Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
INDICE
A Leopoldo Lugones
pag.11 A LEOPOLDO LUGONES
EI hacedor
pag.15 L'ARTEFICE
Dreamtigers
pag.20 DREAMTIGERS
Dilogo sobre un dialogo
pag.22 DIALOGO SU DI UN DIALOGO
Las uas
pag.25 LE UNGHIE
Los espejos velados
pag.27 GLI SPECCHI VELATI
Argumentllm ornithologicum
pag.31 ARGUMENTUM ORNITHOLOGICUM
EI cautivo
pag.33 IL PRIGIONIERO
EI simulacro
pag.37 IL SIMULACRO
El otro tigre
pag.131 L'ALTRA TIGRE
Blind Pew
pag.135 BLIND PEW
Alusin a una sombra de mil ochocientos noventa y tantos
pag.137 ALLUSIONE A UN'OMBRA DEL MILLEOTTOCENTONOVANTA E ROTTI
Alusin a la muerte del coronel Francisco Borges (1833-1874)
pag.139 ALLUSIONE ALLA MORTE DEL COLONNELLO FRANCISCO BORGES (1833-1874)
In memoriam A.R.
pag.141 IN MEMORIAM A.R.
Los Borges
pag.147 I BORGES
A Luis de Camoens
pag.149 A LUIS DE CAMOENS
Mil novecientos veintitantos
pag.151 MILLENOVECENTOVENTI E ROTTI
Oda compuesta en 1960
pag.153 ODE COMPOSTA NEL 1960
Ariosto y los rabes
pag.157 ARIOSTO E GLI ARABI
Al iniciar el estudio de la gramtica anglosajona
pag.165 INIZIANDO LO STUDIO DELLA GRAMMATICA ANGLOSASSONE
Lucas, 23
pag.169 LUCA, 23
Adrogu
pag.173 ADROGU
Arte potica
pag.177 ARTE POETICA
Museo
pag.181 MUSEO
Del rigor en la ciencia
pag.181 DEL RIGORE NELLA SCIENZA
Cuarteta
pag.183 QUARTINA
Lmites
pag.185 LIMITI
EI poeta declara su nombrada
pag.187 IL POETA DICHIARA LA SUA FAMA
El enemigo generoso
pag.189 IL NEMICO GENEROSO
Le regret d'Hraclite
pag.191 LE REGRET D'HRACLITE
In memonam J.F.K..
pag.193 IN MEMONAM J.F.K..
Epilogo
pag.195 EPILOGO
pag.199 NOTA AL TESTO
pag.205 ULISSE A ITACA di Tommaso Scarano
pag.221 BIBLIOTECA ADELPHI
Il ricordo era questo. Un altro ragazzo l'aveva insultato e lui era andato da suo padre e gli
aveva raccontato l'accaduto. Questi lo aveva lasciato parlare come se non ascoltasse o non
capisse e aveva staccato dalla parete un pugnale di bronzo bello e colmo di potere, che il
bambino aveva bramato furtivamente. Ora L'aveva tra le mani e la sorpresa di possederlo
aveva annullato l'ingiuria patita, ma la voce del padre gli diceva:<< Che qualcuno sappia che
sei un uomo , e nella voce c'era un ordine. La notte accecava le strade; stretto al pugnale, nel
quale avvertiva una forza magica, scese per la ripida scarpata che circondava la casa e corse
alla riva del mare, sognando d'essere Aiace o Perseo e popolando di ferite e di battaglie
l'oscurit salmastra. Quel che cercava adesso era il sapore preciso di quel momento; il resto
non gli importava: gli insulti della sfida, lo scontro impacciato, il ritorno con la lama insanguinata.
Un altro ricordo, nel quale c'era ancora una notte e un'imminenza d'avventura, scatur da
quello. Una donna, la prima che gli offrirono gli di, l'aveva atteso nell'ombra di un ipogeo, e
lui l'aveva cercata per gallerie simili a reti di pietra e per declivi che affondavano pag.19
nell'ombra. Perch gli tornavano quei ricordi e perch gli tornavano senza amarezza, come
mera prefigurazione del presente?
Con grave stupore comprese. In questa notte dei suoi occhi mortali, nella quale adesso
discendeva, ancora una volta l'attendevano l'amore e il rischio, Ares e Afrodite, perch gi
presagiva (perch gi lo avvolgeva) un rumore di gloria e di esametri, un rumore di uomini
che difendono un tempio che gli di non salveranno e di vascelli neri che vanno per i mari in
cerca di un'isola amata, il rumore delle Odissee e delle Iliadi che era suo destino cantare e
lasciare concavemente risonanti nella memoria umana. Sappiamo queste cose, ma non quelle
che sent quando discese nell'ultima ombra.
pag.21 DREAMTIGERS
Nell'infanzia ho esercitato con fervore l'adorazione della tigre: non la tigre maculata degli
isolotti del Paran e della confusione amazzonica, ma la tigre striata, asiatica, reale, che solo
gli uomini guerrieri possono affrontare, dall'alto di una torre sopra un elefante. Spesso mi
attardavo senza fine davanti a una delle gabbie dello zoo, amavo le vaste enciclopedie e i libri
di storia naturale, per lo splendore delle loro tigri. (Mi ricordo ancora di quelle illustrazioni:
io che non riesco a ricordare senza errore la fronte o il sorriso di una donna). Pass l'infanzia,
svanirono le tigri e la mia passione, ma esse stanno ancora nei miei sogni. In quello strato
sommerso o caotico continuano a imporsi, e in questo modo: una volta addormentato, mi
distrae un sogno qualsiasi e a un tratto so che un sogno. Allora penso: que sto un sogno, un
puro svago della mia volont, e poich ho un potere illimitato produrr una tigre.
Oh, imperizia! I miei sogni non sono mai capaci di generare l'agognata fiera. La tigre appare,
s, ma smunta o svigorita, o con impure variazioni dell'aspetto, o di misura inaccettabile, o
fugace, o con qualcosa di cane o di uccello.
pag.23 DIALOGO SOPRA UN DIALOGO
A Intenti a discutere dell'immortalit, avevamo lasciato che annottasse senza accendere la
lampada. Non distinguevamo i nostri volti. Con una indifferenza e una dolcezza pi
convincenti del fervore, la voce di Macedonio Fernndez ripeteva che l'anima immortale.
Mi assicurava che la morte del corpo assolutamente insignificante e che morire dev'essere
l'vento pi trascurabile che pu accadere a un uomo. Io giocavo col coltello di Macedonio;
lo aprivo e lo chiudevo. Una fisarmonica vicina diffondeva all'infinito La Cumparsita, quella
sciocchezza tristanzuola che piace a molti, perch gli hanno fatto credere che e antica...
Proposi a Macedonio di suicidarci, per poter discutere senza essere disturbati.
Z (scherzoso) Penso che alla fine non lo abbiate fatto .
A (ormai in piena mistica) Francamente non ricordo se quella notte ci siamo suicidati .
pag.25 LE UNGHIE
Docili calze le accarezzano di giorno e scarpe di cuoio inchiodate le fortificano, ma le dita del
mio piede non vogliono saperlo. A loro non importa altro che emettere unghie: lamine
cornee, semitrasparenti ed elastiche, per difendersi - da chi? Stupide e diffidenti come
nessuno, non smettono neanche un attimo di apprestare quel tenue armamento. Rifiutano
universo ed estasi per elaborare senza fine vane punte, che brusche sforbiciate di Solingen
scorciano e tornano a scorciare. Dopo novanta giorni crepuscolari di carcere prenatale
diedero vita a quest'unica industria. Quando sar conservato nel cimitero della Recoleta, in
una dimora color cenere adorna di fiori secchi e talismani, continueranno il loro ostinato
lavorio, finch non le moderi la corruzione. Loro, e la barba sul mio viso.
pag.21 GLI SPECCHI VELATI
L'Islam afferma che il giorno inappellabile del Giudizio ogni esecutore dell'immagine di una
cosa vivente resusciter con le sue opere, e gli sar ordinato di animarle, e fallir, e sar con
esse consegnato al fuoco del castigo. Ho conosciuto da bambino questo orrore della
duplicazione o moltiplicazione spettrale della realt, ma davanti ai grandi specchi. La loro
infallibile e continua attivit, la loro persecuzione dei miei atti, la loro pantomima cosmica
erano allora qualcosa di soprannaturale fin dal calare della notte. Una delle mie ricorrenti
preghiere a Dio e al mio angelo custode era di non sognare specchi. So che li sorvegliavo con
inquietudine. Ho temuto a volte che cominciassero a divergere dalla realt altre volte di
scorgervi Il mio viso sfigurato da strane avversit. Ho appreso che quel timore seguita,
prodigiosamente, a essere nel mondo. La storia molto semplice, e sgradevole.
