Dove siamo? Siamo alla fine del 1895, è il mese di dicembre, è il 28 dicembre 1895.
Chi sono i fratelli Lumière? Sono due giovani, figli di un produttore di pellicola fotografica
che cominciano ad adoperarsi per mettere a punto un dispositivo che sia capace di
proiettare pellicola in movimento, brevettano un apparecchio che chiamano
cinématographe (cinematografo). Organizzano un piccolo evento in cui proiettano queste
mini vedute dove rappresentano in modo convenzionale la storia del cinema, l’inizio dello
spettacolo cinematografico, poiché per la prima volta delle persone si riuniscono e assistono
alla proiezione di pellicola cinematografica. Ovviamente questo accade un po' ovunque:
Germania, Francia, Stati Uniti ecc.
Perché questa viene considerata la prima proiezione pubblica? Perché quella sera a Parigi
nasce lo spettacolo cinematografico, nasce un nuovo modo di aggregarsi e di fluire in
qualcosa che prima era inedito e che poi vedremo insieme avrà un impatto molto forte sulla
società del 20esimo secolo.
(inizio della ripresa)Vediamo questo porto, questo ingresso laterale da cui escono uomini e
donne ,si dirigono un po' a destra e un po' a sinistra, qualcuno esce con la bicicletta, insomma
da subito possiamo notare una forte dinamicità però unita a una caratteristica dei primi
film, cioè l’inquadratura fissa, se io prendessi una qualunque clip di un film girato qualche
anno dopo, potremmo notare un sacco di cose: la macchina da presa si muove, che ci sono
stacchi di montaggio, ci sono dettagli, primi piani, campi medi. Qui invece abbiamo
un’immagine fissa, dove tutto accade all’interno e nel momento in cui si interrompe la
ripresa, si interrompe la proiezione.
Qui c’è una forte profondità di campo, riusciamo a vedere fino in fondo questo spazio dove
entrano e escono gli operai, c’è una porta accanto che dà ancora più profondità e dinamicità
all’inquadratura, questo dimostra che i fratelli lumiere conoscevano bene l’immagine
fotografica, conoscevano bene come impressionare ed è per questo che hanno preso
importanza e sono considerati quelli che hanno dato inizio al mondo cinematografico.
Anche qui lo stesso discorso, siamo in un’altra città, abbiamo l’arrivo dei congressisti, che
arrivano per una riunione importante via fiume, quindi diciamo tutte queste diagonali che
occupano l’inquadratura: la passarella, la banchina, il ponte. Addirittura riusciamo a vedere
il paesaggio, quindi sebbene ci troviamo di fronte a un’inquadratura singola, riusciamo a
cogliere il momento e quindi l’arrivo dei congressisti: c’è chi si saluta, qualcuno si toglie il
cappello; c’è un rapporto con la ripresa che nella narrazione andrà a sparire.
Successivamente c’è un momento di vita quotidiano (minuto 02.34): la colazione del
bambino (oggi si utilizzano le fotocamere dei cellulari per imprimere un ricordo di un
momento intimo, quotidiano che però rappresenta una riunione familiare, come in questo
caso. L’arrivo della fotografia rappresenta proprio un momento privato di vita, poiché si
vuole provare a fermare un momento della propria vita di tutti i giorni.
Abbiamo questo giardiniere che sta innaffiando, arriva il ragazzo e rompe il flusso della
pompa e poi sta per uscire dall’inquadratura e poi il giardiniere lo riporta dentro. Sono
brevissime durano poco più di un minuto, però sono esaustive nel voler raccontare qualcosa.
I soggetti hanno rapporto diretto con l’operatore? I fratelli lumière non sono artisti, vogliono
fare quello che noi oggi diremmo “business”, vogliono che tutti comprino questo dispositivo,
lo brevettano per venderlo, quella sera hanno voluto un po' mostrare i vari usi che possono
fare con questo cinématographe: puoi riprendere il tuo bambino, puoi riprendere eventi
importanti della città ecc. Stesso loro mandavano nelle piazze gli operatori che facevano di
tutto per creare interesse, misero appunto delle strategie di marketing anche per attirare
l’attenzione dei cittadini, inoltre dopo questa proiezione, i fratelli lumière mandarono i
propri operatori, in giro per tutto il mondo e c’è un sito che è appunto il sito dell’archivio
Lumiére in cui ci sono catalogati per luogo e per data tutto quello che loro hanno fatto,
quindi andavano in giro per il mondo(vennero anche a Napoli) poiché così creano
l’attenzione nel pubblico per poter vedere dei luoghi in cui non erano mai stati, quindi si
andava ad assistere a queste proiezioni per poter finalmente vedere delle città che magari
si conoscevano attraverso i dipinti, come il caso di Napoli. Il cinematografo prende il posto
della pittura, dopo ci sarà la fotografia.
Ci sono delle riprese organizzate ad esempio la prima che abbiamo visto (quella degli operai)
quella è una ripresa organizzata, lo capiamo da tante cose: da come sono vestiti gli operai,
sono vestiti da festa, gli uomini hanno il cappello, ma sappiamo benissimo che gli operai di
fine ‘800 non sono vestiti così per andare in fabbrica.
Statuto dell’immagine: quando noi vediamo qualcosa siamo portati a pensare che quella
cosa sia vera, invece il cinema è la rappresentazione visiva, così come l’audiovisivo in
generale vive di questa cosa(?)
Quando andranno a riprendere i paesi dell’Africa subsahariana piuttosto che a Tunisi o Algeri
hanno l’interesse di mostrare una parte che è molto particolare della realtà fino ad arrivare
alle riprese documentaristiche durante il periodo del fascismo che mostrano un’Africa
orientale disposta in maniera differente. Per questo quando vengono a Napoli ci tengono a
far vedere le cose più belle della città, anche i luoghi legati alla storia (Pompei, il Vesuvio)
c’è un’iconografia, diciamo che c’è sempre un intenzione di voler comunicare qualcosa, non
a caso loro arrivano a questo nome “cinematografico”, all’inizio avevano pensato a un altro
nome(domitor: contrazione latina di –dominator e non è un caso che abbiamo pensato a
una parola che in italiano significava “dominatore” perché loro avevano introdotto nella
rappresentazione “un occhio che domina”).
Lezione del 9/10/20
La storia del cinema comincia con una prima proiezione pubblica dei fratelli lumiere, la data
convenzionale coincide con questo evento che organizzano i due fratelli a fine ‘800. Quando
poi si affermano i primi studi della storia del cinema si sono andato ad individuare una serie
di dispositivi che sono chiamati pre-cinema, che racchiudono una serie di spettacoli che sono
molto prossimi a quello organizzato dai fratelli lumiere a Parigi nel dicembre del ’95, una
sorta di antenati, gli studiosi hanno rintracciato una serie di apparecchi molto vicini a quello
che sarà il cinematografo.
Il cinema è un’arte della riproducibilità tecnica, il film è una copia riproducibile, cosa che non
accade in teatro perché se lo spettacolo viene ripetuto non sarà mai uguale se il teatro
cambiai pubblico. Invece il film come oggetto artistico si chiude in una pellicola che si chiude
in una scatola e viene poi riprodotta.
La lanterna magica è uno dei dispositivi di pre-cinema più prossimo rispetto al
cinematografo dei fratelli lumiere, le lastre di vetro rettangolari inserite in un dispositivo e
attraverso dei fasci di luci abbiamo la proiezione sullo schermo, molto simile allo strumento
delle diapositive. La lanterna magica arriva in Europa nel ‘600, viene importata dall’oriente,
ha uno scopo di intrattenimento dove c’è il lanternista che proietta delle immagini seguite
dalla narrazione. Dopo quest’uso di piacere la lanterna magica si diffonde anche come
strumento didattico, nelle chiese per raccontare storie legate alla Bibbia o al Vangelo, nelle
scuole come supporto didattico.
Nel 700’ si diffonde un altro tipo di spettacolo chiamato Mondo Nuovo, una grande scatola
dove all’interno venivano poste delle immagini che venivano fatte girare, si facevano vedere
scene legate dai racconti. Le persone hanno sempre avuto bisogno di vedere la
rappresentazione dei fatti realmente accaduti, come la decapitazione della regina di Francia.
Alle spalle di questa scatola era presente una tenda chiama Panorama, allestita con una serie
di immagini legate ad un paesaggio, si entrava dentro e girandosi su sé stessi si poteva
godere di una visione panoramica di un luogo. La questione del movimento è quello che
porta i fratelli lumiere a sperimentare sulla pellicola e aggiungere quello che la fotografia
non aveva, potendo afferrare tutte le sfumature del movimento.
I fratelli Lumiere brevettano il cinematografo nel 1895, qualche anno prima un altro pioniere
di questi dispositivi aveva creato il kinetoscopio, una scatola che consente una visione
monoculare di pellicola in movimento. Nel 1891 negli Stati Uniti si diffuse molto
velocemente perché le persone erano molto attratte da questo dispositivo, e quindi si avvia
un business, le persone entrano in queste sale. La differenza tra il kinetoscopio e il
cinematografo è che quest’ultimo può CONSENTIRE LA VISIONE COLLETTIVA, tante persone
che fruiscono della stessa visione.
La proiezione dei fratelli Lumiere da origine allo spettacolo cinematografico e da quel
momento in poi inizia la storia del cinema che vivrà una serie di segmentazioni, la prima è
quella tra cinema muto e quello sonoro. Per quanto riguarda il cinema muto ci si riferisce
all’impossibilità delle apparecchiature di ripresa di registrare suoni e rumori. La musica
(anche la colonna sonora) accompagna lo stato d’animo dei personaggi, enfatizza le
situazioni.
1895-1905 la cui produzione viene definita delle “attrazioni mostrative”, mostrazione di
qualcosa non narrazione e quindi l’interesse è nel vedere i personaggi in movimento.
I primi imprenditori del cinema, coloro che hanno investito i soldi nel cinematografo,
capiscono che bisognava integrare la narrazione, e iniziano a nascere i primi film. Bisogna
trovare gli attori e le attrici capaci di interpretare dei ruoli, in una maniera un po’ particolare
perché dovevano privarsi della propria voce, negli anni ’10 cominciano a nascere case di
produzione che invece volevano dichiarare che il film verrà interpretato non da attrici e
attori improvvisati, quindi per far affermare l’arte del cinema che abbia la stessa dignità della
letteratura. Nei primi anni del ‘900 c’è la prima differenziazione tra le produzioni, quelle con
temi più semplici e altre con temi invece più importanti.
Per poter parlare di temi così importanti vanno a vedere i dipinti, le illustrazioni di chi ha già
fatto un lavoro di trasposizione prima del cinema, quando la Liguori film insieme alla Milano
film che mettono mano alla realizzazione di un film come l’inferno vanno a vedere come
Gustav Dore ha rappresentato l’evento, la scena, i costumi le impostazioni è identica alla
rappresentazione di Dore. Quest’operazione è una sorta di strategia di legittimazione
artistica del film nei primi anni del ‘900, in particolare 1910-1920, c’è un’accelerazione di
questo processo, da un lato dello sviluppo del linguaggio cinematografico e dall’altro anche
la legittimazione artistica di soggetti presi dalla letteratura e dal teatro.
Lezione del 13.10.2020
Questione Disney
Ieri ho letto di una decisione presa dalla Disney di rinunciare all’uscita in sala di quello che
doveva essere il film di punta della Disney per quanto riguarda il 2020 che è Soul. Hanno
deciso di rinunciare alla distribuzione nelle sale e di diffonderlo solo attraverso piattaforma.
Per quanto riguarda Mulan c’è una differenza rispetto a Soul: Mulan credo sia un live action
che parte da una sorta di rifacimento di un film che è già stato lanciato anni fa dalla Disney;
Soul invece è una produzione nuova, con una storia nuova, con un team che ha contribuito
a creare e mettere nell’immaginario Disney una nuova storia, è un film su cui Disney ha
puntato tantissimo e che sicuramente, in condizioni normali (come è accaduto per gli ultimi
film nuovi di Disney), avrebbe attirato un numero impressionante di spettatori, non solo
bambini, ma anche un pubblico adulto.
Ovviamente oggi, a seguito della notizia, c’è stata una presa di posizione da parte degli
esercenti. Cosa significa tutto questo? Se Disney, che rappresenta il colosso del cinema
d’animazione e che ha un ruolo indiscusso di leader di questo tipo di produzione
cinematografica, rinuncia alla distribuzione di Soul c’è una parte che può avere dei forti
interessi nel cambiare il tipo di fruizione. Chiaramente da un lato c’è una ricaduta economica
sugli esercenti, sui distributori, allo stesso tempo però dalla parte dello spettatore e della
spettatrice c’è un modo di vivere il film completamente diverso.
Come dicevo la scorsa volta, perché il cinematografo Lumière soppianta il kinetoscopio
Edison? Perché sono due esperienze diverse: l’esperienza Edison, il kinetoscopio Edison, mi
pone di fronte, da sola, ad un apparecchio dove io guardo e vivo quest’esperienza in un
modo individuale; invece il cinématographe Lumière, come il cinema, ci pone di fronte ad
una visione collettiva ed è quello che poi renderà così potente il cinema al punto che, in
qualche modo, diventerà l’arte del ‘900 e l’arte della contemporaneità per eccellenza.
Oggi invece dopo l’accesso ad Internet, nasce soprattutto un momento molto particolare
che è quello del social network, cioè di quel tipo di relazione sociale che ci consente di
comunicare a distanza attraverso dei dispositivi, quindi escludere le relazioni fisiche,
escludere un tipo di relazione che ha un senso molto forte ed in qualche modo anestetizzare
tutt’una serie di possibilità relazionali e, allo stesso tempo, capace di renderci più violenti.
Quello che accade con il cinématographe Lumière, lo spettacolo collettivo, è quello che ha
fatto grande l’arte cinematografica e, tra l’altro, anche per contestualizzare e attualizzare il
discorso, l’ha fatto utilizzando un modo di percepire e vivere l’esperienza spettatoriale in
maniera molto forte perché ai primi del ‘900 si assiste allo spettatore o alla spettatrice
europea d’inizio secolo che entra in una sala, si siede al buio, ascolta i rumori, poi si deve
pensare che quando c’è l’orchestra, la musica (pensate anche ad oggi, quando andiamo al
cinema viviamo un’esperienza completamente unica).
Disney ha fatto la storia del cinema, ha creato ed inventato lo spettacolo cinematografico di
animazione, arricchendo pellicola dopo pellicola, alimentando l’immaginario, entrando in
questioni geopolitiche portanti; sappiamo anche quanto la questione di genere sia presente
e a quanti dibattiti abbia dato vita anche un certo tipo di narrazione classica nei determinati
ruoli femminili e maschili. Il fatto che Disney accetti e promuova questo tipo di fruizione in
prima visione di un tipo di film che aveva grandi aspettative sul pubblico, fa capire come
tutto questo sia fortemente messo in discussione; dunque ognuno di noi a casa, attraverso
la piattaforma, come accade per Mulan, pagando una cifra altissima può vedere il film,
altrimenti bisogna pazientare fino a febbraio quando entrerà nell’offerta dietro
abbonamento; non sarà come andarlo a vedere al cinema, non avrà la dimensione
dell’evento con il quale il cinema è nato e si è affermato e che comunque ancora oggi ha.
Il cinema a Napoli
Nei primi anni del ‘900 abbiamo visto i fratelli Lumière immettere sul mercato questo
dispositivo, il cinématographe, che ha una diffusione davvero capillare, enorme; vengono
anche a Napoli a riprendere la città, a riprendere la vita dei napoletani. Inizialmente il cinema
a Napoli entra in un tipo di offerta culturale di intrattenimento molto popolare, le prime
proiezioni si tengono ad esempio nei caffè, nei saloni, in luoghi dove si andava a bere e ad
ascoltare la musica, dove c’erano le sciantose che cantavano o dove c’erano numeri di
tarantelle, in luoghi popolari dove il cinema subentra ed arricchisce l’offerta di
intrattenimento. Però, come dicevamo la scorsa volta, quando si comincerà a sentire le
potenzialità, anche artistiche, del film cominciano ad essere create ed avviate delle
produzioni napoletane: Napoli diventa nei primi anni del ‘900 una delle grandi città del
cinema. Torino, Milano, Roma e Napoli sono le grandi città del cinema italiano.
Teniamo presente un po’ di fattori anche di ordine storico e politico: il processo di
unificazione nazionale, in senso compiuto, si concluse nel 1861, (ma ci siamo ancora dentro
perché ancora abbiamo un’Italia, per tanti aspetti, un po’ divisa), dunque dobbiamo pensare
che nel 1905/1906 abbiamo delle cittadine che pochi decenni prima si trovavano a vivere in
un sistema diverso e quindi le varie città – e Napoli in particolare – si trovano a vivere un
momento particolare; anche perché Napoli fino al processo di unificazione nazionale era una
capitale, era una capitale soprattutto culturale, dal’ 700 in poi era nel Grand Tour europeo
perché a Napoli arrivavano gli artisti, i letterati, abbiamo delle pagine molto belle scritte da
grandi scrittori (come Goethe) che descrivono la vita della città. Napoli ha una cultura e un
patrimonio culturale e artistico autoctono: a Napoli abbiamo la canzone napoletana, il teatro
napoletano, la letteratura napoletana, la poesia napoletana, e quando parlavo dei primi
artisti, i primi produttori che vogliono affermare la dignità artistica dei film e della Milano
film che va a prendere l’Inferno di Dante, poi va a prendere l’edizione illustrata, le
illustrazioni e mette mano ad una messa in scena filmica. A Napoli le case di produzione non
vanno a prendere l’Inferno di Dante, vanno a prendere il teatro di Viviani, la canzone
napoletana, abbiamo tanti film ai primi del ‘900 che riprendono la canzone napoletana:
Torna a Surriento, per esempio, ‘O sole mio. Che cosa si fa? Si prende la classica canzone
napoletana e si drammatizza il contenuto, in questo modo, chi ama tanto la canzone Torna
a Surriento, una volta che scopre – attraverso le locandine che c’è un film che la riprende –
ha voglia di vederlo.
L’importanza del cinema napoletano non è assolutamente secondaria per una serie di
motivi. Qui possiamo in qualche modo anche tornare al breve tour Lumière e anche a quello
che i Lumière hanno pensato perché intanto, tra fine ‘800 e inizio ‘900, quando si compie il
processo di unificazione nazionale moltissimi meridionali emigrano al nord Italia, verso gli
Stati Uniti e America Latina. Anche quando, negli anni ’10, il governo italiano intraprende
l’impresa coloniale in Libia, in realtà, il governo giolittiano pensa alle colonie africane del
Nord Africa anche come un luogo in cui tanti meridionali, che allora erano italiani per la
prima volta e che però non avevano possibilità di trovare lavoro, potessero poi diventare
cittadini italiani delle colonie. Cosa c’entra il cinema? Il cinema c’entra perché molti film
vengono anche pensati per essere esportati e visti dal pubblico italiano negli Stati Uniti ad
esempio, che è soprattutto un pubblico meridionale perché poi, come sappiamo, nella storia
della migrazione la parte della popolazione interessata all’emigrazione è una parte dei
meridionali e quindi nei cinema newyorkesi vengono mostrati, programmati i film muti
napoletani che attirano il pubblico di immigrati; quindi, andare a vedere Torna a Surriento a
New York, negli anni ’10, quando non c’è Skype, non c’è WhatsApp, non c’è Facebook, non
c’è il telefono, diventa un modo per sentirsi a casa.
Perché facevo riferimento ai Lumière? Perché quando essi realizzano la piccola veduta della
colazione del bambino indicano, in qualche modo, che il cinema può avere anche un
qualcosa di intimo, di legato e di affettivo che in qualche modo si riattiva nel cinema degli
immigrati che è il cinema fatto a Napoli e che è un cinema che viene fortemente distribuito
negli altri paesi. Quindi, da un lato c’è una produzione mirata, ad esempio, ad un pubblico
napoletano che è a Napoli, (ovviamente ricordiamoci sempre della Napoli preunitaria, la
Napoli preunitaria è una Napoli capitale, una Napoli riconosciuta anche dai calabresi, ‘O sole
mio è una canzone che cantavano anche in Calabria negli anni ‘10 come Torna a Surriento),
dall’altro, il cinema napoletano che racconta Torna a Surriento diventa attrazione anche per
chi è un po’ più colto, un po’ più interessato alla cultura alta napoletana, quindi al grande
teatro napoletano, ai grandi temi, che sono anche i temi iconografici delle immagini che i
grandi pittori europei dipingevano quando venivano a Napoli, come Santa Lucia o il Vesuvio.
Quindi, ad esempio, il pubblico parigino va a vedere il film napoletano perché prova un
piacere nel vedere delle scene e qui si apre un altro tassello: la questione delle scenografie.
La questione delle scenografie
Nei primi film le scenografie sono scenografie dipinte; che cosa si fa? Si girano i teatri di posa
che sono dei grandi ambienti, come poi negli anni ’30 a Cinecittà, non sono delle
rappresentazioni teatrali registrate e adesso spieghiamo anche il perché.
•DOMANDA→Quand’è che si cominciano a fare i primi film con gli attori?
•Ogni cinematografia nazionale ha delle date diverse: negli Stati Uniti si comincia intorno al
1902/1903, in Francia idem, ad esempio c’è un primo grande pioniere del cinema che è
Georges Méliès.
Georges Méliès
Georges Méliès gira una serie di film nei primissimi anni del ‘900, ad esempio, Viaggio nella
Luna che è un film del 1902.
È uno dei fotogrammi del Viaggio nella Luna, un film del 1902. I fratelli Lumière organizzano
la prima produzione pubblica nel 1895, quindi 7 anni prima di Méliès. Méliès (si legge la S
finale) è regista e produttore di questa pellicola e di tante altre, è un illusionista francese,
dirige un teatro illusionista, un teatro dove si fanno trucchi, magie, sparizioni e apparizioni,
un teatro dell’illusionismo, Teatro Houdin. Quando i Lumière organizzano questa fatidica
proiezione pubblica anche lui va a vedere le prime vedute Lumière e rimane estremamente
incuriosito da questo dispositivo e ne coglie in qualche modo le potenzialità spettacolari;
infatti, Méliès viene popolarmente ricordato come il padre del cinema di fantascienza.
Un homme de têtes – Georges Méliès
Che cosa fa Méliès? Vi faccio vedere qualche fotogramma non del film, ma di altre cose che
fa: Un homme de têtes del 1898, quindi lui acquista il cinématographe Lumière molto presto.
https://www.youtube.com/watch?v=AYY0T1TRKPE
•DOMANDA→ È ispirato dal libro di Verne?
•Assolutamente sì, girerà anche Viaggio attraverso l’impossibile. Molto spesso nel primo
cinema, quando si vuole mettere mano a qualcosa di narrativo c’è il ricorso alla letteratura,
allora Méliès che è un illusionista, un uomo che fa spettacolo, che fa trucchi, magie, quando
vuole fare il primo film che non sia di pochi secondi o pochi minuti, ma vuole fare in qualche
modo il salto di qualità, va a prendersi la letteratura fantastica di Jules Verne e mette in atto
una sorta di primissimi adattamenti letterari.
Nel video vediamo che il soggetto si toglie la testa, la appoggia, poi ce l’ha di nuovo sul collo,
fa vedere che sotto al tavolo non c’è nulla, non c’è il classico trucco che spesso accade a
teatro perché se fosse stato a teatro, lì sotto avrebbe messo un telo nero e ci sarebbe
qualcuno che fuoriesce con la testa, invece lui ci passa sotto e fa vedere che non c’è nessuno,
ancora di nuovo e va avanti così, moltiplica. Come vedete qui siamo nel pieno del cinema
primitivo, del cinema delle attrazioni mostrative, non sta raccontando nulla, non c’è alcun
tipo di narrazione, sta facendo qualcosa di spettacolare. Il pubblico del 1898 si sta chiedendo
ma com’è possibile che si tolga la testa, riesce a muoversi senza testa, le prende e le fa
saltare? Che cosa fa lui in realtà? Usa una serie di tecniche dove sostanzialmente
impressiona più volte la pellicola, quindi riesce a compiere quest’effetto che oggi, ai giorni
nostri, si fa soprattutto col digitale, lui invece si metteva lì, impressionava la pellicola, poi
dopo prendeva la pellicola, la oscurava nella parte della testa ( quando ci sembra che lui non
abbia più la testa) poi, col montaggio, cioè prendendo una pellicola, adoperando dei tagli
dei fotogrammi e rincollandoli in un’unica pellicola, nella proiezione si ha quest’effetto
spettacolare. Però come vi dicevo questo tipo di produzione molto presto non ha più potere
attrattivo, vedete qui siamo di fronte ad un paio di minuti, non di più.
Con Méliès c’è l’intuizione del montaggio, Méliès capisce che grazie al montaggio, può
sviscerare quell’inquadratura singola a cui avevano dato origine i fratelli Lumière. I Lumière
cosa fanno? Prendono il dispositivo di ripresa, montano la pellicola e riprendono in un’unica
volta tutta la scena che loro vogliono riprendere: per l’uscita degli operai dalla fabbrica, ad
esempio, la pellicola quant’è lunga? 100 metri, 100 metri quanto durano in proiezione? 1
minuto? Usano tutta la pellicola. In seguito, chiaramente, si capisce che montando insieme
più pellicole e più rulli si può allungare la lunghezza del film e addirittura, attraverso il
montaggio, si possono, ad esempio, fare questo tipo di sperimentazioni fantastiche che sono
di attrazione però poi quest’attrazione molto presto sparisce.
La didascalia
Questa che vedete qui è la cosiddetta didascalia. Che cos’è la didascalia? La didascalia è
parte fondamentale del film muto in cui vengono inseriti, in questo caso, quelli che noi oggi
chiamiamo i titoli di testa, ma più avanti verranno fornite una serie di indicazioni che
trovandoci di fronte a film cosiddetti muti in cui gli attori e le attrici non parlano, danno delle
informazioni utili per far entrare gli spettatori e le spettatrici nella storia. Che cosa c’era
scritto inizialmente? Nel 1902 il regista non è ancora una figura importante e autoriale come
poi da un certo momento in poi. Il regista è quello che dirige le scene: dice agli attori “mettiti
lì”, “spostati qui”, “recita la battuta”. Le battute venivano comunque recitate, anche se non
ascoltate chiaramente.
•DOMANDA →Erano riprese di spettacoli teatrali?
•No, erano rappresentazioni ed interpretazioni finalizzate alla ripresa del film. Tra l’altro a
differenza degli attori e delle attrici di teatro in cui chiaramente l’attore o l’attrice si esprime
con la voce, nel cinema muto gli attori si esprimono soprattutto col gesto, con la mimica; un
ruolo importante è anche quello del trucco che deve essere funzionale a far trapelare anche
le emozioni perché l’attore non ha la voce, chiaramente declama sulla scena nel teatro di
posa davanti alla cinepresa, ma lo spettatore non lo sente e quindi deve comunicare
attraverso altri codici che non sono quelli verbali, quindi soprattutto quelli del corpo. Quindi
anche per rispondere ad altre domande anche della scorsa volta nasce una professione ad
oc che è l’attore per il cinema muto e forse qualcuno di voi ha visto questo film uscito
qualche anno fa The artist che racconta proprio la crisi di quest’attore nel passaggio dal muto
al sonoro perché quando arriva al sonoro quel tipo di recitazione diciamo fisica, anche
mimica, dove la mimica è molto forte, diventa obsoleta; molti attori non hanno capacità
recitative con la voce, ma solo con il corpo e quindi molti vedono interrotta la propria
carriera perché quel tipo di film ormai non si addice più alla propria performance.
Quindi vi dicevo il regista non è ricordato nelle didascalie iniziali che poi saranno sostituiti
dai titoli di testa, è invece importante la casa di produzione, l’aspetto produttivo più che la
direzione e qui Méliès compare perché è il fondatore della casa di produzione con cui gira il
film che è la Star Film. La didascalia ha sempre anche un elemento decorativo, quasi tutte
spesso hanno delle vere e proprie cornici.
C’è un’attenzione molto forte sulla produzione del cinema muto dei primi anni del ‘900. Ci
sono ancora delle iniziative che mirano a realizzare delle partiture musicali contemporanee
per accompagnare i film del passato e questo è uno di questi casi.
Viaggio sulla Luna – Georges Méliès
https://www.youtube.com/watch?v=DoqqucrHwBo
Allora ovviamente Méliès vuole raccontare il Viaggio sulla Luna in cui c’è una prima parte
dove ci sono questi scienziati che stanno organizzando questa spedizione, tra l’altro Jules
Verne aveva raccontato questo viaggio fantastico. In realtà il ‘900, che si inaugura con il film
di Méliès, riuscirà a coronare questo sogno di andare sulla Luna, ma chiaramente qui
abbiamo una rappresentazione fantastica. Méliès nel 1902 che cosa fa? Chiaramente non fa
costruire un set come poi si farà più avanti, ma prende un fondale di cartone e grazie anche
alle tecniche del trompe-l’oeil, della pittura illusionista e dell’uso della prospettiva e via
dicendo, fa dipingere la scena. Qui è tutto dipinto, la finestra, le colonne, questo telescopio,
non sono oggetti realmente presenti. Solo questo banco dove sono sedute queste ragazze e
altri oggetti sono posti sulla scena, ma tutto infondo è dipinto. Per tornare rapidamente a
Napoli, la produzione napoletana sarà una delle prime ad utilizzare la città come set e quindi
girare en plein air: la città, il vicolo, il mare diventa il set naturale per le storie che bisogna
raccontare. Quindi se giro un film ambientato nella famosa finestra di Marechiaro vado
direttamente lì, porto la cinepresa e giro questi film servendomi di un paesaggio naturale.
Invece, per la maggior parte dei film le scene sono soprattutto nei primissimi anni, come nel
caso di Méliès dipinte, dopodiché siamo invece ad un tipo di scena ricostruita in cui, in questi
grandi teatri di posa, invece di dipingere le colonne, ci sono gli scenografi che le fanno
proprio costruire.
Abbiamo sempre il tipo di inquadratura singola, unica, non abbiamo alcun tipo di montaggio,
tutto accade nell’inquadratura, le persone e i personaggi entrano ed escono, si muovono.
Non c’è neanche grande attenzione sui personaggi, in realtà i personaggi non esistono;
quello che anche qui è interessante è tutto l’insieme: arrivano queste ragazze che vengono
a portare questi telescopi agli scienziati, entrano come in un numero da cabaret, entrano
per consegnare questi oggetti ed escono. Méliès sarà uno dei primi ad utilizzare il corpo delle
donne in funzione puramente decorativa, le donne in questi film entrano ed escono solo per
fare presenza, per essere attrattive, un po’ come faceva un certo tipo di teatro di
intrattenimento.
Vedete non c’è alcun tipo di movimento, di montaggio, mentre il film nel 1898, lui utilizza il
montaggio per moltiplicare le teste. Qui in uno status di linguaggio filmico avanzato che cosa
avrebbe fatto il regista? Avrebbe effettuato quest’inquadratura dove abbiamo questo
campo d’insieme e poi fatto un primo piano del personaggio alla lavagna che sta spiegando
la spedizione. Invece abbiamo un punto di vista sempre teatrale, il punto di vista è
fortemente teatrale, è come se stessimo seduti in platea a vedere una rappresentazione,
non usa il montaggio ad esempio per il primo piano, cosa che poi chiaramente avverrà in
generale nel cinema un po’ più avanti, in particolare negli Stati Uniti. Tutto accade in
un’unica ripresa, la scena, quello che in linguaggio filmico chiamiamo scena, che di solito nel
film classico è composta da più inquadrature, qui invece è una ripresa unica che si
interromperà solo quando la scena sarà conclusa, cioè quando questo momento
preparatorio della spedizione finirà, con lo scienziato che un po’ discute animatamente
perché alcuni non vogliono seguirlo.
Non abbiamo didascalie che ci raccontano qualcosa, siamo qui a vedere le ragazze che
portano verso questo cambio di costume perché si stanno preparando per la spedizione e
l’interesse (siamo nel 1902) è quello di vedere la narrazione di qualcosa di fantastico che di
lì a poco avverrà dove però il linguaggio filmico è estremamente rudimentale.
Un po’ più avanti loro si stanno preparando per entrare in questa navicella spaziale, di nuovo
le ragazze si vedono, sono presenti in alto, ferme a presenziare, di nuovo un elemento
decorativo, una di queste chiude il portellone della navicella che sta per avviarsi. Anche qui
tutto è dipinto e tutte insieme le ragazze con questi shorts spingono e salutano. Si cambia
inquadratura perché ci troviamo in una nuova scena e questa è una delle scene più famose
in cui la Luna se ne sta lì, Méliès, invece, attraverso questa tecnica di avvicinamento della
ripresa, compie quest’effetto della Luna che diventa sempre più grande e che viene colpita.
Poco dopo vediamo lo sbarco dei cosiddetti scienziati che portano avanti la spedizione.
La pellicola colorata (Viaggio attraverso l’impossibile – Georges Méliès, 1904)
https://www.youtube.com/watch?v=FS_cl3qzEJA
Méliès è anche uno dei primi ad utilizzare il colore. La scorsa volta vi parlavo del fatto che
pensiamo al cinema muto come ad un cinema senza suono, senza audio e, allo stesso tempo,
pensiamo al cinema muto come ad un cinema in bianco e nero; in realtà il colore viene
utilizzato già nei primissimi anni del ‘900, chiaramente però quello che non abbiamo a
disposizione è la pellicola a colori. Invece Méliès si adopera per una colorazione manuale del
fotogramma, cioè impressiona la pellicola, gira le scene, dopodiché ricorrendo a delle
operaie, ad un lavoro prettamente femminile perché c’era bisogno di avere delle mani molto
piccole, con l’uso di piccolissimi pennelli viene posto il colore sul fotogramma e quindi in
fase di proiezione si ha quest’effetto molto spettacolare (per questi anni) del film colorato.
Oltre alla colorazione della pellicola, che quindi va a colorare proprio il fuoco, il sole o l’abito,
l’oggetto in particolare, c’è un'altra tecnica che è quella del bagno di colore della pellicola,
in cui tutta la pellicola assume un colore che viene poi utilizzato per delle scene particolari,
ad esempio:
la pellicola veniva bagnata di colore giallo per le scene girate fuori, scene soleggiate;
nel blu per le scene girate in notturni ad esempio.
Quindi c’era un codice cromatico dove ad ogni colore utilizzato nel bagno di pellicola
corrisponde una situazione diversa, anche legata alla singola giornata. Qui c’è un ampio uso
della pellicola colorata.
La Presa di Roma – Filoteo Alberini, 1905
https://www.youtube.com/watch?v=vvXNw8_P2-I
Vi faccio vedere quello che è considerato il primo film a soggetto del cinema italiano che è
la Presa di Roma. Perché è importante questo film? Innanzitutto perché in qualche modo ci
indica già come il cinema in Italia nasca con una forte vocazione storica. La volta scorsa
abbiamo accennato all’Inferno di Dante che esce sei anni dopo, nel 1911, si ha il ricorso alla
letteratura, alla grande letteratura italiana, in questo caso a Dante Alighieri, il sommo poeta.
Qui invece siamo di fronte ad un film molto breve, chiaramente 1905, parliamo di
cortometraggi che durano massimo 5/6 minuti, è un film molto breve in cui si racconta un
episodio storico per noi ormai lontanissimo che è la Presa di Roma, la Breccia di Porta Pia
che era stato un momento importante nel processo di unificazione nazionale e che invece
per gli italiani nel 1905 era qualcosa che era accaduto pochi anni prima, quindi magari tra il
pubblico c’era qualcuno che aveva il papà che aveva preso parte a questo momento storico,
quindi un evento molto vicino.
Qui le didascalie diventano fondamentali perché in qualche modo danno delle indicazioni
rispetto a quello che accade, a quello che si vede. Anche qui abbiamo inquadrature singole
in cui tutto accade all’interno dell’inquadratura, non abbiamo stacchi di montaggio, non
abbiamo primi piani e via dicendo. Nella scena si vede fondale dipinto che sembra una porta,
ma in realtà è solo un effetto; tutto è stato dipinto. Anche quando entriamo poi negli interni
troviamo questo tipo di artificio della scenografia.
Questa che vi faccio vedere è una scena importante, è il momento in cui proprio si scavalca,
si crea questa Breccia a Porta Pia. Perché è importante? Perché se cerchiamo su Google e
scriviamo Breccia di Porta Pia e scriviamo dipinto, troviamo chiaramente in quella che è
considerata la pittura di storia, una serie di dipinti perché la Breccia di Porta Pia fu un evento
fortemente disegnato dal punto di vista pittorico ed anche se abbiamo delle fotografie, si
hanno soprattutto dipinti. Vediamo non pochi dipinti che in qualche modo sembrano essere
un’esatta introduzione di quella che è la rappresentazione filmica e questo spiega proprio il
meccanismo dei produttori, ma in particolare dei registi, che quando dovevano
rappresentare delle scene di eventi che siano immaginari, che siano di ispirazione letteraria
o che siano di ispirazione storica, come in questo caso, la pittura diventa una fonte, non solo
per l’abbigliamento, ma anche per il punto di vista perché qui chiaramente questo tipo di
prospettiva è una prospettiva, dal punto di vista figurativo, molto forte che viene quasi citata
nel film. Nei primi del ‘900 ci sono davvero tanti film che quando mettono mano alla
narrazione di tipo o storico o letterario, contengono spesso delle vere e proprie citazioni
pittoriche.
Perché questo film è importante? Intanto la Presa di Roma è il primo film a soggetto (si dice
in gergo filmico), cioè il primo film narrativo, prima di questo film non ci sono film italiani
che raccontano, ma solo film che fanno vedere.
Passiamo dalla cosiddetta fase mostrativa, a quella dell’integrazione narrativa, quindi c’è un
regista che poi è anche produttore, è stato uno dei pionieri del cinema italiano: Filoteo
Alberini, che decide di fare un film a soggetto. Che significa? Invece che andare per le strade
di Roma a riprende la piazza, piuttosto che far vedere un incontro di pugilato o una danza,
decide di raccontare qualcosa e in questo caso di raccontare un pezzo importante della
storia del paese, recente, che è la Presa di Roma. È importante perché è il primo film a
soggetto, il primo film narrativo, è il primo film in cui una produzione sceglie di raccontare
qualcosa. In qualche modo segna anche la nascita di un genere che è il film storico perché
poi ce ne saranno tanti altri e negli anni ’10 esso diventa il momento d’oro del cinema
italiano. L’Italia si specializza nel film storico, mentre ad esempio negli Stati uniti fruisce in
modo molto forte da un lato il film western, dall’altro il film comico dove poi nasce e si
sviluppa anche la figura di Charlie Chaplin. In Italia è molto importante il film storico perché
intanto abbiamo una pittura di storia che nel corso dell’800 dà degli esiti molto forti ed
importanti, il teatro è un teatro specializzato, i costumi, diciamo c’è una storia, una
tradizione che spinge in questo senso e che appunto poi dà vita ad un genere che si verifica
anche negli altri paesi ma che in Italia tocca davvero delle vette molto alte.
•DOMANDA → Crisi dell’attore muto
•La crisi dell’attore muto investe attori e attrici perché appunto tanti sono gli attori che o
non hanno una voce interessante o non hanno proprio capacità di declamare.
Méliès e il montaggio
Méliès è stato uno dei primi a mettere mano al montaggio però non lo fa in funzione
narrativa, lo fa in funzione spettacolare; usa il montaggio nel 1898 quando fa un numero che
avrebbe fatto a teatro, ovviamente con altri trucchi, per moltiplicare le sue teste e
appoggiarle sul tavolo. Quando poi nel 1902 fa Viaggio sulla Luna avrebbe potuto usare il
montaggio (che nel frattempo sapeva usare) in chiave narrativa, anche psicologica; far
vedere l’espressione, un primo piano di uno di quei personaggi che sta per partire sulla Luna,
la sua paura o l’emozione, invece non lo fa perché non gli interessa, non ha capito che c’era
uno sviluppo del linguaggio cinematografico in questo senso. Méliès usa il montaggio
praticamente subito, già nel 1896/1897/1898, ma lo usa per creare questi trucchi, per
ingrandire o rimpicciolire, per far sparire gli oggetti, non lo usa in chiave narrativa.
La Presa di Roma e l’estero
Per quanto riguarda la proiezione all’estero della presa di Roma, su questi primissimi film
non abbiamo grandi notizie perché innanzitutto la storia del cinema muto è una storia che
si sta continuando a ricostruire perché ogni tanto si scoprono pellicole di cui non si
conosceva neanche l’esistenza, non c’è già nel 1905 una distribuzione internazionale, quella
avviene un po’ più avanti quando si afferma questo tipo di spettacolo, inizialmente no. La
distribuzione avviene soprattutto a partire dal 1910 in poi.
•DOMANDA → La lanterna magica funziona trasmettendo i frame su una superficie? In quel
modo non poteva essere qualcosa che precedeva l’intrattenimento collettivo?
•Sì, infatti è per quello che la consideriamo come la più diretta antenata. Quando parliamo
di frame parliamo di fotogrammi, quindi anche di pellicola, invece il supporto di cui si serve
la lanterna magica è una lastra di vetro su cui vengono poi dipinte, disegnate o scritte delle
cose. Sicuramente la lanterna magica è il dispositivo di pre-cinema più vicino al
cinematografo perché, in qualche modo, crea la stessa situazione. Però nella lanterna
magica non finisce la pellicola impressionata con un procedimento fotografico, ma ci vanno
dei vetrini. Tra l’altro a Padova c’è un museo del pre-cinema in cui sono conservati tantissimi
dispositivi. Anche la lanterna magica nei secoli ha avuto delle evoluzioni tecniche. Ancora
oggi, ad esempio, ricordo qualche anno fa, al Louvre hanno fatto uno spettacolo di lanterna
magica alimentata a carbone, proprio come si faceva in passato.
https://www.youtube.com/watch?v=sU9AfktYLQg
Quest’effetto che vediamo qui si ottiene con due vetrini: un primo vetrino che è lo sfondo
fisso (la fontana con questo monumento, l’albero) e poi c’è un secondo vetrino dove sono
dipinti i personaggi e che viene fatto muovere davanti alla lanterna. C’è sempre l’interesse
per il movimento: c’è uno sfondo fisso in questo cerchio e poi c’è un secondo vetrino, che
invece è mobile, che il lanternista (si chiama così colui che agisce con la lanterna magica) fa
muovere e quindi crea l’atto della proiezione davanti a questa candela. C’è un meccanismo
che viene fatto roteare e sulla superficie della proiezione abbiamo un effetto; sono tutti
effetti di movimento. C’è un disvelamento, quindi un’apertura della luce.
Chiaramente, ci sono delle tecniche anche più sofisticate che potevano far vedere cose
sempre molto spettacolari.
Su Youtube si trovano tanti video della lanterna magica perché negli ultimi decenni c’è stata
una riscoperta di questo spettacolo.
