinéma francais” pubblicato in “cahiers du cinéma” nel 1954. I cineasti più
importanti di questo periodo (della generazione precedente) furono Claude Autant-Lara, René
Clair, Henri- Georges Clouzot e René Clément. C’erano anche alcuni registi originali che il Truffaut
critico considerava veri e propri autori perché si dedicavano alla stesura delle sceneggiature e
perché la loro regia si identificava con una particolare visione del mondo: Jean Renoir, Robert
Bresson, Jacques Tati, Jacques Becker, Abel Gance e Max Ophuls.
Tar le caratteristiche più significative del movimento troviamo sicuramente la tendenza a riferirsi
al cinema americano, il ricorso ad un budget ridotto, l’esperienza come critici e l’originalità nella
scelta dei soggetti e delle tematiche affrontate, in particolare il tema della giovinezza, problemi
della realtà contemporanea e l’emergere di una nuova forma di libertà sessuale (soprattutto da
Vadim).
- Imposizione della nouvelle vague: questo movimento in quanto tale acquisì il suo status
solo nel corso della stagione cinematografica del 1958-59; l’idea della nouvelle vague come
movimento teso a rinnovare la produzione cinematografica si impose quando i critici
iniziarono a interessarsi ai nuovi registi: Chabrol, Truffaut, Godard, Alain Resnais e
Marguerite Duras, che insieme firmarono Hiroshima, mon amour nel 1959.
Nell’arco di questo anno furono distribuite una serie di opere prime e al festival di Cannes furono
presentati i seguenti film firmati nouvelle vague: Orfeu Negro, il primo film di Marcel Camus e
ottenne la palma d’oro; i quattrocento colpi di Truffaut, premiato per la migliore regia;
Hiroshima… presentato fuori concorso ottenne il riconoscimento internazionale della critica
anglosassone, italiana e tedesca e infine l’estate seguente ‘fino all’ultimo respiro di Godard.
Per quanto concerne la produzione, la nouvelle vague non riguardò solo i critici ed i registi ma fu
anche un fenomeno economico che segnò il trionfo di pubblico del film a budget ridotto, da due a
cinque volte inferiore rispetto al costo medio dei lungometraggi commerciali di quel periodo e fu
molto remunerativo per i produttori.
Godard
Fu il più radicale dei registi del movimento; l’attività critica è stata per lui un’anticipazione
dell’attività come regista
“Frequentare i cineclub e la cineteca significava già pensare in termini di cinema e pensare il cinema.
Scrivere già significava fare del cinema… oggi invece di scrivere una critica, faccio un film; salvo (e non
Gianni) poi introdurvi la dimensione critica”.

“Fino all’ultimo respiro” fu il film manifesto. Ciò che conta è lo


Stile e Godard sperimentò molti generi per poi ribaltare le regole.
Fino all’ultimo respiro: focalizzarsi sulla scena della passeggiata (vedi link sul power point), in
questa passeggiata di Michel e Patrizia la macchina da presa è nascosta, come recita il mito, dentro
un camioncino e li riprendeva ad insaputa dei passanti in un movimento rettilineo a seguire e poi a
precedere. Il film presenta parecchie violazioni del linguaggio cinematografico come per esempio la
rottura della quarta parete, i jump cut, la discontinuità suono/immagine, quando il visivo compie
dei salti temporali mentre la voce è continua, l’ambiguità sonora, lo sparo contro il sole potrebbe
esserci stato o meno e le riprese in auto sono ‘vere’, fatto piuttosto inusuale all’epoca, dove si
preferiva girarle in studio con il trasparente: il direttore della fotografia, è sistemato nel sedile
posteriore.
Truffaut
Il più duttile degli autori della nouvelle vague, dimostra che tradizione e novità possono coesistere
e segue le regole del racconto cinematografico per poi modificarle. Esordisce nella regia a 27 anni
con il film ‘400 colpi’, film manifesto della nouvelle vague.
in esso lo spettatore si identifica con il protagonista ragazzino; l’autore descrive il percorso
esistenziale di un ragazzo dove l’infanzia è la stagione che si attraversa ambiguamente, tesa tra
dolcezza, costrizione e fuga. Il film racconta come un uomo può diventare adulto senza seguire
l’esempio degli adulti.
