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film
Tempo à brano di film compreso tra due stacchi successivi della cinepresa o tra due tagli
della pellicola
L’inquadratura implica l’esclusione e la selezione di ciò che deve essere ripreso e apparire
sul profilmico, termine che designa gli elementi che si trovano concretamente davanti alla
cinepresa. L’inquadratura si pone come contenitore spazio-temporale in grado di
accogliere i personaggi, gli ambienti e le trasformazioni che costituiscono la materia della
narrazione. Le sue dimensioni sono legate al formato della pellicola, definito in base al
rapporto tra larghezza e altezza del fotogramma. In relazione alla posizione della
cinepresa e alla maggiore o minore vicinanza dagli oggetti e dallo spazio ripreso si
ottengono inquadrature di complessità e di dimensioni differenti (scala di campi e piani).
La natura fotografica dell’immagine filmica amplifica la profondità e l’ampiezza dello spazio
ripreso. Inquadrare significa quindi ritagliare una determinata porzione di spazio,
escludendone un’altra. La gestione di questa dinamica spazio-temporale è uno dei
capisaldi del discorso cinematografico. Spazio à l’inquadratura è quadrum, oggetto iconico
bidimensionale illusoriamente profondo. Al contempo però l’inquadratura è unità di visione,
sguardo rivolto all’universo visibile ed è infine unità di racconto, finestra su un “mondo
altro”, sulla diegesi, cioè su, ambienti e azioni che costituiscono il mondo finzionale. Perciò
entro la cornice dello schermo convivono due componenti: una figurativa e un narrativa.
L’inquadratura carica di senso ulteriore i margini e la disposizione degli elementi nel
quadro. Tempo à l’inquadratura cinematografica ha una durata ben precisa, determinata,
che in termini assoluti coincide con il tempo trascorso tra due stacchi successivi della
macchina da presa: l’immagine cinematografica impone allo spettatore un tempo dato.
Esso è legato sia al contenuto (un’immagine può essere semplice o articolata) sia alla
dimensione dell’inquadratura, perché un primissimo piano richiede un tempo di lettura
minore rispetto a un quadro più esteso. Il rapporto tra durata assoluta e tempo di lettura
dell’inquadratura definisce la durata relativa e, al variare di questa relazione di delineano
le differenti situazioni di visione e fruizione cinematografica. Perciò il cinema giocando con
la dimensione temporale, diventa strumento di racconto e accede alla narrazione.
Stabilendo rapporti spazio-temporali tra le inquadrature, lo sguardo cinematografico mette
in evidenza la sua natura di sguardo attivo in grado di istituire relazioni tra sé e il mondo
inquadrato. L’inquadratura si rivela essere il risultato sintetico tra due realtà: il mondo
audiovisibile mostrato e il soggetto dello sguardo che guarda e lo mostra. L’inquadratura
cinematografica è un’immagine in movimento. Il movimento mette in rilievo la capacità del
cinema di riprodurre il moro di un accento e pone l’accento sua prerogativa del linguaggio
cinematografico: l’essere quadro in movimento, cambiare punto di vista, essere sguardo
mobile. La macchina si può spostare in modo continuo, attraverso i movimenti di macchina
o in modo discontinuo, staccando da una posizione all’altra.
Il profilmico. Profilmico à Tutto ciò che si trova davanti alla cinepresa. Appartengono al
profilmico l’illuminazione, la recitazione degli attori che tutte le operazioni che intervengono
nell’allestimento del set. Due tendenze determinano la predisposizione degli ambienti, la
confezione dei costumi lo stile della recitazione: un’inclinazione naturalistica e una
propensione all’artificio. L’opposizione naturalistico/artificiale non si riferisce all’ambiente
ricostruito in sé, ma all’atteggiamento, l’intenzione che sottende alla predisposizione di tale
ambiente (in Guerre stellari lo spazio dell’azione è improntato sull’idea di credibilità).
Quando la messinscena è strutturata secondo i cani naturalistici si assiste all’allestimento
di uno spazio credibile,
si tratta di affrontare la scena in modo che sembri vera. La seconda tendenza individuata
si muove invece mostrando l’artificiosità e il carattere di finzione del profilmico. Il cinema
classico mira alla costruzione di uno spazio naturalistico, nascondendo i processi e i
meccanismi di costruzione della finzione. Il cinema moderno invece rifiuta l’artificio di
marca neorealistica e la sua esaltazione. Nel primo caso si preferisce girare nello spazio
della realtà, nel secondo prevale la volontà di smascherare la natura artificiosa della
messinscena.
