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Segnature

Collana diretta da
Paolo Fabbri e Gianfranco Marrone

24

Edizione originale:
Né de la Terre
Editions du Seuil, 1996

Copyright © 2004 Meltemi editore srl, Roma

Le immagini alle pp. 75, 76, 77, 79, 94, 100, 101, 104
sono tratte da Reiss, Feineman 2000.

È vietata la riproduzione, anche parziale,


con qualsiasi mezzo effettuata compresa la fotocopia,
anche a uso interno o didattico, non autorizzata.

Meltemi editore
via dell’Olmata, 30 – 00184 Roma
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Paolo Peverini

Il videoclip
Strategie e figure di una forma breve

MELTEMI
Ringraziamenti

Desidero ringraziare innanzitutto Isabella Pezzini per aver sostenuto


con pazienza ed entusiasmo il mio lavoro in questi anni, coinvolgen-
domi in discussioni stimolanti e condividendo con me una riflessione
appassionata sulle forme brevi.
Un ringraziamento sincero a Gianfranco Marrone i cui consigli si so-
no rivelati preziosi per intervenire sulla forma dell’espressione (e del
contenuto) di questo volume.
Ringrazio Paolo Fabbri per la disponibilità che ha dimostrato nei
confronti del mio lavoro.
Nicola Dusi, Franciscu Sedda, Pierluigi Cervelli, Paolo Guarino, Pie-
ro Polidoro, Daniela Panosetti hanno “subito” con simpatia e affetto
il mio entusiasmo per i videoclip dimostrandosi sempre disponibili a
un dialogo fruttuoso sia nelle situazioni ufficiali, sia nelle occasioni
informali.
Ringrazio gli studenti di Scienze della Comunicazione dell’Università
di Roma “La Sapienza” per gli interventi critici, il rumore senza fine,
le mani alzate e le risposte incoraggianti.

Un ringraziamento davvero speciale ai miei amici e compagni di la-


voro cut-tivi: Elisa, Mimmo, Simona per aver scovato videoclip, rilet-
to/corretto con pazienza le mie posizioni e riempito di musica, ru-
mori e voci il backstage di questo volume. Grazie a Ninì Candalino
per aver incoraggiato le mie esplorazioni teoriche, alimentando il
mio slancio semiotico con osservazioni sempre stimolanti.
Un grande grazie ai miei genitori, Virginia e Alessandro, e ai miei fra-
telli, Stefano e Fabrizio, per l’incoraggiamento affettuoso.

Nel volume vengono proposte in una nuova versione due analisi te-
stuali che hanno avuto una prima pubblicazione e sono state presen-
tate nell’ambito del XXVIII convegno annuale dell’AISS (Associazione
Italiana di Studi Semiotici), Castiglioncello (Livorno) 2000, e del con-
vegno internazionale di semiotica “Narratività e media”, Urbino,
Centro internazionale di semiotica e linguistica, Università di Urbino,
2002: “Le strategie enunciative di Outside. Iperciclo non lineare di
dramma gotico” in Bertetti, Manetti, a cura, 2001, pp. 276-286; No Di-
stance left to run. Strategie enunciative di una forma breve, «Documen-
ti di lavoro», n. 320-321-322 B, 2003, Urbino, Centro internazionale
di semiotica e linguistica, Università di Urbino, pp. 26-40.
A Elisa. Perché è Elisa
Indice

p. 9 Parte prima
Strumenti

11 Capitolo primo
Un fenomeno testuale tra sperimentazione e promozione
Introduzione
La nascita di un fenomeno audiovisivo. Innovazioni
stilistiche e logiche produttive
Ricostruzione di un dibattito in corso
I videoclip. Micro-testi esemplari delle culture giovanili

39 Capitolo secondo
L’autonomia linguistica delle forme brevi
Una prospettiva sociosemiotica
Le strategie dell’enunciazione di una forma breve
Il corpo in gioco

59 Capitolo terzo
Ritmi visivi, ritmi sonori, ritmi audiovisivi
Suono e immagine, una saldatura inevitabile
Il montaggio audiovisivo
Il videoclip. Oltre l’associazione di suono e immagine
Figure del ritmo e strategie di montaggio
Il ritmo contagioso delle forme brevi

89 Capitolo quarto
La star musicale. Sperimentazioni enunciative
e costruzione dell’identità nei videoclip
L’enunciazione impersonale nei testi audiovisivi
Nuove forme della metatestualità
Sincretismo e sinestesia. Dal corpo del performer all’identità
della star
111 Parte seconda
Analisi

115 Capitolo quinto


L’identità della star come forma estrema di bricolage.
David Bowie e 1.Outside.
Il book
I brani musicali
Il video musicale

135 Capitolo sesto


Una notte dietro le quinte. I Blur e No Distance left
to run
Introduzione
Il prologo
Il videoclip
L’epilogo

149 Capitolo settimo


Verso nuove strategie di risemantizzazione
Manipolazione del corpo e forme della veridizione
Dove hai la testa? Il vero volto di una deformazione
professionale
Daft Punk. Un modello di identità sospeso
tra sovraesposizione e negazione
Gorillaz. L’appeal irresistibile di un’identità
multiformato

173 Per concludere

179 Bibliografia
Parte prima
Strumenti
Capitolo primo
Un fenomeno testuale tra sperimentazione e
promozione

Se vuoi una spiegazione più colta, diciamo che hai


visto un fantasma semiotico. Tutte queste storie di
visitatori e di Ufo, per fare un esempio, sono colle-
gate a un certo tipo di immagini fantascientifiche
che ormai sono diffusissime nella nostra cultura.
(…) Un alieno può andarmi bene, ma non un
alieno che assomiglia a un fumetto degli anni cin-
quanta. Sono fantasmi semiotici, frammenti di
questo immaginario collettivo che si sono staccati
e hanno presa vita autonoma, come le aeronavi
alla Jules Verne che quei vecchi contadini del
Kansas continuavano a vedere.
(William Gibson, Il Continuum di Gernsback,
Mirrorshades)

Introduzione

Il videoclip è una forma breve della comunicazione


audiovisiva il cui linguaggio nasce e si sviluppa in rela-
zione all’esigenza di promuovere un bene di consumo
effimero e immateriale, la musica.
La durata ridotta e la funzione commerciale non con-
dizionano negativamente il potenziale espressivo dei vi-
deo musicali, certamente non in senso assoluto. Al con-
trario queste costrizioni spesso si rivelano uno stimolo
prezioso, un’occasione per andare oltre i limiti tracciati
dalle forme di testualità audiovisiva più consolidate.
Sebbene a una prima impressione il videoclip possa
apparire come il prodotto di una sovrapposizione caoti-
ca di suoni e immagini, una forma espressiva minore,
 PAOLO PEVERINI

“leggera”, uno sguardo approfondito può rilevare le


tracce di una sperimentazione originale che coinvolge
tanto la dimensione narrativa quanto quella propriamen-
te discorsiva, ovvero le immagini, i suoni, i ritmi: in altri
termini le modalità audiovisive che regolano la messa in
scena di un plot.
Per quanto riguarda il versante narrativo è interessan-
te notare che i video musicali non si limitano a ripropor-
re sempre in modo semplificato temi e storie elaborati in
diversi ambiti comunicativi, ma valorizzano la pratica del
bricolage, l’assemblaggio inedito di frammenti preesi-
stenti.
Questo intenso lavoro di riconfigurazione spesso si
traduce a livello audiovisivo in una strategia di montag-
gio che privilegia il frammento alla compiuta unità narra-
tiva, le forme della ripetizione alla successione regolare
delle sequenze, l’esibizione delle qualità “imperfette”
della sostanza sonora e visiva (immagini sfocate e sgrana-
te, sonorità “sporche”) alla perfezione compositiva del-
l’immagine cinematografica, la de-sicronizzazione alla
coincidenza di suoni e immagini.
A partire da queste premesse il volume esplora con
un impianto teorico e metodologico sociosemiotico le ra-
gioni del successo crescente di questi fenomeni audiovi-
sivi, soffermandosi in particolare sul legame tra speri-
mentazione espressiva, routine di produzione/distribu-
zione e stili di consumo.
La prima parte della ricerca è dedicata a una riflessio-
ne sulla nascita e l’evoluzione dei videoclip.
In un paragrafo viene ricostruito il dibattito sul valore
che i diversi orientamenti critici hanno attribuito a que-
ste forme testuali, in seguito anche ai tentativi di classifi-
cazione proposti nell’ambito di diversi approcci discipli-
nari (semiotica, cultural studies, sociologia dei consumi,
musicologia, critica cinematografica).
Il capitolo si conclude con la proposta di ripensare il
videoclip come fenomeno esemplare delle culture giovani-
li, fonte di stili e tendenze che contribuiscono a rinnovare,
UN FENOMENO TESTUALE TRA SPERIMENTAZIONE… 

talvolta in modo radicale, le diverse forme dell’espressività


contemporanea.
Nella seconda parte viene affrontato in una prospettiva
sociosemiotica il tema dell’autonomia linguistica di queste
forme brevi.
In particolare vengono illustrate alcune nozioni fonda-
mentali come la prassi discorsiva, la presenza di regimi
della significazione che si fondano su un far senso del cor-
po, le forme di adesione passionale che legano il testo al
suo spettatore.
Viene dunque avanzata l’ipotesi di analizzare le strategie
testuali dei videoclip privilegiando le figure che ne rendono
seducente il livello discorsivo, come le forme del ritmo audio-
visivo, le strategie di montaggio, gli interventi di manipolazio-
ne sui regimi di visibilità, elementi che rinviano all’esigenza
promozionale di costruire testi sufficientemente anticonfor-
misti da resistere al logorio imposto dai passaggi televisivi.
Nella terza parte del volume viene proposto uno studio
approfondito dei dispositivi che assicurano l’efficacia di
queste forme brevi.
In particolare vengono utilizzati gli strumenti di meto-
do elaborati dalla semiotica del cinema e degli audiovisivi
per analizzare nel dettaglio le figure del ritmo e le forme di
manipolazione dell’immagine che trasformano il corpo del
performer in veicolo di seduzione.
Nel capitolo dedicato al ritmo videomusicale vengono
analizzate le differenti strategie di costruzione dei punti di
sincronizzazione audiovisiva, momenti in cui i suoni e le
immagini entrano in risonanza assicurando al testo la capa-
cità di far presa sullo spettatore.
Nel capitolo che esplora il rapporto tra sperimentazio-
ne enunciativa e costruzione dell’identità della star vengo-
no indagate in dettaglio le complesse operazioni di rise-
mantizzazione cui viene sottoposto il performer, corpo-im-
magine per definizione plasmabile, spazio di frontiera in
cui il talento visionario dei registi e le esigenze commerciali
di televisioni musicali ed etichette discografiche si influen-
zano reciprocamente.
 PAOLO PEVERINI

L’ultima parte del volume è dedicata infine all’analisi di


alcuni testi che riassumono in modo esemplare i tratti pe-
culiari di queste forme brevi.
I video selezionati sono Outside (1995), regia di Sam
Bayer per David Bowie, No Distance left to run (1999),
del regista danese Tomas Vinterberg per la band inglese
dei Blur, Where’s your head at? (2000), realizzato da
Traktor per i Basement Jaxx e infine El Salvador (2003),
lavoro d’esordio della pop band degli Athlete.
Lo scopo delle analisi è verificare innanzitutto la pre-
senza di un legame tra le diverse forme di manipolazione
cui è sottoposto il corpo della star e le strategie di valo-
rizzazione di un oggetto di largo consumo, il cd.
Come si tenterà di dimostrare, nella produzione più
recente, indipendentemente dal genere di riferimento
(industrial, pop, dance), il perfomer mira a riconfigurare
il rapporto di fiducia con il proprio pubblico offrendosi
non più semplicemente come corpo patinato, ma come
figura visibilmente contraffatta, tanto più autentica e cre-
dibile quanto più esplicita nel mostrare sulla propria pel-
le i segni della sua stessa costruzione.

La nascita di un fenomeno audiovisivo. Innovazioni sti-


listiche e logiche produttive

La ricostruzione delle origini del video musicale è un


obiettivo ricorrente negli studi dedicati a queste forme
brevi, sia in ambito accademico che giornalistico.
Michael Shore, un autorevole critico musicale, ricor-
da che la stessa BBC nel 1986 realizzò un programma, Vi-
deo Juke Box, che individuava nel film di Oskar Fischin-
ger del 1934, Komposition in Blau, un antecedente del
moderno videoclip.
La stampa specializzata spesso ha ricondotto la nasci-
ta di queste forme brevi ai soundies, cortometraggi musi-
cali realizzati negli Stati Uniti tra il 1941 e il 1947 come
strumento di promozione per la musica jazz. Questi mi-
UN FENOMENO TESTUALE TRA SPERIMENTAZIONE… 

ni-film la cui durata era compresa tra tre e otto minuti,


avevano come protagonisti, tra gli altri, Bessie Smith, Bil-
lie Holiday, Duke Ellington, Cab Calloway e Bing Cro-
sby. Commissionati dai proprietari dei teatri per intratte-
nere i clienti, i soundies erano anche utilizzati come for-
me interstiziali all’interno della programmazione televisi-
va. Poiché erano oggetto di un controllo minore da parte
degli organi di censura, i soundies spesso si dimostravano
più irriverenti degli stessi film nei confronti dei quali
svolgevano una funzione di supporto. Precorrendo una
tendenza che avrebbe segnato profondamente la realizza-
zione di videoclip per molti anni, la maggior parte della
produzione dei soundies documentava performance arti-
stiche su un palco o all’interno di un set. In alcuni casi
particolarmente ambiziosi l’efficacia di queste forme bre-
vi si fondava sull’abilità a mettere in forma un plot, una
piccola storia realizzata con ironia e rivolta alla realtà so-
cio economica e politica.
Negli studi dedicati alla storia del videoclip viene
spesso menzionato lo Scopitone, video jukebox realizza-
to in Francia negli anni Sessanta. I clip, selezionabili a
pagamento dall’utente, erano realizzati a colori e mostra-
vano le performance di artisti pop come Johnny Halli-
day, Petula Clark, Dionne Warwick, Neil Sedaka.
Tra i fattori che hanno influenzato profondamente la
produzione videomusicale vengono spesso citati i musi-
cal hollywoodiani degli anni Cinquanta interpretati da
Elvis Presley e dedicati alle culture giovanili e alla scena
rock and roll (The Blackboard Jungle, Rock around the
clock, Blue Hawaii), e le serie televisive di successo degli
anni Sessanta come The Monkees, una rock sit-com pro-
dotta dalla NBC i cui protagonisti interpretavano sul pic-
colo schermo le avventure surreali di una band musicale.

Il produttore Don Kirshner reclutò i membri della “band”


Davj Jones, Mike Nesmith, Peter Tork e Mickey Dolenz af-
fidandosi unicamente al potenziale telegenico piuttosto che
alle abilità musicali (…). Gli interpreti non suonavano i lo-
 PAOLO PEVERINI

ro strumenti (lo facevano musicisti professionisti), né rea-


lizzavano i testi (era compito di Neil Diamond e del team di
Tommy Boyce e Bobby Hart). I Monkees ha un ruolo im-
portante nella storia del video rock anche perché la stessa
band venne formata dai produttori esecutivi del canale pri-
ma di realizzare le musiche, e uno dei membri, Mike Ne-
smith, sarebbe in seguito divenuto un pioniere dei video
rock alla fine degli anni Settanta (Shore 1984, pp. 34-35).

Secondo i critici musicali le radici del videoclip affon-


dano anche nei primi film dei Beatles (A Hard Day’s Ni-
ght, Help), nei successivi clip promozionali (Penny Lane,
Strawberry Fields Forever) e negli speciali televisivi (The
Magical Mistery Tour). Tuttavia come sostiene ironica-
mente Andrew Goodwin (1992, p. 30) in Dancing in the
distraction factory. Music, television and popular culture,
uno dei saggi più articolati condotti in ambito anglosas-
sone sulle dinamiche esistenti tra etichette discografiche,
emittenti musicali e culture giovanili “il candidato più
popolare per il titolo di ‘primo video musicale’ è il clip
di sei minuti realizzato da Bruce Gowers nel 1975 per
Bohemian Rapsody, il singolo di maggior successo dei
Queen”.
Goodwin assume una posizione fortemente polemica
nei confronti di un dibattito che spesso si riduce a una
vera e propria “caccia” alle origini del videoclip, affer-
mando che per ricostruire l’evoluzione del fenomeno è
necessario innanzitutto analizzare alcuni fondamentali
fattori extratestuali.

Certamente la maggior parte di questi primi tentativi di riu-


nificare suoni e immagini sono molto importanti e fornisco-
no indicazioni molto utili per comprendere i fenomeni pop,
ma se vogliamo identificare le origini del videoclip, consi-
derato nelle sue forme più attuali, è necessario prendere in
considerazione anche il contesto. Se i suoni e le immagini
pop su pellicola e videocassetta risalgono a Bill Haley e El-
vis Presley, ai Monkees e ai Beatles, agli Abba e ai Sex Pi-
stols, allora perché è solo a partire dal 1980 che i critici
UN FENOMENO TESTUALE TRA SPERIMENTAZIONE… 

musicali e gli addetti ai lavori dell’industria discografica


iniziano a discutere di qualcosa che si chiama video musica-
le? (p. 30).

Le premesse per la nascita e l’evoluzione dei video


musicali si sviluppano in Inghilterra negli anni Ottanta, a
partire dalla profonda trasformazione che investe le stra-
tegie di promozione dei singoli pop nel mercato disco-
grafico.
In particolare esiste una stretta correlazione tra le
strategie commerciali delle televisioni musicali inglesi e
l’affermazione sulla scena musicale del New Pop, e in
particolare delle band che hanno dato vita al movimento
New Romantic.
Il New Pop si impone come un fenomeno segnato da
una concezione del tutto inedita delle relazioni tra musi-
ca, immagini e mercato discografico, spiegabile in parte
come una reazione alla conclusione repentina del movi-
mento punk rock.
Le premesse dell’evoluzione del linguaggio audiovisi-
vo a scopo promozionale risalgono proprio agli anni Set-
tanta, in particolare all’utilizzo della tecnologia elettroni-
ca da parte di gruppi come Cabaret Voltaire e Human
League che impiegano in maniera sperimentale i primi
sintetizzatori, sequencers e drum machines.
Durante gli anni del trionfo punk la performance live
non prevede tuttavia in alcun modo l’utilizzo degli stru-
menti elettronici come sostituti dei musicisti nell’esecu-
zione del brano. È solo con la fine del movimento e con
la nascita di un rinnovato interesse per il mercato main-
stream e in particolare per la musica dance che la tecno-
logia elettronica si diffonde rapidamente sia nelle fasi di
produzione che durante le esibizioni live.
Nel corso degli anni Ottanta l’impiego degli strumen-
ti elettronici diviene rapidamente una routine, brani mu-
sicali e intere session vengono pre-registrati in studio.
Progressivamente prende forma un fenomeno inedito. Il
successo crescente della moderna tecnologia digitale nel-
 PAOLO PEVERINI

le fasi di produzione e distribuzione della musica pop


rende in alcuni casi pressoché inutile la presenza del mu-
sicista nel ruolo tradizionale di esecutore del brano musi-
cale, e in generale costringe a ridefinire completamente il
significato del termine performance.
Nel dinamico panorama discografico inglese si affer-
ma rapidamente la tendenza a utilizzare la musica pre-re-
gistrata in studio come sfondo musicale delle esibizioni
live. La performance della band si riduce progressiva-
mente a una serie di interventi sul brano, la cui esecuzio-
ne in alcuni casi viene completamente affidata agli stru-
menti elettronici.
Contemporaneamente a questa profonda innovazione
sul piano produttivo, si sviluppano nuove dinamiche di
consumo. Durante gli anni Ottanta il tradizionale pubblico
dei concerti pop, rock e rap si abitua all’idea che una parte
della musica ascoltata dal vivo è in realtà registrata su un
nastro, rielaborata e diffusa da una macchina.
Questo fenomeno produttivo ha delle profonde con-
seguenze sull’industria nascente dei videoclip.

se l’esecuzione della musica pop consisteva nel cantare su


suoni registrati pressoché identici alla musica su nastro e
cassetta, allora mancava solo un passo per accettare come
una pratica pop del tutto legittima l’imitazione di una
performance in un video musicale (p. 33).

Le nuove tecnologie elettroniche impiegate nella rea-


lizzazione e promozione di generi musicali di vasto suc-
cesso valorizzano la dimensione visiva della performance
pop. Se fino alla prima metà degli anni Ottanta i musici-
sti avevano tentato di nascondere il fatto che talvolta le
performance live erano in parte simulate, il fenomeno
musicale del New Pop legittima definitivamente le
performance come un “medium visuale con una colonna
sonora” (ib).
Il secondo fattore determinante per la nascita e la dif-
fusione dei videoclip consiste nella rinnovata capacità
UN FENOMENO TESTUALE TRA SPERIMENTAZIONE… 

delle band di assumere un atteggiamento smaliziato nei


confronti delle logiche promozionali del mercato disco-
grafico. I nuovi protagonisti del pop mirano ad autolegit-
timarsi nei confronti del pubblico valorizzando la pro-
pria immagine, proponendosi nei confronti delle nuove
generazioni come modelli di riferimento non solo nel-
l’ambito musicale ma anche in quello della moda.

In artisti come Madonna e i Pet Shop Boys, l’idea di auten-


ticità operava ancora a un alto livello, ma si fondava sull’a-
bilità di mettere in scena una finzione in grado di manipo-
lare e costruire l’immaginario massmediale (ib.).

Per comprendere le ragioni del successo del videoclip


negli anni Ottanta è necessario tuttavia prendere in con-
siderazione anche l’evoluzione delle politiche economi-
che degli apparati dell’industria culturale. Come osserva
Domenico Baldini (2000, p. 56), studioso delle strategie
di posizionamento dei canali televisivi in relazione ai tar-
get giovanili, in Europa e in particolare nel Regno Unito,

le radio non erano il principale veicolo per far conoscere la


“nuova” musica al pubblico. La gestione e la regolazione
dell’etere da parte dei governi aveva dato origine a un ri-
stretto numero di radio che offrivano scarsissime opportu-
nità al passaggio della musica rock. In tv c’erano invece
spazi per il pop e il rock (…). Dopo l’esplosione della bea-
tlemania che ha inizio nel 1963 negli Uk e l’anno dopo ne-
gli USA, l’industria televisiva si accorge della crescente do-
manda di musica in tv.

Nel 1963 iniziano le trasmissioni di Ready Steady Go!,


un programma televisivo dedicato alla musica pop, se-
guito subito dopo da Top of the Pops e Oh Boy. Questi
show musicali sono basati sullo stesso schema generale,
ogni settimana famose band pop eseguono dal vivo i loro
singoli di maggior successo.
Per i responsabili di produzione di questi programmi
emerge immediatamente l’esigenza di poter disporre setti-
 PAOLO PEVERINI

manalmente della presenza di gruppi musicali di richia-


mo. Le band, tuttavia, sono spesso impegnate in tour pro-
mozionali particolarmente impegnativi, e dunque difficil-
mente riescono a garantire la loro presenza all’interno
dello spettacolo televisivo. Le case discografiche per otti-
mizzare le routine produttive e limitare i costi iniziano
dunque a commissionare dei piccoli film promozionali
che generalmente si limitano a documentare la perfor-
mance delle band di maggior successo durante i concerti,
e solo occasionalmente deviano da questa impostazione.
Questa soluzione innesca una solida sinergia tra indu-
stria discografica ed emittenti televisive, tuttavia fino alla
metà degli anni Settanta il numero di videoclip prodotti
esclusivamente per il piccolo schermo è ancora estrema-
mente ridotto.
È a partire dalla seconda metà degli anni Settanta che
si assiste a una vera e propria svolta nel panorama della
produzione videomusicale inglese.
Nel 1975 la band dei Queen affida a Bruce Gowers,
un giovane regista, il compito di realizzare il videoclip
del brano musicale Bohemian Rhapsody, considerato tal-
mente complesso da un punto di vista strutturale, che si
riteneva fosse impossibile suonarlo dal vivo. Il successo
del videoclip di Bohemian Rapsody spinge le case disco-
grafiche a realizzare un numero maggiore di quelli che
vengono definiti promo clips. Contemporaneamente, a
Londra iniziano a nascere le prima case di produzione
specializzate nella realizzazione di video musicali.
Movimenti come il glam o il punk hanno ormai aper-
to la strada a un modo completamente nuovo di usare e
consumare le immagini e la musica. I video iniziano a
svincolarsi dalla dimensione micro-documentaristica va-
lorizzando una sperimentazione praticata soprattutto da
giovani filmakers. Progressivamente emergono i primi se-
gnali di una cultura del videoclip.
Mentre in Inghilterra sono ormai chiaramente visibili
i segnali di un’inedita convergenza tra le strategie di
marketing dell’industria discografica e le esigenze di rin-
UN FENOMENO TESTUALE TRA SPERIMENTAZIONE… 

novamento delle emittenti televisive, negli Stati Uniti la


situazione è molto diversa.
Nel 1975 la Sony introduce sul mercato il primo vi-
deoregistratore Betamax e vengono pubblicati i primi re-
soconti sulla nascente tecnologia del laser disc. In con-
temporanea con l’introduzione della tecnologia dell’ho-
me video, le televisioni via cavo iniziano a nascere su tut-
to il territorio. Tuttavia, l’affermazione del videoclip co-
me forma originale di promozione musicale viene ostaco-
lata dalla diffidenza che gli autori televisivi e i responsa-
bili di produzione nutrono nei confronti della possibilità
di offrire alla musica rock uno spazio sul piccolo scher-
mo. Questa sfiducia viene motivata dai risultati di vaste
ricerche demografiche che dimostrano come, durante il
prime time, la tradizionale fascia di consumatori di que-
sto genere musicale non guardi la televisione.
Ma c’è un altro fattore che incide profondamente sul-
la diffusione dei videoclip nelle emittenti televisive statu-
nitensi. Mentre in Inghilterra le televisioni, i club e la
stampa specializzata contribuiscono in modo sostanziale
a innalzare il livello di competenza e di interesse delle
nuove generazioni nei confronti della dimensione visiva
della musica rock e pop, e numerose band sono ormai in
grado di valorizzare con le immagini il potenziale com-
merciale dei loro singoli, negli Stati Uniti le case disco-
grafiche si dimostrano estremamente restie a produrre
videoclip che escano almeno parzialmente dalla rigida lo-
gica del “reportage live”.
Lo stesso Bruce Gowers afferma:

la situazione realmente difficile di quel periodo era che le


case discografiche utilizzavano ancora i propri video princi-
palmente per le televisioni europee, di conseguenza conti-
nuavano a insistere nel mostrare le performance live delle
band e nient’altro. Credo che questo dipendesse dal fatto
che le band non raggiungevano spesso in tour l’Europa e le
etichette si preoccupavano esclusivamente di ricordare ai
consumatori chi era chi, e chi faceva cosa nel gruppo musi-
cale (Shore 1984, p. 57).
 PAOLO PEVERINI

Di conseguenza negli Stati Uniti il fenomeno dei video-


clip inizia a imporsi effettivamente solo a partire dal 1977.

In quest’anno «Billboard», il magazine musicale per eccel-


lenza che con le sue classifiche dichiara i successi o i falli-
menti di qulsiasi impresa discografica, inserisce una rubrica
chiamata Starstream che si occupa proprio di video. Alcune
compagnie discografiche, tra cui la Warner Records, co-
minciano a creare divisioni di ricerca e sviluppo per studia-
re le potenzialità del videoclip. Probabilmente la pressione
maggiore negli USA viene dai musicisti. Michael Nesmith,
David Bowie, i Devo, Blondie, l’avanguardia del videoclip
per quanto riguardava, in quel momento, l’universo rock
che investiva l’America, intensificarono la loro produzione
(Baldini 2000, p. 61).

Alla fine del 1979 ad Atlanta nasce Video Concert


Hall, un canale musicale via cavo che trasmette molti dei
video prodotti dalle case discografiche. Contemporanea-
mente Casey Kasem, un dj, inaugura in una syndicate un
programma della durata di mezz’ora chiamato America’s
Top 10 che propone al pubblico la classifica americana
dei dischi più venduti affidandosi esclusivamente ai vi-
deoclip.
Il 31 luglio 1981 infine iniziano le trasmissioni di MTV
che attingono da una library estremamente ridotta, com-
posta di duecentocinquanta videoclip che vengono utiliz-
zati secondo una strategia di palinsesto che prevede tre
tipologie di trasmissione. Nella heavy rotation sono in-
clusi i video di maggior successo trasmessi con una fre-
quenza di sei o sette passaggi televisivi, nella medium ro-
tation i passaggi scendono a tre o quattro al giorno, infi-
ne nella light rotation vengono inseriti i video che non
superano uno o due passaggi giornalieri.
In questa prima fase i vertici di MTV tentano di con-
vincere le case discografiche che la produzione e la mes-
sa in onda dei video costituiscono lo strumento migliore
per la promozione su larga scala dei nuovi artisti. A que-
sto scopo vengono commissionate da Robert Pittman,
UN FENOMENO TESTUALE TRA SPERIMENTAZIONE… 

giovane responsabile della programmazione, le prime ri-


cerche sulle vendite discografiche nelle zone dove il nuo-
vo canale è disponibile.
I risultati di queste prime ricerche di mercato contri-
buiscono a stimolare positivamente i rapporti tra la nuo-
va emittente musicale, i cable operators, i pubblicitari, le
case discografiche e il pubblico. Nel numero di gennaio
del 1983 di Billboard viene pubblicata per la prima volta
la programmazione dei videoclip e la National Associa-
tion for Record Manufacturers premia MTV.
Nella prima metà degli anni Ottanta le etichette di-
scografiche considerano ormai la produzione di video-
clip e la relativa distribuzione televisiva come strumenti
di promozione assolutamente imprescindibili. Come so-
stiene Simon Frith, uno dei più autorevoli studiosi di po-
pular music, MTV si legittima definitivamente nei con-
fronti delle case discografiche come lo strumento di pro-
mozione “familiare” per eccellenza.

MTV è stato davvero il primo strumento promozionale dal


declino della radio nazionale a consentire una rapida com-
mercializzazione nazionale dei dischi. Offrì alle compagnie
discografiche un’alternativa, sia alla commercializzazione
radiofonica secondo il modello del goffo impatto regionale,
sia alle strategie della lenta promozione del disco attraverso
la tournée o attravero le connessioni fra giovani, cinema e
colonne sonore. La MTV (…) ebbe effetto sulla velocità di
vendita e ricevette presto credito per aver risollevato l’in-
dustria discografica americana da una recessione quinquen-
nale (Frith 1990, p. 245).

Quindi il videoclip, fin dal momento della sua affer-


mazione, si differenzia notevolmente dalle altre forme
brevi di promozione: diversamente da quanto accade in
uno spot pubblicitario, esso pone in primo piano non il
prodotto, ma la confezione: “il video si riferisce al disco
soltanto in quanto mezzo di appropriazione fantastica, e
l’esperienza del video non coincide con ciò che tutti si
aspettano” (p. 252).
 PAOLO PEVERINI

La storia e l’evoluzione del videoclip dimostrano co-


me il successo commerciale di queste forme brevi venga
valutato nei termini del processo globale di costruzione
divistica, e non semplicemente di vendita delle canzoni.
Per le case discografiche questi micro-testi promozionali
devono assolvere una funzione essenziale, promuovere
l’uscita dell’album musicale valorizzando l’identità del
suo performer. “Per la maggior parte degli spettatori, ciò
che importa è l’autorevolezza degli interpreti, e questo
dovrebbe costituire il punto d’avvio di ogni discussione
circa il funzionamento dei video” (p. 253).
L’esigenza di promuovere l’album musicale tramite
l’immagine del suo autore/interprete, “costringe” l’indu-
stria discografica e le case di produzione a una ricerca
che si focalizza innanzitutto sulla pratica di soluzioni
espressive necessariamente coinvolgenti, in grado di “ri-
costruire sul piccolo schermo il senso di comunione che
nelle esibizioni in diretta dipende dal rumore (…) l’o-
biettivo è di trasformarci in fan, in consumatori, di iden-
tificarci non tanto con gli esecutori stessi quanto con il
loro pubblico, la comunità che creano” (ib.).

Ricostruzione di un dibattito in corso

Nel corso di circa venticinque anni la forma breve vi-


deoclip ha subito un’evoluzione sorprendente. All’inizio
degli anni Ottanta l’esigenza commerciale, l’imperativo
di “vendere l’artista a tutti i costi”, prevaleva spesso sulla
sperimentazione espressiva, vincolando gli autori al ri-
spetto della dimensione documentaristica (le riprese dei
concerti live) o all’utilizzo di rudimentali effetti speciali
per colpire gli spettatori.
Nel giro di pochi anni, con una notevole velocità, i vi-
deo hanno raggiunto invece un’autonomia stilistica, sfrut-
tando la brevità come uno stimolo creativo straordinario.
Forti di una condizione ibrida che obbliga a un confronto
costante tra la razionalità del marketing e la vocazione ar-
UN FENOMENO TESTUALE TRA SPERIMENTAZIONE… 

tistica, questi piccoli testi promozionali contribuiscono a


rinnovare profondamente i canoni estetici di espressioni
artistiche ben più consolidate come il cinema.
In questo complesso panorama prevale da parte degli
studiosi la tendenza a sistematizzare il fenomeno, a
esplorarne le principali forme espressive in vista della co-
struzione di modelli esplicativi generali.
Come osserva acutamente Andrew Goodwin, queste
forme brevi sono state di volta in volta considerate come:
- genere cinematografico (Holdstein 1984; Mercer
1986);
- pubblicità (Aufderheide 1986; Fry, Fry 1986);
- nuove forme televisive (Fiske 1984);
- arte visiva (Walker 1987);
- carta da parati elettronica (Gehr 1983);
- sogni (Kinder 1984);
- testi postmoderni (Fiske 1986; Kaplan 1987, Tetzlaff
1986; Wollen 1986);
- propaganda nichilista e neofascista (Bloom 1987);
- poesia metafisica (Lorch 1988);
- shopping mall culture (Lewis 1987a; 1987b; 1990);
- lsd (Powers 1991);
- pornografia semiotica (Marcus 1987).

Una prima tipologia dei videoclip è proposta da Ar-


nold S. Wolfe già nel 1983, in «Popular music and so-
ciety» una rivista accademica americana che raccoglie ri-
flessioni e analisi sulle diverse forme di popular music,
estremamente diversificati sia per quanto riguarda l’im-
pianto teorico che l’apparato metodologico. Nel saggio
intitolato Rock on cable. On Mtv: Music television, the
first music video channel, l’autore distingue i videoclip
performance, caratterizzati dalla semplice esibizione della
band, dai videoclip concettuali, nei quali prevale la messa
in scena di una breve storia.
Questo primo tentativo di classificazione dei video-
clip viene ulteriormente elaborato nel 1984 da Joan D.
Lynch in un saggio pubblicato in «The Journal of popu-
 PAOLO PEVERINI

lar music» periodico dedicato allo studio interdisciplina-


re delle comunicazioni di massa. L’autore in Music video
from performance to dada surrealism individua tre model-
li generali, i videoclip performance, i videoclip narrativi e i
videoclip non narrativi.
Una classificazione simile viene proposta inizialmente
anche nell’ambito della critica musicale.
Michael Shore (1985, p. 99) distingue i videoclip-
performance, realizzati con la tecnica del lyp sinch che
permette di sincronizzare le parole con i movimenti delle
labbra del performer, dai videoclip altamente concettuali,
“sovraccarichi di immagini e narrativamente ambigui, al
punto da raggiungere solo occasionalmente la parvenza
di un plot”. Tra queste due categorie si situano varie for-
me ibride: video che combinano performance con plot
concettuali, o video che associano l’esecuzione del brano
musicale con frammenti di immagini evocative. Le tecni-
che impiegate nella produzione videomusicale sono nu-
merose, vengono inoltre ampiamente utilizzati gli effetti
speciali, come solarizzazioni, negativizzazioni e il frazio-
namento dello schermo in riquadri.
John A. Walker, noto critico musicale e autore di
Crossovers: art into pop/pop into art (1987), un saggio de-
dicato alle forme di contaminazione tra le arti visive e la
musica pop, ribadisce che non è possibile tracciare rigide
linee di demarcazione nel panorama videomusicale inter-
nazionale. Anch’egli, tuttavia, propone di distinguere
due diverse forme espressive, i video musicali dal vivo e
quelli a soggetto, in cui prevale la messa in scena di un’i-
dea o di un tema attraverso una concezione olistica di
suono e immagine.
Questi primi tentativi di classificazione distinguono
dunque tre tipologie generali.
Nei video live la pop star o il gruppo musicale vengo-
no ripresi durante l’esecuzione sul palco o in studio.
Nei video concettuali viene privilegiata un’idea o un
tema, tramite una libera visualizzazione delle emozioni
evocate dalla musica.
UN FENOMENO TESTUALE TRA SPERIMENTAZIONE… 

I video narrativi infine, condensano le forme canoni-


che del racconto audiovisivo nel breve spazio di un bra-
no musicale.
A questo proposito, analizzando lo scenario attuale
degli studi sui videoclip, è interessante rilevare come
nuove classificazioni proposte si basino ancora sulla stes-
sa matrice. Ad esempio, su un versante semiotico Gianni
Sibilla (1999) afferma che da un punto di vista formale è
possibile individuare tre tipologie generali di testi, la
performance, il narrativo e il concettuale. Questi tre gene-
ri non sarebbero mai impiegati in una forma “pura”,
piuttosto andrebbero considerati come macro codici di
rappresentazione, modelli flessibili di riferimento da cui
sviluppare videoclip differenti.
Bruno di Marino, in un saggio che ripercorre alcune
tappe essenziali della storia di queste forme brevi, indivi-
dua tre categorie di clip narrativo, elaborate in funzione
del grado di coinvolgimento del performer rispetto agli
eventi narrati.
Nella prima tipologia il performer appare come inter-
prete assoluto, non si limita a eseguire il brano, ma recita
nei panni di un personaggio fittizio.
Nella seconda tipologia di videoclip narrativo il
performer interpreta semplicemente il ruolo di un testi-
mone degli eventi, assistendo alla vicenda dal di fuori o
in una posizione sfumata, se non esplicitamente ambi-
gua.
Nell’ultima tipologia infine, il performer è del tutto
assente, la sua identità si segnala all’interno del testo
esclusivamente tramite la colonna audio.
Di Marino individua inoltre un particolare tipo di vi-
deoclip, il clip trailer, basato sulla canzone-tema di un film.
Generalmente nei clip-trailer si assiste a un’alternanza
tra la performance del cantante e le sequenze tratte dalla
pellicola. Questo genere di video manifesta una certa
flessibilità nel combinare queste due componenti:
- il performer si esibisce in uno spazio neutrale, inter-
vallato da momenti salienti del film;
 PAOLO PEVERINI

- il performer si esibisce all’interno di uno degli spazi


scenografici utilizzati nel film;
- il performer interpreta un ruolo finzionale che rinvia
in modo esplicito all’articolazione narrativa del film o al
genere cinematografico di riferimento;
- il performer interagisce direttamente con i protago-
nisti del film;
- il performer si esibisce nello studio di missaggio
mentre incide il brano musicale.