Doinel, J.Pierre Leaud: serie di film che hanno come protagonista Antoine Doinel, il protagonista
ragazzino de i 400 colpi. L’alter ego del regista e il personaggio che negli anni seguenti diventa il
perno di una narrazione scandita nel tempo per capitoli…
1. Antoine e Claudette, 1962, episodio del film collettivo ‘l’amore a vent’anni’;
2. Baci rubati, 1968;
3. Non drammatizziamo… è solo questione di corna, 1970;
4. Effetto notte, 1973;
5. L’amore fugge, 1978.
Politica degli autori: nasce con la pubblicazione di un articolo apparso su cahiers du cinéma nel
1955, scritto da Truffaut e intitolato ‘Alì babà e la politica degli autori. La politica ha come
caratteristica principale il principio secondo cui NON esistono film minori o migliori, che l’opera di
un regista va analizzata complessivamente e non a seconda del film. Secondo Truffaut, infatti, non
ci sono opere ma ci sono solo autori. Il concetto di autore si allarga anche al alcuni registi
commerciali, ad esempio, un regista come Alfred Hitchcock. Si segue l’opera nel suo da farsi, ossia
un film che viene analizzato deve essere più ampio, che è il progetto dell’autore. Un autore, per
essere tale, deve possedere particolari capacità di gestire la messa in scena. La messa in scena, nella
politica, è considerata l’essenza del cinema, è vista come un linguaggio universale da cui è possibile
individuare le caratteristiche del suo autore. La politica asce attraverso il contributo di alcuni critici
e teorici, dai quali i giovani di questa corrente hanno tratto spunto, come:
- André Bazin, da cui riprendono gli aspetti più teorici, come il concetto di autorità e di messa
in scena come espressione di un linguaggio universale;
- Alexandre Astruc, colui che ha concepito l’idea di camera-stylo, ossia la cinepresa come
strumento di libera espressione del regista-autore del film;
- Maurice Leendhardt, colui che ha iniziato a stilare classifiche di gradimento anche per
registi fino ad allora non ritenuti degni di particolari attenzioni.
Declino del movimento
Non è facile definire una data per la fine del fenomeno della nouvelle vague ma una prima crisi fu
certamente segnata da una serie di insuccessi commerciali dopo due o tre stagioni. Nonostante
tutto i film della nouvelle vague suscitarono l’attenzione a livello internazionale. Quelle succitate
divennero opere di riferimento per i giovani cineasti inglesi, cechi, polacchi, brasiliani, tedeschi,
italiani e persino del Québec.
Le altre nouvelle vagues
Negli anni sessanta si diffusero in molti pesi del mondo. I giovani allievi delle scuole di cinema, i
critici cineasti nascenti brasiliani, cecoslovacchi, tedeschi e iugoslavi trovarono nei film di Truffaut,
Godard… i modelli di un cinema diverso. Nascono:
- Free cinema inglese di Thomas Richardson e Reist;
- La scuola di Praga di Forman;
- Nuovo cienma ungherese di Jancsò e Elek;
- Junger Deutcher film tedesco (vedi nomi sulle slide perché a scriverli tutti e giusti ci
metteresti più del tempo impiegato per recuperare una lezione di un’ora e mezza);
- Cinema novo brasiliano dominato da Glauber Rocha e Ruy Guerra;
Infine in Italia troviamo Bernardo Bertolucci come l’erede della nouvelle vague.
Tornando negli Stati Uniti…

Hollywood Renaissance
La nouvelle vague ha avuto un peso importantissimo anche negli stati uniti, dove si sviluppa la
cosiddetta “nuova Hollywood”. Arriva molto dopo rispetto al periodo 59-62 ma arriva alla fine degli
anni ’60. Le date sono indicative: siamo tra il 1967 ed il 1975. Dopo il 1975 tantissime produzioni
cinematografiche hollywoodiane possono essere in qualche modo inscrivibili nella nuova
Hollywood. Non si tratta di un movimento ma di un ‘ristrutturarsi’ del sistema cinematografico
americano. All’inizio degli anni ’60, tanti autori giovani riescono a portare dell’innovazione
all’interno del cinema: negli stati uniti una serie di autori indipendenti da vita ad una serie di
esperienze che rompono le regole stilistiche del cinema classico hollywoodiano; siamo di fronte a
film che realizzano montaggi spezzati, riprese non fisse e strutture narrative talvolta non lineari
ecc.. sono influenzati dal cinema europeo e dalla nouvelle vague in particolare che nel usa circola
soprattutto grazie al cinema d’essai, dedicano la loro programmazione a film provenienti da altri
paesi del mondo. Queste sale attraevano giovani e intellettuali e passarono da avere nel 1950 un
centinaio di sale e solo a metà degli anni’60 superarono le 600/700, quindi uno sviluppo enorme
da parte della costruzione di sale, esercenti che si dedicano a fare conoscere il cinema non
americano (cinema inglese, neorealista). Questo modo diverso di fare cinema influenza la
successiva nuova Hollywood, gli autori si formano attraverso uno stie cinematografico che non
appartiene allo studio-system.
Come ha affermato Franco la Polla, docente di cinema, ha lavorato maggiormente su quello che è
stato il cinema americano e il nuovo cinema americano, ci dice
Verso la fine degli anni sessanta si assiste a quello che quantitativamente è probabilmente il massimo
tentativo di rinnovamento del cinema americano dai tempi del sonoro. 1978, Venezia.

una vera e propria rivoluzione.