Verso il 1927 conobbi una ragazza malinconica: prima per telefono ( perch
Julia fu all'inizio una voce senza nome n volto), poi all'angolo di una strada, un tardo
pomeriggio. Aveva occhi talmente grandi che intimorivano, capelli corvini e lisci, un corpo
minuto. Era nipote e pronipote di federali, come io lo sono di unitari, e quell'antica discordia
del nostro pag.29
sangue era per noi un vincolo, un pi profondo possesso della patria. Viveva con i genitori in
un decrepito casone dai soffitti altissimi, nel risentimento e nella insipidezza della povert
decorosa. Di pomeriggio - raramente la sera - uscivamo a passeggiare per il suo quartiere,
Balvanera. Costeggiavamo il muro della ferrovia; percorrendo calle Sarmiento
raggiungemmo una volta le spianate del Parque Centenario. Fra noi non ci fu amore n
finzione d'amore; avvertivo in lei un'intensit del tutto estranea a quella erotica, e la temevo.
comune riferire alle donne, per stabilire una certa intimit, aspetti veri o apocrifi della
nostra infanzia; in qualche occasione dovetti raccontarle degli specchi e cos, nel 1928,
descrissi un'allucinazione che sarebbe fiorita nel 1931. Ho appena saputo che impazzita e
che nella sua camera gli specchi sono velati perch vi scorge il mio riflesso, che usurpa il suo,
e trema e tace e dice che la perseguito magicamente.
Funesta schiavit quella del mio volto, quella di uno dei miei volti antichi. Quest'odioso
destino delle mie fattezze deve rendere odioso anche me, ma ormai non me ne importa.
pag.31 ARGUMENTUM ORNITHOLOGICUM
Chiudo gli occhi e vedo uno stormo di uccelli. La visione dura un secondo o forse meno; non
so quanti uccelli ho visto. Era definito o indefinito il loro numero? Il problema implica quello
dell'esistenza di Dio. Se Dio esiste, quel numero e definito, perch Dio sa quanti uccelli ho
visto. Se Dio non esiste, quel numero indefinito, perch nessuno ha potuto contarli. In
questo caso, ho visto meno di dieci uccelli (diciamo) e pi di uno, ma non nove, otto, sette,
sei, cinque, quattro, tre o due uccelli. Ne ho visti un numero fra dieci e uno, un numero che
non nove, n otto, n sette, n sei. n cinque, eccetera. Questo numero intero
inconcepibile; ergo, Dio esiste.
pag.33 IL PRIGIONIERO
Raccontano la storia a Junn o a Tapalqun. Un bambino scomparve dopo una scorreria; si
disse che lo avevano rapito gli indios. I genitori lo cercarono invano; anni dopo, un soldato
che veniva dall'entroterra rifer di un indio dagli occhi celesti che poteva essere proprio il loro
figlio. Alla fine lo trovarono (la cronaca ha smarrito i dettagli e io non voglio inventare ci
che non so) e credettero di riconoscerlo. l'uomo, segnato dal deserto e dalla vita barbara, non
intendeva pi le parole della lingua materna, ma si lasci condurre, indifferente e docile, fino
alla casa. L si ferm, forse perch anche gli altri si era no fermati. Guard la porta, come se
non capisse cosa fosse. Di colpo abbass la testa, grid, attravers di corsa I'androne e i due
ampi cortili ed entr nella cucina. Senza esitare, infil il braccio nella cappa fu liginosa del
camino ed estrasse il piccolo coltello dal manico di corno che vi aveva nascos to da bambino.
Gli occhi gli brillarono di gioia e i genitori piansero perch avevano ritrovato il figlio.
Forse a questo seguirono altri ricordi, ma l'Indo non poteva vivere fra quattro mura e un
giorno se ne and a cercare il suo deserto. Vorrei sapere cosa sent in quell'istante di vertigine
in cui passato e presente pag.33
si confusero; vorrei sapere se il figlio perduto rinacque e mor in quellestasi o se riusc a
riconoscere, fossanche come un bambino o come un cane, i genitori e la casa.
pag.37 IL SIMULACRO
Un giorno di luglio del 1952, l'uomo in lutto comparve in quel paesino del Chaco. Era alto,
magro, coi lineamenti da indio, e un volto inespressivo da idiota o da maschera; la gente lo
trattava con deferenza, non per lui, ma per quello che rappresentava o gi era. Scelse una
capanna nei pressi del fiume; con l'aiuto di alcune vicine sistem un tavolato su due cavalletti
e vi mise sopra una scatola di cartone con dentro una bambola dai capelli biondi. Poi accesero
quattro candele su alti candelieri e tutt'intorno disposero fiori. La gente non tard ad
accorrere. Vecchie sconsolate, ragazzi attoniti contadini che si toglievano con rispetto il
copricapo di sughero sfilavano davanti alla scatola ripetendo: le mie pi sincere
condoglianze, generale . Questi, molto compunto, li riceveva all'estremit del tavolo, con le
mani incrociate sul ventre, come una donna incinta. Allungava la destra per stringere la mano
che gli porgevano e rispondeva con dignit e rassegnazione: Era destino. stato fatto
quanto era umanamente possibile . Una cassetta di latta riceveva l'offerta di due pesos e a
molti non bast venire una volta soltanto.
Che genere di uomo (mi domando) ide e mise in atto quella funebre farsa? Un fanatico uno
sventurato, un visionario o un cinico impostore? Credeva forse pag.33
di essere Pern nel suo dolente ruolo di macabro vedovo? La storia, per quanto incredibile,
accadde davvero e forse non una ma numerose volte, con atto ri diversi e con varianti locali.
Essa cifra perfetta di un'epoca irreale ed come il riflesso di un sogno o come quel dramma
nel dramma cui si assiste nell'Amleto. L'uomo in lutto non era Pern e la bambola bionda non
era sua moglie Eva Duarte, ma nemmeno Pern era Pern n Eva era Eva bens sconosciuti o
anonimi (di cui ignoriamo il nome segreto e il vero volto) che inscenarono, per il credulo
amore dei sobborghi, una volgare mitologia.
pag.41 DELIA ELENA SAN MARCO
Ci separammo, Delia, a uno degli angoli di plaza Once.
Dal marciapiede di fronte tornai a guardare; lei si era voltata e mi stava salutando con la
mano.
Un fiume di veicoli e di gente scorreva tra di noi; erano le cinque di un pomeriggio qualsiasi;
come potevo sapere che quel fiume era il triste Acheronte, I' invalicabile?
Non ci vedemmo pi e un anno dopo lei era morta.
E ora cerco quel ricordo e lo osservo e penso che era falso e che dietro quel saluto banale c'
era l' infinita separazione.
Ieri sera non sono uscito dopo cena e ho riletto, per comprendere queste cose, l'ultimo
insegnamento che Platone mette in bocca al suo maestro. Ho letto che l'anima pu fuggire
quando la carne muore.
E ora non so se la verit stia nell'infausta interpretazione successiva o
nell' innocente saluto.
Perch se le anime non muoiono, giusto che non vi sia enfasi nel loro separarsi.
Salutarsi negare la separazione, come dire: <<Oggi giochiamo a separarci ma ci
rivedremo domani . Gli uomini hanno inventano il saluto perch si sanno pag.43
in qualche modo immortali, anche se si ritengono contingenti ed effimeri.
Delia, un giorno riannoderemo sulla riva di qualche fiume?- questo dialogo incerto e ci
domanderemo se una volta, in una citt che si perdeva in una pianura, siamo stati Borges e
Delia.
pag.45 DIALOGO DI MORTI
L' uomo arriv dal sud dell'Inghilterra all'alba di un giorno d'inverno del 1877. Rossiccio,
atletico e obeso, fu inevitabile che quasi tutti lo credessero in glese, e davvero somigliava
straordinariamente all' archetipico John Bull. Portava il cilindro e un curioso mantello di lana
aperto nel mezzo. Un gruppo di uomini, di donne e di bambini lo attendeva con ansia; molti
avevano la gola segnata da una riga rossa, altri non avevano testa e procedevano timorosi e
incerti, come chi cammina nell'ombra. Andarono accerchiando il forestiero e, dal fondo,
qualcuno grid una parolaccia, ma un terrore antico li tratteneva e non ardirono di pi. Si fece
avanti un militare dalla carnagione giallognola e dagli occhi come tizzoni; i capelli arruffati e
la barba scura sembravano divorargli il volto. Dieci o dodici ferite mortali gli attraversavano
il corpo come le striature sulla pelle delle tigri. Quando lo vide, il forestiero si turb, ma poi
gli and incontro e gli tese la mano.
Che tristezza vedere un guerriero cos degno ab battuto dalle armi della perfidia! disse in
tono categorico. Ma che intima soddisfazione, anche, avere ordinato che i carnefici
purgassero le loro malefatte sul patibolo, nella plaza de la Victoria! . pag.47
Se allude a Santos Prez e ai Renaf, sappia che li ho gi ringraziati disse con lenta
gravit l'insanguinato.
L'altro lo guard come temendo una burla o una minaccia, ma Quiroga continu:
lei Rosas, non mi ha capito. E come poteva capirmi, se i nostri destini furono tanto diversi?