Sebbene i contributi teorici dedicati ai videoclip siano


estremamente differenziati sia per quanto riguarda la de-
finizione del corpus testuale che la metodologia impiega-
ta, tuttavia essi convergono nell’individuare l’ibridazione
linguistica come una peculiarità di queste forme brevi.
L’estrema diversificazione che caratterizza la produzione
internazionale di videoclip emerge chiaramente dalle con-
siderazioni di Neil Feineman.

Sebbene ai critici sdegnosi i video possano sembrare tutti


uguali, in realtà possono assumere qualsiasi dimensione, for-
ma e colore. Ci sono video-performance... narrativi... goti-
ci... d’animazione e video creati interamente al computer...
ci sono inquietanti paesaggi onirici, ritratti classici, strava-
ganze futuristiche e home movies fortemente personali
(Reiss, Feineman 2001, p. 24).

Questa convergenza permette tuttavia di rilevare un


primo paradosso. A un’enorme visibilità dei testi si ac-
compagna spesso la difficoltà di individuare i dispositivi
e le strategie che ne assicurano l’efficacia.
I videoclip sono un fenomeno fortemente mitizzato,
forme brevi considerate spesso in modo riduttivo come
micro-testi caratterizzati da una struttura narrativa debo-
le o del tutto assente.
Di Marino (2001, p. 13), ad esempio, descrive il vi-
deoclip come “un oggetto ontologicamente sfuggente, un
puro flusso visivo senza inizio né fine inserito nella verti-
UN FENOMENO TESTUALE TRA SPERIMENTAZIONE… 

gine postmoderna del palinsesto”. Secondo l’autore il vi-


deo, pur essendo il prodotto recente di un’antica tradi-
zione di ricerca sulle forme del sincretismo audiovisivo,
sarebbe “leggero” per definizione e per destino.
Il successo di questa forma breve inoltre sarebbe da
mettere in relazione con l’estetica ipertestuale, che “co-
stringe a ripensare in modo nuovo l’immagine in movimen-
to, superando la logica narrativa, facendo a pezzi gli stecca-
ti tra discipline e generi, tra fiction e non-fiction” (ib.).
Su un versante simile si situano le considerazioni di
Marco Altavilla, membro del comitato scientifico respon-
sabile della rassegna “Art Beat. Arte, narrativa, video-
clip”, il quale sostiene che “il flusso vorticoso d’immagi-
ni di certi videoclip è così veloce e sfuggente che non ci
permette di riconoscerle o di badare alle parole del te-
sto” (Altavilla 1999, p. 26).
Questo genere di dichiarazioni sintetizza perfetta-
mente due stereotipi fortemente radicati relativi all’arti-
colazione del livello discorsivo di queste forme brevi: il
numero esasperato di inquadrature e il montaggio “fram-
mentato”. Questi luoghi comuni contribuiscono a defini-
re il videoclip in funzione di due parametri precisi e ca-
ratterizzati da una certa rigidità, la complessità della di-
mensione visiva e la velocità del ritmo.
Se da un lato anche Gianni Sibilla (1999, p. 37) non
sfugge alla tentazione di definire il videoclip come un te-
sto schizofrenico e caleidoscopico, dall’altro, Franck Du-
pont, critico cinematografico e musicale dei «Cahiers du
cinéma», ironizza sul presunto stile di montaggio intro-
dotto da queste forme brevi

Cos’è un videoclip? O piuttosto si dovrebbe dire cos’era,


dal momento che l’originalità di numerose produzioni ha
diversificato profondamente il fenomeno. Un continuum
sonoro sul quale viene innestato il massimo di immagini o
fotogrammi che tendono a eliminare la nozione di piano.
Da allora si parla di montaggio “stile-videoclip” ogni volta
che un film o una sequenza ha la sfortuna di avere una du-
rata più breve della media (Dupont 1995, p. 109).
 PAOLO PEVERINI

In effetti i videoclip sembrano sottrarsi a qualsiasi ten-


tativo di classificazione, forse anche a causa della tendenza
diffusa a concepire l’analisi del fenomeno in termini astrat-
ti, prescindendo completamente dallo studio delle dinami-
che di consumo e dalle relazioni che intercorrono tra il te-
sto e gli apparati che presiedono alla sua produzione.
Uno degli studiosi maggiormente consapevoli di que-
sti limiti teorici e metodologici è senz’altro Goodwin
(1992) che propone di indagare il modo in cui gli stan-
dard di produzione degli apparati televisivi influenzano
le forme del videoclip, per delineare in seguito delle pos-
sibili linee di analisi in grado di mettere in evidenza le
implicazioni estetiche e politiche del fenomeno.
L’autore si prefigge dunque di analizzare l’evoluzione
delle emittenti musicali e dei videoclip praticando
- una sintesi interdisciplinare di analisi storiche, eco-
nomiche, istituzionali;
- un’analisi testuale fondata sulla sociologia della pop
music e sulla musicologia;
- uno studio della componente musicale dei video, in
relazione alla cultura rock e alle strategie commerciali
delle televisioni musicali.
Nella parte conclusiva del suo saggio, Goodwin pro-
pone dunque un’ulteriore classificazione dei videoclip
- Social criticism: videoclip in cui viene valorizzata la
rappresentazione delle diverse forme di conflitto sociale;
- Self-reflexive parody: videoclip la cui struttura te-
stuale è il prodotto di una parodia del videoclip stesso;
- Parody: videoclip costruiti sulla parodia di un testo-
fonte diverso (esempio citato: Neil Young, Bad New
Beat, in cui il musicista interpreta il ruolo di un cronista
televisivo sul luogo di un incidente);
- Pastiche: videoclip realizzati a partire dall’assem-
blaggio di sequenze preesistenti selezionate da fonti e ge-
neri molteplici (esempio citato: Queen, Radio Ga Ga
(Metropolis); Ozzy Osbourne, The Ultimate Sin (Dallas);
- Promotion: videoclip che promuovono film (esem-
pio citato: Duran Duran, A View To A Kill).
UN FENOMENO TESTUALE TRA SPERIMENTAZIONE… 

- Homage: videoclip che abbandonano del tutto la pa-


rodia in funzione di un tributo a un particolare regista, a
uno show televisivo, o a una forma culturale (esempio ci-
tato: Big Audio Dinamite, E=MC2, in cui vengono utiliz-
zate sequenze tratte da Don’t Look Now, The Man Who
Fall to Earth, Insignificance, di Nicolas Roeg).

Anche questa tipologia si presta tuttavia ad alcune os-


servazioni critiche.
Innanzitutto essa rivela un’incoerenza strutturale. Le
categorie Social criticism e Promotion sono ricavate a par-
tire da considerazioni relative alle funzioni politiche e
commerciali che un video può ricoprire, mentre valuta-
zioni critiche e considerazioni risultanti da analisi testuali
caratterizzano le categorie Self-reflexive parody, Parody,
Pastiche, Homage. Inoltre la premessa iniziale secondo
cui i videoclip andrebbero analizzati prendendone in con-
siderazione lo scopo promozionale e la relazione tra suo-
no e immagine, pur essendo estremamente pertinente,
non si concretizza nella proposta di una classificazione in
grado di fornire un’efficace sintesi formale del fenomeno.
Complessivamente il dibattito sul videoclip da un lato
ha avuto il merito di rivendicare il valore di queste forme
brevi nell’ambito della produzione audiovisiva, dall’altro
ne ha prevalentemente circoscritto la portata alla sola di-
mensione narrativa.
In effetti tutti i tentativi di classificazione proposti
per sistematizzare le diverse forme espressive di questi
audiovisivi oppongono i testi narrativi o argomentativi a
quelli concettuali e “frammentati”.
Questo genere di distinzioni assumerebbe un valore
operativo ed estetico soprattutto se si fondasse su criteri
analitici comuni, su un comune filtro metalinguistico che
distinguesse la narratività intesa come principio organiz-
zatore di ogni discorso (Greimas, Courtés, a cura, 1979,
pp. 236-237) dalla narrazione, considerata come genere
discorsivo fortemente codificato, il prodotto di una suc-
cessione orientata di stati e trasformazioni.
 PAOLO PEVERINI

Come conseguenza dell’applicazione impropria di ca-


tegorie concettuali complesse come quelle di narratività
e narrazione, le diverse tipologie proposte nel dibattito
sulle forme del videoclip si sono spesso rivelate inadatte
a rendere conto della ricchezza espressiva di questi mi-
cro-testi.
In particolare la distinzione tra video-performance,
video-narrativi e video-non narrativi, in tutte le sue decli-
nazioni, non restituisce la complessità di una forma te-
stuale la cui efficacia si fonda innanzitutto sulle peculiari
modalità di articolazione del livello discorsivo.
Infatti, come si tenterà di dimostrare nei capitoli suc-
cessivi, il successo di un videoclip si costruisce non tanto
sull’adesione o sul rifiuto di formule narrative più o me-
no consolidate quanto piuttosto sulla capacità di sfrutta-
re pienamente le potenzialità seduttive del sincretismo
linguistico, valorizzando la melodia e il ritmo di un bra-
no musicale con la composizione di un’inquadratura, i
movimenti di macchina, la grana delle immagini.

I videoclip. Micro-testi esemplari delle culture giovanili

La star è una divinità, ed è il pubblico che la rende tale. Ma


lo star system la prepara, la allestisce, la modella, la propo-
ne, la costruisce. La star è la risposta a un bisogno affettivo
o mitico che non è prodotto dallo star system, ma che senza
lo star system non troverebbe le sue forme, i suoi supporti e
i suoi afrodisiaci (Morin 1972, p. 122).

Come accennato in precedenza, all’inizio degli anni


Ottanta le dinamiche di produzione e di fruizione dei
linguaggi visivo e musicale subiscono una trasformazione
radicale con l’affacciarsi di nuovi gruppi sociali che defi-
niscono spazi di cultura, di stile e mercato prevalente-
mente inediti.
Le nuove culture giovanili si definiscono progressiva-
mente come “avanguardia di massa” dando vita a un
UN FENOMENO TESTUALE TRA SPERIMENTAZIONE… 

complesso processo di rielaborazione che mira a sincre-


tizzare le istanze provenienti dalla popular culture con
gli stilemi e il potenziale trasgressivo delle avanguardie
storiche.
In questo complesso scenario di produzione culturale
i videoclip emergono sin dall’inizio come il veicolo privi-
legiato con cui la cultura “separata” dei giovani fa il pro-
prio ingresso nell’universo televisivo.
I videoclip si affermano rapidamente come una forma
di espressione in grado di raccontare e ridefinire profon-
damente l’immaginario collettivo delle nuove generazioni.
A questo riguardo sono significative le osservazioni di
Iain Chambers (1985, p. 199), uno dei massimi esponenti
dei cultural studies:

La cultura di massa contemporanea è vissuta direttamente


attraverso le superfici immediate della vita quotidiana: una
radio, un disco, un paio di cuffie, gli annunci pubblicitari,
lo schermo televisivo. Immersi ogni giorno nel suo flusso,
ne abbiamo una “percezione distratta” (Benjamin 1973).
Criticato a torto da molti osservatori per una sua presunta
passività, è proprio questo modo distratto di percepire i
prodotti culturali, favorito dalla riproduzione elettronica
dei vari linguaggi visivi e sonori esistenti, che fa presagire
un mutamento nelle “regole del gioco” (Lyotard 1979), e
una situazione in cui tutti noi diventiamo degli “esperti”
(Benjamin).

I video musicali contribuiscono a ridefinire profonda-


mente le tradizionali dinamiche che regolano la relazione
tra spettatore e testo audiovisivo, imponendosi all’atten-
zione di un pubblico sempre più eterogeneo come feno-
meni comunicativi fortemente invasivi.
La fruizione di un video musicale non si riduce infatti
alla visione familiare del salotto domestico né alla dimen-
sione privata del consumo individuale. In un certo senso
queste forme brevi “invadono” i territori dell’agire quo-
tidiano, esibendo tutto il proprio appeal seduttivo dalle
vetrine dei negozi di moda, negli spazi di transito delle
 PAOLO PEVERINI

stazioni ferroviarie, nelle hall degli aeroporti internazio-


nali, nelle numerose installazioni che sfruttano il potere
simbolico del videowall per riqualificare zone degradate
del tessuto urbano, o risemantizzare spazi tradizional-
mente deputati alla conservazione/esibizione di forme
consolidate della cultura contemporanea (musei, gallerie,
spazi espositivi).
In questo senso i videoclip si rivelano come forme te-
stuali straordinariamente attuali, piccole ma solide com-
ponenti di quel complesso tessuto connettivo che è l’in-
dustria culturale moderna, la cui evoluzione, come riba-
disce Alberto Abruzzese, si realizza nel passaggio dal
corpo metropolitano a quello cinematografico, fino al-
l’avvento del corpo televisivo (Abruzzese 1989; Abruzze-
se, Borrelli 2000).
Queste forme brevi emergono come il risultato matu-
ro di una tendenza generale della comunicazione promo-
zionale a uscire dai confini del piccolo schermo per se-
durre i nuovi consumatori direttamente sul territorio me-
tropolitano. Come osserva Iain Chambers (1985, p. 198),

Nella musica pop, nel suo romanticismo, nei suoi gusti, stili
e piaceri c’è un uso individualizzato e un dialogo aperto
con i linguaggi della cultura urbana contemporanea: lin-
guaggi che in apparenza ci mettono in una condizione di
esserne simultaneamente “soggetto” e “oggetto”. Sono que-
sti interrogativi concreti, spesso “privati”, in territorio di
pubblico dominio – quale un’esibizione di break dancing o
la scelta del colore del rossetto – che trasformano l’appa-
rente “ovvietà” della cultura di massa in una conquista im-
maginaria della vita quotidiana.

Per catturare l’attenzione di un pubblico sempre più


esigente il video è costretto a rielaborare costantemente
formule espressive e soluzioni stilistiche, rilanciando ul-
teriormente la tendenza del linguaggio neo-televisivo ad
abbandonare la forma chiusa della narrazione classica in
favore di una nuova retorica che mira innanzitutto a sta-
bilire un rapporto “confidenziale” con lo spettatore.
UN FENOMENO TESTUALE TRA SPERIMENTAZIONE… 

I videoclip, oltre a svolgere una funzione strategica di


supporto promozionale all’album musicale e al performer,
condensano alcune caratteristiche essenziali dell’espressi-
vità contemporanea che si manifesta innanzitutto con

un linguaggio che nasce da profonde contaminazioni spazio-


temporali, da un uso intensivo delle citazioni – come era
evidente ad esempio già nell’eclettismo e sincretismo archi-
tettonico realizzato nelle grandi esposizioni – e si sviluppa
in modo specifico nel tempo delle risorse immateriali, della
riduzione al presente dei flussi televisivi di ogni tradizione e
contesto storico (Abruzzese, Borrelli 2000, p. 185).

Innanzitutto, pur essendo brevi dal punto di vista del-


la quantità di informazione, rivelano una densità seman-
tica spesso sorprendente.
A partire dal sincretismo di differenti linguaggi (immagi-
ni, musica, testo) sviluppano una propria estetica, risultato
di una pratica costante di rielaborazione espressiva che si
esercita sulle forme canoniche del linguaggio audiovisivo.
Sfruttano limiti strutturali, come la durata ridotta e la
collocazione ripetuta e randomica all’interno di un flusso
per esplorare nuove figure del ritmo audiovisivo che
contribuiscono a ridefinire profondamente i canoni este-
tici del linguaggio televisivo e cinematografico.
Infine i video musicali sono forme testuali felicemente
compromesse con il circuito della moda. Da un lato ne subi-
scono l’influenza, sottoponendo le diverse figure dello stile a
una pratica di selezione e rielaborazione costante, in un gio-
co di bricolage raffinato e consapevole. Dall’altro utilizzano
il potenziale espressivo del sincretismo audio-visivo per ri-
lanciare l’appeal di tutto quanto fa tendenza, sfruttando co-
me veicolo privilegiato di questo “contagio stilistico” il cor-
po della star, supporto flessibile su cui inscrivere i segni di
una pratica di manipolazione ri-creativa fortemente onnivo-
ra, rivolta esplicitamente al pubblico multiforme dei fan1.
Non sorprende dunque che questa capacità di recepi-
re, metabolizzare, rinnovare peculiarità espressive di for-
 PAOLO PEVERINI

me testuali preesistenti renda il videoclip uno degli stru-


menti privilegiati di costruzione delle nuove star2.

La star è una merce totale: non c’è centimetro del suo cor-
po, fibra della sua anima, ricordo della sua vita che non
possa essere messo sul mercato. Questa merce totale ha an-
che altri pregi: è la merce-tipo del grande capitalismo e
quindi gli enormi investimenti, le tecniche industriali di
realizzazione e di standardizzazione del sistema ne fanno
un prodotto destinato al consumo di massa. La star ha tutti
i pregi del prodotto di serie adottato dal mercato mondiale,
come il chewing-gum, il frigorifero, il sapone da bucato, il
rasoio, e così via. La diffusione di massa è assicurata dai più
grandi moltiplicatori del mondo moderno: stampa, radio e
naturalmente cinema (Morin 1972, pp. 124-125).

L’efficacia del video musicale si rivela anche nella capa-


cità di riproporsi costantemente nel panorama della testua-
lità televisiva come laboratorio avanzato per la produzione
di forme di culto originali, che investono prepotentemente
l’immaginario collettivo delle nuove generazioni3.
Sottoposto a un repertorio di figure della manipola-
zione in costante evoluzione, il corpo della star assume
innanzitutto un alone simbolico, la figura del perfomer si
carica di un eccesso di significazione, una potenzialità
connotativa che diviene veicolo di una seduzione irresi-
stibile, dando avvio a forme rinnovate di feticismo4.
Sfruttando l’appeal e la pervasività del videoclip, il
performer nel suo divenire icona musicale assume un ca-
rattere fortemente mitico, dunque sostanzialmente narra-
tivo. Star assolute della musica pop e rock come David
Bowie hanno fondato buona parte del proprio successo
artistico e commerciale sulla commistione di realtà e fin-
zione, sulla costruzione della propria storia d’artista, sul
backstage di una carriera rapidamente trasfigurata in
“leggenda”.
Il culto della star musicale esprime infine un carattere
fortemente identitario, divenendo il territorio elettivo
dell’aggregazione di soggetti diversi in gruppo di culto.
UN FENOMENO TESTUALE TRA SPERIMENTAZIONE… 

La collettività dei fan si configura quindi come un


soggetto attivo nel successo planetario delle icone del
pop, un attante collettivo fondato sulla condivisione di
un sapere articolato e sul rispetto di norme complesse,
talvolta estremamente vincolanti, che si esprimono in-
nanzitutto nell’accumulo e nella rielaborazione (spesso
sul proprio corpo) di segni che rinviano al simulacro ir-
raggiunibile dell’idolo5.

1
Cfr. in particolare Pezzini 2003, in cui vengono analizzate le caratteristi-
che che rendono queste forme brevi dei fenomeni testuali di moda. In parti-
colare nel saggio vengono esplorate le complesse strategie testuali che per-
mettono ai videoclip di recuperare e rielaborare frammenti di immaginario
architettonico, mettendo in scena lo spazio costruito non tanto come testo
che produce significazione, quanto piuttosto come territorio “sensibile”, in
cui le diverse figure dell’abitare contemporaneo vengono filtrate da uno
sguardo volutamente deformante, spesso visionario, che mira a colpire la sen-
sibilità dello spettatore, a condizionarne la percezione.
2
“Nel sempre più rapido consumarsi del tempo (…), lo statuto di star
gioca o per lo meno sino a oggi ha giocato sul meccanismo della nostalgia,
quasi che fosse ormai chiaro a tutti che il tempo delle stelle è finito. I divi
rock sfruttano la citazione, manipolando il tempo perduto della metropoli,
sperimentano l’estetica della sopravvivenza tipica della fantascienza, simulano
al presente o al futuro tutte le possibili figurazioni del passato” (Abruzzese
1989, pp. 60-61).
3
“Il piccolo schermo incoraggia e sostiene le estetiche della bellezza e
della prestanza fisica, attraverso un’alchimia del suggerimento, che coinvolge
il nostro sguardo e la nostra memoria in un gioco circolare e irriducibile di
scambio tra apparenza e verità, che rimbalza dai “fantasmi di corpo in carne
ed ossa” del teleschermo alla nostra personale e idiosincratica esperienza del-
la corporeità” (Bolla, Cardini 1999, p. 15).
4
Sul tema delle nuove forme di culto catodico cfr. Volli, a cura, 2002. In
particolare l’introduzione in cui Volli analizza i requisiti formali che costituisco-
no la premessa di un consumo di culto della produzione televisiva, proponendo
di ripensare il culto televisivo come forma originale di dipendenza attiva.
5
“Fra la solitudine del singolo spettatore e la grandiosità del media sy-
stem, si pone un gradino intermedio, un luogo di interazione sociale e di
scambio simbolico, che ritaglia sullo sfondo confuso e magmatico dell’au-
dience spazi di comunicazione e sociabilità” (Tedeschi 2003, p. 15).
Capitolo secondo
L’autonomia linguistica delle forme brevi

Una prospettiva sociosemiotica

Arte/commercio, underground/mainstream, lineare/


frammentato… la riflessione sull’estetica videomusicale
nelle sue diverse forme (critica musicale e cinematografi-
ca, sociologia delle comunicazioni di massa, cultural stu-
dies, film studies) ripropone spesso formule fortemente
usurate, inadatte a far presa su un territorio dai confini
incerti, in costante evoluzione, le cui coordinate sono co-
stantemente ridisegnate dalla logica del mercato disco-
grafico e televisivo.
In uno scenario simile anche la tradizionale distinzio-
ne tra testo e contesto sembra sfumare progressivamente.
Sperimentazione espressiva, logiche produttivo/distribu-
tive e stili di consumo si intersecano fortemente dando
vita a un fenomeno complesso, di difficile lettura, che
sollecita una riflessione sull’efficacia dei paradigmi teori-
ci e sugli strumenti metodologici da impiegare.
Se da un lato i video musicali condividono con altre
forme brevi della comunicazione audiovisiva la capacità
di attivare una “fitta rete di rinvii fra testi, storie, perso-
naggi, ambienti, una rete satura di circolazione e di rac-
cordi di desideri, curiosità, attese e nostalgie” (Pezzini
2002), dall’altro, essi possiedono anche un’autonomia di
linguaggio che si esprime innanzitutto nella capacità di
riunificare la musica e le immagini in forme originali,
una “capacità di connettere il diverso e infrangere il si-
 PAOLO PEVERINI

mile. Capacità di narrare senza gli schemi e le forme dei


regimi narrativi condivisi” (Abruzzese 2001, p. 131).
Partendo da queste premesse nel volume si tenterà di
analizzare le forme e le strategie testuali del videoclip
formulando alcuni interrogativi e articolando delle possi-
bili direzioni di ricerca.
Come rendere compatibile l’indagine “macro” sugli
apparati dell’industria culturale con uno sguardo ravvici-
nato sulle dinamiche interne alla forma-video? Come rita-
gliare un oggetto d’analisi sincretico, fortemente ibrido,
che sembra sfuggire alle tradizionali definizioni di testo?
In quale misura è possibile parlare di un linguaggio vi-
deomusicale? Infine, come restituire la complessità di un
fenomeno “tutto ritmo e colori” la cui efficacia sembra
fondarsi sul rifiuto delle forme classiche di narratività?
Simili interrogativi rientrano pienamente nel recente di-
battito avviato dalla sociosemiotica che si propone su un pia-
no teorico e metodologico di ripensare il rapporto tra le di-
verse forme del discorso e il complesso dei fenomeni sociali.
Come afferma Eric Landowski (1999, p. 9) la sociose-
miotica si configura innanzitutto come una scommessa
poiché rifiuta di considerare il linguaggio come un sem-
plice strumento per far circolare messaggi tra un emit-
tente e un destinatario del tutto privi di determinazioni
concrete, rivolgendo il proprio interesse alle interazioni
realizzate grazie al discorso tra i soggetti individuali e
collettivi che vi si inscrivono e vi si riconoscono.
In una prospettiva sociosemiotica il discorso in tutte le
sue determinazioni (politico, giuridico, ideologico, me-
diatico) non si limita semplicemente a riflettere una realtà
sociale predefinita piuttosto “rappresenta il luogo origi-
nario a partire dal quale il sociale, come sistema dei rap-
porti fra i soggetti, si costituisce mentre si pensa” (p. 13).
In altri termini, come ribadisce Gianfranco Marrone
(2001, p. XVI),

il problema non è più quello di capire se e come la società


influenzi o sia influenzata dal linguaggio, (…) ma semmai
L’AUTONOMIA LINGUISTICA DELLE FORME BREVI 

di comprendere i modi in cui la società entra in relazione


con se stessa, si pensa, si rappresenta, si riflette attraverso i
testi, i discorsi, i racconti che essa produce al suo interno.

Così, ad esempio, nello studio del discorso pubblici-


tario la sociosemiotica non è interessata semplicemente
al modo in cui le aziende tentano di convincere i consu-
matori ad acquistare dei prodotti, piuttosto

costruisce modelli discorsivi generali, coerenti e interdefini-


ti al loro interno, che spieghino a monte le scelte di consu-
mo che si trovano rappresentate nei testi pubblicitari.
Emerge così che, invece di limitarsi a scegliere un certo
prodotto per ragioni di calcolo economico, il consumatore
attribuisce a esso determinati valori, proiettando sulle sue
presunte decisioni razionali una propria visione del mondo,
le cui logiche occorre appunto individuare (p. XVII).

Su un piano teorico generale la sociosemiotica si pre-


figge dunque di superare la tradizionale nozione di testo
in favore di quella più ampia di discorso, e di rivolgere il
proprio interesse a temi di grande attualità come gli stili
di consumo produttivo, l’accelerazione dei processi di
trasformazione che rimodellano l’immaginario collettivo,
l’esasperazione dei fenomeni di ibridazione linguistica
che coinvolgono generi e linguaggi differenti, le nuove
forme di aggregazione che invadono i territori immate-
riali aperti dai new media.
Nell’ottica sociosemiotica la nozione di discorso non
rinvia semplicemente a un costrutto linguistico ben defi-
nito, localizzato su un supporto (romanzo, film, fumet-
to…), ma

è sia un’entità linguistica sia un processo sociale, è l’insieme


delle regole del linguaggio (di qualsiasi linguaggio) che ven-
gono concretamente vissute, esperite, e dunque si afferma-
no all’interno di spazi intersoggettivi più o meno ampi, sia-
no quelli di una conversazione a due o quelli di un’intera
organizzazione culturale. Ma il discorso è anche, cambian-
 PAOLO PEVERINI

do punto di vista, l’insieme delle costrizioni socioculturali


che, per così dire, agiscono sulla lingua, la permeano e la ri-
costituiscono, con tutto il peso delle entità consolidate da-
gli usi semiotici condivisi e ripetuti, di quegli stereotipi che
rimodellano i codici linguistici limitando la libertà espressi-
va del singolo individuo (p. XXV).

Se dunque la discorsività può essere considerata in


senso dinamico come un processo semiotico le cui radici
affondano nelle convenzioni e nelle norme socio-cultura-
li, è possibile ripensare la stessa nozione di contesto non
più come semplice luogo sociale di esercizio di una serie
di attività pragmatiche necessarie per produrre e consu-
mare testi, quanto piuttosto come uno spazio il cui fun-
zionamento risponde a una logica di tipo semiotico che
investe in modo trasversale sia le pratiche linguistiche sia
i comportamenti somatici1.
In questo senso una manifestazione politica o una
performance musicale sono pratiche discorsive esempla-
ri, la cui efficacia non si riduce banalmente a un passag-
gio di informazione tra soggetti ma si fonda piuttosto su
un’architettura complessa in cui gli elementi appartenen-
ti a diversi sistemi di significazione (immagini/suoni/ge-
sti) entrano in risonanza tra loro dando vita a figure del
sensibile che non mirano semplicemente a catturare l’at-
tenzione del pubblico ma a innescare una serie di tra-
sformazioni dei rapporti intersoggettivi facendo leva su
dispositivi ritmici e/o retorici.
Questo allargamento di campo costringe a ripensare
profondamente anche il problema dell’efficacia delle for-
me discorsive.
Nel complesso processo di autorappresentazione che
coinvolge trasversalmente le diverse sfere del sociale (di-
scorso politico, giuridico, scientifico, economico, cultu-
rale) vengono convocate tutte le dimensioni della signifi-
cazione. La dimensione cognitiva che si realizza nel pas-
saggio di informazione tra le figure cardine dell’atto co-
municativo; la dimensione pragmatica in cui le azioni del
L’AUTONOMIA LINGUISTICA DELLE FORME BREVI 

soggetto sono fortemente condizionate dal valore perfor-


mativo del linguaggio; la dimensione passionale che in-
terviene a rinforzare il legame tra il testo e il soggetto
modulandone la reazione affettiva; la dimensione somati-
ca che assicura al testo la capacità di far presa sul sogget-
to innescando una risposta di tipo senso-motorio.
Partendo dalla constatazione che nelle forme testuali
di largo consumo è particolarmente diffusa la valorizza-
zione della componente somatica e passionale della signi-
ficazione la ricerca sociosemiotica si prefigge di ripensa-
re complessivamente lo studio dei mass media.

(…) non si tratta più di vedere nei mezzi di comunicazione


gli strumenti di una mediazione immaginaria tra i soggetti e
la realtà esterna, sia essa una operazione di distorsione, di
costruzione, di manipolazione o di virtualizzazione. I media
producono spesso testi che (…) inscrivendo al loro interno
i propri contesti trasformano visceralmente il pubblico,
non solo a livello cognitivo o pragmatico, ma anche passio-
nale e somatico (p. XXXV).

Nel circuito imposto dai “sistemi della moda” (politi-


ca, televisiva, cinematografica, editoriale) il valore di un
testo sembra passare sempre più per la capacità di coin-
volgere il soggetto scavalcando la dimensione cognitiva,
praticando (talvolta in modo felicemente esasperato) la
dimensione passionale e somatica della significazione.
I videoclip, in questo senso, possono essere riletti co-
me complesse forme di testualità audiovisiva la cui effi-
cacia non consiste unicamente nella capacità di stimolare
lo spettatore a ricomporre diversi frammenti audio-visivi
in una forma chiusa, ma si fonda soprattutto sull’attitudi-
ne a colpire il soggetto, a contagiarlo nell’esperienza di
una fruizione in cui un profondo coinvolgimento sineste-
sico prevale in modo deciso sulla ricomposizione razio-
nale di una narratività forte2.
In un’ottica “macro” l’efficacia del videoclip si rivela
inoltre nella capacità di influenzare profondamente lin-
 PAOLO PEVERINI

guaggi e generi differenti, nella tendenza a esasperare


una logica del “contagio pubblicitario” che appare come
una delle caratteristiche più rilevanti dell’industria cultu-
rale contemporanea.
I processi di ibridazione che coinvolgono pubblicità e
apparati della produzione culturale sono sempre più in-
vasivi e trasversali. Ambiti discorsivi precedentemente
distinti e dotati di caratteristiche proprie come il discor-
so scientifico, politico o dell’informazione progressiva-
mente tendono a sovrapporsi, a contaminare reciproca-
mente strategie discorsive, formule narrative, peculiarità
stilistiche. In questa dinamica il discorso pubblicitario in
tutte le sue forme e formati non si limita a influenzare
linguaggi e rinnovare generi predefiniti ma in termini più
ampi riconfigura il significato stesso del termine comuni-
cazione, rivendicando con forza il proprio ruolo nei con-
fronti degli altri processi e sistemi della significazione.
In questo scenario articolato i videoclip emergono co-
me forme esemplari di una pratica di recupero fortemen-
te autoreferenziale e ri-creativa che assimila formule nar-
rative e peculiarità stilistiche di forme testuali preesisten-
ti (spot pubblicitari, trailer cinematografici, generi televi-
sivi basati sul meccanismo della serialità come fiction,
soap opera, telefilm, reality show) sottoponendole a un
intenso lavoro di riconfigurazione. Nei videoclip le ope-
razioni che assicurano la riunificazione di suono e imma-
gine si realizzano a prescindere dalle tradizionali moda-
lità di mediazione tra spettacolo e pubblico che nel cine-
ma e nella televisione sono garantite da architetture nar-
rative collaudate. “La creatività si definisce nel connette-
re ciò che appartiene a universi tra loro distanti, nel su-
scitare l’imprevisto e l’inatteso, nel dare corpo all’impen-
sabile, a ciò che è improvviso” (Abruzzese 2001, pp.
115-116).
Nati per promuovere album musicali e performer, i
video non nascondono una tensione irrisolta tra arte e
commercio, piuttosto ne rivendicano le potenzialità
espressive, esibendone continuamente le tracce in un
L’AUTONOMIA LINGUISTICA DELLE FORME BREVI 

movimento autoriflessivo che mira innanzitutto a cattu-


rare l’attenzione di un pubblico sempre più consapevole,
avvertito delle “regole del gioco”. In altri termini la for-
ma-video non punta tanto a valorizzare la dimensione
oggettivante del linguaggio, quanto piuttosto a rinegozia-
re costantemente il rapporto con lo spettatore, metten-
done in scena le dinamiche, gli scenari.

Le strategie dell’enunciazione di una forma breve

Il passaggio cruciale dalla dimensione extratestuale


della produzione e del consumo alle sequenze apparente-
mente caotiche dei suoni-immagini è regolato, modulato
dall’enunciazione.
In semiotica l’enunciazione è un’istanza presupposta
da qualsiasi tipo di enunciato, indipendentementre dalla
sostanza in cui si esprime la sua forma dell’espressione
(visiva, verbale, gestuale). L’enunciazione viene dunque
concepita come un atto di produzione originario, la pra-
tica fondante del senso, che può rendersi più o meno vi-
sibile all’interno dell’enunciato.
In alcuni casi il soggetto dell’enunciazione emerge
con forza dalla superficie del testo (sfruttando nel caso
del linguaggio audiovisivo il potenziale di interpellazione
di uno sguardo in camera, di un movimento di macchina
brusco e apparentemente ingiustificato), in altri casi
qualsiasi indizio dell’intenzionalità comunicativa viene
cancellato, o meglio, reso “invisibile”, contribuendo a far
sembrare l’enunciato completamente sganciato dalla sog-
gettività dell’emittente e di conseguenza interamente fi-
nalizzato a restituire la realtà degli eventi narrati (privile-
giando ad esempio le inquadrature oggettive).
Nelle forme di testualità audiovisiva (cinema, televi-
sione) l’enunciazione svolge un duplice ruolo decisivo.
Innanzitutto agisce come istanza di mediazione tra so-
stanze dell’espressione differenti (suoni, immagini), ren-
dendone possibile la ricomposizione in un’unica forma
 PAOLO PEVERINI

(audio-visiva). Inoltre, permette di rinegoziare su un pia-


no pragmatico le forme di contatto tra emittente e desti-
natario attraverso figure peculiari, come la soggettiva, gli
sguardi in camera, la messa in scena del backstage.
Nei videoclip l’efficacia dell’enunciazione è assicurata
dal montaggio, pratica raffinata che restituisce a questi
micro-testi ibridi la straordinaria capacità di “fare del
nuovo con del vecchio”, selezionando e riassemblando
materiali preesistenti. I diversi linguaggi di manifestazio-
ne (sonoro, visivo, verbale) presi in carico dal montaggio
sono oggetto di un’unica strategia globale di comunica-
zione sincretica che “ritaglia” il continuum discorsivo,
articolando la linearità del testo con differenti sostanze
dell’espressione.
L’enunciazione sincretica che si esprime nel montag-
gio può dunque essere definita in via preliminare come
una procedura che seleziona e rielabora le immagini sul-
lo sfondo del brano musicale, come emerge del resto dal
significato letterale del verbo “to clip” (ritagliare) che
rinvia esplicitamente all’atto di assemblare un testo tra-
mite la procedura del bricolage (Sibilla 1999).
Nei videoclip il montaggio non si limita tuttavia a
un’operazione di “taglia e incolla”, ma svolge la funzione
essenziale di riunificare i suoni-immagine in un flusso au-
diovisivo compatto, ritmicamente coinvolgente, in grado
di contagiare lo spettatore, di coinvolgerlo nell’esperien-
za di un’audiovisione fortemente patemizzata (Chion
1990), rendendolo partecipe emotivamente, ancora pri-
ma che cognitivamente, di performance altamente spetta-
colari. Come ribadisce Alberto Abruzzese (1989, pp. 54-
55) l’efficacia dei video musicali si rivela innanzitutto
nella capacità di coinvolgere la dimensione “tattile” del
consumo.

