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FORME E SVOLGIMENTO DEL CINEMA Dl ANTONIONI

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TUTTI I DIRITTI RISERVATI

© 1973 by BULZONI EDITORE S.r.l.


00185 ROMA - VIA DEI LIBURNI, 14
CAPITOLO I

LA FORMAZIONE
ÍNDICE

Capitolo I
La formazione pag. 7
Note al capitolo I » 23

Capitolo II
Nascita dello «Stile Antonioni»: dai cortometraggi a
Cronaca di un amore..................................................... » 25
Note al capitolo II............................................................ » 45

* Capitolo III
I caratteri differenzianti dello « Stile-Antonioni» . » 49
Note al capitolo III..................................................... » 107

- Capitolo IV
La forma strutturale del cinema di Antonioni . » 115
Note al capitolo IV............................................... » 143

Capitolo V
Caratteri e svolgimento delia visione di Antonioni . » 145
Note al capitolo V............................................................ » 227
Accade raramente che uno studio dedicato all’opera di
Antonioni non si soffermi a sottolineare i segni delia sua voca-
zione di intellettuale e di artista quali si manifestarono già negli
anni delPadolescenza e delia giovinezza ferrarese. Se ne ricorda
la nascita da una famiglia delia media borghesia padana, súbito
contraddetta da un’irrequietezza che lo portava ad abbandonare
gli studi liceali per quelli commerciali: per seguire una ragazza
delia quale era innamorato, dice il regista, ma incrinando già
il cursus vitae appropriato ad un rampollo delia buona borghesia.
E si pone aticora Paccento sulla sua attenzione, sempre aggior-
nata, ai fatti delia cultura, sulle sue letture, sul suo gusto nativo
per le arti figurative e per il disegno architettonico in parti-
colare, sulla sua diretta attività artística e culturale: Porganiz-
zazione di una compagnia teatrale studentesca con la quale
metteva in scena testi di Pirandello, Ibsen, Cechov e suoi, la
costituzione di una sorta di cenacolo letterario, con gli amici
Bassani e Caretti, fra gli altri; i brevi racconti pubblicati sul
« Corriere Padano » e le rubriche di critica teatrale e cinemato­
gráfica tenute sullo stesso giornale. Tutte forme — come ha
dichiarato lo stesso regista — che rappresentavano Púnico
modo di reagire contro Pambiente culturalmente inerte di
Ferrara e comunque per fare delle esperienze utili.
Come si vede, le informazioni sugli anni delia formazione
intellettuale e culturale che Antonioni è solito dare — rom­
pendo con manifesta fatica il riserbo dietro il quale ama
nascondere la própria vicenda privata — sono piuttosto scarne e
tuttavia ugualmente interessanti, ma solo a patto che esse
vengano correttamente utilizzate. Sarebbe certamente scorretto
interpretare queste testimonianze delia giovanile tendenza di
Antonioni alio status di intellettuale in qualche modo in
conflitto con Pambiente e gli itinerari prestabiliti, in senso, per
cosi dire, celebrativo, vedendo in questa reazione alia « medio-
critas » borghese il segno germinale delia rivolta artística alPesi-
stente, o, ancor piu, al clima sociale del quale il fascismo era la
manifestazione política. È ciò che àccade a coloro che vogliono
a tutti i costi offrire una valutazione positiva anche in senso
direttamente político ed ideologico delia figura artística e cultu-

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I
rale di Antonioni e si sentono in dovere di rintracciare sino negli
anni delia formazione i segni di questo impegno critico, o almeno
di insofferenza nei confronti delia realtà politica e sociale, ed
impostano poi sotto il segno di questo originário ed esplicito
antagonismo tutta Pinterpretazione delPattività artística del
! regista.
È questa, evidentemente, una forzatura che scambia certe
I manifestazioni, a livello delia psicologia e del comportamento
individuali, delle contraddizioni interne alia borghesia e delia
sorda lotta per la reciproca sopraffazione che si conduce fra le
varie frazioni borghesi, con una vera e própria presa di
coscienza in senso antiborghese ed anticapitalistico. Che il figlio
di un medico, di un burocrate o di un rentier fondiario si volga
alPattività intellettuale ed artística non è, in sé, né sorpren-
dente, né raro, né particolarmente significativo ed indicativo di
una scelta anticapitalistica, neppure nel senso delPanticapita-
lismo romântico, posizione reazionaria ma che si colloca ad un
livello assai piíi elevato di elaborazione ideologico-culturale.
Queste manifestazioni di insofferenza non superano invece lo
stadio del sintomo indiretto e non consapevole delle situazioni
di crisi che investono i ceti medi relegati dallo sviluppo capita-
i listico in posizioni ancora privilegiate ma parassitarie ed estranee,
dunque, alie funzioni vitali del sistema, alie scelte fondamentali,
ai processi decisivi e realmente produttivi e dunque in qualche
modo (anzi nel solo modo considerato realmente tale dalla lógica
capitalistica) creativi. Questo non significa, naturalmente, che
anche Pintellettuale o Partista grande-borghese debba essere
relegato in questo ruolo, puramente passivo, di manifestazione
sintomática, a livello ideologico, delle insanabili contraddizioni
esistenti fra le varie zone del tessuto borghese, significa solo
che i segni di un malessere risolto nelPattività culturale non
sono sufficienti perché si possa legittimamente parlare di un
atteggiamento in qualche modo antagonistico, né considerare
dunque le sue prime manifestazioni come Pinizio di un processo
lineare di cui si debbano seguire le tappe, la maturazione e
lo sviluppo.
Considerata a questo livello, insomma, la vicenda di Anto-
rioni non è in nulla diversa o piu significativa di tante altre
che accadevano allora e accadono oggi, con un uguale grado di
mistificazione, che Panalisi materialistica dei rapporti di classe 1
deve dissipare. Anzi, la vicenda personale di Antonioni non
sembra neppure particolarmente indicativa per la ricostruzione

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di un clima storico e di costume, che viene evocato in termini
molto piu netti e precisi da Renzi1 e dallo stesso Cavallaro2.
Ma la « preistoria » di Antonioni non contiene in sé soltanto
gli elementi di una vicenda di sublimazione nell’attività cultu-
rale del malessere borghese, o, piu precisamente, se non è
possibile né corretto utilizzarla in termini di diretta valutazione
positiva, essa può essere considerata utile per la determinazione
di una delle componenti delia personalità del regista, fonte
di molti cquivoci e di molti fraintendimenti, cioè di quel-
lo che generalmente viene chiamato il suo intellettualismo.
Insomma, se le letture, le precoci attitudini figurative, Pattività
teatrale e letteraria e la stessa attività di critico cinematográfico
non sono, come da qualcuno si pretende, direttamente e positi­
vamente indicative di un valido atteggiamento antagonistico nei
confronti del medíocre universo medio-borghese provinciale e,
attraverso quello, delia realtà sociale fascista e piu generalmente
capitalistica, ma, al contrario, vanno oggettivamente considerati
come il prodotto di una situazione storico-sociale determinata,
che ha come propri termini necessariamente costitutivi anche
queste forme che esprimono e risolvono a livello ideologico e
culturale i meccanismi di emarginazione prodotti dalla lotta
delle classi, se, insomma, la dimostrazione di un precoce ed
irrequieto impegno culturale non vale, da sola, a fondare una
caratterizzazione in termini di opposizione critica all’esistente,
serve però a chiarire o ad individuare una delle componenti
interne di un fenomeno che trova ad un livello diverso le ragioni
reali delia sua positività ed a questo livello deve essere definito
e caratterizzato. L’impegno culturale ed intellettuale di Anto­
nioni, quel suo tendere alia funzione e alio status di intellettuale
vanno certo individuati, chiariti e correttamente valutati perché
entrano direttamente nel suo modo di essere autore cinemato­
gráfico3. Essi sono certo airorigine di momenti ed aspetti poco
convincenti delia sua opera, che si rivelano in forma partico-
larmente pesante nella impostazione e nelle scelte tematiche di
un film come La Noite, cioè nelPimmediata ricezione delle
situazioni piu recenti del costume delia classe intellettuale, dei
suoi temi e delle sue mode. Ma è necessário non restringere la
própria attenzione a questi aspetti, compiendo un errore opposto
ma analogo a quello visto sopra, e non considerare il cinema di
Antonioni come una forma di esibizione spettacolare di temi
culturali via via alia moda, il generico esistenzialismo, Pinco-
municabilità, Palienazione borghese, la nevrosi, la cosiddetta con-
testazione giovanile, perché, se questi temi sono indubitabilmen-
te presenti nei suoi film e se la loro successione presenta una

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sicura coincidenza cronologica con le oscillazioni del gusto .
culturale italiano del dopoguerra ciò non significa che nella
esibizione, appunto, di questi temi consista la sostanza del cine­ !
ma di Antonioni.
Antonioni non è certo un filosofo, né un sociologo, né un
critico delia civiltà ed è inutile quindi aspettarsi da lui una
proposta originale di interpretazione dei caratteri delia società
del nostro tempo e dunque, se analizzati al livello loro proprio,
i temi saggistici, per cosi dire, del cinema di Antonioni
appaiono recepiti in puri termini ripetitivi e, nei momenti di
minore o assente felicita artística, pesano come pretenziosi,
inutili ed irrisolti aggregati aH’immagine. Ma se prendiamo in
considerazione 1’ipotesi che non a questo livello si debba collo-
care la sostanza vera delPoperazione che Antonioni compie
con i suoi film, e che la sua divulgata tematica debba essere
considerata non come il senso reale delia sua opera, ma come !
una delle componenti di cui devono essere chiarite le motiva-
zioni e la forma di assunzione all’interno dell’operazione artí­
stica, si vede allora come 1’intellettualismo, nel senso sopra
accennato, di questo regista riveli un aspetto positivo accanto
a quello negativo. Non si può tacere che in molti critici la
i nozione di «intellettualismo», vecchio idolo polemico delia
critica di derivazione romantica, diventa, a proposito del cinema
di Antonioni, un comodo paravento dietro il quale nascondere
una sostanziale incomprensione, mascherata appunto con lo
scontato rilievo che Antonioni non possiede la statura del
grande intellettuale o del grande saggista e si limita a ripro-
porre sullo schermo, in una forma raffinata ma povera di reali
articolazioni concettuali, che rivela un atteggiamento passivo
e sostanzialmente «provinciale», come afferma qualcuno che
di apparire lui stesso provinciale deve avere il fondato terrore,
i temi di volta in volta proposti dall’industria culturale, delia
quale si farebbe appunto il veicolo spettacolare. E certo, estra-
endo dai film di Antonioni questi temi, considerati in astratto,
essi non rivelano alcun approfondimento originale: Antonioni
non aggiunge nulla alie nostre conoscenze sulla nevrosi con il
film Deserto rosso, come sottolinea il David 4, o sulPalienazione
borghese, come gli rimprovera il Bàrberi-Squarotti5. Ma il
problema è se sia legittimo considerare il film come la tradu-
zione figurata di un tema discorsivo, come apologo figurale o
iconico, o come verifica «in natura» di esso; piii precisa­
mente, se sia legittimo, o lo sia sempre, assumere come termine
di valutazione la precisione e Poriginalità dello svolgimento
in termini figurali o iconico-cinetici di questo tema, una volta

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che se ne sia constatata \a presenza, senza preoccuparsi di
chiarire quale sia la funzione che un certo complesso di compor-
tamenti, riducibili aU’interno di una determinata categoria psico­
lógica o sociologica, svolge nell’economia complessiva delPope-
razione filmica. E questo problema si pone particolarmente per
Antonioni, la cui opera, molto spesso, è stata definita e valutata,
positivamente o negativamente, su queste basi. In realtà, come
vedremo, 1’analisi stilistica e la ricostruzione delia poética di
Antonioni dimostrano che un simile livello di valutazione critica
è assolutamente inadeguato, che il suo modello di cinema esclude
che se ne possa parlare in termini di esplicitazione figurale di
un tema discorsivo e che quelle forme di comportamento pre-
senti in modo ricorrente nella sua opera non sono, struttural-
mente, la mera proiezione o la trascrizione a livello dramma-
turgico-spettacolare di situazioni sociologiche note, ma il frutto
di una restrizione delPattenzione del regista a situazioni per
lui piú tipiche e a lui piu « congeniali », che non rappresen-
tano certo il termine finale dell’operazione filmica, ma la sua
matéria o, al massimo, una delle sue componenti. Senza voler
anticipare i tempi del nostro discorso, si può senz’altro affer-
mare che la presenza nel cinema di Antonioni di certi temi
correnti nella cultura del dopoguerra non significa che esso sia
una pura operazione di intrattenimento intellettuale, ma che
quella presenza è in stretta connessione (verificabile a livello
delPanalisi stilistica e delia determinazione delia struttura fil­
mica fondamentale) con quella attenzione alia realtà, che vedremo
essere una delle componenti fondamentali delia poética del-
Pautore, e che si realizza naturalmente anche attraverso Passun-
zione di filtri culturali, di carattere ideologico ed artistico, e
di forme di selezione delPesperienza, che di questa attenzione
rappresentano Paspetto piu storicamente determinato ed inne-
stato nella vicenda personale delPautore, il momento nel quale
Pattenzione alia realtà si rivolge a forme socialmente deter-
minate, e non alPeffimero delle apparenze superficiali. Ed è da
questo punto di vista che P« intellettualismo» di Antonioni,
fino dalle sue prime manifestazioni giovanili, può essere positi­
vamente recepito od inteso non piu come direttamente positivo
o negativo, ma come componente al tempo stesso sociale e di
poética di un’operazione che si colloca ad un livello diverso
e piu alto. Ed è dopo avere superato questa fase elementare
delia valutazione che si può intendere dove consista il carattere
anche positivo di questo apparente seguire « le mode culturali »,
che si converte, precisamente, nella tendenza ad essere sempre in
prima linea, a compromettersi costantemente con una realtà

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.
storica in continua modificazione insieme agli schemi intellet-
tuali che intendono spiegarla, a coglierne le manifestazioni
visibili. È esattamente in questo punto che avviene il passaggio
dialettico e che Fevasione culturale, da mero sintomo del disagio
borghese, diventa tensione conoscitiva, concreto retroterra umano
di uno sguardo puntato sul mondo. Naturalmente, in Antonioni,
il salto non è di carattefe/ intellettuale ed ideologico, si
concreta positivamente solo in una personale forma deli operare
filmico, che dovremo definire e caratterizzare, ma è già signifi­
cativo ed importante dire che la sua formazione di intellet­
tuale borghese non si traduce in un ritrarre drammaticamente la
natura umana, considerata come eterna ed immutabile, o Feterno
dramma delia condizione umana, come si dice, né si traduce in
una celebrazione spettacolare, anche sapientíssima, ma vuota,
di temi artistici e storico-culturali già compiutamente definiti,
spesso ricorrente in Visconti, che è, potremmo dire, il correlato
storicistico delia prima posizione; e ancora, che lo tenga lontano
da ogni tentazione a rifugiarsi nelForticello angusto delFauto-
biografismo lirico-spettacolare e lo induca invece a cimentarsi
sul mondo quale via via si viene facendo. In questo senso,
essere « aggiornato » coincide, per Antonioni, con Fessere sempre
in prima linea, con Focchio pronto a recepire non come mode
ma come problemi le continue modificazioni del costume del
nostro tempo ed i filtri ideologico-culturali che utilizziamo per
interpretarle. Ed è forse questo aspetto che ci dà la misura
delia importanza non soltanto stilistica delFopera di Antonioni,
e, nello stesso tempo, delia sua difficoltà, del suo essere sempre
in bilico fra il geniale ed il banale, che è anche, lo vedremo,
la condizione perenne del suo stile, del suo modo cinematográfico
di formare a realtà.
I ricordi, scarsi e frammentari, sugli anni delia formazione
giovanile a Ferrara, che pure ci hanno aiutato a chiarire, per
ora in termini parziali, in quale senso debba essere corretta-
mente assunta dalFanalisi critica la componente intellettuale e
culturale di Antonioni, possono essere anche utili per determi-
nare Forigine di quelle zone di esperienza e di esistenza che
Antonioni ha travasato come matéria costante nei suoi film i
almeno sino al Grido e vX['Avventura e dello stesso materiale í
figurale ricorrente, le situazioni e le immagini costanti, che
entrano in forma determinante nella struttura dei suoi film,
particolarmente per quanto riguarda il carattere dei perso- !
naggi, le loro forme di comportamento, le zone psichiche che
ne vengono messe a fuoco, le forme del loro porsi in relazione I
;
14
reciproca, e insieme, i caratteri piu generali degli ambienti nei
quali la vicenda si inserisce nello spazio del loro esistere.
Leggiamo lo stesso Antonioni: « L’esperienza piu importante
che ha contribuito, io penso, a fare di me quel regista che
sono — buono o cattivo non spetta a me dire — è Pambiente
in cui sono cresciuto, vale a dire Pambiente borghese, poiché
sono figlio di borghesi, cresciuto in un mondo borghese. È stato
questo mondo che ha contribuito ad indicarmi una certa predi-
lezione verso certi temi, certi personaggi, certi problemi, certi
confiitti di sentimenti e di psicologie »6. E ancora: « ...entravo
anche in altre case, solide case cplor mattone dai cornicioni
di cotto, spaziose, sicure, e c’erano quasi tutte le ragazze « per
bene » delia città. E anche qui era sempre la stessa cosa che
nei casamenti popolari, con piu circospezione forse, ma con
una spregiudicatezza complessa e antica, ben dentro la tradizione,
anche artistica, anche storica, delia città. Perche racconto queste
cose e non altre certamente piu interessanti? Forse perché sono
quelle che sento piu mie. II resto mi cadde addosso come
una valanga e io potevo soltanto subire. E poi perché, in
qualche modo, sento che stanno dietro a Cronaca di un amore,
2Uavventura, al Deserto rosso. In altre parole: mi accadde di
scoprire prima la malattia dei sentimenti, che i sentimenti
stessi» 7.
Come si vede, sono parole assai signicative ed indicative
del carattere borghese delia formazione di Antonioni, non soltan­
to per quanto riguarda la sua cultura e, piu precisamente, il modo
borghese di utilizzare e vivere la cultura, ma anche per quanto
si riferisce al campo di esperienza assunto come campione di
vita da travasare nelPopera. E sono parole tanto precise, nella
loro esemplare capacita di sintetizzare un’esperienza, che credo
che tutto quanto è stato detto dalla critica che si muove a
questo livello di analisi, non abbia aggiunto nulla di veramente
sostanziale. Ma, a parte ciò, queste testimonianze, insieme alia
ricorrenza in molti film di forme spaziali e paesistiche e di
atmosfere indiscutibilmente «padane», servono chiarire
1’origine autobiográfica e lontana di vaste zone del suo mate-
riale narrativo e figurale. Ma, anche a proposito di questo
aspetto, la verifica stilistica e strutturale del cinema di Anto­
nioni imporrà di precisare in che senso sia lecito parlare di
autobiografismo e di correggere molte opinioni correntemente
accettate dalla critica. Perché, se si può senz’altro affermare
che il materiale di Antonioni è sempre, in un ceTto senso
materiale autobiográfico, che risalga agli anni delia giovinezza
ferrarese o alie esperienze successive, non per questo è

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I

lecito caratterizzare il suo cinema come cinema autobiográfico,


nel senso in cui è possibile definire in questi termini un certo
aspetto del cinema di Fellini, tanto per fare un esempio.
Perché mentre in Fellini questa è una vera e própria compo­
nente poética e stilistica, in Antonioni il travasare nel film
le proprie esperienze, persino le suggestioni piú immedia-
te, non costituisce, ancora una volta, la sostanza delTope-
razione compiuta, ma trova il suo punto di riferimento e di
giustificazione in quella poética delFattenzione alia realtà delia
quale abbiamo già parlato, che poi si concreta in attenzione
filmica alia realtà e al fenomenico, la quale, per configurarsi
in termini rigorosi, consoni alia severità laica delPautore, ha
bisogno di esercitarsi sopra un materiale conosciuto, diretta-
mente sperimentato, selezionato secondo categorie mentali e
psichiche radicate ormai nell’autore e quasi incorporate negli
stessi suoi sensi. Alio stesso modo che, per un intellettuale
borghese, la realtà è quella che si presenta filtrata dalla cultura
e dalFarte e Pattenzione alia sua mutevole epifania non può
non essere a tempo stesso attenzione alia mutevole epifania
delia cultura. In questo senso il problema deH’intellettualismo
di Antonioni rientra alPinterno del discorso sul carattere auto­
biográfico del materiale dei suoi film, come una delle sue mani-
festazioni. L’errore, come si è già detto, nasce quando si ana-
lizza Poperazione formativa compiuta da Antonioni come se
si esaurisse a questo stadio di esibizione di temi culturali e di
frammenti autobiografici recuperati nella memória e riproposti
alia contemplazione. Mentre, al contrario, 1’analisi stilistica e la
determinazione delia struttura fondamcntale entro la quale si muo-
ve il fare filmico di Antonioni negano proprio la presenza di 1
questa forma di autobiografismo lirico o elegíaco; ché, infatti,
fra le scelte stilistiche di Antonioni, mancano del tutto le forme
delPevocazione e delia sospensione memorativa, tipiche di quella
forma ed infatti ricorrenti con estrema frequenza nel cinema
di Fellini. Segno che, se anche if~ materiale di Antonioni è
autobiográfico, non è in questo idoleggiamento o in questo
recupero magico delia própria esperienza che si risolve il suo
cinema, che, dunque, non ha senso definire autobiográfico senza
ulteriori determinazioni. Del resto, un’altra conferma ci viene
offerta dalla lettura delia pagina, già citata in parte, nella
;
quale Antonioni ricorda la sua giovinezza ferrarese, questa sl
davvero autobiográfica non solo per la matéria ma anche per
lo stile, per quel tessuto di frammenti di immagini nostalgi­
camente evocate, dove tutto il senso delPoperazione espressiva :
si risolve nelPatto magico dePricordo. Ma in questo caso Anto-
I
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nioni è un letterato, un discreto ma affatto originale letterato,
quale si era rivelato anche nelle giovanili prove sul « Corriere
Padano ». Con la scoperta del cinema tutto cambia e quello
che era il tessuto di immagini, di espressioni letterarie sostan-
zialmente ripetitorie, caratterizzate da un senso lirico-impres-
sionistico gradevole ma tenue, diventa il materiale di base del
severo sguardo del regista, che attraverso Pobiettivo sembra
filtrare non solo il mondo esterno ma anche il proprio atteggia-
mento interiore nei confronti di quello e modificarlo radicalmente.
L/ipotesi è dunque (ed è anche una ferma convinzione che
spero sarà convalidata dal seguito di questo discorso) che l’in-
contro col cinema, con la «camera » e con un certo modo di
usaria e di « sentirne » il peso e la presenza, abbia determi-
nato per Antonioni un vero e proprio salto di qualità, il passag-
gio dalla condizione di intellettuale medio-borghese di província,
piu o mcno dotato di sensibilità e di talento, a quella di artista
grande-borghese, non piu mero prodotto di determinati mecca-
nismi sociali ed economici, ma portatore di una delle forme
attraverso le quali alia borghesia intellettuale è dato ancora di
conoscersi e di cogliere, sia pure per via mediata, i motivi pro-
fondi delia própria disperazione o di proiettarli, attraverso la
forma, sul mondo sensibile. Ed è chiaro che, se 1’ipotesi è valida,
e cercheremo di dimostrarlo, la « camera » non è per Antonioni
puro veicolo di contenuti o di temi di origine culturale e psicolo-
gistico-autobiografica, né strumento di fissazione delia loro rap-
presentazione figurata, e che non ha dunque fondamento cercare
di cogliere in essi il senso vero delPopera di Antonioni, che
risiede invece in un certo modo di porsi in relazione col %
mondo (anche con il proprio mondo, naturalmente) attraverso
la camera e nei termini dei suoi specifici modi di rappresen-
tazione.
Dunque, per ritornare al centro del nostro discorso, se
1’utilizzazione delle scarse notizie sulla formazione del gusto
e delia personalità di Antonioni può servire ad individuare
due componenti costanti del suo cinema, quella intellettuali-
stica e quella psicologico-autobiografica appunto, il suo reale
valore consiste però nel limitare 1’importanza di questi due
aspetti considerati in astratto e delle loro forme di attuazione
figurale (personaggi, vicende, luoghi), che non possono essere
considerati come la sostanza del processo espressivo, ma esclu-
sivamente come componenti o radiei nelPindividualità del-
Tautore di una forma autonoma di rappresentazione delia
realtà che si attua e si articola concretamente e positivamente

17
// solo nel momento delPindividuale utilizzazione creativa delia
'r macchina da presa.
Dopo queste considerazioni, non sembrerà strano affermare
! che Pesperienza fondamentale delia « preistoria» artística di
Antonioni è Pesperienza stessa del cinema, che la sua « rivela-
! zione» è la macchina da presa. E Pincontro col cinema è
stato, fino dalPinizio, un confronto col mezzo técnico ed è
coinciso con una volontà di sperimentazione che implicava la
considerazione delia camera come uno strumento attivo di ristrut-
turazione delPesperienza e non come un puro e semplice mezzo
di fissazione d’altre forme. Credo che proprio questo sia il
punto centrale, cruciale addirittura, per la caratterizzazione
delia personalità artística di Antonioni, tale da promuovere
una totale reimpostazione dei vari problemi che il suo cinema
ha sollevato, compreso quello dei suoi rapporti con la cultura
contemporânea, nelle sue varie manifestazioni filosofiche, narra-
tive e figurative; tale infine da impostare in termini diversi dai
soliti la questione dei suoi rapporti con il neorealismo, e la
questione del neorealismo stesso e delle ragioni reali delia
sua importanza nella storia del cinema.
Quello che è importante sottolineare, per il momento, è
I che la assunzione dello strumento filmico non come mera fun-
zione veicolare, ma come funzione produttiva di un modo pecu-
liare di strutturazione delPesperienza, che sara mostrata con
maggiore precisione e abbondanza di particolari piíi avanti, ha
le sue radiei nei primissimi contatti avuti da Antonioni col
cinema, che si sono súbito configurati in un atteggiamento
problemático e tendenzialmente innovativo nei confronti dei
caratteri espressivi dello strumento filmico, considerati nella
loro concretezza di problema che è, innanzi tutto, técnico.
Antonioni si accosta immediatamente al cinema con un
atteggiamento sperimentale ed è la presenza di questo atteg­
giamento — testimoniato nei cortometraggi e prima ancora,
come vedremo fra poco — che può permetterci di avviare in
termini concreti e rcalmente inerenti alia qualità e alia forma
del suo cinema la individuazione delia reale poética di Anto­
nioni, qualc si configura concretamente nella sua riflessione sul
cinema, attuata negli scritti ma ancor di piíi nei caratteri strut-
turali del suo fare filmico.
1
Lo « sperimentalismo di Antonioni inteso come
volontà di saggiare il mezzo técnico, di svilupparne tutte le
peculiari virtualità espressive, di renderlo sempre ^piu libero,
articolato c flessibile, sempre piíi capace di applicare a tutte
le zone delPesperienza umana le proprie specifiche qualità « per-

18
cettive» ed estetiche — si rivela, in una sua prima compo­
nente, nel primissimo incontro con la macchina da presa, ricor-
dato in uno degli scritti di poética piu noti e piu significativi di
Antonioni8. Perche Pidéa, poi non condotta a compimento, di
portare la camera fra i pazzi in un ospedale psichiatrico non è,
a ben vedere, il prodotto di un atteggiamento naturalistico, la
proiezione di un gusto per la « tranche de vie », per la regi*
strazione delia « naturale bellezza delPorrore », come potrebbe
anche sembrare e come in parte forse è, ma piu ancora il segno
di una intuitiva comprensione dei caratteri strutturali del mezzo
filmico, cioè delia sua possibilita di dare vita ad una peculiare
forma di rapporto e di ristrutturazione rappresentativa del-
Pesperienza, delia capacita di svelare, attraverso Paspetto esterno
delle cose e degli uomini, che ne costituisce al tempo stesso
il contenuto ed il materiale espressivo, i tratti significativi e
profondi delPesistenza, selezionando e ricomponendo con Pin-
quadratura e col montaggio questo materiale in sequenze nelle
quali una determinata impressione o concezione delia realtà
si rivela nelle qualità sensibili che il materiale impiegato viene
ad assumere per sola virtu di questi procedimenti, irripetibili
in qualsiasi altra forma espressiva. Credo che sia abbastanza
significativo che il primo tentativo cinematográfico di Anto­
nioni non sia stato, tanto per intenderei, un esile tentativo di
film a soggetto, ma si sia indirizzato súbito ad applicare diret-
tamente, senza mediazioni, Pocchio delia camera alie cose.
Questa è la prima forma dello « sperimentalismo» di Anto­
nioni, il primo frutto delia rivelazione che per lui è stata la
macchina da presa: interrogare le cose, il mondo esterno, gli
uomini, fino a costringerli a rivelare, attraverso le loro stesse
sembianze esterne, la loro interna verità, il loro senso piu ripo­
sto, quello che Antonioni stesso chiamerà il loro « mistero ».
E cogliere fin dalle origini questo atteggiamento è di basilare
importanza per una corretta definizione dello stile di Antonioni,
delle sue motivazioni interne, delia sua importanza nella storia
del linguaggio cinematográfico.
II secondo momento delPincontro di Antonioni col cinema,
la frequenza, sia pure saltuaria ed avventurosa, dei corsi del
Centro Sperimentale di Cinematografia, vale a confermare questo
discorso ed è anch*esso estremamente significativo, da due
punti di vista.

8 Michelangelo Antonioni, Fare un film è per me vivere, in « Cinema


nuovo», Milano, 1953, n. 138.

19
Innanzi tutto qui possiamo individuare un secondo aspetto
di quello che abbiamo chiamato lo « sperimentalismo» di
Antonioni, altrettanto importante del primo (la fiducia, imme-
: diatamente manifestata, che la camera possa essere direttamente,
senza la mediazione di elaborazioni letterarie, un filtro cono-
scitivo, una forma di rapporto creativo con il reale), suo natu-
rale complemento e, come quello, motivo che può essere costan-
temente rintracciato, con diverse flessioni, nello svolgimento
del suo stile. È la costante, puntigliosa volontà, da parte di
Antonioni, di sondare il mezzo filmico in tutti i suoi aspetti e
le sue componenti, alia ricerca di una « cifra técnica » innova-
tiva, non come mero gusto dell’inusitato e delia performance
tecnicistica, ma come segno concreto del suo atteggiamento
problemático di fronte alio strumento, considerato dunque, è
bene ripeterlo, non come strumento passivo ed indifferente ma
come concreta funzione espressiva, e di fronte alie forme di arti-
colazione e di espressione consolidate cui aveva via via dato vita.
È quella componente che da qualcuno è detta « formalistica »,
con accentuazione spesso negativa, che non ne coglie i reali
caratteri e le reali motivazioni e dipende, a mio parere, da una
concezione rozzamente « narrativa » dell’operazione filmica.
La manifestazione piu clamorosa di questo atteggiamento
! durante gli anni del Centro Sperimentale è lo stesso saggio di
diploma, nel quale la ricerca técnica è portata apparentemente
sino al limite del trucco. Ricordiamo brevemente di che cosa si
tratta, con le parole dello stesso regista: « Una signora andava a
trovare una donna di malaffare che la ricattava a causa di
certe lettere in suo possesso. Le dava del denaro e recuperava
le lettere. La macchina da presa seguiva in panoramica la
signora che si avvicinava alia donna di malaffare. La trovata
era che signora e donna erano interpretate dalla stessa attrice.
Eppure il movimento di macchina non era interrotto, 1’inqua-
dratura era unica. Nessuno riusciva a capire come avessi fatto.
In realtà 1’interruzione c’era, ma era assolutamente inavver-
tibile»9. Ora, a mio parere, la rriotivazione che stava dietro
a questo « trucco » non era la volontà di stupire col virtuo­
sismo tecnicistico, né, d’altra parte, sono da sopravvalutare le
implicazioni sociali c morali o moralistiche dell’episodio rap-
presentato. Quello che è piu significativo è, appunto, la volontà ;
di saggiare fino all’estremo limite, quello delia rappresentazione
simbólica, che le sembrerebbe strutturalmcnte negato, una delle
forme di specificazione del mezzo filmico, la « ripresa in conti-
nuità » che sarà poi quella prediletta dal primo Antonioni, nella
sua capacità attiva di analisi del comportamento dell’uomo e di

20
formulazione dei reciproci rapporti fra gli uomini. In questo
senso il secondo aspetto dello «sperimentalismo» di Anto-
nioni, quello tecnicistico e formalistico, deve essere considerato
il naturale complemento del primo. Nel primo la sperimen-
tazione avviene a livello delle forme di rapporto fra la camera
e il suo materiale, un rapporto non necessariamente bisognoso
di mediazioni; nel secondo, al livello delle articolazioni interne
dello strumento (che intendiamo in senso complesso, compren-
dendo nella nozione di camera sia le varie componenti stretta-
mente tecniche, che le forme di articolazione spaziale e tempo-
rale che sono il prodotto storico deirevoluzione del linguaggio
cinematográfico): ma entrambi giustificati dalla convinzione che
1’operazione filmica sia creativa non perche riproduce un mate­
riale crcativamente elaborato ma per quello che aggiunge, in
senso ed in elaborazione artística, a questo materiale, che tale
va appunto considerato, sia stato a no « manipolato » precedente­
mente alia ripresa.
In questa direzione vanno anche interpretati e valutati gli
esperimenti di nuovi modi di ripresa suggeriti da Antonioni
alPoperatore Ubaldo Arata, che lo aveva preso in simpatia,
durante la partecipazione a I due Foscari di Fulchignoni, come
sceneggiatore ed aiuto-regista: Paverlo indotto a fotografare, ad
esempio, il bianco (cosa inammissibile per quei tempi: tutto
ciò che era bianco veniva tinto di rosa o di giallo), a evitare le
solite ombre di frasche o inferriate sulle pareti nude, a usare
spesso — ed è estremamente significativo se si tiene conto
delPimpiego che Antonioni farà in seguito degli obiettivi —
anche nei primi piani, gli obiettivi grandangolari per avere il
fondo a fuoco.
Insomma, se per le ricerche tecniche compiute da Anto­
nioni nella sua preistoria e nella sua storia di artista si vuole
parlare di formalismo, se ne dovrà parlare non come di una
forma di eleganza di scrittura, di grazia o di virtuosismo esecu-
tivo, aggregati sovrapposti al discorso ma di esso non parte
sostanziale, ma, al contrario, come di quello che vorrei chia-
mare « formalismo conoscitivo »: dove questa locuzione, forse
imprecisa od ambigua, sta ad indicare appunto un tipo di cinema
nel quale le modalità di costituzione delPimmagine e il volto
che il materiale assume in forza di queste modalità rappresen-
tano essi stessi la sostanza del discorso di Antonioni, i termini
concreti e diretti del suo intervento sul reale, che si realizza sl
nella presentazione di un certo materiale, che però non è
direttamente sinificativo, ma lo è solo nella e per la sua formu­
lazione in immagine e per i modi di questa formulazione, che

21
diventano allora non già le forme di evidenzramemo spetta-
colare di un senso già esistente nel materiale messo in campo,
ma i termini reali di attuazione di questo senso. Come si vedrà,
: tenere ben fermo questo punto sarà particolarmente impor­
tante quando, con YAvventura, Papparente formalismo di Anto-
i nioni si andrà accentuando e sarà necessário dare ragione posi­
tivamente significante e non meramente decorativa di un ele­
mento, tanto per fare un esempio, come la qualità grafica delia
fotografia di un film come YEclisse, a torto ritenuta pura
aggiunta decorativa frutto delia maestria del grande operatore
Di Venanzo.
C’è un secondo motivo per il quale Pesperienza del Centro
Sperimentale deve essere ritenuta assai significativa, e questo
motivo risiede nei caratteri stessi delPesperienza culturale che
in quegli anni si andava compiendo al Centro. La lettura, diretta
o mediata, dei testi dei grandi teorici del muto, Eisenstein,
Pudovkin, Arnheim, Balázs, deve certo aver contribuito a conso-
lidare a livello teorico quella concezione « produttiva » del
cinema che Antonioni si andava via via formando nelPespe-
rienza concreta. La stessa nozione di « specifico filmico » — pre­
sente nelle sue diverse articolazioni nel pensiero di tutti i
grandi teorici, dibattuta e riformulata alia luce delia estetica
crociana e gentiliana da Umberto Barbaro e Luigi Chiarini, e
dagli intellettuali e studiosi che questi due instancabili promo-
tori delia cultura cinematográfica in Italia avevano saputo
mobilitare — deve essere stata — al di là dei suoi limiti
teoretici e dei caratteri normativi di cui fatalmente veniva cari­
cata essendo, almeno in parte, il frutto del processo di dedu- ;
zione e di generalizzazione da forme storiche di utilizzazione
espressive del mezzo, che Antonioni del resto, proprio per la
sua vocazione innovativa e sperimentale, ha assunto come
termine di rifcrimento oppositivo — un notevole fattore di
consolidamento teorico per chi avesse già intuitivamente, per
una sorta di disposizione « naturale », una concezione « attiva »
e non puramente veicolare del mezzo filmico.
Gli altri dati conosciuti sulla vita e Pattività di Antonioni i
precedenti alPinizio del suo lavoro di regista non mi sembrano
altrettanto significativi, se si esclude la sua collaborazione alia i
rivista « Cinema » e il carattere di questa collaborazione, sul quale
dovremo tornare piu avanti, quando si dovrà affrontare il pro­
blema dei rapporti con il neoralismo. Le altre notizie, i disagi, i
la fame, le traduzioni dal francese e le collaborazioni alie
I
diverse rivistc cinematografiche del tempo rientrano nella
vicenda comune delPintellettuale di província agli inizi delPav-
:
22
ventura nella capitale e non è certo il caso di insistervi troppo,
come non è il caso di sopravvalutare, ai fini delPinterpretazione
del suo cinema, la partecipazione alia guerra di liberazione nazio-
nale nelle file del Partito d’Azionc.
Di maggiore interesse può essere forse giudicato il viaggio
a Parigi del 1942, come aiuto-regista di Carnè per Les visiteurs
du soir, non tanto perche se ne possa dedurre un’influenza diretta
e precisa delTautore di Les enfants du paradis e di Quai des
brumes su Antonioni, quanto perche tutto il cinema francese
era, in quegli anni, all’avanguardia e stava sperimentando, con
Renoir e piíi tardi con Bresson, certe forme nuove di utilizza-
zione delia camera e di costruzione del film, — l’uso del piano
lungo , del piano sequenza, delia profondità di campo ed il
procedimento delia de-dramatisation nella costruzione dello
scenario, di una struttura piu aperta e meno tesa alTenfia-
gione patético drammatica delle situazioni10 — alie quali si
rivolgerà súbito anche Antonioni non appena potra assumere
la responsabilità diretta di un film. In questo senso possiamo
dire che anche la messa a frutto deH’esperienza francese è una
nuova testimonianza delPestrema attenzione di Antonioni alie
nuove tecniche espressive che si andavano sperimentando negli
anni fra il *38 e il MO che, come è noto, furono gli anni cruciali
per la formulazione dei nuovi principi delia regia cinemato­
gráfica.

NOTE AL I CAPITOLO

1 Renzo Renzi, Da Starace ad Antonioni, Marsilio, Padova, 1964.


2 Giovan Battista Cavallaro, Michelangelo Antonioni, simbolo di una
generazione, Bianco e Ncro, Roma, settembre 1957, a. XVIII, n. 9.
I riferimcnti culturali piú frequenti riguardano Flaubert, Gide (che
Antonioni dichiara di avere amato molto), Camus (di Antonioni è la prima
recensione apparsa in Italia, su 11 cosmopolita), Joyce, Pavese, Adorno,
Fitzgerald e, per Parte figurativa, De Chirico. Oltre, naturalmente, Robbe-
Grillet, Butor c gli autori del nouvcau roman in genere.
In particolare vengono segnalati Adorno (citato esplicitamente nella
sequenza inizialc de La notte) per il concetto di alienazione\ Pavese, non
solo perche il soggetto delle Amiche è tratto da Tra donne sole dello scrit-
tore piemontese, ma anche per una pretesa consonanza dei termini di
una visione del mondo pessimistica e genericamente esistenzialistica; il
Fitzgerald di Tenera è la notte, il libro che l’Anna âeWAvventura stava
leggcndo prima di scomparire, per la costruzione di sottili psicologie di
personaggi borghesi; Joyce, per il procedimento delia sospensionc contem­
plativa, che vedremo piu avanti, c che può essere avvicinato al concetto
di «epifania» dello scrittore irlandese; infine De Chirico per il senso

23
di attesa misteriosa che lo stesso procedimento proietta sul visibile, su
certe piazze e certe strade o facciate di case vuote e insistentemente inqua-
drate, come per sospenderle al di sopra del tempo, estraendole comunque
dal flusso dinâmico deirazione.
r Accanto a questi riferimenti precisi, si può ricordare 1’aderenza di
certi caratteri dcl cinema di Antonioni ai temi che sono andati affiorando
nella cultura italiana ed curopea fra il 1950 e il 1960: la tematica del-
l’« opera aperta », dell’« oggettualismo», deH’alienazione borghese, delia
. coincidenza fra strutture artistichc «informali» e forme delia coscienza
delTuomo contemporâneo cd altro ancora.
Ma sui modi reali di qucsta assunzione di riferimenti e di temi
culturali alTinterno del cinema di Antonioni, che non sono affatto mecca-
nici come si crede e a volte sono addirittura inesistenti, avremo modo di
tornare quando analizzeremo il concreto svolgimento dello stile del*
1’autore.
4 Michel David, in La psicanalisi nella cultura italiana, Boringhieri,
Torino, 1966, p. 553, parla di «esercizio a freddo, dilettantistico» a
proposito di Deserto rosso.
f 5 Giorgio Bàrberi-Squarotti, in La cultura e la poesia italiana del
dopoguerra, Cappelli, Bologna, 1966, p. 29, dice che la «scoperta del
. tipico motivo marxista delTalicnazione» era «rivolta a dare origine a
í una serie di testi sfruttanti il suo âmbito di estremamente vaga compren*
: v sività semantica per un’opportuna alimentazione dei consumatori (di qui
certi prodotti tipici di quel periodo: da La noia di Moravia ai film di
Antonioni)».
6 Sta nel colloquio con gli allievi del Centro Sperimentale di Cine­
matografia pubblicato in Bianco c Nero, giugno 1958.
7 Michelangclo Antonioni, Sei film, Prefazione, Einaudi, Torino,
1964, p. XV.
9 Citato in Aldo Bernardini, Michelangelo Antonioni da Gente del
Po a Blow-Up, ed. «i 7 », Milano, 1967.
10 Solo in Cronaca di un amore si possono rilevare tracce precise ma
limitate deirinflucnza di Camé, soprattutto del décor delia periferia mila-
I nese e delia pensione dove abita Guido.
m■
W

24
CAPITOLO II

NASCITA DELLO « STILE-ANTONIONI »:


DAI CORTOMETRAGGI A CRONACA Dl UN AMORE

;
\
È noto che la prima attività di Antonioni, come acca-
deva ed accade ancora per quasi tutti i registi, si è svolta nel
campo del cortometraggio e non sarà inutile soffermarsi su
alcuni momenti di questo apprendistato perche in esso sono
presenti, come è stato piii volte sottolineato, certi elementi
germinali del suo stile e delia sua concezione del cinema. In
particolare questo è vero per due dei sette cortometraggi
girati da Antonioni fra il 1943 e il 1950, i notissimi Gente
del Po (1943) ed N.U. (Nettezza Urbana) (1947), mentre un
terzo, L'amorosa menzogna (1949), analisi delPesistenza quoti­
diana degli interpreti dei romanzi fumetti, è interessante
soprattutto per Paffinità delia matéria con quella di un soggetto
scritto nel 1952 da Antonioni e poi ceduto a Fellini, Lo sceicco
bianco, e con quella del suo terzo film, La signora senza camelie.
Ma Pimportanza di Gente del Po e di N.U. è ben altri-
menti rilevante, poiché essi segnano la prima forma di attua-
zione di quelle che, insieme alP« intellettualismo», abbiamo
visto essere le componenti originarie delia personalità di Anto­
nioni: la tendenza ad intessere di materiale autobiográfico
i soggetti dei film e Paccostamento in termini problematici
ed innovativi alia técnica e alie forme espressive cinematografiche.
Per quanto riguarda la prima di queste due componenti il
discorso è addirittura scontato se ci si riferisce a Gente del Po.
«Eravamo nel '43. Visconti girava Ossessione sulle rive del
Po, e sempre sul Po, a pochi chilometri di distanza, io giravo
il mio primo documentário. II Po di Volano appartiene al
paesaggio delia mia infanzia. II Po a quello delia mia giovinezza.
Appena mi fu possibile ritornai in quei luoghi con una mac*
china da presa. Cosi è nato Gente del Po. Tutto quello che ho
fatto dopo, buono o cattivo che sia, parte di li»l.
Credo che questa « confessione » di Antonioni non lasci dub-
bi sul carattere non casuale ma esplicitamente autobiográfico del
materiale scelto per il suo primo film; anche se, per Pincompiu-
tezza del materiale scampato alia guerra, non è dato di vedere se
abbia ragione chi vede in questo documentário uno degli incuna-
boli del neorealismo, come lo stesso Antonioni2, accentuandone
il carattere di «pittura tragica delia miséria di un popolo»,

27
.

come ha scritto il critico francese Pierre Leprohon, o invece


chi ne sottolinea il carattere di « ricerca di significato privato:
il paesaggio inteso come stato d’animo, malinconia un poco

estatica, serie di oggetti e di linee su cui si misurano i senti-


menti », come il Baldelli3.
Ed è ancora per le gravi mutilazioni subite dal film (sembra
che siano andate perdute le sequenze piu tragiche, quelle girate

;
i nel delta, dove Antonioni ritornerà per girare i brani piu deso-
lati del Grido) che non è possibile dare una compiuta definizione
dello stile di questo film e definirne 1’importanza rispetto agli
i

sviluppi successivi. Ma certo alcuni aspetti appaiono già chiara-


r- mente: il rifiuto di enfiare pateticamente le situazioni, di evi-
denziare spettacolarmente la drammaticità del reale inquadrato,
attraverso i ben noti procedimenti di montaggio, e di manipo-
lare il materiale ai fini dell’elaborazione di un «messaggio
sociale » precostituito e come imposto ai fenomeni, rifiuto che
è alTorigine di quelPapparente freddezza o impassibilità che,
anche nei film a soggetto, sarà una dclle costanti delia visione
t di Antonioni, e delle piu significative, come vedremo; la predi-
lezione per i campi lunghi che valorizzano le distesc piatte e
.i
grige del paesaggio nelle quali 1’uomo è come assorbito, che
rapprcsenta anch’essa una costante, accoppiata ed opposta al
fascino che esercitano su Antonioni le strutture urbane, che il
í regista amerà evidenziare nel loro peso, nel loro « spessore»,
nelle loro gelide nervature; infine, in perfetta rispondenza con
questa scelta spaziale, gli ampi e lenti movimenti di macchina,
le cadenze lunghe del tempo del film.
Lo « style-urbain », come lo chiama il critico francese P. L.
Thirard 4, questo soffermarsi a « leggere » le facciate delle case,
le strade, le piazze, anche deserte, come a voler rintracciare in
iL esse il segreto dellesistenza delPuomo, nasce invece con N. U.,
documentário sulla giornata di un gruppo di netturbini romani.
Ma questo breve film, che il critico francese Debreczeni5 ha
definito il capolavoro del primo stile di Antonioni, quello « docu­
mentário », è assai interessante anche per altre ragioni stretta-
mente inerenti al discorso che andiamo svolgendo. Non tanto,
dunque, per la matéria rappresentata — per quanto anche su
questo piano Antonioni si riveli attento e come al solito rigoroso,
nonostante Papparente distacco, nel cogliere le implicazioni psi-
cologiche e sociali delle sue figure di spazzini, suggerendo con
brevi tocchi puntuali ed efficaci una gamma complessa di situa­
zioni umane — quanto per alcuni caratteri formali e strutturali
che, accanto a quello già ricordato, costituiranno le componenti
fondamentali del suo modo personale di fare il cinema: il caratte-

28
re apparentcmente spoglio, in realtà preciso ed essenziale delle
iinmagini, Pimpiego funzionale dei rumori come elemento inte­
grante del processo di significazione; Pimpiego non riempitivo o
« decorativo » delia musica, (Bach e musica negra) ma struttural-
mente legato, sia nella scelta dei brani che nella strumentazione,
al senso profondo delia situazione. Tutti elementi noti ad uno
spettatore attento di un qualsiasi film di Antonioni. Ed un altro
aspetto ancora, forse il piú significativo, è quello che è stato
giustamente sottolineato dallo stesso Debreczeni: «L’art de
présenter des actes sans importance (les balayeurs balaient,
mangent, se couchent, se lèvent, marchent, donnent a manger
au cochons et rentrent chez eux), des comportaments humains
sans significations particulieres annonce déja 1’autre Antonioni,
celui du style des « temps morts » N. U. est un film composé
uniquement de temps morts ». Ora, senza giungere alia conclu-
sione estremistica delPultima frase citata, non c*è dubbio che
questo aspetto, la presentazione delPesistenza degli spazzini
attraverso i frammenti minimi del loro vivere quotidiano, è
forse Paspetto che è piíi importante sottolineare in vista degli
sviluppi futuri dello stile di Antonioni, fondato, come si vedrà,
per quanto riguarda la composizione del materiale di sceneggia-
tura, sul rifiuto progressivo di ogni schema drammatizzante, o
di ogni forma di selezione drammaturgica del fenomenico.
Ma, naturalmente, 1’opera nella quale per la prima volta
lo stile di Antonioni si dispiega in tutta la sua complessità,
facendo esplodere la carica innovativa lentamente maturata ed
approfondita, è Cronaca di un aniore, anche se, come vedremo,
qui lo stile non giunge ancora alia liberazione totale, per la quale
si dovranno attendere le grandi prove II grido e soprattutto
de Uavventura.
Ma il film presenta per intero il campionario dei motivi
tematici e di quelli stilistici che caratterizzeranno Popera di
Antonioni.
Con Cronaca di un atnore ha inizio, innanzi tutto, quel
«cinema dei sentimenti» quelPattenzione ai problemi delPin-
dividuo scrutato nelle reazioni che determinano dentro di lui
quelle che sembrano essere le due grandi forze-guida delPuni-
verso di Antonioni, Pamore e il denaro, sulla base del quale
è stato misurato in genere dalla critica italiana, legata agli
schemi interpretativi derivati dalla rinnovata cultura del rea­
lismo, e dallo stesso Antonioni, il distacco di quest’ultimo dal
neorealismo. Si tratta, evidentemente, di una scelta motivata:
e se Porientare il proprio sguardo sul mondo e su personaggi
borghesi è, per esplicita ammissione di Antonioni, in stretta

29

;
connessione con il suo autobiografismo, con il suo assumere
sempre situazioni note, la spiegazione delia preferenza o del
primato accordato dal regista alPinteriorità degli individui, alie
loro situazioni e modificazioni interiori, sentimentali, etiche, ideo-
logiche, è il segno che Antonioni si era reso conto assai presto
di quali fossero i limiti conoscitivi, oltre che artistici, del popu-
lismo neorealista nel momento in cui, anche per la fortuna
commerciale avuta dalle grandi opere che aveva prodotto, si
tendeva a transvalutarlo dal suo carattere di ritratto di un
momento eccezionale, corale, delia vita nazionale a formula
artística valida in assoluto, o almeno rispondente alia nuova
fase di sviluppo delia società e delia cultura italiana.
Ma sul problema del neorealismo avremo modo di tornare
piu avanti. Quello che conta, per il momento, è registrare la
data di nascita di una scelta tematica (alia quale è strettamente
collegato poi il ribaltamento delia tradizionale gerarchia fra
personaggi maschili e femminili: «... attraverso la psicologia e
la sensibilità femminile, i problemi filtrano in modo piu diretto,
piu drástico e quindi vengon fuori meglio »6) che è stata costante
fino alYEclisse: basta una conoscenza anche superficiale del-
Popera di Antonioni per riconoscere che Possessione erotico-
amorosa e quella del denaro sono i due poli di attrazione entro
i quali si agitano i suoi personaggi, sia pure in forme e corre-
lazioni reciproche diverse7.
D’altra parte questa stessa scelta tematica ha causato almeno
due equivoci fondamentali, a livello delia definizione delPatteg-
giamento, diciamo cosi, ideologico delPautore e delia definizione
strutturale del suo cinema. II primo diventerà sempre piu grosso
man mano che Panalisi delia situazione dei suoi individui bor-
ghesi si orienterà verso i temi delPincomunicabilità e delia cosid-
detta alienazione borghese, quando la concomitante evolu-
zione dello stile di Antonioni verso strutture sempre piu
«lunghe», sempre piu vuote di evidenti contenuti patetico-
drammaticiy condurrà a pensare che queste strutture voglia-
no rappresentare a livello delia forma o dello stile ciò che
i personaggi rappresentano a livello esistenziale, e che il suo
cinema voglia essere quindi nella sua globalità (personaggi e
forme delia visione) una lúcida, fredda, disperata analogia delia
solitudine e delia disperazione delPuomo8, con un^nterpretazione
in chiave « beckettiana » — e con i conseguenti assensi e ripro-
vazioni dalle varie sponde delPideologia contemporânea — che
mi sembra del tutto inadeguata sia al reale atteggiamento di
Antonioni che alia struttura profonda del suo stile.
E certo, anche se non mi sembra lecito neppure il procedi-

30
í:
mento opposto, cioè interpretare Antonioni in chiave totalmente
marxista, mi pare possa essere condiviso, almeno in parte, quanto
afferma Cario Di Cario, cioè che « Antonioni, meglio di altri, non
ha mai igonrato, come hanno voluto che egli ignorasse, il postu-
lato marxiano per cui Pessere umano non è un’astrazione imma-
nente alPindividuo singolo, ma nella sua realtà è Pinsieme dei
rapporti sociali...; non ha mai coito Puomo nelPaccezione indivi-
dualistica di homo agens, di individuo isolato come una monade
leibniziana, ma sempre inteso in un contesto storico-sociale ben
preciso, come prodotto di vita sociale... Ricercare appunto le
trasformazioni avvenute negli individui — per Antonioni negli
individui di una classe, quella borghese — i cui comportamenti,
le cui attività sono stati socialmente condizionati, i cui atteg-
giamenti sono prodotti sociali. Rilevare questo attraverso le
psicologie e i sentimenti sembra sia stato piu utile, piu anali­
ticamente speculativo per il punto a cui Antonioni è arrivato
oggi riguardo la condizione delPuomo contemporâneo. In questo
modo Antonioni è stato ed è, nelPatteggiamento che ha nei
confronti delia realtà, radicale, nel senso in cui Marx intese
questo termine: essere radicale è cogliere le cose alia loro radice,
ma per Puomo la radice è Puomo stesso »9.
D’altra parte questo giudizio è solo parzialmente esatto:
perche, se è senz’altro vero che concentrare il proprio sguar-
do sulle situazioni individuali non significa automaticamente
cedere ad una scelta di tipo irrazionalistico-metafisico; se è
pure vero che in tale modo è possibile rilevare le manifestazioni
del modo di produzione capitalistico in una delle loro proiezioni
a livello sovrastrutturale, quello delia coscienza e del compor­
tamento individuale; se è vero che Antonioni assume come
própria matéria alcune situazioni che sono oggettivamente mani­
festazioni di una formazione sociale che è il prodotto di rap­
porti di produzione capitalistica; se è vero che, anche dal punto
di vista delPanalisi marxista, è da considerare piu utile, perché
piu oggettivo e, in qualche modo, scientifico un procedimento
di questo tipo rispetto ad ogni forma di film esplicitamente ideo-
logico, « a tesi », frutto di un umanitarismo accademico, popu-
listico e spesso implicitamente reazionario, non mi sembra altret-
tanto vero che 1’analisi che Antonioni compie delia borghesia sia
un’analisi di tipo marxista. Antonioni è un artista grande-bor-
ghese che ha letto Marx, ne conosce le categorie di definizione
dei fenomeni sociali, le rileva in re, « fenomenologicamente », ma
si guarda bene dallo scendere oltre la superfície di questi fenomeni
per cogliere i rapporti reali che li hanno determinati. II suo at-
teggiamento nei confronti dei fenomeni delia società borghese,

31
certo individuati anche sulla base delia conoscenza di Marx,
rimane insomma quello dell’intellettuale borghese, le sue cate-
gorie di giudizio sono quelle del radicale laico, il suo « rifiuto »
quello di una torma estrema e consapevole di anticapitalismo
utopistico, che rimarrebbe tale se per virtu d’arte Antonioni
i non riuscisse a proiettare sul mondo un’immagine delle contrad-
dizioni e delia crisi delPuniverso borghese che è conoscitivamen-
te superiore e piu pregnante delia ideologia che ne è alia base.
5 Le stesse ragioni che ci fanno escludere che il puntare lo
sguardo sulle situazioni individuali non corrisponda ad una ideo­
logia metafísica, come accade invece in un autore come Bergman,
tanto per fare un esempio, ci inducono e ci permettono di dissi-
pare il secondo equivoco al quale prima si accennava, cioè che
Vespressione « cinema dei sentimenti » sia assimilabile o implichi
una forma di drammaturgia intimista, come qualcuno ha equi-
vocato. Per confutare questa opinione, che è in radicale disso-
nanza con la poética di Antonioni e con la struttura del suo
cinema, come dimostrerà Panalisi successiva, basterà per il
momento osservare che, se Pintimismo è riduzione delia realtà
al mondo dei fatti interiori e privati, e delia poesia alia esclu-
siva osservazione di essi, in Antonioni accade esattamente il
: contrario. «Esiste una legge psicológica la quale dice che a
ogni moto delPanima corrisponde un movente esterno; scoprire
questi moventi è il compito primo degli autori cinematografici »:
questo scriveva nel 1939 Antonioni sulle pagine di Cinema™,
ed a questo principio corrispondono esattamente i suoi film nei
quali i « sentimenti » sono colti e rilevati nelle loro proiezioni
esterne e nelle loro relazioni con il reale, compaiono insomma
in veste di «comportamenti», verbali, gestuali e cinetici, e
di relazioni con gli altri e con gli oggetti.
QuesPultima osservazione ci permette di passare ad esami-
nare un primo aspetto delia struttura stilistica del film che è
quella che interessa piu da vicino il nostro discorso, e precisa­
mente il tipo di organizzazione alia quale Antonioni sottopone il
materiale « drammatico », che si realizza in due forme diverse,
— una che si riconduce a moduli tradizionali, un’altra innova-
tiva — che coesistono e, come vedremo, sono in conflitto fra
di loro. Come ha osservato la critica, e con particolare preci-
sione e puntualità P. L. Thirard11, lo schema drammatico gene-
i
rale, la vicenda del triangolo Paola-Enrico-Guido, moglie, marito
ed amante, è quello messo a punto dal romanzo nero americano,
da Raymond Chandler soprattutto, si pensi soltanto a II lungo
addio, che ha il suo modello illustre in Teresa Raquin di Zola
mediato attraverso II postino suona sempre due volte di Cain,
\
32
ed è stato applicato in numerosi film americani e, con diverse
intenzioni ed esiti, naturalmente, da Luchino Visconti in Osses-
sione, tratto appunto dal romanzo di Cain. Thirard osserva giu-
stamente come tutti i meccanismi fondamentali deH’intreccio cor-
rispondano esattamente a questo modello e come la stessa figura
di Paola, da questo punto di vista, corrisponda puntualmente al
prototipo americano delia « tueuse blonde », mediato dal perso-
naggio delia Calamai in Ossessione e diventata « noire comme
Paraignée, come la mante brune, vêtue de noir... elle tourne
autour de 1’amant, lui jette un sort (le jeu de ses doigts autour
de son cou e sur son visage), le prend dans ses filets » 12.
Ma alPadozione di questo schema drammatico e di alcune
delle sue « figure » fondamentali — motivata, a mio parere, dal
fatto chc Anonioni, non ancora pienamente padrone e consa-
pevole del proprio stile e forse condizionato, in parte, dalle
esigenze dei produttori che avranno certo preteso, dal regista
esordiente, « una storia », non essendo un narratore, nel senso
di « inventore di trame », ha avuto bisogno di appoggiare la
própria indagine filmica su uno schema preciso, che facesse da
filo conduttore e da punto di riferimento sicuro — non corri-
sponde un adeguato' sviluppo in senso drammaturgico, volto
alPevidenziamento spettacolare dei caratteri dei personaggi e
delle situazioni drammatiche nodali, per cui il film si presenta,
da questo punto di vista, squilibrato ed i personaggi come non
pienamente sviluppati.
La ricerca di Antonioni si volge in tutPaltra direzione
e, invece di tendere a creare una struttura equilibrata e
compatta, entro la quale i caratteri individuali emergano dram-
maticamente attraverso il dipanarsi serrato delle situazioni, la
camera si soíferma a seguire i personaggi in sfumature di compor­
tamento che non hanno alcuna relazione significantc con la piena
attuazione dcllo schema drammatico e ad inquadrare un mate-
riale che, dal punto di vista dello schema drammatico stesso,
andrebbe considerato solamente dispersivo c gratuito. Tutto il
film è un fluire di immagini, minuziosamente ed implacabilmente
scrutate dalPocchio delia camera, nel quale le situazioni dram­
matiche si disperdono e affogano e il comportamento dei perso­
naggi non viene selezionato, modellizzato, potremmo dire, in
funzionc drammaturgica, ma registrato ed osservato nei gesti
piíi quotidiani e, apparentemente, insignificanti.
Ma è proprio in questo aspetto, che pure è alia base degli
squilibri del film, che risiede 1’importanza ed il carattere inno-
vativo di Cronaca di amore ed è per questo aspetto, insieme ad

33
altri ad esso correlati, che vedremo, che si può parlare a propo-
sito di questo film delia nascita dello « stile-Antonioni ».
Per questo tipo di organizzazione del materiale, che evita
ogni emergenza drammatica-spettacolare e rifiuta di selezionare
in funzione drammatica i gesti che costituiscono il tessuto delia
vita quotidiana di un uomo, la critica francese ha mobilitato le
nozioni di de-dramatisation, per la quale Antonioni si riallaccia
alie ricerche iniziate da Bresson con Les dantes du bois de Boulo-
gne, di understatement, che lo ricollegano alia narrativa moderna
americana attraverso la mediazione di Pavese 13, di behaviorism,
che rappresenterebbero i tre diversi aspetti, fra loro correlati,
di una forma di cinema con la quale Antonioni si pone fra
gli iniziatori del cinema moderno. A mia volta, raccogliendo an-
che le indicazioni di Cavallaro 14 e di Di Giammatteo IS, che parla-
no di « analisi entomologica » e di técnica da « inviato speciale »,
e spostando 1’attenzione dal piano delia matéria « narrativa » e
del suo tipo di organizzazione, a quello delia forma delia visione,
del rapporto che la camera di Antonioni intrattiene con i perso-
naggi e le situazioni inquadrate, proporrei la definizione di visione
estraniata che mi sembra spieghi al livello appropriato, quello
delle strutture filmiche, Passenza di una selezione in senso
drammaturgico del materiale e il rifiuto di piegare la camera
e le sue articolazioni alie funzioni di evidenziazione spettacolare
delle strutture di un dramma; la non identificazione delle strut­
ture filmiche con il materiale presentato; il rapporto da mate­
riale di analisi a forma di analisi che intercorre fra questi due
piani e, insieme, certi caratteri psicologici, frcddezza, moralismo
distaccato, intellettualismo (nel senso di assenza di evidenti
manipolazioni patetico-spettacolari del materiale), che vengono
attribuiti alia personalità psicológica deirautore e dipendono
invece, a mio parere, dal método di rappresentazione adottato,
che strutturalmente esclude identificazione, partecipazione paté­
tica, commozione da parte delPautore nei confronti delle situa­
zioni agite dai personaggi: perche queste, appunto, non rap-
presentano la forma di espressione delia concezione del mondo
delPautore, ma la matéria sulla quale si posa il suo sguardo per :
decifrarne, in forme diverse, il senso. J
I
Questa forma di visione, questo tipo di rapporto con il
materiale «drammatico » (chiamiamolo ancora cosi, tanto per
intenderei), che determina il tipo di organizzazione di questo
materiale (e non viceversa: questo è il punto chiave del discorso),
si articola in una serie di precise scelte costruttive sia a livello
del « materiale plástico » che a quello delle tecniche di ripresa,

34
che costituiranno, in forma articolata e dinamica, le «cifre»
disiintive dello stile di Antonioni.
Prima di tutto, in stretta connessione con la técnica com-
portamentistica adottata nella costruzione dei personaggi, fa la
sua prima apparizione uno dei temi fissi, dei passaggi obbligati
del cinema di Antonioni: il tema delia « passeggiata » o del-
P« errare » del personaggio, per usare un termine di Alberto
Boatto 16. È noto che tutti i personaggi di Antonioni sono dei
grandi camminatori: ma questa ricorrenza potrebbe essere presa
soltanto come una mania curiosa del regista, se non se ne
rilevasse 1’importanza c la funzione strutturale. Che non è o
non è solo, almeno — un modo per suggerire concretamente,
fisicamente, Tinstabilità sentimentale, etica, ideológica dei perso­
naggi, ma anche una técnica per presentare, in forma diretta e
« vêrosimile », quella successione di blocchi non selezionati di
esistenza e di forme di comportamento sulle quali Antonioni
esercita la sua analisi, punta il suo sguardo attento ed estrema-
mente percettivo. Ma il tema delia « passeggiata » è pure fun-
zionale alia costituzione del carattere spaziale del film, delia
« fluidità » dello spazio di Antonioni e del particolare peso che
assumono nei confronti dei personaggi il paesaggio, le strutture
urbane come le distese grige e nebbiose delia campagna lombarda.
In Cronaca, di un amore, come nei film successivi, il fondo, come
lo chiama Antonioni, è una « presenza » costante, ossessiva che
ne fa una sorta di attivo, ancorché immobile, deuteragonista.
Questo fatto corrisponde ad un modo originale di utilizzazione
del paesaggio e del materiale plástico, un modo nel quale Pam-
biente, il mondo circostante, YUm-Welt, potremmo dire, con un
termine mutuato dalla terminologia del cinema espressionistico,
non è né décor fittizio ed inerte, né elemento costitutivo di un
atmosfera adeguata al carattere dei personaggi e del dramma nel
quale sono coinvolti e si dibattono, come, ad esempio, nei film
di Camé-Prevert e in genere del cosiddetto realismo poético fran-
cese, né, ancora, metafora spaziale-figurale delia solitudine meta- -
fisica degli individui, come in Bergman, né, infine il back-ground
realístico che dà efficacia e verosimiglianza al film nero america­
no. Non è insomma in funzione delia situazione drammatica, delia
sua evidenziazione figurale o delia sua credibilità realística, ma è
anche esso, insieme al comportamento dei personaggi, uno dei
termini sui quali si posa lo sguardo del regista, che il regista
interroga per estrarne un senso ed è sl, d’altra parte, in relazione
con i personaggi, ma non nel senso che ne raffiguri le emozioni e
gli stati d’animo, come spesso si equivoca, ma perché per il suo
stesso esistere ed entrare nel campo di esperienza dei perso-

35
A
c naggi li condiziona e costituisce comunque uno dei termini del
loro modo di essere in relazione con il mondo che 1’autore ha
assunto come matéria del proprio sguardo. Solo in questo senso
si può parlare, per Antonioni, di « paesaggio in funzione psico­
lógica »: che non sarebbe certo una novità se corrispondesse ad
un’utilizzazione in forma di esplicitazione figurale di sentimenti
o di stati d’animo fondamentali messi in gioco nel dramma,
procedimento già abbondantemente in uso nel cinema muto e
nella letteratura, almeno dal romanticismo in poi. In Cronaca
di un amore le strade e le piazze di Milano, la campagna grigia,
le automobili, gli oggetti determinano in parte e comunque non
raffigurano il comportamento dei personaggi, o almeno coesi-
stono con esso e, con la loro presenza ossessiva, reclamano una
*> attenzione paritaria da parte dello spettatore: il comportamento
degli uomini si attua in uno spazio preciso ed in relazione con
esso, ed è questo spazio che Antonioni ci restituisce, con la
sua concretezza, la sua pesantezza, il suo spessore. Basti ricor-
dare 1’attacco delia sequenza delPautostrada: un campo lunghis-
simo delia macchina in mezzo alPumida campagna lombarda e,
senz’alcun altra ragione che quella delia sua stessa esistenza,
un grande cartellone pubblicitario di una marca di liquore, che
diventa una presenza del tutto verosimile ma al tempo stesso
misteriosa ed inquietante 17.
A.livello delia técnica di ripresa, il film è caratterizzato
da una serie di elementi che hanno concorso anch’essi alia defi-
nizione dello « stile-Antonioni ». Per quanto riguarda la deter-
minazione spaziale delPinquadratura va rilevata innanzi tutto
una notevole frequenza di campi lunghi e medi, che servono
appunto a mantenere costante la relazione fra personaggio e
fondo, assicurata anche da un adeguato uso degli obiettivi nei
piani ravvicinati, tale da mantenere sempre a fuoco anche il
fondo; in secondo luogo il rifiuto assoluto del primo e primis- »
simo piano (i piani piú ravvicinati sono piani medi, con qualche
rarissimo medio primo piano) che, se ce ne fosse ancora bisogno,
conferma come anche a livello formale la definizione di cinema
intimistico, che nel primo piano sapientemente calibrato e dosato
aveva appunto il suo piu formidabile strumento stilistico, sia
del tutto inadeguata per il cinema di Antonioni.
Per quanto riguarda le forme di montaggio adottate, Cro­
naca di un amore è divenuto quasi proverbiale per due aspetti,
che sono del resto molto significativi. Prima di tutto il rifiuto
del procedimento del campo-controcampo ripetuto, generalmente
utilizzato nel cinema del tempo per le scene di dialogo. Ed è
anche questa una dimostrazione di come la camera non sia coin-