A lei tocc in sorte di comandare in una citt che guarda all'Europa e che sar tra le pi
famose del mondo; a me, di combattere nei deserti d America, in una terra povera, di
gauchos poveri. Il mio impero fu di lance e di grida e di arenili e di vittorie quasi segrete in
luoghi sperduti. Che titoli sono questi per il ricordo? Io vivo e continuer a vivere per lunghi
anni nella memoria della gente perch sono morto in una diligenza, in un posto chiamato
Barranca Yaco, assassinato da uomini con cavalli e spade. Devo a lei questo dono di una
morte insolita, che in quel momento non fui in grado di apprezzare, ma che le generazioni
successive non hanno voluto dimenticare. Lei certo non ignora alcune eccellenti litografie e
linteressante opera redatta da un uomo di talento di San Juan,
Rosas, che aveva recuperato la sua sicurezza lo guard sdegnosamente.
Lei un romantico sentenzi. Ladulazione dei posteri non vale pi di
quella dei contemporanei, non vale niente e che si ottiene con qualche medaglietta .
Conosco il suo modo di pensare rispose Quiroga. Nel 1852 il destino, che generoso o
che voleva metterla alla prova, le offr una morte da uomo, in battaglia. Lei si rivel indegno
di quel dono, perch lo scontro e il sangue le fecero paura .
Paura? ripet Rosas. Paura io, che ho domato puledri nel Sud e poi un intero paese? .
sempre, dalla sua consentita follia. La terza forse la pi verosimile. Ucciso l'uomo don
Chisciotte non pu ammettere che quell'atto orrende sia opera di un delirio; la realt
dell'effetto pag.55
gli fa supporre una equivalente realt della causa e don Chisciotte non uscira mai pi dalla
sua follia.
Resta un'ulteriore congettura, estranea al mondo spagnolo come a quello occidentale e che
richiede un ambito pi antico, pi complesso e travagliato. Don Chisciotte - che ormai non
pi don Chisciotte ma un re dei cicli dell'Indo stan - davanti al cadavere del nemico intuisce
che uccidere e generare sono atti divini o magici
che notoriamente trascendono la condizione umana. Sa che il morto illusorio come lo so no la spada insanguinata che gli pesa
nella mano e lui stesso e tutta la sua vita passata e i vasti di e l'universo.
pag.57 UNA ROSA GIALLA
N quella sera n la successiva mor l'illustre Giambattista Marino, che le bocche unanimi
della Fama (per usare un'immagine che gli fu cara) proclamarono il nuo vo Omero e il nuovo
Dante, ma il fatto immobile e silenzioso che accadde allora fu realmente l'ultimo della sua
vita. Carico di anni e di gloria, l'uomo moriva in un vasto letto spagnolo dalle colonne tornite.
Non difficile immaginare a qualche passo di distanza un sereno balcone che guarda a
ponente e, pi in basso, marmi e allori e un giardino che duplica le sue scalinate in un'acqua
rettangolare. Una donna ha messo in un vaso una rosa gialla; l'uomo mormora i versi
inevitabili che ormai, per dirla con sincerit, un po' annoiano anche lui:
Porpora de giardin, pompa de prati
gemma di primavera, occhio d'aprile...
Fu allora che accadde la rivelazione. Marino vide la rosa, come pot vederla Adamo in
Paradiso, e sent che essa stava nella sua eternit e non nelle sue parole e che possiamo
menzionare o alludere ma non esprimere e che gli alti e superbi volumi che in un angolo della
sala creavano una penombra d'oro non erano (come la sua vanit aveva sognato) uno
specchio pag.59
del mondo, ma una cosa in pi, che si aggiunge al mondo.
Marino ebbe questa illuminazione alla vigilia della morte, e forse lebbero anche Omero e
Dante.
pag.61 IL TESTIMONE
In una stalla, quasi all'ombra della nuova chiesa di pietra, un uomo dagli occhi grigi, e dalla
barba grigia, sdraiato tra il fetore delle bestie, umilmente cerca la morte come chi cerca il
sonno. Il giorno, fedele a vaste leggi segrete, sposta e confonde le ombre nel po vero recinto;
fuori, le terre arate e una gora piena di foglie morte e qualche orma di lupo nella fanghiglia
nera ai margini del bosco. L'uomo dorme e sogna, dimentico. II rintocco dell'Avemaria lo
sveglia. Nei regni d'Inghilterra il suono delle campane ormai costume della sera, ma l'uomo,
da bambino, ha visto il volto di Woden, l'orrore divino, e il giubilo, il rozzo idolo di legno
carico di monete romane e di pesanti vesti, il sacrificio di cavalli, cani e prigionieri. Prima
dell'alba morir e moriranno insieme a lui, e non torneranno, le ultime immagini dirette dei
riti pagani; il mondo sar un po pi povero quando questo sssone sar morto.
Fatti che popolano lo spazio e che scompaiono allorch qualcuno muore possono
meravigliarci, ma una cosa, o un numero infinito di cose, muore in ogni agonia, a meno che
non esista una memoria dell'universo, come hanno ipotizzato i teosofi. Nel tempo c stato un
giorno che spense gli ultimi occhi che videro Cristo; pag.63
la battaglia di Junn e l'amore di Elena morirono con la morte di un uomo. Cosa morir con
me quando morir, quale forma patetica o fuggevole perder il mondo? La voce di
Burlandosi pacatamente di se stesso, ide un uomo credulo che, turbato dalla lettura di cose
meravigliose, si mette alla ricerca di prodezze e incantamenti in luoghi prosaici che si
chiamano El Toboso o Montiel.
Vinto dalla realt, dalla Spagna, don Chiscotte mori nel suo villaggio natale verso il 1614.
Miguel de Cervantes gli sopravvisse di poco.
Per entrambi, il sognatore ed il sognato, quell intera trama rappresent la contrapposizione di
due mondi: il mondo irreale dei libri di cavalleria, il mondo quotidiano e ordinario del XVII
secolo.
Non sospettarono che gli anni avrebbero finito per smussare la discordia, non sospettarono
che la Mancha e Montiel e la smilza figura del cavaliere sarebbero stati, in futuro, non meno
poetici dei viaggi di Sinbad o delle vaste geografie di Ariosto.
Perch al principio della letteratura c il mito, e anche alla fine.
Clinica Devoto, gennaio 1955
pag.73 PARADISO , XXXI, 108
Diodoro Siculo riferisce la storia di un dio fatto a pezzi e disperso. Chi, camminando nel
crepuscolo o precisando una data del suo passato, non ha sentito a volte che era andata persa
una cosa infinita?
Gli uomini hanno perso un volto, un volto irrecuperabile, e tutti vorrebbero essere quel
pellegrino (sognato nell' empireo, sotto la Rosa) che vede a Roma il sudario della Veronica e
sussurra con fede: Ges Cristo, Dio mio, Dio vero, cos era, era dunque questo il tuo
volto? .
C' in una strada un volto di pietra e un' iscrizione che dice: La vera Immagine del Santo
Volto del Dio di Jan ; se sapessimo realmente come fu, avremmo la chiave delle parabole e
sapremmo se il figlio del falegname fu anche il Figlio di Dio.
Paolo lo vide come una luce che lo annient; Giovanni come il sole che risplende in tutto il
suo fulgore; Teresa di Ges, pi volte, immerso in una luce quieta, e non pot mai precisare il
colore dei suoi occhi.
Abbiamo perso quei tratti come si pu perdere un numero magico, formato da cifre abituali;
come si perde per sempre un' immagine nel caleidoscopio. Possiamo vederli e ignorarli. Il
profilo di un giudeo nella metropolitana forse quello di Cristo; le mani pag.75
che ci danno qualche moneta a uno sportello ripetono forse quelle che dei soldati, un giorno,
inchiodarono alla croce.
Forse un tratto del volto crocifisso scruta in ogni specchio; forse il volto morto, si
cancellato, perch Dio sia tutti noi.
Chiss se questa notte lo vedremo nei labirinti del sogno, senza saperlo domattina.
pag.77 PARABOLA DEL PALAZZO
Quel giorno, l'Imperatore Giallo mostr il suo palazzo al poeta. Si lasciarono alle spalle, in
lunga successione, le prime terrazze occidentali che, simili a gradinate di un anfiteatro
immenso, declinavano verso un paradiso o giardino i cui specchi di metallo e le cui intricate
siepi di ginepro gi prefiguravano il labirinto. Allegramente vi si smarrirono, dapprima come
se acconsentissero a un giuoco e poi non senza inquietudine, perch i suoi diritti viali
soffrivano di una curvatura lievissima ma continua ed erano segretamente circolari. Verso
mezzanotte, l'osservazione dei pianeti e l'opportuno sa crificio d'una tartaruga permisero loro
di liberarsi da quella regione che sembrava stregata, ma non dalla sensazione di essersi
smarriti, che li accompagn sino alla fine. Anticamere e cortili e biblioteche percorsero in
seguito e una sala esagonale con una clessidra, e una mattina scorsero da una torre un uomo
di pietra, che poi smarrirono per sempre. Molti fiumi risplendenti attraversarono in canoe di
sandalo, o molte volte un solo fiume. Sfilava il seguito imperiale e la gente si prosternava, ma
un giorno giunsero in un'isola e un uomo non lo fece, perch non aveva mai visto il Figlio del
Cielo, e il carnefice dovette decapitarlo. Nere capigliature e nere pag.79
danze e complicate maschere d'oro videro con indifferenza i loro occhi; la realt si
confondeva con il sogno, o piuttosto, la realt era una delle configurazioni del sogno.