Lezione del 20.10.2020
Abbiamo visto che il film riprende anche quello che si era subito affermato dai fratelli
Lumiere in poi come contenuto dei primi film: da un lato il cinema nasce subito anche come
pubblicità (le grandi aziende e i grandi marchi, commissionano alle prime produzioni dei
brevi filmati che possano pubblicizzare i propri prodotti). Ad esempio Edwin Porter aveva
poco prima realizzato un film per pubblicizzare una nuova ferrovia, così come anche l’uso
che veniva fatto del cinema e dei primi film per raccontare eventi realmente accaduti.
La grande rapina al treno fa riferimento a una grande rapina che era avvenuta pochi anni
prima da parte di alcuni banditi. Lui rende questo fatto un vero e proprio racconto che ci
porta in questa dimensione di suspense.
Quali sono le tecniche? Quella dell'esposizione multipla (utilizzata anche da Melies) cioè
impressionare più volte la pellicola per poter mettere insieme più scene nello stesso
fotogramma. L’esposizione multipla si faceva già anche con la fotografia, cioè se non si
faceva scorrere la pellicola fotografica in avanti e quindi avere una pellicola, uno spazio di
pellicola fotografica pulita, neutra, si aveva quest’effetto di scattare per due volte sulla
stessa pellicola fotografica due scene diverse; invece questo effetto sulla pellicola
cinematografica avveniva impressionando la pellicola due volte. Si girava più volte sulla
stessa pellicola.
Min. 02: qui non siamo a bordo di un vagone, è una scena organizzata in quanto non era
possibile riprendere questo tipo di inquadratura così profonda, ma per ottenere questo
effetto di treno in corsa, la pellicola viene impressionata con una ripresa in movimento e
quest’esposizione multipla consente poi nella proiezione di avere quest’effetto: loro sono
fermi, non sono su una locomotiva, ma dietro invece vediamo scorrere i modo anche molto
vertiginoso.
Min 03: abbiamo un’altra scena in cui Porter utilizza l’arresto della ripresa.
C’è un uomo in carne ed ossa, c’è proprio uno scatto di un secondo.
Cosa ha fatto Porter? Mentre i due stanno avendo questa colluttazione e lui lo colpisce, ha
fermato la ripresa, ha smesso di riprendere e ha sostituito l’attore in carne ed ossa con un
fantoccio, un pupazzo, infatti subito dopo vediamo che lo prende e lo scaraventa giù dal
treno. Questo è un effetto che chiaramente il pubblico non si accorge e di conseguenza gli
prende un colpo, perché vede questo gesto così violento. Lui interrompe la ripresa, fa
abbassare l’attore che scende e subito dopo viene posizionato un pupazzo nella stessa
posizione; quindi c’è l’effetto di questa forza, di quest’uccisione di un uomo.
Altra tecnica di montaggio è il raccordo di movimento cioè Porter compie due inquadrature:
min 6 c’è una prima inquadratura, non ci sono stacchi di ripresa, né inserti, subito dopo
inserisce una seconda inquadratura che restituisce la continuazione del movimento della
locomotiva.
Altro esempio di raccordo è quando loro scendono dal treno, la macchina da presa un po’ li
segue finché può, dopodiché abbiamo una seconda inquadratura in cui continuiamo a
vedere questa fuga da un altro punto di vista.
Quindi RACCORDO DI MOVIMENTO= quando in 2 inquadrature, una che succede all’altra,
abbiamo la ripresa di un’azione, di un movimento.
Nell’esempio del Viaggio sulla luna abbiamo un’inquadratura UNICA in cui tutta l’azione
avviene all’interno di quell’inquadratura, dopodiché fine dell’inquadratura finisce la scena.
Qui invece Porter intuisce che grazie al montaggio lui può raccontare la stessa azione
segmentata, e compiere una sorta di collage (cioè il montaggio) in cui può restituire
un'azione che dura e che fuoriesce dalla prima inquadratura. Perché lui con questo tipo di
inquadratura quando loro scendono non riesce a inquadrarli fino a dove arrivano, ha bisogno
di un’altra inquadratura, ma loro stanno compiendo sempre la stessa fuga, non è un’altra
situazione.
Invece tornando al viaggio sulla luna, Melies quando passa a una seconda inquadratura,
siamo proprio in un altro luogo, un'altra scena. Qui invece siamo di fronte a un’azione che
viene raccontata nella sua durata attraverso più inquadrature.
Min 7.30 qui ancora l’impostazione è fortemente di tipo teatrale, c’è il punto di vista
centrale, l’ingresso dalla porta, la presenza della finestra conferisce un po’ di profondità, ma
non ci sono primi piani, siamo ancora lontani dall’uso del primo piano. Qui ad esempio
qualche regista di alcuni anni dopo avrebbe inserito un’inquadratura con il primo piano sulla
bambina. Quindi
l’impostazione dell’inquadratura è ancora centripeta, dove tutto accade al centro e dunque
la nostra attenzione confluisce verso il centro.
Min 10.30 Una delle inquadrature più note del cinema americano delle origini, il momento
in cui il bandito spara verso il pubblico e guarda verso il pubblico. Questo tipo di
inquadratura, con
l’introduzione del cinema narrativo, con l'affermazione del linguaggio cinematografico, che
va verso una definizione di film classico, questo tipo di inquadratura sarà considerata vietata,
perché in qualche modo rompe l’illusione di realtà a cui invece il cinema sta provando ad
arrivare.
Questo tipo di inquadratura in cui un personaggio guarda diritto negli occhi, nella macchina
da presa e quindi rivolge lo sguardo verso lo spettatore, è un’inquadratura che viene
proibita, perché se un attore ci guarda mentre siamo al cinema seduti nella sala è come se
ci stesse interpellando, come se ci volesse porre delle domande, quindi ci fa percepire la
presenza della macchina da presa.
Abbiamo parlato del RUOLO PIONIERISTICO di Porter, che è stato uno dei primi registi che
prende quel tipo di realizzazione cinematografica delle origini e comincia a scomporla e in
questa scomposizione fonda un linguaggio e ci porta all’interno di un tipo di narrazione che
è unica e che solo il cinema può fare. Ad es. la storia dell’assalto al treno al teatro non
avremo mai potuto godere nello stesso modo, perché è impossibile cambiare così tante
volte luogo all’interno di una stessa scena, c’è una dinamicità che solo il cinema può fare
grazie al montaggio. E sono dunque i pionieri che intuiscono la possibilità grazie al montaggio
di dare vita a un’arte nuova.
THE LONELY VILLA" (1909) la villa solitaria di David Griffith
È un cortometraggio che molti manuali ricordano quando parliamo dell’affermazione del
linguaggio cinematografico, perché compie dei passi avanti. Nella prima didascalia viene
data molta importanza alle case di produzione, infatti il nome del regista non compare.
Si cominciano a depositare i diritti delle compagnie dei film, perché ad es. Melies lui aveva
fatto
l’errore di non depositare i diritti dei propri film e invece di “noleggiare”, lui girava un film,
ne produceva un certo numero di copie e le vendeva ad una certa cifra. In questo modo se
io compro la pellicola, divento proprietario del film e poi guadagno con i biglietti, con gli
ingressi degli spettatori che possono essere infiniti, quindi non aveva capito che in realtà
avrebbe dovuto tenere la proprietà dei propri film.
Qui la casa di produzione è la Biograph e New York fino a tutti gli anni 10 è la capitale
indiscussa del cinema, perché ci sono i più importanti teatri, grandi attori.
C'è grande affermazione attraverso l'uso del marchio di fabbrica e David Griffith sarà uno
dei primi grandi registi di questa casa di produzione, infatti con la Biograph realizzerà oltre
400 cortometraggi in cui ha modo di affinare una serie di tecniche narrative.
Questo cortometraggio è molto famoso perché qui Griffith coglie pienamente le possibilità
del montaggio e in particolare sfruttando l’espediente della suspense. È il classico
cortometraggio con happy ending (lieto fine) in cui in 10 minuti raggiungiamo l'apice della
tensione, perché racconta l’assalto a una villa e il pericolo in cui improvvisamente si trovano
una madre con due bambine, ma con il salvataggio finale “last minute rescue” (salvataggio
dell’ultimo minuto) che scioglie la tensione e ci porta nel lieto fine.
L’importanza di questo cortometraggio e in particolare nell’USO DEL MONTAGGIO
ALTERNATO. Porter nel film precedente ci ha mostrato il montaggio attraverso il raccordo di
movimento di un’azione lungo la sua durata anche quando si sposta nello spazio, qui invece
Griffith esplora le possibilità del montaggio alternato.
Prendiamo l’esempio del momento della telefonata: momento in cui ormai i banditi sono
arrivati. Min 1:45 momento di raccordo di movimento: arriva questo personaggio che porta
una comunicazione al padre di famiglia; nella prima inquadratura vediamo due personaggi
che entrano in una porta, nella seconda inquadratura vediamo i due personaggi che
continuano l’azione che stavano svolgendo.
È chiaro che questo tipo di raccordo noi lo vediamo tutti i giorni in qualsiasi tipo di prodotto
audiovisivo, ma in questi anni, nel 1909 non era affatto scontato. Ed è grazie a questo tipo
di montaggio che l’azione si dinamizza e il cinema si astrae dalla dipendenza della scena
teatrale.
La storia è che arriva quest’uomo che porta un messaggio al padre di famiglia, in cui
apprende che deve allontanarsi e andare in città. Qui siamo ancora in un momento in cui la
didascalia non spiega quello che accade, perché tutto quello che accade noi lo intuiamo
senza grandi difficoltà. Dunque il papà saluta e si allontana.
Min.5:44 è chiaro che qui sono in pericolo, si chiudono dentro e ci spostiamo in un altro
spazio che è contemporaneo. L’arrivo del padre in centro è un’azione che accade nello stesso
momento. Lui telefona e qui abbiamo, dunque, l’USO DEL MONTAGGIO ALTERNATO* perché
si possono osservare i 2 personaggi nell’atto della loro conversazione. Lui apprende che la
sua famiglia è in pericolo.
Griffith inizia ad alternare inquadrature in cui si può vedere il padre che tenta di raggiungere
la casa e la famiglia in pericolo. Lui nel frattempo arriva in casa e tutto è fuori pericolo.
*MONTAGGIO ALTERNATO: espediente di mostrare, alternando le inquadrature, azioni che
stanno avvenendo contemporaneamente.
Griffith capisce che facendo così, cioè passando da un luogo all’altro raccontando azioni
simultanee, accresce l’effetto di suspence. Dunque il montaggio alternato viene utilizzato
quando il regista, sceglie di farci vedere azioni simultanee che avvengono in luoghi diversi
ma che appartengono allo stesso evento.
“A CORNER IN WHEAT” (1909) Speculazione sul grano.
Qui siamo di fronte ad un lavoro molto più elaborato. Si può notare ancora una volta che il
nome di Griffith non c’è, l’aquila è il logo della Biograph e qui c’è un tipo di didascalia in cui
l’ala e il profilo dell’aquila creano uno spazio in cui viene scritto il titolo.
Tale è un lavoro narrativo molto articolato in cui Griffith intuisce un’altra potenzialità del
film.
Con “La villa solitaria” e “Speculazione sul grano” siamo nello stesso anno, cioè 1909, in cui
Griffith mette mano alla suspence, il cosiddetto lieto fine, siamo appunto di fronte a quello
che sarà il classico film.
Questa è una storia brevissima, anche molto semplice. Noi spettatori non entriamo nella vita
dei personaggi, non a caso non sappiamo neanche i loro nomi, i loro rapporti, le loro
emozioni, non c’è uno sviluppo ma c’è solo una micro narrazione; Griffith però intuisce che
grazie al montaggio, può realizzare dei film più ambiziosi, cioè dei film in cui oltre ad
appassionare lo spettatore, creare effetto suspence poi sciolto con il lieto fine, può far
riflettere lo spettatore, lo si può portare ad elaborare i suoi pensieri su tante cose.
“A corner in wheat” mette a confronto, attraverso il montaggio parallelo, due situazioni dei
personaggi, che non hanno una relazione diretta tra loro, ma che sono interessati da uno
stesso evento: sulla speculazione del prezzo del grano.
Min 0:40: questi sono i contadini che seminano il grano, sono coloro che in qualche modo
subiscono in prima linea gli effetti di questi ricchi che ad un certo punto per guadagnare di
più, alzano il prezzo del grano in borsa. Accade così che i contadini diventano sempre più
poveri e che speculando sul prezzo del grano, guadagnano di meno e in più il costo del pane
aumenta.
Min 2:44: questi speculatori diventano sempre più ricchi. Ma gli speculatori, così come chi
gestisce le riserve del grano, non conoscono i contadini e quindi cosa fa Griffith? Attraverso
il montaggio parallelo, fa vedere PARALLELAMENTE che cosa può causare l’aumento del
prezzo del grano. E lo fa utilizzando delle didascalie, che non solo ci danno delle indicazioni
ma orientano anche il nostro giudizio. *
Min. 5.38: ricchi che banchettano in una tavola sfarzosa.
*Min. 6.15: qui inserisce la didascalia proprio all’interno della scena, grazie ad un cartello. Si
legge → “in conseguenza all’aumento del prezzo del grano, c’è stato un aumento del costo
del pane”.
Min. 7.14: qui vediamo una signora con il bambino; la prima donna che non ha soldi a
sufficienza per comprare il pane aumentato di prezzo, così fa vedere che torna indietro a
mani vuote.
Min. 7.26: momento di FESTA in cui si festeggia lo stesso evento che non consente ad alcune
persone di comprare il pane.
Min. 7.44: Griffith alterna (alternato – parallelo) 2 situazioni parallele per rafforzare l’idea
dello
spettatore di fronte ad una vera e propria ingiustizia, chi si arricchisce e chi impoverisce.
Min. 11.33: questa è un’inquadratura fortemente simbolica nella quale un uomo ricco
(speculatore) viene seppellito dalla sua stessa ricchezza, nel grano.
Scena finale: si vede un contadino in solitudine che sta seminando la morte.
Griffith è considerato il padre assoluto del linguaggio cinematografico proprio perché in
questo lunghissimo laboratorio che è la Biograph, mette a frutto una serie di tecniche ed
esplora le potenzialità del cinema: da un lato narrative ma dall’altro anche capaci di
realizzare delle opere di pensiero quindi spingere proprio allo spettatore a delle riflessioni.
Questo è estremamente importante perché è un momento in cui il cinema si afferma come
intrattenimento di massa e
l’introduzione, da parte di Griffith, di questa connotazione morale, etica e filosofica, lo porta
ad essere considerato uno dei principali pali fautori del linguaggio cinematografico.
Nel 1916 Griffith realizza un film dal titolo “INTOLLERANCE”, considerato da un lato
capolavoro ma che gli causerà un sacco di problemi che è “The Birth of nation: nascita di una
nazione” in cui Griffith racconta un segmento della guerra di successione ma lo fa adottando
una prospettiva assolutamente razzista, perché racconta in modo apologetico delle azioni
del ku klux klan nei confronti dei neri, ormai schiavi liberati. Con “intollerance” Griffith
realizza un film che racconta 4 episodi, lontani per epoca e contesto geografico:
1.La passione di Cristo;
2.La caduta di Babilonia;
3.Massacro degli Ugonotti in Francia nel 500;
4.I protestanti francesi.
Cosa c’è di nuovo? Griffith racconta questi episodi parallelamente e non per singole storie:
incomincia a raccontare la storia di Cristo, poi sospende e passa alla caduta di Babilonia ad
opera di Ciro il Grande; poi la sospende e ci porta nella Francia del 500 ecc. E con questo
cosa vuole dimostrare? Griffith vuole portare sotto gli occhi del pubblico che l’intolleranza è
qualcosa che ha sempre interessato l storia dell’umanità.
Griffith lascerà la Biograph nel 1913, per avere una libertà di espressione e creazione e per
realizzare in maniera assolutamente autonoma i suoi film, senza avere alcuna figura
autoritaria che potesse minare la sua libertà.
Lezione del 23.10.2020
FA VEDERE I PRIMI MINUTI DI CABIRIA FILM DEL 1914, CHE HA NON POCHE RELAZIONI CON
UN FILM COME "NASCITA DI UNA NAZIONE"
Dall'inizio fino al Minuto 12:70: Ci fermiamo su questo personaggio chiave del film cabiria
sulla quale ora ci soffermiamo in maniera dettagliata ma tenevo a farvi vedere (sperando
abbiate tutti visto "Nascita di una nazione") un po' le grandi differenze in merito al linguaggio
e a come a pochi mesi dall'uscita di "Nascita di una nazione" in Italia abbiamo questo enorme
successo di Cabiria e quindi del regista Giovanni Pastrone film prodotto dalla itala film una
delle case di produzione più famose italiane con sede a Torino. Vediamo come si crea un
doppio binario intanto dell'affermazione di lungometraggio infatti Cabiria dura 2 ore e pare
che David Griffith si fosse convinto della possibilità del lungometraggio proprio in seguito
alla fortuna che ebbe Cabiria in tutto il mondo e negli stati uniti, film lunghissimo che fu
presentato nei più importanti teatri americani. Griffith si convince della possibilità di tenere
gli spettatori in sala per così tanto tempo e realizza il lungometraggio THE BIRTH OF A
NATION forzando ulteriormente la durata e portandola a circa 3 ore di spettacolo. Com'era
possibile arrivare ad uno spettacolo del genere? Intanto qui abbiamo in qualche modo
(attraverso questo video su YouTube) sentito anche la musica.
La musica per i lungometraggi diventa fondamentale perché diventa parte dello spettacolo,
per Cabiria ed anche per The Birth of a nation sono film che vengono accompagnati da
orchestre e le case di produzione commissionano ad importanti compositori e musicisti
partiture originali per i loro lungometraggi. Quindi dobbiamo immaginare che la musica
diventa una sorta di sinfonia visiva, non a caso Cabiria ha questo sottotitolo "visione storica
del 3 secolo a.c" e siamo nell'antica Roma.
romanità ritrova un interesse forte dal punto di vista mediatico. Negli anni '10 in Italia
abbiamo un interesse per la romanità ed è un interesse dovuto a ragioni politiche e
letterarie, tutto ciò perché? Perché nei primi anni 10 in Italia (un'Italia che sta provando a
consolidarsi come organismo nazionale unitario, dopo l'unità d'Italia) comincia a
intraprendere la strada del colonialismo e dell'imperialismo (abbiamo la guerra italo-turca e
l'occupazione dei territori libici) e Giovanni Pascoli ma anche d'Annunzio e tutti i più grandi
intellettuali del tempo cominciano a produrre opere letterarie in cui l'antica Roma diventa
un po' il motivo intorno a cui condogliare gli italiani e la presenza dell'antica Roma nelle
coste africane del nord diventa un motivo che giustifica questa impresa coloniale.
Quindi Cabiria nel '14 con la nascita delle critica cinematografica e lo spazio che comincia ad
occupare il cinema nelle pagine dei giornali, Cabiria viene presentata dai critici e dai
giornalisti come un film che ha una fortissima eco, rispetto a quello che stavano facendo gli
italiani in Libia e per noi queste sono pagine di storia, ma dobbiamo calarci nella
contemporaneità degli anni 10, erano tantissimi gli italiani che avevano preso parte
all'impresa libica e si andava al cinema a vedere un film che rappresentava in qualche modo
quello che stava succedendo, per esempio l'antica Cartagine era il corrispettivo dei territori
che gli italiani volevano colonizzare e non è un caso Cabiria varca i confini nazionali, arriva
negli stati uniti diventa un film di punta della distribuzione internazionale, viene proiettato
nei grandi teatri addirittura alla casa bianca e Griffith si convince del lungometraggio e si
convince anche del valore ideologico che in qualche modo già abbiamo visto e individuato
nei cortometraggi della scorsa volta. Però c'è una grande differenza tra queste due pellicole:
da un lato il film storico il film nel nostro caso in costume ma Griffith lavora già
sostanzialmente nei cortometraggi ad una "fondazione" di una grammatica cinematografica
fatta di primi piani, di raccordi, raccordi di movimento, di montaggio Biographe eccetera…
c'è quindi una differenza sostanziale tra Cabiria che abbiamo appena visto in cui non so se
avete avuto modo di notare che c'è una forte impostazione scenografica, le scenografie sono
davvero magniloquenti. *Fa vedere una delle scene più di forte impatto che è il sacrificio da
cui poi viene salvata la piccola Cabiria da Machiste, mentre sta per essere sacrificata nel
tempio di moloch. *
Questa scena ha un forte impatto visivo abbiamo: il tempio di moloch che venne
realizzato su scala reale, e non so se qualcuno ha mai visitato il museo del cinema di torino
(questa è una produzione torinese) alcune parti di questa scenografia sono conservate nel
museo, ma come potete vedere Pastrone (il regista) non compie alcun tipo di movimento,
non abbiamo raccordo di montaggio, non abbiamo il primo piano, ma ogni tanto compie dei
piccolissimi movimenti, lui fu il primo ad usare il carrello a mettere su un binario la cinepresa
e fa compiere delle piccolissime panoramiche e non compie il lavoro che fa griffith in
maniera eccessiva in the birth of a nation dei primi piani dei personaggi, lo spettacolo qui
con Cabiria è uno spettacolo di insieme, di massa dove l'architettura scenica rappresenta il
piacere estetico del film.
Con ‘’The birth of a nation’’ siamo ad un altro tipo di lavoro. Dobbiamo spendere due parole
sulla personalità di griffith, martedì abbiamo visto che abbandona la Biograph e lo fa per
dedicarsi ad un'attività produttiva ora diremo indipendente e griffith insieme a chaplin e
insieme ad altri attori, attrici e registri hanno cominciato
ad intuire che il sistema hollywoodiano (che si sta affermando) dedica uno spazio minimo
alla libertà del director/regista e Griffith decide di aderire a quella che poi sarà la United
Artist una realtà dove si consorziano alcune realtà produttive indipendenti di attori, attrici e
autori (come charlie chaplin) per sottrarsi al predominio di quello che poi vedremo meglio
da vicino: Producer System. Avete forse già notato dalle didascalie di Griffith come lui pone
la sua firma e le sue iniziali nelle didascalie in modo davvero iperbolico, scrive ‘’Griffith’’ a
destra e a sinistra, dal nome Griffith in corsivo si genera questa cornice che poi confluisce in
queste iniziali DG che sono poi il suo nome e cognome.
Griffith vuole con questo film raccontare un segmento importante della storia americana e
lo fa con una rappresentazione molto discutibile, dopo l'uscita del film nelle sale ci saranno
rivolte, proteste, in particolare dagli afroamericani e non solo e anche da chi leggeva nel ku
klux klan un movimento da condannare. Griffith inserisce nel film una didascalia è in realtà
una didascalia che Griffith inserisce in seguito nella apertura del suo film ''noi non abbiamo
paura della censura, noi non desideriamo offendere con cose oscene o improprie ma
chiediamo di dimostrare la parte nera del male che noi eliminiamo con la luce luminosa della
virtù con la stessa libertà che è concessa all'arte della parola scritta e quell'arte a cui
appartiene la Bibbia e Shakespeare'' questa didascalia è molto importante perché Griffith
nel 1915 da un lato cita il drammaturgo per eccellenza Shakespeare cioè l'arte della
drammaturgia nelle sue vette di più alta di espressione che è il teatro shakespeariano e
accanto a lui cita la Bibbia un testo sacro che si fa portatore di valori religiosi, civili, etici e lui
in qualche modo afferma il suo diritto di essere autore e si arreca il diritto di concepire il suo
ruolo di autore regista in modo assolutamente moralistico perché lui dice di voler mettere
alla luce la verità e quindi cosa è bene e cosa è male.
Il film è imponente in tutte le sue scene, il rapporto tra queste 2 famiglie una nordista e
l'altra sudista i Cameron e gli Stoneman e la guerra civile mette l'uno contro l'altro ma al di
là dei temi trattati griffith comincia proprio a definire il linguaggio cinematografico, adesso
usa i cambi medi, i primi piani, usa quelli che vengono definiti inserti che sono delle
inquadrature che servono ad arricchire il racconto, vedete come il nome di griffith ricorre ad
ogni didascalia e vedete come ad esempio ci introduce questo personaggio chiave Elsie qui
abbiamo l'esempio di raccordo di sguardo, l'altra volta abbiamo parlato dei raccordi di
movimento, qui siamo di fronte a raccordo di sguardo *fa vedere la scena dell'arrivo della
lettera* in questa prima inquadratura vediamo i due fratelli con in mano una lettera,
nell'inquadratura successiva ci fa vedere la lettera questo è il raccordo di sguardo, questa
poteva essere una semplice didascalia dove avremmo appreso che stavano per arrivare a far
visita ai loro amici, ma utilizzando innanzitutto un'altra impostazione grafica e aggiungendo
nell'inquadratura questo pollice, l'inquadratura si pone come una soggettiva, cioè quello che
vediamo e ciò che sta vedendo il personaggio.
Ingresso nel racconto di Elsie, questa giovane ragazza che poi che vivrà l'orrore della guerra
civile, la vediamo dietro una tenda, vediamo sotto la tenda un gattino e addirittura Griffith
utilizza il mascherino questo effetto cornice che ottiene apponendo davanti all'obiettivo una
cornice nera che poi dà questo effetto. Vediamo l'inquadratura del gattino, lei lo accarezza
ma non la vediamo ancora, di nuovo siamo
sui fratelli, ancora dietro la tenda lei che indugia ad uscire e ha in braccio il gattino, di nuovo
il mascherino e poi esce. Griffith comincia a sviscerare l'inquadratura singola dove tutto
accade, lui avrebbe potuto prendere questo campo di visione, questo punto di vista e
lasciare che la macchina da presa riprendesse l'intera scena, sarebbe stato molto più
economico a livello di montaggio tanto avremmo comunque assistito il momento in cui Elsie
esce di casa e raggiunge i fratelli, ma segmentata così come l'abbiamo vista comincia ad
arricchire il linguaggio ma anche a connotare la psicologia del personaggio con la figura del
gattino e il racconto che lei ha con questo piccolo animale domestico. *Invita a chi ha già
visto il film di commentare qualche scena. *
Possiamo anche vedere questa tecnica per la colorazione della pellicola, queste sono le
scene di battaglia dove Griffith adopera questo codice cromatico, questo rosso sbiadito che
anche qui enfatizza i momenti di drammaticità. Tra l'altro Griffith per avvalorare la sua
visione dei fatti storici in alcune didascalie inserisce delle indicazioni storiche con le quali lui
cerca di avvalorare l'attendibilità delle fonti, quindi vi è anche un gusto della didascalia molto
elaborato. Lui enfatizza nella didascalia il ruolo del Ku klux klan. Il great ku klux klan un
impero che protegge la parte sud. Quando siamo nelle parti esterne vediamo che la luce si
mantiene in maniera naturale a differenza di quando ci troviamo nelle parti interne. La
velocità è molto serrata in cui Griffith monta le inquadrature e passa da un'inquadratura
all'altra è notevole soprattutto se confrontiamo il film con Cabiria in cui invece ci troviamo
con una rappresentazione da un lato ancora molto legato al teatro ma al grande teatro
quello basato sulle grandi scenografie.
Quello che non vi ho detto per quanto riguarda Cabiria è che mentre il film di Griffith è
ispirato ad un testo letterario ‘’The Clansman’’ uscito poco prima che raccontava la guerra
di secessione, per Cabiria Pastrone chiede a D'Annunzio di lavorare al film e Cabiria fu un
film a cui la partecipazione di D'Annunzio fu molto sfruttata a livello di pubblicità del film, se
vediamo le locandine che furono disegnate o pagine promozionali nelle varie riviste il nome
di D'Annunzio è utilizzato quasi sempre a scapito del nome di Pastrone cioè il regista. Se noi
oggi vedessimo (le locandine) senza sapere nulla di Pastrone saremmo portati a pensare che
D'annunzio avrebbe girato questo film con la casa di produzione itala film *fa vedere una
pubblicità americana dove si fa riferimento ad una nuova edizione del capolavoro di
D'annunzio* in realtà D'annunzio fece veramente poco per questo film ma se ne sfruttò la
notorietà e la fama anche per avvalorare la dignità artistica anche perché in questi anni nel
panorama culturale italiano ma anche europeo in tanti erano ancora scettici sul lavoro
artistico del film e quindi la partecipazione del letterato serviva a legittimare il valore
artistico del film. Tra l'altro accanto a d'annunzio ci sono tanti elementi che concorrono a
rendere questa operazione di alta cultura ad esempio rispetto alla musica fu chiamato
Pizzetti a comporre la sinfonia del fuoco un brano musicale che accompagna una delle scene
più importanti del film e Pizzetti all'epoca era uno dei compositori più importanti e quindi
anche a livello musicale fu data molta importanza a tutto quello che poteva in qualche modo
sostenere il film come arte.
*La prof legge un commento di un ragazza per quanto riguarda il film di Griffith e la prof dice
che giustamente il montaggio di Griffith alleggerisce la visione e c'è una dimensione della
suspense in cui più volte tra l’altro griffith ci porta poi allo
scioglimento finale in cui il montaggio alternato, genera nel pubblico e nello spettatore una
tensione molto forte con Cabiria invece siamo di fronte ad un piacere della messa in scena
a qualcosa che genera un piacere visivo ma perché ci troviamo di fronte a queste scenografie
magniloquenti, tutto è molto calcato, i costumi, l'utilizzo di grandi masse, la scelta del colore
infatti il colore ha una funzione proprio di codice cromatico in cui anche lì un po' come la
musica anche il colore diventa supporto per portarci in un determinato stato d'animo*.
Domande:
1. Legge la domanda di una ragazza per quanto riguarda il raccordo di sguardo e ripete
il concetto: il raccordo di sguardo ci porta dentro la cosiddetta soggettiva che è
l'inquadratura che prenda il punto di vista del personaggio, il raccordo però è il
passaggio dove prima vediamo il personaggio dal punto di vista frontale per esempio
prima vedete me e poi nell'inquadratura successiva vediamo lo schermo del mio
computer è una sorta di ponte tra due inquadrature entre la soggettiva è
l'inquadratura B dove vediamo il punto di vista del personaggi.
2. Domanda sull'uso delle didascalie da parte di Griffith: Griffith vuole con queste
didascalie vuole avvalorare la sua dimensione storica, vuole legittimare
storiograficamente quello che sta affermando dal punto di vista filmico quindi vuole
sostenere da un punto di vista storiografico la sua visione della storia.
3. Domanda sulla musica: fino alla fine degli anni 20 era impossibile parlare di film sonori
quindi quando parliamo di musica serviva ad accompagnare il film e veniva
commissionata un'orchestra e anche qui l'accompagnamento musicale era di grande
spessore, non c'era il pianista o il violinista ma un'intera orchestra, infatti cabiria fu
proiettato al san Carlo (Napoli) e molti videro ciò come una profanazione di un luogo
sacro quale il san Carlo.
4. Viene chiesto se il voler utilizzare il nome di D'Annunzio invece che quello di pastrone
nelle locandine per pubblicizzare il film può essere considerato un Star System e la
prof dice che: con il Star System ci riferiamo ad un sistema hollywoodiano dove il
sistema della star è il sistema del divo e della diva è un sistema che fa riferimento
all’attore o all'attrice mentre in questo caso possiamo vedere un primo modo di fare
pubblicità utilizzando nomi molto noti per promozionare il film, però il meccanismo
che si vuole attivare è identico.
5. Viene chiesto quando iniziano ad essere inseriti i nomi degli attori nelle didascalie: se
avete notato nelle prime didascalie di Griffith già abbiamo i nomi degli attori, negli
anni 10 in Italia inizia ad affermarsi il primo fenomeno divistico abbiamo delle prime
dive come Francesca Bertini ma lo stesso attore di Maciste darà vita a questo
fenomeno divistico ma anche a un fenomeno di film seriaale con questa figura di
Maciste interpretato da Bartolomeo Pagano (che fu trovato come manovale al porto
di Genova) che ha questa figura così forte ed imponente che attirava l’attenzione di
molte donne all’epoca che correvano a vedere i suoi film, ma anche i maschi volevano
in un certo qual modo imitarlo e questa sua fisicità forte fu presa come esempio
durante il periodo del fascismo. Ma su Maciste poi faremo un discorso più articolato.
Lezione del 27.10.2020
Parliamo di Maciste, personaggio di Cabiria, che abbiamo visto nel film di Giovanni Pastrone
e del fenomeno inarrestabile che si verifica dagli anni ‘10, quello del Divismo, un fenomeno
mediatico arrivato a scavalcare persino i linguaggi, come quelli audiovisivi. Basti pensare agli
influencer, che condividono con attori e attrici di questo periodo la stessa matrice:
affermano su un livello mediatico una centralità e un polo di attrazione verso il pubblico. Nel
caso degli influencer, oggi il polo di attrazione è legato al marketing della moda, ma nei primi
anni dell’affermazione del linguaggio cinematografico, il Divismo nasce come strategia di
attrazione stessa del pubblico. Già i teorici dell’epoca si erano accorti quanto il film, ma in
particolare i personaggi, come attori e attrici, avessero impatto sul pubblico, perché ciò che
accade nella narrazione produce un meccanismo psicologico di immedesimazione. Infatti,
all’interno dei film ci sono una serie strategie tecnico-narrative legate alle inquadrature, ai
dialoghi che ci spingono ad aderire e immedesimarci in un dato personaggio. Una delle prime
reazioni che si scatena attorno al fenomeno divistico è anche quello della moda, perché gli
attori che interpretano determinati ruoli iniziano ad avere determinati vestiti, accessori, tagli
di capelli, anche atteggiamenti particolari del corpo, non dimenticando che siamo nel cinema
muto e che i gesti hanno un ruolo importante nella comunicazione visiva e tutto questo
insieme influenza enormemente la realtà, così come influenzano le società moderne del
‘900, i valori trasmessi attraverso lo schermo.
Bartolomeo Pagano è un simbolo, attore non professionista, poiché Pastrone lo trova “in
strada”, precisamente nel Porto di Genova. Era un manovale con una fisicità imponente, che
appare al regista perfetta per interpretare il ruolo di Maciste, uno schiavo numida che recita
in black face, che è il ricorso al trucco grazie al quale un attore bianco interpreta il ruolo di
un nero. Lo stesso meccanismo è stato utilizzato anche in “Birth of a Nation” in cui attori
americani bianchi, interpretavano il ruolo di attori americani neri.
Pastrone volle,e ciò viene mostrato anche nella corrispondenza preparatoria al film con
D’annunzio, che Maciste fosse non uno schiavo bianco, perché egli era schiavo di un patrizio
romano, ma bensì uno schiavo mida e che perciò recitasse in black face.
Maciste interviene sempre con la forza bruta, infatti con Maciste arriva nei film l’esibizione
del corpo Il ruolo che Bartolomeo Pagano è chiamato ad interpretare, è quello di uno schiavo
mida che, quando viene rapita la piccola Cabiria, si reca a Cartagine (l’attuale Tunisi),per
salvarla dalla barbarie cartaginese, con cui i romani erano in conflitto. Vediamo in questo la
radice ideologica del film, perché in quegli anni l’Italia era in Libia per la campagna
colonizzatrice, e la svolgeva proprio ricordando il ruolo svolto dallo spirito Occidentale,
portatore di civiltà, dei romani.
Cabiria, nonostante dia il titolo al film, non ha centralità narrativa, mentre Maciste è un
personaggio attivo, che ha un ruolo fondamentale nell’opera, infatti gli si deve parte del
finale ad “happy ending”: egli arriva, rompendo le catene, scalzando i cartaginesi e salvando
infine Cabiria, la quale si sposa con il romano Fulvio Axilla.
Maciste inoltre riesce ad attirare nelle sale un vasto pubblico femminile, anche grazie alla
pubblicistica. Venivano infatti pubblicate delle riviste che si occupavano unicamente di
cinema, oggi ne abbiamo poche in Italia, ma negli anni ’10 ve ne erano tantissime, che
promuovevano i film tramite le foto di scena, le interviste agli attori e alle grandi dive.
Il successo del film “Cabiria” fa sì che l’anno successivo, nel 1915, Maciste diventi un
“personaggio nuovo”: per capire bene, basta pensare al concetto dello “spin-off” odierno,
ovvero quella produzione di film che si concentrano sulla narrazione specifica delle
avventure di un personaggio in particolare, che era apparito precedentemente in un altro
film, in cui non era protagonista, ma secondario. Maciste quindi è il primo caso di spin-off
del cinema, perché da Cabiria in poi cominciano una serie di film con Maciste protagonista.
Nel 1915 viene girato un film dal titolo “Maciste”, ma esso non è più ambientato nell’antica
Roma, bensì nella Torino contemporanea e la narrazione mostra, nella prima scena, Maciste
in black face (quindi si riprende la tecnica utilizzata in Cabiria). La scena lo riprende nel
camerino, intento a lavarsi il viso e in questo modo svela al pubblico italiano che in realtà
Maciste è un attore bianco.
Tutti i film successivi, saranno incentrati sul ruolo che Maciste interpretava in Cabiria: un
uomo che interviene sempre per salvare qualcuno in pericolo. In “Maciste” del 1915, l’attore
riceve una lettera di una sua ammiratrice in pericolo, perché ci sono degli uomini che
attentano alla sua incolumità e perciò Maciste attore si mette in moto per salvarla. Poi
avremo altri film con il nome “Maciste” nel titolo, come “Maciste e i due leoni”, “Maciste e
lo sceicco”, che però fa riferimento, e questo ci riporta al divismo, ad un film che aveva come
protagonista uno sceicco interpretato da Rodolfo Valentino, attore americano con origini
italiane, che diventa l’emblema dello Star System. Ma il Maciste di tali film non è un mida,
come in Cabiria, ma è bianco, perché la forza bruta, ma buona rappresentata da Maciste,
non può nella narrazione della cinematografia di un paese come l’Italia continuare ad essere
rappresentata da un mulatto, deve essere fatta da un bianco. Maciste diventerà poi con il
tempo l’alter ego del Duce, infatti la serie di Maciste investirà tutti gli anni ’20 e sarà
l’antesignano dell’era prima Giolittiana, poi del Fascismo, con la messa in campo del “mito
degli italiani brava gente”, che descrive gli italiani come uomini maschi, bianchi,
caratterizzati da bontà e civiltà, per dare giustificazione all’impresa coloniale svolta in Africa
orientale.
Già negli anni ’10 quindi il cinema assume una valenza ideologica molto forte, perché ci si
rende conto che esso può avere grande impatto ed influenza sulle masse, in particolare
quella italiana, tedesca, sovietica, in cui i paesi si ritrovano a vivere stagioni dittatoriali.
Il cinema, in questi casi, diventa un campo di azioni molto forti, come la censura. La censura
si inserisce nell’industria degli Stati Uniti, infatti dagli anni ‘10 in poi si parla di industria
cinematografica, dove c’è una standardizzazione della produzione. Tale industria non può
permettersi di incappare nella censura e quindi si dota di un codice di autocensura, piuttosto
che arrivare a produrre film che a causa di essa possano venire tagliati, e quindi stravolti,
oppure bloccati, con una conseguente mancata distribuzione. Hollywood si dota di un
codice, il Codice Hays, scritto dal giurista William Harrison Hays, in cui viene sindacato cosa
si può o non può mostrare all’interno dell’opera cinematografica, definisce gli spazi, anche
a livello narrativo, stabilisce quali sono le storie che possono essere raccontate, quali valori
dovevano essere necessariamente trasmessi. Ad esempio, se si narra la storia di un
adulterio, la donna in questione non può avere un “happy ending”, ma deve avere
assolutamente un finale infelice, come la morte o la malattia, perché bisognava trasmettere
il principio che l’adulterio fosse qualcosa di sbagliato.
Il codice Hays spiega come si scrive una sceneggiatura, cosa l’inquadratura può contenere,
come deve essere. Ad esempio: L’oscenità era vietata nei gesti, nelle parole e nelle canzoni;
la tecnica di un assassinio doveva essere presentata in modo che non potesse ispirare
imitazioni, le uccisioni brutali non dovevano essere presentate nel dettaglio; la vendetta non
doveva essere giustificata.
Con il cinema sonoro si entra in una nuova espressione del linguaggio cinematografico, tutto
accade ora all’interno del film e ci sono inquadrature, nel codice, che vengono vietate perché
magari distraggono il pubblico, lo interpellano. Si inizia a lavorare perciò al “Découpage
classico”: la scena, che rappresenta un macro-segmento del film, comincia sempre con un
campo d’insieme (strada, edificio), che ci colloca in un determinato luogo, poi abbiamo i
personaggi, che se interagiscono fra loro, vanno a formare un campo contro campo, viene
inquadrata ad esempio prima la persona che parla e poi quella che ascolta. Ci sono proprio
una serie di regole di montaggio che rispondono ad una legge di fluidità narrativa. In vari
contesti artistici e sperimentali si capisce che si può fare un altro tipo di cinema: viene
inquadrato qualcuno ad esempio, e subito dopo vengono inquadrate delle pillole per il mal
di testa. Quindi abbiamo due modalità di costruzione del racconto: quest’Ultimo caso è per
immagini dialettiche, di cui lo spettatore è portato a ricostruirne il senso, mentre il
precedente, con il découpage, presenta immagini che si susseguono l’una generando l’altra.
Per circoscrivere meglio gli spazi cinematografici, bisogna inoltre fare una distinzione di
generi: in una pellicola drammatica, non si può porre un poliziotto cattivo o maldestro, senza
poi non farlo finire male, mentre nella pellicola comica entra in scena l’ironia, c’è la
possibilità anche di prendere in giro il personaggio. Fra le prime comiche americane abbiamo
quelle di Mack Sennet, dove comincia a lavorare Charlie Chaplin, in cui si lavora sulla
derisione delle forze dell’ordine, cosa che non accadrebbe in un film drammatico. Di seguito
vediamo i “Keystone cops”: hanno facce buffe, spesso sono in sovrappeso, rincorrono la
persona sbagliata, ma all’interno della comicità della Gag, tutto ciò viene consentito.
Negli anni ’30 si afferma invece la cosiddetta “Commedia sofisticata” americana. Abbiamo
un film che, in italiano prende il nome della protagonista, “Susanna”, ma in inglese è
“Bringing up baby”,con Katharine Hepburn e Cary Grant ed Howard Hawks regista. Siamo
qui in un ambiente alto-borghese e perciò si può godere di libertà un po’ più ampie, rispetto
alla commedia popolare, perché la commedia sofisticata riguarda una parte minima della
società. C’è più libertà perché c’è una maggiore identificazione di alcuni strati della società
piuttosto che di altri, che non devono aderire a delle sovversioni di valori di riferimento, in
primis lo stato, la famiglia nel senso classico del termine, la legalità, il lavoro.
Qui vediamo Rodolfo Valentino nei panni dello sceicco arabo. L’Orientalismo pervade alcune
cinematografie, come quella italiana ed americana, quindi quelle in cui il discorso
colonialista è molto forte. Gli arabi, come i neri, sono tutte figure alterizzate, portatori di
valori negativi come la lascivia, la violenza, la falsità. Viene rappresentato sempre il dualismo
bianco-nero, occidentale-orientale.
