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Giuliana Bruno – Pubbliche intimità, architettura e arti visive.

Pagine libro = 200

Prefazione di Anthony Vidler:


Lo spazio tridimensionale, abitato e messo virtualmente in movimento dal corpo, ha costituito il
soggetto dell’architettura moderna, mentre il cinema si è occupato di della sua rappresentazione
bidimensionale coniugata con il tempo. A partire dalla fine del XIX secolo architettura e cinema
sono inestricabilmente legati.
Gli architetti, prendono spunto dai cineasti e il contrario. – Sigfried Giedion conia il terzetto Spazio,
tempo e Architettura. Le Corbusier e Sergej M. Ejzenstejn fungono da emblematica coppia di
questa relazione transdisciplinare.
Ormai l’architettura opera come un meccanismo psichico, costruendo i propri soggetti nel tempo e
nello spazio. Mentre il cinema oltre a rappresentare il movimento nello spazio e lo spazio nel
movimento rivela anche l’inconscio spaziale del soggetto moderno e i ricordi “repressi” che sono
andati stratificandosi in lui.
Se dal 1900 il modernismo in architettura e il nascente medium del cinema hanno fatto da leitmotiv
alle avanguardie, l’intersezione dell’esperienza mentale-spaziale e della sua raffigurazione illusoria
ha una lunga preistoria nella fantasmagoria dei panorami ottocenteschi, nei teatri anatomici delle
prime presentazioni mediche e nei teatri della memoria rinascimentali. Lo psicoanalista Jaques
Lacan, la faceva risalire addirittura all’origine dell’architettura e della pittura ove, a suo avviso
l’architettura primitivamente dette luogo alla prospettica come immagine del vuoto, per
sottomettersi a sua volta alle leggi pittoriche della prospettiva.

“Le installazioni artistiche contemporanee hanno esplorato esattamente queste relazioni, ora con
l’aiuto dei corpi, delle loro protesi, e dei loro simulacri, ora con immagini proiettate che, come le
pitture parietali rinascimentali di Lacan, si sostituiscono alle pareti”. Attingendo da risorse e
dispositivi ancora inutilizzati ereditati dalle avanguardie moderniste e alla tecnologia digitale, gli
ambienti virtuali simulati di ieri si trasformano negli ambienti virtuali reali di oggi, o piuttosto in
ambienti costruiti nel mondo della percezione sensoriale quadrimensionale.

Il corpo nella sua fisicità anatomica , continua ad ostacolare l’assoluta virtualità: lo spazio
architettonico nel suo ruolo di stimolatore di introiezioni mentali ( memorie) e proiezioni fisiche e
psichiche e fisiche(eventi), non ha perso il potere originario di catturare il corpo; il mezzo filmico; in
quanto movimento simulato in movimento e spazio bidimensionale simulato, continua a operare
come strumento analitico simile al bisturi del chirurgo o al lettino dell’analista portando alla luce i
vuoti di memoria e coscienza.

Come osserva la Bruno esaminando l’archeologia medica e le macchine corporee reali e filmiche di
Rebecca Horn e a Free And Anonymous Monument di Jane e Louise Wilson – le opere migliori
prodotte nel campo dell’architettura, del cinema e delle installazioni artistiche esplorano e
sfruttano queste resistenze, rivitalizzando in modo critico memoria e storia.

Il monumento delle Wilson mostra, come un’opera d’arte modernista concepita con l’architettura
degli anni 50’ del secolo scorso – decantato esempio dell’architecture autre di Banham, ora
abbandonata e avversata per la sua bruttezza – possa essere recuperata e riformulata in
un’installazione al contempo fisica e virtuale rivelando la pluridimensionalità di ciò che in situ
appare come un oggetto senza valore, se non privo di senso.

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Nel caso del monumento, gli schermi che non sono pareti muovendosi su pareti schermo che
simulano pareti, vanno un passo più in la del cinema classico, che rivela il vuoto nei suoi effetti di
montaggio, al fine di recuperare l’architettura nel suo stato primitivo: un netto ritorno alle origini
dell’architecture brut, ma anche un’ analisi strutturata di quel ritorno.

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1. Collezionare e ricordare
Itinerari filmici e passeggiate museali

L'indumento smesso invita al ricordo, rievocando per noi la persona che ne abitava la superficie, il
corpo vivente che lo animava. Scenario familiare per l'artista Boltanski, il materiale dell'indumento
smesso da corpo a una proiezione: la superficie intessuta opera con uno schermo. Anche lo
schermo cinematografico è una fibra un tessuto materiale che assorbe riflette. E tale è lo schermo-il
tessuto-su cui si scrive la memoria storica.

Se questo testo collega ricordo indumento sullo schermo è per richiamare l'attenzione sulla
“fabbricazione” dello spazio archivistico con riguardo alla posizione che cinema e museo occupano
in tale processo. L’analisi intende portare in primo piano l’interazione tra il percorso immaginoso
del cinema e la passeggiata museale e, riconoscendo la reversibilità del procedimento all'opera,
collegare il loro impatto emotivo lungo il sentiero esperienziale in cui gli atti di memoria fanno
tutt'uno con il movimento dell'immaginazione, con il luogo della collezione e il tragitto del ricordo.
In una ricerca sul cinema risalente al 1916 di Hugo Munsterberg propose un modello teorico che
individuava un intimo legame tra cinema affetti memoria. Munsterberg sosteneva che il medium
stesso è una proiezione del modo di funzionare della mente umana, esso è una matrice
materializzazione della nostra vita psichica.
M. affermò la fondamentale funzione mnemonica del cinema, un medium che non si limita a
riflettere l'impaginazione del nostro paesaggio mnesico ma lo produce dando vita a una memoria
intersoggettiva e culturale. La mnemonica è parte integrante del l'apparato Geo – psichico del
cinema. Il lavoro della memoria è particolarmente manifesto della fantascienza e del noir due
forme di narrazioni cui confini fluttuano e spesso si sovrappongono, è intrinseco della trama del
noir coinvolgere lo spettatore in giochi mentali in particolare manipolare la memoria sovvertendo
nel farlo, tanto la storia personale, quanto la storia sociale. I suoi esiti più contemporanei da Blade
Runner a memento, ci mostrano quanto nella nostra cultura lo status del ricordo sia mutato. in
queste pellicole il ricordo si presenta come un'immagine, le fotografie come una vera e propria
architettura della memoria, il cinema mostra più e più volte che al giorno d'oggi sono le immagini-
le immagini in movimento- a certificare le nostre storie.

La geografia della cultura museale è mutata a sua volta e si è aperta ad accogliere le immagini
movimento. la funzione stessa del museo come spazio di memoria culturale è stata movimentata
dalla loro presenza. nelle sue varie avvincenti forme l'esposizione è diventata la sede di una seria
pratica artistica, oltre che il luogo ove studiare la politica della progettazione dello spazio artistico.
In questo scritto, prendendo in esame lo spazio del cinema e del museo e i loro possibili punti di
contatto, si perseguirà dunque una ricerca interdisciplinare e si sosterrà la reciproca impollinazione
di teoria del cinema e dell'arte. il che significa spalancare le porte della sala cinematografica e

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mostrare che la forza motrice del cinema oltrepassa il confine degli spazi deputati alla sua
diffusione.
Cinema e Architexture museale:
Lewis Mumford Architettò l'interazione tra cinema e museo, assegnando una funzione museo
grafica al cinema. A suo dire, esso è una maniera moderna di documentare il memoriale della
cultura, offrendo al nostro sguardo forme diverse di vita e differenti esistenze passate. “Ciò che non
si può tenere in vita in forma materiale possiamo ora misurarlo fotografarlo attraverso l'immagine
fissa l'immagine in movimento”. Per Mumford il cinema interviene nella cultura museografica
fornendo la misura di ciò che non si può mantenere in vita. Basin riconosce che il cinema si colloca
all'interno della storia dell'arte entro lo spazio che Mumford definiva i memoriali della cultura, ma
M. però va più in là di Bazin evocando l'immagine della città e del suo moto, il suo testo ci propone
un quadro meno statico andando oltre al concetto di cinema come maschera mortuaria e riconosce
in tale una traccia mobile e una misura mnemonica attiva vale a dire una mappa di un archivio di
immagini.

