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CAPITOLO 1
Nel 1891 Edison negli Stati Uniti mette a punto il Kinetoscopio che tuttavia subì
un’involuzione commerciale, segno evidente che il cinema era destinato alla proiezione
collettiva. L’apparecchio messo appunto dai Lumière permetteva la proiezione su
grande schermo, una pellicola su supporto flessibile, un trascinamento regolare della
pellicola a 16 fotogrammi al secondo e un movimento intermittente della ripresa.
La data dei Lumière non segna quindi l’inizio della storia del cinema ma è una data
importante poiché l’arte del cinema nasce per un pubblico pagante, come forma
culturale ma anche industriale.
La prima proiezione dei film non costituisce tuttavia uno spettacolo autonomo ma
veniva inserito in altre forme di spettacolo come per esempio nel teatro di varietà . Verso
il 1900 si inizia a dare maggiore importanza alla proiezione di film narrativi, a scapito
delle riprese dal vero. Sempre durante questo periodo si iniziano a distinguere vari ruoli
ed emerge la figura del regista.
Il cinema in pochissimo tempo diventa la forma di spettacolo più diffusa e in particolare
negli Stati Uniti dopo il 1905 si moltiplicano i nickelodeon, spazi adibiti alla proiezione dei
film. Il loro successo fu dato dai programmi rapidi, in una estrema varietà di orari e a
prezzo basso. Sempre durante quest’ anno, in Francia nascono le prime strutture
produttive i cui grandi esponenti furono Melies, Pathè e Gaumont . Tra il 1908 e il 1914 la
qualità e il successo dei film italiani sono un fenomeno mondiale, il primo film italiano è
‘La presa di Roma ‘ di Filoteo Alberini. Il cinema italiano si specializza in:
c) Dramma realista
La penetrazione dei film americani all’estero è ancora esigua a causa della “guerra dei
brevetti” superata solo nel 1908, quando la produzione assunse dimensioni industriali.
Nel 1912 il fulcro della produzione si sposta ad Hollywood e negli stessi anni in Europa le
cinematografie diventano delle vere e proprie scuole nazionali, inoltre le piccole
compagnie di produzione tendono a fondersi in aziende più grandi.
Nel 1914 Negli USA iniziano a nascere aziende di produzione e di distribuzione come :
Universal
Paramount
Warner Bros.
Dopo il 1914 il regista non è più al centro di produzione ma viene a crearsi un nuovo
ruolo, quello del produttore. Il produttore finanzia e gestisce la produzione del film
mentre il regista si occupa effettivamente solo delle riprese. Questa differenza di ruoli
nasce anche per favorire il marketing ed è in questo contesto che si crea lo star-sistem,
si fa dell’attore principale il veicolo pubblicitario del film e il fulcro del processo
produttivo.
2. MODI DI RAPPRESENTAZIONE DEL CINEMA DELLE ORIGINI: ATTRAZIONE E NARRAZIONE
Il cinema delle origini costituisce un sistema relativamente stabile, per molti versi
estraneo al cinema che seguirà. Questo sistema viene chiamato ‘Modo di
Rappresentazione Primitivo’ (MRP), per distinguerlo dal ‘Modo di Rappresentazione
Istituzionale’ (MRI), che coincide con il cinema narrativo classico di Hollywood.
L’elemento fondante del MRP risiede in una concezione tendenzialmente autonoma
dell’inquadratura. L’inquadratura (e non il montaggio) è il centro privilegiato della
rappresentazione. Fino al 1902 la maggioranza del film è ‘monopuntuale’, ovvero
costituito da una sola inquadratura. L’inquadratura del MRP presenta alcune
caratteristiche ricorrenti: un’illuminazione uniforme, la cinepresa tendenzialmente
fissa e in posizione prevalentemente centrale. Si parla di montaggio “non continuo”
in quanto non si è ancora messo a punto un sistema di raccordo fra le varie
inquadrature che risultano essere inevitabilmente discontinue.
Analizzando le differenze tra Meliès e Lumière non dobbiamo dimenticare che entrambi
lavorano a un cinema della mostrazione e che quindi appartengono entrambi a MRP
(modo di Rappresentazione Primitivo). Tuttavia, Lumiere è la vita colta sul fatto, è un cinema
della realtà, mentre Meliès è il promotore di un cinema del trucco e del mondo inventato.
LUMIERE MELIES
Vita colta sul fatto, le riprese in esterni, il rifiuto Cinema spettacolare con significative
di una messa in scena , un cinema della aperture al racconto. Il cinema del trucco e
realtà ma non narrativo. del mondo inventato dentro spazi chiusi dei
teatri di posa.
Il film è un prodotto in serie costituita da una Il suo cinema è un mondo meraviglioso, più
sola inquadratura di circa 50 secondi. burlesco e parodistico che terrificante. I suoi
Cinepresa quasi sempre fissa ma a volte film postulano universi impossibili eppure
collocata su un supporto mobile. Si privilegia coerenti.
la veduta d’insieme con un’angolazione di
veduta preferibilmente decentrata. L’unità
del film al di la della diversità dei soggetti è
data dai flussi di movimento
La veduta di Lumière non nasconde le sue Si muove con soluzioni originali tra teatralità
ambizioni estetiche : l’immagine è sempre e narratività. L’unità di base dei suoi racconti
ben confezionata, si distingue per l’ottima è sempre la singola scena, che non è mai
qualità fotografica delle emulsioni. Lumière sezionata in inquadrature. La cinepresa è
consente agli operatori di restituire nelle tendenzialmente fissa, gli effetti dinamici
immagini la gamma sfumata dei grigi e il sono spesso un’illusione legata al movimento
dinamismo della luce. di elementi interni al profilmico.
I film non si impongono a lungo nel mercato La sua parabola creativa si esaurisce nei
e già a partire dal 1898 la produzione primi anni ’10. La ragione del declino
accusa una netta recessione, poiché non fondamentale fu che la ‘Star Film’, la sua
basta più rappresentare il mondo così casa di produzione, non aveva una struttura
com’è: il pubblico ha bisogno di stupore e abbastanza solida per sopportare il continuo
finzione. rinnovo delle tecniche cinematografiche.
CAPITOLO 2
1) IL CINEMA ESPRESSIONISTA
Il cinema espressionista tedesco effettua una sintesi tra immaginario e stile, realizzando una
forma espressiva di particolare intensità. Vi è una forte ricerca sulla configurazione
dell’immagine e quindi sullo spazio e sulla scenografia che le inquadrature possono
esaltare. I contorni delle scenografie sono segnati da una deformazione esplicita e
tendenzialmente irrealistica. Gli spazi sono ‘paesaggi impregnati d’anima’. La recitazione
degli attori riflette questo rafforzamento dall’espressività del viso e si avvale di un trucco
particolarmente elaborato. Fondamentale è inoltre lo studio intensivo che avviene
sull’illuminazione, mediante la contrapposizione di luci e ombre, e questa contrapposizione
tra luce e tenebra non p soltanto visiva, ma si carica di implicazioni simboliche. Il montaggio
risulta funzionale all’esibizione delle configurazioni visive, non è mai troppo rapido poiché
l’immagine deve essere pienamente vista dallo spettatore. L’immaginario del cinema
espressionista è poi abitato da personaggi che tendono disperatamente verso un obiettivo
senza raggiungerlo, presentano un istinto alla ribellione e vivono nell’angoscia e nella
frustrazione. E’ sicuramente un immaginario che concilia la debolezza e la fragilità del
soggetto.
La figura di Murnau è sicuramente una delle più significative poiché si presenta come un
autore che sa affermare con una maturità e con un rigore assolutamente particolari il ruolo
del regista come coordinatore di tutte le attività connesse alla realizzazione dell’immagine.
La sua predisposizione attenta ad ogni elemento della messa in scena è finalizzata alla
realizzazione di una forma visivo-dinamica segnata da una indubbia impronta personale.
Lo spazio e l’inquadratura per Murnau prediligono la forma pittorica
Più ancora di Murnau, il regista che interpreta al meglio il ruolo creativo di metteur en scène
come coordinatore di tutte le componenti della produzione è Fritz Lang, che attraversa la
storia del cinema muto e sonoro in Europa e in America, dando loro un contributo unico. E
il suo cinema è di complessa figurazione, ora intellettuale ora espressiva, a fondamentale
orientamento geometrico che costituisce una forma visiva del tutto particolare secondo le
seguenti opzioni estetiche :
f) La realizzazione dinamica, nella banda visiva di una sintesi tra spazio rappresentato
spazio formale e spazio eidetico.
