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Leonardo Cappuccini/Modulo di Visual Culture/ Summer School-Issuge-2018

ANA-MORFOSI

…ciò che viene meno nell’epoca della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte è la sua aurea.

Walter Benjamin

In questa breve tesina vorrei provare ad approfondire, ispirato dalla lezione di Francesco Casetti, la forma di
prospettiva pittorica, molto in voga nel 500’, che ha nome anamorfosi. Infatti il Prof. Casetti ha mostrato,
secondo il paradigma emergente negli studi di Visual Culture (Grounded), quanto sia rilevante il contesto di
mediazione nella relazione osservatore-osservato. La mia argomentazione parte da un punto fondamentale:
la tecnica è un medium che, per natura, tende a deformare la struttura del contesto, anche solo per mostrare
di cosa è capace. Infatti la riproducibilità tecnica dell’opera d’arte distrugge, secondo Benjamin, la sua aurea:
un’opera d’arte è autentica nella misura in cui è ancorata alla tradizione da un rito. Il rituale conferisce una
sorta di aurea sacrale all’opera d’Arte. In questo senso si può intendere l’Arte, così come ci ha fatto intendere
Carlo Severi circa le immagini antropomorfe, come via privilegiata allo spazio del sacro. Infatti, nello spazio
che ciascuna cultura umana ritaglia al suo interno, il principio individuationis si dissolve in un’eco e l’uomo
animato si riflette nella materia inanimata. Il fine dell’arte sacra sembra essere una sorta di comprensione
simpatetica dell’Uno. Al contrario, sempre seguendo Benjamin, la natura prometeica della riproducibilità
tecnica riduce l’arte contemporanea allo spettacolo del suo medium. (Banksy che distrugge a metà la sua
opera raddopiandone il valore perché l’evento era pochisso probabile, eppure i monaci tibetani fanno lo
stesso ma la sabbia è troppa per avere un prezzo,Questo rovesciamento della funzione dell’Arte è dovuto al
mutamento antropologico della relazione fra osservatore-osservato. Secondo Benjamin l’Arte ha due
modalità ricettive: quella fondata sul valore cultuale e quella fondata sul valore espositivo. Nella Preistoria,
dice Benjamin, il valore cultuale dominava su quello espositivo mentre dalla nascita della fotografia
dall’occhio durazzuro(digitalizza) in poi è vero l’inverso. Ciò è un problema nel senso che il valore espositivo
dell’Arte, conquistata l’ubiquità, ancora l’osservatore a niente che non sia il suo centro(spiegare con
telefono). Aliena il soggetto nella misura in cui lo sommerge di immagini a breve termine. In questo senso
credo che l’anamorfosi possa essere una prassi cultuale capace di restituire un’aurea perduta. L’immagine
anamorfica costringe l’osservatore alla ricerca di un nuovo angolo da cui stabilire la relazione visiva con
l’osservato:

“In ottica, si ha anamorfosi delle immagini quando, per mezzo di particolari specchi, prismi, lenti e altri sistemi
ottici, l’ingrandimento in senso orizzontale delle immagini stesse è diverso da quello in senso verticale.”
Treccani

In questo senso si capisce perché le immagini anamorfiche fanno la loro comparsa a partire dal 500’. Infatti
la scoperta della prospettiva, struttura matematica che consente di centrare l’osservatore e l’osservato
attraverso una proiezione ortogonale, ha posto le condizioni per matematizzare anche la sua deformazione.
Tale deformazione, come suggerisce la parola, avviene per analogia. Voglio dire che l’artista può misurare il
grado di somiglianza che pone fra ciò si mostra da una prospettiva ordinaria (cioè frontale) e ciò che si mostra
da una prospettiva anamorfica. Inoltre la forma nascosta può coincidere con il totale dell’opera (San
Francesco da Paola,1646, Trinità dei Monti, Emmanuel Maignan), o può costituire solo una parte del quadro
(Ambasciatori, 1533, Holbein). In entrambi i casi c’è una dimensione significativa invisibile a colui che si
accosta ordinariamente alla pittura. Da un punto di vista storico l’immagine come accesso al sacro è un
concetto caro a moltissime tradizioni religiose, in primis a quella Cattolica Romana. Per questa ragione
l’anamorfosi ha avuto larga diffusione nelle immagini sacre, soprattutto nel periodo compreso fra il 500 e il
700’:

L’opera d’ arte nel tempo della sua riproducibilità tecnica, pg. 8, Einaudi, Torino, 2004.
Leonardo Cappuccini/Modulo di Visual Culture/ Summer School-Issuge-2018

“I decreti niceni, a cui si rifaranno nel corso dei secoli i fautori delle immagini per contrastare i movimenti
iconoclasti, vengono riconfermati con forza nella XXV e ultima sessione del Concilio di Trento (1563) che,
compenetrando la lezione estetica del Rinascimento con la nuova spiritualità cristiana, ribadisce il ruolo
dell'immagine sacra come mezzo di comunicazione con il divino.” Treccani

Ciò che ci interessa qui è il campo della Visual Culture. Non c’è dubbio, infatti, che questa espressione sia
particolarmente adatta a descrivere il nostro tempo. Eppure, come ha fatto notare il Prof. Magnani, è curioso
che proprio la nostra generazione, quella più esposta ad un flusso costante di immagini, non sia capace di
scorgere un senso d’insieme nelle immagini stesse. Ciò si potrebbe spiegare dal fatto che le immagini che
rimbalzano sui nostri cellulari non ci restituiscono una continuità di senso veicolata da una tradizione, né ci
obbligano a cambiare materialmente prospettiva bensì ci illudono di poter aver sempre più notizie, di poter
vedere cose sempre più cose. Si potrebbe affermare, seguendo il pensiero di Benjamin, che la riproduzione
tecnica dell’opera d’arte non corrisponde ad una riflessione sul senso da parte dell’uomo. Al contrario sembra
che all’aumentare della quantità di immagini esposteci diminuisca la loro potenza espressiva. Per questa
ragione credo che le forme anamorfiche, avendo come fine una relazione qualitativa nascosta, possano
creare una sorta di “effetto di senso” dal momento che costringono il soggetto a muoversi dal centro ubiquo
nel quale la tecnocrazia lo ha fissato:

"...E se dipingerai ciò su un muro davanti al quale potrai spostarti liberamente, ti sembrerebbe
sproporzionato... E se tu volessi, ciò nonostante, dipingerla bisognerebbe che la tua prospettiva sia vista
attraverso un solo foro...".

Leonardo Da Vinci

L’osservatore, al tempo della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, è libero di estendere lo sguardo su tutto
l’osservato, così che non veda più niente. Al contrario, davanti ad un’opera anamorfica, si vede tutto e di
più, ma solo ritraendosi. La relazione osservatore-osservato si inverte: sembra quasi che l’osservato ne sappia
di più dell’osservatore.

L’opera d’ arte nel tempo della sua riproducibilità tecnica, pg. 8, Einaudi, Torino, 2004.

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