A zonzo dell’archivio cinematografico della galleria:


Per Mumford, La convergenza di museo e cinema si pone come un elemento costitutivo essenziale
della genealogia filmica all'incrocio tra collezione e ricordo. Nella cultura visiva contemporanea
questa convergenza si è trasformata in una tensione delle articolazioni inedite, ed è
particolarmente visibile e vitale nel campo delle installazioni d'arte.
Negli anni abbiamo assistito a un fenomeno interessante: la migrazione dell'arte al cinema e
viceversa. Le immagini in movimento del cinema si sono messe in moto in qualche misura hanno
cambiato indirizzo e hanno lasciato le sale cinematografiche per stabilirsi nelle sedi espositive
diventando in varia forma una presenza costante dell'esposizione delle gallerie e nelle mostre dei
musei. In concreto, la nuova interfaccia ha spinto il filmmaker a produrre installazioni che
ridisegnano l'architettura del cinema.

 Un esempio eccellente di questa nuova formulazione è la decomposizione a cui Chantal


Akerman sottopose il film D’est 1993 Trasformandolo in una installazione artistica. Il film è
alla lettera dislocato: trasferito in trittici di 24 monitor video distribuiti nello spazio della
galleria. Ai visitatori viene pertanto offerto il godimento spettatoriale di entrare nel film
come se attraversassero fisicamente il lessico del montaggio. Questo tipo di frizione segnala
che la mostra si basa sul transito dall'arte all'architettura del cinema.

 Esempio cinema in movimento tanto quanto lo è sia il pubblico sia ciò che è in mostra: è il
caso dell’installazione – Vagabondia, realizzata nel 2000 da Isaac Julien – che attraversa lo
spazio della collezione d’arte proponendo una meditazione sul ricordo. In questo caso ci si
serve di uno schermo diviso per portare gli spettatori nelle giunzioni dello spazio
mnemonico, mentre il loop rinnova il movimento di regresione nell’esplorazione
museografica.

Se il filmmaker Si sono rivolti all'installazione, molti valenti artisti contemporanei si sono, viceversa,
rivolti al cinema punto non si tratta certo di un fenomeno nuovo, poiché il linguaggio artistico del
ventesimo secolo si è incrociato con il cinema, in particolare nelle sue versioni moderniste.
Ad esempio Matthew Barney ha creato la propria mutante forma cinematografica Cremaster 1994-
2002, operando negli interstizi tra scultura, fotografia, video, cinema per comporre ibridi anatomici

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che mettessero in forse distinzione tra specie e generi per guidarli entro nuovi e intricate schemi
figurativi.

Le immagini in movimento hanno aperto un varco nella galleria d'arte nel museo anche su una scala
più ampia, riportando il pubblico alle mostre. Per molti versi la forma di questa estetica in cui l'arte
si fonde con l'architettura ricorda proprio lo spazio occupato dal cinema, altra forma artistica
architettonica. In termini perfino più grafici si potrebbe affermare che le stanze di installazione
spesso diventano sale di proiezione, convertendosi in un vero e proprio spazio cinematografico. A
volte tale esperimento riecheggiano le ricerche compiute nel linguaggio filmico da precedenti
avanguardie cinematografiche, inserendosi in particolare nelle genealogie cinematografiche di Ken
Jacobs e Bruce Conner.

Nella loro pratica artistica se ne sono serviti anche mente del rallenty e di tecniche quali il fermo
fotogramma, il looping e la rielaborazione di spezzoni di film. Da questo punto di vista sono di
particolare interesse le installazioni dell'artista Stan Douglas che con i media rimodella lo spazio la
durata dispetto della storia e in forma di memoria storica e i cui paesaggi culturali ricompongono
inventari storici della rappresentazione non esclusi quelli del cinema.
Talora il discorso dell' arte quello del cinema si intrecciano direttamente nell'archivio della
genealogia filmica. È quello che succede in opere quali Silent movie (94-95) di Chris Marker.
Marker rifà la storia del cinema in una videoinstallazione Multipla che affronta la modernità del
cinema, la sua fisionomia e modalità urbane. Un esempio diverso ed esplicitamente genealogico
della storia del cinema è dell'artista scozzese Douglas Gordon tra le cui manipolazioni di materiali
filmici preesistenti figura la trasformazione di
Psycho di Alfred Hitchcock 1960, in
un'installazione evento di longue durée
“distesa” su 24 ore, intitolata - Twenty Four
Hour Psycho.

Il suo historical 1995 è una video installazione


che rivisita la ben nota relazione tra isteria e
rappresentazione. Lo spezzone di un film
muto, proiettato su due schermi, crea due
loop uno che è scorrevole a velocità normale e
l'altro al rallenty e i ritmi occasionalmente si
incontrano. Nel loop dell'installazione la fonte
archivistica il filmato di un esperimento clinico
rimane anonimo, ma sulla bobina della storia del cinema è identificabile come la neuropatologia.

l'utilizzo del loop rivela Inoltre un altro aspetto del cinema innestandosi nella sua storia materiale.
Accentuando il moto rotatorio che è alla base materiale del movimento filmico e la forza motrice
delle sue emozioni, il loop di Gordon ci ricorda che da materialità al cinema è la ruota della
memoria. È con questo tipo in movimento che si crea l'emozione filmica si trasforma
un'installazione genealogica in un vero e proprio progetto mnemonico.
Il movimento rotatorio della ruota è dunque di per sé una tecnica mnemonica. Le numerose
installazioni d'arte contemporanea che come l'opera di G. giocano con il loop rappresentano il

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rifacimento tecnologico del dispositivo mnemonico. In altre parole appunto attraverso la tecnologia
dell'immagine, stiamo ancora giocando con le immagini in movimento.
 Un esempio di associazione di moto di emozione in bobine cinematografiche e installazione
d'arte mnemotecniche è il movimento culturale che si può trovare nel loop di Shirin Neshat
che usa questa tecnica all'interno di un processo di creazione di immagini, fondato sulla
storia e sul linguaggio del cinema. La sua trilogia formata da Turbolent 1998, Rapture 1999 e
Fervor 2000 affronta in profondità la specificità del linguaggio del cinema e alcuni aspetti la
sua storia inclusi particolari ritmi filmici che caratterizzano il cinema iraniano. Il suo progetto
è genealogico. La fotografia in bianco e nero e l'utilizzo di allestimenti discreti riprendono
con tutta evidenza le bobine degli inizi della storia del cinema, mentre l'impiego dello
schermo diviso reinventa per il frequentatore di gallerie una componente essenziale della
frizione filmica.

Genealogia del cinema e spazio musicale:


Nella galleria o nel museo sia di continuo la sensazione di passeggiare in mezzo a, oppure fino
dentro, un film e che ci venga chiesto di rivivere il movimento del cinema in altro modo ri-figurando
il terreno culturale che gli è proprio, quello del site-seeing, dell’esplorare con gli occhi alla scoperta
di nuovi territori. Entrando e uscendo da un'installazione si provano sempre più le stesse
sensazioni cui ci ha abituati la sala cinematografica: ci si sente portati altrove, culturalmente
trasportati, in bilico.
Il cinema è emerso da una cultura Geo visiva interattiva. In effetti, ripercorrendo il rapporto che
lega il cinema alla storia delle strategie espositive si scopre fino a che punto i primi spettacoli
museografici e le prime pratiche della curiosità siano all'origine proprio dell’ architettura e
progettazione di interni che si è trasformata in cinema. Tra questi spazi dedicati alla visione si
annoverano gabinetti delle curiosità, musei delle cere, evoluzione spettacolari fluide e
automatizzate, vetrine, display, scatole ottiche quali Mondo nuovo e vedute pittoriche.
Il cinema e la sua fruizione si sviluppano in e attorno a tutti questi luoghi intimi di visione pubblica,
all'interno di una storia dell'architettura degli spazi scenici animata in un'estetica di vedute
fratturate volatili e sequenziali. i frammenti si cristallizzano si realizzano e si automatizzarono nel
gabinetto delle curiosità precursore del museo; oggetti che erano souvenir culturali che si offrivano
allo sguardo dello spettatore per dargli piacere, la visione dei paesaggi si sviluppò in arte del vedere
dando vita a una galleria di vedute.
In questo itinerario storico la costruzione del pubblico fece sì che la mostra si incrociasse con la
visione filmica. l'epoca che vide nascere il pubblico fu contrassegnata in campo artistico dalla
creazione di istituzioni quali il salone di Parigi dove l'arte soffriva al consumo popolare. Il cinema,
una biografia intima nata insieme a quel pubblico, è strutturalmente associato a tale concetto. la
sala cinematografica segnala la movimentazione dello spazio pubblico con le sue strutture
espositive e la passeggiata architettonica, che ha empiricamente luogo dove la produzione di
immagini si salda con la visione con la visita dello spettatore.