(…) Questo risultato, proprio coinvolgendo tutti i sensi in


dinamiche metaconcettuali e inconsce, può essere ottenuto
soltanto attraverso la miscela esatta tra immagini, musica,
rumori. E non soltanto: anche tra forme visive, contenuti
L’AUTONOMIA LINGUISTICA DELLE FORME BREVI 

evocativi, suggestioni mitologiche, archetipi collettivi, ste-


reotipi di massa, trasgressioni e choc, corpi e ritmi, che,
con ciascuno dei sensi linguisticamente impegnati, conser-
vano e rilanciano precise ed identificabili marcature narra-
tive, iconologiche, musicali.

Come si vedrà dettagliatamente nel corso dei seguenti


capitoli, nei video le figure dell’enunciazione si manife-
stano sotto forma di elaborate costruzioni riflessive
(Metz 1991), che traducono nel testo l’esigenza promo-
zionale di ridurre la distanza tra la star e il suo pubblico
per rinnovare le motivazioni all’acquisto del prodotto
musicale.
Finti scenari di produzione, backstage fittizi, continui
rimandi all’apparato “invisibile” della produzione video
sono espedienti particolarmente sfruttati nella produzio-
ne più recente, formule in continua evoluzione soggette a
una rapida usura, cui spetta il compito essenziale di rine-
goziare il legame con lo spettatore, proponendogli in al-
cuni casi non più di identificarsi con l’inarrivabile mo-
dello di un mito musicale, quanto piuttosto di condivide-
re il sapere sulla sua costruzione.
Spesso, il luogo in cui si realizzano le condizioni per
questo patto rinnovato è il corpo stesso della star, ogget-
to di un’intensa sperimentazione enunciativa.
Sul piccolo schermo la figura del performer viene co-
stantemente rimodellata attraverso deformazioni, scom-
posizioni, moltiplicazioni, figure estreme di una manipo-
lazione che interviene a svelare i dettagli più nascosti, in-
soliti dell’icona musicale, contribuendo a definire i cano-
ni di un’originale e sorprendente estetica videomusicale.
Gli elementi che rendono peculiare il livello discorsi-
vo di un video musicale, come gli interventi sui regimi di
visibilità del corpo della star, la ridefinizione delle coor-
dinate spazio-temporali, non sono dunque semplici mar-
che stilistiche, segni isolati che esprimono un linguaggio
in continua evoluzione, ma le figure di una sperimenta-
zione enunciativa che si esibisce nel testo, traducendo al
 PAOLO PEVERINI

suo interno logiche extratestuali che rinviano esplicita-


mente agli stili di consumo televisivo/musicale delle nuo-
ve generazioni e alle dinamiche produttive e commerciali
dell’industria discografica e televisiva.
È in questo passaggio che emergono i segnali di una
progressiva autonomia linguistica del videoclip, nell’atti-
tudine a testualizzare il rapporto fragile e polemico che
coinvolge emittenti televisive, etichette discografiche,
performer/band e consumatori.
In termini socio-semiotici la dimensione macro degli
apparati culturali ed economici si inscrive nel testo, ne
informa la materia (audiovisiva), dando vita a forme, tal-
volta sorprendenti, di auto-rappresentazione. Nel picco-
lo schermo prende forma e si auto-alimenta un fenomeno
che influenza la produzione mediatica nel suo comples-
so, e che consiste nel valorizzare non solo le strategie di-
scorsive relative alla qualità del prodotto commercializ-
zato, ma soprattutto quelle riguardanti l’asse produzio-
ne-consumo. Le forme di valorizzazione si fondano sem-
pre più su una logica del contratto, che sfrutta il discorso
pubblicitario per stabilire relazione fra i soggetti e offrire
identità possibili, piuttosto che su una logica dell’acqui-
sto che riduce la funzione del soggetto dell’enunciazione
a un venditore e quella dell’enunciatario a un semplice
acquirente.
Se i videoclip hanno contribuito a rinnovare profon-
damente il panorama audiovisivo sfruttando il potenziale
espressivo del sincretismo linguistico, ciò è dovuto in
gran parte alla formula essenzialmente ibrida che ne re-
gola il processo di produzione. Il video musicale è una
forma breve “studiata a tavolino”, la sua efficacia è in-
nanzitutto il risultato di un sottile equilibrio tra le esi-
genze spesso divergenti di diversi soggetti: l’etichetta di-
scografica, l’emittente musicale, il performer/band, il
management dell’artista, il regista, la casa di produzione.
In quest’ottica è possibile ripensare i videoclip (certa-
mente non tutti) non come forme brevi rapidamente de-
peribili, quanto piuttosto come testi sincretici infinita-
L’AUTONOMIA LINGUISTICA DELLE FORME BREVI 

mente rivedibili, “costretti” alla sperimentazione del


proprio linguaggio dalla necessità di stabilire/rinnovare
un contatto forte tra star e pubblico e di resistere al lo-
gorio imposto dai passaggi televisivi delle emittenti musi-
cali. Il video metabolizza forme consolidate, riconfigura
linguaggi preesistenti, produce senso per assemblaggio,
in un gioco equilibristico tra innovazione e permanenza
che da un lato tenta di suscitare la sorpresa, dall’altro il
piacere della conferma3.
L’estetica videomusicale si fonda sul rifiuto di ogni
forma di rassicurazione, compreso il potere di configura-
zione che si riconosce ai testi narrativi e all’esperienza di
“sintesi dell’eterogeneo” del vissuto che essi simbolica-
mente saprebbero restituire (Pezzini 2002).
La portata estetica di questi micro testi si gioca sulla
possibilità di riconfigurare il tempo audiovisivo, di manipo-
larne le forme, in un gioco autoriflessivo che non mira tanto
a destrutturare le forme canoniche del racconto quanto
piuttosto a praticare le inedite soluzioni ritmiche che scatu-
riscono dalla sovrapposizione di suoni e immagini.
La sua definizione ruota intorno a tre parole chiave:
sincretismo, ritmo, corpo.
Nei video la sperimentazione enunciativa produce
delle originali forme di ibridazione audio-visiva in cui le
immagini non svolgono tanto la funzione di descrivere
“alla lettera” il contenuto del brano musicale, quanto
piuttosto di sottoporlo a una deformazione più o meno
coerente4.
Il risultato di questa pratica di selezione e rielabora-
zione è spesso un testo originale, “anticonformista”, in
cui le immagini intervengono a raddoppiare il ritmo del
brano musicale, rafforzandone ulteriormente l’efficacia.
Il ritmo prodotto dal sincretismo di differenti linguaggi
conferisce a questi testi brevi la capacità di coinvolgere
profondamente lo spettatore, sfruttando il canale della vi-
sione per indurre a una ricezione fortemente sinestesica.
Il rapporto tra corporeità e linguaggio audiovisivo
non emerge dunque unicamente all’interno del testo, sot-
 PAOLO PEVERINI

to forma di manipolazione del performer, il corpo viene


anche chiamato in causa dai video, nel senso che queste
forme brevi mirano soprattutto a stimolare nello spetta-
tore un coinvolgimento pre-cognitivo, ritmico.
La fruizione di un videoclip non si risolve esclusiva-
mente nel piacere di un’audiovisione, essa è innanzitutto
esperienza sensibile di un ritmo in atto, coinvolgimento
estesico profondo che contagia il corpo, costringendolo
al movimento.
Ed è proprio la capacità di ridefinire profondamente
le tradizionali modalità di fruizione dei testi audiovisivi,
a delineare uno dei temi più interessanti dell’attuale ri-
cerca semiotica.

La velocità nel montaggio delle immagini, la sincronizzazio-


ne fra immagine e suono, la ricerca di effetti sinestesici e
plastici è spesso spinta al limite, nel tentativo anzitutto di
“colpire e attrarre”, in definitiva a livello fisico, corporeo,
lo spettatore. Attivarne a volte l’attenzione, ed eventual-
mente provocarlo all’interpretazione, alle operazioni com-
plesse della “ricomposizione” (Pezzini 2002, p. 24).

Per approfondire la riflessione sul valore estetico del-


le forme brevi sembra dunque inevitabile fare i conti con
la dimensione sensoriale, estesica della significazione5.

Il corpo in gioco

La semiotica di origine strutturalista, in netto contra-


sto con le teorie cognitiviste che ribadiscono la separa-
zione di mente e corpo, di intelligibile e sensibile, riven-
dica con forza il ruolo che la dimensione percettiva, este-
sica, del linguaggio riveste nella formazione di ogni gene-
re di discorso.

(…) al momento della percezione, lì dove le macrosemioti-


che della lingua e del mondo s’incrociano all’interno della
discorsività, i semi esterocettivi (dati dal mondo esterno) si
L’AUTONOMIA LINGUISTICA DELLE FORME BREVI 

integrano con quelli interocettivi (dati dalla mente) per il


tramite del corpo, che vi include a sua volta i propri semi,
detti propriocettivi. Non si dà categorizzazione del mondo,
dunque cognizione e autocognizione, se non a partire da un
timismo profondo, dove il corpo vive relazioni di attrazione
e repulsione nei confronti di se stesso e di ciò che immedia-
tamente lo circonda (Fabbri, Marrone, a cura, 2001, p. 268).

Partendo dal presupposto che la sensorialità giochi


un ruolo fondamentale nella produzione della significa-
zione, la semiotica contemporanea ha iniziato progressi-
vamente ad affrontare il tema complesso dell’estesia, la-
vorando sull’ipotesi che l’interazione tra i diversi sensi
possa svolgere un ruolo determinante nella costruzione
del contenuto di manifestazioni discorsive differenti.
La sensorialità viene considerata da questo indirizzo
di ricerca come esterna ai discorsi, poiché contribuisce
all’articolazione delle sostanze dell’espressione, ma an-
che interna, poiché appare come “figurazione di una lo-
gica delle materie che la componente semantica dei testi,
per così dire, tiene in memoria” (Fabbri, Marrone, a cu-
ra, 2001, p. 270).
Di conseguenza, all’interno del vasto orizzonte di stu-
di semiotici è emersa progressivamente la necessità di af-
frontare il problema di una semiotica della corporeità.
Il corpo per la semiotica è innanzitutto “oggetto del
mondo e punto di vista sul mondo, luogo a partire da cui
si costituisce qualcosa come un’esteriorità ma si produce
al contempo qualcosa come un’interiorità” (p. 270).
Lo scopo prioritario di una simile semiotica non è quel-
lo di descrivere dall’esterno le forme e il funzionamento di
un “essere somatico oggettualizzato”, quanto piuttosto di

ritrovare all’interno della componente semantica dei vari si-


stemi e processi di significazione quella linea di continuità
che unisce una serie di fenomeni intermedi quali l’euforia e
la disforia, le tensioni e le distensioni, le intensità e gli
aspetti, i ritmi e le temporalità profonde, ma soprattutto il
mondo complesso e variegato dell’affettività” (ib.).
 PAOLO PEVERINI

A questo proposito Francesco Marsciani (1999, p.


223) ribadisce come la chiusura del testo, postulato se-
miotico fondamentale per una descrizione scientifica dei
fenomeni significanti, si sia sempre scontrato con l’effet-
tività del corpo, con una caratteristica assolutamente pe-
culiare, l’apertura.

Il corpo non è mai chiuso, ma anzi è un sistema di travasi,


di ferite, di trasbordi, un sistema di permeabilità in cui l’in-
terno e l’esterno continuamente si ridefiniscono a partire
da una significazione che lo abita. Non è un oggetto con i
suoi confini predeterminati sul quale sia possibile scrivere e
leggere segni, ma un modificatore di senso, il luogo delle
trasformazioni che donano vita ed effettività al senso.

Come osserva Eric Landowski (2001), lo studio della


corporeità rientra pienamente in una tendenza generale
della semiotica contemporanea ad analizzare forme di te-
stualità dal carattere incerto. In particolare il corpo co-
stituisce un oggetto d’analisi decisamente ambiguo, a
uno sguardo semiotico esso si rivela infatti familiare e al
tempo stesso estraneo.

Di fatto, in relazione al corpo, ancor più che in relazione a


qualsiasi altro oggetto, la pratica di uno sguardo esterno,
medico per esempio, finalizzato a una descrizione e a una
spiegazione in termini di funzioni oggettivabili, si oppone
all’esperienza di una prensione effettuata dall’interno, fon-
data su un “provato” che può fare senso di per se stesso,
soggettivamente e forse anche intersoggettivamente (p. 60).

Tradizionalmente il corpo è oggetto di due concezioni


opposte e simmetriche che separano in maniera decisa
razionalità e passioni, intelligibile e sensibile.
La prima è tipica delle scienze naturali, e concepisce
il corpo come privo di senso, desemantizzato. L’esigenza
di rigore della scienza medica produce spesso il risultato
di ridurre il corpo a un organismo “frammentato, smem-
brato, fatto a pezzi, conformemente a una necessaria de-
L’AUTONOMIA LINGUISTICA DELLE FORME BREVI 

moltiplicazione degli angoli e dei livelli di approccio” (p.


61), trascurando spesso lo stato d’animo del paziente, il
modo soggettivo con cui egli percepisce, “sente”, il pro-
prio corpo.
Per il semiotico questa concezione “oggettiva” del
corpo umano conduce a negare che esso possa costituire
il luogo di produzione di una qualche forma di significa-
zione. Per la scienza medica è possibile solamente rico-
noscere dei sintomi, attribuire dei significati alle sensa-
zioni, “in breve, per il medico, il senso, quale è provato
da colui che vive il proprio corpo – il proprio male –,
non ha praticamente alcun senso” (ib.).
La seconda concezione del corpo e della sensorialità è
invece caratteristica di una certa forma di positivismo
rinvenibile nelle scienze umane che considera il senso co-
me un oggetto di studio del tutto legittimo, ma trascura
completamente la relazione che esso instaura con la fisi-
cità dei soggetti.
In questa seconda accezione il senso è spesso un senso
disincarnato, poiché “dal punto di vista sia della sua pro-
duzione che della sua prensione, non sembra mai dipen-
dere propriamente dal ‘corpo’, dal corpo empirico, in
carne e ossa che sente e si sente”, ma da istanze e compe-
tenze cognitive che svincolano il senso “da qualsiasi lega-
me diretto con la carne viva dei soggetti” (ib.).
Partendo dalla distinzione tra un senso disincarnato e
un corpo desemantizzato, Landowski propone di ripensa-
re drasticamente il problema dei regimi di significazione
del corpo, concependo quest’ultimo come istanza discor-
siva vivente che produce senso a partire da una relazione
intersomatica vissuta. In questa nuova prospettiva di ri-
cerca il corpo non viene considerato semplicemente co-
me una superficie sensibile, un organismo privo di senso,
quanto piuttosto come un’istanza discorsiva vivente,
“una forma perpetuamente in costruzione, il cui senso e
valore non possono essere colti che relazionalmente e di-
namicamente, nel sempre mutevole rapporto del sogget-
to con se stesso e contemporaneamente con l’altro” (ib.).
 PAOLO PEVERINI

Il corpo comunica sfruttando un regime di significa-


zione del tutto peculiare, esso non cessa mai di fare
senso, poiché possiede una certa dose di “opacità, uno
spessore, un volume propri e diviene per il soggetto uno
dei luoghi dell’emergenza stessa del senso, di un senso
percepito indissociabilmente come configurazione intel-
ligibile e come presenza sensibile” (ib.).
In quest’ottica la semiotica dell’estesia si inserisce
dunque nel quadro più generale di una semiotica dell’a-
zione e dell’interazione. Il senso del corpo, infatti, è sem-
pre un senso in atto, il suo grado di efficacia è indissolu-
bilmente legato alla co-presenza di soggetti differenti, in
grado di interagire e di far circolare le proprie esperienze
estesiche secondo una logica del contagio passionale.
Un esempio utile per rendere conto di questo regime
di significazione del corpo è quello della seduzione. Co-
me afferma Landowski, accanto a forme di desiderio che
valorizzano il corpo altrui a partire da un giudizio innan-
zitutto estetico, sussiste una forma di seduzione che si
fonda su una prensione del senso non cognitiva ma es-
senzialmente estesica. In questo caso, ciò che suscita nel
soggetto il desiderio non è il riconoscimento di forme
desiderabili che riproducono una configurazione estetica
prefissata, quanto piuttosto lo stato stesso del corpo al-
trui, una presenza sensibile che può essere a sua volta
percepita come un corpo desiderante.
In una prospettiva sociosemiotica, questa esperienza
estesica del corpo diviene dunque un’autentica forma di
conoscenza che si sottrae alla tradizionale distinzione tra
sensibile e intelligibile. L’esperienza di questo regime
della significazione si configura infatti come assoluta-
mente bilaterale, il corpo del soggetto desiderato non
può che essere coinvolto nel desiderio dell’altro.
In altri termini, il corpo non appare più come un corpo-
oggetto, valore irrinunciabile per un soggetto che aspira al
riconoscimento altrui, quanto piuttosto come lo strumento
di un’esperienza rinnovata che agisce profondamente sulla
percezione della propria identità, un corpo-soggetto.
L’AUTONOMIA LINGUISTICA DELLE FORME BREVI 

In una prospettiva semiotica il contagio si configura


dunque come un

processo di trasmissione che implicando almeno due parte-


cipanti, consiste nella riproduzione tramite uno di essi di
un concatenamento di stati e di azioni, il cui modello sarà
fornito (direttamente o indirettamente, volontariamente o
involontariamente, coscientemente o incoscientemente)
dall’altro (p. 13).

Sebbene questo regime della significazione corporea


si realizzi compiutamente nella presenza in atto di due
soggettività distinte, può rivelarsi tuttavia estremamente
utile per comprendere anche le ragioni dell’efficacia dei
video musicali, in cui il contagio tra il corpo della star e
quello dello spettatore può essere esclusivamente simu-
lato.
Con i videoclip si affermano progressivamente nuove
strategie di fruizione, nuove pratiche di consumo pro-
duttivo in cui il piacere del testo consiste anche nel ritro-
vare le tracce di esperienze di consumo extratestuali, non
verbali. La tendenza a esplorare modi sempre più estre-
mi della risemantizzazione del corpo probabilmente deve
essere messa in relazione con l’esigenza di ricreare quel-
l’esperienza dello scambio reciproco della sensibilità cor-
porea, che nelle performance live trasforma la platea dei
fan da totalità partitiva ad attante collettivo, comunità in-
distinta che esprime il proprio sentire secondo il regime
della significazione del corpo a corpo.
Nei videoclip la manipolazione delle immagini (velo-
cizzazione e ralenti, scomposizioni, deformazioni pro-
spettiche, inversioni cromatiche) agisce come una forma
estrema di interpellazione che mira a coinvolgere lo spet-
tatore, a imprimere sul suo corpo un ritmo irresistibile in
grado di condensare in pochi istanti “l’onda d’urto este-
sica” che in una situazione live ha origine dalla combina-
zione di musica, apparato scenografico, movimenti del
performer, reazioni senso-motorie del pubblico6.
 PAOLO PEVERINI

È nello spazio di una programmazione sempre più


contratta che si gioca la portata estetica dei videoclip, è
qui, nello sforzo di restituire una sensazione di vicinanza
con il corpo della star che la sovrapposizione apparente-
mente caotica e priva di senso dei suoni-immagini rivela
la presenza di una struttura, le tracce di un’articolazione
linguistica che non esita ad appropriarsi del repertorio di
temi e figure dell’espressività contemporanea per “conta-
giare” lo spettatore con la promessa, felicemente illuso-
ria, di una tattilità impossibile, di un contatto pieno.

1
“La scommessa avanzata dalla semiotica consiste quindi semplice-
mente, come si può ben vedere, nel ridefinire il preteso contesto del di-
scorso, altrimenti detto il mondo “reale” che gli funge da riferimento, co-
me un linguaggio: un linguaggio come gli altri, il cui privilegio non ha nul-
la di necessario o di assoluto (poiché non risiede nell’ordine della primità
ontologica né in quello della primità logica) ma dipende dalla posizione
che gli viene culturalmente assegnata in rapporto ad altri sistemi semiotici
ugualmente costruiti (Landowski 1999, pp. 189-190).
2
Cfr. il saggio di Isabella Pezzini Giovani nel tempo a passo di danza,
in Ardrizzo, a cura, 2003, in cui vengono analizzate le diverse strategie con
le quali i video riconfigurano la percezione del tempo, ridefinendo profon-
damente l’immaginario collettivo e gli stili di consumo televisivo delle nuo-
ve generazioni. In particolare nel paragrafo Testi oltrenarrativi viene af-
frontato il problema particolarmente attuale del rapporto tra brevità del
testo e rottura delle tradizionali forme di narrazione.
3
“Nello stesso videoclip si possono trovare tracce di iconografie sur-
realiste e di aggressive immagini pop, le severe spaziature Bauhaus e i segni
dell’informale, il colore dell’espressionismo e i linguaggi del design, il tea-
tro sperimentale e il cinema delle avanguardie, il futurismo e il cinema un-
derground” (Taiuti 1996, p. 140).
4
“Il video interroga i suoi oggetti, ne trae un significato che ricompo-
ne nell’insieme delle sue parti. E come tutti gli oggetti di bricolage, il risul-
tato è sempre qualcosa di diverso dai materiali che lo compongono” (Sibil-
la 1999, p. 21).
5
“Il successo di questi formati dipende dall’intensità evocativa di cui
sono capaci, dunque dal modo in cui toccano la sensibilità, scavalcando
ogni altra preliminare piattaforma espressiva tradizionale” (Abruzzese
2001, p. 115).
6
Del resto, come osserva anche Paolo Fabbri nel corso dell’intervista
sul tema “Un corpo da terzo millennio” rilasciata a Rai Educational, ciò
L’AUTONOMIA LINGUISTICA DELLE FORME BREVI 

che rende assolutamente unico un concerto dal vivo è proprio la presenza


di un ritmo collettivo, la cui efficacia consiste nel produrre una simultaneità
di sentimenti grazie alla quale ci ritroviamo a provare le sensazioni che
vengono vissute dalle persone che ci circondano.
Capitolo terzo
Ritmi visivi, ritmi sonori, ritmi audiovisivi

Suono e immagine, una saldatura inevitabile

Il ruolo del suono nella costruzione del montaggio au-


diovisivo è stato oggetto di dibattito sin dall’introduzione
del sonoro nel cinema muto verso la fine degli anni Venti.
In questo primo periodo, in cui sono particolarmente
diffusi i paragoni tra cinema e musica, viene coniata l’e-
spressione contrappunto audiovisivo per designare “la for-
mula ideale in abstracto di cinema sonoro in cui i suoni e le
immagini appartengono a due catene parallele e liberamen-
te collegabili, senza alcun genere di dipendenza unilatera-
le” (Chion 1990, p. 37).
Nella terminologia della musica classica occidentale il
termine contrappunto indica un tipo di scrittura che impone
a differenti voci simultanee di essere eseguite ciascuna in
uno svolgimento orizzontale, coordinato con l’esecuzione
delle altre, ma al tempo stesso autonomo. Una forma di
scrittura radicalmente differente è invece l’armonia in cui
prevale una relazione che privilegia i rapporti verticali tra le
note e le voci in funzione della realizzazione degli accordi.
L’utilizzo del termine contrappunto in ambito cinema-
tografico è estremamente controverso. Mentre in musica
questo tipo di relazione interviene a regolare i rapporti tra
elementi che condividono un’unica sostanza dell’espressio-
ne (sonora), nel film i suoni e le immagini sono caratteriz-
zati da materialità del tutto differenti. Un presunto con-
trappunto audiovisivo implicherebbe la presenza di una
sorta di “voce sonora”, percepita orizzontalmente come
 PAOLO PEVERINI

coordinata alla colonna video, ma al tempo stessa del tutto


distinta. Il cinema tuttavia, tende a escludere la possibilità
di un simile funzionamento orizzontale e contrappuntisti-
co, privilegiando decisamente i rapporti armonici e vertica-
li tra i suoni e le immagini.
In ambito cinematografico la nozione stessa di colonna
audio si rivela problematica. Infatti, se da un punto di vista
strettamente tecnico è possibile isolare una pista sonora
che attraversa il film interamente o in parte, è tuttavia im-
possibile ricondurre l’insieme dei suoni e dei rumori a una
totalità unitaria.

La nozione di colonna audio, così come viene utilizzata, è in


realtà un puro e semplice calco meccanico dell’idea di colon-
na immagine, la quale invece esiste, poiché essa deve il pro-
prio essere e la propria unità alla presenza di un quadro, di
un luogo di immagini investito dallo spettatore (p. 40).

L’ordine sequenziale dei suoni in un film non è una


condizione sufficiente per dimostrare che esiste un com-
plesso sonoro, un insieme chiuso, dotato di una qualche
forma di coesione e quindi potenzialmente confrontabile
con la colonna delle immagini. Piuttosto, ogni elemento so-
noro (suoni/rumori) allaccia con gli elementi narrativi con-
tenuti nell’immagine (personaggi/azioni) e con gli elementi
visivi compositivi e scenografici, dei rapporti verticali si-
multanei più immediati, forti e significativi di quelli che
questo stesso elemento sonoro può allacciare parallelamen-
te con gli altri suoni che lo precedono o lo seguono nel
flusso musicale.
L’esempio del suono fuori campo può aiutare a chiarire
ulteriormente questo passaggio teorico. In un film i suoni
fuori campo sono quelli che intrattengono con la colonna
video il rapporto più semplice e vincolante, l’esclusione vi-
siva della sorgente sonora è infatti la condizione sufficiente
a separare questi suoni da tutti gli altri, a farli emergere dal
continuum della pista audio. Eliminando l’immagine, tut-
tavia, diviene immediatamente evidente che nulla distingue
RITMI VISIVI, RITMI SONORI, RITMI AUDIOVISIVI 

questo tipo di suoni da tutti gli altri, “la struttura globale


crolla, e i suoni, insieme, ne ricostruiscono una del tutto
nuova” (ib.).
Le forme di testualità audiovisiva dunque non sono
caratterizzate dalla presenza separata di una colonna im-
magini e di una colonna audio, piuttosto si configurano
come lo spazio della loro reciproca fusione, un luogo di
immagini e di suoni.
Le ragioni di questo legame così vincolante devono es-
sere ricercate nell’operazione del montaggio. Per quanto
riguarda le immagini, è il montaggio che ha reso possibile
la creazione di un’unità specifica del linguaggio cinemato-
grafico, il piano. Sia che lo si consideri come un’unità nar-
rativa fortemente strutturata (Chion 1990), o esclusivamen-
te come una porzione di pellicola impressionata dalla mac-
china da presa tra l’inizio e la fine di una ripresa (Vanoye,
Lété 1992), il piano presenta il vantaggio innegabile di es-
sere un’unità neutra, oggettivamente individuabile.
Al contrario, per quanto riguarda la componente audio,
il montaggio sonoro non ha prodotto alcun tipo di unità
specifica. In un film l’ascolto della successione dei suoni
non permette infatti di isolare alcun genere di unità, so-
prattutto perché le giunte tra i singoli suoni non sono affat-
to evidenti, come invece avviene per gli stacchi che separa-
no le inquadrature in una sequenza di montaggio. Ciò non
significa che la componente sonora di un film costituisca
per il suo ascoltatore un flusso del tutto privo di cesure; è
infatti possibile individuare delle unità, come frammenti di
dialogo, rumori, melodie, cellule ritmiche, ma la percezio-
ne della loro presenza dipende essenzialmente dalle carat-
teristiche peculiari dei suoni, dal grado di competenza mu-
sicale e dal livello di attenzione.

Se si tratta di rumori, realizziamo un découpage percettivo


scomponendoli in eventi sonori, il che risulta più facile se si
tratta di suoni isolati. In una musica isoliamo delle melodie,
dei temi e delle cellule ritmiche, secondo il grado della nostra
cultura musicale. In breve, ci comportiamo come sempre, e
 PAOLO PEVERINI

abbiamo a che fare con unità che non sono specificamente ci-
nematografiche, e dipendono completamente dal tipo di suo-
no e dal livello di ascolto prescelto (Chion 1990, p. 44).

Il film non è concepibile dunque come il luogo della li-


bera associazione di due diverse sostanze dell’espressione
che rinviano a sistemi di segni paralleli e autonomi, ma
esclusivamente come il prodotto del loro sincretismo, lo
spazio in cui agiscono combinazioni audiovisive.

Il montaggio audiovisivo

Le “origini” del montaggio si trovano nella composizione


plastica.
Il “futuro” del montaggio sta nella composizione musicale
(Ejzenštejn 1963-70, p. 6.).

Ciò che rende i videoclip delle forme originali di testua-


lità audiovisiva non è unicamente la capacità di condensare
in uno spazio breve un gran numero di inquadrature, com-
plessi movimenti di macchina ed elaborati effetti speciali,
ma anche l’attitudine a esplorare le potenzialità del sincre-
tismo audiovisivo per spingersi al limite della soglia che se-
para una narratività forte dall’assemblaggio del tutto arbi-
trario di suoni e immagini.
In questo senso il montaggio non si riduce semplice-
mente a un’operazione tecnica necessaria a “chiudere il te-
sto” o a mettere in forma in modo virtuosistico suoni e im-
magini, piuttosto costituisce il luogo stesso della realizza-
zione del senso, lo spazio in cui gli elementi appartenenti a
linguaggi diversi (scritto, visivo, musicale) confluiscono in
combinazioni audiovisive che sfruttano i meccanismi sine-
stesici per stimolare nello spettatore una reazione di tipo
passionale.
Se la pratica del montaggio costituisce “l’arma segreta”
dei videoclip, lo strumento privilegiato che ne assicura l’ef-
RITMI VISIVI, RITMI SONORI, RITMI AUDIOVISIVI 

ficacia, per comprenderne il funzionamento e individuarne


i dispositivi è necessario innanzitutto risalire all’origine del-
la riflessione sull’unione di suoni e immagini, all’autore che
più di ogni altro ha teorizzato le potenzialità espressive del
montaggio audiovisivo, Sergej M. Ejzenštejn.
Come si tenterà di dimostrare in questo capitolo, le
considerazioni avanzate da Ejzenštejn sulle forme della
correlazione audiovisiva si rivelano infatti straordinaria-
mente attuali e decisamente utili per affrontare il tema
complesso dell’efficacia ritmica dei videoclip.
Nel 1937 il cineasta russo dedica al montaggio un’opera
fondamentale, la Teoria generale del montaggio. In questo la-
voro egli propone di distinguere innanzitutto tra rappresen-
tazione (izobrazenie) e immagine (obraz).
Nella riflessione di Ejzenštejn il primo concetto esprime
l’ordine delle cose percepito nella sua semplice “datità” (ci
sono cose nel mondo che possono essere rappresentate tra-
mite le parole, le fotografie o le immagini in movimento), il
secondo, l’immagine, rinvia alla decostruzione di quest’ordi-
ne preesistente e alla sua riconfigurazione significante.
Mentre la rappresentazione costituirebbe un atto sem-
plicemente riproduttivo, l’immagine, configurandosi come
un procedimento di smontaggio e rimontaggio dei dati rea-
li, si caricherebbe di virtù espressive o interpretative.
Nella riflessione di Ejzenštejn tuttavia, il termine imma-
gine non rinvia esclusivamente all’insieme di procedure
utili a intervenire sul dato reale per manipolarne l’ordine
costitutivo, piuttosto esso esprime “l’orizzonte istitutivo
della sensatezza in generale” (Montani 1999, p. 20). L’im-
magine infatti mira a ricondurre il soggetto fino alle radici
profonde, alle precondizioni stesse di quell’attività origina-
ria che rende possibile la comparsa del senso.

Se con questa attività originaria, in altri termini, noi stiamo ri-


spondendo a un incontro che ci ha già presi, l’immagine mira
a mostrare, al tempo stesso, questo esser-presi e questa rispo-
sta: immaginare è dunque un’attività che si riconosce in debito
con un aver patito, con una passività, con un pathos (p. 20).
 PAOLO PEVERINI

Tra rappresentazione e immagine non esiste uno scarto


temporale, non è possibile, in altri termini, isolare una ripro-
ducibilità originaria, pura, soggetta in un secondo momento
a un insieme di operazioni che ne rendono possibile una ri-
configurazione assoluta. La stessa rappresentazione del mon-
do reale è già sempre un’attività istitutiva cui non è possibile
contrapporre nessun genere di materia grezza, nessun ele-
mento amorfo successivamente plasmabile. Ciò che si offre
alla rappresentazione del soggetto, pur risultando da un’isti-
tuzione originaria, costituisce dunque sin dall’inizio la pre-
messa della realizzazione di un senso. Poiché tuttavia questa
attività di costituzione del reale sfugge a una percezione pie-
na, consapevole, cessando di essere avvertita nella sua pro-
cessualità, emerge per il soggetto la necessità di riafferrarne il
principio tramite un intervento creativo, l’immagine.
Il testo estetico emerge dunque come il luogo di questo
ritorno, lo spazio in cui diviene possibile esibire le poten-
zialità e i limiti di questa originaria formatività.
È precisamente a partire dalla consapevolezza che il rap-
porto tra rappresentazione e immagine è di natura proces-
suale che nella riflessione di Ejzenštejn emerge il ruolo fon-
dante del montaggio. Se, infatti, l’immagine è un intervento
espressivo che rivela la natura costitutivamente creativa del-
la rappresentazione, allora lo scopo dell’arte cinematografi-
ca sarà innanzitutto quello di rendere percepibile questo
processo immaginativo, dandogli un tempo e una forma.

L’arte cinematografica, autentico territorio dell’immagine, non


presenta mai risultati, ma sempre e solo processi. Proprio per
questo, l’immagine richiede tempo e sviluppa tempo (p. 21).

Nella riflessione di Ejzenštejn il montaggio si configura


dunque come l’insieme delle procedure necessarie a quali-
ficare il tempo dell’immaginare. Significativamente egli di-
stingue tre diversi modi del montaggio che rinviano ad al-
trettante manifestazioni della temporalità dell’immagine.
Il primo tipo di montaggio è chiamato compositivo. Vi-
sibile compiutamente nelle arti figurative, esso trova realiz-
RITMI VISIVI, RITMI SONORI, RITMI AUDIOVISIVI 

zazione nel cinema nella composizione plastica delle singo-


le inquadrature, dove ”il tempo si fa presente nel percorso
che l’occhio dello spettatore è tenuto a effettuare, per ap-
prensioni successive, lungo il profilo della composizione: è
questo percorso a costituire, per sintesi finale, l’unità del-
l’immagine” (ib.).
La seconda modalità è il montaggio sequenziale che rende
percepibile la scansione delle sequenze marcando l’alternan-
za degli stacchi tra le inquadrature. Questo secondo tipo di
montaggio sovrintende direttamente alla durata e alla distri-
buzione degli intervalli temporali, inscrivendo nel testo
un’ossatura ritmica di base.
Diversamente dal montaggio compositivo, il montaggio
sequenziale è tipicamente cinematografico, il senso infatti
non emerge dalla composizione delle singole inquadrature
ma si dispiega a partire dal ritmo della loro alternanza. Con
il montaggio sequenziale il tempo si impone all’attenzione
del soggetto come incoatività, come processo in piena fase di
sviluppo, esso aspira a esibirsi come tempo configurante.
La terza modalità è definita da Ejzenštejn montaggio au-
diovisivo ed è caratterizzata innanzitutto dalla presenza del
sonoro. Questo terzo tipo di montaggio si differenzia
profondamente dal montaggio compositivo e dal montaggio
sequenziale non solo per la presenza materiale di una nuova
sostanza dell’espressione, quanto piuttosto per le inedite
possibilità espressive che scaturiscono dall’associazione tra
elementi visivi ed elementi sonori.
Come rileva Pietro Montani (pp. 23-24) con il montaggio
audiovisivo la dimensione espressiva, l’intervento creativo, si
spostano in uno “spazio-tempo intermedio che non dipen-
de, come nel caso precedente, da un’alternanza (da un movi-
mento sequenziale), bensì consiste (…) in una simultaneità
internamente differita o ek-statica, in un gioco multiforme
(perché occasionato da molti stimoli sensibili) di ritensioni e
di protensioni”.
Con la terza modalità di montaggio si apre dunque per
il cinema la possibilità di spingersi oltre le forme consoli-
date della narrazione classica.
 PAOLO PEVERINI

L’arte comincia propriamente solo a partire dal momento in


cui l’associazione tra il suono e la rappresentazione visiva non
è più semplicemente registrata secondo il rapporto esistente
in natura, ma è istituita secondo il rapporto richiesto dai
compiti espressivi dell’opera. Nelle forme più rudimentali si
tratterà della sottomissione di ambedue gli elementi allo stes-
so ritmo, rispondente al contenuto della scena. È questo il ca-
so più semplice, più accessibile e più frequente di montaggio
audiovisivo: in cui i pezzi della rappresentazione visiva vengo-
no tagliati e montati secondo il ritmo della musica che scorre
parallelamente sulla colonna sonora. (…) A partire da questo
caso più elementare – la semplice coincidenza “metrica” degli
accenti nella “scansione” – è possibile ottenere un gran nu-
mero di combinazioni sincopate e un “contrappunto” pura-
mente ritmico che consiste nel gioco calcolato della non coin-
cidenza degli accenti, delle lunghezze, delle frequenze, delle
ripetizioni ecc. (Ejzenštejn 1986, pp. 157-158).