36
volta e non faceia corpo, per cosi dire, con la situazione dram-
matica, ma rimanga esterna ad essa ed a guidare i suoi sposta-
menti e la scelta successiva del materiale da inquadrare non
sia la lógica delia situazione stessa ma una lógica interna, autonoma.
II secondo aspetto, quello piu noto e rilevato dalla critica,
anche la meno interessata ai problemi stilistici, è Padozione
del cosiddetto montaggio interno, in cui la successione delle
immagini, la continuity del film, si determina per lunghi piani
físsi o per movimenti di macchina, come dimostra il fatto
che il film è costituito di circa 160 piani autonomi contro la
media di 600 che Bazin indica come quella caratteristica del
film a soggetto alia fine del periodo di assestamento fra il
1^30 e il 1940 18. È noto che, in Cronaca di un amore, tutta
una sequenza, quella chiamata «del ponte», quando i due
amanti progettano Passassinio del marito, è costruita in una
sc!a inquadratura lunga 129 metri, nella quale la camera segue
implacabilmente i due che si spostano di continuo, ora avvici-
nandosi ora allontanandosi, disponendosi affiancati contro la
grig.a monotonia delia campagna o su profili sfuggenti, secondo
un processo compositivo che è tipico di Antonioni e che troverà
la sua massima forza espressiva nella sequenza delPisola nel-
VAvventura e in quella delia baracca di pesca in Deserto rosso.
È un procedimento che, con un debito esplicitamente ricono-
sciuto ad Antonioni, è stato portato alPestremo grado di stiliz-
zazione da Jancso, che lo utilizza però con intenti diversi, per
diverse motivazioni espressive e alPinterno di una struttura
filmica radicalmente diversa.
II ricorso alia técnica delia ripresa in continuità, del piano-
sequenza e del jeu en profondeur, del mantenimento di una
focalità relativamente nitida a tutti i livelli, che permette che
i personaggi si muovano liberamente nello spazio senza tran-
smutare la determinazione spaziale del quadro ed il rapporto
col fondo, ottiene una serie di risultati che sono fondamentali
per Pattuazione delia forma di cinema perseguita da Antonioni.
Prima di tutto, ed è Paspetto sul quale ha insistito lo stesso
regista, i lunghi piani sinuosi ed avvolgenti con i quali la
camera segue i personaggi sono la forma concreta nella quale
si attua la minuziosa e puntuale registrazione delia manifesta-
zione del carattere dei personaggi in termini di comportamento,
coito in tutte le sue minime articolazioni gestuali e cinetiche
e, fatto importantíssimo, nella concretezza dello spazio e delia
durata reale nella quale si realizza e si svolge. È insomma la
técnica delia camera mobile, con la camera montata su una
piccola gru che percorre lo spazio in tutti i sensi e in tutte

37
le direzioni, la forma primaria attraverso la quale si realizza
la costruzione dei personaggi come successione di blocchi di
comportamento registrati in continuità. Ma, d’altra parte, la
continua mobilità delia camera; il suo avvicinarsi e allontanarsi
dai personaggi, il collocarli in variabili relazioni spaziali fra
loro e con il fondo, fa assumere alia camera stessa una « pre-
senza» evidente e percepibile, ne fa insomma una protago­
nista attiva delia situazione schermica: in modo tale che le
articolazioni spaziali e temporali del film non si pongono piu
come le forme concrete delia raffigurazione spettacolare di perso­
naggi e situazioni, ma come le articolazioni di una funzione
costruttiva che è esterna, «estranea» alLazione, le cadenze
di un processo conoscitivo in senso estetico che si esercita sulla
situazione, la interroga alia ricerca di un senso. Insomma si
vuole dire — ed è questo il senso delia contrapposizione fra
« ritmo esterno » e « ritmo interno » — che le cadenze libere
ed « immotivate » del gioco delia camera ed il rifiuto di utiliz-
zarlo come forma di attuazione di schemi compositivi fissi
nei quali la situazione si configuri come oggetto patetico-este-
tico, implicano lo stabilirsi di un rapporto fra camera stessa
e situazioni (= personaggi -f azione drammatica) non piu da
veicolo di forma a forma, ma da funzione strutturante, presente,
attuale, esplicitamente operante, a matéria, sia pure già in
qualche modo selezionata e « formalizzata ». La camera mobile,
nei termini in cui la utilizza Antonioni, è dunque il procedi­
mento técnico nel quale si fa piu evidente e percepibile la
presenza di uno sguardo che non solo determina o stabilisce
le relazioni, anche « spaziali », fra i personaggi — Antonioni affida
una grande importanza non solo alie componenti gestuali e
cinetiche del comportamento ma anche, appunto, ai rapporti
« spaziali », alie scelte di distanze e di direzioni che nel flusso
comportamentistico si vengono determinando — e fra i perso­
naggi ed il mondo circostante.
In questo senso la sequenza piu esemplare di Cronaca di un
amore, il prototipo di una serie innumerevole di brani cosi strut-
turati, quella nella quale lo stile di Antonioni si libera con mag-
giore forza e purezza, è la sequenza delia passeggiata allldro-
scalo, la prima delle quattro passeggiate presenti nel film. In
essa si possono rintracciare quasi tutti i procedimenti costrut-
tivi fin qui enumerati, le cadenze libere e mobili del gioco
delia camera alternate ai momenti nei quali la camera stessa
si fissa ad osservare i personaggi, la composizione in profon-
dità, contro il grigio del cielo e delle aeque dell’Idroscalo,
s il variare dei rapporti spaziali fra i personaggi (un esempio

38
di questa successione di posizioni: sulla gradinata, leggermen-
te dal basso, la camera inquadra Guido, disposto su un piano
piu avanzato, che parla rivolto verso il lato destro del foto-
gramma, mentre Paola è disposta, piu in profondità, su una
linea parallela ma in direzione opposta; quindi i personaggi
avanzano un po’, seguiti dalla camera, per fermarsi in una
posizione analoga ma esattamente opposta alia prima, infine
si dispongono nella stessa direzione, verso sinistra, ma con
Paola nel piano piu vicino alia camera e leggermente spostata
a destra rispetto a Guido).
Ma c’è di piu: alia fine di questa sequenza è possibile
rilevare un altro aspetto, non ancora considerato, che è forse
il piu significativo: i due, dopo essere rimasti per qualche
secondo inquadrati dal basso contro il cielo grigio, abbastanza
vicini ma disposti su linee sfuggenti, salgono in automobile e
si allontanano verso il fondo mentre la camera compie una
rotazione in panoramica per andare a soflermarsi, a sospen-
dere il proprio sguardo per qualche secondo sulle acque bian-
castre e « gelide » dell’Idroscalo. Abbiamo già visto prima che
il paesaggio, naturale o urbano, entra costantemente, fatalmente
potremmo dire, neH’immagine di Antonioni, in dipendenza dello
stesso procedimento adottato, che esclude la selezione dramma-
tica del materiale e, con ciò stesso, costituisce 1’oggetto, il fondo
come centro d’attenzione autonomo. Ma il procedimento stilisti-
co delia sospensione sul paesaggio, del quale abbiamo visto un
esempio nella sequenza descritta sopra e che si manifesterà come
una delle figure stilistiche fondamentali del cinema di Anto­
nioni, attribuisce un diverso e maggiore valore al fondo stesso,
che non è piu solo oggettivamente ed autonomamente presente,
come spazio concreto dell’agire dei personaggi, ma diventa un ✓
centro di attenzione sul quale Antonioni richiama esplicita-
mente lo sguardo dello spettatore, anche al di fuori del blocco
3
di comportamento registrato ed indipendentemente da esso.
In questo modo 1’accentuazione delia presenza del fondo — sia
I essa ottenuta con i procedimenti tecnici già descritti, oppure
con quell’altro, tipico di Antonioni e man mano sempre piu
accentuato, 1’anticipo ed il ritardo dello stacco — finisce con
Passumere una motivazione non piu solo oggettiva, nel senso
già chiarito, ma anche soggettiva rispetto alPautore, finisce
cioè con Pessere la manifestazione di una tendenza delPautore
a sospendere la própria attenzione sulla fotogenia del reale.
E questo è il punto preciso nel quale la libera cadenza dello
sviluppo filmico si rivela non piu solo come il tentativo di

39
cogliere il ritmo interno e segreto di una situazione o di un
comportamento, ma anche come espressione del ritmo e dei
termini di attuazione di luFesperienza che Fautore ci pro-
pone esplicitamente come soggettiva.
In ogni modo, a parte questa ed altre implicazioni delle
quali dovremo chiarire motivazioni e caratteri, la presenza di
un simile procedimento, di questo esplicito richiamare Fatten-
zione sul fondo anche indipendentemente dallo sviluppo di
una situazione, è la conferma piu piena del fatto che il cinema
di Antonioni è strutturalmente caratterizzato dalla presenza
attiva delia camera che si articola e si muove liberamente e
non in funzione veicolare o trascrittiva delle strutture di una
situazione drammatica: insomma, già da Cronaca di un amore,
il cinema di Antonioni non è una situazione drammatica regi-
strata da una macchina da presa, ma una camera che si muove
liberamente entro il reale e gli dà forma. E dunque gli evidenti
caratteri innovativi che esso contiene non possono essere visti
solo come Fefietto di un « allentamento » del graticcio compo-
sitivo drammaturgico tradizionale, ma andranno spiegati alFin-
terno di una scelta strutturale radicale, per la quale è Yinqua-
drare — Foperazione di assumere e di ridurre il fenomenico
in quadri determinati spazialmente e temporalmente ed organiz-
zati in successione — che si pone come autentica forma del
film, delia quale vanno colti caratteri, motivazioni e senso.
Ma senza anticipare troppo affrettatamente le conclusioni
di un discorso che invece vuole proporsi come il piu analitico
ed « empírico » possibile, sarà bene tornare alFanalisi concreta
delia struttura di Cronaca di un amore, negli aspetti non ancora
toccati dal nostro discorso.
Dopo aver visto dunque i caratteri fondamentali delia
composizione interna delia sequenza vediamo ora quali sono
i criteri che governano la composizione e la successione delle
sequenze, in quale modo insomma viene costruita quella che
gli americani chiamano la continuity del film.
È evidente che il carattere ambiguo del film, il suo essere
in bilico fra una struttura totalmente originale ed innovativa
ed uno schema drammaturgico del quale abbiamo già visto
origini e mediazioni, si manifesta ed ha i suoi effetti negativi
soprattutto a questo livello di costruzione delFopera.
Certo Cronaca di un amore non è costruito per blocchi
di sequenze nei quali «ogni sequenza fa da trampolino alia
successiva », come era tipico, lo ricorda Antonioni19, del cinema
di allora, né è strutturato secondo i principi esposti dal Lawson
nel suo trattato sulla sceneggiatura, per i quali la successione

40

\
delle sequenze deve obbedire alia costituzione dei quattro
momenti fondamentali dello sviluppo filmico: 1’introduzione
espositiva, la progressione, la scena di rigore, 1’acme dramma-
tico. Confrontato con questa struttura ferrea, il film di Anto-
nioni appare davvero informe e squilibrato, ma è certo che la
successione delle tredici sequenze che costituiscono il film obbe-
disce, almeno in parte, alie esigenze di sviluppo drammaturgico
deirintreccio e che gli squilibri che si avvertono derivano,
oltre che dalPevidente impaccio di Antonioni a trattare una
struttura che non sente própria e congeniale, dalla costruzione
interna alie sequenze che non può non far risentire, anche a
livello delia costruzione generale, i suoi effetti di tipo di orga-
nizzazione totalmente antagonistica nei confronti delia strut­
tura drammaturgica tradizionale. Insomma quel « ritmo interno »
di cui parla Antonioni si realizza veramente soltanto alPinterno
delle singole sequenze, e non di tutte, piuttosto che estendersi
organicamente al complesso delia struttura del film e confe-
rirle quello stesso carattere di esperienza in fieri, libera, mobile
e svincolata da ogni schema precostituito o predeterminato.
Ad esempio, la penúltima sequenza, con quel montaggio alter-
nato, costituito di nove brani, su Enrico, Guido e Paola, obbe-
disce assai piíi alia lógica delPintreccio e delia sua drammatiz-
zazione piuttosto che alia struttura profonda del film. Ed è
naturale del resto: è il prezzo che Antonioni è costretto a
pagare, anche a livello formale, per 1’adozione di un modello
drammatico che ha le sue leggi precise e consolidate forme di
realizzazione.
C’è infine un ultimo carattere costruttivo di Cronaca di
un amore che è necessário rilevare, perche è anch’esso carat-
teristico dello stile di Antonioni: Puso del commento musicale,
creato dalPabituale collaboratore di Antonioni, Giancarlo Fusco,
e ridotto qui ad un tema per sassofono solista, assai contenuto
e del tutto sciolto da ogni funzione di potenziamento patético
del dramma, ma volto piuttosto ad accentuare il peso o la
risonanza di certe immagini e a rendere percepibili o piu
avvertibili i momenti piu acuti di quel ritmo interno del
quale si parlava.

Le indicazioni delia critica.

Come si vede anche dalPampiezza del discorso che la


nostra analisi degli elementi stilistici di Cronaca di un amore
ha richiesto anche senza soífermarsi ad analizzare piu puntual-

41
mente certe sequenze-chiave, come forse sarebbe stato neces­
sário — il primo lungometraggio a soggetto di Antonioni
presenta un ricco campionario dei caratteri formali e tecnici
che saranno le figure costanti del suo stile e che imposero questo
film come una delle opere di maggiore rilievo del periodo post-
neorealistico.
Si deve riconoscere che la critica contemporânea, general-
mente avvezza a valutare i film piu dal punto di vista rozza-
mente contenutistico o genericamente ideologico, seppe súbito
individuare — per fortuna e per mérito di Antonioni — molti
di quegli elementi che siamo andati enumerando, anche se
non cosi sistematicamente, come del resto non era possibile
per una critica di impostazione e di destinazione giornalistica.
Invece la critica si è dimostrata insufficiente o inadem-
piente quando ha tentato, come era necessário, di generalizzare
il discorso sullo stile di Cronaca di un amore, di assegnare a
questo stile un posto adeguato nella storia del linguaggio
filmico, di individuame la struttura fondamentale, la matrice
strutturale profonda, collegata ad una precisa e storicamente
motivata forma di utilizzazione delia camera, nella quale si
potessero ricomporre gli sparsi elementi stilistici individuati
e che desse una ragione piu piena e piu pertinente degli squi-
libri, delle contjaddizioni e degli evidenti impacci costruttivi
che Cronaca di un amore denunciava.
Questo tentativo di ampliamento e di generalizzazione del
discorso sullo stile di Antonioni è avvenuto, naturalmente, in :•
forme diverse in Italia e in Francia, in dipendenza del diverso
tipo di discorso che nei due paesi si andava svolgendo sul
cinema e delia diversa angolazione teórica e metodologica con
la quale si aflrontavano i problemi del linguaggio cinemato­
gráfico.
In Italia, nel 1950, data di edizione del film, aveva rag-
giunto i suoi toni piu acuti la polemica sul superamento delia
teoria dello specifico filmico, identificato impropriamente con
il montaggio di pezzi brevi, e sulla « terza fase del cinema »:
polemica di carattere estetico — anche se nascondeva motiva*
zioni di carattere politico-culturale, come è ovvio, ed infatti I
era legata a filo doppio al dibattito piu generale sul supera­ i
mento deiridealismo — come era nella tradizione degli studi
italiani sul cinema, la cui origine era stata, come s’è visto,
determinata dalPestensione al film delPestetica crociana e genti-
liana. In questa situazione, era fatale che Cronaca di un amore
attirasse Fattenzione delia critica non soltanto perché, come
% si disse, segnava un punto di distacco dal neorealismo populi-

42
stico per rivolgersi a quello che venne allora chiamato neorea-
lismo borghese o neorealismo interiore, ma anche per le forme
di montaggio adottate dal regista, per il lungo impiego del
piano-sequenza, del montaggio interno al quadro, del movi­
mento di macchina nelle sue diverse possibilita di articolazione,
per gli accordi direzionali dei pochi stacchi, che mantenevano la
continuità spazio-temporale anche quando era necessário operare
lo stacco, per ragioni tecniche. Insomma, la técnica di ripresa
adottata da Antonioni portava altra acqua al mulino di coloro
che sostenevano Pinutilità e 1’arretratezza delia teoria del mon­
taggio come specifico filmico, ormai contraddetta dalle opere
piíi interessanti e piu avanzate. Ed infatti il protagonista prin-
cipale di questa polemica, Guido Aristarco, utilizzava a questo
fine una sua analisi di Cronaca di un amore, già apparsa sulle
colonne di « Cinema »20, nel capitolo conclusivo delia sua Storia
delle teoricbe del film, dedicato appunto alia polemica parallela
contro 1’estetica idealistica e contro la teoria dello specifico
filmico. Ma era anche fatale che — proprio per 1’ambito del
discorso nel quale avveniva la riconduzione a modelli formali
piu generali dello stile individuale di Antonioni, proprio perche
ci si serviva di esso come termine esemplificatorio in una pole­
mica di carattere estetico e politico-culturale — il discorso
rimanesse fermo alPindividuazione, ancora superficiale e disor-
ganica, di quei pochi elementi di stile ricordati sopra e che
non erano certo sufficienti a definire compiutamente la struttura
del cinema di Antonioni, come aveva avuto origine in Cronaca
di un amore, i suoi caratteri profondamente innovativi ed origi-
nali ed il suo porsi in opposizione rispetto ad altre forme con-
solidate di utilizzazione del mezzo.
È evidente insomma che la riduzione dei caratteri stilistici
di Cronaca di un amore entro la generalissima categoria del
« montaggio di pezzi lunghi », se era sufficiente alPinterno di
una piu o meno valida operazione di revisione estetico-critica
e di aggiornamento ideologico-culturale, non lo era certo altret-
tanto per definire 1’esatta collocazione di uno stile che già si
presentava con caratteri ben precisi e dcfiniti, non certo esauri-
bili nella genericità di quella categoria.
Già piu puntuali i riferimenti ed i modelli indicati dalla
critica francese. Basti per tutti questo passo di Tailleur e
Thirard: « Le style de la realisation, qui ne rappelait en rien
les autres styles de réalisateurs italiens, fussent-ils les plus
elabores, les plus calligraphiés, s*inscrivait au contraire dans
un courente dejà qualifié de « moderne », dont les réprésentants
principaux étaient 1’Orson Welles de Magnificent Amberson

43
I
et de Macbeth, le Hitchcock des Amants du Capricorne et de
la Corde, et sans doute faut il ajouter ici, bien que personne
ne Pait alors exhumé, le Preminger de Laura et de Fallen
Angel »21. Ed è ancora alia critica francese che si deve PapplP
cazione al cinema di Antonioni, fino da Cronaca di un amore,
delle nozioni di understatement, di behaviorism e di dedra-
matisation che certo sono aderenti alio stile di Antonioni, ne
qualificano in qualche modo alcuni caratteri fondamentali.
Eppure anche queste forme di caratterizzazione storica
e strutturale del cinema di Antonioni, pure assai piu puntuali
delia semplice nozione di montaggio interno o di pezzi lunghi
utilizzata dalla critica italiana, si rivelano insufficienti a definire
compiutamente lo stile di questo regista in ciò che esso ha di
profondamente originale ed a proporne una definizione nella
quale tutti gli elementi si ricompongano organicamente e senza
contraddizioni e, quando queste contraddizioni ci sono, ne spie-
ghi origini e cause. A mio parere la causa prima di questa
insufficienza o inadempienza critica, che vale per Cronaca di
un amore ma anche per i film successivi, deriva dai difetti
insiti nel modello di riferimento, la nozione di cinema moderno,
fondato sul « tournage en continuité », proposta per prima dal
maggior critico francese, André Bazin, nel suo studio di carat-
tere storico-fenomenologico, potremmo dire, sulle forme che
hanno marcato Pevoluzione storica del «découpage». Perche
— a parte le implicazioni spiritualistiche delTanalisi di Bazin,
delle quali ci si potrebbe facilmente sbarazzare lasciando intatta
la validità metodologica del modello, a parte anche Peccessiva
semplificazione delle forme antecedenti a quella moderna e
Peccessiva schematicità delia contrapposizione fra il cinema di
montaggio e la corrente moderna nel suo complesso e fin dalle
sue origini nel cinema muto con Murnau, Stroheim e Flaherty —
Pimmediata attribuzione del carattere di forma distinta di
rappresentazione ad un procedimento in sé puramente técnico,
come il tournage en continuité, pecca di eccessivo schematismo
teorico e metodologico e rischia di unificare entro una sola
categoria, bloccando Panalisi stilistica a questo livello di defi­
nizione, forme di cinema fra loro diversissime, autori fra loro
totalmente estranei non solo per i contenuti, o per le varianti
individuali di un modello formale comune, ma per la forma
strutturale di utilizzazione delia camera, che utilizza gli stessi
procedimenti tecnici in termini radicalmente eterogenei. Ed
infatti il « tournage en continuité » è utilizzato da Hitchcock
e dallo stesso Welles come forma di attuazione visiva di corpu-
lenti schemi drammatici. Insomma, anche se indubbiamente non

44
*-
si può negare che la diversità delia técnica modifichi le strutture
complessive, il rapporto fra camera e materiale drammaturgico
non è cambiato, mentre, come abbiamo visto, è proprio questo
Taspetto che, già in Cronaca di un amore, con tutti gli squi-
libri e le contraddizioni accennate, colpisce di piíi nel cinema
di Antonioni, nel quale la camera diventa protagonista, e lo
schema drammatico via via si affievolisce e si dissolve in un fluire
magmatico di blocchi di comportamento non selezionati o,
almeno, non selezionati in senso drammaturgico.
D’altra parte, come vedremo e come lo stesso regista ha
fatto notare piu volte, Antonioni non è un dogmático del
tournage en continuité, che andrà via via abbandonando, insieme
alia repulsione per il primo piano e per il dettaglio d’inserto.
In conclusione, un’analisi fondata sulla contrapposizione
fra cinema di moniaggio e cinema di non-montaggio, sia essa
formulata nei termini «estetici» delia cultura italiana o in
quelli « storico-fenomenologici » delia cultura francese, si rivela
insufficiente per l’insufficienza delia teoria che ne sta alia base
e per la genericità del modello preso come termine di riferi-
mento. Ne deriva un’analisi che indivídua caratteri frammentari,
eterogenei e generici, incapace di spiegare realmente un modo
di fare cinema nei suoi caratteri originali e nel suo svolgimento,
un modo di fare cinema che, oltre tutto, implica un modo
particolare di fruizione da parte dello spettatore proprio in
ragione delia sua originalità strutturale, e rischia dunque di
non essere compreso neppure nelle sue implicazioni «conte-
nutistiche », cioè umane e politico-culturali, di essere letto male
e quindi male interpretato o, se non piace questo termine un
po' invecchiato, esattamente collocato nel posto che gli compete
nella cultura contemporânea.

NOTE AL II CAPITOLO

1 Michelangelo Antonioni, Sei fúm, Prefazione, Einaudi, Torino, To-


rino, 1964; p. XVI.
2 Pierre Lephohon, Michelangelo Antonioni, Collana «Cinema d au-
jourdTiui », Seghers, Paris, 1961, p. 24. .
3 Pio Baldelli, Cinema deliambiguita. Bergman Antonioni, Samona e
Savelíi, Roma, 1969, p. 170.
4 P. L. Thirard, Aí. Antonioni, S.E.R.D.O.C., Lyon, coll. Premier
Plan, n. 15, p. 4.
5 Francois Debreczeni, N.lí., in Michelangelo Antonioni; Vhomme et
lobject, coll. Etudcs cincmatographiques n. 36-37, Paris, 1964, pp. 110*111.
6 Intervista a Michelangelo Antonioni in Settimo giorno, 10-3-60.
7 A volte, come in questo caso, amore c denaro sono presentati come

45
i termini di un conflitto interiore di un singolo personaggio. Qui è
naturalmcnte Paola, personaggio affetto da un fondamentale bovarismo
che si attua in cntrambe le direzioni, verso entrambi 1 poli di attra-
zione, cercando Tamore-passione, Yamour fou, ma alrintemo di una
salda situazione economica, come coronamento mdispensabilc delia sicu-
rezza borghese raggiunta. Naturalmente il termine «conflitto» non deve
trarre in inganno, perché esso non viene evidenziato come tale c non
sfocia in rappresentazione drammatica del polimorfismo psichico del-
1’uomo, ma viene semplicemente registrato come pura forma dl compor­
tamento.
Senza voler fare una casistica di tutti i personaggi di Antonioni
considerati da questo punto di vista, si può ricordare che esistono altre
figure che vivono al proprio interno questa contraddizione fra amore e
denaro, la protagonista delle Amiche, per esempio, e la stessa Irma del
Grido, che prende la decisione di lasciare Aldo solo dopo che ha saputo
delTeredità lasciatale dal marito, che le assicura la sicurezza economica.
Ma in generc si può dire che, soprattutto nelle opere delia matunta,
YAvventura, La notte e Leclisse, questa polarità di attrazione fra amore e
denaro si attua non airinterno di un singolo personaggio, ma entro perso-
naggi diversi e quasi sempre i personaggi femminili si muovono entro
Torbita sentimentale, mentre per quelli maschili il problema di fondo è
il danaro ed il successo professionale: è una galleria che comincia col
Lorenzo delle Amiche e continua col Sandro delYAvventurâ,^ col Gio-
vanni delia Notte e col Piero delYEclisse. Unica eccezione è il perso­
naggio del Grido, ossessionato dalla passione amorosa per la quale
abbandona casa e lavoro.
8 Arnheim ad esempio, come vedremo meglio piii avanti, riconduce
il cinema di Antonioni airinterno delia categoria artística che egli defi-
nisce come «malinconia senza forma», che sarebbe il caratterc predo­
minante, e « negativo », delia contemporânea arte « informale ».
9 Cario Di Cario, Michelangelo Antonioni, Bianco e Nero, Roma,
1964, pp. 11-12.
10 « Cinema », 1939, n. 78, p. 205.
11 Roger Tailleur, P. L. Thirard, Antonioni, Editions Universitaires,
Paris, 1963, pp. 19-22.
12 Op. cit. p. 22.
13 In realtà il primo a parlare di understatement a proposito del ci-
nema di Antonioni è stato ítalo Calvino in una lettera aperta airautore
dopo la visione delle Amiche, ma è stata la critica francese, piu di quella
italiana, a mettere a frutto questa categoria interpretativa.
SulTapplicazione delle nozioni di understatement e di behavio-
rism non concorda la Ropars-Wuilliemer la quale aíferma che in An­
tonioni la presentazione di un comportamento è sempre destinata a sug-
gerire una psicologia complessa, come non è il caso di Hemingway e
tanto meno delia scuola behaviorista: dunque un’interpretazione in
senso intimista del cinema di Antonioni, che prende troppo alia lettera
la formula del neorealismo interiore e troppo poco 1’eflettiva natura e
lo svolgimento reale dello stile di Antonioni. Anchc se non c’è dubbio
che quelle nozioni non hanno alcun valore di definizione critica posi­
tiva e servono solo come termini immcdiati di differenziazione rispetto a
determinate forme filmiche dalle quali Antonioni si distacca.
14 Giovan Battista Cavallaro, Michelangelo Antonioni, símbolo di
una generazione, Bianco c Nero, Roma, settembre 1957, a. XVIII, n. 9.
15 Fernaldo Di Giammatteo, «Cronaca di un amore», in Michelan­
gelo Antonionit 1'homme et Vobject, cit., p. 112.

46
16 Alberto Boatto, Le strutture narrative in Anlonioni, in Micbe
langelo Antonioni a cura di Cario Di Cario cit., p. 52-62.
17 Questo carattere deriva naturalmente dallo scarto con le condi-
zioni «normali» di utilizzazione del materiale plástico, alTintemo delle
quali la permanenza in campo di un oggetto «significa» che esso na
a che fare direttamente con lo sviluppo delia situazione: .
18 André Bazin, Qu’est-ce que le cinéma?, Editions du Cerf, Paris,
19 ^Micheiangelo Antonioni, (conversazione con); Bianco e Nero,
Roma, 1961.
20 Guido Aristarco, Cronaca di un amore, in «Cinema» n. s., mi-
lano, novembre 1950, n. 50.
21 Op. cit., p. 22-23.

47
CAPITOLO III

I CARATTERI DIFFERENZIANTI
DELLO « STILE-ANTONIONI »
Premessa metodologica: carattere descrittivo di questa fase del-
Vanalisi. - La dedramatisation come ipotesi analítica e suoi li-
miti. - II problema delia sceneggiatura. - La forma del soggetto. -
La forma drammatica come forma filmica. - La forma del mon­
taggio delle sequenze. - La forma delia sequenza. - La forma
del piano. - La forma del materiale plástico: la funzione del
paesaggio; la recitazione; il materiale sonoro.

•1,9

•»
Nel capitolo precedente, con Panalisi del primo lungome-
traggio a soggetto di Antonioni, Cronaca di un amore, abbiamo
assistito, potremmo dire, alia nascita dello «stile-Antonioni»
e al suo primo dispiegarsi in un’opera di ampio respiro, facendo
affiorare molti dei caratteri la cui precisa definizione è la
premessa necessária perche si possa giungere alia individua-
zione delia forma profonda e specifica del cinema di questo
autore, del suo atteggiamento formativo fondamentale e delia
sua esatta collocazione nella storia del film.
Ma occorre súbito una precisazione metodologica: la
nozione di « stile-Antonioni », alia determinazione dei cui carat­
teri distintivi ci dedicheremo in questa parte del nostro studio,
è ovviamente una nozione schematica ed astratta, che non tiene
conto degli elementi dinamici, degli interni motivi di svolgi-
mento formale e di atteggiamento nei confronti del reale: per
questa ragione occorre súbito chiarire che non è dalla somma
degli stilemi che andremo via via individuando che pensiamo
di poter dedurre meccanicamente, attraverso un procedimento
di pura accumulazione descrittiva, quella forma profonda del
cinema di Antonioni delia quale siamo alia ricerca. Abbiamo
già visto, a proposito di Cronaca di un amore, quali pericoli
si nascondano dietro le affrettate generalizzazioni compiute sulla
base di pochi elementi staccati dei quali non sia stato ben defi­
nito il carattere funzionale, e pericoli ancora maggiori si corre-
rebbero applicando procedimenti di quel tipo, che correlano
astrazioni ad altre astrazioni, non ad un solo film, ma ad un
arco di opere distanti fra loro nel tempo, e comprendendole
entro un’unica schematica nozione di stile. La riduzione di
caratteri stilistici che si sono via via venuti formando e modi­
ficando nel tempo alPinterno di una definizione di tipo sincro-
nico è possibile, almeno a questo livello delPanalisi, solo pre-
méttendo e riconoscendo esplicitamente che essa non vuole
essere in alcun modo una definizione
_ critica dello stile di
Antonioni, ma solo una fase di transizione, ancora elementare
e puramente descrittiva, valida solo per riportare alia memória,
o per definire con maggiore precisione analitica, quei caratteri
ricorrenti del cinema di Antonioni che ne rappresentano i tratti

51

.
distintivi, i segni di riconoscimento e sui quali bisogna insistere
per poter giungere ad una reale definizione critica. Un reper­
i ? tório di stilemi diinque, che mostri 1’affiorare e lo sparire di
alcuni, il persistere di altri, senza la pretesa di trarre, per il
momento e sulla base di questi soli dati, alcuna conclusione
definitiva.
r In secondo luogo occorre tener presente che questa nozione
astratta di «stile-Antonioni» si è venuta formando sulParco
di opere comprese fra Cronaca di un amore e Deserto rosso,
con il quale si chiude un ciclo, anch’esso fortemente articolato
e dinâmico, e si ha una brusca rottura, solo apparentemente
sorprendcnte ed immotivata, ma evidente sia a livello formale
che temático. È dunque da questo gruppo di opere che trar-
rémo il materiale per il nostro repertório di stilemi. Ma questa
limitazione dipende anche da un altro motivo: abbiamo visto
che in Cronaca di un amore Antonioni è ancora in bilico fra
il vecchio ed il nuovo, che la sua maniera originale di fare
cinema si manifesta in modo patente ma nello stesso tempo
ancora timido e reticente, incapace di fare a meno di certi
supporti di sicurezza e di dominare e permeare tutta la strut-
turadel film. Questo vale anche per i film successivi, almeno
fino al Grido a dXYAvventura, opere nelle quali lo stile-Anto­ '
nioni giunge alia totale liberazione, che si riconferma poi nella I
Notte e nelVEclisse, dando inizio, come vedremo, a quella
autoproblematizzazione che ne pro,vocherà la crisi e sarà al fondo i

L delia brusca svolta di Blow-Úp. ;:


Chiarito dunque il carattere astratto o, meglio, ancora
semplicemente descrittivo ed empirico di questa fase delPana-
lisi, va da sé che, da un certo punto di vista, essa non è che
Papprofondimento e Pestensione analítica di quei caratteri e
di quelle nozioni individuate dalla critica per Cronaca di un
amore e riproposte, con le dovute correzioni e i necessari aggior-
namenti, anche per i film successivi. Insomma — anche se
con una maggiore ampiezza e precisione analítica e cercando
di evitare gli errori piu palesi — Panalisi del cinema di Anto­
nioni non scenderà oltre la zona normalmente presa in esame
dalla critica ed userà ancora, come termine di riferimento, le
categorie descrittive utilizzate dalla critica stessa, inerenti ai
caratteri piu palesi dello stile di Antonioni, prescindendo per
il momento da ogni tentativo di approfondimento, come è stato
fatto del resto nelPanalisi di Cronaca di un amore, dove certe
. proposte di una diversa concezione del cinema e di una conse«
guentemente diversa metodologia analítica sono State appena
accennate, per non anticipare arbitrariamente le conclusioni del

52
discorso e per dare a questo il carattere il piu possibile empí­
rico ed aderente alia concretezza ed evidenza dei caratteri stili-
stici di Antonioni e dunque anche, inizialmente, alia sua
« figura » divulgata fra il pubblico e nella critica.
Ora, da questo punto di vista, fra tutte le categorie
descrittive messe in campo dalla critica, quella piu utile mi
sembra la nozione di dedramatisation, per una serie di ragioni (
che cercnerò di spiegare. —
Intanto, come abbiamo già visto parlando di Cronaca di «
un amore e come vedremo meglio in seguito, la categoria delia
dedramatisation è, fra tutte quelle che abbiamo esaminato, la
piu vicina ai termini delia poética esplicita di Antonioni, o, è
forse meglio dire, a quella parte di essa piu nota e divulgata,
tanto che viene il sospetto che questa categoria critica, come del
resto molte altre, non sia altro che 1’immediata e meccanica tra-
sposizione delle motivazioni dichiarate che Antonioni ha dato
delia struttura dei suoi film. È dunque ovvia 1’obiezione che
un procedimento di questo tipo, che utilizza i termini delia
intenzionalità di un autore come definitive categorie analitiche
c valutative, non ha alcun valore critico reale, né sul piano
interpretativo e valutativo né su quello descrittivo-analitico,
ma ciò non annulla la possibilita delia utilizzazione delle dichia-
razioni di poética come uno degli strumenti a nostra disposi-
zione per definire certi caratteri costruttivi e stilistici, tanto
piu ín una fase delia ricerca, com’è questa, ancora puramente
empírica e descrittiva, che mira soltanto a restituire in forma
ordinata e sistemática certi caratteri palesi del modo di operare
delTautore. < ' •' °r
Se teniamo presente che il repertório di figure stilistiche
che cercheremo di costituire ha come scopo quello di offrire
una serie di dati precisi e pertinenti che servano ad individuare
la forma profonda del cinema di Antonioni in termini di oppo-
sizione rispetto ad ãítri modelli formativi ó 3i organizzazione
3el materiale, non si può trascurare il fatto che, fra tutti, il
modello di quello che potremmo chiamare << cinema dramma-
tico » o delia « drammaturgia visiva », di cui piu avanti vedremo
i caratteri specifici, non poteva e non può non essere conside-
rato quello rispetto al quale il cinema di Antonioni si presenta
piu immediatamente differenziato, non fosse altro che perche era,
ma forse è ancora, quello con il quale la maggioranza del
pubblico e delia critica fa coincidere la nozione stessa di cinema
come forma espressiva o rapprcsentativa e rispetto al quale
dunque viene piu facile ed immediato cogliere i termini ed i
margini di scarto che il cinema di Antonioni presenta, per un

53

i
lungo periodo anche «scandalosaraente»: si pensi, valga un
esempio per tutti, ai fischi che accolsero la presentazione del-
YAvventura a Cannes, prima che le tecniche persuasive del-
Pindustria culturale riuscissero a fare accettare Antonioni al
pubblico, anche se non a tutto.
Infine la nozione di de-dramatisation mi pare la piíi utile,
fra quelle proposte dalla critica, come termine di riferimento
per questa prima fase delPindagine, perche, fra tutte, è la piu
comprensiva, quella che implica un piú ampio spettro di possi­
bilita analitiche, in quanto può riferirsi sia ai criteri di orga-
nizzazione dello strato figurale e, genericamente, narrativo, sia
f"a quelli che presiedono le scelte propriamente filmiche: non
solo, dunque, al progressivo allentamento del traliccio dram-
matico considerato in astratto, alia sempre maggiore «debo-
lezza» delPelemento «: intreçcio » caratteristica di Antonioni
àlmeno fino a Deserto fosso, ma anche alie strutture del mori:
taggio delle sequenze e delia loro successiõne, alPassenza di
mõtivazione drammatica del materiale messo in campo, inten-
zíonalmente ricercata attraverso varie tecniche (uso dei « tempi
mortí>r, scelta di obiettivi, ecc.), alie scelte dei piani e delia
lóro collocazione nella catena di montaggio: tutti elementi per
i quali il cinema di Antonioni si presenta immediatamente come
a-drammatico e per qualcuno addirittura «informe», voluta-
| mente o meno e con maggiori o minori giustificazioni.
Per questa ampia serie di possibilita analitiche che essa
offre, la nozione di dedramatisation mi sembra dunque un utile
strumento di lavoro: niente di piu, s’intende, perche sono evi-
denti le gravi riserve, avanzate anche da Metz *, che una nozione
di questo genere può sollevare quando pretenda di porsi come
unica categoria di definizione critica del cosiddetto cinema
moderno, né si possono dimenticare gli errori interpretativi ai
quali può condurre una sua incauta o troppo fiduciosa utilizza-
zione. Ed è proprio per questo suo carattere puramente stru-
mentale che essa sarà qui utilizzata solo fino a quando sembrerà
opportuno, senza vincolare totalmente ad essa il lavoro di indi-
viduazione degli stilemi di Antonioni, che rimane lo scopo reale
di questa fase del discorso.

II problema delia sceneggiatura.

rzioneEntrando dunque nel vivo del nostro discorso, 1’opposi-


del cinema di Antonioni alie strutture ed ai procedimenti
del cinema drammatico si manifesta, già a livello delia poética

54
esplicita ed ijn_ riferimento ad una fase ancora pre-filmica, col
suo atteggiamento nei confronti di quella che di questa forma
di cinema è una delle funzioni costitutive principali, lo scenario,
che è il luogo técnico dell’organizzazione del materiale narra­
tivo e delia sua predisposizione alia « messa in film ».
È noto che questa fase delia costruzione del film, che
nelPopera realizzata si risolve nella cosiddetta sceneggiatura a
posteriori o découpage, viene generalmente ripartita dalle gram-
matiche in tre momenti distinti, soggetto, trattamento e sceneg­
giatura o scenario, che rappresentano le fasi attraverso le quali
la vicènda viene formulata in termini cinematografabili. Ma
questa ripartizione ha un’ valore puramente empirico e opera­
tivo e la sua funzione, piu che di definire i momenti struttu-
ralmente costitutivi di un processo artístico o formativo, è
quella di fornire la strumentale indicazione di un método di
lavoro, utile soprattutto per il prodotto spettacolare di consumo
caratterizzato, nella sua forma modellizzata dal cinema holly-
woodiano, da una rigida e specialistica divisione del lavoro,
mentre nel cinema d’autore queste fasi tendono ad essere uni- \
íicate in un solo momento creativo costantemente controllato
e diretto dal regista-autore, si valga o no di collaboratori
specialisti/
Se si considera invece la questione dal punto di vista
delPanalisi critica, ciò che interessa realmente è il tipo di
organizzazione, la struttura specifica che il materiale diegetico2
assume nel film realizzato, perché, naturalmente, è solo sul-
Popera concreta, e non sulle sceneggiature piu o meno «di
ferro», che ogni discorso critico, anche quello di chi fondi
la própria analisi sulPipotesi delia sostanza narrativa del cinema,
può legittimamente fondarsi: considerazioni scontate e banali,
che lo sono assai meno se si pone mente a tanti casi di analisi
di film compiute esclusivamente sulla base del copione, a volte
addirittura prima che il film fosse stato realizzato.
Ma se è ovvio che in nessun modo il copione può essere
assunto come materiale di analisi sostitutivo del film, ciò non
toglie che una prima utile indicazione per Panalisi e la rico-
struzione critica di una forma individuale possa scaturire dalPat-
teggiamento che un autore dimostra nei confronti dello strumento
técnico « sceneggiatura » o dalPuso che egli fa di questo strumen­
to técnico, dalla funzione che gli assegna nel processo costruttivo.
del film. Sappiamo che la polemica contro la sceneggiatura ed
il suo carattere definitivo e vincolante ha costituito uno dei
momenti delia battaglia condotta dagli « autori » cinematogra- V
fiei contro il cinema di consumo e le ferree regole che caratte- , ,<W>
ÍW*>
55
rizzano Papparato produttivo spettacolare, alTinterno del quale
il rigido rispetto delia sceneggiatura costituisce il piu sicuro
strumento di controllo a disposizione del produttore e del
« mercante di spettacolo»: / si pensi al valore determinante
assegnato alia sceneggiatura, come garanzia contro tutte le
possibilita di libera manipolazione e di personale ricomposizione
[_del materiale offerte all’autore in sede di montaggio, nel cinema
hollywoodiano e nel cinema soviético dopo 1’involuzione con-
trorivoluzionaria e burocratico-autoritaria delia quale Stalin è
stato 1’espressione a livello politico-economico e Zdanov a quello
^rulturale e delia quale Eisenstein è stato in campo cinematogra-
' fico, non a caso, la principale vittima. E dunque, il rifiuto o
il ridimensionamento delia sceneggiatura, caratteristico di molti
degli autori di punta del cinema neorealista e postneorealistico,
Rossellini, Antonioni, Godard, per fare qualche nome fra i
tanti, rappresenta certamente la proiezione a livello delle strut-
ture e dei procedimenti produttivi delia lotta per Paífermazione
!_e la liberazione del film come mezzo di espressione individuale.
Ma il punto piu interessante non è tanto questo. Non è
possibile dimenticare che la polemica pJXL.ÇL contro la sceneg­
giatura di ferro, prima ancora di divenire uno dei termini delia
r. •
battaglia degli autori contro le strutture industriali del cinema,
era nata aU’interno del cinema d’autore e, cosi come si confi­
gura nel dibattito fra Eisenstein e Pudovkin, sottintendeva e
si correlava a due modi radicalmente diversi di concepire la
natura e Pessenza del montaggio e del film stesso come opera-
zione creativa. Sappiamo che la difesa del valore delia sceneg­
giatura da parte di Pudovkin implicava la concezione del
montaggio «a priori», dunque del montaggio inteso sostan-
zialmente come concreta, forma di attuazione filmica del mate­
riale, già prcfigurabile, nelle sue grandi linee, in sede di costru-
zione dello scenario, cosi come la concezione delia sceneggia­
tura come «novella cinematográfica», pura fonte di sugge-
stioni e di emozioni per il regista, sostenuta da Eisenstein, era
correlata ad una concezione per la quale tutto ciò che è prece­
dente alia fase di ripresa e di montaggio, qualsiasi forma di
elaborazione prefilmica del materiale è mera matéria che viene
strutturata, acquista forma e senso soltanto nel momento del-
Poperazione filmica vera e própria, in sede di ripresa e di
montaggio, e non è invece, come nella concezione opposta, un
momento strutturalmente costitutivo del processo di costru-
zione delia forma filmica.
Tenendo ben ferma nella mente questa alternativa — che
non esaurisce la polemica sulla sceneggiatura alPinterno delia

56
battaglia fra cinema cTautore e strutture consolidate delPindu-
stria dello spettacolo e non implica solo una diversità di
poética, ma anche una radicale diversità strutturale di utiliz-
zazione dello strumento filmico — è facilc comprendere come
la posizione assunta da un autore a proposito del problema
delia sceneggiatura e la funzione a lui asscgnata a questo
momento técnico del processo di costruzione del film possano
essere assai indicative dei termini concreti delia sua conce-
zione generale del cinema, delia sua poética, e degli stessi carat-
teri del rapporto che Pautore, attraverso lo strumento cinema­
tográfico, intrattiene con la realtà; come essa sia il preannuncio,
o P« indizio » a livello delia poética esplicita e del método di
lavoro, del tipo di organizzazione al quale viene sottoposto lo
strato diegetico e delia funzione che a questo viene assegnata
nella totalità delPoperazione filmica. _
Questo è particolarmente vero per Antonioni, nel quale i
il rifiuto delia sceneggiatura di ferro, o comunque delia sceneg­
giatura come esatta e puntuale precostituzione delia struttura
3eT_film, coincide perfettamente con il rifiuto dei canoni dram-
maturgici, caratteristici delle opere nelle quali la componente
diegetica si pone come essenziale e primaria rispetto a tutti
gli altri elementi, come luogo non solo técnico ma anche strut­
turale, nel quale si realizza e si compie la messa in scena filmica
del reale -
Antonioni ha espresso piíi volte il proprio fastidio nei
confronti di ogni forma di carattere vincolante assegnato alia
sceneggiatura: «Oggigiorno credo che il tempo delia sceneg­
giatura di ferro sia finito. Ma_ pare che la sceneggiatura, oggi,
possa essere solo un complesso di appunti che vanno aggiornati
via via che si gira, non soltanto secondo quello che la realtà, K
quello che la nostra mente ci suggerisce nel corso delia lavo-
razione, ma anche considerando profondamente gli influssi
esterni, le persone intorno a noi. E le loro relazioni con noi,
anche. È questo forse il modo di essere autobiografici, cioè
di_ niettere nel film tutto ciò che la realtà muove dentro di
noi, ma immediíamente, in modo contingente»3. Parole che
potrebbero benissimo essere State scritte da Eisenstein, come
queste altre: « Ecco il limite delle sceneggiature: dare parole
a eventi che le rifiutanò. Sceneggiare è un lavoro veramente
Tãticoso, appunto perche si tratta di descrivere con parole prov-
visorie, che poi non serviranno piu, e già questo è innaturale.
La descrizione non può essere che generica, o falsa addirittura,
perche riguarda immagini prive molto spesso di riferimenti
concreti. Rileggendo queste sceneggiature, ciò che sento di

51
piu è il ricordo dei momenti che mi hanno portato a scriverle.
! Certi sopraluoghi, i colloqui con la gente, il tempo passato
negli ambienti dove la scena avrà poi vita, la scoperta graduale
del film nelle sue immagini fondàmentali, nei suoi colori, nella
J sua cadenza. Questo forse è il momento piu importante. La
sceneggiatura è una fase intermédia, necessária ma transitória. i
Per me il film, mentre giro, deve ricollegarsi a quei momenti
là per venire bene, ho bisogno di ritrovare quella carica, quella
convinzione. Le discussioni in fase di sceneggiatura con i colla-
boratori, la ricerca spesso fredda e abile di una costruzione,
di una soluzione suggerita dalTesperienza certo contribuiscono
ad articolare la vicenda nel modo migliore. Ma rischiano di
raffreddare la spinta iniziale. Ecco perche durante il lavoro di
sceneggiatura c’è sempre un momento di crisi in cui si perde
il senso di quello che si sta raccontando. Allora non c’è altro
da fare che interrompere e rimettersi a pensare al film come
lo si è immaginato nei sopraluoghi. Un’altra sensazione ho
avuto rileggendo questi copioni piuttosto curiosa: una specie
di stupore misto ad irritazione. Perche avendo ormai i film
stampati in testa, troppe cose non coincidono piu. E anche
quelle cose che coincidono sono esposte in una forma pseudolet-
teraria che, appunto, irrita. Sbaglia chi sostiene che la sceneg­
giatura ha un valore letterario. Si potra obiettare che queste
non 1’hanno, altre potrebbero averlo. Ma allora son romanzi
veri e propri, autonomi. Un Jilm non impresso sulla pellicola
nonjesiste^ I copioni presuppongono il film; non hanno auto-
I nomia, sori pagine morte »4.
Ho voluto dilungarmi nel citare per esteso queste dichia-
razioni di Antonioni, perché mi pare contengano molti spunti
che potranno essere fecondamente sviluppati nel seguito di
questa ricerca delia forma profonda del suo cinema e che servi-
ranno a chiarire molti equivoci che sono sorti su di esso,
dovuti, a mio parere, ad un errata forma di fruizione che nella
critica risale a sua volta a deficienze di carattere metodologico.
Ma per il momento mi preme sottolineare come da queste
_ dichiarazioni appaiano in modo del tutto trasparente due cose.
Prima di tutto che la sceneggiatura non è, per Antonioni,
qualcosa di già compiuto e formato, che contiene in sé, almeno
potenzialmente, i caratteri strutturali di quella che sarà Popera
realizzata; non è una entità organica e definitivamente strutturata,
che deve essere solo messa in scena e fissata sulla pellicola,
in modo che Púnico problema che si pone dopo la sua stesura
è quello di fare in modo che il lavoro propriamente filmico
(recitazione, tecniche di ripresa, di montaggio e di sonorizza-

58
zione) realizzi concretamente, attraverso scelte adeguate, gli
elementi rapprcsentativi e compositivi già impliciti nella sce-
neggiatura; essa è, al contrario, un puro strumento di lavoro, una
fase di transizione nella quale le suggestioni e le immagini, gli
ambienti ed i comportamenti che hanno dato origine al film,
momentaneamente si cristallizzano e si schematizzano in un
linguaggio inadeguato, per tornare poi a rivivere e ad essere
parte costitutiva del vivo e concreto processo creativo al
momento delle riprese. La sceneggiatura, insomma, non è per
Antonioni — mi pare che lo si possa legittimamente dedurre
dalle sue parole — un momento progressivo delia elabora-
zione artística del film',' ma,' al contrario, una fase momenta­
neamente regressiva, imposta da necessita tecniche, soprattutto
dal fatto che il cinema è pur sempre, tecnicamente, un fatto
collettivo ed il film un prodotto la cui concreta realizzazione è
un processo assai complesso e composito, che richiede un
punto di riferimento sicuro ed oggettivo.
In secondo luogo, appare evidente che il film, per Anto­
nioni, non è la traduzione visiva di una vicenda concepita in
termini letterari, come qualcuno sostiene anche con convin-
centi argomentazioni, ma nasce sulla base di suggestioni, visive
e sonore, direttamente cinematografiche, passa poi necessaria­
mente attraverso una fase di elaborazione letteraria, di tradu­
zione verbale, è meglio dire, di quelle suggestioni originarie,
e torna ad essere pienamente film nel momento delle riprese,
per la capacita e la volontà di Antonioni di far rivivere quegli
elementi originari nella loro concretezza, e soprattutto di essere
aperto e disponibile alie nuove suggestioni che gli provengono
dalTe situazioni concrete che gli accade di incontrare anche .
in fase di ripresa. _\
Non c’è dubbio che quel passaggio intermédio rappresenti
un punto critico, qualcosa che viene a turbare la purezza e la
naturale continuità del processo artístico e che abbia delle
conseguenze sulla struttura del film nei momenti meno felici;
che possa dare 1’impressione di un radicale dualismo, di una
non componibile frattura interna al cinema di Antonioni, come
ha sostenuto qualche critico5. In realtà però, mi sembra piú
giusto dire che non si tratta di un fatto « strutturale », o costi-
tutivo del cinema di Antonioni nelle radiei stesse delia sua
concezione, ma rappresenta appunto il rischio che Anto­
nioni corre costantemente proprio a causa delia difficoltà e
delia originalità del suo fare cinematográfico. Rimane comunque
il fatto, assai significativo, che in nessun modo un copione di
Antonioni può essere assunto dalla critica come termine di

59
riferimento e di confronto con il film compiuto, per Pindivi-
duazione dei suoi caratteri e delle sue significazioni.
1 D’altra parte le dichiarazioni rilasciate dal regista sul
valore e la funzione delia sceneggiatura trovano piena conferma
nella pratica, nei suoi metodi di lavoro che, come c a tutti
\ noto, concedono abbondanti margini aH’improvvisazione di
\ intere sequenze.

La forma del soggetto.

La conseguenza e la manifestazione piii importante a


livello operativo delPatteggiamento di Antonioni nei confronti
delia sceneggiatura — quella che ci permette di ricondurre il
discorso dal terreno delia verifica di poética € quello, piíi sicuro
dal punto di vista analitico, del modo oggettivo e concreto
con il quale il cinema di Antonioni entra in opposizione con
il modello formale del cinema drammaturgico già a livello dei
) caratteri delia struttura narrativa — è il progressivo indeboh-
•j mento dell’elemento intreccio, la semplicità e la ’«_Hanalità»
\ 'déTsoggetti che progressivamente andrà caratterizzando il cinema
■ di Antonioni.
Abbiamo visto, parlando di Cronaca di un amore, come
questo film fosse caratterizzato dalla presenza di un intreccio
ancora abbastanza « forte », di uno schema drammaturgico vero
e proprio, derivato dal film e dal romanzo nero americano, che,
anche se sostanzialmente « negato » dai caratteri costruttivi del
film, aveva leggi e canoni precisi che finivano per imporre in
qualche modo le proprie esigenze alia struttura del film e per
provocare quegli squilibri e quel dualismo di fondo del quale
abbiamo già detto.
Nei film successivi accade che assistiamo ad un progressivo
indebolimento delTelemento «intreccio», alia crescente dimi-
nuizione delia sua importanza nelPeconomia costruttiva del film,
alia riduzione delle sue funzioni costitutive delle sue arti-
colazioni in uno schema semplicissimo e sostanzialmente sempre
uguale, che, proprio per questa monotonia, rivela una progres­
siva adeguazione delia struttura delPintreccio ai caratteri piu
originali o personali dello stile di Antonioni, che risolve appunto
il conílitto presente in Cronaca di un amore riducendo il soggetto^
oPint receio alia funzione di supporto, il piu semplice possi-
bile, alia funzione di mera occasione di brani di comportamento./
Quali sono infatti, i caratteri distintivi dei soggetti di
Antonioni? Schematicamente, potremmo porre in rilievo tre
\
60
aspetti fondamentali. Innanzi tutto il fatto che essi sono andati
sempre piíi spogliandosi di sovrastrutture ed articolazioni speci-
íicamente e patentemente drammatiche, si sono sempre piú
allontanati dal ritrarre situazioni eccezionali e complesse per
assumere i caratteri e 1’andamento delle situazioni piu quoti-
dlãne e « normali »: è questo 1’aspctto per il quale nei film
cfi~Àntonioni « non accade niente». E anche lo schema-base \
del triangolo sentimentalc — che è Púnico schema di evidente |
cfêrivazione drammaturgica che rimane ed è ricorrente in forme 1
diversc, con Púnica eçcezione de I vinti, fino a Deserto rosso —
viene -progressivamente spogliato di ogni potenzialità dramma-
tica perche se nella Signora senza camelie, nelle Amicbe, nel
Grido e nç\YAvventura Ia situazione triangolare (o la pluralità
di situazioni triangolari, come nelle Amicbe), è ancora in qualche
misura una forma che condiziona Pagire dei personaggi e il
concatenarsi degli avvenimenti, dalla Notte in poi questo non
accade piu e la situazione triangolare è una situazione fra le
tante, un puro modo di essere dei personaggi, un elemento
che non è piu in alcun modo un fattore dinâmico nello svolgi-
mento delPazione, né portatore di evoluzione o modificazione
psicológica nei personaggi. Sul piano strutturale e compositivo
Pintreccio di Antonioni, se è ancora lecito usare questo termine,
tende sempre di piu verso la forma aperta, cioè verso la *
tõtãle" negazione delPintreccio come parabola esemplare o come •
apologo, caratterizzata da un totale disinteresse verso i due
momenti che delPintreccio rappresentano le funzioni fonda­
mentali in senso compositivo, Vinizio e la fine: soprattutto
quesPultima, che nei film di Antonioni tende sempre di piu
alia totale indeterminazione, alia totale irrilevanza rispetto a
qúel barlume di vicenda nel quale i personaggi si sono trovati
coinvolti.
Questi, sinteticamente, i caratteri piu macroscopici e speci-
fici dei soggetti di Antonioni, quelli sui quali si è fondata, fra
Paltro, Papplicazione al cinema di Antonioni delle categorie
critiche di «opera aperta» e di «antiromanzo», di cui
vedremo piu avanti i fondamenti equivoci. Naturalmente questo
processo di progressivo disfacimento delPintreccio e dunque
la rinuncia ad una utilizzazione delPintreccio, delia costruzione
di una vicenda esemplare come forma di strutturazione del-
Pesperienza e di interpretazione del mondo, non è un processo
assolutamente rettilineo, tanto piu che alia struttura total­
mente aperta delPintreccio, già comunque ridotto alie funzioni
estremamente elementari, Antonioni è giunto solo quando, per
un naturale processo dialettico inerente al suo modo stesso di

61
i-

' fare cinema, alia forma profonda del suo stile, 1’ambito tema-
tico dei suoi film ha abbandonato la registrazione di compor-
tamenti centrati soprattutto sui rapporti sentimentali per porre
il problema del rapporto fra personaggio e oggetto, come si è
venuto configurando da La notte in poi. Finché il tema reale,
e non ancora solo apparente, dei suoi film restano i rapporti
sentimentali fra i personaggi, Antonioni sente il bisogno di
chiudere in qualche modo il racconto, con la resa di Clara nella
Signora senza camelie; con il doppio finale che chiude le due
situazioni triangolari di base delle Amiche, dove il primo trian-
golo è rappresentato da Rosetta, Lorenzo e Nene e si risolve
nel suicidio di Rosetta, il secondo, di diverso tipo, dall’incontro
fra Clelia e Cario nel quale il terzo lato è rappresentato dalle
ambizioni professionali di Clelia, che si chiude con Pabban-
dono e la partenza di Clelia per Roma; con il suicidio di
Aldo, che risolve la situazione triangolare de II grido; con il
perdono di Claudia dopo il tradimento di Sandro che chiude
YAvventura. Mentre i finali delia Notte, deli*Eclisse, di Deserto
rosso, sono dei veri e propri finali aperti, non hanno insomma
nessuna funzione di risoluzione delia vicenda sentimentale trian­
golare nella quale i vari personaggi sono stati protagonisti.

La forma drammatica come forma filmica.

Natura.lmente, ciò che interessa di piu osservare ed ana-


lizzare non è tanto la struttura dell’intreccio considerato per
se stesso, in astratto, quanto piuttosto il tipo di trattamento
al quale questo elemento — comunque sia strutturato, mag-
giore o minore sia la sua complessità — viene sottoposto nel-
1’organizzazione complessiva del film, quale il suo peso e la
sua funzione aH’interno del materiale messo in campo.
Da questo punto di vista Pimpressione generale che si
ricava dalla struttura tipica e specifica del film di Antonioni è
che in essa lo schema drammatico, piu o meno semplificato,
non riesca comunque mai a porsi come asse dell’organizzazione
formale del materiale, ma che esso al contrario, già debole al
momento delia sua «invenzione», ma comunque esistente,
venga ulteriormente diluito e come scaricato di ogni residua
potenzialità drammatica, meglio, che gli venga programmati-
camente negata ogni capacita di porsi come forma di inter-
pretazione e di ricomposizione significante deiresperienza del
fenomenico il quale, nel film, è la stessa matéria delPespres-
sione. II fatto significativo non è dunque tanto Pindebolimento

62
e Pimpoverimento delPintreccio considerato in astratto, né la
dedrainatisation caratteristica del cinema di Antonioni consiste
solo nella sostituzione pura e semplice di contenuti psicologici
e di situazioni ritenute per se stesse generatrici di dramma con
altre che non sono ritenute tali, né è, d*altra parte, il rifiuto
delPintreccio tout court che è caratteristico di certe forme di
cinema d’avanguardia o underground (alcuni film del N.A.C. e
di alcuni epigoni italiani, Leonardi per esempio). L’operazione \
che Antonioni compie è assai piu sottile, perché, dopo che egii
ha costruito un soggetto e dunque selezionato il reale e coito
in esso i tratti che la sua ideologia e la sua attenzione gli
propongono come i piu indicativi e significativi, dopo averli
selezionati e ritagliati dal continuum informe delia realtà feno-
menica e avere posto cosi in atto una sorta di códice di rico-
noscimento affettivo-fantastico delPazione, questi tratti signi­
ficativi e tipici non vengono poi ricomposti in una rappresen-
tazione drammatica omogenea — nella quale ogni elemento mes-
so in campo sia in qualche modo funzionale ad essa e sia tale
che in essa il senso profondo delia realtà, che Pautore ha
intravisto attraverso la superfície informe, cangiante, perpe-
tuamente mobile del fenomenico, si presenti in forma assolu-
tamente pura, o depurata di tutti gli aspetti non significativi,
accessori e svianti — ma, al contrario, essi vengono riprecipita-
ti nel continuum di un materiale fenomenico informe ed indiffe-
renzianto, « come se » Popera di selezione non fosse mai avve-
nuta, « come se » quei tratti non fossero particolarmente signi­
ficativi, «come se» la volontà del regista fosse quella di
limitarsi a presentare dei puri brani di esistenza. —1
"Individuare un procedimento di questo genere porta a
riconoscere che il carattere di opposizione dello «stile-Anto-
nioni » al modello cinedrammatico va assai oltre il semplice
intreccio considerato in astratto, si estende a tutti i piani delia
composizione e diventa quindi una vera e própria opposizione
formale. Ma ciò implica, naturalmente, chiarire in che cosa
consista la specificità formale di quel modello, chiarire cioè
perché esso possa essere considerato una vera e própria forma
filmica e quali siano le sue strutture caratterizzanti.
Leggiamo questo passo di Arnheim: « La tendenza recente
alia dissoluzione delia forma ha cominciato a manifestarsi anche
nel cinema. Si può citare, ad esempio, YAvventura di Anto­
nioni, film meritevole, che tuttavia si aggira negligentemente
attraverso una quantità di materiale non assimilato, come nel
vagabondare senza fine dei personaggi nelPisola, che óccupa la
sequenza centrale. Può darsi che faceia torto a quesPopera

63
tf.

particolare, ma, se si concede che essa sia quello che è apparsa


. a me, si tratta di un modo nuovo e legittimo di interpretare
la dissoluzione mediante la forma non organizzata, o si tratta
di un sintomo clinico dello scoraggiamento mentale che Popera
\ intende ritrarre: la malinconia senza forma? »6.
Questo giudizio del celebre psicologo e teorico delParte
tedesco-americano, correlando ad una « assenza di forma » alcuni
dei caratteri per i quali diciamo che lo stile di Antonioni è
radicalmente oppositivo al modello del cinema drammatico,
mi pare contenga implicitamente delle indicazioni che possono
aiutarci a risolvere i problemi teorici che sono affiorati.
Intanto va detto, per inciso, che nonostante la sua brevità
e il suo carattere episodico, questo giudizio sintetizza brillan-
1 temente, nella nozione di « assenza di forma », tutta una serie
di interpretazioni e di giudizi che si sono andati via via for­
mando sul cinema di Antonioni. In questa direzione — anche
senza Paccentuazione negativa di Arnheim, ma con le stesse
categorie di definizione e di analisi — si muove, ad esempio,
tutto quel settore delia critica, soprattutto francese, che ricon-
duce lo « style-Antonioni » entro la nozione di cinema moderno,
del quale rappresenterebbe addirittura Va b c, come abbiamo
già visto; una nozione che, come ricorda giustamente Christian
. Metz, si è costituita, esclusivamente o quasi, alia luce di
determinazioni negative (;;o«-montage, í/e-dramatisation, temps
morts, ecc.), dunque in puri termini di opposizione di strut-
ture negative rispetto alie strutture del cinema « non moderno »,
•: del cinema tradizionale. Ora, se non altro, il mérito di Arnheim,
e quello di altri studiosi che si muovono nello stesso senso,
pure senza usare le sue definizioni critiche, ovviamente, è quello
di non accontentarsi, nel processo di qualificazione delle nuove
strutture del linguaggio cinematográfico, di coglierne soltanto
la diversità rispetto alie categorie formative tradizionali co-
struendo una nuova categoria formale esclusivamente sul rove-
sciamento di quelle: essendo evidente che, se di uno stile si
coglie soltanto il carattere di ncgazione di una forma prece­
dentemente consolidata non è corretto dedurne una categoria
formativa e valutativa di segno positivo, ma è assai piíi cor­
retto, come fa Arnheim, porre questo stile sotto la costella-
zione, che caratterizza un ampio settore delParte moderna,
delia «assenza di forma ». È per questa ragione, fra Paltro,
che ho sottolineato alPinizio che Putilizzazione, in quest’analisi,
delia nozione di dedramatisation è puramente strumentale e
non vuole essere in alcun modo il processo diretto di deter-
minazion delia reale forma di Antonioni, che, a mio parere,
esiste, ma non come mera ncgazione di forme precedenti.
64
Ma, a parte questo aspetto, il punto per il quale il discorso
di Arnheim citato è estremamente interessante consiste nel
fatto che la sua nozione di forma — che è evidentemente implí­
cita nel discorso citato come alternativa di segno positivo ai
caratteri «informali» da lui individuati nella sequenza del-
PAvventura — è formulata in modo da contenere in sé dei
caratteri che, come vedremo, sono quelli specifici del modello
filmico drammaturgico, o, meglio, in modo da spiegare perché
le forme ed il tipo di organizzazione che il dramma impone al
materiale filmico possano essere considerate una vera e própria
forma filmica. Risiede dunque nel fatto che, attraverso Pesame
di questa nozione di forma, possiamo arrivare meglio a definire
i caratteri specifici del modello formativo cinedrammatico.
II passo di Arnheim citato sopra, fa parte di un volume
il quale, pure essendo, materialmente, una raccolta di scritti
prodotti in un ampio arco di tempo, può essere considerato
concettualmente unitário, perché rappresenta Papprofondimento
costante del concetto di « forma » artística, coerente esito delia
giovanile Matherialthcorie formulata alia luce delle teorie psi-
cologiche di Wertheimer e Kõhler, che di Arnheim erano stati
i maestri a Berlino, e degli altri teorici delia Gestaltpsychologie.
Sinteticamente e schematicamente, riducendo cioè il problema
ai termini che interessano' il nostro discorso, il concetto di
« forma » artística di Arnheim può essere identificato con una
sorta di principium organisationis attraverso il quale Pattività
espressiva, come del resto quella percettiva, costituisce Pog-
getto: «Percepire — dice Arnheim — come rappresentare
una cosa, significa trovare, nella struttura di essa, una forma »7,
significa quindi depurare il materiale oggettuale di tutte le sue
qualità non pertinenti per farne affiorare, al di sopra del suo
carattere apparentemente magmatico, casuale ed indefinito,
« irrazionale », come lo definisce Arnheim, una struttura che lo
renda preciso, fermo e definito. Se nelPattività percettiva questa
opera di organizzazione del materiale scnsibile indistinto avviene
attraverso Pincontro fra Poggetto e le forme percettive fonda-
mentali, Papplicazione di questa « nozione » di forma delPat-
tività artística implica che il principio delia Materialgerechtheit
— secondo il quale è il « médium », lo strumento espressivo, a
guidare Patteggiamento delPartista — non deve coincidere
con la resa delPartista di fronte alia bruta materialità del
mezzo.
Questo è il punto fondamentalc: Partista non deve arren-
dersi di fronte al materiale amorfo che costituisce il suo
médium perché Parte, appunto, «è, precisamente, la capacità

65
di rendere visibile la realtà... e tale visibilità è prodotta dalla
forma, e — come ad esempio sappiamo dal confronto fra
mascbere in gesso di volti umani e ritratti scolpiti — il
materiale grezzo non trattato tende a rendere invisibile Fog-
getto ». La rappresentazione delia realtà non può essere intesa
dunque come meccanica registrazione del fenomenico, ma deve
contenere in sé una «presa attiva » che porti Fartista a far
affiorare, attraverso la forma, cioè Forganizzazione composi-
tiva del materiale grezzo, le strutture profonde delia realtà.
È vero che la « forma aperta » — per impiegare il termine
di H. Wõlfflin — in arte è caratterizzata da una dipendenza
piíi indiretta delia composizione del tema centrale. Essa opera
con abbondanza, e non con scarsità di materiale, con la coordi-
nazione, non con la subordinazione. Tuttavia la differenza tra
la forma aperta e la forma chiusa... non va fraintesa, non è
la differenza tra un tipo di composizione controllato dai criteri
delFunità e delia necessità, ed un secondo tipo che impieghi
materiale « libero», non determinato dalla funzione ». Invece
«la tendenza realística nelFarte occidentale ha prodotto un
decremento graduale delia visibilità, complementare ad un
crescente cedimento delia capacità formativa delia mente umana
rispetto al materiale grezzo delFesperienza... Alcune tra le
principali varietà delFarte astratta, parallelo riconosciuto del
tardo impressionismo di Monet, hanno fatto scivolare questo
pattern fino alia pura tessitura, il che equivale dire che
non consentono piu alFocchio di organizzare il materiale pre-
sentato. Diventa sempre piu chiaro che tale abbandono del-
Forganizzazione pittorica, con la concomitante perdita delia
perspicuità, altro non è che Fanelito alFinforme, il ritorno
al materiale grezzo delia realtà ».
II cinema e la fotografia rappresentano, in questo processo
di progressiva riduzione delia presa attiva sulla realtà nel quale
la tendenza alia rappresentazione amorfa, non organizzata delia
realtà coincide con la rinuncia ad utilizzare il mezzo in fun­
zione formativa, il culmine massimo. Questo perche — e qui
Arnheim, accettando Fosservazione di Krakauer, corregge note-
volmente la sua prima impostazione del problema del film
come arte nella quale accentuava i caratteri distintivi delia
visione filmica rispetto alia visione comune e la loro conse-
guente potenzialità formativa, trascurando di considerare il
carattere realístico del materiale — nella fotografia e nel cinema
il fenomenico informe è parte costitutiva del médium, nel quale
dunque «il rapporto fra materiale grezzo ed elemento forma­
tivo (artístico) è tale da rafforzare la partecipazione del primo