Site – seeing: passeggiate filmiche e architettoniche:


Per capire meglio itinerario dell'immaginazione e il percorso mnemonico che collegano lo spazio
cinematografico a quello museografico è utile riprendere montaggio e architettura un saggio scritto
da Ėjzenštejn alla fine degli anni trenta del secolo scorso.
Ėjzenštejn vedeva un legame essenziale tra l'insieme architettonico e il cinema, e si disponeva a
progettare uno spettatore mobile per entrambi. Il metodo da lui seguito per ottenere tale risultato
era, alla lettera, portare il lettore a fare una passeggiata. Costruito come un percorso, il suo saggio

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ci guida in un tour architettonico. l'immobile spettatore cinematografico segue un cammino
immaginario, passando da una molteplicità di luoghi e di epoche. il suo immaginario andare, collega
attimi separati e luoghi remotissimi. Il cinema eredita dall'architettura la possibilità di un simile
viaggio spettatoriale.

“Un insieme architettonico è un montaggio dal punto di vista dello spettatore movimento. anche il
montaggio cinematografico è un modo di collegare in un unico. - lo schermo- vari elementi
frammenti di un fenomeno filmato in diverse dimensioni da diversi punti di vista e da vari lati.”
Il tragitto cinematografico è la versione moderna dell'itinerario architettonico, con il suo montaggio
dello spazio culturale. il cinema segue un percorso storico, vale a dire la modalità museografica di
raccogliere i vari frammenti di fenomeni culturali appartenenti a diversi monumenti geo storici,
su cui la memoria dello spettatore può lavorare nello spazio. in tal senso il cinema di scende non
solo storicamente ma anche formalmente da una specifica passeggiata museale: l'esplorazione geo
visiva del gabinetto delle curiosità e l'attraversamento ”oramico” dell'architettura del display. il
consumatore di questo architettonico spazio divisione È il prototipo dello spettatore
cinematografico.

I tragitti architettonici dell’arte della memoria:


L’ immaginosa visione della passeggiata filmico architettonica segue un tragitto mnemonico. Non
dimentichiamo che l'arte della memoria era sempre stata una questione di mappe spaziali ed era
tradizionalmente una faccenda architettonica. Nel primo secolo dopo Cristo Quintiliano formulò
una visione architettonica del funzionamento della memoria che divenne poi un punto di
riferimento culturale. - Per ricordare le diverse parti di un discorso era necessario immaginare un
edificio e sistemare il discorso tanto al suo interno quanto in sequenza: bisognava percorrere il
fabbricato e popolare ogni angolo dello spazio con un’immagine poi bisognava ri attraversarlo
mentalmente. –
In Cicerone e Quintiliano la scrittura intima che incide sulla cera è di tipo architettonico. i luoghi
sono usati come cera. Sono la sede di un palinsesto mnemonico.

I luoghi dell'Arte della memoria hanno la stessa texture cerosa del set cinematografico: uno spazio
continuamente ri - disegnabile, dove molte storie "hanno luogo" e prendono il posto della
memoria.
Il sistema mnestico, Innestato nello spazio di una casa o di un edificio o raffigurato nelle immagini in
movimento del cinema, si innesta anche nella forma della visita museale: in ognuno di questi luoghi
si producono immagini mentali.

Prima di installarsi negli spazi espositivi del museo è nella sala cinematografica, l'arte della memoria
che andò articolandosi a partire dalla struttura architettonica proposta da Quintiliano troverò il
proprio logo di sviluppo nel teatro. La più celebre delle versioni teatrali di tale arte fu proposto da
Giulio Camillo (1480-1544), che concepì il suo Teatro della memoria in forma di collezione.
Nel tragitto che connette lo spazio esterno alla geografia interiore, attraverso cui l'arte della
memoria passata al teatro mnemonico e dall'arte della mappatura alla sala cinematografica
l'opera di Giordano Bruno svolse un ruolo di primo piano.
Il suo sistema mnestico architettonico è formato da una sequenza di stanze della memoria in cui le
immagini si dispongono in base a una logica complessa, fondata su tutto ciò che va dalla geometria
magica alla meccanica Celeste. Delineando una sorta di memoria locale, Bruno costruì un sapere di
natura mobile. Per tracciare la mappa di una vasta gamma di luoghi della memoria ideò un flusso di

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movimenti tra gli uni e gli altri, dando vita ad una geografia composita. La sua arte della memoria
trasforma l'immaginazione nell’ alchimia dei sensi e conferisce un potere associativo alle immagini.
E i ricordi per Bruno non sono che l’ombra delle idee. Per riuscire a muoversi ea varcare le porte
dell'archivio mnestico devono essere effettivamente carichi.

A zonzo tra i paesaggi interiori:


L’idea che memoria e immaginazione abbiano a che vedere con il movimento si ripropose con
modalità ancora più geografiche nel corso del XVIII secolo, allorché il MOTO si legò con maggiore
evidenza all’emozione. Il moto era una forma di stimolo di cui si aveva ardentemente bisogno. Ed il
giardino era uno dei luoghi privilegiati della ricerca di spazio emotivo.
Variamente legata a diverse filosofie associative, la progettazione paesaggistica del XVIII secolo
incarnava l’idea stessa che il moto governi l’attività mentale e dia il là all’immaginazione. Si credeva
che le immagini chiamate a raccolta dei sensi, producessero “treni” di pensieri. – Tale filosofia dello
spazio dava corpo a una fluida geografia emotiva.
L’immaginare – nasceva dal moto spettatoriale che si sarebbe ulteriormente evoluto nel cinema e
nel museo. All’origine della percezione aptica prodotta dalle animate immagini emozionali del
cinema c’è il vagabondaggio stupefatto tra le immagini sensazionali che si generano nello spazio del
giardino settecentesco.
Il giardino era un esterno che permetteva allo spettatore di venire a contatto con il proprio spazio
interiore. Quando se ne percorrevano i sentieri un duplice movimento connetteva senza soluzione
di continuità topografiche interne ed esterne.

Itinerari architettonici e giardini della memoria:


Osservando come la passeggiata pittoresca sia trasmigrata nei moderni itinerari della reminiscenza,
vediamo come nella teoria figurativa di Ėjzenštejn cogliamo un altro aspetto dell’arte della
memoria.
Sulla falsa riga di Le Corbusier, Ėjzenštejn si servì delle vedute pittoresche di Auguste Choisy –
storico dell’architettura- per illustrare la concezione della passeggiata Filmico-Architettonica.
Ėjzenštejn e le Courbousier ammiravano l’uno le opere dell’altro e condividevano in vario modo
l’ennesimo terreno. “Architettura e cinema sono le uniche due arti della nostra epoca”.

Le loro passeggiate seguono un identico tragitto mnemonico, che implica il lavoro


dell’immaginazione. Davanti agli occhi dell’osservatore in movimento si creano diverse vedute e
inquadrature pittoresche. La passeggiata architettonica rivela una varietà di p.ti di vista e allo stesso
tempo trasforma il visitatore in un vero e proprio consumatore di vedute.
Da questa prospettiva mobile si può compiere anche un viaggio di immaginazione. La lettura di un
insieme architettonico avviene attraversandolo. E lo stesso si può dire di uno spettacolo
cinematografico – poiché un film – lo schermo di luce – lo si legge attraversandolo ed è leggibile in
quanto è attraversabile.
Il passeggiero cinematografico è il soggetto di una pratica nota anche a chi frequenta i musei: in
transito attraverso degli spazi di luce. Tale transito – che oggi si ripropone attraverso le installazioni
di arte contemporanea sulla parete della galleria non è che lo spettacolo dello schermo
cinematografico e della parete architettonica. Le vedute di Le Courbousier erano, in effetti, esse
stesse cinematografiche. Lui dichiarò che l’architettura la si capisce muovendosi.

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In quanto site-seeing, la passeggiata architettonica del cinema rimanda allo “streetwalking”,
all’Andare a Zonzo nelle strade e ai vagabondaggi narrativi dei musei e con esso interagisce.