Ne Il montaggio verticale (1986, p. 132) Ejzenštejn ap-


profondisce ulteriormente la riflessione relativa alle innova-
zioni espressive rese possibili dall’introduzione del sonoro.
Pur sostenendo che tra la concezione di un montaggio pura-
mente visivo e quella di un montaggio che relaziona elementi
di aree diverse – in particolare l’immagine visiva e l’immagine
sonora – non ci sono differenze di fondo sulla linea della
creazione di un’immagine audiovisiva unitaria e coerente, il
cineasta russo insiste sulla necessità di ripensare in termini
nuovi la correlazione tra elementi visivi ed elementi sonori.
Per chiarire la nuova concezione di montaggio, in cui
prevale una correlazione di tipo verticale tra suoni e imma-
gini, Ejzenštejn ricorre non a caso a un esempio tratto dal-
l’ambito musicale:

a tutti è familiare l’aspetto esteriore di una partitura d’orche-


stra: una certa quantità di pentagrammi in ciascuno dei quali
è scritta la parte di un determinato strumento. Ogni parte si
sviluppa con un movimento progressivo in orizzontale. Ma la
connessione verticale è un fattore non meno importante e
decisivo: la correlazione musicale dei diversi elementi del-
l’orchestra in ogni unità di tempo. Così con il movimento
RITMI VISIVI, RITMI SONORI, RITMI AUDIOVISIVI 

progressivo della verticale che coinvolge tutta l’orchestra e


avanza orizzontalmente, si realizza il complesso e armonico
movimento musicale dell’intera orchestra. Se ora passiamo
dall’immagine di una partitura musicale a quella di una par-
titura audiovisiva, osserveremo che in questo nuovo stadio è
come se alla partitura musicale si aggiungesse un ulteriore
pentagramma: quello delle inquadrature che procedono l’u-
na dopo l’altra conformandosi plasticamente al movimento
della musica e viceversa (ib.).

Nel montaggio audiovisivo il rapporto tra suoni e im-


magini non privilegia la dimensione della sequenzialità, in
altri termini non consiste in una semplice successione oriz-
zontale secondo una logica del contrappunto, quanto piut-
tosto nella simultanea sovrapposizione verticale di elementi
appartenenti a due sistemi semiotici indipendenti1.
Le risonanze audio-visive che scaturiscono da questa
originale forma di sincretismo inscrivono nel testo delle
complesse configurazioni ritmiche che valorizzano la di-
mensione estesica e passionale della significazione, apren-
do a un’esperienza piena della fruizione.

koiné aisthesis, unità del “sentire”, unità nelle differenze del


sentire. Ecco con cosa intende lavorare la terza modalità del
montaggio: non solo con un “io vedo” e un “io ascolto”, ma,
dice Ejzenštejn (1986, p. 59), con un “io sento”, con l’unità
ek-statica o “differente” (perché ottica, acustica, tattile…) di
questo sentire (Montani 1999, p. 24).

Questa spinta a riformulare i canoni tradizionali del


racconto, l’attitudine a “forzare” i confini dello spazio let-
terario, si estendono ben oltre i limiti del linguaggio cine-
matografico. La lezione di Ejzenštejn e delle avanguardie
storiche nel corso di un secolo ha influenzato profonda-
mente le diverse forme di testualità audiovisiva, innescan-
do pratiche di sperimentazione videoartistica, delineando
spazi di intervento del tutto inediti per il grande schermo,
condizionando i tentativi successivi di restituire la forma e
il ritmo della musica attraverso le immagini.
 PAOLO PEVERINI

In questa prospettiva le soluzioni ritmiche delle forme


brevi contemporanee, in particolare nell’ambito dei video-
clip, possono essere rilette a partire dalla nozione di mon-
taggio audiovisivo.

Il videoclip. Oltre l’associazione di suono e immagine

Nei casi più interessanti la manipolazione delle sono-


rità, la decostruzione/riconfigurazione del materiale visivo
si sottraggono spesso in maniera decisa a qualsiasi tentativo
di ricomposizione narrativa da parte dello spettatore.
Nei videoclip il montaggio,

ritornando sugli stessi motivi, e giocando ogni volta su quat-


tro o cinque temi visivi di base, (…) è, più che un modo per
far avanzare l’azione, un modo per far girare le facce del pri-
sma, e per creare così, tramite la rapida successione dei piani,
una sensazione di polifonia visiva e persino di simultaneità
(Chion 1990, p. 140).

Il suono non si riduce a un semplice contrappunto delle


immagini, piuttosto contribuisce in maniera esplicita alla
sperimentazione di nuovi regimi della significazione, in cui
la coincidenza marcata con le immagini costituisce solo
uno dei momenti che compongono un gioco ritmico com-
plesso fatto di scarti audio/visivi, corrispondenze mancate,
fratture esibite.

Il videoclip soprattutto procede per frammentazione: le ripre-


se convergono, a volte collegandosi, altre volte respingendosi,
senza che nessun tema o oggetto si impongano alla vista. Le
inquadrature magari hanno un “contenuto” perché sono stati
filmati luoghi, scene, persone, ma il modo in cui sono state
raggruppate nella continuità della pellicola impedisce che si
scopra in esse un punto di riferimento comune. (…) La dis-
solvenza per il videoclip non è la forma incerta in cui si opera
un passaggio, ha una sua durata, le immagini che la compon-
gono crescono ciascuna su se stessa, e anche nella relazione
RITMI VISIVI, RITMI SONORI, RITMI AUDIOVISIVI 

forzata imposta loro dalla simultaneità, si afferma quindi co-


me un’immagine indipendente il cui fascino poggia sulla
combinatoria che sviluppa (Sorlin 1997, pp. 235-236).

Un videoclip che esprime in modo esemplare queste


potenzialità espressive del montaggio audiovisivo è senz’al-
tro Drop del musicista giapponese Cornelius.
Il video si apre con una combinazione audiovisiva deci-
samente insolita: alcune gocce cadono da un rubinetto, si
infrangono sulla superficie del lavandino a un ritmo co-
stante producendo un lieve rumore.
Dopo alcuni secondi sullo sfondo ritmico prodotto da
questo rumore persistente si insinua una sonorità elettroni-
ca estremamente dilatata. L’effetto di questa sovrapposizio-
ne tra musica e rumori rafforza ulteriormente la sensazione
di una forte solidarietà audiovisiva.
Nelle sequenze successive un bambino si avvicina al la-
vandino, apre definitivamente il rubinetto e inizia a lavarsi
meticolosamente le mani.
La sequenza dei gesti del bambino si ripete davanti a
uno specchio, i suoni e le immagini sono perfettamente
coincidenti, disegnano un flusso assolutamente lineare,
compatto.
Due microritmi distinti (visivo e musicale) si sovrappon-
gono fino a fondersi in un’unica combinazione audiovisiva,
sancita dal gesto simbolico del bambino che con l’indice
della mano destra interrompe a intervalli regolari il flusso
dell’acqua, simulando in modo esplicito una forma decisa-
mente originale di metronomo.

Fig. 1. Cornelius, Drop. Fig. 2. Cornelius, Drop.


 PAOLO PEVERINI

La durata delle immagini, la composizione delle inqua-


drature, il ritmo del montaggio inscrivono progressivamen-
te nel video un andamento tensivo crescente.
I gesti ripetitivi del piccolo protagonista sembrano rin-
viare non tanto all’esecuzione quasi meccanica di una ba-
nale attività quotidiana come la pulizia personale, quanto
piuttosto a un preciso rituale che si annuncia drammatico.
Il bambino ora immerge completamente il viso sott’ac-
qua, il suo sguardo è assente, gli occhi sbarrati sono velati
dal liquido che ormai ricopre il pavimento.

Fig. 3.
Cornelius, Drop.

La musica si è fatta distante, durante gli interminabili


secondi che trascorrono sott’acqua retrocede addirittura a
elemento di sfondo, la sua percezione è filtrata dalla pre-
senza del bambino, i suoni sono ovattati, il ritmo appena
distinguibile.
Finalmente il bambino rialza la testa, tossisce, solleva lo
sguardo sullo specchio, mentre la musica interviene di
nuovo a rivendicare con forza il suo ruolo, agganciandosi
vigorosamente alle immagini. Questa breve ma intensa im-
mersione nell’acqua ha prodotto una frattura nell’anda-
mento lineare del testo, una trasformazione radicale che in-
veste sia il piano della narrazione sia il livello più superfi-
ciale del videoclip, lo stile di regia. L’effetto di forte reali-
smo inscritto nel video a partire dalle prime inquadrature
viene completamente rovesciato, la tosse del bambino dà
avvio a una sequenza in cui viene figurativizzato un vero e
proprio stato di allucinazione.
Immagini irregolari, mosse, sfocate, manipolano il cor-
po del bambino e l’ambiente circostante.
RITMI VISIVI, RITMI SONORI, RITMI AUDIOVISIVI 

Fig. 4. Cornelius, Drop. Fig. 5. Cornelius, Drop.

Gli effetti di distorsione alterano linee, figure, colori,


compromettono la coerenza e la leggibilità del mondo reale
aprendo contemporaneamente un varco in una dimensione
“aliena”.

Fig. 6. Cornelius, Drop.

Lo specchio del bagno assolve pienamente la sua fun-


zione di dipositivo autoriflessivo, trasformandosi in una fi-
nestra che permette al bambino di proiettarsi in uno spazio
aperto e incontaminato, un luogo onirico, un sogno a occhi
aperti, a portata di chiunque e al tempo stesso distante.

Fig. 7. Cornelius, Drop.


 PAOLO PEVERINI

Una dimensione “invisibile”, effimera, pronta a svelarsi


o a svanire come un’epifania improvvisa, come una banale
scritta su una t-shirt, come una semplice decorazione che
per un istante si fa segno, traccia di un’intenzione e di uno
stato d’animo. “DREAM”.
Nello spazio di poche inquadrature interno ed esterno
si rovesciano costantemente l’uno nell’altro in un movi-
mento irregolare dagli esiti assolutamente imprevedibili.
Ecco allora che in un angolo del bagno compare per
pochi istanti Cornelius, l’autore di Drop, figura-rinvio che,
come accade spesso nei videoclip, non resiste alla tentazio-
ne di legittimarsi nei confronti del pubblico confondendo
realtà e finzione, esasperando il meccanismo dei rimandi,
delle simulazioni.
Il rimedio all’allucinazione è a portata di mano. Il bam-
bino afferra una piccola bottiglia verde e riversa lentamen-
te alcune gocce negli occhi. Lo stato alterato della perce-
zione scompare immediatamente.

Fig. 8. Cornelius, Drop. Fig. 9. Cornelius, Drop.

Nel finale del video l’acqua è ancora protagonista.


Un’inquadratura singolare colloca lo sguardo dello spetta-
tore sul fondo del lavandino e permette di ammirare nel
dettaglio i gesti del bambino che ora non si limita a inter-
rompere con le dita il flusso dell’acqua ma interviene sulla
sua superficie con movimenti ampi e controllati fino a tra-
durre il ritmo e la melodia della musica sotto forma di goc-
ce, schizzi, increspature e piccole onde.
RITMI VISIVI, RITMI SONORI, RITMI AUDIOVISIVI 

Apparentemente Drop è solo uno tra i tanti video che


giornalmente vanno in rotazione nei palinsesti delle emit-
tenti musicali, tuttavia è evidente come in questo piccolo
testo siano condensati numerosi elementi di interesse.
L’utilizzo musicale dei rumori che rovescia significativa-
mente la tradizionale distinzione tra musica diegetica ed
extradiegetica, la costruzione di un ritmo audiovisivo com-
posto di anticipazioni, conferme, scarti, che trasforma il
racconto di un gesto quotidiano in una sequenza di azioni
fortemente emozionali, la rielaborazione originale della
soggettiva, una figura-cardine del linguaggio cinematogra-
fico, che viene impiegata inizialmente per esasperare il pia-
no visivo, e in seguito per rilanciare strategicamente l’ap-
peal melodico del brano musicale.
In questo video il montaggio non è semplice esibizione
tecnica, puro assemblaggio finalizzato a restituire uno stile
alla sequenza di suoni-immagine, ma risponde a un’esigen-
za (promuovere un album) con una scommessa: pur di cat-
turare l’attenzione dello spettatore esso non esita a relegare
sullo sfondo, seppur temporaneamente, il suo elemento
più significativo e prezioso, la musica.

Figure del ritmo e strategie di montaggio

Nei video musicali il sincretismo di suoni e immagini


risponde a una logica che in parte si distingue da quella ci-
nematografica. In questi micro-testi audiovisivi non c’è
quasi mai una narrazione sostenuta dal dialogo e la musica
costituisce una componente autonoma poiché è sempre
preesistente rispetto alle immagini. Di conseguenza le se-
quenze visive sono parzialmente slegate dalla linearità im-
posta dal suono.
Nei videoclip le combinazioni tra suoni e immagini non
sono il prodotto di una semplice giustapposizione di so-
stanze dell’espressione differenti, ma l’effetto di una sincre-
si, termine che esprime la riunificazione di due movimenti
diversi, il sincronismo e la sintesi. La sincresi
 PAOLO PEVERINI

è la saldatura inevitabile e spontanea che si realizza tra un fe-


nomeno sonoro e un fenomeno visivo puntuale quando que-
sti accadono contemporaneamente, indipendentemente da
ogni logica di tipo razionale (Chion 1990).

La sincresi non è un processo del tutto automatico: di-


pende infatti dal senso complessivo di un testo, e si orga-
nizza secondo leggi gestaltiche. Per far emergere con chia-
rezza il processo della sincresi è sufficiente accostare in
modo del tutto casuale elementi visivi ed elementi sonori,
in alcuni punti i suoni e le immagini daranno vita a combi-
nazioni audiovisive estremamente efficaci, in altri punti re-
steranno del tutto separati, inconciliabili.
La sequenza si “fraseggia” da sola, in ragione di fenomeni di
rinforzamento, di “buona forma” che non obbediscono a una
semplice legge. Talvolta questa logica è evidente: quando si tratta
di un suono più potente degli altri, esso si coagula con l’immagi-
ne che gli è sincrona più degli altri che lo precedono o lo seguo-
no. Questo può essere un fenomeno di senso o di ritmo (ib.).

In una sequenza audiovisiva i punti in cui si realizza


compiutamente l’unione tra elementi sonori ed elementi vi-
sivi sono definiti punti di sincronizzazione.
Nei videoclip esiste un rapporto elementare tra colonna
audio e colonna video che si riduce alla presenza puntuale
ma estremamente efficace di punti di sincronizzazione in
cui l’immagine interviene a “mimare” la produzione del
suono. Al di fuori di questi momenti di coincidenza audio-
visiva le immagini e i suoni rispondono a logiche di svilup-
po indipendenti. Nei video il montaggio è fatto sulla musi-
ca. In un certo senso si può dire che la musica costituisca il
punto di partenza e di arrivo di un video musicale.
La sincresi, coordinando i tempi separati del suono e
dell’immagine in funzione della riunificazione di sostanze
dell’espressione diverse, costruisce la struttura ritmica del
testo audiovisivo, contribuendo in maniera decisiva a
orientarne la fruizione.
Nelle forme brevi dell’audiovisivo i punti di sincronizza-
zione scandiscono i momenti di massima solidarietà tra suoni
RITMI VISIVI, RITMI SONORI, RITMI AUDIOVISIVI 

e immagini. Questi intervalli in cui il sincretismo audiovisivo


esibisce tutte le proprie potenzialità espressive inscrivono nei
testi dei punti di forza, suscitando nello spettatore una speci-
fica disposizione percettiva in cui lo sguardo e la vista si in-
fluenzano reciprocamente e contribuiscono a trasformarsi.
Nei videoclip un punto di sincronizzazione diffuso è
costituito dai raccordi a stacco del suono e dell’immagine. In
questi casi la sintesi audiovisiva si realizza come una dop-
pia cesura sincrona.
Un esempio rappresentativo di questo legame tra suoni e
immagini è senz’altro quello dei video hip hop. In questo sen-
so sono esemplari i lavori del regista Hype Williams (She’s a
bitch, No scrubs) in cui il ritmo frenetico imposto alle immagi-
ni dai numerosi tagli di montaggio, si aggancia, rilanciandolo,
al ritmo dei brani musicali e ai gesti sincopati dei performer.
Tra le figure della sincronizzazione audio-visiva è possi-
bile individuare innanzitutto quelle fondate su una manipo-
lazione esibita della sostanza visiva, realizzate prevalente-
mente nella fase di postproduzione.
Uno dei primi espedienti visivi utilizzato nei videoclip per
marcare il ritmo del brano musicale è stato senz’altro l’alter-
nanza tra il bianco e nero e il colore. In questo senso sono
esemplari i video realizzati nella seconda metà degli anni Ot-
tanta dal regista Derek Jarman per la band inglese degli
Smiths. In particolare il video di How soon is now (1986) in
cui le immagini colorate e fortemente astratte di alcuni fram-
menti di pellicola vengono utilizzate come efficaci inserti visivi
per ribadire il ritmo della canzone scandito dalle percussioni.
Un tipo di manipolazione dell’immagine molto frequente
nella realizzazione della sincresi audiovisiva è lo sfocato.

Fig. 10. Nirvana,


Heart Shaped Box.
 PAOLO PEVERINI

Si pensi al videoclip di Smells like teen spirit realizzato da


Anton Corbjin per i Nirvana. Nel video viene messa in scena
la performance del gruppo musicale all’interno di uno spazio
estremamente ristretto e scarsamente illuminato. L’uso alter-
nato di immagini nitide e sfocate contribuisce a restituire allo
spettatore una sensazione di forte claustrofobia, ma soprat-
tutto si rivela uno strumento straordinariamente efficace di
valorizzazione del suono. Le sonorità estremamente dilatate
dei Nirvana vengono infatti prese in carico e rilanciate dai
continui passaggi tra le immagini perfettamente a fuoco degli
ambienti e i dettagli sfocati del leader Kurt Cobain.

Fig. 11. Nirvana,


Heart Shaped Box.

Nei videoclip l’uso dello sfocato si combina spesso con


un altro tipo di manipolazione della sostanza visiva che
consiste nell’intervenire direttamente sulla grana delle im-
magini alternando l’alta definizione alla bassa definizione.
Questo espediente diviene marca stilistica nei lavori
realizzati da Floria Sigismondi, regista italo-canadese parti-
colarmente sensibile alla sperimentazione tecnica ed
espressiva sui regimi di visibilità.
RITMI VISIVI, RITMI SONORI, RITMI AUDIOVISIVI 

In Beautiful People, videoclip realizzato per Marylin Man-


son nel 1997, il ritmo veloce della canzone e le sonorità spor-
che si saldano sul piano visivo a brevi sequenze caratterizzate
dalla rapida alternanza tra immagini nitide e sgranate.

Fig. 12. Tricky, You


make me wanna die.

Nel video di You make me wanna die realizzato dalla


regista per Tricky nello stesso anno, i suoni si sviluppano
in modo uniforme e continuo scandendo in modo regola-
re il ritmo musicale. Sul piano visivo l’agganciamento con
la musica si realizza tramite un movimento estremamente
fluido di parziale defigurativizzazione: in sincrono con
l’evoluzione regolare del flusso sonoro le immagini degli
ambienti e del musicista vengono infatti private progressi-
vamente di tutti i dettagli fino a esibire un livello prefigu-
rativo in cui dominano linee confuse e macchie sfumate
di colore.
Un intervento estremo di manipolazione visiva è il
morphing, una figura molto usata nei video musicali che
permette di “tradurre” in maniera efficace sul piano visivo
la definizione del suono e la sua durata.
Nel pluripremiato video di Black Hole Sun realizzato da
Howard Greenhalgh nel 1994 per i Soundgarden, i dettagli
anatomici dei protagonisti vengono totalmente sfigurati in
corrispondenza di suoni prolungati, regolari e ricchi di fre-
quenze acute contribuendo in questo modo a drammatiz-
zare fortemente l’ascolto del brano musicale.
Il repertorio di queste forme della sincronizzazione au-
diovisiva è estremamente vasto. Se le figure appena esami-
nate contribuiscono alla costruzione del ritmo agendo di-
rettamente sulla qualità materiale delle immagini (grana, il-
 PAOLO PEVERINI

luminazione, definizione), esiste tutta una serie di interven-


ti che mirano a saldare i suoni e le immagini lavorando
principalmente sulla riconfigurazione del tempo visivo.
Tra questi gli effetti di velocizzazione e ralenti che inter-
vengono direttamente sulla dimensione ritmica del brano
musicale. Un caso esemplare è il video di Ray of light rea-
lizzato da Jonas Akerlund nel 1998, in cui le immagini ac-
celerate degli spazi metropolitani vengono utilizzate come
“sfondo ritmico” per accompagnare la performance coreo-
grafica di Madonna. Un uso strategico della decelerazione
caratterizza invece il video di It’s oh so quiet realizzato da
Spike Jonze per Bjork nel 1995. Il video sfrutta in maniera
assolutamente originale la melodia del brano musicale met-
tendo in scena un vero e proprio micro-musical in cui il ra-
lenti interviene a marcare su un piano visivo le pause ritmi-
che della canzone.
Due interventi ampiamenti utilizzati nella costruzione
del ritmo audiovisivo sono il congelamento dell’immagine
(freeze frame), puntuale intervento di sincronizzazione
che consiste nel bloccare temporaneamente il movimento
della macchina da presa o degli elementi profilmici per
marcare una pausa significativa nel flusso sonoro, e il fra-
zionamento dello schermo in riquadri (split screen) che
permette di modulare in modo flessibile i tempi di ingres-
so delle immagini sui suoni.
Una figura emblematica del ritmo audiovisivo è il loop.
La ripetizione della stessa sequenza di immagini è un espe-
diente molto frequente soprattutto nei video realizzati per
la musica dance in cui le ritmiche generate dagli strumenti
elettronici (sequencer e drum machine) sono caratterizzate
dalla ricorsività ossessiva di poche battute.
Nella costruzione del ritmo audiovisivo infine svolgono
un ruolo fondamentale le figure di avvicinamento, come gli
stacchi sull’asse e gli zoom.
Il ritmo del video di Don’t tell me (2000), realizzato da J.
B. Mondino per Madonna, ad esempio, è costruito proprio
sull’uso combinato di zoom e stacchi sull’asse che marcano in
modo estremamente rigido le linee evolutive della musica.
RITMI VISIVI, RITMI SONORI, RITMI AUDIOVISIVI 

Fig. 13. Beck, Mixed Bizness.

Nello stesso anno anche il regista Stephan Sednaoui ha


utilizzato in modo simile queste due figure della sincronizza-
zione in Mixed Bizness, di Beck. Nel video l’alternanza co-
stante tra zoom in e zoom out viene impiegata per tradurre
sul piano visivo l’andamento sincopato della canzone, un bra-
no funky in cui prevalgono ritmi irregolari e scarti melodici.

Il ritmo contagioso delle forme brevi

Il ritmo dei video musicali non è semplicemente il risul-


tato di una coincidenza audiovisiva marcata, ma dipende in
gran parte dal grado di prevedibilità dei punti di contatto
tra elementi visivi e sonori.
Da un punto di vista orizzontale in una sequenza au-
diovisiva i suoni e le immagini non appaiono come ele-
menti semplicemente allineati, distribuiti nel testo in mo-
do tale da inscrivere al suo interno un andamento ritmico
lineare e uniforme. Piuttosto, essi hanno delle tendenze,
seguono leggi di evoluzione fatte di ripetizioni e scarti,
che mirano a coinvolgere lo spettatore suscitando un sen-
so di attesa e speranza, di saturazione da spezzare o di
vuoto da riempire.
I punti di sincronizzazione stimolano lo spettatore a in-
dividuare consapevolmente o inconsciamente delle linee di
sviluppo e a verificare in seguito se questa evoluzione inne-
scata si realizza come previsto2.
 PAOLO PEVERINI

Per il soggetto sentire il tempo non significa semplice-


mente ricondurre mentalmente i singoli elementi a una for-
ma compiuta, ricomporre gli istanti in una durata. La sen-
sazione del ritmo, la percezione della sua articolazione è in-
nanzitutto un’esperienza timica, passionale.
Come afferma Jacques Geninasca (1992, p. 14) nei suoi
studi dedicati all’analisi morfologica dei discorsi estetici
“nell’esperienza stessa del ritmo il sentimento del tempo
non si riduce alla semplice coscienza di un succedersi cro-
nologico degli istanti ma si confonde con l’esperienza di
una pienezza esistenziale”.
Il ritmo, da un punto di vista teorico, si presenta dun-
que come “un sintagma organizzato di stati tensivi: attesa,
distensione per l’attesa soddisfatta, sorpresa e disorienta-
mento per un’attesa delusa, scoperta infine ed inversione
euforica delle tensioni accumulate nella fase inventiva dello
smarrimento” (ib.).
In tutte le forme testuali la successione di termini di-
screti (lessemi, figure, note musicali) a intervalli regolari è
sufficiente a stabilire tra questi una relazione di dipenden-
za orientata. Questa ripetizione istituisce una norma testua-
le che dispone il fruitore in uno stato iniziale di attesa.
Ogni infrazione nei confronti di questa norma provoca
sorpresa, suscita nel soggetto una delusione, non tanto per
l’oggetto atteso che non si è manifestato, quanto piuttosto
per l’errore nella previsione.
La sorpresa generata da un’aspettativa fallita viene vis-
suta in modo fortemente disforico, le sensazioni prevalenti
sono il disagio e lo smarrimento, poiché “il mondo, il testo,
quando non si conforma al contenuto dell’attesa, appare
privo di coerenza e comunque non intelligibile” (p. 16).
Questo stadio intermedio costringe il soggetto a tor-
nare sul testo, a insistere nella ricerca di un nuovo ordi-
ne, di una logica di sviluppo regolare cui ricondurre i
singoli elementi.
La scoperta di una coerenza che per definizione si di-
stingue dall’ordine ricercato inizialmente sfocia infine in
un sentimento euforico. Per effetto di questa intelligibilità
RITMI VISIVI, RITMI SONORI, RITMI AUDIOVISIVI 

riconquistata il soggetto riconfigura profondamente anche


il suo rapporto con il tempo, “al senso di sgomento di chi è
travolto dallo sgranarsi insignificante dei momenti succede
quello di un tempo vivo e pieno per il senso di partecipa-
zione all’ordine intelligibile che organizza il divenire” (ib.).
Geninasca definisce questo modello generale di orga-
nizzazione discorsiva sintagma seriale, proponendo di
estenderne l’applicazione a “ogni enunciato compiuto e
completo che abbia la forma di una serie finita di termini,
qualsiasi sia la sua natura linguistica e la sua dimensione”.
Il sintagma seriale si presta a letture simultanee di natu-
ra diversa definite prensioni (saisie).
Nella riflessione di Geninasca il termine prensione rin-
via al modo con cui il soggetto esperisce il mondo e i testi
(che del mondo costituiscono una parte integrante). Le
prensioni, pur disponendosi su un continuum graduato,
possono essere ricondotte a tre forme distinte.
La prensione molare definisce un sapere di tipo asso-
ciativo sociolettale o idiolettale. Questa prima forma di
conoscenza permette al soggetto di individuare figure,
configurazioni e percorsi figurativi di una semiotica del
mondo naturale, così come concetti e insiemi concettua-
li. La prensione semantica deriva dalla comprensione del-
la struttura semantica profonda dei testi. La prensione
ritmica o impressiva infine esprime un modo del senso
che si rivela compiutamente nell’esperienza di fruizione
dei testi estetici. La prensione ritmica rinvia infatti a un
rapporto pre-logico tra testo e soggetto in cui prevale il
coinvolgimento sinestesico, in cui si colgono il rapporto
sensibile, gli effetti passionali, il valore vissuto che il te-
sto produce nel soggetto.
La nozione di sintagma seriale e la riflessione articolata
sulle dinamiche di costruzione del ritmo audiovisivo, in
particolare la descrizione dei modelli di agganciamento tra
suoni e immagini, si rivelano estremamente utili per affron-
tare la questione dell’efficacia ritmica dei video musicali.
Uno degli espedienti maggiormente utilizzati nei video
per suscitare quel senso di attesa che è indispensabile per
 PAOLO PEVERINI

far presa ritmicamente sul soggetto è l’anticipazione con-


trollata dei punti di sincronizzazione.
Così come in una canzone le prime note sono fonda-
mentali per suscitare l’interesse dell’ascoltatore, in un vi-
deo le combinazioni audiovisive iniziali ne condizionano
fortemente l’efficacia. Non è un caso che l’attacco audiovi-
sivo di queste forme brevi si imponga spesso all’attenzione
dello spettatore esibendo una corrispondenza marcata tra
suoni e immagini.
Si pensi all’attacco del video di Drop analizzato in pre-
cedenza, in cui l’immagine in dettaglio delle gocce e le so-
norità regolari del brano musicale si riunificano sin dall’ini-
zio in un’unica combinazione audiovisiva, inscrivendo al-
l’interno del testo un punto di sincronizzazione che dà av-
vio al ritmo dell’intero videoclip, ne organizza l’evoluzione,
momento incoativo che anticipa e prefigura un vero e pro-
prio arco tensivo.
Viorar vel til loftárása, videoclip recente della band
islandese dei Sigur Ross, è uno straordinario esempio di so-
lidarietà audiovisiva.
Nel video viene messo in scena l’amore omosessuale
tra due adolescenti in un paese di provincia tramite l’esi-
bizione di un’originale sincresi audio-visiva. Sin dalle
prime inquadrature il video anticipa la propria strategia
di sincronizzazione, su un tappeto sonoro rarefatto, in
cui le sonorità del pianoforte e degli archi delineano un
ritmo estremamente lento, si inseriscono in sincrono del-
le immagini fortemente rallentate: un ragazzo gioca con
due bambole, il suo sguardo è rapito dai giocattoli che
stringe al petto, alle sue spalle un secondo adolescente lo
osserva incuriosito.
La sintesi tra la decelerazione delle immagini e il ritmo
cadenzato del brano musicale drammatizza fortemente la
prima sequenza del video, rendendone estremamente coin-
volgente l’attacco. Questo sincronismo stretto tra musica e
immagini viene ulteriormente rafforzato nel resto del vi-
deo, in cui i risvolti drammatici della storia d’amore vengo-
no narrati con una lentezza volutamente esasperante. Vio-
RITMI VISIVI, RITMI SONORI, RITMI AUDIOVISIVI 

rar vel til loftárása rappresenta in modo esemplare la vita-


lità espressiva della forma breve-videoclip.
In assoluta controtendenza rispetto alle tradizionali forme
di costruzione del ritmo audiovisivo, questo video dei Sigur
Ross privilegia il ralenti all’accelerazione, le lunghe pause alle
rapide sequenze di montaggio. In questo caso l’anticipazione
controllata di punti di sincronizzazione stimola sin dall’inizio
il soggetto a prevedere delle linee evolutive, ad anticipare i
movimenti reciproci di suoni e immagini, precorrendo le ca-
denze di una sincresi marcata, apparentemente inevitabile.
Nell’ambito della produzione videomusicale Viorar
vel til loftárása appare tuttavia come un caso isolato. In-
fatti, così come nella musica occidentale esistono le ca-
denze evitate (cadenze che inizialmente vengono antici-
pate tramite l’inflessione melodica e la progressione ar-
monica, e poi improvvisamente evitate), nelle forme bre-
vi dell’audiovisivo è molto frequente l’utilizzo di punti di
sincronizzazione evitati, combinazioni tra suoni e imma-
gini che si sottraggono in maniera del tutto imprevedibi-
le a una coincidenza piena.
La mancata sincresi tra elementi sonori e visivi si rivela
spesso efficace tanto quanto una completa riunificazione,
poiché, intervenendo come uno scarto inaspettato nel flus-
so audiovisivo, modifica talvolta in maniera drastica il rit-
mo della sequenza, sorprendendo lo spettatore e mante-
nendone alto il livello di attenzione.
La desincronizzazione non si produce a partire da uno
scollamento radicale di suoni e immagini; in altri termini,
non ha origine da un montaggio video che “cade nel vuo-
to” ma è un effetto di senso che nasce dalla variazione im-
provvisa dei punti di contatto tra le inquadrature e le bat-
tute musicali. Ad esempio, se i tagli di montaggio si susse-
guono in corrispondenza del ritmo scandito da uno stru-
mento come le percussioni, il cui suono si impone imme-
diatamente all’attenzione dello spettatore, è sufficiente
“staccare” le immagini su un suono differente o di sfondo,
ritardando o anticipando l’aggancio audiovisivo, per pro-
durre un effetto di desincronizzazione.
 PAOLO PEVERINI

Contrariamente a quanto si pensa, nei videoclip la de-


sincronizzazione è una componente fondamentale della co-
struzione ritmica. La sua diffusione, del tutto trasversale ri-
spetto alle tradizionali distinzioni dei generi musicali, deve
essere messa in relazione con l’evoluzione delle dinamiche
di consumo del medium televisivo.
A questo proposito Chion sostiene che nei paesi in cui la
televisione non ha diversificato la propria offerta in decine
di canali attivi durante tutto l’arco della giornata, essa viene
ancora percepita come un medium prevalentemente visivo,
al contrario “laddove estende la propria programmazione a
tutta la giornata e la propria presenza a diversi luoghi di la-
voro e di abitazione, essa finisce inevitabilmente per assu-
mere la propria natura radiofonica” (Chion 1990 p. 139).
In particolare, alcune fasce di puro flusso videomusica-
le si possono seguire “distrattamente”, continuando a
svolgere altre attività lavorative o ricreative, ma con la
possibilità di gettarvi lo sguardo per cogliere qualche
frammento audiovisivo.

In ciò che viene chiamato clip, vale a dire qualsiasi cosa di


visivo messo su una canzone, si trova certamente di tutto,
di tutti i budget e di tutte le qualità, ma talvolta anche cose
superbe per vita e invenzione, in cui l’energia del disegno
animato si combina con la presenza concreta della ripresa.
In esso si inventa o si ritrova tutto un arsenale di procedi-
menti (ib.).

In questa complessa retorica dell’immagine la desin-


cronizzazione colpisce direttamente lo spettatore, lo co-
stringe a tornare allo schermo, a ricongiungersi con un rit-
mo imprevedibile che gioca sulla rottura dell’abitudine.
Proprio questo è il paradosso della televisione a immagine
facoltativa (ib.): libera gli occhi.

La televisione non è mai tanto visiva quanto in questi mo-


menti di programmazione di clip, proprio nel momento in cui
l’immagine va ad aggiungersi apertamente a una musica che
bastava già a se stessa (p. 140).
RITMI VISIVI, RITMI SONORI, RITMI AUDIOVISIVI 

Tra i numerosi interventi che permettono di tradurre


sul piano visivo il ritmo del brano musicale la soluzione
che si avvicina maggiormente alla simultaneità polifonica
dei suoni e della musica è senza dubbio la rapida succes-
sione delle immagini singole. Questo espediente di mon-
taggio stimola infatti la memoria dello spettatore a fun-
zionare come un “perfetto mixer che è in grado di misce-
lare, molto meglio di una macchina, impressioni visive
concatenate le une alle altre nel tempo” (ib.).
In questo, paradossalmente, il videoclip rivela una pros-
simità sorprendente con il cinema muto,

è proprio nella misura in cui vi è una musica alla base, e non


vi è narrazione sostenuta da un dialogo, che l’immagine è to-
talmente slegata dalla linearità imposta dal suono. Se i clip
funzionano, è sicuramente perché c’è un rapporto elementare
tra colonna audio e colonna immagine, e le due non sono del
tutto indipendenti (ib.).

I videoclip, facendo leva “su immagini e suoni puntuali


che non hanno, alla lettera, nulla a che vedere gli uni con
gli altri, e che formano nella percezione degli agglomerati
mostruosi, ma irresistibili e inevitabili” (p. 59), rivelano
dunque un’efficacia sorprendente.
Ciò che rende estremamente seducenti questi micro-te-
sti è la capacità di tradurre in immagini il ritmo della musi-
ca, che per definizione è

un’arte passionale, poiché in essa il trattamento della disposi-


zione del tempo – che tanto ha a che fare con la passione – è
del tutto cruciale. (…) la passionalità è l’immediata forma del
contenuto che ha come forma di espressione il ritmo della
musica (Fabbri 1998, p. 46).