Valentino interpretò diversi film, fino alla sua morte improvvisa, che spiega in concreto il
fenomeno del divismo, poiché quando lui morì, ci furono due funerali: uno ad Hollywood ed
uno a New York. L’evento andò su tutti i principali giornali, c’è infatti una fortissima
documentazione fotografica della notizia, e ci furono addirittura dei suicidi da parte delle
ammiratrici, che non riuscirono a sopportare il dolore per la morte dell’attore. Questo ci fa
capire quanto negli anni ‘20 il fenomeno divistico avesse delle dimensioni spropositate, era
qualcosa che andava al di là dello statuto dell’attore, infatti la parola “divino” ce li pone
come degli esseri a metà strada fra Dio e l’uomo.
Il fenomeno divistico quindi da un lato, nasce come strategia pubblicitaria, che ha il fine di
fidelizzare il pubblico, cosa che accade anche oggi, molto spesso i film vengono guardati non
tanto per la trama, quanto per gli attori che la interpretano. Hollywood quindi, che si
struttura presto come industria, individua nello Star System un meccanismo in grado di
agevolare la struttura industriale stessa.
La parola System, ci riporta proprio al fatto che viene utilizzato un sistema, che le major
americane adottano: vengono ingaggiati degli attori, a cui viene fatto firmare un contratto
(cosa che non accadrà più dalla New Hollywood in poi), che di solito è decennale, perché
bisognava trattenere, legare a sé l’attore alla casa di produzione, che nel frattempo lavora
per elevare il suo status, al fine di trasformarlo in un divo. Spesso vengono individuati degli
attori talentuosi, ma che pochi conoscono, i quali vengono scritturati con dei contratti che
hanno una paga normale, ma nel frattempo viene avviato un meccanismo che incomincia a
far imporre l’attore come divo: si crea interesse verso la sua vita privata, si fan interviste,
fotografie, interventi alla radio, che allora era il medium per antonomasia per informazione
e intrattenimento, fino a formare il divo, che si ritrova alla fin fine completamente sfruttato
dal sistema produttivo industriale. L’attore veniva pagato per lavorare per la casa di
produzione, non per il film in sé, quindi era tenuto a recitare – da contratto- in tutti i film in
cui gli veniva detto di partecipare, non aveva possibilità di scelta. Alcuni contratti
prevedevano persino l’evenienza di poter sottoporre gli attori ad eventuali operazioni di
chirurgia estetica, per rendere i loro connotati più interessanti a livello cinematografico.
Lezione 30 /10/ 2020
Chiaramente il cinema arriva a fine 800 in un momento più che epocale, in quanto siamo a
cavallo tra due secoli e il cinema ci catapulta nel XX secolo, che è il secolo per antonomasia
della tecnica , oggi siamo già a 20 anni dal 2000 e siamo nel pieno di tutto quello che in
realtà scaturisce dal secolo della tecnica , pensate al digitale , a come noi oggi stiamo facendo
lezione, ognuno nelle proprie case che possono essere dislocate su territorio nazionale o
extranazionale. Tutto ciò è possibile grazie a quella che poi è diventata la tecnologia, ma
siamo ancora in presenza di una tecnica che ci consente di fare cose sempre più articolate.
Questo per dirvi che il cinema, davvero ci inserisce in questa continua elaborazione tecnica
.
Walter Benjamin scrive un saggio intitolato “L’opera d’arte nell’epoca della sua
riproducibilità tecnica” e fa una riflessione su come l’opera d’arte abbia perso nel corso del
Novecento quell’aura di unicità. Ad esempio La Gioconda di Leonardo è unica, si trova in un
solo luogo, poi però possiamo avere varie riproduzioni o addirittura avere un poster nella
nostra camera, ma come sappiamo, quest’opera è una, è irriproducibile, la sua aura è data
dal suo essere un oggetto unico. Il cinema, invece, vive di un altro statuto quello della
replicabilità. Ad esempio esce un film, Fitz Lang presenta Metropolis e non ci sarà un unico
film, la copia di quest’ultimo verrà duplicata in altre copie, quindi anche a Berlino, a Londra,
vedranno tutti lo stesso film. Questo per dirvi cosa? Che le riflessioni teoriche rispetto a
come l’arte si sta trasformando tra 800 e 900 sono veramente tante.
LE AVANGUARDIE
Ognuno di voi, avrà studiato questa stagione dell’arte contemporanea che tra 800 e 900
smette la forma della verosimiglianza, del realismo, ricordiamo artisti come Van Gogh,
Picasso, Gauguin e altri. Ognuno di questi artisti mette mano ad un tipo di rappresentazione
assolutamente soggettiva. Picasso vede le figure e gli spazi in un determinato modo, Van
Gogh in altri e così via. Questo significa che l’arte si affaccia al 20° secolo con una libertà di
rappresentazione che non si era mai vista prima, perché per secoli la pittura, la
rappresentazione visiva, aveva sempre rincorso l’immagine quanto più verosimile, quanto
più vicina a quello che l’occhio umano percepisce. Cosa accade? Che quando arriva la
fotografia e ancor di più il cinema, che realizzano proprio questo sogno della
rappresentazione, le altre arti si svincolano da questa dipendenza al reale e ognuno
rappresenta la realtà, i soggetti, come più sente vicino alla propria interiorità. Quindi questo
ci porta verso la sperimentazione delle Avanguardie. La stagione delle Avanguardie
cosiddette storiche, interessa la pittura, la scultura, la fotografia ed il cinema. Il film che vi
lascio da vedere si situa all’interno di una stagione artistica di sperimentazione che è
l’espressionismo tedesco, è un film che esce nel 1919 e che poi avremo modo di
approfondire.
FUTURISMO
Oggi invece, facciamo un po’ una panoramica su quello che accade in Europa a cominciare
dal Futurismo. Il primo manifesto futurista, come avrete già studiato in letteratura, esce nel
1909 e poi a seguire, come vedete nella slide abbiamo altri manifesti.
Che cosa scrivono i futuristi italiani, tra cui, Filippo Tommaso Marinetti nel Manifesto del
futurismo legato alla cinematografia? Scrivono che il cinema sostanzialmente si pone come
quel campo artistico ideale per mettere mano ad una nuova arte, in modo molto grossolano
per i futuristi bisognava abbandonare la forma classica, avevano dichiarato guerra alla Nike
di Samotracia, a questa immagine della bellezza canonica, in un certo senso volevano
mettere in crisi il sistema classico di rappresentazione. Secondo i futuristi, il cinema, proprio
perché era un’arte senza passato e non aveva alcun tipo di sudditanza verso registi dei secoli
precedenti, poteva incarnare tutti questi nuovi ideali dell’arte futurista. Tra l’altro dobbiamo
ricordarci che i Futuristi videro la Prima Guerra Mondiale e in particolare l’entrata in guerra
dell’Italia come un momento di grande entusiasmo, avevano addirittura individuato la
guerra come una macchina rigeneratrice ma in realtà molti di loro persero addirittura la vita.
La guerra, anche parlando dell’espressionismo tedesco, ha un ruolo importante in alcune
avanguardie, ma potremmo dire in tutte, perché sia in positivo che in negativo, la guerra è
un po’ il motore delle avanguardie storiche, perché? vi spiego meglio. Noi dobbiamo pensare
alla Prima Guerra Mondiale come una guerra ancora legata a vecchie strategie e modalità,
cioè una guerra di trincea, cosa significa? Che gli eserciti si combattevano l’uno di fronte
all’altro, il film di Kubrick “Orizzonti di gloria”, rappresenta molto bene questo concetto, in
cui c’è una trincea tra l’esercito italiano e l’esercito tedesco, e come si vincono queste
battaglie? Uccidendo il maggior numero di persone. Questo significa che l’impatto che ebbe
la Prima Guerra Mondiale sulle società europee fu devastante perché morirono milioni di
cittadini, ma non solo, questo ebbe delle ripercussioni molto forti anche sull’industria
cinematografica e fece sì che il cinema americano ebbe sempre più spazio nelle sale italiane.
Anche il cinema tedesco ebbe dei grandi contraccolpi, come tutta la società tedesca, e il
gabinetto del dottor Caligari, che è un film dalla dimensione psicanalitica molto forte, è
proprio il simbolo della perdita di disorientamento della società tedesca non solo da un
punto di vista politico, ma anche umano, artistico ed economico.
Quello che però è interessante a partire dal Futurismo, è individuare come attraverso le varie
sperimentazioni, si arriva alla conquista di concepire il cinema non solo come mero
strumento narrativo, ma come un vero e proprio linguaggio. Questo cosa significa? Che
quando vedrete il gabinetto del dottor Caligari , tutto viene investito da questa distorsione
del segno (lettere , didascalie , il tipo di carattere) scelta dal regista Robert Wiene , che
diventa espressione del contenuto. C’è un lavoro proprio sul linguaggio, che in questo caso
viene chiamato profilmico perché siamo di fronte a delle didascalie.
Questa è una delle varie locandine in cui possiamo notare come tutto è distorto.
Nell’immagine vediamo un ponte, in cui c’è questo personaggio sonnambulo di nome
Cesare, vediamo un lampione anch’esso distorto, dunque tutti gli spazi sono investiti da
questa distorsione.
Una studiosa tedesca Lotte Eisner che ha dedicato la sua ricerca al cinema tedesco e al
cinema muto tedesco, scrive che nel cinema espressionista tutto viene impregnato di anima,
potremmo dire finanche i caratteri, le lettere, le didascalie ecc. in questo caso lei parla di
paesaggi.
Siamo nel 1919 e c’è tutta una produzione nelle varie cinematografie nazionali che comincia
a mettere delle regole per il film. Qui invece, il cinema espressionista non fa altro che violare
le leggi della verosimiglianza, del reale, per mettersi al servizio di una serie di ideali. C’è una
ribellione verso quello che è l’ordine naturale o l’assetto sociale , vi è una debolezza
dell’oggetto , del personaggio, ma soprattutto introduce tutta una serie di personaggi che si
pongono come “doppi” rispetto all’umano , pensate a Dracula , a Nosferatu il vampiro , alla
figura dei mutanti , come vediamo in un film di Ridley Scott “Blade Runner” , che comincia a
ragionare sui replicanti , queste figure che replicano in tutto e per tutto persino i sentimenti
degli esseri umani , ma invece sono macchine , insomma la filmografia sul doppio dell’umano
è veramente sconfinata e la cosa interessante che comincia già alla fine degli anni dieci e
che continua per tutto il Novecento.
Questa è una citazione del regista Robert Wiene del gabinetto del dottor Caligari .
(LEGGE LA CITAZIONE) questo per dire cosa? Per dire che negli anni 10 ma soprattutto negli
anni 20, l’espressionismo investe anche l’architettura, un esempio è la CHILEHAUS ad
Amburgo, dove appunto vediamo questo palazzo stilizzato secondo le forme espressioniste.
Quindi, cosa sto cercando di dirvi, che con questi movimenti di avanguardie, in Germania
assistiamo all’espressionismo, ma non solo , c’è anche una corrente di cinema astratto in cui
si comincia a sperimentare l’astrazione . Ad esempio abbiamo vari film come:
•Rhytmus 21 di Hans Richter : in cui vediamo varie forme quadrate che si ingrandiscono o
si rimpiccioliscono , un alternanza di colore tra il bianco e il nero , varie linee ecc.. . Tra l’altro
è un film che Richter chiama Rhytmus 21 , proprio per sperimentare un tipo di linguaggio
artistico che si muove attraverso un ritmo che accomuna varie arti come ad esempio la
musica.
•Symphonie Diagonale di Viking Eggeling : anche qui siamo nel ’24 , siamo sempre in
Germania e questo artista sperimenta sempre sulla pellicola la rappresentazione di forme
che si susseguono. E come vediamo anche qui , c’è il riferimento alla musica , in quanto
Eggeling parla di Sinfonia .
•Anémic Cinéma di Duchamp : E’ un film che ci porta nella sperimentazione francese . Tra
l’altro la Francia si trova a vivere un periodo molto florido perché esce vincitrice dalla Prima
Guerra Mondiale e qui abbiamo anche un tipo di sperimentazione più entusiastica dove però
c’è già un tipo di critica sociale molto forte. Nel titolo di questo film si gioca con l’anagramma
, in quanto Anémic è l’anagramma della parola Cinéma .In questo caso ,siamo da un lato
distanti dal Caligari, perché quest’ultimo porta avanti una trama più articolata , l’attore è
molto centrale , mentre qui siamo in una sperimentazione pura, però vedremo più avanti
che a questi cerchi concentrici dal mero apparato figurativo , dove non c’è alcun elemento
verbale né tantomeno presenza attoriale , Duchamp inserisce delle frasi e giochi di parole.
•Entr'acte di René Clair : siamo di fronte ad un altro capolavoro del cinema d’avanguardia
francese , questa volta siamo all’interno del movimento dadaista . Il regista è René Clair ,
siamo nel ’24 e il film dura circa 27 minuti , viene intitolato “Entr’acte” che in francese
significa “Intervallo”. Perché sceglie questo nome? perché il film fu presentato come
intervallo durante uno spettacolo teatrale di balletti d’avanguardia del nord Europa e tra un
atto e l’altro fu presentato questo cortometraggio. [DESCRIZIONE DEL FILM] : Come
vediamo, abbiamo un’apertura, una vista dall’alto sulla città di Parigi e l’avanzare di un
cannone che però viene spinto da nessuno , vi è quindi un gioco di movimento. In seguito
arrivano René Clair e Francis Picabia che è un altro grande artista che partecipa al film e cosa
fanno questi due artisti? puntano questo cannone verso il pubblico. Quindi in qualche modo
il pubblico borghese che si era recato a Parigi per vedere questo spettacolo, si trova ad
assistere a questo cortometraggio durante il quale si vede rivolto contro un cannone. E cosa
lanciano? Dopo questa scena c’è una sequenza di immagini capovolte che mostra i tetti delle
case di Parigi , una rappresentazione della città che viene messa sotto sopra . In seguito
cominciamo ad intravedere l’immagine della città, delle vetrine che sono un po’ il simbolo
della modernità. Si vedono inquadrate delle gambe di una ballerina che danza su un piano
di vetro, ma successivamente René ci mostra il volto di questa danzatrice e si svela che in
realtà è un uomo con la barba.
E quindi qui inizia una riflessione rispetto al linguaggio, rispetto a quello che può fare il
cinema, di farci vedere cose che sembrano ma che non sono. Più avanti, il film continua con
uno dei momenti più dissacranti ed è quello del funerale. Un funerale da cui escono queste
donne affrante e comincia un corteo in cui scopriamo che il carro funebre sarà trainato da
un cammello. Da un lato c’è il gioco della rappresentazione del cinema dadaista, ma allo
stesso tempo c’è anche un occhio rivolto alla società borghese francese di questo periodo e
a quelli che sono i valori che questi artisti mettono un po’ sotto sopra.
Prima abbiamo visto le immagini di Parigi, infatti tra gli anni 10 e gli anni 20 cominciano ad
essere realizzati, anche da un punto di vista artistico molto elaborato, dei primi documentari
sulle città ad esempio Berlino, sinfonia di una grande città, dove nel ’27 Walter Ruttman
realizza un ritratto della città di Berlino in cui viene presentata tutta la vita in questa grande
metropoli che ha poi un grande ruolo di capitale culturale e che cosa riprende Ruttman ?
Riprende il movimento, la vita dinamica, ci sono varie inquadrature dei treni e si comincia a
pensare, grazie al cinema, alle città come se fossero dei personaggi da rappresentare nella
loro vitalità, quindi il tema del movimento, ma anche degli ingranaggi che possono essere di
una fabbrica, assumono una valenza dal forte simbolismo. Su questo potremmo arrivare fino
ai tempi moderni di Charlie Chaplin in cui si riflette sul rapporto tra uomo-macchina, invece
con “Berlino, sinfonia di una grande città” siamo proprio di fronte alla rappresentazione
della vita della città attraverso il movimento.
Lezione del 3.11.2020
Youtube Effetto Kuleshov: https://www.youtube.com/watch?v=_gGl3LJ7vHc
Kuleshov
Parliamo dell’effetto Kuleshov. Dove ci troviamo? Ci troviamo ancora in ambito delle
avanguardie storiche dalla metà egli anni 10 agli anni 20. Siamo in Russia, Kuleshov è stato
un importante sperimentatore e regista russo che si trova a vivere il periodo all’indomani
della Rivoluzione russa che smantella il sistema zarista e porta a quella che poi sarà la
dittatura del proletariato, il potere eretto da Lenin e la svolta stalinista, un momento in cui
in vari paesi d’Europa c’è una stagione politica dittatoriale. Cosa accade? Con la presa del
palazzo d’inverno, con questo momento di rivoluzione c’è una liberazione di tutte le arti ed
è un momento importante per la sperimentazione non solo cinematografica ma anche
teatrale, poetica, letteraria e pittorica. Il cinema chiaramente ha un peso non secondario
perché è l’arte che vive in un momento rivoluzionario in cui si smantella un sistema
oligarchico e con un tasso di analfabetismo notevole... chiaramente il cinema diventa un’arte
di facile accesso alla quale anche i ceti meno forti possono accedervi senza esclusioni da
momenti culturali ed educativi.
All’interno di questa stagione nuova sia politica che culturale Kuleshov è uno dei giovani
registi che danno un contributo molto importante. Viene chiamato anche a dirigere una
scuola di cinema e fa un esperimento che consiste nel prendere il primo piano di un noto
attore e abbinare al primo piano di questo attore tre immagini completamente diverse: una
zuppa, una bambina in una bara e una donna con una posa molto avvenente. Ovviamente
le 3 riprese differenti vengono alternate al primo piano dell’attore.
Cosa verificò Kuleshov con questo esperimento?
Kuleshov verificò con i propri studenti che nel linguaggio cinematografico che in quel
periodo stava facendo i rimi passi, il montaggio era fondamentale per produrre senso e
significato. Quindi il senso non è generato dalle singole inquadrature ma è importante anche
e soprattutto il montaggio. Nella Russia a cavallo tra gli anni 10 e 20 si realizzano pellicole
importanti che lavorano in un cinema politicamente impegnato e trasmettono messaggi con
una valenza politica. Col montaggio nasce una caratteristica grazie al quale con l’aiuto delle
immagini spesso anche extradiegetiche è possibile far elaborare il senso agli spettatori.
Questo discorso ci riporta anche alla “Speculazione sul grano” di Griffith che lui utilizza come
strumento per mettere insieme inquadrature diverse portare ad una elaborazione.
L’Effetto di Kuleshov → il montaggio come base della produzione di senso. Il senso non è
generato dalle inquadrature ma dal montaggio.
Sergej Ėjzenštejn
• Il montaggio delle attrazioni (combinazione di materiali eterogenei per scuotere
l’attenzione e l’emozione dello spettatore).
• La teoriadegli stimoli → stimolare l’immaginazione e il lavoro intellettuale
• il cine-pugno
Sergej Ėjzenštejn è stato uno dei padri della teoria del montaggio oltre ad essere una figura
di assoluto rilievo nell’avanguardia russa. Porta avanti una produzione teorica davvero
notevole sul montaggio andando ad elaborarne la sua evoluzione partendo dal
riconoscimento del valore pioneristico del montaggio in Griffith.
Il montaggio delle attrazioni fa riferimento ad un tipo di montaggio in cui vediamo
l’inserimento nella sequenza di immagini in qualche modo estranee a quello che si sta
raccontando per attirare l’attenzione e l’emozione dello spettatore. Ėjzenštejn presuppone
un tipo di pubblico che si allontana dal tipo di esperienza del cinema delle origini, dato che
il cinema narrativo stava abituando il pubblico ad un piacere nella fruizione del film. Per
Ėjzenštejn il film non doveva essere solo un accompagnamento o un qualcosa piacevole da
guardare ma doveva stimolare il lavoro intellettuale del pubblico.
Ėjzenštejn elabora anche una sorta di teoria che è quella del Cinepugno: un tipo di ricorso
ad un montaggio che inserisce immagini violente che arrivano come un pugno nell’occhio e
nella mente dello spettatore per stimolarlo e svegliarlo dal tipo di torpore che il cinema degli
anni precedenti che lo stava abituando, spingendolo ad utilizzare il film come una sorta di
oppio per i poveri che lo distraeva dal realismo e lo portava in una dimensione quasi onirica
Dziga Vertov
Dziga Vertov si troverà assolutamente contrario a questa concezione cinematografica di
Ėjzenštejn. Dziga Vertov è un’altra randa figura dell’avanguardia russa. Realizza nel 1929 un
film molto importante che è “L’uomo con la macchina da presa”. Ha una posizione opposta
a quella di Ėjzenštejn. Per Dziga Vertov bisognava abbandonare i copioni, non utilizzare
attori, non ricorrere alla sceneggiatura, non ricorrere alle didascalie e all’elemento verbale
proprio perché consapevole che il pubblico andava educato attraverso un cinema che mira
al linguaggio universale che va aldilà dell’elemento verbale. Non importa che il pubblico
sappia o non sappia leggere, l’importante era il montaggio e il discorso portato avanti dalle
immagini. E’ un tipo di cinema documentaristico e Dziga Vertov parte dalla teoria del
“cineocchio”. L’occhio della macchina da presa possiede delle capacità di restituzione della
realtà più fedele dell’occhio umano. Mostra ciò che noi abbiamo sotto gli occhi ma che
normalmente non riusciamo a vedere, quasi come fa un microscopio. Questo film mostra la
vita della città di mosca che viene ripresa da questo operatore, che restituisce la vitalità, le
miserie e i momenti di difficoltà di una giornata tipo della fine degli anni ‘20 solo e
semplicemente attraverso il montaggio. Vertov utilizza le didascalie solo all’inizio del film in
cui precisa al pubblico che il film è una sorta di estratto da un diario di un cine-operatore.
Sono tutti eventi reali senza l’aiuto di didascalie, senza storia, senza l’aiuto del teatro tutto
basato sulla separazione dal linguaggio del teatro e della letteratura.
È uno dei primi film che riflette sul dispositivo cinematografico, è metacinematografico.
Mostra proprio l’atto pratico di lavorare col cinema anche con delle riprese di donne che
lavorano la pellicola.
Youtube Man with a Movie Camera (1929) movie:
https://www.youtube.com/watch?v=cGYZ5847FiI&t=960s
Lezione del 13.11.2020
Abbiamo già visto come con la figura di David Griffith il cinema americano raggiunga, nella
metà degli anni ‘10, una maturità linguistico-narrativa importante. Abbiamo anche già visto
i corti di Griffith alla Biograph, -una delle prime importanti case di produzione americana
con sede a New York- , ma quello che accade è che la produzione cinematografica si sposta
dalla capitale culturale degli Stati Uniti – New York- a Los Angeles per una serie di motivi;
innanzitutto la produzione statunitense diventa sempre più ampia e quando parliamo di
Hollywood e del cinema americano, parliamo ancora di industria, quindi dobbiamo
immaginare l’affermazione del cinema degli Stati Uniti come un sistema produttivo, un
sistema industriale. È un sistema industriale che realizza film, per cui ha bisogno di set, di
spazio. La California, che era un sobborgo di Los Angeles, viene individuato ben presto come
luogo in cui poter insediare quelli che oggi noi chiamiamo studios. Parliamo chiaramente di
un sistema industriale che si struttura secondo delle logiche industriali; innanzitutto
abbiamo le cosiddette Big Three, le tre grandi case di produzione che si insediano ad
Hollywood e che dettano la legge nel campo della produzione cinematografica e sono: la
Paramount- Publix, la Metro Goldwyn Mayer (MGM) e la First National. Accanto a queste
tre si affiancano quelle che vengono chiamate le Little Five, cioè Universal, Fox, Producers
Distributing Corporation, Film Booking Office e Warner Brothers.
Accanto a queste realtà produttive, nel 1919, figure come David Griffith, Charles Chaplin –
attore con una comicità molto particolare- oppure Mary Pickford, mettono su una realtà
indipendente, la United Artist. Cosa facevano questi attori, attrici e registi che si uniscono in
questa realtà indipendente? Producono e distribuiscono i propri film in modo libero ed
indipendente. Non hanno né sale né studios perché questo oligopolio che si viene a
strutturare negli Stati Uniti – in particolare ad Hollywood- funziona in maniera davvero
particolare; le case di produzione non si occupano semplicemente di produrre i film, ma
curano anche la distribuzione ed hanno anche delle proprie sale da produzione. In questo
modo ci si assicura tutta la filiera che va dalla produzione alla distribuzione. Chiaramente,
sul territorio americano ci sono delle sale che non sono sotto il diretto controllo delle
“major”, ossia di questo sistema che prende nome di producer system (sistema in cui tutto
è organizzato e definito da una figura piramidale in una struttura verticale che è il
produttore). Il produttore è colui che ha il controllo totale sul film e questo è anche uno dei
motivi per cui si crea una realtà come quella delle United Artist, soprattutto se pensiamo
alla personalità di David Griffith che non sottostà, che ha già una consapevolezza autoriale
molto forte e che non riesce a stare in un sistema in cui viene considerato solo un director –
regista-, alla stregua di tutte le altre figure professionali che lavorano nel cinema.
Nel 1922 accade che queste case di produzione si associano tra di loro per cominciare ad
individuare una nuova serie di parametri per regolamentare il contenuto orale del film
perché, nei primi anni del Novecento, fino ai primi anni ’20, il cinema comincia a ricoprire
un ruolo sempre più determinante all’interno delle società occidentali. Negli Stati Uniti c’è
un’attenzione molto forte ai contenuti del film da parte di alcuni enti ed associazioni di
carattere religioso, proprio perché si capisce quanto fosse forte l’influenza dei film sulla
mente del spettatore. Dunque, già dagli anni ’10 ci sono dei primi movimenti volti a
controllare che i film non presentino contenuti che possano scioccare (parliamo di immagini
particolarmente violente, immagini di nudo, presenze di storie che possano raccontare gli
omicidi in maniera positiva, l‘adulterio, storie del divorzio). In sostanza, tutto ciò che ha a
che fare con le istituzioni. A capo di questa associazione tra le case di produzione, viene
chiamato William Hays che all’ora ricopriva l’incarico di ministro delle poste, che mette
mano ad un vero e proprio Codice di Produzione, emanato nel 1934.
Dal 1922 fino al 1934 Hollywood lavora per dotarsi di una sorta di autocensura proprio per
non andare a compromettere le produzioni da un punto di vista economico. Girare una
scena che contiene degli elementi che possono essere soggetti a censura significa avere una
perdita di risorse economiche, ed è proprio per questa ragione che all’interno di questa
concezione industriale del film interviene l’autocensura per preservare tutto questo.
Accanto al producer system si affianca anche il cosiddetto star system che è un tipo di logica
produttiva molto attenta all’impiego degli attori e delle attrici. Quando parliamo del cinema
hollywoodiano tra gli anni ’20 e gli anni ’30, parliamo di un momento in cui ci troviamo di
fronte allo sviluppo di quello che viene poi individuato come stile classico. Film dopo film,
produzione dopo produzione, i registi, montatori e tutte le figure appartenenti al mondo
cinematografico, cominciano a mettere a punto una sorta di canone istituzionale a cui fare
riferimento; il film deve seguire un determinato sviluppo, una determinata linearità che deve
essere temporale. In sostanza, si inizia a mettere mano proprio sulla sintassi del film classico,
sulle tecniche di ripresa, sul campo contro campo e sul montaggio che comincia ad essere
concepito come “montaggio invisibile”. L’ultima volta abbiamo che fatto riferimento al
montaggio, parlavamo di un montaggio estremamente visibile tipico del cinema
d’avanguardia, dove lo spettatore sente la presenza del montaggio e viene stimolato dal
montaggio per ragionare sulle immagini. Al contrario, nel cinema classico hollywoodiano il
lavoro è agli antipodi poiché si è proiettati verso il montaggio invisibile per permettere allo
spettatore di immergersi completamente nella rappresentazione. A conseguenza di ciò,
tutte le tecniche di montaggio, di ripresa, lo sviluppo della storia, la dinamica dei personaggi,
devono essere concepiti in modo da rendere reale ciò che stiamo vedendo perché solo in
questo modo possiamo immedesimarci come personaggi e ad alimentare quel corpus di
valori che si vuole veicolare attraverso il cinema. Il cinema è talmente importante nella
società americana tra gli anni ’20 e ’30 al punto che quando il presidente Roosevelt mette
un piano di ripresa a seguito della caduta della borsa di Wall Street, il New Deal, il cinema –
in particolare la commedia- ha il ruolo importante di riportare fiducia nelle istituzioni.
Facendo un percorso tra anni ’20 ed anni ’30, un posto di rilievo viene occupato dal cinema
comico. Chiaramente, la produzione industriale di cui abbiamo parlato prima – produzione
cinematografica che procede secondo un sistema industrializzato- è una produzione che
procede anche per generi, difatti le case di produzione si specializzano nei generi. Questo
viene realizzato innanzitutto perché il genere è una sorta di contenitore narrativo che ci
consente di collocarci immediatamente nella storia; se vado a vedere un film Western so già
che mi trovo in un determinato territorio, con determinati personaggi, con dei valori di
riferimento, con il mito della frontiera, l’identità nazionale, ed è come se io fossi già
proiettata in un tipo di narrazione. La suddivisione in generi risponde anche ad una necessità
di tipo industriale; se sono Radio Universal e mi specializzo nel genere western, la cosa più
intelligente da fare sarebbe quella di riutilizzare una serie di elementi materiali – set,
costumi- che mi consentono di mettere a frutto diversi investimenti. Al contrario, se ogni
volta realizzo un film completamente diverso, ogni volta devo dotarmi di scenografie e
costumi diversi. Dunque, sicuramente i generi nel sistema hollywoodiano hanno un ruolo
assolutamente non secondario.
Il cinema comico.
il cinema comico è un genere che nasce con il cinema stesso subito dopo quella primissima
fase di attrazioni mostrative. Le gag comiche diventano un fenomeno molto forte di
attrazione e c’è la casa di produzione, la Keystone Company di Mack Sennett che diventa un
vero e proprio laboratorio di gag, performance e sperimentazioni linguistiche; la gag di per
sé è un tipo di comicità molto veloce, fatta di inseguimenti, cadute, equivoci e questo tipo
di narrazione agevolò anche la sperimentazione del montaggio. Alla Keystone arriva dal
mondo delle gag e della comica la figura di Charles Chaplin, che diventerà poi una figura di
assoluto rilievo sul piano attoriale. Comincia a lavorare con Mack Sennett, lavorando anche
sulla maschera di Charlot che diventa una figura tipica perché incarna tutti i valori di Chaplin.
Avendo visto “The Kid”, conosciamo il mondo poetico ed assolutamente originale del cinema
muto comico americano, ma soprattutto conosciamo la sua commistione di comicità e
melodramma.
Film come “The kid” racconta in chiave esilarante l’incontro tra Charlot, uomo solo, e questo
bambino che viene abbandonato dalla madre perché non può tenerlo. Ritroviamo sempre
nei film di Chaplin un elemento melodrammatico ed un’attenzione molto forte ai temi della
società.
“The immigrant” è un film che racconta in chiave comica l’emigrazione faticosa che avveniva
via mare. L’arrivo negli Stati Uniti sottopone queste persone a svariati controlli e lo stesso
arrivo coincide il coronamento del sogno che però vede l’addentrarsi in una realtà dura a
causa delle difficoltà economiche e mancanza di lavoro. Fin da subito Charles Chaplin utilizza
il cinema per affrontare grandi temi come quello che abbiamo già visto dell’emigrazione,
fino poi ad arrivare a film più complessi come “Modern times” che porta sullo schermo il
rapporto uomo- macchina e mostra come nel sistema industriale l’uomo si trovi ad essere
parte di un ingranaggio, di una catena produttiva in cui rischia di perdere la sua centralità.
Si arriva poi al “Il grande dittatore”, film in cui per la prima volta il personaggio di Chaplin
parla; ricordiamo che quando abbiamo il passaggio dal muto al sonoro – anni Venti- e che si
ritiene compiuto a partire dal 1930, Charles Chaplin ha grandi riserve rispetto a questa svolta
epocale. Chaplin che aveva sempre lavorato con la propria mimica, con il proprio corpo, con
un tipo di interpretazione dove la parola era superflua e che basava la sua cifra stilistica su
una pratica del mimo, si mostra molto scettico quando arriva questa svolta del sonoro,
rifiutandosi di girare per i primi 10 anni film sonori, fino a quando con “Il grande dittatore”,
nel 1940 il personaggio di Charlot – che presentava una somiglianza strabiliante con un
dittatore ma che era in realtà la controfigura di Hitler – ricorre alla parola. Ci troviamo
comunque nel pieno del totalitarismo e del secondo conflitto mondiale ed è proprio qui che
emerge la capacità di Chaplin di stare dentro la contemporaneità.
* Visione del filmato cui allego link -> https://www.youtube.com/watch?v=6n9ESFJTnHs *
È un film in cui i personaggi non parlano però si sente la musica, la voce della radio ed un
momento in cui il personaggio di Chaplin canta. Quello che manca è il dialogo, ossia quella
ricostruzione perfetta dell’illusione di realtà su cui lavora il cinema classico attraverso una
serie di meccanismi, quello che viene chiamato continuity system: se ho un’inquadratura in
cui esco dalla porta, l’inquadratura successiva mi mostra dopo che ho compiuto questo
movimento in modo da rendere il tutto fluido. Tutto questo ci serve a capire come si
struttura il cinema classico hollywoodiano; innanzitutto attraverso una standardizzazione
dei generi
* la professoressa fa una digressione parlandoci di Hawks e del suo film “Bringin’ up baby”
e ci dice che Haward Hawks è stato un grande regista del cinema classico hollywoodiano che
solo negli anni Sessanta verrà riconosciuto come un’importante figura autoriale, poiché negli
anni ’30 era considerato come un regista eclettico che riusciva a muoversi nei generi. *
La struttura del genere serve a standardizzare la produzione: se creo un film noir, tra l’altro
di derivazione letteraria, ha un certo tipo di ambientazione – metropolitana -, ha un certo
tipo di personaggio, diverse tematiche, tipo di storie e così per tutti gli altri generi. Tutto
deve essere concepito in modo da rendere la narrazione fluida.
Ad andare al cinema saranno i giovani, per questo quegli attori e quelle attrici patinati
perdono d’interesse e si va, così, alla ricerca di un nuovo tipo di attorialità. Dunque, in questo
sistema, l’attore diventa un ennesimo anello della catena di produzione e che produce delle
storie anche tragiche. C’è tanta memorialistica degli attori e delle attrici che raccontano
questo clima in cui vi è la perdita dell’identità. La figura emblema di questo fenomeno sarà
Marilyn Monroe; il cinema vuole raccontare in un determinato modo al pari dei media che
anch’essi vogliono raccontare in un determinato modo mentre c’è poi la vita privata che
restituisce e racconta tutt’altro. È una finestra su un sistema che ha prodotto anche tanta
sofferenza.
Ricapitolando la questione dei generi: già negli anni ’20 iniziano ad emergere delle figure che
si discostano da questo meccanismo di fabbrica -tra cui spicca la figura di Chaplin – e c’è già
una forte critica alla società.
L’abbiamo visto nell’estratto di “Tempi moderni” in cui attraverso il registro della comicità
si fa un’analisi della società contemporanea. Non è un caso che Chaplin sia una figura esterna
alle “majors” hollywoodiane; egli si muove all’interno della United Artist, all’interno di una
dimensione in cui può esercitare una libertà.
C’è un altro regista che viene trattato all’interno del nostro manuale, Eric von Stronheim,
regista e attore di origine austriaca che si muove verso gli Stati Uniti nei primi anni del
Novecento e che ha un’idea di cinema molto personale, che però arriverà ad una rottura con
gli studios perché realizza “Greed”, un film tragico che in una prima concezione doveva
durare sette ore e che va scontrarsi con il cinema classico hollywoodiano poiché
quest’ultimo doveva avere una durata media di 90 minuti, dal momento che dopo un’ora e
mezza lo spettatore iniziava ad esser stanco. Già negli anni ’20 si inizia a capire che c’è una
durata canonica perché superato un determinato lasso di tempo la nostra attenzione cala *
chiara frecciatina a noi studenti circa la didattica a distanza * e dunque si rischia di inficiare
la buona riuscita del film da un punto di vista di ricezione spettatoriale.
“Greed” invece, nel progetto di Stronheim doveva durare 7 ore ed ovviamente gli fu detto
che era una follia perché nessuno spettatore sarebbe rimasto in sala per così tanto tempo.
Stronheim inizia così a ridurre e ridurre, fino poi ad abbandonare il montaggio del film,
lasciandolo nelle mani della produzione e prendendo le distanze rispetto alla regia del film
perché non riconosceva il ridimensionamento della sua opera e nonostante avesse fatto film
importanti come “Femmine folli”, fu cacciato dal sistema hollywoodiano perché non riusciva
a stare all’interno delle regole del producer system in cui il produttore è colui che indica
anche la durata del film ( ricordiamo sempre che ci troviamo all’interno di un sistema
industriale il cui scopo era di vendere i biglietti.).
Sicuramente attraverso la figura di Haward Hawks - di cui parliamo nella prossima lezione- ,
vedremo come è possibile forzare le gabbie della rappresentazione del film classico
all’interno del sistema hollywoodiano. La lezione termina con la professoressa che invita a
vedere il film di Hawks “Bringin’ up baby Susanna” per chi non l’avesse fatto.
Lezione del 17.11.2020
Oggi proviamo un po’ ad arrivare a due film: uno è “Susanna! Bring it up baby” di Howard
Hawks, e poi accenniamo anche ad un film che non avete nell’approfondimento ma nel
manuale che è Citizen Kane di Orson Welles, un film del ’41, perché proviamo un po’ a
focalizzarci su quella che è la lunga stagione della Hollywood classica, una stagione davvero
fondamentale per la storia del cinema, perché si fissano una serie di regole, di canoni a cui
poi il cinema classico sottostà. Quando parliamo di ‘cinema classico’ parliamo sia di questo
sistema a cui Hollywood, l’industria Hollywoodiana in quella sua molto particolare
organizzazione (producer system e star system) approda tra gli anni ’20 e gli anni ’30, dove
c’è tutta una serie di questioni meramente di carattere industriale (ci si riferisce in
particolare alla gerarchia dei ruoli, alla reiterazione ad esempio dei generi per casa di
produzione; la prima cosa a cui pensiamo quando parliamo di “producer system” è un
sistema di produzione, distribuzione ed esercizio, quindi le case di produzione che hanno
delle sale cinematografiche o che comunque curano la distribuzione nelle sale… insomma,
un controllo di tutto il processo che va dal processo creativo a quello distributivo). All’interno
del processo industriale però vediamo che, trattandosi di opere, narrazioni e prodotti
artistici, ci troviamo di fronte ad un’evoluzione della forma filmica che molto presto arriva
ad una definizione in primis del cosiddetto ‘découpage classico’, di quel tipo di montaggio
cosiddetto ‘invisibile’ che struttura il film, e lo vedremo con alcune scene di “Susanna! Bring
it up baby”. Ad Hollywood all’interno di queste produzioni davvero notevoli sia per numero,
quantità di opere prodotte – tra l’altro, come vedremo quando parleremo del Cinema in
Europa negli anni ’30, noi dobbiamo comunque immaginare che la Prima Guerra Mondiale
avrà degli effetti catastrofici su diverse cinematografie europee, in primis quella italiana ad
esempio, la quale negli anni ‘10 si era guadagnata un posto a livello internazionale non
secondario; la Prima Guerra Mondiale che mette in ginocchio anche da un punto di vista non
solo sociale ma anche economico, determinerà anche una crisi delle produzioni
cinematografiche, e quindi ci sarà uno spazio davvero notevole per i film importati dagli Stati
Uniti, fino a quando poi non arriva ad esempio il regime fascista in Italia, che invece comincia
a capire che l’Italia sta alimentando il proprio immaginario con delle pellicole che fanno
riferimento a tutt’altro modello e stile di vita rispetto al cosiddetto “American way of life”.
Quindi si comincia a mettere in atto delle misure che possano far risollevare l’industria
cinematografica. Questo per dire che Hollywood è un’industria che diffonde le proprie opere
sul territorio statunitense ma anche oltreoceano, fino a coprire proprio il mercato europeo.
Da un lato dobbiamo tener ben presente la struttura produttiva, quella proprio di marketing
e organizzativa; abbiamo visto come anche l’uso degli attori e delle attrici all’interno dello
star system sia un lavoro sugli attori che si presenta come una vera e propria strategia di
marketing: attirare quanto più pubblico possibile, soprattutto ha anche una continuità nel
senso che si standardizzano oltre ai generi anche i personaggi legati agli attori (ad esempio
è da citare la Marylin Monroe, che comincia a girare film con storie diverse ma interpretando
sempre lo stesso ruolo, perché così si crea proprio una fidelizzazione nello spettatore e nella
spettatrice nei confronti del personaggio attore e personaggio attrice). Si mette però a punto
in questa macchina davvero vorticosa anche una serie di regole proprio stilistiche su come
si fa il film classico, come ad esempio:
- La prima scena;
- Un’inquadratura d’insieme;
- Un’inquadratura di ambiente;
- I personaggi;
- La dinamica tra i personaggi;
- La leggibilità della storia – storie che devono essere assolutamente comprensibili.
Ci sono poi dei generi che vengono suddivisi tra generi del cosiddetto “ordine” e generi
dell’”integrazione”. I generi dell’ordine sono ad esempio il western, il gangster movie, il
poliziesco… film dove ci sono dei personaggi SEMPRE maschili che seguono un iter diegetico
volto a ripristinare l’ordine.
Poi c’è la commedia, che è spesso una commedia dell’integrazione, perché essa
sostanzialmente racconta storie di matrimoni, di ascese sociali, quindi del coronamento di
un sogno che corrisponde quasi sempre a quello della vita di coppia, vita matrimoniale e
della famiglia.
Tale commedia, che noi inseriamo nel genere dell’integrazione, viene anche declinata
attraverso una serie di sottogeneri.
- Abbiamo un tipo di commedia cosiddetta “romantica”;
- Commedia sofisticata – sono commedie di ambientazione alto-borghese (questo tipo
di sottogeneri si declinano ovviamente anche in base alle ambientazioni);
- Slepsy Comedy – è la commedia molto fisica, in cui la comicità avviene soprattutto
grazie a delle gag (pensare al cinema di Charlie Chaplin);
- Screwball comedy – la cosiddetta “commedia svitata”, in cui non siamo nella comicità
alla Chaplin o alla Keaton (quindi proprio nel comico), ma siamo in una serie di
situazioni anche rocambolesche che chiaramente divertono.
Quest’ultimo è il luogo in cui inseriamo il cinema di Howard Hawks, “Bring it up baby,
Susanna”, di cui c’è il saggio in dispensa scritto dalla professoressa V. Pravadelli che si occupa
di genere inteso come ‘gender’, come rappresentazione dei generi ossia del maschile e del
femminile.
*La prof condivide lo schermo per analizzare delle piccole sequenze di “Susanna” per
cogliere come da un punto di vista stilistico H. Hawks porta avanti un discorso che non è solo
di superficie (ossia di trama), ma è anche proprio linguistico-narrativo, dove le inquadrature,
l’uso della luce, dei primi piani è portatore del significato del film.