Non esiste una definizione univoca per definire la nuova Hollywood, il termini si riferisce ad un
gruppo di film realizzato tra questi anni ma la definizione serve per descrivere degli aspetti che
differiscono dal cinema americano classico. Innanzitutto la nuova Hollywood si articola in tre
momenti particolari:
1) Primo momento dove vengono a costruirsi una nuova serie di personalità che realizzano
film indipendenti, non sostenuti dalle grandi case produttrice, basso budget e visione critica
e progressista della società, frutto del clima culturale dell’epoca;
2) Individuata la seconda fase quando un certo numero di autori costruisce una fase ‘autoriale’
dve compaiono dei cineasti giovani che diventeranno grandi autori del cinema americano
(Altman, Allen, Scorsese, Coppola, Spielberg successivamente quando nel 1975 quando
realizza Lo Squalo);
3) Terza fase, spettacolare, dove emerge con forza una produzione cinematografica non più
indipendente ma diventerà una produzione con uno grande slancio autoriale ma all’interno
del sistema produttivo americano. Di grande intrattenimento nonostante siano stati
prodotti da questi giovani autori. Lo Squalo, Il Padrino, l’Esorcista…
Hollywood è sempre stata capace di inglobare i cambiamenti e portarli dentro la propria industria;
opere come ‘lo squalo’ sono di intrattenimento, ha un’idea autoriale precisa ma che si inscrive nella
produzione cinematografica ma non rimane nell’indipendente. Questo è il merito del sistema
americano, inglobare film e autori che possono non allinearsi alla tradizione: si rende conto de
potenziale e si fa partecipe.
I film che escono tra il 67 ed il 75 sono molto diversi ma siamo comunque in grado di identificare
punti di contatto:
- Lo stile: cambia in maniera importante, ci sono due livelli su cui cambia lo stile
1. Di carattere narrativo, come vengono sviluppate le storie e le
sceneggiature, in molti di questi film non osserviamo più la struttura
narrativa classica (divisa in tre atti) del cinema americano ma ha delle
trame discontinue, divisione in più atti e finali aperti assolutamente non
previsti dal cinema classico;
2. Tagli delle inquadrature, jump cut ed elementi della nouvelle vague che si
insediano nel cinema americano e quindi spesso non c’è l’alternanza tra
campi e piani, viene fatto un uso molto largo del piano sequenza,
mancano le inquadrature di raccordo, molto spesso viene utilizzato lo
zoom o la camera a spalla per un effetto sporco. Anche il montaggio è
frammentato, vengono effettuati gli scavalcamenti di campo, cosiddetti
errori diventano infrazioni VOLUTE. Dal punto di vista narrativo c’è la
scelta di non rispettare la consequenzialità degli eventi ma si assiste alla
commistione con altri linguaggi (televisione, pubblicità e arte
contemporanea);
- Contesto sciale di riferimento, rivolte studentesche del ’68, movimenti per i diritti civili
(femminismo, diritti degli omosessuali e black power per esempio), contro-cultura giovanile
movimenti Hippy, la guerra nel Vietnam (64-65) e lo scandalo Watergate che portò alle
dimissioni del presidente Nixon; c’è un’emersione molto forte dei giorni, siamo in un
grande boom demografico post-guerra e quindi il cinema si rivolge ad una fascia di
popolazione molto giovane. Il cinema ha bisogno di nuovi ‘plot’ per rivolgersi ai giovani;
- Nuovo quadro industriale: è un contesto che cambia su vari elementi:
1. Piccole case di produzione indipendenti finanziate spesso da attorie.
Registi protagonisti dei film producono un numero elevato di pellicole;
2. Siamo di fronte al crollo del tradizionale star-system, in questo periodo si
affacciano nel panorama cinematografico un numero di attori, una nuova
oda, che non rispecchiano per niente i canoni e le regole dello star-system
(Dustin Hoffmann);
3. Emergono diversi registi di origine europea, fuggiti a causa della seconda
guerra mondiale, portano un modo diverso di intraprendere la storia
cinematografica e di fare cinema.
I temi: emersione specifica e diretta di temi quali la violenza, i conflitti sociali e il sesso, parecchio
trasgressivi rispetto al passato. Si sviluppano le nuove poetiche, della violenza, della nostalgia,
dell’iper-realismo; cade definitivamente il culto dell’eroe, i protagonisti sono anti-eroi, dei perdenti
e personaggi non in grado di ottenere un risultato. Molti film infatti non hanno un finale definito e
sicuramente non è, s c’è, un finale felice.
Un altro elemento di novità è il rinnovamento radicale di uno dei pilastri del cinema classico, ossia
dei ‘generi’. È l’elemento che da il ritmo alla produzione, durante questo periodo vengono
rinnovati. I film di guerra, per esempio, sono film durante questo periodo che si pongono in
funzione critica, dove emerge la grande critica, anti-militaristi; per esempio, siamo già nel 79, ma
apocalypse now, di Coppola. Andando indietro possiamo anche pensare al precursore, Stanley
Kubrick che, già nel 47, realizza ‘orizzonti di gloria’, grande critica alla guerra e al sistema militare.