In questo senso si rivela del tutto infondata l’idea se-


condo cui la musica non sarebbe un linguaggio poiché
priva di un contenuto. La musica piuttosto deve essere
considerata come un sistema ritmico, o meglio, come una
 PAOLO PEVERINI

“forma di organizzazione ritmica che ha come forma del


contenuto certe determinate passioni, cioè i ritmi che so-
no costitutivi delle emozioni” (ib.).
Nei video, diversamente da quanto accade nel cinema,
è al lavoro una prassi ritmica che mira a suscitare l’inte-
resse dello spettatore a prescindere dal suo coinvolgimen-
to cognitivo, rivendicando piuttosto una reazione corpo-
rea immediata. In questo senso i videoclip si offrono a
una prensione impressiva prima ancora che semantica,
un’esperienza del senso che si realizza nell’esplorazione
del proprio sentire, nelle risonanze passionali che agisco-
no sul corpo del soggetto sottoponendolo a tensioni e di-
stensioni.
I video sono complessi micro-testi in cui temi e figure
vengono presi in carico e rilanciati da forme ritmiche
complesse, risultato sorprendente di una pratica di mon-
taggio in cui l’esplorazione delle potenzialità espressive
del sincretismo audiovisivo prevale sulla costruzione di ef-
fetti di realtà.
Queste forme brevi rivelano dunque una straordinaria
capacità di manipolare il soggetto, agendo in particolare
sulla sua sensomotricità (Fontanille 1999).
Per effetto del montaggio verticale suoni e immagini
danno vita a configurazioni plastiche talvolta estremamente
complesse che agiscono sul soggetto, mettendo in moto il
suo corpo, sollecitando la reazione della sua carne.
I video non si limitano a suscitare attenzione, reclama-
no piuttosto un coinvolgimento immediato, una partecipa-
zione attiva, che si realizza compiutamente nel gesto quo-
tidiano, ma denso di significato, di tenere il ritmo con i
piedi o di battere il tempo con piccoli movimenti delle
mani o della testa. L’efficacia seduttiva di queste forme
brevi è tutta qui, nella capacità di costringere il soggetto a
prendere in carico sul proprio corpo un ritmo travolgente,
nell’armonia disarmante con cui i battiti e le pulsioni del
nostro sentire individuale si accordano a brevi sequenze di
suoni-immagine.
RITMI VISIVI, RITMI SONORI, RITMI AUDIOVISIVI 

1
Bisogna inoltre tenere presente che per sincronia non intendiamo una
necessaria consonanza. Per noi è del tutto lecito qualsiasi gioco di coinciden-
ze e non-coincidenze del “movimento”, alla sola condizione che il nesso sia
stabilito e motivato da un punto di vista compositivo (p. 139).
2
Spesso, evidentemente, è più interessante quando la tendenza innescata
viene contrastata, talvolta quando tutto va come previsto, la dolcezza e la per-
fezione nella realizzazione dell’anticipazione bastano alla nostra emozione
(Chion 1990, p. 44).
Capitolo quarto
La star musicale. Sperimentazioni enunciative
e costruzione dell’identità nei videoclip

L’enunciazione impersonale nei testi audiovisivi

Una delle caratteristiche più interessanti dei video mu-


sicali consiste senza dubbio nella capacità di trasformare
delle costrizioni esterne vincolanti (strategie di marketing
delle case discografiche, esigenze commerciali delle emit-
tenti televisive musicali, routine produttive delle figure
professionali coinvolte nel processo di realizzazione) in
stimoli a una pratica di sperimentazione stilistica.
Partendo dall’ipotesi che il fine promozionale dei vi-
deo musicali è vendere l’album sfruttando l’immagine
del suo performer, si tratta di individuare le strategie del-
la costruzione di questa identità, le forme con le quali
l’esigenza commerciale si inscrive sotto forma di simula-
cro all’interno del testo.
Come si è detto, una delle peculiarità espressive di
questi micro-testi sincretici consiste nella costante speri-
mentazione di regimi della significazione in grado di va-
lorizzare la dimensione corporea, estesica, in vista della
costruzione/rielaborazione dell’identità della star.
L’acquisizione di un’identità audiovisiva è il risultato
di un’elaborata pratica dell’enunciazione che non è cir-
coscritta esclusivamente al singolo videoclip, ma si di-
spiega nel tempo, talvolta nel complesso di un intero
percorso artistico. Per aspirare a divenire una star, il can-
tante deve andare oltre la semplice esibizione di una
performance, predisporsi a “subire” una serie di inter-
 PAOLO PEVERINI

venti di manipolazione che mirano a trasformare un’im-


magine pubblica in un’icona, un corpo patinato in un
marchio discografico.
Come si vedrà nel corso dei seguenti paragrafi, all’in-
terno del videoclip i diversi interventi del corpo e sul
corpo non sono semplici espedienti stilistici, ma figure
dell’enunciazione audiovisiva.
Prima di analizzare nel dettaglio le strategie che nei
videoclip assicurano la valorizzazione della star a partire
dalla risemantizzazione del suo corpo è necessario innan-
zitutto verificare in che modo i dispositivi dell’enuncia-
zione contribuiscono all’efficacia complessiva del lin-
guaggio audiovisivo.
La narratologia e la semiotica, pur avendo ribadito a
più riprese che le figure dell’enunciatore e dell’enuncia-
tario non coincidono assolutamente con l’emittente e il
destinatario del testo, per un lungo periodo non sono
state in grado di concepire i due poli enunciativi se non
facendo ricorso a figure antropomorfe, a istanze di incar-
nazione.
È solo a partire dai primi anni Novanta, con la pub-
blicazione de L’enunciazione impersonale. O il luogo del
film di Christian Metz, che si afferma progressivamente
una proposta teorica differente.

Parole come “enunciatore” ed “enunciatario”, con il loro


suffisso, contengono connotazioni antropomorfiche difficili
da evitare e assai infelici in alcuni campi, soprattutto in
quello cinematografico in cui tutto è basato sulle macchine
(Metz 1995, p. 8).

Partendo da queste premesse, Metz propone di ripen-


sare in maniera radicale il problema dell’enunciazione
nel cinema, rivolgendo in particolare la sua attenzione al-
l’analisi delle forme che essa assume nel suo riflettersi al-
l’interno dell’enunciato.
In questa nuova prospettiva teorica, gli apparati tec-
nologici di produzione e distribuzione del testo filmico ri-
LA STAR MUSICALE. SPERIMENTAZIONI ENUNCIATIVE… 

vestono un ruolo di primo piano nell’atto enunciativo, e


costringono a ripensare in termini assolutamente non an-
tropomorfi le figure con cui l’enunciazione marca la sua
presenza nell’enunciato. In altri termini l’enunciazione
enunciata non emerge sotto forma di un repertorio di fi-
gure standardizzate che rinviano a una serie di scambi
virtuali tra figure antropomorfe (IO, TU, LUI), quanto piut-
tosto facendo ricorso a complesse costruzioni riflessive.
Nello studio delle tracce testuali dell’enunciazione,
viene privilegiata dunque la dimensione impersonale del-
l’enunciazione cinematografica, il suo essere innanzitutto
uno spazio testuale destinato all’iscrizione di un atto,
luogo che solo in una seconda fase può essere occupato
da figure antropomorfe. I due termini proposti dall’auto-
re per definire le posizioni estreme dell’atto enunciativo
sono infatti del tutto privi di connotazioni antropomorfe:
foyer (fonte dell’enunciazione) e cible (bersaglio dell’e-
nunciazione).

Il film ci parla di se stesso, o del cinema, o della posizione


dello spettatore, ed è allora che si manifesta quella sorta di
sdoppiamento dell’enunciato che, in tutte le teorie, costi-
tuisce l’elemento essenziale in mancanza del quale non si
potrebbe nemmeno pensare all’enunciazione (Metz 1991,
p. 18).

L’enunciazione cinematografica non segnala la sua


presenza facendo ricorso a segni isolati che, pur essendo
parte integrante del testo, rinviano alla dimensione extra-
testuale della sua realizzazione o del suo consumo; la sua
presenza e la sua forza emergono negli spazi testuali in
cui il film non si limita a mettere in scena una situazione
di finzione, ma si ripiega su se stesso, in un movimento
autoriflessivo che lascia intravedere le tracce di un lavoro
tecnico preesistente1.

Ora, che cos’è, in fondo, l’enunciazione? (…) è più in gene-


rale la capacità di molti enunciati di piegarsi qua e là, di ap-
parire qua e là come in rilievo, di desquamarsi di una loro
 PAOLO PEVERINI

sottile pellicola che reca incise alcune indicazioni di un’al-


tra natura (o di un altro livello) concernenti la produzione
e non il prodotto, o, se si vuole, inserite nel prodotto dall’e-
stremo opposto (Metz 1991, pp. 18-19).

Nell’ambito delle forme di testualità audiovisiva non


esiste un repertorio fisso di segni enunciativi, piuttosto
l’apparato dell’enunciazione sembra in grado di utilizza-
re alternativamente qualsiasi segno per produrre delle
costruzioni riflessive.
Un esempio particolarmente noto è quello degli sguar-
di in camera, forme riflessive di appello che provocano un
particolare effetto-specchio. In un testo audiovisivo lo
sguardo in camera non è mai “innocente” perché introdu-
ce un rovesciamento, si impone all’attenzione dello spetta-
tore svelando (seppur parzialmente) il dispositivo filmico.

Come una marea montante nell’estuario di un fiume che si


riversa in mare, come uno sguardo che lo specchio intercet-
ta e mi rilancia, il fascio uscito dagli occhi del personaggio
risale (e ferma a metà) il flusso più ordinario uscito dall’ap-
perecchio di proiezione, e anche dagli occhi dello spettato-
re puntati sullo schermo: sospensione un po’ simile all’im-
mobilizzazione precaria di una bilancia i cui piatti stanno
sospesi a mezza altezza (p. 42).

Il carattere impersonale di questi ripiegamenti del


film su se stesso esclude la presenza di qualsiasi forma di
interazione tra presunte figure antropomorfe protagoni-
ste dell’atto enunciativo. L’enunciatore non è un essere
umano o un suo simulacro, ma il film, inteso come mac-
china, come insieme di apparati e pratiche finalizzati alla
produzione del senso.
L’unico “corpo” disponibile nel testo filmico è lo spazio
del testo stesso, che non presenta alcuna caratteristica an-
tropomorfa, non rinvia ad alcuna figura umana, poiché con-
siste unicamente in una fonte di immagini e suoni. L’enun-
ciazione cinematografica non può che essere un’enunciazio-
ne sul film, non deittica ma metadiscorsiva, essa non reca
LA STAR MUSICALE. SPERIMENTAZIONI ENUNCIATIVE… 

indicazioni su qualche fuori-testo, ma esclusivamente su un


testo che porta in sé la sua origine e la sua destinazione.

L’enunciatore è il film, in film in quanto foyer, che agisce


come tale, orientato come tale, il film come attività. Ed è
proprio ciò che pensa la gente: ciò che lo spettatore ha di
fronte, ciò con cui ha a che fare, è il film (…). Non essendo
un IO, il foyer dell’enunciazione non costituisce davanti a sé
un TU, e nemmeno un EGLI sullo schermo (p. 26).

Nel testo audiovisivo non esistono dunque immagini


e suoni neutri. Tutti gli elementi, compresi quelli che
non danno luogo a costruzioni riflessive chiaramente me-
tadiscorsive, sono sempre il risultato di una scelta comu-
nicativa, di un’attività intenzionale, di una pratica dell’e-
nunciazione che può defilarsi all’interno dell’enunciato,
ma non per questo è inesistente2.

Nuove forme della metatestualità

Con i videoclip la messa in scena dell’apparato enun-


ciativo diviene estremamente raffinata. La riflessività del
testo non si esaurisce nell’ostentazione di soluzioni cano-
niche (retroscena del dietro le quinte, attori che rinviano
esplicitamente alla posizione “onnisciente” del regista, o
assolvono la funzione di delegati dello spettatore) ma si
fonda sull’esibizione esasperata di piccole pieghe, sma-
gliature di superficie che lasciano intravedere le tracce di
un lavoro tecnico preesistente, rivelano la presenza di
un’articolazione linguistica, una “trama testuale”, che in-
frange i limiti tracciati dal linguaggio cinematografico.

A partire dagli anni Ottanta e dall’inizio del regno delle


nuove immagini, dei clips, delle pubblicità sconvolgenti,
della TV rock, si è assistito all’instaurazione, al livello più
basso, di un nuovo genere di parentela, una connivenza
inedita tra una musica tonitruante con funzione di interpel-
lazione manifesta e persino volgare, e il continente visivo
 PAOLO PEVERINI

rutilante, appiattito e frantumato. (…) È nato un nuovo ci-


nema sonoro, convulso e impastato, che combina le sedu-
zioni dell’isteria con quelle dell’obesità (p. 67).

L’esplosione di questa “isteria audiovisiva” sul picco-


lo schermo coincide dunque con l’esibizione esasperata
di un incredibile apparato enunciativo.
Gli effetti ottici, le inquadrature insolite, gli improvvisi
scarti ritmici, gli esasperati movimenti della macchina da
presa, i loop visivi/musicali, sono figure esemplari di un’e-
nunciazione enunciata che mira non tanto a svelare al pub-
blico il dispositivo della finzione (assolutamente esplicito),
quanto piuttosto a stupire, esibendo le potenzialità appa-
rentemente inesauribili del linguaggio audiovisivo3.

Fig. 14. Bjork, Big Time Sensuality.

Il fine promozionale dei videoclip, l’esigenza di resistere


il più a lungo possibile all’interno della programmazione te-
levisiva, l’urgenza dei registi di sperimentare nuove forme
espressive, ma soprattutto la necessità delle star musicali di
rinnovare la propria identità massmediale senza tradire le
aspettative di un pubblico consolidato, sono alcuni tra i fat-
tori principali che hanno reso i video musicali le forme brevi
maggiormente soggette a questo genere di sperimentazione.
Sin dalle origini, nei video si è tentato di stabilire un
contatto immediato, coinvolgente, tra star e pubblico, fa-
cendo ricorso a ogni genere di intervento extradiegetico,
commentativo.
LA STAR MUSICALE. SPERIMENTAZIONI ENUNCIATIVE… 

Lo “svelamento del dispositivo” è una della figure


enunciative chiave nella breve e intensa storia del video-
clip.
Già a partire dai primi anni Ottanta, sebbene un ac-
curato lavoro di montaggio permettesse di rendere visi-
vamente accattivante una banale performance musicale
eseguita in studio, si afferma rapidamente la tendenza a
fare un ampio uso di effetti speciali nel tentativo di valo-
rizzare brani musicali e band.
A causa di questa applicazione indiscriminata

gli effetti più incredibili, diventavano banali con allarmante


rapidità, specialmente se usati in continuazione da diversi
registi. La frenetica corsa alla novità rendeva il susseguirsi
dei video musicali simile a una parodia, una sorta di versio-
ne accelerata della storia dell’arte d’avanguardia. L’inces-
sante perfezionamento delle risorse tecniche spingeva a so-
vraccaricare i video di effetti speciali, ricorrendo ad essi an-
che quando non avevano alcuna connessione col tema della
canzone o con la musica (Walker 1987, p. 148).

Uno dei primi videoclip che esprime in modo esem-


plare questa tendenza a esasperare soluzioni visive ed ef-
fetti speciali è Hyperactive, realizzato da Thomas Dolby e
Danny Kleinman nel 1984, in un periodo di forte speri-
mentazione del linguaggio audiovisivo.
Nel video

un personaggio posto di fronte a un’immagine in movimen-


to l’afferrava e la strappava via come la pagina di un calen-
dario, rivelando un’altra immagine sottostante che veniva
poi strappata anch’essa. L’illusionismo, ovvero l’effetto rea-
listico dell’immagine in movimento, veniva sovvertito dal-
l’atto stesso di strappar via l’immagine, che equivaleva a di-
re: “Guarda, è solo un’immagine” (ib.).

Sin dall’inizio i videoclip si rivelano dunque come un


laboratorio privilegiato per la sperimentazione di nuove
figure della manipolazione audiovisiva.
 PAOLO PEVERINI

L’esibizione delle transizioni tramite iris, tendine,


deformazioni, sfocature, inversioni, accelerazioni e ralen-
ti, freeze-frame, sovrapposizioni, rinvia sempre a un regi-
me della significazione extra-diegetico che può reclamare
la sua presenza (e la sua funzione) nel testo secondo for-
me e gradi di intensità estremamente variabili.
Come sottolinea efficacemente Metz (1972, p. 269)
“mentre le immagini del film hanno degli oggetti come
referenti, gli effetti ottici hanno come referenti, in un
certo senso, le stesse immagini, o almeno quelle che sono
a esse contigue nella catena”.
Due figure esemplari di questo scambio particolar-
mente labile fra l’enunciazione e l’enunciato sono le stra-
tificazioni video e lo split screen (divisione dello schermo
in più quadri), tra le forme più frequenti che le costruzio-
ni riflessive, sperimentate inizialmente nel cinema d’a-
vanguardia e nelle performance di videoarte, assumono
nei video musicali.
Dalla moltiplicazione degli schermi in Bohemian
Rapsody, alle sovrapposizioni cromatiche e figurative ottenu-
te con il chromakey in Video Killed The Radio Stars dei Bug-
gles e nei video dei Kraftwerk, fino alla divisione dello scher-
mo come espediente per invertire la normale logica causale
degli eventi in Sugar Water di Cibo Matto, questi procedi-
menti esplicitamente extradiegetici sono stati impiegati mas-
sicciamente a partire dagli anni Ottanta, segnando in manie-
ra indelebile la produzione videomusicale delle origini.
Tra le figure dell’enunciazione maggiormente speri-
mentate nei video ci sono senz’altro gli interventi di
deformazione ottica che marcano con forza l’enunciato
tramite l’angolatura eccentrica di un’inquadratura o ela-
borati effetti speciali in grado di rimodellare qualsiasi
elemento profilmico4.
Nel repertorio di queste rinnovate figure dell’enuncia-
zione ci sono infine le didascalie extradiegetiche, commenti
verbali che deviano in parte o totalmente dall’universo fin-
zionale messo in scena, chiamando direttamente in causa
lo spettatore5.
LA STAR MUSICALE. SPERIMENTAZIONI ENUNCIATIVE… 

Queste configurazioni riflessive possono reclamare


con forza l’intervento attivo di un pubblico sempre più
abituato a forme di consumo “discontinuiste” (Pezzini
2002), o piuttosto limitarsi ad assumere una posizione
“neutra”, connotando stilisticamente le immagini. In
questo senso, esiste tutto un repertorio di figure private
quasi del tutto della capacità di commentare il dispositi-
vo enunciativo, e ridotte a comuni elementi profilmici,
componenti talvolta persino banali di allestimenti sceni-
ci. Tra queste, in particolare, gli schermi.
La messa in scena di schermi cinematografici o televi-
sivi può avere la funzione di marcare con forza l’artificia-
lità della messa in scena, il dispositivo della finzione; tut-
tavia, come accade spesso nella produzione audiovisiva
più recente, l’esibizione dello schermo non ha tanto la
funzione di rinviare al testo stesso, di marcare il rapporto
asimmetrico tra istanza dell’enunciazione ed enunciata-
rio, quanto piuttosto si segnala come un espediente sce-
nografico fortemente codificato, che garantisce al video
un grado minimo di connotazione stilistica.
Sul tema dell’autoreferenzialità Gianni Sibilla (1999,
p. 43) afferma che

il videoclip è conscio del proprio ruolo, della propria posizione


nel contesto musicale ed audiovisivo e non perde occasione di
esporre le proprie modalità comunicative. C’è un passaggio da
una autoreferenzialità dei protagonisti ad una più decisa auto-
referenzialità del mezzo, esibita tramite marche metalinguisti-
che. L’autoreferenzialità non è quindi giocata solo sulla costru-
zione del ruolo del performer, ma attraverso l’esplicitazione del
mezzo. Con l’esibizione dei mezzi tecnici (telecamere, televiso-
ri, svelando il set) il clip non si nasconde dietro pretese di vero-
simiglianza, ma rende palese la sua opera di costruzione.

Questo slittamento verso l’autoreferenzialità va collo-


cato su un doppio piano. Da un punto di vista musicale
il videoclip ribadisce il proprio ruolo di forma breve pro-
mozionale indispensabile per costruire l’immagine di un
artista, su un versante più strettamente audiovisivo la meta-
 PAOLO PEVERINI

testualità è soprattutto uno strumento per marcare la pro-


pria peculiarità nei confronti degli altri testi televisivi.
Ma la causa principale di questa spinta all’autoreferenzia-
lità, che indubbiamente costituisce una delle caratteristiche
peculiari di queste forme brevi, va ricercata innanzitutto nella
particolare forma di cooperazione testuale che i video tendo-
no a instaurare con i loro spettatori.
Diversamente da quanto accade nel cinema, nei video
musicali non si cerca di ottenere l’adesione degli spettatori
costruendo un mondo finzionale, coerente e verosimile,
piuttosto si tende a marcare costantemente l’artificio della
messa in scena per rafforzare il legame tra la star musicale e
il pubblico.
L’esibizione dell’apparato tecnico e il rinvio costante a lin-
guaggi e generi differenti costituiscono dunque per i musici-
sti e per gli spettatori un “modo facile e rapido di indicare la
loro accortezza rispetto a ciò che succede (…). Allestendo un
ovvio scenario hollywoodiano i musicisti denotano il proprio
distacco dall’immaginazione, la propria identità, che i fan
possono scrutare in trasparenza” (Frith 1990, p. 255).
Nella produzione internazionale più recente emerge chia-
ramente la tendenza a costruire video fortemente metatestua-
li, nei quali si offre allo spettatore la possibilità di osservare
da vicino un luogo enunciativo fittizio, uno scenario più o
meno extradiegetico in cui viene esibito il falso backstage del
video e la figura patinata della star lascia intravedere le tracce
di una soggettività “autentica”, quella del suo interprete6.
La strategia testuale di questi video mira dichiaratamente
a produrre un preciso effetto di senso, ridurre quella distanza
tra star e pubblico che per la case discografiche costituisce
un ostacolo alle vendite dell’album.

Sincretismo e sinestesia. Dal corpo del performer all’i-


dentità della star

Rock Dj, un video realizzato nel 2000 dal regista Vau-


ghan Arnell per Robbie Williams esprime in modo esem-
LA STAR MUSICALE. SPERIMENTAZIONI ENUNCIATIVE… 

plare questa tendenza alla riflessività che caratterizza


gran parte della produzione audiovisiva promozionale,
in cui

la narrazione, più che morire, sposta ad esempio il suo inte-


resse e il suo accento da un contenuto narrato, da una sto-
ria “rappresentata” e messa a distanza, in questo senso og-
gettivata, alla valorizzazione del percorso o dello stesso am-
biente percettivo, esperienziale, che può vivere o compiere
un soggetto situato in un momento e in uno spazio dati, do-
ve ambiente esterno e sentimento interno si toccano, e nel
migliore dei casi si significano reciprocamente (Pezzini
2002, p. 25).

Nel video, la star musicale (Robbie Wiliams) si esibi-


sce all’interno di un palcoscenico che ha la forma di una
gabbia circolare, e tenta con la propria performance di
catturare a tutti i costi l’attenzione di una dj situata in
uno spazio rialzato del palco, e di un gruppo di giovani
donne che inizialmente sembrano non accorgersi della
sua presenza.
Dopo una serie di tentativi falliti, il cantante-ballerino
inizia a spogliarsi in modo provocatorio, ma la reazione
del suo pubblico non cambia.
La frustrazione della star raggiunge il culmine, la rea-
zione è estrema e introduce uno scarto inaspettato nella
strategia di messa in scena della performance musicale. Il
protagonista, ormai quasi nudo, inizia a strapparsi fram-
menti di tessuto organico, su cui si avventano in modo ir-
refrenabile le ragazze.
La gabbia, le cui forme rinviano in maniera esplicita
agli allestimenti scenografici dei film epici, in particolare
dei kolossal sui gladiatori, si rivela definitivamente come
lo scenario di una messa in scena teatrale, estrema. Il vi-
deo si chiude con le immagini della dj che scende dal suo
spazio isolato e inizia a ballare con ciò che resta della
star, un corpo totalmente sfigurato, desemantizzato, ridot-
to a pura sostanza organica da un processo estremo di defi-
gurativizzazione.
 PAOLO PEVERINI

In questo video la metatestualità si segnala in maniera


esplicita, richiamando l’attenzione dello spettatore sulla
messa in scena fittizia di una performance musicale, rein-
terpretata in chiave assolutamente ironica.
L’isotopia7 ricorrente è quella dello svelamento, della
messa a nudo della star, il cui corpo costituisce per il fan
oggetto di un desiderio morboso, insaziabile, in un gioco
esasperato tra “vittima” e “carnefice” di cui il performer
è non solo consapevole, ma in qualche modo artefice.
Rock Dj rappresenta in modo efficace il percorso di
sperimentazione sulla messa in scena del corpo del
performer che ha segnato in modo assolutamente tra-
sversale la produzione internazionale di video musicali.

Fig. 15. Rollins Band, Liar.

Il corpo messo in scena nei video non è un semplice


organismo, piuttosto appare come un’istanza discorsiva
malleabile, modulabile, oggetto di operazioni di manipo-
lazione che si dispongono su un continuum di possibili
interventi, i cui estremi sono da un lato l’esasperazione
dei dettagli anatomici, dall’altro la completa defigurazio-
ne, l’esibizione di un livello pre-figurativo, in cui l’iden-
tità del soggetto viene fortemente compromessa8.
LA STAR MUSICALE. SPERIMENTAZIONI ENUNCIATIVE… 

Fig. 16. Marilyn Manson, Long


hard road out of hell.

Nei videoclip i diversi modi della deformazione del cor-


po rinviano a una strategia enunciativa globale che punta in-
nanzitutto a suscitare l’interesse del pubblico specializzato
dei fan, per i quali ogni oggetto o dettaglio che riguarda il
mito musicale si configura come luogo di iscrizione ed eser-
cizio di una competenza e di una dedizione proverbiali9.

Fig. 17. Porno for pyros, Pets.

A questo scopo viene valorizzato non tanto l’effetto della


deformazione quanto piuttosto la pratica, il dispiegarsi del
processo, che spesso si inscrive nel testo assumendo la forma
di una vera e propria interpellazione rivolta ai fan, stimolo a
un percorso della visione ricco, reso seducente dalla molti-
plicazione e differenziazione dei punti di vista, sia intradie-
getici che extradiegetici, sul corpo del performer.
 PAOLO PEVERINI

I modi dello svelamento di quest’operazione di mani-


polazione rinviano chiaramente alla categoria dei trucchi
filmici proposta da Metz ne La significazione nel cinema.
Come è noto, Metz distingue i trucchi profilmici dai
trucchi specificamente cinematografici, filmici.
I primi sono il prodotto di qualche marchingegno
preventivamente integrato allo svolgimento di un’azione
o di oggetti posizionati davanti alla macchina da presa. I
secondi, diversamente, prendono forma in una fase suc-
cessiva, riguardano direttamente l’azione del filmare, non
il filmato, la loro realizzazione può avvenire durante le
riprese (trucchi di cinepresa) o in seguito, durante la po-
st-produzione (trucchi sulla pellicola).
Questa distinzione tra profilmico e cinematografico
rende pertinente innanzitutto il versante della produzio-
ne del testo audiovisivo.
Sul versante della fruizione è possibile introdurre una
distinzione ulteriore tra trucchi impercettibili, invisibili e
visibili.
“Il trucco impercettibile è sempre compatibile con la
convenzione, tipica della maggioranza dei film attuali, di
un grado minimo di realismo medio, cioè col regime di
ciò che viene definito il ‘film realistico’” (Metz 1972, p.
278), al contrario “i trucchi invisibili non si sa dove so-
no, non li si vede (mentre un ‘flou’ o una sovrimpressio-
ne si vedono) ma sono percettibili, perché si percepisce,
si ‘sente’ la loro presenza” (ib.).
I trucchi visibili infine manifestano chiaramente nei
confronti dello spettatore l’artificio della loro realizzazio-
ne. A quest’ultima categoria appartengono tutti i segni di
punteggiatura come le transizioni che regolano i passaggi
tra le diverse inquadrature in una sequenza di montaggio
(dissolvenze in apertura, in chiusura, incrociate).
La nozione di trucco esprime dunque inevitabilmente
una certa duplicità.

Vi è in esso qualcosa che è sempre nascosto (poiché è un


trucco solo fin tanto che la percezione dello spettatore è
LA STAR MUSICALE. SPERIMENTAZIONI ENUNCIATIVE… 

presa di sorpresa) e contemporaneamente qualcosa che si


palesa sempre, poiché ciò che importa è che questa sorpre-
sa di senso sia attribuita ai poteri del cinema (p. 279).

Tra i trucchi visibili ci sono senz’altro gli effetti ottici che


non si limitano a restituire allo spettatore in modo “realisti-
co” tutto ciò che appartiene alla categoria del profilmico, a
documentare la presenza di figure poste davanti alla macchi-
na da presa, ma si distaccano in modo più o meno esplicito
dalla normale dimensione diegetica, inscrivendo all’interno
del testo indicazioni di ordine metalinguistico.
Nell’ambito dei videoclip le transizioni marcate, le so-
vrapposizioni, le accelerazioni, i ralenti, lo split-screen, le
negativizzazioni, le deformazioni, sono solo alcune delle
forme che gli effetti ottici possono assumere.
Dal punto di vista della produzione, questi trucchi so-
no realizzati quasi esclusivamente nella fase di post-pro-
duzione; rientrano dunque pienamente nella categoria
dei trucchi filmici. Per quanto riguarda la loro fruizione,
si tratta innegabilmente di trucchi visibili che all’interno
del testo possono esibire con un’intensità variabile la lo-
ro funzione di “marche” dell’enunciazione.
Nella produzione videomusicale, tra i trucchi mag-
giormente utilizzati per intervenire sul corpo del perfor-
mer ci sono senz’altro gli sfocati.
Da un punto di vista semiotico, lo sfocato è un effetto
di senso prodotto dall’articolazione tra un piano dell’e-
spressione e un piano del contenuto.
Come sottolinea opportunamente Nicola Dusi (1999,
p. 16) sul piano dell’espressione lo sfocato rileva della
presenza di un meccanismo “che lavora per dispersione
dei contorni (contrasti eidetici) e per dissipazione della
densità figurativa delle figure (contrasti cromatici)”.
Questi interventi di manipolazione producono sul
piano del contenuto una “defigurazione che può giunge-
re fino alla deformazione – sfigurazione – totale, a volte
per saturazione, per eccesso di precisione o di lumino-
sità, a volte per offuscamento o rarefazione” (ib.).
 PAOLO PEVERINI

L’esasperazione del processo di sfocatura può produr-


re “un meccanismo di addensamento e con/fusione delle
figure, un ritorno alle sostanze dell’espressione” (ib.).
Nei video lo sfocato viene spesso impiegato per pro-
durre l’effetto di senso di un ritorno a un livello pre-figu-
rativo, uno stadio preliminare della significazione, dove
la figura del performer viene temporaneamente offuscata
per lasciare il posto a linee, forme e colori, formanti pla-
stici localizzati.

Fig. 18. Garbage, Stupid girl.

Lo sfocato viene spesso utilizzato per esasperare il


processo di risemantizzazione del corpo della star, con-
tribuendo in alcuni casi a ridefinire profondamente l’i-
dentità del performer e le forme di mediazione con il suo
pubblico.
Intervenire sul corpo del performer sfocando i con-
torni, annullare parzialmente o totalmente i dettagli rico-
noscibili della figura non è semplicemente una forma di
enunciazione enunciata, un’operazione che rinvia in mo-
do esplicito alla presenza di un apparato di produzione,
ma anche un dispositivo che mira a chiamare direttamen-
te in causa lo spettatore, installando all’interno del testo
un osservatore modalizzato secondo il volere, disposto a
mettersi in gioco per saperne di più e per riconquistare
una presa privilegiata sul corpo della star.
LA STAR MUSICALE. SPERIMENTAZIONI ENUNCIATIVE… 

Nei videoclip forse ancor più che nel cinema,

si mette dunque in gioco una tensione tra poter e non-poter


vedere e quindi riconoscere (per poter sapere), ovvero tra
occultamento (con nebbie, veli, vetrate, ecc.) e focalizzazio-
ne esplicita del sapere del soggetto, movimenti che prevedo-
no possibilità di presentazione parziali” (ib.).

Queste strategie testuali dei videoclip sono fortemen-


te condizionate da complesse dinamiche commerciali che
mirano a costruire/rielaborare l’immagine del performer
praticando una sintesi tra due esigenze contrapposte.
Da un lato queste forme brevi devono garantire alla
star una riconoscibilità immediata. Per far presa su un
pubblico consolidato, lo “zoccolo duro” dei fan, viene di
conseguenza privilegiata la ripetizione di alcuni tratti in-
varianti e fortemente codificati. Dall’altro, prevale spesso
l’urgenza opposta di marcare una distinzione, di ribadire
l’assoluta estraneità del performer alle “regole del gioco”,
alle norme di stile. In questo senso l’obiettivo principale è
intervenire sull’immagine della star, rimodularne profon-
damente i tratti, plasmare un nuovo modello di identità.
Il corpo della star è il risultato, sempre provvisorio, di
un conflitto irrisolto tra recupero e rielaborazione, cita-
zione di figure preesistenti e prefigurazione di forme im-
possibili. Come afferma Alberto Abruzzese (1989, p. 60),

dopo Marylin non c’è altro corpo da ricordare se non, ap-


punto, qualche divo rock, in cui rivive allo stesso tempo la
sensualità maschile e quella femminile della cultura indu-
striale, sino ad interpretare alcune figurazioni androgine,
transessuali. Si tratta di fasi di transizione e di integrazioni
tra diversi modi di fare e consumare spettacolo, tra diverse
sensibilità, tra diversi vissuti.

Questa dialettica tra ripetizione e scarto, permanenza


e innovazione permette dunque di rileggere l’intero pro-
cesso di realizzazione dei video musicali come un’unica
strategia globale di costruzione di identità audio-visive.
 PAOLO PEVERINI

(…) il problema teorico e progettuale che sta dietro al feno-


meno divistico non riguarda i modi in cui verificare la media-
zione e sintesi tra non-senso del divo e senso delle forme, i
modi in cui risarcire il mito delle sue contaminazioni consu-
miste. Anzi il problema è esattamente opposto: selezionare l’i-
nautentico, verificare le rotture formali, valutare lo spirito del
mercato (p. 62).