Questa nel film classico è la classica inquadratura di inizio scena, inizio sequenza. Abbiamo
una visione d’insieme. Ovviamente da essa noi non riusciamo subito a cogliere dove siamo,
perché potrebbe essere un qualsiasi edificio, ma abbiamo una seconda inquadratura che
compie un raccordo portandoci immediatamente nel luogo dove si svolge poi la prima scena,
che è un museo di storia naturale.
Ci troviamo all’interno del museo, dove siamo subito in presenza di un personaggio molto
particolare: è uno scienziato seduto in una posa anche naturalistica, una sorta di citazione
della scultura de ‘Il pensatore’ di Rodin. Abbiamo questo enorme brontosauro che sta per
essere ricostruito.
Questo è un momento molto particolare, proprio nei primissimi secondi del film, in cui
all’inizio loro chiaramente sono in una posizione di distanza, – lui è in alto, sopra
l’impalcatura accanto al brontosauro che sta finalmente per essere completato – arriva la
notizia di questo pezzo molto importante per la fine di questo lavoro. Lui ha un momento di
entusiasmo e la abbraccia, e scopriamo che in realtà questi due personaggi sono fidanzati,
addirittura alla vigilia del matrimonio, ed è solo il professore che annuncia al pubblico quello
che sta per accadere. Ciò che è importante è vedere come in questa prima scena Howard
Hawks non fa altro che inquadrare questi due personaggi (fidanzati in procinto di sposarsi)
in una posizione molto particolare. David è “a favore di camera”, mentre lei è sempre di
profilo, quindi noi non riusciamo mai a vederla pienamente in volto.
Nel cosiddetto “découpage classico” la conversazione tra due personaggi (tra l’altro
fidanzati, che hanno un rapporto così forte) è una conversazione che viene di solito
raccontata attraverso il cosiddetto “campo” e “controcampo”, cioè una volta si inquadra lui,
una volta lei, in modo tale da avere sempre i due punti di vista e i due poli della
comunicazione. Qui continuiamo sempre a vedere lei in una posizione molto marginale
rispetto all’inquadratura e non riusciamo davvero mai a cogliere poi quelle che sono le sue
emozioni, le sue posizioni; sentiamo già chiaramente che siamo in presenza di un
personaggio molto freddo, a tal punto che rifiuta l’idea di mettere su famiglia, l’idea dei
bambini – dice una frase molto forte, ossia “sarà questo il nostro bambino, la nostra
creatura” (riferendosi al brontosauro) – e quindi ci troviamo all’interno di un genere che si
chiama “screwball comedy”, una commedia comunque “svitata” che è tanto calata in
un’ambientazione alto-borghese, infatti questi due personaggi non sono una segretaria e un
impiegato che si stanno per sposare: lui è una persona in carriera e lei è una segretaria
completamente dedita al lavoro. Quindi, anche per quanto riguarda la questione della
cosiddetta “sceneggiatura di ferro” è chiaro che in termini di identificazione sono due
personaggi molto particolari, poco esemplari rispetto alla media della società americana, ed
è qui che Howard Hawks spinge forza nelle possibilità di rappresentare sostanzialmente
un’opposizione tra quella che è la legge del dovere, del lavoro e quella che è poi la legge del
desiderio, la quale vedremo sarà fortemente incarnata dall’irruzione di questa donna che
scompiglia tutto, che è appunto Susanna.
(Rispetto alle foto):
1. Passiamo ad una scena di una partita a golf, dove David deve incontrare un uomo, ed
è un incontro importante perché da lì potrebbe venire una donazione considerevole
per il futuro del museo e di tutta l’operazione che loro stanno facendo. È in
quest’ambiente naturale, di gioco che lui incontra Susanna, interpretata da Katharine
Hepburn, ed è un incontro che letteralmente lo travolge, a cominciare da un equivoco
della macchina (all’interno della “screwball comedy” siamo in presenza di una serie
di elementi del doppio, dello scambio e tutto il film è declinato con questa dinamica
di scambi di ruolo, di oggetti, anche il ghepardo che c’è quello addomesticato e invece
poi quello che scappa dallo zoo). Tale equivoco della macchina dove lei cerca di uscire
da questo parcheggio e non fa altro che danneggiare l’automobile.
2. Momenti esilaranti legati a questi temi tipici della screwball sono ad esempio quando
i due si ritrovano di nuovo per puro caso in un ristorante: è la classica situazione da
gag, prima c’è lo scambio della borsetta, poi la rottura accidentale del vestito, la quale
non fa altro che portare David ad un contatto fisico molto ravvicinato con questa
donna che lui sta in tutti i modi provando a respingere perché è davvero
l’incarnazione dello stravolgimento di una vita di un uomo che sta per sposarsi e per
raggiungere un momento lavorativo importante e un successo professionale
assolutamente fuori dal comune. Chiaramente, Howard Hawks inscena una gag
legata ai vestiti, però la rottura dell’abito sulla parte posteriore (di Susanna) fa sì che
lui cominci a ruotare intorno al corpo di questa donna. È un film talmente ricco di
questa lettura profonda della rappresentazione che si potrebbe davvero analizzare
fotogramma per fotogramma.
3. C’è poi un altro momento che è quello della telefonata, in cui arriva una prima
telefonata di Alice in cui parla con David dell’arrivo di quest’osso, che è l’unico
argomento tra questa coppia che sta per sposarsi. Si vede anche che tipi di primi piani
Hawks riserva a Susanna: ci sono dei momenti in cui davvero lei occupa tutto lo spazio
dell’inquadratura, con una fotografia e una luce che la inquadra in una bellezza
irresistibile; invece Alice, la fidanzata, non viene mai resa destinataria di
un’attenzione filmica di questo calibro, è sempre inquadrata con una luce molto fioca,
piuttosto che di profilo, ha sempre i capelli legati, quindi anche l’analisi dei costumi è
un’analisi molto interessante di come sono due donne assolutamente agli antipodi.
Nel tipo di montaggio, di stile, di uso della fotografia è inscritto l’esito di questa storia
che è chiara sin dall’inizio, e tutto il film si svolge nel portarci a questo momento finale
che in realtà noi cogliamo fin da subito. L’aver relegato la figura di Alice in quel tipo
di rappresentazione figurativa ci porta a non aver alcun tipo di empatia con questo
personaggio – normalmente se noi sappiamo di una coppia che sta per sposarsi e
arriva alla vigilia del matrimonio una donna che stravolge tutto tendenzialmente
siamo portati ad enfatizzare con la donna che sta “subendo” la fine del progetto di
matrimonio, invece qui siamo veramente lontanissimi dall’aderire alla posizione di
Alice, tutto non fa altro che marginalizzarla.
4. Altra scena significativa su come Hawks vuole mettere continuamente in opposizione
i due personaggi femminili è la seguente: Alice in un’inquadratura del film ha un
tailleur davvero austero, con i bottoni chiusi fino al collo, una pettinatura molto
severa, gli occhiali, ma è al telefono seduta a una scrivania con una lampada accanto
ad una finestra con delle tende. Sta parlando con David e poco dopo c’è invece la
telefonata che sarà il nuovo momento in cui David si sentirà irrimediabilmente
attratto e attirato verso questa donna che sembrerebbe in pericolo, perché lei a un
certo punto comincia a parlare della presenza di questo ghepardo ed è il momento in
cui poi lui corre da lei.
Lui è seduto sempre allo stesso posto dove poco prima parlava con la fidanzata, solo
che adesso dall’altro lato della cornetta c’è Susan, che è nella stessa posa, sempre
seduta, solo che parla con un telefono bianco, ha un abito di organza addirittura con
delle trasparenze, c’è un’ambientazione molto sontuosa, ma il tipo di inquadratura e
di punto di vista è esattamente lo stesso che Hawks aveva utilizzato poco prima per
inquadrare Alice.
Chiaramente è un film molto pieno di elementi simbolici come la presenza del
ghepardo, ossia la presenza della forza della natura, di quella parte animale, selvaggia
che a un certo punto prende il sopravvento.
C’è anche un giocare con un rovesciamento dei ruoli di genere, quando in un’altra
scena sono in una casa di campagna e c’è un’altra opposizione che è quella della città
e della campagna, e quando lui segue lei in questa dimensione di campagna in cui
accade una serie di cose che non fanno altro che ribaltare tutti i valori di riferimento;
il momento in cui lui rimane senza vestiti perché lei glieli sottrae per non farlo andare
via e lui indossa una sottoveste, una pelliccia bianca… è lo spazio della commedia che
in qualche modo dà la possibilità ad Howard Hawks anche di forzare la
rappresentazione del maschile e del femminile. All’interno di un film drammatico,
western, di un gangster movie piuttosto che un film noir non avremo mai potuto
trovare una situazione drammatica in cui un uomo deve vestire i panni della donna,
è proprio il contenitore del genere della commedia che consente sicuramente ad
Hawks di indagare, interpellare la fluidità del genere inteso come gender, il passaggio
tra maschile e femminile.
Questo è un momento della commedia in cui si forza molto, si spinge un po’ quella che di lì
a poco cadrà come struttura rigida rispetto alla sceneggiatura ed ai racconti.
*Domanda*: ho notato una sorta di castità all’interno del film, una limitazione. Facendo
riferimento alla censura Hollywoodiana, al codice Hays, pensavo si trattasse solo di
“tematiche sessuali”, ma ho notato che anche alla fine del film quando i due decidono di
stare insieme non c’è un bacio, ma si riduce tutto in un abbraccio.
*Risposta*: chiaramente tra gli anni ‘20 e gli anni ‘30 c’è un’attenzione molto rigida ai
contenuti, a ciò che si può e non si può inquadrare. Quello che fa Hawks in questo film è
riuscire ad utilizzare la gag, ovvero quella componente tipica di un certo tipo di commedia.
Quello che tu adesso rimarcavi è molto interessante, noi ci aspetteremmo un bacio, una
carnalità di labbra che è impossibile da rappresentare. Però il momento in cui sono al
ristorante e lei non ha più la parte posteriore del vestito e lui cerca in tutti i modi di coprirla,
si avvicina in un modo così forte che chiaramente è una rappresentazione del desiderio che
viene traslata. Questo è il momento in cui un autore come Hawks, che vuole fare un film
sulla dinamica tra legge e desiderio e sul rapporto con l’istinto e la natura, lo fa disseminando
in una serie di elementi che gli consentono di fare un discorso del genere. Troviamo quindi
David che si avvolge intorno al corpo di Susanna per proteggerla, ma poi non vediamo il
bacio che ci saremmo aspettati. Negli anni ‘30 sugli schermi Hollywoodiani questo sarebbe
stato molto ardito, anche se il film è continuamente disseminato con forti riferimenti
sessuali.
*Domanda*: si può fare un paragone con le inquadrature dei precedenti film che operavano
un’inquadratura fissa?
Guardando il film ho notato che nella prima scena si inquadra il personaggio principale,
mentre nei film precedenti c’era un’inquadratura fissa, non si dava importanza al
personaggio principale o al personaggio secondario, essi erano posti sullo stesso piano. In
questo caso invece quando parlano del personaggio principale l’inquadratura si focalizza su
di esso, come se volesse portare l’attenzione dello spettatore solo sul personaggio
principale.
*Risposta*: si, è chiaro che in una dinamica di cosiddetto “découpage classico”, quella prima
scena che abbiamo visto all’inizio, il personaggio di Alice avrebbe dovuto avere
un’attenzione diversa, avremmo dovuto avere un “campo-controcampo”, avremmo dovuto
vedere lei o lui in primo piano, di solito si alternano i primi piani quando due personaggi
parlano. Qui invece lei è messa ai margini, o sta in un’inquadratura di insieme, o sta in
un’inquadratura dove c’è il professore, David ed Alice, ma non viene mai degnata di
un’inquadratura che sia un primo piano dove vediamo solo lei, perché fin da subito viene
messa al di fuori di un ruolo in quella che sarà poi la dinamica della storia.
*CONTINUO SPIEGAZIONE*
Leggerete poi nel saggio gli altri elementi legati al trionfo del desiderio; nella prima scena ci
troviamo nel museo di storia naturale, le ossa sono il simbolo della morte, del passato, di
qualcosa che non c’è e che non vive, invece l’incontro con Susanna è l’incontro con la natura,
viene rappresentata la dinamica tra città e campagna. È Susanna che porta fuori dalla città
David; la campagna è il luogo dove simbolicamente i personaggi possono sottrarsi al
controllo e alla legge e quindi lui può indossare una camicia da notte o una vestaglia
femminile.
Nel momento in cui David arriva in campagna vive una vera e propria regressione radicale;
l’abito femminile, la ricerca dell’osso, lui che comincia a seguire il cane e prende le sue
sembianze, il momento in cui perde gli occhiali è un elemento di forte simbolismo poiché
cade in una dimensione ancora più istintuale e poi si degenera nel no sense della prigione.
È interessante vedere come l’iter di questo personaggio finisce di nuovo nel museo, ma ci
ritroviamo in un ribaltamento, lui ormai è completamente abbandonato al destino che gli ha
fatto incontrare questa donna così sconvolgente e travolgente, quindi non c’è più Alice, ma
c’è Susanna.
È un ribaltamento che da un lato è consentito all’interno della “screwball comedy” a cui il
pubblico americano è abituato, in cui succedono cose pazze, è la commedia svitata. Quello
che è interessante è vedere che in questo film Howard Hawks è stato individuato come una
figura autoriale che dissemina nello stile il significato del film, infatti anche nel finale così
rocambolesco e divertente c’è ancora una volta una rappresentazione del desiderio e di
come esso sia così travolgente. Anche l’atteggiamento durante la cena è ambiguo, è un film
molto ricco in questo senso.
*Domanda*: questo ribaltamento dei canoni del cinema Hollywoodiano influisce anche sul
ribaltamento dei canoni sociali dell’epoca, della società Americana dell’epoca?
*Risposta*: no, perché vediamo che nella “screwball comedy” i personaggi non sono mai
delle classi sociali più basse, questo film non sarebbe mai potuto essere raccontato dove
David è un impiegato bancario e lei una segretaria.
Susanna è una donna molto ricca, non è una ragazzina, è una donna che non è sposata, non
è fidanzata, non ha pudore, non tentenna nel nascondere i vestiti e quindi lasciarlo svestito
nella propria camera, lei non si ferma davanti a niente però appartiene ad un livello sociale
molto alto, è aristocratica, sta per diventare ereditiera. Quindi è anche interessante vedere
all’interno del film quello che accade, all’interno di quale classe sociale accade ed in quale
contesto accade.
Questo tipo di commedia è sempre aristocratica o alto-borghese proprio perché lo
spettatore medio non deve avere quell’effetto di immedesimazione e quindi poi vedersi in
una storia del genere, nessuno si immedesima in una storia del genere, è talmente
straordinaria come figure che sfugge a quel meccanismo di identificazione a quei valori a cui
noi dobbiamo aderire. In questo contesto sociale c’è una forte distanza tra il pubblico medio
ed i personaggi che sono fuori dal comune.
*CONTINUO SPIEGAZIONE*
Concludendo la questione di questa Hollywood classica possiamo affermare che al suo
interno ci siano stati dei registi come Howard Hawks capaci di esercitare una libertà
autoriale, una scossa che viene fuori solo ad un secondo livello di analisi.
Ci sono state poi delle figure come quella di Orson Welles che una volta entrate nella
struttura Hollywoodiana hanno forzato talmente tanto le regole da essere discussi. Mi
riferisco in questo caso a “Citizen Kane” (Quarto potere) che esce nel ’41 ed ha
un’importanza colossale nella storia del cinema americano.
Il regista di questo film avrà un rapporto conflittuale con Hollywood; egli diventa famoso nel
‘38, a vent’anni, come giovane regista e attore di teatro, riesce ad imporsi come regista e
autore fuori dal comune. Grazie a questa prima notorietà teatrale e mettendo in scena
rappresentazioni molto originali, ottiene poi un contratto con la CBS, una delle emittenti
radiofoniche più importanti, dove aveva una trasmissione di adattamenti letterari. Lui
praticamente prendeva ogni settimana un testo letterario e lo adattava per la radio.
La notte di halloween del ‘38 adatta un testo di Welles, “La guerra dei mondi”, raccontando
questo testo di fantascienza come una radiocronaca dell’arrivo dei marziani negli Stati Uniti.
Tutte le persone che si sintonizzavano in quel momento senza sapere che si trattava di una
trasmissione radiofonica letteraria pensavano che stessero realmente arrivando i marziani
e si scatenò il panico. Questo evento finì su tutti i giornali, Welles fu conosciuto da chiunque
e grazie a questa notorietà la RKO, una delle più importanti case di produzione
hollywoodiane di quel momento, decise di affidargli il progetto del primo lungometraggio di
Welles, ovvero “Citizen Kane”.
Concludendo diciamo che Howard Hawks, insieme ad Alfred Hitchcock, sono quelle figure
che sono riuscite, all’interno del sistema Hollywoodiano molto rigido, ad esercitare una
libertà autoriale di cui invece Welles ha voluto godere fino in fondo, per poi perdere qualsiasi
rapporto con la struttura Hollywoodiana. La storia della filmografia di Wells è fatta di grandi
difficoltà produttive, egli metterà su una propria casa di produzione, la Mercury, ma dovrà
sempre faticare per trovare i fondi necessari per poter realizzare le sue opere. Molti dei suoi
film hanno infatti delle storie produttive travagliate perché ci impiegava anni per portare a
termine un film poiché non riusciva ad accedere agli Studios Hollywoodiani dove avevano a
disposizione tutte le maestranze, oltre che i fondi per realizzare i film.
Con Welles siamo di fronte ad una varietà di stili, anche l’uso della fotografia che viene fatto,
c’è una distorsione delle forme, è un film che ha elementi figurativi che richiamano la messa
in scena impressionistica, come ad esempio l’uso del chiaroscuro molto forte, anche l’uso
della musica, i luoghi, tutto è davvero molto caricato di un segno che incarna proprio l’anima
multiforme di questo personaggio travagliato di cui ne racconta la storia.
È chiaro che il film classico che vuole seguire una linearità temporale, una dinamica dei
personaggi molto precisa, sia stato smantellato, c’è quindi una messa in discussione della
forma classica del film. Tutte le strutture narrative e stilistiche vengono chiamate in causa
proprio per raccontare un personaggio che vediamo morire all’inizio del film e quindi che è
impossibile da raccontare, c’è l’impossibilità di arrivare all’essenza della vita dell’uomo.
Lezione del 20.11.2020
Dalla prossima settimana procediamo con L’Atalante di Jean Vigò, parlando anche degli anni
‘30 e del realismo poetico francese, fino ad arrivare all’ultimo film che è Taxi Driver di
Scorsese, quindi abbordare il cinema americano e la cosiddetta New Hollywood. Oggi
focalizziamo, provando a riagganciarci a Susanna di Howard Howks, che ci ha portato nel
pieno di un genere che è la Screwball Comedy, questa commedia svitata ma anche sofisticata
di ambientazione upper class: Susan è una donna ricca, libera, che esercita un potere molto
forte rispetto a David e quindi c’è all’interno di questa commedia sofisticta, svitata, un
ribaltamento dei valori di riferimento (patria,lavoro e famiglia). Partiamo da Susanna per
arrivare a parlare del cinema italiano degli anni 30. La storia del cinema italiano degli anni
30 condivide con la maggior parte delle cinematografie questa svolta importante che è il
passaggio dal muto al sonoro e quindi da un punto di vista tecnico, di rappresentazione, di
difficoltà attoriale, abbiamo già accennato a come gli attori e le attrici si trovano in un
momento di disorientamento. Molti vedono terminare la propria carriera perché la
performance attoriale del cinema muto si nutre del corpo, del gesto, della mimica, e molto
attori che erano nati col cinema, quindi non attori di derivazione teatrale, hanno grandi
difficoltà nella declamazione, perché hanno standardizzato la propria professionalità in un
linguaggio che l’avvento del sonoro cambia. Abbiamo anche accennato ad alcune reticenze,
ritrosie di alcuni autori, registi, in primis Charlie Chaplin. Ricordando l’impatto molto forte
della prima guerra mondiale nel panorama europeo, che segna per l’Italia una battuta
d’arresto di quella che era stata l’età d’oro del cinema italiano, perché il cinema italiano
concorreva accanto al cinema americano in una distribuzione internazionale, i film italiani
arrivano in Europa, nell’Europa dell’est, gli Stati uniti, l’America Latina, e anche il
ritrovamento ogni tanto di copie che erano considerate perdute in luoghi lontanissimi,
dimostra quanto transnazionale fosse il cinema italiano, ma la prima guerra mondiale, dalla
quale l’Italia esce fortemente sconfitta, segna anche una battuta d’arresto, ed è il momento
in cui le pellicole hollywoodiane occupano questo spazio ridotto della cinematografia
italiana, la produzione di pellicole in Italia si riduce notevolmente. Con l’avvento del
fascismo, siamo ancora in una fase di cinema muto degli anni 20, ci troviamo in un contesto
molto particolare anche per le libertà di espressione ed è interessante vedere come lo stato
fascista in Italia cominci a portare avanti una propaganda che molto presto si pone in antitesi
con i valori veicolati dal cinema hollywoodiano.
Gli anni 20 sono anni, anche quando abbiamo parlato dell’avanguardia sovietica abbiamo
visto con la figura di Zigaverto, di Sergej Ejzenstejn , quando abbiamo accennato a Sciopero,
alle teorie del montaggio, a quanta consapevolezza anche in ambito politico si individua in
questa nuova arte, capace di parlare alle masse in modo molto efficace. Come accade in
unione sovietica, prima con Lenin ma poi anche con Stalin che individuerà nel cinema
un’arma potente di propaganda, ma idem nella Germania nazista, dove la cinematografia
diventa un’area delle strategie di propaganda, verso la quale vengono dirottati sforzi,
misure, investimenti. Schiacciata dalla concorrenza del cinema americano ed europeo,
l’industria italiana tocca negli anni ’20 uno dei momenti più difficili della sua storia. Il cinema
tra gli anni 20 e gli anni 30 ricopre un ruolo anche dal punto di vista politico davvero
determinante e l’interesse che questi regimi in Europa dedicano alle produzioni, dimostra
l’attenzione in sede statale verso quella che era molto di più che un’arte di intrattenimento.
Il fascismo, ormai saldo dopo la crisi del 1924, è rivolto alla costruzione di uno Stato
corporativo, inter-classista, con l’appoggio, spontaneo o forzato, di tutte le categorie sociali
ed economiche.
Già nel ‘24 viene fondata l’istituzione dell’Unione Cinematografica Educativa (l’istituto
LUCE), che si occupa di filmare tutte le azioni dello stato fascista, tutto quello che veniva
fatto in ambito sociale, culturale, politico, di infrastrutture, tutto veniva documentato e
vengono poi realizzati i cosiddetti “Cinegiornale Luce” che sono quelli che per la tv
chiameremmo telegiornali ma hanno una costruzione diversa (non siamo all’interno di un
linguaggio televisivo) e quello che è indicativo sottolineare è che questi cinegiornali vengono
resi obbligatori già dal 1926, questo significa che in qualsiasi sala italiana, il pubblico che si
reca al cinema per vedere un film di finzione, assiste inderogabilmente anche al cinegiornale,
quindi il linguaggio audiovisivo diventa un mezzo di divulgazione ma anche di persuasione e
di propaganda dell’operato del regime fascista. Intanto si comincia a predisporre una
censura molto forte, negli anni 30 si comincerà a sottoporre a censura già le sceneggiature
dei film italiani, e i film stranieri che potessero portare sullo schermo delle idee, degli stili di
vita (non solo sul piano politico, ma anche etico) contrari all’ideologia dominante, venivano
bloccati e quindi tutta quella copertura che fino a questo momento il cinema estero (che è
principalmente un cinema americano, hollywoodiano) ricopre all’interno della
programmazione delle sale italiane, e si crea uno spazio. Nel ‘32 viene dagli organi di stato,
fondata la Mostra del Cinema di Venezia, che inizialmente si pone come una vetrina, sul
piano internazionale, dei film italiani. Al ministero della cultura poi nel 1934 viene istituita
la Direzione Generale per la Cinematografia, quindi si pensa all’interno del ministero della
cultura una sezione, un’area ad hoc per la cinematografia, ed è molto importante la figura
di Luigi Freddi, molto lungimirante nel portare avanti una politica molto eterogenea. Nel ‘35
nasce il Centro Sperimentale di Cinematografia che è ancora oggi la scuola nazionale di
cinema che si trova a Roma, nei pressi di Cinecittà (edificio esempio di architettura fascista).
E’ importante perché nasce una scuola di stato di cinematografia, dove si insegna la regia, la
sceneggiatura, la fotografia, la recitazione. Nasce nel ‘35 l’ENIC, l’Ente Nazionale
dell’Industria Cinematografica, un ente che mette insieme, consorzia tutte le realtà
produttive. Nel ‘36 un evento di portata rilevante è la fondazione degli studi di Cinecittà,
nasce un polo, vi faccio vedere l’inaugurazione degli studi di Cinecittà da parte di Mussolini:
https://www.youtube.com/watch?v=Q_6yglVyaaU
Un altro che invece riguarda l’inaugurazione della Mostra del Cinema di Venezia:
https://www.youtube.com/watch?v=jrI7CpXfwzQ
Avete visto qual è l’enfasi che si pone a queste strutture come Cinecittà e queste
manifestazioni come la Mostra del Cinema di Venezia, c’è una presenza forte della politica
e una volontà di indicare queste azioni , che vengono prese nella direzione di sostenere
l’industria cinematografica, anche di promuoverla, all’interno di un’idea di civiltà, avete
ascoltato anche la voce del tronista che fa riferimento anche a quella civiltà per la quale
milioni di italiani avevano perso la propria vita in guerra, quindi c’è una retorica
propagandistica molto forte, il cinema viene vissuto come un territorio artistico capace di
veicolare i valori dello stato fascista e la grandezza di un paese che era uscito malridotto
dalla prima guerra mondiale e rispetto ad altre potenze internazionali non aveva la stessa
grandezza, ma che attraverso anche la cinematografia vuole imporsi in prima linea.
Questa è un po' la retorica dei classici cinegiornali che venivano proiettati ad ogni
programma delle sale cinematografici, e tutte queste misure (l’istituto Luce, la Mostra del
Cinema di Venezia, la direzione per il cinema dei fondi che venivano istituiti per sostenere le
produzioni italiane) fanno sì che nel giro di circa un decennio (considerando il 1930, in cui
incomincia la produzione del cinema sonoro, fino al 1940) in 10 anni la produzione passa da
12 lungometraggi all’anno a circa 80, quindi un impennata produttiva notevole. Intanto c’era
una realtà produttiva che era già nata durante il cinema muto, che è la Cines, che diventa
una casa di produzione di stato alla cui direzione viene posta nel 1932 una figura artistica
del panorama culturale e letterario italiano, che è il critico Emilio Cecchi, e questo significa
che intanto il cinema che viene realizzato in questi anni, sebbene sia un cinema di
propaganda, riesce a convogliare delle figure di intellettuali importanti. Sono gli anni in cui
alle produzioni, ai soggetti, alle sceneggiature, partecipano ad esempio intellettuali come
Luigi Pirandello, dopo ad esempio parleremo di un film che parte da una novella di Pirandello
“In silenzio” che esce nel 1939, tra l’altro interessante vedere come questo film che inaugura
la storia del cinema sonoro italiano, trovi il soggetto in una novella di Pirandello dal titolo
“In silenzio” e poi nella trasposizione al cinema, il titolo diventa “La canzone dell’amore”,
quindi come il silenzio del testo letterario, poi si trasformi con il suo opposto, con l’idea della
canzone.
È un film molto cantato, c’è una presenza costante della musica, perché come spesso accade
nelle trasformazioni e in evoluzioni tecniche si prova ad utilizzare il più possibile un aspetto
che fino a pochi mesi prima era impensabile, cioè quello di integrare il suono nella
narrazione, quindi il suono diegetico, perché nelle produzioni c’era la musica, ma era sempre
di accompagnamento, mai diegetica (che sta nella narrazione). C'è una figura importante,
che quella di Alessandro Blasetti che nel 1929 produce un film dal titolo “Sole” che racconta
della bonifica delle paludi pontine, quindi un tipo di produzione che comunque guarda alle
azioni del governo.
L’ importanza di questo film, che è un film diciamo “perduto”, che però attraverso le critiche
e le recensioni dell'epoca è stato riconosciuto come film fortemente influenzato dal cinema
russo e dal cinema epico, dove si affronta la storia di personaggi molto umili di vita, storie di
vita quotidiana sullo sfondo di questa azione del governo fascista che spese molto in termini
di propaganda che era più la bonifica delle paludi pontine. Sempre Blasetti dirige un altro
film importante nel ‘34 che è “Vecchia guardia” è un film dove l'ideologia fascista è
affrontata in modo diretto, il film ambienta l’azione negli anni ‘20, proprio quando si
pongono le basi per la formazione del partito fascista. “Vecchia guardia” insieme ad un altro
film (“Camicia nera”) di Gioacchino Forzano, celebra il decennale della formazione del
partito fascista, quindi ci sono poi delle pellicole che affrontano più direttamente una
formazione apologetica del fascismo e della storia del partito. I manuali di storia del cinema
però, quando fanno riferimento alla produzione del cinema italiano degli anni ’30, si
soffermano soprattutto su un valore politico di propaganda ad un secondo livello all’interno
di quella che è la commedia dei telefoni bianchi. Perché parliamo di secondo livello di una
propaganda non diretta? Perché mentre da un lato abbiamo film come “Vecchia guardia” o
“Camicia nera” che esaltano direttamente il valore, la storia e le gesta del partito e quindi si
pongono come narrazioni aperte di propaganda, la commedia degli anni ’30 è una commedia
più leggera in cui si raccontano storie di finanziamenti e di matrimoni, ruotano in cerca del
lavoro.
Tutto raccontato in modo leggero, fino poi ad arrivare alle storie di ambientazione alto-
borghese il cui risiede riferimento all’espressione dei “telefoni bianchi” (quando in Susanna
nel film “Bringing up baby” di Hawks c’è quella scena della telefonata in cui vediamo che c’è
Elise al telefono che chiama David che ha un telefono nero, poi invece Susan che è in
quest’abito di organza semi trasparente alle prese con questo leopardo è invece attaccata
una cornetta bianca). La cornetta bianca diventa il simbolo del benessere alto-borghese e la
maggior parte delle commedie realizzate in questi anni sono commedie in cui la scenografia
è molto importante.
Ci troviamo di fronte ad un momento in cui i vari linguaggi mediatici sono utilizzati
all’ennesima potenza come ad esempio la radio e le riviste. Molto forte è anche il rapporto
tra le riviste di arredamento che spesso fanno riferimento alle ambientazioni ed alle
scenografie di questi film in cui si vedono degli interni molto curati. Accade che la commedia
si pone come genere per antonomasia di evasione, evasione a cui il pubblico che in realtà è
la società italiana viene costantemente sottoposto. In un momento molto particolare in cui
di lì a poco ci saranno difficoltà e reazioni legate anche alle azioni imperialiste della presenza
dell’ Italia nell’Africa Orientale, quella che poi sarà chiamata l’Africa Orientale italiana, la
presenza in Somalia ed in Eritrea; una sempre più forte sperequazione sociale, la questione
delle leggi raziali, l’Italia negli anni ’30 si ritrova a vivere una situazione sempre più difficile
da vari punti di vista (per non parlare della libertà di espressione), fino a ripiombare in una
seconda guerra mondiale.
La commedia oscura tutte queste situazioni reali del paese, all’interno di una presenza di
figure di critici, letterati, intellettuali e poi c’è anche una resistenza (=termine di politica di
contrasto che si vedrà più avanti), uno zoccolo duro che cerca di provare attraverso una serie
di strumenti artistici e culturali a contrastare quest’ideologia dominante che è un’ideologia
di regime, quindi impone senza lasciare molto spazio e quello che accade è che si creano dei
luoghi che per quanto riguarda la produzione cinematografica avviano, come ad esempio
queste riviste come “Cinema” o la rivista pubblicata ancora oggi dal centro sperimentale è
“Bianco e nero”, cominciano a mettere in discussione questo tipo di narrazione, perché nel
frattempo nel cinema francese si comincia a fare un cinema diverso, un realismo poetico,
quindi il film diventa un momento di approfondimento di analisi e di focus sulle figure come
Renoir, Marcel Carné o lo stesso Jean Vigò (vedremo “L’Atalante”) e quindi si comincia a
creare un dibattitto intorno alla necessità di un cinema che sappia raccontare la complessità
del reale. Si arriva ne ‘43 ad un film che diventa un vero e proprio sparti acque: “Ossessione”
di Luchino Visconti, da questo tipo di rappresentazione di commedia ovattata della società
italiana all’interno dei telefoni bianchi ad un film tragico (Ossessione che Luchino Visconti
realizza nel ‘43 dopo aver scritto alcuni articoli molto forti di attacco al cinema
contemporaneo italiano) in cui poi vedremo che si arriva finalmente ad un ribaltamento
degli schemi di rappresentazione oltre che dei contenuti.
Ossessione fu un film degli attacchi e delle azioni violente come le distruzioni di negativi e
copie. Negli anni ‘30 con la mostra del cinema di Venezia nasce una cher mess che premia il
miglior film, il miglior attore; si danno una serie di riconoscimenti. Questo è il momento in
cui l’idea del festival viene vista come vetrine e come concorso. Il film che fu presentato alla
prima edizione alla Mostra del cinema di Venezia: “Uomini che mascalzoni” di Mario
Camerini uno dei registi più importanti dell’epoca in Italia e che ebbe un grande successo e
lancia come figura divistica maschile come attore e poi regista Vittorio De Sica, che aveva
lavorato fino a quel momento come attore di teatro leggero che poi approda al cinema,
inoltre in questo film (Uomini che mascalzoni) siamo nel ‘32 e siamo all’inizio del cinema
sonoro. Un ruolo importante ce l’ha una canzone che poi De Sica rese famosa: “parlami
d’amore Mariù”. Una canzone che viene cantata in un film poi ebbe una vita propria al di
fuori della narrazione cinematografica.
Questo film è molto particolare rispetto allo standard della commedia italiana di questi anni
perché in primis il regista fa una scelta abbastanza ardita, ovvero quella di girare nelle strade
reali di Milano perché il cinema degli anni 30 è un cinema che viene girato in studio ed i set
vengono interamente costruiti. Invece questo film ha un’importanza anche di documento
perché la Milano che si vede in queste immagini è la Milano reale, (trama del film: il
personaggio di De Sica s’innamora di Mariù e nella prima scena prova ad avvicinarla a bordo
di una bicicletta, per questo non è riuscito ad ottenere la sua attenzione, riuscirà poi invece
a riavvicinarla poi con un’auto di lusso, l’auto in realtà del suo lavoro, perché il personaggio
di De Sica fa l’autista ed è il momento in cui ottiene l’attenzione della ragazza) c’è già questa
dinamica del possesso di modernità, ponendo come una sorta di status symbol che diventa
necessaria anche nel corteggiamento. Mariuccia è una commessa di una profumeria, è figlia
di un tassista e si vede anche in una scena, non è ricca però è attratta da Bruno solo quando
lo vede a bordo di quest’auto. (ci sarà un’incidente che causerà danni all’automobile ed una
serie di peripezie che sfoceranno nel fidanzamento benedetto anche dal padre di Mariuccia.
I simboli della modernità: il tram e l’automobile; è una Milano moderna quella che vediamo
nel film e si reitera lo schema classico della commedia degli anni ’30 dove il fidanzamento e
l’arrivo alla struttura familiare del matrimonio diventa un leit motiv che attraversa tutte le
narrazioni. https://www.youtube.com/watch?v=jNmCLtNtzZ0
Un altro filone del cinema italiano è il cinema coloniale: una serie di narrazioni, di pellicole
che vengono ambientate nei luoghi occupati dall’Italia fascista, storie dove viene enfatizzata
la storia colonizzatrice degli italiani, questo è anche un riferimento alla letteratura coloniale
che diventa anche il territorio a cui attingere per mettere in forma delle storie e all’interno
di questo cinema, c’è un prima e dopo quelle che sono leggi che prenderà il governo fascista
che arriverà a vietare le unioni miste, perché in un primo momento nascono diverse unioni
in cui si verificano anche nascite che sono il risultato di un meticciato. Con questa politica
molto forte contro questa sedicente purezza della cosiddetta razza, le unioni miste saranno
vietate per legge e in una prima parte abbiamo delle narrazioni che raccontano di donne
indigene salvate dall’intervento civilizzatore, di aviatori, generali e soldati italiani dove si
porta all’interno del corpo della nazione la donna che viene salvata da quella che è indicata
come una civiltà di origine assolutamente barbarica. Dopo il ’38 le narrazioni ambientate in
terra africana sono quelle in cui si racconta di amori impossibili tra le donne del posto e gli
italiani. Anche qui concorreva una propaganda ed una giustificazione come era già avvenuto
nel film “Cabiria” per l’impresa coloniale dei primi anni ’10 in Libia, allo stesso tempo nel
cinema coloniale degli anni ’30 c’è un ricorso delle storie nelle narrazioni che devono
giustificare la presenza (che è una vera e propria occupazione) di questi paesi e culture.
Lezione del 24.11.2020
Comincio a dire che tra i materiali del corso di Teams ho caricato L’Atalante di Jean Vigo, di
cui parleremo venerdì, insieme al cinema francese degli anni ‘30 che avremmo dovuto
affrontare oggi ma preferisco rimandare in modo tale da avere poi la visione del film.
Oggi continuiamo il discorso sul cinema italiano, stavolta degli anni ‘40, per approdare al
Neorealismo e poi la settimana prossima con Ladri di biciclette.
Dalla lezione di oggi in poi affrontiamo il cinema moderno, per poi arrivare ad accennare al
cinema postmoderno nelle ultime lezioni. [C’è un Power Point sul Neorealismo tra i
materiali].
Proviamo ad introdurre questo momento del cinema italiano fondamentale, non solo per la
nostra cinematografia, ma a livello internazionale: quando continueremo il nostro percorso
sulla storia del cinema, molto spesso avremo modo di ritornare a questa stagione e ai film
che hanno fatto grande questo momento italiano,
Il Neorealismo arriva nella metà degli anni ‘40, in un momento che per l’Italia e non solo
(alla fine del secondo conflitto mondiale) è significato essere una condizione di povertà, di
disgregazione sociale e morale, in quello che è stato definito il “Secolo Breve” ovvero il ‘900.
Rispetto a ciò che sono stati i nazisti, ai totalitarismi, dobbiamo sempre avere un occhio su
questo passato che ogni tanto minaccia di tornare.
La scorsa settimana abbiamo visto tutte le misure che lo Stato Fascista italiano aveva
adottato per inserire il cinema in un discorso di propaganda e di arma per trasmettere da un
lato le azioni dello Stato Fascista, ma anche per avvalorare una serie di valori, portando sullo
schermo una serie di personaggi e film che esaltassero la figura del Duce e le azioni
imperialiste nella zona orientale. Abbiamo visto anche la Commedia dei Telefoni Bianchi,
che lavora per un cinema di distensione, un cinema di evasione che portasse gli italiani in
una dimensione di distacco e lontananza di quello che era il reale stato della situazione
italiana. Avevo accennato al fatto che ad un certo punto, già sul finire degli anni ‘30 e in
modo più forte nei primissimi anni ‘40, diversi intellettuali, scrittori, registi, critici comincino
a porre una questione di necessità di ricorrere ad un cinema della realtà.
Questo perché si ha la consapevolezza del potere del cinema, di quelle che possono essere
le potenzialità del linguaggio cinematografico. Sappiamo che la poetica realista non nasce
negli anni ‘40, la quale si fonda già nell’800, in particolare comincia ad osservare la realtà,
soprattutto la vita quotidiana e le condizioni che i popoli vivevano. C’è un testo
fondamentale che è il Mimesis di Auerbach del ‘46, un realismo della letteratura occidentale
che è riferimento bibliografico imprescindibile per la rappresentazione realista, la quale
investe la pittura e il romanzo e poi ad un certo punto anche il cinema. Abbiamo da un lato
il Naturalismo francese, ma sappiamo che in Italia, più o meno contestualmente, si afferma
il Verismo, questo metodo verista in letteratura con Giovanni Verga in cui abbiamo proprio
un nuovo tipo di rappresentazione, in cui la questione del reale e del vero comincia a coprire
un ruolo imprescindibile. Sono anni, a cavallo tra ‘800 e ‘900, di conflitti sociali e momenti
in cui si fondano movimenti e partiti che prestano attenzione anche alle classi più deboli e
sfruttate; pensiamo ai Malavoglia, a cui adesso accenneremo rispetto al film di Luchino
Visconti del ‘48, una delle pellicole cardine del Neorealismo italiano.
In Italia abbiamo un filone della nostra letteratura che comincia ad interessarsi a quello che
è definito il “documento umano”, con Giovanni Verga, Luigi Capuano, De Roberto e Matilde
Serao (che si occupò anche di cinema come critica e attività giornalistica). Nella storia del
cinema, la questione realista non irrompe con il Neorealismo, non a caso questo movimento
ha il suffisso “neo” cioè ritorno al realismo.
In particolare, abbiamo già accennato al cinema napoletano e alle sue produzioni della
cinematografia, poiché sappiamo che in Italia c’era un contesto regionale in cui le grandi
città, come Napoli, si dedicano al cinema. Infatti a Napoli, abbiamo una cinematografia
regionale che fa ricorso alle proprie opere letterarie e alle canzoni o al teatro di Viviani e di
Di Giacomo, nonché abbiamo film degli anni ‘10 con dei set naturali e a cielo aperto che
davano l’idea di vero e reale. Nel 1914 è stato prodotto un film che ora è perduto, cioè
Sperduti nel buio di Nino Martoglio, tratto da un dramma di Roberto Bracco: questo film è
stato ritenuto dai critici del tempo come un grande esempio di realismo. Tutti coloro che
avevano assistito a questo film in quegli anni parlavano di un film dal forte realismo.
Oltre a questo, abbiamo anche altri film come Assunta Spina del 1915, un film con diverse
scene girate en plein air tra i vicoli della città: si parla di una stria contesa tra due uomini e
che è un dramma, una narrazione dai forti toni melodrammatici e che porta sullo schermo
l’intreccio tipico narrativo della cultura teatrale e letteraria napoletana, cioè questo
triangolo amoroso che poi sfocia
nella morte.
Con l’avvento del Fascismo questo tipo di narrazioni, come storie di donne che vivono amori
tormentati, saranno banditi poiché i personaggi femminili devono incarnare il ruolo di
madre, di moglie, di donna dedita alla famiglia e quindi questo momento del cinema italiano
e napoletano con donne dai comportamenti e psicologia controversi ( che arrivano anche
dalla letteratura Simbolista e Decadente) sarà spazzato via.