Il rapporto con il visibile di Lang è in primo luogo ispirato all’esigenza di far vedere il più
possibile e di mostrare un visibile strutturato proprio per accrescere la quantità conoscitiva
del visivo. Al contrario degli espressionisti non vuole creare la complessità della visione,
anzi, questa deve essere immediata e riconoscibile. La sua messinscena consiste nel
costruire la complessità del dinamismo e del movimento proprio in relazione alle rigorose
strutture geometriche.
Al di là di questo genere di film negli stessi anni troviamo delle nuove ricerche di tipo
realistico chiamati ‘ Nuova Oggettività’ le cui esperienze più radicate nella storia del
cinema sono legate ad un progetto politico-ideologico di rappresentazione della vita
di miseria delle classi più umili nella metropoli capitalistica.
Il montaggio è l’unico strumento tecnico che può assicurare il ritmo musicale delle
immagini ed è quindi pienamente sviluppato in funzione del movimento.
L’Herbier crede ad un progetto di affermazione del cinema come arte della modernità e
realizza significative interazioni con il modernismo artistico. La sua ricerca è giocata insieme
sulla sperimentazione delle tecniche comunicative del cinema e sulla creazione di una
nuova sintesi di immagini composite in cui si depositano modelli artistici molto forti. Il regista
formalizza il visibile intensifica il dinamismo visivo e realizza effetti estremamente significativi.
Una diversa linea la prende Epstein che intreccia la sua attività di regista con quella di
teorico e di scrittore. Epstein parla di ‘confluenza di conoscenze diverse’ (= lirosofia). Il suo
cinema è alla ricerca di stati d’animo e di impressioni fugaci. È un cinema che insegue le
dinamiche psicologiche dei personaggi, le intreccia e le mescola insieme scoprendo le
suggestioni che possono dare gli oggetti o i paesaggi. La mobilità e la trasmutabilità sono
le sue dimensioni privilegiate e le sue tecniche di messinscena riflettono la volontà di
mostrare la mutevolezza dei sentimenti e delle persone. Usa molte volte i montaggi rapidi e
ricorre spesso alla sovraimpressione che allarga l’immagine e mostra la compresenza di
motivi diversi.
2.3 IL CINEMA SOVIETICO DEGLI ANNI VENTI E L’OTTOBRE DEL CINEMA
Nel grande e variegato progetto d’Ottobre delle arti confluiscono da un lato le teorie
futuriste di Mjakovskij, il progetto di trasformazione della poesia, ma anche di modificazione
del tessuto verbale e di affermazione della lingua transmentale; dall’altro le esperienze di
teatro sperimentale di Mejerchol’d prima nelle forme popolari e poi nell’ambito della
biomeccanica.
Il vertice del cinema sovietico è rappresentato da M. Ejzenštejn che afferma inoltre una
complessa e stabile teoria del cinema dell’arte rivoluzionaria. Le sue teorie sono bilanciate
su quelle dell’estetica e quelle della poetica. Per il regista l’ottobre del cinema implica una
pratica formale ispirata al punto di vista della fabbrica e del proletariato e capace di
cancellare la tradizione artistica borghese. L’arte non è un’emanazione dello spirito, ma
una pratica sociale determinata, capace di organizzare e veicolare stimoli. Afferma il ‘cine-
pugno ’ e considera l’opera d’arte come un trattore che ha il compito di arare a fondo
nella psiche in una data direzione classista. Attribuisce un’importanza fondamentale al
montaggio che è il momento essenziale della creazione filmica in quanto consente la
trasformazione dinamica dei materiali in coerenti strutture comunicative. Il montaggio
viene visto come l’accostamento di inquadrature che avviene tramite contasto, scontro e
disomogneità.
c) Il cinema nordico che tanto aveva contribuito negli anni ’10 ora si sta man mano
arenando, anche se continuano alcune esperienze importanti nell’ambito teorico.
Le esperienze dell’avanguardia sono ricerche che si svolgono dentro una minorità scelta
ed affermata all’interno dello spazio marginale del laboratorio, che si contrappone
fortemente all’apparato industriale del cinema ufficiale. Per quanto riguarda le novità
stilistiche, l’immagine dell’avanguardia deve avere una forza supplementare per non
diventare una serie di inquadrature casuali e caotiche senza senso. Per riuscire nell’intento
la parola chiave è intensità, è l’intensità che fa la differenza. L’arte diventa arte del
movimento e trova un nuovo modello nella musica, il processo consiste i sviluppi drammatici
che avvengono come processi musicali avvertiti tramite l’udito.
Importante in questo contesto è Man Ray, il quale mette in atto le caratteristiche essenziali
del movimento, ovvero l’improvvisazione, l’immotivazione e l’indifferenza nei confronti del
prodotto finito. Egli assembla in maniera apparentemente casuale delle riprese che variano
da nudi, paesaggi e oggetti appoggiati sulla pellicola, simbolo del caos come rifiuto della
forma.
CAPITOLO 3
Il decennio che si colloca tra la fine della prima guerra mondiale e la grande crisi del 1929
vede il consolidamento dell’industria cinematografica hollywoodiana, sistema capace di
creare e diffondere prodotti inconfondibili, in grado di imporsi a livello internazionale. Il
cinema hollywoodiano diventa così modello universale e viene a costituirsi come una
grande fabbrica dei sogni che almeno per tre decenni permetterà ad un pubblico di vasta
estensione geografica, socialmente e culturalmente variegato, di immedesimarsi nelle
vicende di eroi ed eroine a cui vorrebbero somigliare.
Inoltre nel 1921 gli Stati Uniti conoscono l’affermazione di una politica di liberalismo estremo,
che consente ai beni prodotti dall’industria americana di imporsi sui mercati stranieri. Nel
quadro di tale rafforzamento il cinema hollywoodiano stabilisce una precisa strategia
produttiva nella costruzione di un sistema verticale che comprende l’intero ciclo produttivo
fino alla distribuzione dei prodotti. Le tre grandi case di produzione di questo periodo sono
la Paramount-Publix, la Metro Goldwyn Mayer (MGM) e la First National.
Negli anni venti la lezione grffithiana risulta ormi inattuale dal punto di vista dei contenuti
narrativi. Nel nuovo clima di apertura e spregiudicatezza, e di crescita generale
dell’industria hollywoodiana, esemplare può essere il percorso compiuto da Cecil De Mille
che inaugura con il suo primo film “the Squaw man” nel 1913 l’abitudine destinata a
diventare tradizione e pratica industriale di girare nella zona allora semideserta di
Hollywood, per sottolineare che il cinema non è altro che arte industriale.
Importante fu anche Vidor, regista che esordì negli anni dieci, il regista indaga con realismo,
talvolta impietoso, il conformismo e la perdita di individualità dell’uomo contemporaneo
nella nuova dimensione massificata del vivere metropolitano, esprimendo uno sguardo
ironico e disincantato sul sogno americano e sull’ideologia del self made man. Il suo
discorso viene espresso attraverso una sorta di visualizzazione simbolica dell’assunto
tematico. La confusione individuo/folla e la perdita di identità del singolo vengono espresse
attraverso soluzioni tecnico stilistiche ottenute da una macchina in costante movimento, e
sembra assumere la lezione dall’espressionismo.
Il war film si impone tra i generi maggiori nel corso del decennio e sono due le forme
narrative e spettacolari già emerse nel periodo primitivo: lo slapstick e il western. Tra gli altri
generi che si impongono sul mercato vi è l’horror. E sono anche ragioni di tipo sociologico
a spiegare la nascita di un altro genere di film: gangster film.
Durante questo periodo è di fondamentale importanza lo star sistem, ovvero al lancio e alla
promozione delle star per provocare un fenomeno di attrazione sul pubblico e quindi, un
immediato riscontro economico per i film interpretati dai divi reclutati dalle majors e da
queste prodotti.
IL CASO KEATON
La comicità di Keaton stabilisce regole proprie. A cominciare dalla definizione di uno stile
basato sulla sottrazione, prima di tutto mimica e poi drammatica.Una recitazione
controllatissima, anti narrativa e antidrammatica, lo sviluppo essenziale, quasi meccanico,
degli intrecci narrativi, la mimica assurdamente impietrita in una maschera di apparente
imperturbabilità. Una poetica dell’isolamento individuale in cui si integra una riflessione
metalinguistica sul mezzo cinematografico e sulla sua incidenza psicologica e sociologica
sull’individuo. Gli anni del sonoro tuttavia corrispondono con la fine della sua epoca d’oro,
poiché egli era profondamente legato ai canoni espressivi del muto.