Sembrava impossibile che la terra fosse altro che giardini, acque, architetture e forme di
splendore. Ogni cento passi una torre fendeva il cielo; per gli occhi il loro colore era identico,
ma la prima era gialla e l'ultima scarlatta, tanto delicate erano le gradazioni e lunga la
sequela.
Fu ai piedi della penultima torre che il poeta (che restava come estraneo agli spettacoli che
erano per tutti motivo di meraviglia) recit la breve composizione che oggi vincoliamo
indissolubilmente al suo nome e che, come ripetono gli storici pi raffinati, gli diede insieme
l'immortalit e la morte. Il testo andato perduto; c' chi ritiene che fosse formato da un
verso; altri da una sola parola. Quel che certo, e incredibile, che nel poema era contenuto
intero e minuzioso limmenso palazzo, con ciascuna delle sue famose porcellane e ciascun
disegno di ciascuna porcellana e le penombre e le luci dei crepuscoli e ciascun istante
sventurato o felice delle gloriose dinastie di mortali, di di e di draghi che vi avevano abitato
dall' interminabile passato. Tutti tacquero, ma l'Imperatore esclam: Mi hai rubato il
palazzo! e la spada di ferro del carnefice falci la vita del poeta.
Altri riferiscono la storia in altro modo. Nel mondo non possono esserci due cose uguali;
bast (dicono) che il poeta pronunciasse il poema perch il palazzo scomparisse, come
abolito e fulminato dall'ultima sillaba. Simili leggende non sono, naturalmente, che finzioni
letterarie. Il poeta era schiavo dell' Imperatore e mor come tale; la sua composizione cadde
nell' oblio perch meritava l' oblio e i suoi discendenti cercano ancora, e non troveranno mai,
la parola dell'universo.
pag.81 EVERYTHING AND NOTHING
In lui non cera nessuno; dietro il suo volto (che anche nelle infelici pitture dell' epoca non
assomiglia ad altri) e dietro le sue parole, che erano abbondanti, fanta stiche e agitate, non
c'era che un po' di freddo, un sogno che nessuno sogna. Allinizio credette che tutte le
persone fossero come lui, ma lo stupore di un compagno col quale aveva cominciato a
discutere di quella vacuit gli rivel il suo errore e gli fece capire, per sempre, c he un
individuo non deve differire dalla specie. Una volta pens che nei libri avrebbe trovato rimedio al suo male e cos apprese quel poco latino e quel pochissimo greco di cui avrebbe
parlato un contemporaneo; poi consider che nell'esercizio di un rito elementare dell' umanit
si trovava forse quel che andava cercando, e si lasci iniziare, nel corso di un lungo pome riggio di giugno, da Anne Hathaway. Poco pi che ventenne and a Londra. Istintivamente si
era gi addestrato a simulare di essere qualcuno, perch non si scoprisse la sua condizione di
nessuno; a Londra trov la professione alla quale era predestinato, quella dell'attore che su un
palcoscenico gioca ad essere un altro, davanti a una folla di persone che giocano a prenderlo
per quell'altro. Lattivit di istrione gli fece conoscere una felicit singolare, forse la prima
che prov; ma, acclamato l'ultimo verso e tolto dalla scena l'ultimo morto, pag.83
lo assaliva di nuovo l'odiato sapore della realt. Smetteva di essere Ferrex o Tamerlano e
tornava a essere nessuno. Incalzato, incominci a immaginare altri eroi e altre storie tragiche.
Cos, mentre il corpo compiva il suo destino di corpo, in lupanari e taverne di Londra, l'anima
che lo abitava era Cesare, che non si cura dellavvertimento dell'augure, e Giulietta, che odia
l'allodola, e Macbeth, che conversa nella landa con le streghe che sono anche le parche. Nessuno fu tanti uomini come quell'uomo, che simile all'egizio Proteo pot esaurire tutte le
apparenze dell'essere. A volte lasci in qualche angolo dell opera una confessione, sicuro
che non lavrebbero decifrata; Riccardo afferma che nell unicit della sua persona gioca il
ruolo di molti, e Iago dice con curiose parole: Non sono ci che sono . L'identit
fondamentale di esistere, sognare e rappresentare gli ispir passi famosi.
Seguit vent' anni in questa allucinazione controllata, ma una mattina lo assalirono il fastidio
e l'orrore di essere tanti re che muoiono di spada e tanti sventurati amanti che si incontrano, si
allontanano e melodiosamente agonizzano. Quello stesso giorno decise di vendere il suo
teatro. In meno di una settimana era di ritorno al suo villaggio natale, dove ritrov gli alberi e
il fiume della fanciullezza e non li colleg a quegli altri che la sua musa aveva celebrato,
illustri di allusione mitologica e di parole latine. Bisognava che fosse qualcuno; fu un
impresario in pensione che ha fatto fortuna e al quale interessano i prestiti, i litigi e la piccola
usura. Come tale, dett l'arido testamento che conosciamo, dal quale escluse deliberatamente
ogni tratto patetico o letterario. Solevano visitare il suo ritiro amici di Londra, ed egli
riassumeva per loro il ruolo di poeta.
La storia aggiunge che, prima o dopo la sua morte, seppe di essere di fro nte a Dio e gli disse:
Io, che tanti uomini sono stato invano, voglio essere uno e io . La voce di Dio gli rispose
da un turbine: Nemmeno io sono; ho sognato il mondo come tu hai sognato la tua ope ra,
mio Shakespeare, e tra le forme del mio sogno ceri tu, che come me sei molti e nessuno .
pag.85 RAGNARK
Nei sogni (scrive Coleridge) le immagini rappresentano le impressioni che riteniamo
provochino; non sentiamo orrore perch ci opprime una sfinge, so gniamo una sfinge per
spiegare l'orrore che sentiamo. Se cos, come potrebbe la semplice cronaca delle sue forme
trasmettere lo stupore, l'esaltazione, le paure, la minaccia e la gioia che hanno intessuto il
sogno di quella notte? Tenter comunque tale cronaca; forse il fatto che quel sogno consiste
di una sola scena potr annullare o mitigare l intrinseca difficolt.
Il luogo era la Facolt di Lettere e Filosofia; l' ora, il pomeriggio. Tutto (come sempre accade
nei sogni) era un po diverso; una leggera amplificazione alterava le cose. Stavamo eleggendo
autorit; io parlavo con Pedro Henrquez Urea, che nella realt della veglia morto da molti
anni. Di colpo ci stord un clamore di manifestazione o di orchestrina di ambulanti. Grida di
uomini e di bestie arrivavano dai bassifondi del porto. Una voce grid: Eccoli ! , e subito
dopo: Gli Di! Gli Di! . Quattro o cinque individui uscirono dalla turba e occuparono la
pedana dell'Aula Magna. Tutti applaudimmo, piangendo; erano gli Di che tornavano dopo
un esilio di secoli. Ingigantiti dalla pedana, la testa indietro e il petto in fuori, ricevettero
pag.87 con superbia il nostro omaggio. Uno teneva un ramo, che certo si confaceva alla
semplice botanica dei sogni; un altro, con ampio gesto, allungava una mano che era un
artiglio; una delle facce di Giano guardava con diffidenza il curvo becco di Thoth. Forse
eccitato dai nostri applausi, uno, non so pi quale, proruppe in un chiocciare vittorioso,
incredibilmente aspro, un misto di gargarismo e di fischio. Le cose da quel momento,
cambiarono.
Tutto cominci per il sospetto (forse esagerato) che gli Di non sapessero parlare. Secoli di
vita randagia e ferina avevano atrofizzato quanto avevano di umano; la luna dell' Islam e la
croce di Roma erano stati implacabili con quei profughi. Fronti molto basse, dentature gialle,
baffi radi da mulatto o da cinese e musi bestiali manifestavano la degenerazione della stirpe
olimpica. I loro abiti non si addicevano a una povert onesta e dignitosa ma al lusso abietto
delle bische e dei lupanari del porto. A un occhiello sanguinava un garofano; sotto una giacca
attillata si indovinava il rigonfiamento di un pugnale. Di colpo capimmo che giocavano la
loro ultima carta, che erano astuti, ignoranti e crudeli come vecchi animali da preda e che, se
ci fossimo lasciati prendere dalla paura o dalla piet, ci avrebbero distrutti.
Estraemmo le pesanti rivoltelle (improvvisamente ci furono rivoltelle nel sogno) e
allegramente uccidemmo gli Di.
pag.89 INFERNO , I, 32
Dal crepuscolo del giorno al crepuscolo della notte, un leopardo, negli ultimi anni del XII
secolo, vedeva delle tavole di legno, delle sbarre verticali di ferro, uomini e donne sempre
diversi, un muro e forse un canaletto di pietra con foglie secche. Non sapeva, non poteva
sapere, che agognava amore e crudelt e il caldo piacere di sbranare e il vento che sa di
selvaggina, ma qualcosa in lui soffocava e si ribellava e Dio gli parl in un sogno: Vivi e
morirai in questa prigione, affinch un uomo, che so io ti guardi un certo numero di vo lte e
non ti scordi e metta la tua immagine e il tuo simbolo in un poema che occupa un posto
preciso nella trama dell'universo. Patisci prigionia, ma avrai dato una parola al poema . Dio,
nel sogno, illumin l' ottusit dell'animale e questi comprese le ragioni e accett quel destino,
ma quando si svegli in lui non c era che un' oscura rassegnazione, una coraggiosa
ignoranza, perch la macchina del mondo troppo complessa per la semplicit di una fiera.
