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LEONARDI - LEZIONE 3 - 14/04/2021

Fin dagli esordi, nella seconda metà degli anni Sessanta, FRANCO
VACCARI sviluppa la sua ricerca artistica intorno a tre tematiche
fondamentali: la dissoluzione dell'oggetto estetico modernista; l'utilizzo della
fotografia, del film, del video, al fine di impegnare lo spettatore in un processo
di partecipazione e di riflessione critica sui media; l'accento sulle specifiche
condizioni contestuali dell'esperienza con particolare riferimento allo spazio
pubblico e alla città.
Questi elementi collocano il lavoro di Vaccari nell'ambito di un particolare
filone dell'arte concettuale caratterizzato da operazioni in cui la nozione
tradizionale di opera d'arte appare del tutto superata
Il lavoro di Vaccari è un lavoro che si è sempre articolato attorno alla
ricezione, alla interlocuzione col pubblico e al coinvolgimento diretto del
pubblico nei suoi progetti; progetti che hanno sempre sconfinato da quelli che
sono gli spazi tradizionali dell'arte contemporanea.
Biennale di Venezia del 72, Vaccari espone una cabina per fototessere, lascia
la sua sala vuota e invita i visitatori della Biennale a scattarsi una fototessera
e a lasciarla sulle pareti.

strumenti come la fotografia il video possono essere utilizzati da


Vaccari e da altri artisti per mettere in discussione l’autonomia dello
spazio espositivo inteso come appunto spazio auratico, e portando di fatto la
città dentro le sale espositive.
In questo caso muta anche il concetto tradizionale di autore, perchè invitando
i visitatori a farsi una fototessera e a lasciarla sulle pareti di fatto l’autore non
produce più l’opera da solo ma c'è questa sorta di coralità. L'autore fa dei
passi indietro e lascia spazio al visitatore, all’osservatore, attraverso uno
strumento che è tutt'altro che autoriale, che è tutt'altro che aulico, che è
tutt'altro che artistico.

Vengono recuperate apparecchiature come le cabine per le fototessere e si


cerca di costituire un patrimonio culturale. Queste apparecchiature sono
testimonianze di usi e costumi sociali, quello che interessa l'archeologo dei
media è recuperare l'ambiente mediale non l’apparecchiatura, quindi gli usi di
queste apparecchiature, di questi dispositivi, gli spazi entro cui venivano
collocati, il rapporto che si creava fra i i fruitori, come dice giustamente Erkki
Huhtamo nel suo volume sulla schermologia: alcuni dispositivi prevedevano
un assembramento fra persone intorno al dispositivo stesso che
inevitabilmente portare i corpi a toccarti e quindi creava situazione diciamo
erotizzanti, erotiche e gli stessi strumenti contenevano immagini erotiche.
Quindi appunto l'accento dell' archeologia dei media è si sul recupero
dell'oggetto che è rischio perché questi oggetti non sono musealizzati, non
sono collezionati, sono diciamo marginalizzati, sono sono spazzatura, sono
sono oggetti che vengono recuperati nell'ambito di una pratica di ecologia dei
media. Però non è che interessano gli oggetti in sé e per sé, interessano le
funzioni, gli usi, è per questo che è molto importante recuperare il più
possibile perché attraverso un recupero più efficiente e più completo si
possono poi effettivamente ricostruire gli usi di questi di questi meccanismi, di
questi apparati.
Se vogliamo fare un parallelo: nella storia del cinema o nella storia della
fotografia noi conserviamo le fotografie, nei musei ci sono i positivi.
Nei musei non ci sono i negativi perché sul mercato della fotografia ha più
valore un positivo rispetto a un negativo e di conseguenza il negativo non
viene utilizzato. Si da la precedenza al positivo e il negativo viene trattato poi
in un secondo momento perché non lo si considera importante quanto il
positivo.
Lo stesso vale per le macchine fotografiche: noi abbiamo storia del cinema o
storia della fotografia fatte di film e di fotografie, ma pochissimo spazio viene
dedicato generalmente invece proprio agli strumenti (nel cinema questo è
vero fino a un certo punto perché comunque la tradizione storiografica di
attenzione all’apparato e al dispositivo nel cinema è nata prima che nella
storia della fotografia. La storia la fotografia è una storia che spesso è
ancillare rispetto alla storia dell’arte, che è legata moltissimo ai presupposti e
alla storia dell'arte e quindi rimane ancorata a una concezione autoriale e
tradizionale dell'oggetto artistico).