Dopo essere stato assistente di Griffith, ed è importante notare che da qui derivano sia la
precisione nella caratterizzazione dei personaggi femminili e i piani ravvicinati emblematici,
sia il gusto di costruzioni narrative cui il montaggio conferisce un ritmo e una cadenza
talvolta musical. La formazione e la poetica di Stroheim rimandano sicuramente alla
cultura mitteleuropea fra ottocento e Novecento.
CAPITOLO 4
L’introduzione del sonoro coincide con un momento di grave crisi economica per gli Stati
Uniti. Il crollo di Wall Sreet del 1929 porta ad una profonda depressione economica che si
risolleverà solamente negli anni della seconda guerra mondiale. Nonostante ciò vi sono
tuttavia delle evoluzioni da un punto di vista teorico e stilistico per il cinema hollywoodiano
che, grazie anche alla politica di sostegno all’industria hollywoodiana del presidente
Roosevelt, riesce ad esportare i suoi prodotti e ad imporsi nel mercato dello spettacolo. Il
cinema sonoro hollywoodiano tende sempre più a porsi come il modello del cinema tout-
court e tra il 1930 e il 1945 la storia del cinema coincide in buona misura con quella del
cinema americano. Rispetto all’accompagnamento musicale nelle sale, la riproduzione
tecnologica del suono e la sua sincronizzazione spingono lo spettacolo verso una completa
meccanizzazione, eliminando quel divario tra performance e testo tipica del cinema
primitivo ancora forte negli anni Venti. Il suono va a condividere così lo stesso ruolo
fondamentale delle immagini contribuendo in maniera sostanziale al potenziamento della
verosimiglianza tra illusione e realtà. Il sonoro si integra quindi pienamente nei metodi di
produzione e rappresentazione offrendo nuove possibilità al linguaggio del cinema, nei suoi
aspetti stilistici ed estetici suscita reazioni contradittorie, che hanno risvolti fondamentali
anche da un punto di vista teorico, ma questa nuova dimensione non è composta solo da
tecnica ed estetica ma risulta importante anche da un punto di vista ideologico: sostiene
infatti la produzione di cinegiornali e documentari doppiati in tutte le lingue, esercitando
una forte campagna propagandistica.
Nel periodo classico tuttavia il sistema di generi si amplia anche in relazione alle nuove
possibilità proposte dal sonoro e al generale rafforzamento del sistema produttivo. I
principali generi sono:
c) Gangster movie, legati alla malavita e alla criminalità soprattutto durante il periodo del
proibizionismo (Nemico Pubblico e Scarface).
e) War film che si affermano soprattutto dopo l’entrata in guerra degli USA.
La mappa dei generi corrisponde direttamente alla presenza dei divi e delle star,
espressione essenziale dello studio system. I differenti modelli umani e sociali, il loro
rispecchiarsi in modelli fisici e canoni di bellezza ancorati a precisi universi narrativi,
contribuiscono a creare e a nutrire l’immaginario dell’epoca. Il personaggio nel racconto
cinematografico classico è indissociabile dall’interpretazione precedente del divo, anzi
proprio su questa identificazione si basa l’aspettativa dello spettatore.
Il regista, avendo attraversato gran parte della storia del cinema americano dagli anni
Venti agli anni Settanta, riesce ad affrontare un gran numero di generi classici. La sua è
un’opera multiforme in cui emergono tematiche condotte con un preciso gusto del
narrare, senza apparenti ricercatezze stilistiche in una misura che diviene rappresentazione
ironica e distaccata di costumi e caratteristiche sociopsicologiche dell’americano. Molto
importante in questo contesto risulta essere la commedia “Susanna” . La commedia
hawksiana si definisce in particolare nella ‘commedia sofisticata’.
Questo regista entra nel mondo di Hollywood grazie alla sua fama , riconosciuto come
genio e rivoluzionario del funzionamento stesso dei media. Si presenta con una forte
conoscenza e famosa carriera nell’ambito teatrale. Il regista inaugura un modo di narrare
che eccedeva da tutti i punti di vista, da quello immediatamente tematico dilatando la
vicenda sul piano storico-realistico, morale, psicologico, e su quello drammaturgico
forzando e reinventando il linguaggio classico nella rappresentazione di una realtà che è
anche stilisticamente prospettica e contraddittoria come i suoi personaggi. Tenta inoltre di
trasmettere attraverso lo stile il senso del film, dilatando drammaturgicamente lo spazio e il
tempo dell’inquadratura, della sequenza, con il ricorso frequente di piani sequenza a
riprese in profondità di campo a profondità e montaggi peculiari anche a livello sonoro
all’interno di realtà scenograficamente complesse a volte sovrabbondanti e
iconograficamente forti.
4.6 HITCHCOCK
Il regista ci pone davanti ad una coerenza tematica e stilistica straordinaria, oltre che
all’estrema specificità e riconoscibilità di un linguaggio non parassitario dello stile classico,
anzi innovatore. La sua opera e il suo stile riescono a raggiungere il grande pubblico non
entrando mai in conflitto con le ragioni dell’industria. Il regista inaugura un percorso
interamente incentrato sul genere giallo e sul motivo della suspense, in cui alla lettera degli
intrecci nella storia corrispondono teoremi morali nei quali la colpa e il peccato acquistano
una forma più profonda , universale, in modo che i personaggi rinviino ad altrettante
modalità di essere dell’uomo tout court ( = in modo secco e diretto senza preamboli). Lo
stile poi corrisponde in Hitchcock ad una sperimentazione e innovazione costante che lo
conducono a una vistosa forzatura del linguaggio classico. Una ricerca e una tensione
formale che rivelano una grande consapevolezza estetica da parte di un regista a lungo
considerato, come il maestro del brivido.
4.7 HOLLYWOOD DOPO LA SECONDA GUERRA MONDIALE : LA GUERRA FREDDA E IL
TRAMONTO DELL’ERA DEGLI ‘STUDIOS’
Con la fine della seconda guerra mondiale lo scenario internazionale vede il riassetto
politico dell’Europa e la divisione del mondo da parte degli USA e URSS in sfere di influenza
contrapposte in una guerra fredda che durerà quasi Cinquant’anni.
A fronte di questo clima politico tuttavia emergono istanze di opposizione e di lotta per i
diritti civili, con una spinta destinata a crescere fino alla rivoluzione del 1968. Se ne trova
eco nella cinematografia che accoglie nuove tematiche o rivede la distribuzione dei
generi tradizionalmente intesi, dimostrando complessivamente una maggior attenzione ai
problemi sociali. In compenso il contesto sociale e politico degli USA della guerra è anche
quello del progressivo declino dello studio system. In questo modo nel giro di pochi anni la
fisionomia del cinema hollywoodiano muta profondamente.
b) Nicholas Ray: regista dallo stile asciutto e secco, in peculiare equilibrio tra realismo
e simbolismo, con un’attenzione particolare per l’architettura dell’inquadratura.
Spesso incompreso dalla critica statunitense, Ray divenne invece uno dei riferimenti
essenziali della politique des auteurs sostenuta dai Cahiers du Cinéma.
CAPITOLO 5
In Europa la nuova tecnologia del sonoro vienee accolta con diffidenza e si afferma nel
cinema europeo più lentamente rispetto al cinema americano. Fino nel 1931 era
impossibile in tutta Europa realizzare il suono in post produzione: tutto andava registrato
in presa diretta, e quindi non era possibile effettuare il doppiaggio delle pellicole. A
partire dal 1932 si afferma la pratica del doppiaggio, che consente a Hollywood di
continuare a inondare il mercato mondiale con i propri prodotti. L’introduzione del
sonoro in Europa viene accolta con diffidenza, poiché si teme che questo possa far
regredire il cinema al livello di “teatro fotografato”, ponendo in secondo piano il lavoro
sulla messa in scena e sul montaggio.
L’avvento del sonoro, infatti da un lato contribuisce a mettere in crisi il cinema d’avanguardia, dall’altro
ridefinisce in maniera sostanziale i codici del cinema narrativo.
Nel 1928 Ejzenstejn, Pudovkin, Aleksandrov pubblicano un testo teorico intitolato “Il
futuro del sonoro”, dichiarazione passata alla storia come manifesto dell’asincronismo.
Essi sostengono che il suono non debba corrispondere all’immagine, ribadendone
piattamente il senso, ma debba invece creare delle dissonanze finalizzate a creare
metafore audiovisive.