Generi che si rinnovano ovunque.
Anche l’horror: l’allentamento della censura, la caduta del codice Hays, permette ovviamente a
questo genere di accentuare fortemente le caratteristiche della violenza. Ecco che abbiamo, nel 73,
‘l’Esorcista’, ‘Non Aprite quella Porta’ nel 1974, e la partecipazione nel genere anche di registi
impegnati, come Polanski che realizza ‘Rosemary’s baby’, nel 1968 rivoluziona il genere.
Un altro genere che si rinnova è il gangster. Nel 1972 Francis Coppola realizza ‘Il Padrino’, il regista
inserisce la mafia in un contesto italo-americano in un contesti iper-realistico in cui lavorerà anche
Martin Scorsese con Mean Streets nel 73 e successivamente Quei Bravi Ragazzi nel 1990. Il musical
cambia completamente faccia, nel 1973 esce Jesus Christ, Super star. Anche il comico cambia come
la fantascienza si rinnova completamente: nel 1964, con Kubrick che realizza ‘Il Dottor Stranamore’
e poi ‘2001, Odissea nello spazio’ che cambierà completamente il modo di affacciarsi nella
fantascienza, soprattutto per gli effetti speciali e le tematiche affrontate. I nemici non sono più i
marziano, gli alieni ma diventano le vittime del nostro sistema sociale (Dark Star, 1964, Carpenter).
Poi c’è anche il western, genere autoctono americano, che più identifica la cultura americana e che
osserva i miti fondativi e cambia completamente faccia perché non ci sono più i pellerossa cattivi
egli americano buoni ma l’esatto contraro: soldato Blu, 1970, Un uomo Chiamato Cavallo, 1970 e
Piccolo Grande Uomo sempre nel 1970, ribaltamento della critica, della riflessione su se stessa
dell’America.
Ci aiutano a comprendere le novità della nuova onda americana, facendo riferimento alla cultura
cinematografica classica.
Ci sono 3 film che segnano la rottura con il cinema classico:
- Bonne e Clyde, 1967 di Arthur Penn;
- Il Laureato, 1967 di Mike Nichols;
- Easy Rider, 1969 di Dennis Hopper.
Per diversi motivi contengono tutti gli elementi di innovazione, critica sciale, di individuazione di
un nuovo tipo di eroe.
Si indica “Bonne e Clyde” come il film che inaugura la nuova tendenza ala nostalgia, per quanto
riguarda il gangster che tanto è stato usato negli anni ’40, nostalgia anche per una serie di questioni
profonde.
Questi tre film hanno un enorme successo e sono tutti a basso budget. Il loro successo, pur non
essendo inscrivibili nel sistema tradizionale, spingerà i produttori ad investire in soggetti, attori,
autori nuovi e li spingerà ad investire nelle tematiche legate alla contro-culture. Grazie a questo
successo i produttori si rendono conto che è il caos di dare spazio a questo nuovo modo di
osservare la cultura americano e a questo nuovo linguaggio.
Bonnie e Clyde
Compie un capovolgimento vero e proprio. È un racconto più volte affrontato dal cinema, ma qui
l’ambientazione non è più urbana ma rurale, vengono mantenuti i valori dell’America pionieristica.
Ripercorre l’epopea americana, racconta la grande depressione mettendo in discussione l’
‘american way of life’, mettendo in primo piano il malessere delle nuove generazioni americane
anche in confronto al loro passato. “In Bonnie e Clyde, il passato diventa figura esemplare per
indicare una forma rivolta al sistema, un malessere di allora come di oggi e la reazione ad esso da
parte di chi ne ha abbracciato le istanze”.
Il Laureato
È questo il film che lancia Dustin Hoffmann come nuova star cinematografica ed è il film che in
qualche modo fa del ‘born loser’ il tema fondamentale. La storia è quella di un giovane laureato che
ritorna a casa, ha una fidanzata ma vive una relazione clandestina con la madre della fidanzata, la
vicenda emergerà e lui deciderà di portarsi via la fidanzata che ha però intanto aveva deciso di
sposarsi con un altro uomo; un uomo nato da genitori che hanno costruito il sogno americano, che
hanno dato qualcosa ai film ma essi si sentono persi.
Cosa ci racconta il finale del ‘Laureato’, si sente fuori posto, dopo una serie di vicende, decide di
andare a riprendersi la sua fidanzata e per la prima volta nel film è realmente felice, è soddisfatto e
sembra aver trovato quello che vuole ma quel momento dura poco perché entrambi i ragazzi
osservano quello che hanno davanti con sguardo vuoto. Rompono con la tradizione, col passato,
con la famiglia, vanno verso un futuro ignoto ma neanche questo li fa sentire bene, entusiasti, lo
spettatore, insieme a Hoffmann, si sente smarrito tanto quanto il personaggio. Non è un lito fine
anche se apparentemente va a coronarsi una storia d’amore. Siamo davanti a ragazzi insoddisfatti a
prescindere. C’è un’opposizione forte tra l’individuo e l’opposizione sociale. Abbiamo il desiderio di
fuga dall’istituzione familiare ma dall’altra non c’è una prospettiva.