Il colore si può usare con intenti realistici o con teatralità, indulgendo in tonalità anche
naturalistiche e costruendo richiami romantici all’interno delle inquadrature. Ad esempio in
senso di Visconti il colore viene usato in due direzioni: costituisce un ancoraggio realistico,
sottolineando i legami del film con la storia; con note raccolte in senso teatrale mettendo in
scena i quadri dei macchiaioli e degli artisti romantici. Nonostante la normalizzazione,
dopo che il film a colori si è assestato, permangono impieghi differenti del colore
soprattutto nel cinema d’autore dove l’elemento cromatico permette di esprimere
l’interiorità dei personaggi e la soggettività dell’autore. Il cinema contemporaneo,
influenzato da videoclip e videogame, ricerca effetti strabilianti da un lato e dall’altro una
perfetta mimesi riproduttiva. La messa in quadro è un’operazione di selezione spaziale
che comporta un aspetto di esclusione. La porzione di spazio profilmico che l’inquadratura
taglia fuori costituisce il fuoricampo. Dunque la visione cinematografica è sempre visione
parziale, visibile e non-visibili sono costantemente in relazione. Burch articolo lo spazio
fuori campo in sei segmenti: i primi quattro corrispondono ai margini dell’inquadratura,
superiore, inferiore, dx e sx, il quinto è dietro la scenografia o dietro un elemento posto
all’interno del campo visivo; il sesto è posizionato dalla parte della macchina da presa, in
un punto che l’angolo di ripresa esclude. Dobbiamo distinguere tra vari tipi di fuori campo:
• Spazio off: costituisce l’immaginario prolungamento in questa direzione dello
spazio della diegesi. • Spazio proibito: il fuoricampo, interdetto alla visione, luogo
dell’apparato tecnico di produzione del film. • Spazio over: è il luogo dal quale
emanano voci o musica, udibili solo dallo spettatore. La relazione tra campo e fuori campo
diegetici si attiva attraverso certi indici visivi e sonori: • L’entrata in, e l’uscita dal,
campo: un elemento del profilmico che entra o esce dal campo presuppone uno
spazio dietetico di provenienza e uno di destinazione contigui a quello inquadrato. • Lo
sguardo verso il fuoricampo: lo sguardo di un personaggio oltre i limiti del quadro evoca
nello spettatore la presenza della porzione di spazio dietetico nella quale dovrebbe trovarsi
ciò che il personaggio guarda. • La parte in campo: l’inquadratura della parte di un corpo
o di un oggetto rimanda alla sua continuazione fuori campo diegetico. • Il suono
proveniente dal fuori campo: l’emissione di una voce, una musica da una fonte
diegetica, interna all’universo del racconto, ma esclusa dai limiti dell’inquadratura, attiva
nello spettatore la rappresentazione dello spazio dovrà essere collocata e da cui il suono
ha avuto origine. Lo spazio fuori campo è fluttuante e reversibile, perché lo spazio off può
trasformarsi in spazio in e viceversa. Attraverso un atto di montaggio o movimento della
macchina da presa può essere mostrato una parte dell’universo diegetico non ancora
offerta alla visione dello spettatore, il fuori campo cataforico, oppure già mostrate in
precedenza e ad essere recuperata, il fuori campo anaforico. Lo spettatore completa
immaginariamente lo spazio presupponendo nella continuazione o oltre i bordi del quadro;
in una prospettiva dinamico-temporale, lo spazio fuori campo rappresenta lo spazio del
futuro e del passato, di ciò che sarà in campo e di ciò che è stato e non è più in campo.
L’operazione della messa in quadro determina la trasformazione dello spazio profilmico in
spazio filmico: si rappresenta una porzione di reale e ritagliandola la si separa dal
continuum spazio-temporale di riferimento per collocarla nella dimensione filmica, con un
procedimento di sineddoche. Si tratta infatti di utilizzare l’inquadratura al posto dell’intero
spazio profilmico: attraverso una parte si vuole raccontare tutto, lo spazio che resta fuori
dai bordi del quadro. In base alle relazioni tra spazio in e spazio off, l’inquadratura può
essere costruita in due modi: • Inquadratura-limite: la costruzione dell’inquadratura può
sottolineare il suo essere quadro, parte ristretta e limitata, ponendo l’accento sulla cornice
come linea che esclude sulla visione limitata; lo spazio visibile si configura dunque come
frammento. • Inquadratura-finestra: la costruzione dell’inquadratura può cercare di
cancellare il bordo, concentrando l’attenzione sul centro, sulla visione completa di ciò
che c’è in campo; lo spazio visibile si configura come totalità, come quadro che apre ad un
mondo intero.