Dal punto di vista produttivo quella francese è la più debole tra le grandi cinematografie
europee negli anni Trenta. La tendenza principale è il cosiddetto realismo poetico,
rappresentato da registi quali Renoir, Duvivier e Carnè: le vicende del realismo poetico sono
ambientate nei quartieri di periferia e gravitano attorno a figure come malviventi, operai e
disertori. Si tratta di eroi tragici destinati ad essere sconfitti dal fato prima ancora che da
una società ingiusta. Vi è quindi la volontà di portare sullo schermo la dura realtà del
proletariato ma questa operazione è condotta attraverso i canoni del cinema classico.
Renoir comunque è l’autore più importante del cinema francese degli anni Trenta. Figlio
del pittore impressionista debutta inizialmente nel cinema muto ma si mette in luce solo
grazie al sonoro. I suoi film sono un ibrido tra dramma e commedia, che miscelano morte
ed ironia, rifiutando la distinzione tra buoni e cattivi. I personaggi di Renoir sono infatti
contraddittori, al contempo vittime e carnefici che la macchina da presa osserva senza
partecipazione. Viene definito come autore di confine in bilico tra Ottocento e Novecento
e tra cinema classico e cinema moderno.
CAPITOLO 6
Il neorealismo cinematografico italiano non ha avuto una lunga vita. La sua data di inizio
viene fatta coincidere con la pubblicazione di due articoli del 1943 da parte di Umberto
Barbaro intitolati “Neorealismo” e “Realismo e Moralità”.
Un’altra importante figura teoria del neorealismo è Cesare Zavattini che fa una riflessione
sul neorealismo come “pedinamento del reale”: seguire la realtà secondo questa visione
significa prospettare un cinema senza sceneggiature, vincolato solo al momento sacro
della ripresa. Il neorealismo si presenta dunque come un orizzonte variegato che produce
tre direzioni sulle quali si muovono gli artisti:
b) Nuove strategie per la narrazione del reale,optando per una massima trasparenza
dell’immagine e dei dialoghi.
A partire dai primissimi anni del decennio il cinema italiano si trova al centro di una
riorganizzazione ed un’ espansione dei mezzi di comunicazione di massa, che porterà al
costituirsi di un vero e proprio sistema integrato dei media. In questo contesto il cinema si
propone come una sorta di ipermedia: mantiene per tutto il decennio un ruolo guida ben
definito rispetto agli altri mezzi e nel contempo si assume il compito di accogliere altri mezzi
di comunicazione. In secondo luogo si fa testimone della società circostante, attestandone
principi e valori. Infine il cinema conosce un forte impulso dal punto di vista produttivo grazie
al miglioramento della situazione economica italiana.
Il cinema di questo periodo si adatta alle pretese di tutti, per questo motiv viene chiamato
cinema popolare: il pubblico in tutta la sua varietà ci si può immedesimare e riesce a sentirsi
appartenente ad un gruppo, appunto quello del pubblico cinematografico. Ricco di
maschere, macchiette e tipi popolari che non vanno a traumatizzare la messinscena.
La commedia degli anni Cinquanta prende le distanze in modo sottile dal neorealismo, non
si tratta ancora di una vera e propria rottura. Ad esempio, in nome del realismo, i
personaggi principali sono di condizioni sociale modeste ma possiedono un fiducioso
ottimismo.
Si delinea un nuovo rapporto con il reale e le regole in questo contesto risultano essere
dettate più dalla verosimiglianza che dalla verità: la commedia deve operare una
trasfigurazione del reale, lavorando su toni leggeri ed essendo consumata più
piacevolmente.
CAPITOLO 7
Anche se la nozione di cinema d’autore sarà sviluppata soprattutto in Francia dai “Cahiers
du Cinéma” l’idea che il regista abbia la possibilità di essere l’unico responsabile dei vari
aspetti cinematografici di un film era già stata sostenuta.
• Il film d’autore si caratterizza per una complessità di contenuti, spesso di non facile
lettura che liberano il cinema da ogni tipo di forma commerciale.
• Anche sul piano stilistico il film d’autore si caratterizza per una particolare originalità
espressiva, lontana da quella del cinema classico.
• La complessità dei contenuti e di originalità delle forme espressive impone un nuovo
tipo di spettatore, la cui funzione principale non è più ricreativa bensì legata ad un
accrescimento culturale.
Il regista predilige temi che guardano l’essere umano e la sua anima cogliendone la
dimensione esistenziale nei rapporti con sé stesso e con gli altri, con una particolare
attenzione al tema religioso e al rapporto con Dio, visto spesso come un’entità assente che
non è in grado di rispondere al richiamo dell’uomo. Realizza inoltre una buona quantità di
film in cui i ritratti femminili prendono il sopravvento su quelli maschili. Grazie al film “Il Settimo
Sigillo” diventa una delle figura più apprezzate nel panorama dei film d’autore
internazionale. il titolo del film è ripreso dall’Apocalisse di Giovanni e si riferisce così
all’imminenza della fine del mondo. Il settimo sigillo è l’ultimo, quello la cui rottura permette
la rivelazione della parola di Dio.
Importantissimo è il lavoro che egli svolge con gli attori, i quali vengono considerati come il
materiale più prezioso con il quale il regista ha a che fare, tanto che talvolta li invita a
rivolgersi proprio in direzione della macchina da presa.
Determinante del regista sono l’economia formale e il pudore estetico che determinano
uno stile spoglio ed essenziale, egli rifiuta qualsiasi effetto speciale e di spettacolarizzazione
andando contro le regole dominanti del cinema di finzione. In qualche modo è possibile
affermare che egli senta la necessità di andare oltre la superficie, cogliendo la vera essenza
delle cose. I suoi personaggi, spesso dei giovani, si trovano sempre più alla deriva, con una
vocazione quasi istintiva al suicidio. Essi si muovono nel mondo che li circonda come dei
sonnambuli senza trovare risposte a domande che probabilmente non riescono nemmeno
a formulare. Sono personaggi opachi che non si offrono ad una lettura psicologica ma
sono semplicemente osservati dall’esterno, sono semplicemente osservati dall’esterno
scomposti in una serie di piani di ripresa. Questa caratteristica si riflette anche negli
ambienti, dati da immagini parziali che invitano lo spettatore a costruire da sé lo spazio
della storia. Anche l’attesa gioca un ruolo fondamentale, scelta evidente nell’uso insito dei
piani vuoti che seguono o precedono l’entrata di un personaggio. L’austerità del suo stile
è evidente anche sul piano narrativo, come testimoniano i vuoti del racconto che
prosciugano la storia ed impongono allo spettatore un ruolo vigile e attivo.
Il suo cinema si richiama esplicitamente alla grande tradizione della comicità dei tempi del
muto, ciò è dimostrato dalla forte attenzione che il regista pone sulla mimica e dalla
predominanza del rapporto comico che il personaggio instaura con gli oggetti e con gli
ambienti, spesso ostili e irriducibili alla sua volontà. Il bersaglio della comicità di Tati è la
piccola borghesia osservata nei suoi riti quotidiani, attraverso la quale ci offre uno
spettacolo satirico e allo stesso tempo quasi sociologico. La sua comicità nasce da fatti
quotidiani e si sviluppa in diverse direzioni: burlesque, slapstick, attraversati però da una
certa malinconia e da un gusto a volte surreale. I suoi film sono spesso privi di un vero e
proprio centro drammatico, la narrazione tende a sfaldarsi alternando esilaranti gag a
momenti di pura contemplazione. A tenere insieme questo tipo di narrazione è sempre il
personaggio. Questo modo di organizzare il racconto se da una parte si collega ad una
certa tradizione comica, dall’altra risulta totalmente innovativa.
CAPITOLO 8
3. Lo stile analitico tipico del gendaigeki si fonda sulla frammentazione di ogni scena in
inquadrature statiche e ben definite e su un’attento uso del montaggio. Al contrario
dello stile calligrafico, quello analitico evita azioni esagerate e montaggi troppo
dinamici.
Il regista girerà sempre nell’ambito dei gendaigeki e in particolare gli shomingeki (=drammi
della gente comune) film dedicati al mondo della piccola borghesia alle cose di tutti i
giorni, come la vita familiare i rapporti coniugali e quelli tra genitori e figli.