Spazio di luce, tra cinema e installazione artistica:


Quando si pensa alle vedute moderne quali la Promenade, di Le Courbousier, ci si muove nella zona
di contatto tra il viaggio architettonico innescato nel cinema e quello messo a p.to nella galleria
d’arte. Sia nelle passeggiate museali che nei viaggi filmici si crea uno spazio per guardare, scrutare
e vagabondare, partecipando all’architettura della memoria.
Comportandosi come il visitatore di un museo, l’itinerante spettatore dell’insieme filmico
architettonico legge le vedute in movimento come esercizi dell’immaginazione. Vediamo che il
movimento cinematografico include genealogicamente nel proprio spazio culturale la traiettoria
intima dell’esposizione pubblica.
Chi si aggira in mezzo a un’installazione artistica si comporta esattamente come lo spettatore
cinematografico, assorbendo e connettendo gli spazi che si offrono al suo sguardo. L’installazione
rende manifesti i tragitti dell’immaginazione di cui fanno parte il linguaggio del montaggio filmico e
il corso del viaggio spettatoriale.

Se all'interno della sala cinematografica la passeggiata filmico architettonica è un processo cine


estetico, nella galleria d'arte si entra letteralmente nello spazio dell'arte della memoria e nella
narrazione ivi prodotta per via architettonica.
In ultima analisi, la forma dell' installazione d'arte riproduce il percorso aptico da cui nasce proprio
la genealogia museale del cinema. La fine del ventesimo secolo e gli albori del XXI sono perciò uniti
da questa giuntura di montaggio e da un loop. Lungo la strada si avvia qualcosa di importante: lo
spazio dell'installazione si trasforma in un rinnovato teatro del ricordo/raccolta di immagini, Che
prende il posto dello spazio performativo che la sala cinematografica rappresenta da oltre un
secolo e non ha smesso incarnare, e al Col tempo e fa da interfaccia.

Interfaccia: cinema e museo:


La nuova convergenza di cinema e museo riguarda anche il terreno della progettazione. Sicché il
paesaggio dall'interno all'esterno non avviene solo sulle pareti del museo e nelle pratiche
curatoriali che hanno assorbito l'itinerario cinematografico Ma vai scena, strutturalmente, sulla
superficie dello stesso edificio architettonico.
Siamo in un'epoca in cui le nuove architetture si animano come esposizioni museali, da Bilbao a
Berlino, da Los Angeles a Seattle, da Santiago De Compostela a New York, da Helsinki a Boston.
 Con il museo ebraico di Berlino, Daniel Libeskind lo fa misurandosi con una mappa vissuta.
nel progetto e gli scrive una cartografia intersoggettiva, scorciando sulla superficie
dell'edificio finestre che corrispondono ai luoghi di una mappa che Walter Benjamin
chiamava Berlino vissuta. Secondo Libeskind Lo stesso edificio emerge dall'apertura di ciò
che rimane di quegli scorci sul terreno - scorci,- vedute - occhiate.
 Sembra che siamo diretti verso l'interfaccia filmico-museografica. Il nuovo museo
Guggenheim progettato da Frank Gehry per la città di New York e mai realizzato, Aveva
l'aspetto di una pellicola cinematografica che si snoda in infinite pieghe. questa architettura
dall’ ondulazione ricorda le pieghe di celluloide che un tempo si depositavano sul pavimento
della sala di montaggio. Il cinema, con il suo tessuto e le sue pieghe di immagini in
movimento, diffonde un Architexture affettiva: l’emozione trova la sua collocazione in una
geografia culturale fluttuante.

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Cineres e cinèmi:
Il lavoro dell'artista visiva Judith Barry analizza un'altra dimensione della collisione tra Architexture
& texture filmica. Barry Esplora i modi post prospettici una serie di immaginare spazi abitativi,
inventando lo spazio con il turbine della storia. museo, cinema e grande magazzino hanno in
comune un'identica forma architettonica, nella misura in cui sono vetrine di progettazione
culturale. Questi tre luoghi espositivi venivano storicamente percorsi nello stesso modo:
fluidamente, passa Anzi spazio e spazio e, seguendo la medesima logica di consumo.
Nell'installazione → Dépense: a Museum of irrevocable loss 1990 → Ad esempio, allestita a
Glasgow In un mercato ottocentesco abbandonato, bacheche simili a quelli in uso nei musei di
storia divennero schermo su cui proiettare vecchi film Muti di vita urbana. 

Riportare alla vita il museo, il cinema significa rimodellare L'insieme in questa interfaccia
archivistica, connettendo modalità espositive e spettatorialità a livello di “habitus”. 
L’habitus si radica nell’habitare. Se essi sono apticamente connessi, l'abito che ne condivide l'etimo
latino è l'elemento della loro connessione. Un nesso aptico lega l’aver casa al vestire il corpo. In
effetti abito significa vestito ma anche risiedere a un certo indirizzo. Anche in tedesco Wand, che
vuol dire sia parete- sia schermo, rimanda Gewand, che significa indumento o vestiario.  In altri
termini, occupare uno spazio significa indossarlo.

Gli edifici, come gli abiti si usano e si consumano. Eccoci dunque tornati all’ 'indumento smesso,
l'idea sartoriale da cui ha avuto inizio la nostra riflessione sul ricordare.
Passando dalle Cineres ai cinèmi, dalle ceneri della necropoli alle Cinecittà residuale, può darsi che
qualcosa di questa forza eterotopica si apra a forme più ibride di reinvenzione.

L'attraversamento dell'interfaccia di cinema e Cineres è un progetto archeologico, che rivela come


la fusione delle immagini al presente sia un modo di guardare al loro futuro.
le sedie museografiche sono in qualche misura, versione consumabili delle architetture dei teatri
della memoria. Per dirla con Benjamin → la memoria non è uno strumento di esplorazione del
passato bensì ne è lo scenario.
I sempre più numerosi Intrecci filmici tra gallerie e sale cinematografiche sono riusciti ad alimentare
benché in forma di eterologie, parti del processo immaginario che, nel 1947, André Malraux chiamò
musée imaginaire: un'idea sconfinata di produzione fantastica che, nella traduzione inglese, si è
trasformata in Museum without walls, in spazio musicale privo di pareti. Lo storico Denis Hollier
osserva che il museo immaginario di Malraux era esso stesso museo concepito in termini
cinematografici. È importante notare che il termine museo deriva dal greco mouseion, Luogo
sacro alle Muse, protettrici delle Arti delle Scienze. in età ellenistica si chiamerà museo l'edificio
consacrato alle Muse, che ospitava anche libri e opere d'arte. Il museo è dunque un luogo di studio
di meditazione, ma anche un luogo dove vagabondare significa Scoprire cose meravigliose.

Le storie scritte sulle superfici animate di quella parete trasparente che è lo schermo, e sullo spazio
che lo circonda, sono lì per essere attraversate dal frequentatore di cinema e musei, poiché in
entrambi la fluida collezione di immagini stimola una forma di memoria leggera. L’interfaccia tra la
parete espositiva e lo schermo cinematografico, è caratterizzata da reversibilità e reciprocità,
persino nel processo di macinazione transtorica.

I modi di vivere il cinema informano anche le sale del museo giacche sono entrambe faccende
pubblico - private in costante movimento. Il museo, secondo Carol Duncan, ospita pubblicamente

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lo spettacolo di tale viaggio privato, parte integrante della storia e dei drammi rituali che
costituiscono la ricezione museografica. Con il tempo, l'itinerario dell'intimità pubblica ha costruito
le proprie architetture museali, cambiando e scambiando, rinnovando e reinventando la rima e il
ritmo della mnemonica sociale in una traiettoria tra "architectural" che trasforma le Cineres in
Cinèmi.

Le storie scritte sulle superfici animate di quella parete trasparente che è lo schermo, e sullo spazio
che lo circonda, sono lì per essere attraversate dal frequentatore di cinema e musei, poiché in
entrambi la fluida collezione di immagini stimola una forma di memoria leggera. L’interfaccia tra la
parete espositiva e lo schermo cinematografico, è caratterizzata da reversibilità e reciprocità,
persino nel processo di macinazione transtorica.