Altezza: • Inquadratura rialzata: quando la macchina è posta in un luogo più alto rispetto
alla posizione standard • Inquadratura ribassata: quando la macchina da presa assume
un’altezza inferiore a quella standard
Fin dal posizionamento della macchina si possono distinguere due tendenze: verso
l’occultamento o verso l’esibizione del procedimento creativo. Alcune tendenze del cinema
moderno si distinguono per la predilezione di inq. Dai tagli bizzarri; il cinema classico
censore di anni inconsueti e scegli inquadrature e il più possibile neutre. La scala nei
campi dei piani definisce la dedica una serie di tipi ricorrenti. Si possono individuare i
diversi campi, a seconda della quantità di spazio circoscritto dai bordi dell’inquadratura;
mentre il rapporto al corpo umano si individuano i vari piani. È possibile distinguere i
seguenti tipi: • Campo lunghissimo (CLL): ritrae uno spazio vastissimo, tanto da non
consentire una chiara visione dei personaggi e delle azioni che compiono. Il ruolo centrale
è giocato dall’ambiente. • Campo lungo (CL): lo spazio contenuto nel quadro è minore
rispetto al caso precedente, ma prevale rispetto alla figura umana e l’ambiente
continua prevalere sulle figure, anche se si comprendono personaggi e azioni. • Campo
medico (CM): il dato spaziale diviene sfondo e personaggi conquistano il centro della
scena dell’attenzione • Totale (TOT): inquadratura di interno che ritrae il complesso di un
ambiente e di una situazione. Assumendo il corpo dell’uomo quale fattore distintivo
s’incontrano i seguenti tipi: • Figura intera: ritrae il personaggio interamente dalla testa ai
piedi. • Piano americano: la ripresa si stringe fino a inquadrare il personaggio dalle
ginocchia in su. • Piano medio: il personaggio inquadrato dalla vita in su • Primo piano:
l’inquadratura ritrae il personaggio dalle spalle alla testa. • Primissimo piano: la ripresa si
fa ancora più stretta, isolando la parte centrale del volto, dagli occhi alla bocca del
personaggio • Dettaglio: ritrae una singola parte del volto del corpo di un personaggio, o
un oggetto o un suo particolare. La preferenza accordata a un determinato tipo è
significativa: scegliere di inquadrare un personaggio una situazione in campo medio
piuttosto che in campo lungo è assumere una posizione sul mondo rappresentato. Da cui il
legame con i generi, il ricorrere di alcune tipologie in certi tipi di racconto, come i campi
lunghissimi lunghi nel film western, dove la relazione tra uomo e ambiente è motore primo
dell’azione. Anche per quanto riguarda il cinema d’autore, individuare la tipologia di piani
ricorrente significa avvicinarsi alle predilezioni compositive e alle strategie espressive
adottate dal regista.
comincia il tempo della riflessione, In un cinema che mette in evidenza lo sguardo come
strumento atto non a raccontare ma a indagare la realtà. Il caso più comune è quello in cui
la durata dell’inquadratura coincide con il tempo che occorre a leggerla. Queste
costituiscono il “cinema della trasparenza”, un cinema che si esaurisce nei fatti che
racconta occultando lo sguardo che li rende visibili (cinema hollywoodiano classico,
cinema narrativo).
L’origine dei suoni: campo e fuori campo sonoro. Bisogna distinguere: • Suono in/off:
suoni la cui sorgente è collocata nella diegesi; si parla di suono in per i suoni la cui
fonte si trova all’interno dell’inquadratura e di suono off per i suoni che provengono da
una fonte situata nella porzione di spazio posta oltre i limiti dell’inq. ma sempre all’interno
della scena. La trasformazione del suono da in a off può servire a raccordare le inq. fra
loro, assicurandone la continuità à il suono getta una sorta di ponte tra campo e fuori
campo. Altra categoria è quella dei processi mentali udibili solo dallo spettatore, sono
suoni veicolati dall’interiorità del personaggio (suono interiore). • Suono over: Si applica
a quei suoni la cui origine è fuori della storia. Viene dallo spazio dal tempo nei quali
avviene l’atto della narrazione; è il caso delle musiche dette di accompagnamento o di
commento, delle voci narranti e degli effetti sonori estranei a qualsiasi sorgente diegetica.