Il trasformismo delle star musicali non si riduce esclusi-


vamente a una serie di manipolazioni radicali, nella mag-
gior parte dei casi esso è il risultato di interventi soft che
mirano a rinnovare il look senza stravolgerne l’aspetto. Per
assecondare le mode musicali e rilanciare l’appeal dell’al-
bum musicale le case discografiche e i registi non esitano
infatti a sottoporre l’identità del performer a un vero e pro-
prio processo di make-up.
Un caso esemplare di questa tendenza alla rielaborazio-
ne mirata del look è Britney Spears, che ha conquistato il
target degli adolescenti con il video del singolo Baby one
more time interpretando il ruolo di una lolita pop (divisa
del college, treccine e lecca lecca). In seguito, per conti-
nuare a far presa su un pubblico oramai passato dall’età
adolescenziale a quella adulta, Britney Spears è stata co-
stretta a rinnovare profondamente il proprio look, fino al
video di Slave for you in cui, seminuda, si offre esplicita-
mente a un gruppo di uomini come oggetto del desiderio
sessuale.
Tra le star che hanno sfruttato in modo eclatante il look
come mezzo privilegiato di affermazione della propria
identità c’è senz’altro Madonna, la cui immagine si è basata
sin dall’inizio sulla contrapposizione di valori opposti e in-
conciliabili, sessualità vs spiritualità.
Senza ricostruire nel dettaglio le tappe di una carriera
fondata sul trasformismo è sufficiente focalizzare l’atten-
zione su due videoclip. Il 1992 è l’anno in cui viene pubbli-
cato il libro-scandalo SEX, e realizzato il videoclip di Erotica
un vero e proprio backstage dell’operazione editoriale. La
protagonista assoluta è Dita Parlo10, un alter-ego narrante
LA STAR MUSICALE. SPERIMENTAZIONI ENUNCIATIVE… 

di Madonna, autrice delle lettere contenute nel libro in cui


racconta le proprie fantasie sessuali.
Nel video vengono messe in scena le fantasie erotiche di
uomini e donne. Dita è vestita di nero, i suoi occhi sono
coperti da una mascherina, in mano ha un frustino. In Ero-
tica Madonna assume pose e maschere diverse, indossa ve-
stiti sia maschili che femminili, i suoi capelli sono lunghi e
corti, ma ostenta anche delle parrucche, il suo atteggia-
mento è di volta in volta elegante e volgare, il suo ruolo
cambia continuamente da dominatrice del gioco erotico a
corpo dominato dalle fantasie altrui.
In seguito il videoclip di Frozen del 1998 incarna la
svolta spirituale della star Madonna. Nel video prevalgono
i toni cupi, il look della performer è completamente rimo-
dellato, Madonna è vestita di nero, simbolicamente a lutto,
anche i suoi capelli sono neri, lisci, ricadono ordinati sulle
spalle, i movimenti sono studiati, gli sguardi in camera pe-
netranti, mai irriverenti. In Frozen la messa in ridicolo delle
convenzioni sessuali è ormai alle spalle, Madonna non in-
terpreta più il ruolo della star ostinatamente provocatrice,
ma quello di uno spirito del deserto, un essere solitario e
misterioso che ha per unici compagni gli animali.
Erotica e Frozen sono solo due fasi di uno star-text tal-
mente complesso e ricco da aver profondamente segnato il
panorama della pop music.
Pressate da esigenze commerciali sempre più invasive,
le star della musica pop oggi non si accontentano di esibire
il proprio corpo in performance audio-visive brevi ed effi-
caci, piuttosto incarnano una nuova strategia della seduzio-
ne che mira a suscitare il desiderio del fan sottraendosi a
uno sguardo pieno, invadente.
Figura ambigua e sovraesposta, l’icona musicale si tra-
sforma progressivamente in un testo-rinvio, innescando un
gioco di destrutturazione che affida il momento della ri-
composizione allo sforzo decisivo di uno spettatore sempre
più protagonista.
 PAOLO PEVERINI

1
È importante precisare che questa è una definizione generale di enun-
ciazione che prescinde da un’applicazione specifica ai testi audiovisivi. La
proposta teorica di Metz, infatti, non si situa esclusivamente all’interno di un
dibattito specialistico sull’enunciazione cinematografica, piuttosto prefigura
la possibilità di ripensare radicalmente le forme con le quali l’enunciazione si-
mula la sua presenza in testi caratterizzati anche da sostanze dell’espressione
differenti.
“L’esempio del cinema (come altri, certamente) ci invita ad allargare la
nostra idea di enunciazione e, per una volta, è la teoria del film che potrebbe
(?) retroagire sulla semiologia e linguistica generali” (Metz 1991, p. 18).
2
Ciò non significa che in questi casi l’enunciazione esista unicamente in
quanto presupposta dalla presenza di un enunciato “trasparente”: l’enuncia-
zione resta infatti allo stato di semplice presupposto finché noi prestiamo po-
ca attenzione alla costruzione del film; “non appena guardiamo o ascoltiamo
meglio, scorgiamo accenni di marche che, per quanto tenui possano essere,
prefigurano un orientamento ‘vero’” (p. 199).
3
“Si tratta di avvertimenti gratuiti lanciati allo spettatore, di sobbalzi del
film che improvvisamente si designa, si commenta in diretta con esponenti vi-
sivi o sonori e, in tutti i sensi del termine, si riprende” (Metz 1991, p. 195).
Nella produzione videomusicale queste forme dell’enunciazione audiovisiva
non solo sono presenti, ma in alcuni casi sono oggetto di una sperimentazione
tecnica e stilistica del tutto inedita sul grande schermo.
4
Queste configurazioni enunciative producono “un commento non svi-
luppato: al contrario, avviluppato nell’immagine. È il coefficiente incompri-
mibile di intervento enunciativo, e l’atto di nascita del gesto metatestuale, in
parte ancora invischiato in ciò che designerà. Ed è anche, in modo ancora in-
distinto, la prefigurazione di uno stile5” (1991, p. 36).
5
“Le didascalie di commento tessono una sorta di racconto letterario,
frammentato, un racconto altro e traforato (…), possono avere una funzione
chiaramente metadiscorsiva, come discorso di secondo grado che commenta
quello sviluppato dalle immagini alle quali si aggiunge, e che cerca di pro-
grammare la loro decifrazione” (Metz 1991, pp. 72-73).
6
Afferma ancora Frith (1990, p. 255): “il musicista ‘autentico’ è, in effet-
ti, una finzione tanto elaborata quanto ogni altra cosa in mostra. Da un punto
di vista analitico, la costruzione video del ‘reale’ è più interessante (perché
più surrettizia) dei frammenti dell’immaginazione in primo piano”.
7
Isotopia: permanenza o ridondanza di un elemento semantico all’inter-
no del testo che produce un effetto di continuità garantendo la coerenza sul
piano del contenuto. In un testo l’isotopia può essere impiegata per dare cor-
po a un universo figurativo (isotopie degli attori, del tempo dello spazio) sia
per tematizzare questo universo (isotopie astratte, tematiche, assiologiche)
(cfr. Bertrand 2002).
8
La tendenza a spettacolarizzare lo svelamento del corpo è uno dei tratti
peculiari della programmazione televisiva degli ultimi anni. “Scoprire, rende-
re pubblico, manifestare il corpo. Insinuarsi, penetrare, aprirne l’interiorità.
(…). L’organismo è una Macchina emozionale, un dispositivo misterioso e se-
greto che produce emozioni quando è esposto allo sguardo collettivo, quando
viene proiettato nel virtuale televisivo (…). Nell’impulso ossessivo della visi-
LA STAR MUSICALE. SPERIMENTAZIONI ENUNCIATIVE… 

bilità e dell’invasività, la tv rilegge la vita dei corpi attraverso ecografie ed en-


doscopie, mostrando i cambiamenti che vi avvengono con il passare del tem-
po. La nozione di corpo viene scompaginata dalla riproduzione della sua im-
magine in parti, pezzi, organi, in cui le telecamere entrano, percorrendo il
corpo nello spazio e nel tempo, o pre-correndolo dal concepimento al parto,
dall’agonia alla morte e, al di là della morte, nel trapianto degli organi (Bolla,
Cardini 1999, pp. 198-199).
9
Non è un caso che spesso i siti che i fan dedicano alle star musicali
siano più frequentati e aggiornati di quelli ufficiali delle etichette discogra-
fiche.
10
Dita Parlo fu una delle prime attrici porno.
Parte seconda
Analisi
Il corpus testuale

I testi che compongono il corpus analizzato sono video


d’autore realizzati tra il 1995 e il 2002 che hanno goduto di
un’ampia visibilità nei palinsesti delle emittenti televisive
musicali, e in seguito sono stati commercializzati su sup-
porto digitale per il circuito home video.
Nei videoclip gli interventi sul piano dell’enunciazione
non vengono impiegati esclusivamente per valorizzare il rit-
mo o la melodia della musica, ma per inscrivere sulla superfi-
cie dei testi una forte componente metatestuale, un rinvio
esplicito alla forma breve, ai suoi generi, ai suoi protagonisti.
Questa dimensione autoriflessiva non è un puro eserci-
zio di stile, al contrario essa spesso assolve una vera e pro-
pria funzione di veridizione1 che investe direttamente la fi-
gura del performer e si riverbera sulle modalità di fruizione
del videoclip da parte del suo spettatore.
Le combinazioni tra voce, immagini e testo scritto pro-
ducono delle originali costruzioni riflessive che agiscono
come segni di un profondo conflitto passionale del perfor-
mer, figurativizzando lo scontro tra la realtà della vita quo-
tidiana e la finzione dello star system come una sfida tra
due identità opposte, inconciliabili.
Se in tutti i video i suoni e le immagini si fanno segni di
una seduzione e strumento di una strategia commerciale,
tuttavia le strategie enunciative impiegate sono profonda-
mente divergenti, al punto da suggerire la presenza di una
vera e propria contrapposizione.
 PAOLO PEVERINI

L’esasperazione, la spettacolarizzazione degli interventi


di risemantizzazione possono accompagnarsi a uno svela-
mento esplicito del processo, in un movimento autoriflessi-
vo che si appropria di soluzioni linguistiche e scenografi-
che elaborate per restituire alla star un alone di “inviolabile
autenticità”, o al contrario il corpo del performer può esse-
re completamente ridisegnato nel testo lavorando per sot-
trazione, privilegiando una sperimentazione che investe la
dimensione plastica delle immagini, la sostanza piuttosto
che la forma dell’espressione, la grana della luce e la defini-
zione dei colori piuttosto che gli effetti speciali.

1
Veridizione: la semiotica rifiuta di considerare la verità come il risultato di
una coincidenza tra il messaggio e il referente, preferendo piuttosto ripensare il
vero come un effetto di senso prodotto dal discorso. In altri termini la semioti-
ca non analizza la verità ma la sua messa in scena, il dir-vero, la veridizione.
Nel discorso il dispositivo veridittivo si inscrive sotto forma di contratto di
veridizione tra le due figure dell’enunciatore e dell’enunciatario. ll creder-vero
dell’enunciatore infatti non è sufficiente alla trasmissione efficace della “verità”,
è necessario che l’enunciatario lo condivida (consapevolmente o inconsciamen-
te) dando vita a un fragile equilibrio che si inscrive all’interno del discorso sotto
forma di una rete complessa di relazioni tra il fare persuasivo dell’uno e le mos-
se interpretative dell’altro.
Capitolo quinto
L’identità della star come forma estrema di bricola-
ge. David Bowie e 1.Outside.

Il performer che ha maggiormente sperimentato le poten-


zialità espressive del videoclip sulla propria pelle elaborando
un corpo flessibile, modulare, infinitamente trasformabile, è
senz’altro David Bowie, figura emblematica della scena musi-
cale pop e rock il cui straordinario successo è innanzitutto il
risultato di una dialettica irrisolta tra sedimentazione e inno-
vazione, tra la pratica raffinata del recupero e l’assemblaggio
sregolato e irruento di nuove forme di soggettività.
Il legame tra sperimentazione artistica e logiche promo-
zionali è un elemento ricorrente nella carriera del performer
inglese. I diversi personaggi che hanno segnato come origina-
li figure di alter-ego l’intera vita artistica di Bowie non sono
semplici “accessori” di un elaborato apparato scenografico,
comune a concerti live e video musicali, ma componenti fon-
damentali di una medesima strategia che sfrutta il trasformi-
smo della star come strumento privilegiato di promozione.
In questo senso è interessante rileggere l’identità Bowie
come il risultato sorprendente e irrimediabilmente provvi-
sorio di un conflitto sempre aperto tra due logiche con-
trapposte, l’innovazione e la ripetizione, che si fondano ri-
spettivamente su un’organizzazione di tipo paradigmatico
e una di tipo sintagmatico.
L’urgenza di imporsi nel panorama musicale come una fi-
gura dinamica, fortemente innovativa, rinvia a una logica di
tipo paradigmatico che si segnala in maniera esplicita sotto
forma di un marcato contrasto plastico e figurativo che di-
stingue le diverse forme di soggettività “indossate” di volta
in volta dall’artista come modelli di identità provvisoria.
 PAOLO PEVERINI

Ziggy Stardust e The Thin White Duke esprimono in


modo esemplare questo gioco provocatorio sull’identità
basato sugli scarti improvvisi e le rotture inaspettate.
Se l’alieno androgino suscita sorpresa sfruttando fino in
fondo l’ambiguità dei ruoli sessuali, esibendo un look gla-
mour, volutamente “sfacciato”, in cui prevalgono arditi ac-
costamenti cromatici e dettagli bizzarri, il Duca Bianco
esprime un’identità completamente opposta, tramite un
look volutamente minimale, in cui il bianco e nero e le li-
nee ordinate degli abiti classici si fanno segni privilegiati di
una forma di soggettività che reclama la propria forza lavo-
rando non più sull’accumulo ma sulla sottrazione, secondo
un strategia che mira ad affermare innanzitutto l’inarriva-
bile compostezza aristocratica del performer.
Questo contrasto tra due modelli opposti di identità
viene riassorbito secondo una logica di tipo sintagmatico in
un unico movimento che si sviluppa nell’arco di un’intera
carriera. Sin dall’inizio David Robert Jones (alias: David
Bowie) ha sfruttato la sua abilità di trasformista per rinfor-
zare l’appeal dei suoi brani musicali.
Questa strategia emerge con chiarezza rileggendo in
senso diacronico la sua carriera. L’affermazione sulla scena
musicale di queste maschere provvisorie è sempre legata al-
l’uscita di un album musicale.

Anno Album musicale Alter-ego


1972 The Rise And Fall Of Ziggy Stardust Ziggy Stardust
and The Spiders From Mars
1974 Diamond Dogs Uomo/cane
1976 Station to Station Thin White Duke
1995 Outside Nathan Adler
Baby Grace Blue
Ramona Stone
Algeria Touchshriek
Leon Blank
Paddy
Uomo/pesce
Minotauro/artista
L’IDENTITÀ DELLA STAR COME FORMA ESTREMA… 

Con Bowie la rielaborazione dell’immagine pubblica


della star musicale diviene vero e proprio intervento ra-
dicale sull’identità personale che si realizza compiuta-
mente nell’inversione degli stereotipi più diffusi, nell’e-
splorazione sfrenata delle potenzialità espressive che si
celano nel sincretismo di posizioni opposte: uomo/donna
(la figura androgina nella copertina di The man who sold
the world), umano/alieno (Ziggy Stardust), umano/ani-
male (l’uomo/cane di Diamond Dogs).
Uno dei progetti più complessi realizzati da Bowie negli
ultimi anni è 1.Outside. Iperciclo non lineare di dramma go-
tico, in cui l’autore spinge fino alle estreme conseguenze un
percorso di ricerca e costruzione della propria figura di ar-
tista, sfruttando in maniera inedita la compresenza di diffe-
renti linguaggi di manifestazione (scritto, visivo, musicale).
1.Outside è un concept album realizzato nel 1995 da
David Bowie con la collaborazione di Brian Eno. Il con-
cept album è un macrotesto narrativo composto di brani
musicali e di un book che contiene immagini e testi delle
canzoni. 1.Outside è il primo capitolo di un progetto au-
diovisivo sperimentale a lungo termine, un’originale mi-
cro-serializzazione rimasta incompiuta, che doveva con-
cludersi con la pubblicazione di altri due lavori, Contami-
nation e Afrikaan.
L’intero progetto è composto da 19 tracce musicali,
un booklet che accompagna il cd e un videoclip.
1.Outside è un testo emblematico, non solo perché
presenta le caratteristiche peculiari di molti prodotti au-
diovisivi contemporanei: una struttura narrativa fram-
mentata, un uso esasperato dei rinvii intertestuali, un rit-
mo sostenuto, ma soprattutto perché la sua efficacia è il
prodotto di un’impalcatura enunciazionale straordinaria-
mente complessa che, sfruttando le moderne tecniche
della riproduzione digitale, permette al suo autore di as-
sumere tutti i ruoli essenziali nella costruzione di una
forma di testualità sincretica.
Autore delle musiche, delle liriche, dell’intero proget-
to editoriale, protagonista principale del videoclip e de-
 PAOLO PEVERINI

gli eventi narrati nel book, David Bowie si nasconde al


lettore, segna una distanza tra se stesso e i suoi personag-
gi, costringe il lettore/spettatore a una sfida interpretati-
va serrata dagli esiti incerti.
Nello studio della strategia testuale di 1.Outside si è
scelto di rispettare l’ordine di lettura che l’album impone
al suo lettore (libero comunque di ignorare il percorso
della narrazione e di focalizzare la propria attenzione su
ognuna delle sue componenti), il primo testo analizzato
sarà dunque il book del cd, seguito dai brani musicali e
infine dal videoclip.

Il book

Titolo del book: Il Diario di Nathan Adler o l’omicidio


artistico rituale di Baby Grace Blue, sottotitolo: Un iperci-
clo non lineare di dramma gotico.
La storia prende inizio dal ritrovamento del corpo del-
la quattordicenne Baby Grace Blue, dissezionato ed espo-
sto all’interno del “Museo di Parti Moderne di Oxford
Town”. Da qui si sviluppa la ricerca del Detective Profes-
sor Nathan Adler della “Sezione Crimini Artistici”.

Fu esattamente alle 5 e 47 antimeridiane di venerdì 31 di-


cembre 1999 che uno spirito multidotato al nero iniziò la
dissezione della quattordicenne “Baby Grace”. Le braccia
della vittima furono ridotte a puntaspilli da 16 aghi ipoder-
mici che le pompavano dentro quattro conservanti princi-
pali, sostanze coloranti, fluidi da trasporto per informazioni
memorizzate e certa altra roba verde. Col diciassettesimo e
ultimo vennero estratti tutto il sangue e i liquidi. L’area del-
lo stomaco fu slabbrata con cura e gli intestini rimossi,
sbrogliati e rilavorati a maglia così come si presentavano, in
una piccola rete o tela e appesi tra i pilastri del luogo del
delitto, l’ingresso principale del Museo di Parti Moderne di
Oxford Town, New Jersey. Gli arti di Baby furono poi reci-
si dal torso. In ogni arto venne impiantato un piccolo tra-
duttore a codice binario, altamente sofisticato, a sua volta
L’IDENTITÀ DELLA STAR COME FORMA ESTREMA… 

collegato a piccoli altoparlanti attaccati all’estremità di ogni


arto. Furono quindi attivati gli inclusi mini terminali per
amplificare le sostanze da trasporto delle informazioni me-
morizzate decodificate, le quali si svelarono per piccoli
haiku a chiave, brevi versi con ricordi dettagliati di altri atti
brutali, ben documentati dalle ROMviste. Gli arti e i loro
componenti furono poi appesi all’interno della rete, come
la flaccida preda di una qualche inimmaginabile creatura. Il
torso, per mezzo del suo orifizio inferiore, era stato posto
su un piccolo supporto fissato a una base di marmo. Veniva
mostrato con vari gradi di effetto a seconda di dove ci si
trovava, da dietro la rete ma di fronte alla porta stessa del
Museo, in atteggiamento a un tempo di significante e di cu-
stode dell’atto. Era sicuramente un delitto – ma era arte?
Tutto ciò doveva portare all’evento più provocatorio del-
l’intera sequenza di eventi seriali che era cominciata verso
novembre dello stesso anno, piombandomi nel più porten-
toso caotico abisso che un placido hacker solitario come me
potesse comprendere. Mi chiamo Nathan Adler, o Profes-
sor Detective Adler nel mio circondario. Faccio parte della
divisione Crimini Artistici Ass., la società di recente istiga-
zione fondata con un contributo del Protettorato delle Arti
di Londra appena ci si rese conto di come l’investigazione
sui crimini d’arte fosse in sé inseparabile dalle altre forme
d’espressione e perciò degna di essere supportata da un en-
te di tale importanza.
(brano tratto da Il Diario di Nathan Adler o l’omicidio arti-
stico rituale di Baby Grace Blue, trad. di Tito Schipa Jr.)

Una serie di ricordi di precedenti performance sfocia-


te in delitti a opera di giovani artisti permette a Nathan
Adler di associare al nome della vittima altri tre nomi:
Leon Blank, Ramona A. Stone, Algeria Touchshriek, ri-
spettivamente “un outsider colpevole di piccoli furti”,
“una trafficante di droga, futurista tirannica”, e “un ri-
cettatore specializzato in droghe artistiche, impronte ge-
netiche e materiale mass mediale di qualunque tipo”.
Nathan Adler, nella speranza di ricavare qualche sug-
gerimento utile su come procedere nelle indagini, inseri-
sce in un computer le informazioni riguardanti gli inda-
 PAOLO PEVERINI

gati. Dopo aver assemblato tutti questi dati tramite il


Mack-Verbasiser, un “programma metarandom”, il de-
tective ottiene una serie di indicazioni ambigue.

VENERDÌ 31 DICEMBRE 1999 11 ANTIMERIDIANE.


QUARTIER GENERALE DEGLI “IMBRATTATELE”, SOHO

Denti piccoli, ingranaggi niente. Non molto su cui procedere,


ma R. A. Stone mi ricorda qualcosa di grosso. Non c’è pro-
blema, mi verrà. Il meglio da fare adesso è infilare tutti i pezzi
connessi nel Mack-Verbasiser, il programma Metarandom che
ti ri-stringa la vita vissuta in una serie di improbabili fatti vir-
tuali. Magari ne cavo un paio di dritte.

VENERDÌ 31 DICEMBRE 1999 11:15 ANTIMERIDIANE

Gesù coso. Odio lavorare sulla tastiera. Comunque, abbiamo


qualche solvente di sicuro interesse uscito dal Mack-random.
Sentite questo!
Download Verbasiser, primo paragrafo:
Niente reclusioni di santi determinati credevano caucasica
uscita tirannica evocavano niente immagini descrivevano san-
ti Cristiani domande niente femmine cristiana macchina cre-
deva niente lavoro è caucasico determinati santi credevano
femmina descrivevano cristiana tirannica domanda R.A. Sto-
ne reclusioni martiri e tirannici sono evocati femmina descri-
veva sadomasochistiche domande io sono suicida descriveva
la macchina tessile Scudisciando uscita santi e martiri e scara-
ventati per le scale
Ecco che comincia il mulinello. Ecco che il mazzo di immagi-
ni arretra e si piazza a centro scena. Ramona A. Stone. Mi ri-
cordo di questa densità, di questo pensiero come una melassa
liquida. Un momento però, mi sto precorrendo.

Il risultato evoca all’investigatore una serie di ricordi, il


diario oscilla tra il presente e il passato in una narrazione
sconnessa di efferati delitti e performance artistiche estre-
me. Un ricordo emerge su tutti: Ramona nel 1986 durante
un’esposizione di parti corporee-gioiello da lei stessa dise-
gnate annuncia la propria gravidanza.
L’IDENTITÀ DELLA STAR COME FORMA ESTREMA… 

VENERDÌ 31 DICEMBRE 1999 11:30 ANTIMERIDIANE

Dopo un intervento chirurgico e un investimento in una


maschera anti proiettile, Ramona comparve a Londra, Ca-
nada, come proprietaria di una catena di negozi di parti-
corporee-gioiello. Girocollo di pene di agnello, borsette di
scroto di capra, capezzoli-orecchini, quel tipo di roba. Le
voci in giro, comunque, dicevano che non era l’affare mi-
gliore diventare suoi clienti, dato che occasionalmente il
compratore poteva entrare nella sua bottega e non uscirne
mai più. L’allarme suonò dopo che un’amatissima e rispet-
tatissima celebrità, conosciuta per essere conosciuta, mancò
di comparire a una mostra dove lei aveva esposto dei suoi
specchi. Altre celebrità, parimenti conosciute per essere co-
nosciute, alcune solo alla propria vicina, la giudicarono la
più profonda esposizione degli ultimi anni e non riuscivano
più a staccare gli occhi dalle opere. Tutti i pezzi furono
venduti in un’ora, molti a prezzi record. Quando il critico
della rivista «Tate» richiese un’intervista con la celebre arti-
sta, il proprietario della galleria si ricordò di non averla più
vista da qualche ora prima. Aveva detto di voler andarsi a
comprare un cordone ombelicale incrostato di diamanti co-
me oggetto celebrativo per annunciare la propria gravidan-
za. Sarebbe tornata in un’ora. Solo un saltino da “Calcoli
Biliari”. 1986. La gravidanza avrebbe prodotto un essere
che sarebbe attorno ai 14 anni di età.
Se fosse ancora vivo.

Continua… (ib.).

La narrazione si interrompe qui.


Il diario, dopo un primo momento in cui sembra for-
nire tutte le competenze necessarie per poter compren-
dere l’universo finzionale della storia, mostra in realtà la
sua natura di “iperciclo non lineare di dramma gotico”,
suscitando nel lettore un effetto di crescente disorienta-
mento e confusione che sembra compromettere definiti-
vamente la possibilità di ricondurre gli avvenimenti a
una successione logicamente ordinata di stati e trasfor-
mazioni.
 PAOLO PEVERINI

Nell’impianto narrativo del diario la risoluzione dell’in-


treccio resta sospesa. Tra i frammenti del book emerge il
ruolo centrale dell’elaboratore Mac Verbasiser, destinante
manipolatore dell’attante-soggetto Nathan Adler, unico
strumento capace di fornire al Detective Professor la com-
petenza modale e i valori in gioco.
Ecco sorgere i primi dubbi interpretativi. Chi è il vero
autore del diario? Qual è il collegamento tra il computer e
il detective? Che relazione sussiste tra il diario e i testi delle
canzoni?
Come ricorda Fernarda Pivano nell’introduzione all’edi-
zione italiana a tiratura limitata di Outside, il diario di Nathan
Adler è un caso esemplare di cut-up elettronico. Questa com-
ponente del concept album è il prodotto di un processo di
collaborazione tra l’uomo e l’elaboratore. Il diario, scritto in
una prima fase da David Bowie, è stato inserito realmente in
un computer e riassemblato in maniera casuale da un softwa-
re che riconfigurando il livello discorsivo del testo originario,
ne ha stravolto completamente la struttura narrativa.
L’utilizzo esteso di débrayage ed embrayage1, unito al-
l’imprecisione dei parametri spazio-temporali cala il lettore
in un’atmosfera di totale disorientamento, accresciuta dalle
fotografie di forte impatto che si incontrano sfogliando le
pagine del diario del detective Nathan Adler e che ritrag-
gono i principali protagonisti di 1.Outside.

Fig. 19. David Bowie, Outside.


L’IDENTITÀ DELLA STAR COME FORMA ESTREMA… 

Fig. 20. David Bowie, Outside.

La composizione plastica delle immagini sembra favori-


re una fruizione rapida, disimpegnata.
La figura umana, sempre posta in primo piano rispetto
all’osservatore, è estremamente dettagliata e si contrappo-
ne a uno sfondo in cui formanti plastici localizzati come
macchie di colore e figure astratte si alternano a oggetti e
stringhe di caratteri resi parzialmente illeggibili da ampie
zone di sfocato.

Fig. 21. David Bowie, Outside.

A prima vista queste fotografie sono delle semplici illu-


strazioni che non permettono di colmare le lacune del dia-
rio e di avanzare in alcun modo delle ipotesi sulla dinamica
 PAOLO PEVERINI

dell’omicio e dell’indagine. Uno sguardo più approfondito


può individuare tuttavia alcuni indizi che ne rivelano il va-
lore effettivo nella strategia testuale complessiva dell’opera.
Gli zigomi di Ramona, gli occhi di colore diverso di Leon
Blank, i tratti spigolosi del viso dell’Uomo Pesce… ogni
personaggio fotografato nel book presenta delle curiose af-
finità con i lineamenti dell’autore, David Bowie.
Osservando lo speciale andato in onda su MTV pochi
giorni prima dell’uscita dell’album si ricava un’informazione
essenziale. Partendo dalle pratiche di travestitismo ampia-
mente sperimentate in passato, David Bowie ha generato
sette figure a sé stanti, sfruttando un processo di elaborazio-
ne delle immagini in quattro fasi: travestimento, fotografia,
riproduzione digitale, rielaborazione. Nelle fotografie che
accompagnano il diario di Nathan Adler l’autore diventa di
volta in volta bambina, donna, vecchio e giovane. Non si
tratta di un fotomontaggio ma di una rielaborazione digitale,
un processo di dereferenzializzazione parziale che interviene
a modificare drasticamente i tratti fisici identificativi dell’au-
tore. Le foto iniziali in cui egli compare travestito e tuttavia
ancora riconoscibile vengono riprodotte digitalmente e suc-
cessivamente manipolate fino alla completa distruzione del-
l’identità Bowie che si dissolve in sette identità complesse.
Per comprendere questa complessa procedura di rise-
mantizzazione è utile analizzare nel dettaglio l’immagine di
uno dei personaggi indagati da Nathan Adler.

Fig. 22. David Bowie, Outside.


L’IDENTITÀ DELLA STAR COME FORMA ESTREMA… 

La figura di una donna si staglia su uno sfondo pluri-


cromatico da cui emergono figure dai contorni indefiniti
e frammenti di caratteri alfanumerici sovrapposti e sfo-
cati.
In questa immagine, così come nelle altre che com-
pongono il book, sono co-presenti diversi livelli di figu-
ratività. All’astrazione che caratterizza le figure plastiche
che compongono lo sfondo fa da contrasto l’iconizzazio-
ne della figura di donna posta in primo piano.
L’effetto visivo di emersione della figura femminile dal-
lo sfondo è il risultato dell’impiego di un forte contrasto
cromatico attualizzato nell’opposizione non saturo/saturo
che determina nello spettatore l’impressione di osservare
uno spazio prospettico.
Il lettering che incornicia parzialmente la donna non
è immediatamente interpretabile: è caratterizzato infatti
dalla sovrapposizione di frammenti di caratteri digitali,
alcuni dei quali hanno i contorni sfocati.
Nella prima e nella terza sequenza di caratteri che oc-
cupano la zona periferico-destra è possibile leggere la
scritta RAM, seguita dal sintagma TONE, preceduto da al-
cuni caratteri di difficile lettura. Queste lettere che a un
primo sguardo sembrerebbero svolgere semplicemente
un ruolo decorativo, costituiscono in realtà un elemento
di ancoraggio dell’immagine molto forte.
La foto affianca la pagina del diario in cui l’investiga-
tore esamina i profili degli indagati risultanti dalla ricer-
ca compiuta casualmente dal computer.
I nomi sono Leon Blank, Algeria Touchsrieck e Ra-
mona A. Stone.
Le stringhe di caratteri digitali apparentemente in-
comprensibili si rivelano dunque degli indizi, frammenti
utili a identificare la fotografia del principale indagato
per l’omicidio di Baby Grace Blue: Ramona A. Stone.
Nel book il legame tra le fotografie e il diario di
Nathan Adler è assicurato da un insieme di elementi pla-
stici e figurativi che connotano stilisticamente tutte le il-
lustrazioni di 1.Outside.
 PAOLO PEVERINI

Fig. 23. David Bowie, Outside.

Nella prima immagine del book una scritta difficil-


mente leggibile posta in alto a sinistra identifica il perso-
naggio-Baby Grace che al centro dell’inquadratura dirige
il suo sguardo fuori campo.
Lo sfondo della pagina è indistinguibile, sulla destra è
attraversato da stringhe di caratteri che ripetono il nome
del personaggio e sulla sinistra dalla parola VICTIM che
definisce il ruolo del soggetto all’interno della storia.
Sul lato destro dell’inquadratura sono visibili i resti di
un arto e frammenti di organi umani che rinviano in ma-
niera esplicita all’installazione presente nel Museo di Parti
Moderne di Oxford Town su cui indaga il detective.
A livello temporale in quest’immagine sono inscritti
due momenti diversi del racconto per frammenti narrato
nel diario di Nathan Adler. Baby Grace è raffigurata in-
fatti prima e dopo la performance del suo assassino.
I caratteri presenti nell’immagine non svolgono unica-
mente la funzione di garantirne la corretta interpretazio-
ne ma piuttosto simulano la schermata di un computer, il
Mac Verb del detective Nathan Adler che “ti ristringa la
vita vissuta in improbabili fatti virtuali”. La composizione
caotica delle figure all’interno della pagina rappresenta la
visualizzazione del processo casuale di ricostruzione degli
L’IDENTITÀ DELLA STAR COME FORMA ESTREMA… 

eventi operato dal Mac Verb, simulandone le schermate


video. La grafica “graffiata” dei caratteri impiegati nella
pagina ribadisce infine al livello plastico la natura fram-
mentata delle informazioni a disposizione del detective.

Fig. 24. David Bowie, Outside.

Scorrendo rapidamente le altre immagini si nota imme-


diatamente che la foto di Nathan Adler ha uno statuto par-
ticolare. È l’unica immagine non ritoccata digitalmente,
l’unica in cui l’autore, pur indossando i panni di un perso-
naggio fittizio, risulta immediatamente identificabile da un
lettore competente. Attore e autore si avvicinano, sembra-
no quasi coincidere, tuttavia nell’economia del racconto il
Detective Professor non occupa una posizione privilegiata,
le sue indagini non conducono ad alcun risultato di rilievo.
È ora di chiudere il diario. Sul retro della copertina
emerge il volto di un uomo sfocato, indistinto. In alto alla
sua sinistra, un logo: DB - David Bowie. Ma quante sono le
maschere dell’autore? Come si articola la regia di Outside?
L’effetto di disorientamento provocato dalla lettura del
diario e delle sue immagini, e amplificato come si vedrà dal-
l’ascolto dei brani musicali e dalla visione del videoclip, è co-
struito su un’impalcatura enunciazionale singolare, all’inter-
no della quale l’autore del testo e i suoi simulacri entrano in
relazione tra di loro in maniera particolarmente elaborata.
 PAOLO PEVERINI

D. Bowie/Macintosh 1. OUTSIDE
Enunciatore Nathan Adler/Mac Verb
Narratore
Attori
Ramona
Algeria
Baby Grace D. Bowie
Leon
Paddy
Minotauro

L’impiego di un débrayage enunciazionale permette al-


l’autore di simulare la sua presenza all’interno del diario.
La coppia Nathan Adler/Mac Verb riveste nel book il ruo-
lo di narratore e costituisce il simulacro dell’istanza dell’e-
nunciazione, risultante dalla collaborazione autoriale tra
David Bowie e il Mac Intosh impiegato per il montaggio
casuale dei testi scritti.
Nathan Adler e il Mac Verb coinvolgono il lettore del
diario di Outside in un’intricata storia i cui attori sono il
prodotto della manipolazione del loro autore.
Le immagini del diario permettono all’autore di assu-
mere un ruolo diverso, di entrare seppur parzialmente al-
l’interno dell’enunciato di cui è responsabile, utilizzando
alcuni dei tratti distintivi del suo corpo come dettagli iden-
tificativi dei personaggi.
Il detective, la vittima, i possibili assassini “vivono”
esclusivamente in un mondo finzionale ma il loro corpo è il
risultato della manipolazione di un unico corpo-sorgente,
quello del loro enunciatore e costruttore.
1.Outside mette in scena un complesso gioco delle iden-
tità, in cui l’autore della finzione oltre al ruolo enunciativo
riveste anche quello del narratore e degli attori. I ruoli nar-
rativi si confondono, l’autore è onnipresente – in fondo un
Cd è un prodotto commerciale – ma non riusciamo che a
coglierne le tracce.
È ora di ascoltarne la voce.
L’IDENTITÀ DELLA STAR COME FORMA ESTREMA… 

I brani musicali

Le liriche sono 14, disposte in un Prologo e in 13 atti


organizzati come in un’opera, ognuno dei quali reca una
nota: parte cantata per… seguita dal nome del personaggio
del diario che a turno ri-enuncia in musica la propria ver-
sione dei fatti.
I testi delle canzoni sono stati realizzati con la stessa
tecnica impiegata nella costruzione del diario, il cut-up,
forma di bricolage enunciativo che contribuisce in modo
determinante a stravolgere la logica narrativa degli eventi.
Ogni lirica del book sembra autorizzare il lettore a for-
mulare delle previsioni inferenziali sul risultato dell’indagi-
ne, senza tuttavia che il testo dei brani musicali renda pos-
sibile una disambiguazione finale. La fabula delle liriche è
aperta, l’assassino di Baby Grace è destinato ad avere trop-
pi nomi potenziali e dunque nessuno.
Il cd si apre con Leon takes us Outside, un tappeto so-
noro elettronico in cui sonorità fortemente dilatate si alter-
nano a un elenco di date e luoghi privo di qualsiasi logica
sequenziale, recitato da una voce anonima.
Seguono Outside e The heart’s filthy lesson, rispettiva-
mente il Prologo e una Parte cantata per il detective Nathan
Adler. La voce del cantante in entrambi i casi è immediata-
mente riconoscibile come quella di David Bowie.
Con le tracce seguenti, corrispondenti alle parti cantate
per i personaggi Leon Blank, Ramona A. Stone e Algeria
Touchsrieck, le cose si complicano di nuovo. La voce non è
più quella dell’autore, ma rispettivamente di un giovane
uomo, di una donna e di un vecchio.
Le identità degli attori assemblate a livello scritto e visi-
vo vengono dunque definitivamente completate sul regi-
stro musicale da un timbro vocale distintivo che costituisce
l’ultimo stadio di un processo di iconizzazione costruito a
partire dal corpo-sorgente dell’autore, in questo caso dalla
sua voce, rielaborata da un sofisticato software.
È in questo punto che Outside si rivela definitivamente
come un’opera polifonica in cui i livelli finzionali si com-
 PAOLO PEVERINI

plicano. La confusione dei ruoli enunciativi raggiunge il


suo culmine. L’enunciatore enuncia se stesso in un com-
plesso mondo narrativo che assume le sembianze di un ma-
crotesto multimediale animato da creature finzionali che
recano sul corpo e sulla voce tracce del loro autore.
Questa complessa strategia enunciativa permette all’au-
tore da un lato di costruire un mondo fittizio abitato da
personaggi che sembrano veri, dall’altro, di disseminare
ovunque tracce della sua costruzione che ne mettono in di-
scussione l’attendibilità.
Outside non è solo il resoconto di un’indagine fittizia
su un crimine artistico ma è anche un complesso meta-te-
sto che ha per oggetto l’integrazione uomo-macchina nel-
la costruzione di un testo estetico, i relativi processi di si-
mulazione del mondo reale e la crisi del concetto di iden-
tità dell’autore.