Anni dopo, Dante moriva a Ravenna, ingiustificato e solo come ogni altro uomo. In un sogno,
Dio gli rivel il segreto scopo della sua vita e della sua fatica; Dante, meravigliato, seppe
finalmente chi era e cosa era e benedisse le sue amarezze. La tradizione narra pag.91
che al risveglio sent di avere ricevuto e perduto una cosa infinita, qualcosa che non avrebbe
potuto recuperare, e nemmeno intravedere, perch la mac china del mondo troppo complessa
per la semplicit degli uomini.
pag.93 BORGES E IO
allaltro, a Borges, che accadono le cose. Io cammino per Buenos Aires e mi soffermo,
forse ormai meccanicamente, a osservare l'arco d' un androne e il cancello di un cortile; di
Borges ho notizie dalla posta e vedo il suo nome in una terna di professori o in un dizio nario
biografico. Mi piacciono gli orologi a sabbia, le carte geografiche, la tipografia del XVIII
secolo, le etimologie, il sapore del caff e la prosa di Stevenson; laltro condivide queste
preferenze, ma in un modo vanitoso che le trasforma in attributi d' attore. Sarebbe esagerato
affermare che fra noi c ostilit; io vivo, io mi lascio vivere, perch Borges possa tramare
la sua letteratura, e quella letteratura mi giustifica. Non mi costa nulla confessare che
riuscito a ottenere alcune pagine valide, ma quelle pagine non possono salvarmi, forse perch
ci che hanno di buono ormai non di nessuno, neppure dell' altro, ma della lingua o della
tradizione. Del resto, io sono destinato a perdermi definitivamente, e solo qualche istante di
me potr sopravvivere nell' altro. A poco a poco gli sto cedendo tutto, anche se conosco bene
la sua perversa abitudine di falsare e ingigantire. Spinoza cap che tutte le cose vogliono
perseverare nel loro essere; la pietra eternamente vuol essere pietra e la tigre una tigre. Io
pag.95 rester in Borges, non in me (ammesso che io sia qualcuno), ma mi riconosco meno
nei suoi libri che in molti altri o nel laborioso arpeggio di una chitarra. Qualche anno fa ho
cercato di liberarmi di lui passando dalle mitologie dei sobborghi ai giochi col tempo e con
linfinito, ma quei giochi ora sono di Borges e io dovr ideare altre cose. Cos la mia vita
una fuga e io perdo tutto e tutto dell' oblio, o dell'altro.
Non so chi di noi due scrive questa pagina.
pag.97 POESIA DEI DONI A Mara Esther Vzquez
Nessuno a lacrime riduca o accuse
questo attestato dell alta maestria
di Dio, che con magnifica ironia
mi ha destinato insieme libri e notte.
Questa citt di libri ha dato in regno
ad occhi senza luce, atti soltanto
Inverni. Nei deserti dell'Ovest restarono ancora lacere Rovine della Mappa, abitate da Animali e Mendicanti; nellintero Paese non vi sono altre reliquie delle Discipline Geografiche.
Surez Miranda, Viajes de varones prudentes,
Libro Quarto, cap. XLV, Lrida, 1658.
pag.183 QUARTINA
Altri morirono, ma questo accadde nel passato,
che la stagione (nessuno lo ignora) pi propizia alla morte.
mai possibile che io, suddito di Yaqub Almansr,
muoia come dovettero morire le rose e Aristotele?
Dal Divano di ALMOTASIM EL MAGREBI ( XII secolo).
pag.185 LIMITI
C' un verso di Verlaine che non ricorder mai pi,
c' una strada vicina ormai vietata ai miei passi,
c' uno specchio che mi ha visto per l'ultima volta,
c' una porta che ho chiuso sino alla fine del mondo.
Tra i libri della mia biblioteca (li sto vedendo)
ce n' qualcuno che non torner ad aprire.
Questa estate compir cinquanta anni;
la morte, incessante, mi consuma.
Da Inscripciones (Montevideo) 1923, di Julio Platero Haedo.
pag.187 IL POETA DICHIARA LA SUA FAMA
La volta del cielo misura la mia gloria,
le biblioteche dell' Oriente si disputano i miei versi,
gli emiri mi cercano per riempirmi d'oro la bocca,
gli angeli conoscono a memoria il mio ultimo zejel.
I miei strumenti di lavoro sono angoscia e umiliazione;
magari fossi nato morto.
Dal Divano di ABULCASIM EL HADRAM (XII secolo).
pag.189 IL NEMICO GENEROSO
Magnus Barfod, nell'anno 1102 intraprese la conquista di
tutti i regni dellIrlanda; si dice che il giorno precedente la
sua morte abbia ricevuto questo saluto da Muirchertach, re
di Dublino:
Che nei tuoi eserciti militino l'oro e la tempesta, Magnus Barfod.
Che domani, sui campi del mio regno, ti sia propizia la battaglia.
Che le tue mani di re intessano terribili la tela della spada.
Che siano alimento del cigno rosso coloro che si oppongono alla tua spada.
Che i tuoi molti di ti sazino di gloria, che ti sazino di sangue.
Che tu sia vittorioso all'alba, re che calchi la terra d'Irlanda.
Che dei tuoi molti giorni nessuno splenda come il giorno di domani.
Perch quel giorno sar l'ultimo. Te lo giuro, re Magnus.
Perch prima che si offuschi la sua luce, ti vincer e ti annienter, Magnus Barfod.
Da Anhang zur Heimskringla (1893) di H. GERING.
pag.191 LE REGRET D' HRACLITE
Io, che tanti uomini son stato non sono stato mai
Conversazioni con Richard Burgin: Il mio editore mi disse: Vogliamo che ci dia un libro
nuovo, e questo libro deve avere un mercato . La pro duzione di Borges in quegli anni, a
causa dei sempre pi seri problemi agli occhi, si era in effetti un po' ridotta, tuttavia egli non
aveva smesso di scrivere e di collaborare, come aveva sempre fatto, a pi di una rivista. La
replica di Fras pag.200
alla risposta negativa di Borges (Non esiste nessun libro) teneva certamente conto di
questo dato: Ma certo che ce l'ha. Se guarda bene nei suoi scaffali e nei suoi cassetti trover
brani sciolti, cose brevi, resti. Il libro pu benissimo venir fuori di l. And proprio cos:
Trovai ritagli, vecchie riviste e mi resi conto che il libro stava l, pronto, ad aspettarmi.
Parlandone nell' Abbozzo di autobiografia, Borges commenta: Questo libro, che ho messo
insieme piuttosto che scritto, mi sembra stranamente il mio lavoro pi personale e, forse, a
mio gusto, il migliore. La formula nuova: L'artefice la sua prima raccolta composta di
prose e di poesie, recentissime alcune, antiche di un quindicennio altre, qualcuna forse
persino dimenticata e ritrovata. (In seguito, un'analoga scelta informer altre compilazioni,
da Elogio dell 'ombra alla Cifra ai Congiurati).
I 23 brani che precedono le poesie, abbozzi e parabole pi che poemi in prosa, erano stati
tutti gi editi in periodici tra il 1934 e il 1959. I pi vecchi provengono dalla Revista
multicolor de los sbados, supplemento letterario del diffu sissimo quotidiano Critica, che
Borges diresse, affiancato da Ulises Petit de Murat, dall'agosto dal 1933 all'ottobre del '34.
Nelle pagine di questa rivista Borges pubblic frmati col suo nome o con pseudonimi, o
anonimi -, oltre al suo primo esperimento narrativo (Hombres de las orillas, poi intitolato
Uomo all'angolo della casa rosa) e ai sei racconti che nel 1935 costituirono il nucleo centrale
della Storia universale dell'infamia, saggi, recensioni, traduzioni e numerosi brani narrativi,
generalmente brevi. Fra questi ultimi entrano a far parte del nuovo libro Dreamtigers, Gli
specchi velati e Le unghie, apparsi nel settembre 1934 sotto il titolo di Confesiones e
firmati Francisco Bustos, pseudonimo gi utilizzato per Hombres de las orillas e, in certo
senso, progenitore del futuro Honorio Bustos Domecq autore dei Sei problemi per don Isidro
Parodi (1942), scritti in collaborazione con Adolfo Bioy Casares. L'operazione non
rappresenta un tardivo riscatto dall'oblio, ma al contrario documenta una particolare
predilezione per questi testi, che gi nel '36 Borges aveva voluto ripub blicare, sotto la diversa
rubrica Inscripciones, nella rivista Destiempo (diretta insieme a Bioy Casares) e, ancora
una volta, aveva riproposto nella prima edizione di Altre inquisizioni. Nel corso di questo
tragitto editoriale, pag.201
l'originario gruppo della Revista multicolor de los sbados si era arricchito di altri due
scritti, Dialogo su di un dialogo (1936) e Argumentum Ornithologicum (1952). Fin troppo
semplice riconoscere i motivi di tale predilezione nei temi trattati - la tigre, gli specchi, la
morte, il problema dell'esistenza di Dio -, tutti centrali nellopera del nostro autore.