Quando entrano in funzione suoni di questo tipo diventa evidente che il film sta parlando
per lo spettatore.
I rumori della musica. La musica stordisce un effetto emotivo. Può svolgere una
funzione empatica, diventare forma di estensione e di prolungamento delle emozioni
che scaturiscono da eventi e personaggi; oppure può svolgere una
funzione anaempatica, sviluppando un discorso emotivo opposto a quello delle immagini.
La terza funzione della musica è quella in cui essa si offre allo spettatore come portatrice
di una chiave di lettura della situazione presentata dalle immagini: è la funzione di
contrappunto didattico. La musica è impiegata per significare un concetto, guidando lo
spettatore alla lettura e alla decifrazione di un’idea.
Il raccordo è l’unione di due inquadrature e può essere reso percepibile attraverso assegni
di interpunzione, come dissolvenze e tendine, oppure attraverso un semplice stacco. Il
modello hollywoodiano ha determinato una grammatica media, delle consuetudini che
hanno influenzato il cinema mondiale. È uno standard che fornisce l’esempio da imitare o
il cane da trasgredire. Nell’uno nell’altro caso, il découpage acquista una centralità
indiscutibile.
Analisi, selezione e motivazione. Alla base del dec. classico c’è una selezione degli
elementi per costruire le sequenze, unendo i momenti pregnanti di ogni circostanza del
racconto. Il dec. si incarica anche dell’analisi spaziale, ovvero fornisce allo spettatore le
informazioni necessarie alla ricostruzione dello spazio scenico in modo coerente e
unitario. per rappresentare l’azione in modo continuo,
Il tempo della narrazione e del racconto Se l’atto della narrazione avviene nello stesso
momento in cui si svolgono i fatti, ci troviamo di fronte a una narrazione
simultanea (diretta televisiva). Se l’atto della narrazione si svolge prima che i fatti siano
accaduti, si parla di narrazione anteriore (discorso profetico). Se l’atto della narrazione si
situa dopo che i fatti sono accaduti si tratta di narrazione posteriore (racconti). Il film
narrativo articola due livelli virtuali, il tempo della storia e il tempo del racconto: il primo è
quello in cui si sono effettivamente svolti gli eventi, il secondo è quello in cui si sono
organizzati nell’intreccio. I due livelli sono in relazione in base a ordine, durata,
frequenza.
Ordine. L’ordine cronologico può essere rispettato o subire una duplice forma di
alterazione, detta anacronia: • Analessi à l’anacronia si spinge verso il passato. Essa
è conosciuta come flashback e indica in particolare una retrospezione ancorata a un
personaggio, a un suo ricordo o confessione. • Prolessi à l’anacronia si spinge verso il
futuro. Essa è conosciuta come flashforward e anticipare un evento che poi sarà
narrato per esteso. L’anacronia può avere varia distanza temporale (un’ora, giorni…) che
costituirà la sua portata. Quando la frequenza delle interpolazioni dell’ordine cronologico
degli avvenimenti privano lo spettatore della possibilità di fissare punti di riferimento certi, il
racconto allora si dirige verso l’acronia, cioè verso la confusione dell’ordine temporale
degli avvenimenti o l’impressione di una sua assenza.
Durata. Gli avvenimenti possono essere narrati nella loro durata effettiva o possono
andare incontro a forme di riassunto o di espansione. Nel primo caso si definisce
scena il modo temporale della rappresentazione teatrale tradizionale; nel secondo
abbiamo tre tipi di alterazione: • Sommario (TR < TR): accelerazione delle immagini o
montaggio non continuo, salti temporali tra una inq. e l’altra. • Ellissi (TR = 0; TS = n): il
tempo del racconto si contrae fino ad azzerarsi; l’ellissi può essere determinata ma
anche indeterminata e assumere durata indefinita e celare al suo interno informazioni
importanti • Espansione (TR > TS): effetto di rallentamento che nel film può ottenersi
con l’utilizzo del ralenti e tramite soluzioni di montaggio che, componendo l’azione e
rappresentandola nello stesso momento da molteplici punti di vista, ne dilatano la durata.