Il video musicale

L’ultima componente di Outside è costituita dal videoclip


del singolo The Heart’s Filthy Lesson (regia: Sam Bayer).
Il videoclip è il punto di arrivo del processo di fruizio-
ne di Outside, una sorta di capitolo finale in cui sono sin-
tetizzati i temi e i meccanismi enunciativi che caratteriz-
zano tutto l’impianto del lavoro. La struttura di questo vi-
deoclip tuttavia ne fa un testo autonomo che risulta frui-
bile anche da uno spettatore che non conosce le altre
componenti del progetto.
The Heart’s Filthy Lesson infatti non fornisce infor-
mazioni ulteriori rispetto a quanto contenuto nell’album
ma ne riproduce le stesse atmosfere, catturando l’atten-
zione dello spettatore attraverso elaborate soluzioni sce-
nografiche e un gioco continuo di rimandi tra i diversi li-
velli finzionali.
Nel video alcuni temi chiave di Outside come il conflit-
to tra sacro e profano e l’idea dell’omicidio come pratica
artistica estrema vengono figurativizzati sotto forma di una
L’IDENTITÀ DELLA STAR COME FORMA ESTREMA… 

performance di body art fortemente ritualizzata che si svol-


ge all’interno di un teatro dismesso.
David Bowie non appare unicamente come performer
del brano ma anche come protagonista degli avvenimenti.
In particolare egli dirige un gruppo di giovani artisti
nella costruzione di uno dei sette personaggi della storia,
una creatura mitica, il “Minotauro Artista”. Il suo ruolo è
quello dell’autore, del costruttore, incarnazione di una fi-
gura estrema di bricoleur che plasma la propria creatura,
un mostro, sezionando e ricombinando in maniera inedita
parti di organi, frammenti di tessuto. Il “personaggio”
David Bowie appare immediatamente riconoscibile dal
grande pubblico, abituato a identificarlo con i ruoli del
cantante e dell’attore.
Il video si chiude tuttavia in maniera inaspettata con
l’immagine di Bowie su un palcoscenico che rivela il suo
“vero volto”, togliendosi una maschera da minotauro, l’es-
sere da lui stesso creato.
Ancora una volta la narrazione procede per frammenti,
le informazioni non rispettano un ordine cronologico e
l’autore enuncia se stesso come protagonista della storia da
lui stesso creata.
Il video musicale, ultimo contenitore di brandelli di
informazione di Outside, esaspera dunque il meccanismo
della metatestualità, spingendolo oltre i limiti costruiti nel
corso dell’opera.
L’autore incarna ancora una volta ruoli diversi. Enun-
ciandosi come protagonista smaschera il gioco delle dis-
simulazioni, ma lo fa su un palcoscenico, per definizione
luogo della simulazione, spazio della finzione che incrina
definitivamente la credibilità e la natura perentoria del
suo gesto.
L’obiettivo dell’autore di prendere le distanze dai suoi
personaggi si realizza dunque tramite una strategia testuale
assolutamente inedita.
David Bowie disperde parti della sua immagine in
ognuno dei personaggi della storia, dotandoli di un’iden-
tità autonoma, ma negando contemporaneamente a ognu-
 PAOLO PEVERINI

no di essi di assumere le sembianze di un vero e proprio al-


ter-ego. Marcando le creature da lui stesso create con le
tracce esplicite del processo di costruzione, ribadisce il suo
ruolo di autore, di responsabile della simulazione, distan-
ziandosi tuttavia dalla sua opera.

Ho voluto creare sette personaggi per prendere totalmente


distacco dal mio lavoro. Mi era già capitato in passato di
crearmi un unico personaggio e quello che gli succedeva nella
finzione finiva per ripercuotersi in qualche modo nella mia vi-
ta privata (…). È come se questi personaggi fossero stati via
per molto tempo e ora fossero tornati. In realtà è come se ci
fossero sempre stati e penso che prima o poi torneranno nei
prossimi lavori2.

Lo strumento testuale che garantisce all’autore di rag-


giungere il suo scopo è dunque l’apparato enunciativo ela-
borato in un impianto multimediale, che permette a Bowie
di muoversi su tre registri diversi e interconnessi (scritto,
visivo, musicale) e di superare un ostacolo difficilmente ag-
girabile, la soglia che separa l’autore dal testo di cui è re-
sponsabile.
Il video di The Heart’s Filthy Lesson rilancia la strategia
testuale di Outside, mirando a disorientare ulteriormente il
lettore-ascoltatore, a renderlo incapace di ricostruire le fila
di una narrazione estremamente frammentata.

Outside non comunica alcun messaggio, in realtà il mio obiet-


tivo era comunicare l’atmosfera del 19953.

L’impiego di queste elaborate strategie enunciative co-


stituisce uno strumento essenziale per lo sviluppo di una
rinnovata complicità tra il performer e lo spettatore, tra il
divo-Bowie e il pubblico dei suoi fan, che si concretizza
nella ricerca da parte di quest’ultimo degli indizi del pro-
cesso di costruzione del suo mito e nella partecipazione il-
lusoria al backstage della sua nascita.
Paradossalmente l’originalità di Outside, la sua capacità
di anticipare le tendenze registiche presenti in molti pro-
L’IDENTITÀ DELLA STAR COME FORMA ESTREMA… 

dotti attuali, sono forse le cause principali del suo fallimen-


to commerciale.
Se l’identità di una star trasformista non può che
esprimersi esibendo i frammenti della propria costruzio-
ne, le tracce effimere delle storie interpretate nell’arco di
una vita intera, 1.Outside emerge senz’altro come un
progetto felicemente incompleto, la sintesi assolutamen-
te parziale dei temi e delle figure che hanno segnato la
nascita e l’evoluzione di una complessa identità audiovi-
siva.

Fig. 25. David Bowie, Outside.

Un ultimo sguardo alla copertina del diario, sotto al no-


me dell’autore appare il titolo: 1.Outside, non solo il primo
capitolo di una trilogia, ma anche 1.0, il marchio della prima
release, testo per definizione provvisorio e indefinitamente
implementabile.
1.0: il marchio di una breve opera aperta polifonica.
 PAOLO PEVERINI

1
Débrayage: “disinnesco”, operazione enunciativa che permette al sog-
getto dell’atto comunicativo di proiettare “fuori di sé” le tre categorie fonda-
mentali di ogni attività discorsiva, spazio, tempo, soggetto. Il débrayage viene
definito enunciazionale se proietta all’interno dell’enunciato dei simulacri del
soggetto dell’enunciazione (discorsi in prima persona, dialoghi); viene invece
definito enunciativo se proietta soggetti diversi da quelli dell’enunciazione
(discorso oggettivato, in terza persona). L’operazione di débrayage è correla-
ta con quella di embrayage (cfr. Pozzato 2001).
Embrayage: “innesco”, operazione che simula il ritorno dal testo all’i-
stanza dell’enunciazione che ne è responsabile. L’embrayage è sempre suc-
cessivo a un débrayage. Questi due regimi discorsivi si concretizzano spes-
so nel testo sotto forma di inscatolamenti progressivi, dando luogo a effetti
di realtà, poiché ogni livello precedente si costituisce come piano referen-
ziale rispetto al successivo (cfr. Pozzato 2001).
2
Dichiarazione rilasciata da David Bowie nello special andato in onda
su MTV.
3
Dichiarazione rilasciata da David Bowie nello special andato in onda
su MTV.
Capitolo sesto
Una notte dietro le quinte. I Blur e No Distance
left to run

Introduzione

Il videoclip del singolo No Distance left to run è stato


realizzato nel 1999 dal regista danese Tomas Vinterberg
per la band inglese dei Blur, in occasione dell’uscita del-
l’album 13.
No Distance left to run è un’operazione decisamente
originale nel panorama della produzione audiovisiva e
rappresenta in modo esemplare l’estrema flessibilità che
caratterizza l’enunciazione nelle sue incisive forme di in-
scrizione testuale.
Il video infatti non si limita a mettere in scena una
performance musicale, piuttosto si configura come un
complesso metatesto che riflette parzialmente al suo in-
terno il processo di produzione, agendo in particolare
sulla rappresentazione dell’identità dei componenti della
band, che vengono raffigurati non come inarrivabili star,
ma come persone comuni, “autentiche”.
No Distance left to run coniuga infatti la sperimenta-
zione enunciativa con l’estetica Dogma, proponendosi
nei confronti dello spettatore come un testo fortemente
“oggettivato”.
La strategia enunciativa del film nel film viene declina-
ta nel video in maniera originale; tutto è finalizzato a re-
stituire allo spettatore la sensazione di poter sbirciare nel
vero dietro le quinte della vita di una band. No Distance
left to run è il racconto di un esperimento inedito, il ten-
tativo di ridurre drasticamente la distanza che separa star
 PAOLO PEVERINI

e pubblico, documentando semplicemente il sonno di


quattro musicisti.
In questo caso la strategia dell’enuciazione consiste in-
nanzitutto nell’ibridare profondamente forme espressive
distinte, il video e il documentario, in una pratica di riela-
borazione creativa che produce un testo sincretico, una
breve docufiction.
No Distance left to run si compone di tre parti ben di-
stinte, un prologo, il video vero e proprio, un epilogo. La
durata complessiva è di circa 5’ e 50 secondi, ripartita
nel seguente ordine: prologo (1’36’’), video (3’08’’), epi-
logo (1’06).

Il prologo

Sin dall’inizio il video tenta di stabilire un contatto im-


mediato e coinvolgente tra star e pubblico facendo ricorso
a interventi extradiegetici, commentativi.
Il prologo si apre infatti con la ripartizione del quadro
in una serie di schermi supplementari, una figura esemplare
di enunciazione enunciata particolarmente frequente nei
video musicali.
L’espediente dello split screen viene impiegato per de-
scrivere allo spettatore un’operazione del tutto inedita, do-
cumentare uno degli aspetti più intimi della vita di una
band, il sonno, facendo ricorso a un’attrezzatura estrema-
mente leggera, minimamente intrusiva, composta di picco-
le telecamere digitali, un microfono e un diffusore di luce.
Il significato dell’esperimento viene spiegato nel prolo-
go dal leader della band, Damon Albarn, che guardando in
camera si rivolge direttamente allo spettatore, interpellan-
dolo: “stiamo girando un video, si tratta di sonno vero, non
simulato, o altro. Divertente”.
Lo split screen agisce come un dispositivo topologico
che articola lo spazio dello schermo in zone diverse, riser-
vando a ognuno dei componenti della band uno spazio in-
dipendente. Contemporaneamente queste diverse finestre
UNA NOTTE DIETRO LE QUINTE 

che si aprono alla visione dello spettatore intervengono a


rompere la linearità narrativa, inscrivendo nel video un’ar-
ticolazione cronologica decisamente frammentata che per-
mette di accostare all’interno di un unico quadro momenti
diversi della stessa narrazione.
Questo espediente è chiaramente visibile in due inqua-
drature dedicate al batterista della band, Dave Rownthree.
Nella finestra di sinistra il musicista rivolge il suo sguar-
do direttamente in camera dichiarando che il video di No
Distance left to run “va oltre il privato, oltre l’intimità”, e
che l’obiettivo dell’esperimento è rivelare “qualcosa che
non conosci nemmeno tu quando dormi”. Contempora-
neamente, nella finestra aperta sulla destra dello schermo
scorrono le immagini di un momento successivo dell’espe-
rimento in cui il musicista viene filmato poco prima di an-
dare a dormire, mentre si lava i denti, illuminato da una lu-
ce estremamente debole. Queste immagini sono in netto
contrasto con le precedenti non solo da un punto di vista
figurativo ma anche plastico, hanno una definizione molto
bassa e sono sostanzialmente monocromatiche.
L’enunciazione enunciata, presente sin dalle prime in-
quadrature, si segnala con forza sul finire del prologo, sot-
to forma di un breve dialogo tra Damon Albarn, inquadra-
to in primo piano, e il regista, situato fuori campo:

- D. A. (guardando fuori campo): “che ore sono?”.


- Voce off: “L’una meno un quarto”.
- D. A. (guardando direttamente in camera): “Bene, è ora di
andare a dormire”.

Questo breve scambio di battute tra il musicista e il re-


gista del video simula un ritorno all’istanza dell’enunciazio-
ne, contribuendo a restituire allo spettatore l’illusione di
una simultaneità degli avvenimenti. Questa sensazione di
contemporaneità degli eventi viene ulteriormente rafforza-
ta dalla sequenza di montaggio immediatamente successiva
in cui i quattro componenti della band spengono le luci e
si preparano per andare a dormire.
 PAOLO PEVERINI

L’ultima inquadratura del prologo è un dettaglio delle


dita di uno dei musicisti che spegne un interruttore.
Segue il buio. E il silenzio.

Il videoclip

Dopo un istante di buio assoluto, inizia la musica.


Il video si apre con un punto di sincronizzazione deci-
samente originale. Il suono dilatato, il ritmo lento del bra-
no musicale vengono “raddoppiati” efficacemente sul pia-
no visivo dall’ingresso di una luce diffusa, leggermente in
movimento, che interviene a contrastare l’oscurità totale
dell’ambiente. La sincresi viene rafforzata ulteriormente
dalla lenta apertura di una porta, il cui movimento è reso
percepibile dal fascio luminoso.
Lo spazio che si apre alla visione dello spettatore non è
descritto minuziosamente da una luce intensa, invadente,
abbagliante, piuttosto emerge lentamente dal buio indistin-
to come un ambiente appena svelato, che rivela solo par-
zialmente la sua articolazione.
In questa prima inquadratura, come nel resto del video,
le immagini hanno una bassa definizione, predominano de-
cisamente i colori freddi e i toni desaturati.
Come ha efficacemente dimostrato Jacques Fontanille
(1995, pp. 27-28), la luce non è esclusivamente un fenome-
no fisico, poiché presenta una

configurazione semiotica che non deriva né da ciò che un sog-


getto può effettivamente osservare, né dalle proprietà del
mondo fisico, piuttosto si presenta come una costruzione (in
qualche modo oggettiva) le cui categorie costitutive dovrebbe-
ro permettere di descrivere gli effetti di senso nati dalle intera-
zioni (deittiche, modali, passionali, ecc…) tra l’attività percet-
tivo-enunciativa di un soggetto e il gradiente dell’energia.

Luminosità, tono e saturazione, le proprietà sostanziali


della luce, agiscono dunque sullo spazio, trasformando ciò
UNA NOTTE DIETRO LE QUINTE 

che inizialmente non è nient’altro che un sostrato, in una sor-


ta di piano del contenuto dell’energia luminosa.
La configurazione semiotica della luce si realizza dunque
nell’atto stesso dell’articolazione dello spazio, dando vita a
una semiotica del visibile.
Questa interazione tra la luce e lo spazio produce quat-
tro effetti di senso, articolati in una sequenza che riformula
il passaggio dall’energia luminosa, intesa come fenomeno
percepito dal soggetto come una sensazione elementare, al-
la luce, concepita come configurazione semiotica che pro-
duce significazione.
Gli effetti di luminosità (éclat) localizzano le concentrazio-
ni di energia, gli effetti di illuminazione (éclairage) rinviano a
una rappresentazione vettoriale dello spazio, dove si realizza
una diffusione della luce tra una fonte che ne regola l’inten-
sità e un bersaglio che la riceve; gli effetti di cromatismo si an-
corano a zone ben definite dello spazio, circoscrivendo la lu-
ce su plaghe localizzate; gli effetti di diffusione materica costi-
tuiscono infine una forma di occupazione dello spazio resa per-
cepibile attraverso la luce.
In termini semiotici lo spazio viene dunque articolato
attraverso quattro stadi dell’energia luminosa, il cui fun-
zionamento è regolato dai differenti valori che assumono
due dimensioni fondamentali della luce, l’intensità e l’e-
stensione. A ogni stadio della luce corrisponde dunque
un’operazione sullo spazio.

L’illuminazione con i suoi effetti vettorializzanti adotta il mo-


do della “circolazione”; la luminosità è “puntualizzante”; il
cromatismo concorre al contrario all’“immobilizzazione” del-
la luce su zone circoscritte; la luce-materia, nella misura in cui
rileva dei modi di occupazione dello spazio, partecipa della
‘diffusione’ (pp. 41-42).

Ne consegue che la luminosità, l’illuminazione, il croma-


tismo e la diffusione materica non intervengono semplice-
mente a modificare l’articolazione delle proprietà sensibili
dello spazio, piuttosto lo modalizzano profondamente, in-
 PAOLO PEVERINI

scrivendo al suo interno valori e stili tensivi che ne assicu-


rano una prensione sensibile e significante da parte del
soggetto dell’enunciazione.
Sintetizza efficacemente Nicola Dusi (1995, p. 14)

è il soggetto che organizza il mondo visibile come un discorso,


in cui gli effetti della luce sullo spazio sono predicabili in forme
che vanno dalla propagazione (diffusione e circolazione) alla lo-
calizzazione (concentrazione e immobilizzazione).

Le categorie elaborate da Fontanille per l’analisi di una


semiotica del visibile divengono oggetto, nel video di No Di-
stance left to run, di una complessa strategia enunciativa che
sfrutta le diverse configurazioni dell’energia luminosa per de-
clinare in modo decisamente originale il tema dello svela-
mento del dispositivo filmico e degli effetti che esso produce
sul legame fiduciario tra la star e il suo pubblico.
Nelle prime inquadrature del video la luce che si insi-
nua lentamente nell’oscurità, svelando parzialmente diversi
ambienti come l’ingresso, la cucina, il soggiorno, agisce
esplicitamente come una forma di occupazione di uno spa-
zio indistinto, si tratta dunque di una luce-materia, che
“amplifica la circolazione dell’energia luminosa, moltipli-
candone le direzioni possibili, per rendere percepibile (vi-
sibile, palpabile…) l’occupazione materiale dello spazio”
(Fontanille 1995, pp. 44-45).
Questo stadio luminoso “rivela la presenza di spessori,
volumi, superfici e testure, in uno spazio che appare intuiti-
vamente come un contenitore, occupato da un contenuto che
si svela alla luce” (pp. 34-35).
La diffusione materica porta alla luce linee, figure, ma
non interviene mai a rivelare compiutamente un’articolazio-
ne dettagliata dello spazio, limitandosi piuttosto a suggerire
allo sguardo la presenza di zone più o meno indistinte. Ciò
che questo effetto svela allo spettatore, al di là della compo-
sizione delle figure portate alla luce, è innanzitutto la presen-
za del fascio luminoso stesso, che si manifesta nel testo sotto
forma di un soggetto rivelatore, penetratore, modellatore.
UNA NOTTE DIETRO LE QUINTE 

Nel video questa luce-materia rinvia dunque a un’inten-


zionalità dello svelamento. La direzione e i movimenti del fa-
scio luminoso tradiscono la presenza di un soggetto osservato-
re, che appare distintamente in alcune inquadrature successi-
ve, sotto forma di una piccola troupe cinematografica incari-
cata di spiare discretamente il sonno dei musicisti.
Sin dalle prime inquadrature No Distance left to run ri-
chiama dunque l’attenzione dello spettatore sull’apparato
dell’enunciazione, mettendo in scena, seppur parzialmente,
alcune fasi della sua lavorazione.
La luce costituisce dunque un dispositivo dell’enunciazio-
ne fondamentale in questa messa in scena dello svelamento. I
movimenti e l’intensità del raggio luminoso regolano infatti
tempi e modi della prensione delle figure, inscrivendo nel te-
sto un percorso della visione il cui vero oggetto di valore non
sono gli ambienti della casa, ma i corpi di chi la abita.
Sotto l’azione del diffusore luminoso e delle piccole tele-
camere digitali le sembianze dei quattro musicisti cambiano
aspetto: l’iconografia fortemente codificata della star musica-
le viene completamente stravolta dall’intervento di questa lu-
ce-materia che insiste sui corpi indifesi, agendo come un effi-
cace dispositivo di risemantizzazione.
L’alternanza continua di luci e ombre, la bassa definizione
delle immagini, i colori fortemente desaturati rivestono i det-
tagli anatomici delle figure umane di un’opacità diffusa, sot-
traendole a una visione piena, per indurre a un modo della
prensione fortemente sinestesico.

Fig. 26. Blur, No Distance left to run.


 PAOLO PEVERINI

Fig. 27. Blur, No Distance left to run.

Precisa Fontanille (pp. 36-37):

la luce-materia permette l’intervento di altri modi della rice-


zione nel mondo visibile, in particolare il modo tattile (…).
Questa combinazione dell’ottico e del tattile che Deleuze defi-
nisce aptico, appartiene sempre al visibile, cioè al mondo della
luce. Di conseguenza non è la sensazione tattile che provoca
degli effetti materici, ma sono gli effetti prodotti sulla materia
dalla luce, che invitano a un percorso tattile dello spazio.

Questa visione tattile viene indotta nello spettatore


dalla luce-materia, che interviene sullo spazio ridefinen-
done completamente la profondità. Il fascio di luce infat-
ti non marca mai esplicitamente la distanza che separa la
fonte dell’intensità luminosa dal suo bersaglio, poiché “i
piani si sovrappongono come spessori in rapporto all’os-
servatore, ma non si può dire che si allontanino da lui”
(ib.).
La diffusione materica, portando alla luce uno spazio
nascosto, inscrive sulla sua superficie un percorso della vi-
sione orientato, uno sguardo ravvicinato, che prelude a una
forma di interazione tra il corpo del soggetto che osserva e
il mondo visibile che gli si rivela1.
Se dunque questa luce diffusa, morbida, leggermente
vibrante, rileva di un’intenzionalità enunciativa, essa mira
innanzitutto a ridefinire il legame tra star e pubblico coin-
volgendo lo spettatore del video in un percorso di avvici-
UNA NOTTE DIETRO LE QUINTE 

namento progressivo agli aspetti più intimi, ai dettagli na-


scosti dei performer.
In questo senso la luce-materia, “rimodellando” i corpi,
agisce come un efficace dispositivo di trasformazione delle
identità dei soggetti inscritti nel testo, “caricandosi” al
tempo stesso di un valore veridittivo.
Com’è noto, Greimas descrive la “verità” come un effet-
to di senso la cui produzione corrisponde all’esercizio da
parte dell’enunciatore di un fare cognitivo particolare, un far
apparire vero, definito come fare persuasivo. La verità, dun-
que, non è che un simulacro prodotto dal discorso, il risulta-
to di una dialettica tra il fare persuasivo dell’enunciatore e il
fare interpretativo esercitato dall’enunciatario.
Nel video la luce in continuo movimento svela parzial-
mente ciò che di solito è nascosto allo sguardo dell’estra-
neo, il corpo della star musicale nella sua assoluta norma-
lità, nella sua spontanea naturalezza. Essa rinvia dunque a
una precisa intenzionalità persuasiva, convincere lo spetta-
tore dell’autenticità delle immagini, mostrando i soggetti
su cui si diffonde, indugia, come persone assolutamente
comuni, quasi a “portata di mano”.

Fig. 28. Blur,


No Distance
left to run.

Fig. 29. Blur,


No Distance
left to run.
 PAOLO PEVERINI

Su un piano strettamente audiovisivo questa luce-mate-


ria costituisce inoltre un importante dispositivo ritmico che
contribuisce a regolare i tempi della fruizione del video.
Il fascio luminoso si estende sulle superfici e sui corpi
senza salti bruschi e interruzioni, i movimenti che ne rego-
lano la direzione sono fluidi, in alcuni momenti quasi ral-
lentati.
Il ritmo di avanzamento della luce nello spazio è estre-
mamente dilatato, e viene reso ancora più fluido dalla se-
quenza di dissolvenze in apertura e dissolvenze al nero che
non si rendono percepibili tanto come tagli di montaggio,
quanto piuttosto come parti integranti dell’arco tensivo del
fascio luminoso. Infatti, mentre le dissolvenze in apertura
accompagnano dolcemente l’ingresso soffuso della luce
nello spazio buio, quelle in chiusura ribadiscono sempre lo
scivolamento parziale del fascio luminoso verso l’oscurità.
La combinazione tra intensità ed estensione della luce
da un lato, e transizioni dall’altro, inscrive dunque all’in-
terno del video una temporalità di riferimento, poiché lega
tra loro momenti diversi, simulando la presenza di un uni-
co piano sequenza.
Questo effetto di fluidità audiovisiva viene ulteriormen-
te rafforzato dai numerosi punti di sincronizzazione che
creano una solidarietà percettiva molto forte tra le immagi-
ni e la musica.
No Distance left to run privilegia infatti una logica inter-
na del concatenamento audiovisivo, un modo della relazio-
ne tra suono e immagine che

è concepito per rispondere a un processo organico flessibile


di sviluppo, di variazione e di crescita, che nasce dalla situa-
zione stessa e dalle sensazioni che essa ispira: la logica interna
privilegia dunque, nel flusso sonoro, le modificazioni conti-
nue e progressive, e non utilizza le cesure brusche se non
quando la situazione lo richiede (Chion 1990, p. 45).

Nel video i suoni costituiscono un vero e proprio valo-


re aggiunto, perché intervengono a punteggiare, orientare
UNA NOTTE DIETRO LE QUINTE 

la successione delle immagini. In particolare nel lavoro di


Vinterberg la musica agisce come un efficace dispositivo
di inglobamento unificante che interviene sulla colonna
video mascherando la presenza dei tagli di montaggio,
per rafforzare ulteriormente l’illusione di un unico flusso
audiovisivo.
Questa solidarietà tra suoni e immagini viene tuttavia
parzialmente infranta dall’ingresso di alcuni rumori che,
sovrapponendosi al brano musicale, rivelano la presenza di
un secondo livello audio.
Il fruscio delle lenzuola, lo sfregamento dei piedi, gli
improvvisi attacchi di tosse, gli urti involontari cui è sotto-
posta l’attrezzatura di ripresa, sono tutti rumori reali, regi-
strati in presa diretta, che rinviano nuovamente a un’inten-
zionalità enunciativa, svelando in modo esplicito il registro
commentativo del video.
La sovrapposizione dei rumori e dei suoni, la bassa de-
finizione delle immagini, l’uso della camera a mano, si se-
gnalano nel video in maniera esplicita come vere e proprie
marche stilistiche dell’estetica Dogma che fa dell’autenti-
cità dello svelamento un oggetto di valore imprescindibile,
un obiettivo programmatico.
Emerge qui, declinata in maniera assolutamente origi-
nale, la presenza di una relazione di tipo semisimbolico,
che costituisce una delle caratteristiche più rilevanti della
recente produzione di video musicali:

Verità Finzione
M.d.p. a mano M.d.p. fissa
Lo-fi Alta definizione
Monocromatismo Pluricromatismo

Il video si chiude con un’ultima inquadratura dedicata


al leader della band che si gira verso il cuscino, infastidito
dall’insistenza del fascio luminoso.
La luce ne segue per qualche istante i movimenti, poi len-
tamente si ritrae, scivolando progressivamente verso il buio.
Segue il nero.
 PAOLO PEVERINI

L’epilogo

La parte finale di No Distance left to run si apre di nuo-


vo con la divisione dello schermo in diversi riquadri. Le
immagini sono realizzate con camera a mano e mostrano il
risveglio dei quattro musicisti.
Nell’epilogo lo stile documentaristico del video viene
ulteriormente ribadito dal suono registrato in presa diretta
e dalla presenza nelle inquadrature di alcuni membri della
troupe che aprono tende e finestre, facendo irruzione nelle
stanze dei musicisti.
Una voce fuori campo, simulacro esplicito del foyer
dell’enunciazione, si rivolge direttamente ai musicisti as-
sonnati, augurando loro un buon giorno.
In particolare viene interpellato con insistenza Damon
Albarn.

Voce (fuoricampo): “Damon, puoi dirmi di cosa tratta questa


canzone?”.

Il leader della band viene inquadrato in primo piano a


tutto schermo. Immerso in una luce bianca, invadente, ine-
vitabile, sembra incapace di rispondere, sbadiglia vistosa-
mente, sforzandosi inutilmente di mantenere gli occhi
aperti. Dopo qualche secondo, con una lentezza esasperan-
te, riesce infine ad abbozzare una risposta improvvisata e
del tutto incompleta.

D. A.: “questa canzone parla di… è una canzone molto tri-


ste… è un avvertimento”.

Nell’epilogo viene definitivamente esasperato il rove-


sciamento dei cliché che caratterizza tutto l’esperimento di
No Distance left to run.
Il performer viene inesorabilmente privato di tutto il
suo appeal, costretto suo malgrado a confrontarsi con le
telecamere, con i fan, diviene protagonista assoluto di
un’intervista non convenzionale, il cui vero scopo non è
UNA NOTTE DIETRO LE QUINTE 

quello di ottenere delle risposte verosimili e banali, ma so-


lo l’imbarazzante e credibile silenzio di una star musicale
messa a nudo.

1
“Lo sguardo diviene dunque il sostituto di un corpo immaginario che
attraversa il campo del visibile, ne sposa le forme e svela l’intimità della mate-
ria” (Fontanille 1995, pp. 36-37).
Capitolo settimo
Verso nuove strategie di risemantizzazione

Manipolazione del corpo e forme della veridizione

Il trasformismo della star è un gioco sull’identità sospe-


so tra marketing e sperimentazione artistica. In termini più
strettamente semiotici può essere definito come un inter-
vento di risemantizzazione che mira a riconfigurare l’imma-
gine precostituita del performer sovrapponendo ai tratti di-
stintivi di un’identità forte, stabile, le tracce sensibili di sog-
gettività inedite, i frammenti di un’identità audiovisiva in
costante rielaborazione.
Nei videoclip la figura della star viene sottoposta a for-
me di manipolazione estremamente differenziate, sia per
quanto riguarda le tecniche impiegate che il grado di
deformazione raggiunto.
Questi interventi di manipolazione trasformano il corpo
della star in un supporto flessibile, malleabile; modifican-
done drasticamente la forma, riportano alla luce una sorta
di grado zero in cui i dettagli anatomici cedono il posto a
un livello pre-figurativo, a una materialità non ancora for-
mata e infinitamente plasmabile.
Lo scopo di questo elaborato processo di bricolage è
proporre al consumatore delle forme di identità originali
ma sufficientemente misteriose da resistere il più a lungo
possibile nella hit list delle preferenze del pubblico.
Un’identità incerta, enigmatica, può rilanciare l’ap-
peal del performer, stimolare l’iniziativa del pubblico,
rendendolo parte attiva nella ricerca di indizi rivelatori,
in un gioco consapevole dello “smascheramento” che
 PAOLO PEVERINI

sollecita forme originali di contatto tra il fan e la star,


dando vita a forme di contagio (come il tam tam mediati-
co, o il passa parola) che alimentano il fenomeno del mi-
tismo, supportando in maniera decisiva il successo com-
merciale di un album musicale.
Nei video le diverse figure della risemantizzazione del
corpo non vengono impiegate esclusivamente per restituire
al performer una nuova “pelle”, simulacro seducente di
un’identità effimera, ma sempre più spesso sono esse stesse
oggetto di una messa in scena ironica o polemica che si ap-
propria di tutto un repertorio di clichés sul look delle star
dando avvio a una vertigine autoriflessiva dagli esiti impre-
vedibili.
Per conquistare un pubblico sempre più competente nei
confronti delle strategie che assicurano l’efficacia del reality
show in tutte le sue declinazioni, informato dei retroscena e
delle dinamiche che decretano il successo di un personaggio
pubblico, l’immagine della star si rinnova radicalmente.
Il corpo patinato lascia il posto o si sovrappone alle tracce
visibili della sua stessa costruzione, innescando un complesso
gioco di specchi in cui la seduzione viene raffigurata come
valore critico. Il corpo, tanto più seducente quanto più
svelato come prodotto di un artificio, è rappresentato co-
me il risultato fragile di una dialettica ininterrotta che
coinvolge tanto il performer quanto l’intero apparato
dell’industria discografica.
Band esordienti, così come veri e propri miti musicali mi-
rano ad affermarsi e autolegittimarsi nei confronti di un pub-
blico smaliziato come figure dotate di un’identità al tempo
stesso originale e consapevole delle regole del gioco, parte
del sistema e scheggia impazzita.
In questo processo di autorappresentazione l’industria
culturale viene spesso raffigurata sotto forma di una macchi-
na infernale, un rullo compressore che travolge l’identità del-
l’autore in un processo di omologazione apparentemente
senza via di uscita.
Il rapporto conflittuale che lega il performer, l’apparato
produttivo e il pubblico lascia il segno sul corpo. Nei video
VERSO NUOVE STRATEGIE DI RISEMANTIZZAZIONE 

la manipolazione dell’identità viene spesso figurativizzata


come deformazione, la cicatrice viene esibita come segno
di ostinata distinzione e inevitabile appartenenza innescan-
do forme di veridizione paradossali in cui l’autenticità del-
la star è tanto più valorizzata quanto più esibisce la propria
contraffazione.
Se dunque l’autenticità passa sempre più per lo svela-
mento ostentato di un’estrema falsificazione, non sorpren-
de che il luogo topico in cui il corpo del performer viene
mostrato al pubblico come artificioso oggetto di consumo
sia il reparto di chirurgia plastica.
La messa in scena dell’intervento di chirurgia non mira
infatti solo a valorizzare il sex appeal della star, riducendo
o eliminando le imperfezioni del corpo, ma a innestare sul-
la sua superficie elementi estranei, frammenti che rivelano
in modo più o meno diretto i conflitti e i compromessi che
si nascondono sempre dietro un volto da copertina.
Significativamente, nei video la maggior parte delle
operazioni di chirurgia non coinvolge globalmente il corpo
della star ma si concentra nella zona del viso, figura che
esprime in modo simbolico l’identità del performer e al
tempo stesso allude come un vero e proprio simulacro al
valore commerciale ed estetico dell’album musicale.

Figg. 30-31-32-33. Madonna, Hollywood.


 PAOLO PEVERINI

Un testo esemplare in questo senso è senz’altro Hol-


lywood, un recente video realizzato da Jean Baptiste Mon-
dino per Madonna in cui la star non si limita a ironizzare
sui canoni estetici effimeri proposti dall’industria discogra-
fica e cinematografica ma ne rivendica l’uso pienamente
consapevole come efficace strumento di autopromozione.
L’icona musicale, reinterpretando in una rapida suc-
cessione tutte le trasformazioni affrontate nell’arco di
un’intera carriera, rivela progressivamente il vero volto
del successo, dal make up all’acconciatura, dallo stile
dell’abbigliamento alle infiltrazioni di silicone negli zigo-
mi e nelle labbra.

Dove hai la testa? Il vero volto di una deformazione pro-


fessionale

Nella produzione videomusicale gli interventi di chirur-


gia plastica possono spingersi decisamente oltre questi li-
miti e rivendicare in modo sempre più eclatante l’uso del
volto come strumento privilegiato di affermazione dell’i-
dentità.
La sovrapposizione della dimensione privata e dell’im-
magine pubblica del perfomer viene messa in scena ricor-
rendo a vere e proprie deformazioni in cui il logo commer-
ciale si inscrive sulla pelle trasformando il corpo in un vei-
colo di promozione.
È il caso di Where’s your head at? realizzato da Traktor
per i Basement Jaxx e premiato nel 2002 dalla MVPA (Mu-
sic Video Production Association) come miglior video nel-
la sezione musica elettronica.
L’attacco del video è decisamente originale. Le prime
inquadrature mostrano l’arrivo di un taxi nel cortile inter-
no di un edificio anonimo, le riprese sono realizzate con
camera a mano, la musica è assente, sostituita da un tappe-
to di rumori metropolitani registrato in presa diretta (mar-
tello pneumatico, clacson) che contribuisce a restituire a
questa prima sequenza un forte effetto di realtà.
VERSO NUOVE STRATEGIE DI RISEMANTIZZAZIONE 

Dal taxi scende rapidamente il manager di una band


musicale. L’uomo parla al cellulare in modo piuttosto con-
citato, la sua voce si sovrappone ai rumori di fondo, per un
istante si riesce a cogliere solo un frammento di conversa-
zione che tuttavia si rivela indispensabile per comprendere
l’argomento, il topic dell’intero video

(…) I’m meeting some guys who say they have the latest thing
in pop music (…)1.

Lo scopo del manager è scoprire l’ultima novità nell’in-


dustria discografica, un segreto custodito gelosamente al-
l’interno dell’edificio. Terminata la conversazione il prota-
gonista si avvia verso l’ingresso, dopo pochi passi sulla sua
destra un evento inaspettato interviene a turbare la realiz-
zazione del suo programma narrativo2.
Alcuni uomini in camice bianco estraggono da un fur-
gone una barella su cui giace steso un uomo che con una
mano stringe ostinatamente il manico di una chitarra elet-
trica. Il manager osserva sorpreso la scena, incapace di da-
re un senso a una patologia quanto meno ambigua.
Un punto di sincronizzazione interviene a marcare con
forza un’evoluzione, uno scarto che investe sia l’ordine de-
gli eventi narrati sia le operazioni che regolano sul versante
audiovisivo la correlazione di suoni e immagini.
Il “paziente” riesce a sollevarsi a fatica dalla barella e ri-
volge uno sguardo diretto alla camera.
In piena coincidenza con questa forma di interpellazio-
ne diretta, i rumori in sottofondono cessano bruscamente e
al loro posto si inserisce la musica. Il passaggio nell’inqua-
dratura successiva da uno spazio esterno (cortile) a uno in-
terno (corridoio dell’edificio) segnala definitivamente la
conclusione di questa prima sequenza che innesca all’inter-
no del video un movimento tensivo crescente configuran-
dosi dunque come un vero e proprio prologo.
Il corridoio dell’edificio è assolutamente asettico, mura
bianche, porte bianche, nessuna indicazione, unica presen-
za un’infermiera che stringe tra le mani uno strumento mu-
 PAOLO PEVERINI

sicale, una tastiera elettronica, rivolgendo al manager uno


sguardo curioso e insistente.
Il protagonista attraversa nervosamente l’intero corri-
doio, finalmente viene accolto da un dottore che lo invita a
entrare in uno studio.
Il medico manovra ripetutamente alcune leve che tra-
smettono al manichino di una scimmia movimenti scomposti.

Figg. 34-35-36. Basement Jaxx,


Where’s your head at?

In perfetta sincresi con il ritmo crescente del brano mu-


sicale lo scienziato simula i risultati di un misterioso esperi-
mento che permetterebbe agli animali di suonare in modo
efficace qualsiasi strumento musicale.
Il tentativo di convincere il manager che le scimmie pos-
sono essere una valida alternativa alle band pop tradizionali
sembra andare a vuoto. Non resta che coinvolgere diretta-
mente il visitatore portandolo nel laboratorio dove vengono
condotti gli esperimenti, nel backstage dell’intera operazione.
Seduto all’interno di una gabbia trasparente, il manager
osserva sempre più sorpreso un’incredibile performance
musicale.
Rispondendo a un segnale convenzionale del dottore,
alcune scimmie prendono posizione su un piccolo palco,
seguendo un ordine prestabilito afferrano degli strumenti
musicali in miniatura e iniziano a suonare.
VERSO NUOVE STRATEGIE DI RISEMANTIZZAZIONE 

Figg. 37-38-39-40. Basement Jaxx, Where’s your head at?