La cosa fondamentale è che la archeologia dei media ha avuto un ruolo molto


importante per indirizzarci all'interno di varie discipline e di varie pratiche
verso un’attenzione agli apparati enella loro complessità, quindi non solo
l'immagine stampata ma anche in negativo, non solo la fotografia ma anche
l’esposimetro, gli ingranditori… (per quanto riguarda la fotografia).
Un altro aspetto fondamentale dell’archeologia dei media rispetto al passato,
come si evince da quanto scritto nel volume che riguarda la storia degli
schermi di Erkki Huhtamo, è il rapporto con il passato. Cosa fa
sostanzialmente Erkki Huhtamo: collezionando e ricostruendo la storia di
questi oggetti che lui colleziona, una storia che è fatta di usi, di costumi, di
gusti, di attitudini sociali, di tabù, di tante cose diverse… una storia quindi che
non è solo una storia estetica o autoriale ma è una storia sociale e di cultura
materiale, fa vedere che delle cose che noi consideriamo nate nel presente
erano già presenti nel passato e anche in un passato piuttosto remoto.
Questo ci deve mettere in guardia rispetto a nozioni come per esempio quella
di rivoluzione digitale.
Quando si parla di rivoluzione digitale di che cosa stiamo parlando? Stiamo
parlando effettivamente di un'innovazione tecnologica che rappresenta un
momento netto di cesura rispetto al passato o ci sono elementi invece di
continuità piuttosto che di rottura?
Quindi da una parte abbiamo il paradigma del progresso tecnologico e il
paradigma della novità, dell’originalità, dell'Innovazione tecnologica che
produce dei cambiamenti epocali nella società introducendo pratiche e
dispositivi precedentemente inesistenti. Quindi da una parte abbiamo questo
paradigma che ci viene spesso presentato, per esempio rispetto alla new
media art, che però è da considerare come una fantasia: questo paradigma
del progresso tecnologico e delle rivoluzioni introdotte da strumenti o
dispositivi che giungono nella società come novità assolute —-> questo nella
prospettiva dell' archeologia dei media è più che altro una fantasia, perché
effettivamente l’archeologia dei media dimostra esattamente il contrario.
Dimostra che in effetti parlare di rivoluzione digitale o parlare per esempio di
smaterializzazione legata al digitale è una cosa molto opinabile, perché ci
sono pratiche, come ad esempio la realtà virtuale, che sono strettamente
ancorate all'estetica immersiva che era legata all'esperienza della
fantasmagoria, dei diorama, dei panorama.
L'elemento di novità non è così prorompente, esistono dei precedenti,
esistono dei precedenti nelle pratiche di spettatorialita, nelle modalità di
fruizione dell'intrattenimento e dell'intrattenimento ottico e degli spettacoli di
varia natura.

Un altro elemento fondamentale che bisogna prendere con le pinze è tutta la


retorica legata alla smaterializzazione: la realtà non esiste più, il mondo
virtuale ha preso il sopravvento, e soprattutto l'opera si smaterializza.
Possiamo effettivamente dire che il digitale sia privo di materialità?
I file, i software, hanno la loro materialità, quindi comunque c'è questo
aspetto fondamentale. E poi c'è tutta la questione dell’hardware: se prima la
fotografia aveva come supporto la carta che era un oggetto materiale (quindi
la fotografia o il cinema avevano come supporto la pellicola), adesso hanno
come supporto file digitali e strumenti, come i cellulari, che hanno una loro
materialità anch’essi.

Erkki Huhtamo costruisce la narrazione attorno degli oggetti specifici, il suo


non è molto un teorizzare, lui non è un teorico.

L’archeologia dei media ci da una prospettiva e un accesso alla scrittura che


passa attraverso l'esperienza di degli oggetti, la funzione che questi oggetti
hanno, dispositivi, apparati, ambienti mediali in cui la fruizione e la materialità
di questi oggetti è al centro.