I modi di vivere il cinema informano anche le sale del museo giacche sono entrambe faccende
pubblico - private in costante movimento. Il museo, secondo Carol Duncan, ospita pubblicamente
lo spettacolo di tale viaggio privato, parte integrante della storia e dei drammi rituali che
costituiscono la ricezione museografica.
Con il tempo, l'itinerario dell'intimità pubblica ha costruito le proprie architetture museali,
cambiando e scambiando, rinnovando e reinventando la rima e il ritmo della mnemonica sociale in
una traiettoria tra "architectural" che trasforma le Cineres in Cinèmi. Aby Warburg → p.36

Un album di vedute, un archivio di immagini:


Il viaggio culturale delle immagini proiettate sulla bianca superficie dello schermo è diventato un
museo di immagini emozionali. È interessante notare che nel 1838, parlando del dagherrotipo e del
suo futuro, un critico segnalò il rapporto tra l'immagine fotografica e il potenziale atlante-album.
L'impulso a delineare una geografia fantastica, diffondere una collection delle proprie vedute - ha
avuto un ulteriore sviluppo nel viaggio filmico allorché il cinema ha incrociato il movimento della
cultura museografica nell'atto di documentare il paesaggio e nel desiderio di creare un album
privato di visioni destinate al pubblico consumo. In senso archivistico, la cultura del viaggio,
formatosi in relazione alla produzione di immagini, ha assunto l'immagine-movimento, traccia
suprema del percorso della modernità, come luogo di esplorazione intima: schermo di narrazioni
personali e sociali, private e pubbliche.

L’emozione della topofilia: viaggiare in una stanza:


La geografia intima del percorso museale è una forma di topofilia – un amore del luogo permeato
dagli strati residuali delle Cineres. Un luogo per amore di un luogo – uno spazio dove il contatto con
le immagini crea emozioni “a fior di pelle”.
Qualsiasi paesaggio è opera della mente. Per molti versi un paesaggio culturale, inteso in senso
lato, può essere visto come una traccia dei ricordi, dell’attenzione e dell’immaginazione degli
abitanti – passeggieri che hanno attraversato in epoche diverse. Su questo paesaggio mobile resta
un’impronta palpabile e la geografia del cinema e del museo trattiene ciò che resta di quanto vi è
stato proiettato a ogni transito, incluse le emozioni.

Nel corso del viaggio del cinema, siamo trattenuti, come nella passeggiata museale, in un legame di
intimità che può persino trasportarci all’indietro. È il luogo delle “proiezioni”, dove il viaggio
dell’inconscio si fa strada nelle storie e nei sogni che finiscono per popolare le pareti della stanza. In
tal senso il museo è casa delle immagini proprio come la sala cinematografica.

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2. Rovine moderniste, archeologiche, miste:
Un movimentale “Set” di immagini
A Free and Anonymous Monument 2003, l’istallazione di immagini in movimento su schermo
multiplo di Jane e Louise Wilson si presenta come un elaborato set teatrale  Come un set , è
uno spazio abitato, frequentato dalle storie che vi sono accadute nel corso del tempo e porta i
segni di tali racconti.
Le architetture di cemento poste all'entrata e all'uscita sono in realtà controfigure di una
costruzione del passato vale a dire resti dell' Apollo Pavilion che nel 1958 l'artista Victor
Pasmore edificò a perderli New Town. Le pareti sospese sono la lettera ricordi sospese.
Entrando nelle due stanze intermedie create da schermi autoreggenti si ha l'impressione che
anche se siano sospese prive di cornici non si presentano come uno spazio pittorico bensì come
lo spazio architettonico. Jane and Louise Wilson progettarono la loro passeggiata ambientale
sulle orme di Pasmore.

Il tessuto della memoria: il fantasma di Victor Pasmore:


Qui la memoria una solo una costruzione ma un’abitazione e password nel principale
occupante. è il fantasma del luogo poiché il padiglione non è solo soggetto ritratto, ma anche
l'elemento formale della rappresentazione la chiave che ne schiude la visione. il ricordo dei
piani visivi di P. occupa a free and Anonymous Moments su diversi strati o livelli di passato.

L'opera delle sorelle Wilson riflette la traccia del passato che Pasmore portava in sé e che
plasmò la sua visione artistica. Nel 1955 il direttore generale della Peterlee Development
Corporation chiese a Pasmore di affiancare gli architetti nella progettazione del profilo urbano
di alcune sezioni della nuova città che stava per sorgere nelle vicinanze di New Castle. Egli si
impegnò nel progetto per più di vent'anni fino al 1977. nelle sue mani il rilievo astratto che
all'epoca caratterizzava la sua arte si convertì nella griglia di un'architettura.

Chi voleva apprezzare l'opera artistica di passi mora ovvero L'Osservatore doveva allontanarsi in
modo da riuscire a cogliere sottili cambiamenti di luce e colore che si producevano sulle forme
in oggetto. si potrebbe addirittura dire che era proprio L'Osservatore trasformato in spettatore
ad attivare l'opera.  Le Corbusier Esemplifica attraverso il concetto di Promenade
architectural ovvero l'architettura la si capisce muovendosi con i piedi camminando andando da
un posto all'altro.

Procedendo lungo la strada tracciata da P- e oltre:


In a free and Anonymous Monument, il monumento di Pasmore è davvero Fedele all'opera: qui
vedere è un'attività; osservare è camminare. Sono gli spettatori ad attivare l'opera attraverso
l'area dell'installazione diventando parte del suo display visivo.

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Nell'installazione ci si imbatte in uno spazio proprio a questo modo, perché la stessa
disposizione degli schermi proiettanti è concepita cineticamente. Qui non sono soltanto le
immagini a muoversi: si muove anche l’ immagine dell'architettura.
Nella ricostruzione di uno spazio visivo in movimento, le Wilson raggiungono un tasso di
mobilità molto superiore a quello di P. → Risulta evidente soprattutto nel loro modo di
concepire il fruitore dell'Opera artistica. Se il visitatore di P. , costretto a muoversi, finiva per
trasformarsi in spettatore, qui il visitatore è pressoché alla lettera uno spettatore, uno
spettatore cinematografico. In questa installazione non è possibile alcuna contemplazione
estatica, già che il visitatore prende parte a un progetto audiovisivo dove tutto il movimento: un
montaggio filmico-architettonico semovente. Il visitatore Attiva l'opera prende vita un racconto
cinematografico, la cui trama deriva proprio dall'atto di essere nello spazio. la storia scaturisce
cioè dal luogo stesso, emanando dalla sua superficie, dalla sua pelle.

L'installazione come padiglione: 


La forza motrice dell'installazione cinematografica delle Wilson assume addirittura il contorno
letterale del Ponte. Per molti versi lo stesso padiglione di P. opera in base a tale funzione. Fu
concepito come un ponte su un corso d'acqua e ideato come una piattaforma dove trovarsi
informalmente a osservare dintorni. L’entrata all'installazione ripropone questa idea dell’ andito
che si apre alla vista.  Venne  ricostruito anche il corridoio del Padiglione, riproducendo la
passeggiata al di sotto della struttura che se poteva fare il piano terra dell'originale. 

L’'impaginazione di A Free and Anonymous Monument somigliava alla pianta di P. → L’apollo


Pavillon  era costruito i vari strati di forme astratte e superfici piatte, che intersecandosi davano
lo spazio una terza dimensione scultorea. 
In A Free and Anonymous Monument → I 13 schermi  bidimensionali sono disposti nello spazio
secondo angoli divisione che fanno presagire la stessa Architettura del Padiglione. Inoltre i tre
schermi collocati a terra all'interno dell'installazione corrispondono esattamente ai tre piani che
fanno da supporto concreto al padiglione reale.

Il padiglione, un'architettura moderna:


La costruzione utopica di P.  però Ponte metaforico anche in altro senso: il padiglione edificio
tipico degli albori di quell'epoca moderna-e al contempo si proiettavano il futuro. Le gemelle
Wilson hanno dato vita a un duplice monumento. 

Padiglione →  struttura ampia è aperta concepita per mettere in mostra e dare accoglienza ad
attività e movimento, proponeva un uso pubblico dell'architettura. Progenitore di spazi pubblici
ottocenteschi quella galleria e grande magazzino, che spesso ne hanno ripreso la forma,  il
padiglione espositivo era di per te un luogo di pubblico passaggio  in francese non a caso la
galleria è detta Passage.
Luogo di circolazione destinato all'esposizione dei beni prodotti dall'era industriale, il padiglione
delle Esposizioni mondiali semplifica l'architettura stessa dell'epoca moderna. Esso era un
edificio ornamentale che compariva di frequente Nei parchi e nei giardini pubblici. i padiglioni
dei Giardini erano strutture architettoniche grandiose, luminose, aperte e semipermanenti che
si estendevano verso l'esterno offrendo temporaneo riparo e al contempo accogliendo gli
esterni. → Esso colmò la lacuna che separava la città dal giardino allorché, in epoca moderna,
divenne un elemento dei giardini pubblici cittadini. Del suo duplice utilizzo esso era dunque in
tutto e per tutto un moderno luogo di spettacolo.