Nel laboratorio la performance delle scimmie si sovrap-


pone fino a coincidere con il ritmo del brano musicale; il
lip-synch perfeziona ulteriormente l’illusione di un’esecu-
zione live del singolo.
Una serie di inquadrature ristrette permette di osser-
vare da vicino i componenti di questa straordinaria for-
mazione: si tratta di esseri ibridi, veri e propri uomini-
scimmia.
Progressivamente, nel video si istituisce un parallelismo
molto stretto tra gli esperimenti pseudo-scientifici condotti
nella clinica e i tentativi talvolta grotteschi delle etichette
discografiche di costruire nuovi miti musicali, di proporre
al pubblico volti nuovi.

Fig. 41. Basement Jaxx, Where’s your head at?


 PAOLO PEVERINI

La figurativizzazione del processo di costruzione delle


star musicali si realizza infatti sotto forma di manipolazio-
ne del corpo. Le creature ibride che eseguono la perfor-
mance musicale non riproducono semplicemente i tratti
somatici di un essere umano ideale, anonimo, ma recano
sul volto le tracce esplicite di due figure profondamente
coinvolte nella realizzazione del brano musicale, i veri
componenti dei Basement Jaxx.
Ancora una volta la deformazione del corpo, inscriven-
do all’interno del testo una forma di interpellazione, un in-
vito rivolto allo spettatore competente a riconoscere e valo-
rizzare la presenza e il ruolo del performer, si rivela come
una delle figure di enunciazione enunciata più frequenti ed
efficaci nei videoclip.
A questo intervento sul piano dell’espressione corri-
sponde una trasformazione sul piano del contenuto. La
manipolazione del corpo della star permette di simulare al-
l’interno del testo un rifiuto nei confronti delle strategie
promozionali dell’industria discografica.
I performer, ridotti a fenomeni da baraccone si ribella-
no sia nei confronti dello scienziato sia nei confronti del
manager, distruggendo apparecchiature mediche e stru-
menti musicali. In questo modo il videoclip sottopone al
suo spettatore un nuovo contratto di veridizione in cui la
star musicale tenta di affermare la propria irrinunciabile
autenticità valorizzando innanzitutto la falsificazione espli-
cita della sua identità.
Il gioco di simulazioni e rivelazioni, l’alternanza conti-
nua di effetti di realtà e di finzione rientrano in una strate-
gia globale di legittimazione dell’identità della band. Nien-
te è come sembra. La stessa deformazione del volto, se da
un lato esprime il rifiuto dei musicisti nei confronti delle
regole imposte dal mercato, dall’altro è parte integrante di
una medesima strategia dell’enunciazione che mira a valo-
rizzare l’album musicale distribuendo all’interno del testo
elementi che rimandano al corredo visivo realizzato per la
promozione (composizione grafica della copertina del cd,
book, fotografie).
VERSO NUOVE STRATEGIE DI RISEMANTIZZAZIONE 

In particolare l’insistenza sulla performance delle scim-


mie, i piani di ripresa ravvicinati sulle espressioni del volto
alludono in modo esplicito alla cover del cd di Rooty, l’al-
bum dei Basement Jaxx da cui è tratto il singolo.

Fig. 42.
Basement Jaxx,
Where’s your
head at?

Come accade spesso nella produzione videomusicale


più recente, la strategia testuale del videoclip mira a man-
tenere il rapporto di fiducia tra i musicisti e il pubblico va-
lorizzando l’isotopia dominante della trasgressione sotto
forma di percorsi narrativi e configurazioni discorsive mol-
teplici (cfr. Peverini 2002).
Il tema dominante dell’artista-vittima-del-sistema viene
declinato a partire dal conflitto natura/cultura o arte/com-
mercio e messo in scena a livello discorsivo facendo ricorso
ai diversi linguaggi di cui si compone il testo audiovisivo.
Suoni, immagini, testo scritto nelle loro reciproche sovrap-
posizioni si configurano progressivamente come interventi
mirati dell’istanza dell’enunciazione, utili a orientare la
fruizione del testo e a esplicitare il grado di coinvolgimento
della star nei confronti delle dinamiche promozionali del-
l’industria discografica.
Nei video la trasgressione viene raffigurata sotto forma
di un conflitto simulato, un confronto polemico che vede
opposti solo virtualmente due soggetti distinti, in cui la
performanza della star consiste nell’acquisire la consapevo-
lezza che destinante e antisoggetto coincidono, la certezza
che il proprio programma d’azione e i limiti che ne ostaco-
 PAOLO PEVERINI

lano la realizzazione hanno origine dalla stessa figura, il


mercato discografico.
Nel video la credibilità della star si realizza dunque a
partire dalla capacità del performer di rendere visibile al
pubblico la propria consapevolezza nei confronti delle nor-
me imposte dallo star system. Il musicista, disseminando
all’interno del video tracce esplicite della sua presenza, em-
brayando continuamente il discorso di cui fa parte tenta di
richiamarsi all’interno del testo, di affermare la propria
identità, ponendosi al tempo stesso dentro e “fuori” il di-
spositivo finzionale.
Questo ricorso esplicito al registro commentativo viene
declinato spesso in modo ironico.
È il caso di El Salvador, un videoclip realizzato nel 2003
per il lancio di Vehicles and animals, album d’esordio degli
Athlete, una pop band inglese.
Nel video il classico conflitto irrisolto tra la dimensione
privata e quella pubblica della star viene figurativizzato in
modo esplicito sostituendo al volto del leader della band la
cover di un vinile che ne riproduce fedelmente i tratti.

Fig. 43. Athlete, El Salvador.

Caso esemplare di enunciazione enunciata, questo in-


tervento di deformazione costringe il performer a trasci-
narsi dietro un giradischi portatile, e a esprimere i propri
pensieri e stati d’animo manipolando l’oggetto di consumo
da lui stesso realizzato, suonando direttamente il vinile.
Lo scenario in cui si articola il percorso modale del
protagonista è un reparto di chirurgia plastica, El Salva-
dor Hospital, la cui insegna richiama in modo evidente il
titolo del singolo.
VERSO NUOVE STRATEGIE DI RISEMANTIZZAZIONE 

Il ricorso all’intervento chirurgico nel video è chiara-


mente metaforico: la clinica, infatti, è innanzitutto un luo-
go della veridizione dove si scontrano le due dimensioni
dell’essere e dell’apparire, uno spazio d’azione per un sog-
getto alla ricerca di un’identità smarrita.
La metatestualità è assolutamente esplicita e viene de-
clinata a partire da soluzioni visive originali.
Seduto nella sala d’aspetto il performer sfoglia una rivi-
sta sotto lo sguardo curioso di due figure chiaramente
“compromesse” con bisturi e liposuzioni, un bodybuilder e
un’anziana signora in tailleur.
Tra le mani del musicista scorrono alcune pubblicità
che sfruttano la sua stessa immagine e il nome della band,
Athlete, per promuovere l’ultimo modello di televisore a
schermo piatto e una rivista scandalistica dedicata alle star
della musica pop.

Figg. 44-45. Athlete, El Salvador.

Durante la visita preliminare con il chirurgo il perfor-


mer estrae il vinile dalla sua stessa testa.
Alle immagini che raffigurano in dettaglio la puntina del
giradischi si sovrappone una breve scritta, “MY LIFE”, che co-
me un embrayage enunciativo permette di simulare la presa in
carico della canzone da parte del suo interprete, richiamando
in modo esplicito la presenza del soggetto dell’enunciazione.

Figg. 46-47. Athlete, El Salvador.


 PAOLO PEVERINI

Questo testo inscrive all’interno del video un secondo


livello narrativo in cui una serie di piccole animazioni grafi-
che raffigura in modo estremamente sintetico il carico mo-
dale innescato dall’insolita deformazione del volto, un non-
poter fare che condiziona in modo assoluto sia la sfera af-
fettiva sia la realizzazione professionale: la mancanza di
amici, l’impossibilità di baciare una ragazza, le difficoltà
nel trovare un posto di lavoro…
Progressivamente l’isotopia dominante della perdita
dell’identità viene raffigurata sotto forma di una vera e
propria ossessione. Tutti gli oggetti a portata di mano ri-
mandano in modo insistente alla deformazione del volto
condizionando visibilmente la percezione dell’ambiente
esterno da parte del soggetto e innescando un andamento
ritmico crescente che prelude alla fase della performanza.
Nel video questa linea di coerenza semantica viene atti-
vata da alcune soluzioni visive che valorizzano sia la di-
mensione propriamente figurativa degli oggetti sia quella
plastica.
Il titolo di un libro, Being Yourself, uno spot televisivo
che pubblicizza una serie di prodotti di bellezza, Beauty
Kit, il corpo attraente di una donna e lo slogan “Look
pretty! Feel beautiful!”, fino agli alimenti nel vassoio por-
tato dall’infermiera in cui le forme circolari, disposte in
una progressione regolare, riproducono in una singolare
mise en abîme le caratteristiche del giradischi e del vinile,
al punto che il musicista con un gesto tipico delle perfor-
mance live simula uno scratch sui piatti facendoli ruotare
in sincresi con il ritmo del brano musicale.

Fig. 48. Athlete, El Salvador.


VERSO NUOVE STRATEGIE DI RISEMANTIZZAZIONE 

Alla star musicale non resta dunque che affrontare la


prova decisiva, sottoponendosi a un intervento di chirurgia
per “togliersi dalla testa” l’ossessione di un’immagine pub-
blica invadente.
Nella sala operatoria, sotto l’azione di un raggio laser, il
volto viene infine separato dal vinile. La sanzione del per-
corso modale del soggetto è affidata simbolicamente a uno
specchio, dispositivo fortemente codificato di enunciazio-
ne enunciata, figura della veridizione in grado di arrestare
o moltiplicare all’infinito le interferenze che coinvolgono
diversi regimi di visibilità e di conseguenza gli effetti di
senso di cui si caricano all’interno del testo (realtà/illusio-
ne; autenticità/finzione).
Sul piano visivo un’inquadratura ristretta sul volto del
performer restituisce l’intensità e la tensione che si ac-
compagnano alle fasi conclusive di un profondo conflitto
passionale che è innanzitutto uno scontro tra due iden-
tità distinte.

Fig. 49. Athlete, El Salvador.

Il musicista osserva soddisfatto la sua immagine nello


specchio, poi ruota leggermente il volto e con un effetto a
sorpresa si rende conto di essere ancora una figura piatta,
priva di spessore, una semplice illustrazione bidimensionale.
Deformazione professionale. Anche in questo si rivela in
fondo la vitalità di una forma breve, nella capacità di co-
gliere alla lettera il senso di un’espressione d’uso comune,
forzandone i limiti e facendone esplodere i possibili per-
corsi figurativi.
 PAOLO PEVERINI

Daft Punk. Un modello di identità sospeso tra sovraespo-


sizione e negazione

Il trasformismo della star, la costruzione di un’identità


“offuscata”, prodotto sempre provvisorio di un assemblag-
gio ri-creativo, sono dinamiche in costante evoluzione, fe-
nomeni comunicativi che riflettono l’andamento oscillante
dell’industria discografica e televisiva.
Nel gioco vorticoso dei rimandi intertestuali (speciali
televisivi, inediti “dietro le quinte”, interviste radiofoniche,
copertine di magazine, riviste specializzate) le tradizionali
modalità di costruzione dell’icona musicale si rinnovano
profondamente, il legame tra performer e pubblico si evol-
ve verso forme di contatto mediato sempre più avvincenti
che sfruttano anche il potenziale interattivo dei siti web
per ridurre una distanza incolmabile, per rendere il fan
protagonista consapevole di uno star text (Goodwin 1992)
in costante evoluzione.
Una delle formazioni musicali che ha praticato in ma-
niera strategica la commistione tra realtà e finzione nella
costruzione della propria immagine è senz’altro il gruppo
francese dei Daft Punk.
I due componenti della band, Thomas Bangalter e Guy-
Manuel De Homem-Christo pubblicano nel 1997 Da Funk
un album d’esordio destinato a ridisegnare profondamente
il panorama della disco music internazionale dando avvio a
una vera e propria nouvelle vague francese (Air, Cassius,
Motorbass, Dimitri From Paris, Phoenix, The Micronauts,
Impulsion, lo stesso Laurent Garnier che acquista una rin-
novata popolarità).
Sin dall’inizio i due musicisti/produttori adottano una
curiosa strategia di autopromozione: sottraendosi comple-
tamente all’attenzione dei mass-media, alimentano vertigi-
nosamente l’interesse della stampa e del pubblico per un
fenomeno musicale assolutamente misterioso, “senza vol-
to”. Mentre con l’avvento del “French touch”, la Francia, e
in particolare Parigi, riacquistano credibilità sul versante
musicale imponendosi come epicentro della nuova dance
VERSO NUOVE STRATEGIE DI RISEMANTIZZAZIONE 

music mondiale, i due Daft Punk affidano a un video-


maker indipendente di culto, Spike Jonze, la regia di uno
dei singoli di punta dell’album, Da Funk.
Generalmente nei video realizzati per la musica dance
regna la tendenza a valorizzare il corpo della star sfruttan-
do vistosi effetti speciali; al contrario, in Da Funk i due au-
tori sono del tutto assenti: il protagonista del video è infatti
una creatura ibrida, un uomo con la testa di un cane, peral-
tro realizzata non con elaborati effetti speciali ma con una
semplice maschera, segno esplicito di una messa in scena
dichiaratamente artificiale.
L’ostentazione di questa maschera assolutamente impe-
netrabile segna il trionfo dei Daft Punk, imponendo defini-
tivamente all’attenzione del pubblico, dei critici e delle ca-
se discografiche non solo una band dal sound innovativo
ma un logo spiazzante, un originale “marchio di fabbrica”.
Il videoclip, declinando in maniera originale la strategia
di costruzione di un’identità “per sottrazione”, ottiene un
successo straordinario nei palinsesti delle emittenti musicali.
Ogni mossa dell’enigmatico duo di musicisti/produttori
è accuratamente studiata; l’obiettivo è modellare la nuova
icona della musica francese costruendo progressivamente
un’identità sfaccettata. Nasce così Daft Trax (divisione de-
dicata alla musica e al management), Daft Music (etichetta
discografica che pubblica in Francia), Daft House (lo stu-
dio di registrazione parigino), Daft Arts (divisione che si
occupa delle foto e dei logo, tra cui il logo Daft Punk rica-
mato sull’album Homework, creato dallo stesso De Ho-
mem-Christo) e infine Daft Life (divisione che si occupa
della produzione di videoclip e DVD, come Daft-A Story
About Dogs, Androids, Firemen And Tomatoes).

Non amiamo farci ritrarre. In parte per perpetuare il mito


Daft Punk e in parte perché fin dall’inizio abbiamo preferito
porre maggiore importanza nella musica. A dir la verità ci
piace l’idea del duo di produttori dall’identità sconosciuta. E
poi abbiamo talmente tante maschere! Penso che l’idea delle
maschere complichi e allo stesso tempo semplifichi le cose3.
 PAOLO PEVERINI

L’operazione Daft Punk si realizza sotto forma di una


complessa strategia testuale che riconfigura radicalmente il
legame consolidato tra la valorizzazione del corpo della
star e le qualità dell’album musicale.
Nei video analizzati in precedenza, le figure della ma-
nipolazione del corpo intervengono a trasformare in mo-
do parziale o totale dei simulacri che rinviano in modo
esplicito alla figura reale della star perché ne riproducono
alcune caratteristiche note al pubblico. Questi interventi
di risemantizzazione mirano a ridurre la distanza tra il
soggetto dell’enunciazione (il performer) e le sue proie-
zioni, simulando sulla superficie del testo la presenza di
un’operazione di reinnesco (embrayage). Diversamente
nei video dei Daft Punk i dispositivi dell’enunciazione
vengono impiegati prevalentemente per mettere a distan-
za il performer, per aumentare l’effetto di un distacco in-
colmabile tra la star e i suoi simulacri (débrayage), negan-
do allo spettatore la possibilità di accedere alla dimensio-
ne veridittiva del backstage, di fare presa sulla figura con-
creta dell’autore.
Daft Punk è dunque il prodotto di una doppia opera-
zione: da un lato i performer si negano nei confronti del
pubblico come figure autentiche, dotate di una fisicità, dal-
l’altro legittimano la propria presenza moltiplicando i si-
mulacri sotto forma di maschere, tanto più seducenti ed ef-
ficaci quanto più incapaci di restituire allo sguardo dello
spettatore la vera identità della band.
Per lanciare il nuovo album Discovery, i Daft Punk
rielaborano profondamente la propria immagine, dando
vita a una forma di identità collettiva che esprime un
equilibrio perfetto tra la ripetizione e l’innovazione.
Sfruttando i circuiti distributivi di un imponente ap-
parato promozionale, il duo francese fa diramare in tutto
il mondo un comunicato stampa ufficiale, secondo cui il
9 settembre del 1999, in seguito all’esplosione di un cam-
pionatore nel loro studio di registrazione, i vecchi Daft
Punk sarebbero “morti”, per risorgere successivamente
sotto nuove vesti, quelle di due veri e propri robot.
VERSO NUOVE STRATEGIE DI RISEMANTIZZAZIONE 

Fig. 50. Daft Punk.

Come per Bowie, anche in questo caso l’uscita dell’al-


bum viene accompagnata da una profonda trasformazione
dell’identità del performer, secondo una strategia promo-
zionale che sfrutta il rinnovamento del look per marcare
un’evoluzione che riguarda innanzitutto lo stile musicale.
Discovery è infatti il risultato sorprendente della riela-
borazione in chiave moderna di sonorità tipicamente an-
ni Settanta. I ritmi e le melodie selezionati sono comple-
tamente stravolti mediante l’ausilio di un numero incre-
dibile di filtri ed effetti4. L’album è il risultato di un sin-
cretismo di generi fortemente codificati, house music,
electro-dance, funky. Questa pratica di ricombinazione
non si esercita esclusivamente sulla componente musica-
le ma si estende all’intero progetto Discovery.

Fig. 51. Daft Punk.


 PAOLO PEVERINI

I Daft Punk affidano la realizzazione dei due video-


clip dell’album One more time e Aerodynamic a un guru
dei manga giapponesi, Leiji Matsumoto, autore di classi-
ci dell’animazione degli anni Settanta come Capitan Har-
lock e Galaxy Express 999.
I due video di Discovery sono completamente animati
e sfruttano la forza evocativa dei disegni per valorizzare i
due singoli.
L’esibizione delle maschere, il gioco raffinato sull’iden-
tità ritornano in entrambi i video, primi episodi di Interstel-
la 5555. The Story of the Secret Star System, una micro saga
che narra il tentativo di rapimento di una band di musicisti
alieni da parte di un produttore discografico senza scrupoli.
Nei video riflessività e intertestualità si compenetra-
no, ogni personaggio rievoca in modo esplicito i protago-
nisti della serie Capitan Harlock, che qui impugnano del-
le chitarre come se fossero armi laser. Il batterista somi-
glia a Toshiro, braccio destro di Capitan Harlock, i tratti
grafici del chitarrista, leader della band, richiamano di-
rettamente la figura del protagonista di un’animazione
del 1972, La Corazzata dello spazio, il personaggio fem-
minile sembra infine provenire direttamente dalla serie
Galaxy Express 999.

Fig. 52. Daft Punk.


VERSO NUOVE STRATEGIE DI RISEMANTIZZAZIONE 

Per alimentare sul mercato discografico e videomusicale il


culto per un’identità trasformista, in continua evoluzione, ga-
ranzia di una produzione musicale raffinata, i Daft Punk non
esitano a indossare le nuove divise da robot in tutte le uscite
pubbliche: interviste, esibizioni live, reportage fotografici.
In questa complessa pratica del travestimento la ma-
schera assolve pienamente la sua funzione simbolica. Come
lo specchio, essa si rivela infatti un agente trasformatore,
un dispositivo della veridizione in grado di riconfigurare il
legame tra la star e il pubblico agendo al tempo stesso co-
me una figura-rinvio che moltiplica l’identità pubblica del
performer legandola alle icone dell’immaginario giovanile
(l’universo dei supereroi) e come una figura-schermo, “og-
getto magico” inamovibile, garanzia per il soggetto di un’i-
dentità inviolabile.

Gorillaz. L’appeal irresistibile di un’identità multiformato

Il fenomeno audiovisivo per eccellenza che ha sfruttato


la co-presenza di linguaggi e media differenti per imporre
sul mercato un modello assolutamente inedito di identità
musicale è la band dei Gorillaz.

Fig. 53. Gorillaz.


 PAOLO PEVERINI

Un team di produttori all’avanguardia, formato da


Dan The Automator Nakamura, Kid Koala e Del Tha
Funkee Homosapien, ha supervisionato un’operazione
del tutto originale: trasformare un gruppo di musicisti
(Damon Albarn dei Blur, Miho Hatori delle Cibo Matto,
Tina Weymouth, Chris Frantz di Tom Tom), in una band
“virtuale” i cui componenti hanno nomi e identità da fu-
metti.
2D, il leader della band (“alter ego” di Damon Al-
barn), è un cantante con le orbite scavate e un look
punk; Murdoc, il chitarrista, si presenta come un agguer-
rito cultore di riti satanici; Russell (“alter ego” di Dan
The Automator Nakamura) è un batterista dal fisico
massiccio posseduto dallo spirito di un rapper chiamato
Del; Noodle, la bassista, è una principessa giapponese di
undici anni.
La caratterizzazione grafica della band è stata realizzata
da Jamie Hewlett, il noto creatore del fumetto di culto
Tank Girl.
Con il progetto Gorillaz l’unione di scopi commerciali e
sperimentazione artistica giunge a una svolta: per la prima
volta l’immagine di una band debutta sul mercato sfruttan-
do pienamente la strategia del multiformato. I quattro per-
sonaggi-alter ego si impongono all’attenzione del pubblico
e della critica utilizzando la convergenza di mezzi di comu-
nicazione e linguaggi diversi.
Il collettivo Gorillaz esibisce sin dall’inizio un’identità
complessa, fortemente dinamica. Le avventure dei quat-
tro musicisti si evolvono sfruttando in modo trasversale la
televisione (i video realizzati in occasione dell’uscita del-
l’album sono tre), la stampa (nelle interviste rilasciate dal-
la band sono rigorosamente inclusi i disegni dei quattro
personaggi), ma soprattutto i siti web (nel sito ufficiale
www.gorillaz.com, viene “rivelato” al pubblico il rifugio
segreto della band, particolarmente ricco di news e mate-
riali extra).
VERSO NUOVE STRATEGIE DI RISEMANTIZZAZIONE 

Fig. 54. Gorillaz.

Il controllo sull’immagine Gorillaz è totale, ogni uscita


pubblica del gruppo mira a costruire uno scenario virtuale,
fortemente strutturato, un macro-testo multimediale che
progressivamente assume le sembianze di un unico scena-
rio sincretico, in cui vengono ridefiniti i tradizionali confini
che separano forme testuali differenti.
2D, Murdoc, Russell e Noodle “vivono” in un ambiente
complesso e in continua evoluzione, alimentandosi dell’at-
tenzione dei media che essi stessi suscitano.
Il sito in particolare rappresenta in modo esemplare que-
sta strategia della convergenza, agendo come una sorta di
macro-contenitore delle avventure della band (completamen-
te realizzato in Flash™), all’interno del quale vengono esibiti
video, interviste, speciali radiofonici, inediti back stage.
Con i Gorillaz la linea di confine tra realtà e finzione
viene definitivamente offuscata, il corpo della star viene
sottoposto a un intervento di manipolazione che riduce i
volumi a figure, l’icona di una pop star come Damon Al-
barn a una silhouette caricaturale a due dimensioni (2D)
che mantiene solo alcuni tratti dell’originale: la voce, il ta-
glio dei capelli, gli zigomi.
 PAOLO PEVERINI

Fig. 55. Gorillaz.

L’intento è quello di togliere dalla circolazione una formula tri-


ta e ritrita. Ovvero quella della band composta da cinque ra-
gazze o da cinque ragazzi che sanno fare le capriole in aria e
che sembrano dei modelli da passerella. È un abuso, uno sfrut-
tamento… stanno “usando” questi ragazzi: A1, Hear’Say, Spice
Girls, tutti loro vengono manipolati… non ho niente contro di
loro, ma questa forma di abuso deve finire una volta per tutte.
Un bel giorno si sentiranno dire che ormai sono troppo vecchi
per continuare ad esistere, magari perché dietro l’angolo c’è un
nuovo gruppo che è più bello e che suona meglio di loro, allora
verranno abbandonati come fossero spazzatura

Gorillaz tuttavia non è una semplice operazione com-


merciale, ma il risultato, musicalmente valido, di una speri-
mentazione artistica e tecnologica.
Il carattere fortemente sincretico di questa identità col-
lettiva si riflette nelle sonorità dell’album. La matrice
black degli arrangiamenti si fonde efficacemente con la vo-
ce di Damon Albarn (Tomorrow comes today), la combina-
zione insolita di sintetizzatori e tastiere vintage rende par-
ticolarmente coinvolgenti i loop di Dan The Automator
(Double Bass).
I generi musicali di riferimento dell’album, indie-pop e
hip-hop da un lato sono chiaramente riconoscibili, dall’al-
VERSO NUOVE STRATEGIE DI RISEMANTIZZAZIONE 

tro si contaminano reciprocamente. Se in alcuni passaggi si


ha la sensazione di cogliere le influenze e lo stile di ciascu-
no dei quattro artisti, complessivamente Gorillaz non può
essere assimilato a un album dei Blur, delle Cibo Matto, di
Tom Tom Club o Dan The Automator.

Fig. 56. Gorillaz.

Con Gorillaz le tradizionali strategie di costruzione del-


l’identità della star si rinnovano profondamente. Nel con-
fronto con i nuovi scenari della comunicazione multime-
diale i videoclip dimostrano una straordinaria capacità di
adattamento, esibendo la propria natura di micro-testi ibri-
di si rivelano ancora una volta come luoghi strategici di un
riciclaggio creativo, forme brevi la cui efficacia è vincolata
a un trasformismo irrimediabilmente “schizofrenico”5.

1
“(…) Vado a un appuntamento con alcuni ragazzi che sostengono di
aver trovato l’ultima novità nell’ambito della musica pop (…)”.
2
Programma narrativo: successione di stati e di trasformazioni in un rac-
conto. I testi narrativi, indipendentemente dalla sostanza dell’espressione (ver-
bale, visiva, sonora) possiedono un’architettura complessa di programmi nar-
rativi che possono essere reiterati (es. una catena di fallimenti che sfocia nel
 PAOLO PEVERINI

successo finale), inseriti l’uno nell’altro (un programma può essere interrotto
temporanemante o definitivamente da un altro programma), gerarchizzati (per
realizzare un programma narrativo di base come la lotta contro l’anti-soggetto
il soggetto deve superare un programma narrativo preliminare, detto d’uso,
come ad esempio l’acquisizione dell’oggetto magico). La griglia culturale di
lettura dei racconto contribuisce a inquadrare i diversi programmi narrativi al-
l’interno di uno schema canonico generale che ne ordina la successione e ne
definisce le finalità, lo schema narrativo canonico (Bertrand 2002).
3
Dichiarazione ufficiale rilasciata dalla band
4
Da qui il termine Filter House che designa la scena musicale house
francese.
5
La sperimentazione sull’ibridazione del linguaggio, unitamente all’esi-
genza delle case discografiche e delle emittenti televisive di rinnovare costan-
temente le proprie strategie di marketing, sono alla base del tentativo recente
di elaborare nuove forme di testualità promozionale.
A partire dal primo settembre 2000, MTV ha iniziato a programmare una
piccola selezione di “webeo” (web + video), forme brevi nate dalla contami-
nazione reciproca di linguaggio audiovisivo e multimediale. Diversamente dai
video tradizionali, questi micro testi promozionali sono ideati e realizzati
esclusivamente per il web, utilizzando riprese dal vero, grafica e animazione.
L’obiettivo principale delle società di produzione impegnate nella realizza-
zione dei webeo (Fullerene Production, Sudden Industries) è proporre un’al-
ternativa valida alle tradizionali modalità di fruizione dei videoclip sulla rete.
Gli autori dei webeo (anche noti come music digitals) considerano queste
forme brevi una sorta di controparte multimediale dello standard di compres-
sione MP3 che ha completamente rivoluzionato la diffusione e lo scambio di
musica sulla rete. I webeo sfruttano un grado minimo di interattività per ri-
durre ulteriormente la distanza che separa il performer dal pubblico; le forme
di manipolazione del corpo della star sono in parte gestibili direttamente dal-
l’utente che muovendo il mouse può scegliere tra un repertorio limitato di
possibili effetti grafici. Ad esempio nel video di I’ve seen it all realizzato da
Floria Sigismondi per Björk, gli spettatori possono intervenire alterando l’au-
dio originale del brano musicale, o modificare la sequenza dei movimenti del-
la cantante islandese, rielaborando completamente i colori della pelle e le im-
magini utilizzate per lo sfondo.
Per concludere

Al termine di questa riflessione sulle strategie testuali del


videoclip può essere utile recuperare la dimensione diacro-
nica del fenomeno, sintetizzare l’evoluzione di queste forme
brevi individuando alcune fasi di un percorso di sperimenta-
zione che ha impiegato le figure dell’enunciazione audiovisi-
va come dispositivi essenziali di valorizzazione della star.
Lo schema proposto non ha la pretesa di ricostruire
fedelmente la storia del videoclip, ma mira unicamente a
indicare le linee evolutive di una tendenza all’utilizzo di
forme dell’enunciazione sempre più complesse e raffina-
te, a prescindere dalle distinzioni dei generi musicali e
dai tentativi di classificazione della forma-videoclip.
Sebbene la dimensione metatestuale sia riscontrabile in
alcuni videoclip realizzati fin dalle origini di questa forma
breve (un testo esemplare in questo senso è Space Oddity
del 1972, in cui David Bowie nei panni del suo alter ego
Ziggy Stardust si esibisce all’interno di uno studio di regi-
strazione), l’utilizzo consapevole delle figure dell’enuncia-
zione si è imposto con regolarità solo progressivamente, al
punto da raggiungere lo stadio attuale in cui alla standar-
dizzazione e all’usura di formule sperimentate nel corso
degli anni si alternano soluzioni espressive originali.

1. 2. 3. 4.

Messa in scena Manipolazione Messa in scena Messa in scena


del corpo del corpo della manipola- dei simulacri
zione del corpo del corpo
 PAOLO PEVERINI

1. La messa in scena del corpo

Nella prima fase le forme del videoclip sono fortemente


condizionate dall’esigenza di garantire al performer un’im-
magine da esibire nei confronti del pubblico. La figura del-
la star è oggetto di una messa in scena che sfrutta in modo
limitato le potenzialità del linguaggio audiovisivo; il corpo
viene esibito spesso con l’unica intenzione di assicurare al
performer una riconoscibilità.
All’interno dei testi la dimensione riflessiva è dunque
assolutamente relativa, limitata a forme canoniche di enun-
ciazione enunciata, formule elementari come gli sguardi in
camera o il lip synch.
L’imperativo è legittimare il performer associando la
sua immagine all’esecuzione del brano musicale. Allo sco-
po di restituire una spettacolarità alle performance ripro-
dotte nel piccolo schermo si afferma rapidamente la ten-
denza a combinare l’insistenza dei piani di ripresa sul cor-
po della star con il ricorso a scenari esotici o location stra-
vaganti. Nel video di Like a Virgin (1984) il look trasgressi-
vo di Madonna viene associato alla città di Venezia, mentre
in Save a prayer (1982) i panorami dell’isola di Goa fanno
da sfondo alla performance delle nuove star in ascesa del
pop inglese, i Duran Duran.

2. La manipolazione del corpo

Nella seconda fase il videoclip acquisisce progressiva-


mente una legittimità nell’ambito della produzione audio-
visiva. L’uso sempre più consapevole del linguaggio, la ca-
pacità di dare forma in modo efficace al ritmo e alla melo-
dia del brano musicale, le abitudini di consumo di un
pubblico abituato ai palinsesti delle emittenti televisive
musicali si riflettono nell’impiego di forme originali di me-
tatestualità.
La manipolazione del corpo si afferma come una delle
figure di enunciazione enunciata che assicurano al video-
PER CONCLUDERE 

clip la capacità di darsi a vedere nei confronti del proprio


pubblico come testo promozionale. Gli effetti speciali im-
piegati per modificare la figura del corpo svelano in modo
più o meno esplicito le fasi di un processo di risemantizza-
zione che mira a trasformare il musicista in un’icona.
Il morphing è una figura esemplare di questo genere di
deformazione perché non si limita a riconfigurare in modo
puntuale il corpo della star, sovrapponendo al volto del
performer dei tratti che rinviano a una soggettività estranea,
ma mostra il dispiegarsi del percorso di risemantizzazione, la
sua dimensione propriamente durativa, in altri termini l’evo-
luzione in corso di un’identità flessibile, modulabile.
Il celebre videoclip di Black or white (1991) si conclu-
de con un lungo piano sequenza in cui Michael Jackson si
“appropria” del morphing, trasformandosi di volta in vol-
ta in uomini e donne appartenenti a razze diverse e rin-
viando in modo esplicito alle polemiche sulla sua apparte-
nenza etnica.
Recentemente anche un intero video di Björk, Hunter
(1998), è stato realizzato con la tecnica del morphing. Nel
videoclip il tema del conflitto insanabile tra natura e cultu-
ra, autenticità e finzione viene figurativizzato sotto forma
di un processo di deformazione che agisce sul corpo e sul-
l’identità della cantante islandese, trasformando progressi-
vamente Björk in una figura ibrida, un orso metallico di-
chiaratamente artificiale, autenticamente falso.

3. La messa in scena della manipolazione del corpo

Con la terza fase la dimensione propriamente metalin-


guistica si carica esplicitamente di una funzione veridittiva.
La star si pone nei confronti del proprio pubblico non
più semplicemente come una figura autentica, ma come il
prodotto di un processo di falsificazione tanto più credibi-
le quanto più esplicito. Alla messa in scena della manipola-
zione del corpo si accompagna una ricerca esasperata degli
effetti di realtà e di finzione.
 PAOLO PEVERINI

La performance musicale è inquadrata all’interno di un


dispositivo finzionale che sfrutta l’alternanza di débrayage
ed embrayage per richiamare costantemente l’attenzione
dello spettatore sulle due dimensioni dell’essere e dell’ap-
parire.
Questa strategia testuale è rappresentata in modo esem-
plare in Windowlicker (1999) un videoclip di grande suc-
cesso realizzato da Chris Cunningham per Aphex Twin.
Ancora una volta il video mette in scena il tema ricor-
rente della perdita dell’identità facendo ricorso a una stra-
tegia dell’enunciazione che consiste nel deformare in modo
plateale il volto del performer per innestarlo direttamente
sul corpo di soggetti differenti, donne, uomini, bambini.
Questo débrayage enunciazionale apparentemente senza fi-
ne si riverbera sull’asse comunicativo video/spettatore fi-
gurativizzando in modo ironico la relazione asimmetrica
che lega la star ai suoi fan, attante collettivo e vittima con-
sapevole di una passione contagiosa.

4. La messa in scena dei simulacri del corpo

Il processo di simulazione crescente innescato all’inter-


no del testo dalla moltiplicazione delle figure-rinvio del
performer raggiunge un livello di saturazione: il corpo del-
la star viene cancellato e sostituito parzialmente o total-
mente da uno o più simulacri, proiezioni di una fisicità tan-
to più valorizzata quanto più virtuale, inaccessibile.
La quarta fase arresta e al tempo stesso riapre poten-
zialmente la progressione dei simulacri dell’enunciazione,
contribuendo a produrre configurazioni metatestuali sem-
pre più complesse in cui il gioco della veridizione si esten-
de anche alla dimensione live della performance.
È quanto avviene durante il tour dei concerti program-
mato per l’uscita pubblica dei Gorillaz. L’ambiguità che
coinvolge l’intero apparato enunciativo si riflette diretta-
mente nello spazio del palcoscenico e nelle sue articolazio-
ni interne, riproducendo la strategia testuale del videoclip.
PER CONCLUDERE 

Lo spazio in primo piano, tradizionalmente occupato


dai musicisti e dagli strumenti, ospita una serie di schermi
all’interno dei quali scorrono immagini di vj set e fram-
menti di videoclip che vedono come protagonisti gli alter
ego della band, mentre i veri componenti del gruppo, pur
al centro della scena, sono nascosti alla vista del pubblico
da un velo che restituisce unicamente le loro ombre.
In questo rovesciamento paradossale in cui la musica
viene eseguita in uno spazio inaccessibile, e il backstage ri-
prodotto dal vivo su un palco, la forma videoclip raggiunge
uno snodo fondamentale: riappropriandosi del dispositivo
scenico del concerto continua a reclamare il nostro sguar-
do, rincorrendo davanti ai nostri occhi un embrayage dagli
esiti imprevedibili.
Bibliografia

Nel testo, l’anno che accompagna i rinvii bibliografici secondo il sistema


autore-data è sempre quello dell’edizione in lingua originale, mentre i ri-
mandi ai numeri di pagina si riferiscono sempre alla traduzione italiana,
qualora negli estremi bibliografici qui sotto riportati vi si faccia esplicito
riferimento.

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fuori serie.
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Stampato per conto della casa editrice Meltemi
nel mese di aprile 2004
presso Arti Grafiche La Moderna, Roma
Impaginazione Studio Agostini

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