Easy Rider
Film a bassissimo budget. Affronta la poetica della violenza, assistiamo alla rappresentazione della
violenza endemica nella realtà sociale americana, diventerà un manifesto e ha nel motivo del
viaggio un elemento che diventa simbolico del disagio della giovane generazione americana. La
struttura narrativa è quella tipica del viaggio dell’eroe ma non si tratta di un viaggio edificante ma
assolutamente problematica. Mette in crisi il sistema di valori americano e presenta una forte
ribellione alle istituzioni: il fuori legge diventa l’eroe. Il film mescola il western con il gangster
movie. Da quest’ultimo eredita un pessimismo di fondo e senso di sconfitta generalizzato mentre
del western il bisogno di fuga dai grandi spazi degli stati uniti: rifiuta il sogno di successo, di potere,
il sogno americano, incarna invece il mito della libertà all’interno della fuga. Pur utilizzando generi
della tradizione insieme, rifiuta in maniera radicale la cultura americana di provenienza di questa
nuova generazione di registi.
➢ Questi tre film, pur essendo assai diversi per quanto riguarda temi e generi, ci suggeriscono
l’idea fondamentale per cui la fuga e il bisogno di andare via da tradizione, regole e famiglia,
stare fermi è impossibile. Accantonare la tradizione per cercare la via di fuga, in questa fase
non è positiva ma la diventerà in altre fasi.

Cinema contemporaneo e postmoderno


Si tratta del particolare tipo di approccio al linguaggio del cinema che si impone a partire dagli anni
’90, non soppianta gli altri modi di fare cinema. In questo caso siamo di fronte ad una pratica, ad
un utilizzo dello strumento cinematografico differente ma non significa che in questo periodo si
realizzano solo opere postmoderne. Non si tratta di un movimento o stile vero e proprio, ma una
dominante culturale che ha a che vedere soprattutto con la letteratura ma anche il cinema.
Da cosa è caratterizzata questa dominante culturale?
▪ Ibridismo: ovvero dal crollo della distinzione tra cultura d’élite e di massa. Nel caso del
primo Batman di Tim Burton, la sequenza che si svolge all’interno del museo è una chiara
manifestazione di cosa significa criticare e mettere in discussione la cultura altra, lavorando
con la cultura di massa; ho una sequenza in un museo e Joker imbratta i quadri del museo,
lavoro con la pop art tenendo in considerazione le caratteristiche della cultura alta, tanti
riferimenti all’espressionismo tedesco ma altrettanti verso la cultura di massa.
▪ Frammentarietà: adattamento della psiche umana alla nuova esperienza della molteplicità e
alla serialità, della proiezione di nuovi punti di vista va a generare delle strutture narrative
innovative: Matrix o Pulp Fiction di Quentin Tarantino, strutture narrative scoppiate,
frammentarie che aderiscono a quello che è il nuovo modo di approcciarsi all’immagine
come al racconto.
▪ Superficialità: non intesa in senso negativa ma intesa nel senso del gusto per la ‘superficie’.
Il gusto estetico della messa in scena, pensiamo a film come I Tenenbaum o una serie di
lavori che mettono davanti a tutto il gusto ed il piacere per la ricerca di una bellezza
estetica.
▪ Euforia: data da una rappresentazione di un’emotività simile a quella di una persona con
caratteristiche psichiatriche e psicologiche particolari, come in Pulp Fiction.
▪ Omogenizzazione dello spazio: in uno spazio possono coesistere diversi universi spaziali,
Edward Mani di Forbice di Tim Burton è collocato in un’America periferica degli anni ’60,
medio-borghese e un castello gotico che si eleva in mezzo allo spazio tipico della ambiente
periferico americano (in questo caso California), far convivere spazi che solitamente non
potrebbero convivere. Con divisione dal punto di vista cromatico molto forte, colori pastelli
contrapposti ai colori scuri del gotico ed il tutto coesiste nella stessa narrazione.
▪ Presentificazione del tempo: è il caso di film, ancora una volta, come Pulp Fiction dove il
regista divide in sequenze e mescola come un puzzle dove il prima ed il dopo non hanno
senso. Un altro film è Forrest Gump, ci mette su uno stesso livello un susseguirsi di eventi e
del tempo storici importanti che appartengono alla storia degli Stati Uniti e che vive il
personaggio e tutto ci appare come qualcosa di presente: noi osserviamo tutte le avventure
di Forrest come qualcosa che ci appare nel presente ma in verità siamo nella cadenza i un
susseguirsi cronologico.