66

i
e da ridurre la perspicuità ». « Che cosa distingue Pimmagine
fotográfica? Gli oggetti che essa mostra, saremmo tenta ti di
dire, tendono ad essere tanto complessi nella loro forma e nelle
loro strutture, oltre che nelle loro mutue relazioni, che Poc-
chio li sperimenta come irrazionali, vale a dire come non
relazionabili a forme visuali definite. In realtà, il mondo visivo
si presenta come un continuum, privo di tagli netti, che trava-
lica qualsiasi cornice ». Ma è lecito dedurre, da questo, che in
ciò consista la forma del cinema e che la sua funzione reale
consista nel rappresentare il flusso indistinto delia realtà e
che in questo carattere il cinema si ponga come la piíi alta
forma di arte realistica? Arnheim — e arriviamo alia sostanza
delia sua posizione lasciando perdere i ragionamenti sottili e
complessi con cui la motiva — lo nega, evidentemente, proprio
sulla base del suo concetto delia rappresentazione artística che ha
come compito quello di rappresentare la realtà cogliendone le
strutture profonde attraverso dei procedimenti compositivi,
mentre Papparente realismo del film nel quale, come dice
Krakauer, Partista filmico è « un uomo che comincia a raccon-
tare una storia ma che, girandola, è sopraffatto dal suo desi-
derio innato di coprire tutta la realtà fisica... » e nel quale si
coglie la « realtà fisica nella sua concretezza », non è in realtà
che una resa alPimmagine, irrazionale perche informe, e rientra
nella tendenza delParte occidentale in cui il realismo finisce
nella pura arte tessiturale, nella rinuncia totale alia perspicuità
delia rappresentazione che può derivare solo da un adeguato
trattamento compositivo del materiale.
Certo, aggiunge altrove Arnheim, e qui si precisano le
ragioni delia sua opposizione ad Antonioni, di fatto la malin-
conia pervade la nostra arte visiva e la letteratura, ma è
« necessário operare un’accurata distinzionc tra la rappresenta­
zione artística di uno stato mentale e la manifestazione dei suoi
sintomi. La rappresentazione artística, quale ad esempio la
riscontriamo nei versi iniziali di Prufrok di T. S. Eliot, confi­
gura Pesperienza delia malinconia nella forma di un mezzo
dato. Quando il poeta parla di « semideserte strade... che si sus-
seguono come un tedioso argomento dalPinsidioso intento»,
descrive ciò che è senza fine, identificato da Krakauer come
un’esperienza tipicamente moderna, fotográfica, ma non lo fa
per mezzo delPinfinità in se stessa, bensl mediante una sequenza
di parole nettamente definita... Ciò è pure vero per i buoni
film. In Umberto D di De Sica, la non-pertinenza delPuomo
solitário è caratterizzata con tutta la precisione delPeconomia

67
/;i
estetica. Un tale neorealismo è profondamente diverso dal-
Tamorfa qualità di una realtà fotográfica registrata meccani-
camente e a caso ».
Ora, delia posizione di Arnheim, non ci interessa tanto
discutere la validità o meno dell’esigcnza da lui avanzata che
Tarte non sia mai una resa passiva alia realtà e alia corpulenta
materialità del mezzo, e che Tarte filmica non debba trovare
la própria giustificazione e il proprio « valore » nelTesibizione
vergine e non manipolata del continuum oggettuale ed evene-
menziale, esigenza sulla quale si può essere, in linea di mas-
sima, tutti d’accordo, e sulla quale è d’accordo, del resto, lo
stesso Antonioni8. Quello che ci interessa è che, nelTapplica-
zione delia nozione di forma o delia esigenza delia formatività
artistica al cinema « narrativo», la giusta rivendicazione di
un’utilizzazione attiva c non passiva del mezzo nei confronti
del fenomenico e del materiale espressivo, che per il film si
identificano, si risolve in una concezione nella quale il carattere
«formato » delVimmagine filmica coincide con la sua correla-
zione attorno ad un centro temático di tipo drammaturgico,
che viene ad essere il punto di coagulazione, di selezione e dl
composizione del ?nateriale di ripresa, quello per il quale la
ripresa si presenta come esplicitamente selettiva e compositiva
a tutti i suoi livelli.
A mio modo di vedere questa concezione di Arnheim è
unilateralc, restringe cioè arbitrariamente le diverse possibilita di
utilizzazione delia camera in senso formativo — non comprenden-
do come un materiale non correlato e selezionato rispetto alTasse
drammatico non per questo sia necessariamente amorfo e come
la pertinenza formale possa situarsi ad un diverso livello — ma
è certamente vera, nel senso che certamente il cinema dramma­
turgico è la forma di flessione filmica che piíi immediatamente
rivela la ferrea funzionalizzazione del materiale di ripresa,
quella che si rivela dunque forma nel modo piíi percepibile ed
immediato, avendo come proprie strutture costitutive la mani-
festazione forte dei procedimenti di selezione e di ricomposi-
zione del materiale, nelle sue componenti figurali-iconiche,
spaziali, diegetiche e temporali. Insomma il modello del cinema
drammaturgico — nelle sue varie flessioni dalla forma « chiusa »
alia forma « aperta », nel senso chiarito da Arnheim, che pure
esistono — è quello che piíi di ogni altro sembra possede-
re i rcquisiti delia forma, nelTaccezione di Anrheim e, in gene-
rale, mostra in modo piíi palese c percepibile il trattamento
organizzativo al quale è stato sottoposo il materiale di ripresa,
al punto che Arnheim tende, pure se non si pone il problema

68
in questi termini, a farlo coincidere con la nozione stessa di
forma e si prcclude cosi ogni possibilita di intravvedere Ie fun-
zioni formative che presiedono a diverse forme di organizza-
zione del materiale e di utilizzazione del mezzo. Ma vediamo
meglio.
Concepire la drammaticità o la narratività, la formula-
zione del mondo come dramma insomma, nelle sue varie fles-
sioni, come « universale rappresentativo » e pensare di vedere
nel film una delle forme di attuazione concreta di esso, signi­
fica evidentemente postulare che la forma drammatica riesca
a funzionalizzare a se stessa, alie proprie leggi interne, il
campo di esperienza messo in presenza o mobilitato, per cosi
dire, da un determinato médium, significa dunque, per il cinema,
che essa riesca ad organizzare il materiale espressivo specifico
del médium cinematográfico, che è lo stesso mondo dei feno-
meni audio-visivi, in modo che questo mondo venga concepito,
rappresentato e perccpito in termini di rappresentazione dram­
matica. Non si tratta dunque tanto delia pura e semplice costru-
zione di un intreccio drammatico quanto dell’estensione del
suo dominio airinterno del materiale messo in campo e dei
termini costitutivi di esso, in modo tale che nel cinema IV
tuazione delTuniversalé drammatico si realizzi non come sef
plice esibizione spettacolare di un dramma ma, nella sua for
piíi pura e consapevole, come trattamento del reale in terrr
di dramma, come applicazione di determinate categorie forir.
al continuum fenomenico in modo tale che questo sembri pi
sentare se stesso come e nei termini di entità drammatica: ir.
modo tale dunque che il mondo degli oggetti e degli eventi,
messo in campo nella sua corporea, percepibile concretezza,
sembri essere strutturato in termini di dramma, secondo le
funzioni costitutive di quella che sappiamo essere non una
forma delia realtà ma una categoria di interpretazione e di
imposizione di forma alia realtà. II problema è insomma che
il modello delia drammaturgia filmica sia caratterizzato da
forme di organizzazione che comprendano non soltanto le
strutture dell’universale drammatico, ma anche i caratteri del
materiale espressivo e che, nel costituire le funzioni dramma-
tiche come forma di organizzazione del reale, sappiano nello
stesso tempo organizzare il materiale di rappresentazione tenen-
done presenti i caratteri specifici, in modo da neutralizzarne il
carattere informe senza negarne la specificità fotográfico- ciné­
tica. In altre parole, il modello drammaturgico-filmico non
coincide nella sua forma reale con il « teatro-cinematografato »,

69
proprio perche questo non teneva conto dei caratteri struttu-
rali del mezzo.
Ed infatti le articolazioni formali -specifiche del modello
delia drammaturgia filmica, come si è andato costituendo attra-
verso Popera degli autori e la riflessione giustificativa dei
teorici, compreso lo stesso Arnheim9, possiedono il requisito
fondamentale richiesto, quello cioè di presentarsi non come
forma di registrazione pura e semplice, ma come forma che,
nelPattualizzare determinate funzioni drammaturgiche, si pone
contemporaeamente come forma di organizzazione e di funzio-
nalizzazione rappresentativa e formale del materiale espressivo.
Infatti il «cinedramma», per usare un termine con il qualc
già Bragaglia definiva questo tipo di flessione del mezzo filmico,
nella sua forma modellizzata — quale è desumibile da una
serie di opere campione dal muto al sonoro e dai diversi
momenti delia sua teorizzazione, Pultimo e piíi completo dei
quali è quello del Lawson,10 — è definito non solo dai caratteri
delPintreccio, dai personaggi configurati come emergenze dram-
matiche al di sopra del quotidiano e da situazioni nelle quali
essi giocano esplicitamente una partita con il destino e con il
senso delPesistenza, ma, anche del fatto che Pintreccio dramma-
tico, per affermarsi ed essere corposamente percepito come tale
dallo spettatore, coagula attorno a sé il materiale di ripresa e lo
struttura secondo le proprie leggi in tutte le sue componenti,
attraverso una figura formativa fondamentale, attraverso la
quale quesPopera di strutturazione del materiale informe si
realizza in modo corpulento e fortemente evidenziato. Questa
figura formativa è Yellissin, che opera a tutti i livelli delia
composizione filmica vera e própria. Essa agisce innanzi tutto
sugli elementi costitutivi delPunità filmica: il piano, del quale
determina, coordinandoli alPasse drammatico centrale, non solo
il contenuto figurale-cinetico, escludendo dal campo tutto ciò
che non serve alio sviluppo del tema drammatico, esibendo solo
gesti ed oggetti funzionali ad esso, ma anche la composizione
interna del materiale determinandone, attraverso scelte tecniche
adeguate che si riferiscono alia scelta delia distanza (o delPobiet-
tivo) e delPangolo di ripresa, i caratteri ottico-percettivi, attra­
verso il gioco delia messa a fuoco variabile che subordina il
rapporto figura-fondo alie esigenze del tema drammatico; infine
la durata, per la quale Popera di selezione si fonda sopra due
motivazioni diverse: la determinazione delia durata avviene
cioè tenendo conto del tempo di lettura — che, come è noto,
varia con il variare del campo spaziale e con la maggiore o
minore complessità compositiva, meglio, con il numero dei

70
centri di attenzione drammatica — e tenendo conto anche delia
forza di impatto emotivo che si vuole attribuire al pezzo che
dipende, oltre che da altri fattori, da elementi di ordine metrico-
ritmico la cui;valenza psicológica può essere determinata speri-
mentalmente. Attraverso questi procedimenti 1’ellissi configura
il materiale di ripresa in unità rappresentativa dando forma ad
uno dei suoi caratteri specifici, quello di essere, di per se stesso,
una pura restituzione del continuum fenomenico indistinto e
non selezionato. /
Ma Pellissi è anche la figura strutturale del cinema dram-
matico a livello delia composizione delle unità, attraverso for- r c
me compositive nelle quali si converte in forma organizzata
^C
un altro aspetto specifico del materiale di espressione, la sua
irrinunciabile linearità, il fatto cioè che ogni forma di deter- ,o>
minazione unitaria non è mai conclusa in se stessa ma ne
«chiama» una successiva e si prolunga in essa12, carattere
che dipende anch’esso dalla « fenomenicità » del materiale che
si presenta dunque come infinito flusso temporale. Anche da
questo punto di vista 1’ellissi nega il carattere informale del
materiale a tutti i livelli di specificazione: selezionando il tempo
reale di svolgimento delPazione e ricomponendolo in modo
che il tempo di successione degli avvenimenti non sia piii
la rappresentazione di un tempo reale, ma coincida con il
tempo di sviluppo del dramma, con un tempo astratto dunque,
o totalmente convenzionalizzato e funzionalizzato, in modo
tale che lo sviluppo del film si configura come una successione
di sequenze che tendono verso lo scioglimento del dramma
(dunque fmalizzazionc degli eventi contro la totale indetermi-
jiazione del materiale di ripresa in se stesso) e in modo che da
questa finalizzazione le sequenze stesse traggono la loro strut-
tura, 1’ordine ed il ritmo delia loro successione, che dipende
anchVsso dal dosaggio di impatto emotivo che deve caratte-
rizzare una struttura drammaturgica ben costruita. In secondo
luogo, all’interno delle sequenze, la successione delle unità si
configura anch’essa come determinata dalle esigenze di presen-
tazione del mondo in termini di dramma, che implicano anche
qui la determinazione di un ordine di successione delle varie
forme di determinazione del piano e di un ritmo, dipendent'
entrambi dal dosaggio dei «momenti forti», cui corrispor
dono determinatc scelte spaziali e ritmiche, dei momenti emei
genti del dramma che nel cinedramma si configurano con emer
genze « spaziali » e « ritmiche ». Insomma, per riassumere, se
dramma è contrasto, varietà, dinamicità di situazioni, alternanza
di pieni e di vuoti, di momenti forti ed emergenti e momenti

71
deboli, di pausa, se dramma è 1’opposto del monotono flusso
del fenomenico, se è dinamicità « costruita » e controllata contro
la dinamicità indeíinita, pluridirezionale e casuale del fenome­
nico, il dramma filmico, cioè la forma di attuazione delF« uni-
versale drammatico » in termini di esibizione nel materiale feno­
menico, non può essere che selezione di questo materiale in
modo che esso non appaia né sovrabbondante, né casuale, ma
sempre riferito ad un asse diegetico centrale, non solo per la
sua identità figurale, ma anche nelle sue componenti spaziali e
tcmporali, attraverso 1’accentuazione del procedimento delFel-
lissi/ In questo modo Tuniversale drammatico non solo si attua
in una situazione che è una ricomposizione delVagire in termini
di dramma che trova nello schermo una sorta di palcoscenico
mobilíssimo e sempre variabile (senza dubbio importante perché
modifica radicalmente le corídizioni tradizionali di attuazione
del dramma), ma si estende al mondo dei fenomeni considerati
nella loro concretezza fisica, e configura cosi direttamente il
mondo in termini di dramma, si presenta come piu concreto,
materiale, oggettivamente esistente.

Ma, a parte queste considerazioni, forse un po’ confuse e


frammentarie, sulle nuove dimensioni che 1’universale dramma-
turgico aequista nella sua flessione cinematográfica, e abban-
donando il punto di vista del dramma per tornare ad assumere
quello del film, che è quello che a noi interessa, possiamo dire
che questa individuazione piu precisa dei caratteri del modello
formale cinedrammatico ci ha permesso di individuare nella
figura formativa delPellissi, con le sue varie applicazioni, una
serie di termini di riferimento oppositivo che renderanno piu
preciso il sezionamento analítico del cinema di Antonioni alia
luce delPipotesi delia dedramatisation, che renderanno soprat-
tutto questa operazione estensibile a tutte le componenti forma-
tive del cinema di Antonioni, proprio in dipendenza delia piena
estensibilità del modello di riferimento. E, naturalmente, il
modello sarà assunto nelle sue manifestazioni piu radicali,
proprio perché, affiorando in modo piu corposo lo scarto fra
esso e lo « stile-Antonioni », ciò permetterà di sperimentarne
fino in fondo i termini costitutivi, cosa che forse non sarebbe
possibile se si utilizzassero forme piu deboli di attuazione del
modello cinedrammatico, nelle quali il traliccio compositivo
entro il quale 1’ellissi rinserra il materiale si allenta e si fa meno
corpulento e percepibile e dunque i confini con lo stile-Antonioni
meno netti. Anche se poi, beninteso, dovrà apparire chiaro
che questo stile è oppositivo non solo nei confronti delle forme

72
'
v■•
piu radicali del modello cinedrammatico, ma nei confronti di
tutte, compresa quella « romanzesca », la piu libera di tutte,
quella nella quale qualcuno Io fa rientrare.

La forma del découpage e del montaggio delle sequenze.

Abbiamo già visto quale sia il carattere piu generale ed í


evidente dello scarto che il cinema di Antonioni presenta rispetto
al modello drammaturgico, che si può sintetizzare nelPopposi-
zione fra il carattere finalizzato, fortemente articolato, fondato
suH’orchestrazione di momenti di piena emergenza drammatica
e di momenti di pausa e di preparazione, sul gioco di pieni
e di vuoti caratteristico del modello cinedrammatico e Pappá-
rente monotonia ed inarticolazione del cinema di Antonioni.
/A livello delia composizione generale, delia forma del décou- 1
page, lo stile di Antonioni si oppone al modello cinedrammatico
;
per dei caratteri ben precisi, che sono la prima manifestazione
del suo carattere apparentemente inarticolato ed « informale ». ^
II modello, come si presenta nella sua teorizzazione piu com-'""
piuta e piu sistemática, che è la Teoria e técnica delia sceneg-
giatura di John Howard Lawson, presenta alcuni caratteri fon-
damentali che comprendono tutte lc possibili varianti. Tali carat- j
teri consistono nella finalizzazione e nella economia com posi­
tiva che sono i termini costitutivi gencrali attraverso i quali
1’azione drammatica viene articolata nella continuity. Lawson
insiste molto su questi concetti, cioè sul fatto che 1’azione deve
essere articolata entro un traliccio compositivo che impongí
forma al film al livello dello sviluppo temporale o delia su'
cessione degli eventi, in modo tale che ogni articolazione ult
riore, ogni progresso neiresposizione delia vicenda non de
essere casuale, ma rappresentare un effettivo passo in avan
nella rappresentazione in termini di progressione degli element
di çonflitto drammatico di cui Pazione e il suo dipanarsi sullo
schermo sono portatori. Qucsto ha delle ovvie e naturali conse-
guenze sui caratteri delia temporalità del film: vale a dire che
nel modello cinedrammatico, la forma delia continuity ela­
bora una temporalità che potremmo chiamare «costruttiva»
o addirittura « astratta », nel senso che, anche se generalmente
si rispetta in qualche modo il tempo reale di svolgimento di
una vicenda, il suo aspetto essenziale non è questo, quanto
appunto il fatto che la scelta, la durata e la successione degli
eventi che entrano a costituire Pazione drammatica obbediscono
totalmente ad un’esigenza di tipo rappresentativo, dal punto

73
i :T

di vista del contenuto, e compositivo, dal punto di vista delia

m forma, in modo tale che la figura fondamentale delPellissi si


presenta a questo stadio come selezione e distribuzione « costrut-
: tiva », totalmente motivata da esigenze « rappresentative », delia
■ temporalità delia vicenda.
Di fronte a questi caratteri di causalità, di finalizzazione,
di distribuzione compositiva specifici del modello cinedram-
maturgico, il cinema di Antonioni si presenta come una suc-
* cessione totalmente libera ed aperta, in cui la concatenazione

delle varie « situazioni », se pure in qualche modo « seleziona »
. ?. certi aspetti o momenti delPesistenza dei personaggi, non lo
fa certo a fine di rappresentazione di una progressione dram-
matica e si presenta cosi come assolutamente non finalizzata
e non equilibrata, e la forma delia continuity reintroduce, contro
una temporalità totalmente compositiva e quasi astratta, una
temporalità che ricalca la pluridirezionalità, Tapertura e la
to tale indeterminazione del brano esistenziale: in modo che a!'
corpulento trattamento jormale al quale viene sottoposto, già
a questo livello, il materiale filmico nella forma cinedramma-
tica si contrappone un’apparente rinunciajdla forma, un ritorno
alia pura riproduzione dei caratteri delFesisterite, una resa alia.
naturalità del materiale espressivo anche nella sua componente
temporale. I film di Antonioni infatti sono andati progressi­
vamente caratterizzandosi per 1’assoluta indeterminatezza o casua-
lità delia concatenazione degli eventi che compongono la conti-
nuity del film, la quale a sua volta, si è andata sempre piu
presentando come una successione assolutamente casuale di
eventi casuali, appena appena sorretta dal tenue filo « logico »
rappresentato dalla situazione triangolare di partenza che però,
attraverso questo tipo di trattamento, veniva a configurarsi
lá anch*essa come puramente accidentale, « trovata » nelFesistente.
Per avcre conferma di questo aspetto basti pensare alia strut-
tura compositiva di film come il Grido, YAvventura, la Notte
■ e YEclisse, nei quali si assiste ad un dipanarsi delia vicenda
del tutto casuale, senza giustificazione apparente, tale che
avrebbe potuto benissimo essere Tesibizione di altri eventi, al-
trettanto casuali o « non significativi », non adeguati alia pro­
gressiva epifania dei caratteri profondi di una situazione assunta
come asse centrale delia ricomposizione del mondo in dramma.
Su questo punto non occorre insistere molto perche è uno
degli aspetti piu noti e rilevati dalla critica in Antonioni; dap-
prima coito come «difetto» artístico, poi ovviamente, in
dipendenza del suo progressivo presentarsi in forma piu espli-
-
74
cita e piu evidente, intuito come « scelta » formale consapevole,
che è alia base di tutta una serie di interpretazioni critiche.
Ma il modello cinedrammatico, la ricomposizione del feno-
menico in termini di dramma, oltre questo aspetto per il quale
1’ellissi si presenta come selezione e ricomposizione degli eventi
totalmente correlata e finalizzata all’asse centrale drammatico,
ha come proprio carattere costitutivo una componente che po-
tremmo chiamare espressiva, anch’essa resa perfettamente traspa-
rente dall’esposizione del Lawson, con la quale le leggi che deter-
minano la successione degli eventi, la ricomposizione formalizzata
delia temporalità delFesistenza, non cbbediscono solo alia neces­
sita di selezionare le situazioni pertinenti alFasse drammatico
centrale e di ricomporle in modo pertinente alia sua piena
raffigurazione, ma anche a quella di alternare momentj forti e
momenti deboli delFazione, di costruire ed organizzare blocchi
drammatici, nei quali la situazione esplode in tutta la sua carica
patética ed altri che possono essere considerati come luoghi non
già di esplosione ma di accumulazione drammatica; obbcdiscono
insomma alia necessita di strutturare Ia continuity del film come
sapiente orchestrazione di momenti forti e di momenti deboli,
di punte emotive alternate a zone di pausa e di attesa, oppure
ad altre centro le quali quelle punte emotive vanno lentamente
preparando le condizioni delia loro esplosione.
Anche da questo punto di vista il cinema di Antonioni si
presenta in termini radicalmente oppositivi: successione e durata
delle sequenze non obbediscono mai alia necessita di presen-
tarle come luoghi di accumulazione e di esplosione del dramma
e alia « casualità » dalla concatenazione degli eventi corrispond»
un’impressione di totale monotonia, nella quale perdono ogn»
potenzialità di impatto emotivo anche eventi che ne sarebbero
naturalmente dotati, e proprio a causa del rifiuto di ogni arti-
ficio compositivo in questo senso.
II montaggio delle sequenze, dunque, assolve una funzione
puramente « vettoriale » e rifiuta programmaticamente tuttè"le
scelte costruttive che potrebbero dare 1’impressione di una X
manipolazione, ai fini delia raffigurazione e del potenziamento
emozionale delFasse drammatico, delFordine «naturale» ed
indeterminato delia vicenda. Non che Antonioni abbia mai
risolto questa sua scelta antidrammatica di fondo nelle forme
estremistiche dei film costituiti di una sola sequenza o addi-
rittura di un solo piano. Non vengono cioè rifiutati apriori-
sticamente certi procedimenti volti a concentrare a dilatare il
tempo dell’azione, solo che, molto piu semplicemente e signi­
ficativamente, la presenza di tali procedimenti non si avverte

75

i
in modo corpulento, come presenza in qualche modo signifi­
cativa e portatrice di dramma, tale da selezionare e ricomporre
il materiale in forma di dramma. II fluire delPesistente si
presenta, anche se lo è per necessita tecniche, come non mani-
polato: non esiste in Antonioni alcuna sequenza costruita in
forma di flash-back, se si esclude Pepisodio inglese dei I viriti,
~ne, tanto meno, in forma di anticipazione, caratteristica, per
esempio, del Resnais de La guerra è finita, di iterazione di una
situazione, a carattere « frequentativo » od « ottativo » o emo-
zionale, la prima assai usata nel cinema « narrativo », la seconda
individuata da Metz in Pierrot le fou di Godard, la terza, ma
qui siamo già a livello delia composizione interna delia sequenza,
frequentemente utilizzata, dal Potemkin (il gesto del marinaio
che rompe il piatto ripetuto due volte) a Le Bonheur di Agnes
Varda (il marito che si inginocchia ad abbracciare la moglie
annegata); o, ancora, non si trovano forme di interpolazione
fantastica e onírica — una delle piíi potenti forme di manipo-
lazione « drammaturgica » delPevento che, come è noto, ha la
sua piena attuazione nel Peter Ibbetson di Hathaway, per il
quale infatti Martin parla giustamente di annullamento del tem­
po — tranne che in Zabriskie Point, ed anche qui con caratteri
assai speciali rispetto al modello drammaturgico; infine non si
trovano forme di interpolazione memorativa, neppure in film
come Cronaca di un amore, Le Arniche, o II grido che per il
loro carattere temático si sarebbero prestati facilmente ad acco-
: gliere forme di questo tipo: ed è, questa, una fra le tante
ragioni che tolgono credito alia definizione delia forma filmica
di Antonioni come una forma analoga alie strutture del romanzo
analítico e psicologico, come generalmente e tenacemente si
afferma.
Ma — tralasciando per il momento questo problema sbl
quale dovremo tornare piu avanti — osservazioni analoghe a
quelle suggeriteci dalPesame del particolare modo di Antonioni
di organizzare la successione delle sequenze, possiamo fare a
proposito delle tecniche di raccordo fra sequenza e sequenza,
quella che viene comunemente chiamata la «punteggiatura»
cinematográfica. Come è noto, per il cinema clássico queste
orme di raccordo erano sostanzialmente due, il fondu di chiu-
íra e di apertura e la dissolvenza incrociata, alie quali venivano
itribuite, in ragione delia loro forza di arresto delPazione del
.lm, diverse funzioni simboliche13 rispetto alia rappresenta-
zione del tempo di svolgimento delPazione. Ad ogni modo,
entrambe, ma soprattutto la prima, servivano a separare fra
loro le varie- sequenze, i diversi momenti delParticolazione del

76
dramma, e, nel modello cinedrammatico, la loro funzione è
particolarmente quella di suggerire simbolicamente il tempo
di svolgimento deirazione, le sue coordinate spaziali e tempo-
rali, rimarcando nello stesso tempo, proprio per il loro carat-
tere simbolico e convenzionale, il carattere totalmente astratto,
convenzionale, puramente « costruttivo » che il tempo, lo svol­
gimento temporale, assume alTinterno di questa forma14. II
cinema moderno ba introdotto in maniera massiccia — anche
se non mancano esempi anche nel cinema clássico — il raccordo
per stacco anche fra sequenze non contigue dal punto di vista
spaziale e temporale, generalmente usato prima solo per i rac-
cordi interni alia sequenza1S. In Antonioni si può osservare
che, curiosamente, i raccordi fra le sequenze e anche fra le
sottosequenze seguono la tradizione del fondu e, assai piu rara­
mente, delia dissolvenza incrociata, fino Av ventura, mentre
nei film successivi questi procedimenti vengono radicalmente
aboliti: nella Notte non si trova nessuna dissolvenza e cosi
nelYEclisse e negli altri piu recenti. Questi film — che sono,
come abbiamo detto, quelli nei quali lo stile-Antonioni si
presenta nella sua forma piu consolidata ad ogni livello delia
composizione — tendono dunque a presentarsi come un’unica
lunghissima sequenza nella quale il fluire drammaturgicamente
indeterminato ed inarticolato delPesistente fenomenico si pre­
senta nella sua forma piu libera e pura, senza che nessuna
forma di cesura o di pausazione convenzionale interven'
ad ostacolarne il cammino. E dunque, anche questo asp<
delia forma generale delia composizione del film, concori
determinare 1’impressione di assenza di forma, di mar
coagulazione del materiale attorno alPasse drammaturgico,
è 1’aspetto per il quale il cinema di Antonioni si manit
come immediatamente oppositivo nei confronti del modt
cinedrammatico. Naturalmente questa ulteriore «prova» o
quanto andiamo affermando deve essere assunta nel suo carat­
tere abbastanza marginale, dato che, anche nei film precedenti,
soprattutto nel Grido e nelYAvventura, la liberta compositiva
si manifesta già in modo sufficientemente forte per annullare
1’effetto delia presenza di questi elementi tradizionali di pausa­
zione delPazione, che non rappresentano nient’altro che una
concessione, del tutto irrilevante, ad una convenzione con­
solidata. In realtà già nei film precedenti alia Notte, i fondu
non sono altro che i punti entro i quali si racchiudono per
convenzione i puri brani di esistenza che la camera registra,
e che si susseguono senza gerarchia drammatica, tanto è vero
che sono assolutamente spogliati di quelle funzioni di indica-

77
I *

in modo corpulento, come presenza in qualche modo signifi­


cativa e portatrice di dramma, tale da selezionare e ricomporre
il materiale in forma di dramma. II fluire delTesistente si
presenta, anche se lo è per necessita tecniche, come non mani-
polato: non esiste in Antonioni alcuna sequenza costruita in i
forma di flash-back, se si esclude 1’episodio inglese dei I vintT,
nê, tanto meno, in forma di anticipazione, caratteristica, per
esempio, del Resnais de La guerra è finita, di itcrazione di una
situazione, a carattere « frequentativo » od « ottativo » o emo-
zionale, la prima assai usata nel cinema « narrativo », la seconda
individuata da Metz in Pierrot le fou di Godard, la terza, ma
qui siamo già a livello delia composizione interna delia sequenza,
frequentemente utilizzata, dal Potemkin (il gesto del marinaio
che rompe il piatto ripetuto due volte) a Le Bonheur di Agnes
Varda (il marito che si inginocchia ad abbracciare la moglie
annegata); o, ancora, non si trovano forme di interpolazione
fantastica e onírica — una delle piíi potenti forme di manipo-
lazione « drammaturgica » dell’evento che, come è noto, ha la
sua piena attuazione nel Peter Ibbetson di Hathaway, per il
quale infatti Martin parla giustamente di annullamento del tem­
po — tranne che in Zabriskie Point, ed anche qui con caratteri
assai speciali rispetto al modello drammaturgico; infine non si
trovano forme di interpolazione memorativa, neppure in film
come Cronaca di un amore, Le Amiche, o II grido che per il
loro carattere temático si sarebbero prestati facilmente ad acco-
gliere forme di questo tipo: ed è, questa, una fra le tante
ragioni che tolgono credito alia definizione delia forma filmica
di Antonioni come una forma analoga alie strutture del romanzo
analítico e psicologico, come generalmente e tenacemente si
afferma.
Ma — tralasciando per il momento questo problema shl
quale dovremo tornare piu avanti — osservazioni analoghe a
quelle suggeriteci dalPesame del particolare modo di Antonioni
di organizzare la successione delle sequenze, possiamo fare a
proposito delle tecniche di raccordo fra sequenza e sequenza,
quella che viene comunemente chiamata la «punteggiatura»
incmatografica. Come è noto, per il cinema clássico queste
>rme di raccordo erano sostanzialmente due, il fondu di chiu-
íra e di apertura e la dissolvenza incrociata, alie quali venivano
ttribuite, in ragione delia loro forza di arresto delPazione del
iilm, diverse funzioni simboliche13 rispetto alia rappresenta-
zione del tempo di svolgimento delPazione. Ad ogni modo,
entrambe, ma soprattutto la prima, servivano a separare fra
loro le varie- sequenze, i diversi momenti delParticolazione del

76
J

i
dramma, e, nel modello cinedrammatico, la loro funzione è
particolarmente quella di suggerire simbolicamente il tempo
di svolgimento delFazione, le sue coordinate spaziali e tempo-
rali, rimarcando nello stesso tempo, proprio per il loro carat-
tere simbolico e convenzionale, il carattere totalmente astratto,
convenzionale, puramente « costruttivo » che il tempo, lo svol­
gimento temporale, assume alFinterno di questa forma14. II
cinema moderno ha introdotto in maniera massiccia — anche
se non mancano esempi anche nel cinema clássico — il raccordo
per stacco anche fra sequenze non contigue dal punto di vista
spaziale e temporale, generalmente usato prima solo per i rac-
cordi interni alia sequenza15. In Antonioni si può osservare
che, curiosamente, i raccordi fra le sequenze e anche fra le
sottosequenze seguono la tradizione del fondu e, assai piu rara-
mente, delia dissolvenza incrociata, fino úYAv ventura, mentre
nei film successivi questi procedimenti vengono radicalmente
aboliti: nella Nolle non si trova nessuna dissolvenza e cosi
nelVEclisse e negli altri piu recenti. Questi film — che sono,
come abbiamo detto, quelli nei quali lo stile-Antonioni si
presenta nella sua forma piu consolidata ad ogni livello delia
composizione — tendono dunque a presentarsi come un’unica
lunghissima sequenza nella quale il fluire drammaturgicamente
indeterminato ed inarticolato delFesistente fenomenico si pre­
senta nella sua forma piu libera e pura, senza che nessuna
forma di cesura o di pausazione convenzionale interveng;
ad ostacolarne il cammino. E dunque, anche questo aspett
delia forma generale delia composizione del film, concorre
determinare 1’impressione di assenza di forma, di mancat
coagulazione del materiale attorno alPasse drammaturgico, chi
è 1’aspetto per il quale il cinema di Antonioni si manifesta
come immediatamente oppositivo nei confronti del modello
cinedrammatico. Naturalmente questa ulteriore «prova» di
quanto andiamo affermando deve essere assunta nel suo carat­
tere abbastanza marginale, dato che, anche nei film precedenti,
soprattutto nel Grido e nelYAvventura, la liberta compositiva
si manifesta già in modo suíficientemente forte per annullare
Peffetto delia presenza di questi elementi tradizionali di pausa­
zione delPazione, che non rappresentano nienFaltro che una
concessione, del tutto irrilevante, ad una convenzione con­
solidata. In realtà già nei film precedenti alia Notte, i fondu
non sono altro che i punti entro i quali si racchiudono per
convenzione i puri brani di esistenza che la camera registra,
e che si susseguono senza gerarchia drammatica, tanto è vero
che sono assolutamente spogliati di quelle funzioni di indica-

77
* í-.
zione simbolico-convenzionale del tempo di svolgimento del
dramma che, come abbiamo detto prima, servono a marcare
ancor piu il carattere astratto del tempo nel modello cine-
drammatico.
Dunque, per riassumere, la continuity del cinema di Anto
nioni si presenta come informe, se confrontata con le artico-
lazioni, le compressioni, le dilatazioni, le cesure fortemente evi-
denziate che caratterizzano il modello cinedrammatico, nel quale
le esigenze raffigurativo-emozionali determinano appunto la neces­
sita di una corpulenta manipolazione dl questo livello delia
composizione filmica. In Antonioni, anche quando esiste, 1’ellissi
temporale non si presenta come forma ma, essendo dovuta ã'
pure necessita .tecniche inerenti alia durata" Standard del filrri'
passa" comunque inavvertita e la continuity, la riduzione nel
tempo di un complesso di eventi entro questa durata Standard,
si costituisce in modo da apparire irrilevante, puramente rical-
cata sul tempo fenomenico. Dunque alia temporalità astratta,
e « costruttiva » del modello drammaturgico lo stile-Antonioni
oppone una temporalità puramente vettoriale, confermata anche
dal fatto che Parco di svolgimento delPazione si è andato
sempre piu riducendo, facendo sl che lo scarto, tecnicamente
necessário, fra tempo reale e tempo di svolgimento del film si
facesse sempre meno corpulento e dunque meno significativo.
A questo proposito, una delle osservazioni piu ricorrenti
a proposito delle strutture temporali del cinema di Antonioni
è che esse — sia a livello del tempo di svolgimento delPazione
che a livello delle forme filmiche di organizzazione temporale
delia successione delle sequenze e delia composizione interna
delia sequenza stessa — tendano ad abolire il tempo conven-
zionale ed a restituire il tempo reale, la durata nella sua concre-
tezza sensibile. Su questo punto è súbito necessário un chiari-
raenTo. Certamente il tempo di Antonioni, se confrontato con
la temporalità totalmente astratta e costruttiva del modello
cinedrammatico nella sua forma piu radicale, appare come un
empo non ristrutturato e puramente ricalcato sul flusso inde-
■rminato ed inarticolato del tempo fenomenico e, se si guar-
issero le cose da questo punto di vista, potrebbero essere
ustificate sia le accuse rivolte ad Antonioni da un Aristarco,
ne in questo aspetto vede la conferma del fatto che il regista
si collocherebbe alPinterno delia categoria lukacsiana del
« descrivere » e dunque sostanzialmente in una prospettiva di
tipo naturalistico16; o del Saltini17, che vi vede un atteggia-
mento di mimesi irrazionalistica del reale; o ancora del Mitry 18,
per il quale Antonioni, spingendo fino agli estremi limiti il suo

78
tentativo di rappresentazione delia pura durata, giungerebbe a
rappresentare il vuoto (in questo modo vengono spiegate le
sequenze «inerti» delia Notte, quella delia passeggiata per
esempio, o delYEclisse, come la prima); O ancora, sarebbe giu-
stificata e valida 1’interpretazione avanzata da un settore delia
filosofia fenomenologica, per la quale Tanalisi estraniata del-
Pagire di personaggi che si rivelano svuotati di motivazioni e
di spinte storiche ad azioni e gesti significativi (la crisi storica
delia borghesia) finisce con Pindividuare (e col rappresentare)
il tempo che si consuma come unica loro reale dimensione e
dunque come autentico protagonista. Ma accettare questo punto
di vista significa accettare un punto di vista sbagliato, che cerca
di individuare le strutture formali e formative del tempo filmico
solo in riferimento alPazione rappresentata e al materiale dram-
maturgico, significa dunque misurare il cinema di Antonioni
su un modello, quello cinedrammatico, rispetto al quale invece
si presenta come oppositivo e che ha come caratteristica quella
di correlare ogni operazione formale alPasse delia rappresen­
tazione drammatica. Ora, se è vero che rispetto al piano dram-
matico o piu generalmente diegetico il tempo di Antonioni
si presenta come un amorfo fluire di eventi, ciò non è affatto
vero in assoluto, non è vero se riferito a un piano pertinente
di considerazione, quello delia visione, che solo nel modello 4
drammaturgico vede coincidere le proprie strutture spaziali e
temporali con quelle delia riformulazione del mondo in termini
di dramma. Ed una prima, immediata conferma che il tempc
filmico nello stile di Antonioni non è affatto privo di deter
minazioni estetiche individuali che operano una «disomogc
neizzazione» del tempo reale, avremo quando passeremo ai
analizzare la forma delia sequenza in un particolare suo aspetto,
quello delia sospensione contemplativa, che è andato prendendo
sempre piu piede nello stile di Antonioni proprio in concomi-
tanza delia progressiva di$soluzione delPazione drammatida.
Analoghe considerazioni possiamo fare a proposito di altre cate-
gorie formali utilizzate dalla critica per spiegare il progressivo
proporsi del cinema di Antonioni come flusso ininterrotto di
eventi fenomenici (oggettuali e diegetici), in particolare la no-
zione di monologo interiore, per cui quella struttura si rial-
laccia alia forma letteraria in modo tale che deve essere inter-
pretata come la rappresentazione del flusso informe e non strut-
turato delle sensazioni dei personaggi, come è nel piu grande
fra coloro che hanno usato questa forma, James Joyce, o delia
variante « oggettiva » o « oggettualistica » dello stream of con-
sciousness (cioè la corrente di percezione registrata non entro

79
pn j
?

un personaggio e poi proiettata alPesterno, ma senza media-


zioni, direttamente dalPocchio-penna delPautore o dalPocchio-
camera del regista) che, come ha chiarito bene Barilli19, è rap-
presentata dal nouveau rotnan e dalPecole du regard, alia quale,
appunto per questi motivi, il cinema di Antonioni è stato rial-
lacciato da molti20. Ora, se non c’è dubbio che Antonioni
possa essere stato stimolato a rivolgere il suo stile in una
certa direzione dalla conoscenza di Joyce e del nouveau roman,
come ha anche dichiarato, tuttavia queste nozioni, se usate
non come termini largamente comparativi ma come forme esau-
stive di interpretazione, rischiano anch’esse di non cogliere la
forma profonda dello stile di Antonioni proprio perche la collo-
cano alPinterno dello svolgimento e delia crisi delia forma
drammaturgico-romanzesca di rappresentazione del mondo, rife-
rendo Panalisi esclusivamente ed arbitrariamente solo al piano
delia figurazione drammatica.

La forma delia sequenza.

Se a livello delia composizione dello scenario e delle


sequenze lo stile-Antonioni si è andato aífermando lentamente,
tanto che si può dire che a questo livello la modificazione dello
stile di Antonioni coincide, in parte almeno, con la sua libera-
zione, a livello delia composizione interna delia sequenza esso
si presenta già pienamente svolto in Cronaca di un amore e
come radicalmente oppositivo al modello drammaturgico./
A questo livello, Popposizione può essere verificata in
due forme diverse: prima di tutto dal punto di vista con il
quale Antonioni registra 1’agire dei suoi persor;aggi rifiutando
ogni scelta compositiva che possa articolare questo agire stesso
in termini di rappresentazione ed evidenziazione drammatica;
in secondo luogo attraverso quali forme Antonioni neghi total­
mente Pazione, o il cinema come presentazione di un’azione,
attraverso il procedimento delia sospensione contemplativa. Per
quanto riguarda il primo aspetto, la cosa che balza immedia-
tamente agli occhi è il totale rifiuto, costante in tutto il ci­
nema di Antonioni, di tutte quelle forme di montaggio delia
sequenza — la cui paternità prima va attribuita a Porter e
soprattutto, come è noto, al Gritfith di Fuga sui ghiacci, di
Birth of a Nation, di Intolerance e che sono tuttora património
attivo del cinema d’azione, non solo a livello dei prodotti di
consumo — il cui effetto sia un potenziamento emotivo, oltre
che una forma di trascrizione filmica dei nessi logici, narrativi,

80

>■ •
spaziali e temporali, delPazione rappresentata, articolata sul-
1’attesa e sulla risoluzione catartica: sono tutte le varie forme
di montaggio parallelo e alternato, nelle quali Pintersecazione
degli episodi e il calibrato, ritmico gioco dei vari pezzi ha ap-
punto come risultato psico-rappresentativo la esaltazione delia
carica emotiva e drammatica implícita nelPazione giunta al suo
acme. In Antonioni, anche le rare forme di montaggio alternato
e parallelo vengono programmaticamente svuotate — ricorrendo
alPapparente casualità delia successione e alPassenza di un*evi-
denziata organizzazione ritmica dei vari pezzi — di ogni poten-
zialità esplicitamente emozionale. Le stesse sequenze finali di
Cronaca di un amore, che rappresentano la massima conces-
sione a forme di questo tipo, tuttavia non possono essere certo
imputate di voler far cadere lo spettatore entro la trappola
emotiva delPeffetto di suspense.
Uno dei risultati ai quali conduce questa scelta oppositiva,
che è bene precisare súbito, è che Antonioni, con quelle che
quasi proverbialmente vengono chiamate la « lentezza » e « Pas-
senza di ritmo» del suo cinema, si pone decisamente al di
fuori di una opposizione, quella fra ritmo rápido = stato di
attenzione e di partecipazione emotiva contro ritmo lento =
stato di attesa e di pausa, che è stata teorizzata esplicitamente
da Pudovkin21 sulla base delle concezioni psicoformalistiche
che rappresentano il sostrato estetico-culturale del grande cinem
muto soviético e che è divenuta uno dei fondamenti deli
« retórica » del cinema d’azione e del cinema « drammatico >!
in generale: va cioè chiarito che quello di Antonioni non è
un atteggiamento di scelta esclusiva di uno dei due poli del-
Popposizione, ma di totale, globale estraneità ad essa, che è

anche estraneità ed opposizione ad un certo modello formale
filmico (che può dunque essere assunto solo come parametro
! puramente oppositivo) che implica, fra Paltro, una precisa
forma di rapporto fra spettatore ed immagine, dunque una
radicale opposizione di struttura formale e di cultura.
A queste forme, che hanno come funzione caratterizzante
quella di determinare la selezione e la continuità drammatica
ed il suo potenziamento emotivo alPinterno delia sequenza,
Antonioni, come già abbiamo visto a proposito di Cronaca di
un amore, in una prima fase oppone, come forma di registra-
zione a-drammatica delPagire dei personaggi, la scelta tecnico-
stilistica del montaggio lungo e del piano sequenza, con il corre­
lato delia composizione in profondità. Questa scelta si presenta
in tutte e quattro le sue varianti principali: camera fissa su
* personaggi fermi, camera fissa su personaggi mobili, sia in

81
profondità sia lateralmente; camera mobile (in tutti i sensi e
le direzioni) su personaggi immobili; camera mobile su perso-
naggi mobili. Varianti che, assai spesso, si combinano alPin-
terno delia stessa sequenza, come nelle sequenze delTIdroscalo
e del Ponte in Cronaca di un amore, quella delPappuntamento
in periferia delia Signora senza camelie, quella del delta (passeg-
giata di Andreina ed Aldo) nel Grido.
Ma piu che enumerare queste varianti e le sequenze nelle
quali esse trovano attuazione, sarà interessante notare súbito
che questa scelta di fondo obbedisce alie ragioni « conoscitive »
delia camera piuttosto che alie ragioni di presentazione del
dràmma. È noto che c’è chi sostiene — par tendo dalla pregiu-
diziale che il cinema è sempre sostanzialmente esibizione di
un’azione drammatica sia pure in flessioni e strutture diverse —
che la camera mobile ed il piano sequenza con la scansione in
profondità hanno la funzione di restituire concretezza alio
^pazio ed al tempo 'del dramma in opposizione alio spazio ed
al tempo totãlmente~astrátti del cinema drammatico nella sua
versione piu radicale, che perciò viene assimilata al dramma
teatrale mentre quest’altra sarebbe piu vicina al romanzo: è
Popinione di Bazin, che individua la prima forma nel tipo di
découpage22 che si andò affermando fra il *30 e il '40 e la
seconda nelPavvento di opere come Citizen Kane e Magnificent
Ambersons di Welles e alcune opere di Wyler e di Renoir,
fondate appunto sulla profondità di campo e la camera mobile
in modo tale che, sono parole di Bazin, il regista diverrebbe
da pittore e drammaturgo finalmente romanziere; ed è Popi­
nione anche di Mitry, che riprende, corregge in parte, e svi-
luppa le tesi di Bazin, che avevano poi il loro antecedente
lontano nei manifesti di Mareei Pagnol. Ma se questo può essere
vero per Welles e Wyler, non lo è in assoluto, non lo è
certamente per Antonioni, nel quale dramma, azione dramma-
ticamente articolata non esiste, come sappiamo, e nel quale
la camera mobile serve a scrutare da ogni posizione e nella
loro informe ed inarticolata (in senso drammatico) continuità,,
i gesti, i movimenti, gli atteggiamenti dei personaggi, a corre-
larli spazialmente fra loro e con il paesaggio. Dunque, ripe-
tiamo, ma il discorso verrà ripreso ed ulteriormente articolato
ed approfondito, la scelta stilistica obbedisce alie ragioni cono­
scitive delia camera e non a quelle di presentazione del dramma
( in atto: non alia necessità di fornire come supporto uno spazio
\ ed un tempo concreto alPattuazione ed alio svolgimento del
1 tema drammatico, ma a quella di rendere piu flessibile e conti-

82
nua possibile Pindagine che la camera compie sui personaggi !
assunti come puri brani di comportamento.
Si è detto prima che questa scelta è quella che caratte-
rizza la prima fase del cinema di Antonioni: in realtà essa si
presenta in forme estreme solo in Cronaca di un amore e, in
misura minore, nelPepisodio inglese de I vinti e nella Signora
senza camelie, dove gli stacchi interni sono ridotti al minimo
indispensabile, praticamente solo a quando non è possibile
seguire in carrellata il personaggio nei suoi spostamenti da un
ambiente ad un altro. Nelle opere successive invece Antonioni
ritorna progressivamente alia frammentazione delia sequenza
che coincide anche con una maggiore varietà delle campiture
spaziali che, poco a poco, recuperano anche il primo ed il
primissimo piano. Naturalmente questo non deve far pensare,
come accade a quella parte delia critica che scambia stile e
técnica, ad un ritorno a forme di rappresentazione (o di mes-
sinscena, come dicono) piu tradizionali: questa apparente rinun-
cia alPelemento piu clamoroso di novità delia sua técnica regi-
stica da parte di Antonioni dipende da ragioni interne alia
modificazione del suo stile che, non dimentichiamolo, anche
se ora viene analizzato come un’entità astratta, è una realtà
concreta, vivente e mobile. E va anche detto che non si tratta
delía sostituzione radicale di una scelta alPaltra, ma, assai
spesso, delia loro combinazione, come, ad esempio, nella se­
quenza delPisola nell'Avventura.
Comunque le ragioni delia reintegrazione del montaggio
per stacco alPinterno delia sequenza, sono, a mio parere, sostan
zialmente due. La prima è inerente al sempre maggior peso
alia maggiore complessità ed articolazione spaziale e temporale
che viene man mano assumendo la figura stilistica delia sospeti-
sione contemplativa, come fra poco vedremo. La seconda invece
riguarda direttamente la diversa forma relazione che la camera
viene a poco a poco assumendo nei confronti del personaggio,
meglio del diverso modo e dei diversi termini con i quali la
camera viene assumendo il personaggio come matéria compor-
tamentale.
Abbiamo visto che, nella prima fase, ad Antonioni pre-
meva registrare questi brani in continuità, per tempi molto
lunghi e con 1’immersione quasi costante, cioè spazialmente
poco variabile, del personaggio nell’ambiente. In questa seconda
fase invece Antonioni tende sempre di piu ad introdurre la
forma di registrazione di frammenti discontinui, nei quali 1’anta-
gonismo fra personaggio e fondo si configura come antago­
nismo fra frammenti di azioni e frammenti di realtà, soprat-

83
tutto attraverso la técnica delPanticipo e dei ritardo dello stacco
rispetto alPazione, che permette la reintegrazione di un mon-
taggio di pezzi relativamente brevi e di piani molto raccorciati.
Naturalmente Pimpressione di «lentezza» non sparisce,
perché i frammenti registrati non sono soltanto discontinui
spazialmente e temporalmente, ma anche discontinui ed irrile-
vanti ai fini delia progressione delPazione e dunque non reintro-
ducono affatto, nonostante le apparenze, Pellissi drammatur-
gica. Per questo forse Panalisi di questa seconda scelta stilistica
si rivela ancor piu interessante e piu indicativa del carattere
oppositivo dello stile-Antonioni al modello drammaturgico.
AlPinterno di questo — come abbiamo già visto quando
abbiamo analizzato la possibilita di applicazione delia nozione
di forma di Arnheim alia forma cinedrammatica e come è
utile ripetere ora in termini piu precisi per questo piano delia
composizione filmica — la successione delle campiture spaziali
e delle durate dei singoli pezzi di montaggio obbedisce alia
lógica dello svolgimento drammatico o, è meglio dire, deve
configurarsi in termini di ricomposizione drammatica del mate-
riale, la cui prima funzione costitutiva è larticolazione del reale
in una unità selezionata di tratti drammaticamente significativi,
ottenuta, sinteticamente, accentuando la funzione di certe carat-
teristiche del mezzo (quelle che possiamo riassumere nella figura
generale delPellissi) rispetto ad altre. E che la successione si
configuri in termini di ristrutturazione drammatica del feno-
menico implica che i personaggi e gli oggetti vengano presen-
tati nella «grandezza» e secondo Pangolazione piu utile a
farne risaltare Pimportanza ai fini dello svolgimento dramma­
tico, implica dunque che alPinterno del campo si selezioni e
si presenti solo ciò che in quel momento è importante ai fini
del progredire delPazione, elidendo tutto il resto. Cosi, per
quanto riguarda la durata dei singoli pezzi, essa obbedisce alia
stessa lógica in quanto si determina generalmente come tempo
di lettura del materiale e delPazione presentata. In questo
modo, nel modello drammaturgico, la successione delle campi­
ture spaziali e delle determinazioni temporali dei vari pezzi
di montaggio si configura come funzione attuativa di una
sorta di autoformulazione del mondo in termini di dramma:
è necessário insistere su questo concetto di « autoformulazione »,
perché tale utilizzazione nel modello cinedrammatico di uno
dei caratteri peculiari del mezzo filmico, Pimpressione di
realtà prodotta dal materiale di registrazione, è il carattere
fondamentale del modello stesso o, meglio, la forma generale

84
di utilizzazione delia camera nella quale questo modello, insieme
ad altri, si inscrive.
Ma sappiamo che il carattere del modello cinedrammatico
non è solo quello di strutturare la successione spaziale e tempo-
rale dei piani in modo che il fenomenico si esibisca in forma
di intreccio significante. Un altro suo carattere, complementare
ma altrettanto pertinente, è quello di articolare il materiale ai
fini delia costituzione di una maggiore o minore densiià di
impatto emotivo. Di qui la necessita di negare al montaggio,
nei momenti « forti» dello sviluppo drammatico, quel carat­
tere di « invisibilità » che Bazin gli attribuisce tout court, e
di ricorrere a forme di sintassi spaziale e temporale nelle quali
la determinazione del campo e delia durata obbedisce alia
lógica del potenziamento patético delPoggetto. È chiaro che
questo secondo aspetto si appoggia sul primo, che ne costi-
tuisce il supporto compositivo generale, e che da esso trae la
própria «crelibilità » e ad esso affida la própria capacita di
creare 1’impressione che sia il «mondo» ad articolarsi in
momenti di pieno e di vuoto drammatico, di pausa, di accumu-
lazione e di esplosione, di forte carica emozionale e di zone
pateticamente « basse» o neutre. Ma se è vero questo, resta
comunque il fatto che anche questo secondo stadio di elabo-
razione è costitutivo delia forma filmica drammaturgica, sia
pure in modo accuratamente dosato proprio per accrescerne
la forza di impatto emotivo, e che esso si risolve in scelte
spaziali e di durata che non rientrano nella forma di montaggio
« neutra » definita da Bazin. Dal punto di vista delle campi-
ture spaziali una grossa parte giocano in questo senso il primo
ed il primissimo piano ed altre forme come il dettaglio di
oggetto « espressivo », come lo chiama Pudovkin, e le inqua-
drature obliqúe, che però giocano un ruolo minore per il
loro troppo evidente carattere di manipolazione delia realtà,
tanto è vero che generalmente vengono presentate in forma di
inquadrature « soggettive ».
II carattere emotivamente e drammaticamente privilegiato
del primissimo piano, del dettaglio e del dettaglio di oggetto
espressivo era già stato individuato, come è noto, dai teorici
del muto, tanto che Balázs, unificandoli nella nozione di primo
piano, riserva loro un posto a parte nella sua classificazione dei
« mezzi espressivi » del film, distinguendoli dal complesso di
tutte le altre forme di determinazione spaziale delPinquadra-
tura, proprio in virtu di questa loro speciale valenza psico­
lógica, emozionale e drammatica. Anzi, a proposito delia fun-
zione speciale assunta dal primo piano alPinterno delia sequenza

85
drammatica e delia sua capacita di porsi come apice o come
« acuto » visuale nello svolgimento delia situazione, le osser-
vazioni di Balázs sono particolarmente illuminanti, e per due
motivi: perché, piu esplicitamente e direttamente di quanto
non avvenga in Pudovkin, in Balázs si chiariscono le ascendenze
o concezioni estetiche psicologistiche e psicoformalistiche, le
ascendenze storiche dunque, deH’attribuzione di speciali qualità
espressive ed emozionali al primo piano, e perché, in secondo
luogo, le osservazioni dello stesso Balazs chiariscono assai bene
il meccanismo attraverso il quale queste qualità speciali pos-
sono diventare funzionali, dal punto di vista espressivo e rap-
presentativo, non solo a livello delia singola immagine consi-
derata autonomamente, ma anche alTinterno di una forma dram­
matica « in successione ». Piu precisamente le osservazioni di Ba­
lázs chiariscono in quale modo Fatto di Einfublung, perché è poi
di questo che si sta parlando, si articoli e si determini, nelle
sue applicazioni cinematografiche, in forma di successione e
dunque a livello delia combinazione dei piani e non solo a
quello delia singola inquadratura, o anche delia scomposizione
in determinazioni spaziali diverse di un oggetto immobile, con-
siderata come « immagine » unica. Credo che questa parentesi
sia abbastanza utile, perché chiarisce come, in definitiva, proprio
Fatto di Einfublung, dunque una categoria formale storica e
non assoluta o naturalmente costitutiva del mezzo espres­
sivo, sia Felemento strutturale fondamentale che sta alia base
di questo aspetto del modello cinedrammatico, in modo tale
che è Futilizzazione del carattere «realistico» del materiale
alTinterno di un processo di Einfublung quella che porta a
presentare Foggetto, il mondo, come autonomamente caricato
di potenzialità emozionale-drammatica: con la conseguenza che
il rapporto che si instaura fra spettatore e immagine in questo
tipo di cinema, basato sulla cosiddetta identificazione psicoló­
gica, è dovuto appunto al fatto che la strutturazione delia
situazione è compiuta in modo tale da fare ripetere alio spetta­
tore Fatto di Einfuhlung compiuto dalFautore senza che di
questo e delia manipolazione artística messa in atto si avverta
la presenza, per il suo essere innestata su quel supporto del
quale si parlava prima, come è del resto sintetizzato assai
bene nelFaltra celebre formula di Balázs (ma già di Luciani)
secondo la quale il regista « guida Focchio dello spettatore »,
e nel processo idea-sentimento-immagine immagine-sentimento-
idea teorizzato da Eisenstein, che aggiunge solo la componente
intellettuale, che però è irrilevante dal punto di vista del discorso
che stiamo facendo23.

86
Per Balázs dunque il primo piano, essendo isolato spazial-
mente e temporalmente dalle coordinate spazio-temporali del-
Pazione, è una forma speciale di inquadratura ed è proprio
per questi suoi carattéri, che — coordinato ad adeguate scelte
ritmiche che determinano la durata non piíi sul tempo di lettura
ma su una scala emozionale in corrispondenza delPopposizione
ritmo lento — ritmo veloce già vista — viene assunto dal modcllo
cinedrammatico, almeno nella sua forma piu radicale24, per deter-
minare quel suo secondo carattere del quale si parlava. In questo
modo il primo piano viene ad assumere un valore che potremmo
chiamare sopra-diegetico, perché non è in funzione dello svolgi-
mento narrativo, e tuttavia è saldamente agganciato al piano di base
dal quale trae, come si è detto, la própria credibilità e la própria
oggettività. Gli esempi di questa forma di utilizzazione sopradiege^
tica del primo piano sono infiniti, nel cinema muto e sonoro. Baste-
rà ricordare un esempio tratto da Greed di Stroheim, cioè proprio
da uno dei film che Bazin considera come i capostipiti del
« cinema delia realtà »: nella sequenza delia lite fra McTeague,
ubriaco, e Trina, costruita con una serie rapidíssima di piani,
il ritmo è interrotto da un lunghissimo dettaglio dal pugno
di Mac che si chiude lentamente, con un brusco passaggio da
un piano generale. Naturalmente non è necessário che, per
dotare il primo piano di questa sua funzione sopra-diegetica,
si ricorra sempre a queste forme estreme di interruzione delia
continuità dell’azione: basterà, ad esempio, per ottenere lo
stesso effetto, prolungare la durata di un primo piano oltre
il tempo delia sua lettura che, come si è detto, è molto breve.
Chiarito in quale modo nel modello drammaturgico la
successione delle determinazioni spaziali e temporali attui le
due componenti, continuità dell’azione e sua articolazione emo­
zionale, delia forma drammatica nella sequenza di montaggio,
veniamo ora ad Antonioni, il cui stile a questo livello e in
questa forma di composizione, è caratterizzato dal palese
rifiuto delle strutture che caratterizzano il montaggio cinedram­
matico. Ciò avviene innanzi tutto sul piano delia determina-
zione delia durata dei singoli piani, a proposito delia quale
basterà dire che la proverbiale « lentezza » dei film di Anto­
nioni è determinata, oltre che dai motivi già visti, dal fatto
che la durata dei singoli pezzi di montaggio è quasi sempre
oltre il loro tempo normale di lettura, se per « normale » si
intende quello occorrente a percepire gli elementi utili per lo
sviluppo delia situazione. In secondo luogo avviene a livello
delia successione del materiale, che inserisce spesso nella situa-

87
zione, o nel barlume di situazione presentata, del materiale,
spesso oggettuale, non inerente ad essa, producendo una forma
di moltiplicazione di centri di attenzione che sostanzialmente
non è diversa da quanto abbiamo già osservato a proposito di
Cronaca di un amore e che anzi accentua la « presenza » osses-
siva del mondo circostante e degli oggetti.
Ma la successione dei piani, considerati riguardo al loro
contenuto figurale, presenta in Antonioni in altro aspetto assai
significativo. Una delle forme di opposizione alie strutture del
cinedramma piu note e piu immediatamente recepite dalla critica
è stata, come si è già visto parlando di Cronaca di un amore,
il rifiuto delia técnica del campo e controcampo. Questa técnica,
come dice lo stesso Bazin 25, era la técnica caratteristica di quel
montaggio analítico e drammatico che è, come abbiamo visto,
la forma che assicura la continuità delPazione nel modello cine-
drammatico, garantendo in questo modo Pautopresentazione
del mondo in termini di dramma. Ora, a ben vedere, questa
técnica è quella nella quale si manifesta in modo piu palmare
un carattere che è stato da qualcuno attribuito a tutto il cinema
(forzando cosi in senso unidirezionale Peffetto di impressione
di realtà) e che è invece tipico del film drammatico, cioè il
falto che la scelta lógica, « naturale » dei piani e la possibilità
stessa di cambiamento dei piani permettono che lo spettatore
si senta non esterno ma interno alVazione, al mondo delPazione,
anche da un punto di vista percettivo, che è la condizione del-
Pidentificazione psicológica e di tutte le implicazioni strutturali
ed estetico-culturali che abbiamo già esaminato.
Ora, il rifiuto iniziale di questa técnica da parte di Anto­
nioni è meno significativo delia forma che esso ha assunto
quando è sembrato che volesse recuperaria. Infatti in Anto­
nioni non si trovano mai dei campi-controcampi propri ma solo
impropri, come potremmo chiamarli, perche mentre nei primi
;i ha una successione di piani che sono esattamente, o quasi,
jpposti fra loro e dunque escludono necessariamente i perso-
naggi dal cui punto di vista si guarda, in Antonioni ciò non
avviene mai; si pensi, per esempio, alia forma del campo-
controcampo nella Notte, nel primo fuggevole incontro fra
Lidia e Valentina, e nelPEclisse, nel dialogo fra Vittoria e Ric-
cardo. In questo modo, anche in queste situazioni limite, la
camera di Antonioni non è mai interna alPazione ma sempre
esterna e lo spettatore con essa. La camera non si fa dunque
funzione «invisibile», come dice Bazin, delia ricomposizione
del visibile come dramma che deve essere direttamente rece-
pito dallo spettatore senza la mediazione delia presenza del-

88
Pautore, ma, al contrario, dà luogo ad una situazione di estra-
neità, di distacco, di « esternità » delia camera rispetto alTazione
che implica che Pimmagine venga recepita non direttamente ma
attraverso la consapevolezza delia presenza di uno sguardo di
cui la percepibilità delia camera è la funzione concreta. Ora,
come abbiamo già piu volte accennato e come si è venuto
sempre piu chiarendo ed arricchendo di articolazioni struttu-
rali precise, è proprio in questa esternità delia camera, con
tutte le implicazioni di ordine formale, percettivo (= rapporto
immagine-spettatore) ed estetico-culturale, che risiede il motivo
piu profondo di opposizione dello stile-Antonioni al modello
drammatico ed è dunque approfondendo questo punto che
potremo individuare quella forma interna dello stile di Anto-
nioni delia quale siamo alia ricerca.
Ma, — senza anticipare i tempi del discorso e tornando
sul terreno strettamente analitico — possiamo dire che, anche
a livello delia successione delle campiture spaziali, la técnica
di montaggio di Antonioni non obbedisce affatto alia lógica
che abbiamo visto essere tipica del modello cinedrammatico,
né per quanto riguarda la sua funzionalità rispetto alia deter-
minazione delia continuità delPazione come selezione artico-
Iata di momenti significativi, né, tanto meno, delia articolazione
patetico-emozionale. E ciò vale sia quando, come nella fase
iniziale, la successione tende ad essere monocorde, sia quando
in essa viene introdotta progressivamente una maggiore varietà.
Basti un esempio per tutti, nel Grido: quando il protagonista
torna al suo paese, incontra, vicino ad una casa di campagna
dove è attaccato un manifesto, un amico che gli spiega i
motivi dello sciopero, si ha una successione come la seguente:
1) campo medio: Guido svolta all’angolo delia casa e incontra
Pamico, cominciano a parlare; 2) campo lungo: i due conti-
nuano a parlare poi si salutano andando ognuno per la própria
strada. Una successione che è chiaramente contraria, anzi total­
mente opposta alia successione « normale », che avrebbe richie-
sto semmai un piano piu ravvicinato26.
Ma la forma o la figura stilistica nella quale si manifesta
piu chiaramente e piu radicalmente Pestraneità delia camera
di Antonioni alPazione (che, come abbiamo visto, è anche
segno percepibile delia sua presenza, con tutte le conseguenze
già dette) e che è anche il momento nel quale lo stile di
Antonioni si oppone al modello cinedrammatico non solo nella
sua forma piu chiusa, nostro abituale termine di riferimento,
ma anche nelle sue forme piu aperte, è il procedimento delia
sospensione contemplativa, che si ha quando la camera blocca

89
o addirittura abbandona Pazione, sia pure presentata nei termini
ntidrammatici già chiariti.
La sua forma embrionale, o il suo primo modo di mani-
festazione, di cui abbiamo visto la prima traccia nella sequenza
delia passeggiata alPIdroscalo in Cronaca di un amore, consi-
steva in un sensibile anticipo sul paesaggio ad apertura delia
sequenza o in una dilatazione delia durata del piano finale
delia sequenza stessa, oltre la conclusione deirazione, che è,
fra il resto, la forma piu ricorrente dei famosi finali aperti
(e proprio di qui nasce questo senso di apertura) dei film di
Antonioni. Questa dilatazione iniziale o finale poteva essere
ottenuta anche con una panoramica, che rende il procedimento
ancora piu esplicito e percepibile. Oltre la sequenza già citata,
si possono ricordare quella del primo appuntamento di Clara
e Nardo, nella Signora senza camelie, alia periferia di Roma,
che si apre e si chiude con una lunga sospensione sul paesaggio
brullo e desolato, quella delia prima telefonata delTepisodio
inglese de I vinti, nella quale la camera prima di arrivare in
panoramica ad inquadrare il protagonista, inquadra a lungo
un vecchia con un cagnolino «schiacciata» contro un muro
bianco e nero27; infine Pinizio delia sequenza delia passeg­
giata al mare delle Amiche, la piu esemplare, che si apre con
un campo lunghissimo su un canale seguito da una panoramica
da destra a sinistra (di circa 30°) che va ad inquadrare le
donne disposte come statue, immobili sulla terrazza.
Ma, come si è già detto, il procedimento delia sospen­
sione si è andato sempre piu imponendo ed articolando, esten­
dendo la própria presenza dalla periferia aWinterno delia sequenza
di montaggio e giungendo ad intervenire direttamente sulPazione,
bloccandola. Questa estensione del procedimento delia sospen­
sione alPinterno delia sequenza come forma delia successione dei
pezzi di montaggio si determina sostanzialmente in due modi. Il
primo di questi è la variazione di campiture spaziali sul mede-
;imo materiale, immobile o diegeticamente inerte, che ha la
sua prima alta manifestazione nella passeggiata al delta di
Guido e Andreina, si fa sempre piu frequente nei film succes-
sivi e diventa una delle figure fondamentali di Deserto rosso.
II secondo consiste nella frammentazione delia continuità del-
Pazione fino ad annullarla, bloccarla: anche di questa seconda
forma Pesempio primo si ha nella parte finale delia sequenza
delia passeggiata al mare delle Amiche, e diventa poi sempre
piu frequente nei film successivi.
Mi sembra non ci possano essere dubbi sul fatto che
questa figura stilistica, delia quale piu avanti vedremo Pimpor-

90
tanza nella forma dei cinema di Antonioni e il significato e
le radiei nella poética delPautore, è quella nella quale si attua
maggiormente Popposizione al cinema drammaturgico, come
dicevo sopra, tanto è vero che proprio essa è alia base del-
Pinterpretazione fondata sulla evoluzione in senso formalistico
dello stile del regista, di quella che accusa Antonioni di rappre-
sentare il vuoto, infine delia teoria pasoliniana che ipotizza un’e-
voluzione dal cinema di prosa al cinema di poesia. D’altra parte,
per avere conferma del fatto che essa prende sempre maggior
piede fino ad intervenire addirittura sulPazione, basti pensare
che, con la Notte, e poi ancora YEclisse e con Deserto rosso,
dove questo aspetto è portato alPestremo nella sequenza delia nave
infetta, essa diventa addirittura, attraverso la técnica delPinqua-
dratura soggettiva, una forma di comportamento dello stesso
personaggio che assume Pattitudine sospensivo-contemplativa come
própria attitudine, come própria forma di rapporto col mondo.
Ed anche di questo fatto vedremo piu avanti le motivazioni
alPinterno delia dinamica stilistica prodotta dai caratteri pecu-
liari delia forma filmica di Antonioni.

