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Ai confini dell'estetica
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È evidente, per gli storici dell’arte e per gli studiosi della psicologia
della percezione, come le tipologie della rappresentazione visiva siano
strettamente connesse all’impianto culturale di una società, al suo
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modo di concepire la realtà e l’uomo nel suo contesto, insomma alla
sua “visione del mondo”. In questo senso Erwin Panofsky definì -come
noto- la prospettiva come “forma simbolica”, attribuendo ad essa un
carattere di “astrazione” rispetto la realtà percettiva e al contempo un
significato di “mappa” dei valori e delle istanze culturali dell’epoca in
cui fu prevalentemente sviluppata, il Rinascimento europeo.1
Ora, trasferendo gli impianti della storia critica dell’arte dal suo
ambito specifico a quello più generale della “produzione d’immagini”,
questi criteri possono esserci utili per comprendere il significato della
“spazialità figurativa” elettronica.
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b- La prospettiva inversa, di cui sono esempio i mosaici ravennati, in
cui “la progressiva disarticolazione spaziale porta a smembrare la
stessa scena in polarizzazioni prospettiche divergenti”, segno
evidente di una visione totalizzante della trascendenza divina; la
rappresentazione può spesso essere vista “sia come una scena
risultante dalla giustapposizione di due visioni separate che si
raccordano nel punto segnato dall’asse mediano” che l’attraversa, sia
“come un ribaltamento prospettico stabilito dalle linee di profondità
che, anziché concorrere verso il naturale punto di fuga all’orizzonte,
convergono sul davanti”.
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c- La proiezione assonometrica, consistente in un “particolare
accorgimento antiprospettico” a cui si ricorre frequentemente nel
periodo romanico, in cui “si realizza la più decisa ed integrale
affermazione antiprospettica intesa come negazione della corporeità
di tipo naturalistico”; l’autore aggiunge che “è interessante notare
come la rappresentazione assonometrica, mostrando un piano in
posizione centrale rispetto l’osservatore e una visione laterale
presentata obliquamente con linee fra loro parallele, permette di
suggerire la tridimensionalità dell’oggetto col massimo possibile di
complanarità”. Per inciso si può inoltre notare come tale resa
“equilibrata” fra rappresentazioni dell’immanenza (il mondo) e della
trascendenza (Dio), sia tipica anche della maggior parte delle culture
figurative tradizionali d’oriente.
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d- Lo schema definito spina di pesce o asse di fuga, in cui le linee
ortogonali “dispongono di autonomi punti di convergenza dislocati a
diverse altezze”, che è essenzialmente “intermedio fra la
rappresentazione assonometrica e quella prospettica del punto di fuga
a cui si giungerà per gradi” e costituisce “l’impianto tendenzialmente
prospettico di molte opere di Giotto (…)”.
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Ma sono gli ultimi due schemi proposti da Parini che ci sono
particolarmente utili:
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Il resto, potremmo dire, è storia dell’arte recente; dopo la rivoluzione
barocca e manierista che -ricordiamolo- coinvolge nella resa
prospettica le problematiche della luce ma particolarmente del
dinamismo e del movimento, l’occidente trova la sua succesiva
rivoluzione della rappresentazione visiva nelle avanguardie a cavallo
del Novecento, che condurranno infine al termine della ricerca sulla
resa natruralisticamente prospettica.
Note
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