A queste caratteristiche si aggiungono delle consapevolezze degli autori che lavorano nell’ambito
de postmoderno. Da una parte abbiamo, per esempio, la consapevolezza dell’artificio e anche,
molto spesso, la messa in evidenza di meccanismi di finzione: nell’incipit di Beetlejuice, Tim
Burton, dopo un po’ ci rendiamo conto che lo spazio urbano che vediamo è un modellino, Tim
Burton ci mostra l’artificio. Ripresa di un modellino, svela allo spettatore la finzione. Modellino che
ha anche un ruolo narrativo. Fino al momento in cui non vedo comparire un ragno, penso che sia
solo un paesaggio ma poi mi rendo conto che si tratta di un modellino. Sono le cifre stilistiche del
regista in questione. Viene messo in evidenza l’artificio. Un altro elemento di consapevolezza è il
fatto che gli artisti appartenenti al cinema post moderno hanno un gusto per un intreccio
complesso e con una molteplicità di livelli di senso: in tanti dei film postmoderni, e tanti autori di
questo periodo ci presentano un film che può essere fruito d a uno spettatore medio che non ha
determinate competenze ma può essere fruito e goduto maggiormente da uno spettatore che invece
ha determinate competente negli ambiti della letteratura, del cinema, dell’arte, del fumetto e così
via… è ovvio che lo spettatore cosciente che guarda e si rende conto delle citazioni fatte al
‘Gabinetto Del Dottor Caligari’ osserva il film godendo maggiormente del film perché intuisce il
fatto che Tim Burton sta citando un’opera dell’ espressionismo tedesco. Questo però non vuol dire
che uno spettatore non possa divertirsi e appassionarsi al film guardandolo in quanto tale, è ciò che
fanno registi come i fratelli Cohen, Tarantino, Burton e che fanno tanti altri autori che si formano
ed emergono negli anni ’90 per poi essere tanto importanti anche nella contemporaneità.
Ciò è correlato al fatto che il cinema postmoderno è definito molto spesso dall’uso della citazione e
dalla costruzione di percorsi inter testuali che possono passare dalla letteratura, dal fumetto, dalla
pop art e dal cinema stesso. Non che ha una fortissima contaminazione fra i vari generi classici. I
film di Tarantino sono film che contaminano diversi generi cinematografici, si inseriscono
all’interno del western ma che poi si riferiscono a generi differenti che vanno dalla commedia al
poliziesco e così via.
Cosa definisce il passaggio da un cinema moderno a postmoderno?
Passiamo da un tipo di cinema dove l’immagine attesta la presenza reale del soggetto e
dell’ambiente ad un tipo di cinema dove l’immagine otto spesso è sganciata dal reale e diventa
qualcosa di virtuale: Matrix. Secondo Jullier, il primo film postmoderno lo rintracciato molto
prima ed è ‘Guerre Stellari’ del 1977. Considera questo film come un film-concerto, film-bagno: nel
senso di immersione soprattutto dal punto di vista sonoro con il Dolby stereo. Un altro autore, ora
retto dello IULM e docente di cinema, Gianni Canova scrive
Certo cinema ‘non produce senso ma sensazioni’. Non domanda di essere compreso ma sentito, mette
l’accento sul piacere fisico delle forme e dei colori in e e di porlo sul piacere intellettuale della conoscenza, e
si presenta come una suite di stimoli che sollecitano pure sensazioni da godere fisicamente, senza troppo
rifletterci su. Non c’è più distanza tra il film e lo spettatore: dalla comunicazione (che implica l’esistenza di
due poli separati) su passa alla fusione. Al ‘bagno’ di sensazioni. Vedere significa immergersi.

Sono parole che tuttora che possiamo ad


un certo cinema iper contemporaneo, pensiamo ad Avatar, ci rispecchiamo molto nella definizione
di Canova a riguardo: quando qualcuno guarda avatar si immerge in questo prodotto sensoriale, dci
da una vicinanza prima impensabile per uno spettatore cinematografico. Questo effetto di
sensazione e di bagno è stato però vissuto anche dagli spettatori di Star Wars nel 1977 dove entro
dentro ad un mondo e ad una storia. In superficie io godo di uno spettacolo che tocca vari sensi del
mio corpo perché mi inserisco dentro a quello spettacolo. Al contempo però, se sono uno spettatore
consapevole, capisco che ci sono riferimenti ad Akira Kurosawa (regista), a tanti elementi della
storia del cinema e della letteratura da parte di George Lucas che mi da la possibilità di coglierli
esattamente come non farlo. Intanto posso vivere un’esperienza sensoriale e a seconda del mio
livello di conoscenza della cultura alta. Bassa che sia posso accedere ad altri riferimenti culturali. Il
fatto che i registi post mordermi lavorino su più livelli culturali è una costante. Mi diverto
guardando Matrix ma posso afre un’esperienza più alta, anche filosofica avendo le competente. Il
regista però ci tiene ad arrivare anche allo spettatore che va al cinema per svagarsi e basta.