La forma del piano

Gli elementi di opposizione al modello drammaturgico che


siamo andati individuando a livello delia forma del montaggio
dei piani nella sequenza e che ci hanno portato a precisare
sempre meglio il núcleo profondo di questa opposizione nella
nozione di esternità o distacco delia camera dalPazione, trovano
la loro piena conferma anche livello delia forma del piano.
Anche questo livello delia composizionc, per essere ana-
lizzato, dovrà essere scomposto nei suoi elementi costitutivi,
che sono: il rapporto figura-fondo (nel caso del film, figura =
personaggio agente), la composizione del materiale nel campo,
la campitura e la durata, elementi, questi ultimi due, che sono
già stati analizzati nella loro funzione alPinterno delia catena
di montaggio, cioè nelle loro forme di organizzazione in succes-
sione, e che dovranno essere rianalizzati come singole unita,
con un procedimento astraente imposto dalle necessita e dai
caratteri delTanalisi.
Proprio a proposito del rapporto figura-fondo possiamo
fare súbito un’osservazione che si ricollega e che integra le
considerazioni che sono scaturite dalla determinazione delia
valenza del primo piano e delia sua funzione alPinterno delia
catena di montaggio. A questo livello, Popposizione fra le altre

91
forme di piano ed il primo piano come forma privilegiata in
senso emozionale (perciò usa ta in funzione sopra-diegetica,
come attuazione del « secondo grado », quello espressivo, delia
forma drammatica) in virtu del suo isolamento dallo spazio e
dal tempo delTazione, si determina, come abbiamo visto sostiene
anche Bazin, come opposizione fra valore realistico-oggettivo
dei piani che abbiano comunque una certa profondità di
: campo a fuoco, e valore emozionale-soggettivo del primo piano
che, ottenuto con gli obiettivi normali, avvidinandosi al
r:4 soggetto, o con i lungofocali, è comunque caratterizzato dal
fatto che praticamente solo il soggetto appare nitido mentre il
§# fondo si dissolve in fiou. Ma è chiaro allora che anche questa
opposizione fondo a fuoco-fondo sfocato è reale, come la prece­
dente, soltanto alPinterno del modello drammaturgico, che è
r appunto quello caratterizzato dalla presenza di questi due
gradi o forme di composizione del materiale, la costituzione
delia continuità delTintreccio e la graduazione e Particolazione
nel tempo del potenziamento emozionale delPazione e delPog-
getto. Ma non è piu valida e reale, dunque analiticamente perti­
nente, per chi si ponga al di fuori di questo modello in modo
che anche il ricorso a campiture spaziali rawicinate e che
• isolano il soggetto dal fondo si determina in forme tali da
annullarne o neutralizzarne le capacita di impatto emotivo, o di
superfetazione drammatico-patetica delPazione. È questo proprio
il caso di Antonioni e di Bresson, che da questo punto di vista
hanno seguito un percorso analogo, passando da un uso prefe-
renziale dei piani medi e lunghi a quello sempre piu ricor-
rente dei primi piani e dei dettagli, la cui scelta tuttavia non
si determina mai secondo le regole e le motivazioni tipiche
del modello cinedrammatico. In particolare, per quanto riguarda
Antonioni, sappiamo che fino al Grido il suo stile evitava accu-
ratamente piani piu rawicinati del medio-primo piano (raris-
simo) e del piano medio, mentre òaSMAvventura si ha un sempre
piu frequente ricorso ai piani primi c primissimi e ai dettagli:
si pensi, per esempio, alia sequenza delPamore sul prato, tutta
risolta in questo senso. Mentre la maggior parte delia critica
si è limitata semplicemente a prendere atto di questa modifica-
zione, qualche critico francese29, partendo appunto dal presup-
posto del valore soggettivo-emotivo del primo piano e fondando
d*altra parte Pinterpretazione del cinema di Antonioni in
termini psicologistici, ha voluto vedere in essa la manifesta-
zione di un adesione lirica al personaggio di Monica Vitti, coin-

92
r

cidente con un rovesciamento delia misoginia che, a sentire


questo tipo di critica che spiega i fatti stilistici con le vicende
private, aveva caratterizzato l’Antonioni precedente, soprattutto
quello del Grido, il cui senso di tetra disperazione che lo
pervade sarebbe da collegare alia vicenda coniugale del regista30.
Ma, a parte queste sciocchezze tipiche delia critica positivistica
piíi grossolana, se si può ammettere che 1’interpretazione in
senso lirico possa valere per quella sequenza, essa non può
spiegare il ricorso a queste determinazioni del piano anche
nei film successivi: una spiegazione forse piu lógica è che il
rawicinamento dei piani abbia una motivazione analoga a quella
delia progressiva frammentazione dei film di Antonioni, delia
quale si è già parla to. Quello che importa comunque sotto-
lineare è che, anche quando usa il primo piano, la camera di
Antonioni resta sempre estranea, nel senso di esterna e dunque
percepibile, alTazione: fatto, questo, che è il carattere opposi-
tivo primário, come abbiamo visto, alia struttura profonda del
. modello cinedrammatico. In secondo luogo occorre tenere pre­
sente che, se la scelta di piani distanziati, con il conseguente
allargamento e approfondimento del campo, aveva come effetto
quello di creare una sorta di antagonismo (nel senso, chiarito, di
non unicità o coordinazione di centri d’attenzione) fra personag-
gio e fondo, questo effetto è mantenuto da Antonioni anche nel
primo piano, mediante il ricorso ad obiettivi focale breve
— che riescono a mantenere sempre il fondo abbastanza a
fuoco — e, spesso, al decentramento del soggetto31: e dunque,
la pluralità di centri di attenzione (non di tipo dramma-
turgico si intende, perché, come vedremo meglio piu avanti,
parlando delia composizione, non si correlano mai in intreccio,
ma si susseguono senza ragione apparente, entrando nel campo
di azione dei personaggi senza funzione alcuna rispetto al suo
svolgimento) rimane anche nel primo piano, sia pure natural­
mente limitata, ma compensata nella maggiore frammentazione
del montaggio.
Un\ilteriore conferma del fatto che i caratteri del piano
nel cinema di Antonioni non contraddicono quelli rilevati negli
altri livelli delia composizione è data dalla presenza, anche a
questo livello, del procedimento delia sospensione, che si rea-
lizza soprattutto nella dilatazione delia durata di piani inerti,
o di blocchi di piani, come del resto abbiamo già visto parlando
delia forma delia sequenza.
Resta da esaminare un ultimo aspetto delia struttura del
piano, quello delia composizione spaziale del materiale al suo
interno. Anche da questo punto di vista, è chiaro, lo stile di

93
Antonioni si manifesta in termini di opposizione rispetto alia
forma drammaturgica, che spesso assegna proprio alia compo-
sizione il compito di far emergere gli elementi piu significativi
del dramma, di ordinarli in una gerarchia, di costituirli come
funzioni di emergenza o di pausa drammatica. Pensiamo alPesem-
pio già fatto, quello del piano-sequenza deiravvelenamento in
Citizen Kane, dove la distribuzione in profondità degli elementi
bicchiere, Susan sdraiata sul letto, porta lontanissima sul fondo,
dietro la quale bussa violentemente Kane, è una vera e própria
forma di montaggio drammatico, ottenuto nella continuità spa-
ziale anziché nella successione, che crea senza alcun dubbio
una gerarchia di significato e di impatto emozionale fra i vari
elementi, accentuata dal fatto che Puso delPobiettivo grandan-
golare, che, come è noto, deforma violentemente gli oggetti
posti nei piani avanzati, in questo caso il bicchiere, comporta
che questa gerarchia del potenziamento emotivo degli elementi
si attui non solo per la posizione nello spazio, ma anche per
la notevole accentuazione delia diversità di dimensioni volu-
metriche. Un altro esempio di valore significativo e dramma­
tico ottenuto attraverso la composizione in profondità anziché
attraverso il montaggio (anzi, questa volta, con entrambi gli
strumenti) è la sequenza del matrimonio in Greed, con quel
funerale che passa oltre la finestra sul fondo dietro il prete,
chiara anticipazione simbolico-drammatica del destino di morte
che incombe sui personaggi. La funzione delia composizione in
profondità è dunque quella di correlare fra loro nello spazio,
anziché nel tempo o nella successione, gli elementi drammati-
camente significativi, carichi di dinamica drammatica, capaci
cioè di far progredire Pazione o di fornirne un’anticipazione
simbólica. Di fronte a questo fatto indubitabile, appare abba-
stanza gratuito parlare, come fa Bazin, di libertà che sarebbe
concessa alio spettatore da questo tipo di messinscena, in oppo­
sizione alia «costrizione» che caratterizzerebbe il cinema di
montaggio3Z, ed ha senz’altro ragione Mitry quando obietta
che, nel cinema drammatico, lo spettatore non è mai libero
ma sempre vincolato alPordine che Pautore, sia pure ricorrendo
a diverse tecniche di regia, impone al materiale, e che, dunque,
il principio del montaggio drammatico si attua anche in questa
forma33. D’altra parte sarebbe assurdo se, in un tipo di film
che ha come proprio carattere basilare la costituzione di rela-
zioni fra gli elementi del materiale ai fini delia « mise en
valeur » di un dramma, lo spettatore venisse lasciato libero di
rompere quella totale coagulazione attorno alPasse drammatico,
ottenibile attraverso Pordine e Particolazione visuale-emozio-

i •
94
/
nale, che ne è la forma costitutiva: ed infatti Mitry, sosteni-
tore della teoria per la quale il film è sempre dramma, sia
pure in forme diverse, coerentemente reagisce a questa afier-
mazione di Bazin.
Ma, naturalmente, ciò è valido solo alTinterno del modello
drammaturgico ed infatti Antonioni utilizza in modo del tutto
opposto la correlazione del materiale ottenibile attraverso la
composizione nel campo. Innanzi tutto va osservato che, se
nel modello drammaturgico gli elementi correlati sono sempre
direttamente inerenti alia progressione delia situazione dram-
matica, ne costituiscono gli elementi motori e ne íanno parte
integrante a tutti i livelli, in Antonioni Ia composizione, sia
in orizzontale che in verticale che in profondità, mette in rela-
zione con l’« azione » elementi che con essa non hanno niente
a che fare e, come abbiamo già visto, ottiene Pefíetto di costi-
tuire una pluralità di centri di attenzione che non hanno nes-
suna pertinenza con la progressione e lo sviluppo drammatico
delia situazione. Dunque, mentre la composizione nel modello
drammaturgico ha, per cosi dire, una funzione centrípeta, di
attrazione del materiale verso Passe drammatico, in Antonioni
ha una funzione centrífuga, serve ad attrarre Pattenzione dello
spettatore su elementi non inerenti alPazione, anche se, come
vedremo, significativi in altro modo, cioè alPinterno di una
altra forma di significazione filmica. Ciò è tanto vero che, assai
spesso, Antonioni « rovescia » addirittura la composizione, privi­
legiando gli elementi apparentemente non pertinenti, attraverso
le opportune scelte compositive, per bilanciare la maggiore attra-
zíone che Pazione, il personaggio agente, esercita naturalmente
sullo spettatore. Del resto, questo procedimento non viene
attuato soltanto a livello di composizione interna al quadro,
ma è il risultato di tutti i procedimenti formali che abbiamo
analizzato e, come vedremo, è questa necessita che determina
una delle forme di utilizzazione del colore, soprattutto in De­
serto rosso. E appare ormai ovvio sottolineare come anche
questo carattere formativo trovi la sua spiegazione alPinterno di
una forma filmica nella quale la camera non è interna alPazione,
non annulla se stessa per far parlare il mondo, ma è esterna, e
si fa sentire presente per interrogarlo.

La forma del materiale plástico e la funzione del paesaggio.


Tutti i dati acquisiti dalPanalisi delle forme filmiche speci-
fiche di organizzazione del materiale, dovrebbero ormai avere
chiarito a sufficienza come siano improprie ed inadeguate le

95
considerazioni di quella parte delia critica, che — partendo
dalTipotesi che il cinema di Antonioni sia psicologico ed inti-
mistico (dunque, ed è qui probabilmente la radice delTerrore,
da una determinazione di tipo contenutistico e non formale),
un cinema tendente a rappresentare situazioni sentimentali in
svolgimento — parla di « paesaggio in funzione psicológica »,
e di esteriorizzazione dei sentimenti nel paesaggio. Questa
critica intende la presenza corpulenta deirelemento paesaggio
t o fondo, come strumento di esplicitazione figurale delle situa­
zioni psicologiche che si intendono rappresentare, dunque in
una funzione analoga a quella assunta dal paesaggio in grande
parte del cinema muto (per esempio nella Madre di Pudovkin,
nel primo cinema svedese, o con caratteri piíi dinamici corri-
spondenti al dinamismo psichico dei personaggi, in Sunrise di
Murnau). Una funzione dunque che, nella interpretazione limi­
tativa che ne danno, per esempio, Borde e Bouissyè di
mero espediente raffigurativo, e nella accezione piu positiva è
di luogo di attuazione sensibile di una concezione che postula
un*integrazione concreta ed organica fra 1’umano ed il naturale
(com’è nel pensiero di Eisenstein) o, ancora, come metafora
sensibile delPestraneità o delPindifferenza immota ed invaria-
bile delia natura alie vicende delPuomo, come è nella nozione
di Um-Welt, caratteristica del cinema espressionistico, nella
quale il peso oggettivo assunto dal paesaggio ed il suo entrare
in conflitto con Pelemento umano conferisce, per cosi dire, un
respiro universale e quasi metastorico alie vicende rappresentate.
Ora, le acquisizioni che siamo andati via via raccogliendo
nel corso delPanalisi e che mi pare possano essere difficilmente
messe in dubbio, contraddicono radicalmente queste interpre-
tazioni delia funzione del paesaggio, che, come abbiamo visto,
non è aflatto funzione raffigurativa delia psicologia dei prota-
* gonisti anzi entra con essi in contraddizione non a livello dram-
matico ma addirittura a livello strutturale, costituendo un
centro, o il luogo di una serie di centri di attenzione autonomi
dalla vicenda rappresentata.
Forse i sostenitori di questa interpretazione si sono lasciati
fuorviare dalla presenza nel « paesaggio » del cinema di Anto­
nioni, almeno in una certa fase, di alcune costanti plastiche,
che cercherò di ricordare brevemente, alcune delle quali sem-
brerebbero autorizzare quella interpretazione.
La prima e la principale fra queste costanti plastiche va
individuata nella netta preferenza che Antonioni ha sempre
j.t
manifestato per gli « esterni», per le sequenze « en plein aire »,
U
96
/
che, fino alie sequenze delia Borsa nell'Eclisse e alia geniale
invenzione dello stanzino rosso di Deserto rosso, ha inciso
notevolmente anche sul piano qualitativo. Questa preferenza
per gli esterni non è certo originale di Antonioni, si può
dire che il cinema fino quasi dalle sue origini abbia teso
alia rappresentazione degli spazi aperti, a « sfondare » le pareti
del palcoscenico in modo da fare valere la sua dinamicità co­
me specifico elemento di differenziazione dal teatro35: si pensi
a Griffith, ai sovietici, Dovcenko in particolare, ai maestri
delia scuola nórdica Siõstrom e Stiller, a Flaherty, al film
western e al film d’azione americano, alie opere del natu­
ralismo poético francese, dei Renoir e dei Carne, a Bresson
e, per quanto riguarda il cinema italiano piu vicino ad Anto­
nioni, ad Ossessione di Visconti e ai capolavori del neorealismo
italiano. Ma ciò che marca, rendendo possibile Pequivoco,
gli spazi aperti di Antonioni è la continuità di certi caratteri
che potremmo chiamare atmosferici: cieli bassi e grigi contro i
quali vengono proiettati i personaggi; campagne immerse peren-
nemente nella nebbia, come nel Grido ed in Cronaca di un
amore\ strade umide, grige, spesso deserte, come in Cronaca
di un amore, Pepisodio inglese de I vinti, le Amiche, Deserto
rosso; oppure ancora cieli assolati, ma lattei, accecanti, non
turbati né screziati da nubi, come ne\YAvventura. Sono i carat­
teri di quello che, come abbiamo già visto, è stato chiamato
lo « style humide et urbain » di Antonioni, i connotati costanti
dei luoghi nei quali si attua quella che sembra essere Poccupa-
zione principale e costante dei suoi personaggi, la deambula- 4
zione, che è il tema stesso del Grido, ma è presente in forma
massiccia in tutti i film di Antonioni e che, già di per se stessa,
contribuisce a sottolineare ed ad accentuare, come è facilmente
comprensibile, Pimportanza ed il « peso» del paesaggio, con
Paiuto di un tipo di illuminazione che, evitando assolutamente
tutti gli effetti di contrasto violento fra zone d’ombra e zone
di luce, conferisce un tono omogeneo alia fotografia, accentuando
Pimpressione di monotonia del paesaggio. E, ancora, nelle scene
urbane, quelle facciate di case assurdamente vuote e disumane *
nella loro gélida uniformità, come quella delle strade ampie
e squallide, quei profili architettonici moderni (si pensi soprat-
tutto alia Notte e olYEclisse) ai quali una fotografia molto incisa
sembra conferire un’apparenza glaciale, ostile alPuomo.
È stata proprio la costanza e la ricorrenza di questi conno­
tati delPambiente che, associata senza mediazioni alia « mono-
tonia » delle situazioni esistenziali presentate, ha fatto pensare
che quegli elementi plastici fossero in funzione delia esplicita-

97
zione figurale di queste. In realtà una simile interpretazione
riduttiva è il frutto di un pregiudizio critico, contraddetto non
solo dai caratteri delia forma del cinema di Antonioni che siamo
venuti individuando, ma anche da quello che è il processo
reale di costruzione del film segui to dal regista, che ha piu
volte dichiarato che molto spesso i suoi film nascono da un
elemento esterno, dalTincontro con certi luoghi e con certi
ambienti che stimolano nelPautore Pinvenzione dei personaggi
e delPintreccio36: il quale del resto, nella sua costituzionale
debolezza, è sovrastato e schiacciato dal paesaggio e si potrebbe
dunque parlare semmai di una sua dipendenza dalTambiente e
non viceversa. Ed ancora bisogna osservare che questi caratteri
ambientali fanno parte dell,« autobiografia visiva», per cosi
dire, di Antonioni, come quelle situazioni fanno parte delia
sua autobiografia intima e dunque la parallela integrazione di
questi due elementi alTintemo del film coincide ed è la forma
di attuazione filmica di quella componente autobiográfica che
abbiamo visto essere una delle componenti costitutive del cinema
di Antonioni a livello delia scelta del materiale.
Questo carattere «autobiográfico» del carattere visivo-
ambientale ha fatto sorgere, come abbiamo già visto nel I capi-
tolo, Pequivoco delPinterpretazione in senso lirico-autobiogra-
fico del cinema di Antonioni, estendendo Pautobiografismo dalla
zona di scelta del materiale alia totalità delia forma stilistica,
come carattere determinante ed esaustivo, anche se appesantito
e contraddetto da velleità ideologiche ed intellettuali. Ma è chiaro
che, se la ricorrenza di quegli elementi esaminati sopra autorizza
senza dubbio a dire che Antonioni sente moltissimo il valore del
paesaggio e delPelemento ambientale, che nei suoi film è avver-
tibile una, sensibilità particolarmente acuta per quella che, con
un termine di Delluc, possiamo chiamare la fotogenia del reale,
una sensibilità che di preferenza si rivolge al reale visibile cono-
sciuto e sperimentato, ciò non autorizza a vedere nelPautobio-
grafismo visuale la chiave «lirica » di interpretazione dello stile
di Antonioni, come se Pesibizione di certi dati atmosferici ed
ambientali stratificati nella memória o appena incontrati si for­
mulasse in veri e propri miti lirico-figurali, come awiene, ad
esempio, in Fellini. Ed ancora va precisato che la sensibilità
paesistica è di tipo visivo e cinematográfico, «fotogenico»
appunto, materiata delia visibilità del reale ed a questa rivolta,
e non di tipo letterario, come gusto letterario, sensualistico e
pânico del paesaggio, come è per esempio, per citare un autore
cinematograficamente minore, nei film di Mario Soldati, o anche
in Visconti, a ben vedere. Quando si dice che Antonioni è un

98
« visivo », lo si dice appunto non nel senso che egli abbia la
capacita di trascrivere in termini figurali delle sensazioni men­
talmente prima formulate in termini verbali o letterari, come
spesso si equivoca, ma proprio per il ruolo estremamente impor­
tante che nella sua personalità e nella sua poética gioca una
acutissima sensibilità ottica.
Ma tralasciando per il momento questo discorso, quello che
importa sottolineare è che Pinterpretazione in chiave di lirismo
figurale di questo aspetto e, per estensione, di tutto lo stile di
Antonioni nella sua zona esteticamente positiva, è notevolmente
riduttiva delPampiezza e delTarticolazione delia forma del cinema
di Antonioni quale si sta venendo a poco a poco configurando
attraverso la nostra analisi e non si concilia affatto con i dati
acquisiti nelPesame degli altri piani delia composizione che, se
escludono la possibilita di inserimento del cinema di Antonioni
alPinterno del modello drammaturgico, anche il piu libero o
aperto possibile, a causa soprattutto delia presenza delia figura
stilistica delia sospensione contemplativa che rispetto a quel
modello è radicalmente oppositiva, escludono anche che la
determinazione di una pluralità di centri di attenzione non coor- '
dinati alPasse drammatico, ottenuta attraverso la «valorizza-
zione percettiva » degli elementi paesistici ed oggettuali, possa
essere spiegata in chiave puramente lirica.
Resta comunque assodato che non ci possono essere dubbi
sul fatto che il materiale spaziale di Antonioni non è né psico-
logico (termine abbastanza impreciso ma di uso comune, che
sta ad indicare che i suoi caratteri sono determinati dalla psico­
logia dei personaggi) né drammatico, come spazio concreto ed
emozionalmente potenziato dello svolgimento del dramma ed
elemento motore di esso. Nel cinema di Antonioni personaggi, *>
comportamenti e vicende da una parte, paesaggio ed oggetti
dalPaltra, coesistono autonomamente e la camera li comprende
entrambi e li presenta alPattenzione dello spettatore.
Un’ulteriore dimostrazione di ciò è data dalla totale assenza
nel cinema di Antonioni delle due forme di simbolismo del-
Poggetto, astratta e concreta, che sono costitutive del modello
cinedrammatico e ne costituiscono un’opposizione interna.
In Antonioni mancano assolutamente, come è owio, le
forme di simbolismo astratto e le metafore visuali caratteri-
stiche del cinema mu to soviético (i leoni di pietra del Votemkin
o i fuochi di artificio delia Linea generale) o quella forma di
trasposizione metafórica di elementi appartenenti alia situa-
zione ma, in sé, di scarso rilievo (per esempio: Paquila raffigu-
rata sul francobollo in II viaggio di mamma Kraus verso la

99
felicita, di Philo Jutzi, che, associata, attraverso un raffinatis-
simo procedimento di montaggio, alPaquila di legno che sor-
monta Porologio a pendolo, diventa una vera e própria antici-
pazione metafórica del destino che incombe sulla protago­
nista). Ma in Antonioni sono pure assenti, o sono assai rari,
tutti quei procedimenti attraverso i quali si realizza quello che
normalmente viene chiamato simbolismo concreto, cioè un sim­
bolismo non extra-diegetico, come quello degli esempi visti
sopra, ma incorporato nelTazione, all’interno del quale oggetti
e determinazioni spaziali-figurative, pur mantenendo intatto il
loro sehsu primo, letterale, la loro identità pratica, potremmo
dire, che è anch’essa direttamente pertinente alio svolgimento
delPazione, si caricano, attraverso opportuni procedimenti com-
positivi, di un senso secondo, simbolico ed anticipatore: è la
forma di simbolismo tanto cara a Bazin, com’è ovvio, ed in
genere a tutti i sostenitori del « cinema delPambiguità ».
Per chiarezza e per dare un fondamento concretamente com­
parativo al nostro discorso, sarà bene fare qualche esempio, per
qualcuno, almeno, di questi procedimenti.
Per quanto riguarda Putilizzazione in questo senso del
materiale plástico, basterà citare la famosa ruota in Kamerad-
schaft di Pabst che, girando sempre piú lentamente e poi ferman-
dosi, diventa il simbolo concreto delia morte del minatore;
oppure il fango che sporca Kane ed è Poccasione delPincontro
con Susan, Panticipazione, in senso materiale e simbolico alio
stesso tempo, del fango morale e delia conseguente sconfitta
politica che da questo incontro deriveranno al protagonista.
E, se si vuole ricordare un esempio di uso simbolico del mate­
riale plástico che vada al di là di un singolo elemento e si
estenda alia totalità di una sequenza, quello piú alto è forse
la sequenza finale di Greed di Stroheim, dove il luogo concreto
e naturale dellazione, la Death Valley, diventa anche, per i suoi
caratteri di desolazione e di accecante ostilità delia natura, il
simbolo concreto del destino di morte che attende i protagonisti.
Delia forma di simbolismo concreto ottenuta attraverso il
montaggio parallelo, abbiamo già ricordato Pesempio delia
sequenza del disgelo nella Madre di Pudovkin, nel quale un
elemento ambientale, la corsa delle lastre di ghiaccio trasportate
dalla piena, viene messo in relazione, attraverso opportune scelte
di montaggio, con una manifestazione operaia, diventando cosi
il simbolo concreto delia crescita delia coscienza di classe e delia
futura vittoria delia rivoluzione bolscevica.
Una valenza di questo genere può essere assunta anche da
certe scelte angolari di ripresa: ancora una volta un esempio

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molto pertinente ci è fornito da Pudovkin, che viene a torto
dimenticato da Bazin nelPindicare quelli che, nella sua prospet-
tiva, sono i padri del « cinema moderno »: è la famosa e cita-
tissima inquadratura de La fine di San Pietroburgo, nella quale
i due protagonisti contadini che entrano in città sono inquadrati
in campo lunghissimo dalPalto mentre in primo piano è una
statua equestre dello zar, che sembra schiacciarli con il suo
peso.
Infine, per quanto riguarda la funzione di simbolo con­
creto, pertinente ad una situazione drammatica, assunta dalle
strutture compositive delPinquadratura ed affidata a valenze
simbolico-emozionali ritenute proprie di certi schemi compo-
sitivi, secondo i dettami delPestetica psicoformalistica, ma pre-
sentate anch’esse come naturalmente inerenti alia situazione,
gli esempi sono numerosissimi e, per il problemi di ricostru-
zione dei nessi esistenti fra le poetiche figurative post-impres-
sionistiche e psicoformalistiche e le forme di articolazione del
linguaggio filmico, meriterebbero uno studio a parte. Basterà
ricordare la disposizione in diagonale, dal retropiano alPavam-
piano e dal basso in alto, degli inquisitori delia Giovanna
d’Arco di Dreyer, dove la potenza emozionale e drammatica
attribuita alia diagonale37 e il potenziamento simbolico ed
emotivo delPinquadratura che ne deriva, sono motivati « natu-
ralisticamente », sono resi « verisimili » dalla posizione di Gio­
vanna, inginocchiata; e ancora, per rimanere a questa forma
compositiva, la dislocazione su di un asse diagonale assunta
dal corpo di Emil Jannings dopo la « degradazione », in oppo-
sizione alia sua eretta rigidità precedente, in Der letzte Mann di
Murnau. Oppure, invece, Putilizzazione ai fini delia determina-
zione del quadro delPopposizione fra linea verticale e linea
1 orizzontale, con le sue note valenze simbologiche, caratteristica
del Lang dei Nibelunghi e di Eisenstein, che Pha addirittura
teorizzata, o, per concludere, Putilizzazione, concreta, motivata,
pertinente alia situazione, del movimento circolare come simbolo
del caos38, precipitato alPinterno delia situazione attraverso la
valorizzazione di un oggetto « naturale », la porta girevole di
un grande albergo, in opposizione, da concreto ad astratto, alia
superposizione dalPesterno di questa forma simbólica caratteri­
stica del film propriamente espressionista, ad incominciare da
Der Kabinett des Doktors Caligaris, di Robert Wiene.
Con gli esempi si potrebbe continuare a lungo, ma penso
possano bastare questi per dimostrare come, anche a livello
delPutilizzazione del materiale plástico delia composizione in
senso simbolico concreto, il cinema di Antonioni si distacchi

101
radicalmente dal modello cinedrammatico, che in questa forma
di simbolismo concreto ha una delle sue figure compositive del
materiale piu specifiche e caratterizzanti, com’è ormai facile
comprendere, perche è attraverso questa forma che in esso si
compie quelToperazione di attribuzione di significato al mate­
riale e di un suo articolato potenziamento patético — che è la
sua forma specifica, fondata sul procedimento delPellissi — a
livello del materiale figurale o plástico.
Basterà confrontare tutti questi esempi, nei quali la signifi-
cazione simbólica scaturisce dal carattere di privilegio (dunque
da un’operazione di ellissi) assegnato a certi oggetti, o a certe
strutture compositive, con 1’indeterminatezza e la pluralità atten-
zionale, la pluridirezionalità compositiva del cinema di Anto-
nioni, per rendersi conto di quanto sia forte lo scarto.
Non occorre ricordare — e questo ci riporta al discorso piu
generale e al carattere piu specifico dell’opposizione dello stile
o delia forma del cinema di Antonioni a quella del modello
cinedrammatico — che tutti i procedimenti esaminati nelPana-
lizzare da questo punto di vista la forma di trattamento alia
quale il film drammatico sottopone il materiale sono manifesta-
zioni delPatto di Einfiihlung per il quale, è bene ricordarlo, con
1’aiuto deirimpressione di realtà che è carattere specifico del
materiale cinematográfico, il mondo si presenta alio spettatore
come autonomamente dotato di significato, drammaticamente ar­
ticolato e denso di sostanza emozionale. Anche questa angolazione
delPanalisi ha dunque dimostrato che 1’opposizione fra cinema
delVimmagine e cinema delia realtà è — senza volere sminuire
1’opera di Bazin, che ha il mérito di essere stato il primo a tentare
di individuare le forme filmiche ed il loro svolgimento storico —
una falsa opposizione. Falsa perché entrambi i suoi termini,
immagine (nel senso di oggetto manipolato) e realtà, sono pre-
senti alPinterno dello stesso modello formativo e confluiscono in
una forma di composizione del materiale che è unica, quella
tendente a presentare un mondo strutturato come dramma, alPin-
terno del quale il tipo di procedimento che è alia base del secondo
termine delPopposizione assolve la funzione di articolare e pre­
sentare il mondo come azione significativa, elidendo e ricompo-
nendo il materiale a questo fine, mentre il primo assolve la
funzione di attribuire al mondo una espressività, che abbiamo
chiamato di secondo grado, consistente nelParticolazione delPac-
centuazione patetico-emozionale, che si innesta sul piano inferiore
o primo, ne trae la própria credibilità e ne è tuttavia un necessário
complemento. Insomma non solo non esiste sostanziale diffe-
renza fra montaggio analitico-drammatico e montaggio in pro-

102

i
fondità, come ammette anche Bazin39, ma neppure fra cinema
delFimmagine e cinema delia realtà, almeno nei termini delia
formulazione baziniana. Esiste invece anche un*altra forma, do-
vrebbe ormai essere chiaro, che compone o si pone di fronte al
materiale non in modo che questo appaia come dotato di signifi-
cato, ma in modo che appaia significativa Poperazione stessa che
si viene compiendo, una forma che non si cura di rappresentare
il mondo ma Pesperienza che sul mondo si viene compiendo.
Ed è questa Popposizione reale, o almeno quella che sta a
monte delPopposizione formulata da Bazin e ne annulla il carat-
tere esaustivo.
Ma lasciamo questo âmbito di considerazioni, che sono ritor-
nate piíi volte come suggerimenti immediati che nascevano dai
vari momenti delPanalisi e che dovranno essere definitivamente
organizzate e sintetizzate, e tomiamo sul piano direttamente ana­
lítico per prendere in esame un altro aspetto che caratterizza
la forma di trattamento alia quale Antonioni sottopone il mate­
riale plástico. AlFintemo di questo piano delTanalisi può senza
dubbio rientrare il rapporto che Antonioni intrattiene con Yat-
tore e il suo modo di guidare la recitazione. Nel cinema di Anto­
nioni, infatti, Pattore non è altro che una forma speciale di
materiale plástico. Ciò dipende, innanzi tutto, dal carattere di
registrazione comportamentistica, in continuità o frammentata,
non importa, che, come abbiamo visto, Antonioni impone alia
vicenda, contro le regole delia selezione dei’ momenti significanti
caratteristica del modello cinedrammatico. È quasi ovvio che,
alPinterno di una simile impostazione, Pattore scada fatalmente
a puro materiale di registrazione. Gli attori insomma — e lo
confermano numerosissime dichiarazioni delPautore stesso — sono
utilizzati da Antonioni non come articolazioni formali delPespres-
sione (Púnico suo strumento espressivo è in realtà la macchina
da presa) ma come pura matéria, alio stesso modo degli oggetti
e del paesaggio. Una matéria diversa, dinamica e non inerte, e
che deve essere quindi in qualche modo guidata o piuttosto
stimolata a prodursi secondo certi termini precisi, che deve essere
spogliata di tutte le aggregazioni « professionali » e ricostruita
come vergine, ma che non deve mai oltrepassare lo stadio delia
pura esibizione di comportamento per tentare di assurgere al
ruolo di formazione autonoma di un personaggio. Questo carattere
e questa forma di utilizzazione delPattore come matéria vivente
— che nelPopinione volgare, abituata alia performance « artí­
stica » che del modello cinedrammatico è, anche se non sempre,
parte costitutiva, si traduce alia convinzione che gli attori di
Antonioni « recitino male » o che il regista non sappia guidare

103

1
gli attori, mentre sa guidarli tanto bene da annullarli come
tali, come dimostrano del resto gli screzi vericatisi spesso in
sede di lavorazione quando qualche « mostro sacro » si rendeva
conto di quanto stava accadendo — trovano delle conferme
oggettive, a livello di técnica e di scelta, che sono particolar-
mente significative.
La prima conferma è di carattere strettamente técnico, con­
siste nella pratica del ritardo dello stop, alia quale Antonioni
ricorre spesso in sede di ripresa: « Ritenevo, in effetti, che fosse
giusto non abbandonare i personaggi nei momenti in cui, esaurito
Pesame del dramma o per lo meno quello che del dramma inte­
ressava, le punte drammatiche piu intense, il personaggio rima-
neva solo con se stesso, con le conseguenze di quelle scene o di
quei traumi o di quei momenti psicologici cosi violenti che avevano
indubbiamente avuto su di lui una determinata funzione e Pave-
vano fatto progredire psicologicamente verso un ulteriore mo­
mento. Mi sembrava opportuno seguirli anche in quei momenti
apparentemente secondari, nei quali sembrérebbe che non ci
fosse alcun motivo di vedere che facce avessero o quali fossero
i loro gesti, i loro atteggiamenti. Ritengo invece che proprio nei
momenti in cui i personaggi si abbandonavano a se stessi (e
quando dico personaggi dico anche attori, perche molte volte
seguivo gli attori senza che nemmeno loro se ne accorgessero,
o addirittura credevano che Pinquadratura fosse finita. In Cro-
naca di un amore ho fatto molte volte questo gioco con Lucia
Bosé. Lei pensava che fosse finito, io le dicevo di spalle « con­
tinua », lei continuava e io continuavo a girare), mi si offriva
la possibilita di ritrovarmi sullo schermo moti spontanei che
forse in un altro modo non sarei riuscito a provocare (soprat-
tutto nel caso delia Bosé, in una ragazza che non aveva spicca-
tissime doti di attrice o per lo meno non aveva ancora Pespe-
rienza e la técnica per poter raggiungere a freddo determinati
risultati)»40. Mi pare che queste parole di Antonioni spieghino
a sufficienza come Pattore serva al regista non per la sua capacita
di creare il personaggio, come si dice, ma per la sua vivente
materialità, per la corrente di sfumature minime di comporta­
mento delia quale il suo corpo e la sua umanità non professio-
nale sono veicolo. Nella stessa direzione si muove Antonioni a
livello delia scelta degli attori, selezionati non per la loro bra­
vura, o per la loro técnica di recitazione, ma per il loro aspetto
fisico, per certe caratteristiche fisiognomiche, somatiche, gestuali
e cinetiche che Pautore vede oggettivamente in loro o pensa di
poter fare emergere. A volte addirittura attore e personaggio
coincidono: si pensi alPutilizzazione di Rita Renoir in Deserto

104
rosso, o al fatto che per La Signora senza camelie Antonioni
voleva impiegare Gina Lollobrigida, non certo per le sue qualità
di attrice, pressoché inesistenti, ma perché incarnava perfetta-
mente, agli occhi di Antonioni, non tanto per le sue caratteri-
stiche fisiche quanto per la sua « figura » di attrice, per il suo
modo di esserlo, il personaggio di Clara.
Dunque la scelta degli attori avviene in base a considera-
zioni puramente plastiche e « sociali » — ed in ciò Antonioni
estende agli attori professionisti il procedimento seguito dal neo-
realismo nella scelta degli attori presi nella strada41 — e la loro
funzione è quella di dare vita a dei comportamenti, ad un mate-
riale plastico-cinetico, potremmo dire, e non a dare vita a dei
« personaggi », nel senso preciso del termine. Per questo, la gamma
delle loro capacita specifiche e tecniche viene intenzionalmente
molto ridotta: di qui la fissità, la monotonia, Papparente manie-
rismo inespressivo, che si accordano perfettamente con la forma
generale delia composizione filmica che, appunto perché si
realizza non a livello delia costituzione del mondo come dramma
ma a livello delPintervento delia camera sul mondo, non ha
bisogno di personaggi, né di attori che ad essi diano vita, ma di
pure presenze comportamentistiche.
Anche a questo livello insomma la camera di Antonioni rivela
la sua non coincidenza con il mondo e Pazione rappresentati e
mantiene il suo carattere di forma concreta di rappresentazione
di un’esperienza che il regista compie sul mondo e che nel caso
delia técnica delia sospensione dello stop, che assume Pattore
stesso, al di fuori delia sua identificazione col personaggio, come
materiale di registrazione, si estende alia fase delle riprese, che
entra essa stessa a far parte dell’« autobiografia » che 1’autore
cala nelPopera.
Resta da vedere ancora, per concludere questa rassegna ana-
litica, la forma di utilizzazione del materiale sonoro. Per quanto
riguarda Paccompagnamento musicale, abbiamo già visto che
Antonioni, fin dal suo primo lungometraggio, ha assunto una
posizione che, se ora non è piíi sorprendente perché largamente
condivisa e ormai abituale anche per il pubblico meno «raífinato»,
allora doveva essere considerata senz’altro una posizione di rot-
tura, anche rispetto al cinema di piú alta qualità. QuaPè, sintetica­
mente, questa posizione? Essa mi pare definita molto chiaramente
da queste parole- di Martin, riferite a Fusco che è stato, come
è noto, il collaboratore abituale di Antonioni: « Giovanni Fusco
refuse systématiquement toute mission e toute compromission dra-
matisante de la musique: il ne la fait intervenir qu’aux moments
les plus importants du film (qui ne sont pas toujour les plus

105
cruciaux de 1’action apparente mais les plus decisifs dans 1’evo-
lution psycologique des personnages) comme une sorte de fond
sonore trés limite dans sa durée, tres eacè par son volume,
refusant toute facilite melodique et absolutement neutre sur le
sur le plan sentimental: son role est seulemente semble-t-il, de
dilater le complexe espace-durée et d’ajouter à Pimage un element
d’ordre sensoriel mais qui releve plus de Pintellect que de Paf-
fectivité.
La partition intervient en general sous la forme d’un a solo
d’instrument (piano, saxophon) et elle est d’une extreme discre-
tion: son refuse de toute paraphrase servile de Paction corresponde
à une volonté de de-dramatisation de la musique du film: elle
agit comme totalité affective dans une sorte d’etat qui s’adresse
plutôt au subconscient » 42.
La citazione di queste osservazioni di Martin non implica,
evidentemente, che esse debbano essere completamente condi-
vise. Esse possono essere considerate sotto due diversi aspetti: il
primo riguarda la definizione dei caratteri «oggettivi» delia
utilizzazione del commento musicale da parte di Antonioni, il
secondo la sua funzione alPinterno delia composizione filmica.
Per quanto riguarda il primo aspetto le osservazioni di Martin
mi sembrano molto precise ed esaurienti e, nel sottolineare Pe-
strema discrezione e riduzione delia musica di accompagnamento,
corrispondono del resto alie opinioni espresse sul problema delia
musica nel film dallo stesso Antonioni, che è andato sempre piu
riducendo la presenza di questo elemento, abbastanza estraneo
alia natura profonda di un cinema come il suo in quanto intro-
duce un elemento non pertinente né al materiale di registrazione,
come è ovvio, né alia forma che, non essendo fondata sulPorche-
strazione di momenti forti e di momenti deboli di un’azione
drammatica, rifiuta evidentemente anche la musica come forma
di accentuazione patética di questo tipo di struttura. Tale ridu­
zione è sfociata nelPabolizione totale delPaccompagnamento mu­
sicale in Blow-Up, dove la musica è soltanto musica di scena,
musica pop, la cui continua fruizione è una delle forme di com­
portamento dei protagonisti registrate dalla camera; oppure è
sfociata nella musica elettronica di Deserto rosso che, pure essendo
esterna al materiale di registrazione, rappresenta una forma di
trasposizione o dilatazione sul piano musicale del carattere freddo,
opaco, ostile ed inquietante che la nevrosi delia protagonista attri-
buisce agli oggetti, finisce insomma con Pessere una sorta di
rumore metafórico degli oggetti e, come i rumori reali, serve ad
accentuarne il peso sensibile, la presenza ossessiva. Per quanto
riguarda invece la funzione delPaccompagnamento musicale, mi

106
pare che le osservazioni di Martin possano essere condivise fin
quando si limitano ad indicarne il carattere a-drammatico, non
ihvece quando afferma che essa consiste nel sottolineare i
momenti delPevoluzione psicológica dei personaggi, cadendo nel
solito errore di riportare sempre e comunque gli elementi formali
alia funzione di messa in valore delia situazione, che è Ferrore,
che potremmo chiamare oggettivistico o riduzionistico, non solo
di Martin, ma anche di Bazin, di Mitry, di Metz e di quanti vedono
nella messa in valore delFimmagine figurale la virtualità di signi-
ficazione del film. E su questo dovremo tornare piíi avanti, perche
è un punto decisivo per portare a piena luce la reale natura del-
Fopposizione fra forma filmica, che è quella nella quale rientra
Antonioni, e quella nella quale s’inscrive, insieme alie altre, il
modello filmico drammatico.
Piu interessante è il discorso di Martin e piu capace di
avvicinarsi alia reale funzione delia musica in Antonioni, quando
afferma che serve a dilatare il complesso spazio-durata (anche se
non mi pare vero che si tratti di un elemento di ordine sensoriale
che « releve plus de Fintellect que de Faffectivité »: né 1’uno, né
1’altro, è un elemento di ordine artístico, semplicemente): a mio
parere infatti, la funzione primaria e piu frequente delia musica
in Antonioni, quando non diventa semplicemente una forma spe-
ciale di effetto-rumore, è quella di dare una maggiore risonanza
sensoriale, di sottolineare in qualche modo, ma discretamente,
certe fasi di sospensione contemplativa che, come abbiamo visto,
hanno come funzione formativa primaria la dilatazione delia
durata delFimmagine notevolmente oltre i limiti del tempo di
lettura e delle necessita narrative. Quasi tutti gli interventi del
sassofono o del pianoforte in Cronaca di un amore, nel Grido e
nelYEclisse, per citare tre opere che appartengono a tre distinte
fasi dello svolgimento stilistico di Antonioni, hanno appunto
questa funzione; si pensi, valga un esempio per tutti, ai pochi
tocchi di pianoforte che marcano la sequenza finale delFEclisse.

NOTE AL CAPITOLO III

1 Christian Metz, Essais sur la signification cinématographique, cap.


Le cinêma moderne et la narrativitê, ed. Klincksieck, Paris, 1968,
pp. 185-222.
2 L’uso del termine diegesi è stato introdotto per il film da Etienne
Sourieau, come ricorda Metz (op. cit. pp. 100-101), che ne rileva la
derivazione dal termine greco che indica narrazione, esposizione dei fatti,
luogo obbligato del discorso giudiziario. Nel film rappresenterebbe «1 in-

107
stance representée », insomma « 1’ensemblc dc la dénotation filmique: le récit
lui-même, mais aussi le temps et Fespace fictionnels impliqués dans et
à travers ce récit, et par là les personnages, les paysages, les évcnements
et autres éléraents narratifs, pour autant qu’ils sont considércs en leur
état dénoté». A parte le implicazioni metodologiche e di teoria generalc
del film che Fuso delia nozione di diegesi assume in Metz, credo che il
termine sia utile per designare lo strato narrativo-figurale del film, se lo
si intende come comprensivo di tutte le possibili forme di organizzazione
dell’azione. ,.
3 In Michelangelo Antonioni da Gente del Po a Bloiv-up, a cura di
Aldo Bernardini, ed. «i 7 », Milano, 1967, pp. 87-88.
4 Michelangelo Antonioni, Sei film, cit., pp. XVII-XylII.
5 Soprattutto Pio Baldelli, nel suo saggio su Antonioni contcnuto nel
; secondo volume de II cinema deWambiguità, cit., sostiene che nel regista
I esisterebbe un’insanabile contraddizione tra uno strato lirico-autobiografico-
informale, positivamente risolto, e le ambizioni analitiche c « romanze-
sche» che ne costituirebbero la zavorra, la parte poeticamente irrisolta.
6 Rudolf Arnheim, Malinconia senza forma, in Verso una psicologia
deliarte, Einaudi, Torino, 1969, p. 231.
E’ la traduzione italiana di una serie di saggi pubblicati su varie
riviste scientifiche americane e raccolti nel 1966 nel volume Toward a
Psycbology of Art. Malinconia senza forma, recensione critica del libro
del Krakauer Film: ritorno alia realtà fisica, era stato pubblicato nel 1963
sul Journal of Aesthetics and Art Criticism, vol. XXI, pp. 291-297. A
questo saggio devono intendersi riferite tutte le citazioni succcssive di
Arnheim non richiamate in nota.
L- & 7 Rudolf Arnheim, Astrazione perceltiva ed arte, op. cit., p. 52.
8 Si veda, ad esempio, la Prefazione al Sei Film citato, nella quale
Antonioni chiarisce il carattere illusorio del cosiddetto cinéma-verité
nelle sue teorizzazioni piíi radicali.
9 Ma è soprattutto Pudovkin il teorico che nelFaífrontare i problemi
delia composizione filmica ha impostato il problema deirorganizzazione
del materiale in un senso che si orienta decisamente verso la dramma-
turgia visiva. Ma su questo punto si veda anche la nota 21 del presente
capitolo.
10 Nel suo noto studio sulla Teoria e técnica delia sceneggiatura
(trad. italiana, Bianco e Ncro, 1951), il Lawson affronta, daH’angolazione
delia sceneggiatura, tutti i problemi compositivi del film: esso non è
dunque un seraplice manuale, ma una vera e própria teoria del film.
11 È ovvio che Tellissi è tecnicamente costitutiva del film, ma nel
modcllo drammaturgico essa si evidenzia come figura strutturale principale.
12 È il fenomeno che Balázs chiama «corrente di induzione», che
non permette, fra 1’altro, di organizzare la singola inquadratura m una
composizione chiusa, che interromperebbe appunto la continuità del film.
13 Mareei Martin, in Le langage cincmatographique, Editions du Cerf,
Paris, pp. 81-87, fornisce un elenco completo di queste forme di
«punteggiatura», sottolineandone, al tempo stesso, il carattere pura-
iflente convenzionale e non necessário che lo distingue dalla punteggiatura
delia scrittura verbale.
14 Naturalmente, rispetto alia totale astrazione del tempo e dello
spazio nel dramma teatralc, le coordinate spazio-temporali del cinedramma
partecipano delia concretezza fisica del materiale filmico. Ma ciò che si
vuole dire è che, airinterno delle forme filmiche, tutte piíi o meno condi-
zionate dal carattere «realístico» del materiale, la forma drammaturgica
è quella che piu di ogni altra tende a « neutralizzare» questo carattere

108
entro strutture compositive che obbediscono alia lógica di una manipo-
lazione costruttiva del materiale, che si estende anche alie coordinate
spaziali e temporali.
15 Ciò naturalmente è in parte dovuto anche airinfluenza delle tecniche
televisive, che hanno contribuito a fare emergere una tendenza che è
comunque strutturalmentc costitutiva del mezzo filmico.
16 Si veda soprattutto Cinema italiano 1960. Romanzo e Antiromanzo,
Milano, 1961.
17 Vittorio Saltini, II cinema delia soggettività, in Bianco e Nero,
nn. 11-12, 1964.
18 Jean Mitry, Eslhetique et psychologie du cinema, Editions Univer-
sitaires, Paris, 1963, vol. II, pp. 421-424.
19 Renato Barilli, Vazione e Vestaú, Feltrinelli, Milano, 1967.
20 Questo collegamento coWécole du regard è stato compiuto da
molti critici, fra i quali vanno segnalati, per la precisione dei loro argo-
menti, Tommaso Chiaretti, uno dei piii puntuali critici di Antonioni, e
Ian Lockerbie in una sua analisi delYEclisse contenuta nel numero 36-37
degli Etudes cinématograpbiques, citato.
21 Troviamo in Pudovkin: « Ho già avuto occasione di paragonare lo
occhio dello spettatore con l’obbiettivo: questo paragone può essere ripreso
e sviluppato. II regista che piazza, per la ripresa, la macchina, determi­
nando le singole inquadrature, e che stabilisce la lunghezza dei singoli
pezzi di montaggio, può infatti paragonarsi, come ho già detto, ad uno
spettatore che diriga, ora su questo ora su quelFaltro momento deirazionc,
i suoi sguardi; come uno. spettatore, bcninteso, non indifferente ma
partecipe e commosso. Quanto piíi la scena che si svolge sotto i suoi
occhi lo commuove, tanto piu rapida e spezzata la sua attenzione balza
da un punto alLaltro (vedi Tesempio dell’incidente automobilístico). Quanto
piu invece 1’azione è considerata indiffeientemente o flemmaticamente tanto
piu 1’attenzione si rivolge lentamente e ciò corrisponde ad un piu Iungo
pezzo di montaggio. L’emozione è dunque indiscutibilmente proporzionata
al ritmo specifico del montaggio. Griffith usa largamente e saggiamente di
questo método in intere parti dei suoi film.
Da qui dipende anche 1’altro método tipico del regista, quello di
sostituire, per cosi dire, al protagonista lo spettatore, e mostrare cosi
a quest’ultimo 1’azione dal particolare punto di vista del primo. La mag-
gior parte dei sistemi di montaggio attualmente in uso è dipendente da
questa relazione tra lo spettatore e la camera. Le stesse leggi, che deter-
minano la necessita dello spostamento dello sguardo, reggono i principi
del montaggio». (in « II regista ed il materiale cinematográfico», 1926.
Sta nella raccolta antologica, curata da Umberto Barbaro, La settima arte,
Editori Riuniti, Roma, 1961).
Questo passo di Pudovkin mi sembra importante non soltanto perche
in esso è esplicitamente teorizzata lopposizione fra ritmo veloce e ritmo
lento con le rispettive valenzc emozionali, ma anche perche, a mio parere,
individua con estrema chiarezza i due piani costitutivi delia forma cine-
drammatica: il piano delia selezione neH’evento dei momenti pertinenti
per la sua ricomposizione in « azione drammatica », con Teliminazione di
tutte le incidenze secondarie e non pertinenti; e il piano del potenziamento
emozionale che del primo è parte necessariamente integrante.
Ma ancor piu significativo è il parallelo fra la costruzione filmica
delLazione drammatica e 1’atteggiamento di uno spettatore partecipe e
commosso nei confronti di un evento qualsiasi che si verifichi nella vita
quotidiana. Questo parallelo implica due conseguenze di grande ímpor-
tanza. La prima consiste nel fatto che la drammaturgia filmica viene ad

109
■■

essere 1’estensione sul piano delia rappresentazione artística di una forma


di relazione conoscitivo-patetica con il reale che è tipica di ogni uomo
prima ancora che delTartista. Dunque questa è un’altra conferma che
? il modello cinedrammatico non si identifica con la «messa in scena»
di un testo precostituito, ma con una forma di rapporto con il reale c
di ricomposizione di esso che può attuarsi senza bisogno di mediazioni
letterarie fra la camera e la realtà, che anchc quando esistono devono
adeguarsi ai caratteri del materiale filmico e configurarsi come se i loro
elementi costitutivi fossero «ricavati» dalla camcra direttamente nella
realtà.
La seconda consegucnza è pertinente alia struttura delTimmagine fil-
mica come si attua nella forma cinedrammatica e al tipo di rapporto,
che ne consegue, tra immagine e spettatore. Intanto appare evidente che
la valenza emozionale delTopposizione tra ritmo veloce e ritmo lento è
valida e reale solo alTintemo di una forma filmica che postuli un tipo
di rapporto « drammatizzante» tra spettatore e realtà, qual’è quello cosi
chiaramente delineato da Pudovkin, ma non in altre. In secondo luogo
è chiaro che, poiché un’immagine filmica di questo tipo presenta alio
spettatore come già costituita una rielaborazione conoscitivo-emozionalc
deH’evento analogo a quella che egli è solito operare nei confronti delia
realtà, lo spettatore stesso sarà portato ad accettare come « naturale»
e «reale» il prodotto di questa operazione ed sentirsi direttamente
partecipe deiTevento drammatico con un rapporto di tipo empatetico che
esclude la coscienza o la consapevolezza attuale di una mediazione rappre-
sentativa esterna, esclude dunque la «presenza» strutturale delTautore
e delia camera (che pure ha costituito attraverso le proprie articolazioni
e secondo i propri termini specifici 1’evento drammatico) dalTimmaginc
compiuta. Che è, come vedremo in seguito, il carattere che piii precisa-
mente qualifica il modello cinedrammatico. Ed è appunto questa totale
immersione dello spettatore nelTevento drammatico filmico, fondata sul-
1’analogia delle operazioni compiute dalla camera con quelle normalmente
compiute dallo spettatore, che permette di presentare come naturali tutte
le manipolazioni psicoformalistiche deli’oggetto compiute ai fini del suo
potenziamento emozionale.
22 Andrc Bazin, op. dt., pp. 139-140: «En 193-8, on retrouve donc
presque partout le même genre de découpage. Si nous appelons, un pcu
conventionnellement, « expressionistc» ou « symboliste » le type de films
muets fondés sur la plastique et les artífices du montage, nous pourrions
qualifier la nouvelle forme de récit d’« analytique» et «dramatique».
Soit, pour reprendrc un des éléments de Texperience de Koulechov, une
table servie et un pauvrc hère affamé.
On peut imaginer en 1936 le découpage suivant:
1) plan général cadrant à la fois 1’acteur et la table;
2) travelling avant finissant sur un gros plan du visage qui expri­
me un mélange d^merveillement et de désir;
3) série de gros plans de victuailles;
4) retour au personnage cadré en pied, qui avance lentement vers
la caméra;
5) légcr travelling arrière pour permettre un plan américain de
1’acteur saisissant une aile de volaille.
Quellcs que soient les variantes qu’ on peut imaginer à ce découpage,
il lcur restcrait des points communs:
1) la vraisemblance de Tespace, dans lequel la place du personnage
est toujours déterminéc, meme quand un gros plan élimine le décor;

110
2) 1’intention et les effects du découpage sont exclusivement dra-
matiques ou psychologiques..
En d’autres termcs, jouée sur un théâtre et vue d’un fauteuil d’or-
chestre, cette scène aurait exactement le meme sens, 1’événcment continue-
rait d’exister objectivement. Les changement de points de vue de la
caméra n’y ajoutent rien. Ils présentent seulement la réalité d’une manière
plus efficace. D’abord en permettant de la mieux voir, ensuite en mettant
1’accent sul ce qui le mérite... on assiste à la disparition presque totale
des trucages visibles, tels que la surimpression, et même, surtout en
Amérique, du gros plan dont l’effect fisique trop violent rendrai sensible
le montage. Dans la comédie américaine typique, le metteur en scène
revient chaque fois qu’il le peut au cadrage des personnages au-desus des
genoux, qui s’avère être le plus conforme à 1’attention spontanée du spec-
tateur, le point d’équilibre naturel de son accomodation mentale».
23 Béla Balázs, II film. Evoluzione ed essenza di uríarte nuova, trad.
it., Einaudi, Torino, 1955.
II Ragghianti (in Cinema arte figurativa, pp. 355-358) chiarisce le
relazioni del pensiero di Balázs con la teoria fiedleriana delia «reine
Sichtbarkeit» e soprattutto con la sua assunzione in senso psicologistico
operata dallo Hildebrandt, e in genere con la psicologia simbólica. In par-
ticolare, per quanto riguarda la speciale valenza emozionale del primo
piano, penso si possa aggiungere senza difficoltà che essa è strettamente
collegata airopposizione fra « visione lontana » e « visione vicina» formu-
lata dallo stesso Hildebrandt.
24 Ma non solo in quella. Se prendiamo in considerazione, infatti, la
forma che, secondo la teoria di Bazin, sarebbe il suo opposto, quella
fondata sulla ripresa in continuità e sulla profondità di campo, nel suo
esempio piu celebre, il piano sequenza delTawelenamento di Susan in
Citizen Kane di Welles, vediamo che la disposizione in profondità non
attua solo il primo grado delia messa in valore delia situazione, ma
risponde anche alFesigenza di costituire una gerarchia patetico-emozionale
dei piani: infatti il bicchiere posto sul piano avanzato e dunquc « gonfiato »
dalFeffetto-grandangolare ottiene né piu né meno, lo stesso risultato emo­
zionale di un clássico dettaglio d’oggetto espressivo. Non solo dunque
attira 1’attenzione su di sé per significare « awelenamento», ma potenzia
questa significazione di una forte carica patética secondo i^ medesimi
principi e le medesime valenze psicologiche teorizzate da Balázs.
25 «La tecnique caracteristique de ce découpage était le champ
contre champ; c’est dans un dialogue par exemple, la prise de vue alternée
selon la logique du texte, de l’un au 1’autre interlocuteur». Bazin op.
cit., p. 141.
26 Queste forme di « rovesciamento » delia successione dei piani sono
anche tipiche, ed in forma ancora piu accentuata, del nuovo cinema
francese, di Godard piu di tutti, che se ne serve come di uno degli
strumenti principali per compiere quelPoperazionc di « discorso sul cinema
attraverso il cinema », che csige naturalmente, come condizione essenziale,
lo svincolamento delia camera dalla lógica delFazione.
27 Un’altra di quelle « presenze inquietanti» perché apparentemente
immotivate eppure sottolineate ed accentuate dalla camera. In realtà 1 im-
motivazione, dovrebbe ormai esscre chiaro, è tale solo in riferimento alia
forma drammatica, ma non airinterno dello stilc di Antonioni che ha
come proprio carattere la messa in relazionc di elementi drammaticamente
non pertinenti, ma che stabilisce una serie di sotterranei collegamenti
fra i personaggi ed il mondo deile persone e delle cose che li circondano.
23 Pier Paolo Pasolim, Il cinema di poesia, in « Filmcntica » n. 156,
pp. 278-280.
111

i
::

29 In Tailleur e Thirard, citati, — dai quali, fra 1’altro, l’adozione dei


gros plan, di qualche raro controcampo e del fondu in funzione di signi-
ficazione del tempo trascorso viene spiegata semplicemente come ritorno
alia técnica di regia tradizionale — troviamo: « Les gros plans éclatent
dans YAvventura avec une violence lyrique... le bon vieux champ-contre
champ reprend, lui aussi, du Service, mais c’est le gros plan, glorieux,
incantatoire, qui frappe surtout... un hymne à une femme, à ses ceveux
blonds et fous» (p. 105).
! 30 Dagli stessi Tailleur e Thirard è ricordata un’inchiesta di Jean
Clay del 1962, «La blessure secrète de Michelangelo Antonioni », nella
quale l’a. ricostruisce, anche attraverso la testimonianza di Letizia Anto­
nioni, la vicenda coniugale del regista ed afferma che il personaggio delia
Valli nel Grido sarebbe ricalcato fino nei minimi particolari su quello
delia moglie, interpretando come misoginia il senso di disperazione che
pervade il film.
In realtà la misoginia di Antonioni, delia quale parlano anche altri,
è — tranne forse che per il personaggio di Paola in Cronaca di un arnore,
dove pcraltro certi caratteri sono da attribuire, a mio parere, piu al
modello letterario-cinematografico al quale si riconduce questo perso­
naggio, che ad un atteggiamento misogino del regista — un’invenzione
delia critica. Nei film di Antonioni alia donna, ed in particolare al perso­
naggio del Grido, è costantemente attribuito un primato etico, in senso
laico, nei confronti deiruomo, le è soprattutto attribuita una sorta di anti-
cipazione quelle nuove categorie di giudizio del comportamento erotico-sen-
timentale che per Antonioni devono sostituire le vecchia, inadeguate alie
profonde rivoluzioni che hanno radicalmente modificato le strutture deiruo­
mo contemporâneo. L’equivoco, è, ai solito, di tipo moralistico e risiede
nella convinzione, da Antonioni mai autorizzata, che il regista, nella ma-
lattia dei sentimenti, voglia ritrarre una situazione eticamente negativa, e
non invece, piu semplicemente ma assai piu significativamente, indicare una
situazione di crisi delle vecchie categorie di comportamento e di giudizio
moralc. La «malattia dei sentimenti» non consiste insomma nelPinsta-
bilità sentimentale e nella fine delPamore come categoria assoluta, ma,
propriamente, nelPincapacità di prenderc atto di questa modificazione, che
porta appunto a « subiria » e a viveria in forme patologiche, come malattia.
Ma anche questo moralismo interpretativo deriva in fondo da un’inade-
guata lettura stilistica deiropera di Antonioni, per la quale i personaggi
sono assunti come 1’attuazione figurata delia visione del mondo delPautore.
È quanto è accaduto anche a proposito dell’alienazione, trasferita dai perso­
naggi all’autore a causa delia stessa errata visuale interpretativa.
31 Cè, naturalmente, la grossa eccezione di Deserto rosso, dove però
la sfocatura degli oggetti fa parte del modo di vcdere del personaggio,
dunque del suo comportamento, e, piu generalmente, rientra neiresplicita
assunzione del rapporto fra personaggio ed oggetto come tema del film,
sullc cui motivazioni alPinterno dello svolgimento del cinema di Anto­
nioni tomeremo ancora.
32 Secondo Bazin (op. cit., p. 143) la profondità di campo implica
« une attitude mentale plus active et même une contribution positive du
spcctateur à la mise en scène. Alors que dans le montage analitique il
n’a qu’à suivre le guidc, couler son attention dans celle du metteur en
scène qui choisit pour lui ce qu’il fait voir, il est requise ici à un
minimum de choix personcl. De son attention et de sa volonté dépende
en partie le fait que 1’image ait un sens ».
33 Jean Mitry, op. cit., vol. II, p. 45.
34 Borde-Bouissy, Le nouveau cinema italien,. «Premier Plan»,
Lyon, 1964.
112
35 Già Pinthus, nel 1913, nelTintroduzione al suo Kinobucb, poncva
questa caratteristica del film come la discriminante sostanziale tra cmema
e teatro
36 Óltre alie dichiarazioni, già citate, sulla funzione delia sceneggiatura,

avere,
mi venga suggerito da un ambiente». . ,
37 A proposito delia valenza simbólica delia diagonale si veda dl
Lotte Êisner Lo schermo demoníaco, passim. „ ,
M A questo proposito si veda, del Krakauer, Da Caltgan a tittler,
PaSS139 Bazin, cit. p. 142: « En d’autres termes le plan-séquence en pro-
fondeur de ’champ du metteur en scène moderne ne renonce pas au
montage... il 1’intègre à sa plastique ».
40 Sta in Di Cario cit., p. 365. . . . . u
41 Sulla necessita di estendere alTattore professiomsta le tecmche
impiegate per 1’attore improwisato si vedano le dichiarazioni ruasciate
dallo stesso Antonioni a UEuropa Letteraria, 1961, 9-10, pp. 216-218.
42 Mareei Martin, op. cit., pp. 127-128.

113

.
.

I
CAPITOLO IV

LA FORMA STRUTTURALE DEL CINEMA Dl ANTONIONI


L’immagine dello stile-Antonioni, quale si è venuta confi­
gurando attraverso lo svolgimento e la verifica delTipotesi cri­
tica delia dedramatisation, offre certamente il fianco ad una
serie di obiezioni e di perplessità, di carattere sostanziale e meto-
dologico, che, d’altra parte, erano presenti ed erano State avan-
zate esplicitamente fino dalPinizio del discorso.
Queste obiezioni e queste perplessità possono essere senza
dubbio ricondotte alPesplicito carattere strumentale delTipotesi
analítica assunta, la quale, d’altra parte, per essere svolta coe­
rentemente e fino alPestreme conseguenze, non poteva non
risolversi nella generale schematicità, nelle forzature che spesso
affiorano nel discorso, nella stessa monotonia delle diverse fasi
delPanalisi, tendenti a rintracciare ed a fare emergere uno stesso
carattere dominante in ogni momento formativo del cinema di
Antonioni.
A questo punto, dunque, sarà opportuno e corretto chiedersi
quali possano essere i risultati in qualche modo positivi del
procedimento adottato, che compensino le zone d’ombra e mo-
strino Tutilità, e il genere di utilità, di un discorso che altri-
menti finirebbe col rimanere uno sterile e neppur tanto bril-
lante esercizio logico o addirittura puramente verbale.
Si tratta insomma di chiarire se, in quali termini. e in
quale misura, lo svolgimento di un’ipotesi critica a priori con-
siderata inesauriente ed inadeguata, possa avere contribuito
alPavanzamento del processo di intelligenza e di definizione
delia forma própria e peculiare del cinema di Antonioni e possa,
di conseguenza, assumere il valore di generale ipotesi metodoló­
gica, sia purc limitata ed attuata in re, nella concretezza di un
processo critico, piíi che teoricamente fondata e formulata: risul-
tato, quest’ultimo al quale il discorso deve sempre porre atten-
zione se vuole contribuire al superamento dei caratteri di
incertezza e di inadeguatezza delTapparato metodologico speci-
fico che la cultura cinematográfica è riuscita a formulare nell arco
breve delia sua esistenza.

Un primo punto a favore del discorso che abbiamo svolto


è che Tipotesi critica di partenza era sl strumentale ma non

117
.
; i ■

fittizia o gratuita, tanto che essa comprendeva in sé tutte o


gran parte delle definizioni formulate dalla critica a proposito
delia natura del cinema di Antonioni, come penso sia stato
reso evidente dal suo svolgimento analítico, nel corso del
quale sono puntualmente affiorati i caratteri costruttivi dai
quali prende le mosse questa o quella interpretazione, anche
quella che si svolga totalmente al di fuori delia generale
categoria critica che si è venuta verificando e ne contesti o ne
trascuri la validità teórica o la pertinenza al cinema di Anto­
nioni: ed a conferma, è sufficiente anche una superficiale cono-
scenza delia bibliografia critica che riguarda questo regista.
Dunque, a meno di non pensare che tutto quanto è stato
detto sino ad oggi su Antonioni sia assolutamente e totalmente
infondato, la nozione di dedramatisation ed il modello formale
di segno positivo che essa ha imposto di formulare, astratto
quanto si vuole ma orgânico, e Popposizione fra questo e i carat-
teri dominanti e ricorrenti dello stile di Antonioni, devono
pur avere a che fare in qualche modo con la natura formale di
questo cinema, con la sua positiva realtà. Insomma la perti­
nenza specifica delPipotesi critica, del modello e delPopposizione
che ne scaturisce mi sembra che non possano essere posti in
discussione.
Ma 1’utilità reale del discorso svolto alia luce di quella
nozione critica non consiste tanto nel fatto che esso ha permesso
di ricomporre entro una prospettiva unitaria ed organica le
sparse notazioni sulle quali si sono fondate le diverse interpre-
tazioni critiche, essa risiede, piuttosto, proprio nel fatto che
il discorso si è sviluppato in termini di analisi oppositiva1 e
nelle indicazioni di método che conseguono da questo fatto e che
è necessário sapere correttamene individuare: ed è in questa
prospettiva che anche i limiti e le debolezze alie quali abbiamo
fatto cenno finiscono, paradossalmente, con il poter essere
intesi come momenti in qualche modo ed indirettamente pro-
ficui e progressivi nelPeconomia generale del discorso critico.
In concreto, la consapevolezza delia natura solo oppositiva
deli analisi svolta e delle conseguenze che questo comporta,
implica, innanzi tutto, rendersi conto del fatto che le singole
osservazioni e determinazioni dei caratteri dello stile-Antonioni
minutamente proposte, — la cui schematicità e la cui forzatura
era direttamente proporzionale alia necessita di mantenere Pana-
lisi in una ferrea correlazione con le varie articolazioni del tra-
liccio metodologico-formale costituito dal modello di riferi-
mento ~ non possono costituire in alcun modo un repertório
degli stilemi specifici del cinema di Antonioni, che rappresen*

118
tava l*obiettivo inizialmente dichiarato. Questa correzione di
tiro, o questo mutamento delia funzione e del valore che possono
essere assegnati a quella fase analítica del processo critico, deri-
vano dalTimpossibilità di passare in modo meccanico ed imme-
diato da un complesso di notazioni puramente descrittive, ester-
ne e coordinabili ancora solo in termini di concordanza opposi-
tiva, alia qualificazione positiva delle articolazioni interne di un
fare filmico individuale delle quali si postula una matrice
formale comune ed unitaria.
In secondo luogo, quella correzione e quel mutamento
producono o stimolano un processo di revisione radicale del
«comportamento» critico corrente, troppo spesso tendente a
caratterizzare ed a qualificare a livello di valutazione il cinema
di Antonioni sulla base di notazioni che sono solo episodiche e
scaturiscono da una pura constatazione di diversità, non chiarita
nella sua positiva natura, ma semplicemente avvertita ed accet-
tata. In realtà, con il procedere dell’analisi, non solo è venuta a
cadere 1’illusione che Pavere assunto quella prospettiva analítica,
privilegiata sopra ogni altra per la sua piú ampia comprensività
delle varie articolazioni delia composizione filmica, potesse legit-
timamente concludersi in una swnma descrittiva dei caratteri sti-
listici dominanti e ricorrenti del cinema di Antonioni, ma è
venuta a cadere anche Pillusione, che si era affacciata implicita­
mente in un secondo momento, che, comunque, se le singole
determinazioni si fossero potute raggruppare e ridurre entro un
limitato numero di categorie formative fondamentali, queste si
sarebbero potute considerare non piú puramente strumentali ma
positivamente inerenti al reale modo di formare caratteristico
dello stile di Antonioni. Invece, anche la non coincidenza o la
non aderenza delia camera e delle sue articolazioni spaziali e
temporali alie articolazioni delPazione visuale-drammatica, la
costituzione di una pluralità di centri di attenzione non coagula-
bili attorno ad uno stesso asse compositivo, infine la sospensione
contemplativa, cioè quelle che sono apparse come le categorie
piú ampie entro le quali potevano essere ricondotti i singoli
caratteri formativi differenzianti rispetto al modello di riferi-
mento rilevati, non possono ancora essere considerate qualifica-
zioni positive dello stile di Antonioni e dunque tali da poter
permettere di risalire da esse per via diretta alia determinazione
delia Forma di Antonioni, sulla ipotesi delia cui esistenza è
condotto tutto questo discorso.
Cerchiamo di vedere perche.
II problema critico consiste nelPindividuaziône di un modo
di formare, cioè di porsi in relazione costruttiva col reale nei

119
termini specifici del materiale utilizzato, proiettando una indi-
viduale visione del mondo sul campo di esperienza mobilitato
da un determinato mezzo espressivo che ne costituisce il modo
di attualizzazione storica e sensibile. Un procedimento rico-
struttivo di questo genere deve permettere di superare il con-
tenutismo grezzo, il riduzionismo verbalizzante, come ogni tipo
di equazione schematica, di puro stampo positivistico, fra mo-
vimenti stilistici e situazioni emozionali, infine la polverizzazione
alia quale viene sottoposto un processo unitário ed orgânico, pur
se dinâmico ed articolato, da procedimenti critici che non si
pongano il problema delia assunzione o delia costituzione di un
parametro unitário sulla base del quale procedere ai rilievi di
stile e di struttura delPopera.
Ora, certamente, alPintemo di questa istanza metodologica
generale, il fatto che i singoli rilievi sui vari momenti delia
• • composizione filmica abbiano potuto essere unificati come mani-
festazioni di un numero limitato di procedimenti formativi co-
stanti e ricorrenti non può non essere considerato un risultato
®. ■ confortevole riguardo alia fondatezza ed alia organicità del discor-
so fin qui svolto e rispetto alia pertinenza del modello di rife-
rimento assunto.
In particolare, si può parenteticamente osservare che la
necessita delia formulazione di un simile modello — con la
conseguente verifica dei risultati raggiunti, che si può ottenere
solo nella constatazione di una ricorrenza del tipo di quella
qui individuata —, cioè di un modello che comprenda organica­
mente come attuazione di un medesimo generale processo costrutti-
vo le varie fasi « tecniche » del fatto filmico che i loro modi di
realizzazione storica, contro la pratica corrente che consiste nel-
Passunzione, come termine di confronto, di forme di cinema fra
loro eterogenee o delle quali, comunque, non si sia coito e defi-
nito il comune principio costruttivo, tale necessita, dicevo, si
rivela in modo perentório quando si tratti appunto di giungere
alia definizione di una forma individuale e del suo grado di
innovatività, quando cioè il problema consista nel rinvenimento
del carattere unitário e differenziante che sta alia base delle
singole soluzioni formali. Mentre è chiaro che se il problema
non è Pindividualità stilistica, ma la pura definizione delia forma
di attuazione nelPopera di un autore, assunta come campione, di
questo o quel códice che la prassi filmica mobilita, un simile
;.íi: problema non si pone nella misura in cui non si tratta, appunto,
delia ricostruzione delia individualità di un processo formativo
che si ripercuote come elemento comune in tutti i « codici » in
- ■;

120
atto, ma, invece, delia assunzione di un messaggio individuale
come «campione», come esempio di attualizzazione di quei
codici stessi, che rimangono 1’oggetto reale del discorso.
Ma una cosa è ammettere la necessita di formulare un
orgânico modello di riferimento e credere che la verifica delia
pertinenza del códice assunto consista nella presenza costante
di uno o piú principi costruttivi, altra cosa è supporre che tali
principi possano essere considerati, senza ulteriori gradi di rifor-
mulazione del problema, come qualificazioni dello stile individuale
oggetto dell’indagine, o anche tratti costitutivi di una forma
filmica positivamente distinta da quella assunta come modello
di riferimento oppositivo. L’errore che si può compiere
cedendo a questa tentazione — per esempio alia tentazione di
costruire, sulla base delia non coincidenza fra le articolazioni delia
visione filmica con le articolazioni del materiale visuale organizzato
in sequenza drammatica, una distinzione positiva di due diverse
forme filmiche analoga a quella, formulata già da Aristotile e
riproposta recentemente anche a proposito del film da Kellog
e Scholes 2 fra dramma, imitazione diretta di un’azione, e narra-
zione, caratterizzata dalla presenza strutturale del narratore —
consiste nel trasportare scorrettamente sul piano delia fenomeno-
logia storica delle forme un’opposizione che ha un valore esclu-
sivamente metodologico.
In realtà, anche quelli che possono essere apparsi come
procedimenti costruttivi positivamente definiti e dunque reali,
sono invece caratterizzati dall’essere tutti delle pure «nega-
zioni » dei tratti specifici del modello e negazioni, sia chiaro,
la cui valenza è esclusivamente metodologica: esse non ci
dicono ancora niente su ciò che il cinema di Antonioni è, ma
solo su quello che esso non è.
Cosa intendiamo dire quando parliamo di « valenza meto­
dologica »? Intendiamo dire che la determinazione dei carat-
teri per i quali il cinema di Antonioni si differenzia da quella
che abbiamo chiamato drammaturgia filmica e delle piú ampie,
ricorrenti « figure » entro le quali quei caratteri possono essere
ricondotti, vale non a fornire una caratterizzazione descrittiva
di quei cinema, ma a stabilire invece i dati concreti in base ai
quali sia possibile giungere ad una corretta e precisa formula-
zione dei tcrmini del problema critico che lo stile delPautore
preso in considerazione ci propone, del problema che deve essere
posto e risolto per poter giungere corrcttamente alia individua-
zione delia specificità storica e strutturale di quello stile.
In questo senso possiamo parlare di valenza metodologica
delPanalisi svolta nel capitolo precedente, nel senso, insomma,

121
di contributo concreto alia corretta problematizzazione delPog-
getto delia nostra indagine, contributo, che, allora, si manifesta
immediatamente in due modi.
II primo di questi consiste nelTavvertimento che ogni di-
scorso sul cinema di Antonioni, qualunque sia la prospettiva
culturale dalla quale muove e quale che sia il livello di indagine,
« formalistico » o « contenutistico », tendente a definire i tratti
che ne caratterizzano il linguaggio o invece il senso storico-
culturale delPopera con le sue articolazioni interne, non può pre^
scindere da una operazione preliminare, che consiste nella deter-
minazione di una forma strutturale di utilizzazione delia camera,
in questa virtualmente contenuta, e dunque da esplicitare, che sia
radicalmente e positivamente diflerenziata rispetto a quella, teo­
ricamente e storicamente accertata, sulla base delia quale ab-
biamo formulato, attraverso un procedimento di astrazione e
di modellizzazione, lo schema di riferimento utilizzato fino a
questo punto. Si tratta insomma di riaprire il problema dei
termini specifici delia formatività filmica individuando in questa
diverse forme di attuazione e chiarendo dunque prima di tutto
gli aspetti che caratterizzano da questo punto di vista quel
modo di specificazione delia formatività filmica rappresentato
dalla drammaturgia visiva, in modo da vedere come questa uti-
lizzi i caratteri del materiale filmico da una parte e le possi­
bilita di intervento organizzativo su di esso dalPaltra e in modo
da poter individuare questa diversa possibilita di utilizzazione
delia quale siamo alia ricerca, avendo chiari i termini esatti
delia questione.
La seconda forma di contributo problemático si situa, eviden­
temente, a livello di storia delia critica, nel senso che la coinci-
denza quasi assoluta dei rilievi tratti dalla nostra analisi oppo-
sitiva con i dati iniziali delle piú accreditate e diverse interpre-
tazioni delia critica, impone una sia pure sommaria revisione di
quelle interpretazioni e la riconduzione alia comune radice, che
contiene in sé le ragioni delia loro positività, che deve essere
messa a frutto, e dei loro limiti, che devono essere superati.