Sul piano della costruzione narrativa i suoi film propongono spesso la figura della
“rivelazione”, configurandosi così in un cammino verso la verità sino a quel momento
sconosciuta ai personaggi e allo spettatore. La scoperta di questa verità modifica i rapporti
fra gli individui generando un momento di profonda crisi che approda però ad una più
autentica comprensione. Le sue storie si concentrano sempre più sull’ universo familiare ed
in questi film egli conferisce una dimensione quasi trascendentale ai sentimenti e alle
emozioni vissute dai personaggi. Ciò cui lo spettatore si trova di fronte è quasi sempre la
consapevolezza del divenire di tutte le cose e della necessità da parte dell’uomo di
accettare questo trasformarsi come una condizione ineluttabile dell’esistenza. Fra gli
elementi salienti dello stile del regista possiamo ricordare la posizione bassa e la staticità
della macchina da presa. La recitazione dei suoi attori è scarna e tende quasi all’assenza
di espressione, colta tramite inquadrature sempre frontali sui volti dei personaggi.
Il regista produce opere nell’ambito del gendaigeki e del jidaigeki, ciò che colpì la critica
occidentale fu la modernità del suo stile. Uno stile di regia che si affida ai piani sequenza,
alle immagini distanziate, agli elaborati movimenti di macchina, alle inquadrature in
profondità di campo. I suoi film sono caratterizzati da significativi primi piani e da improvvisi
stacchi e reaction shot, non allontanandosi totalmente dal découpage classico.
Importante nella sua rappresentazione cinematografica è l’universo femminile, tramite cui
da una parte denuncia come una società patriarcale non può avere nessun tipo di
evoluzione e dall’altra fa delle sue eroine degli oggetti di culto e ammirazione, frutto di una
concezione astratta e trascendentale della donna.
c) La sacerdotessa: la figura prediletta dal regista, è la donna che può amare tramite
una sincera devozione il marito, per il quale si sacrifica diventandone la guida
spirituale. Intorno a questa figura nasce la forma narrativa dei “destini rovesciati”.
Spaziando tra gendaigeki e jindaigeki, il regista racconta la storia di un uomo in lotta contro
i mali e le ingiustizie della società. I suoi eroi positivi tuttavia non sono dei personaggi piatti,
ma al contrario, assai complessi. Il loro è un impulso quasi irrazionale che si accompagna
ad aspetti oscuri ed ambigui. L’influenza del cinema americano e dei modelli occidentali
è molto forte così come lo è la capacità del regista di piegare tali influenze alle proprie
esigenze espressive e alle forme della tradizionale estetica giapponese.
CAPITOLO 9
La “ nouvelle vague”
L'espressione “Nouvelle vague”, che significa nuova ondata, comparve sulla stampa non
specializzata a partire dal febbraio del 1959 e rimanda a un preciso periodo storico del
cinema francese, ossia la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta, definendo
un fenomeno cinematografico complesso, costituito da un insieme più o meno
circoscrivibile di autori, di avvenimenti, di film, di idee e di concezioni della regia, nell'ambito
del quale però risulta difficile individuare i tratti comuni profondi che legarono gli esponenti
e le opere di tale movimento.
Gli autori della nouvelle vague furono quelli che si formarono alla scuola critica dei "Cahiers
du cinéma" degli anni Cinquanta: Claude Chabrol, Jean-Luc Godard, Jacques Rivette e
François Truffaut, considerati fondamentali figure di riferimento nel cinema
contemporaneo.
Gli autori di questo nuovo movimento si dichiarano in aperto contrasto con il cinema
commerciale, contro questi film essi propongono prodotti a basso costo, preferendo
ambienti naturali all’aperto agli studios, si servono di piccole troupes, con apparecchiature
ridotte, girando in bianco e nero senza attori di fama. Questo abbassamento del costo dei
film è favorito anche dalla diffusione di attrezzature leggere che permettono le riprese
all’aperto con minore illuminazione e con macchina da presa a spalla, con suono a presa
diretta. Vengono proposti quindi fatti e persone colti dal vivo, in un modo che assomiglia al
vecchio documentario o alle recenti forme di reportage giornalistico televisivo. L’apporto
di questo nuovo movimento non può comunque essere ridotto al contenimento dei costi o
alla disinvoltura nei confronti della tecnica. Ci sono obiettivi più ampi che si cerca di
raggiungere, mettendo in campo una nuova idea di cinema. Si rimettono in discussione
innanzitutto la vocazione realistica del cinema e il modo specifico di raccontare: si senta la
necessità di un radicale cambiamento linguistico.
a) Claude Chabrol: con il suo film d’esordio “Le beau serge” è stato uno dei fautori
della produzione di film a basso costo creando meccanismi di rifinanziamento.
Nella sua narrazione usufruisce del racconto per esplorare ambigui tratti
psicologici individuali e fornire alcuni quadri d’ambiente, come ad esempio la
borghesia provinciale. Questo autore resta l’anima inquieta e contraddittoria
della nouvelle vague.
b) Jacques Doniol-Valcroze: il suo film d’esordio è “Le gattine” nel quale dentro ad
un racconto lieve fin quasi all’inconsistenza, si manifesta l’intenzione di mescolare
all’erotismo un’indagine sentimentale non priva di originalità.
c) Jean–Luc Godard: è il più radicale dei registi esordienti degli anni ’60, la sua opera
d’esordio è “Fino l’ultimo respiro”, che assume il peso di un film-manifesto.
L’avventura qui diventa una dimensione esistenziale, che ritrae un disordine
generazionale e una vocazione al nichilismo e alla sconfitta. A colpire però è
soprattutto l’effetto stilistico. I personaggi sono intesi come entità psicologiche
che tendono a sparire, restano soltanto i loro comportamenti. Sono ancora il
realismo e il racconto i due elementi contestati dal regista. I brani di realtà sono
collegati arbitrariamente: ci vengono mostrati elementi accidentali, frammenti,
oggetti, tutti messi assieme da un montaggio estremo che rende la visione
artificiale. Lo spettatore si trova allora spesso, a causa delle modifiche delle
regole, a vedere come estraneo l’abituale.
d) Pierre Kast: esordisce con “La dolce età”, un film a basso costo, girato da amici,
facile alle suggestioni di un quadro sociale, dove tutto però risulta essere già stato
detto.
e) Luis Malle: i suoi film sembrano molto in sintonia con la nuova ondata che sta
esplodendo. Egli si concentra su “gialli” d’atmosfera, con un intreccio ridotto, un
raffinato stile di descrizione ambientale, storie di adulteri borghesi, ed infine
provocanti ritratti di provincia con le loro oscurità e insoddisfazioni.
f) Roger Vadim: è l’anima commerciale del movimento e dell’accorto
sfruttamento dell’immagine. In realtà Vadim resta lo scopritore di una diva,
Brigitte Bardot, e l’accorto dosatore di ingredienti facilmente vendibili, avendo
però l’aria di chi tocca problemi o azzarda soluzioni formali.
c) Agnès Varada : il suo film d’esordio è “Cleo dalle 5 alle 7”. Sono due ore di film in
parallelo con le due ore della protagonista in cui lei attende un referto medico
probabilmente drammatico. Il quotidiano viene investito di significati e il film
gioca con sensibilità sull’alternanza tra oggettività dei fatti e soggettività del loro
sguardo.
CAPITOLO 10
L’espressione nuovo cinema indica ormai per convenzione storica una serie di esperienze
creative che si estendono su scala internazionale dalla fine degli anni Cinquanta ai primi
anni Settanta. Si tratta di esperienze eterogenee difficilmente sintetizzabili in una definizione
univoca, ma accomunate da una forte volontà di rinnovamento sul piano organizzativo,
immaginario e narrativo.
Il nuovo cinema rimette in questione il cinema stesso, le sue forme discorsive, le sue strutture
narrative, le sue funzionalità ideologiche e insieme pone domande all’individuo e alla
storia. È un cinema percorso da una visione utopica, a tratti radicale. Mentre auspica una
trasformazione del linguaggio, implica congiuntamente un’ipotesi di trasformazione
dell’individuo e della società.
a) È un cinema meno vincolato allo studio system con troupe più ridotte.
b) Si introducono pellicole più sensibili: la minore quantità di luce permette di fare molte
registrazioni all’aperto e riduce anche il numero e l’ingombro dei proiettori.
c) Prevale la luce più diffusa, chiamata ad “acquario”, alle volte “sporca” e non più
composta da fasci luminosi.
e) Si diffonde l’uso dello zoom e l’alleggerimento delle cineprese rende più facile
l’impiego della macchina a mano.