Gli altri testi che costituiscono la prima parte dell'Artefice appartengono tutti al quinquiennio
precedente il 1960, con una concentrazione particolare nel 1957. Da Sur, la pre stigiosa
rivista di Victoria Ocampo alla quale Borges collabor dal primo numero (1931) fino al 1980,
provengono Mutazioni (maggio-giugno 1954), Paradiso , XXXI, 108 (novembre-dicembre
1954), Parabola di Cervantes e don Chisciotte (marzo-aprile 1955), Parabola del palazzo
(novembre-dicembre 1956), Il testimone (luglio-agosto 1957), Martn Fierro (luglio-agosto
1957), Ragnark (marzo-aprile 1959).
Da un'altra importante rivista, La Biblioteca , che Borges fond nel 1957 in qualit di
direttore della Biblioteca Nazionale di Buenos Aires (riprendendo idealmente l'omonima
pubblicazione che Paul Groussac, suo illustre predecessore in quella carica, aveva curato
negli ultimi anni dell' Ottocento), provengono altre otto prose: Il prigoniero, Il simulacro,
Borges e io, Delia Elena San Marco (apparse nel numero del gennaio 1957, ma lultima
scritta nei tre anni prima, era gi uscita nella rivista della Societ Ebraica Argentina
da tale B. Lynch Davis, variazione dello pseudonimo B. Surez Lynch col quale, proprio in
quellanno, Borges e Bioy Casares avevano firmat Un modello per la morte.
Il gioco, avviato dai due amici in Destiempo , riprendeva. pi che probabile che tra i
numerosi testi pubblicati sotto nomi veri o inventati, non pochi fossero di Borges o di Bioy
Casares, o di Borges e di Bioy Casares. Comunque, quand mise insieme il materiale per
L'artefice, Brges ne riscatt sei (una prosa e cinque poesie), conservando tuttavia la falsa
attribuzione originaria, e palesando cos il gioco menzognero che doveva averli tanto
divertiti. (Un altro testo proveniente da quella rubrica, I due re e i due labirinti, era stato gi
inserito, nel 1952, nella seconda edizine dellAleph).
La struttura originale dellArtefice si conclude con le regret de Hraclite.
Il brano In memoriam J.F.K. (dedicato a Kennedy) fu aggiunto nell'edizione del 1974 in
volume unico, delle Obras Completas.
La storia dell'Artefice deve per ancora corredarsi di un 'ultima notizia.
Nel 1964, con la pubblicazione dellObra potica 1923-1964 la bibliografia borgesiana
registra la nascita di una nuova silloge, intitolata L'altro, lo stesso, che ripropone i testi
radunati fino ad allora sotto il titolo generico di Otros poemas , ne aggiunge di nuovi,
scritti tra il 1960 e il '64 e, cosa che pi interessa in questa sede accoglie tutte le poe sie
dellArtefice, comprese quelle della sezione Museo . Conseguenza di tale operazione sar
che ventinove poesie apparterranno contemporaneamente a due raccolte distinte - fino a
quando, nel 1974, in occasione della pubblicazio ne delle Obras Completas, Laltro, lo stesso
perde definitivamente i testi sottratti all'Artefice.
pag.205 ULISSE A ITACA
DI TOMMASO SCARANO
pag.207 Trent' anni separano L'artefice da Quaderno San Martn, la raccolta poetica che
immediatamente la precede e con la quale si era concluso il decennio della militanza
avanguardista di Borges. Al Quaderno aveva fatto seguito un rallentamento della produzione
poetica cos vistoso (nove sole poesie scritte tra il 1930 e il 1957) da autorizzare pi di un
critico a ritenere ormai esaurita la vena lirica dello scrittore, specie a fronte della copiosa
attivit di narratore e di saggista che in quegli anni aveva dato opere del rilievo di Finzioni,
L'Aleph, Altre inquisizioni.
Quel s ilenzio era la natura le conse guenza d i una cr is i i cui pr imi se gna li s i erano
ma nifes tati gi in pie na fase ul traista e c he presto si trad usse in una pro fonda
revis io ne de lla poetica che fino ad allora a veva or ie ntato la s ua scr it tura. D'a ltra
parte, come orma i a mp ia me nte c hiar ito, l'a desione d i Borges a lle pos izio ni
dell 'ultra is mo era stata ca ratter izza ta da un atteggia mento per pi d i un aspetto
de viante, c he era ind isc utib ile segno d i una r iser va d i fondo e che lo ave va
tenuto a l r iparo da sperime nta lis mi eccess ivi e dalle sue stesse p i rad ica li
dic hiara zio ni d i pr inc ip io.
Se la decisa autocritica che pi tardi coinvolse l'intera esperienza di quel decennio (sotto le
forme a volte fin troppo severe della ritrattazione e del ripudio) d la misura pre cisa di una
frattura, il quasi abbandono del mezzo poetico la prova tangibile di una crisi ancora
irrisolta: al di qua della presa d'atto dell'inadeguatezza della pag.208
concezione poetica ultraista e dello sgretolarsi dei suoi fondamenti, non sono ancora chiare
strade e modalit alternative.
Nell'Abbozzo di autobiografia Borges afferma che una delle principali conseguenze della
cecit che lo colp sul finire degli anni Cinquanta fu quella di farlo ritornare alla poe sia e di
fargli abbandonare il verso libero a favore dei mo delli strofici regolari. Che tra cecit e
ripresa della scrittura poetica vi sia stata una relazione, innegabile (e trova conferma, per
contrario, nel fatto che per un decennio, tra il 1956 e il '66, Borges non compose racconti);
tuttavia quella pur significativa coincidenza non pu non apparire troppo esclusivamente
esterna per dar conto fino in fondo del ritorno di Borges alla poesia, dopo una crisi cos
profonda da farla pressoch tacere. Pi attendibile e pi corretto rite nere che la ripresa fu
possibile perch la crisi era stata da tempo superata, anche se Borges aveva continuato a
scrivere racconti e a non scrivere poesie.
Quel trentennio povero di poesie fu infatti ricchissimo di riflessioni sulla poesia; e queste
documentano come Borges avesse da tempo del tutto risolto la crisi postavanguardista e
possedesse ormai una sua personale e diversa concezione del linguaggio poetico. I saggi di
argomento retorico raccolti in Discussione, Storia dell'eternit e Altre inquisizioni, permettono di ricostruire con precisione il percorso evolutivo di quella approfondita e
preoccupata ricerca che lo condusse a formulare un'idea di poesia lontana da ogni barocchismo e da ogni pretesa innovativa, e radicata invece in una tradizione classica di compostezza,
di rigore, di efficacia e di essenzialit.
Un'importanza tutta particolare riveste, in questa ricerca, la riflessione sulla metafora, che lo
port a rovesciare completamente la concezione ultraista che l'aveva innalzata a elemento
primario dell'espressione poetica e investita del compito di restituire un'immagine inedita
della realt. Nelle Kenningar (Storia dell'eternit), esaminando le complesse metafore delle
saghe nordiche, ne sottolinea la natura di puri esercizi verbali, menzogneri e languidi (gi
qualche anno prima, in un saggio dell' Idioma degli argentini, ne aveva scoperto la fragilit
e l'anima dubbiosa). Artificiosa e inefficace per Borges la metafora costruita con l'intento
di svelare connessioni lontane e inattese, presuntamente nuove. In una conferenza del 1949
su Nathaniel Hawthorne (poi raccolta in Altre inquisizioni) dir: pag.209
un errore supporre che le metafore possano essere inventate. Quelle vere, che formulano
intimi legami tra due immagini, sono sempre esistite; quelle che ancora possiamo inventare
sono le false, che non vale la pena inventare. Concetto che rinnega l'obbligo (che gli ultraisti
avevano ritenuto primario) di essere originali ad oltranza, e afferma che l'unica autentica
modalit creativa consiste nel riutilizzare e nell'iscrivere quanto gi stato scritto, poich
l'intera potenzialit dell'immaginazione letteraria ormai tutta esplorata e realiz zata.
Non solo dunque l'ultraismo, ma qualsiasi avanguardia e qualsiasi tentativo di rottura gli
appare, ora, velleitario e improduttivo. Gli stessi ultraisti, come scriver nel 1937 in un
saggio pubblicato su El Hogar (in Testi prigionieri), non erano stati che involontari e
fatali discepoli di quel Lugones, emblema della vecchia generazione modernista, contro
il quale avevano sferrato (Borges compreso) tutto il loro irriverente furore iconoclasta. Come
al Pierre Menard del famoso racconto di Finzioni, all' artefice non resta che rinunciare a
pretese inventive e praticare un 'arte del gi detto, una riscrittura di infinite riscritture che
sola garanzia di reale originalit.
Da questo approdo, che conquista di povert - come dir lui stesso - o di modesta e
segreta complessit , Borges pu riprendere il suo cammino poetico. L'artefice il
documento pi rilevante di tale conquista.