Altro elemento di rottura rispetto al moderno e al classico è la gestione del tempo: nel cinema
classico (hollywoodiano) il tempo si realizza nell’azione ed è continuo e lineare e conferisce unità al
mondo rappresentato; nel cinema moderno L’Unità del tempo si frammenta, si disperde mentre
nel cinema postmoderno, 15/20 anni dopo, vengono esplorati nuovi modelli di temporalità che
tante volte possiamo accostare alla video arte, al loop. Il tempo I’m molti film post non segue la
differenza atra passato presente e futuro ma si avvolge su se stesso a mo di spirale, eccede rispetto
alla linearità e ai limiti di durata del film e spesso diventa ciclico. Pensiamo a molti film di David
Lynch, dove viviamo una ciclicità del tempo dove lo spettatore si arrovella per cercare di capire
cosa è successo prima o dopo. Il tempo, dunque, è un gioco con cui poter sperimentare. Film come
Pulp fiction, Kill Bill o Memento applicano una sperimentazione all’interno di quella che è la
linearità narrativa ma rispettano comunque la comprensibilità degli avvenimenti.
Kill Bill frammenta la narrazione, ci chiede un impegno nel comprendere lo sviluppo arativo e
tuttavia, pur non essendo completamente lineare, lo spettatore riesce a ricostruire quanto avviene
nel film. Lo stesso avviene per Pulp Fiction che sposta le sequenze in maniera non lineare. Alla fine
del film però ho capito il senso di cosa è successo.
In film come ‘strade perdute’ e ‘Mulholland Drive’ o ancora di più ‘Inland Empire’ di David Lynch
non abbiamo soltanto la struttura narrativa spezzata in due parti a mettere in crisi lo spettatore ma
c’è il fatto che i personaggi messi in scena cambiano prospettiva ed identità dal primo al secondo
tempo, quindi lo stato di veglia e di sonno dei protagonisti sono intersecati e lo spettatore fa molto
fatica a capire se il personaggio è in uno stato di veglia o di sonno, se quella cosa è successa
veramente o appartiene a una immaginazione/situazione onirica del personaggio. Sono film
importati perché il regista va oltre la caratteristica ludica della frammentazione del tempo che è
una caratteristica tipica di Tarantino, si diverte e fa divertire lo spettatore nella manipolazione del
tempo. Lynch va oltre, dimostra la possibilità di racconti possibili anche in situazioni temporali
non identificabili e qua se si pensa all’universo Marvel e alla sua gestione del tempo nella
contemporaneità siamo nei figli della sperimentazioni di Lynch di ‘tempi altri’.
Contemporaneamente in at si film assistiamo ad una crisi del soggetto: abbiamo personalità con
problemi psichici mostrati e portati in scena, abbiamo la rappresentazione di personaggi che hanno
una frammentazione della loro individualità, con problemi di schizofrenia, che hanno dei disagi
mentali che questi autori riesco a trasferire in immagini.
Lo spazio anche è uno spazio critico di rappresentazione. Nel caso di Edward Mani di Forbice può
essere ibrido, ma spesso può esserci la rappresentazione di spazi frammentati, disorientati,
l’immaginario urbano per esempio assume dei caratteri molto vicini al fumetto. Tante volte le
storie sono ambientate n quelli che vengono definiti ‘non luoghi’ (centri commerciali, aeroporti);
pensiamo a The Terminal di Spielberg, si svolge completamente in un aeroporto che è per
definizione un non luogo. Il riferimento al cinema in questo film è il cinema stesso, si tratta di
registi assolutamente cinefili, grandi conoscitori della storia del cinema che, o in maniera ostentata,
o in maniera più nascosta o delicata ci mostrano quanto ne sanno di cinema e richiedono una
complicità allo spettatore.
Citazionismo
Tarantino fa del citazionismo la sua cifra stilistica, è da considerarsi forse il principale
rappresentante del cinema post moderno, e lo stile di tarantino influenza un’intera generazione di
autori. Nei suoi film troviamo una moltitudine enorme di richiami che utilizza per rifondare e
rimescolare i generi per costruire un nuovo e innovativo linguaggio cinematografico. Lui è cresciuto
in una videoteca, pertanto ha avuto modo di guardare centinaia e migliaia di film appartenenti alla
storia del cinema, appassionandosi a cinema altri o b-movie che non hanno fatto la storia del
cinema, generi che tarantino è riuscito a riportare a conoscenza e a far studiare: per esempio il
filone erotico italiano, misconosciuto e non apprezzato dalla critica e quindi sicuramente non agli
ambienti accademici; ne un elemento portante dei suoi film ed ecco che la mostra del cinema di
Venezia organizza delle retrospettive sui film di questo filone ed ecco che esplode la ricerca di
questo come di tanti altri generi. Riporta alla visione opere completamente dimenticate: Kill Bill,
ripresi western americani, Sergio Leone, citati thriller e horror appartenenti alla grande tradizione
di horror italiani (anche Dario Argento) e tanti riferimenti al cinema giapponese, americano
classico, Bruce Lee e le arti marziali, tutto inserito in un film diviso in due parti. Se però
conosciamo Fulci, Argento, Ford, Leone è chiaro che ogni sequenza ci strizza l’occhio e capiamo da
dove arrivano le citazioni. Spettatore consapevole. Non significa però che una persone che non
ha quella formazione cultuale non possa divertirsi guardando quel film. Autori che possiamo
considerare dipendenti che si occupano di tutto il processo filmico, controllo totale sulle opere,
hanno un approccio completamente postmoderno ma al contempo sono autori che riescono a
costruire opere dia grandi incassi. Realizzano opere che, seppur indipendenti, non hanno niente di
diverso dalle opere prodotte dagli studios hollywoodiani.