Quello che accade è che questa necessità di realismo, sebbene fosse sorta negli anni in cui il
Fascismo si impegna nella dedizione al cinema degli anni ‘30 ( con la Mostra del Cinema di
Venezia, col Centro Sperimentale di Cinematografia, la Direzione al Ministero della Cultura
per il Cinema, fondazione degli studi di Cinecittà), essa è sentita fortemente e quindi questo
bisogno di rappresentazione del quotidiano comincia a concretizzarsi con le produzioni fatte
in questi anni. Come accade nei movimenti e nelle stagioni artistiche, la situazione non è mai
impenetrabile ad esempio come abbiamo visto nel cinema Hollywoodiano con la
“sceneggiatura di ferro”, col codice Hays e con l’autocensura ci sono poi dei registi che
portano avanti istanze diverse. Nel ‘33 c’è un film del regista tedesco ma con produzione
italiana che è Acciaio che trae il soggetto da un’opera di Luigi Pirandello. Viene poi avviata
una inchiesta su una rivista pubblicata da un altro regista che è Alessandro Blasetti, che
aveva girato il film Sole sulla bonifica delle paludi Pontine e anche Vecchia guardia cioè un
film che ricordava la fondazione del partito fascista. Su questa rivista, ci si interroga sul
Realismo e sul Neorealismo: l’intellettuale Libero Solaroli aveva individuato in alcune opere
dei segni di una nuova estetica che era poi il Neorealismo. In particolare, il testo letterario
Gli Indifferenti di Alberto Morave fu indicato come un’opera che segnava l’emergere della
nuova estetica.
Nel ‘41, sulla rivista Cinema, abbiamo Luchino Visconti, il quale è stato uno dei più grandi
registi della storia del cinema e che inaugura nel ‘43 la stagione del Neorealismo, con uno
dei suoi lungometraggi più famosi e di cui vedremo l’introduzione.
Questo giovane intellettuale aristocratico aveva avuto modo di lavorare in Francia come
assistente alla regia di Jean Renoir (grande regista della stagione del realismo poetico e
cinema francese tra anni ‘30 e ‘40). Quindi Luchino Visconti sulla rivista Cinema aveva scritto
un articolo dal titolo Cadaveri, in cui si proponeva di realizzare un’arte rivoluzionaria ispirata
ad un’umanità che soffre e che spera, liberandosi da quei cadaveri ostili e diffidenti che
popolano il cinema italiano e si ostinano a credersi vivi.
Nel ‘42 scriverà un articolo importante per la storia del Neorealismo, intitolato Per un
cinema antropomorfico, in cui riprende l’idea di attori e personaggi “morti”, in modo
provocatorio e ribadendo come le produzioni italiane fossero prive di vita.
Dal punto di vista sociale e politico, sono anni difficili, sono anni di un inasprimento della
situazione politica e dell’occupazione nazista in cui gli intellettuali e registi sentono di poter
avere un ruolo in questo contesto.
Abbiamo parlato delle prime commedie sonore, ricordando che quasi tutti i film degli anni
‘30 sono film girati negli studi cinematografici, con la fondazione di Cinecittà vediamo anche
come si investisse negli studi e nei film, con anche ricostruzioni di ambienti e città.
Leo Longanesi, un intellettuale, nel ‘33 invitava i registi ad andare per le strade, portare la
macchina da presa nei cortili, caserme, stazioni e scrive ciò che sarà alla base del
Neorealismo, cioè che bisogna fermarsi in un punto qualsiasi ed osservare ciò che accade
per mezz’ora, con occhi attenti e senza preconcetti di stile, per fare un film italiano naturale
e illogico. Ci soffermiamo su questa dichiarazione perché ciò che accade nel cinema è un
passaggio tra cinema classico e cinema della
modernità, superando sia il cinema mostrativo che l’integrazione narrativa. Cominciando a
porre le basi per il cinema moderno, si parla di cinema come osservazione della realtà, non
più con un racconto classico, ma con osservazione della realtà e restituzione di quest’ultima
attraverso la macchina da presa.
La svolta arriva tra il ‘42 e ‘43, con tre film che segnano il passaggio dal cinema classico a
quello moderno:
1. Ossessione di Luchino Visconti.
2. I bambini ci guardano di De Sica.
3. Roma città aperta di Roberto Rossellini (film della rottura, nel ‘45, con momento
cruciale di passaggio e liberazione dal secondo conflitto mondiale).
Iniziamo a guardare l’inizio di Ossessione. Al minuto 4:19 abbiamo una scena molto
analizzata e studiata: vediamo Gino interpretato da Massimo Girotti e Giovanna interpretata
da Clara Calamai (il ruolo femminile doveva essere interpretato da Anna Magnani, però stava
portando avanti una gravidanza). Il film viene girato nel ‘42 e si ispira al romanzo Il postino
suona sempre due volte di James M. Cain, però Visconti lascia fuori l’aspetto poliziesco del
romanzo per concentrarsi su questa storia d’amore tragica di Gino e Giovanna che si
incontrano in questo minuto 4:19. Lei è la moglie dell’host, ma viene travolta dall’incontro
con Gino. I due, pur di vivere la loro storia
d’amore, decideranno di uccidere il marito di lei fingendo la morte in un incidente stradale.
Ciò che racconta Visconti è questa disgregazione dei valori della società italiana del ‘42-’43,
portando sullo schermo una storia tragica in cui i personaggi, piuttosto che coronare una
vita insieme, finiranno in dannazione. Già dalla trama capiamo il salto di queste azioni e
sentimenti raccontati.
Il film passò il visto di censura, poiché nella trama non vi era nulla che attaccasse
direttamente il regime fascista, ma in realtà quando poi il film fu proiettato e ad avere una
distribuzione a Milano, dopo poche sere il film fu condannato dai fascisti e dalla Chiesa, fu
censurato e addirittura furono distrutti i negativi del film. L’opera si salvò poiché Visconti
aveva tenuto da parte una copia del film. Già dai primissimi piani possiamo vedere come lui
porta sullo schermo dei corpi così vividi e reali, che sprigionano carnalità. Nei primi minuti
del film vediamo Gino sempre di spalle, fino a quando entra nella trattoria, sente la voce di
Giovanna ed entra e prima di vedere lui, vediamo il primo piano di lei e poi c’è una soggettiva
del punto di vista di Giovanna, reso efficace dallo zoom.
Ci fermiamo qui per Ossessione con il minuto 4:53; abbiamo visto un film in cui Visconti
adopera la macchina da presa in un modo mai visto prima, con corpi con dettagli realistici
come peli, muscoli. Quando parleremo dell’Atalante, potremo fare un confronto, poiché
Visconti comunque si era recato in Francia e questo apprendistato con Jean Renoir (tra l’altro
figlio del pittore Renoir) gli aveva fatto conoscere altri tipi di rappresentazione.
Cinecittà, inaugurata nel decennio precedente, era occupata dagli sfollati di questo periodo
tragico caratterizzato da bombardamenti, persone che avevano perso la casa.
Rossellini con questo film inaugura la “trilogia della guerra”, insieme a Paisa’ che è il film che
esce nel ‘46, il quale ricostruisce, con una serie di microstorie, lo sbarco degli alleati dalla
Sicilia che risalgono verso Nord. C’è un episodio napoletano che è molto significativo, cioè
c’è il rapporto tra uno scugnizzo e un soldato afroamericano. Questo film ha una valenza
documentaristica molto forte, infatti tutto ciò che vediamo nel film non sono ambienti
ricostruiti ma le città così come la troupe li aveva trovati: vediamo il campanile di Piazza
Mercato, distrutto.
Nel ‘48 Rossellini gira il terzo film della trilogia della guerra che è Germania anno zero,con al
centro Berlino, una città che ha pagato un prezzo altissimo nella Seconda Guerra. Il film
racconta ancora una volta la storia di un bambino, poiché i bambini sono stati quelli che più
hanno sofferto la guerra e quindi diventano non più una presenza “decorativa” ma proprio
il personaggio cardine per riflettere su quanto accaduto.
Vediamo una clip da YouTube con titolo “Paisa’ di Roberto Rossellini” che dura 3:53.
Questa è un’altra scena madre dell’episodio napoletano, cioè l’incipit in cui il ragazzino
incontra su un cumulo di macerie il soldato afroamericano. C’è un’incomunicabilità tra i due,
poi un altro dato di svolta per il reale è l’introduzione del dialetto nel cinema, poiché durante
il periodo del cinema di regime era bandito e sappiamo quanto questo avesse lavorato per
un appiattimento delle identità locali e regionali dell’Italia, quindi l’italiano dei film degli anni
‘30 è corretto e senza alcun tipo di inflessione dialettale. Invece con questa trilogia della
guerra e del Neorealismo c’è forte introduzione del dialetto.
Nella scena, da un lato abbiamo il soldato americano nero che racconta al ragazzino,
nonostante non capisse l’inglese, uno stato suo di ebbrezza e quindi comincia ad immaginare
il suo ritorno agli Stati Uniti, un ritorno immaginario che lo vede come eroe, ma sappiamo
che negli USA ci sia un periodo di segregazione per le persone di colore. Eppure sappiamo
che anche i soldati afroamericani hanno contribuito alla guerra, senza avere nessun
riconoscimento.
Qui c’è un non dialogo tra i due, c’è questo “dialogo” in cui non si comprendono e c’è un
momento quando il bambino dice che le chiavi di casa non servono più, visto che è tutto
aperto e distrutto; nel momento finale dell’episodio, il soldato Joe andrà col bambino in una
cava che è un rifugio per sfollati e c’è il momento finale in cui dice “se ti addormenti, io devo
rubarti le scarpe”, quindi quest’azione che è costretto a fare per la drammaticità del
momento.
Nel ‘48 poi abbiamo Germania anno zero con la storia di Edmund, un ragazzino che arriva ad
uccidere il padre malato, poiché le condizioni di miseria sono tali che una bocca da sfamare
in più diventa un problema enorme e quindi c’è l’avvelenamento del padre anziano e il
suicidio del bambino. È una “fotografia” che fa Rossellini su questo momento storico terribile
con la trilogia della guerra e si fonda una nuova estetica.
Ladri di biciclette lo vedremo insieme e avremo modo di soffermarci un po’ di più sulla figura
di De Sica che nasce come attore.
Per chiudere, Visconti dopo Ossessione produce nel ‘48 La terra trema, un film tratto dai
Malavoglia di Verga, in cui il regista racconta la storia dei pescatori di Aci Trezza e le loro
condizioni di precarietà e il loro rapporto con la natura, con l’intento di focalizzarsi su un Sud
che
non sembra partecipare al dopoguerra che la politica vuole raccontare come momento di
rinascita e ripresa. È un film completamente recitato in dialetto siciliano da attori non
professionisti, un’altra questione del Neorealismo è proprio quella di ricorrere ad attori non
professionisti perché in quegli anni c’erano attori che venivano da uno stile lontano dalla
recitazione naturalista, quindi per dare maggiore forza alle narrazioni bisognava trovare
attori che potessero incarnare storie vicine a quelle raccontate, per rafforzare il concetto di
realismo.
Lezione del 27.11.2020
Jean Vigo è una figura particolare perché si situa a pieno nella stagione del realismo poetico.
L’Atalante è stato il suo unico lungometraggio. Abbiamo alcuni medio-metraggi come Zéro
de conduite, in cui racconta la vita all’interno di un collegio, in maniera anche autobiografica
poiché perse molto presto il padre, che morì in condizioni sospette in carcere. Quindi passò
la sua adolescenza in collegio e questa esperienza molto dura avrà alimentato la sua
immaginazione. Egli ebbe sempre una condizione di salute precaria, che lo portò ad
ammalarsi ai polmoni giovanissimo; non riuscì nemmeno a finire tutto il montaggio del film,
ed è per questo che attorno all’Atalante c’è stata una riscoperta molto recente (perché i
primi restauri sono partiti negli anni 90) per provare a ritracciare il progetto originario. Il film
è comunque particolare, per molto tempo non è stato visto ma, come per altri famosi film,
negli anni 50-60 a Parigi la Cinémathèque française ebbe un ruolo fondamentale nella
riscoperta di film e autori dimenticati, intorno al luogo che ha influenzato anche la Nouvelle
Vague. Con Vigo ci troviamo in una dimensione poetica che incrocia il realismo, ma che fa
sua anche le avanguardie. C’è questa cifra stilistica realista molto forte, ma allo stesso tempo
una forte sperimentazione.
Nelle ultime lezioni, abbiamo parlato della situazione del cinema italiano, dei telefoni
bianchi, della commedia… cioè di tutte queste ambientazioni alto-borghesi, a cui fa
riferimento anche la definizione di Cinema dei telefoni bianchi. Questa produzione era
influenzata da un clima politico dittatoriale (regime fascista).
Contestualmente, negli anni 30 in Francia si vive in un clima politico, culturale e
cinematografico diverso, perché qui si vive la stagione del fronte popolare, con un’alleanza
tra socialisti, repubblicani e comunisti, che portò ad interessarsi a figure che fino ad allora
erano rimaste fuori dalle opere d’arte, in particolare la classe operaia, disertori della guerra,
delinquenti. Si manifesta un realismo, con l’attenzione ai quartieri periferici, e ai protagonisti
di una società che cominciava a premere da un punto di vista della visibilità e dei diritti.
Da un lato abbiamo l’attenzione agli strati più umili della società=realismo (grazie al fatto
che il fronte popolare guidasse la nazione), dall’altro lato i registi si interessano all’interiorità
dei personaggi.
Un esempio, è il film del 1924 Cuore fedele di Jean Epstein, che possiamo anche ricollegare
ad alcune scelte stilistiche di Vigo, ovvero la soggettività. Il cinema degli anni 20, cosiddetto
impressionista (ma legato anche al movimento surrealista con Louis Bunel e Salvador Dalì in
Un chien andalou=Un cane andaluso, che portò sullo schermo immagini forti, in una
concezione della pratica artistica che ribaltasse i valori della società borghese), lavora molto
sulle possibilità dell’inquadratura e del montaggio di portare sullo schermo l’interiorità dei
personaggi.
-Visione di un piccolo estratto del film Cuore fedele
Vediamo una coppia d’amanti sopra una giostra, e possiamo scorgere il loro punto di vista.
Con Epstein siamo nel pieno dell’avanguardia francese. L’inquadratura viene utilizzata in
modo anti-classico. Nel cinema classico ogni inquadratura deve avere la durata sufficiente
per introdurre quella successiva. Qui ci si sofferma prima sui volti dei personaggi, poi su
quello che loro vedono, ma soprattutto su quello che il personaggio di Marie sente. È un film
drammatico, che racconta la storia di una ragazza promessa in sposa ad un malvivente del
piccolo borgo in cui vive, mentre lei è innamorata di un altro uomo. Quindi vive questo
conflitto tra quello che lei desidera, e quello che la sua famiglia (gestori di un’osteria che si
sono presi cura della ragazza poiché orfana) le impone.
L’Atalante
-Visione di varie scene del film
Le scene iniziali (anche in Ladri di biciclette) hanno un valore fondamentale, perché è il
momento in cui il pubblico entra nella narrazione, una porta d’ingresso. Anche in Susanna,
nella prima scena abbiamo una serie di elementi, che poi si sciolgono nel corso della
narrazione.
Nei lavori precedenti, Jean Vigo aveva lavorato sempre con attori non professionisti. In Zero
de conduite, i personaggi saranno tutti bambini, con cui lavorò con un metodo di
improvvisazione.
Qui invece sono tutti attori professionisti, come Dita Parlo nei panni di Juliette. Inoltre,
lavorava con una troupe fidelizzata; si tratta di un cinema indipendente e sperimentale, con
pochi fondi e una troupe di amici che aderiscono a questo progetto.
Questo film è stato prodotto nel momento di affermazione del cinema sonoro, infatti ha una
grana sonora molto sporca, siamo ancora in anni in cui tutto sta prendendo definizione in
termini tecnici.
Che cosa si percepisce dai primi minuti del film?
Risposta di uno studente: Percepiamo una preoccupazione da parte dei genitori, perché la
figlia non è mai uscita di casa mentre ora va sull’Atalante.
Prof: Il film segue uno schema di privazione iniziale, un allontanamento da una situazione
statica, protetta. Juliette sposa Jean ma non le aspetta una vita comune a bordo
dell’Atalante.
Le campane di sottofondo, a cui si sovrappone la musica della fisarmonica, sembrano quasi
suonare a morte; questo vale anche per il corteo che sembra funebre.
Dunque l’importanza del film nella storia del cinema, risiede nell’avviare una riflessione
sull’inizio della vita di coppia, con tutto quello che comporta (privazione, adattamento).
Infatti Juliette non ha per nulla l’aspetto di una ragazza contenta. Vi è anche un’opposizione
tra la vita della terra che lei lascia, per entrare nella nuova dimensione della vita sull’acqua-
>È tutto da scoprire, come il rapporto con il ragazzo che conosce poco.
Inoltre, si crea una sorta di microcosmo sull’imbarcazione, dove si trovano loro due, un
vecchio marinaio Père Jules, e il ragazzino->micro struttura familiare, dalla presenza della
persona più anziana, la coppia e il ragazzino che anche se non è loro figlio, simboleggia una
gerarchia anagrafica.
Ossessione di Visconti, è un film che porta per la prima volta sullo schermo italiano, i corpi
dei personaggi, facendoci sentire una fisicità che prima d’ora non si era mai avuta. Qui siamo
circa 10 anni prima, e c’è la rappresentazione dei corpi e anche dell’animalità, come i gatti
nella cabina di Père Jules.
*Film a 1h15*. È molto forte il montaggio alternato che viene utilizzato per la scena della
notte che i due passano separati. È una rappresentazione del desiderio: due corpi lontani
ma che, grazie al montaggio, si ritrovano uniti. È chiaro come entrambi sono alla ricerca
dell’altro, grazie al montaggio. Si sente che vogliono scoprire il modo di trovarsi insieme. È
notevole la capacità di Vigo di raccontare una difficoltà della vita coniugale. Negli anni
precedenti, sempre all’interno della poetica surrealista, troviamo il tema dell’amore folle,
amour fou. Qui, invece, abbiamo la stessa ricerca sperimentale, però all’interno della coppia.
Ci si focalizza su qualcosa che il cinema non aveva mai studiato, è come una sorta di
trasgressione narrativa: portare il pubblico a riflettere su una difficoltà di una coppia,
piuttosto che sull’amore folle o sull’adulterio.
Un altro collegamento è la scena dell’acqua, anche lì siamo in una rappresentazione del
desiderio. Il desiderio è ricorrente in tutto il film. In precedenza, Juliette aveva fatto una
riflessione su come sia possibile vedere nell’acqua quello che si desidera. Nel saggio, ci
saranno tanti riferimenti anche al motivo filosofico dell’acqua, legato alla dimensione del
desiderio prima di venire al mondo (ventre materno, latte materno). C’è una simboleggia
dell’acqua molto forte che porta ad una lettura archetipica dell’elemento.
Domanda studente: Ho visto una scena di quando Juliette si trova nella stanza di Père Jules,
e poi arriva il suo sposo ingelosito e le dà uno schiaffo. Questa scena non era considerata da
censura, come tante altre?
Risposta: Non vediamo scene di nudo, immagini esplicite, non perché ci fosse una censura.
Tra l’altro il film non ebbe una distribuzione canonica, siamo all’interno di un circuito
indipendente. Quello che pensiamo avremmo potuto vedere in termini di incontri fisici
espliciti, non è necessario per la rappresentazione del desiderio, della soggettività
->al regista non interessa.
Lo schiaffo non era considerato un fattore da censurare; siamo all’interno di uno spazio
creativo molto ampio. La reazione veniva percepita in modo normale. Anche in Zero de
conduite ci sarà il direttore con dei comportamenti violenti. Negli anni 60, in 400 colpi, c’è il
momento in cui Antoine prende uno schiaffo.
C’era più censura su immagini che potessero turbare la morale. Il film ha avuto dei blocchi
di circolazione soprattutto nel secondo dopoguerra, ma non per la censura.
Domanda studente: Abbiamo parlato di animalità. Questo può essere ricollegato alla
presenza del ghepardo e dello scheletro in Susanna?
Risposta: Si, sono figure fortemente simboliche. Père Jules ha molti gatti e anche diversi
oggetti nella sua cabina, come la mano tagliata->rappresentazione del corpo e dell’animalità
declinata in tutti i modi.
Domanda studente: Come sono state girate le scene in acqua?
Risposta: Intanto c’è un effetto di sovrimpressione, la pellicola viene impressionata due
volte. Approfitto per dire che, nel momento in cui Juliette arriva, c’è anche una parte
industriale che non corrisponde all’immaginario della città di Parigi.
Lezione del 1.12.2020
Spero abbiate visto Ladri di biciclette che è il film di cui ci occupiamo oggi. Se abbiamo tempo
vi faccio vedere anche una piccola testimonianza di un grandissimo regista italiano,
napoletano, Francesco Rosi, rispetto al neorealismo. La scorsa volta vi ho anche accennato
che oggi spero riusciamo anche a toccare questa esperienza del neorealismo cosiddetto
puro, ovvero La terra trema di Luchino Visconti ma ci vorrei arrivare alla fine dell’analisi di
Ladri di biciclette. Francesco Rosi è stato un importante regista italiano che ha in qualche
modo inaugurato un nuovo genere all’interno della cinematografia italiana che è il cinema
d’inchiesta, un tipo di produzione, di narrazione cinematografica che si propone di fare luce
su alcuni aspetti della società e Rosi è stato proprio un antesignano di questo genere che
oggi insomma continua ad alimentarsi e anche a svolgere un ruolo molto spesso anche
fondamentale all’interno di determinati casi, mi viene da pensare al caso Stefano Cucchi,
non so se avete visto questo film che è stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia
e poi immediatamente diffuso su Netflix, è stato anche un caso per quanto riguarda la
distribuzione, ecco questo film presentato alla Mostra del Cinema di Venezia che fa luce e
ricostruisce diciamo il caso e la morte di Stefano Cucchi ha avuto un ruolo non secondario
sul processo in corso, sulle indagini, quindi mi faceva piacere anche ricordare la figura di
Francesco Rosi che proprio sul set de La terra trema di Visconti ha cominciato il suo
apprendistato. Adesso cominciamo a parlare di Ladri di biciclette ma dopo proviamo anche
a parlare de La terra trema di Visconti, che cosa è stato il neorealismo ma soprattutto anche
dello stile, della regia. Ora cominciamo da De Sica, cominciamo da questo film che esce nel
1948 e che rappresenta sicuramente una pietra miliare ma non solo nel cinema italiano, è
un film che ha un’importanza capitale in realtà nella storia del cinema in generale ed è un
film a cui anche molti registi contemporanei guardano come un esempio di narrazione.
Vittorio De Sica l’avevamo già accennato a questi suoi inizi all’interno del cinema italiano di
regime come attore brillante, di commedie, ma comincia poi il sodalizio nell’immediato
secondo dopoguerra con lo sceneggiatore e scrittore Cesare Zavattini con il quale scriverà
appunto le sue pellicole neorealiste. Ricordiamo che questa del neorealismo è una stagione,
è una stagione molto circoscritta che come abbiamo già detto la settimana scorsa trova
spazio e soprattutto una spinta a realizzare un certo tipo di opere in un contesto sociale,
economico, politico molto particolare che è l’immediato secondo dopoguerra. È il momento
in cui registi anche molto diversi tra loro come esperienze pregresse diverse e che
prenderanno poi strade molto distanti tra loro, lo stesso De Sica dopo devierà su un
cosiddetto neorealismo rosa, andando a raccontare sempre storie radicate in ambienti
semplici, umili, molto spesso di provincia raccontando un po’ quelli che erano i temi della
commedia pre neorealismo ovvero l’amore, il matrimonio, le relazioni. Luchino Visconti
invece esordisce come regista col lungometraggio Ossessione, poi continuerà con La terra
trema sempre nel ’48 poi procederà con uno stile assolutamente unico andando poi a
raccontare storie anche molto diverse, spesso di derivazione letteraria, pensiamo a Morte a
Venezia da Thomas Mann, Rocco e i suoi fratelli, Bellissima nel ’51 che racconta l’illusione
del cinema in una Roma popolare.
Lo stesso Rossellini poco dopo la trilogia della guerra di cui abbiamo parlato la settimana
scorsa sarà ad esempio accusato di tradimento della poetica neorealista perché nei primi
anni ’50 incontrerà Ingrid Bergman, se ne innamorerà e con lei girerà delle pellicole che
raccontano storie molto lontane da quelle del neorealismo, ad esempio citiamo il capolavoro
Viaggio in Italia girato tra Napoli e l’entroterra vesuviano dove racconta di due coniugi inglesi
che arrivano a Napoli perché hanno ereditato una villa nella zona di Ercolano e vivono una
crisi coniugale quindi ovviamente questa è una trama davvero ridotta all’osso ma giusto per
farvi capire quanta distanza c’è tra Roma città aperta, Paisà, lo stesso Germania anno zero
in cui abbiamo l’orrore della guerra rispetto a questo tipo di dramma psicologico dove di
aderenza con i temi del neorealismo ce n’è veramente poca.
Nel film abbiamo pochissimi primi piani ma molto spesso, quasi sempre, c’è il classico uso
della macchina da presa come pedinamento, che lo steso Cesare Zavattini aveva teorizzato,
cioè il personaggio che viene seguito, pedinato dalla macchina da presa e gli spettatori noi
pubblico veniamo calati in questa dimensione di osservazione dei personaggi. Tra l’altro per
quanto riguarda l’attore, inizialmente questo film doveva avere un altro tipo di produzione,
doveva coinvolgere anche una produzione hollywoodiana ed era stato fatto il nome di Cary
Grant per il ruolo di Antonio Ricci.
De Sica però rifiutò in modo molto netto perché voleva evitare di aderire utilizzare ricorrere
ad un attore come Cary Grant che avrebbe dato una patina hollywoodiana al film lontana da
questa poetica realista a cui voleva tendere. In realtà De Sica aveva fatto una richiesta
diversa rispetto a quella dell’offerta di Cary Grant che era invece un altro attore che per
vicinanza anche rispetto ai personaggi che aveva interpretato negli anni precedenti poteva
avere una maggiore adesione e parliamo dell’attore Henry Fonda però la cosa non andò in
porto anche perché poi lo stesso attore Fonda non era disponibile in quel momento e ci fu
una rottura in questo senso. Possiamo anche aprire il discorso che poi continueremo quando
parleremo della nouvelle vague del perché all’interno di queste nuove poetiche del
cosiddetto cinema moderno in primis con il neorealismo ma poi vedremo anche con la
nouvelle vague francese, con Godard, con Truffaut, ma anche poi quello che accadrà nella
New Hollywood degli anni ’60 e ’70 questi registi tenderanno a rifiutare l’uso di attori molto
conosciuti e soprattutto radicati in un certo tipo di rappresentazione e di ruoli proprio
perché si sentiva forte la necessità in queste nuove narrazioni di portare sullo schermo, ora
che fossero attori professionisti o non professionisti, dei volti nuovi, in qualche modo liberi
sia da un certo tipo di recitazione che ancora aderiva ai canoni del cinema classico sia che
potessero in qualche modo interpretare personaggi molto vicini al proprio vissuto e questo
è un po’ il caso di Maggiorani che era un operaio e che chiaramente per certi versi poteva
incarnare con non troppa difficoltà l’esperienza attoriale.
Su questo discorso però potremmo anche aprire una parentesi rispetto a quello che di solito
viene raccontato e anche un po’ banalmente ricordato a proposito del neorealismo dove si
pensa sostanzialmente che i film neorealisti siano film improvvisati, organizzati con una
fortissima aderenza al reale e con poco artificio, un tipo di rappresentazione che lascia molto
ad una presa diretta della realtà. In realtà, come poi avrete modo di vedere quando
leggerete il saggio di Lucilla Albano su Ladri di biciclette in realtà proprio questo film De Sica
che è stato poi analizzato nel corso dei decenni da più studiosi invece denuncia o meglio
dimostra quanto anche all’interno di queste pellicole cosiddette neorealiste l’effetto del
realismo, l’effetto del reale, è un effetto che viene fuori da una costruzione, da un artificio,
da una serie di elementi molti dei quali ancora fortemente legati alla rappresentazione
classica. Ecco, secondo voi quali sono gli elementi di un film come questo che in qualche
modo possono ricordarci la struttura del film classico? “Non so, forse perché ad esempio
all’inizio abbiamo un’inquadratura d’insieme quindi vengono rappresentati tutti questi
personaggi subito viene mostrato dove ci troviamo, in quale contesto ci troviamo, il tipo di
personaggi che incontreremo in tutta la pellicola”. Sì, questo è molto pertinente quello che
dici e tra l’altro rispetto a quello che stai dicendo c’è un altro elemento tipico del film classico
ed è presente anche qui in alcuni punti davvero particolari come ad esempio l’inizio, la fine.
Qui oltre a vedere queste immagini parzialmente coperte dai titoli di testa, cosa c’è, che poi
sfuma a un certo punto? Cosa sentiamo? “Forse una musica aderente a quello che viene
rappresentato”. Sì, c’è un uso molto classico della musica in Ladri di biciclette, c’è proprio
un’enfasi drammatica che ricorre in alcuni momenti, la musica è chiamata a enfatizzare il
contenuto e quello che stiamo per vedere in questo caso. Sentiamo spesso questo
commento musicale. Quello di Ladri di biciclette è proprio un tema, sono diverse variazioni
sul tema di quella che è la musica iniziale che ricorre molto spesso, c’è proprio una
sottolineatura musicale molto forte in questa dimensione drammatica che poi avremo modo
di vedere quando analizzeremo altri film,, come tutto questo cambia nel cinema moderno.
André Bazin che poi incontreremo meglio venerdì, è stato questo teorico del cinema
francese fondatore dei Cahiers du cinéma che sono stati il luogo di critica dei registi della
nouvelle vague come Godard, Truffaut, Rivette, Chabrol. André Bazin è stato uno dei più
importanti teorici del cinema del secondo Novecento e ha dedicato molto della sua attività
teorica al realismo e ha individuato in qualche modo in questo film una sorta di cinema della
trasparenza, un momento in cui in qualche modo le strutture secondo Bazin del cinema
classico, del découpage classico vengono smantellate. In realtà poi quando studierete anche
il saggio la posizione di Bazin viene invece contrapposta a quella di un’altra studiosa che
lavora ad un’analisi del film in anni più vicini a noi quindi con una distanza rispetto all’opera
che è Kristin Thompson in cui in realtà più che un cinema della trasparenza, più che un venir
meno delle strutture del film classico, secondo la Thompson qui siamo di fronte a un vero e
proprio realismo dove tutto è costruito per portare sullo schermo un effetto di reale ma non
significa che non ci siano delle strutture dietro, che non ci sia una costruzione sul piano della
regia e in realtà appunto l’uso della musica ma anche vedremo l’ultima scena c’è tutta una
costruzione votata a rappresentare una narrazione di tipo realistica ma che è perfettamente
costruita organizzata con una sceneggiatura solida dove davvero pochissimo è lasciato al
caso se non in particolare un po’ l’effetto che possono dare attori non professionisti come
Maggiorani, la presenza del bambino che è una presenza chiaramente di spontaneità. prima
di arrivare qui dobbiamo parlare della struttura e di come anche qui siamo nel pieno del
rispetto delle regole aristoteliche per quanto riguarda il luogo e soprattutto il tempo.
Il film racconta tre giorni, il tempo del film è spalmato su tre giorni, il venerdì abbiamo visto
l’incipit, Antonio Ricci è al collocamento, ottiene la notizia del lavoro come attacchino per la
quale necessita della bicicletta, sappiamo che ruolo fondamentale anche la moglie che ha
l’idea di impegnare le lenzuola per riscattare questa bicicletta, c’è questa finestra sulla
superstizione e sul voler affidare il proprio destino a qualcosa che sfugge alla razionalità, il
momento in cui lei vuole andare a ringraziare questa santona. Quindi c’è il venerdì che è il
giorno in qualche modo in cui tutto si prepara. Il film dura un’ora e mezza e c’è anche qui un
equilibrio tra le tre parti: 30 minuti per quello che è il primo giorno, i successivi 30 minuti
invece per la giornata del sabato in cui lui comincia questo lavoro e immediatamente gli
viene rubata la bicicletta e poi c’è la giornata della domenica che è la giornata della ricerca
che chiaramente prende il tempo più lungo all’interno del film, il momento del pedinamento
del personaggio zavattiniano, questa ricerca spasmodica in cui mettono sotto sopra la città,
ci sono le scene al mercato di Porta Portese, insomma è il momento in cui noi aderiamo
proprio a questo peregrinare, questo cercare la bicicletta a tutti i costi e anche l’incontro
con una serie di altri poveri cristi.
Per quanto riguarda invece la questione del realismo a cui provavo ad accennare prima,
molto spesso quello che fa De Sica è spesso abbandonare i personaggi che sta seguendo per
farci vedere altro, per inserire in questa narrazione altre situazioni di difficoltà o a volte
anche di contrasto come quella della trattoria in cui il bambino sente la distanza tra questa
famiglia che in trattoria ordina di tutto e invece loro sono lì e ordinano una mezza porzione
perché è già troppo quella a cui stanno accedendo. Volevo farvi vedere la scena di prima,
secondo voi su cosa volevo portare la vostra attenzione in questa scena? Cosa c’è che
normalmente noi in un film classico non avremmo visto? C’è qualcosa che vi ha colpito in
questa scena? Qualcosa che ha attirato la vostra attenzione? Mi riferisco in particolare a
quando loro cominciano questa corsa. Non vi viene in mente nulla? “Forse la macchina da
presa che segue i personaggi invece di essere ferma?”. Intanto qui appunto è uno di quei
momenti in cui il pedinamento diventa evidente, li vediamo sbucare da un lato all’altro, da
un vicolo all’altro, c’è anche una resa, questo è sicuramente un film che può essere
analizzato rispetto ai tempi reali e ai tempi del film, di solito in un film abbiamo una serie di
azioni che vengono condensate, qui invece molta parte del film è costituita dalla narrazione
di azioni che vengono seguite contestualmente, mentre stanno accadendo, come questa
corsa.
Qui però c’è questo momento: Bruno, che è così preso, più del padre, nell’inseguimento, a
seguire questo signore, si ferma per fare la pipì e questa è sicuramente un’irruzione
all’interno, un atto che all’interno di una dinamica di narrazione classica non sarebbe mai
stata inserita perché nella narrazione classica noi siamo completamente in un concitamento
della corsa, per nulla al mondo, è impossibile perché a un certo punto subentra un discorso
riguardo quello che uno riesce a fare e qui c’è questo elemento di bisogno fisiologico a cui
Bruno nonostante sia così preso da questo inseguimento, da questa corsa, si ferma un attimo
e il padre chiaramente lo riprende. Ora questa scena della pipì è stata analizzata da diversi
studiosi proprio in contrapposizione, c’è chi ha visto un cadere di un tipo di narrazione
costruita però in realtà da parte di De Sica inserire questo momento rafforza l’effetto di reale
ma non sappiamo se il bambino effettivamente mentre girava avesse sentito il bisogno di
fare la pipì oppure gli è stato detto di farlo, questi sono tutti elementi che interrogano la
rappresentazione.
Sicuramente in una dinamica, un canone di film classico non l’avremmo mai trovata, sia che
si trattasse di un bisogno reale dell’attore che si trattasse invece di una finzione per mettere
in atto un effetto di realismo perché il cinema moderno, il cinema che indaga e rappresenta
e osserva il reale fa proprio questo, cioè uscire da una serie di canoni per portare sullo
schermo la vita ma dietro tutto questo c’è sempre una costruzione, c’è sempre una
rappresentazione. Più avanti Cesare Zavattini dopo questa esperienza con De Sica arriverà
anche a prendere delle posizioni molto forti, comincerà a scrivere ed inveire contro la stessa
sceneggiatura, c’è una articolo che lui scrive che è “Buttate i copioni”, bisogna buttare i
copioni perché secondo Zavattini c’erano talmente tante persone, tante storie reali a cui
prestare la macchina da presa che secondo lo sceneggiatore continuare a scrivere
sceneggiature, a immaginare storie, fare ricorso alla letteratura era in qualche modo una
perdita di tempo, quello che secondo Zavattini il cinema invece doveva fare era scendere
nelle strade e aderire alla vita così come si trovava a disposizione. Allora, lui dice di doversi
interessare alle storie, agli uomini della società e non a dei personaggi costruiti; scrive:
“Quest’uomo ha un nome e un cognome, fa parte della società in un mondo che mi riguarda
senza equivoci e io sento il suo fascino, lo devo sentire così forte che voglio parlare di lui,
proprio di lui, e non attribuirgli un nome finto, perché quel nome finto è pur sempre un velo
fra me e la realtà, è qualcosa che mi ritarda anche di poco ma mi ritarda il contatto integrale
con la sua realtà e di conseguenza la spinta all’intima attenzione sull’uomo d’oggi. (..) Il
tempo è maturo per buttare via i copioni e per pedinare gli uomini con la macchina da
presa.”.
Invece qui abbiamo un estratto da un testo sul neorealismo di Lino Micchichè, un grande
studioso, professore di Storia del cinema all’Università di Roma, che invece scrive: “Superare
il dispositivo meccanico proprio del cinema che tendenzialmente interpone tra la realtà e il
film tutta una serie di diaframmi tecnici ed estetici giungendo a una sorta di identificazione
tra la realtà fenomenica e la sua manifestazione schermica. Si vuole considerare il cinema
soprattutto come una finestra aperta sul mondo e pertanto servirsene come eccezionale
strumento di documentazione in cui l’inevitabile finzione scenica era superata
dall’impegnatezza della rappresentazione, dalla genuinità di quanto veniva mostrato sullo
schermo, quasi che la realtà si mostrasse nel momento in cui era cinematografata. Da qui,
la teoria del pedinamento o del buco della serratura cara a Cesare Zavattini.”. La questione
appunto della scenografia, di questa città nel nostro caso di Roma, nel caso di Ladri di
biciclette di una città che diventa anche qui set a cielo aperto, le scene nel quartiere di Val
Melaina piuttosto che Porta Portese, Piazza Vittorio, ancora siamo come rispetto a Paisà di
Rossellini in queste narrazioni dove la città viene rappresentata così com’è abbandonando
l’idea della ricostruzione.
Però anche qui dobbiamo sempre ricordare che anche quando c’è l’attore professionista
come nel caso di Roma città aperta anche quando in alcune scene anche in Ladri di biciclette
abbiamo degli interni ricostruiti, un certo tipo di montaggio, un certo tipo di inquadratura,
è tutto l’apparato fizionale del cinema che viene chiamato in causa per dare l’effetto di
realtà, è la poetica del realismo che poi all’interno di questo tipo di rappresentazione noi
abbiamo delle tracce reali della città di Roma aggiungono anche un valore di documento
all’interno di queste rappresentazioni. Ora vi faccio invece vedere quest’intervista a
Francesco Rosi di cui vi avevo parlato (https://youtu.be/54uLu-UPTbM) anche per
contestualizzare ancora meglio il momento e anche la chiamata a realizzare il nuovo cinema
e davvero questa stagione del cinema italiano, la stagione del neorealismo ha rappresentato
a livello internazionale una svolta perché è il momento in cui, un momento così drammatico,
una serie di registi, di intellettuali, poeti, ovviamente citiamo i registi, talvolta citiamo gli
attori ma come vedete dai titoli di testa anche Roma città aperta, Paisà, Germania anno zero,
sono tutti film che ebbero anche una partecipazione molto ampia di scrittori, di
sceneggiatori, di intellettuali che si misero attorno a un tavolo per cercare di realizzare opere
nuove che interrogassero e rappresentassero la realtà, il mondo.
È un ribaltamento della forma cinematografica. Il racconto lascia più spazio all’osservazione.
Il teorico del cinema della trasparenza è André Bazin di cui poi appunto parleremo più avanti
quando parleremo anche della nouvelle vague. Quando leggerete il saggio dedicato a Ladri
di biciclette verrà fuori proprio questo incipit, come per questi teorici, anche per un teorico
come André Bazin che vede in questo film in qualche modo lo smantellamento della
costruzione è chiaro che la visione, la percezione di un teorico che in quel momento assiste
a questo tipo di rappresentazione ne ebbe una visione che poi negli anni è stata
ridimensionata in qualche modo perché oggi a distanza di tanti decenni si riconosce una
struttura solida, fizionale dietro Ladri di biciclette, però in quegli anni assistere ad una
narrazione in cui sostanzialmente c’è una scena quando Antonio Ricci va al commissariato a
denunciare il furto e c’è qualcun altro che chiede al commissario cos’è successo e lui dice
“niente, una bicicletta” come dire il fatto in Ladri di biciclette è nullo, stiamo parlando del
furto di una bicicletta, come De Sica e Zavattini scrivano questa storia che ruota attorno a
un fatto davvero minimo, non è una catastrofe, certo nella vita di Antonio Ricci è una
catastrofe, però appunto siamo calati in una nuova dimensione che tutto il cinema
precedente in qualche modo non aveva ancora mai raccontato in questo modo, anche
all’interno delle poetiche del realismo, pensiamo alla visione de L’Atalante, ne L’Atalante
vedete quanta ricchezza, sfaccettatura, introspezione, i sentimenti, il passato, pensate al
personaggio di père Jules, Juliette, Jean, abbiamo uno scavare nei personaggi molto
profondo. Qui siamo in uno stadio di osservazione, Antonio Ricci chi è? Cosa vuole? Che fa?
Da dove viene? Dove andrà? Non sappiamo nulla, non riusciamo ad andare dentro .
De Sica però ci porta accanto al personaggio, è proprio una forma filmica che cambia, cambia
nello stile, cambia nei contenuti, ed è per questo che poi questo film ebbe un impatto così
forte al di là del fatto che come adesso mi fa piacere farvi sentire questa testimonianza di
Francesco Rosi, lui dice che Ladri di biciclette non lo capì nessuno perché era un film che
travolgeva completamente tutti i canoni della narrazione filmica fino a quel momento.
Francesco Rosi proprio mette a fuoco la portata rivoluzionaria di questi film e anche la
difficoltà di essere compresi dal pubblico e a volte anche dalla critica perché è un tipo di
narrazione completamente nuova. Adesso man mano che andiamo avanti avremo modo di
definire sempre meglio che cosa cambia nel cinema della modernità dagli anni ’40 in poi
ovviamente in determinati contesti e con determinati autori.
Lezione del 4.12.2020
La Nouvelle Vague
Il film di Godard, che esce nel 1960, si inserisce nella stagione del cinema francese che viene
chiamata “Nouvelle Vague” ossia “nuova ondata”. Quest’espressione arriva da un’inchiesta
giornalistica, condotta su questa rivista francese, che viene ancora tutt’oggi pubblicata,
l’”Express”, nel 1957. L’inchiesta sarà dedicata alle nuove generazioni, al mondo giovanile.
Questa nuova generazione, che non è solo francese, ma europea e anche americana, è
nuova poiché a cavallo tra gli anni 50 e 60 si vivono delle svolte all’interno di quello che sarà
un movimento giovanile che sfocerà nel maggio del 1968 a Parigi, in cui ci saranno una serie
di manifestazioni in cui i giovani rivendicheranno una serie di diritti. Già nel 57 si parla di
questa nuova ondata, che non riguarda esclusivamente il cinema, ma che appartiene alla
generazione di giovani francesi di questo periodo.