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Un luogo espositivo in sé, esponeva a sua volta la cultura della modernità, poiché rappresentava
proprio l'architettura del mutamento percettivo che l'epoca aveva provocato.

Visioni di transito, spazi fratturati:


Il Cinema → introduce un linguaggio fatto interamente di tagli e movimento, di multipli e
frammentati piani di visione. è inoltre uno spazio essenzialmente pubblico.

Un padiglione dove le immagini nascono dall’architettura:


La monumentale riproposta di P. avrebbe dovuto rivitalizzare un’area urbana post industriale,
restituendole la dimensione di Luogo Pubblico. L’opera si presenta come un’architettura da
usare Collettivamente, di qui chiunque possa appropriarsi → Riappropriarsi. - Nell'osservare
come i giovani della zona abbiano ripreso possesso della struttura in rovina dell’edificio
trasformandola a proprio uso e consumo viene il fatto di pensare all’utilizzo pubblico del
padiglione. → spazio uso collettivo.

Per via di trasparenze, l’installazione delle Wilson ricompone formalmente lo Status itinerante
di luogo di passaggio di padiglione e al contempo ne ricostruisce visivamente la funzione di
piattaforma visiva. → Giacché gli schermi non hanno cornice e sembrano sospesi nello spazio la
visione è nitida in tutto il campo. Sicché ovunque ci si colloca all’interno dell’ installazione, la
visione è perfetta → hanno costruito uno spazio di luce. Siamo noi muovendoci in questo
spazio multiforme a ricreare le prospettive polivalenti di un complesso paesaggio visivo.
L’installazione delle Wilson è anche un monumento alla giocosità visiva: nell'installazione
l’effetto speciale è riprodotto da immagini in movimento che si presentano da angolature
diverse secondo un elaborata planarità ottica. Ogni schermo ha una precisa proporzione e tutti
hanno dimensioni differenti.

Dissezionando il padiglione A free and Anonymous Monument ci ricorda oltre a rappresentare


la nascita dello spettacolo moderno. esso raffigura l’avvento del soggetto Moderno, definito da
Baudelaire “uno spettatore appassionato - un caleidoscopio dotato di coscienza.”

Gli schermi fanno da Eco al montaggio delle sequenze che appaiono sulle loro superfici. le due
sorelle filmano quasi sempre in pellicole piuttosto che in video, poiché privilegiano l’articolazione
del linguaggio e del montaggio filmico e la grana operata dall’immagine fotografica. → i loro
tagli ci portano con l’immaginazione delle pratiche di montaggio degli anni 20’  del
secolo scorso al movimento incessante e essenziale del cinema strutturalista.  

Un'archeologia industriale:
L’archeologia urbana delle Wilson deve molto all’idea di Kulesov che il montaggio consente una
> geografia creativa<.

In un'installazione di A free and Anonymous M. vi è la visione della fabbricazione


dell’installazione e della trivellazione meccanica fino alla costruzione di mondi virtuali. ,
passando dagli impianti a motore di Cumminis ad alta tecnologia di Atmel nel nord del
Tyneside.
Un altro esempio è una piattaforma petrolifera, struttura iconica associata al Mar Nero.

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La sequenza dei loop ( della memoria) inizia con le scene deserte dell’Apollo Pavillon → non
appena lo spazio si anima di giovani l’opera delle W. si attiva Data la disposizione degli
schermi si ha l’impressione che i giovani stanno scalando le pareti schermo di cui è fatta
l’installazione.

La Psicologia dell’architettura:
Le Wilson non si limitano a dare un’occhiata allo spazio, ma ci scavano dentro. Servendosi della
loro Camera Stylo → Cinepresa come nuova stilografia, le artiste delineano la mappa del
carattere psichico dello spazio architettonico.

↓↓
Lo spazio è anche una questione di feeling - non c’è progetto architettonico senza quello
mentale.
In a free and Anonymous M. attesta i ricordi. Essi si architettano, si progettano in movimento.
Es: Ballroom, safe Light → Questa installazione mostra l’operato della memoria. Lo spazio è
oniricamente popolato di macchine. L’opera documenta la storia dell'industrializzazione locale e
del suo declino. Mentre si percorre si è colpiti dalla solitudine → intima bellezza delle
macchine.

La psicologia dell’architettura è anche una funzione del suono, la quale è una struttura interna
dell’articolazione dello spazio mentale. Il suono è intrinseco al meccanismo stesso
dell’installazione. Ogni schermo è dotato di un proprio altoparlante che emette un suono → ci
si può muovere nello spazio dell’installazione sentendo i segnali acustici. Il suono ci guida
attraverso l’opera. Nelle installazioni delle Wilson I Suoni creano un ritmo, un tempo
innescando una coreografia uditiva: il movimento nasce, si affievolisce e muore.

A free and A. M dà vita a un paesaggio sonoro. L'installazione è pervasa da specifici suoni,


ciascuno proveniente da un punto diverso. → nasce oltre la Struttura Visiva anche quella Uditiva
dell’opera. Il suono diviene Genius loci, lo spirito stesso del luogo. Lo spazio risuona
tumultuosamente da rumori assordanti, esplosivi fino poi a tacere.
Ad esempio nel laboratorio Atmel regna l’inquietudine, una strana tranquillità automatica → in
contrasto con i suoni della produzione meccanica.

Luoghi di potere perduti:


Le Artiste si concentrano su le rovine architettoniche e su l’obsolescenza tecnologica. Si
prendono ad esempio = Stasi City 1997 – Gamma 1999. Consistono entrambe di due coppie di
schermi di proiezione su pareti ad angolo retto, opposte diagonalmente l’una all’altra. Queste
installazioni rispecchiano un’installazione psichica.
 Gamma : è stato girato nella vecchia base dell’aure nautica militare statunitense di
Greenham Common, che all’epoca della guerra fredda ospitava armamenti nucleari.
L'installazione ispeziona spazi di ispezione e sorveglia camere di controllo e zone di
sicurezza, portandoci off-limits entro luoghi di potere Intoccabili.
 Stasi City: Sembra un set, propone un’analoga visione ed è stato girato all’interno di
edifici abbandonati ovvero il quartier generale della polizia segreta dell’ex Germania
dell’est a Berlino e il carcere della stasi.
L’opera potrebbe essere descritta come un’interrogazione dei luoghi dove si veniva
sottoposti a interrogatorio.

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Nelle loro opere le Wilson ricorrono spesso alla tecnica di rivelare il meccanismo interno di
un’opera in disuso.
 Esempio le porte aperte del Parlamento britannico In Parliament, 1999 interpellando
con forza il potere, permettendoci di dare un’ occhiata al meccanismo che regola il
dominio sociale e al contempo sbriciare nel sistema dell’autorità e legalità.

Viaggi archeologici:
Le artiste meditano anche sui temi della desuetudine, della rovina postindustriale e dello
scarto tecnologico.
 Esempio: la desolata struttura spaziale Proton, Unity, Energy, Blizzard 2000 = Quattro
schermi carrellano simultaneamente uno spazio di un cosmodromo russo,
introducendoci nel sistema operativo russo di una fabbrica di razzi proton.
Giardini dell’era postindustriale:

L’Apollo Pavillon, che un tempo era una struttura Immacolata, un monumento utopico
all'idea di incrementare la trasformazione sociale attraverso la progettazione urbana, è ora
l'ombra di ciò che fu. Nel luglio del 2000 il Sunday Telegraph ha lietamente annunciato il
potenziale successo di una campagna per la demolizione della Apollo Pavillon. Il Telegraph lo
definì un pasticcio di cemento.
Lo spazio fu consumato dal modo in cui i giovani usarono la struttura di cemento, Sembra
che ciò non disturbò P. che quando tornò in zona per visitare Peterlee, vide con i propri
occhi la deturpazione dei murali con cui aveva decorato il padiglione.  i graffiti gli parvero
una miglioria.

Le nostre rovine moderniste:


Le sorelle Wilson ebbero anche una passione per le rovine della modernità. Il loro intervento
si uni a quello di latri artisti contemporanei per i quali il lascito del modernismo è una storia
presente con cui è necessario misurarsi.
 Ad esempio Gabriel Orozco intraprese la ricostruzione di un edificio modernista
progettato da Carlo Scarpa nel 1952. Da ciò è nata un’opera che è stata presentata alla
Biennale di Vienna del 2003.
In epoca moderna le divere architetture portano diversamente il segno del tempo. Le
immagini in movimento scrivono la nostra storia presente. Si prestano a essere la
testimonianza viva degli effetti della durata. Sono le rovine della modernità.