Arte poetica, che gi il titolo inscrive entro una tradizione classicistica, esprime una
concezione della poesia come infinito reimpiego di immagini e di simboli eterni. Il modo
stesso in cui strutturata (sette quartine a schema abbracciato di parole-rima ritornanti anche
all'interno delle singole strofe in un replicato andamento circolare) gi di per s significante
(e quasi figura) del carattere essenzialmente ripetitivo della creazione poetica. La poesia /
torna come laurora ed il tramonto, si legge nella quartina (non a ca so) centrale del
componimento. E cos le immagini di cui si servir il poeta sono quelle note, e sempre
esistite , del tempo e della vita che scorrono come l'acqua di un fiume, del giorno o dell'anno
come simboli delle stagioni dell'uomo, della morte come una delle forme del sogno, opposta
e uguale a quell'altra forma del sogno che la veglia. La poe sia come il fiume di Eraclito,
che passa e resta , che sempre lo stesso e sempre un altro, perch fatta di immagini
vera, quella che a Sumatra o nel Bengala compie il suo rito d'amore, d'ozio e morte, resta.
come la luna, al di l dei versi, nei quali solo tropo letterario, ricordo di enciclopedia,
simbolo e ombra: basta infatti pronunciarne il nome perch diventi finzione d'ar te, forma di
un sogno (gi nella prosa Dreamtigers, scritta molti anni prima, nel 1934, l'agognata tigre era
parvenza passeggera, appartenente ormai soltanto alla realt fittizia del sogno; e sogno la
letteratura, come s' visto in Ariosto e gli arabi). Ma l'obbligo etico almeno di tentare di
cogliere il reale spinge Borges (deve spingere ogni artista) a continua re pag.212
l'ostinata ricerca dell'altra tigre, quella che non nel verso. Simbolo ricorrente nell'opera
borgesiana, la tigre non solo espressione della vita elementare, della forza, della istint ualit
(nonch della profonda nostalgia di Borges per questi valori), ma simbolo e cifra (basti
pensare a La scrittura del dio dell' Aleph) della totalit dell'universo. E dunque con la tigre,
resta al di l della scrittura, e inattingibile, l'intera realt.
esattamente questa la rivelazione che, ormai prossimo alla morte, ha Giambattista Marino
in Una rosa gialla, allorch percepisce la realt della rosa e sente che essa sta nella sua
eternit e non nel pur raffinato sistema di paro le attraverso cui l'aveva significata, e
comprende, come gi forse avevano compreso Omero e Dante, che la letteratura non uno
specchio del mondo ma una cosa in pi, aggiunta al mondo, e che possiamo menzionare o
alludere ma non esprimere. Nel 1961 Borges testimonier un'identica rivelazione e
concluder il Prologo della sua Antologia personale con queste parole: ora so che i miei di
non mi concedono se non l'allusione o la menzione.
La Parabola del palazzo pare contraddire Una rosa gialla: nella breve composizione del
poeta sembra esserci davvero - con tutti i suoi oggetti, i suoi istanti, le sue dinastie di uo mini,
di di e di draghi - la realt totale dell'immenso palazzo, tant' che questo scompare, come
assorbito in quelle parole, che, molto pi che specchio della realt, sono la realt. Ma il
finale, ironico e smitizzante, riafferma che la parola dell'universo (variante dell' arduo
manoscritto di quell'altra parabola con cui si apre La luna) irraggiungibile, pur se i
discendenti del poeta continuano a cercarla; cosi come Borges si ostina a continuare a cercare
l'altra tigre.
l testi sin qui esaminati esprimono gli elementi centrali di quella riflessione sull'opera
letteraria e sul mestiere di scrittore che affiorano, pi o meno frammentariamente, in tutta
l'opera di Borges. Ma ancora altri testi dell' Artefice sono interni a questo mbito di discorso.
Si pensi alla Parabola di Cervantes e don Chisciotte e alla sua conclusiva asserzione che al
principio come alla fine della letteratura c' il mito; o a quella sorta di chiosa interpretativa a
un ipotetico frammento autografo di Hamete Benengeli che Un problema; o ancora a
Inferno, I, 32, che esemplifica attraverso un riferimento dantesco l'idea che la realt esiste
per poter essere un libro; pag.213
o infine a Everything and Nothing, in cui Shakespeare incarna l'archetipo del destino di ogni
creatore, che tutti ed nessuno, Proteo cangiante che pot esaurire tutte le apparenze
dell'essere per scoprirsi, egli stesso, apparenza e nullit.
Commenti pi diffusi (per quanto qui ci si pu concedere) richiedono altre poesie della
raccolta. La celeberrima Poesia dei doni fra i testi che meglio testimoniano il composto
rigore formale raggiunto da Borges in questi anni, nonch quel pacato e sereno tono
meditativo che segner la sua poesia pi intimista. L'esperienza che sta dietro questo te sto
nota: nel 1955, caduto il peronismo, Borges ottiene l'incarico di dirigere la Biblioteca
Nazionale, ma quell'evento coincide con un lento e inesorabile aggravarsi della malattia agli
occhi che di l a qualche anno lo porter a una cecit quasi totale. questa coincidenza il
tema centrale del componimento, e non la commiserazione di se stesso o la protesta contro un
destino o un Dio ingenerosi. La prima quartina quasi un 'ammonizione al lettore a non
stravolgere il senso autentico delle sue parole: Nessuno a lacrime riduca o accuse / questo
attestato dell'alta maestria / di Dio, che con magnifica ironia / mi ha destinato insieme libri e
notte. (Non meno magnifica, nel suo profondo pudore, lironia di Borges). La poesia non
ha toni drammatici, ma i versi sono permeati da una delusa tristezza: Lento nella mia ombra,
l'ombra vuota / vado esplorando col bastone incerto, / io che mi figuravo il Paradiso / sotto la
specie di una biblioteca. Il modo di vivere (di raccontare) quella privazione non n il grido
disperato dell'Omero della prosa L'artefice n la serena rassegnazione cristiana di Milton nel
suo sonetto On his Blindness, certamente non estraneo alla Poesia dei doni (sotto quel titolo,
Borges comporr nel 1972 un altro sonetto sulla cecit). Ma la Poesia dei doni non cita n
Omero n Milton, bens il cieco Groussac che aveva preceduto Borges nella direzione della
stessa Biblioteca Nazionale. E il tema della cecit e del dono inutile di una citt di libri cede a
quello (di altissima ricorrenza in Borges) della ripetitivit dei destini e della confusione delle
identit: sento ... / che sono l'altro, il morto, che avr dato / gli stessi passi negli stessi
giorni. Al di l del nome che ci differenzia e che ci rende individui, l'anatema uno ed
indiviso: Groussac o Borges o Milton o noi stessi, nella biblio teca- labirinto che questo
nostro mondo incomprensibile pag.214
(si ricordi La biblioteca di Babele in Finzioni) siamo un po' tutti patetici lettori ciechi.
Il senso angoscioso della replica, di un tempo che circo larmente ripete gli eventi (si pensi a
La trama o a In memoriam J.F.K.) e fa del presente un riflesso fantasmatico del passato,
trova nello specchio il suo simbolo pi inquietante. Anticipata dal brano in prosa Gli specchi
velati, nel quale Borges racconta il suo orrore della duplicazione della realt (la follia di Julia
non che un rispecchiamento di quell'inquietudine), Gli specchi coagula e fa da centro agli
innumerevoli luoghi testuali in cui compare quell'oggetto insondabile, incessante,
spettrale. Ci che dello specchio inquieta il sortilegio di creare uno spazio e una realt
allo stesso tempo illusori e autentici, il suo statuto ibrido di verit e menzogna, di soglia che
non separa ma confonde, e contagia di inconsistenza il mondo reale delle cose, rivelandolo
ingannevole riflesso. Tra i simboli metafisici pi pregnanti dell'o pera di Borges, lo specchio
legato alla concezione idealistica della natura apparenziale, illusoria, onirica della realt,
ispiratagli soprattutto, ma non solo, da Schopenhauer e Macedonio Fernndez e contaminata
fin dall'inizio dalle teorie gnostiche, che sostenevano, oltre che l'illusoriet, la qualit
degradata del mondo, prodotto di di incompetenti, emanazioni successive (riflessi) di un Dio
immutabile e indifferente. La sesta quartina (infiniti li vedo, elementari / esecutori di un
antico patto, / moltiplicare il mondo come l'atto / generativo, vigili e fatali) rinvia a un brano
del Tintore mascherato Hakim di Merv (in Storia universale dell'infamia), che afferma: La
terra che abitiamo un errore, un'incompetente parodia. Gli specchi e la paternit sono
abominevoli, perch la moltiplicano e confermano (nonch al complesso racconto Tln,
Uqbar, Orbis Tertius di Finzioni). proprio questo vano mondo incerto che, aggiungendo
inconsistenza a inconsistenza, i temuti specchi di Borges estendono in una ragnatela da
vertigine. Tale simbologia si coniuga, negli Specchi, con quelle, di stampo barocco, del
mondo come teatro e della vita come sogno. Specchi, sogno, teatro sono cifre della nostra
realt di ombre e di vani riflessi. Di un'altra illusione, quella di condurre il gioco di questo
nostro sogno, metafora Gli scacchi, che la rivela comune agli uomini e agli di in un
infinito rinvio di specchi verso un lontano e forse improbabile dio che sia giocatore e non
pedina. pag.215
Non manca nell'Artefice un testo che tocca quello che forse il tema centrale, e certamente il
pi complesso della riflessione di Borges sull'enigma dell'esistenza, il tempo. Ma L'orologio
a sabbia non articola i problemi metafisici trattati in saggi quali Storia dell'eternit, Il tempo
circolare, La dottrina dei cicli, Nuova confutazione del tempo; , molto pi semplicemente,
una poesia sul sentimento della vita come inesorabile processo verso la morte. Gi nell'ultimo
di quei saggi, Borges aveva scritto: Il nostro destino ... non spaventoso perch irreale;
spaventoso perch irreversibile e di ferro. Il tempo la sostanza della quale sono fatto . Di
questo destino irreversibile e di ferro simbolo la delicata / e gra ve (ossimoro allusivo,
come la dura / ombra della meridiana, della qualit inconsistente del tempo e insieme della
sua fatale concretezza) sabbia d'oro che misura, nei suoi cicli infiniti, il tempo limitato
dell'uomo e quello della storia, che si fa memoria o oblio: Avverto nei minuti della sab bia /
il tempo cosmico, l'intera storia / che chiude nei suoi specchi la memoria / o che il magico
Lete ha ormai dissolto. Comunque, morte; la sesta quartina cita il tetro / e se vero strumento
che, nell'incisione di Drer, la Morte mostra al Cavaliere, e pone in primo piano i concetti
dell'uomo come fortuita cosa di tempo e della vita come pro gressiva morte: Il rito del
travaso non ha fine / e con la sabbia se ne va la vita. Diversa figurazione dello stesso sentimento nella bellissima Limiti di Museo. I limiti sono quei gesti che l'uomo compie
inconsapevolmente per l'ultima volta: chiudere una porta, percorrere una strada, legge re un
verso; sono le piccole morti quotidiane di cui fatta la nostra vita, continua e inavvertita
morte che ci consuma. (Una pi ampia riscrittura di questo breve e intenso componimento
la poesia in quartine che, sotto lo stesso titolo, Borges scrive nel 1958 e inserisce in L'altro, lo
stesso).