• Pausa (TR = n; TS = 0): pausa, che si ottiene col fermo immagine o con l’ausilio della
voce over con cui si giunge a una digressione commentativa o descrittiva rinunciando a
condurre innanzi la storia.
Frequenza. Frequenza narrativa: relazione di freq. fra gli eventi della storia e la loro
proposizione nell’intreccio, con le sue varie determinazioni.
Racconto singolativo (I volta nel racconto, I volta nella storia)e singolativo plurimo (n
volte nel racconto, n volte nella storia) à si racconta una sola volta o n volte ciò che è
successo una sola volta o n volte. Racconto ripetitivo (nR/IS) à si racconta n volte un
avvenimento verificatosi 1 volta sola nella storia (es. personaggi che raccontano
la stessa storia offrendone ciascuno la propria versione). Racconto iterativo (IR/nS) à si
racconta in una sola volta ciò che nella storia è avvenuto più volte. Solo certi interventi
all’imperfetto della voce over riescono a imprimere un evento dal valore iterativo; anche la
sequenza a episodi rappresenta un certo stadio di sviluppo dell’evento narrato, facendo
pensare a un valore frequentativo anche se in realtà la sequenza a episodi costituisce solo
un esempio di condensazione simbolica.
La grande sintagmatica della colonna visiva. Fu proposta da Metz nel 1968 e dà conto
della delle modalità con cui il cinema racconta la progressione dell’azione, in una
dimensione descrittiva, commentativa e drammatica. Metz muove dall’identificazione
nell’unità del film di una serie di segmenti autonomi capaci di sviluppare in sé un’unità di
contenuto narrativo, genericamente definiti sequenze. Si tratta di sintagmi, unità composte
da un certo numero di inq. con la sola eccezione del primo tipo, il piano autonomo che
invece è composto da una sola inq. Metz ha individuato 8 grandi tipi di segmenti autonomi.
Le figure vicarie: narratore e narratorio. Le due istanze all’origine del discorso del
film, l’enunciatore e lo spettatore, possono replicarsi all’interno del testo in figure che
ne riflettono la funzione, ossia narratori e narratari. Dalla parte dell’enunciatore abbiamo
i narratori che conducono il racconto solo per mezzo della voce over e tutti i narratori-
personaggio. Dalla parte dello spettatore si trovano i narratari, per esempio personaggi
che si presentano come depositari di racconti o di confessioni. Considerando i narratori
secondo il livello, distinguiamo tra narratore extradiegetico responsabile del racconto di
primo livello, che racchiude al proprio interno gli eventuali altri e narratore intra e
metadiegetico, fonte dei racconti incastrati dentro quello originario. Se il criterio è la
relazione si parlerà di narratore eterodiegetico, nel caso di una relazione di estraneità (il
narratore racconta fatti ai quali non ha preso parte) e di narratore omodiegetico, nel caso
che la relazione sia di appartenenza (il narratore riccona fatti cui ha partecipato).
Emblemi della visione e della ricezione. Il film può contenere rimandi all’enunciatore
e allo spettatore. Dalla parte dell’enunciatore ci sono le figure vicarie dei narratori,
mentre la condizione dello spettatore viene raffigurata nell’universo della storia da tutte le
variante delpubblico o spettatore diegetico. Lo spettatore diventa anche il bersaglio
di appelli che il film gli indirizza: a volte questa funzione di appello viene svolta da
alcune parole scritte che appaiono nel film (didascalie); in questo ambito si collocano
anche tutti quei
personaggi legati a ruoli professionali o a compiti narrativi che incarnano l’attività visiva e
narrativa di quel film. Nella prima rientrano tutti i tipi di voyeurs (registi, coreografi,
fotografi…) che possono costituire anche un alter ego, una raffigurazione traslata dello
spettatore e delle operazioni che gli competono (il giornalista, il detective… si qualificano
come spettatori del mondo). Finestre, porte aperte, tende… si caricano di un valore
riflessivo perché creano una dorta di schermo secondo, ricordando che il film è il luogo di
una mostra. Lo specchio pure è uno schermo secondo perché riceve l’immagine ma è
anche figura dell’emissione perché la rilancia. Così tutti i dispositivi di visione si pongono
come emblemi del dispositivo cinematografico nel duplice senso del mostrare e del
guardare immagini. Il dispositivo cinematografico può essere messo in gioco nei film
ambientati nel mondo del cinema e ogni volta in cui si rappresenta un atto di ripresa o di
proiezione di immagini filmiche. Si parla di film nel film: il rapporto può essere tale che il
film secondo non abbia particolari relazioni con il primo (metacinematografico à il film
riflette solo il fatto di appartenere al cinema); o il film secondo sarà un ricettacolo in scala
di temi e forme del film contenitore (metafilmico à il film duplica in sé il proprio ritratto
narrativo).