3. L’architettura della scienza nell’arte.


La lezione di anatomia.

In un pazzo sulla galleria Linden di Berlino, Kracauer architetto e critico articolò la relazione tra
transito e lezione di anatomia.
A Napoli, seguendo la mappa tracciata da Kracauer, il cinema mise le radici al confine tra
panoramico e anatomico. Il caso di microstorie che segue riguardante la prima sala
cinematografica sorse in città nella zona della stazione ferroviaria suggerisce che la genesi della

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ricezione filmica si inseriva nella curiosità visiva per il paesaggio corporeo. → Il piacere del
cinema, nascendo dal modo delle curiosità si radica nello spettacolo.

La lezione di anatomia:
La prima sala cinematografica napoletana fu aperta da Menotti Cattaneo, che nel 1899
cominciò proiettare film in un Baraccone di legno, successivamente sostituito da una struttura
in cemento. La sala Iride fu il primo cinema permanente Italia, realizzato in muratura e costruito
appositamente per la presentazione di film. Inaugurato il 25 settembre 1901, ancora nel 1906
risulta essere l'unico del suo genere in città.  Cattaneo era un tipo dalla personalità Nomade,
Un uomo che aveva percorso in lungo e largo l'Italia e vari altri paesi europei.
Una volta stabilitosi a Napoli cominciò a presentare uno spettacolo in cui, per pochi centesimi, i
Flaneurs del quartiere potevano guardarlo smontare e ricomporre il modello in cera di un
corpo umano con tanto di organi interni.
L’esposizione del corps morcèlè si sarebbe accompagnato alla proiezione di film. A Napoli difatti
lo spettacolo delle lezioni di anatomia è il predecessore del cinema.

Dall'esibizione della lezione di anatomia Cattaneo poté passare senza difficoltà alla
presentazione di film, poiché queste due forme di spettacolo Popolare avevano in comune
medesimo terreno immaginario che consiste in un discorso di investigazione e
frammentazione del corpo. Esattamente come lo sguardo anatomico, lo sguardo filmico si
sposta andando da una parte all'altra in profondità immergendosi nello spazio e percorrendolo.
Sulla base dell'anatomia e del suo modello percettivo del corpo, possiamo stabilire una
relazione epistemologica tra l'occhio cinematografico e l'occhio dell'anatomista. gli scritti di
Walter Benjamin illuminano questo nesso, facendo riferimento alla lezione di anatomia a
proposito del desiderio delle masse di avvicinarsi spazialmente alle cose tra "l'atto di vedere con
i propri occhi”. Benjamin conclude che le audacie dell'operatore sono effettivamente
comparabili a quelle del chirurgo.

La donna Barbuta:
Il desiderio e la differenza sessuale inscritti nell’anatomia erano il fondamento stesso dello
spettacolo di cattaneo.
La sua lezione di anatomia era seguita da un'altra presentazione che prevedeva l'esposizione
di una donna barbuta. Con questa esposizione la cultura popolare ri-presentava un'immagine
della cultura alta, a sua volta attratta dalla cultura popolare, Il circo e gli spettacoli di freak.
La donna barbuta di Cattaneo ricorda immagine per nota del Barocco napoletano, lo
straordinario dipinto di donna barbuta dell'artista spagnolo Jusepe de Ribera → pittore di
corte del Regno di Napoli e figura influente del mondo artistico napoletano. Dipinto a Napoli nel
1631 Maddalena Ventura con marito e figlio - più noto come ritratto della donna barbuta ebbe
notevole impatto è il suo contenuto gli assicurò fama nei secoli. Il ritratto è perturbante
Maddalena Ventura, con la lunga barba, è dipinta nell'atto di offrire il seno al figlio. il contrasto
tra il pieno femminile nudo e virile volto barbuto è piuttosto sconcertante.

Cinema delle origini e paesaggi corporei:


Gli studi sulla genesi del cinema hanno rivelato un impulso a operare sul corpo femminile
trasformazioni, mutilazioni e ricostruzioni non diverse da quelle raffigurate nelle lezioni di
anatomia e nella donna barbuta. Le teoriche femministe hanno osservato che tali impulsi si
fondano sulla politica sessuale e sulla feticizzazione del corpo femminile.

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I giochi di smembramento anatomico tipici, delle tecniche filmiche di Meliès, sono stati riconosciuti
come segno delle paure maschili evocate dal corpo femminile e come espressione di invidia
maschile nei confronti della riproduttività delle donne.
Il cinema di Elvira Notari, la prima è più prolifica cineasta italiana, attiva il Napoli tra il 1906 e il
1930, partecipò a questa incarnazione performativa, utilizzando entrambe le figurazioni dello
spettacolo cinematografico di Cattaneo. Notari diede corpo a figure grottesche e nel suo ‘E
scugnizze propose una visione narrativa della lezione di anatomia. Nel film descrive il rituale medico
con cui il corpo di una giovane donna è esposto alla dissezione anatomica.

Travelogue genealogico: modernità e visibilità corporea


All'origine del desiderio cinematografico troviamo varie versioni della lezione di anatomia della
donna barbuta. Le anatomie circolarono anche in forme fantasmatiche. In esempi utopici e
anticipatori del cinema, dagli spettacoli comici napoletani ad antecedenti letterari quali L’Eva del
futuro di Villiers.

4. Opere Mentali
L’arte degli interni di Rebecca Horn:
Rebecca Horn è una scultrice, regista e performance artista tedesca, famosa soprattutto per le sue
estensioni corporali, opere che consistono in prolungamenti di parti del corpo.

CAMERA STYLO  secondo la definizione di Alexander Astruc, il cinema è una plume, un mezzo
di scrittura. Ci consente di entrare in contatto con l’ambiente che ci circonda, incidendo sul nostro
modo di possedere lo spazio intimo.
Horn è appassionata a cinema e regia ma essa non di conclude con la produzione di film. Gli
apparati che compaiono nelle prime performance cinematografiche della Horn, vi figurano in veste
di personaggi:
- In Performances I 72’ e Performances II 73’, il corpo stesso si fa strumento, e il dispositivo
cinematografico rappresenta il dispositivo corporeo.
- In Dreaming Under Water 74’ le protesi fisiche influiscono sulla capacità del corpo di percepire
lo spazio.
I sui film pullulano oggetti meccanici e i personaggi che li popolano sono di frequente macchine
piumate. Nel corso degli ultimi dieci anni, gli oggetti di scena dei suoi film sono stati accolti da
musei e gallerie. Horn crea una circolazione di significanti tra installazione e cinema e tra essi e gli
spazi in cui vengono esposti.

La macchina sposa: la carezza della scrittura:


La Macchina celibe è un fenomeno artistico, che come ha osservato Bruce Ferguson modula
profondamente la Macchina di Horn.
Con riferimento alla parte bassa di large Glass di Marcel Duchamp, La macchina celibe designa
l’estetica di macchine che raffigurano il corpo in rapporto alla sessualità, al testo sociale, a
topografie psicologiche, forme di autorità e di operato della storia. Il Mito della macchina celibe
informa la produzione culturale di fine 800’ fino ai giorni nostri. Si tratta di una macchina
immaginaria e teatrale.
Il Cinema  affonda le proprie radici nel discorso della macchina celibe e risponde ai suoi requisiti
fondamentali: Moto perpetuo; Reversibilità temporale, meccanicità animazione e voyeurismo.
Portando alla luce la natura sessuata del dispositivo cinematografico. Penley ricorda che – la

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macchina celibe non accetta di scrivere la donna e che la caratteristica principale di essa è quella
di essere maschio. Però la Horn reclama le sue Macchine Spose.
 Nel 1988 ad esempio, crea un’installazione intitolata the Prussian Bride Machine –
consapevole gioco riferito a large Glass che svela il ribaltamento di significato. La macchina
di Horn sovverte i significati della macchina celibe maschile.

La macchina sposa è uno strumento per scrivere, disegnare e si ri presenta in forme diverse:
 Le scarpe dal tacco alto di the P. B. machine sono sostituite da libri in Salome 1988 e da
aste di barella in Printing Machine 1988.

Le macchine volanti sono uno dei temi preferiti dall'artista-inventore. Le ali, come le piume degli
uccelli sono per la Horn un oggetto erotico ricorrente.
Plume → sfioramento, carezza. scrivendo sulla donna lei si trasforma in un’ autentica Femme de
plume. Horn crea uno spazio mettendo appunto Il topos della femminilità punto nel 1976 scrive
della stanza come un'architettura interna → utero.