Ritorniamo dunque al primo degli spunti problematici che


la riconsiderazione metodologica compiuta nelle pagine precedenti
ci ha permesso di individuare: il cinema di Antonioni ripropone
il problema del rapporto forma-materiale nel momento stesso in
cui esso si rivela del tutto lontano ed estraneo alia soluzione
che di questo rapporto si ha nella forma filmica con la quale
è stato posto a confronto.
QuaPè questa soluzione, oppure, in che termini si caratte-

122
rizza la drammaturgia filmica rispetto a questo problema? Per
rispondere correttamente a questo interrogativo è evidentemente
necessário chiarire il contenuto o la natura dei due termini che
compongono quel rapporto nella concretezza del fatto filmico.
II materiale filmico è, ovviamente, costituito dal visibile,
dal complesso dei fenomeni visibili, considerato, in quanto ma­
teriale, nella sua indeterminatezza, nella sua magmatica conti-
nuità oltre che nella concreta fisicità che è tipica deirimmagine
fotográfica e, ancor piú, di quella cinematográfica. Ci sarebbe, è
vero, da considerare anche la componente sonora (parole, rumori
e suoni) che contraddistingue il materiale di ripresa del fonofilm
rispetto al muto, ma per il momento sarà opportuno, per chia-
rezza di discorso, eliminare o sospendere dalla nostra conside-
razione questo aspetto, tanto piú che appare evidente che, a
questo livello di definizione, la componente visuale del film è
quella largamente predominante.
E dovrebbe essere anche scontato che quando si definisce
il visibile come materiale del film, si intende parlare di esso
non solo come oggetto che Pautore si trova di fronte e che sol-
lecita in lui impressioni ed emozioni che possono orientarsi verso
le piú svariate forme espressive, ma come di vera e própria ma­
téria delPespressione, di veicolo sensibile nei termini del quale
si fa concreta, percepibile e comunicabile 1’operazione espressiva,
o in qualunque altro modo la si voglia chiamare.
E non ci sarà certo bisogno di avvertire che quanto s:
viene dicendo riguarda esclusivamente il film fotográfico e non
altre forme di utilizzazione del mezzo, poniamo la serie di film
« astratti » di Richter e di Eggeling, per le quali il discorso
dovrebbe muoversi alPinterno di tutt’altra prospettiva.
Se il visibile è dunque la matéria costitutiva del film, la
forma, la possibilita di organizzare in qualche modo questo
materiale di per sé indeterminato, coincide con la possibilita
di comporlo secondo variabili e liberamente eleggibili deter-
minazioni spaziali (angolazione e campitura) e di durata, possi­
bilita che è attuabile secondo « logiche » diverse, secondo di-
verse intenzionalità di intervento sul materiale e dunque di rela-
zione con esso: e proprio in questa pluralità consiste la forma-
tività virtuale delia camera, la potenziale « artisticità » del film
come si diceva una volta, cosi come nella determinazione di
quale sia la «lógica», Pintenzionalità costruttiva specifica di
un autore o di una singola opera consiste il problema critico
primário.
Tornando allora, dopo questi chiarimenti, — un po’ didasca-
lici e forse scontati, ma necessari per lo sviluppo preciso del

123
A
"1

discorso — all’interrogativo che ci eravamo posti sopra, esso


si specifica nella ricerca di quale sia il tipo di relazione chc,
nella drammaturgia filmica, si instaura fra questi due termini,
il visibile-materiale da una parte e la visione-organizzazione per
determinazioni spaziali e temporali, dalPaltra. Piíi precisamente
si tratta di stabilire quale sia la forma di assunzione del visi-
bile in quel modello formale, in quale modo o in quale veste
esso entri nelPopera filmica: problema, questo, che coincide
con quello delia individuazione delia forma delia visione, delle
« funzioni » secondo le quali si realizza Pintervento organizza-
tivo delia visione attraverso i suoi termini costitutivi: spazialità
e durata.
Questa relazione, o questo intervento, si attuano nei termini
di un processo di figurazione, cioè nella costituzione di un com-
plesso discorsivo-espressivo, regolato da una « consecutio », da
una concatenazione di tipo drammaturgico, fondata cioc sullo
sviluppo di una azione, processo rispetto al quale il visibile
svolge la funzione primaria di repertório figurale, utile alia rap-
presentazione di azioni visibili o di situazioni di per sé non visi-
bili, mentre si realizza innanzi tutto come formulazione del
frammento visibile in termini di figura, elemento discorsivo o
significante nella concatenazione con i precedenti ed i successivi
delia stessa specie. Oltre che in questa funzione di costituzione
sintattica delle singole figure nel complesso delia figurazione,
funzione che può essere considerata il primo grado del processo
figurale, la visione si determina poi, Pabbiamo già visto nel
capitolo precedente, come calibrata ed articolata distribuzione
del grado di impatto emotivo, di potenzialità emozionale nei
singoli momenti delia figurazione, dunque si specifica in una
funzione «espressiva» o emozionale che costituisce il grado
econdo del complesso figurale. In che modo ciò awenga, cioè
kttraverso quali scelte spaziali e di durata, è già stato detto
ed è inutile ripetere, perche ciò che piu ora interessa è la
determinazione delia legge generale che determina nella dram­
maturgia filmica la relazione materiale-forma, visibile-visione,
e non i modi di esecuzione: ciò che interessa insomma è la
qualificazione delPintervento formativo delia visione filmica
sul visibile e delia funzione che essa assume in questa forma
di rappresentazione, in modo da giungere alia individuazione
delia determinata categoria formativa nella quale si specifica la
visione in questa forma di attività filmica.
Dovendo dare dunque una definizione sintética ed adeguata
delia funzione che la visione svolge in un processo di figura­
zione, mi pare che si possa proporre, pur con tutta la sua

124

:J
approssimazione ed ambiguità, la nozione o la definizione di
visione aderente. Cerchiamo di spiegare meglio perche ed in
quale senso possiamo utilizzare questo termine.
In un tipo di relazione fra materiale e forma nel quale
Pintervento organizzativo sul materiale visibile si concreta —
attraverso il tipo di formulazione dell’unità filmica (che non
è, come qualcuno sembra credere, il fotogramma, ma è il
piano, comprendendo in questo termine il contenuto figurale,
la determinazione spaziale e la durata, cioè tutte le compo-
nenti, in assenza di una sola delle quali non si può parlare di
unità filmica) e a livello delPorganizzazione globale delPopera,
nella .quale si prolunga, evidentemente, la forma di organizza-
zione delPunità — nella costituzione di una sequenza figurale
nella quale oggetto visibile e atto di visione filmica si fondono
in maniera inscindibile, nella misura in cui Poggetto è figura,
solo in virtu di un certo tipo di specificazione delia visione e
questa è forma solo in quanto costituisce Poggetto in figura
discorsivo-espressiva, in questo tipo di operazione, dicevo, la
dicotomia iniziale fra oggetto visibile e processo di visione si
risolve nella costituzione di un’entità unitaria, la figura o la
sequenza figurale, appunto, nella quale Piniziale dato ogget-
tivo diventa soggetto discorsivo-espressivo incorporando in se
stesso, come proprie funzioni costitutive, le determinazioni d
spazio e di durata specifiche delia visione filmica, di quj
modo speciale di guardare il mondo che è il « filmare ». E nc
solo in questo senso la visione finisce con Pessere incorporat
nelPoggetto diventato figura (cioè da essa costituito com£
figura), ma anche nel senso che è proprio attraverso un simile
tipo di intervento che la figuralità delPoggetto, la sua « rico-
noscibilità», diventandone Paspetto predominante o primário,
subordina a sé tutti gli altri e li utilizza in una funzione che
potremmo chiamare emozionale-espressiva.
Insomma, nel cinema delia figurazione, il rapporto visione-
visibile si risolve nelPutilizzare e nel piegare la visione ad una
assegnazione di senso e di espressività delPoggetto, assegna-
zione di senso nella quale si esaurisce la totalità delPoperazione
rappresentativa, che significa ed esprime attraverso Poggetto
formato in figura delia visione e non, ad esempio, assegnando
senso ed espressività alia visione delVoggetto, al suo svi-
luppo ed alie sue articolazioni.
In questo senso mi sembra abbastanza appropriato ed
utile parlare di visione aderente: nel senso appunto, che la
visione, la virtualità formativa delia camera, nelPatto stesso

125
.!

delia sua specificazione si annulla come processo autonoma­


mente espressivo e si risolve tutta nella própria funzionalità
strutturante delTunità e delia sequenza figurale.
La flessione delia visione informa di visione aderente
e la coincidente assunzione del visibile nella funzione primaria
di repertório figurale è dunque la legge generale che regola
la risoluzione del rapporto forma-materiale nella drammatur-
gia filmica.
Va detto súbito che questa «legge non è altro, in
fondo, che la riformulazione di una grande parte delle teorie
sullo specifico filmico, delle teorie sulla natura ed i modi
delia virtualità artistica del film insomma, a cominciare da
quella Arnheim, per arrivare a quelle di Pudovkin, di Ba-
lázs e dello stesso Eisenstein, o, fra i contemporanei, di Mitry.
E va detto anche, ma la citazione di Eisenstein rappre-
senta già un avvertimento, che il cinema delia figurazione non
coincide e non è esaurito dalla drammaturgia filmica, che ne
rappresenta solo una forma di specificazione storica.
(
' II fatto che si sia scelta proprio questa forma di speci­
ficazione, e non altre, per svolgere 1’analisi oppositiva del cine­
ma di Antonioni, oltrè che dalla presenza nel panorama critico
delia nozione di dedramatisation che era immediatamente uti-
lizzabile per condurre il discorso sullo stile di Antonioni senza
forzature e senza apriorismi teorici, ma a stretto contatto con
íi la concretezza del problema critico cosi come si era venuto
storicamente configurando, deriva anche dal fatto, piu perti­
nente e piú significativo, che anche nel cinema di Antonioni
un livello di organizzazione drammaturgica esiste, esistono una
«storia » e dei «personaggi », e che la sua anomalia è l’a-
spetto che si impone piu rapidamente, a causa, del resto, anche
lelle forme abituali di fruizionè del film da parte del pub­
lico e delia critica, tanto da dare origine alie due interpre-
tzioni generali dominanti, nelle quali possono essere ricon-
otte quasi tutte, quella « anti-drammaturgica », già vista, ed
jna altra che potremmo chiamare « microdrammaturgica »: le
due interpretazioni, cioè, che tendono a spiegare quella anoma­
lia o come esplicita e volontaria infrazione, come avanguardi-
stica negazione delia Forma, o come volontà di trascrizione e
di raffigurazione di momenti minimi, microscopici delFesistenza
í o addirittura di visualizzazione di stati d’animo o situazioni
mentali invisibili.
Ora, dicevamo già prima, non è che queste due grandi
categorie interpretative, sulle quali torneremo piu avanti in
forma maggiormente analitica e svolta, debbano essere riget-

126

i
tate come totalmente ed assolutamente infondate: nel cinema
di Antonioni un livello di organizzazione drammaturgica esi-
ste, e si escrcita, fra il resto, assai spesso, proprio sui conte-
nuti proposti dalla interpretazione microdrammaturgica. Ma il
punto è se Paver rintracciato questo livello basti a rendere conto
delle ragioni e dei caratteri delia forma generale del film, se
basti a rintracciare la matrice formale profonda dello stile di
Antonioni. A mio parere no, evidentemente, e se fosse altri-
menti questo studio non avrebbe ragion d’essere. Comunque,
a parte le opinioni personali che non è lecito anticipare senza
averle rigorosamente fondate, mi pare chiaro che i limiti di
quel tipo di categorie interpretative sono essenzialmente duc
e consistono nella mancata verifica teorico-metodologica, che
può avvenire solo nei termini di una riconsiderazione del rap-
porto materiale-forma del tipo di quella compiuta in queste
pagine, e, soprattutto, nel fatto di non considerare che la
presenza di un livello di organizzazione drammaturgico-figurale
del materiale può non coincidere con la forma complessiva
o generale delPopera poiché non è contraddittoria con una
flessione delia visione formativa che, oltre a provvedere a costi-
tuire questo elementare strato drammatico, si specifichi anche
in forme diverse, si strutturi secondo altre funzioni, instauri
altre forme di relazione con il visibile: in modo tale che
questo, pure parzialmente «figuralizzato» e perciò dotato di
senso, rimane tuttavia ancora oggetto delia visione, la quale
non è dunque riconducibile entro la categoria delia visione ade­
rente, cosi come il complesso delia rappresentazione non è esau-
ribile nella forma delia figurazione.
Queste ultime osservazioni, è chiaro, sono per ora delle
formulazioni puramente ipotetiche che però dovrebbero divenire
reali proprio nel processo di ricostruzione delia forma delia
visione specifica del cinema di Antonioni. II quale, in base
alie impressioni immediate che io ne ho ricevuto come anche
in base alia successiva riflessione critica che quelle impressioni
hanno sollecitato, non mi sembra riducibile né al livello di una
struttura microdrammatica aperta, né a quello di una figura­
zione drammatica in cui sia presente (ed in forma « aperta »,
innovativa rispetto ai modelli tradizionali) solo il primo grado
del processo di figurazione e sia espunta invece ogni forma di
manipolazione emozionale, come è, forse, il caso del cinema
di Bresson, né, infine, al livello di una sorta di ritualizzazione
visuale di comportamenti emblematici, che è la funzione alia
quale è piegata la visione di un autore come Jancso, che pure
utilizza, stilizzandoli per mezzo deiraccentuazione, molti dei
procedimenti tecnici cari al primo Antonioni.
127
Comunque sia, le considerazioni che ci sono State dettate
dalle interpretazioni che generalmente la critica dà del cinema
di Antonioni sulla base delia presenza in esso di un sia pure
elementare grado drammaturgico di elaborazione del materiale
visuale, ci riconducono a quello che ci era apparso essere come
il secondo problema che la verifica dei risultati conseguiti nel-
Panalisi svolta nel capitolo precedente ci imponeva di afiron-
tare: problema che, ricordiamo, coincideva con la necessità
di procedere ad una revisione delle posizioni critiche fonda-
mentali espresse a proposito delia opera di Antonioni per co-
glierne, al di là di ogni aspetto di diversità, di contraddittorietà
reciproca, di discrepanza nella prospettiva di indagine, la
radice comune, la motivazione di fondo per la quale esse erano
accomunate nel considerare, direttamente o indirettamente,Pop-
positività dello stile-Antonioni rispetto ai tratti distintivi delia
forma cinedrammatica, come sostanziale e positivamente carat-
terizzante.
E’ ovvio che si dovrà trattare di una rassegna assai som-
. maria e sintética, ed è per questo che sarà utile citare per
primo una brano di Borde e Bouissy che contiene in nuce, sche-
maticamente, i termini sui quali si fondano le diverse fonda-
mentali interpretazioni critiche che intendiamo analizzare.
Leggiamo in « Premier Plan »: « L’autre "astuce” d’Anto-
nioni (la prima sarebbe la pretesa equivalenza di paesaggio e
stati d’animo delia quale abbiamo già parlato) a été d*allonger
les plans en laissant au montage les temps morts que Pon a
Phabitude de couper. En moyenne, chaque plan est formé:
— de 10 à 30 secondes de situation-amorce ou il ne se passe
rien, — de la scène elle-même, — de 30 à 60 secondes de
prolongement statique. Pour en avoir le coeur net, nous avons
fait une expérience: nous avons supprimé, plan après plan,
dans une vieille copie de UAvventura, tous les instants dé-
pourvus d’intérêt qui encandrent les scènes et qui, additionnés,
font une trentaine de minutes. Et nous avons eu une dobule
surprise: d*abord Uavventura, cessant d’être enneyeux, deve-
nait un film classique, rapide, bien fait; ensuite Pimpression
de dérive amoureuse était multipliés, par le simple fait que
les temps morts avaient disparu. Cette expérience est décisive.
Antonioni, qui n’a pas invent la poudre, s’était borné dans son
montage à poser le postulat: indécision, mollesse, vacuité =
temps morts dans la continuité de Pimage. Cest la même
paresse d’esprit qui lui avait dicté les équations désarmantes
du paysage-état-de-Pâme. Or le cinema est Part le plus fabriqué.
II est fondé sur un paradoxe. II est le contraire cPun calque ».

128

; ,
E piíi avanti: « Quoiqu’il en soit, les temps morts font partie
integrante des films cTAntonioni. Ils engendrent un art du rien
qui aboutit, comme certains romans modernes, à la minutiese
banalité des choses. La caméra filme à n’en plus finir des portes,
des couloirs, des chaises, des étoffes. Le décor se dilue dans
1’anonymat. Les objets ne sont plus impregnes par le drame,
puisque les personnages premment eux-mêmes du champ. Ils
redeviennent de simple objets, sans vertu attractive. La caméra
les fixe en vain. Ils n’ont plus rien à dire »3.
Ho voluto citare per esteso questo passo del saggio dei
due critici di « Premier Plan », perché, anche se riporta posi-
zioni che già abbiamo incontrato nel corso delPanalisi sin qui
svolta, in esso è facile individuare alcuni temi molto interes-
santi per la nuova prospettiva entro la quale si sta indiriz-
zando ora il nostro discorso. Da questo punto di vista, può
essere considerata irrilevante la schematicità del discorso sui
tempi morti e sulla loro durata cosi ferreamente classificata
secondo una precisa ricorrenza di costruzione che non trova
affatto riscontro nella realtà delPopera di Antonioni, sia per
quanto riguarda 1*Avventura che per ogni altro film, compresi
quelli nei quali Luso di tempi morti è accentuato rispetto a
questo. L’analisi in moviola di tutti i film di Antonioni rivela
una variabilità di costruzione rispetto alia quale lo schema di
Borde e Bouissy appare totalmente incongruo, né potrebbe
essere altrimenti, tanto piíi che, come è noto, il senso di
durata di un piano non dipende solo dal tempo misurabile ma
dal contenuto e dalla struttura spaziale del piano stesso. S
tratta dunque, evidentemente, da parte dei due francesi, d
un colpo ad effetto che non mette conto prendere troppo su
serio: anche se, naturalmente, il discorso generale sui tempi
morti nel cinema di Antonioni rimane intatto. E irrisolto, del
resto.
Cosi, a proposito deH’esperimento condotto sulla vecchia
copia de L*Avventura, si può osservare che può anche darsi
che dopo i tagli il film si riveli un film « clássico, rápido, ben
fatto», ma quello che è certo è che non è piu un film di
Antonioni e, fuori di scherzo, che il problema reale che il
cinema di Antonioni propone è proprio quello delia individua-
zione delle ragioni formali di questi caratteri costruttivi che
ne farebbero, se è lecito trarre le logiche conseguenze dal di­
scorso dei due critici, un «brutto» cinema: ed e un pro­
blema che non può essere certo risolto... tagliando.
Ma, al di là del carattere paradossale di questi discorsi,
resta il fatto che 1’analisi di Borde e Bouissy è significativa

129
I

proprio perché porta alie estreme, ma logiche conseguenze, cioè


alPafiermazione delPincapacità registica di Antonioni o alia
sua «vecchiezza » e banalità, la generale incomprensione del
fatto che proprio quei caratteri costruttivi per i quali il suo
cinema si discosta dal modello clássico delia drammaturgia
visiva implicano uno spostamento di angolo visuale, implicano
cioè la definizione di un modo diverso di fare il cinema.
Le cose delle quali i due critici non sembrano dubitare,
e insieme a loro la quasi totale generalità delia critica, sono
sostanzialmente tre. Innanzi tutto che il cinema di Antonioni,
al di là delia varietà di situazioni, non sia e non voglia essere
altro che una raffigurazione delia solitudine, delia fragilità dei
sentimenti, delPincomunicabilità e via diccndo, insomma la raffi­
gurazione di stati d’animo individuali e, di per sé, non visibili,
non appartenenti alia realtà visibile, o al complesso dei feno-
meni visibili. Sarebbe in dipendenza di ciò, secondo punto,
che le scelte di regia di Antonioni,. le scelte di contenuto plá­
stico, di organizzazione spaziale e di durata delPimmagine non
si orienterebbero verso la costituzione di un’architettura orgâ­
nica, serra ta, capace di assicurare alia situazione la massima
emergenza ed incisività, ma assumerebbero appunto il com­
pito di visualizzare e rendere in qualche modo percepibili da
parte dello spettatore quelle situazioni puramente interiori, sta-
tiche, inerti, non agite, incapaci di dare luogo ad un*azione
drammatica cinematografabile. Questo sforzo, « antieconomico »
ed anticinematografico, di sommare alPazione visibile e dram-
matizzabile anche ciò che visibile non è si concreterebbe in­
somma in equivalenze ingenue, in forme di induzione nello
spettatore dello stato d’animo fondamentale che domina i per-
sonaggi, la nota o Yinerzia. In terzo luogo la somma di queste
due intenzioni sfocerebbe in quello che Borde e Bouissy chia-
mano il micro-realismo di Antonioni, cioè in quelPaccentua-
zione degli oggetti da una parte e in quelPappiattimento dei
personaggi dalPaltra, determinato evidentemente dal fatto che
la destrutturazione temporale delPimmagine, il rifiuto di creare
un’architettura compositiva delia sequenza e delle sequenze, di
sbalzare le «figure» dal «fondo», produrrebbe una realtà
unidimensionale, monotona ed invertebrata, come il tempo fil-
mico dal quale si .origina, dove i singoli momenti si succedono
senza articolazioni o distinzioni di qualità: un universo « senza
qualità » insomma, ma intendendo questa espressione non come
rappresentazione giudicante * delia realtà attuale (come pure
qualcuno intende il cinema di Antonioni) ma come prodotto di
un difetto di energia rappresentativa, o di una fallace illusione

130
u.

mimetica, o di una non comprensione del campo specifico del-


Fespressività filmica, in ogni modo di un errore di concezione
artística.
Ora, alie osservazioni di Borde e Bouissy sono intanto
facilmente collegabili — e sia chiaro una volta per tutte che
non si pongono ora problemi di priorità cronologica ma di
coincidenza in un’unica radice interpretativa — quelle defi-
nizioni che possono essere raggruppate entro la categoria del
« cinema delia descrizione » o del « cinéma-miroir», per usa-
re una definizione di Martin, quelle cioè secondo le quali il
supposto intento di Antonioni di realizzare un cinema che
sia un’impassibile registrazione delia realtà intesa come ag-
glomerato indifferenziato di azioni e di oggetti, di comporta-
menti e di stati d’animo si attuerebbe e si estenderebbe al
tempo e alio spazio di questo magmatico flusso esistenziale e
fenomenico, dando luogo ad uno spazio-tempo deirimmagine
filmica totalmente destrutturato, puramente ricalcato sui ritmi
non regolabili delFesperienza attimale. E’ la teoria delia «re-
staurazione del tempo reale» contro il carattere fittizio del
tempo costruttivo delia drammaturgia filmica tradizionale,
teoria che è rimasta per lungo tempo quella dominante al-
1’interno delia critica, anche perchè suffragata in qualche mo­
do da alcune dichiarazioni dello stesso Antonioni. E a questa
concezione del tempo di Antonioni si riconducono le posizio-
ni di un Saltini, che su di essa fonda, come già abbiamo visto,
la própria negazione del cinema di Antonioni come fenomeno
di mimesi irrazionalistica, come quelle di un Aristarco ch
sulla supposizione di questo tempo non dominabile o non d
minato da un atteggiamento o da un intervento artistico-idc
logico fonda la riconduzione del cinema di Antonioni nella <
tegoria delP« antiromanzo ». E varianti delia stessa teoria soí
in fondo tutte quelle analisi delle strutture spaziali e tempo
rali deirimmagine di Antonioni le quali intendono queste co­
me raffigurazione concreta delle qualità spaziali e temporali
di quello che viene chiamato « Tuniverso di Antonioni », cioè
delle qualità spaziali e temporali che Antonioni attribuirebbe
alia realtà, con tutte le significazioni seconde, di carattere esi­
stenziale, che se ne possono trarre.
Una seconda posizione critica che il testo di «Premier
Plan» richiama alia mente è quella delia «letterarietà» di
Antonioni, che Luigi Chiarini4 è venuto sostenendo a piu ri-
prese e che ha formulato con maggiore decisione nel suo ul­
timo volume. In questo caso la mancanza di concentrazione
e di costruttività delia sequenza temporale di Antonioni tro-

131
M
verebbe la sua origine non nella volontà di estendere alio spa-
zio ed al tempo 1’impassibilità descrittiva, ma nella qualità
stessa delia matéria da raffigurare, cioè in quelPinteriorità
dei personaggi, invisibile ed inerte e come tale contradditto-
ria rispetto ai caratteri specifici del mezzo, che verrebbe pie-
1 gato alia raffigurazione di qualcosa che sfugge al proprio do­
mínio e che è invece dominio delPespressione verbale, let-
teraria appunto, in modo tale da costringere il regista ad un’e-
strema dilatazione dei tempi, motivata non da ragioni strut-
turali o ritmiche ma, appunto, dal surplus di immagini o di
episodi figurali necessário per rendere percepibile in qualche
modo ciò che, comunque, finisce col rimanere sostanzialmente
inespresso.
Ancora, 1’intendere le forme costruttive delia visione fil-
mica di Antonioni come rozze equivalenze psicologico-raffigu-
rative e come forme di induzione nello spettatore degli stati
d*animo dei personaggi o dello stato d’animo fondamentale del
quale 1’opera di Antonioni parrebbe essere la rappresentazione,
richiama singolarmente questo giudizio espresso da Jean Mi-
try, nel quale si assommano in modo estremamente signifi­
cativo Pinterpretazione del cinema di Antonioni in termini di
«descrittività» pura e assoluta e quest’altra interpretazione
di carattere « psicoformalistico »: « Voir les choses « entre les
actes » ne nous semble valable que pour autant quelles per-
mettent la saisie d’un monde intérieur original et captivant;
connaitre les individus n’est intéressant que s’ils sont riches
d’un état qui les singularise, qui les affirme comme êtres ou

comme personnes. Or, si Antonioni se sert de la temporalité


pour en exprimer Pinsignifiance, le peu d’importance devant
Pexistence profonde des êtres, si Pespace n’est jamais chez lui
que le lieu ou se déploie cette « insignifiance » de la durée, ce
n est pas cette durée qui est vide, mais son « vécu », c’est-à-dire
vexistence de ceux qui la vivent, qui traínent une vacuité
jientale, morale ou matérielle sans espoir.
On a dit assez souvent que ses films, tout remarquables
u*ils soient par leur style, par la façon originaíe d’observer
it de décrire les choses, dégageaient un ennui profond. Or
nous croyons que cet ennui — indéniable — est seulement
du monde qu*ils nous donnent à voir.
Sans doute y a-t-il une première raison due au part-pris
formei de Pauteur. II est certain que Pon ne peut se contenter
simplement de suggérer la durée sans en supprimer du même
coup la perception sensible. Mais — le temps de représentation
étant souvent homologue de celui des actes représentés — ce

132
n*est point di tout cette durée qui est lassante, c’est le vide
dont elle est faite. Plus encore, peut-être, le fait que ce
temps vides sont observes «de Pextérieur», avec un dé-
tachement qui nous loigne des individus au lieu de nous met-
tre en communication avec eux. La durée, de ce fait, n’est pas
ressentie comme un ennui « vécu » mais comme un temp im-
posé, comme un ennui qui ne nous concerne pas, auquel nous
demeurons étrangers... L’essentiel en art nest pas d’être vrai
mais de donner au spectateur un sentiment de verité sensible,
la verité-en-soi étant insaisissable à supposer qu’elle existe.
Pousse ainsi à 1’extrême, 1’objectivité ne nous fait plus voir
les êtres vivants que comme des « objets »... Mais, quel que
soit le style adopté, ce n’est pas en nous montrant des gens
qui s’ennuient pendant tout le temps durant lequel ils s’en-
nuient qu’on nous fera comprendre leur ennui. On nous fera
voir seulement qu’ils s’ennuient en nous ennuyant extrême-
ment »5. Come si vede, a parte gli aspetti già sottolineati, an-
che qui, come nelPanalisi di Borde o Bouisy, l’oggettualismo
di Antonioni, la riduzione dei personaggi ad oggetti e Pappiat-
timento prodotto da una visione che scruta con la medesima
attenzione e uomini e cose, gesti e frammenti inerti, viene
considerata come la risultante necessária ed espressivamente
negativa di procedimenti costruttivi che, per voler restitui-
re il tempo reale di una esperienza vuota di accadimenti si-
gnificativi, finiscono con Pessere il segno di un atteggia
mento incapace di interpretare, rappresentare e dare un ser
so alia realtà.
Ciò che caratterizza e che accomuna le definizioni crit
che passate sinteticamente in rassegna è il fatto che — al d!
là dei loro caratteri diversi, delle diverse matrici culturali al­
ie quali possono essere fatte risalire, al di là, anche, delPe-
vidente lisuguaglianza di articolazione, di livello culturale e
di penetrazione critica — esse tendono tutte a definire i mo-
di di costruzione spaziale e temporale delPimmagine di An­
tonioni come qualità delPuniverso rappresentato, o come dirette
rappresentazioni del tempo e dello spazio delPazione, o come
strutture imposte dalla qualità delle situazioni messe in campo.
E* una constatazione, questa, che è tornata piu volte nel nostro
discorso, e che era necessário riprendere alia luce delia riformu-
lazione del problema delia forma del cinema Antonioni in termini
di qualificazione delia specificazione del rapporto strutturale fra
visione e visibile che ci è stata imposta come lógica, necessá­
ria e corretta conclusione delPanalisi compiuta nel capitolo
precedente.

133
Ora, gioverà forse ribadirlo, questo tipo di formulazio-
ni critiche, tutte poi sostanzialmente riconducibili entro le
piu ampie categorie che abbiamo chiamato microdrammatica e
antidrammatica, ha svolto una funzione assai importante (tranne
forse le osservazioni di Borde e Bouissy, troppo schematiche e
semplificatorie) per la qualificazione dei caratteri delPuni-
verso messo in campo da Antonioni e per Tindicazione di
certe generali relazioni culturali che sono innegabili, come è
innegabile la collocazione di Antonioni entro un generale
modo di formare non certamente di stampo « ottocentesco »:
anche se, a mio parere, quelle relazioni e quella collocazio­
ne non vengono sempre poste e chiarite con la precisione che
sarebbe necessária.
Ma, al di là delPimportanza dei singoli contributi critici,
rimane il fatto che essi si rivelano frammentari ed episodici,
mostrano cioè di saper fare affiorare e rendere chiaro que­
sto o quelTaspetto delTopera di Antonioni, mentre si rive­
lano insoddisfacenti nella loro pretesa di proporsi come qua-
lificazioni globali del fare filmico di Antonioni. E ciò di-
pende, a mio parere, proprio dalPincapacità di cogliere la
radice strutturale, che possa essere a fondamento di una cate­
goria interpretativa realmente unificante: incapacita che, poi,
coincide proprio con la riduzione delle qualità delia vi­
sione di Antonioni a forme di attuazione dei caratteri delPww-
tance representée e, piu generalmente, con la riduzione del-
Pimmagine di Antonioni in termini di processo di figurazione.
Si badi bene, sia detto per chiarezza, che non si tratta
di rispolverare la vecchia polemica fra teoria «narrativa» e
teoria « figurativa » del film, fra « narrativi » e « visualisti »:
prova ne sia il fatto che nel discorso vengono accomunati
un Chiarini, da sempre assertore delia totale autonomia strut­
turale del film rispetto alia narrativa, e un Mitry o un Ari­
starco, sostenitori, in modi e con motivazioni diverse, delia
fondamentale sostanza narrativa delia significazione filmica.
Si tratta invece del modo in cui la visualità del film, che
mi sembra indiscutibile, è concepita, anzi dei modi possibili
in cui può attuarsi tale visualità, tale forma speciale di mobi-
litazione del mondo visibile, e che possono comprendere an­
che una forma di organizzazione del visibile in termini di
dramma, di narrazione per immagini, come già abbiamo visto.
Non si tratta insomma di riaprire una falsa polemica, e
di prendere partito per questa o quella posizione, ma, stabi-
lito che, nella definizione piu generale che ne può essere
data, il film è una forma di rapporto costruttivo con il visi-

134
bile attuato attraverso le detcrminazioni di spazio e di durata
potenzialmente contenute nel mezzo técnico per il quale quel
rapporto si fa concreto, si fa film, di sottoporre a critica
il modo nel quale è generalmente concepito quel rapporto.
Tale modo, consistente neU’identificazione esclusiva di
quel rapporto con la riduzione del visibile indeterminato a
complesso figurale, appare insoddisfacente, non solo perchè
incapace di fornire una qualificazione generale delia natura
deirimmagine di Antonioni che sia realmente esauriente, ma
piu precisamente e piíi concretamente, per 1’assoluta incapa­
cita di comprendere, e dare ragione positiva, di una compo­
nente delia personalità di Antonioni, la sua sensibilità «fo-
togenica », che non può essere considerata mera aggiunta de­
corativa, perchè si concreta in «episodi formali », quelli che
abbiamo sintetizzato precelentemente nella categoria delia
«sospensione contemplativa», che hanno ampia e ricorrente
parte nel suo cinema e che devono e possono essere spiegati
altrimenti che in termini di irrisolto dualismo, come nelPin-
terpretazione di Baldelli e di Pasolini, delle quali si è già
riferito. Perchè, se non c’è dubbio che le strutture spaziali
e temporali del film di Antonioni servono a costituire delle
situazioni agite, dei personaggi agenti, ad assicurare 1’intelli-
gibilità di quelle situazioni e le qualità dello spazio e del
tempo in cui si svolgono, non c’è neppure dubbio che spesso,
come ebbe ad osservare Argan 6 in un dibattito di qualche anno
fa, la durata deirimmagine di Antonioni si ponga come durata
delVemozione visiva, che, potremmo aggiungere, trova nella deter-
minazione del campo e nei modi delia costituzione di rapporti
spaziali fra i singoli elementi del materiale di inquadratura, la
própria cellula originaria, il núcleo unitário del quale la durata
rappresenta lo svolgimento e la dilatazione: anzi, potremmo ag­
giungere, qucsto passaggio da una struttura che cerca di co-
gliere il senso delia realtà stabilendo delle relazioni fra i feno-
meni visibili, organizzandoli in connessioni «narrative» o
discorsive, ad una struttura che rappresenti Pemozione visiva, la
sensibilità alia visibilità degli oggetti indipendentemente dalla
loro identità pratica, implica una bipolarità delia visione di
Antonioni, il cui secondo aspetto potrebbc indicare una conver-
genza verso la cosiddetta forma "estetica” delParte contemporânea,
cioè verso quella forma tendente a mobilitare Tattività per-
cettiva piu che quella «rappresentativa». Ora di fronte a
questa situazione «bipolare» delia visione di Antonioni, che
trova conferma nelPanalisi delPopera come nelPesame degli
scritti di poética, come, infine, nelle osservazioni delia criti-

135
ca, mi pare chiaramente vantaggiosa la definizione generale
delPattività filmica come relazione con il visibile, dunque co­
me esperienza visiva che può, ma non necessariamente deve,
realizzarsi come formulazione, organizzazione ed esibizione di
immagini dotate di senso, ma può anche attuarsi in modi di-
versi, svolgendo e concretando quella relazione in forme che
rappresentino Patteggiamento che 1’autore viene via via assu-
mendo nei confronti del visibile, la qualità e la natura delia
sua attenzione ed il suo libero, mobile, articolato svolgimen-
to. In questo senso mi pare utile, a questo punto, riproporre
ff la nozione di « visione estraniata», già avanzata a proposito
di « Cronaca di un amore», come qualificazione delia forma
generale del cinema di Antonioni. E mi sembra utile ripro-
porla non per una facile e meccanica analogia oppositiva con
il termine di visione aderente, anche se questa nuova opposi-
zione mi pare assai piu pertinente di quella fra drammaturgia
filmica e dedramatisation, e piu utile come termine di riferi-
mento sintético, ma perchè credo che, se bene intesa nel suo
reale significato, possa appropriatamente rappresentare la re­
lazione fra camera e visibile che dà luogo alPimmagine di
Antonioni, e comprendere come positive forme di specifica-
zione di quella relazione originaria quei caratteri che alPanalisi
erano apparsi ancora non componibili entro una matrice for-
male unitaria.
Già quando la si era proposta per « Cronaca di un amo­
re » si era avvertito che questa espressione non andava in­
tesa come una formula nuova, derivante da una velleità di
essere originale a tutti i costi, per indicare quei caratteri di
freddezza, di distacco che la critica per lungo tempo ha at-
tribuito ad Antonioni nei confronti dei personaggi rappresen-
i suoi film: che non andava intesa, insoma, come ca-
zazione delia psicologia empírica delPautore. Ancora,
i chiarire che con essa non si vuole indicare una for-
cinema coincidente con una impassibilità descrittiva
npo naturalistico, che accrediterebbe la riduzione del
di Antonioni entro la categoria del descrivere, for-
da Lukàcs in opposizione a quella del narrare a pro-
del romanzo e proposta, come è noto, per il film da
co. Infine, quei termine «estraniata» non vuole nem-
essere un collegamento con le posizioni, che hanno co-
mto di partenza Bazin, che indicano come carattere del
i moderno la libertà di giudizio che verrebbe lasciata
pettatore da una costruzione filmica nella quale Pauto-
limita a presentare alio spettatore stesso i dati «og-

136
gettivi » delia situazione, evitando di prendere parte attraver-
so la manipolazione emozionale di quei dati stessi. La cate­
goria delia visione estraniata, cosi come viene qui proposta,
non si identifica con nessuna di queste proposizioni, ma è,
come si diceva, una determinazione che si colloca a livello
delia struttura delia visione, cioè del rapporto che la camera
instaura con il visibile, come del suo modo di assunzione
ad immagine filmica e dei caratteri che il processo di visione
assume in dipendenza di quelPatteggiameno originário, atteg-
giamento che va inteso in senso formativo e non psicologico.
L*aggettivo « estraniata », vuole dunque definire una for­
ma di visione 1c cui strutture o articolazioni spazio-tempora-
li svolgono una funzione per cosi dire «autorappresentati-
va», nel senso che servono a rendere percepibile e a fare
protagonista delPimmagine filmica, Vesperienza visiva che Vau
tore viene compiendo sul mondo visibile, nelle sue varie pos­
sibilita di articolazioni e di specificazione e dunque nella sua
mobilità e pluridirezionalità di relazioni.
Dunque, di fronte ad un tipo di operazione filmica nel­
la quale la visione si risolve nella costruzione di un mondo si-
gnificante, di un’immagine, per cosi dire, «monodimensio-
nale », nella quale il materiale visibile si concreta come les-
sico figurale e la visione si funzionalizza e si risolve total­
mente nella costituzione di questo lessico e nella sua orga-
nizzazione in discorso, abbiamo una visione che di fronte al
materiale visibile si pone in termini « aperti », problematici,
potremmo dire, e variabili e che si articola in modi che
esprimono questa problematicità e questa variabilità, dando
luogo ad un’immagine bidimensionale, nella quale oggettc
veduto e visione si mantegono distinti, come oggetto e sog
getto del processo estetico e conoscitivo.
Dunque, riassumendo, la visione estraniata è visione
problemática, nel senso che si pone di fronte al proprio ma­
teriale come ad una realtà da decifrare: è libera, nel senso ^
che coglie aspetti diversi del mondo visibile, stabilendo dei
rapporti di tipo conoscitivo o di tipo «estetico» nel senso
chiarito sopra, ed è libera anche perchè proprio in virtu delia
problematicità originaria e delia plurimodalità, si svolge se-
condo i tempi non regolabili di un processo in fieri, attuale,
assolutamente non predeterminato; è, infine, autorappresen-
tativa, nel senso già chiarito.
Si potra osservare che, in fondo, questi caratteri del ci­
nema di Antonioni, delia sua matrice formativa unitaria, era-
no già stati indicati piu volte, anche se in forma diversa ed

137
episódica, nei capitoli precedenti. Ciò è senz’altro vero, ma
lo scopo di questo capitolo era appunto quello di ricompor-
re sistematicamente entro una categoria formale e interpreta-
tiva teoricamente fondata, quelle notazioni sparse che i di-
versi tentativi di approccio compiuti in precedenza avevano
sollecitato. Certo si tratterà, ora, di dare alia categoria forma­
le cosi individuata un suo contenuto piíi specifico, di indi-
carne la concreta forma di attuazione, di specificarne meglio
le componenti reali, le articolazioni e lo svolgimento nelParco
delPopera di Antonioni: ma la sua individuazione e la corret-
ta fondazione teórica erano necessarie perche si potessero supe-
rare i motivi di episodicità e di contraddittorietà che avreb-
bero marcato altrimenti il discorso.

Lo sforzo che si è compiuto in queste pagine — sforzo


che mi pare sia reso estremamenete percepibile dalPopacità
delia scrittura e dallo stesso procedere « a spirale» del di­
scorso, dal continuo riprendere e riformulare temi piíi volte
affrontati — mirava a ridifinire in modo pertinente la gene-
rale categoria formativa dalla quale si genera Popera di An­
tonioni: si trattava di individuare una forma artistica delPat-
tenzione in opposizione alia forma delVinvenzione e, in se-
condo luogo, di definirne i modi di attuazione nei termini spe-
cifici delPesperienza filmica, senza di che quella opposizione
rimarrebbe al livello di determinazione meramente psicológica.
Ed è proprio dalla collocazione del discorso a livello del rap-
porto forma-materiale, quale si configura nella specificità
delPoperazione filmica, che è nata Popposizione fra visione
aderente e visione estraniata, corrispettivo filmico di quella
fra arte delPinvenzione e arte delPattenzione, che certo forse
dovrebbe essere fondata con maggiore precisione teoretica
ma che sarà lecito almeno proporre in forma problemática
ed ipotetica, fidando di mostrarne la consistenza attraverso
Papplicazione alia concretezza del fare filmico di Antonioni
e la capacita di spiegarlo in modo unitário.
Ma c’è da dire, per giungere ad un*ulteriore chiarificazione
che queste conclusioni non sono giunte solo in virtu di un pro­
cesso puramente logico, ma che esse sono anche il prodotto, come

138
CAPITOLO V

CARATTERI E SVOLGIMENTO DELLA VISIONE


Dl ANTONIONI
I
1. la signora senza camelie (1952-53): un momento del finale a Cinccittà,
che prepara la « sconfitta » delia protagonista. (Nella foto, Lucia Bosè).

2. LE AMICHE (1955): il suicidio di Rosetta, risolto fulmineamente in


questo piano-sequenza.
—-
I

'

:!
I ■ :j
i 3. il grido (1956-37): un’immaginc delia «sequenza del delta», dominata
dalla grigia e umida monotonia del paesaggio padano entro la quale i
personaggi sono come « assorbiti», utilizzando soprattutto un procedimento
; stilistico fondato sulla scelta sapiente delle << distanze» fra camera e
I personaggi e fra i personaggi stessi. (Nella foto, Linn Shaw e Steve Cochran).
:
:
:
,

4. il grido: il suicídio di Aldo. (Nella foto, Alida Valli e Steve Cochran).


:
5. l’avventura (1960): il volto concentrato di Anna, poco prima delia sua
«scomparsa» (Nella foto, Lea Massari).

I
!

6. l’avventura: un momento delia riccrca di Anna. (Nella foto Monica


Vitti).
I

J
í

I
í
7. l’avventura: un piano ravvicinato tipico dello stile di Antonioni: il
volto dei personaggio «pfoicttato» contro il pacsaggio in profondità.
; (Nella foto, Gabriele Ferzetti).
'

'
i 8. l'avventura: durante la ricerca affiorano — in frammenti di gesti,
di sguardi, di discorsi — i primi segni del nuovo rapporto fra Claudia e
Sandro (Nella foto, Monica Vitti e Gabriele Ferzetti).
9. l’avventura: un altro cscmpio di piano ravvicinato « alia Antonioni »:
ln figura è decentrata, proiettata contro il cielo e «bilanciata» dalle
strutture architettoniche, sul fondo a sinistra.

10. l’avventura: 1’episodio di Noto.


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11-12.l’avventura: due immagini dcl íinalc, con il «rito» dcl perdono.

1
13*14. la notte (1961): in questo film Antonioni acccntua ancora 1’incidcnza
dclPambiente sul comportamento dei personaggi (Nelle foto, Janne Moreau).
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15. la notte: il primo incontro di Lidia e Valcntina (Nella foto, Jeanne
Moreau e Monica Vitti).

'

16. la not*i S: la breve «fuga» in macchina con lo sconosciuto, sotto


la pioggia.
17. la notte: un momento di « dialogo spaziale » fra Giovanni e Valentina
(Nella foto, Monica Vitti e Marcello Mastroianni).

18. la notte: Valentina è rimasta sola.


19-20. la notte: ii finale ncl parco.
21. l/eclisse: (1962): Vittoria contro il paesaggio « frcddo» delPEUR
(Nclla foto, Monica Vitti).

22. l’eclisse: la protagonista, in uno dei momenti del suo «dialogo


sensoriale» con gli oggctti.
23. l’fxlisse: unMmmagine delia Borsa.

24. l’eclisse: la prima passcggiata di Vittoria c Piero (Nella foto,


Monica Vitti c Alain Delon).

'
\

25-29. l’eclisse: il mondo disgregato, svuotato di senso, nel finale dcl


film.
30. deserto rosso (1964): la gita a Medicina di Giuliana c Corrado; sul
fondo la sagoma nerofumo delia casa, una dclle « presenze inquietanti »
che attcrriscono la protagonista. (Nella foto, Monica Vitti e Richard Harris).
31. deserto rosso: una proiczione fisiognomica delia « nevrosi» di
Giuliana.

32. blow-up (1966): lo studio del fotografo: una straordinaria invenzione


plastica (Nella foto, di spalle, David Hemmings).

.
33. BLOW-UP: la quiete « estetica » del parco, prima del delitto.
è naturale che sia, di precise esperienze culturali, e particolar-
mente del ripensamento e delia reinterpretazione del problema
dello specifico filmico cosi come è stato formulato da Luigi
Chiarini.
Leggiamo in «Arte e técnica del film»: «Nella storia
del cinema noi possiamo rintracciare questo filone (quello del
w puro film ”) anche se non sempre nella sua assoluta purez-
za: dalle prime riprese che costituiscono un mero fatto di ri-
produzione, ma che fanno avvertire quale forza emotiva può
avere la realtà vista come in uno specchio, distaccata, a
quelle maggiormente elaborate, quando si comincia a com-
prendere che la " camera ” non riproduce passivamente, ma
guarda con Pocchio stesso di chi la usa (inquadratura) e che
la scelta degli elementi su cui far cadere Pattenzione, singola
durata degli sguardi e la loro successione (montaggio) danno
la possibilita di esprimere dei modi di guardare ».
E* in questa breve e apparentemente semplice, quasi inci-
dentale definizione delPattività filmica che Chiarini ha raggiun-
to forse il momento piu originale e piíi profondo delia sua
riflessione teórica, in virtu del suo concreto, empírico, nel sen­
so migliore del termine, quasi innato senso di quella che è la
sostanza del film. O, almeno, è questo il momento che è stato
per me piu stimolante.
Generalmente questa definizione viene presa come una pu­
ra e quasi scontata ripetizione delia teoria dello specifico, cosi
come è stata formulata dalla cultura cinematográfica da Arnheim
e dai teorici seguaci del Croce, o presunti tali, tendenti ad af-
fermare il carattere di diversificazione delPimmagine filmica ri-
spetto alia « immagine reale ». In secondo luogo, per il conte­
sto nel quale si trova, viene posta in relazione alia distinzione
proposta da Chiarini7 e assai discussa fino a qualche anno fa,
di due filoni fondamentali nei quali si svolgerebbe la storia del
cinema, quello del « puro film », esclusivamente fondato sui
valori fotografici delPimmagine filmica, e quello dello « spetta-
colo », caratterizzato dalla presenza di un materiale non « ver-
gine » ma manipolato, dove i mezzi espressivi del film verrebbe-
ro utilizzati in funzione delia fissazione di valori figurativi, o
letterari, o teatrali, dunque piegato ad una funzione non autono­
mamente cspressiva, ma strumentale. AlPinterno di questo di-
scorso, il passo riportato svolgerebbe la funzione di giustifica-
zione teórica o, per qualcun altro, di giustificazione del « gusto »
del Chiarini critico e spettatore. Insomma svolgerebbe il com-

139
. «srfiiSãKSSS
pito

del critico oltre che


rebbe a defimre un can
una generalissima deter-
g de[ giudizio dello spettatore.
i

1
•“sssu* t'Ps &v:d‘dapr
fita ePpettacolo dalfal^ ma
punre c°tariS“°il' pi^ptotndo^áaíõ””! "quell. distinzione,
come ’ho cercato di dimostrare in altra sede, e, soprattutto,
introduce degli elementi di fondamentale importanza, che pos-
sono permettere una corretta e criticamente profigua riformula-
zione del concetto di specifico ftlmico, elimtnandone gli equt-
voei ed i limiti metodologici e teorici. .
Quali sono i caratteri per i quali la definizione di Chia-
rini produce questo progresso nella riflessione teórica sul
film? Vediamoli sinteticamente.
Innanzi tutto, se 1’unica definizione generale deirattività
filmica possibile, cioè tale da non sconfinare nella poética o
nella storia delle forme o dei generi, è quella che indica le
condizioni minime o i caratteri ineliminabili, quelli per i quali
un film è un film ( e abbiamo già chiarito che stiamo parlan­
do del film di ripresa, escludendo dalla, nostra considerazione
ogni altra possibile utilizzazione dell’apparecchiatura cinema­
tográfica e delia pellicola), dunque la qualità costante del ma-
teriale c le funzioni attraverso le quali esso è suscettibile di
ricevcrc una qualche organizzazione, mi pare che la definizione
proposta da Chiarini sia, in questo senso, esemplarmente cor­
retta. h lo è nel momento in cui, assai semplicemente ma in
jnor o pienamente esauriente, indica come materiale del film
/ «rc«i ta >>, considerata nella sua riproducibilità in termini
íotogemco-dinamici, cioè nel suo aspetto suscettibile di essere
organizzato dalla cí camcra» certo nei modi piíi diversi, che però
to in í;)n<r CSSCrc drcterminati a questo livello; e nel momen-
mativa ( onVr ! C°mC un,zione strutturante, come potenzialità for-
nella determinata la visione (lo « sguardo »,
di íjijcI inaicrilí,,ft;( * dc,la 5amera> cioè 1’organizzazione
fi!niiiiUayi()n C n. c|UlU ri c successione di quadri, dunque la ri-
'hVtjjja nitunrHi n,1^11 ° v ^mporale del visibile che può an-
Idle, luichr |U.| n]!H! pm. d*versh ma è anch’essa inelimina-
t<o ui-íju,.|,./a j ^ imite del film costruito in un unico pia-
1 ” purc lo stesso Empire di Warhol.
MO
Ora, questa definizione che presenta 1’immagine filmica
nei suoi termini costitutivi primari, cioè nella qualità dei suo
materiale, qualità fotogenico-dinamica, e delia sua forma, de-
scritta in termini di intervento su quel materiale (e non piu
semplicemente come complesso di caratteri differenzianti, che
fondava un’opposizione fra immagine reale e immagine filmi­
ca forse valida come asserzione polemica del carattere artísti­
co del film, ma del tutto irrilevante e improduttiva dal punto
di vista delia fondazione teórica delia forma specifica delTat-
tività filmica), questa definizione, dicevamo, presenta innanzi
tutto un notevole progresso rispetto alie teorie che generica­
mente affermavano la visività del film, cioè un fatto incon-
testabile ma, cosi formulato, irrilevante. Rappresenta un note­
vole progresso perchè questo carattere visuale viene indicato
come specifico non solo del materiale, ma anche delia forma
qualificata come processo di visione anche quando si attua
nella sua flessione « drammaturgica »: permette dunque di con-
cepire la qualità visiva deH’immagine filmica in termini proces-
suali, non come modo di essere ma come modo di formare,
riportando in questo modo la riflessione al livello delle piu
moderne concezioni dell’attività figurativa, che hanno le loro
radiei nel pensiero del Fiedler, e permettendo di superare il
dualismo di forma e contenuto, insuperabile da ogni posizione
critica che delia immagine abbia una concezione statica e non
processuale e dinamica.
In secondo luogo, va sottolineato il fatto che questa de­
finizione, prendendo come qualificazione positiva dell’imma-
gine filmica la qualità del materiale oggettuale o « realístico »
oltre che i caratteri che Arnheim chiamava «formativi», e
prospettando la relazione fra questi due termini come inter­
vento e organizzazione delia qualità del materiale, e non co­
me sua negazione o superamento, insomma come forma di re­
lazione fra due termini che si condizionano a vicenda, risolve
e ricompone 1’antinomia che tanti problemi e tante polemiche
ha suscitato nella storia delia cultura cinematográfica: basti
pensare alia polemica indiretta fra Arnheim e Kracauer, o, per ri-
salire piu indietro, alia esaltazione del piano, evidentemente
inteso come pura esibizione delia fotogenia del reale, che sa-
rebbe negata, impoverita, schematizzata dalla costruzione delia se-
quenza, come avviene nella teorizzazione di Lucien Séve . Po­
lemiche, queste, che derivano evidentemente dalPincapacità di
correlare in una definizione unitaria la qualità indefinita, mo­
bile, «aperta », magmatica del materiale, del visibile feno-

141
menico e Pintervento in qualche modo delimitante e selezionan-
te del processo di visione, del « montaggio» neiraccezione piu
generale del termine: incapacita che ha spinto qualcuno a rie-
sumare, in modo molto azzardato, mi pare, Popposizione fra
« arte apollinea» e « arte dionisiaca », nei termini in cui è
formulata dallo Spengler9.
Ma il suggerimento forse piu utile che può essere tratto
dal passo di Chiarini citato sopra, lontano probabilmente dalle
intenzioni deirautore ma non dalla sostanza oggettiva del suo
discorso, è la possibilita, che almeno a me è apparsa evidente,
di fondare su di esso e sulla sostanza specifica del proceseso
filmico che in esso è definita, quelle generali categorie forma-
tive, o forme delia visione, che si sono cercate di proporre in
queste pagine e che a mio parere sono indispensabili perche
il processo critico possa dipanarsi in modo unitário e concre­
to, cioè attento a cogliere Pindividualità di un autore non in
termini psicologici ma nella sua capacita di produrre delle
forme concrete che sono valide e interessano tutti proprio per-
chè arricchiscono il campo di esperienza estetica, Puniverso
rappresentativo di ciascuno di noi, rivelandoci nuovi aspetti
delia realtà o nuovi modi di porsi in relazione con la realtà:
modi storici, s’intende, radicati nella storia e non in mitologi-
che forme eterne delia coscienza etica e delia conoscenza.
La possibilita di intendere nel discorso di Chiarini la
teorizzazione implícita di queste categorie, assolutamente ne-
cessarie, ripetiamo, alia critica per rendere intelligibile ed
esplicito il carattere costruttivo delPattività artística, risiede
nel contenuto che può essere assegnato a quella espressione
« modo di guardare », che può essere sl intesa come qualifi-
cazione ideologica-psicologica (la cosiddetta « visione del mon­
do »), oppure essere riferita alia individualità stilistica, ma può
anche legittimamente essere intesa come qualificazione strut-
turale, come determinazione di una piu generale potenzialità
formativa implícita nei caratteri delia visione filmica, che sta
a monte delia stessa individualità stilistica. Insomma, i diversi
« modi di guardare » a cui dà luogo la scelta e la successione
delle inquadrature, possono essere intesi come forme di assun-
zione del visibile strutturalmente diverse, forme di visione
opposte nel senso in cui sono opposte quelle che abbiamo
chiamate visione estraniata e visione aderente.
Comunque, per concludere, mi pare che in questa ride-
finizione dei caratteri specifici delPimmagine filmica non piu in

142
termini statici ed essenzialistici, ma processuali e genetici, la
nozione di specifico filmico ottenga un pieno risarcimento,
superi i limiti descrittivi e normativi per i quali era stata sot-
toposta giustamente a critica anche nelle sue applicazioni meno
grossolane ed incaute e possa proporsi realmente come fonda-
mento metodologico generale delia critica filmica, che è il
compito, come sottolineava il Croce e prima ancora il Baum-
garten, di ogni riflessione teórica sulle singole arti. Mi pare
insomma che possa permettere di ricomporre quel divorzio fra
teoria e critica che ha spesso, se non sempre, caratterizzato la
cultura cinematográfica.

NOTE AL CAPITOLO IV

1 Sara forse opportuno chiarire che rutilizzazione di questo come di


altri termini mutuati daila linguística è qui solo metafórica, senza preoc-
cupazioni di correttezza e di rigorosa rispondenza al loro senso originário.
E’ evidente che il significato che questi termini assumono ncl nostro
discorso va ricavato esclusivamente dal contesto.
2 Cfr. su questo punto R. Scholes e R. Kellog, La natura delia nar­
rativa, II Mulino, Bologna, 1971, p. 4 e, per quanto «guarda il Um,
pp. 357-359. Piú precisamente, sulla base delia listinzione anstoteUca, i
due studiosi americani sostengono che la presenza del punto di vista
delia camera, specificamente costitutiva del film, assimila quest ultimo a a
narrativa in quanto essa sarebbe 1’attualizzazione técnica delia « tunzione
narratore». Questa posizione, che ha il mérito indubbio di porre a
questione del rapporto fra cinema e narrativa sul terreno concreto ae e
funzioni strutturali, contrasta con un punto di vista diametralmente opposto
(il cinema non è assimilabile alia narrativa proprio perche in esso non si
ha la presenza del narratore) espressa, per esempio, da Luigi Chiarim, in
Arte e técnica del film, cit. Dallo sviluppo del discorso dovrebbe appanre
chiaro che, a mio parere, il film attualizza sia la forma narrativa che qucila
drammatica che altre ancora, che escono dalPambito delle forme di o g •
nizzazione delTazione. ,. ,
SuU’oscillazione del cinema fra forma drammatica «chiusa » e torma
narrativa o romanzesca « aperta », si veda anche Jean Mitry, op. cit., vol.
II, passim.
3 Borde e Bouissy, op. cit:, p. 13. . _ . . „ ío_-
^ L. Chiarini, Cinema e film. Storia e problemt, Bulzom, Roma, 1972
pp. 129-13. Ma si veda anche 1’intervento dello stesso in Le tdee e il
linguaggio di Antonioni, dibattito sulYEclisse, tenuto su «II contempo­
râneo », giugno 1962, n. 49, pp. 17-35.
5 J. Mitry, op. cit., vol. II, p. 237. . . .
6 G. C. Argan, intervento nel dibattito su Antonioni, in « Filmsele-
zione », marzo-aprile 1962, n. 10, p. 20. . . .
i La definitiva formulazione di questo conceito che Chiarini e venuto
elaborando nel dopoguerra sta in Arte e técnica del film cit.
8 Si veda a questo proposito S. Krakauer, Il film, cit., pp. 276.
9 Mitry, per esempio, serabra acccttare ed applicare ai singoli autori
questa distinzione.

143
U processo di graduale approssimazione al núcleo centrale
0 alia matrice profonda dello stile-Antonioni si è dunque conclu­
so con Paffermazione che il momento strutturalmente unificante,
quello capace di correlare positivamente i vari strati e le varie
fasi costitutive delPoperazione filmica, poteva essere rintracciato
solo spostando il livello di indagine dalla determinazione delia
forma di organizzazione delTazione a quella delia forma di orga-
nizzazione delia visione, comprendente in sé la prima come
própria specificazione ma capace di dare ragione positiva di altre
1 cui caratteri solo a forza ed in modo estremamente riduttivo
possono essere compresi in quella. E, in base a questa riformula-
zione generale del problema, si è potuti giungere alia riedifini-
zione delia categoria delia visione estraniata convertita, da cate­
goria meramente psicológica come era nella critica, sia pure con
formulazioni diverse, a categoria strutturale, a generale forma
strutturale del cinema di Antonioni. Ciò implica che il complesso
di immagini che costituiscono ogni film di Antonioni deve essere
inteso non come sequenza figurale-discorsivo-diegetica, ma come
processo di visione (soggettiva) in svolgimento o in fieri, proie-
zione costruttiva di una forma artística dell’« attenzione » di cui
il materiale costitutivo del fatto filmico, cioè il momento astratta-
mente « drammatico » e il « materiale plástico », devono inten-
dersi come Yoggetto, cosi come i termini tecnici delia operazione
filmica, il piano, la sequenza, 1’organizzazione delle sequenze,
devono essere intesi come i modi di attuazione concreta di quella
stessa forma di visione.
Sulla base di questa categoria, che, per essere strutturale,
si colloca alPincrocio fra 1’individualità delPopera e la sua oggetti-
vità linguística, sarebbe possibile tentare di tracciare in modi
meno generici e precari di quelli usuali le relazioni fra il lin-
guaggio individuale di Antonioni e le forme storiche del linguag-
gio cinematográfico, anzi di portare un contributo alia loro defi-
nizione e di mostrare in quale modo, a sua volta, il cinema di
Antonioni sia un contributo alia loro costituzione.
Ma non può sfuggire, e del resto si è già avvertito, che la
prospettiva di indagine qui avanzata è ancora troppo teoricamente
precaria, non suíficientemente scavata e motivata perche sulla

147
base di essa si possa davvero tentare un discorso dell’impegno di
quello prospettato qui sopra. E sarà bene allora ritornare alia
forma prudentemente ipotetica che è opportuno impronti tutto
questo discorso, abbandonando i termini troppo decisi e peren-
tori con i quali si è cercato di attribuire un fondamento ed una
valenza anche teórica e metódica alie categorie formali proposte,
per tornare a misurare Ia loro validità, anche parziale, nella capa­
cita di definire in forma piú articolata certi aspetti deli'opera di
Antonioni che generalmente vengono trascurati o prospettati in
termini assai poco articolati, e, dunque, nella capacita di mo-
strare, sia pure indirettamente, la parzialità, la inesaustività delle
categorie analitiche e valutative generalmente utilizzate e delle
quali abbiamo visto qualche campione, sia pure frettolosamente.

II núcleo originário delia visione di Antonioni


e le sue componenti interne
Ora fra gli aspetti che la prospettiva da noi àssunta ha
messo in luce e che rientrano fra quelli generalmente trascurati
ce n’è uno che, invece, a mio parere, rappresenta il núcleo cen-
trale delia personalità artistica di Antonioni, quello dal quale
occorre partire per intendere appieno il carattere e la dinamica
interna dello stile nel quale si concreta. E’ su questo dunque che
punteremo la nostra attenzione in questa ultima parte del nostro
discorso che ad esso, appunto, sarà dedicata. E se la scelta di
questa prospettiva potesse sembrare troppo limitativa, si può
ricordare che sin dall’inizio questo studio non intendeva porsi
come ricsame di « tutti » gli aspetti dell’opera di Antonioni e,
in particolare, che escludeva dalla própria considerazione, se non
in forma di riferimento episodico, 1’analisi minuziosa dei « con-
tenuti » narrativi e drammatici e la loro evoluzione. E si può
ricordare, d’altra parte, che esso non ha la pretesa di risolvere
definitivamente il problema delia collocazione ideologico-culturale
delPopera di Antonioni, ma di cercare di giungere ad una piu
esatta definizione delia specificità delia sua sostanza formativa,
in modo di dare basi piii sicure e fondate alia stessa prospettiva
ideologico-culturale, tendente a stabilire che cosa rappresenti
storicamente la presenza di un'opera, di un modo di formare come
quello di Antonioni.