C un brano, nell'Artefice, Le unghie, nel quale il pensiero della morte espresso con una
crudezza inusitata per Borges: l'inutile e ostinata vitalit delle unghie e dei peli oltre il limite
della morte il rovescio speculare delle piccole morti in vita di Limiti. Ma, di norma, il modo
di dire o di alludere a quel momento definitivo soffuso di uno stupore triste e raccolto. Cos
in Susana Soca, Elvira de Alvear, Delia Elena San Marco, Quartina e nel pi esteso ricordo
di Alfonso Reyes di In memoriam A.R., che contiene un' idea dell'aldil come universo pi
vivido e complesso della realt terrena, pag.216
come dimensione nella quale all'uomo sar, forse concesso di contemplare quegli archetipi
dei quali il nostro mondo confuso e ingannevole riflesso. Il tema aprirebbe un impegnativo
discorso intorno alle dubbiose e contraddittorie ipotesi di Borges sul mistero della morte e
della divinit. Qui basti dire, per non travalicare lambito della raccolta, che Blind Pew, il
sonetto che ricorda il bucaniere cieco dell'Isola del Tesoro, esprime una idea della morte
come tesoro , come destino atteso e desiderato: te pure attende, in altre spiagge d'oro, / il
tuo incorruttibile tesoro: / la vasta e vaga e necessaria morte . Questo sentimento della morte
come dono destinato a ritornare pi volte in testi successivi; per citarne solo qualcuno: in
Altra poesia dei doni (per il sonno e per la morte / questi due tesori segreti ), in
Ecclesiaste , 1-9 ( un oscuro miracolo ci attende ), in 1964 II (Solo una cosa non
gustata attendo / un regalo, un oro dentro l'ombra, / quella vergine, la morte).
La prosa Il testimone coglie un altro senso della morte, il suo coinvolgere il mondo esterno
all'individuo: una cosa o un numero infinito di cose, muore in ogni agonia ; e in All 'effigie
di un capitano degli eserciti di Cromwell quellevento finale si coniuga col classico tema
della vanit dei desideri e della gloria terreni ( Gli affanni, o capitano, sono inganni, / vano
l'arnese e vano l'ostinarsi / delluomo che ha il suo termine in un giorno ).
Quest'ultimo testo e Blind Pew sono rappresentativi di un cospicuo gruppo di poesie che
inizia a costituirsi proprio negli anni immediatamente precedenti Lartefice e che ha per
soggetto o eroi del coraggio e dellazione (dai grandi personaggi della storia ai gloriosi
militari della sua famiglia o ai guappi di quartiere) oppure, pi spesso e la cosa non pu
meravigliare in un autore la cui opera si nutre di cultura -, scrittori, filosofi, personaggi di
opere letterarie. Ma non si pensi al tradizionale ritratto celebrativo: questi componimenti, che
sembrano prediligere la forma breve del sonetto, sono riflessioni su destini, memoria ( e
rispecchiamento) di frammenti di vite altrui o congettura di momenti segreti dal forte valore
emblematico. Al primo tipo appartengono Allusione alla morte del colonnello Francisco
Borges (1833-I874), che evoca la morte cercata del nonno paterno, e Allusione a
un' ombra del milleottocentovanta e rotti, ricordo del cuchillero Juan Muraa, divenuto,
nella personale mitologia di Borges, espressione del coraggio puro e gratuito pag. 217
e della sfida quotidiana alla morte.
Le accomuna una nostalgia dal sapore elegiaco; i destini eroici sono quel destino mancato
cui Borges alluder pi volte in testi posteriori, pi aperti all'autobiografismo e all'intimit
(basti ricordare il distico finale di Sono, 1975: Sono nessuno, chi non fu una spada / in
guerra. Sono eco, oblio, nulla ). Al secondo tipo vanno ricondotti A Luis de Camoens,
l'autore del grande poema I Lusiadi, e A un vecchio poeta, dedicato a quel Francisco de
Quevedo del quale Borges scrisse: meno un uomo che una vasta e complessa letteratura;
al contrario dell'altro, il destino letterario per Borges quello di un io plurale di cui parte e
con il quale si identifica.
Un valore inaugurale ha anche Iniziando lo studio della grammatica anglosassone, primo
documento di quella esperienza intima delle letterature germaniche antiche che sta alla
base di numerose poesie ispirate all'epica e alla mitologia nordiche, anch'esse sempre segnate
da un certo sentimento elegiaco. La nostalgia di Borges non investe per solo il tema del
mancato destino eroico. L 'artefice contiene un gruppetto di testi che dicono il rimpianto per
epoche, luoghi o persone che non sono pi, ma che la memoria ( questa moneta che non
mai la stessa , come recita il verso di una poesia di Elogio dell'ombra) restituisce di tanto in
tanto. E cos nella Pioggia affiorano i neri grappoli di un certo patio / che non esiste p i , e
in Adrogu tutto il mondo di polvere e gelsomini della sua infanzia; e perfino l'Ode
composta nel 1960 per celebrare la patria si trasforma in un lungo elenco di cose perdute. Ma
nel distico Le regret d'Hraclite, che chiude, come un epitaffio, questo libro, che il
sentimento della perdita e dell'assenza assume una dimensione totaliz zante: Io che tanti
uomini son stato non sono stato mai / l'uomo nel cui abbraccio illanguidiva Matilde Urbach
- versi che solo una lettura superficiale pu ridurre al tema dell'amore mancato.
Libro-della plenitudine poetica di Borges , come ha scritto Roberto Paoli,
L'artefice costituisce il pi ragguardevole insieme che ci abbia dato la vena intima,
congiunta a quella metafisica dello scrittore . E davvero, di questa sorta di zibaldone
raccogliticcio e disordinato, magnifica metafora la parabola con cui si conclude l'Epilogo:
Un uomo si propone di disegnare il mondo. Nel corso degli anni po pola uno spazio con
immagini di province, di regni, di montagne, pag.218
di baie, di vascelli, di isole, di pesci, di case, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone.
Poco prima di morire scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l'immagine del suo
volto .
fine lettura
FINITO DI STAMPARE NEL NOVEMBRE 1999 DALLA TECHNO MEDIA
REFERENCE S.R.L. - MILANO
Printed in Ital y
BIBLIOTECA ADELPHI
ULTIMI VOLUMI PUBBLICATI:
300. Silvio D'Arzo, All'insegna del Buon Corsiero (2 ediz.)
301. Tommaso Landolfi, Racconto d'autunno
302. Serena Vitale, Il bottone di Puskin (3 ediz.)
303. Palinuro, La tomba inquieta
304. Flann O'Brien, L'archivio di Dalkey
305. Oliver Sacks, Un antropologo su Marte
306. Madame de Staal-Delaunay, Memorie
307. E.M. Cioran, La caduta nel tempo (4 ediz.)
30S. Giorgio Manganelli, Centuria (2 ediz.)
309. Richard Cobb, Tour de France
310. Apollodoro, Biblioteca
311. Rudolf Borchardt, L'amante indegno (2 ediz.)
312. Georges Simenon, La morte di Belle (5a ediz.)