Al pari delle macchine cinetiche che compaiono nelle sue installazioni, i film parlano di luogo. Lo
spazio narrativo è il loro tratto più importante. soffermandosi sullo spazio, il racconto filmico parla
di geografia degli Interni. I film e le installazioni di H. sono stanze, perché accolgono tanto il piacere
Amoroso quanto il mal d'amore. Tutti e tre i lungometraggi di Horn hanno come tema le relazioni
interpersonali.
La rete narrativa di Der Eintanzer si svolge in un loft newyorkese, abitato dall'artista il periodo in
cui il film viene realizzato. Nel film è abitato da una insegnante di danza classica che lo userà come
studio dove darà lezioni a delle ragazzine e a un cieco.
Le storie incrociate di La Ferdinanda hanno luogo in una splendida Villa medicea, dove Valentina
Cortese, una cantante lirica, e i suoi amici, si recano ogni estate.

Pur diversi in superficie, i tre film hanno in comune questa topografia psico geografica; In molti casi,
la stanza è la vera protagonista dell'opera filmica. Tutto avviene li, e i personaggi attraversano di
continuo lo spazio, passandovi e ripassandovi.
Residenti fissi e temporanei dividono l'ambiente. Le persone si incontrano, mangiano,
chiacchierano, seducono, raccontano. L'ambiente si trasforma in un luogo di produzione fantastica.
Il set cinematografico consente il dispiegamento fantasmatico del vissuto personale. La stanza è
una dissezione, un'anatomia d'amore.
Nei tre lungometraggi di H. lo spazio narrativo è determinato dalla location. Il set cinematografico,
un singolo e statico spazio abitativo, viene trasformato in un luogo di transito, poiché la stanza
accoglie dei passaggi è un incrociarsi di stati transitori e traffici erotici. il set è un'unica rete di
azioni.
→ i diversi temi come i temi erotici, gastronomici e medici, il personaggio della Femme Fatale, il
musicista o gemelli, uccelli e serpenti tornano ritornano, insieme agli oggetti di scena, con la
circolarità di una ossessione.

L'automatismo caratterizza un cinema come quello di H. Germano Celant ha osservato che le


macchine dei suoi film sono automi ed esplorano lo spazio, con i loro dispositivi d'acciaio creano dei
territori. La sua attrazione per gli automi è un altro modo di leggere la passione di essa per il cinema
è il lavoro di filmmaker. L’automa è una creatura meccanica, un ludico oggetto estetico che

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contiene il proprio principio motorio, frutto della tecnologia del Diciannovesimo secolo, il cinema è
prossimo a un oggetto simile.

5. Mode di vita
Intimità nell’arte e nel cinema.
Louise Bourgeois – scultrice e artista francese, delinea una mappa dell’abitare, chiedendosi quale
sia il significato di domus per il soggetto femminile. Il suo lavoro sull’architettura confuta la
persistente associazione tra Domus e Fissità di GENERE.

 Craig’s Wife 1936, Dorothy Arzner: La prima osservazione riguarda il titolo del film. →
per la donna non c'è un nome.
 Harriet Craig, si definisce in rapporto al suo ruolo domestico e attraverso il nome del
marito. è una casalinga alto-borghese che, nel corso del film, arriverà progressivamente
a incarnare la definizione letterale del termine Housewife, casalinga, sposata alla casa.
 Il film propone una meditazione sui rapporti tra casa e moglie. le idee di Harriet sul
matrimonio e il suo interesse appassionato per il tema della casa non tardano a venire a
galla → all'inizio del film è lei stessa a rivelare la sua indisciplinata filosofia domestica
alla nipote Ethel, Fresca di fidanzamento è assai più devota a ideali del matrimonio.
 Harriet seduta sul treno insieme alla nipote spiega che cosa rappresenta per lei la casa:
non disponendo di mezzi per mantenersi da sola, Il matrimonio è stato un modo per
assicurarsi una casa e l'indipendenza. → con essa intende anche quella dal marito.
casa uguale chiave per l'autosufficienza.

 Ethel è più conformata al copione della moglie perfetta. Attraverso la composizione


delle inquadrature e montaggio alternato, ma non solo anche dall'abbigliamento, Arzner
propone due modelli alle spettatrici  l'accettazione passiva di Ethel da un lato e
dall'altro il tentativo di Harriet di ribaltare la logica del patriarcato lavorando a
dall'interno, contro natura del sistema. vi è anche una scelta di modelli mascherata dal
linguaggio corporeo della moda. Arzner porta le spettatrici a identificarsi con Harriet. il
suo comportamento e abbigliamento designano un'immagine infinitamente più
seduttiva di fatto vi è una differenza sartoriale tra i due donne. per Arzner la moda parla
e parla per le donne.

 Per la Housewife Harriet “Casa” e “moglie” si sono fuse a tal punto che moglie è
divenuta casa. Per la donna è dispensabile individuare tutti i possibili cambiamenti
intervenuti, perché, niente e nessuno deve sconvolgere il disegno dei suoi interni.
Lottando contro a convenzione del termine H. opera dentro i suoi confini per
raggiungere il suo obbiettivo ovvero la LIBERTA’. Riesce nel suo intento: a poco a poco,
tutti se ne vanno a partire dalla servitù fino al marito.
Purtroppo non si tratterà di un lieto fine  senso di tristezza. Una casa priva di movimento,
con le porte chiuse, è un carcere tanto quanto il matrimonio per cui era stata costruita.

 L’architetto Bruno
 Taut afferma che è la modalità femminile di abitare lo spazio a creare e modificare
l’architettura. Essa non si fa solo disegnandola o commissionandola, ma anche
utilizzandola. Parlando di come le donne fanno uso dello spazio architettonico come di

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una funzione attiva, Taut sfiora la nascita del “pubblico femminile”. T. paragona la casa a
un capo d’abbigliamento e afferma che l’abitazione è alla lettera l’abito della donna.

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6. Architetti del tempo


Il senso della durata da Wharol A Tsai Ming-Liang.
Un edificio, visto da una finestra. Ne attori, storia o messa in scena.

Dall’oscurità della notte al chiarore del giorno, qui l’architettura si muove alla velocità del
quotidiano. Pero otto ore vediamo Empire 1964 Andy Warhol  il grattacielo, prende a esistere
nel corso del tempo. Nel seguire il viaggio sopra indicato il film, registra la vita atmosferica
dell’edificio.
I film di Warhol di questo primo periodo si possono definire minimali: Sleep, Kiss, Eat, Haircute,
Empire, tutti del 1963-1965, mostrano azioni ripetute dilatate nel tempo, riprese con una
camera fissa. A Warhol interessa la composizione dell'immagine che si viene a creare partendo
da un unico punto di vista. Questi primi film sono come quadri che, invece di essere appesi,
sono proiettati su una parete bianca. I film sperimentali senza sonoro sono girati in 16mm alla
velocità di 24 fotogrammi per secondo e proiettati alla velocità di 16 fotogrammi al secondo;
questa caratteristica rallenta e amplifica l'immagine del film, che viene percepito in un tempo
lunghissimo. Questi film ridefiniscono il protocollo della fruizione , invitando gli spettatori a
gironzolare per la sala e a chiacchierare incoraggiandoli a distrarsi.
Per avvicinarsi al grado zero del cinema secondo W. È utile partire da Bazin, per il quale
l’invenzione del cinema fu l’esito delle tecniche di osservazione de 19 secolo – epoca
ossessionata dalla riproduzione del reale.

I tratti essenziali dell’Opera cinematografica di Warhol possono essere interpretati come il


passaggio dal – cinema primitivo- alle forme di rappresentazione hollywoodiane, xk attraverso i
suoi film si può ripercorrere l’intero corso della storia del cinema.
- Inizio con i film muti in b/n che sono il ramake del cinema muto, per poi rivolgersi allo
stargazing.
- KISS, il suo primo film warholiano tratta lo stesso argomento e ha perfino lo stesso titolo
del cortometraggio realizzato da Edison nel 1896.
I suoi film sono una riproduzione REALISTICA del REALE. Il realismo di Empire risiede nello spazio
della sua DURATA e nell’esplorazione dell’atmosfera dell’architettura.
W: “i miei film sono solo un modo di occupare il tempo; quando si sta seduti a guardare la
finestra, ce la si gode, se non di guarda dalla finestra, si sta seduti in un negozio a guardare la
strada. “

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