« Un regista è un uomo come tutti gli altri. Eppure la sua


vita non è normale. Vedere per noi è una necessita. Anche per
un pittore il problema è vedere. Ma mentre per il pittore si
tratta di scoprire una realta statica, o anche un ritmo, se voglia-

148
mo, ma un ritmo che si c fermato nel segno, per il regista il
problema è cogliere una realtà che si matura e si consuma, e
proporre questo movimento, questo arrivare e proseguire, come
nuova perceziotie. Non è suono: parola, rumore, musica. Non è
immagine: paesaggio, atteggiamento, gesto. Ma un tutto indecom-
ponibile, steso in una sua durata che lo penetra e ne determina
Pessenza stessa. Ecco che entra in giuoco la dimensione tempo,
nella sua concezione piú moderna. E’ in questo ordine di intui-
zioni che il cinema può conquistare una nuova fisionomia, non
piíi soltanto figurativa. Le persone che avviciniamo, i fatti cui
assistiamo, sono i rapporti spaziali e temporali di tutte queste
cose fra loro ad avere un senso oggi per noi, è la tensione che
fra loro si forma. Questo è, credo, un modo particolare di essere
a contatto con la realtà. Ed è anche una particolare realtà. Per-
dere questo contatto, nel senso di perdcrc questo modo, può
significare la sterilità. Ecco perche è importante, piu per un
regista che per gli altri artisti, proprio per questa complessa ma­
téria che ha tra le mani, essere impegnato in qualche modo
eticamente »
Questo scritto di Antonioni, pubblicato nella « Stampa » e
su « Cinema nuovo » nel 1963, dunque fra VEclisse e Deserto
rosso, è, fra le dichiarazioni di poética del regista, certamente
quella che piu di tutte ci può essere utile come termine di rife-
rimento per il nostro discorso, tenuto conto delia prospettiva
entro cui esso si sta movendo. Non si tratta, certo, di valutarne
oltre misura Pimportanza teórica, che pure esiste, né di assu-
merlo come spiegazione « a priori » delPopera da parte delPau-
tore, ma, piuttosto, di verificare come i termini costitutivi delia
visione di Antonioni, cosi come sono stati da noi ipotizzati, siano
rintracciabili anche a livcllo delle convinzioni esplicite del-
Pautore.
Considerato in questo modo, certo in parte tendenziosa-
mente, mi pare che questo scritto non solo confermi una premi-
nenza del momento « visivo » sul momento delPorganizzazione
drammatica delia realtà, che sarebbe un dato troppo generico,
ma dia anche delle conferme precise sulla verosimiglianza delia
nostra ipotesi riguardo alie articolazioni interne delPideale pro­
cesso di formazione delPimmagine di Antonioni.
Vediamo.
Puntiamo, per il momento, la nostra attenzione sulle prime
righe dello scritto riportato, là dove Pautore parla delPattività
del regista in termini di « nuova percezione ». Questo termine,
come il contesto nel quale è collocato, ci riporta súbito alia
mente quanto è già stato detto a proposito delia presenza, nel

149
cinema di Antonioni, di una componente che è il risultato del-
Pattuazione in immagine filmica di un’estrema percettivita visiva
(e anche auditiva), tendente a captare il fenomeno in termini di
spazialità e durata e a riproporlo come presenza assoluta: è quel
momento sorgivo, primordiale delia relazione dello « sguardo » di
Antonioni con il mondo, quella sorta di attenzione impressioni-
stica al reale come fotogenia, che complessivamente potremmo
definire come momento puramente estetico delia visione di
Antonioni.
Questo momento sorgivo, questa forma di relazione imme-
diata con la realtà, oltre ad essere profondamente radicata nella
forma di comportamento psichico di Antonioni, come è possi-
bile verificare in base ad innumerevoli testimonianze, è, ed è
ciò che conta, una costante dei film del regista, un modo di
essere invariabile delia sua immagine, la cui « lettura » non può
prescindere dalla considerazione e dalla valutazione, dalla messa
in bilancio di questa sua estrema acutezza e pregnanza senso-
riale. Ciò che si modifica, lo vedremo, è il ruolo che questo
aspetto svolge nel complesso delPoperazione filmica, ma la sua
presenza è innegabile e coincide poi con quella forma delia
« sospensione contemplativa », come 1’abbiamo chiamata quando
si è dovuto indicarne il carattere di non-funzionalità rispetto alie
esigenze costruttive (sia a livello delPunità che delia struttura
globale del film) del processo di figurazione drammatica.
Ecco dunque che il riconoscimento di questo momento
«estetico» del processo di costruzione delPimmagine di An­
tonioni, permette di riconvertire in qualificazioni positive quei
modi costruttivi prima colti solo nel loro carattere di « diver-
sità» o di oppositività, i « tempi morti », tanto per fare un
esempio, che, cosi considerati, non sono aífatto « morti », né
hanno la mera funzione di destrutturazione drammatica, di nega-
zlone delia costruttività selettivo-compositiva; oppure la stessa
técnica delPindugio, delia dilatazione temporale del piano; o,
infine, quel costruire le sequenze, tipico soprattutto del primo
Antonioni, in modo da concluderle e risolverle in immagini asso-
lutamente (nel senso letterale del termine) fotogeniche. Oppure,
per restare ancora legati a riferimenti che siano concretamente e
direttamente verificabili, questo riconoscimento può darei ragione
di una serie innumerevole di « episodi visivi » — citiamo alia
rinfusa: il semáforo de La notte, il tremito delle foglie di acacia
dúYEclisse, o 1’occhio del robot nel buio in Deserto rosso,
o i tre piani progressivamente ravvicinati sulla risacca nella se-
quenza delPisola nello stesso film — che, al di là delia funzione
che svolgono rispetto ai personaggi, sono presentati come veri

150
e propri « dati immediati delia coscienza », se è lecito questo
riferimento, del resto forse non del tutto latitudinario, alia
terminologia di Bergson.
Ma il punto importante non è questo riconoscimento, questa
individuazione delia componente «estetica» di Antonioni, di
questa tendenza costante alia restituzione delia pregnanza senso-
riale del proprio materiale visivo e sonoro: il problema reale è
quello delia definizione del peso e del posto che questo atteggia-
mento occupa nel complesso del processo di visione. Anzi, questo
problema coincide con quello delia definizione del núcleo originário
di questo processo, delia radice delle sue articolazioni interne e
delia sua forma specifica.
Considerato in astratto, nei suoi termini piíi generali o piu
generici, il problema si pone come individuazione delia relazione
che la qualità ottica deirimmagine di Antonioni assume nei con-
fronti dello strato d'invenzione, del soggetto narrativo insomma,
presente nei suoi film, e delia sua eventuale incidenza sul senso
di questo.
QuaPè Ia posizione piu corrente delia critica a questo pro-
posito? O quali sono le risposte, implicite od esplicite, che
vengono date a questa domanda?
Due, sostanzialmente, come abbiamo già detto: una. spiega-
zione di tipo formalistico-calligrafico ed una spiegazione di tipo
« dualistico ». La prima considera sostanzialmente questa compo­
nente un aspetto esterno, non suscettibile di problematizzazione,
non cogliendone il carattere di momento di posizione di un modo
di relazione col mondo, ma considerandola semplicemente in ter­
mini di nitore, di lucentezza di scrittura, o di estrema aggiunta
decorativa o calligrafica, tanto piu accentuata quanto piu deboli
si andrebbero facendo le istanze espressive di Antonioni e piu pre­
cário ed esangue il senso delia sua opera: e non manca chi vede
appunto Pevoluzione dello stile di Antonioni in termini di progres­
sivo svuotamento di significato nella direzione di un assoluto calli-
grafismo fotográfico, oppure, ed è in fondo Ia stessa cosa, come
approdo manieristico, auto-mimetico. Una variante notevolmente
piu complessa di questo modo di considerare Pattenzione alie
qualità sensibili del materiale che Antonioni riversa nelle sue
immagini ed i modi « tecnici » ai quali questa operazione dà
luogo, è la posizione espressa da Pasolini, alPinterno del suo
discorso piu generale tendente a rintracciare una forma del
cinema di prosa e una forma del cinema di poesia, che non è
il caso di discutere qui, posizione che vede Pevoluzione del
cinema di Antonioni verso il « formalismo assoluto » di De­
serto rosso come un positivo processo di liberazione delia

151
dimensione piu autentica di Antonioni, quella contemplativa ed
estetizzante, dalle ambiguità e dalFincertezza espressiva che lo
stesso Pasolini rintracciava in opere come La notte e L’Eclisse,
derivanti dalla compresenza di « due contenuti: uno formali-
stico (cioè la stessa forma come contenuto) e uno pretestuale
(i problemi delia società moderna a un livello avanzato) estranei
uno alTaltro »: dove il primo finirebbe con 1'essere « un sotto-
prodotto provinciale delia cultura francese » e il secondo « so-
stanzialmente dilettantesco »2.
Queste ultime osservazioni di Pasolini, ci riconducono alia
seconda posizione riguardo alia presenza del momento «esté­
tico » nel cinema di Antonioni, quella che, appunto, pone
questo momento come alternativo, isolato e contraddittorio
(anche se magari piu profondamente indicativo delia reale
personalità del regista) rispetto alia intenzionalità analitico-
romanzesca, da qualcuno presa per buona, da qualche altro
respinta come fondata sopra una « psicologia pressappoco » e
sopra un’incapacità di cogliere e rappresentare in modo non
superficiale e dilettantesco le radiei dei fenomeni sociali messi
in campo.
Ora, di fronte a queste ipotesi che sostanzialmente si
fondano sopra una concezione per cosi dire « monodimensio-
nale», inarticolata del vedere e riescono a scorgere sviluppo,
articolazione, dinamica solo nella organizzazione di sequenze
narrative, penso ne possa essere formulata una del tutto oppo-
sta, che non soltanto riesca a cogliere positivamente questo
aspetto del cinema di Antonioni come momento o forma di
rapporto col mondo, ma sappia anche individuame le potenzia-
lità di sviluppo sia in senso verticale, nel processo di generazione
delPimmagine e delle sue varie articolazioni strutturali, che in
senso orizzontale, nella costruzione delia «successione » delle
immagini in íilm, che, infine, in senso diacronico, nello svol-
gimento e nelle modificazioni che 1'opera di Antonioni presenta
di film in film.
Quando, nel capitolo precedente, si è fatto cenno a questa
componente del cinema di Antonioni, si è parlato di una
bipolarità delia visione-attenzione di Antonioni: è tempo, ora,
di uscire dalla genericità con la quale quel termine era stato
proposto e di specificare il contenuto preciso che gli si voleva
attribuire. In sintesi, con esso si voleva indicare Foscillazione,
o 1 apparente oscillazione, fra la tendenza a rappresentare la
sensorialità immediata dei fenomeni e la volontà di captare il
senso di cui sono portatori. A questo punto, credo che questo
carattere debba e possa essere chiarito assai meglio che in ter-

152
mini di mera alternativa od oscillazione. A mio parere, non
c*è dubbio che la forma piu immediata, primordiale di rap-
porto con la realtà che Antonioni pone, ferma, amplifica e
rappresenta nei suoi film, sia questa forma di rapporto «im-
pressionistico», come Fabbiamo chiamato per comodità, ma
c’è anche da dire che questo stato puramente « estetico », que­
sta pura intuizione del fenomeno, non si esaurisce in se stessa
ma è solo il momento iniziale di una sorta di operazione inter­
rogativa che Antonioni compie sulla realtà, o sulla própria
esperienza delia realtà, in un processo che dalla rappresenta-
zione del dato immediato risale alia ricerca di un senso. Insom-
ma, Fimmagine di Antonioni è dotata di uno spessore proces-
suale di cui i due poli dei quali si parlava rappresentano in realtà
il momento iniziale e finale, entrambi presenti, entrambi at-
tuali, entrambi concretamente e direttamente rappresentati. In
questo senso è giusto dire che, già in questo momento nuclea-
re, la visione di Antonioni è processuale ed è autorappre-
sentativa. Ma è soprattutto necessário dire che essa è proble­
mática, perche non rappresenta un’operazione conoscitiva, ma
piuttosto una tensione conoscitiva: rappresenta lo sforzo che
una sensibilità portata ad amplificare cd a fermare Pimpres-
sione immediata, assoluta, compie per affiorare al mondo del
senso, alia storia. Ed una conferma indiretta di ciò mi pare
si trovi nelle parole stesse di Antonioni, quando, con apparente
mancanza di correlazione lógica, condiziona la possibilità delia
« nuova percczione » con la presenza di un impegno etico nel
regista.
In realtà la consapevolezza dei caratteri del proprio fare
filmico che Antonioni manifesta in questo scritto è ancora
maggiore, se poniamo mente a quanto afferma nella seconda
parte e alie deduzioni e conferme che se ne possono trarre:
«II cielo è bianco. II lungomare deserto. II mare vuoto e
senza calore. Gli alberghi semichiusi e bianchi. Su una delle
sedie bianche delia Promenade des Anglais a Nizza è seduto
il bagnino, un negro con la maglietta bianca. II sole fatica a
uscire dal leggero strato di nebbia, la solita di tutti i giorni.
Non c’è nessuno sulla spiaggia, tranne un bagnante che fa il
morto a pochi passi dalla riva. Non si sente che il rumore del
mare, non si nota che il dondolio di quel corpo. II bagnino
scende sulla spiaggia ed entra nello stabilimento. Una ragazza
ne esce e si dirige verso il mare. Ha un costume color pelle.
L’urlo è breve, secco, pungente. Basta guardarlo, il bagnante,
per capire che è morto. II viso pallido, la bocca piena di bava,
le mascelle rigide come dopo un morso, i radi capelli incollati

153
alia fronte, gli occhi sbarrati, non nella fissità delia morte ma
in un mesto ricordo di vita. II corpo è steso sulla sabbia con
la pancia alTaria, le punte dei piedi divaricate. In pochi mi-
nuti, mentre il bagnino tenta la respirazione artificiale, la
spiaggia si riempie di gente. Un bambino di dieci anni, spin-
gendo avanti una bambina di otto, si fa largo a gomitate per
vedere. « Guarda — dice alia bimba — ci vedi? » « Si » dice
lei pianíssimo. « Vedi la bava sulla bocca? » « Si » « Vedi la
pancia gonfia? La vedi? È piena di acqua ». La bimba guarda
come affascinata, in silenzio. II bambino continua, con una
specie di gioia sadica. « Adesso è ancora bianco, ma tra poco
diventerà blu. Guarda sotto gli occhi, comincia, vedi? » La bam­
bina accenna di sl continuando a tacere, la sua faceia dimostra
chiaramente che la nausea si fa già sentire. II bambino se ne
accorge e diventa raggiante. «Hai paura? » «No » risponde
con un filo di voce la bimba. « Si che hai paura » insiste Paltro
e continua come canticchiando: «Hai paura!...» Dopo una
decina di minuti arriva la polizia, la spiaggia è sgombrata. II
bagnino è il solo a rimanere coi poliziotti. Poi anche lui se ne
va, chiamato da una signora col ciuffo viola per la consueta
lezione di ginnastica (...). Supponiamo di dover scenaggiare
un pezzo di film sulla base di questo avvenimento, di questo
stato d’animo. Per prima cosa io proverei a togliere dalla
scena il « fatto » e lasciare soltanto 1’immagine descritta nelle
prime quattro righe. In quel lungomare cosi bianco, in quella
figura solitaria, in quel silenzio, c’è secondo me una forza straor-
dinaria. II fatto, qui, non aggiunge nulla, è di piíi. Ricordo be-
nissimo che mi distrassi quando accadde. II morto funzionò da
diversivo ad uno stato di tensione. Ma il morto vero, il ma-
lessere, Pangoscia, la nausea, il letargo di tutti i sentimenti
e desideri legittimi, la paura, la rabbia, io li provai quando,
uscito dal Negresco, mi trovai in quel bianco, quel niente che
prendeva forma intorno a un punto nero ».
Ho voluto dilungarmi a riportare quasi per intero questo
passo, perché mi pare che qui Antonioni riesca a darei una
sorta di avvincente « racconto» del processo di formulazione
delTimmagine che è caratteristico del suo cinema, dal suo
primo costituirsi come «impressione» assoluta, come rappre-
sentazione di uno stato puramente soggettivo delia coscienza
fino alia attribuzione di un senso alPimpressione stessa che in
qualche modo si oggettiva in una sorta di analogia misteriosa,,
non motivata eppure pienamente rappresentativa, agli occhi del-
Pautore, del senso profondo delia situazione, di una situazione.
Dunque, la relazione che Antonioni instaura con il visi-

154
bile, con il fenomenico, soprattutto con certi suoi momenti
almeno apparentemente inerti, sospesi (è chiaro, in realtà, che
questo senso di inerzia, di sospensione è il prodotto stesso
deiramplificazione che Antonioni impone al fenomeno, dunque
delia sua dilatazione temporale) si conclude nella assunzione
del momento fenomenico come analogia: ed in questo senso
può non sembrare del tutto incongruo il riferimento all,« epi­
fania » joyceana e anche ad un certo De Chirico. Ma un punto
sul quale bisogna insistere — perché è decisivo, a mio parere,
per la esatta comprensione delia natura reale delToperazione
che Antonioni attua nei suoi film e dunque, anche, per la sua
precisa collocazione ideologico-culturale — è che questo cam-
mino dell’impressione immediata alPanalogia non è un ante-
cedente ideale delTimmagine conclusa, ma è un processo che è
attuale nel film, un processo che va percepito («sentito»
direbbe forse Antonioni) e coito come costitutivo delTimma-
gine cosi come appare formulata sullo schermo, che comprende
attualmente in sé entrambi i momenti, quello «impressioni-
stico » e quello « analogico », e che va intesa dunque, insistia-
mo ancora, nella sua natura processuale. Insomma, ed ecco che
acquista una prima forma di concretezza la nozione di « visio­
ne estraniata » nei termini e nel senso in cui Tabbiamo pro­
posta, Vimmagine di Antonioni non e il prodotto di un pro­
cesso espressivo, ma la rappresentazione di questo processo. In
questo senso, ma solo in questo, può essere lecita una ricon-
duzione del cinema di Antonioni nella categoria delT« opera
aperta ».
Questo spessore processuale delTimmagine di Antonioni,
comprensivo sia di un momento « estetico »-soggettivo che di
un momento analogico, permette di chiarire il suo carattere di
diversità rispetto a forme di rappresentazione con le quali po-
trebbe essere confuso. Innanzi tutto, viene ad essere súbito
marcata la differenziazione rispetto ai procedimenti di simbo-
lizzazione delToggetto e del paesaggio, dell’Um-Welt, che sono
tipici delia coppia Mayer-Murnau e ai quali Antonioni potrebbe
essere facilmente assimilato anche per una certa somiglianza
delle tecniche di ripresa, basate sui «tempi lunghi» e la
camera mobile. In realtà una simile assimilazione delTimmagine
di Antonioni a quel tipo di simbolizzazione deiroggetto — e,
per estensione, alia Weltanschauung delia quale è portatrice —,
assimilazione che è una sottorranea e ricorrente, anche se spes-
so inconscia, tentazione delia critica, implica una riduzione
delTimmagine al solo momento analogico che è lecita per
Mayer e Murnau, in cui il gioco delia camera si pone come

155
diretta costituzione delVoggetto come símbolo, ma non per
Antonioni. Ora, questo svuotamento deH’immagine di Anto-
nioni del suo carattere processuale, oltre che produrre una
sostanziale incomprensione dei termini reali di questo cinema,
rischia di condurre ad una incomprensione dell’ideologia delia
quale è portatrice la visione di Antonioni, interrogativa, pro­
blemática, «laica» anche nella struttura espressiva oltre che
nel retroterra intenzionale, e ad una sua riduzione alia Weltan-
schauung sostanzialmente metafísica che caratterizza Mayer so-
prattutto, piu che Murnau, e gli autori che a quel tipo di espe-
rienza e di costruzione formale si riallacciano.
Per contro, il medesimo errore riduttivo, di compressione
delTimmagine di Antonioni ad uno solo dei suoi momenti co-
stitutivi, quello iniziale questa volta, si compie quando la si
riduce a puro esercizio percettivo che dà luogo alia formula-
zione del materiale filmico come oggetto sospeso, assolutamente
concluso in se stesso, assimilandola senza residui alie diverse
manifestazioni delTarte «oggettualistica» contemporânea ed
eliminando dalla considerazione quella tensione etica e cono-
scitiva che, concretandosi nella attuale realtà del film, impedisce
di considerare la sostanza del cinema di Antonioni come rap-
presentazione dello schiacciamento delia coscienza a pura per-
cettività, a disarmata passività, a resa senza condizioni alia
disumanizzazione del mondo.
II primo risultato del lavoro di specificazione dei caratteri
individuali che assume in Antonioni la generale forma strut-
turale delia visione estraniatâ è dunque, sintetizzando, Pindi-
viduazione di una situazione di processualità attuale che si
svolge da un núcleo o da uno stadio originário coincidente
con un rapporto puramente estetico con il visibile e tendente
alia attribuzione ad esso di una qualità analógica, che permette
ad Antonioni di convertire in interrogazione sul senso delia
realtà la sua «istintiva», acutissima sensibilità ottica e le
«immagini sospese» a cui concretamente questa dà luogo:
situazione questa, che è la condizione originaria delia sua ope­
ra, la forma prima e costante di attuazione dei termini nei
quali si svolge il suo discorso filmico.

Caratteri e funzione del momento di invenzione


II problema che si pone allora a questo punto è quello
di determinare in quale modo si attui concretamente, nella feno-
menicità delPoperazione filmica, nella successione dei piani e
delle sequenze, questa processualità, meglio, questo tipo di
processualità, questo sforzo di superare Yaistbesis nella ricerca

156
del «senso». Ed è esattamente a questo punto che il pro­
blema delia determinazione delia relazione che Antonioni pone
con il visibile si salda con quello delia determinazione del peso
che il momento d’« invenzione», il soggetto insomma, nel
senso piu técnico del termine, assume neireconomia di questa
operazione, delia incidenza di questo elemento nel processo
delia sua costituzione, e, per converso, dei caratteri che nello
strato d’invenzione produce la sua dipendenza o almeno la
sua correlazione con quella forma puramente estetica di rela­
zione con il fenomenico che dalle necessita dell’invenzione pre­
scinde. Bisogna considerare, inoltre, se ci spostiamo per un
momento al livello del processo concreto di realizzazione del
film, delle fasi « cronologiche » delia sua costituzione cioè, che
proprio questa fase di saldatura fra quelle che, astrattamente,
possiamo chiamare la componente « visualistica » e la compo­
nente « narrativa », è la fase piu delicata (e se ne è reso conto
lo stesso Antonioni nello scritto, citato, sulla sceneggiatura)
di tutta Poperazione, il momento critico dal quale si producono
i punti stanchi, o banali, o irrisolti che sono tanto frequenti
nei film di questo regista, in maggiore o minore misura.
Ma lasciamo, per il momento almeno, questo piano stret-
tamente valutativo del discorso e torniamo al problema ini-
ziale, che è del resto condizionante anche per una esatta fonda-
zione del momento valutativo del procedimento critico.
II primo punto che dobbiamo aífrontare è dunque quello
di individuare quale sia la funzione assunta dal momentc
d’« invenzione» nel processo descritto, di determinare nelk
concretezza dello svolgimento filmico la processualità e la pro-
blematicità costitutiva del fare di Antonioni.
È chiaro che una simile questione ne implica in realtà
due: la prima concernente la funzione generale e costante svolta
dal momento d’invenzione e i caratteri strutturali che ne deri-
vano, la seconda concernente invece i diversi modi di attua-
zione di questa funzione quali si sono manifestati nella singo-
larità delle opere o dei periodi nei quali può essere eventual­
mente scandito il percorso di Antonioni.
Fermiamoci allora al primo aspetto delia questione, che
coincide poi col chiedersi in quale modo possa convertirsi in
articolazione delia forma delVattenxione il momento d’inven-
zione che pure astrattamente esiste, perche Antonioni pensa
dei soggetti, costruisce dei personaggi, passa insomma attra-
verso la fase técnica delia elaborazione « narrativa » del film.
A mio parere, il momento d’invenzione svolge la funzione
di condizione strutturale per la quale è reso possibile Pattua-

157
zione del processo nel quale Poriginaria attenzione percettiva
o estetica, che formula Pimmagine come «impressione», si
flette in attenzione conoscitiva, che si pone di fronte alPim-
magine come a un oggetto reale, storico: costituisce, insomma,
Pindispensabile back-ground o il termine di riferimento sul
quale può fondarsi Pattribuzione di un valore analogico al-
Pimmediata immagine-espressione.
Ma, prima di specificare meglio questo concetto nel suo
carattere e nelle sue implicazioni, occorre ancora un chiari-
mento. Può darsi, anzi è probabile, che nel procedimento di
costruzione del film, considerato in modo esterno, nella sua
successione empirica, il momento delPinvenzione e delia messa
a punto del soggetto, delia « storia » rappresenti la fase ini-
ziale e anche quella quantitativamente preminente, cioè che il
cammino reale delia costituzione del film segua una via diversa
da quello che abbiamo detto essere la formulazione del pro­
cesso artístico. Anche se cosi fosse — ma non bisogna dimen-
ticare, a questo proposito, la testimonianza di Antonioni per
la quale i suoi film nascono spesso da un « elemento esterno »,
né la pratica dei «sopraluoghi», delia « ricerca visiva» che
gli è costante — è chiaro che ciò sarebbe in ogni modo irri-
levante ai fini del nostro discorso, che prende di mira non la
« storia técnica » del film e neppure la sua genesi psicológica,
che pure può essere interessante ricostruire, ma i momenti
costruttivi del film realizzato, dunque la processualità interna
al film, che prende le mosse dalPattitudine piu costante ed
immediata di Antonioni nei confronti del reale, presente impli­
citamente in ogni fase técnica delia costruzione del film in
qualsiasi ordine essa si svolga.
Dunque, riprendendo le fila del discorso interrotto, ripe-
tiamo che il momento d’invenzione o di finzione presente nel
cinema di Antonioni non è in realtà che un*articolazione, una
fase costitutiva delia forma delPattenzione, uno dei modi o
delle condizioni delia sua stessa possibilita di concreta attua-
zione, perche costituisce il modo concreto nel quale può realiz-
zarsi e svolgersi nella tcmporalità dei film quella problematiz-
zazione e quella messa in discussione delPoriginario momento
impressionistico. In che modo può accadere questo? Soffer-
miamoci ancora sulla considerazione dei termini generali del
processo di visione di Antonioni. È chiaro che, se è vero che
questa processualità coincide con il suo originarsi da un mo­
mento puramente soggettivo-estetico, presente in modo espli-
cito,i strutturale, nelPattualità del film, e con lo svolgersi in
una tensione di superamento di questa forma di relazione asso-

158
lutamente soggettiva, tensione che coincide con Ia sostanza,
interrogativa abbiamo detto, del fare filraico di Antonioni e
con la struttura concreta, attuale delia visione filmica che gli
è specifica, tutto ciò, materialmente, non può awenire che at-
traverso Pintroduzione di un elemento costruttivo che valga a
mobilitare la faceia « reale », intersoggettiva, « storica » del fe-
nomenico, prima fermato e contemplato nel e per il suo puro
apparire. Si deve avere insomma Pintroduzione di un elemento
che valga a mobilitare l’immagine come « realtà », come espe-
rienza pratica. E questo elemento è appunto Pelemento nar­
rativo, owero Pintroduzione delPelemento azione, di un uni­
verso comportamentistico, con il complesso delle sue implica-
zioni sociali ed etiche in relazione alie quali il fenomeno si
presenta nella sua valenza reale e storica. Di qui nasce appunto
quella apparente oscillazione fra due modi radicalmente diversi
di attività artística, che in realtà non è tale, perché si tratta di
diversi momenti di un unico percorso creativo. Di qui, ancora
sempre in via gencrale, la compresenza non contraddittoria di
momenti nei quali la camera si pone di fronte al proprio
materiale in attitudine impressionistico-contemplativa e di altri
nei quali si flette in una funzione analítica, volta a scrutare
i fenomeni nella loro dimensione storica. Di qui, infine, il
continuo dibattito interno ai film di Antonioni fra attenzione
estetica e attenzione conoscitiva nei confronti del reale, dibat­
tito che, nei diversi modi nei quali si attua, cioè nelle varia-
bili relazioni che vengono poste fra i due momenti, coincide
con la sostanza, o il reale contenuto profondo del suo cinema,
e permette di intenderne la sostanza oltre che la struttura
problemática, che implica, in breve, che il senso del film non
debba essere ricercato nelPidentità dei fenomeni « interrogati »
ma nel modo, che è in sviluppo o in evoluzione di film in
film, di formulare Pinterrogazione, modo sul quale certo incide
anche la « qualità » degli oggetti, del materiale messo in cam­
po con i suoi «contenuti » specifici. Ma queste ultime consi-
derazioni implicano già il passaggio alia considerazione dello
svolgimento diacronico delia visione di Antonioni, mentre prima
è necessário chiarire ancora quali sono le condizioni per le
quali lo strato diegetico può svolgere la funzione che gli ab­
biamo attribuita. Oppure, se si vuole vedere la questione da
un altro punto di vista, quali siano le conseguenze strutturali
che una simile funzione produce sul momento d’invenzione.
Ora, schematicamente, possiamo sintetizzare queste condizioni
e questi caratteri nel termine di «forma documentaristica».
Perché, in realtà, nella sua natura piu profonda e piu rispon-

159
dente al complesso del processo filmico di cui è parte costi-
tutiva, il lavoro d’invenzione narrativa di Antonioni coincide
con una sorta di recupero di materiale esistenziale, degli og-
getti e degli accadimenti delia própria esperienza, che entrano
nel film a costituire quel momento « oggettivo » e pratico del-
Pesperienza, dalPurto col quale la pura sensibilità di Antonioni
si svolge in tensione conoscitiva ed etica.
Insomma, la fase d’invenzione precedente alia messa in
film vera e própria si concreta nella costituzione di uno « strato
documentário» coesistente, da un punto di vista puramente
descrittivo, con un momento « visibilistico », come potremmo
chiamarlo; e la natura documentaria del representé si ha sia a
livello di determinazione del suo contenuto che a livello delle
sue strutture formali, che sono tali da garantire, appunto, Pade-
renza deirelemento narrativo rispetto alia sua funzione di
momento di mobilitazione delia « realtà » alPinterno del pro­
cesso di visione, come suo polo di aggancio oggettivo. Ma è
chiaro che, a questo punto, prima di cercare di specificare
questo aspetto, occorre aprire una parentesi, piuttosto ampia
per Pimportanza « storica » del problema, concernente la rela-
zione di Antonioni con il movimento neorealistico, che il
semplice accenno alPintroduzione delia nozione di realtà e di
documentarismo evoca immediatamente e necessariamente.

Una parentesi: il problema delia relazione


tra Antonioni e il neorealismo

Naturalmente, il problema delia relazione di Antonioni


con il neorealismo, o delPincidenza delia « cultura neorealisti-
ca » su certi aspetti delPopera di Antonioni, anzi sopra uno
preciso, quello che abbiamo appena visto, si configura, innanzi
tutto, in termini di relazione storica. Da questo punto di vista,
i momenti nei quali si c costituito originariamente questo rap-
porto sono sostanzialmente tre e vanno individuati nella col-
laborazione alia rivista « Cinema », nei cortometraggi Gente del
Po, N.U. e PAmorosa menzogna, e nelle motivazioni delle scel-
te tematiche e stilistiche che, con Cronaca di un amore, hanno
portato Antonioni ad iniziare, nel 1950, il ciclo del cosiddetto
« neorealismo interiore ». In genere i primi due di questi mo­
menti vengono indicati come i segni delia iniziale adesione di
Antonioni al movimento neorealistico, mcntre il terzo ne rap-
presenterebbe il distacco. In realtà il problema è assai piu
complesso e spinge ad entrare nel vivo delia questione del

160
neorealismo, anche se a noi saranno forzatamente concessi solo
brevi e sintetici accenni.
È noto che Antonioni ha collaborato per qualche tempo,
negli anni dell’immediato anteguerra e nei primi anni di guerra,
alia rivista «Cinema», diretta, abbastanza «da lontano»
come ricorda Antonioni stcsso, da Vittorio Mussolini e gene­
ralmente considerata dagli storici del cinema italiano come
uno degli incunaboli, forse il piíi importante, del movimento
neorealistico. Sulle colonne di «Cinema» Luchino Visconti,
uno dei padri nobili del neorealismo, ha pubblicato quel suo
articolo « Cinema antropomorfico», considerato da molti il
manifesto ante litteram del nuovo cinema italiano; ancora « Ci-
nema » è stato il fulcro del dibattito suscitato dal film Osses-
sione, dello stesso Visconti, considerato anch*esso una sorta
di anticipazione delia « rivoluzione neorealista », per essere uno
sguardo impietoso gettato sulTItalia vera, oltre le cortine di
fumo delia retórica ufficiale, e ancora una rottura esplicita nei
confronti del cinema italiano di quel tempo (anche delia sua
manifestazione piii nobile, e, per qualcuno, già in qualche modo
di «opposizione», quella del cinema «calligrafico» dei Sol-
dati, dei Castellani, dello stesso Chiarini di « Via delle 5 lune »),
infine per avere compiuto un’operazione culturale, quella del
recupero delia letteratura americana, in questo caso Cain, ana-
loga a quella che per la letteratura andavano compiendo Cecchi,
Vittorini e Pavese. Sempre sulle colonne di questa rivista si è
andata formando quella generazione di giovani critici, i Puccini,
i i De Santis e altri, che nel dopoguerra, passando alia sceneggia-
tura e alia regia, avrebbero per cosi dire costituito il tessuto
connettivo, il substrato idcologico e politico-culturale del neo­
realismo, al di là del valore reale delia loro opera, ora notevol-
mente ridimensionata, se di un film come Caceia tragica di De
Santis, si è potuto dire, come ha detto Mitry, che si tratta di
« Rocambole dans le syndacalisme agraire ». Ora, prima di vedere
la posizione di Antonioni alPinterno di questo gruppo, sarà neces­
sário chiarire brevemente la reale relazione esistente fra « Cine-
ma» e il movimento neorealistico. Schematicamente possiamo
dire che tale relazione esiste non tanto con il neorealismo come
movimento artistico, con la sua azione di radicale rinnovamento
del linguaggio cinematográfico, quanto piuttosto con quella che
potremmo chiamare l’« ideologia» del neorealismo, fenomeno
non limitato al cinema, ma esteso anche alia letteratura e alie
arti figurative e punto di riferimento delia politica culturale dei
partiti delia sinistra italiana neH’immediato dopoguerra. La no-
zione-ponte fra le posizioni dei giovani critici di « Cinema » e

161
Tdeologia del neorealismo è quella di impegno delTintellettuale
che avrebbe trovato nel dopoguerra il suo punto di appoggio piu
rigorosamente teorico nella « scoperta » degli scritti dl Gramsci
e nel concetto, da lui formula to, di arte nazional-popolare, che
parve essere la categoria storico-estetica che comprendeva nel
modo piu. pieno e piu profondo i caratteri di rinnovamento cul-
turale e morale contenuti nel neorealismo e nello spirito delia
Resistenza del quale il neorealismo sembrava rappresentare la
naturale espressione a livello culturale ed artistico. Da questo
punto di vista il fenomeno delia rivista « Cinema », diretta dal
figlio di Mussolini eppure disposta ad accogliere nelle proprie
pagine i primi fermenti di opposizione dei futuri ideologi delia
cultura delia « nuova Italia», sarebbe facilmente spiegabile e
riducibile alTinterno di quel richiamo all’impegno delle forze
delia cultura voluto soprattutto da Bottai, come documenta bene
il Luti nel suo volume sulla cultura italiana fra le due guerre .
In questo senso la nozione di « impegno » nascerebbe, in rea-
zione all’opposizione silenziosa rappresentata dai movimenti ron-
dista ed ermetico, come ultimo tentativo compiuto dalla cosid-
detta sinistra fascista per raccogliere attorno al regime le forze
vive delia cultura rinnovando quelle promesse di profonda rige-
nerazione sociale, culturale e morale nelle quali il regime aveva
fondato le proprie fortune presso certi strati intellettuali e
delle quali si sentiva ancora Teco nelle deluse e rabbiose pagine
di Maccari sul « Selvaggio ». Di questo carattere ancora « fa­
scista », anche se in qualcuno già sordamente frondista, delPim-
pegno deH’intellettuale propugnata da Cinema si trova conferma
anche solo scorrendo rapidamente i numeri delia rivista o la
stessa antologia curata dal Caldiron 4, impegno che avrebbe assunto
poi i suoi nuovi termini, in senso antifascista, dopo la crisi del
regime nel 1943, Tesperienza delia Resistenza, delia guerra di
liberazione, dell’incontro con il marxismo e con la nuova situa-
zione deiritalia del dopoguerra, caratterizzata soprattutto, per
quanto interessa il nostro discorso, delle scelte politiche e cul-
turali operate dal maggiore partito operaio italiano.
Ora, è noto che da qualche anno la cultura neorealistica,
e la política culturale del Partito Comunista, che ne rappresentò
la proiezione e il punto di appoggio a livello político, viene sotto-
posta ad una serrata critica da un punto di vista marxista, soprat­
tutto dopo Papparizione del fortunato studio sul populismo nella
letteratura italiana di Alberto Asor Rosa, Scrittori e popolo 5, che
dell’arte e delia cultura neorealista mette in dubbio la validità
degli esiti artistici e soprattutto la correttezza, da un punto di
vista di classe, delle premesse ideologiche e culturali, delTatteg-

162
giamento di fondo assunto dairintellettuale e dalPartista nei con-
fronti del « popolo » e delia funzione a lui assegnata alTinterno
delia lotta per la costruzione del socialismo. Un simile lavoro
non è ancora stato compiuto per il cinema, se non molto spora-
dicamente e quasi sempre come meccanica applicazione delle tesi
di Asor Rosa, mentre sarebbe assai importante, perche permet-
terebbe di distinguere nettamente dalla questione delia cultura
neorealistica in generale il problema del neorealismo cinemato­
gráfico, e, alTinterno di questo, di separare, nella valutazione
storica, gli elementi prodotti dalla componente ideológica, a mio
parere i piíi deteriorati e i piu criticabili, dai caratteri di effet-
tivo e profondo rinnovamento del linguaggio e delle strutture
cinematografiche, per i quali appunto il neorealismo cinemato­
gráfico si costituisce come problema a parte, che sarebbe un
errore coinvolgere sbrigativamente nel giudizio generale che si
può dare di questa fase delia cultura italiana. È vero che una
sorta di processo al neorealismo è già stato compiuto da Guido
Aristarco, quando, nel 1956, cominciò a sostenere la necessita
di passare dal neorealismo al realismo, dalla «cronaca » alia
« storia », ma è noto che si è trattato delia ripetizione, o del-
Papplicazione al cinema, di un’analoga operazione compiuta, a
proposito delia letteratura, da Cario Salinari e dalla cultura delia
sinistra ufficiale (tema il Metello di Pratolini, come Senso di
Visconti per il cinema) e che, come giustamente osserva Asor
Rosa, non si è trattato di una critica radicale a certe scelte di
poética, di cultura e di política culturale, che Asor Rosa stesso
raggruppa nella nozione di « populismo », ma delia riproposi-
zione in forma diversa delle stesse scelte di base, resa necessária
dalPevidente fallimento, o almeno dalPesaurimento delPespe-
rienza neorealistica. Ora, senza pretendere di esaurire un discorso
come questo, troppo lungo e complesso per essere svolto qui,
integrandosi in esso fatti culturali e storici di portata ben piu
ampia di quanta non possa avere questo mio studio sul cinema
di Antonioni e sottintendendo complesse questioni di teoria e di
política culturale che non possono essere qui affrontate, si può
ben dire almeno che, per quanto riguarda il cinema, una rilettura
distaccata e priva di pregiudizi delle opere genericamente o
generalmente indicate come neorealistiche conduce inevitabilmen-
te alia dissoluzione delia nozione di neorealismo come fenomeno
artisticamente e culturalmente unitário, alia negazione che esso
abbia realmente costituito una nuova cultura, infine alia netta
distinzione fra le grandi opere del neorealismo da un lato e
la poética « ufficiale » del neorealismo dalTaltro, la sua « ideo­
logia » e le opere e i caratteri tematici e strutturali cui esso ha

163
dato vita. Per quanto riguarda, ad esempio, il supposto carattere
unitário del neorealismo — un’unità di poética reale e non di
giustificazione politico-culturale, anche tenendo conto delia sin-
golarità delle personalità artistiche — appare assai difficile ricon-
durre ad una comune radice etica, culturale e stilistica il fonda-
mentale estetismo de La terra trema e il bozzettismo naturali-
stico di Ladri di biciclette. Sembra insomma inevitabile concludere
che il cosiddetto neorealismo abbia avuto come caratteri unitari
nulla piu che un certo clima morale ed emotivo, determinato
dallo sbigottimento di fronte al crollo e alia disperazione del-
Pimmediato dopoguerra, che però sfugge ad ogni possibilita di
essere riformulato e ricomposto in una ideologia unitaria e pre­
cisamente definibile, e la correlata volontà, tipica soprattutto di
Rossellini, di usare il mezzo come strumento di registrazione
immediata del dramma del popolo italiano e di espressione del-
1’orrore suscitato dalle miserie delia guerra nelPanimo dei regi-
sti, con la conseguente naturale, spontanea e non « premeditata »
rottura con Puso « spettacolare » del mezzo stesso, con le con-
venzioni e le strutture espressive che questo uso aveva deter­
i minato, con le stesse strutture produttive cui esso aveva dato
vita, venendone poi condizionato. Ed anche questo aspetto si
insterilisce, si fa ideologicamente mistificatorio, artisticamente
convenzionale e manieristico, quando si cerchi di teorizzarlo, di
giustificarlo alPinterno di una unitaria concezione politico-cul­
turale, appunto perché frutto, soprattutto, delia geniale intui-
zione di Roberto Rossellini. II neorealismo si presenta cosi carat-
terizzato dalla presenza di alcune grosse personalità artistiche,
Rossellini, Visconti, De Sica-Zavattini, totalmente autonome per
motivazioni umane e culturali e per esiti stilistici; dal collega-
mento con un corpus ideologico, o politico-culturale, che si era
andato costituendo autonomamente sulla scia di un processo che
ha investito tutta la cultura italiana, e la cui relazione con Popera
dei grandi neorealisti, soprattutto di Rossellini, è soltanto un
a posteriori, non costituendone aífatto il comune terreno cultu­
rale; dalla presenza di una serie di opere che rappresentano invece
la proiezione a livcllo « artístico » di questo superstrato ideolo­
gico e che non reggono al giudizio del tempo, appunto per il
fatto di essere delle mere applicazioni, dunque poco pregnanti e
significative dal punto di vista artístico c sono, per la stessa
ragione, piu facilmente criticabili anche da un punto di vista
ideologico, dato che nella ideologia « populistica » si riassume e
si esaurisce tutta la loro vera sostanza; infine dalPintroduzione
di alcune forme innovative, sia a livello produttivo che a livello
stilistico: il girare improvvisando, in ambienti reali, con uomini

164
veri, rifiutando le convenzioni drammaturgiche e il calcolato
giuoco degli eíTetti spettacolari, che fino ad oggi erano stati
considerati Taspetto piíi « scandaloso » (da parte dei « mercanti »
di film), ma anche, tutto sommato, il meno significativo da un
punto di vista estetico e culturale. Ma sul reale carattere e signi-
ficato di quest’ultimo aspetto, legato soprattutto al nome di
Roberto Rossellini, torneremo piíi avanti.
Restiamo, per il momento, una volta definito schematica-
mente il quadro generale del neorealismo, alia posizione di Anto-
nioni alFinterno delia rivista «Cinema». Tale posizione si
caratterizza per una sostanziale estraneità degli scritti di Anto-
nioni alToperazione di política culturale che si andava compiendo
su quelle pagine e si direbbe che i suoi scritti piíi « impegnati »
rappresentino la voce del « nemico », di chi concepiva Tarte e
la cultura come fatto autonomo rispetto alia política, tanto che
proprio su « Cinema » 6 non manca un severo richiamo alTordine
da parte di uno sconosciuto, a me, censore nei confronti di An-
tonioni, che in un altro periodico si era permesso di parlare,
appunto, di autonomia delia cultura e delTarte. In questi scritti
insomma le idee e il linguaggio di Antonioni sembrano molto
piu influenzati dalTestetica crociana e piu generalmente dalle
moderne poetiche od estetiche caratterizzate dal radicale rifiuto
delTintellcttuale di porsi, e di porre Tarte e la cultura, al ser-
vizio di una ideologia o di un regime político, o di confondere
il suo necessário impegno umano con un diretto, esplicito ed
immediato impegno político. Fin d’ora Antonioni si segnala,
dunque, per il suo carattere d’intellettuale o di artista cosmo­
polita, in opposizione al carattere « nazionale », poi « nazional-
popolare » delia cultura e delTarte, implícito nella nozione di
impegno propugnata dal gruppo di « Cinema » e dalTideologia
del neorealismo. E non è forse un caso, o semplicemente dovuto
alie note gravi difficoltà che solitamente incontra un giovane
autorc per aííermarsi nel campo del cinema, cioè per fare il film
che vuole, che la voce di Antonioni abbia taciuto fino al 1950,
cioè per tutto il periodo nel quale il carattere « populistico » e
la concezione « nazional-popolare» delia cultura erano predo-
minanti e costituivano, anche dal punto di vista produttivo,
una formula di successo, ed abbia infine esordito con un film
che, assumendo come oggetto del proprio discorso non il « po-
polo » ma esemplari di diversi strati delia borghesia, le sue
diverse angosce, si inseriva decisamente nel giro degli interessi
delia cultura europea.
Dunque il carattere di artista borghese cosmopolita e laico,
che è una delle costanti delia personalità di Antonioni, impe-

165
disce di porre una relazione fra Antonioni stesso e quella che
abbiamo chiamato 1’ideologia del neorealismo, negandola proprio
nel momento in cui essa sembrava piu sicura e documentabile,
■ quello delia collaborazione a « Cinema ». Eppure appare troppo
semplicistico negare in toto tale relazione, come fa, ad esempio,
il Baldellij quando afferma che « 1’opera di Antonioni scavalca
il periodo del neorealismo... » identificando il « núcleo vivo»
del neorealismo nel suo essere « rappresentazione sociale, pas-
sione civile, rivolta morale, contrasto di personaggi positivi e
negativi, scoperta dei rapporti economici e del peso delPam-
biente nella determinazione delPindividuo, presenza del mondo
operaio e contadino, ossia del personaggio popolare, protago­
nista di una vicenda condotta senza paternalismo », mentre « in
quest’epoca di restaurazione dei vecchi ordinamenti » corrispon-
dente al momento di esaurimento del neorealismo in una forma
di manierismo, « la coscienza laica di Antonioni, non interessata
a cercare i diversi aspetti e le ragioni del riflusso delia opposi-
zione política, osserva unicamente gli avvenimenti interni al
personaggio, 1’individuo nel suo smarrimento esistenziale (in
ambienti consueti, paesaggi primordiali, " preindustriali ”) ». Ag-
giungendo che « dovranno passare parecchi anni (il periodo in-
torno al sessanta) prima che emergano le linee di una nuova
struttura: quella delia democrazia e delia tecnologia, entro cui
si muovono le forme del neocapitalismo: e qui, nel cinema di
Antonioni, riaffiora una nuova convergenza tra personaggi e
ambiente (industriale)»7. Ora, evidentemente, a parte certe
forzature alie quali Baldelli si è lasciato trascinare per amore
delia contrapposizione o per eccessiva fiducia nelle formule (ad
esempio quella del « realismo interiore » di Antonioni, che Bal­
delli interpreta nel senso, per me, come ho già detto, assolu-
imente inadeguato, irrazionalistico-espressionistico, bergmaniano
?mmo, al quale si è già fatto cenno) è evidente che, se il
ealismo si identifica con la sua « ideologia », perche è que-
he è sinteticamente esposta nelle righe di Baldelli, non è
bile trovare alcuna relazione fra il cinema di Antonioni
questo movimento e sarebbe plausibile la tesi dello « sca-
jamento » del neorealismo da parte di Antonioni. Ma, come
o già detto, a mio parere il neorealismo cinematográfico non
si esaurisce nella «ideologia» del neorealismo, avendo esso
avuto un^mportanza anche a livello del rinnovamento del lin-
guaggio cinematográfico che riguarda anche Antonioni; e, in
secondo luogo, accettando questa tesi, non si spiegherebbe il
motivo per il quale Antonioni, che non ha mai negato la sua
estraneità alia componente populistica del neorealismo, insista

166
però nel dichiararsi uno dei padri del neorealismo stesso, riven-
dicando al suo cortometraggio Gente del Po (1943) quel carat-
tere di anticipazione che generalmente viene riservato ad Osses-
sione, anche sulla base, assai poco critica, delia estrinseca di-
stinzione fra cortometraggi e lungometraggi a soggetto. Dice
infatti Antonioni, in uno scritto che ho già parzialmente ri-
portato: « ...Questa è la mia sola presunzione: di avere ím-
boccato da solo la strada del neorealismo. Eravamo nel ’43.
Visconti girava Ossessione sulle rive del Po, e sempre sul
Po, a pochi chilometri di distanza, io giravo il mio primo docu­
mentário. II Po di Volano appartiene al paesaggio delia mia in-
fanzia. II Po a quello delia mia giovinezza. Gli uomini che
passano suirargine trascinando i barconi con una fune a passo
lento, cadenzato, e piíi tardi gli stessi barconi trascinati in
convoglio, da un rimorchiatore, con le donne intente a cucinare,
gli uomini al timone, le galline, i panni stesi, vere case ambu-
lanti, commoventi. Erano immagini di un mondo del quale pren-
devo coscienza a poco a poco. Accadeva questo: quel paesaggio
che fino ad allora era stato un paesaggio di cose, fermo e soli­
tário: 1’acqua fangosa e piena di gorghi, i filari dei pioppi ch^
si perdevano nella nebbia, 1’Isola Bianca in mezzo al fiume
Pontelagoscuro che rompeva la corrente in due, quel paesa
si muoveva, si popolava di persone e si rinvigoriva. Le 5
cose reclamavano un’attenzione diversa, una suggestione di'
Guardandole in modo nuovo, me ne impadronivo. Comine.
a capire il mondo attraverso la immagine capivo Vimmagint
sua forza, il suo mistero. Appena mi fu possibile tornai in q
luoghi con una macchina da presa. Cosi è nato Gente del Po.
Tutto quello che ho fatto dopo, buono o cattivo che sia, parte
da 11 »8. Ora, — lasciando per il momento da parte le interes-
santissime considerazioni che Antonioni fa sul suo rapporto con
Pimmagine, sul « mistero delPimmagine » che confermano, cre-
do, quello che sono venuto finora dicendo sulla struttura e sulla
sostanza interrogativa delia sua visione, dobbiamo chiederci che
cosa intenda qui Antonioni per neorealismo, a quale aspetto del
neorealismo si riferisca. Mi pare chiaro che il neorealismo non
viene identificato qui con quella che abbiamo chiamato la sua
í « ideologia », ma con un diverso modo di porsi in relazione con
il reale attraverso la macchina da presa. Che non venga iden­
tificato con 1’ideologia appare evidente dal fatto che qui il ter­
mine « neorealismo » viene attribuito ad un’operazione che non
ha niente a che fare con Timpegno politico-sociale e con tutti
i corollari che ne dipendono, bene indicati nella pagina del Bal-
! delli ricordata sopra, ma è la fissazione e la risoluzione espres-

i
167
siva, compiuta con la macchina da presa, di un processo pura­
mente lirico ed individuale. Né, d’altra parte, sembra legittimo
pensare che Antonioni abbia voluto chiamare, molto semplici-
sticamente, neorealistica Poperazione compiuta con Gente del
Po per il solo fatto di avere ripreso delle situazioni reali anziché
ricostruite in studio e premeditate a tavolino. Posta in questi
termini semplicistici, la questione delia definizione del neoreali-
smo non sussisterebbe neppure e, d’altra parte, è noto che anche
i grandi film neorealistici, se preferivano ambienti, situazioni e
volti « reali », erano tuttavia spesso costruiti attorno ad una
azione drammatica premeditata, svolta spesso da attori professio-
nisti, anche se la ricerca di volti nuovi e « vergini » ne fu una
caratteristica che però, come è noto, finl per diventare una
sbracata maniera, una « moda» infelice e spesso crudele. Del
resto lo stesso Antonioni ha piu volte esplicitamente manifestato
la sua opposizione al cinema come amorfa e neutra registrazione
delia « tranche de vie », il cui senso fosse totalmente aflidato
ad una supposta e miracolistica superiore oggettività delia
camera.
Dunque il carattere di originalità del neorealismo, o meglio
dei grandi film neorealisti, questo senso profondamente inno-
vativo tanto difficile da afferrare, che Antonioni è orgoglioso di
avere intuito e promosso autonomamente e fra i primi, non
può essere identificato né nei contenuti ideologici e culturali
delia poética ufficiale, né nelPadozione di metodi di ripresa e
di realizzazione diversi da quelli in uso prima di allora, consi-
derati nella loro materialità. Solo che, mentre il primo di questi
termini, quello ideologico, costituisce una superfetazione o un
aggregato collaterale che può essere totalmente riassorbito al-
Pinterno di una critica delPideologia, il secondo merita invece
uiPanalisi piu approfondita che, superando i termini puramente
materiali ed in sé estrinseci nei quali questa definizione del
neorealismo è stata considerata fino a questo momento, lo con-
sideri in termini problematici, susccttibili di essere posti a fon-
damento di una diversa definizione del carattere linguístico pecu-
liare del neorealismo cinematográfico. Perché, a ben vedere, se
è facile vanificare la pretesa di un rinnovamento etico, culturale
ed artístico che sarebbe implícito nelle idee-guida delPideologia
neorealistica ed indicarne i gravi limiti ideologici, facile e perti­
nente, dato che di ideologia si tratta, assai meno facile è ricon-
durre nelPambito delPideologia e delia política culturale, e delia
sua motivata negazione, la totalità del fenomeno neorealistico e,
in particolare, il suo carattere realmente innovativo alPinterno
dello svolgimento del linguaggio filmico. Da questo punto di

168
; ’ 1
I-
vista il complesso di innovazioni « tecniche» introdotte dai §
grandi neorealisti può essere considerato non piú come mera m
diversità empírica delle condizioni e delle modalità di produzione
e di realizzazione del film, ma come la piú corpulenta e clamo­
rosa manifestazione di un diverso modo di porsi in relazione con
il reale attraverso la camera, dunque come il segno piú esteriore,
ma significativo, di un’innovazione di carattere non piú empírico
o immediatamente ideologico ma inerente alie strutture espres-
sive: insomma, se del neorealismo è ormai morta (nel senso
che è direttamente riconducibile a certe posizioni delle quali
possono essere chiaramente indicati i limiti) tutta Pincrostazio-
ne ideológica, la poética ufficiale, di esso rimane tuttora vivo e
significativo il carattere di novità che ha rappresentato nella
storia del cinema come linguaggio artístico. Se qualcuno può
dire che la cultura neorealistica nel suo complesso, cioè la poé­
tica ufficiale e Pideologia del neorealismo, è stata la manifesta­
zione a livello artistico-culturale delle posizioni populistiche e
sostanzialmente interclassiste dei partiti delia sinistra marxista,
le opere dei grandi neorealisti, in particolare quelle del Rossel-
lini di Roma, città aperta e di Paisà, non solo testimoniano la
profonda e sincera umanità dei loro autori, che fa sl che il
sostanziale paternalismo e populismo del loro atteggiamento
diventi un modo di ritrarre in fornia commossa e lúcida le mise-
rie e la sofferenza di un popolo contemplate da uno sguardo
che ha saputo felicemente rifarsi vergine, ma rappresentano
rinche un punto fermo nello svolgimento del linguaggio filmico,
una radicale innovazione strutturale, o forse un ritorno a certe
forme iniziali, ma carico del travnglio compiuto per liberarsi
delPimbastardimento successivo a quelle forme. In questo senso,
il vero grande poeta del neorealismo cinematográfico è Roberto
Rossellini, perche è nei suoi film che Pattonito e partecipe
sentimento delPuomo e delle sue miserie visti alPinterno di una
realtà che viene colta e « sorpresa » nella sua immanente tragicità
si lega indistricabilmente, classicamente diremmo, ad un uso
del mezzo cinematográfico tale da rendere il mezzo stesso il
prolungamento naturale, docile e flessibile di uno sguardo atten-
to a cogliere il senso delia realtà, a selezionare ed a filtrare
i tratti piú significativi, felicemente sgombro di filtri culturali
ed ideologici, pronto dunque ad abbandonarsi totalmente alPim-
perativa presenza delle cose. Ma non è chi non veda, scom-
ponendo la sintesi poética delPopera di Rossellini nella quale
il neorealismo trova Ia sua realizzazione piú piena, come Popera
di Rossellini e dunque il vero neorealismo abbiano anche neces­
sariamente portato una rivoluzione linguística, un profondo rias-
lin"
-
169
sestamento dei linguaggio cinematográfico. Se neiropera di Ros-
sellini il neorealismo si fa vera grande arte, negli oggettivi
caratteri strutturali e stilistici, nei quali la sintesi poética di
Rossellini necessariamente sbocca, è il segno di un nuovo modo
di considerare il mezzo filmico, le sue possibilita e la sua flessi-
bilità espressiva, sono le radiei di una nuova struttura delPope-
razione filmica. II neorealismo dunque è, dal punto di vista delia
poesia attuata, Popera di Rossellini, soprattutto Popera di Ros­
sellini, almeno, ma è anche, da un piu largo punto di vista, un
nuovo modo di considerare e di usare il mezzo filmico, una
nuova concezione del cinema, ed è a questo aspetto del neorea­
lismo cbe Antonioni si riconnette pur non potendo essere consi-
derato un autore neorealista nel senso stretto delia parola. E,
quello che è piu importante, Antonioni si riconnette a questa
base strutturale innovativa in modo autonomo, per autenome
motivazioni culturali e di poética e con diversi esiti stilistici.
In che cosa consiste questa innovazione strutturale, questo
punto nodale dello svolgimento espressivo del mezzo filmico
verso la sua piena liberazione, quali ne sono i caratteri principali
e in che senso intendiamo lo svolgimento del quale stiamo
parlando? I tratti piu esteriori di questa nuova struttura filmica
sono costituiti da quella serie di procedimenti di realizzazione
(girare dal vero, senza attori professionisti, senza una struttura
drammaturgica o narrativa organicamente preordinata, senza una
vera e própria sceneggiatura insomma, spesso improvvisando e
orientando Pattenzione delia camera e dello spettatore sugli
aspetti piu quotidiani e meno «spettacolari » delia vita) nei
quali generalmente si riassume e si esaurisce la concezione o la
nozione piu volgare del neorealismo. Una serie di elementi
insomma che possono essere sintetizzati nella definizione del
«carattere documentaristico» del neorealismo: e questa defi­
nizione non è senza importanza se si tiene conto che essa rap-
presenta il proseguimento di una linea di sviluppo che ha i suoi
grandi antecedenti in Flaherty e, prima ancora, in certi aspetti
del cinema muto soviético, da Vertov ed Eisenstein, mentre non
mi pare il caso di citare Lumière, come solitamente si fa, perche
le sue riprese « realistiche » vanno considerate, tenendo conto
delia situazione di allora e degli intenti con cui venivano girate
e presentate al pubblico, come dei veri e propri pezzi spetta­
colari, il cui núcleo centrale è la ricerca del « meraviglioso ».
Ed è approfondendo il carattere ed il significato di questo « do-
cumentarismo » del cinema neorealistico che si può giungere a
coglierne i reali caratteri e la portata di innovazione strutturale
e di piena liberazione delle virtualità espressive delia camera.

170
È evidente che tale carattere documentaristico va inteso
non in senso contenutistico ma in senso strutturale, che non
si tratta cioè delia riproduzione di situazioni reali, ma delia
presentazione di situazioni fittizie come se fossero reali, cioè
come se le situazioni o le cose mostrate fossero colte senza
premeditazione, nel loro farsi immediato nel momento stesso in
cui avviene la ripresa, anzi, ma è in fondo la stessa cosa, nel
momento in cui avviene la proiezione in sala, dato che il film
trasmette lo stesso senso di attualità di esperienza, che guida
che Fha costruito, alio spettatore che lo vede in sala mesi o
anni dopo. II carattere piu sostanziale del documentarismo neo-
realistico o almeno quello piu significativo nella storia del lin-
guaggio cinematográfico e il piu comprensivo di possibili svol-
gimenti e varianti individuali, non risiede dunque tanto nel
'lasciare parlare le cose* (anche se questo è Faspetto che esso
assume in Rossellini, la sua manifestazione palmare e clamo­
rosa), quanto questa totale «attualizzazione», per cosi dire,
delFoperazione filmica, questo costruire e proporre lo svolgi-
mento del film come esperienza «in fieri», in perpetua ed
attuale formazione, come libero e aperto discorso filmico sul'
reale, che dalla perpetua ed attuale mobilità di questo trae la
própria mobilità ed attualità, che si pone di fronte al materiale
filmico non come a qualcosa di già strutturato e dotato di senso
e di struttura estetica, ma come a qualcosa di cui si scopre il
senso, a cui si dà un senso via via che entra nel campo delia
camera e solo attraverso Fuso consapevole delle possibilità deU
camera, delia sua capacità di farei vedere il reale in modo nuo’
o diverso, diverso dalla visione normale e dalle altre forme
appropriamento umano del reale.

Appare evidente, a questo punto, che la determinazioni


del carattere specifico del neorealismo per quanto si riferisce
alia storia delle forme filmiche, ci riconduce a quello che, per
altra via abbiamo individuato essere il generale carattere strut­
turale del cinema di Antonioni e, se non altro, questo excursus
— forse troppo ampio per un verso e schematico e anche
tendezioso per Faltro — sarà valso a ritrovare una delle com-
ponenti storico-linguistiche di quella forma.
Ma ciò che ci interessa in questo momento, non è tanto
riconoscere che la forma dell’attenzione alia realtà, con i carat-
teri strutturali delia visione in cui si concreta, non è, in Anto­
nioni, che una specificazione — certo esteticamente piu com-
plessa, senza che ciò determini alcuna conseguenza a livello
valutativo, sia chiaro — di una forma di utilizzazione del mezzo

171
íílmico che è già nelle opere dei neorealismo, o anche nella sua
virtuale poética, quanto piuttosto riconoscere che, per Fintro-
duzione di quelFelemento oggettivo delFesperienza di cui la vi­
sione di Antonioni ha bisogno per superare la fase puramente
sensibilistico-impressionistica e concretars.i nella sua strutturale
processualità problemática o interrogativa, Antonioni si ritrova,
storicamente, a disposizione il generale modello di organizza-
zione del materiale di rappresentazione che è specifico del neo­
realismo, coincidente con il modello « documentaristico », che
esclude che la visione del mondo che Fautore intende rappre-
sentare passi attraverso Forganizzazione finalistica delFazione e
tende invece a presentare Fevento, anche per il suo svolgimento,
per il suo « intreccio », come dato di cronaca, dunque non in
termini di rielaborazione interpretativa, ma di dato rilevato ed
isolato nelFesistente. Ciò, naturalmente, a prescindere, per ora,
dalla diversità dei « contenuti » come dal fatto che in Antonioni
Fattenzione alia realtà non è esaustiva del processo di visione
filmica ma solo una sua articolazione, un suo momento costi-
tutivo.
È chiaro, allora, che i caratteri di quella che nel terzo
capitolo abbiamo chiamato la forma del soggetto — tendenti in
modo via via piii accentuato alia destrutturazione, alFappiatti-
mento, alFassenza di pregnanti tipizzazioni, di nodi narrativi
rivelatori di un punto di vista etico-ideologico — rientrano e
si spiegano facilmente alFinterno di questo modello « documen­
taristico », attraverso il quale la visione di Antonioni punta sulla
pura esibizione di un materiale oggettuale e comportamentistico
del quale Fintreccio, anche se inventato a tavolino (o ricavato
da un fatto di cronaca, fa lo stesso) viene a far parte. E si
spiega perfettamente il carattere di indagine « aperta », di avven-
tura conoscitiva che i film di Antonioni, a questo livello di
analisi, mostrano sempre piíi accentuatamente fino a Zabriskie
Point, da questo punto di vista vero e proprio collage di fatti
di cronaca, di situazioni oggettivamente tipiche del presente
americano, di materiali, oggetti, gesti documentariamente rile-
vati: al punto che il carattere di indagine si fa esplicito nella
stessa organizzazione delia successione delle sequenze, che inizia
con quelFassemblea volutamente girata in modo piatto, ed anche
tecnicamente documentaristico, se è vero che si tratta di un
« vero » meeting studentesco, proposta da Antonioni come luogo
e come situazione oggettiva in cui ricercare il personaggio che
la camera dovrà poi seguire; e alia lógica delia ricerca obbedisce
infatti tutta Forganizzazione delia sequenza, come appare chiaro
a chi la sappia leggere.

172
Questa frequente incomprensione delia funzionalità e delia
pertinenza strutturale ad un momento fondamentale del fare
artístico di Antonioni del « piatto », del banale, del puramente
rilevato dal fenomenico, si ha anche a proposito dei dialoghi dei
íílm di Antonioni, generalmente accusati di essere brutti. E
brutti sono, privi di rilievo e di funzionalità drammatica, ma
proprio perche vengono introdotti con nessun’altra funzione che •
quella di esibire i « personaggi » anche in termini di compor­ :'
tamento verbale, dunque senza alcun calcolo « espressivo » senza
alcun fine compositivo. Questo in via generale, naturalmente,
perché non si può porre in discussione che qualche volta il
dialogo di Antonioni mostri la corda e sia in dissonanza non
solo con le esigenze delia drammaturgia che sono estranee alia
sua funzione, ma anche con quest’ultima. Ma, naturalmente, un
conto è sottolineare i momenti « opachi » di questo aspetto del
cinema di Antonioni, altra cosa è non comprenderne il carattere
generale e la funzione. A questo proposito, può essere interes­
sante riportare le opinioni di Bassani e di Baldelli, perché, oltre
I i
tutto, ci permettono di passare ad un altro aspetto importante
di questa parte del nostro discorso. In una nota del suo saggio
su Antonioni, Baldelli riporta 1’opinione di Bassani secondo la
quale il dialogo sarebbe una « zavorra » che Antonioni voluta-
mente cerca perché faceia da « contrappeso » alia bellezza pura,
la quale, da esteta, è la sola cosa in cui crede: il dialogo,
I >r
insomma, come qualcosa di volutamente brutto che, nel diffe- il '
renziarsi e contropporsi violentemente a tutti gli altri elementi
belli, serve a ridargli il senso delia realtà, « un po’ come gli
oggetti grezzi, che i maestri delia pop art introducono a forzr
nelle loro composizioni pittoriche ». A questa opinione, che
avvicina parzialmente e per certi aspetti a quanto veniamo c
sostenendo, Baldelli ribatte testualmente: « La tesi di Bass
potrebbe avere un senso se dialogo brutto stesse per dialo
inelegante, grezzo, disarmonico, trapiantato come matéria brut
non pregiata, non lavorata etc. Invece si tratta di un dialogc
« letterario », elaborato, sovente, ma come fosse « tradotto »,
falso dunque: spia di un sistema di psicologia e di un intreccio
narrativo malsicuri»9. Ora, questa polemica indiretta non ci
interessa tanto per sé, né perché è una conferma delia linea
interpretativa sostenuta dal Baldelli, ma perché ci permette, at-
traverso 1’accenno alia « letterarieta » del dialogo di Antonioni,
di passare ad un altro aspetto del « documentarismo » di Anto­
nioni e precisamente alia considerazione dei « contenuti » che
vengono organizzati in forma documentaria, per i quali Antonioni
si distacca nettamente dalla impostazione neorealistica: conside-

173
razione che ci permette di recuperare alTinterno di questa arti
colazione o momento delia visione di Antonioni, quella flessione
delle categorie deir« autobiografismo » e delT« intellettualismo »
I
delia quale abbiamo discusso nel capitolo riguardante i caratteri
delia formazione.
£ vero, infatti, che il dialogo di Antonioni è qualche volta,
o, meglio, in qualche personaggio, « letterario », nel senso che
ricalca certe strutture ed è intessuto di contenuti che sono
quelli delia letteratura di analisi psicológica volgarizzata: ma,
in linea generale, anche questa « letterarietà », con quanto di
inautêntico, di narcisistico, di lezioso il termine comporta, deve
essere intesa nella sua valenza di dato comportamentistico « do­
cumentário », come indice di quella che potremmo chiamare la
componente « Kitsch» del comportamento di certi personaggi
messi in campo da Antonioni, in particolare del personaggio di
Monica Vitti nella Notte e nelPEclisse. E basterà riandare con
la mente alia situazione di quegli anni per rendersi conto di
quanto fosse comune perfino negli strati piccolo borghesi pro-
vinciali questo modello di comportamento.