Il cinema, intanto, e lo abbiamo già visto con il neorealismo italiano, inizia verso la fine degli
anni 40 in Italia ma non solo, inizia a porsi come linguaggio della modernità, della
contemporaneità. Il cinema comincia a palesarsi come linguaggio che può dare voce anche
a questioni sociali, politiche, ai cambiamenti generazionali, e lo fa abbandonando la forma
classica (esempio dei film del neorealismo).
Parlando di neorealismo, siamo portati a fare una differenza tra realismo e neorealismo, la
differenza risiede nel fatto che:
I “Chaires du cinema” sono una rivista ancora oggi pubblicata e che è una delle principali
riviste di critica francese, ma che si occupa di tutto il cinema contemporaneo e non solo. Fu
fondata nel 1951 da un teorico del cinema, Andrè Bazin. Egli è anche un teorico del Realismo,
infatti lui si occupa del cinema realista, andando ad individuare quali sono le inquadrature
più congrue e adatte al realismo.
Questa rivista inaugura un nuovo tipo di critica, che si sofferma molto sull’inquadratura,
sullo stile, concependo anche questo tipo di composizione grafica, infatti ogni copertina ha
un fotogramma di un film. Su questa rivista scrivono i cosiddetti “giovani turchi”, registi
molto giovani, di circa 20 anni, tra cui Francois Truffaut, Jean Luc Godard, Erich Rohmer e
Jacques Rivette. Questi da un lato scrivono di cinema, dall’altro fanno proprio i film (sono
dunque sia critici che registi, hanno questa doppia mansione). Vengono chiamati giovani
turchi poiché si fa riferimento a un movimento nato in Turchia particolarmente attivo e
militante, perché la critica che questi giovani portano avanti, è anche moto feroce. Egli
diranno l’espressione “le cinema de papa”, ovvero il cinema dei figli di papà, un cinema che
introduce produzioni ad altissimo budget, con grani divi e vide, con riprese negli studi, quindi
ambienti ricostruiti.
Loro attaccano il cinema francese classico, in quanto, secondo questi artisti, si allontanava
dalla pratica cinematografica chi non aveva accesso a dei fondi molto alti, tant’è che questi
artisti iniziarono a fare dei film, utilizzando dei mezzi molto scarni (tra gli anni 50 e 60
vengono prodotte delle cineprese che abbassano il costo dell’apparecchio). Dunque, in
questi anni, riescono a fare i film anche coloro che non hanno molti soldi, che non riescono
a produrre come le grandi case di produzioni americane, quindi chiunque riesce a comprare
una piccola cinepresa e a fare un film, anche chiedendo ad amici di mettere a disposizione
le loro case per recitare, chiedendo a loro stessi di recitare ecc. Si crea una nuova pratica, e
questi registi, cos facendo, portano delle storie nuove, che il cinema classico non si sognava
di raccontare. Con questi nuovi racconti, abbiamo un vero e proprio capovolgimento sulle
questioni che si raccontano, sul rapporto uomo-donna, sul rapporto sentimentale della vita
di coppia ecc. Esempio è proprio Francois Truffaut, il cui primo film, chiamato “I
quattrocento colpi”, narra la storia di un ragazzino e la racconta con una prospettiva
totalmente nuova. Con il cinema classico l’infanzia viene trattata in modo molto romantico,
invece con Truffaut ci troviamo in una storia di disagio, difficoltà di crescita, la famiglia viene
messa in discussione, così come la scuola, il ragazzino ha problemi a scuola, il maestro lo
accusa di aver copiato ecc. Ecco che c’è una libertà nel trattare questi temi, particolarmente
nuova e tipica di questo periodo, proprio perché non c’è più quel passaggio attraverso
produzioni del cinema classico.
Di conseguenza, questi nuovi artisti, compiono un’azione molto importante, ossia quella di
andare a rivedere il cinema classico americano, ed individuare degli autori all’interno della
Hollywood classica, individuando, per esempio, in Howard Hawks, regista che era nato a
pieno nel producer system, un vero e proprio autore, qualcuno che è riuscito ad esercitare
una vera e propria libertà, seppur all’interno della sceneggiatura di ferro, all’interno di
questa gabbia dello studio system, che poco margine lasciava ai registi e agli autori.
Nel 1959, al Festival di Cannes, vengono presentati questi due film, “I quattrocento colpi” di
Truffaut e “Hiroshima mon amour” di Alain Rasnais, che fanno parlare di una svolta
all’interno del cinema francese. Il film di Truffaut racconta davvero una storia diversa, anche
da un punto di vista dei luoghi, c’è qualcosa di nuovo.
Si arriva poi a “Fino all’ultimo respiro” di Jean Luc Godard (1960), e al riconoscimento di un
altro grande regista che è Claude Chabrol con il film “Les cousins”. Questi due film, a Berlino,
segnano una svolta all’interno del cinema francese.
Un po' come abbiamo visto già nel neorealismo italiano, qui non c’è più la narrazione
classica, ma e un cinema che si pone come cinema di osservazione. Pensando al film “I
quattrocento colpi”, noi incontriamo questo ragazzino, Antoine, lo seguiamo per buona
parte della sua infanzia e adolescenza, viviamo accanto a lui con questa macchina da presa
che un po’ pedina come fa De Sica con “Ladri di biciclette”. È un ragazzino che si trova a
vivere tantissime difficoltà, sia all’interno dell’istituzione scolastica, sia all’interno della
famiglia (la famiglia è molto particolare poiché la madre vive con un uomo che non è il padre
e che non si interessa molto a quello che accade a questo ragazzino, il quale, alla fine, finirà
in una specie di riformatorio). Il film ha un finale molto particolare, con un fermo immagine,
e sul finale il ragazzino guarda verso la macchina da presa, noi lo lasciamo così, e non
sappiamo cosa gli accadrà, non sappiamo che piega prenderà la sua vita.
Il cinema, così, entra nella vita dei personaggi, ci racconta la storia di questi, ma lascia alla
fine un grande interrogativo sul futuro dei personaggi. Quest’aspetto non si presenta mai
nel cinema classico, nella forma classica il finale non ci lascia mai senza una conclusione.
(Questa componente che prevede una sorta di “finale mancato”, accade anche nella
letteratura del 900, per esempio in quella francese con il cosiddetto “Nouveau Roman”, con
questi nuovi autori che abbandonano l’istanza narrativa che sa tutto dei personaggi, e ci
porta a seguire dei personaggi che alla fine abbandoniamo senza una vera e propria fine. C’è
una fine della narrazione, ma non una fine dell’evoluzione del personaggio).
A proposito del capovolgimento della forma classica, nel film di Truffaut c’è una scena
particolare, in cui Antoine, il ragazzino, avrà un colloquio con una psicologa. Si pensi anche
al trailer del film, il quale già ci fa entrare in piccoli istanti con i quali l’autore racconta la vita
del ragazzino, e anche il rapporto che questi ha con la città.
Il regista mette mano ad una narrazione anche molto personale, infatti egli aveva avuto
anche lui un’infanzia molto complessa e travagliata (seppur questo film non voglia essere
un’autobiografia).
La scena con la psicologa, il regista la organizza in modo particolare, ossia noi non vediamo
mai la donna, che pone al bambino le domande in modo molto freddo (il ragazzino arriva a
raccontare cose molto dure). Siamo in una dimensione di completa adesione al personaggio,
mentre in una narrazione di tipo classico avremmo avuto il classico “campo contro campo”,
e avremmo visto di volta in volta il volto di lei e il volto del ragazzino. Non accadendo ciò, il
regista lascia la psicologa completamente fuori dalla ripresa, perché siamo noi tutti dalla
parte di Antoine, aderiamo completamente, ci caliamo in questo stato di osservazione su di
lui.
Nel trailer c’è una parte in cui lui inizia a correre verso il mare, e corrisponde alla parte finale
del film, in cui scappa dal riformatorio in cui viene rinchiuso. La scena finale è caratterizzata
da un arresto di fotogramma, in cui Antoine guarda verso la macchina da presa, e anche qui
troviamo un’altra regola infranta del cinema classico: siamo in qualche modo interpellati da
questo ragazzino, di cui abbiamo seguito questa fase della sua adolescenza.
Spesso Truffaut nei suoi film inserisce riferimenti del mondo letterario a cui è molto legato,
e nel caso di Antoine, c’è un rapporto molto forte con Balzac, c’è un momento del film in cui
il ragazzino legge Balzac, una piccola parte dei suoi scritti. Antoine ama follemente Balzac,
lo legge e lo rilegge, tant’è che a scuola riesce a scrivere integralmente una parte di un suo
racconto, e sarà proprio qui ad essere accusato dal maestro di aver copiato.
Questo periodo è un momento molto particolare per il cinema in generale, in quanto il
cinema entra nella cultura giovanile, vengono fondate delle vere e proprie scuole di cinema
professionali, una delle primissime è sicuramente “Il centro sperimentale di
cinematografia”, alla quale seguiranno altre, in altri paesi.
In questo periodo si avvia anche la pratica del “cine-club”, ossia di occasioni in cui vengono
proiettati dei film che sono al di fuori del circuito distributivo-commerciale. Questo fa sì che
questi giovani uomini e donne (ci saranno anche delle registe importanti) comincino a
conoscere un cinema “altro”, che non è quello che viene visto nelle sale di produzione, ma
che li porta in una dimensione sperimentale.
In più ci sarà la diffusione dei festival. Venezia è stato il primo festival nella storia, fu la prima
ad introdurre questa possibilità e modalità di presentazione dei film, a cui critici intellettuali
e pubblico vi parteciperanno. È un momento di visibilità di quello che è il cinema
contemporaneo. Tra gli anni 50 e 60, però, si diffondono altri festival come il Festival del
cinema di Cannes e il Festival del cinema di Berlino, che diventano momenti in cui si ha modo
di vedere un cinema nuovo.
La Nouvelle Vague, e dunque questo cinema nuovo, investe questo decennio, il decennio
degli anni 60, e che poi darà una sferzata a quello che è il cosiddetto cinema moderno.
Per quanto riguarda questi giovani nuovi registi, un ruolo importante sarà quello ricoperto
dalla “cinemateque francaise”, che fuori dai circuiti commerciali e distributivi, comincia a
programmare anche il cinema del passato. Sarà questo il momento in cui questi giovani
ragazzi cominceranno a conoscere registi come Hawks, Hitchcock, il cinema neorealista
italiano che aveva interessato il decennio precedente. Questa è la prima generazione di
registi che ha una forte consapevolezza della storia del cinema, perché vede il cinema del
passato, a differenza delle generazioni precedenti.
La presa diretta riguarda una svolta tecnica di queste cineprese che consentono di filmare
per le strade, sono cineprese molto leggere, e consentono anche di registrare il suono in
presa diretta. C’è dunque una liberalizzazione della pratica cinematografica, che consente
un accesso al cinema e al film a giovani che cominciano a concepire il film anche come pratica
di auto-narrazione (molto spesso siamo anche di fronte a film autobiografici, in cui finiscono
delle narrazioni assolutamente personali), è davvero un momento di svolta.
Questo è l'inizio del film. Abbiamo sempre ribadito quanto sia importante la prima
inquadratura di un film, la soglia di ingresso nella narrazione; ne abbiamo già parlato
nell'Atlante, nella costruzione della sequenza iniziale di Bringing up baby. Godard, prima di
mostrarci un ambiente o un personaggio, ci mostra una copertina di un giornale e subito
dopo ci mostra il personaggio di Michele con una posa molto particolare, col cappello
schiacciato sulla testa, giacca e cravatta, con questa sigaretta ed una posa molto
hollywoodiana che scimmiotta la grande figura di Bogart nel cinema americano. Ci pone
subito in una misura di riferimenti extra-filmici cinematografici ponendoci subito anche in
questa dimensione della citazione, altro elemento ricorrente nel film, presente anche nel
cinema moderno. Godard ha più volte affermato, tra l'altro regista che ha compiuto da poco
90 anni che continua a lavorare sul cinema, quanto nel cinema non ci sia nulla di originale:
tutto ciò che è rappresentato richiama in qualche modo immagini, discorsi precedenti. Con
Fino all'ultimo respiro non fa altro che immettere in alcune scene delle riproduzioni di
dipinti, riferimenti a locandine di film quando Michele lascia Marsiglia, quindi si hanno
riferimenti non solo altri registi ma anche ad altre forme di arte come la pittura. Chiama in
causa tutti i linguaggi della rappresentazione visiva avvalorando questo crollo del mito della
originalità, tutto è in qualche modo copia di qualcos'altro, proprio come il personaggio di
Michele che, da un lato vuole porsi come giovane alla ricerca di una propria identità,
decostruendo una serie di schemi ed atteggiamenti normalizzanti, ma lo fa facendo
riferimento al Gangster Movie, a Bogart. Quando si parla di dimensione conflittuale nel
Bertetto si fa riferimento appunto a questo, a come questo film richiami in causa una serie
di logiche, costruzioni, narrazioni, procedure, stili diversi tra loro e che concorrono a creare
una conflittualità all'interno del film. A proposito di conflittualità, vediamo come continua
questo incipit del film.
Abbiamo visto il momento in cui Michele scappa con la automobile verso Parigi. Abbiamo
qui, parlando di anomalie come nel Bertetto, una serie di elementi interessanti, partendo
dal momento della uccisione del poliziotto. Un atto così eclatante che avrà una ripercussione
su tutto il destino ed il finale del personaggio di Michelle che uccide un poliziotto e sarà
oggetto di ricerca dalle forze di polizia fino al finale, sarà denunciato da Patricia, trovato ed
ucciso in modo anti-naturalistico con riferimento al Gangster Movie hollywoodiano molto
forte. Qui lui spara, uccide il gendarme ma quasi non vediamo la azione. Si inquadra la
pistola, lo sparo e successivamente quest'uomo che cade in una sorta di cespuglio, poi la
fuga. C'è una sottrazione di una azione così importante anche all'interno di tutto quello che
poi sarà la fine della storia, del film e del personaggio, davvero raccontata per sottrazione.
Abbiamo invece questo viaggio, la ripresa del percorso da Marsiglia a Parigi che prosegue
con continui jump-cut, salti, ed una inquadratura molto particolare, anche qui anti-classica,
dal sedile posteriore di Michelle che sta guidando. Rispetto al monologo di Michelle abbiamo
una frammentazione ed una eterogeneità della resa perché abbiamo momenti in cui la voce
di Michelle sembra narrante, altri in cui lui dice delle cose estremamente lontane da una
produzione di senso, fino al momento in cui addirittura guarda verso la camera, verso il
pubblico, con questa celebre battuta:
"Se non vi piace il mare, se non vi piace la montagna e se non amate nemmeno la città, allora
andate a quel paese."
In quanto questa scena sia una scena cult, è molto frequente anche sui social. È possibile
che la abbiate vista doppiata rispetto al vaccino per il Covid, per chi prende posizioni di
scetticismo rispetto alla pratica vaccinale. Questo per dire come film come questo, in alcune
scene cult molto forti in cui il personaggio si riferisce alla macchina da presa e manda a quel
paese il pubblico, vengono realizzate anche in maniera ironica e sarcastica.
Le riprese di Michele nell'auto sono realizzate con delle nuove macchine a mano che entrano
tra gli anni '50 e '60 nell'uso corrente di tanti registi che cominciano a farne un uso diverso.
Abbiamo questa ripresa da dietro in un veicolo così piccolo, siamo sul collo di Michele, che
per smorzare questo effetto di ripresa da dietro, ogni tanto ruota il collo per mostrarsi.
Anche qui, per quanto riguarda la questione del jump-cut, abbiamo una serie di salti
temporali che interessano questo segmento del percorso, della fuga di Michele verso Parigi.
Abbiamo delle immagini discontinue che non seguono le classiche regole del raccordo, ad
ogni inquadratura siamo introdotti nella inquadratura successiva con un montaggio
invisibile. Da un lato l'uso del jump-cut, dall'altro Godard ricorre, sempre per l'uso della
cinepresa e del piano sequenza, usa questi cosiddetti long take. Parlando del long take e
della sequenza, vediamo un'altra scena analizzata dal Bertetto, ovvero il momento in cui loro
si vedono nell'Hotel de Suede nella stanza 12.
Questa è parte di una sequenza che dura circa 20 minuti in questa stanza, ma possiamo già
richiamare diverse cose all'attenzione, chi vuole intervenire?
INTERVENTI
X: Traspare il fatto che lui sia molto sicuro di sé, è certo che prima o poi staranno insieme.
Quando capisce che lei fa la difficile si arrabbia e la tratta con insufficienza.
X: Prof ma siccome lui è sicuro di sé, perché allora si nasconde sotto le coperte?
Prof: Questi personaggi in realtà più che sicuri sono alla ricerca di un proprio io, si muovono
in un contesto di libertà che porta ad un annientamento del sé. Questo della camera 12 è un
segmento importante, è una sequenza che dura circa 22 minuti su 1 ora e 30 di film, non è
poco come porzione. Sono in questo dialogo abbastanza inconcludente, irrilevante. Dicono
il contrario di tutto, si parla di altre relazioni, se si amano o no, c'è un momento in cui
sembrano fortemente distaccati, tutto nello stesso momento. Vi sono poi anche
inquadrature molto lunghe, come quella in cui si parlano. Godard filma questa
conversazione nella sua interezza ma vi è una sorta di irrilevanza nel dialogo che viene
restituito nella sua durata reale. È come se in qualche modo siamo di fronte a qualcosa che
si pone come un vento ma è assolutamente irrilevante.
Si possono intravedere i continui gesti che richiamano a Bogart, siamo in una dimensione di
gioco. Godard ci porta in questa stanza per 20 minuti, molti dei quali sono di durata reale.
Non abbiamo stacchi di montaggio ma inquadrature lunghe (long take), una addirittura di 3
minuti. Se si vede un qualsiasi film si nota di come in 3 minuti normalmente si cambino
decine e decine di inquadrature, qui invece in 20 minuti abbiamo inquadrature molto
lunghe. Il tempo della inquadratura corrisponde al tempo reale in cui questi due personaggi
parlano, di solito non accade.
DOMANDE
X: Prof, il jump-cut consiste in questo salto temporale che ci catapulta, diciamo così, in
un'altra scena senza una vera e propria sfumatura, ho capito bene?
Prof: Prendiamo le immagini della fuga, quando lascia Marsiglia. In un montaggio classico
avremmo una inquadratura della automobile che fa una curva e dopo un raccordo, un
continuare l'azione che stiamo vedendo. Godard compie dei salti, da qui appunto jump-cut,
in cui ci mostra un pezzo, ci sottrae poi un pezzo che ci aspettiamo di vedere, e ci porta in
un altro segmento senza osservare una fluidità.
Questo è il famoso long take della celebre scena a Champs-Élysées. Non è un piano sequenza
grazie alla ultima inquadratura in cui arrivano di fianco alla edicola, in quanto il piano
sequenza costituisca tutta la durata della sequenza, qui Godard ce li mostra con un long take
di circa due minuti e mezzo in cui c'è questa macchina da presa che prima ci fa vedere i
personaggi di spalle e poi con una nuova inquadratura in cui vediamo i protagonisti di
maniera frontale. Siamo di fronte ad una passeggiata nella quale non succede nulla di
eclatante, nemmeno nei loro dialoghi o in quel che accade in questa iconica strada di Parigi.
Si racconta che la macchina da presa fosse stata messa in un furgoncino e chiesto ai due
attori di camminare e di parlare, non c'è quindi una inquadratura realizzata con la classica
modalità del set cinematografico in cui tutto in qualche modo si blinda e c'è la visibilità della
ripresa. È una scena in cui chi si trovò a passare in quel momento finì a partecipare nel film
senza averne il sentore, questa scena rappresenta una ripresa diretta sulla città, su ciò che
accade, in un momento di vita quotidiana. Ma anche qui, il piano sequenza o long take, così
come la scena dell'albergo, accompagna i personaggi per un segmento narrativo non troppo
eclatante. Viene data quindi enfasi a momenti ordinari, si potrebbero quasi mettere in
antitesi questi segmenti del film con l'uccisione del gendarme che Godard ci mostra a
malapena in nemmeno un secondo. L'uccisione del poliziotto è di durata minima ma mentre
i due parlano la durata è estesa. Siamo di fronte a personaggi che in qualche modo nella
rottura dei canoni della relazione amorosa tra uomo e donna, nel riconfigurare tutto ciò
stanno cercando in qualche modo, a volte anche in maniera errante, una propria
dimensione. Le soluzioni in questa ricerca della propria identità sono diverse, sappiamo
come finirà il fil. Patricia capirà che questo rapporto non fa parte del suo percorso e arriverà
a quella telefonata in cui lo denuncia. Lui soccombe al suo destino, in questa sottrazione.
Godard sceglie questa morte per Michele anti-naturalistica, quanto più teatralizzata
possibile, è iperbolica. La scorsa settimana abbiamo parlato di quanto questi registi si
oppongano a modalità produttive e anche di interpretazione, ricorso agli attori
professionisti, i grandi divi e dive del cinema francese, ricorrendo a personaggi come
Michele, interpretato da Jean-Paul Belmondo, quasi sconosciuto fino alla sua comparsa in
questo film, entrerà in una posizione divistica. Godard chiede a questi attori non
professionisti una recitazione molto enfatizzata, lontana dal cinema realista. Vediamo nelle
scene finali una inquadratura dall'alto, anche qui vi sono dialoghi in cui si parlano. Ormai non
hanno più intenzione di continuare la relazione. Anziché porci di fronte ad un campo contro
campo, li pone in una dimensione di monologo più che dialogo.
Siamo arrivati ora alla fine. Abbiamo visto le ultime due sequenze, quando lei esce, va al bar,
lo denuncia e poi rientra. C'è questa costruzione messa in forma di questo ultimo momento
di confronto, di dialogo tra di loro che Godard sceglie di rappresentare senza ricorrere ad
una forma canonica del campo contro campo il dialogo. Non solo non si guardano, ma sono
in una forma di soggettività di fine di una relazione, esplicitata in qualche modo in questo
modo di parlarsi senza guardarsi, nell'allontanarsi. La macchina da presa li segue, non c'è
una messa in relazione della loro conversazione. Il finale mostra un Michele che si consegna
alla morte, questa ricerca alla libertà che per Michele prosegue per trasgressione arriva fino
a questo gesto estremo di darsi alla morte che Godard ci racconta mostrandoci il cinema, il
meccanismo della messa in scena, dell'artificio. È chiaro che quella è una fine assurda anti-
realistica. Una volta colpito continua a correre e si trascina fino al momento in cui si chiude
lui gli occhi da solo con questa battuta estrema che rivolge a Patricia. Patricia la abbiamo
vista sempre cercare la sua libertà che prosegue anche per degli interrogativi esistenziali.
Non è un caso che i due si separino ed abbiano nel film destini diversi: lui aderisce alla morte,
al nulla, lei invece si allontana da lui e decide di denunciarlo.
INTTERVENTI
X: Trovo lui molto arrogante e misogino, lei invece è una donna molto più profonda, meno
pragmatica. in generale penso che poche battute abbiano un senso logico, ma c'è un
maggiore rilievo nella gestualità e negli sguardi.
Prof: I dialoghi sono svuotati di senso. Mentre Patricia dimostra di essere all'interno di un
percorso di ricerca del sé da un punto di vista esistenziale, lui dimostra di aderire ad un nulla
esistenziale, è chiaro che dovremmo contestualizzare il contesto storico, come negli anni '60
ci sia una rivoluzione tra i rapporti uomo-donna, nella corrente filosofica
dell'esistenzialismo. È un momento particolare che questi registi provano a rappresentare
mettendo tutto insieme, forma, stile, riferimento al cinema e alla pittura, decostruire
dialoghi e strutture linguistiche del cinema. Si mette in forma di rappresentazione tutto ciò
che si sente nella modernità. Su queste questioni torneremo anche martedì prossimo
parlando della New Hollywood.
Lezione del 15.12.2020
Info: Per venerdì bisogna vere “Taxi Driver”, disponibile nei file del canale Teams.
Questa immagine è tratta dal film “Ladri di biciclette”. È il primo giorno di lavoro di Antonio
Ricci, che sta iniziando a lavorare come attacchino. È un mezzo primo piano in cui vediamo
Ricci con un’espressione felice che attacca un enorme manifesto di Rita Hayworth, un’icona
del cinema classico hollywoodiano.
Oggi parliamo della New Hollywood, soprattutto a partire dalla crisi del cinema
hollywoodiano. Il film di De Sica “Ladri di biciclette” esce nel ’48: questo fotogramma è
fortemente significativo, le strade di Roma che vengono tappezzate da film, immagini,
manifesti delle dive hollywoodiane. L’immediato secondo dopoguerra è il momento in cui,
finito il ventennio fascista, c'è uno spazio che il cinema hollywoodiano occupa anche nelle
altre cinematografie. È paradigmatico come De Sica inserisca nel ‘48 questa questo
momento in cui Antonio Ricci attacca il manifesto che è un’icona del cinema hollywoodiano.
Nel corso del 900, Hollywood si trova a vivere un vero e proprio periodo di crisi, dovuta a
una serie di fattori: in primis c'è un forte cambiamento da un punto di vista demografico, c'è
una mutazione dello stile di vita degli americani che cominciano ad esempio a lasciare la
città e ad abitare nelle periferie, che però non sono quelle alle quali le società europee
“mettono mano”. Negli Stati Uniti nel secondo dopoguerra il lasciare le città per andare a
vivere in contesti di campagna (come abbiamo visto), diventa un “mito” che porta a un
cambiamento di stile di vita. Gli Stati Uniti vivono un boom demografico, si fanno molti più
figli, e ad un certo punto entra all'interno del sistema anche nella storia dei mass media un
nuovo elettrodomestico: la televisione. La televisione porterà a un tipo di consumo nuovo:
non abbiamo più l'abitudine di andare al cinema, il televisore negli appartamenti diventerà
uno “spettacolo a domicilio” e ovviamente avrà una ricaduta molto forte sulla produzione
cinematografica.
C’è poi anche un ricambio generazionale. Bringing up baby, ad esempio, pone da un lato
una poetica dei contenuti che molto presto per le nuove generazioni degli anni ‘50/‘60
diventano obsolete. Abbiamo visto già con “Fino all’ultimo respiro” di Godard del 1960
quanto queste generazioni siano cambiate. Le relazioni cambiano, cambia il modo di vivere
i sentimenti, vivere le storie d'amore, cominciano a piantare i primi semi di quella che poi
sarà la contestazione studentesca. Ovviamente gli Stati Uniti vivono un contesto molto
particolare, legato anche alla segregazione degli afroamericani, quindi tutto il movimento si
arricchisce anche di una situazione assolutamente particolare che vede gli Stati Uniti ancora
negli anni 50 non riconoscere i pieni diritti agli afroamericani. Quando parliamo della
Hollywood classica, parliamo in particolare del Codice Hays, codice di autocensura che
disciplinava i contenuti dei film. Il sesso, la droga, l'adulterio, il rapporto libero tra uomo e
donna erano tutti argomenti censurati. Molto presto, però, Hollywood si trova a vivere una
crisi: da un lato c'è una minore frequentazione degli americani della sala cinematografica,
anche perché cominciano a spostarsi in zone in cui non ci sono sale cinematografiche, quindi
andare a vedere un film diventa scomodo; inoltre c’è il televisore che introduce nello stile di
vita americano la consuetudine di vedere ad esempio il film, la tv dopo cena; l’aumento
demografico che ovviamente ancora le famiglie a prendersi cura dei bambini e soprattutto
il ricambio generazionale.
Quelli che vanno al cinema non sono più gli americani di età media che inseriscono nella loro
routine settimanale la frequenza della sala cinematografica, ma sono i giovani, che però non
trovano nella Hollywood ancora legata all'attuazione del Codice Hays un piacere della
visione, perché le storie diventano sempre più distanti. I giovani hanno il desiderio di
narrazioni sempre più vicine alla propria condizione e chiaramente come poi accade in tutti
i sistemi industriali, anche quando si tratta di industria culturale, Hollywood si vede costretta
a una riformulazione della propria concezione di film classico. Questo è il momento in cui la
mancanza di pubblico nelle sale cinematografiche costringe i produttori delle grandi case di
produzione a dare più libertà, più spazio, a nuovi autori e nuovi registi che cominciano a
pensare a un cinema completamente diverso. Tra gli anni ‘50 e gli anni ’60, arriva dalla Corte
Suprema una condanna nei confronti delle majors di esercitare una condotta monopolistica,
perché la Hollywood classica lasciava pochissimo spazio alle produzioni indipendenti. Le
majors si vedono costrette a rinunciare alle sale e al fenomeno del block booking, che
obbliga le sale di produzione indipendenti ad acquistare i pacchetti: se si voleva il film con
Rita Hayworth, bisognava proiettare anche dei film con registi esordienti o con attori
esordienti, che gli esercenti avrebbero preferito non proiettare. Con la condanna della Corte
Suprema, si crea uno spazio per le sale indipendenti e la messa al bando del block booking
crea spazio per la circolazione dei film indipendenti.
Questo mette in atto un rinnovamento all'interno della stessa Hollywood, il numero dei
dipendenti nel giro di 10 anni dal 46 al 56 raddoppia: tutto ciò costringe le majors ad aprirsi
a nuovi autori. Accanto a questa apertura e all'abbandono del Codice Hays, Hollywood cerca
di rilanciarsi attraverso l'innovazione tecnologica, si comincia a pensare di utilizzare delle
pellicole come il technicolor, si cominciano a realizzare dei film a colori, che ovviamente non
potevano essere proiettati in televisione; si comincia a lavorare molto di più su un tipo di
effetto sonoro in sala molto più performativo. Negli anni ‘50 cominciano a comparire i primi
formati panoramici, come ad esempio il cinerama che offriva effetti panoramici molto
particolari, questi schermi enormi che consentono anche un certo tipo di visione
spettacolare. Questo è uno dei primi schemi di Cinerama, introdotto negli anni ’50. Questo
tipo di formato richiedeva però anche un determinato tipo di ambientazione, ad esempio il
film storico, western, o comunque un tipo di rappresentazione in cui il paesaggio avesse un
ruolo importante. Questo tipo di tecnologia aveva una ricaduta anche sui contenuti del film,
che continuava ad essere declinato in termini anche spettacolari. È impensabile proiettare
determinate storie con un certo tipo di formato e con un certo tipo di schermo, come ad
esempio questo. È il momento in cui si comincia a sperimentare anche sulla
tridimensionalità, così come anche il suono stereofonico. Accanto al cinerama, c’è il
Cinemascope.
Nel ’52, la 20th Century Fox lancia “La Tunica”, “The Robe”, definendolo un miracolo
moderno che puoi vedere senza occhiali, riferimento al 3D. Ovviamente, questo tipo di
schermo si adatta a un certo tipo di rappresentazione, che è quello di un film storico,
mitologico, in costume, che ovviamente non riesce ad avere un appeal su un pubblico
giovane.
Questa è l’immagine del primo pubblico in 3D. Un’altra novità è l’affermazione dei drive in,
che vuole provare un po’ a risolvere la questione del fenomeno di spopolamento delle città.
I drive in diventa un escamotage per portare il cinema dove non c'erano le sale, senza dover
edificare.
Rispetto al cambio generazionale, nel ‘55 esce un film considerato una sorta di pellicola
antesignana di quella che poi sarà la rivoluzione della New Hollywood (che investe in
particolare gli anni ‘60 e ‘70), il cui titolo in italiano è diventato anche parte del nostro
vocabolario: Gioventù Bruciata (Rebel Without a Cause) di Nicholas Ray. Questo film
racconta la storia di un ragazzo giovanissimo, di 17 anni, che viene arrestato perché ubriaco.
Quando viene recuperato dai genitori, l'agente che l'aveva posto in stato di fermo capisce le
ragioni di questa ribellione, in quanto si porta in evidenza tutta l’incomprensione e
l’incomunicabilità con la famiglia. Protagonista di questo film è un giovanissimo e purtroppo
maledetto attore, che poi diventerà un vero e proprio mito: James Dean, che morirà di lì a
poco. È questo il momento in cui c'è un fortissimo ricambio generazionale anche degli attori.
Tra l’altro, il ruolo che interpreta James Dean doveva essere interpretato da Marlon Brando,
che aveva fatto un provino con la casa di produzione, ma poi decise di rifiutare questo ruolo
perché voleva dedicarsi al teatro.
Questi ragazzi, per passatempo, fanno delle corse in automobile e il gioco è quello di lanciarsi
dall’automobile mentre è in moto. Questo gesto costerà la vita a un ragazzo. Ovviamente il
film ha una portata tragica e porta sullo schermo la questione del disagio giovanile e
soprattutto il conflitto tra genitori e figli, quindi una crisi dell’istituto familiare.
Scena di “Gioventù Bruciata” -> https://www.youtube.com/watch?v=BtDjI5A8w-A
Da un punto di vista di storia, c’è un’attenzione alla nuova generazione che non c’era mai
stata prima, mettendo in luce un disagio. In questa piccola clip che abbiamo visto, siamo
ancora in una modalità molto classica, non c’è ancora una riformulazione del linguaggio. In
realtà, poi Hollywood sarà ancora per molto legata a un linguaggio di impronta classica.
All’interno del panorama americano, ci sarà l’affermazione del New American Cinema,
accanto alla New Hollywood, realizzato al di fuori delle majors, all’interno di realtà
produttive indipendenti, molto più vicine a quelle della Nouvelle Vague. Tra gli anni ’50 e gli
anni ’60 comincia a palesarsi una rivoluzione all’interno di Hollywood.
“Il laureato” (The Graduate) di Mike Nichols è il film che segna la svolta.
Inizio de “Il laureato” -> https://www.youtube.com/watch?v=QlUK8okc1YQ
Possiamo sottolineare due aspetti: in primis soprattutto la musica. Oltre ad essere un film
cult della storia del cinema, è un film che lancia Dustin Hoffman come attore. Anche qui
vediamo attori nuovi, con fisicità diverse, che non rispecchiano i canoni dello Star System
hollywoodiano. La recitazione non è più impostata, arrivano sullo schermo attori come
Dustin Hoffman, Jack Nicholson, Robert De Niro, una nuova generazione che rinnova anche
l’attorialità all'interno della struttura hollywoodiana. In questo film, un ruolo importante è
occupato dalla musica: The Sound of Silence di Simon & Garfunken. È così importante perché
erano due artisti che facevano parte della scena contemporanea musicale, quindi Hollywood
abbandona la musica di “accompagnamento”, che enfatizza, ma entrano nei film gli artisti,
le canzoni, le musiche, che i giovani ascoltano. C’è un’aderenza con quella che è la vita delle
nuove generazioni. Il film rompe tutti gli schemi, Benjamin rientra a casa in California, si è
appena laureato, ha appena finito il college. Arrivato a casa trova un grande entusiasmo
della famiglia. Benjamin conosce Mrs Robinson (tra l’altro è il titolo di un’altra canzone di
Simon & Garfunken), che è una signora, una donna grande che ha una figlia dell'età di
Benjamin. Loro hanno una relazione sessuale, ma molto presto Benjamin si innamora della
figlia, che però sta per sposarsi con qualcun altro.
Tutta la storia procede per causa – effetto che sono assolutamente in contrasto con quello
che era stato il cinema hollywoodiano fino ad allora: il rapporto tra un ragazzino e una donna
sposata, il crollo dell’istituzione del fidanzamento e del matrimonio, ma soprattutto un
nuovo tipo di linguaggio. Nella scena iniziale abbiamo una lunga inquadratura che ci mostra
un ragazzo che si lascia trasportare verso un futuro incerto, un ricorso a un simbolismo molto
forte, che comincia a raccontare delle storie assolutamente nuove.
Lezione 22.12.2020
Dopo le vacanze parleremo di altri due film che vengono trattati in dei saggi della dispensa,
cioè Il posto delle fragole di Bergman e Vertigo di Hitchcock.
Vi avevo chiesto di guardare La Dolce Vita per andare un po’ avanti, avanti con il programma
anche rispetto ai saggi in dispensa ma indietro rispetto a Taxi Driver dal punto di vista storico,
perché La Dolce Vita precede di oltre un decennio Taxi Driver e in realtà pensando a questi
due film, di autori con una certa poetica, un certo stile e un’autorialità molto distante, vorrei
un po’ sentirvi su questo, cioè su quelli che secondo voi sono i punti di congiunzione tra
questi film. Intanto possiamo dire che gli anni ‘60 in Italia sono un momento spartiacque,
abbiamo parlato finora del cinema italiano, abbiamo affrontato il Neorealismo, questa
intensa stagione che viene anticipata da Ossessione di Visconti del ’43, che poi
nell’immediato secondo dopoguerra trova gli anni più fertili con le figure di Rossellini, De
Sica, Visconti, lo stesso Fellini comincia a muovere i primi passi. Quello che accade sia nel
cinema che nella società italiana, in particolare per quanto riguarda gli anni ‘50 è una rapida
trasformazione, possiamo dire sia sul piano socio-culturale sia politico-economico. Nei primi
anni ‘60 assistiamo a quello che viene definito come il momento del boom economico, in cui
l’Italia si trasforma da paese agricolo a una società industrializzata e questo cambiamento
così forte porta con sé gli strascichi su vari livelli. Il cinema tra gli anni ‘50 e ‘60 sarà quel
territorio artistico che in particolar modo proverà a dar voce a questa trasformazione, a
questa perdita; ogni autore lo farà in modo diverso perché a partire dalla fine degli anni ‘40
in poi, l’abbiamo visto anche sfogliando il manuale, in cui nei primi capitoli è più facile che vi
addentriate nei cosiddetti movimenti, l’Espressionismo, le Avanguardie, la commedia degli
anni ‘30; ma in realtà ciò che accade dalla seconda parte del ‘900, poi lo vedremo quando
parleremo di Hitchcock. All’interno del cinema cominciamo a trovare degli autori che
cominciano ognuno a declinare, a raccontare la contemporaneità in un modo nuovo e
sicuramente ognuno da una prospettiva auto-reale. Fellini, film dopo film compone quella
che è la sua opera, fatta di tanti film ma in cui in qualche modo presenta una tessitura
dell’autorialità, cosa più difficile da individuare nel cinema classico. Tra l’altro questo tipo di
autorialità comincia a occupare territori in cui sembrava che l’autorialità dovesse rimanere
fuori, come Hollywood. Taxi Driver è sicuramente un film che si situa a pieno in questo
momento di trasformazione.
Ma adesso procediamo per gradi.
Nel caso italiano La Dolce Vita si pone anche come un’opera che indaga, racconta,
rappresenta questa perdita di autenticità che troviamo negli anni ’60. Il messaggio è in
qualche modo affidato a questa figura dell’intellettuale di crisi, che è Marcello, interpretato
da Marcello Mastroianni e qui invece in Taxi Driver siamo nel pieno degli anni ‘70, nel pieno
di una sorta di dramma socio-politico di questo personaggio, Travis, che vive tutta la sua
condizione di solitudine, è solo in questo suo ritorno dal Vietnam, che è stata una ferita
aperta per molto tempo per tutta la società americana. Ovviamente nel caso di Scorsese
siamo all’interno di una sperimentazione, di incrocio di linguaggi, anche di modalità di
rappresentazione. Adesso vorrei sentirvi.
Secondo voi in TD quali sono gli elementi che ancora lo collocano nella Hollywood classica?
Quali sono le parti, gli elementi che sentiamo aderenti a una modalità di rappresentazione
di stile del cinema classico
“Potrebbe essere la censura fatta in alcune scene? Oppure la musica?”
Assolutamente sì, la musica è quasi una sorta di ponte con Herman, questo compositore che
aveva fatto le musiche per Wells, per Quarto potere. Tra l’altro Herman non avrà nemmeno
la possibilità di vedere sullo schermo questa sua partitura per Scorsese perché muore poco
prima dell’uscita del film.
Poi c’è anche un elemento legato alla recitazione, cosa possiamo dire a proposito?
- silenzio lungo e imbarazzante
Allora, qui siamo di fronte a un’interpretazione di quello che sarà uno dei più grandi attori
del cinema americani, Robert de Niro, e che appunto esce da una scuola di recitazione,
l’Actors Studio che era fortemente legata al periodo dello studios system, la scorsa volta
abbiamo parlata di Gioventù Bruciata, film degli anni ’50. Dall’Actors studio uscirà un attore
come James Dean, abbiamo ricordato cosa avrà tragicamente subito dopo aver girato questo
film. Senza voler entrare in parallelismi tra vecchio e nuovo, vorrei sentire qualcuno. Se
l'avete già visto, qual è
stata la vostra reazione?
Tra l’altro anche qui, a proposito di vecchio e nuovo, è un film che Scorsese gira molto spesso
in alcune parti anche dandosi all’improvvisazione, è un film che mette insieme delle
dinamiche di realizzazione e produzione anche molto distanti tra loro, e ovviamente
realizzando un film che poi è diventato così come La dolce vita, un vero e proprio classico,
come tutti quei film che raccontano storie declinate in modo nuovo. Il caso de La dolce vita
è un caso particolare, rispetto a come questo film si sia calato nell’immaginario italiano,
collettivo, traslando completamente il senso del film.
Però appunto vorrei sentirvi anche per provare a rompere il ghiaccio.
Domanda: ho una curiosità su Taxi driver. La scena del film in cui lui parla davanti allo
specchio è diventata famosa per l’impatto visivo o perché in effetti affrontava il tema della
solitudine?
Lo specchio è un elemento molto ricorrente, qual è l’altro specchio su cui Scorsese ci porta
a riflettere? Quello retrovisore della macchina.
Anche qui dobbiamo sempre stare molto attenti a leggere nel tipo di inquadrature, di
dispositivo che il regista inserisce all’interno del film. È chiaro che lui è un tassista, non può
girarsi per guardare dietro, però qui lo specchietto retrovisore è fortemente simbolico
perché segna la distanza tra la dimensione di marginalità di quest’uomo che guarda una
società, un mondo in cui vive, che attraversa, che lui trasporta, un mondo di passeggeri che
lui porta in luoghi diversi dal quale lui è assente. Non so se vi ha fatto ricordare anche a
qualche film contemporaneo.
“Mi ricorda Drive. I personaggi soprattutto, anche se sono in contesti diversi mi sembrano
in qualche modo simili.”
Sì, sicuramente Drive è un film che guarda a Taxi driver, anche per la fisicità dell’attore, al
modo in cui cammina, sicuramente sì. Qualcun altro?
“Prof, semmai può avvenire l’effetto contrario, magari guardando qualche altro film viene
in mente Taxi Driver, ad esempio Baby Driver, fatto di recente, che ricorda molta sia Taxi
Driver che Drive e tanti altri film del genere.”
Sì. Drive è un film che entra proprio nel citazionismo del film di Scorsese. Ma proviamo a
slegarci dalla questione del driver, della guida, del ruolo. In generale, come tipo di
alienazione e follia, vi ricorda qualcosa?