L’affermarsi del nuovo cinema è legato ad una trasformazione non solo delle condizioni
produttive ma anche dell’orizzonte sociale della cultura e dell’immaginario. Il nuovo
cinema pone al centro un nuovo soggetto esistenziale, immerso nelle problematiche
relative alle sue scelte di vita e al destino. È un soggetto-personaggio generalmente
giovane, impegnato ad inventare la propria vita al di là dei punti di riferimento e dei valori
condivisi. È un giovane che va controcorrente che rigetta le convenzioni, le regole, le
tradizioni, spesso anche la religione, ma è soprattutto un soggetto che scopre la propria
condizione di puro essere al mondo. La sua prima opzione è in genere l’autenticità contro
tutti le convenzioni e le ipocrisie ma non è sempre qualcosa di spontaneo, anzi, quasi
sempre va ricercato. Durante questo percorso scopre in genere che la condizione
dell’autenticità è la realizzazione della libertà e afferma la libertà come componente
essenziale dell’essere al mondo. Queste strutture del soggetto implicano una serie di
trasformazioni relative all’orizzonte del mondo narrato. I contenuti narrativi non si
presentano più organizzati in sistemi chiusi di causa effetto, ma assumono articolazioni più
aperte e segue dei processi misti. Naturalmente anche la messinscena è realizzata in modo
diverso.Innanzitutto il regista è generalmente anche autore della sceneggiatura. La
messinscena classica viene abbandonata per favorire inquadrature lunghe e piani-
sequenza. Le riprese non avvengono in studio ma all’aperto e gli attori solitamente sono
giovani e sconosciuti.
Il contesto sociale e l’esistenza quotidiana delle classi lavoratrici sono il soggetto privilegiato
dei film del free cinema. Vi è la volontà di radicarsi nel vivo della realtà. Questa scelta
implica l’utilizzo di fabbriche e strade come ambientazione cinematografica. E il soggetto
è un giovane proletario escluso, non un outsider borghese., il cui percorso eversivo è quasi
obbligato. L’idealizzazione di costruire un personaggio antisociale si mescola spesso con la
volontà di costruire una rappresentazione razionale in grado di evitare l’impressionismo
psicologico. Il free cinema concentra la sua innovazione più sul piano ideologico, mentre
non intende sperimentare apertamente sul piano della forma. Si cerca di dare
all’inquadratura un taglio grezzo, trascurato ma rigidamente funzionale.
Il nuovo cinema polacco si sviluppa all’interno di una produzione nazionale che, già negli
anni ’50, si era aperta a nuove esperienze di innovazione. La realtà e le conseguenze della
guerra sono naturalmente i temi d’ispirazione ma vengono vissute come se esse
costituissero una lacerazione dell’individuo. La coscienza di uno smarrimento storico
sarebbe di lì a poco maturata in tutta la cultura europea. Nel decennio successivo emerge
una nuova generazione d’autori che cerca di avviare un più netto e coraggioso
rinnovamento stilistico. Inoltre il corpo per il soggetto- personaggio è il luogo dove bisogna
sentirsi esistere e dunque in esso è più forte il conflitto diventa ancora più forte. Il
masochismo e lo scontro fisico vengono visti come avventura e sperimentazione
dell’esistenza, come dinamiche del comportamento attraverso le quali i personaggi
affermano o negano la propria identità. La violenza e il male sono condizioni storico-
soggettive ordinarie e che quindi risultano essere persino banali.
Il nuovo cinema in Ungheria arriva con un leggero ritardo nei primi anni Sessanta, ma trova
subito un terreno di crescita favorevole. Il cinema ungherese si orienta verso la riflessione
storica in chiave sociologica e politica dalle dimensioni epiche. La storia è un non-senso
senza alcun progresso: l’individuo e la sua psicologia non hanno più alcuna funzione,
domina l’oppressione tragica, la semplice alternativa tra crudeltà e morte. L’avvenimento
storico diventa un movimento di linee e di spirali, uno schema geometrico, un equilibrio di
vuoti e di volumi, di masse e di linee. Il dialogo è ridotto all’essenziale e domina il piano-
sequenza.
In Unione Sovietica il disgelo successivo alla morte di Stalin crea un rinnovamento dei mezzi
espressivi. Il dibattito critico-teorico invece si interroga sulla definizione di un cinema poesia,
centrato sul primato dei valori formali, aperto all’invenzione figurativa, non vincolato
rigidamente al racconto. Attraverso l’esplorazione della dimensione soggettiva e onirica
dell’esistenza e la predilezione per tematiche introspettive, i film si concentrano in modo
privilegiato sulla psiche dello spettatore.
Il simbolico atto di nascita del nuovo cinema tedesco è il manifesto firmato da ventisei
giovani registi durante il festival del cortometraggio di Oberhausen nel 1962. Nel manifesto
si auspica la nascita di un cinema socialmente impegnato, libero dai vincoli commerciali.
Alla base di ogni film vi è sempre la rilettura, quasi fisiologica e trasgressiva, di un’opera
preesistente. In questo contesto l’attività di Fassbinder è fondamentale. Il suo cinema è allo
stesso tempo classico e moderno. Egli riprende la struttura del melodramma classico ma la
sua modernità emerge grazie alla teatralità dello schema melodrammatico. La critica
sociale si sviluppa solamente nel privato, nell’anima di ciascuno. Il regista non parla tanto
alla ragione critica del suo spettatore ma ai suoi sentimenti. Nel cinema di Wenders invece
le strutture narrative sono povere di avvenimenti. Il montaggio costruisce ritmi rallentati, che
si impossessano lentamente dello spazio senza dipendere dalla rapidità dell’azione. Questa
ricerca dell’essenzialità si traduce anche nell’uso molto frequente del bianco e nero. Egli
compone le immagini come un quadro o una fotografia, come se aspirasse a cogliere nel
quotidiano un’immagine nascosta o una rivelazione inattesa.
Si tratta di un movimento molto politicizzato tra i più compatti e consapevoli di tutto il nuovo
cinema degli anni Sessanta. Quello che lo caratterizza è la volontà di sradicare il
colonialismo culturale hollywoodiano, impegnandosi invece nel recupero della tradizione
popolare brasiliana. Dall’altro lato il movimento vuole fare del cinema un’analisi critica
della situazione politica, economica e sociologica brasiliana. Il cinema ha le potenzialità e
deve cambiare il mondo. La macchina da presa deve poggiare il suo sguardo sulla fame
e sulla povertà. Il punto di riferimento di questo movimento è il neorealismo italiano. Il regista
Rocha si concentra sui drammi interiori e della morte, che sa raccontare con un’epicità
straordinaria. L’universo dei suoi film è quello dello scontro dell’uomo con la storia, della
sconfitta del povero e del suo insopprimibile desiderio di liberazione.
CAPITOLO 11
I nuovi registi degli anni Sessanta non hanno intenzione di rompere con la tradizione dei
padri e con il loro lascito neorealistico, ma se ne proclamano eredi e continuatori.
Fondarono tuttavia un nuovo immaginario cinematografico, basato sul diverso rapporto
con la realtà: assunsero il quotidiano e l’ordinario contro il fiabesco e l’epico del cinema
precedente, enunciarono e praticarono una diversa etica dell’estetica dove il realismo non
era che la forma artistica della verità. Essi considerarono oggetto vivo del film il mondo, non
la storia e non il racconto, realizzando quel cinema che essi ritenevano utile all’uomo e
ideato per la verità e per la conoscenza. È soprattutto con il neorealismo che grandi e
piccoli cineasti italiani di fine anni Cinquanta, inizio anni Sessanta, si trovano a fare i conti e
con il quale devono misurarsi.
La particolarità del caso italiano è che la generazione dei padri non impedisce l’affacciarsi
sugli schemi di una generazione dei figli, con una coincidenza di date che fa giustamente
parlare di una nuova ondata italiana, anche se la politica degli esordi è il risultato di
un’opzione di alcuni produttori che l’effetto di una incontenibile pressione generazionale.
L’operazione nouvelle vague italiana è stata parzialmente artificiosa, poiché più di tre
quarti degli esordienti non andò oltre l’opera prima, mentre poco meno di un altro quarto
non andò oltre il secondo titolo o al massimo il terzo oltre a quello dell’esordio. La vera
nouvelle vague italiana è il neorealismo.
11.3 I GENERI
Così tra la fine degli anni Cinquanta e gli avviati anni Sessanta vengono avviati diversi
generi di film tra cui ricordiamo i più importanti:
- I pepla: il filone di film che raccontavano le vicende degli eroi classici (Ercole,
Maciste, Sansone..)
- I film sexy
- Gialli
- Fantasy
- Fantascientifici
- Spionistico
- Spaghetti western: che è il genere di film (dopo la commedia italiana) che ha una
maggiore durata cronologica nella produzione del cinema italiano.