Lo « svolgimento » delia visione di Antonioni


corne attuazione concreta
del suo carattere processuale e problemático

Va detto però, a questo punto, che la questione non è cosi


semplice, ma implica un ulteriore approfondimento e ulteriori
specificazioni che, d’altra parte, ci permetteranno di aprire una
nuova fase del nostro discorso, tendente ad estendere la proble-
maticità originaria e strutturale delia visione di Antonioni alie
radiei del suo sviluppo diacronico e ci permetterà dunque, anche,
di verificarne i modi e la misura nella concretezza dei singoli
film.
Infatti, la questione sollevata da Baldelli a proposito dei
dialoghi deirEclisse — analoga, poi, sostanzialmente a quella sol­
levata dallo stesso critico e da altri per la valenza di raffigura-
zione del comportamento psicologico, delia nevrosi delia protago­
nista di Deserto rosso, che sarebbe, e da un certo punto di vista
è, una delle funzioni svolta dal colore in quel film — nasconde
una riserva piii generale, cioè la convinzione che nella matéria
rappresentata da Antonioni nei suoi film piu maturi, come sono
considerati generalmente, tranne qualche eccezione, quelli che
vanno ddlVAvventura in poi, esista un insanabile dualismo fra
una componente narrativo-psicologica, residuo non superato delia
« prima maniera » di Antonioni, fra « Pepisodio privato » con le

174
sue anticaglie letterarie » insomma, e una componente che po-
tremmo chiamare saggistico-documentaria, che si risolverebbe
nella esibizione « aperta » di situazioni, oggetti, comportamenti
rilevati « oggettualmente » dalla realtà del nostro tempo, i quali,
svirilizzati daH’inserimento nel contesto dell’episodio privato,
delia vicenda sentimentale, perderebbero la loro capacita di
comporsi come serie aperte di segni oggettivi delia realtà sociale
ed economica, e conseguentemente anche etica e psicológica, del
nostro tempo.
Ora è chiaro che una simile impostazione, qui esposta nella
forma piu sintética possibile, e dunque con i conseguenti margini
di inesattezza, non solo riapre in qualche modo il problema
delia funzione e del carattere del momento «narrativo» di
Antonioni, ma investe direttamente il tema delia determinazione
di quali siano le linee generali dello svolgimento del suo cinema,
trasformando un problema di funzionalità in un problema di
ricostruzione storica.
L’ipotesi dell’esistenza di un dualismo fra un momento
psicologistico e un momento saggistico-oggettualistico, fra un
momento tendente alia rappresentazione di una vicenda privata
di carattere sentimentale e un momento tendente a proporre in *
forma di materiale, di reperto oggettivo i dati che determinano
la condizione umana del nostro tempo, e dunque anche quella
di personaggi, delia cui crisi sentimentale, delia cui « aliena-
zione » sarebbero i fattori oggettivamente determinanti, si fonda
sopra una definizione dello svolgimento delia narrativa di An­
tonioni per la quale egli passerebbe da una forma di « cronaca
delia crisi » intesa nella sua astorica individualità ad un tentativo
di dare maggiore respiro e maggiore pertinenza storica al suo
discorso, appunto attraverso Tinserimento diretto ed esplicito dei
parametri oggettivi, sociali ed economici, di questa situazione
di crisi.
C’è da dire, sulla base di una considerazione esterna e pura­
mente descrittiva, che, almeno dalla Notte in poi, effettivamente
il materiale di Antonioni si fa piu ricco di riferimenti storici #
concreti, che il bakground socio-economico delle vicende dei
personaggi si concreta in una presenza sempre piu forte e piu
incidente, che la vicenda sentimentale viene posta a confronto
con temi come quelli del rapporto letteratura-industria (e indu­
stria culturale), del denaro come funzione alienante, delia nevrosi
di fabbrica e del paesaggio industriale. Sembra insomma che
Antonioni abbia superato, a livello dei contenuti, la formula
del « realismo interiore », o delia crisi nella sua dimensione asso-
lutamente individuale, per giungere alia scoperta e alia diretta

175
messa in campo dei dati oggettivi, dei termini reali di questa
crisi. Come si diceva, questo è innegabile, come è innegabile
che Antonioni cerchi di dare dei caratteri sempre piu « scienti-
fici », quasi sperimentalmente verificabili, al comportamento dei
personaggi, attraverso Paggancio a categorie psicanaliticbe e socio-
logiche: e non è un caso che, a proposito delYAvventura si sia
potuto scrivere un lungo saggio 10 che interpreta, in modo anche
appropriato e convincente, in termini psicanalitici i rapporti del
triangolo Anna-Claudio-Sandra o che, a proposito dei personaggi
delYEclisse si sia potuta applicare, anche se con qualche forza-
tura, la categoria marxiana delia reificazione 11. Tutto ciò essendo
indizio delia sempre maggiore accentuazione delia forma « do­
cumentaria », nel senso chiarito, specifica del materiale di rap-
presentazione di Antonioni. Forma documentaria che, poi, rag-
giunge il suo momento piu esplicito e diretto nelle sequenze
delia Borsa àzWEclisse. E questa estensione del carattere « do­
cumentário » dalla forma di organizzazione delia componente
« narrativa », carattere sempre presente, abbiamo visto, sia pure
come forma predominante su interventi episodici di modelli nar-
rativi tradizionali (quello delPintreccio « giallo » o « nero » di
Cronaca di un cnnore, tanto per ricordarne un esempio) ai con-
tenuti, che ora appaiono direttamente rilevati dalla realtà, come
4' forme di comportamento storicamente determinate e scientifica-
mente definibili, comporta delle conseguenze anche a livello dei
caratteri del materiale plástico, cioè delle zone del mondo visibile
mobilitate dalla visione di Antonioni: dalle strutture architetto-
niche ed urbane piu pertinenti alia società capitalistica, al pae-
saggio industriale appunto, alie fabbriche, alie ciminiere, ai
: fantascientifici tralicci metallici, alia natura inquinata di Deserto
rosso, nel quale anche l’uso del colore, se si deve sentire Anto­
nioni, è stato determinato dal peso, dalla presenza sempre piu
incidente del colore stesso nella nostra vita quotidiana, negli
oggetti delia nostra vita quotidiana.
Ora, è chiaro che, se si pone la linea dello svolgimento di
Antonioni nella cronaca delia crisi delia borghesia o nel passag-
gio da una dimensione puramente individuale-sentimentale, asto-
rica e forse anche « metastorica » — che sceglie come própria
forma di rappresentazione i moduli del racconto psicologico-inti-
mista, sia pure in modo fiacco, convenzionale e irrisolto — alia
dimensione piu concretamente storica, piu radicata e agganciata
ai « fattori determinanti » — che a sua volta sceglie come própria
forma di rappresentazione la serialità oggettuale — la permanen-
za, nella seconda fase, di uno strato supposto intimista, può sem-
brare a qualcuno incapacita di stabilire correttamente la interre-

176
5

lazione fra fattori oggettivi e momenti soggettivi delPesperienza,


dunque ambiguità fra due moduli formali che implicano scelte
espressive ed ideologiche radicalmente eterogenee e può sem-
brare, ancora, incapacita di formulare sulle situazioni mobilitate
un giudizio preciso, attraverso il rigore e la nitidezza incisiva
con cui si dovrebbero isolare queste situazioni: può sembrare
dunque, in fondo, il frutto sbagliato di ambizioni intimistiche
velleitarie accompagnate ad una passiva specularità nei confronti
del reale, se non addirittura ad un dilettantesco orecchiamento
delle mode. Se poi si aggiunge a questo che, soprattutto nel-
YEclisse e in Deserto rosso, Antonioni accentua notevolmente
gli aspetti apparentemente piu formalistici del suo stile, in par-
ticolare la técnica delPindugio e dei « tcmpi morti » (basti pen-
sare alia sequenza finale deWEclisse, o anche a quella iniziale,
quei dieci minuti di silenzio, composti di frammenti di gesti e
di oggetti), potra sembrare addirittura palmare che ci si (troviydi
fronte alPincapacità di scegliere fra tre contraddittorie linee di
sviluppo del film o di operarne una corretta sintesi.
Insomma, riassumendo, si avrebbe nel cinema di Antonioni
un doppio e contraddittorio tipo di evoluzione, uno in senso
formalistico-astratto, sviluppo delia sua componente « visualisti-
ca », 1’altro in senso saggistico, evoluzione che proietterebbe nel
tempo, nello sviluppo diacronico, accentuandola, la dicotomia
delia quale si è piu volte parlato. Ora, se non si possono negar
i fatti, i dati oggettivi — e fra questi rientra proprio la presenz
in questa fase del cinema di Antonioni, dei tre strati, quel
visualistico-astratto, quello narrativo-psicologico e quello doc
mentario-saggistico — ciò che si può mettere in discussione è
modo di interpretare questi fatti o, in concreto, il punto di visti
che si assume per giungere al loro riconoscimento. Ciò che ci
troviamo di fronte è una lettura per cosi dire « oggettivistica »
del resto caratterizzata dalla riduzione del « senso » del film ai
caratteri del « rappresentato» (sia pure con 1’ammissione che
la determinazione di questi caratteri non necessariamente deve
avvenire in termini narrativo-drammaturgici, e questo segna
indubbiamente una posizione di progresso delPanalisi di Baldelli
rispetto ad altre); caratterizzata, in secondo luogo e come con-
seguenza diretta, dalla considerazione dell’organizzazione filmica
del materiale come « scrittura », cioè come modo di determi­
nazione del senso del materiale; in terzo luogo, dalla restrizione
del concetto di unità formale dell’opera a scelta di un unico,
fra i tanti possibili, modo o livello di organizzazione del materia­
le e dalla conseguente convinzione che la presenza di piu modi
o di piu livelli formali sia indizio di incertezza, di precarietà

177
di scelte, insomma di fallimento artístico. Ora, come dicevamo,
è chiaro che, una volta accettato il postulato iniziale, cioè che
il senso delToperazione filmica coincida con il senso del materiale
formato, tutte le altre sono conseguenze legittime e, alPinterno
di questa prospettiva, dificilmente e solo episodicamente attac-
cabili. Ma intanto, si può osservare che una simile prospettiva
oggettivistica ed esterna di analisi conduce, a sua volta, alPindi-
stinzione fra le debolezze strutturali, radicali e i momenti deboli
che inevitabilmente costellano un’opera artística, anche la piíi
alta e la piu raggiunta; in concreto, una simile prospettiva per-
mette, di fronte alPopera di Antonioni, un’operazione critica
tutto sommato assai facile, consistente nella dilatazione di quei
momenti deboli, di quelle zone opache, di cui nessuno si sogna
di negare la presenza, a debolezza strutturale, o a componente
strutturale negativa, dipendente proprio dal fatto che si analizza
1’opera dalPesterno e non si cerca di seguirne dalVinterno il
processo di costituzione. Né questo passaggio ad una prospettiva
di analisi interna alPopera significa cedere ad un giustificazioni-
smo indistintivo, né limitarsi ad una critica censória, pura appli-
cazione delPoraziano «quandoque bonus dormitat Homerus »,
che scarti i momenti irrisolti senza cercarne le motivazioni e le
radiei nei caratteri stessi delia forma profonda delPopera: abbiamo
sottolineato piu volte che il rischio del banale e delPinautentico
è costitutivo o connaturato, per varie ragioni, alPimpostazione di
fondo del cinema di Antonioni. Significa invece negare che Pindi-
viduazione del modulo formale, con tutte le conseguenze che
esso comporta, coincida con la verifica statica delia sua presenza
a tutti i livelli delia composizione filmica e sostenere invece
che essa può avvenire soltanto sulla base delPindividuazione di
un núcleo formale originário dal quale derivano i caratteri dei
vari strati costitutivi del testo filmico. Ora, non necessariamente
questa derivazione si presenta, come avviene nella cosiddetta ope­
ra « chiusa », classicamente unitaria, come pura e semplice rifra-
zione, in forma di cerchi sempre piu ampi, come quelli prodotti
dal sasso gettato nelPacqua, su quei vari momenti costitutivi:
ché, in questo caso, sarebbe corretto, una volta individuato il
í modulo formale di base (in modo giusto o sbagliato, non è
questo ora il* problema), scartare come strutturalmente contrad-
dittorio e non pertinente tutto ciò che non rientra in questa
scelta iniziale. E ciò non avviene, precisamente, quando il mo- •
dulo formale di base non è, appunto, un modulo unitário, ma
è già alia radice, come credo sia il caso di Antonioni, proble-
i matico, non portatore di una forma di relazione col mondo che
si amplifica poi nella struttura complessiva del film, ma rappre-

178
sentativo del dibattito, delia tensione dialettica fra due forme
polarizzate, in modo che i vari strati costitutivi delFopera non
si presentano come momenti di attuazione concreta in un modulo
formativo originário ma come momenti nei quali questa proble-
maticità e questa dialettica, questo dibattito formativo si attua
in film, si concreta nello sviluppo verticale ed orizzontale del
film. Con la conseguenza che la presenza di diversi moduli for-
mali, di diverse scelte di organizzazione del materiale non coin­
cide piu con un’assenza di unità formale ma, al contrario, con
la prova tangibile delia presenza di questa unità e delia sua
natura dialettica. Oppure, per porre la questione in termini piu :
semplici, se è costitutivo ed inerente al modulo formale origi­
nário il fatto che i vari strati compositivi del film debbano
svolgere una funzione diversa, o siano i luoghi concreti di attua­
zione delle distinte articolazioni delia forma originaria, apparirà
evidente che la contraddittorietà formale sarà soltanto apparente
e rispecchierà invece la sostanza reale delPoperazione.
È chiaro che una simile ipotesi, che è quella che è stata
qui affacciata per Antonioni, implica un modo di essere, una
sostanza delPoperazione artística di tipo autoriflessivo, o, meglio,
aatorappresentativo; implica la presenza di una forma d’arte
che, in ultima istanza, non tende a rappresentare la realtà ma se
stessa, il cui reale contenuto non è il senso delia realtà ma il
proprio stesso senso e questo anche e proprio nel momento in
cui una delle articolazioni del processo artístico è la ricerca del
senso delia realtà, come in Antonioni, ma, appunto, come mo­
mento dialetticamente legato e riferito ad un momento diverso,
che ne costituisce Poriginaria « alternativa di sguardo » che si
intende negare, ma al tempo stesso, la condizione determinante
e qualificante. Ma tutto ciò non è affatto una novità nella cul­
tura contemporânea, dove il ripiegamento delParte su se stessa,
in attitudine autoriflessiva e autorappresentativa è notoriamente
una delle condizioni piu ricorrenti, sia pure in forme diverse,
delia fenomenologia attuale delParte borghese: che non è tanto
rappresentazione delia crisi dei valori borghesi ma, essendosi
essa stessa costituita storicamente come uno di quei valori, testi-
monianza di quella crisi, coscienza di smarrimento di quel carat-
tere di serena e distaccata rappresentazione delia forma del mon­
do che lo sviluppo storico le aveva attribuito.
Questa consapevolezza delia necessità di ricondurre anche
il momento « realístico » delPattenzione visuale di Antonioni ad
articolazione di un’attitudine artística tutta tesa a definirsi come
valore e a ricercare nelPaggancio alia realtà, alPesperienza pra­
tica, il superamento delle proprie radiei puramente estetiche ed

179
assolutamente soggettive e il recupero delPantjca capacita di
essere trasparente e, al fondo, serena, indicazione di verità,
questa consapevolezza, dicevo, non comporta che questo mo­
mento realístico, considerato a se stante, manchi necessariamente
di verità, sia ridotto dalla sua funzione a mero espediente
privo di riferimenti alia concretezza delia realtà attuale, alie
forze trainanti che ne determinano la « qualità » a tutti i livelli.
Anzi, quanto piíi la presenza delia realtà del nostro tempo è
acuta, dura, massiccia ed esplicita, dunque evidenziata nei suoi
fenomeni piu rilevanti e determinanti, tanto piíi reale, autentica
e pregnante, piu trasparente e definita nei suoi termini reali
appare la polarità nella quale si genera la struttura problemática
delia visione, delPoperazione artística, e tanto piu radicata e
significativa appare questa problematicità. E, per converso, questa
specificazione e determinazione delia nozione di realtà si va ac-
centuando, in Antonioni, man mano che i termini reali del dibat-
tito interno alia sua opera vengono chiarendosi, quanto piu luci­
damente, non importa se a livello di consapevolezza empírica o
meno delPautore, la dissociazione delPantico binomio Verità-
Bellezza, nel quale Goethe sintetizza classicamente Pessenza del-
Parte, appare con Pevidenza delia lacerazione e si concreta come
polarità strutturale interna alPopera. Anzi, lo vedremo fra poco,
questo giungere ad una situazione di trasparenza delia polarità
originaria con la conseguente sempre maggiore determinazione
storica, « scientifica » del polo realístico (e relative conseguenze
a livello di organizzazione del materiale) è una delle linee sulle
quali può essere tracciato il filo rosso dello svolgimento dia-
cronico delPopera di Antonioni.
A livello di storia delia critica, questa progressiva lucidità
di determinazione dei fenomeni reali e la sua indissociabilità
dalla funzione che questo momento svolge nella totalità del
processo di visione, spiegano perche da una parte la critica che
si muove sulla linea delPAntonioni critico delia borghesia riesca
ad individuare degli elementi che sono oggettivamente presenti
nei film di Antonioni e, d’altra parte, perche sulla base di questa
linea non sia possibile giungere ad una definizione onnicompren-
siva dei caratteri di questo cinema e affiorino degli elementi
pertinenti ad una diversa forma di organizzazione del materiale
che altri critici puntualmente riescono ad indicare, sia pure
intendendoli come contraddittori a quella prima componente.
Prima di procedere restano da chiarire ancora due questioni
marginali ma che possono portare un contributo alia chiarezza
di questo discorso.

180
In primo luogo, la caratterizzazione di Antonioni come
narratore delia crisi delia borghesia, oltre che non comprensiva
delia complessità dei termini costitutivi delia visione di Anto-*
nioni, appare anche mistificatoria e scorretta dal punto di vista
storico e ideologico ed implica, da parte di critici che si preten-
dono marxisti, l’accettazione del punto di vista borghese e dei
valori borghesi. Perche le possibilita di interpretazione che si
possono dare alia nozione di « crisi delia borghesia » sono due.
O si vuole attribuire ad essa un valore, un significato oggettivo
e allora appare chiaramente mistificatoria, perche non si vede
dove si possano trovare i segni di una crisi di fronte alia situa-
zione di sviluppo accelerato del capitalismo italiano e alia rag-
giunta fase imperialistica di questo sviluppo. Oppure si vuole
dire che questo stesso sviluppo comporta e determina uno schiac-
ciamento delPuomo, la sua dissipazione, la disgregazione delia
sua coscienza: discorso e fenomeno vecchi e scontati, da quando
è noto che lo sviluppo capitalistico schiaccia e travolge quegli
stessi valori sui quali si era fondato e giustificato in termini di
soprastruttura ideológica. E il « male oscuro » del quale i per-
sonaggi di Antonioni soífrono è, appunto, la perdita di tali valori
e, per qualcuno, la consapevolezza di questa perdita. Ma se
questa sofferenza è lecita ai personaggi che sono appunto dei
borghesi nel senso di portatori delia mistificata coscienza borghese
che può appunto intendere questa perdita come disvalore e
come lacerazione, ciò non è lecito ad un critico marxista che
deve essere consapevole che Púnico disvalore reale, individuabile
sulla base di un’analisi che si fondi sui rapporti di classe, è il
sistema dello sfruttamento c che accettare come disvalori quelli
sofferti dalla coscienza borghese è nient’altro che un’accettazione
di quella ideologia. E, ancora, se Antonioni stesso sentisse questa
situazione come disvalore sarebbe lecito, perche Antonioni è un
artista borghese, mentre non è lecito che dei marxisti accettino
un simile punto di vista, lo facciano proprio, accusino anzi Anto­
nioni di non sapere rappresentare Ia crisi delia coscienza, cioè
delPideologia, borghese con maggiore tragicità. C’è poi da dire
che Antonioni, in realtà, non presenta i segni di questa crisi in
termini moralistici e che la sua lucidità, che è certo ancora quella
delPintellettuale borghese, lo porta a comprendere che non si
tratta di ricostituire i « valori » scomparsi o di piangerne Pas-
senza, non si tratta insomma di ricreare o giudicare moralisti-
camente Ia distruzione delia coscienza borghese ma di razionaliz-
zare questa coscienza, di adeguarla alia nuova situazione: si
pensi soltanto alie sue dichiarazioni, già ricordate, a proposito
delia « malattia dei sentimenti » o quelle a proposito delia ne-

181
cessità di adeguarsi alia « nuova bellezza » del paesaggio indu-
striale. Insomma, per concludere su questo punto, Pintelligenza
borghese di Antonioni è assai piu avanzata di chi, da supposto
marxista, gli chiede un canto trágico sulla morte di certi valori,
gli chiede, in definitiva, una celebrazione delPideologia borghese.
La seconda osservazione riguarda invece un’eventuale obie-
zione che potrebbe essere rivolta alia nostra affermazione delia
necessita di intendere anche il momento « realístico » come arti-
colazione di un problema artístico essenzialmente riflesso su se
stesso, nel senso già dichiarato, 1’obiezione, cioè, che, a livello
intenzionale, quella che Antonioni ci dà sia e sia soltanto una
rappresentazione delia realtà. È chiaro che ciò non cambia asso-
lutamente nulla, nel momento in cui la nozione di autorappre-
sentatività non è una categoria psicológica ma formativa: anzi,
a livello psicologico, soggettivo, o intenzionale che dir si voglia,
Antonioni deve credere alia verità del proprio sguardo sulla
realtà, come condizione necessária delia costituzione del polo
di tensione sul quale si costituisce la interna, costitutiva proble-
maticità delia sua visione.
Conclusa questa parentesi e ritornando a seguire il filo
del discorso, cerchiamo di vedere come Pipotesi interpretativa
che si è venuta qui proponendo possa darei ragione non solo
delia forma delia singola operazione filmica, ma anche dello
svolgimento nel tempo delPopera di Antonioni, delle direttrici
fondamentali del suo sviluppo, e dei caratteri e delle modifica-
zioni strutturali che nella funzione dei vari strati compositivi
astrattamente individuabili questo sviluppo produce.
Possiamo dire súbito che Pipotesi generale a questo riguardo
è che la problematicità originaria e strutturale di Antonioni si
attua concretamente non nelPambito di un solo film, ma nel-
Parco complessivo delia sua opera, o, piu precisamente, che
la sostanza problemática delia visione di Antonioni si converte
in un processo di problematizzazione delia visione stessa che si
snoda di film in film e che solo in questa conversione e nella
temporalità che essa implica, trova la própria concreta, reale
e compiuta attuazione. Questo, fra Paltro, ci dà la vera ragione
delia verità di quanto si dice delia coerenza di Antonioni, del
fatto che « ogni suo film comincia là dove Paltro finiva »: che,
se ciò dipendesse soltanto dalla coincidenza dei « contenuti » di
Antonioni con il succedersi delle situazioni esterne sarebbe solo
indice di passività naturalistica; se dipendesse invece solo dalla
persistenza di una stessa tematica sarebbe solo indice di mo­
notonia.

182

Ma, a parte questo aspetto marginale, Pipotesi esposta


sopra comporta, innanzi tutto, che il filo dello svolgimento di
Antonioni debba essere rintracciato nella progressiva presa di
coscienza, oggettiva, si badi, immanente al film, non psicológica
o soggettiva, dei termini reali del dibattito, dunque nella loro
progressiva esplicitazione e trasparenza, e che ciò, a sua volta,
comporti che la problematicità delia visione si risolve in una sua
progressiva e alia fine esplicita problematizzazione.

La prima fase delia visione di Antonioni: i

« realtà » e « immagine » a
Questo farsi effettuale delia sostanza problemática delia
l;
visione di Antonioni nella dimensione diacronica attraverso la
radicalizzazione e la sempre maggiore determinazione dei due poli :
dalla cui tensione scaturisce quella forma di visione, che si ••:
risolve nella accettuazione stilistica del polo estetico-visibilistico
e nella sempre piii concreta determinazione del polo « realistico », |
si attua concretamente attraverso la progressiva specificazione,
sia di contenuto che di forma, alia quale Antonioni sottopone
quella che è la nozione principale del suo universo intenzionale,
cioè la nozione-mito di « realtà », che è un termine che ricorre
in modo assai frequente nelle dichiarazioni del regista ed è certa­
mente un altro retaggio delPesperienza neorealistica e, prima
ancora, delia sua formazione culturale e di una concezione esté­
tica, assai corrente soprattutto alPinterno delia cultura cinemato­
gráfica, per evidentissime ragioni, fondata sul binomio (di oppo-
sizione-relazione) di arte e realtà. In effetti, a livello intenzionale
o di consapevolezza esplicita, la poética di Antonioni può essere
ricondotta alPinterno delia categoria delia captazione-trasfigura-
zione delia realtà e questi sono i termini in cui egli si pone il «

problema dclPoperazione filmica. Ma è chiaro che, essendo la


nozione di « realtà » fra le piii ambigue e semanticamente poli- I
valenti, ciò che interessa è, pur tenendo conto delia sua presenza =
in termini di « mito mentale », determinare il contenuto speci-
fico che essa assume, o viene via via assumendo, in Antonioni,
avendo poi sempre come punto di riferimento sostanziale la
funzione oggettiva che questa nozione svolge, cioè quella di polo
opposto o termine di superamento di un momento originário e
costante ,quello estetico-impressionistico. È chiaro che questa
funzionalità determina una prima forma di specificazione delia
nozione di « realtà »: la realtà è il momento pratico, non con­
templativo ma affettivo, sociale, storico delPesperienza e se, per
tornare al binomio di cui si parlava sopra, la bellezza coincide con

183
Vaisthesis pura, e dunque con Paccentuazione delia sensor ialità
del fenomeno e con la sua sublimazione attuata in termini spazio-
temporali, la verità concerne appunto questo momento pratico,
vitale, delPesperienza, dunque con la messa in campo e Porga-
nizzazione di un materiale che lo rappresenti.
Ribadito questo punto, che è condizionante per la compren-
sione delia funzione eílettiva svolta da questo polo del dibattito
formativo, possiamo ora passare ad individuare la prima forma di
determinazione specifica che questa nozione assume in Antonioni.
E come è noto e scontato, tale prima forma di determinazione
pone la realtà vera, quella essenziale e davvero significante nel-
Pinteriorità sentimentale delPindividuo, naturalmente colta nei
suoi modi di manifestazione esterna, dunque filmabile, come
forma di comportamento. Le ragioni di questa scelta sono diverse
e, poiché non interessano direttamente il nostro discorso, che
non ricerca gli antefatti, possiamo elencarle sinteticamente, o
ripeterle, sarebbe meglio dire: da un lato la qualità delia sua
formazione umana, svoltasi principalmente in forma di « educa-
zione sentimentale», come abbiamo già ricordato citando lo
stesso Antonioni; dalPaltro la consapevolezza delPesaurimento,
se non delia superficialità del populismo neorealista e delia
necessita di scavare piíi a fondo per cogliere la vera situazione
umana del nostro tempo: e basterà ricordare, a conferma, le
osservazioni di Antonioni a proposito di Ladri di biciclette;
infine, Pintervento di determinati filtri culturali, dai quali lo
« sguardo coito » di Antonioni non può evidentemente prescin-
dere, o Passunzione del momento culturale dominante a livello
europeo come elemento oggettivamente costitutivo delia realtà.
Ma, naturalmente, ciò che piu ci interessa non sono tanto
le motivazioni, quanto le conscguenze che questa scelta, o que­
sta prima forma di determinazione delia « realtà » produce a tre
livelli: a livello del tipo di organizzazione di questo strato; a
livello delia forma di relazione concreta che si viene a stabilire
fra il polo « realistico-pratico » e il polo visibilistico-contempla-
tivo e del modo in cui essa si costituisce; a livello, infine, delia
configurazione che la visione problemática assume in questo pri­
mo stadio di attuazione, e del grado di sviluppo del suo processo
di esplicitazione.
Per quanto riguarda il primo aspetto, pur restando fermo
il generale carattere «documentário» di questa articolazione
del processo filmico, connaturato con la sua funzione e con le
ragioni stesse delia sua presenza, appare chiaro che si rende
necessário un minimo di organizzazione « narrativa » del mate­
riale con il conseguente ricorso a generalissime forme di costru-

184
I
Ȓ*'
i*::?
•!
•s
I

zione derivate da « modelli narrativi » speciíici e a tecniche di


sceneggiatura: è la situazione che si verifica in Cronaca di un
amore e, in forme diverse, in tutti i film che appartengono a
questa fase, fino al Grido, mentre per 1*Avventura, che pure \
rientra in questa fase e ne rappresenta il massimo esito, il mo­
mento piíi raggiunto e contemporaneamente il núcleo dcl suc-
cessivo svolgimento, va fatto un discorso a parte. Naturalmente,
poiché questa necessita di mediazione « narrativa », è, in fondo,
contraddittoria con la funzionalità specifica alPinterno del processo
di visione, questa fase è caratterizzata dalla ricerca di modelli
narrativi che siano il meno estrinseci possibile, e piíi riducibili
alia equazione di realtà e interiorità, piíi congrui alia qualità
« documentaria » che deve possedere questo strato del film, piíi
disponibili alPaggancio al momento estetico-contemplativo: di
qui la progressiva spoliazione dei caratteri piu evidentemente
mediati da preesistenti modelli narrativi, il superamento delia
struttura « poliziesca » di Cronaca di un amore e la sperimen-
tazione del modello psicologico-realistico in La signora senza
camelie e nelle Amiche, in cui Antonioni tenta una forma piu
complessa alPinterno delia stessa linea, fino al modello del rac-
conto-viaggio, nel Grido, mediato si da certi modelli americani,
ma assai funzionale per la destrutturazione documentaria delia
vicenda, infine il racconto-ricerca áe\Y Avventura, il piu funzio­
nale di tutti e quello piu spogliato di aggregazioni e di elementi
accessori e non pertinenti.
Ma è chiaro che, se Pipotesi interpretativa che veniamo
qui svolgendo è fondata, Panalisi dei moduli narrativi che in-
tervengono nelPelaborazione del materiale messo in campo e
delia loro maggiore o minore corpulenza, non è il punto piu
significativo perche questo aspetto, del qualc comunque bisogna
certo tenere conto, è soverchiato dal carattere piu macroscopico,
dalPaspetto dominante che consiste nella esibizione delia situa­
zione in termini di brano comportamentale aperto, indetermi-
nato e non finalizzato, tale solo estrinsecamente, come momento
accessorio.
II punto chiave per accedere alia comprensione di questa
fase del cinema di Antonioni è invece la considerazione del tipo
di relazione che si determina fra azione e fondo e delle conse-
guenze che se ne possono trarre.
Tale relazione si risolve, come abbiamo già visto a propo-
sito di Cronaca di un amore, in una equivalenza assoluta, nella
attribuzione al fondo di un peso visivo, di una presenza del
tutto uguale a quella del momento comportamentale. Questo
risultato, questo schiacciamento unidimensionale è ottenuto, lo

185
'
\t ;
sappiamo, attraverso una serie di scelte tecniche che riguardano
innanzi tutto la forma delPinquadratura, in concreto Puniformità
e la costanza delia focalità e la campitura, che evita rigorosa­
mente i piani che isolino il personaggio dal fondo e privilegino
quindi il momento deirinteriorità che si snoda attraverso il sog-
getto; in secondo luogo la forma del montaggio, che non solo
rifiuta le scelte compositive delia drammaturgia filmica ma, at­
traverso 1’adozione delia técnica di movimenti di macchina e
delPindugio sottolinea come persistenza e costanza la presenza
del fondo. Non si vuole dire che le scelte tecniche specifiche
siano le stesse per tutti i film fino al Grido, ci sono certo delle
variazioni che però non possiamo definire qui, per non perdere
di vista la linea fondamentale del discorso, ma quello che è
certo è che le scelte di fondo, le scelte qualificanti sono unitarie
e costanti fino a quel film.
Si pone allora il problema di definire la valenza e il signifi-
cato di queste scelte, di definire il senso profondo di questa
uniformità, o di questa unidimensionalità del materiale di rap-
presentazione, alPinterno delia linea di svolgimento che stiamo
cercando di dipanare.
La soluzione di questo problema sarebbe semplice se si
dovesse accettare la tesi del saggismo comportamentistico, che
spiegherebbe la presenza del fondo con la necessita di mantenere
presenti e costanti le coordinate spazio-temporali del brano di
comportamento, o quelPaltra, ancora piu semplicistica, che parla
di « paesaggio in funzione psicológica », banalizzando notevol-
mente la nozione di « analogia visuale » e non tenendo conto
del fatto che, mentre nel caso del « paesaggio in funzione psi­
cológica » la riferibilità delPelemento oggettuale è immediata,
perché si fonda sostanzialmente sopra certe relazioni fra feno-
meni visivi e stati d'animo culturalmente consolidate e fondate
sopra 1’identità iconica del fenomeno e dell’oggetto, qui tale
riferibilità appare assai meno facile, oltre che per tutte le consi-
derazioni già fatte, soprattutto perché il termine da ridurre a
esplicitazione psicológica non è questo o quel fenomeno, questo
o quelFoggetto, ma la costante accentuazione delia visibilità
fotogenica del materiale, dunque un modo di essere costante del
materiale, delia realtà visibile. «Modo» che si estende, fra
1’altro, agli stessi elementi costitutivi delFazione, al gestire dei
personaggi, al loro collocarsi alFinterno delPinquadratura, ai
modi concreti del loro stesso agire.
In che modo allora si può stabilire il senso di questa forma
costruttiva? e in che modo, e in quale grado di sviluppo, vi si
attua quel dibattito fra le due diverse forme di relazione con la

186
i
realtà (attenzione al visibile come fenomeno estetico e attenzione
alia realtà come mondo agibile, luogo delPintervento pratico del-
nw
Puomo nella storia) che abbiamo visto essere il modulo formale ;'
di base delia visione di Antonioni?
Abbiamo detto prima che il farsi effettuale nella diacronia
delia dualità immanente alia visione di Antonioni coincide e si
concreta nelle diverse spècificazioni che la nozione di realtà
assume progressivamente, o, in altri termini, nel contenuto del
quale questa presenza delia realtà viene caricata, nella forma
specifica che essa assume nel momento in cui viene posta ad
oggetto delia visione filmica.
Ora, a mio parere, Ia forma assunta dalla « realtà» in gí
questa prima fase del fare filmico di Antonioni è quella di
complesso indistinto, indistintamente interrogato come sorgente
di impressioni e come luogo dell’esperienza pratica o esisten-
ziale. Insomma la realtà è qui, per usare le parole stesse di An­
tonioni, il « mistero dell’immagine » che la camera percepisce
e dilata per il suo apparire al tempo stesso che ne estrae dei
comportamenti come segni corpulenti di una situazione esisten-
ziale. Appare allora chiaro che, alPinterno di questa indistinta
concezione delia realtà come « immagine misteriosa » di cui Pap-
parire e Pesistere come termine delPumana esperienza sono pari-
tariamente Pepifania del senso che la camera interrogante riesce
ad estrarre dal fondo di questa entità misteriosa, il valore ana­
lógico di cui si viene a caricare il lato estetico delPimmagine,
del materiale, piíi esplicitamente nei momenti delPindugio, negli
« spazi bianchi » delPazione, non può essere in alcun modo con-
siderato in termini di espediente di raffigurazione o di esplici-
tazione di uno stato d’animo specifico: o, insomma, quando si
parla di valenza analógica delia immagine di Antonioni non si
può parlarne assolutamente in quei termini, nel momento in
cui, appunto, la dilatazione delia visualità delPimmagine è, al
pari delia situazione esistenziale, Pepifania delia realtà interrogata
dalla camera, la qualità profonda che la camera riesce ad estrarre
dalPimmagine interrogandola.
Insomma Yapparire fenomenico che la camera impressio-
nisticamente capta, ferma e dilata si configura immediatamente
come il sostitutivo analogico del senso profondo delia realtà,
come suo modo di manifestazione alio stesso modo delia situa-
zione esistenziale agita dai personaggi, che infatti, e si ripensi
alio scritto citato, non viene affatto formulata come portatrice
di una diversa forma di attenzione al reale o di intervento su
di esso.

187 & •
In altri termini, ciò significa che in questa fase — se tor-
niamo per un momento a vedere le cose dal punto di vista
oggettivo, che è per noi quello che colloca la matrice formale del
fare filmico di Antonioni nella presenza di un momento « esté­
tico » originário che cerca di affermarsi come portatore di « senso »,
come inerente alia « realtà » delPesistenza, — tale operazione di
attribuzione di senso, o di superamento delia valenza puramente
estetica delle immagini prodotte dallo « sguardo» originário,
operazione nella quale consiste la problematicità delia visione di
Antonioni cosi come noi 1’abbiamo definita, si compie in modo
diretto, immediato, «aproblematico», potremmo dire, se non
avessimo il timore di cadere nel paradosso. Ciò perche le imma­
gini che sono il prodotto dell’originario atteggiamento estetico-
contemplativo, trovano direttamente il loro aggancio umano, esi-
stenziale, nelTessere presentate come forme di manifestazione o
come emanazione di una mitica « realtà », concepita ancora in
termini tanto indistinti da permettere di ricomporre in essa facil­
mente senza « dolore » o senza una (ancora non raggiunta) « co-
gnizione del dolore » le istanze antitetiche che si nascondono
nella radice profonda dalla quale si genera la visione di Anto­
nioni, « mascherando » con la sua indistinzione la lacerazione di
fondo e permettendo appunto di attribuire senza difficoltà ai
prodotti delia sensibilità impressionistica di Antonioni Ia « di-
gnità » delPoperazione conoscitiva.
Di fronte a questa definizione del primo modo di attuazione
delia visione di Antonioni, ci si chiederà allora se vi siano real­
mente questa problematicità, il dibattito interno e la tensione che
essa comporta, o se non sia piuttosto il caso di cambiare aggettivo
e di chiamare « mistificata » questa operazione che per riscattarsi
da un estetismo originário si finge o si precostituisce una « con- I
ciliante » immagine delia realtà. No di certo, perche ciò potrebbe
essere vero se non si trattasse di un procedimento oggettivo,
a-intenzionale, come pensiamo che sia, ma, appunto, tutto svolto
a livello intenzionale, perfettamente voluto e controllato: mentre
ciò non è vero, perche dei termini costitutivi del processo di
visione ciò che affiora a livello intenzionale è soltanto la nozione
di realtà e questa sola è Poggetto che la mente di Antonioni si
sforza di specificare e di mettere a fuoco, il problema che essa
pone e che lo svolgersi delia visione filmica deve dipanare, in
modo che, a questo livello delia consapevolezza o delPintenzio-
nalità, la problematicità delia visione non si riconosce, ancora
almeno, interna ai caratteri originari delia visione stessa ma è
collocata nella natura del suo oggetto. Dunque non c’è intento
mistificatorio, ma una non consapevolezza delia oggettiva polarità

188
fra attenzione estetica al fenomenico ed attenzione ad esso come .
« luogo esistenziale », dalla quale si genera la sua arte. E, d’altra
parte, che non si tratti di mistificazione ma di latenza oscura
di una lacerazione solo apparentementc riconciliata in un’idea
delia realtà o attraverso questa, appare evidente dalla « irrequie-
tezza » che Antonioni mostra in questa fase del suo cinema, nel
continuo « cambiare registro » sia pure alPinterno delia stessa
struttura fondamentale, segno che egli, se non è consapevole dei
termini reali delia lacerazione che la sua nozione di realtà si
presta a mascherare, « sente » però confusamente che la sua im- !
magine delia realtà, che è ciò che egli crede di darei e vuole i;
darei nei suoi film, è minata da qualche cosa che la rende inau­
têntica. Di qui, da questa oscura consapevolezza e dalla volontà
di darei una vera immagine delia realtà, nasce quel continuo
insistere nello specificare e determinare i caratteri oggettivi del
proprio materiale che lo porterà a fare esplodere la contraddi-
zione che si celava nella primitiva immagine: ed è per questo,
d’altra parte, che possiamo assumere il processo di critica al quale
viene sottoposta una nozione intenzionale come quella di realtà,
come filo conduttore ed elemento motore di un processo di svol-
gimento oggettivo delia visione di Antonioni, com’è la progres­
siva esplicitazione delia sua interna problematicità.
Ma queste considerazioni ci hanno portato ad anticipare i
tempi; mentre si tratta invece, ancora, di specificare meglio i
caratteri di questa prima fase del cinema di Antonioni ed in
particolare di chiarire le ragioni di quella indeterminatezza delia
nozione di realtà e i conseguenti caratteri delia struttura filmica
che ne deriva e che è la forma concreta di attuazione di questo
primo momento delia visione del regista.
Possiamo dire insomma che, se sulla base dei primi rilievi
abbiamo formulato una prima ipotesi, si tratta ora di conso­
lidaria e approfondirla, specificando meglio il contenuto reale
delia nozione di realtà in questa fase (o, che è lo stesso, la forma
specifica nella quale viene mobilitata 1’immagine delia realtà)
e i caratteri costruttivi che di questa situazione sono il prodotto
e insieme 1’indizio.
Insomma, dopo aver cnunciato 1’ipotesi sulla funzione svolta
in questa fase dalla nozione di « realtà » dipendente dalla sua
forma indistinta, « mitica » diremmo, cerchiamo ora di consoli-
dare e caricare di contenuto questa ipotesi riprendendo il discorso
interrotto e specificando meglio gli elementi che ci avevano per-
messo di fondarla: il che ci permetterà, fra il resto, di dare
una prima risposta a quel problema delia definizione dei diversi
modi di attuazione delia funzionalità del momento d^nvenzione

189

_
che, non dimentichiamolo, deve essere un punto di riferimento
costante, perche è di là che è nata la necessita di riformulare
anche in termini di svolgimento la nostra definizione delia forma
specifica del cinema di Antonioni.
QuaPè, allora, il dato oggettivo, 1’esplicito carattere costrut-
tivo che ci può permettere di dare un concreto e preciso fonda-
mento alia nostra ipotesi che la nozione di « realtà » sia, in
questa fase, una sorta di « astuzia delia ragione poética » che
permette di ribaltare in un’entità ancora indistinta la problema-
ticità interna alia visione e di configurare questa come un puro,
quasi distaccato ed asettico, processo conoscitivo, una sorta di
interrogazione insistita che fa trasparire alfine ciò che il feno-
menico informe cela in se stesso? Alia prima provvisoria for-
mulazione delia nostra ipotesi siamo arrivati, con un salto forse
troppo brusco, dalla constatazione del carattere unidimensionale
dell’« universo » messo in campo da Antonioni, consistente nella
assoluta equivalenza che vi hanno il fondo e 1’azione, il materiale
plástico e le situazioni comportamentistiche, la visibilità e la
fattualità dei dati fenomenici. Ora questa « equivalenza » non
è che la spia piii esteriore di un procedimento assai piu com-
plesso, il dato di osservazione immediata che vale solo a far
scattare 1’ipotesi in base alia quale procedere ad una definizione
piu esauriente e piu approfondita del procedimento costruttivo.
Diciamo allora che tale procedimento costruttivo consiste nel
porsi di fronte al flusso magmatico e polivalente dei fenomeni
come a qualcosa che porta celato, incorporato in se stesso il senso
profondo delPesistenza, o delia situazione esistenziale, e nel-
1’estrarne questo senso attraverso il paziente e percettivo gioco
delia camera (di cui il montaggio lungo e la camera mobile sono,
per cosi dire, i « segni tecnici »), costituendo i fenomeni stessi,
per il loro apparire indistricabile dal loro esistere, come immagini
emblematiche, come emblema oggettivo delia « realtà ».
Questo tipo di procedimento comporta che la costituzione
del fenomeno in immagine venga presentata come attuale ed
in fieri, che è la condizione strutturale piu generale delia forma
di Antonioni, e piu particolarmente che il fenomenico ci venga
esibito in forma aperta, apparentemente indeterminata, come
abbiamo piu volte ripetuto, ed è questa la prima ragione ol-
tre che la prima manifestazione di quella che abbiamo chiamato
la struttura documentaria del materiale rappresentato da Anto­
nioni. Ma, a parte queste considerazioni generali, già note, come
è possibile fare emergere nel fenomeno la sua emblematicità senza
manipolarlo tuttavia, lasciandone apparentemente intatta la asso­
luta indeterminata oggettualità? E’ possibile, appunto, dispiegando

190
u
il gioco delia camera come una sorta di insistente interrogazione
che non finalizza Pelemento oggettuale ad un disegno discor- i
sivo predeterminato, ma lo assume in sé, nella sua inscindibile
doppia valenza di fatto visibile e di evento, fermandolo in questa
sua globalità pluridimensionale come punto di condensazione del
senso che scorre nei fenomeni e che il gioco delia camera è
riuscito alfine a captare. Ecco allora come la ricettività « estetica »
e Fattitudine sospensivo-contemplativa a cui dà luogo si giusti-
fica immediatamente come operazione conoscitiva, come stadio
necessário per giungere a cogliere Femblematicità del fenomeno
nella sua totalità. Ed ecco come accade che, per essere parte
costitutiva ed indistricabile del processo di emblematizzazione
delia globalità del fenomeno, delle due componenti astrattamente
identificabili nel fenomeno stesso, Pessere « evento » e Pessere
visibile o, piíi generalmente, Pessere sensibile del fenomeno, ;•
vengono ad assumere, considerata ciascuna per proprio conto,
una configurazione singolare. Infatti la prima, mobilitata neces­
sariamente dalla sua appartenenza ad un contesto « narrativo »,
viene ad assumere una valenza « epifanica » che non è pertinente
e prescinde dal contesto narrativo che pure Pha mobilitata, viern
cioè, per cosi dire, decontestualizzata nel momento in cui s
propone come emergenza emblemática di un senso che non stJ
nel contesto narrativo, ma, appunto, in quella « realtà » dalla
quale si produce il fenomenico. La seconda componente, quella
visuale o sensoriale, finisce con Passumere dalla contestualizza-
zione col momento fattuale del fenomenico-immagine e col
contesto narrativo che Pha mobilitato, una valenza analógica, di
«corrispondenza sensoriale» del senso del quale è portatore
Pevento, che può far nascere fra Paltro, — ma a torto come è
evidente — Pimpressione di una funzionalizzazione simbolico-
psicologica del puro frammento visibile al contesto narrativo, ma
che, soprattutto, può dare Pimpressione di uno schematismo figu-
rativo-simbolico. In realtà, i caratteri visuali delPimmagine che
possono apparire tali (che sono poi i cosiddetti « manierismi »
di Antonioni) sono invece le condizioni concrete, tecniche potrem-
mo dire, delPattuazione concreta del momento sensibilistico delia
sua visione, e, in questa fase del suo processo di svolgimento,
delPassegnazione alia globalità del fenomeno, e dunque anche
alia sua visibilità, come si diceva, delia valenza di emblema
oggettivo.
Per mantenerc il senso delia globalità del fenomeno si devono
fare i conti con il fatto, al quale si è già accennato, in uno dei
capitoli precedenti, che Pocchio dello spettatore, che è « storico »
anch’esso, come è evidente, è tendenzialmente portato a privile-

191 .
;•
i
giare 1’elemento « azione ». È necessário dunque bilanciare que-
sta tendenza con un potenziamento artificioso degli elementi
inerti, raggiungibile attraverso quelle scelte di costruzione del-
I Tinquadratura e del montaggio che possono appunto rendere
concreto questo « bilanciamento »: e a livello d’inquadratura
avremo allora, oltre le scelte inerenti alia focalità e alia profondità
di campo, quelle forme di decentramento spaziale delPelemento
portatore di azione, o di accentuazione del peso degli oggetti
attraverso adeguati rapporti di massa o di tonalità cromatica; a
livello di montaggio le varie forme di sospensione. Insomma
tutte forme che, nelPanalisi differenziante condotta nel terzo capi-
tolo, avevamo detto essere il prodotto delia volontà di non corre-
lare attorno alPasse compositivo drammatico il materiale e che
non andranno dunque intese né come meccaniche trascrizioni
figurativo-simboliche, né come ricerca degli « spazi bianchi » o
- àç\Yinespressività del vuoto, come molti si ostinato a credere e
come possono apparire alPocchio dello spettatore comune per
la stessa ragione vista sopra.
La conseguenza costruttiva macroscópica di questa prima
forma di attuazione delia visione di Antonioni si determina a
livello delia struttura lineare del film che è chiaramente una
struttura frammentaria o, meglio, assume forme abbastanza simili
a quelle delia « poesia frammentaria ». In che senso usiamo questo
termine e da cosa deriva questo carattere?
Con quel termine intendiamo alludere al fatto che nello svol-
gersi del film si alternano momenti nei quali il flusso del feno-
menico si condensa in immagine, in questa sua valenza emblemá­
I tica, ad altri momenti che sono di « preparazione » di questi.
E ciò deriva, diciamolo sinteticamente perche dovrebbe apparire
ormai del tutto evidente, dal fatto che quelPimmagine, quella
condensazione emblemática del fenomeno è il prodotto di un
processo di visione interrogativa, di un’operazione interrogativa
che è, come si è ripetuto piu volte, attualizzata nel farsi del
film e non un mero antecedente, un momento delia sua preistoria.
Dunque, nel suo complesso, lo svolgersi del film si con­
figura come un processo di preparazione o di « ricerca », se si
vuole, delPimmagine, che si concreta sia all’interno delia sequenza,
dove 1’elaborato, avvolgente gioco delia camera ne rappresenta
quasi la sigla técnica, sia nella successione delle sequenze, impli­
cando e giustificando dunque la presenza di sequenze piatte, anche
banali da un certo punto di vista, puramente funzionali e stru-
mentali non tanto o non solo per la costituzione dei passaggi
« narrativi », quanto piuttosto per la liberazione delVimmagine,
che può giungere allora fulminea, apparentemente improvvisa,

192
n
-
contratta (si pensi solo al piano-sequenza delia morte di Rosetta
nelle Atnicbe), o come emergenza o serie di emergenze che ven- '
gono affiorando e scomparendo nel lento e paziente gioco di
costruzione delia sequenza, come avviene in molti brani di Cro- \
naca di un amore, delia Signora senza camelie, o nel finale del-
Pepisodio inglese de I Vinti, e naturalmente nella sequenza del-
1’isola de\YAvventura o in tutto il finale dello stesso film, nella
sequenza del delta nel Grido, tanto per ricordare alcuni esempi
fra i tanti che si potrebbero citare.
Dunque, per fare il punto sulla situazione, in questa prima
fase che va da Cronaca di un amore al Grido, i film d*Anto-
nioni — al di là dei caratteri singolari di ciascuno che non pos- io- .
sono essere presi minutamente in esame airinterno di questo
discorso, che mira solo a definire la generale matrice formale e
le linee unitarie di svolgimento che da esso si generano — sono
caratterizzati da una struttura nella quale la registrazione distaccata
e impersonale di un flusso fenomenico che reca in sé incorporato
Pintreccio come componente comportamentistica, che sembre- i
rebbe rimandare ad una poética di derivazione flaubertiana e
gidiana, si rivela in realtà intessuta di momenti nei quali questo
apparente fluire amorfo si condensa in zone nelle quali Paccen-
tuazione delia visibilità, delPessere spazio-temporale del fenó­
meno coincide con la sua trasformazione in epifenomeno, in im-
magine, che è la rivelazione misteriosa ma pienamente conclusa
per Antonioni, di una « realtà », ossia di un senso che il fenc
menico, inteso nella sua dúplice valenza di mondo sensibil
e di mondo agibile, luogo delPesistenza e del comportamentt
reca in se stesso, cosicché, per usare gli stessi termini di Anto
nioni, in esso la realtà delPimmagine coincide con il suo « mi-
stero ». E saper coglierc questo tessuto di immagini, saperlo
percepire oltrepassando il richiamo ingannevole delPintreccio e
dei suoi contenuti esterni, che parrebbcro rimandare ad una
gélida e in fondo banale psicografia delPanimo piccolo-borghese,
è di fondamentale importanza proprio per cogliere fin dalle ori-
gini, nella sua prima forma di maniíestazione, la complessità e
lo spessore dello sguardo di Antonioni e la concreta realtà delia
trama di relazioni funzionali fra i vari strati costitutivi del film
alia quale dà luogo. Sappiamo che alPinterno, appunto, di questa W
trama, se il momento originário, primário, è la percettività di
quello sguardo, lelemento determinante per il risultato nel quale
questa costante delia visione si concreta è la forma che vi assume
la nozione di realtà: forma che è appunto quella di entità miste­
riosa, indistinta, polivalente che abbiamo visto essere al fondo di :
questo primo momento nel cinema di Antonioni.
v-.
193

I-
Ma se questa forma di mobilitazione delia nozione di realtà
dà luogo a questa prima risoluzione delia problematicità interna
alia visione del regista, occorre chiarire a questo punto — proprio
perché si tratta di una risoluzione non definitiva e costante, ma
provvisoria — quali siano le ragioni di questa forma, come sia
potuto avvenire che la « realtà » sia stato evocata ed introdotta
funzionalmente nel processo di costruzione dell’immagine nei
termini e nei modi che abbiamo veduto. Rispondere a questa
domanda significa definire quale sia il contenuto che in questa
fase la mente di Antonioni assegna alTidea o alPimmagine di
realtà, la qual cosa riconduce poi il discorso a saldarsi con la
concreta esperienza umana delPautore, riacquistando una concre-
tezza che forse finora sembrava non avere.
Ora, a mio parere, il nodo delia questione sta nel fatto che
effettivamente questa fase è 1’immagine che Antonioni ha delia
« realtà » è un’immagine puramente « letteraria >>, ricavata da
un’esperienza tutto interiore, sentimentale ed intellettuale, è
un’idea di realtà e non una cognizione concreta. Ed è in questo
senso che mi pare possa essere parzialmente accettata, ma sarebbe
forse meglio dire recuperata alPinterno di una diversa formula-
zione del problema, la tesi di chi, come Chiarini, sostiene di
carattere e la natura letteraria del cinema di Antonioni. Ma vedia-
mo, intanto, di marcare bene i punti di differenzazione cosi da
arrivare per questa via ad una determinazione piu precisa del
problema avendo un preciso punto di riferimento. II primo, e
meno importante, elemento di differenziazione consiste nel fatto
che, a mio parere tale « letterarietà » non è una costante invaria-
i
bile delia personalità artística di Antonioni, come è per Chiarini,
ma è limitata ad una fase precisa del suo svolgimento, anche se,
senza dubbio, permangono residui anche nelle fasi successive. Ma
ciò che piu conta è che, mentre per Chiarini la letterarietà è
generalmente costitutiva del contenuto che Antonioni cerca di
rappresentare con un mezzo espressivo non pertinente e coincide
con le nozioni di « interiorità » o di « psicologia », nel discorso
che veniamo qui sostenendo il problema delia letterarietà non è
risolto nello schema contenuto letterario-mezzo espressivo filmico
con le conseguenti distorsioni strutturali, ma vienc ricondotto al
carattere che in una certa fase assume un momento funzionale, la
nozione di realtà, interno ad un processo formativo che è un
processo di visione che si fonda sopra un materiale pertinente al
mezzo espressivo (il complesso dei fenomeni « fotogenici »), un
processo il cui reale « contenuto » globale è altrove che nella
psicologia dei personaggi. Dunque la prospettiva nella quale si

194
n ■:

1 *
formula la questione delia letterarietà di Antonioni è assai diversa
da quella del dualismo contenuto-forma.
AlFinterno delia nostra prospettiva, la letterarietà non con­
siste nella matéria delia narrazione anzi, di per sé, il porre Pindice
piu significativo delia realtà nei rapporti individuali, o nella strut-
tura individuale delPuomo, non pare un fatto negativo, una volta
che sia chiaro che la camera coglie questa individualità nelle sue
proiezioni esterne, comportamentistiche. Consiste invece nel fatto
che, in un processo formale fondato originariamente sul rapporto
di tipo « estetico », nel senso piu volte chiarito, fra camera e
materiale, Porigine o la sostanza del termine che viene introdotto
come polo di tensione per il superamento dei limiti di quel rap­
porto originário, la « realtà » come aspetto pratico, vitale, umano
delPesperienza, si rivelano essere un’origine ed una sostanza « let-
teraria », proiettata sui fenomeni e ad essi imposta, e dunque tale
da rendere soltanto illusorio e provvisorio il risarcimento in
senso etico e conoscitivo delia pura sensibilità dalla quale si genera
e nella quale originariamente si produce la visione.
Insomma, sinteticamente, il processo di conversione del
momento visibilistico-impressionistico in attenzione alia realtà in
questa prima fase si íisolve nella formulazione di un’immagine
nella quale dato estetico e dato esistenziale possono comporsi
unitariamente per Pindeterminatezza stessa delia nozione di real­
tà, indeterminatezza che coincide con il suo contenuto o la sua
origine tutta mentale, con il suo essere la proiezione alPesterno,
la sostanzializzazione, potremmo dire, di un’esperienza tutta auto­
biográfica e cólta che propone sé stessa direttamente come porta-
trice del senso delPesistenza anziché cercare di mediarsi e di
oggettivarsi. Piu precisamente, ciò significa che quelli che sche-
maticamente avevamo chiamato Pautobiografismo e Pintellettua-
lismo di Antonioni diventano delle forme di mistificazione e di
adulterazione del processo di attenzione alia realtà non per la
loro presenza, non cioè perché non sia lecito misurare i dati
esterni sulle coordinate delia própria esperienza individuale, ma
perché non è lecito neppure il processo opposto, la riduzione
delia realtà, piu precisamente delia nozione di realtà, alia própria
esperienza. Ed in ciò, appunto, consiste la letterarietà di questa
nozione e il suo prodursi alPinterno del processo filmico come
entità indistinta (con tutte le conseguenze strutturali già viste):
nel fatto cioè che Passolutizzazione del dato privato e letterario,
dell’« educazione sentimentale e culturale», la sua proiezione
diretta alPinterno dei fenomeni attraverso il momento « narra­
tivo » che in questa fase ne rappresenta il veicolo, la sua man-
cata o solamente illusoria commisurazione con dei parametri

195 /

i
oggettivi, non rappresento la realtà ma, appunto, un’immagine
assolutamente soggettiva di essa, nel senso che non riescono, né
possono riuscire, a fare emergere davvero quel volto reale, ogget-
tivo dei fenomeni che la visione di Antonioni cerca per giu-
stificarsi e « riscattarsi ».
Si badi che queste considerazioni non sono, o almeno non
vogliono essere, né un processo alie intenzioni, o una « psicolo-
gizzazione » del processo di visione, né un’imposizione normativa.
Non sono la seconda cosa perché, è chiaro che 1’entificazione
deirinteriorità individuale non è posta come illecita in sé, ma
come incongrua a sostenere il ruolo che dovrebbe svolgere nel
processo formativo di Antonioni. Non sono la prima perché —
anche se il discorso può sembrare assumere 1’apparenza delia de-
scrizione psicológica, ma ciò per motivi di chiarezza espositi-
va — ciò di cui si parla sono sempre delle articolazioni costruttive
oggettivamente rintracciabili che si appoggiano, o fondano la
loro « credibilità », sui modi specifici nei quali i due poli costi-
tutivi del processo di attenzione di Antonioni, aistbesis e tensione
conoscitiva, si producono nella concretezza dell’operazione filmica.
E quando si parla, allora, di forma mitico-indistinta delia realtà
coincidente con la sua origine letteraria, se ne parla deducendo
questi caratteri da quelli deli’immagine a cui danno luogo, innan-
zitutto, e dai modi stessi nei quali questa funzione essenziale
delia visione proccssuale di Antonioni è mobilitata in questa fase:
cioè, sostanzialmente, dai caratteri strutturali e funzionali dello
strato narrativo o di invenzione, particolarmente dei personaggi,
che in questa fase sono proposti come assolute proiezioni este-
riori, finte oggettivazioni, di forme dell’esistenza che Antonioni
possiede a priori nel proprio bagaglio sentimentale e culturale.
Piu precisamente, potremmo dire che — forse in parte per rea-
zione alia totale «estroversione» neorealistica, come abbiamo
già accennato — il processo di oggettivazione si limita qui alia
pura e semplice fenomenizzazione di quelle forme, alia loro
incorporazione nel flusso fenomenico: insomma il carattere o la
forma indistinta delia funzione-realtà, con le conseguenze che
produce, nasce da un grado insufficiente di oggettivazione, la qua-
le implicherebbe una commisurazione con parametri oggettiva­
mente determinati e con la concreta storicità dei fenomeni del-
1’idea di realtà che il primo Antonioni era venuto formando per
accumulazione dei dati delia própria vicenda sentimentale e
culturale.
Guardando dunque le cose dal punto di vista delia nozione
di realtà, si può dire che nella prima fase del cinema di Antonioni
la realtà è un mito mentale di origine o contenuto sentimentale-

196
n
i

letterario, il fenomenico il suo « recipiente », non il « luogo »


delia realtà ma la sua veste esteriore, l’immagine emblemática,
infine, il momento nel quale quel senso celato sotto il magna opaco
dei fenomeni si « rivela » come « situazione epifanica » delia qua­
le la visibilità del fenomeno è un^nalogia misteriosa che deve
essere fermata e contemplata. Ma, gioverà ribadirlo ancora, quel-
la « letterarietà » non è determinata dalla costruzione psicológica
dei personaggi che, al contrario, non è altro che la risultanza ne­
cessária, il veicolo, il punto di mediazione verso Pesterno di quel-
la concezione delia realtà. Gioverà ribadirlo, dicevamo, e tenerlo
ben presente per comprenderne la funzionalità precisa in questa
fase e in quelle successive, per cogliere le modificazioni che in
essa lo svolgimento generale delia visione di Antonioni produce.
Però, a parte questo, è chiaro che una simile forma di attua-
zione delia « funzione-realtà » o piu generalmente delia visione
come attenzione alia realtà, è insoddisfacente, e, proprio per que­
sto, porta in sé la contraddizione, il fattore del proprio supera-
mento e dunque dello svolgimento del cinema di Antonioni.
Tale contraddizione si situa a due livelli. Prima di tutto
essa si attua rispetto al ruolo che la mobilitazione delia realtà
svolge nel processo di problematizzazione e di superamento del-
1’originario momento estetico delia visione, che, è chiaro, per
attuarsi davvero deve concludersi in una forma di attenzione alia
realtà che abbia per oggetto non un simulacro « letterario » d'
essa, ma la concreta e determinata dimensione storica, praticí
« agibile » del materiale: perche è evidente che Yaisthesis no
può farsi piena conoscenza delia realtà del dato sensibile, finch.
non riesca a farc emergere un senso che vi è immanente e non
arbitrariamente indotto, o, almeno, finché le forme delPesistenza
che 1’esperienza e la cultura di Antonioni concepisce come reali
e significative non riescano a prodursi in forma di dato oggetti-
vamente esistcnte, immanente ai fenomeni non per « finzione »
ma per essere costitutivo delia loro materiale concretezza.
In secondo luogo, c chiaro che il proporsi come oggetto una
immagine delia realtà che derivi e coincida con un insuficiente
grado di oggettivazione e sia il risultato di una superposizione piu
che di una penetrazionc delia concretezza anche materiale del
fenomeno è contraddittorio rispettò alia determinazione piu gene­
rale delia forma specifíca di Antonioni, fondata appunto, ricor-
diamo, sopra una specificazione del rapporto forma e materiale in
termini di decifrazione o di intcrrogazione del materiale e non
di una sua utilizzazione figurale di qualsiasi specie e grado. In-
somma, vogliamo dire, Yimmagine emblemática e la piu complessa
struttura filmica delia quale essa è la « figura » formale emergente,
/■

197
è sl la prima forma di attuazione delia visione di Antonioni, ma
è anche una forma provvisoria e non del tutto pertinente e côn­
grua ai termini generativi reali, proprio perche uno di questi vi
appare in forma non sufficientemente determinata. Di qui nasce,
a mio parere, quelFirrequietezza alia quale abbiamo fatto cenno,
che si manifesta, conTè ovvio, nei caratteri delFelemento che
serve a mediare o a veicolare questa nozione di realtà, cioè 1’ele-
mento d’invenzione: irrequietezza che si ravvisa sia nei muta-
menti delia struttura formale dello strato narrativo, nel tentativo
di saggiare forme piu complesse, come nelle Arniche, nella vana
illusione di trovare nella piu complessa « rappresentatività » delia
struttura polifonica quella maggiore determinazione delia « real­
tà » di cui ha bisogno; sia a livello delia modiíicazione apparente
dei « contenuti », o piu precisamente degli ambienti sociali, con
il passaggio dal mondo borghese di Cronaca di un Amore al
mondo operaio e contadino del Grido, per esempio, quasi a ricer-
care nella pluriappicabilità di quelle categorie esistenziali che
per lui costituiscono « la realtà », la conferma delia oggettività
del suo assunto. E delia stessa irrequietezza è segno, a mio pa­
rere, il tentativo — che affiora qua e là ed ha la sua piu evidente
manifestazione nel finale del Grido, con quel montaggio parallelo
delia situazione privata di Aldo e dello sciopero che si unifica
nelFultima inquadratura, anzi nellultimo movimento di macchi-
na — di saldare Ia tematica grosso modo esistenziale ad una temá­
tica sociale, che ha indotto ad un errore di interpretazione o di
valutazione del Grido lo stesso Sartre.
Dove è evidente che non si tratta di mutare strutture nar-
rative né di complicare di « socialità » aggregata esteriormente
quelle situazioni individuali, ma di lavorare su di esse, sulla
loro forma di mobilitazione, di portarne avanti il processo di
oggettivazione e di liberazione da ogni forma di apriorismo let-
terario. Insomma è sl un problema di forma, ma non nel senso
delia ricerca di diversi moduli narrativi, quanto di congruenza
alia funzione che questo momento costruttivo svolge nella tota-
|ità del processo di visione.

A questa pertinenza o congruenza Antonioni giunge, — a


mio parere e in linea generale, trascurando i residui e le zone
opache — con YAvventura che, proprio per questo, rappresenta
il culmine del « primo stile » del regista e, per un altro aspetto,
Finizio delia sua « crisi ».
Ma vediamo per il momento il primo aspetto, vediamo cioè
perche questo film rappresenti Fattuazione piena e piu rigorosa
del primo « modo di vedere » di Antonioni e, proprio per questo,

198
li
possa essere considerato a parte, abbia un suo posto o un suo 1
« valore » che merita di essere individuatamente posto in rilievo,
mentre, fino a questo momento, si è trattato piuttosto di indi-
viduare come particolarmente significative delle sequenze piu
che dei film nel loro complesso.
Né questo privilegio assegnato ?\YAvventura rispetto alie
opere precedcnti deriva da una pura e semplice questione valu-
tativa, da una scelta del giudizio estetico, anche se non c’è dubbio
che sia íortemente sospetta di snobismo Ia posizione di chi
sostiene che con questo film inizia la decadenza di Antonioni:
pcrché, se YAvventura, come del resto nessun altro film del regi­
sta, non è esente dalle cadute e dai momenti deboli — che, come
sempre, coincidono con i momenti nei quali il tessuto narrativo
appare alio scoperto, nelle sequenze « ancillari », per cosi dire,
frutto delia sola esigenza di far progredire 1’azione: ma questa,
se ce ne fosse bisogno, è un*altra conferma che il momento
d’invenzione in Antonioni vale non per sé ma come necessária
articolazione funzionale di un processo espressivo che ha altrove
la sua reale sostanza; o, in soldoni, che Antonioni non è un
narratore e che, quando per esigenze « tecniche » è costretto a
farlo, mostra la corda, come si vede chiaramente confrontando i
film con le sceneggiature, se una simile operazione non fcss
assurda e del tutto gratuita — se non vi mancano insomma
soliti « difetti » di costruzione( ma si tratta di una valutazioi
estrinseca, che considera il film come prodotto di consumo),
comunque certo che VAvventura contiene i momenti piu rag
giunti del primo Antonioni e forse di tutta la sua opera e che
questo giudizio vale anche per il film nella sua totalità.
Comunque, si diceva, non si fa qui una questione valutativa,
o di immediata valutazione artística, quanto una questione di
verifica dei caratteri formali del film rispetto a quanto siamo
venuti dicendo sulla natura del processo di visione che caratte-
rizza questo autore.
Considerato dalPesterno, e anche attraverso il filtro delia
critica, PAvventura presenta alcuni caratteli stilistici innovativi,
di maggiore o minore importanza, che devono essere valutati e
ricomposti. Sul piano strettamente técnico, si va dalla reintrodu-
zione del piano ravvicinato e del dettaglio, ad una diminuzione
dei lunghi e sinuosi movimenti delia camera e affidando piuttosto
sempre piu agli attori, al loro movimento alPinterno delPinqua-
dratura la funzione di attuare quella che potremmo chiamare la
singolare « prossemica » di Antonioni e il gioco variato delle rela-
zioni col fondo, senza che ciò comporti, del resto, una rinuncia
al montaggio lungo e ai tempi morti, che, anzi, le inquadrature

199
« vuote », e vuote non solo di « azione » ma anche delia dinâ­
t
mica delia camcra, si vanno, e si andranno sempre piú nelle opere
successive, accentuando e moltiplicando. Nel complesso si ha
insomma Pimpressione di una técnica piu secca (ma rientra questo
in un processo di lento abbandono delia morbidezza delia camera
mobile che si era iniziato súbito dopo Cronaca di un amore e si
era già fatto particolarmente sensibile nel Griio) e di un*ulte-
riore « diluizione dei tempi », vale a dire, di spoliazione quasi
totale da ogni residuo costruttivo drammatizzante.
Ma sarebbe un errore vedere allora YAvventura solo in
termini di « progresso » verso la forma aperta, o, insomma, di
raggiungimento di una cifra stilislica sempre ricercata e via via
resa piu rigorosa e piú decisa, sempre meno corrotta da aggregati
spuri o contraddittori. Non è in questo senso che diciamo che
questo film rappresenta Pesito massimo del primo Antonioni, né
è a questo Iivello di pura e semplice verifica técnica dei modi delia
visione che può essere rintracciata la giusta chiave interpretativa.
II problema, al solito, non è prendere atto in modo episodico di
simili elementi, collegarli immediatamente ad una generalissima
categoria formale e perdersi in generici discorsi pro o contro
questa, o in minuziose e a volte persino risentite puntualizzazioni
dei momenti di incoerenza rispetto ad essa, ma cogliere la
dinamica formale interna entro la quale quegli elementi possono
essere ricomposti.
Non può dunque essere considerata esauriente una definizione
che si limiti a constatare la nuova cifra técnica nella quale si attua
il « neorealismo interiore », la psicografia delia malattia dei sen-
timenti, e sia pure con le etichette piú aggiornate delP« incomu-
nicabilità » e delP« alienazione ». II nodo delia novità áeXYAvven-
tura, Porigine del riassestamento anche técnico, consiste nel rias-
sestamento strutturale che il momento d’invenzione, e la nozione
di realtà che esso induce nel visibile fenomenico, subiscono in
questo film. E insieme, vedendo le cose dal punto di vista piu
generale dal quale ha preso le mosse tutto questo discorso sulle
linee generali dello svolgimento di Antonioni, nella verifica del
modo nuovo nel quale si attua, neXYAvventura, la pertinente
funzionalità dello strato d’invenzione, verifica che è, insieme, la
conferma di quella funzionalità c delia definizione piú generale
delia struttura formale alia quale quella funzionalità si riferisce.
In che cosa consiste allora questo riassestamento? Non certo
in una modificazione sostanziale der « contenuti »: che il tema
dello scacco esistenzialc permane, a volerlo considerare in astratto,
né è certo negato dal finale consolatorio che non deve essere
sopravvalutato né inteso come indizio di una sopravvenuta pietà

200
,

ú
I
dello sguardo di Antonioni; cosi come permane 1’altro tema !
costante di Antonioni, come sottolineano Tàilleur e Thirard 12,
1’indistricabile associazione amore-morte. Non viene cioè a cadere
la componente o 1’articolazione letteraria e « filosófica » delia
visione di Antonioni, ma ciò che si verifica è una precisazione
del rapporto fra lo strato « narrativo », veicolo di quella com­
ponente, e il materiale visuale, una sua piu pertinente adegua-
zione alia qualità di questo, che porta ad attenuare, se non ad
annullare del tutto, quell’impressione di contraddittorietà e di
non perfetta integrazione che caratterizzava i film precedenti.
Insomma, ncWAv ventura, le situazioni esistenziali non appaiono
piu indotte nel fenomenico per introdurvi dairesterno un senso
che non gli è costitutivamente pertinente, ma come rilevate dal
fenomenico stesso come dati oggettivi ad esso immanenti e che
Tattenzione delia camera ora può estrarne in virtu delia própria
ricettività. Giunge insomma qui alia sua formulazione piu pun-
tuale quella forma di cinema, che abbiamo definita come specifica
di Antonioni ma che non si era ancora pienamente concretata, per
Ia quale la camera si pone di fronte ai fenomeni in attitudine
interrogativa, scrutandoli fino ad oltrepassarne 1’involucro sens’
bile, Tapparire immediato, per intravvedere al di sotto di quest
ma non come qualcosa di separato o di « altro », la trama fi
dei gesti, dei movimenti, delle azioni microscopiche nella qui
si rivela una situazione esistenziale o, è meglio dire, che rappi
senta la dimensione spaziale-cinetica di quella situazione. Qu.
insomma, nzWAv ventura come in tutti i film successivi, Anto­
nioni riesce davvero a rendere « concreta », oggettiva, immanente
al flusso fenomenico che la camera scruta quella sua immagine
delia realtà di cui prima si avvertiva 1’origine sentimentale e
mentale: qui davvero la percezione del fenomeno come evento
sensibile, estetico diciamo pure, e la captazione del senso di cui
è portatore nella sua riferibilità esistenziale, si ricompongono
come qualità indistricabilmente costitutive del materiale oggetto
dell’attenzione delia camera. E 1’operazione di traslazione dell’epi-
sodio visibile ad emblema oggettivo, a complesso carico di qualità
analogico-epifanica, si risolve come un non contraddittorio mo­
mento di accentuazione, di amplificazione di un’immagine nella
quale sia stato raggiunto il momento piu acuto e piu denso del
processo percettivo-rappresentativo, come conclusione in imma­
gine del fenomeno-situazione. Ciò significa che ncWAvventura
Antonioni è riuscito a trovare la giusta misura costruttiva del
momento di invenzione, il suo punto di adeguazione perfetta alia
forma filmica dell’attenzione di cui costituisce nien^altro che &
un’articolazione técnica.