“Joker, Arancia meccanica, L’uomo senza sonno, Uncut gems”
Sì, ovviamente questi temi sono anche in questi film, rispetto ad Arancia meccanica anche
contesti sociali e culturali, perché ovviamente qui con Taxi driver c’è la condizione post-
Vietnam in modo molto forte, però questi che avete citato sono film che lavorano sulla
condizione di alienazione, di emarginazione e ricorso alla violenza. Tra l’altro il film di
Scorsese, ha una? (- 32.40m) di una società in cui c’è una forte contrapposizione di classe e
di razza.
Sì, e poi c’è anche nella percezione, nella relazione che Travis ha con queste due donne, c’è
un percorso uguale e contrario, all’inizio il personaggio di Betsy è rappresentato come una
figura quasi angelica, ci troviamo davanti a un archetipo, la donna angelo che quest’uomo
cerca di avvicinare in tutti i modi, che cerca di conquistare, però poi nel pieno della sua
alienazione lui non riesce minimamente a capire quanta distanza ci sia con questa donna,
arriva a portarla fuori a vedere un film a luci rosse, e poi c’è quella sorta di maledizione che
lui le scaglia contro quando questo rapporto si interrompe bruscamente. E invece nel caso
di Iris abbiamo un incontro con una prostituta, una ragazzina che si prostituisce e in qualche
modo vuole angelizzare, salvare, è anche particolare il fatto che poi alla fine del film non sia
Iris a ringraziarlo ma i genitori, ringraziarlo di quanto in qualche modo lui abbia compiuto,
abbia fatto compiere un iter a questa ragazza che in realtà non era quello che voleva, lei lo
dice a un certo punto che desidera tornare a casa. Travis si muove tra due modelli femminili
che non riesce a "maneggiare" perché non riesce a riconoscere né ad Iris una libertà, che per
lui è quella di sottrarsi alla prostituzione ma non una libertà che le consenta, ad esempio, di
vivere una vita libera come lei desidera; invece nel caso di Betsy è maldestro perché non
riesce a cogliere questa distanza di questa donna che non è quello che lui crede che si.
“A me ha ricordato anche il film di Tarantino, soprattutto verso la fine, l'effetto splatter,
anche se è un po’ ridotto rispetto ai film di Tarantino, e anche la riflessione degli stessi
personaggi su loro stessi secondo me sono simili le scelte registiche.”
Sicuramente Tarantino deve tanto ad un film come questo e tanti altri; Tarantino è un
maestro del citazionismo. Questo tuo intervento su Tarantino ci da anche la possibilità di
andare anche un po’ oltre rispetto quello che accade nel cinema americano, perché noi
parliamo di New Hollywood, e sicuramente il film di Scorsese è un film che sta a pieno in
questa stagione, tra l’altro è un film che ebbe un successo enorme al botteghino, davvero
un film molto visto fin da subito, quindi a proposito di libertà data ai nuovi autori come
Scorsese che aveva iniziato a realizzare lungometraggi da poco. Qui siamo di fronte ad un
discorso che ci pone di fronte ad un'opera che è un’opera socio-politica, esistenziale legata
ad un (?) che nel frattempo si stava affermando ormai. Con il cinema di Tarantino siamo in
una post modernità in cui ormai la concezione che il cinema possa in qualche modo portare
un discorso attraverso le storie è superato, il cinema di Tarantino mira ad un piacere
spettatoriale rispetto ad un eccesso dei fatti, di forma, di sangue, di violenza. Con il cinema
postmoderno siamo di fronte ad un linguaggio che si configura ulteriormente e dove i
personaggi perdono di centralità e il piacere spettatoriale è dato ad esempio dal
citazionismo, da un certo uso della musica, da un certo uso delle inquadrature e anche dallo
svuotamento di determinate scelte stilistiche, ad esempio il piano sequenza che Tarantino
usa ne Le iene, in cui normalmente col cinema moderno siamo di fronte ad una durata reale,
senza stacchi di montaggio, in una scena che si sviluppa e restituisce un effetto di reale molto
forte e in qualche modo enfatizza, da forza, anche in termini di realismo, quello che viene
ripreso durante il piano sequenza.
Potremmo provare anche a fare un confronto: mentre nel piano sequenza o nel Long Take
che abbiamo visto insieme in fino all’ultimo respiro di Godard, siamo nel dialogo di questi
due personaggi, uno maschile e uno femminile, Patricia e Michel che si sono incontrati,
provano a trovare una propria libertà e siamo calati in questo long take, a vivere questa
passeggiata insieme; nel piano sequenza de Le Iene in cui ci sono i due personaggi che si
muovono, escono dall’ascensore e lì non accade nulla, non c’è alcun tipo di lavoro in senso,
quindi anche la tecnica, scelte stilistiche, diventano un puro piacere della visione, quindi c’è
uno svuotamento di senso che diventa il senso della rappresentazione.
“Ho visto le iene tempo fa, quando lo guardavo, pensavo proprio per questo piano sequenze
in cui non succedeva nulla, sembrava che lo spettatore fosse messo da parte, mentre in fino
all’ultimo respiro mi sembrava proprio di partecipare, sono scene attive in cui la telecamera
segue i personaggi, è stata soprattutto una sensazione personale non so se è un effetto che
si può effettivamente ricreare in entrambi film”
Assolutamente sì. Tra l’altro leggo solo adesso delle cose che avete scritto in chat (ne legge
due):
“Per me Travis è un personaggio che voleva essere notato dalla società. Quando alla fine
Betsy ritornerà da lui, ha ottenuto tutto ciò che voleva e cioè essere notato, come se Betsy
rappresentasse la società.”
“Ritornando alle similitudini col genere classico, i temi sono simili a quelli di alcuni
predecessori di Taxi Driver ma anche le scene in cui veniva inquadrato solo Travis
personaggio, con un primo piano, senza una parola, solo gesti, sguardi e musica che
veicolano, in ogni modo, significati profondi e che lasciano intravedere la situazione di
disagio sociale, follia, frustrazione, alienazione: è una vera introspezione di Travis. Anche il
fatto che lui finga con i genitori, riguardo la sua vita mi dà la percezione di un totale distacco
dalla società in cui vive, in cui non si ritrova e che vorrebbe "ripulire" dalla sporcizia e dalla
criminalità."
-ritorna a taxi driver- Poi ci sono ovviamente tante questioni che potremmo provare a
sviscerare, come anche la rappresentazione della città, l’uso del cromatismo molto carico,
anche l’inizio del film che ci porta in una dimensione di rappresentazione iperreale.
C’è una cosa che voglio dirvi rispetto allo specchio e a questa moltiplicazione degli specchi.
Ovviamente qui c’è una rappresentazione della città post noir del cinema classico, questa
rappresentazione iniziale iperrealista, con questo uso del colore molto forte di una città
notturna che è in qualche modo la rappresentazione della metropoli del film noir classico.
Così come il gioco di riflessi che vediamo continuamente fino a questo rapporto che Travis
ha con la città e con gli abitanti, con quelli che poi diventano per lui passeggeri che lui vive
e percepisce attraverso lo schermo.
A proposito di introspezione, di narrazione, e di forme di rappresentazione, sicuramente
anche l’uso della voce over è interessante: questo film si muova tra una sorta di discorso
interiore di Travis che viene restituito dell’uso della voce over; rispetto invece a quello che
lui vede filtrato da quella che è una sorta di lente oggettiva su una realtà che lui non riesce
bene a sviscerare, a leggere. L’uso che Scorsese fa della cornice, come anche il parabrezza,
che è un’altra finestra sul mondo attraverso il quale Travis guarda, quindi l’uso dello
specchietto, del parabrezza, sono tutti dispositivi di cornice che rappresentano in qualche
modo una sorta di riferimento al linguaggio televisivo, allo schermo della TV che diventa
momento di straniamento.
A proposito di quello che chiedevate prima del discorso, del monologo allo specchio, lì c’è
una rappresentazione, in qualche modo potrebbe essere il ponte verso La Dolce Vita,
ovviamente a ritroso perché nel film di Fellini siamo nel 1960, quindi siamo in una precocità
di sguardo di Fellini sulla società, sulla sua trasformazione, su le derive della società dello
spettacolo che, in realtà, è appena iniziata e noi oggi siamo nel 2020 e la dolce vita ha appena
festeggiato i 60 anni ma potremmo dire che se li porta benissimo. è un film che riesce a
fotografare, usiamo questo termine che ci porta a pieno in una questione del film come
appunto la fotografia, la morbosità sulla vita degli altre che è ancora fortemente in piedi.
Quindi Fellini nel 1960 riesce con questo film a fare una sorta di radiografia della nostra
società. Il fenomeno de La Dolce Vita è un fenomeno interessante perché è un caso molto
particolare di film che inizialmente scandalizza, poi bisogna interrogarsi anche sul perché
questo film scandalizzi così tanto il pubblico e anche la critica, la chiesa, insomma reazioni
molto forti, forse perché il modo in cui lui mette a nudo la società italiana e la sua
disgregazione era qualcosa di insopportabile molto più di quello che può rappresentare un
certo tipo di esibizione di corpi e di nudità. Però questo film è stato completamente travisato
nel suo messaggio, è stato stravolto. Il film entra in una fortuna e nel portare avanti
determinate scene, completamente ?( min 58.34) dal contesto come, ad esempio, il bagno
nella fontana di Trevi, ora voi avete visto il film ma immagino che quella scena fosse una
scena che avevate già visto o visto in una reinterpretazione.
Ora vorrei anche un po’ sentirvi rispetto La Dolce Vita, se è un film che avete visto per la
prima volta, per la vostra generazione che tipo di conoscenza avevate di questo film che poi
è diventata l’etichetta, pensate quanti locali, profumi si chiamano così. Addirittura dopo il
film il maglione a collo alto, che indossano i paparazzi nel film, prende il nome di dolce vita.
Pensate poi anche a quanto questo film abbia influenzato il linguaggio: il termine paparazzi
che prende il nome dal fotografo e quanto poi il nome del personaggio sia diventato il nome
di una professione, il fotografo scandalistico. Quindi mi faceva piacere sapere le vostre
reazioni.
“Prof io non l’avevo mai visto ma avevo sempre sentito l’espressione “fare la dolce vita” o
in inglese quando vedo dei film in lingua la sento sempre. Mi è piaciuto nonostante duri
troppo, sembra la durata dei primi film muti, però è fatto molto bene, nonostante sia in
bianco e nero trovo che le riprese siano fatte davvero bene
E’ stato fatto in pellicola e poi parliamo di Federico Fellini che è uno dei più grandi maestri
del cinema, sicuramente la qualità del film, della resa estetica, è legata al fatto che questo è
un film girato con mezzi, prodotto da Angelo Rizzoli (uno dei più grandi produttori del
tempo). Non è il primo lungometraggio di Fellini, esordisce già negli anni 50 con Lo sceicco
bianco con Alberto Sordi, è un regista che poi è diventato uno degli autori non solo della
storia del cinema italiano ma mondiale, quindi ovviamente c’è tutta la qualità. Poi tra l’altro
l’avete visto in uno schermo, nella migliore delle ipotesi, di un computer; siamo di fronte ad
uno dei capolavori assoluti della storia del cinema.
Un po’ di reazioni sul film, sull’età contemporanea infatti c’è l’episodio del miracolo che ci
colpisce molto se contestualizziamo il momento. Di questo fenomeno mediatico, di questa
morbosità della stampa, dei giornali, della televisioni (era appena nata, le prime emittenti
televisive in Italia partono nel ‘54) e di come Fellini abbia già capito che il sistema mediatico
si muove verso un regime di morbosità e ? (min 1.03.45.) e siamo solo nel 1960, anche qui
ribadisco la capacità di leggere già dove il paese stava andando rispetto a questo discorso.
Siamo in un’esasperazione ma Fellini lo aveva già chiaro.
“Probabilmente di questo film è stato trasmesso più l'aspetto "glamour" nel corso del tempo
che quello critico”
Sì, è proprio quello che provavo a dire. Questo film che prova a mostrare, come una sorta di
autopsia, gli organi ormai deteriorati di una società o in via di deterioramento e dove la parte
del glamour, qui siamo nella narrazione di una Roma che vive questa stagione della
Hollywood sul Tevere, di questa legge che viene fatta per obbligare le case di produzione
hollywoodiane a reinvestire parte degli incassi al botteghino in Italia, perché ovviamente
l'ingerenza del mercato hollywoodiano dal secondo dopoguerra in poi, l’abbiamo anche
ricordato la scorsa volta parlando di questo manifesto che sta attaccando Antonio Ricci in
Ladri di biciclette. Si crea anche questo fenomeno che si è verificato e si continua a verificare
anche in Nord Africa, cioè quello di andare a girare film in paesi in cui la manodopera costa
di meno, le location costa di meno, tutto costa di meno per abbattere i costi di produzione
e quindi Cinecittà diventa la mecca di diverse produzioni hollywoodiane che usano gli studios
italiani anche avendo dei risparmi rispetto ai costi della manodopera, costumi e tutto quello
che potete immaginare ruoti intorno alla produzione di film. Un altro elemento interessante
di come Fellini si muova all’interno di un realismo molto particolare, una sorta di realismo
magico, la Via Veneto che vediamo nel film è ricostruita a Cinecittà e che però ha un effetto
di contaminazione rispetto alla via Veneto reale di Roma e appunto Fellini rappresenta quel
mondo dorato del cinema, dei locali, di questo vecchio e nuovo che si incontrano e scontrano
all’interno della nostra società da una prospettiva critica e drammatica, invece il film per
molto tempo è diventato l’emblema ed è stato assolutamente tradito in quello che è il suo
messaggio, un film fatto a pezzi proprio di clip, di spezzoni, che vivono di vita propria e che
tradiscono l’impianto del film che è tutt’altro l’esaltazione del glamour quanto la
drammaticità di questo periodo e dei fatti che si raccontano attraverso il personaggio di
Marcello dove tutto si fa spettacolo e poi c’è questo finale. Come lo avete interpretato?
“io credo sia l’unico elemento di non apparenza del film, la cosa più reale che viene
dall’acqua. tutto il resto è stato apparenza, tutto il glamour, i pensieri spesso falsi e noiosi di
questa alta borghesia. quindi questo elemento credo sia più naturale e rappresenta il vero
cuore del film dato che lui alla fine voleva sottolineare che fosse tutta apparenza, quello che
sembra non è in realtà quello che provano i personaggi.”
L’animale è una sorta di mostro marino, quindi anche questa mostruosità della natura che
però getta uno sguardo, problematizza lo sguardo sulla società.
Lezione del 12.01.2020
Quindi la presenza di Victor Sjöström in questo film, che esce nel 1957, e che impone la
figura di Bergman come uno dei principali autori del cinema moderno, è fortemente
simbolica.
Chiaramente sullo schermo porta un'esperienza e apre dei riferimenti e dei rimandi a una
cinematografia nella storia del cinema europea e Bergman era molto legato alla figura di
Sjöström, il quale morirà poco dopo l'uscita di questo film.
Bergman è una delle grandi figure autoriali del cinema moderno europeo, autore di
grandissimi capolavori, uno dei primi film che possiamo accostare a "Il posto delle fragole"
è sicuramente "Il settimo sigillo". Bergman affrontano temi esistenziali come il tema della
vita, della morte, del tempo, dei ricordi.
Ne "Il settimo sigillo" va indietro nella storia della Svezia e indietreggiando al '600 durante
un momento di peste, dove la questione della morte e dell'esistenza assume un ruolo cruciali
inserendo in questo film un personaggio che è proprio la morte, che incontra le persone che
poi appunto strappa dall'esistenza.
Affronta anche il tema delle relazioni familiari, da rapporti padre-figlio a rapporti di coppia,
non possiamo non citare il lavoro per la televisione, "Scene da un matrimonio", in cui
Bergman entra nelle trame della vita di coppia e familiare. Si pensi anche al modo in cui ha
lavorato sui personaggi femminili, sulla malattia mentale, come in "Persona" o "Sussurri e
grida", quindi davvero una filmografia molto ricca di questioni esistenziali.
Ritorno a "Il posto delle fragole" qui siamo nel pieno della narrazione moderna, com'è
strutturato ad esempio il tempo in questo film; è un film che comincia all'alba di una giornata
molto particolare, che è la giornata durante la quale questo professore dovrà andare
compiere un viaggio per arrivare ad essere insignito di un riconoscimento che è il massimo
riconoscimento per una figura scientifica, che viene chiamato Giubileo. Quindi il tempo della
narrazione ricopre una giornata, all'alba alla sera, dal momento della preparazione per
questo viaggio fino poi al momento in cui Isak si addormenta dopo aver vissuto
quest'esperienza del riconoscimento a cui partecipa, non solo lui ma anche la governante, il
figlio, la moglie e la nuora, che lo accompagnerà durante questo viaggio.
C'è un tempo estremamente condensato — quello che in realtà all'interno del cinema
classico non accade mai, film in cui le azioni sono ridotte davvero al minimo — ma quello
che diventa predominante sono questa serie di incontri, sia reali, ma soprattutto onirici o
comunque in termini di ricordo, che animano sostanzialmente il film e quindi c'è un intreccio
molto forte tra il ricordo, la memoria e la realtà.
Però appunto mentre in molti film di Bergman c'è una rappresentazione che procede
attraverso una sorta di oscurità, anche attraverso una serie di simbolismi, quasi a volte
complicati da sviscerare, qui invece è tutto in qualche modo molto chiaro, si tratta di una
giornata durante la quale un uomo molto anziano che si trova a vivere un momento di
riconoscimento per quella che è stata la sua vita professionale, in realtà sia per quanto
riguarda la forma onirica quindi del sogno sia attraverso il ricordo, nel momento in cui si
mette in macchina con Marianne (la nuora), fermarsi in determinati luoghi in cui lui rievoca
momenti della sua vita, del suo passato e anche della sua giovinezza.
È tutto molto chiaro; il soggetto del film è una sorta di appuntamento ormai non più
procrastinabile, con quello che è stato la propria vita, i propri affetti, le proprie relazioni, col
figlio, con la moglie che non c'è più, il tradimento, il desiderio, la paura della morte.
Nei film di Bergman, la questione dell'autobiografismo è molto forte, ed è presente anche
in questo film. Il rapporto ad esempio tra Isak e il figlio, questi rapporti molto conflittuali
sembrerebbero parafrasare i rapporti di Bergman col padre, un pastore, uomo religioso che
aveva impartito ai figli un tipo di educazione molto rigida e anche violenta, e così come il
rapporto con le donne, il rapporto con la paternità, in questo film abbiamo questo rapporto
molto conflittuale tra Marianne (la nuora) e Evald (il figlio) e durante questo viaggio viene
fuori che Evald ha rifiutato la paternità e Marianne porta i segni di questa negazione
dell'esperienza della maternità perché Evald non voleva figli, perché aveva avuto un
rapporto conflittuale col padre e si intuisce il desiderio di interruzione di questa relazione
che dovrebbe poi invertire i ruoli.
Potremmo riflettere anche sul titolo, un'espressione svedese che rimanda a questo luogo
raro, un luogo particolare in cui nel caso del film di Bergman Isak arriva e in qualche modo
viene catapultato nel proprio passato.
Un altro tema importante del film è il rapporto generazionale, quando si mettono in strada
e a un certo punto incontrano questi tre ragazzi. C'è il personaggio di questa ragazza molto
giovane, Sara, che in qualche modo ricorda ad Isak la donna di cui lui era innamorato e dalla
quale invece non era corrisposto. Quindi questi vari incontri che attivano questo elemento
di memoria.
Il tempo è onnipresente e soprattutto attraverso una rappresentazione molto particolare; il
primo sogno che Isak fa l'orologio che vede per strada è un orologio senza lancette e non
sono pochi i film che nella storia del cinema precedente - ma anche nella storia dell'arte (si
pensi a Salvador Dalí) - in cui gli orologi diventano simbolo del tempo, della memoria ma
anche dell'inafferrabilità della vita.
Anche in altri film ("Fino all'ultimo respiro" / "Viaggio in Italia") il viaggio, l'elemento della
macchina, il movimento diventano in realtà un momento di introspezione, un viaggio dentro
sé stessi e qui si va alla ricerca del tempo perduto.
Anche per quanto riguarda lo stile, il primo sogno, in cui vediamo questa figura umana che
si liquefa, l'orologio senza lancette, tutto il primo sogno è un sogno che richiama anche
molto un tipo di estetica espressionista, però poi questo elemento più espressionista, questa
scelta stilistica si alterna invece ad un naturalismo molto forte come scelta e anche qui siamo
di fronte a un’alternanza tra una dimensione del ricordo, quindi onirica e invece quella della
vita vissuta.
Ancora dobbiamo ricordare l'uso che fa Bergman del cosiddetto voice-over, della voce
narrante che è una voce di auto narrazione, perché quella che sentiamo è la voce dello stesso
Isak, che si racconta quindi anche qui rispetto a questa scelta autoriale sicuramente l'uso
della voce di Isak come voce over è assolutamente rilevante.
Domanda: Può ripetere la questione del tempo?
Risposta: Un tema importante di questo film è il rapporto della vita con il passare del tempo.
Isak è un uomo ormai anziano nella narrazione, nella finzione Isak ha 78 anni. Si trova a
vivere questa giornata di riconoscimento del proprio lavoro, è evidente che è una narrazione
che ci porta su una riflessione del tempo trascorso, della vita vissuta, è il momento in cui si
fa i conti col proprio passato, e il fatto che Bergman voglia dare questa lettura al film è
rafforzata da tutti questi dispositivi di misurazione del tempo, come l'orologio sulla strada,
dove poi arriva un carro funebre e che porta la sua salma, ovviamente siamo in un sogno.
(mostra la scena con l'orologio senza lancette)
Vedete questa inquadratura in cui lui dalla strada, dove c'è quest'illuminazione molto forte
quasi abbagliante, cammina e Bergman ce lo mostra su uno sfondo nero, un lavoro sul
chiaroscuro molto forte, sul gioco delle ombre, su queste diagonali, sui riflessi dei lampioni.
●
Poi c'è l'incontro quest'uomo, che cade a terra e poi si scioglie, si dissolve.
C'è anche un riferimento ad "Entr'acte" di René Clair, qui siamo in una poetica dadaista, non
connotata in modo così esistenziale, però rintracciamo questo riferimento molto forte, così
come più avanti c'è il richiamo a "Venere e Cupido" di Velázquez, di cui Bergman cita questo
guardarsi allo specchio (altro elemento importante nella filmografia di Bergman), come
riflessione del sé, riflettersi.
L'incontro con la coppia dopo l'incidente, ancora una volta la manifestazione di una vita
coniugale impossibile, insostenibile, tanto che a un certo punto li fanno scendere, anche
perché Marianne non sopporta assistere alla tensione e allo scontro tra queste due persone
quindi la messa in forma di una riflessione sulle relazioni.
Questa moltiplicazione di piani e situazioni, questa nuova generazione che vive i rapporti in
modo diversi, questi tre ragazzi che si polarizzano alla figura di Sara, che attiva poi in Isak un
viaggio nel passato, nei suoi rapporti con le donne.
Quando gira "Il posto delle fragole" è giovane ma si è già sposato tre volte, c'è quel momento
nell'intervista in cui afferma di non ricordare la data di nascita dei propri figli, la loro età, che
ci fa capire quanto fosse calato nel suo lavoro, nella realizzazione del suo cinema; e in questo
film, a proposito di autobiografismo, viene fuori la distanza, il distacco nei rapporti familiari,
c'è un momento in cui Marianne dice «Sei un egoista, come del resto lo è tuo figlio», quindi
c'è riferimento sia al rapporto padre-figlio che al rapporto con la moglie, con la famiglia che
in qualche modo riecheggia la vita di Bergman, lui si traspone nella figura di Isak.
Quasi tutti i suoi film non sono altro che un lavoro sulla sua rappresentazione autobiografica,
disseminata nelle storie.
Lezione del 15.01.2021
Quest’intervista, che è un libro, da cui è tratto un documentario (5/6 anni fa), svela
l’autorialità di Hitchcock e la sua autobiografia in questi film e il rapporto con le donne. In
‘Vertigo, la donna che visse due volte’ il rapporto tra uomini e donne è cruciale. Il lavoro che
il personaggio Scotti fa di costruzione di una donna che è il passaggio da Judy a Madeleine e
viceversa è fortemente simbolico, è la proiezione del desiderio dell’uomo di una donna in
un determinato modo e alle spalle c’è il desiderio di Hitchcock di proiettare il suo desiderio
dell’oggetto femminile sul personaggio femminile. Vertigo è trai film di Hitchcock più
analizzati in chiave femminista indagando la dinamica tra maschile e femminile e come il
cinema americano rappresenta le donne, la proiezione del desiderio anche in chiave
psicoanalitica.
Questo effetto vertiginoso presente anche nel titolo originale e l’inizio dei titoli di testa,
questo lavoro grafico sulla vertigine che richiama la pettinatura di Madeleine e che per Scotti
è così perturbante che quando si incontrano in albergo Scotti vuole assolutamente che lei
abbia il tipo di capigliatura che riprende la composizione figurativa del vortice e della
vertigine che in qualche modo scatena anche in noi questa condizione.
C’è la questione della necrofilia e l’identità dell’uomo che si attiva e riattiva con illusione,
inganno e mascheramento. Lui è consapevole (non sapendo dell’inganno) che Judy non è
Madeleine ma lui la vuole così. Presente è il tema della perversione e della donna vista come
oggetto del desiderio. Hitchcock fu il rimo bersaglio degli studi femministi degli anni 70/80
sui film. In Vertigo il personaggio di Judy e Madeleine da un lato è un personaggio che non
ha soggettività (Judy deve essere Madeleine) mentre Madeleine è proprio concepita come
personaggio che deve ingannare per cui a nessun personaggio femminile ha soggettività
mentre Scotti per tornare ad essere a vivere e un soggetto attivo e desiderante (dopo
l’incidente ha la vertigine e non può più lavorare) ha bisogno di plasmare e piegare il
personaggio di Judy che in realtà non è. La maschera è un elemento di riproduttività
simbolica e sociale perché riporta Scotti nella vita sociale; però il film si presta ad una lettura
in questo senso di genere e di figura femminile in modo calzante ed è interessante la capacità
di Hitchcock di stare dentro al sistema Hollywoodiano e di forzare questi elementi erotici e
farli passare in modo latente e quindi il film di Hitchcock ha successo.
Nell’ultima parte del documentario si dice che avrà problemi il film perché complesso, ma
Hitchcock fu comunque uno dei registi più positivi in termini di riscontro al botteghino; così
lui entra in questa visione personale tra uomo e donna con il tipo di luci e con la simbologia
che lui inserisce (ad esempio la scena d’albergo dove diventa tutto verde che proietta il
desiderio della donna con un elemento di erotismo altissimo). Da un lato si sente la sua
frustrazione nei personaggi femminili (non ha avuto successo con le donne) che sembrano
avere un castigo quasi come se avessero una colpa originaria: essere donna.
In rete troviamo diversi saggi sempre su quest’aspetto della critica femminista al cinema di
Hitchcock sui personaggi femminili.
Visione della clip del filosofo, Slavoj Zizek, il quale propone un’analisi nei confronti del
cinema soprattutto quello proposto da Hitchcock, il lavoro si intitola “Guida perversa al
cinema”.
Un altro film di Hitchcock, quello che più riflette sull’occhio cinematografico, sulla
spettatorialità è “La finestra sul cortile” , film sempre con James Stuart, ed è la storia di un
photo reporter che ha avuto un incidenze e che si trova immobilizzato nel suo condominio
costretto a guardare alla finestra e guardando appunto attraverso quest’ultima scopre una
serie di cose, tra cui anche un omicidio. Film che da punto di vista teorico riflette molto sullo
statuto della spettatorialità.
Il documentario di Zizek mostra come lui lavori sulla suspence, sul dettaglio, cioè la
costruzione della suspence Hitchcockiana e nel porci in questa dimensione di sapere che sta
per accadere qualcosa, possiamo quindi definirla una costruzione della suspence singolare
e autoriale poiché con questa organizzazione non aveva mai lavorato nessuno. Ed è anche
la spiegazione del perché questi film siano così famosi, visto che sono così intrisi di
autorealismo, autobiografismo.
In questa cilp del documentario di Zizeck troviamo il riferimento ad un elemento del film di”
Vertigo”, ossia l’elemento figurativo avanguardistico nei confronti del colore, come la
rappresentazione dei fiori che sembra quasi un lavoro di arte contemporanea. Possiamo
quindi dire che Vertigo è uno dei film a cui Hitchcock si dedicò maggiormente per le ricerche
“spinte” a cui più volte abbiamo fatto riferimento.
SAGGI DA STUDIARE
Primo atto
Uno dei personaggi, Francis, racconta in analessi una storia sinistra a un interlocutore, un
uomo anziano seduto di fianco a lui: l'analessi ritorna al 1830, nel piccolo paese di
Holstenwall in Germania, in cui un signore poco raccomandabile, di nome Caligari, giunge
alla fiera del paese per presentare il suo sonnambulo, Cesare, che tiene sotto ipnosi in una
cassa da morto. Il dottor Caligari sostiene che il sonnambulo, una volta svegliato, sia in grado
di conoscere il passato e di predire il futuro.
Secondo atto
Con l'arrivo del dottor Caligari nel paese, cominciano ad avvenire morti sospette: la prima
vittima è il segretario della fiera, che si era dimostrato estremamente scortese e irriverente
nei confronti di Caligari.
Il giorno dopo, l'amico del narratore, Alan, è il primo a chiedere una predizione: i due uomini
condividono l'amore per Jane, bellissima fanciulla che essi si contendono pacificamente.
Cesare predice ad Alan che morirà entro il mattino seguente, cosa che effettivamente si
avvera: l'uomo viene pugnalato nel proprio letto.
Terzo atto
Le indagini si concentrano da subito su Cesare, ma il dottore dimostra che questi è sempre
rimasto con lui a dormire nella sua bara: viene dunque arrestato un bandito, colto in
flagrante nell'atto di pugnalare una vecchietta.
Quarto atto
Il criminale arrestato confessa di aver tentato di uccidere la signora con le stesse modalità
degli altri due omicidi allo scopo di scaricare la propria colpa sul misterioso assassino, ma di
non averli commessi. Intanto Jane, in cerca del padre, si imbatte nel dottor Caligari: questi,
dopo averla spaventata, ordina a Cesare di ucciderla nella notte. Quando Cesare è sul punto
di farlo, rimane però estasiato dalla bellezza eterea della giovane, quindi la rapisce. Venendo
inseguito dalla folla, sfinito, è costretto ad abbandonarla, e dopo aver percorso un ulteriore
tratto, non visto, cade a terra morto. Una volta in salvo, Jane rivela che il rapitore era Cesare.
Quinto atto
Francis, che era rimasto a osservare di nascosto dalla finestra dell'abitazione del dottor
Caligari, rimanendo sconcertato nel vedere che Cesare continuasse a dormire nella sua bara
con il dottore accanto a lui, chiede aiuto alla polizia. Insieme si recano presso l'abitazione
del dottor Caligari, dove scoprono che il Cesare che vedono dalla finestra è in realtà solo un
fantoccio che il dottor Caligari utilizza per coprire i propri movimenti. Smascherato e
inseguito dalle forze dell'ordine, il dott. Caligari si rifugia presso un manicomio di cui è lui
stesso il direttore.
Qui Francis svela il mistero, grazie al ritrovamento del diario segreto del dottore: in preda
all'insaziabile desiderio di ricerca nel campo del sonnambulismo, il dottore aveva scoperto
come nel 1703 fosse vissuto uno psicologo, di nome Caligari, che girando di città in città
nell'Italia settentrionale si era servito di un paziente affetto da sonnambulismo come
assassino, contro la volontà stessa di quest'ultimo: volendo imitarlo, e approfittando
dell'arrivo al manicomio di Cesare, affetto da sonnambulismo, il dottore aveva avviato con
lui i propri esperimenti, riuscendo a comandarlo a proprio piacimento e convincendosi
sempre di più di essere lui stesso il dottor Caligari.
Sesto atto
Viene ritrovato il cadavere di Cesare: il direttore del manicomio, vistosi scoperto e ormai
incriminato, aggredisce Francis e gli infermieri, ma gli viene infilata una camicia di forza e
viene rinchiuso in una cella di isolamento.
Mentre il racconto termina con la detenzione forzata del dottore nel suo stesso manicomio,
si conclude la lunga analessi, alla panchina dove sono seduti Francis e il suo ascoltatore; ma
un finale a sorpresa lascia intendere che forse il racconto di Francis non è stato altro che
frutto della sua fantasia: Francis, Jane e Cesare sono infatti pazienti del manicomio
menzionato nel racconto e la persona che Francis sostiene essere il dottor Caligari altri non
è che l'attuale direttore dello stesso istituto correttivo; nel vederlo, Francis dà in
escandescenze, e prima che possa aggredirlo gli viene messa la camicia di forza.
La pellicola si conclude con Francis rinchiuso in cella di isolamento. Il direttore del
manicomio afferma che saprà come trattare Francis, ora che è emerso l'oggetto della sua
ossessione: il dottor Caligari.
ANALISI
I personaggi della pellicola oscillano ai margini della ragione e rischiano di perderla
definitivamente, poiché vi è un enigma oscuro che sembra dominare su di essi. Caligari è
probabilmente il primo film enigma della storia del cinema. La musica rafforza
l’inquietudine, l’enigmaticità e l’ambiguità del film ma non contribuisce allo svelamento
della verità.
Il cinema espressionista è caratterizzato da una struttura cinematografica che riflette il
dissolvimento della realtà in favore dell’irreale.
La forza del film si radica sicuramente nella sua capacità di costruire un enigma e di non
scioglierlo, di tenerlo aperto. Lo spettatore è assorbito nell’enigma, deve imparare a
convivere con l’enigma. Tuttavia lo spettatore che ricopre poi i panni dell’interpretatore,
deve accettare la sfida dell’enigma e cercare almeno di individuare le componenti e quindi
studiare il modo in cui il film è realizzato.
Il racconto è inserito in un meccanismo di scatole cinesi, il racconto di Caligari ipnotizzatore
del XVIII secolo dentro il racconto di Francis, dentro il racconto del film. Il Flashback del diario
è un Flashback fantasmatico che descrive l’esplosione di un’ossessione, l’imporsi di una
fantasia distruttiva, che cambia il destino dello psichiatra e lo trasforma in un criminale,
come lo scienziato Frankestein che va al di là della legger per approfondire i propri stufi e
confrontarli con la realtà.
Il problema dell’attendibilità della storia di Francis non è solo una questione di accertamento
investigativo o leggibilità del film, è un problema più profondo. Di fronte a una verità
multipla e sfuggente, l’interprete può anche provare ad assumere le vesti di un detective del
film, considerando lo spazio narrativo come il territorio di un evento e le azioni dei
personaggi che chiedono di essere indagate e interpretate.
Il film è quindi costruito sullo scontro tra il Dottore Caligari e Francis dove il soggetto che
entrambi vogliono controllare direttamente, come Francis, o indirettamente, tramite una
figura vicaria che è cesare, come il dottor Caligari.
Tutto il film è attraversato da una complessa dialettica di sguardi, che segnato l’ambiguità e
la tensione. Lo sguardo è produttore è il motore della pellicola: Il GDDC essendo una visione
allucinatoria, lo sguardo è il suo motore → uno sguardo interiore, mentale, che non vede se
non i propri fantasmi. Lo sguardo allucinatorio di Francis porta alla produzione di
un’allucinazione collettiva, realizza un meccanismo complesso di forte allucinazione che poi
si riversa sul pubblico.
Si potrebbe considerare il racconto di Francis come la somma di segmenti diversi: il primo
legato alla rievocazione di eventi tragici realmente accaduti, il secondo, prodotto dalla
fantasia allucinatoria e dal desiderio di Francis stesso. Possiamo ben ipotizzare quindi che lo
smascheramento del dottor Caligari sia la causa della sua perdita della ragione e quindi del
suo imprigionamento.
Spesso si può pensare sia un racconto in 3° persona perché in alcuni episodi Francis non
appare.
La figura di caligari ha 2 funzioni:
1. Quello dell’imbonitore che promuove il proprio prodotto
2. Atteggiamento legato all’esercizio del potere attraverso la psiche
L’incontro tra Cesare e Jane rappresenta un po' il rapporto fra la Bella e la bestia, Caligari in
questo incontro rappresenta un Padre perverso. Jane ha uno shock dopo aver guardato
Cesare negli occhi, poiché il suo sguardo rappresenta l’oscuro, il sesso o il nulla che Jane,
dopo aver guardato Cesare, scopre dentro di sé. In questo sguardo Caligari coglie un’intesa
che vuole troncare e per questo incarica Cesare di ucciderla anche se Cesare non ci riesce.
Altra figura importante è Jane Il fatto che Jane sia in trance o sonnambula, è determinante
per stimolare Francis: sia che Francis ricordi eventi vissuti, sia che inventi una storia
immaginaria, ciò che importate è che la sua trance simboleggia un motore scatenante per
Francis. La sua presenza è il motore del comportamento di Francis, senza la sua bellezza,
senza la sua capacità di produrre desiderio, in generale proprio senza di lei, Francis non
farebbe quello che fa. Jane è quindi oggetto desiderato, centro psichico e simbolico del film.
In tutto il film Jane non ha mai un ruolo attivo, è sempre l’oggetto del desiderio di altri e
anche quando provoca questo desiderio non lo fa con un comportamento particolare attivo.
La fiera e l’ospedale psichiatrico [manicomio] sono entrambi spazi che oltrepassano
l’immediatezza del reale in una prospettiva di intreccio, di mescolanza, di confusione tra
realtà e artificio, tra mondo e illusione tra vero e falso.
Il manicomio è quindi una sorta di cellula originaria del film. Gli spazi risultano artificiali e
stilizzati, sono distorti, le immagini prodotte sono caratterizzate da asimmetria e producono
un effetto psicologico legato all’irrealtà. Wiene ha una concezione antinaturalistica, difatti
gli edifici e gli spazi appaiono distorti ad es le case sono sghembe.
Il montaggio che utilizza Wiene è un montaggio complesso, caratterizzato primi piani, piani
ravvicinati [carichi di tensione emozionale e rappresentano alla perfezione l’oscurità e il
demoniaco] e raccordi di montaggio [sono molto fluidi, pur se il montaggio è complesso]. I
suoi metodi di messa in scena e inquadratura sono dediti a evocare non la realtà ma il ricordo
e la fantasticheria.
Susanna= analisi di Bellour che rintraccia nella materialità del testo i procedimenti inconsci;
Bordwell invece propone un approccio secondo cui il racconto classico costituisce il modello
narrativo canonico.
Le strutture base della scrittura classica sono due punti omogeneità tra logica narrativa e
logica della messa in scena basata la motivazione sul rapporto causa effetto ( è causata dalla
precedente e causerà la prossima) , e i modi di ripresa , lavoro della mdp il concatenamento
delle inquadrature. tra i movimenti più comuni della macchina ci sono: l'establishing shot
che apre la sequenza e non è di norma accompagnato da dialoghi; mentre l'avvicinamento
della mdp ai personaggi solitamente l'inizio di una conversazione. il movimento della
macchina è normalmente motivato da un movimento nel profilmico di un personaggio, c'è
quindi una motivazione che il supporto dell'invisible style, che la mdp è il montaggio
diventano invisibili In quanto subordinati alle necessità narrative.
Il desiderio forte del personaggio è un elemento cardine del film classico, mentre con il Noir
e il melodramma inizia negli anni 40 la corrosione dell'Unità del personaggio classico: il
personaggio classico degli anni 30 È un soggetto pieno senza inconscio, mentre i personaggi
del Noir e del melodramma degli anni 40 e 50 sono soggetti spesso dominati da un inconscio
ingombrante che non comprendono e incapaci di tradurre in azione i propri desideri.
Susanna è un esempio significativo di convergenza fra scrittura classica e autorialità;
l'autorialità di Hawks siete nel rapporto tra il mondo del film d'avventura e il suo opposto,
la screwball comedy: se nel film d'avventura l'uomo riesce a piegare la natura, la donna,
l'animalesco, nelle commedie viene umiliato e vive una fase di regressione, deve essere
subalterno al personaggio femminile. infantilismo e inversione dei ruoli sessuali sono aspetti
significativi in Susanna. Il contrasto tra serietà e divertimento traduce il conflitto maschile-
femminile e costituisce il contenuto manifesto dell'opposizione tra sublimazione del
desiderio e sessualità. Il personaggio di Cary Grant, David, è dedito esclusivamente al lavoro,
mentre Susan è spregiudicata ed esprime la sessualità stessa. questa opposizione Venere sa
anche dal contrasto tra l'osso e leopardo, i due oggetti attorno a cui viene costituita la trama,
e che hanno precise funzioni simboliche: l'osso legato a David, Invia alla morte, il leopardo
legato a Susan, rappresenta la vita. L'osso, inoltre, rappresenta la rimozione della libido.
l'accettazione della diversità di Susan e la trasformazione di questa in "compagna ideale"
mostrano come il film si ponga nella posizione del personaggio femminile; qui la donna
costituisce un rischio per l'autonomia e l'identità dell'uomo. Nel film di avventura la donna
costituisce un pericolo per la sopravvivenza del gruppo maschile, è guardato con sospetto
escluso dalla comunità; nella commedia la situazione si rovescia, è il soggetto maschile
riflessivo che avventuroso che diviene subalterno mentre quello femminile contando il
primo con la propria carica destabilizzante e lo piega ai propri desideri. Hawks sulle
dinamiche di gender offre prospettive diverse a seconda del genere. Un'altra dicotomia del
film, quella troppo tipica in movimento, avviene in due episodi: la discussione tra David e la
fidanzata nel museo e il casuale incontro di David con Susanna al campo da golf.
I diversi generi presentano tutti, ma in forme diverse, un tipo di narrazione che prevede,
all'inizio del film, un rapporto conflittuale tra due momenti o due episodi. questo dispositivo
è un elemento strutturale del racconto classico. i primi due movimenti di Susanna
presentano un'alternanza tra staticità e movimento legati a due diverse figure femminili e
ha due opposti modi di essere, del soggetto della coppia. L'intreccio mostrerà come il
protagonista maschile debba necessariamente scegliere, come partner, Susan. I due episodi,
la discussione tra David e la fidanzata nel museo e l'incontro di questo con Susan nel campo
da golf mettono in scena la contrapposizione tra staticità e movimento.
La prima sequenza rispetta tutte le regole della scrittura classica, in particolare l'unità dello
spazio il posizionamento dei personaggi al suo interno; In secondo luogo mostra, come dopo
10 anni dall' avvento del sonoro, il dialogo si è ormai perfettamente integrato nella logica
narrativa classica e sia lo strumento principale per narrare.