- La commedia italiana: negli anni Settanta ha dei risvolti quasi volgari, si dimostra
irrispettosa nei confronti dell’autorità sociale, statale e religiosa. Da una parte sono il
prodotto medio più venduto nazionalmente, dall’altra sono un prodotto che fornisce
un’immagine deformata della realtà e della società italiana del periodo.
Con Visconti il cinema, come il teatro, pur chiuso in una concezione sostanzialmente
aristocratica dello spettacolo effimero e superficiale, elabora concetti di verità e di
impegno sociale. Gli autori degli anni ’50 che, formatisi dentro il neorealismo, vi portano
altre e più complesse lezioni, sono Michelangelo Antonioni e Federico Fellini. Antonioni
esordisce con “Cronaca di un amore”, che ha struttura e cadenze narrative del romanzo
giallo. La vera crisi si ha dopo la metà degli anni ’50, crisi che colpisce la maggior parte dei
registi italiani e non. Da questo momento nei suoi film Antonioni frantuma il racconto in
lunghe pause contemplative, ne distrugge le regole convenzionali per puntare l’attenzione
essenzialmente su momenti statici, privi di drammaticità, quasi banali, ma carichi di
significato. Personaggi e ambienti perdono progressivamente il loro carattere spettacolare
per assumere una funzione metaforica e diventare una rappresentazione astratta del reale.
Antonioni giunge alla coscienza della totale soggettività dell’esperienza e comincia ad
interrogarsi sulla presunta oggettività della tecnica. In campo internazionale, sia per il suo
valore artistico che culturale, segna l’inizio di un cinema antispettacolare, che avrà grande
sviluppo negli anni a seguire.
Uno spazio di riguardo, nella produzione cinematografica successiva alla fine degli anni
Cinquanta, è da dedicare a Francesco Rosi che si era messo in lue con l’esordio de “La
sfida”, il suo capolavoro e uno dei risultati migliori del cinema italiano. Rosi concatena i fatti
attraverso un discorso ermeneutico anziché lineare.
Con la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni ’80, l’opzione definitivamente
cinematografica di Amelio, la sismicità realizzativa di Avati, la minore sporadicità di Carpi
e di Faccini, con i lutti d grandi maestri ( De Sica, Visconti, Pasolini, Petri, Rossellini) che
colpiscono la generazione neorealistica, la scena del cinema italiano cambia. E non solo
per la piena attività di questi nuovi cineasti ma anche perché si affacciano sul set un paio
di nuove generazioni; mentre il ridimensionamento del cinema italiano è talmente radicale
da rendere sempre più difficile stabilire una netta differenza tra spettacolo destinato al
cinema e quello destinato alla televisione.
CAPITOLO 12
Storicamente, il film a soggetto è stato considerato come una sorte di arte minore che
poteva fornire una piacevole appendice allo spettacolo. Nel caso dei generi estranei alla
logica dell’industria, come il cinema didattico-scientifico o quello sperimentale, la vita di
questi film si è svolta all’esterno del circuito commerciale, lontano dal grande pubblico:
nelle scuole, nei cine club, nei festival. La centralità del cinema di finzione è tale che per
indicare il documentario spesso si usa il termine non-fiction, cioè si utilizza una definizione al
negativo.
a) Etnografici
b) Sociopolitici
c) Scientifici
d) Artistici
e) Storici
Ciò che accomuna film tra loro così distanti è il fatto di non raccontare una storia, non vi è
sceneggiatura, non ci sono né fabula, né personaggi; le persone che vediamo sullo
schermo si limitano a vivere la loro vita. Dopo gli anni Sessanta il cinema non–fiction si
incontra con la televisione e la tecnologia video, e tende ad essere realizzato con supporti
diversi rispetto a quelli a pellicola ed è anche per questo motivo che i documentari
spariscono dalle sale cinematografiche per approdare sul piccolo schermo.
Il cinema nasce come uno strumento di registrazione reale, gli operatori Lumière erano
mossi da un intento sostanzialmente documentaristico: essi si limitano a riprendere la realtà
così com’è. Questo non significa che nel cinema delle origini ci sia una netta distinzione
tra fiction e non-fiction. I programmi delle proiezioni cinematografiche del Novecento
prevedevano una vasta gamma di film di finzione e non, come ad esempio comiche,
melodrammi e attualità, tutti facenti parte dello stesso spettacolo ed erano sullo stesso
piano. Lo scoppio della Grande Guerra fornisce un forte impulso allo sviluppo della non
fiction. Ben presto ci si rende conto delle potenzialità propagandistiche del cinema e sugli
schermi europei compaiono documentari e cinegiornali che illustrano i vari aspetti del
conflitto in corso.
La forma del documentario come forma espressiva matura e consapevole si deve al regista
Flaherty. Egli era affascinato soprattutto dal mito rousseauiano del buon selvaggio. In primo
luogo il regista vuole documentare i costumi delle popolazioni ai margini del mondo
moderno. Questa rappresentazione romantica dei “barbari” è stata spesso accusato di
ingenuità e di paternalismo. Proprio per il rispetto che il regista aveva per la umile vita degli
inuit (soggetti del suo primo grande documentario), egli punta ad uno stile trasparente: il
film non deve alterare il reale ma deve limitarsi a registrarlo. Opta per un montaggio
invisibile che cancella le proprie tracce, cercando di dare l’impressione del flusso naturale
degli eventi. Se Flaherty si interessa a culture primitive, Vetrov e Ruttmann collocano al
centro del loro film i ritmi frenetici delle grandi città, dominate dalla meccanizzazione
dell’esistenza umana.
L’uso del documentario come strumento ideologico culmina nella seconda guerra
mondiale, quando tutti i paesi belligeranti fanno ricorso alla non-fiction per mobilitare il
fronte interno e motivare le truppe combattenti. Fondamentale in questo contesto è il film
“Why We Fight”, un super documentario in sette puntate di un’ora ciascuna di Frank Capra.
Esso venne prodotto dall’esercito americano per spiegare ai cittadini in uniforme la natura
del conflitto cui il governo chiedeva loro di partecipare.
Il cinema diretto: Il Cinéma Verité di Morin e Rouch è assimilabile per alcuni aspetti a un
movimento che si sviluppò al di fuori dei confini francesi, principalmente in Canada e negli
Stati Uniti, ed è conosciuto come “Candid Cinema” o “cinema diretto”. L’avvento del
cinema diretto fu favorito dall’introduzione di attrezzature per la ripresa in esterni più
leggere e sofisticate di quelle sino ad allora in circolazione, e del registratore per la presa in
sincrono del suono, che permisero di girare con facilità ovunque garantendo nel contempo
un livello tecnico molto elevato. Altre caratteristiche del cinema diretto furono la scelta di
attori non professionisti che interpretavano se stessi, l’improvvisazione e un uso della
macchina da presa che puntava a trasmettere un forte senso di realtà e immediatezza. A
parte questi elementi comuni, il cinema diretto si differenzia dal Cinéma Vérité
nell’adozione di un approccio alla realtà affine a quello del documentario classico, che
evita il più possibile le interferenze con l’evento filmato e si limita a testimoniarne fedelmente
lo svolgimento. Il Free Cinema (“cinema libero”; l’espressione fu usata per primo dal critico
Alan Cooke, a indicare quei film che avevano in comune “l’uso personale ed espressivo
del mezzo”) nacque come reazione alla patinata e ingessata tradizione cinematografica
inglese. Scopo del movimento era la creazione di un cinema “libero” da istanze
commerciali, passando per una pratica di ripresa più economica e con strumenti
maneggevoli, e per una forma di rappresentazione prossima al documentario sociale, in
consonanza con il movimento letterario degli angry young men (“giovani arrabbiati”) di
John Osborne e Kingsley Amis. Si cominciarono a delineare le caratteristiche del Free
Cinema: riprese negli esterni reali e spesso degradati delle città industriali; soggetti
incentrati sulla vita di una gioventù proletaria frustrata e nevrotica, ma comunque vitale, e
che si esprime in cockney (il dialetto londinese); dissacrazione degli ideali tradizionali,
decaduti con la fine dell’impero britannico; ritmo frenetico e urlato; attori lontanissimi dalla
misura teatrale degli Olivier, dei Gielgud, dei Guinness.