201

n
Certo va anche detto che VAvventura rappresenta la scoperta
di questa piíi pertinente e funzionale organizzazione e non la sua
attuazione quantitativamente piu estensiva, che si ha, a mio
parere, solo con VEclisse, dopo la parentesi per certi aspetti
regressiva delia Notte, film nel quale, accanto alia precisazione
piu rigorosa di alcuni degli elementi costitutivi di questa nuova
forma di organizzazione, si ha il ripetersi di incertezze e di resi-
dui « letterari » che sono. come si diceva, anche nelVAvventura.
Comunque, questa ristrutturazione si realizza portando fino
all’estremo limite il carattere « casuale » e frammentario delia
situazione esibita e, piu particolarmente, per quanto riguarda
VAvventura, passando attraverso un’esplicita negazione di ogni
residuo di presenza corpulenta delPintreccio e degli eventuali
significati autonomi, o costituiti e costruiti con lo strumento del-
Paffabulazione, che esso poteva richiamare: negazione che si
raggiunge attraverso la soppressione. È insomma 1’adozione di
quella struttura narrativa che Antonioni ha chiamato « giallo alia
rovescia », con una definizione poi ripresa in molte analisi critiche
e in particolare da Çuido Fink 13, struttura che, portata alPestre-
mo, con questa clamorosa « iperbole filmica » come ha voluto de­
finiria il Delia Volpe 14, permette di giungere alia completa feno-
menizzazione delia situazione, risolvendo quel conflitto fra forma
di organizzazione interna delia sequenza, pertinente alia forma ge-
nerale delia visione di Antonioni, e forma del découpa^e, dalla
quale, in modo non pertinente ma quasi inevitabile, lo sp ttatore
poteva ricavare per accumulazione quel minimo di « azione » signi-
ficante delia quale per abitudine consolidata era alia riccrca. In-
somma, la soppressione del personaggio di Anna, correlata certo
alPaccentuazione del carattere di indeterminazione drammatica e
di disgregazione del personaggio, piu che come segno tangibile e
metafora filmica delia sparizione di Anna dalla mente e dalla
coscienza di Claudia e Sandro, va intesa come invenzione técnica
che permette ad Antonioni di dare al suo « cinema dei senti-
menti » una decisa forma di oggettivazione fenomenica, di pro-
porre i « sentimenti » non piu come entità ancora, almeno par-
zialmente, leggibili solo in un contesto narrativo-letterario, ma
come dati fenomenici oggettivi, concreti, visibili e captabili dalla
camera.
Dopo 1’opera di oggettivazione dello strato di invenzione
compiuta nç\YAvventura, Antonioni può ormai proseguire facil­
mente per questa strada, nella Notte (a parte i limiti già indicati),
nélVEclisse e in Deserto rosso, nei quali non vengono a mancare i
temi fondamentali dell’amore, del denaro e delia morte, che rap-
presentano pur sempre ciò che il suo sguardo scopre e viene

202
1 :
rivelando negli oggetti e nelle situazioni sulle quali si posa, ma ?
che, per Padeguata forma di organizzazione del découpage, appaio- 5 ;
no davvero ormai come dati di cronaca, come incidenti continua-
mente occorrenti nel vivere quotidiano, nel suo fluire indetermi-
nato, senza traccia di situazioni narrative preconosciute, senza piu
alcun sospetto di « partito preso » calato dali Esterno: anche se
il partito preso, com’è ovvio, esiste. In questi film gli incontri di
situazioni di dissipazione sentimentale, di condizionamento asso-
luto al denaro, di morte física e spirituale, si succedono in una
forma che ha raggiunto pienamente il carattere del repertório
oggettivo, come momenti delia giornata qualunque di un perso-
naggio qualunque. Mentre il tempo diegetico del film è ormai
senza residui il tempo (e 1’ordine) assolutamente indeterminato
e casuale di questo prodursi di situazioni fenomeniche non fina-
lizzate in una vicenda: Púnica vicenda è questo stesso susseguirsi,
dove inizio e fine sono scelti a caso, a comporre una sequenza
casuale di momenti rilevati dalPesistente, essa stessa manifesta-
zione delPesistente.

La « quadrilogia dei sentimenti »: stilizzazione visualistica $


e oggettivazione del rapporto sensibilistico col reale.

Possiamo ora cercare di concludere questa parte del nostro


discorso, riassumendone i risultati, anche per ovviare a certe oscu-
rità e ripetizioni che non saranno sfuggite al lettore e che rientrano
tuttavia in quel carattere « aperto » di questo studio, volto a far
emergere anche a costo di forzarne, almeno parzialmente, i ter-
mini, un aspetto del cinema di Antonioni fòrse troppo trascurato
o male interpretato dalla critica. E la sintesi varra allora a fornire
un punto piu chiaro di riferimento e di sviluppo ulteriore del
discorso.
AlPinterno delia nostra prospettiva di indagine, è dunque
emerso che la radicale riduzione in forma documentaria del repre-
senté che ha inizio con 1*Avventura nei modi veduti e che diventa
un fatto acquisito nei film successivi, che la totale riduzione del
materiale di rappresentazione alia concretezza oggettiva di dati
comportamentistici e plastici individuati e rilevati nel quotidiano,
rappresenta la sua messa a fuoco, potremmo dire, la forma di
organizzazione piu adeguata a quella che è la generale struttura .1-
formativa specifica del cinema di Antonioni, cioè la sua natura .
di visione processuale ed interrogativa, ed al suo núcleo origi­
nário, al suo fondamento, che è Pattenzione al reale come visibile '
fenomenico che sollecita, come momento sorgivo di un processo

203 /

poeticamente e strutturalmente piú complesso ed articolato, un
rapporto estetico-sensibilistico che è in diverso modo matrice
degli esiti tecnico-stilistici, di quelli strutturali e delle figure for-
mali alie quali quel processo approda.
Dunque, al iondo, è quello stesso modo sorgivo del rap­
porto occhio-camera-visibile che produce ,attraverso la mediazione
funzionale e diacronicamente differenziata delia componente di
« invenzione », quella modificazione tanto evidente dei contenuti
espliciti dei film di Antonioni, quella specificazione in senso sto-
rico-« materialistico » delia nozione di « realtà ». O si può dire,
almeno, per evitare che lo sviluppo delia nostra tesi possa con-
durci a schematismi eccessivi, che in Antonioni il processo di
acquisizione di una concezione piíi concreta e storicamente deter-
minata delia realtà si svolge in modo parallelo e non contraddit-
torio, anzi pienamente congruo e pertinente per i risultati strut­
turali che produce, con la liberazione piíi rigorosa dei termini
reali del suo rapporto artistico col mondo. Al punto che quegli
stessi echi culturali che prima venivano a comporre la dimen­
sione intellettualistico-letteraria del suo modo di vivere e di
essere nella realtà, quel filtro fra il proprio sguardo e il mondo
che, Pabbiamo detto, finiva con il fornire una possibilità di
risoluzione fittizia delia polarità di fondo, quegli echi dicevamo,
o i dati di un'esperienza culturale dalla quale Antonioni non
può prescindere, si vengono oggettivando anch’essi in forma di
dati, di reperti comportamentistici e oggettuali che vengono a
comporre, assieme ad altri piu direttamente riconducibili a
forma di determinazione sociale (il mondo delia Borsa nel-
VEclisse, delia fabbrica in Deserto rosso)} il tessuto di quel feno-
menico quotidiano, che è il naturais oggetto delPattenzione del
regista.
Chiarito questo aspetto, nel quale abbiamo individuato la
prima linea generale di svolgimento del cinema di Antonioni,
cioè la prima forma di attualizzazione nella diacronia delia pola­
rità originaria che caratterizza la visione di Antonioni, possiamo
ora passare ad esaminare un secondo aspetto, altrettanto signi­
ficativo e il cui approfondimento ci porterà a chiarire un diverso
modo di esplicitazionc delia tensione radicale dalla quale si
genera la ricerca filmica di Antonioni.
Abbiamo osservato nclVAvventura, ed è un fatto che si
verrà confermando e consolidando nelle altre opere che costi-
tuiscono la cosiddetta « quadrilogia dei sentimenti », una pro-
fonda ed evidente modificazione delia struttura stilistica con una
serie di innovazioni che si svolgono sostanzialmente a due livelli.

204
3
II primo di questi si colloca a livello deH’organizzazione .
?!
filmica del materiale rappresentato, cioè a livello del découpage,
delPorganizzazione del materiale comportamentale e plástico che
si attua, in modo sempre piíi accentuato e nelle forme già
viste, nel senso delia serialità aperta, del brano fenomenico rita-
gliato come a caso, in dipendenza del processo di assestamento
funzionale del quale si è parlato.
II secondo livello riguarda invece quella che potremmo i .

chiamare la forma di « impaginazione visuale » del materiale, a I


livello di costruzione del piano e di certe forme di unità múlti­
pla interne alia sequenza, di serie di immagini o piani diversi ma
costituenti un unitário episodio formale, come ad esempio una
successione di piani delia medesima «qualità», sopra uno
stesso oggetto o su oggetti diversi, con Padozione di una serie
di procedimenti che complessivamente si orientano verso Pin-
troduzione di una accentuazione programmatica, potremmo dire,
delia « presenza » delPoggetto, del frammento visibile (o del-
Pagglomerato di frammenti visibili) con la sottolineatura delia
sua « densità » spaziale e temporale.
Non è il caso di fare un elenco completo, film per film,
di questi procedimenti, sia perche sono già stati esaminati nel
corso del III capitolo, sia perche essi appaiono evidenti a chi
riveda o ricordi i film in questione. Basterà dire che essi rap-
presentano o il recupero di inquadrature prima rifiutate da
Antonioni, il primissimo piano e il dettaglio; o la frammenta-
zione in piu piani di « indugi » e « sospensioni » prima attuate
con la camera fissa o mobile; o, infine, Paccentuazione stilizzante
di procedimenti già usati: tempi morti, anticipi e ritardi nello
stacco, decentrazione delPimmagine, ulteriore accentuazione delia
prossemica « dilatata » tipica di Antonioni.
Ciò che conta sottolineare invece è che la presenza osses-
siva ed uniforme del fondo si specifica ora come presenza del­
Poggetto, del frammento; che il fondo si frantuma, come Pagire
dei personaggi del resto, in una sorta di collage oggettuale-ge-
stuale; che si ha, infine, una clamorosa amplificazione del « visua-
lismo » di Antonioni, di quei modi di costruzione delPimmagine
che, per il fatto di depuraria di ogni potenzialità emozionale
inerente ad una situazione drammatica, hanno fatto parlare di
« stile freddo », o di « informale », o di « astratto ». f£
Le motivazioni che generalmente si danno per questa modi-
ficazione sono già State accennate. Sinteticamente, si ha la spie-
gazione in termini di caduta nel manierismo formalistico, o
addirittura, per certe consonanze, assai generiche del resto,
con certe forme di arte d’avanguardia, nel mimetismo volgariz-

205
zante, nel kitscb. Oppure si ha la solita spiegazione in termini
di equazione psicoformalistica: alia freddezza emozionale che
Antonioni intenderebbe ritrarre si fa semplicisticamente corri-
spondere la « freddezza » stilizzata e disumanizzata delle strut-
ture visuali. Oppure ancora, con un’interpretazione al tempo
stesso equivalente ed opposta, freddezza emozionale e freddezza
plastica sono i termini di una rappresentazione delia globale
disgregazione e devitalizzazione delVumano, delia scomparsa di
ogni misura antropomórfica rintracciabile nel mondo d’oggi, per
cui la scoperta di una realtà storica disgregata e « alienata »
verrebbe proiettata da Antonioni, con una scelta di isomorfismo
stilistico, nelle forme sensibili nelle quali questa scoperta si
attua in film: è la teoria delPAntonioni « informale » (prose-
cuzione lógica delia teoria del « cinema delia crisi » che avrebbe
finalmente raggiunto la sua piíi rigorosa e piíi pertinente forma
di rappresentazione), che è quella sostenuta da Baldelli, anche se
questi la vede attuata in modo non rigoroso ma perturbato da
residue velleità psicologistiche. E, a proposito di questa inter-
pretazione, ci sia consentito di osservare, cosi di passaggio, che
una simile « arte informale », informe perche calco fedele di
una realtà informe, non è affatto una rinuncia alParte, alia
capacita delParte di rappresentare la realtà, anzi, al contrario,
è, dal proprio punto di vista, la piu coerente e decisa riafferma-
zione di questa capacità: mentre, a mio parere, come ho già
detto, è proprio 1’oscura coscienza delia crisi o delia morte
delParte che sta al fondo del cinema di Antonioni.
Ma non anticipiamo un discorso sul quale dovremo tornare.
Fra le interpretazioni di questa svolta stilistica di Anto­
nioni, ce n*è una che sembra poter essere un piu utile punto
di riferimento per lo svolgimento del nostro punto di vista, ed
è quella formulata da Pasolini15 a proposito di Deserto rosso,
film nel quale quel processo di accentuazione visualistica, con
i procedimenti tecnici che lo concretano, è stato portato al
massimo sviluppo. II discorso di Pasolini è troppo noto perche
lo si debba riportare per esteso. Basterà ricordare che la sua
tesi di fondo è che il tema delia nevrosi permette ad Antonioni,
superando le contraddittorietà dei film precedenti, di liberare
pienamente la própria visione formalistica, che sarebbe la
vera sostanza delia sua arte. Piu particolarmente il discorso di
Pasolini procede dalla individuazione di alcuni procedimenti
tecnici tipici di quella che egli chiama la « lingua del cinema
di poesia » (Pinsistenza sulPoggetto, il fare entrare ed uscire i
personaggi di quadro, oltre al particolare impiego degli obiet-
tivi, del colore e delia musica), alia riduzione di essi nella figura

206
delia « soggettiva libera indiretta », attraverso la quale quella
forma di rappresentazione visuale concreta una forma di rap-
porto del personaggio col mondo, che non è altro, però, che il
pretesto che Antonioni si costituisce per dispiegare totalmente
il proprio estetismo: fatto questo che indica come il vero conte-
nuto di Antonioni non sia la crisi delia coscienza contemporâ­
nea, magari colta in una sua metafórica dimensione patológica,
ma il formalismo stesso, il « mito delia sostanziale e angosciosa
bellezza autonoma delle cose ».
L’interpretazione di Pasolini è certo suggestiva, ma non
mi pare possa essere condivisa in toto, né per quanto riguarda i
suoi termini piu generali, né per i rilievi oggettivi di carattere
stilistico. Per quanto riguarda questi ultimi, va infatti osser-
vato che quei procedimenti che Pasolini «scopre» come le
grandi innovazioni di Deserto rosso erano già presenti, seppure
in modo meno accentuato, almeno nella Notte e nelYEclisse,
insieme ad altri delia stessa « qualità » che abbiamo piu volte
ricordato. E se la riduzione del personaggio a puro pretesto,
punto di appoggio per un giuoco puramente, se non proprio
esteriormente, figurativo, può sembrare soddisfacente (ma solo
apparentemente) per chi sostiene la natura visuale delParte fil-
mica, tuttavia Ia riduzione delPitinerario seguito da Antonioni
ad una faticosa liberazione delia fondamentale istanza formali-
stica ed estetizzante, appare troppo schematica, incapace di
dare ragione deH’intema tensione che costantemente si avverte
nella ricerca stilistica del regista, e tale da impoverire, se pre-
sentata in questi termini, la reale portata, la complessità di
motivazioni e di significati che 1’affiorare esplicito delPatto esté­
tico come contenuto del film comporta.
In realtà, penso non si tratti di una folgorazione che esplode
improvvisa in Deserto rosso, ma di un processo che prende 1’av-
vio da una modificazione anche strutturale che ha inizio con
VAvventura e che può essere inteso come esplicitazione^ o,
piu precisamente, come oggettivazione di quella sensibilità esté­
tica originaria che è il núcleo profondo dal quale si genera la
Á
a problematicità delia visione di Antonioni con le sue specifica-
zioni strutturali e stilistiche.
Certo, e in questo le osservazioni di Pasolini mantengono
tutta la loro pertinenza, questo processo di oggettivazione, di
conversione delia problematicità latente in problematizzazione
delia forma di rapporto col mondo dalla quale si genera, avviene
per il tramite (e per il conseguente mutamento funzionale) del
I personaggio-guida delia quadrilogia e, al tempo stesso, spiega la

I 207
:
persistenza in essa dello strato cosiddetto intimistico, che nel-
1’interpretazione in chiave informale appare contraddittoria.
La chiave è dunque nella individuazione delia modificazione
strutturale avvenuta nel personaggio-guida delia «quadrilogia
dei sentimenti »: e si badi che quando si parla di questo perso-
naggio non si intende riferirsi ad un singolo personaggio per
ciascun film, perche a costituire questa funzione possono con-
correre piu personaggi, come núYAvventura (la coppia Anna-
Claudia) e nella Notte (la coppia Lidia-Valentina).
Vediamo dunque.
Nella «quadrilogia dei sentimenti» assistiamo ad una
modificazione dell’atteggiamcnto di Antonioni nei confronti dei
personaggi che si concreta in una radicale differenziazione fra
di essi, che investe al tempo stesso la loro « qualità » umana e
la loro funzione strutturale. Per cogliere questa differenziazione
occorre, innanzi tutto, specificare meglio il contenuto di quella
locuzione «quadrilogia dei sentimenti», che mi pare abba-
stanza generica e imprópria. Appare chiaro, infatti, che il vero
tema differenziante di questo ciclo non sono i « sentimenti »,
0 il rapporto uomo-donna, sia pure rappresentato in termini
diversi e commisurato a diverse situazioni oggettive: i senti­
menti e la loro crisi, sono stati sempre, come sappiamo, il
tema di Antonioni, il núcleo di coagulazione del suo materiale
« narrativo » e plástico. Nella quadrilogia, invece, questa crisi
assume la misura di quella che Fitzgerald chiamava la lacera-
zione che si è prodotta nel feeling, o nella circolarità emozionale,
potremmo dire, che secondo la mitologia romantica delFamore
caratterizza il rapporto sentimentale: quella consonanza di
sensazioni che fonderebbe in un unicum misterioso gli amanti
fra loro e con il mondo esterno. E a conferma che in questa
lacerazione Antonioni ha trovato la misura-precisa delia crisi dei
sentimenti basta ricordare, come lampante sigillo, la frase che
Anna rivolge a Sandro nell'Avventura: « Non ti sento piu ».
Da ciò, oltre tutto, il fatto che i nodi sentimentali che prima
organizzavano in modo corpulento la trama delle relazioni fra
1 personaggi, lasciano il posto, già nt\YAvventura, ad un sottile
e sfumato gioco di sensazioni, di frammenti gestuali, pertinente
del resto alia funzionalizzazione strutturale già vista.
Ma il punto fondamentale è che il modo di vivere questa
lacerazione non è uguale per tutti i personaggi: gli uomini la
•’ subiscono passivamente e incosciamente e per loro il regista si
limita ad indicare le forze alienanti, il denaro, il successo, alie
quali questa situazione è correlata, senza peraltro indicare espli-
citamente, in termini di causa ed effetto, tale correlazione. La

208
donna invece, o, meglio, il personaggio-guida, vive consapevol-
mente questa crisi, questa lacerazione, ha la coscienza di un’av-
venuta perdita di « valore » e proprio qui è la chiave delia frat-
tura del rapporto con Puomo: in questo diverso grado di consa-
pevolezza delia crisi e nel fatto che la donna è consapevole di
questa diversità. Non è il caso ora di dilungarsi in una minuziosa
parafrasi dei film da questo punto di vista, tanto è evidente in
ogni momento, in ogni risvolto del film la presenza di questa
lacerazione. Sara significativo invece osservare come essa si
vada accentuando di film in film, come si vada radicalizzando,
potremmo dire. Cosi, r\e\YAvventura essa è il fattore delia sim­
patia, nel senso anche letterale del termine, fra le due donne e
delia loro diversità rispetto a Sandro, ma anche, in fondo, la
motivazione profonda del « perdono » finale di Claudia. Nella
Notte essa è ancora fattore di simpatia fra Lidia e Valentina,
ma è già lacerazione insanabile del rapporto con Puomo, proprio
in misura delia accentuazione delia diversità di consapevolezza:
il rapporto è impossibile non tanto perche si è interrotto, ma
soprattutto perche la donna si accorge dell’« incoscienza del-
Puomo. Situazione, questa, che prosegue nella sequenza iniziale
deli’Eclisse, nella memorabile sequenza del distacco che, se vien<
letta in questa chiave, non appare affatto troppo lunga t
«vuota »; e si radicalizza ancor piu nel non-sentimento pei
usare un termine dello stesso Antonioni, che lega Vittoria a
Piero. Si risolve, infine, in nevrosi con Deserto rosso, dove la
coscienza che la protagonista ha del distacco fra sé e gli altri
(il marito, Pamante, il figlio), che non comprendono o non
« sentono» il senso di morte che Pinterruzione del circuito
emozionale e sensoriale ha prodotto nel mondo esterno, nella
« realtà » come la chiama Giuliana, assume un esplicito carat-
tere patologico.
Dunque, per riassumere, il vero tema delia quadrilogia non
è tanto la labilità, la difficoltà o addirittura la « fine » dei senti-
menti, del rapporto uomo-donna, quanto Pindividuazione delia
malattia nella perdita di quella relazione fra Puomo la donna e
il mondo che, proprio per includere anche quest’ultimo, rivela
una portata assai piu ampia di quella del rapporto amoroso,
si rivela come una perdita di umanità, tout court.
Ma va detto súbito che il punto fondamentalc non è questo
e che Pintroduzione di questo tema ha una valenza assai piu
ampia e riguarda non tanto la concezione che Antonioni ha
delPamore, ma il modo stesso del suo porsi in relazione estetica
col mondo. Se cosi non fosse, del resto, saremmo in presenza
di un tema non nuovo che ripresentcrebbe la registrazione delia

209
crisi di una certa etica borghese, mondana e laica, di matrice
vagamente romantica e, oltre tutto, grossolanamente reaziona-
ria, o la sua commemorazione elegíaca.
Ma il tema delia lacerazione del feeling non deve essere
preso solo per se stesso, nella diííerenziazione fra i personaggi
rispetto a questo punto solo come indizio del fatto che Antonioni
vede nella donna un filtro piii ricettivo e le assegna dunque il
ruolo di portatrice delia própria « ideologia ». Queila difíerenzia-
zione ha una valenza strutturale e investe i modi stessi delia
visione di Antonioni, non è dunque, o non è solo, un giudizio
sulla diversa «qualità» dell’uomo e delia donna, ma è
anche — sia pure indirettamente, o, meglio, inconsapevolmente,
oggettivamente ma non intenzionalmente — lo strumento attra-
verso il quale Antonioni, volendo magari decifrare i segni delia
crisi delia coscienza contemporânea, pone in causa se stesso, la
própria arte nel suo fondamento originário.
Ammettiamo pure che il personaggio-guida delia quadrilogia
sia il portatore del punto di vista « ideologico », diciamo cosi,
di Antonioni. Già il carattere privilegiato di questo personaggio,
diversificante rispetto alie opere precedenti, è indizio di una
modificazione strutturale assai importante che permette ad
Antonioni di attribuirgli, liberandolo pienamente, non solo
il proprio punto di vista, ma anche il proprio modo di vedere,
la própria sensibilità originaria. E proprio qui è il punto: perche
ciò dà inizio non al trionfo delia matrice estetizzante, ma al
suo distacco, alia sua oggettivazione, alia sua problematizzazione.
II nodo delia questione è nella natura stessa del feeling che,
10 sappiamo, estende il suo dominio non solo al rapporto uomo-
donna, ma anche al rapporto col mondo esterno, con le cose:
è una forma che, per estendere la própria portata fino al senso-
riale, nel quale aflonda anzi le proprie radiei, mobilita anche
11 mondo esterno o la sua valenza umana, la sensazione, e si
proietta su di esso, costituendo cosi un modo « totale » di esi-
stenza: una circolarità emozionale, appunto. Ora, se si tiene
presente questo secondo aspetto, va osservato, rimanendo anco-
rati airincontestabile rilievo oggcttivo, che lo sviluppo del per­
sonaggio-guida nella quadrilogia non è solo caratterizzato dalla
radicalizzazione delia sua consapevolezza delia lacerazione, ma
che questa consapevolezza fornisce una risposta non solo a
livello del rapporto donna-uomo ma anche a livello del rapporto
donna-cose e che questa seconda risposta si risolve in un tenta-
o tivo di risarcirsi con un sttrplus di sensibilità oggettuale, di dia­
logo sensoriale con le cose. Insomma, quella circolarità uomo-
cose fondata nel sentire, che in un mitico « prima » aveva il

210
proprio luogo naturale nel rapporto amoroso e che si è interrotta
perche il rapporto amoroso non la produce piu, il personaggio-
guida cerca di ricostituirla per proprio conto: di qui il progres­
sivo acuirsi delia sensibilità « estetica » che caratterizza il perso-
naggio-guida, che nelVEclisse diventa il tratto primário del suo
comportamento (anche da un punto di vista quantitativo) e in
Deserto rosso coincide con la fenomenologia stessa delia « ma-
lattia » delia protagonista.
Questo processo di soprasviluppo delia sensibilità, di subli-
mazione del fatto sensoriale-percettivo, inizia già con il perso-'
naggio di Claudia nella Avventura: e basterà ricordare il parti-
colare tipo di rapporto che ella stabilisce con il paesaggio e con
i frammenti di paesaggio nella sequenza delia Isola, con gli
« incontri plastici » che si susseguono nel girovagare delia coppia
per la Sicilia, con il proprio stesso corpo o con la própria
stessa gestualità, come nella sequenza delia canzone di Mina
mimata nella locanda di Noto o nella sequenza del risveglio a
Taormina, dove ogni piano, ogni dettaglio che ci viene presentato
da Antonioni è chiaramente in forma di « soggettiva libera indi-
retta », per usare ancora la terminologia di Pasolini: insommq
già qui la sensorialità, la percettività di Claudia è anche « auto-
percettività», senso acuto del proprio essere corpo, spazio,
gesto.
II processo prosegue poi nella Notte, soprattutto nella pas-
seggiata di Lidia attraverso il centro e nel banlieu di Milano,
ma anche nel comportamento di Valentina, sia pure in modo
piu « letterario », che del resto rientra perfettamente nei tratti
comportamentistici che qualificano la « figura sociale » di questo
personaggio che non occorre essere frequentatori delle ville
delPalta borghesia milanese per conoscere a memória. Ma il
luogo delia sua attuazione piu splendida è certo la passeggiata,
insieme forse alia corsa in macchina sotto la pioggia con il
corteggiatore sconosciuto: progressivo e sempre piu acuto senso
dello spazio, delle strutture urbane, degli oggetti, dello « spes-
sore» dei frammenti di matéria, indissolubilmente associata,
man mano che si viene dispiegando, alia scoperta delPinterru-
zione del circuito emozionale con il marito e delia sua portata
piu profonda.
NelPEclisse, infine, la sensibilità « estetica » del personag-
gio-guida diventa, come si diceva, tanto acuta da diventare il
tratto primário del suo comportamento, tale da reggere da solo
quasi per intero il tessuto del film e da diventare una sorta di
sostitutivo del rapporto amoroso: si pensi alie sequenze delle
passeggiate, al continuo dialogo di Vittoria con gli oggetti nel

211
luogo delFappuntamento, alFaereoporto di Verona, si pensi so-
prattutto a quella splendida sequenza nella notte, davanti ai
pennoni delle bandiere e al loro strano concerto. Oppure si può
ricordare quel suo guardare stupita le case, le strade, come nella
sequenza in casa di Piero, che Antonioni opportunatamente am­
plifica e risolve in una serie di dettagli, quasi di istantanee, per
sottolinearne il peso sensoriale, 1’incidenza sulla « coscienza senso-
riale.» di Vittoria. E anche qui abbiamo, acuita, quella autopercet-
tività, quella coscienza del proprio essere spazio, gesto, rapporto
con le cose che è una delle linee-guida dei modi di costruzione
del quadro e del montaggio, oltre che delia stessa recitazione.
Dunque, già nella trilogia, il rapporto « estetico » con le
cose, la penetrazione emozionale, la circolarità simpatetica fra
personaggio e fondo è diventata, in forma massiccia, un tratto
comportamentistico del personaggio-guida.
Da questo mutamento di valenza e di funzione delia pre-
senza del fondo, da questo suo essere divenuto contenuto delia
coscienza del personaggio-guida, nasce la nuova configurazione
visiva che esso assume: la progressiva frammentazione, innanzi
tutto, con le scelte tecniche corrispondenti e 1’accentuazione,
motivabile appunto con questo aggancio al personaggio, del ca-
rattere astratto-oggettuale-informale dello stile di Antonioni, ma
sarebbe meglio dire del suo visualismo fotogenico, e dei proce-
dimenti costruttivi nei quali si concreta. A ciò si aggiunga, a
livello del materiale plástico, la moltiplicazione degli « incontri
píastici », di cui sono ricchissimi YEclisse e ancor piu Deserto
rosso, sia nello sviluppo diegetico del film che nella costruzione
delPinquadratura, fortemente ingombra di oggetti, magari accen-
tuati dagli ormai noti « capovolgimenti » compositivi.
C’è poi la questione deli uso del colore in Deserto rosso.
Non è certo il caso qui di addentrarsi nella discussione teórica
sulla legittimità delPimpiego di questo elemento e sulle forme pos-
sibili, o congrue ai caratteri generali del mezzo espressivo, di
questo impiego. Sono a tutti note, sc non altro, le posizioni
espresse a questo proposito da Eisenstein, da Balazs, da Arnheim
e da Delia Volpe e non è questo il luogo adatto per riaffrontare
ab ovo la questione. Cosi come non è il caso di perdersi in una
discussione técnica o in una minuziosa casistica descrittiva dei
colori usati da Antonioni in Deserto rosso.
Teniamoci dunque fermi al punto che Antonioni ha sentito
il bisogno, non soltanto sperimentalistico, di usare anche questo
elemento per il suo film e che una delle sue forme di impiego,
la piu discussa fra 1’altro, concerne direttamente il punto che
stiamo trattando. Intanto, però, è da chiarire che questa forma

212
\

4
di utilizzazione, quella del colore in funzione psicológica»,
tanto per intenderei, non è la sola rintracciabile nel film. Sinte­ '
»
ticamente, possiamo dire che i livelli di impiego del colore sono
questi: un livello realistico-documentario (Pinvadenza sempre mag-
giore del colore nella nostra esperienza quotidiana, come ha
sottolineato Antonioni stesso) che sollecita una risposta percettiva
alia quale la camera non può mancare: e a questo livello si colloca
anche, evidentemente, la registrazione dei modi di impiego del
colore neirindustria, nella fabbrica; un secondo livello di carattere
compositivo, al quale abbiamo già accennato, che utilizza il colore
e i rapporti di diverse zone di colore per ottenere quegli effetti
di accentuazione di oggetti drammaticamente inerti che rientra )
fra i tratti stilistici piíi generali del cinema di Antonioni; un
livello psicologico-soggettivo, legato alPesteriorizzazione delia
nevrosi delia protagonista; un livello, infine, pittorico-formalistico,
legato anch’esso, come del resto Pimpiego del teleobiettivo, dello
sfocato e di altre soluzioni tecniche, al modo di vedere delia
protagonista e insieme, se seguiamo la tesi di Pasolini, di An­
tonioni.
Ora, ciò che ha suscitato le proteste e le perplessità deP
critica è appunto Pimpiego in funzione psicológica, unito al fat
che Antonioni ha preteso di dare un fondamento scientifico a
proprie scelte ricorrendo, stando almeno a quanto dice il Di Ca
lo I6, ad un celebre trattato psicologia delia forma, quello del Katz
Ora, è evidente che il punto reale delia questione non è tanto
Poggettività o meno delle relazioni sentimenti-colore: è chiaro
che ad Antonioni serviva un termine di riferimento qualsiasi e
non vale obiettare che la comprensibilità delle singole relazioni
è dubbia, perche è evidente che tale comprensibilità non può i
nascere che dal contesto filmico. II punctum dolens è evidente­
mente la stessa pretesa, al di là delle singole scelte, di rappre-
çV
sentare sullo schermo il « colore dei sentimenti ». Ebbene, appare
i
chiaro che la giustificazione e la legittimità di questa pretesa è
del tutto evidente nella prospettiva che indivídua la sostanza
sensibilistica del personaggio-guida, delia quale la sensibilità al il .'H
colore non rappresenta che Pultima corretta estensione: per cui
sarà legittimo capovolgere, come ha fatto Casiraghi, la definizione
di « colore dei sentimenti » in quella di « sentimento del colore »
che è del regista e insieme del suo personaggio-tramite. Altro
credo non vi sia da dire: certo si possono discutere certe scelte
specifiche la « camera rosa » ad esempio, ma non al punto di ;
negare totalmente la validità delPoperazione compiuta da Anto­
nioni, anche a prescindere dal contributo sperimentale da lui

213
portato per questo elemento come per Pimpiego delia musica
elettronica con la collaborazione di Vittorio Gelmetti.
Riprendendo allora il filo generale del nostro discorso, appare
chiaro che il tema delia lacerazione del sentire, con tutte le sue
implicazioni, e Passegnazione di un carattere privilegiato alia donna
incarnata nel personaggio-guida non rappresentano Pintroduzione
di un punto di vista « filosofico », ma, per il fatto che permettono
di attribuire al personaggio-guida stesso la visione delPautore,
la forma originaria di rapporto con la realtà che di quella visio­
ne è il núcleo generatore, rappresentano invece una forma di
oggettivazione, di distacco: e non, come sostiene Pasolini nel
senso di una sua dispiegata liberazione, ma nel senso di una
sua implícita, forse inconsapevole, problematizzazione nel mo­
mento stesso in cui è ancora un modo di vedere delPautore,
insomma una oggettiva affermazione del valore delPatto estetico,
del rapporto estetico col mondo e contemporaneamente dei
limiti impliciti in questa forma di rapporto con la realtà. Insom-
ma, la polarità apparentemente risolta e conciliata nelPassun-
zione delP 'wimagine ad emblema oggettivo delia realtà, a forma
fantastica di rappresentazione delia realtà stessa, esplode nel
momento in cui la visione estetica, il feeling che la produce, si
oggettiva in un personaggio, diventa oggetto delPattenzione
problemática del regista pur rimanendo ancora, anzi in forma
piu dispiegata, un modo del suo vedere.
Perche, se è vero che Antonioni si identifica col personaggio-
guida, nel senso che lo assume a portatore del proprio modo di
vedere, è anche vero che Pidentificazione non è totale, che rimane
un margine di distacco. Ciò a mio parere, si manifesta in modo
evidente quando il processo di attribuzione-liberazione delia visio­
ne estetica giunge al suo culmine: nel finale delPEclisse, dove
le 58 inquadrature che contengono i frammenti e gli oggetti sui
quali si era esercitato il gioco sensoriale di Vittoria, assumono,
ricomposte in quel collage prodotto dalPimpietosa opera di disgre-
gazione o di segmentazione compiuta dalla camera, un volto duro,
opaco, spettrale, proprio nel momento in cui presentano alio
stato puro i caratteri sollecitati dalla sensibilità che le ha evocate.
Ed in Deserto rosso si assiste alia estensione alia totalità del
film di questa resistenza, di questo opaco opporsi alPumano,
mentre la visione, Patto estetico che produce quel mondo, è
ormai decisamente malattia, fallimento del tentativo di ricostitu-
zione delia circolarità simpatetica fra Puomo e il mondo: vedere
e sentire le cose, affidarsi totalmente alPimpressione che si subli­
ma nel frammento sospeso, è il segno delia « superiorità » di
Giuliana sugli altri che intorno a lei vivono passivamente, senza

214
I
n
un barlume di consapevolezza, la loro situazione alienata, ma è
anche la sua ossessione, la sua malattia, il suo scacco. E ciò è
tanto vero, è tanto vero che il rapporto ottico-estetico con la
realtà è ormai divenuto un contenuto esplicito del film, un dato
comportamentistico sul quale posare Pocchio attento delia camera,
che la visione stessa, il modo di guardare, si affaccia come pro­
blema esplicito anche a livello di dialogo e che Pitinerario di
Giuliana si svolge, assai piu che nei suoi rapporti col marito e
con Pamante in una serie di altemative di visione, che ricacciano
però ormai la serenità del rapporto simpatetico con la natura
nella fantasia compensatória delia favola delia spiaggia rosa.
In questo senso credo vada interpretata la « quadrilogia dei i
sentimenti », con il suo rinnovamento stilistico: non approdo al
maniensmo, né liberazione trionfale di una visione estetizzante,
ma dolorosa e rigorosa presa di coscienza delia crisi delPartista, j
o, almeno, del proprio modo di essere artista.

Una conclusionc provvisoria: le nuove dimensioni delia ricerca di


Antonioni, da Blow-Up a Zabriskie Point.

Per Pimpostazione che è stata data a questo studio, il


discorso sulle ultime due opere di Antonioni (lasciando da parte
Pelegante ma sostanzialmente manieristica Prefazione ai Tre
voltí) non può che avvenire in forma di conclusione. Conclu-
sione provvisoria, certo, in diretta misura del fatto che in queste
due opere la ricerca filmica di Antonioni, proprio in virtíi del
processo di autoproblematizzazione che abbiamo seguito nel suo
svolgimento, sembra aver raggiunto nuove misure e nuova vita- !
lità, sembra aver trovato la disponibilità e la forma adatta a
percepire i nuovi fermenti, i nuovi dati che la realtà d’oggi viene
offrendo al suo sguardo, che d’altra parte sembra aver finalmente
raggiunto quella lúcida trasparenza alia quale ha sempre teso.
Dicevamo, comunque, che il discorso sulle ultime due opere
di Antonioni non potra avere Pestensione e Particolazione che la i
loro importanza e la portata del loro contenuto oggettivo merita,
perche scopo di questo studio era soprattutto quello di chiarire
i termini reali del processo dal quale questi esiti sono scaturiti,
attraverso Pesame orgânico dei caratteri stilistici e la definizione
dello spessore e delia complessità dialettica che il « modo » di
vedere di Antonioni cela in se stesso.
AlPanalisi di certi caratteri fondamentali, per noi, di Blotu-
Up e di Zabriskie Point mancherà dunque tutto il lavoro di de­
finizione strutturale e di collocazione precisa nel panorama delle

215
forme del cinema piu recente, non perché i due film siano in
questo senso poveri o poco significativi, ma perché ci interessa
di piu utilizzarli per concludere il discorso che siamo venuti
facendo fino a questo momento, individuando gli elementi di con-
tinuità dialettica con le opere precedenti, che pure esistono,
insieme agli evidentissimi elementi di rinnovamento.
Dunque, avevamo concluso il discorso su Deserto rosso e,
piu generalmente, sulla « quadrilogia » dicendo che Paccentua-
zione-esplicitazione del tema del rapporto sensibilistico-estetico
con il visibile ne segnava Toggettivazione problemática, portando
alia luce come contenuto sostanziale del fare filmico di Antonioni
la riflessione sul posto delTarte, o piu precisamente delia sua
forma piu «pura», nella coscienza e nelPesistenza delPuomo
contemporâneo. Ebbene, non mi pare vi siano dubbi che questo
tema sia uno dei contenuti, anzi il núcleo centrale che permea
di se stesso i vari livelli costruttivi di Blow-Up, dal soggetto alia
qualità delia fotografia e che ne determina la novità strutturale,
come vedremo fra breve. A conferma di questa interpretazione
possiamo ricordare il brillantissimo studio dello Slover 17, al quale
rimandiamo sin d’ora per i dettagli analitici sui quali non potrem-
mo soffermarci qui, e altri studi, come quello di Tinazzi18, ad esem- I
pio, che pongono al centro di Blow-Up il tema delia « morte
delParte ». Anche se non mi pare si possa condividere Paccen-
tuazione del carattere o delia valenza filosófica di questo tema,
che non sono presenti in Antonioni, dove assume il carattere di
riflessione di « poética », di risultato delia problematizzazione
del proprio modo di essere in rapporto con la realtà. Cosi come,
del resto, il riferimento che Slover compie del contenuto di
Blow-Up alia celebre equazione di McLuhan, il médium è il
messaggio, rischia di apparire troppo astratto se non lo si collega
ad un dibattito sempre latente nel cinema di Antonioni, se non
lo si libera dalla parvenza di « esempio » di una formulazione
teórica per coglierne il carattere di esito di un lungo e dibattuto
processo artístico individuale.
Ma, a parte queste considerazioni, non c’è dubbio che questo
tema è Blow-Up, sia nel senso che esso costituisce il modo stesso
di essere di questo film a tutti i suoi livelli, sia nel senso vi è
; presente come contenuto esplicito di riflessione, che si realizza e
: nella trama che fa da guida al film e nella struttura del découpage
del film stesso. Ma partiamo, come sempre, dai rilievi oggettivi,
che soli possono costituire un punto solido di riferimento.
Intanto, Blow-Up presenta una serie di elementi, percepibili
a prima vista, per i quali si differenzia nettamente dai film pre­
cedenti, in particolare da Deserto rosso. Si tratta peraltro di ele-

216
:<»
•í
!■

menti disparati che è sufficiente indicare assai rapidamente: la


scomparsa definitiva del problema del rapporto uomo-donna, che
peraltro avevamo già visto trasformarsi già nella quadrilogia in
quello del rapporto uomo-realtà; il ri torno, dopo le « deforma-
zioni » spaziali e coloristiche di Deserto rosso, a forme di imma-
gine piu oggettive, piu « concrete »; Pacquisizione esplicita di
quella dimensione cosmopolitica motivata non soltanto da ragioni
produttive, ma costitutiva delia stessa personalità ideológica e |
culturale di Antonioni: la vicenda si svolge a Londra, e non solo
perche Londra è il luogo nel quale si attua in forme piu appari- :
ccenti un modo di vita tipico delia società borghese del nostro
tempo, che è quella sulla quale Antonioni sempre posa il suo
sguardo, perche vi appartiene lui stesso.
Ma, al di là di queste diversità episodiche e di per sé poco
significative, ciò che conta definire è, ancora una volta, il modo • 1
nel quale la visione filmica organizza il proprio materiale. Ebbene,
Blow-Up è caratterizzato dal fatto che Pintervento formativo delia
camera sul materiale si attua a due diversi livelli, in due diverse
forme, delle quali la prima rappresenta la naturale prosecuzione
di quella che abbiamo chiamato « visione estraniata » (natural­
mente carica di tutti gli esiti acquisiti nel processo del suo svol-
gimento), mentre la seconda segna un imprevedibile, ma conse-
quenziale, ritorno ad un’utilizzazione in senso costruttivo-discor-
sivo del montaggio.
Ma fermiamoci imanto a considerare piu da vicino il primo
livello, che è quello che occupa soprattutto la prima parte del
film.
Da questo punto di vista si può dire che Blow-Up abbia
portato a compimento la organizzazione documentaria del repre-
senté, la sua riduzione a repertório oggettuale-gcstuale fredda-
mente esibito ed analizzato dalla camera: tutta la prima parte
del film si presenta come una rapida ed uniforme successione di !
•I
frammenti equivalenti di oggetti, di gesti, di luoghi e ad accre-
scere questa impressione concorre la totale abolizione delia se-
quenza come unità filmicamente identificabile: i punti di riferi-
mento spaziali e temporali che in qualche modo potrebbero ancora ;
lasciare un residuo di « unità di azione » vengono sistematica­
mente neutralizzati dal ricorso a cesure, ad interruzioni non « moti-
vate » che annullano, appunto, ogni effetto di unità d’azione e
riducono la successione delle inquadrature (e del loro « conte-
nuto ») ad un uniforme ed unidimensionale collage. L’oggettiva-
zione comportamentistica è dunque totale, ma quello che piu
importa sottolineare è che Poggetto delPattenzione lúcida delia !
camera è un modo, un universo comportamentistico, nel quale

217
ogni gesto, ogni atto che vi si compie, ogni manifestazione vitale
è il prodotto di una esistenza, ed anche di una realtà, tutta
risolta nella superfetazione del sensoriale e nella sensibilità: sen-
sibilità pura alia forma visibile, alio spazio, alToggetto. E l’os-
sessione deiroggetto puro, il quale non è altro, poi, che la mate-
rializzazione delia sensibilità, è divenuta ormai una sorta di feti-
cismo: si pensi solo alPepisodio delPelica, o a quello del pezzo j
di chitarra, o alia morbosa attrazione per il quadro che 1’amico
pittore sta dipingendo. L'immagine ha sostituito la realtà (si
pensi alia sequenza delle fotografie a Verhuschka, dove la ripresa
diventa un vero e proprio sostitutivo del coito), Tesistenza appare
compressa e totalmente ridotta al gusto delia própria immagine.
Tutti elementi assai bene chiariti anche da Slover.
La mobilitazione di un simile universo implica che 1’imma-
gine stessa di Antonioni — ed è quello che piu importa per il !
nostro discorso che ha sempre di mira gli esiti a livello delle
strutture propriamente filmiche — si conformi e si plasmi secondo
caratteri che di quell universo sono tipici. Ciò avviene, innanzi
tutto, a livello deirinvenzione plastica, che si rivela qui, con
piena consequenzialità, assai piu ricca che nei film precedenti,
proprio al fine di organizzare un « quadro » pullulante degli og-
getti e delle forme delle cui sollecitazioni sensibilistico-estetiche
vive e si appaga il personaggio: si pensi solo alia straordinaria
invenzione scenografica delia casa-studio del fotografo, con tutti
gli straordinari oggetti ed immagini che la popolano, in partico-
lare al parallelepipedo cândido delia camera di posa e alPinven-
zione, (estemporanea, secondo quanto mi ha detto 1’operatore
Cario Di Palma), delia serie di vetri scuri, dai quali affiorano i
corpi delle modelle. E questo conformarsi del film alia sensibilità
c al mestiere del personaggio-guida avviene anche, ed è ciò che
piu conta, a livello delle forme di inquadratura e di montaggio
che mimano la forma « fotográfica ». Ciò, innanzi tutto, com’è
ovvio, nelle « sequenze fotografiche »: ricordiamo lo strano effetto
di balletto geometrizzato in cui si risolve, mimando una compo-
sizione di istantanee, la prima parte delia sequenza con Verhu­
schka, effetto ottenuto con una serie di tagli del movimento delia
modella, oppure la panoramica che ci presenta il gruppo di
modelle come protagoniste di un balletto pietrificato nello spazio;
oppure, infine, la prima sequenza nel parco, tutta risolta secondo
la lógica delPistantanea, che guida il fotografo e, insieme, la camera
di Antonioni. Ma 1’impressione di imitazione dello stile e sul suo
materiale delia fotografia contemporânea, anche pubblicitaria, si
ha anche in molti brani di presentazione delia Londra d’oggi:
ad indicare gli oggetti e il modo di vederli del suo personaggio,

218
certo, ma anche a sottolineare 1'avvenuta identificazione di realtà
e immagine, la traslazione del visualismo fotogenico, che ha nella
fotografia la sua piíi clamorosa forma di espressione, a modo
ormai massificato di comportamento, che coincide con Pimma-
gine di se stesso che il mondo moderno offre nelle metropoli
delia cosiddetta società opulenta.
Ma questa lúcida, oggettiva registrazione di un universo
comportamentistico interamente dominato dalla sensibilità esté­
tica, che la camera capta e riproduce in tutta la gamma dei suoi
modi di attuazione, questa sorta di reportage per immagini sopra
un modo di rapporto col mondo che Antonioni ha ormai total­
mente oggettivato, non esaurisce, dicevamo prima, 1’intervento
formativo che il regista compie sul proprio materiale: se cosi
fosse, 1’operazione apparirebbe assai ambigua, e la mimesi stru-
mentale alia quale Antonioni piega la própria immagine potrebbe
anche sembrare un’identificazione pacificata con quelPuniverso,
i con quella sensibilità. Ma a questo punto, su questo primo strato
di elaborazione del materiale, Antonioni innesta un secondo grado
di elaborazione, che rappresenta un esplicito intervento critico 19.
Questa forma di intervento prende corpo nelPepisodio delPin-
grandimento, che fa emergere il problema delia capacita cono-
scitiva delia macchina fotográfica (e, per estensione piíi che legit-
tima, del cinema, solo che si tenga conto che la ricostruzione
fotográfica di quanto è avvenuto nel parco è una manifica appli-
cazione del montaggio clássico, alia Pudovkin potrcmmo dire) che,
conseguentemente, rappresenta, per il modo nel quale si sviluppa,
un saggio di critica delia sensibilità estetica come forma di cono-
scenza o di rapporto con la realtà. A questo proposito, sarà bene
osservare, per dissipare gli equivoci che possono nascere da inter-
pretazioni in chiave di pirandellismo volgarizzato, che ciò che è
in gioco è appunto la forma di rapporto che il fotografo, ma
potrebbe anche essere un pittore, intrattiene con la realtà e non
una (metafisica) polivalenza delia realtà stessa: ciò che interessa,
è sin troppo banale dirlo, non c se il morto esista davvero, ma
il meccanismo mentale, che va dalPeuforia alia agnizione finale,
che la scoperta delle « capacità conoscitive » delia macchina foto­
gráfica scatena nel protagonista. II quale, nel film, riveste eviden­
temente una doppia funzione, in relazione al dúplice livello di
organizzazione del discorso filmico. Riferito al primo livello, egli
è un esponente ad alto indice di rappresentatività delia sensibi­
lità mod, anzi una sorta di « gran sacerdote » di questo nuovo
rito, nella misura in cui il fotografo, a differenza di quanti lo
circondano, è non solo un fruitore ma anche un creatore di im­
magini; ed è un sacerdote pienamente consapevole delia própria

219
« dignità » e totalmente dedito al culto deirimmagine comc
valore: ricorda giustamente Slover che egli sta lavorando ad un
libro di « fotografie d’arte » che dovrebbe esere chiuso proprio
da quelle scattate nel parco,’ prima come conclusione pacata dopo
le immagini di violenza e di degradazione che ci vengono mo-
strate in una sequenza del film, poi come dimostrazione trion-
fante delia « virtu » delia macchina fotográfica. Ed è proprio que-
sta sua fede cieca nel médium fotográfico che permette di far
scattare la vicenda che lo conduce dalla scoperta iniziale alia finale
consapevolezza, raggiunta davanti alia finta partita di tennis (intro-
dotta non come elemento simbolico-surreale, ma didascalico) delia
indistinzione fra realtà e finzione, dunque dell’inautenticità, che
si cela nella sensibilità mod, nella sensibilità stessa: e a questo
proposito va detto che la « partecipazione » di Hemmings alia
finzione delia partita non va interpretata come rassegnata accetta-
zione delFesistenza inautêntica, ma come scoperta di quella indi­
stinzione, che implicitamente significa « espulsione » delia realtà;
cosicché, sottolinea giustamente Slover, giunge perfettamente con-
sequenziale la sparizione di Hemmings nelPultima inquadratura
del film, la sua « soppressione » da parte del regista che compie
la stessa operazione compiuta dal fotografo col caclavere, che
nelPingrandimento massimo diventa una semplice, astratta (ma
« bella ») trama di punti chiari e scuri. Purtroppo, questa « sop­
pressione » passa, per ragioni di resa técnica, quasi inavvertita,
altrimenti tanti equivoci di interpretazione del finale e di con-
seguente valutazione complessiva del film non sarebbero sorti.
Comunque se mi sono dilungato in considerazioni sulP« in-
treccio », appoggiandomi in parte alFegregia analisi di Slover, è
solo perche P« intreccio », o, è meglio dire, la figurazioue discor-
siva, c un elemento strutturale specifico di Blow-Up, rappresenta
appunto il secondo livello di organizzazione del film, che è la
súa innovazione maggiore, il suo tratto differenzionte piu signifi­
cativo rispetto a tutte le opere precedenti.
In Blow-Up insomma, per la prima volta, 1’evoluzione del
personaggio è un elemento presente e positivamente (e non come
residuo o aggregato « letterario ») significante, con tutto ciò che
questo implica e comporta a livello delia struttura filmica. Cioè,
sul piano generale, un recupero delia forma delia figurazione ico-
nico-diegetica, che implica a sua volta, piu particolarmente il re­
cupero del montaggio come forma di organizzazione di un discor-
so, dunque delia funzione logico-sintattica del montaggio, come
successionc significante di elementi significanti e non piu solo
come mezzo di organizzazione del materiale figurale come oggetto
di un’esperienza visiva in svolgimento (da parte delFautore) che

220
ancora il montaggio viene concretando e modulando. Insomma,
non siamo piíi di fronte ad una forma di visione interrogativa e
problemática, nel senso che abbiamo chiarito — speriamo — nei
capitoli precedcnti, ma discorsiva e critica, fondata sulle capacita
discorsive e critiche e sui modi specifici delia figurazione diegetica
o tem porata.
La presenza di questo livello di organizzazione è confermata,
oltre che dalla sequenza delPingrandimento, che ne rappresenta un
po’ la rifrazione alPinterno del contenuto del film, e delia sop-
pressione finale di Hemmings, dalla presenza di una « chiusura
compositiva », dunque da una forma di organizzazione del décou-
page, rappresentata dal fatto che il film si inizia e si chiude con
quel gruppo di giovani truccati e travestiti che hanno indubbia-
mente una funzione essenziale nel processo di presa di coscienza
di Hemmings e dunque nel « discorso » che quel processo rappre­
senta, in quanto la loro finta partita a tennis è, abbiamo visto,
Pelemento didascalico che Antonioni introduce nel film per in-
trodurre Hemmings alia « scoperta » finale delia coincidenza del
proprio modo di esistere con la finzione rappresentata dai giovani
e dalla partita che stanno giocando e delia radicale « irrealtà »
di questa forma di esistenza. Ora, si può osservare che questo
gruppo di giovani sia, come del resto il fotografo, prima ancora
che una funzione didascalica, una manifestazione, un fenomeno
delPuniverso delia sensibilità estetica pienamente pertinente al
primo strato di organizzazione del film. Ma ciò non toglie che
1’operazione di traslazione a funzione didascalica che subiranno,
non prenda le mosse sin dalPinizio del film e non si risolva
quindi in un livello di organizzazione compositiva di questo: basti
pensare al montaggio alternato sul gruppo e sul fotografo tra-
vestito da mendicante che si risolve poi nel loro incontro, che ci
fa intendere come le due diverse forme di travestimento obbe-
discano alia stessa motivazione di fondo, come il fotografo e i
giovani appartengano alia stessa dimensione di esistenza, per
comprendere che ci troviamo di fronte ad una delle forme piu
tipiche di montaggio discorsivo, di figurazione filmica, che non a
caso è posta proprio alPinizio del film, a svolgere appunto quella
funzione di « chiusura compositiva » alia quale si accennava.
Tuttavia questa novità strutturale — che non giunge certo
al recupero integrale del modello cinedrammatico —, la presenza
di questa forma di utilizzazione delia camera non deve far dimen-
ticare la compresenza delia prima forma, dalla quale si genera e
che ne rappresenta in tutti i sensi, in quello strutturale e in
quello storico la condizione: e cosi come il primo strato che
abbiamo individuato in Blow-Up non sarebbe, senza lo scatto

221
discorsivo che produce, altro che un mero calco che porterebbe in
sé la natura snobistica deiruniverso comportamentistico «mi-
mato », il secondo non sarebbe, senza il primo, che un frigido
teorema intellettualistico, senza radiei nella storia artística di
Antonioni. Anche sejrimane il fatto che con Blow-Up il cinema
di Antonioni, proprio attraverso questa sua doppia struttura di
visione, non è piú solo la fissazione sullo schermo di una sensi-
bilità estetica al visibile che fa emergere a trasparenza nella
coscienza dello spettatore una forma di rapporto con la realtà
che, in modo oscuro, è anche sua, ma ne è anche esplicitamente e
contemporaneamente, per la prima volta, la critica, o, se si prefe-
risce, la demistificazione.
Dopo la lúcida esperienza di Blow-Up, Antonioni volge la
própria attenzione alTAmerica e da questa esperienza nasce Za-
briskie Voint, un film dalla storia tormentata, per le difficoltà
incontrate dal regista per adattare la gigantesca macchina buro­
crática delia produzione hollywoodiana ai propri metodi di realiz-
zazione, fondati non marginalmente sulla invenzione estemporanea
e sulla continua reinvenzione, sulla captazione dei suggerimenti
immediati. Un film che per il carattere « caldo » delia sua matéria
ha provocato vivaci prese di posizione anche fuori delPambito
delia critica specializzata e che, fra i film di questo regista, è
quello che ha diviso piii profondamente la critica, la quale ha
espresso posizioni che andavano dalla stroncatura piu radicale
alPesaltazione senza riserve, come quella di chi, forse esagerando,
ha affermato che Antonioni era Púnico dei registi europei che
fosse riuscito a produrre un capolavoro anche in America 20.
Non è certo il caso ora di perdersi in un esame delle varie
posizioni critiche espresse a proposito di questo film, spesso gene-
riche o manifestamente infondate, a volte addirittura settarie, come
quelle espresse da certi settori reazionari che hanno gonfiato arti­
ficialmente le perplessità manifestate dai critici di alcuni grossi
quotidiani statunitensi, ai quali è stato facile, per Antonioni, con-
trapporre le accoglienze anche entusiastiche di settori meno legati
all'establisheinent americano, in particolare i pareri favorevoli
delle riviste underground, con Mekas in prima fila, e dei giornali
universitari2I.
Ma, lasciando da parte queste faccende che hanno piu a che
fare con la fenomenologia delPasservimento delia stampa ai centri
di potere economico e político che con la critica vera e própria,
c’è da dire che anche recensori da questo punto di vista non
sospettabili hanno espresso delle gravi riserve: riserve riguardanti
il costo del film, del resto prontamente spiegato dal regista, e
soprattutto riserve di carattere ideologico che si sono concretate

222
neiraccusa rivolta ad Antonioni di non aver saputo penetrare piu
a fondo nella scoperta dei meccanismi delia società americana e
di non aver saputo adeguatamente rappresentare la risposta poli-
tica che a questa situazione danno, o hanno cercato di dare, i
giovani delia « nuova sinistra » e i movimenti rivoluzionari negri:
e non a caso la sequenza piu criticata del film è quella del meeting
iniziale. L’acçusa insomma è quella di avere fornito i dati esterni
delia situazione americana senza rappresentarne in modo adeguato
le radiei o le motivazioni profonde. Ora, sarebbe facile obiettare
che questa accusa coincide perfettamente con la pretesa che Anto­
nioni facesse un film che non poteva íare, perche totalmente estra-
neo al suo modo di fare e di concepire il cinema, una rappresen-
tazione « ottocentesca », con 1’adozione delle strutture del cinema
drammatico, assolutamente inconciliabili con le forme delia sua
visione. E* persino banale affermare che Antonioni non ci ha dato
TAmerica ma la própria esperienza deH’America e, soprattutto, non
Pimmagine oggettiva delPAmerica ma la própria immagine di
questa società, nelle forme di organizzazione delia visione filmica
che gli sono congeniali. E tuttavia, la discussione in chiave ideo­
lógica non è del tutto infondata, non perche la matéria affrontata
solleciti necessariamente questo tipo di valutazione (nessuno si
aspettava da Antonioni una corretta interpretazione materialistica
delia società americana, ma, al massimo, la ricezione dei dati sui
quali questa analisi si potrebbe fondare), ma perche nel film è
presente un’ambiguità strutturale che, come vedremo, può anche
far pensare che la riconquista, compiuta con Blow-Up, delia ricet-
tività analitica e delia capacità discorsiva del mezzo filmico, sia
stata spinta qui da Antonioni fino al limite delia esplicita dichia-
razione ideológica o « filosófica », che giustificherebbe una risposta
al medesimo livello, a prescindere naturalmente dalla riuscita
« artística » del film.
Ma partiamo, come sempre, dalla definizione dei caratteri
oggettivi delPopera, naturalmente limitandoci alia definizione
delle linee essenziali e rinviando, per una analisi piu dettagliata,
al saggio di Fernaldo Di Giammatteo 22, assai utile da questo punto
di vista e molto interessante, anche se per alcuni versi discuti-
bile, per la prospettiva nella quale vi è analizzato il film e, piu
generalmente, la personalità artística di Antonioni.
Per quanto riguarda allora la struttura di Zabriskie Point,
si può osservare, innanzi tutto, che in esso si è ormai definiti­
vamente consolidata la conquista delia camera, delia visione fil­
mica, come forma di lettura analitica dei dati oggettivi che il
visibile porta in se stesso, con una compiuta « storicizzazione »
del fenomenico oggetto delPattenzione delia camera: la forma

223
delia « visione estraniata », insomma, è ormai divenuta un sicuro
e lúcido strumento conoscitivo nelle mani del regista, che può
davvero utilizzarla come captazione dei segni filmabili che la realtà
storica del nostro tempo*fa affiorare nel visibile quotidiano.
Ciò appare evidente già nella stessa scelta delia matéria che,
per la prima volta, non è una forma delia coscienza individuale,
sia pure ormai esplosa a fenomeno di massa, come in Blow-Up,
ma una situazione storicamente determinata: la saldezza appa-
rentemente impenetrabile e non scalfibile di un sistema sociale
giunto ad un altíssimo grado di maturazione capitalistica, con le
feroci contraddizioni che gli sono costitutive (gli eccessi di opu-
lenza e di spreco da una parte, di miséria dalPaltra) e con la
spaventosa carica di violenza che esso nasconde nel proprio corpo
gigantesco e che si manifesta come agghiacciante routine buro­
crática, come garanzia « naturale » delia sopravvivenza del sistema
(si pensi solo alia « naturalezza » con la quale la polizia uccide
Mark), o come disperata reazione, come una delle forme di rifiuto
(rifiuto hippy, lotte studentesche), che sono oggettivamente il
prodotto di diverse forme di estremismo idealistico. Porta di
fronte a questa situazione, la camera di Antonioni ce ne allinea
davanti agli occhi, con feroce lucidità, tutti i segni visibili, utiliz-
zando come sempre non solo i personaggi e le situazioni, che
coprono tutto Parco degli epifenomeni del sistema delia violenza
capitalistica, dal potere, alia subordinazione passiva o masochi-
sticamente complice, alia degradazione, ma anche gli oggetti (dai
cartelloni pubblicitari ai caschi delia polizia, anch’essi, a loro
modo, epifenomeni del sistema delia violenza), accentuati da un
sapientíssimo uso del Panavision e dal duttile ricorso a diverse
"ecniche di ripresa che alternano il teleobiettivo al grandangolare,
\ campo lungo al dettaglio. E, accanto ai segni delia violenza
ipitalistica, i segni del rifiuto del sistema: gli studenti e i
ruppi negri che parlano di rivoluzione, ma anche coloro che
ifiutano il sistema in forma lúdica, magari facendosene beffe (come
lo sconosciuto che risponde al telefono alPavvocato, dalla casa
di Daria), ma anche i residui di una civiltà o di una ideologia
preindustriale, precapitalistica: il vecchio che Daria e Mark incon-
trano nel deserto e che li aiuta nel « travestimento pittorico »
delPaereo, il vecchio portatore di una saggezza estranea alia storia.
Ma sappiamo cos’è PAmerica; o sappiamo, almeno, quali
sono i segni del dominio capitalistico; e se Poperazione di Anto­
nioni si fosse limitata alia costruzione di un sapientíssimo repor-
tage per immagini, non ci sarebbe che da ammirare, ma senza
entusiasmo, la perfezione raggiunta dal suo « occhio » di docu-
mentarista. Invece la funzione che Antonioni assegna ormai alia

224
\

visione íilmica non è piú solo quella di captare i segni àeWoggi I


americano, ma anche quella di scoprire quali forze ne stanno pre­
parando il domani. Rispetto a questo punto, non è tanto impor­
tante sottolineare ,e forse non corrisponde neanche al vero,
come ciò comporti che Antonioni finisca ancora una volta per
fare un film sul destino delTuomo, come afferma Di Gammatteo,
quanto invece vedere in quali termini questa ricerca si rifletta
nella struttura del film.
Ebbene, è da osservare che proprio da questa linea di ricerca
scaturisce un secondo strato di organizzazione del film, perche
essa dà luogo ad un conformarsi di tutta la prima parte, fino
alPincontro nel deserto, secondo una forma delVindagine, delia
ricerca di uno o piu personaggi, o piuttosto forme di comporta­
mento, nelle quali sia possibile individuare il destino dell’America
di domani: è una forma che si sovrappone al primo strato di docu-
mentazione oggettiva, che ne costituisce il back-ground, il punto
di appoggio e che ha il suo luogo piu chiaramente esemplificativo
proprio nella sequenza del meeting studentesco, dove la camera,
dal buio, dalPindistinzione di forme e di voei iniziale, che rap-
presentano bene lo stato, il punto d’inizio delia ricerca di Anto­
nioni, comincia a muoversi, ad indagare, a soffermarsi a leggere
questo o quel viso, questo o quel gesto, fino ad individuare in
Mark e nel suo anarchico attivismo il filo conduttore cercatc
che non abbandonerà piu, se non per seguire, in un montaggio al-
ternato che confluirá nelPincontro nel deserto fra 1 aereo e 1 auto-
mobile, il suo secondo filo conduttore, la sensibilità estetico-ludica
di Daria, colta per la prima volta in uno dei momenti del suo
« passare », intangibile e indiíferente in mezzo ai « monumenti » e
ai « mostri » del capitalismo. Questa indagine ed il suo risultato
danno dunque modo, ad Antonioni, anche qui come in Blow-Up, :
di innestare sopra uno strato documentário di fondo lo sviluppo di
un intervento discorsivo, ed anche qui, come in Blow-Up, non a
caso il segno costruttivo immediato di questa flessione discorsiva
delia visione filmica è 1’utilizzazione del montaggio alternato, sia
pure a cadenze piu lunghe.
Comunque il regista, una volta identifica ti non casualmente i
propri fili conduttori in due personaggi in modo diverso assolu-
tamente estranei al sistema (1’anarchico Mark e l’« indifferente »
Daria), li pone a confronto in un luogo « preistorico », anch’esso
estraneo al sistema, « Zabriskie Point », dove la rappresentazione
delia pura, « astorica » sensibilità, delia dimensione puramente
lúdica dciresistenza, delia quale Daria è portatrice, dà vita alia
straordinaria figurazione delia valle delia morte che si popola di
ragazzi che fanno Pamore quasi emergendo dalla sabbia: una

225
figurazione che, per la complessità sinfónica delia sua organizza-
zione spaziale e ritmica, è certamente una delle sequenze stilisti-
camente piu alte di tutta 1’opera di Antonioni: adeguatamente
commentata e sottolineata dalPimprovvisazione alia chitarra di
Jerry Garcia ed esattamente preparata da tutta la prima parte
delPepisodio di « Zabriskie Point », tutto giocato sulle cesure,
sugli indugi, sugli avvicinamenti e allontanamenti di piano che
contribuiscono a creare quella situazione rarefatta, atemporale,
totalmente « estetica », dalla quale naturalmente scaturiscono il
desiderio d’amore e la « fantasia visiva » di Daria.
Ma ciò che importa sottolineare è che questa sequenza, nella
quale esplode la sensibilità immaginatoria di Daria, coincide con
la definitiva scelta, da parte di Antonioni ,del filo conduttore
del suo « discorso » sull’America: da questo momento in poi
Mark tornerà ad essere un fenomeno oggettivo, un dato delia
situazione americana: morra come si muore in America, ed
Antonioni piangerà la sua morte con una splendida invenzione
filmica (i tre movimenti a spirale delia camera sull’« uccello » ab-
battuto), mentre Daria lo piangerà a suo modo, con quel lieve,
quasi rituale scuotere delle spalle, ancora sottolineato dalla chi­
tarra di Jerry Garcia.
Ma rimmaginazione di Daria torna invece ad esplodere come
forza distruttiva del sistema e dei suoi simboli nella sequenza
finale, dove si dispiega lúcida ed iterata nella serie di esplosioni,
preparate da quella serie di dettagli sospesi delia villa, che ricor-
dano da vicino, sottolinea anche Di Giammatteo, il finale del-
VEclisse, e si sublima in puro ed eversore gioco artistico nella
seconda parte delia sequenza, quella che il regista chiama « astrat-
ta », esplicitamente distinta dalla prima anche con un movimento
di panoramica a destra, per indicarne la natura di ridondanza meta­
fórica del carattere estetico e lúdico delPatto di « distruzione »
compiuto da Daria.
Dunque Antonioni ha fatto la sua scelta, una scelta che ha
una motivazione artística, certo, ma anche filosófica, anche ideoló­
gica. Ed è proprio questa scelta, o le implicazioni ideologiche alie
quali rimanda, che può lasciare perplessi. Ma solo se la si intende
come accettazione di certe teorie delPestremismo borghese, non
certo se la si intende per quello che probabilmente è, al di là
di tutte le ambiguità di rappresentazione che affiorano soprattuto
nelle ultime inquadrature del film: 1’ultimo disperato, utopico
atto di fede deH’artista borghese neireffettualità storica, nel
« valore » umano deirimmaginazione artística.

226
ti
i
NOTE AL CAPITOLO V
!
i M. Antonioni, II falto e Vimmagine, in «Cinema Nuovo» 1963,
n. 164, p. 249.
1 corsivi sono miei. .. . . .
2 Citato da Baldelli, in II cinema delVambiguttà cit., p. 233
3 G. Luti, Cronache letterarie fra le due guerre. 1920-1940., Ban,
LatC4Z o/cafdiron (a cura di), II lungo viaggio del cinema italiano, Marsilio,
Pad°5V A^Asor Rosa, Scrittori e popolo, Samonà e Savelli, Roma, 1966. ]

6 Signor Formica, Pastone, in « Cinema » n. 175-176.


7 P. Baldelli, op. cit p. 169 . ;
8 M. Antonioni, Prefazione a Sei film cit., p. AVI. ■!

9 P. Baldelli, op. cit., p. 230, n. 20. . . < . r#v


10 L. Zorzi c L. Aromando, Cinema Antonioni e l Avventura, m « Co-
munità », Milano, gennaio 1961. ;
n Si veda a questo proposito il seminário tenuto da Enzo Paci al- *
1’Università di Milano e pubblicato nel volume di Di Cario già citato,
pp. 87-126. ;
12 Tailleur e Thirard, op. cit., passim.
13 G. Fink, Antonioni e il giallo alia rovescta, in Cinema Nuovo »
n Si veda il suo intervento nel dibattito sul «Contemporâneo» già
citato.
is PP. Pasolini, II cinema di poesia cit. r ...
16 M. Antonioni, Deserto Rosso, a cura di Cario di Cario, CappeUi,
Bologna^ 1%5 Blow-up: médium, mcssaggio, mito e finzione, in
« Strumenti critici» n. 5, febbraio 1968.
is G. Tinazzi, Antonioni e la « crist» del cinema, relazione al Convegno
PCr *19 BaídènHnvecefo^cit. p. 255-259) prende in considerazione posi-
tiva solo questo primo aspetto o strato del film, giudicando il secondo,
ancora una volta, come residuo delia v^111^Ità, dl
20 Cfr. la reccnsione del film di E. Callenbach, m « Film Quarterly»,
vol. XXII: n. 3, 1970. , íMwp
21 Si veda, nella sceneggiatura del film pubblicata da Cappelli, L Ame-
rica che ha detto di si, compendio dei giudizi positivi espressi dalla
stampa pm^JCaGiammattc0) Zabriskie Point. Una metafora delia libertà
impossibile, in « Bianco e Nero » 1970, n. 5-6.

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227
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» STUDI CINEMATOGRAFICI

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