Le forme dello sguardo. I passaggi e i confini tra una forma e l’altra sono graduali e
non sempre netti. Al polo superiore troviamo lo sguardo oggettivo non condizionato,
un tipo di sguardo non ancorato ad alcun personaggio e non marcato da alcun segno
audiovisivo dell’enunciatore: oggettive neutre che rappr. l’azione dei personaggi. Sotto si
trovano la camera espressiva e la camera impassibile che insieme producono il regime
delle inq. oggettive orientate dove la marcatura audiovisiva è riconducibile al manifestarsi
dell’attività dell’enunciatore. La camera espressiva è segnata da speciali marche
audiovisive – come altezza, inclinazione e angolazione anomale della camera che servono
a esprimere un particolare atteggiamento interiore. La camera impassibile, con le scelte
che la strutturano come durata o distanza ingiustificate dispetto alle azioni e agli elementi
rappresentati, si carica di un valore autoreferenziale, manifestazione di un puro esercizio
dello sguardo. Poi abbiamo la soggettiva pura, struttura articolata in due inq., quella del
soggetto che guarda e quella dell’oggetto guardato (effetto-soggettiva). La soggettiva con
la sua modalità di condivisione dello sguardo del personaggio è legata all’identificazione
spettatoriale. Di solito il passaggio dalla prima alla seconda inq., dal soggetto all’oggetto
dello sguardo è anticipato da un segnale di attivazione della visione. Questa struttura
conosce delle varianti: la soggettiva rovesciata, dove viene invertito l’ordine delle due inq.
che la compongono, anteponendo l’oggetto guardato al personaggio che guarda; la
soggettiva differita dove l’inq. dell’oggetto dello sguardo segue solo a distanza quello del
personaggio che lo ha attivato; il contrario di questa seconda variazione è il punto di vista
ritardato, dove viene procrastinata l’inq. del personaggio dal quale è scaturito lo sguardo.
Quando la visione attraverso gli occhi del personaggio reca in sé particolari marche
audiovisive siamo di fronte a una percezione di personaggio, cioè a un’inq. che reca in sé
la sottolineatura dell’atto percettivo per personaggio. L’atto del guardare può essere
condizionato anche da fattori non legati all’interiorità del personaggio. Un altro tipo di
sogettiva marcata mette in evidenza l’emozione o l’interiorità del personaggio. Lo sguardo
si dinamizza e si stacca dallo spazio fisico in cui si trova il personaggio pur mantenendo
l’asse di ripresa e dunque il legame con la sua origine à percezione dinamica di
personaggio (vedi Ossessione). La falsa soggettiva si presenta prima come soggettivo
ma poi rivela di non fare capo, del tutto o per parte della propria durata, allo sguardo del
personaggio. Il personaggio non ha guardato da quel punto o nel corso del suo tragitto
cessa di corrispondere alla traiettoria del personaggio a essa correlato e si sgancia dal
suo sguardo che inizialmente è una soggettiva ma che poi di trasforma o si rivela
un’oggettiva. Le semisoggettive o soggettive in senso metaforico configurano un tipo di
visione tecnicamente oggettiva, perché le inq. non scaturiscono direttamente dal
personaggio. Tuttavia l’inq. e lo spazio che essa circoscrive sono riconducibili all’interiorità
del personaggio. Lo sguardo si scolla dal personaggio che lo produce e viene proiettato,
riflesso, dislocato nello spazio. Branigan parla di riflesso di personaggio, cioè di una
costruzione soggettiva metaforica che presuppone una normale condizione interiore,
facendo riferimento a quelle forme di dislocazione spaziale dello sguardo del personaggio
determinate da specchi e altre superfici riflettenti presenti nel quadro. Un altro caso è
la proiezione di personaggio: lo spettatore accede all’emotività del personaggio, nel
senso che lo spazio rappresentato nell’inq. reca i segni di una sua particolare proiezione
mentale. L’immagine si carica di modalità connesse alla condizione psichica ed emotiva
del personaggio.