Erkki Huhtamo ha scritto un libro sulla storia degli schermi, concentrandosi su


un oggetto specifico: lo schermo, un oggetto normalmente ignorato da chi si
occupa di storia del cinema.
Temi come quello dello schermo sono temi che non rappresentano il
mainstream della storia dell'arte e della storia del cinema… perchè il
mainstream della storia dell’arte, del cinema e della fotografia sono l'estetica
e le correnti, tutto ciò che sta attorno al dispositivo a chi interessa? A
nessuno. Invece magari quell'oggetto è un qualcosa che ti fa capire meglio il
senso di questi spettacoli, il senso dell'esperienza di chi gli spettacoli li
esperiva, il senso anche dell'evolversi di una storia.

L’archeologia dei media passa attraverso l’esperienza personale, la fruizione.


Abbiamo visto nella prima lettura come Bruno Munari, che ha lavorato molto
con la didattica dell’arte, abbia utilizzato inconsapevolmente l’archeologia dei
media (come approccio non esisteva ancora). Lui è stato uno di quelli che ha
utilizzato questo approccio come uno strumento di lavoro anche nella
didattica delle scuole elementari.

Altro aspetto molto importante legata a Erkki Huhtamo è che lui inizialmente
faceva il curatore di arte contemporanea, quindi lui ha cominciato a
interessarsi a questi dispositivi, antecedenti alla nascita del cinema, in quanto
curatore di new media art, perché evidentemente ha visto un legame stretto
tra la new media art e certe pratiche del passato, di un passato pre
cinematografico e certi dispositivi di un passato per cinematografico, con
particolare riferimento all'esperienza della spettatorialità immersiva, della
realtà virtuale, di tutto ciò che che è legato a questa idea di ambiente
immersivo (tipico della new media Art).

Esperienza del tattile: rapporto fra una una storia dell'arte che è una storia
dell'arte tutta incentrata su dominio della visualità e invece una storia dell'arte
che recupera la multisensorialità, e quindi che non vede più l'oggetto artistico
come un oggetto che si esperisce prevalentemente o esclusivamente
attraverso la vista ma che ha delle componenti tattili.

Erkki Huhtamo parte da questa immagine del ventaglio che


diventa una sorta di panorama mobile, un'immagine mobile
all'interno di un ventaglio. L’idea di un’immagine in
movimento che nasce prima del cinema in oggetti di uso
quotidiano e non hanno nulla a che vedere col cinema
apparentemente, ma che fanno parte della microstoria.
Non stiamo parlando di un libro rivoluzionario sul piano delle
interpretazioni, e il contributo di Erkki Huhtamo è molto
importante perché riesce a recuperare delle pratiche difficili da recuperare
(perché non è che ci sono tante fonti è su questo genere di esperienze,
magari c'è qualche fonte letteraria, qualche racconto dell’esperienza).
Quello che fa Erkki Huhtamo è un lavoro anche di tutela di queste fonti
attraverso il suo collezionismo, quindi la sua è anche una forma di attivismo
dei beni culturali: nel suo lavoro c'è anche una dimensione politica.

Le proiezioni per lanterna magica


iniziano alla fine del Seicento e sono
delle proiezioni che avvengono
all’interno di case inizialmente e poi
anche nelle piazze. Le lanterne magiche
erano degli spettacoli ottici di
intrattenimento familiare, ma che poi si diffondono anche nelle piazze. In una
stanza oscurata venivano proiettate delle immagini di fronte a un pubblico.
Questa è una modalità di fruizione assolutamente assimilabile al cinema.
Ad un certo punto le forme di proiezione in Lanterna magica diventano
sempre più sofisticate.
Nella prima immagine abbiamo la Lanterna magica che non viene nascosta,
che sta al centro della stanza e l'immagine illusoria che viene proiettata sullo
schermo e che poi all'interno della quale via via si inseriscono anche elementi
di proto movimento. Nella seconda
immagine abbiamo una situazione di un
apparecchio in cui la Lanterna magica
sta dietro uno schermo. Qui di fronte un
grande pubblico all'interno di un teatro,
attraverso l'utilizzo di una lanterna
magica viene proiettata un’immagine
che poi l'operatore può fare scorrere
creando l'illusione del movimento, un po'
come il panorama mobile, di fronte a un teatro tendenzialmente oscurato.
Tutti questi dispositivi sono antecedenti all’esperienza cinematografica e in
particolare La Lanterna magica nasce in seno alla cultura carocca, quindi è
un prodotto della cultura settecentesca.