I fratelli Coen
Ten decide di andare al cinema e deve scegliere tra un film turco e uno di René ma sceglie quello
turco e si sente emozionato e decide di ringraziare il ragazzo della biglietteria che lo ha aiutato a
scegliere il cinema. Ci mostra cosa è il cinema per i fratelli Coen. Si sono formati seguendo corsi di
cinema a New York, laureati a Pringston e sono cresciuti guardando film al cinema e in televisione
e il loro interesse è di fare appassionare e hanno una visone che appartiene a livello viscerale a
quello che è il cinema americano, che vuole avere una partecipazione di pubblico in sale; al
contempo sono registi estremamente acculturati non solo dal punto di vista cinematografico ma
anche filosofico e letterario. Attraverso i loro film sono riusciti ad avere incassi elevatissimi e
quindi ad inserirsi nell’industria del cinema ma contemporaneamente riescono a lavorare con lo
spettatore attraverso più tracce: in questo caso quello che sa cos’è la ‘regola del gioco’ di René
intuisce l’importanza di quel film è l’importanza di buttarsi in una sala e vedere un film sconosciuto
per vedere una nuova cinematografia. Sono autori di genere e non vanno contro la regola del
genere cinematografico classico hollywoodiana, cavalcano il genere e dentro di esso portano la loro
autorialità: realizzando quello che si chiama un ‘pasticcio post moderno’, mischiano
completamente e continuamente le carte. La loro autorialità, più che in movimenti di macchina o
soluzioni di montaggio, va cercata proprio nella rivisitazione originale e profonda nei modi che
hanno reso solito il cinema classico hollywoodiano. I generi classici hollywoodiani, western,
classico, musical, noir, sono il loro elemento di indagine ed è lì che collocano la loro capacità
autoriale: inserirsi nella fortuna dell’industria hollywoodiana classica.
Sul genere dicono
“Generalmente, quello che ci interessa nel nostro rapporto con un genere, è di deludere l’attesa dello
spettatore che è condizionato dalle regole e dai cliché, per spingerlo nella direzione opposta. Più il nostro
film sembra citare altri film appartenenti al genere, più noi tentiamo di minare il genere dall’interno,
modificando le situazioni, le reazioni dei personaggi, i loro rapporti”

capisco che manipolano il genere se lo conosco.


Il materiale citato deriva in gran parte dalla golden age dello studio-system americano (anni ’30
alla fine degli anni ’50). Sicuramente il genere che amano di più e che accomuna molte delle loro
opere è il noir, a volte con toni più marcati e a volte più sfumato. Per esempio ‘L’uomo che Non
C’era’, girato in bianco e nero negli anni ‘2000, si tratta di una rivisitazione di un film noir dove il
protagonista è un barbiere e dove il bianco e nero ed il gioco dei contrasti gioca un ruolo
fondamentale; ha avuto incassi interessanti perché è anche divertente, ha una struttura narrativa
avvincente e appassionante e arriva anche ad un pubblico medio-basso. Altri esempi del cinema dei
fratelli Coen, tra i casi più importanti di contaminazione c’è ‘Il Grande Lebowski’.
Il Grande Lebowski: liberamente ispirato a ‘il grande sonno’ di Raymond Chandler, siamo dentro
ad una storia che basa le sue radici nel noir e che mescola i generi passando da un film di detection,
ad una commedia dove lo spettatore ride, a dialoghi surreali fino ad arrivare ad alcune scene di
musical, che viene utilizzato in sequenze oniriche ma che cita espressamente i musical classici
hollywoodiani, piccolo film dentro al film. Si tratta di una ragazza apparentemente stata rapita ma
che si è rapita da sola. Sogna una sorta di film che lo vede protagonista ed è un musical. La
citazione del musical e l’inserimento all’interno della commedia. Da una parte si divertono a
giocare con i generi, dall’altra riescono a portarci dei personaggi che hanno una complessità
interiore molto forte.

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