Cinéma Vérité: Espressione francese, che significa letteralmente “cinema verità”, usata per
la prima volta dal sociologo Edgar Morin nel titolo di un articolo sul lavoro del regista
francese Jean Rouch. L’articolo, pubblicato sulla rivista “France Observateur” nel gennaio
del 1960 e sottotitolato Une Expérience de Cinéma Verité, anticipava le tematiche che
sarebbero state trattate pochi mesi più tardi dallo stesso Morin con Rouch nel film
“Chronique d’un été” (Cronaca di un’estate, 1961). In Chronique d’un été, Rouch e Morin
interagiscono direttamente con i protagonisti del film, interrogandoli su temi personali e
attribuendo alla macchina da presa una funzione catartica. Attraverso il progressivo
disvelamento delle rispettive personalità, “Chronique d’un été” trasmette squarci della
realtà quotidiana delle persone coinvolte nella realizzazione del film.
Dopo gli studi al Carnegie Institute of Technology, si trasferì a New York, dove esordì nel
campo del disegno pubblicitario, imponendosi all'inizio degli anni Sessanta sulla scena
internazionale come maggior rappresentante della Pop Art. Dal 1963 al 1970 sospese
l'attività pittorica per girare film e fondò a New York la sua Factory, circolo sessualmente
permissivo, frequentato da una serie di esibizionisti e sbandati, di cui raccontava le storie di
marginalità e disadattamento all'ombra del sogno hollywoodiano. La tecnica è
elementare, la ripresa viene deliberatamente disturbata dallo strobe cut, uno spazio
luminoso creato dall'esposizione di alcuni fotogrammi che irrompe a fine sequenza come
un difetto di pellicola. Tutti i film di W. sono in 16 mm, in bianco e nero e hanno un sonoro
ottico mediocre; il taglio delle inquadrature è drastico, visibile, antiestetico, e rompe la
fittizia unità drammatica consentita dal montaggio pulito. Anche la tecnica del piano-
sequenza usata abitualmente dal regista produce una sensazione di snervante immobilità
e di abolizione del tempo, costringendo lo spettatore a un'estenuante attesa di fronte a
una camera fissa su antidivi e scene quotidiane svuotate di significato. Il regista si limita a
disporre e registrare l'azione e quindi manca il soggetto-autore. Su questo punto, il cinema
e la pittura (per es., la sua serigrafia Campbell'soup) di W. coincidono, dal momento che,
in un'era tecnologica, l'imitazione acquista l'ulteriore statuto della riproduzione e il creatore
scompare. Si pensi alla lunga ripresa dell'Empire State Building in Empire (1964), film-ritratto
di natura morta che consiste in un'inquadratura della durata di otto ore sul famoso
grattacielo che si staglia su New York. La possibilità di registrare ogni tipo di fatto fortuito fa
del film un prodotto del caso, una registrazione genuina di avvenimenti. Couch (1964) porta
all'estremo quest'estetica minimalista, in un ready made cinematico che fa ampio uso di
pellicola nel tentativo di catturare gli incontri casuali che avvengono su un divano
inquadrato anche in assenza del regista, ospitando conversazioni e rapporti sessuali che si
consumano nella generale indifferenza. Nel 1964 W. girò il suo primo film sonoro, Harlot,
seguito da Vinyl (1965), prima versione cinematografica di A clockwork orange di A.
Burgess, e da Kitchen (1966), dove trascuratezza e incompletezza stilistica diventano
deliberata strategia compositiva. Nelle scene a volte si aggira anche qualche intruso, a
sottolineare che quanto avviene in scena è altrettanto importante del fuori scena, dando
all'opera un carattere collettivo di happening. Ma il cinema di W. è anche e soprattutto
parodia di Hollywood: egli infatti porta all'estenuazione caricaturale i divi inscenando un
divismo declassato, kitsch, in una demistificazione che investe star del cinema, generi e
personaggi cinematografici.
CAPITOLO 13
Alla fine degli anni ’70 il panorama complessivo dell’industria del cinema americano è
fortemente mutato rispetto a quello dell’epoca dello studio system. Le grandi case
svolgono soltanto il ruolo di distributori mentre la produzione vera e propria è realizzata da
piccole compagnie, spesso legate al nome di un attore o un regista. Allo stesso modo si è
modificata radicalmente anche la composizione del pubblico. Gli spettatori sono quasi
unicamente giovani, le famiglie stanno a casa a guardare la televisione.
In America a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, si diffonde la nozione di autore
cinematografico e questo lo si deve all’abolizione dello studio system. In questo modo i
registi possono diventare addirittura registi di se stessi e sono inseriti in un contesto produttivo
estremamente elastico, articolato in piccole case di produzione che non esercitano il
compito di grandi majors.
Con l’espressione New Hollywood si indica quel vasto processo di ridefinizione dei caratteri
dell’industria cinematografica americana che si verifica alla fine degli anni Sessanta. Questi
anni infatti vedono una progressiva crisi del cinema delle majors hollywoodiane, costrette
a subire non solo la concorrenza della televisione ma anche delle produzioni indipendenti,
spesso più dinamiche e in sintonia con il pubblico giovane. Le figure che popolano i film
della New Hollywood, seppure possano esser più sfumate e contraddittorie dei personaggi
della Hollywood classica, sono comunque dotate di vitalità, di una propensione all’azione
che i loro omologhi europei difficilmente possiedono. Gli autori della New Hollywood non
elaborano un modello alternativo a quello classico, è pur vero che essi non si limitano a
riproporre le vecchie regole, ma realizzano una sintesi tra tradizione hollywoodiana e
cinema della modernità, soprattutto per quanto riguarda la natura delle storie e dei
personaggi, ma talvolta anche in certe scelte di messa in scena e montaggio.
Il percorso di questo regista è completamente diverso da quello degli altri autori del New
Hollywood, il suo lavoro procede in totale autonomia rispetto a qualsiasi movimento o
tendenza, mantenendo sempre un rapporto dialettico di amore e odio con l’America e la
sua industria del cinema. Kubrick abbandona gli Usa per la Gran Bretagna, dal suo primo
film in poi, seguì tutte le fasi di realizzazione del film e si pose come esempio di autore totale
cinematografico.
Tuttavia tutti i suoi film furono dei grandi successi commerciali e possiamo dire che ha un
modo di narrare simile a quello del periodo dello studio system. Kubrick utilizza le regole del
genere, ma soltanto per sovvertirle dall’interno, ribaltando il senso che queste avevano nel
contesto originario. Se da un lato Kubrick dialoga con la tradizione del cinema americano,
dall’altra la stravolge inventando il cinema del futuro: la fantascienza, con tutti i suoi effetti
speciali, diventa grazie a lui un genere autonomo.
CAPITOLO 14
Sul piano stilistico la produzione Hollywoodiana degli anni 80 e 90 recupera la lezione del
cinema classico soprattutto attraverso:
b) Un’opzione preferenziale per alcuni generi forti, di sicuro successo di pubblico legati
a divi di fama.
c) Uno spettacolo sfarzoso che fa ampio impiego degli effetti speciali e delle
tecnologie più recenti.
Questo non significa, soprattutto nel caso Spielberg , l’adesione a una bruta concezione
mercantile di cinema. Anzi nei suoi film egli riesce a coniugare un forte senso dello
spettacolo con una ricerca espressiva tutta personale. In questo complesso percorso,
Spielberg è anche in grado di mantenere quella vocazione politica che era stata propria
della generazione della New Hollywood. Ma tra la Hollywood del passato e quella
contemporanea vi sono dei vistosi elementi di rottura. Ora le majors operano soprattutto
come distributori, si crea inoltre un panorama di scelta uniforme, dove mainstream e opera
d’autore sono il frutto della medesima committenza che cerca di raggiungere pubblici
diversi. Inoltre con il finire del millennio l‘industria del cinema americano diviene il tassello di
una più ampia industria dell’intrattenimento. In Europa gli inizi degli anni Ottanta vedono
una situazione tutt’altro che rosea per il cinema. Da un lato la concorrenza americana
dopo la rinascita di Hollywood si fa ancora più agguerrita. Dall’altro la televisione sottrae
un’ampia fetta di pubblico ai film, provocando una drastica riduzione delle sale
cinematografiche e una contrazione di produzione. Il risultato è la quasi totale scomparsa,
dal panorama del cinema europeo, del racconto di genere, ossia delle forme più popolari
che vengono surclassate da Hollywood oppure dal piccolo schermo. In un quadro
economicamente incerto, in cui vengono a mancare i grandi produttori nazionali del
passato, in Europa sono soprattutto le reti televisive, spesso operando attraverso
coproduzioni multinazionali, a farsi carico di buona parte del finanziamento del cinema.