Dalla prima scena, quella del dialogo al museo tre David, la moglie e lo scienziato, lo so è da
subito l'oggetto privilegiato, ma subito il plot lavorativo si intreccia con la seconda linea
narrativa, quella romantica. Alice esercita la funzione difensore nei confronti del fidanzato a
cui chiede una sublimazione del desiderio è un eccessivo impegno nel lavoro, anche se il loro
matrimonio è previsto per il giorno successivo, Alice non vorrà figli nè alcuna forma di
distrazione. Ma l'aspetto più importante è la rappresentazione dello spazio e le modalità
tramite cui l'interazione spazio personaggio/i definisce l'identità dei soggetti del racconto:
la dimensione Spaziale la principale artefice della costruzione del senso del film plastico,
esso non è solo unitario, organico e coerente, ma è anche uno spazio relazionale che include
o esclude i soggetti. lo spazio, dunque, marca la differenza il desiderio.
Il personaggio di Susan verrà dialetticamente opposto a quello di Alice, notare nelle
inquadrature, infatti Alice ripeto sempre da lontano e il suo volto non è pienamente
visibile,al contrario di Susan; nella sequenza delle telefonate L'opposizione Alice-Susan viene
espressa con inquadrature in cui vengono mescolati elementi comuni e opposti: Le donne
sono riprese entrambi a parlare al telefono ma ci sono differenze nell'abbigliamento, che
l'unico elemento che lo differenzia. Alice incarna l'ordine, la rigidità, il lavoro, la noia; Susan
evoca l'eleganza della classe medio alta, il tempo libero e il divertimento, mentre l'entrata
in scena del leopardo metti in risalto la sua follia e imprevedibilità e la totale noncuranza
delle norme sociali.
Il concatenamento delle inquadrature e le conseguenti opzioni di montaggio devono da un
lato assicurare una continuità grafica, dall'altro una continuità spaziale; ogni inquadratura
taglia una porzione dello spazio diegetico Ma la concatenazione dei piani assicura che in ogni
momento lo spettatore abbia una rappresentazione mentale della totalità dello spazio
filmico. Questo elemento è assicurato da due scelte: la ricorrenza dei totali e il fatto che il
cambiamento di posizione della mdp sia motivato dal racconto. il rapporto tra vedere e
sapere è proprio del cinema di Hawks: lo spettatore conosce ciò che vede, non deve
immaginare nulla, poiché tutto gli è mostrato.
La relazione tra Alice e David si fa proprio estivamente più impersonale, quindi, la messa in
scena spinge il senso del film in direzione opposta alla diegesi, che, invece, annuncia
l'imminente matrimonio dei due. il racconto è quindi iniziato con una falsa pista, abbiamo
sin da subito che la compagna iniziale sarà sostituita da quella ideale e che quel matrimonio
non si farà.
Dopo un reestablishing shot e due inquadrature dei tre personaggi, inizia il secondo campo-
controcampo: ora si alternano piani del professore e two-shots della coppia. il frangente in
cui viene evidenziata tramite il dialogo la subalternità di David nei confronti di Alice. Essa ha
il ruolo più importante nel dialogo, Ma l'immagine la relega in una posizione secondaria.
La trasgressione, l'inversione dei ruoli sociali e sessuali e il ruolo attivo del personaggio
femminile sono elementi di base del genere stesso della screwball. il punto di vista di Bellour
non prevede altro rapporto tra maschile e femminile che quello del dominio del primo sul
secondo, ma la commedia in generale non si lascia ingabbiare da questa struttura.
Tutte le scelte in campo visivo spingono lo spettatore a una identificazione con il
personaggio femminile. la dimensione sonora entra in un rapporto di competizione con
l'immagine in quanto si stabilisce una dualità tra presenza e assenza di parola, ma anche tra
parola e riso/ gesto. questa opposizione legata al linguaggio del genere (quando David Saluta
la donna annunciando il proprio matrimonio Susan reagisce con una risata fragorosa, David
continua a parlare ma Susan reagisce sempre con le risate; Susan mina la credibilità stessa
delle parole di David, si prende gioco della dignità del personaggio maschile, del matrimonio
e dello status sociale dell'uomo. le uniche parole significative di Susan sono " senza di me"?
questa frase doppiamente rilevante, riflette la sfida di gender della screwball, Dov'è il
partner iniziale deve essere sostituito, alla fine del racconto, da quello ideale esprimendo al
tempo stesso la motivazione dell'intreccio, ovvero se il protagonista maschile riuscirà a non
stare con Susan. a confronto con i lunghi discorsi dell'uomo, solo la frase di Susan avrà uno
scopo e diventerà azione. iniziava come dialogo, la sequenza termina portando in primo
piano La gestualità: le ultime tre inquadrature riprendono le espressioni furbesche di Susan
e il corpo slapstick di David.
La struttura binaria del film investe anche i luoghi del racconto. I luoghi sono funzionali
esprimere delle contrapposizioni (sequenza delle telefonate). nel cinema hollywoodiano il
viaggio dell'eroe e sia letterale e metaforico, è uno spostamento geografico con un senso
specifico. la traiettoria spaziale non è puro movimento come nel cinema Moderno, e si
compie solitamente tra un preciso luogo di partenza è uno di arrivo, per concludersi con un
ritorno al luogo iniziale. i luoghi sono simbolici, rinviano a forme sociali e modelli di
comportamento. in Susanna la divisione È tra la metropoli, New York, in cui è ambientata la
prima parte del film, e la campagna del Connecticut, dove Susan trascina David e il leopardo.
c'è quindi una dualità tra città e campagna. la città è associata David, al lavoro, al controllo,
alla ragione, all'osso; la campagna è legata a Susan, quindi al divertimento, alla spontaneità,
al desiderio, al corpo e alla gestualità, al dinamismo, al leopardo. trascinato in un luogo dove
le regole vengono meno David vive una regressione, la sua verità viene messa in questione
e alla disperata ricerca dell'osso assumi pose animalesche: abbandona la consueta rigidità.
Il finale ambientato nello spazio iniziale, il museo, è l'unione dei due viene sancita da un
abbraccio.
L’ATLANTE
L'Atlante affronta l'esordio nella vita di una giovane coppia, i primi scontri, la fuga, la
riconciliazione e finalmente la accettazione dell'uno da parte dell'altra. la narrazione si
articola attraverso sequenze ordinarie e autosufficienti organizzate per accostamento, le
azioni e le situazioni sono autonome e fini a sé stesse, rispettando spazio, tempo e azione.
gli spazi hanno il ruolo di contenitori narrativi e delineano una linea drammatica, statica, che
Ritorna ciclicamente su se stessa. gli avvenimenti assumono un carattere episodico,
lasciando sviluppi mente motivati. considerando come personaggio principale Juliette, la
narrazione segue lo schema di privazione-allontanamento-ritorno: la privazione è il
cambiamento di stato iniziale della giovane sposa da figlia a moglie; l'allontanamento
descrive Rocco della vita coniugale perseguire le attrazioni dell'esperienza cittadina; il
ritorno indica il ricongiungimento con Jean.
Principale nel film e L'opposizione dialettica tra universo della terra e dell'acqua: la terra si
configura come luogo dello smarrimento del soggetto (Infatti seppur nei desideri di Juliette
la città si attrattiva, Ben presto si rivela l'opposto), l'acqua invece, ovvero l'atlante, è
delineato come un'isola felice fatta di relazioni spontanee e naturali.
Andrè Bazin scrive in un testo su Vigo del Segreto della sua sensualità cinematografica: il
rapporto degli sposi è concepito come un amore nutrito di carne ma non ridotto alla carne,
il loro erotismo si costruisce attraverso atti fisici (spesso violenti) governati da una
componente animalesca istintuale (+vampirismo). inoltre, la forza pulsionale dei corpi
prolifera Anche a causa della ristrettezza degli spazi della barca, che aumenta incontri: i corpi
invadono gli spazi e sono costretti a toccarsi. gli spazi compongono un universo caotico,
perché completamente ricolmi di oggetti e persone; i gatti testimoniano un’animalesca
carica sessuale che si palesa in atti fisici attivatori dell'eros (i graffi che attraggono Juliette)
e simbolici (il parto della gatta sul letto dopo la prima notte di nozze). importante anche la
composizione spaziale della sala da ballo aux 4 nations, costituita da uno spazio centrale per
ballare (usato dal venditore) rinchiuso da un divisorio a grate.
Gli esterni invece sono caratterizzati da un senso di apertura e luminosità che provoca
smarrimento a cui si aggiunge l'indifferenza della folla urbana (manichini). il cielo grigio è
come uno sfondo uniforme e statico. Ne l'Atlante l'esperienza urbana richiama stilemi delle
avanguardie cinematografiche e subisce una trasfigurazione da città-luna park a città-
mostro: la Parigi del film, infatti, una mostruosità architettonica, sociale e morale,
totalmente aliena alla visione con la quale viene caratterizzata nel cinema francese degli
anni 30. l'oppressione degli Interni e la dispersione degli esterni a crescono i desideri dei
corpi che ricercano un contatto talvolta anche immaginario (sequenza insonnia notturna con
montaggio alternato/ scena subaquea, contatto fragile ed evanescente che si realizza
attraverso il filtro dell'acqua per mezzo della dissolvenza incrociata e del ralenti= acqua
come altro stato di percezione (scuola francese tra le due guerre, motivo dell'acqua)
UNA DELLE SCENE Più SIGNIFICATIVE DELLA STORIA DEL CINEMA = l’acqua diventa tutt'uno
con la forma della sua espressione mostrando un intimo legame tra cinema e sogno + motivo
letterario dell'acqua Che si fonda su un mito femminile del liquido amniotico e del latte
materno che nutre la dimensione onirica).
l'atlante è il primo film di Vigo incentrato sul mondo proletario, a cui giunge criticando il
mondo Borghese in una dialettica di stampo marxista. analisi sociale del film è incentrata
sulla rappresentazione di una nazione oppressa dalla crisi economica e impreparata a uno
sviluppo industriale repentino. Il dissidio tra innovazione e tradizione e simboleggiato dalla
barca
È un film che crea un’illusione perfetta della realtà. Si parla di cinema della trasparenza, uno
stile che annulla sé stesso. A.B. vs Kristine Thompson. KT dice che il realismo cinematografico
(anche il neorealismo quindi), è uno stile basato su dei codici che si modificano nel corso del
tempo. Per AB il neorealismo si stacca completamente dal cinema precedente mentre KT
suggerisce una continuità.
Ladri di biciclette è tratto dall’omonimo romanzo di Luigi Bartolini; la trasposizione letteraria
non è cosa rara tra i registi neorealisti, ma il film non ha quasi nulla in comune col romanzo.
Lo spunto di partenza è lo stesso, il cercare una bici rubata. Ma il protagonista del romanzo
è un pittore, appartenente alla classe degli intellettuali, che usa la bici per spostarsi più
comodamente, quindi non gli è indispensabile; mentre il protagonista del film Antonio Ricci,
è un disoccupato che ha necessariamente bisogno della bici per lavorare. La tematica del
rapporto padre figlio nel romanzo è assente, non c’è il bambino, e in più alla fine del romanzo
il protagonista riesce a trovare la bici. Bartolini si dilunga a descrivere il degrado della plebe
romana, fisico e morale, più che dipingerla come una classe sociale inserita in un contesto
storico specifico, come fa De Sica, che ambienta il film nel dopoguerra conferendogli forza
sul piano politico.
Gli episodi sembrano essere disposti in maniera accidentale, ma in realtà sono orchestrati
con precisione.si nota la capacità di DS di trasformare una piccola storia anonima in un
dramma dalla tensione fortissima ("No, niente: una bicicletta").
il tema di Ladri di biciclette estraneo alla tradizione di Hollywood o del cinema dei telefoni
bianchi ma ciò non toglie la complessa organizzazione narrativa. La vicenda si svolge
nell'arco di tre giorni, da venerdì a domenica. venerdì: Antonio trova lavoro, riscatta la
bicicletta; sabato : furto della bicicletta; domenica: Antonio e Bruno cercano invano la
bicicletta. il film presenta un'organizzazione compatta e una struttura chiusa: un gruppo
molto ristretto di personaggi svolge un'unica attività. Tentativo di rispettare leregole
aristoteliche di unità di tempo, luogo e azione, propria della tragedia classica. Partendo da
un fatto di vita quotidiana, si raggiunge il livello di una tragedia. Si crea una situazione di
continuità, fino a far quasi coincidere il tempo della storia e il tempo del discorso: infatti, le
giornate di venerdì e sabato occupano 30 minuti di proiezione, mentre la domenica
corrisponde a un'ora. UNA PRIMA PARTE SINTETICA E UNA SECONDA ANALITICA (quella +
complessa in quanto costruita su un lungo climax che conduce all’umiliazione di Antonio)
AB critica l’assenza della profondità di campo e dei piani sequenza, indispensabili per un film
neorealista, ma KT dice che non significa che il film non contenga dei tratti realisti. In molte
scene la macchina da presa è collocata lontano dagli attori, evitando il primo piano
drammatico, non possiamo vedere i volti del personaggio ma ne cogliamo la tensione dalle
movenze, si lasciano in primo piano delle comparse. Campo medio-lungo come
pedinamento del reale.
Uno degli elementi fragili del film è la recitazione di Lamberto Maggiorani che non è un
attore professionista, ma un operaio, ma anche gli altri attori come Enzo Staiola (bruno)
furono presi dalla strada. La loro recitazione non professionale è solo a metà, perché nel film
vengono doppiati, ma comunque a volte recitano male: il corpo dinoccolato e la faccia
scavata di maggiorani conferisce un forte impatto visivo e un forte realismo (dovevano farlo
enry fonda o Cary Grant ma non sarebbe stata la stessa cosa), ma in alcuni primi piani si nota
l’inesperienza di LM come attore.
Un altro tratto importante del film è rappresentato dall'uso di ambienti reali, invece di
scenografie, ma KT ha smentito il fatto che sia stato realizzato tutto per strada, perché alcuni
ambienti interni si vede che sono stati girati in studio, con luci ecc… in + in alcuni momenti
del film, il paesaggio urbano sembra stilizzato (scantinato riunione comunista= archi e gioco
luce ombra su di essi = stampo espressionista) (Antonio sotto il ponte, la sua figura
inghiottita dal buio, la sua voce rimbomba = effetto allucinatorio da film giallo-horror)
(abbondano antri oscuri e costruzioni minacciose = allegoria delle angosce dei personaggi).
Nel testo ci sono dettagli che appaiono trascurabili ma tutt’altro (camion dei tifosi del
Modena e voce del giornalista alla radio, bruno chiede se sia una buona squadra ma Antonio
scrolla la testa = scena finale allo stadio con la partita del Modena, segni premonitori)
(Antonio che non vuole lasciare la bici o chiede che gliela si guardi = segno premonitore del
furto). Presenza di souvenir del periodo bellico gioca ruolo chiave (afferma di riconoscere il
ladro dal suo berretto tedesco). Insomma tutto sembra casuale ma non lo è.
Episodio di Bruno che fa pipì = assolve il compito di costruzione del realismo, come scena
dei bimbi mendicanti; queste sono delle pause nella narrazione che servono a rafforzare
l’impressione di realismo. L’intera storia viene presentata come un tranche de vie (film si
apre con scena dei disoccupati, tra tante storie possibili = quella di Antonio, il fatto che si
inseriscano nella conversazione dà senso al valore collettivo della vicenda personale del
protagonista).
Nella scena dei disoccupati il realismo viene meno per la collocazione dei personaggi nello
spazio e dal simbolismo della scala (datore in alto, Antonio nel mezzo, folla di disoccupati in
basso). Questo spazio astratto rappresenta la razionalità dell’economia capitalistica. E
ultima sequenza, nei pressi dello stadio: contrapposizione tra clima festoso e disperazione
del protagonista + lunghe file di biciclette allineate davanti allo stadio. Nel momento del
furto musica rafforza la tensione creando un clima di attesa, quando decide di rubarla il
ritmo incalza. Un climax ottenuto attraverso montaggio e musica = organizzazione classica
basata sul decoupage in cui nulla è lasciato al caso.
Il realismo di ladri di biciclette annuncia molti elementi di modernità. Sono presenti in esso
altre tradizioni, seppur in maniera sotterranea: muto, classico, avanguardie storiche. È un
film chiave nella storia del cinema che funge da spartiacque tra due epoche.
Trama ed analisi:
Anzitutto l’espressione posto delle fragole sta a designare una parola svedese che ha diverse
accezioni. Le fragole vengono considerate come un frutto raro e prezioso, dunque
simbolizzano l’innocenza, la felicità, il posto delle fragole é infatti il paradiso perduto, il luogo
prediletto dell’infanzia.
Per raccontare la propria interiorità, il regista propone una scelta di linguaggio tra
dimensione onirica e primi piani del protagonista; abolisce il confine tra passato e presente,
tra sogno e veglia, tra Fantasia e realtà
Ritorno a "Il posto delle fragole" qui siamo nel pieno della narrazione moderna, com'è
strutturato il tempo in questo film? → è un film che comincia all'alba di una giornata molto
particolare, che è la giornata durante la quale questo professore dovrà andare compiere un
viaggio per arrivare ad essere insignito di un riconoscimento che è il massimo
riconoscimento per una figura scientifica, che viene chiamato Giubileo.
Il film inizia con un prologo in cui l'anziano presenta sé stesso con voiceover: la sua voce
accompagnerà lo svolgersi del film. → dobbiamo ricordare l'uso che fa Bergman del
cosiddetto voice-over, della voce narrante che è una voce di auto narrazione, perché quella
che sentiamo è la voce dello stesso Isaak, che si racconta quindi anche qui rispetto a questa
scelta autoriale sicuramente l'uso della voce di Isaak come voce over è assolutamente
rilevante.
Nelle prime ore del mattino fa uno strano sogno di morte, con grandi orologi senza lancette
e una bara che trasporta il suo corpo. si sveglia e guarda verso la macchina da presa
impaurito è smarrito. Chiama la governante e le dice che vuole partire in macchina e non in
aereo, lasciandola delusa. Appare la nuora Marianna, in rotta col marito, che ha deciso di
tornare a Lund da questo e chiede quindi al professore di venire con lui in macchina. In
macchina parlano del prestito che il professore ha fatto al figlio e che è questo non riesce a
restituirgli; Marianne gli rinfaccia l'egoismo, l'avarizia, pur essendo ricco sfondato.
A un certo punto Isaak dirotta e la porta nella sua vecchia casa d’infanzia dove poi si perde
nella visione di un ricordo, quello dell’amore per sua cugina Sara che lo tradisce col fratello
maggiore Sigfrid. Viene riportato alla realtà da una ragazza di nome Sara (tanto somigliante
alla Sara del passato) che gli chiede di dare un passaggio a lei e ai suoi due corteggiatori.
[Un altro tema importante del film è il rapporto generazionale, quando si mettono in strada
e a un certo punto incontrano questi tre ragazzi. C'è il personaggio di questa ragazza molto
giovane, Sara, che in qualche modo ricorda ad Isaak la donna di cui lui era innamorato e dalla
quale invece non era corrisposto, perché lei avrà una relazione con il fratello. Quindi questi
vari incontri che attivano questo elemento di memoria.]
La macchina fa incidente e Isaak ospita in macchina anche la coppia incidentata, che si rivela
subito in crisi; dato il loro voler esibire questa crisi a tutti i costi, Marianne li fa scendere. Si
fermano a fare benzina e poi a mangiare su un lago: L'atmosfera è amichevole grazie alla
presenza dei tre giovani anche se i due ragazzi, uno ateo e uno studente di teologia, sono in
continuo litigio. Dopodiché Isaak va a fare visita alla sua vecchia madre, che gli fa vedere un
orologio da taschino senza lancette, proprio come quello del sogno. Ripreso il viaggio, Isaak
si addormenta e a nuovi incubi: sogna del suo amore infelice per Sara, la sua professione
sottoposta a un esame-processo, il rapporto con la moglie Karin. Borg misura vecchi dolori
e vecchie colpe che col tempo pare aver dimenticato, ma che gli ritornano in mente col
sogno.
Mentre in molti film di Bergman c'è una rappresentazione che procede attraverso una sorta
di oscurità, anche attraverso una serie di simbolismi, quasi a volte complicati da sviscerare,
qui invece è tutto in qualche modo molto chiaro, si tratta di una giornata durante la quale
un uomo molto anziano che si trova a vivere un momento di riconoscimento per quella che
è stata la sua vita professionale, in realtà sia per quanto riguarda la forma onirica, quindi del
sogno, sia attraverso il ricordo, nel momento in cui si mette in macchina con Marianne (la
nuora), fermarsi in determinati luoghi in cui lui rievoca momenti della sua vita, del suo
passato e anche della sua giovinezza.
È tutto molto chiaro; il soggetto del film è una sorta di appuntamento ormai non più
procrastinabile, con quello che è stato la propria vita, i propri affetti, le proprie relazioni, col
figlio, con la moglie che non c'è più, il tradimento, il desiderio, la paura della morte.
Nei film di Bergman, la questione dell'autobiografismo è molto forte, ed è presente anche
in questo film. Il rapporto ad esempio tra Isaak e il figlio, questi rapporti molto conflittuali
sembrerebbero parafrasare i rapporti di Bergman col padre, un pastore, uomo religioso che
aveva impartito ai figli un tipo di educazione molto rigida e anche violenta, e così come il
rapporto con le donne, il rapporto con la paternità, in questo film abbiamo questo rapporto
molto conflittuale tra Marianne (la nuora) e Evald (il figlio) e durante questo viaggio viene
fuori che Evald ha rifiutato la paternità e Marianne porta i segni di questa negazione
dell'esperienza della maternità perché Evald non voleva figli, perché aveva avuto un
rapporto conflittuale col padre e si intuisce il desiderio di interruzione di questa relazione
che dovrebbe poi invertire i ruoli.
Per quanto riguarda il primo sogno Isaak viene ripreso in primo piano addormentato e
l’incipit della fase onirica è contrassegnata dal cambiamento della luce e dalla voce over di
Isaak che inizia a raccontare il sogno.ci troviamo in una strada deserta in cui c’è un grande
orologio senza lancette, e Isaak per assicurarsi tira fuori il suo orologio taschino ma anche
quello è senza lancette, in seguito vi è un uomo di spalle con un cappotto e cappello che
voltandosi si palesa senza volto. dal fondo della strada c’è un carro funebre, la bara si
rovescia e si intravede un cadavere che tira fuori la mano e tira Isaak e alla fine si scopre che
era Isaak stesso.
l’incipit della fase onirica è dato dal cambiamento della luce e l’inizio del voiceover di Borg
che inizia a raccontarlo
il primo sogno, in cui vediamo questa figura umana che si liquefa, l'orologio senza lancette,
tutto il primo sogno è un sogno che richiama anche molto un tipo di estetica espressionista,
però poi questo elemento più espressionista si alterna invece ad un naturalismo molto forte
come scelta e anche qui siamo di fronte a un’alternanza tra una dimensione del ricordo,
quindi onirica e invece quella della vita vissuta.
in questo primo tragtraum fa da spettatore, ciò non succede nel secondo sogno-
allucinazione, al quale partecipa attivamente, ne è il protagonista.
Per quanto riguarda il secondo sogno che lui ha in macchina questo è molto più lungo e
complesso in quanto è diviso in tre diversi luoghi: l’incontro con Sara poi un esame nell’aula
universitaria infine la visione del tradimento di sua moglie in bosco.
Ci troviamo di nuovo il posto delle fragole ma la casa dell’infanzia adesso si è trasformata è
vuota e nel corridoio lui entra in una stanza che sarebbe in realtà un’aula universitaria in cui
viene sottoposto ad un esame e lui si dimentica anche le nozioni principali della medicina in
cui lui è un maestro professionista.
Il film finisce con lui che si addormenta e sogna che Sara lo conduce dai genitori, nella loro
visione trova conforto. È un film circolare, all’inizio e alla fine c’è l’immagine del volto di Isak
in primo piano sul cuscino. Mentre l’inizio è un incubo il finale è una riconciliazione.
COMMENTO:
Domanda: Il paesaggio che vediamo all'interno del film (nel sogno in particolare) quindi le
luci estremamente forti così come le ombre può essere un paesaggio apocalittico che
simboleggia anche la morte del protagonista?
Risposta: Assolutamente sì.
Facciamo attenzione a questo tipo di ripresa, che rappresenta il sogno che lo stesso Isaak
indica al pubblico attraverso il voice-over. Qui abbiamo una luce assolutamente anti-
naturalistica, sia perché siamo all'interno di una dimensione onirica, quindi questa luce usata
in questa chiave perché non siamo nello spazio della rappresentazione della realtà, ma una
dimensione di sogno, però appunto il contrasto molto forte che simboleggia e rafforza la
rappresentazione della morte: i toni sono fortemente polarizzati in questa chiave. Se poi
torniamo nei momenti in cui abbiamo delle riprese degli interni, ma anche in ambienti
esterni, nella natura, beh la fotografia cambia notevolmente, quindi più che apocalittico è
una luce in chiave onirica, quindi Bergman si muove tra due scelte di fotografia nettamente
contrapposte. Quando parliamo di apocalisse, parliamo della fine del mondo, qui invece
siamo all'interno di una rappresentazione di fine dell'esistenza, è una fine che non è per
tutti, è la fine di Isaak, quest'uomo che è arrivato ormai al momento cruciale di
riconoscimento della propria professionalità ma è anche estremamente anziano, la moglie
è morta da tempo ormai, il figlio e la moglie vivono separati, è un momento in cui tutto in
qualche modo è arrivato ad un momento cruciale.
VERTIGO
Introduzione:
I registri della Nouvelle Vague da un lato ‘investono’ l’Europa con un cinema nuovo
soprattutto in Francia e questi registi lavorano molto su una sorta di revisione del cinema
Hollywoodiano. Però questi giovani registi francesi individuarono in alcune figure, come
Howard Hawks (regista di Susanna), delle figure (all’interno delle regole del cinema
Hollywoodiano) che avessero trovato un loro modo di forzare questi canoni e di imporsi
come autori. In particolare, abbiamo Hitchcock e Howard Hawks. Truffaut incontra
Hitchcock (per una settimana) e lo intervista e da questa scrive un volume in cui il maestro
del cinema Hollywoodiano Hitchcock si raccontò svelando le sue pratiche di lavoro, la sua
scrittura, la sua vita, infanzia etc.
Quest’intervista, che è un libro, da cui è tratto un documentario (5/6 anni fa), svela
l’autorialità di Hitchcock e la sua autobiografia in questi film e il rapporto con le donne.
In Vertigo, la donna che visse due volte’ il rapporto tra uomini e donne è cruciale.
Il lavoro che il personaggio Scotti fa di costruzione di una donna che è il passaggio da Judy a
Madeleine e viceversa è fortemente simbolico, è la proiezione del desiderio dell’uomo di
una donna in un determinato modo e alle spalle c’è il desiderio di Hitchcock di proiettare il
suo desiderio dell’oggetto femminile sul personaggio femminile.
Vertigo è tra i film di Hitchcock più analizzati in chiave femminista indagando la dinamica tra
maschile e femminile e come il cinema americano rappresenta le donne, la proiezione del
desiderio anche in chiave psicoanalitica.
Il documentario di Zizek mostra come lui lavori sulla suspence, sul dettaglio, cioè la
costruzione della suspence Hitchcockiana e nel porci in questa dimensione di sapere che sta
per accadere qualcosa, possiamo quindi definirla una costruzione della suspence singolare
e autoriale poiché con questa organizzazione non aveva mai lavorato nessuno. Ed è anche
la spiegazione del perché questi film siano così famosi, visto che sono così intrisi di auto
realismo, autobiografismo.
Possiamo quindi dire che Vertigo è uno dei film a cui Hitchcock si dedicò maggiormente per
le ricerche “spinte” a cui più volte abbiamo fatto riferimento.
Riassunto:
Il film inizia con la scena di un poliziotto, il protagonista che mentre insegue un criminale un
suo compagno cade da un palazzo e Scottie a causa del trauma inizia a soffrire di vertigini,
per questo motivo lascia il suo lavoro e va in pensione.
Nel frattempo un suo amico gli chiede di inseguire sua moglie Madeleine raccontandogli che
da un po’ non è più la stessa e che probabilmente è impossessata dallo spirito di una donna
(BISNONNA). Nella la prima parte del film vediamo Scottie che indaga su ciò che fa la donna
e alla fine si innamorano, ma alla fine Madelaine si getta dalla torre di una chiesa. Scottie,
che soffrendo di vertigini non è riuscito ad inseguirla sul campanile e salvarla, vive con i sensi
di colpa tanto da impazzire e inizia a vedere Madelaine ovunque. Dopo un anno, si scopre
che in realtà era tutta una storia inventata dall’amico per uccidere la moglie e tenersi tutte
le sue proprietà. In realtà il marito aveva già ucciso Madelaine, per tutta la durata del film,
quella che vediamo è Judi che interpreta Madeline.
L’attrice che interpretava Madelaine ritorna in città, Scottie la vede e iniziano una storia,
Scottie la convince a vestirsi e a farsi i capelli come Madelaine perché gliela ricorda troppo,
alla fine però Scottie la porta sul campanile dove Madelaine si suicido e le spiega che ha
capito tutta la truffa che gli hanno fatto [egli capisce che è tutto un inganno tramite una
collana della bisnonna]. Il film si chiude con una scena molto forte; Arriva sul campanile una
suora, la ragazza vedendola nell’ombra pensava probabilmente che si trattava della vecchia
lei, e dallo spavento cade e muore nell’esatto modo in cui morì Madelaine.
Ci sono molte scene psichedeliche secondo lo stile di Hitchcock, c’è molta presenza di
canzoni e effetti sonori soprattutto nelle scene di suspence.
Analisi:
In Vertigo l'illusione è il nucleo fondamentale del film. Lo stesso protagonista, Scottie è un
soggetto dell'illusione, il concetto stesso dell'illusione. Dopo lo shock iniziale della vertigine
rinuncia a continuare il proprio lavoro, ma a causa delle richieste di un amico inizia ad
indagare su sua moglie. Questa donna, Madeleine, lo affascina, ma alla fine non riesce a
salvarla da un suicidio improvviso. Quando l’attrice si rifarà viva, Scotti è riuscito a farla
diventare come Madeleine, il che riproduce l'effetto di illusione. La donna che vede accanto
a sé è proprio la donna perduta, non un sosia.
Questo processo implica un esplicito elemento di necrofilia da un lato, dall'altro necrofilia
come illusione. Anche se in realtà c'è palesemente una volontà di riunirsi con la donna
morta, NON COL CADAVERE. Si tratta ancora una volta di illusione, che è quindi alla radice
di tutti i comportamenti di Scottie. Si impegna così tanto a far diventare Judy > Madeleine
che non si accorge che Judy è Madeleine stessa. Ma il soggetto che Scottie vuole ricreare in
realtà non è mai esistito, vuole ricostruire un’illusione. Scotti si illude due volte: si illude
coscientemente di poter far rivivere Madeleine e si illude che essa sia morta. Alla fine quello
che gli brucia è la consapevolezza della propria ingenuità, quindi un’altra illusione
Per quanto riguarda il personaggio femminile, madeleine-judy, è un soggetto particolare
segnato dall’ inesistenza e in parte dalla cancellazione. È il motore dell'illusione ma anche
un soggetto inesistente, prodotto di un inganno. Finge di esserci, è una femme fatale, una
minaccia al potere maschile e un’affermazione della forza della donna. La persona che si
vuol far rivivere è una maschera.
Le due false Madeleine sono create attraverso due manipolazioni, una del marito e l’altra di
Scottie, entrambi demiurghi. Il primo per mascherare il progetto di morte della moglie, il
secondo per far rivivere l’amata. In entrambe le operazioni quella che viene cancellata è la
soggettività di Judy, è sottoposta a un percorso di negazione dell’immagine di sé. La
maschera produce più esistenza di quanto non faccia un soggetto reale, la maschera è più
forte del soggetto. Il film ribalta le logiche del buon senso a cui siamo abituati: l'illusione
diventa una forza creativa e la maschera risulta più produttiva dell'identità vera
Questa condizione di maschera pone il personaggio femminile in una posizione di vantaggio
rispetto al maschile perché la donna Judy-Madeleine sa sempre quello che fa ed è
consapevole della messa in scena in cui inserita, mentre Scotti è la vittima dell'inganno.
Questo non significa che il film realizzi una superiorità del femminile su maschile, qui il ruolo
femminile è ambiguo (componente sessuale, autorialità di Hitchcock). Finché Judy sta fuori
dal desiderio di Scotti ha una forza che è legata alla sua autonomia. Quando decide di
riconoscere i desideri di Scotti accetta una subordinazione evidente. Judy non vive come
negazione di sé ma come assenza di sé: può diventare perfettamente Madelaine perché
come Judy non è nulla, un nulla che cerca la propria identità, anzi, un'identità a qualsiasi.
DOLCEVITA
Anzitutto il protagonista è Marcello, un giornalista che scrive articoli mondani, in cui figurano
persone e fatti noti. L'attività professionale lo ha portato ad adottare uno stile di vita molto
simile a quello dei suoi personaggi. Così egli passa con indifferenza da una relazione all'altra:
mentre convive con Emma non rinuncia ad altre avventure. Ha una temporanea relazione
con Maddalena, giovane ricchissima, annoiata della vita.
L'arrivo di Sylvie, celebre attrice americana, gli fornisce occasione di nuove esperienze
sentimentali. Per
dovere professionale Marcello si occupa di una falsa apparizione della Madonna, inventata
da due bambini dietro istigazione dei genitori. Partecipa ad una festa organizzata da alcuni
membri della nobiltà che gli dà modo di accertare il basso livello morale di quell'ambiente.
Marcello è amico di Steiner, un intellettuale che riunisce nel suo salotto artisti e letterati e,
in una crisi di sconforto, si è ucciso, dopo aver soppresso i suoi due bambini. Per superare
l'orrore destato in lui dal tragico fatto, Marcello, si getta, senza alcun ritegno, nel turbine
della vita mondana.
Si tratta di un film del 1960, periodo in cui avviene una trasformazione sul piano sociale,
culturale, politico e economico. Infatti gli anni 60 sono gli anni del boom economico, della
modernizzazione in cui si passa da paese agricolo a realtà industriale. Chiaramente questi
cambiamenti andranno ad avere un impatto in tutti i settori, incluso quello cinematografico.
In particolar mood sarà l’arte a voler essere testimone di questo cambiamento, di questa
perdita d’identità e di alienazione e ogni autore lo farà in modo diverso.
Anzitutto una delle caratteristiche del cinema di Fellini è la messa in scena del personaggio
come spettatore, in questo caso Marcello Mastroianni, l’attore. l’eroe moderno è passivo,
non agisce ma è spettatore passivo della vita. Si tratta infatti di un film sulla
spettacolarizzazione della vita moderna, tutto può diventare spettacolo e gli eventi sono
importanti solo quando vengono tramutati dai mass media in qualcosa che fa notizia.
L’uomo diventa spettatore inerte, lo stesso Marcello è passivo.
Probabilmente di questo film è stato trasmesso più l'aspetto "glamour" nel corso del tempo
che quello critico → difatti La dolce vita è inoltre emblema dell'antropologia occidentale e
dell'identità italiana, è una passerella di posa e vestiti che da anni nutre il mondo della moda
e del turismo. I temi della Dolce Vita sono la perdita dei valori e la modernizzazione, la crisi
del Sacro e l'avvento della società dello spettacolo, la vuotezza del ceto intellettuale. Il
dramma di Marcello né La dolce vita consiste in un impotente girovagare senza meta dentro
una città. Non a caso la fotografia, mezzo decisivo nell'epoca del narcisismo di massa, è
centrale nel film.
Quindi Fellini nel 1960 riesce con questo film a fare una sorta di radiografia della nostra
società., ricordiamoci però che Fellini nel film non giudica, osserva.
I temi della Dolce Vita sono:
la perdita dei valori e la modernizzazione
la crisi del Sacro
l'avvento della società dello spettacolo
la vuotezza del ceto intellettuale
Il fenomeno de La Dolce Vita è un fenomeno interessante perché è un caso molto particolare
di film che inizialmente scandalizza, poi bisogna interrogarsi anche sul perché questo film
scandalizzi così tanto il pubblico e anche la critica, la chiesa, insomma scatena reazioni molto
forti, forse perché il modo in cui lui mette a nudo la società italiana e la sua disgregazione
era qualcosa di insopportabile rispetto a una rappresentazione di un certo tipo di esibizione
di corpi e di nudità. Il pubblico della DV può mostrarsi scandalizzato dalle gioie che mostra,
ma in realtà ne è invidioso e desideroso.
Però questo film è stato completamente travisato nel suo messaggio, è stato stravolto.
La dolce vita come abbiamo detto è un film fatto a pezzi proprio di clip (struttura rapsodica),
di spezzoni, che vivono di vita propria e che tradiscono l’impianto del film che è tutt’altro
l’esaltazione del glamour quanto la drammaticità di questo periodo e dei fatti che si
raccontano attraverso il personaggio di Marcello dove tutto si fa spettacolo.
Fellini alla fine voleva sottolineare che fosse tutta apparenza, quello che sembra non è in
realtà quello che provano i personaggi.
La Dolce Vita che poi è diventata l’etichetta, pensate quanti locali, profumi si chiamano così.
Addirittura dopo il film il maglione a collo alto, che indossano i paparazzi nel film, prende il
nome di dolce vita. Pensate poi anche a quanto questo film abbia influenzato il linguaggio.
A BOUT DE SOUFFLE
Spazio del bagno: consente ai personaggi comportamenti particolari davanti allo specchio, il
soggetto si misura con sè stesso con il proprio volto; il raddoppiamento del volto è
l'occasioneper prendere atto della propria soggettività e per interrogarsi su sé stessi. Il
dialogo è uno strumento per definire i caratteri dei personaggi: mentre Michel preferisce
una sperimentazione di comportamenti e azioni, puntando su una violazione delle regole e
delle leggi, Patricia sviluppa una sperimentazione mentale, sull'esistenza sulla libertà.
L'affermazione della libertà è essenziale per entrambi i protagonisti e costituisce la filosofia
fondamentale del film. Ma la libertà di Michel è nella realizzazione immediata dei desideri,
mentre la libertà di Patricia è nei comportamenti. Michel e Patrizia sono i prototipi dei nuovi
soggetti esistenziali delle Nouvelle Vagues del cinema degli anni 60. La libertà, come anche
le caratteristiche dei personaggi, si realizza nelle tecniche di messa in scena. Mentre il long
takes registrano il massimo livello di fluidità dell’essere, i raccordi irregolari e i JUMP CUTS
attestano l'estraneità del soggetto allo spazio.
Scena del dolore e del nulla, si sceglie il nulla, ovvero la morte, più che la sopportazione del
dolore. Scena della morte di Michel, eccessivamente recitata, corsa troppo lunga, si chiude
gli occhi da solo, si passa il pollice sul labbro. Sceglie intenzionalmente la morte, rinuncia a
fuggire.
TAXI DRIVER
L'8 febbraio del 1976 debutta Taxi Driver, diretto dal regista Martin Scorsese e interpretato
da Robert De Niro. Il successo è immediato, il film batte ogni record precedente nella vendita
dei biglietti. è un film che ebbe un successo enorme al botteghino, davvero un film molto
visto fin da subito, quindi a proposito di libertà data ai nuovi autori come Scorsese che aveva
iniziato a realizzare lungometraggi da poco.
Quella della New Hollywood è la prima generazione di registi americani che arriva al
mestiere avendo studiato il cinema del passato ed essendo consapevole di ciò che si realizza
negli altri paesi.
Lo sceneggiatore, Paul Schrader, viene da un mondo molto diverso da quello di Scorsese: se
il regista cresce in un ambiente metropolitano, lo sceneggiatore nasce in provincia, ma
nonostante ciò i due hanno molto in comune, un profondo amore per il cinema.
Il film è autobiografico non tanto dalla parte di Scorsese quanto di Schrader.
Per il protagonista di Taxi Driver, Schrader si ispira alla figura di uno squilibrato che nel 1972
aveva sparato, senza riuscirci, al governatore dell'Alabama e candidato alla presidenza, e
anche alla propria esperienza personale.
Il soggetto Infatti nasce da un momento molto difficile della sua vita uscito da un divorzio,
non ha soldi, beve.
Robert de Niro esce da una scuola di recitazione, l’Actors Studio che era fortemente legata
al periodo dello studios system, Dall’Actors studio uscirà un attore come James Dean.
Gli elementi che ancora lo collocano nella Hollywood classica sono la musica. La musica è
quasi una sorta di ponte, con Herman, questo compositore che aveva fatto le musiche per
Wells, per Quarto potere. Tra l’altro Herman non avrà nemmeno la possibilità di vedere sullo
schermo questa sua partitura per Scorsese perché muore poco prima dell’uscita del film.
In Taxi Driver l'autista esita tra uccidersi e compiere un assassinio politico, e avendo
sostituito tali progetti con la strage finale, se ne stupisce lui stesso. Travis uccide per colmare
il vuoto di una vita solitaria e senza scopo. All'inizio vorrebbe ammazzare il candidato alla
presidenza, forse perché, in quanto marginale, odia i potenti, che in qualche modo ritiene
responsabili del proprio fallimento, o forse perché in lui vede una specie di rivale in amore.
Ma la prima vittima di Travis è un uomo nero incontrato per caso in un negozio e quando
non riesce ad assassinare il politico, Travis decide di uccidere il protettore della prostituta
Iris e altri.
Riferimento a Tarantino
A me ha ricordato anche il film di Tarantino, soprattutto verso la fine, l'effetto splatter, anche
se è un po’ ridotto rispetto ai film di Tarantino. Sicuramente Tarantino deve tanto ad un film
come questo e tanti altri; Tarantino è un maestro del citazionismo.
Con il cinema di Tarantino siamo in una post modernità in cui ormai la concezione che il
cinema possa in qualche modo portare un discorso attraverso le storie è superato, il cinema
di Tarantino mira ad un piacere spettatoriale rispetto ad un eccesso dei fatti, di forma, di
sangue, di violenza. Con il cinema postmoderno siamo di fronte ad un linguaggio che si
configura ulteriormente e dove i personaggi perdono di centralità e il piacere spettatoriale
è dato ad esempio dal citazionismo, da un certo uso della musica, da un certo uso delle
inquadrature e anche dallo svuotamento di determinate scelte stilistiche, ad esempio il
piano sequenza che Tarantino usa ne Le iene, in cui normalmente col cinema moderno siamo
di fronte ad una durata reale, senza stacchi di montaggio, in una scena che si sviluppa e
restituisce un effetto di reale molto forte e in qualche modo enfatizza, da forza, anche in
termini di realismo, quello che viene ripreso durante il piano sequenza.
Potremmo provare anche a fare un confronto: mentre nel piano sequenza o nel Long Take
che abbiamo visto insieme in fino all’ultimo respiro di Godard, siamo nel dialogo di questi
due personaggi, uno maschile e uno femminile, Patricia e Michel che si sono incontrati,
provano a trovare una propria libertà e siamo calati in questo long take, a vivere questa
passeggiata insieme; nel piano sequenza de Le Iene in cui ci sono i due personaggi che si
muovono, escono dall’ascensore e lì non accade nulla, non c’è alcun tipo di lavoro in senso,
quindi anche la tecnica, scelte stilistiche, diventano un puro piacere della visione, quindi c’è
uno svuotamento di senso che diventa il senso della rappresentazione.