Questo è un edificio costruito alla fine


del 700 e l'inizio dell'800 a Londra,
all'interno del quale pubblico pagante
poteva accedere a due tipi diversi di
spettacolo: da una parte c'era in basso
un dipinto di dimensioni molto grandi,
normalmente i panorami erano
circolari quindi sostanzialmente tu
entravi all'interno di uno spazio cilindrico all'interno del quale si dipanava
un'enorme tela dipinta con gusto iperrealistico, quindi con un'idea proprio
di mimare l'esperienza del reale, cioè di fare un'esperienza virtuale del
reale. Gli spettatori paganti potevano noleggiare o si portavano dietro dei
binocoli per esercitare ancora di più la funzione dello sguardo indagatore,
ma anche con l'idea di essere un esploratore o un turista.
Attraverso le tele esposte si hanno dei surrogati dell'esperienza del
turismo e dei surrogati dell'esperienza di visitare i luoghi, e quindi anche
l'utilizzo di strumenti che di solito si usano quando uno fa una gita nella
natura come il binocolo, ma non soltanto: venivano distribuiti ai visitatori
dei libretti in cui c'erano delle sorte di guide turistiche alla percezione,
all'esperienza di stare all'interno di questo di questo spettacolo virtuale e
di realtà immersiva. La cosa interessante di tutto questo è che in alcuni di
questi edifici il la base sulla quale stavano gli spettatori girava su se
stessa, in modo tale che uno potesse appunto avere l'idea di girare.
Questi questi panorami ebbero un grande successo e, grazie ad essi, si
sviluppa un gusto e un industria culturale legata a questi spettacoli, il cui
soggetto può essere la guerra, la natura, le città d'arte ma anche per
esempio storie mitologiche o anche episodi della cronaca contemporanea
(per esempio c'è un panorama che viene dedicato alla vita di Garibaldi),
oppure si sviluppa anche un gusto e una moda nei confronti delle
catastrofi: terremoti, incendi, incidenti ferroviari.

I pittori e avevano delle impalcature gigantesche.


Nel passaggio fra la pittura e lo spazio
dell’osservatore, quindi nella zona intermedia,
spesso venivano collocati degli oggetti reali, per
esempio nel caso di panorami di campi di battaglia
fra la parte dipintae lo spazio della balconata
dell’osservatore, potevano essere messe barricate
oppure una mitragliatrice vera, cioè degli oggetti
reali che facessero da ponte in questa esperienza
di realtà virtuale, di surrogato della realtà.

Nel cinema, nella storia dell'arte contemporanea, nella storia della


fotografia non si fa spesso riferimento a questo tipo di esperienze e a
questo tipo di dispositivi. Per certi versi possiamo dire che viviamo ancora
in una cultura e in un epoca barocca, cioè che l’ombra lunga del Barocco
si spinge fino a noi e che forse non siamo mai usciti da quel paradigma.
Tutto quello che ci viene detto in termini di rivoluzioni, di innovazioni
tecnologiche, di mutamenti di paradigma, di mutamenti rivoluzionari… non
dobbiamo negarlo ma forse dobbiamo un attimo interrogarci e mettere un
po' in discussione certe narrazioni.
Molta storia dell'arte contemporanea, la storia dell'arte del Novecento, si
basa sull'idea del’invasione da parte dell'oggetto artistico dello spazio
dello spettatore.
Ad esempio il lavoro di Robert Rauschenberg, dove il quadro e l'oggetto
in qualche modo sono la stessa cosa, dove la rappresentazione e la
presenta diventano un qualcosa che dialoga.
Quest’oggetto è un’installazione che si presenta
sotto forma di dipinto, quindi c'è una sorta di
copresenza da una parte dell'idea dell'opera come
rappresentazione e dall'altra dell'idea dell'opera
come presenza.
Questo genere di estetica e di oscillazione fra
presenza e rappresentazione, che nella storia
dell'arte e viene presentata come una novità, come
un qualcosa che viene introdotto da artisti come
Picasso, come Robert Rauschenberg, come lo
stesso Jasper Johns, in realtà è una cosa che esiste già nella cultura
estetica barocca.

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