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RIASSUNTO CINEMA E CULTURA VISUALE NELL’EPOCA DEL PICTORIAL TURN DIGITALE

CAPITOLO 1 - BIG BROTHER VS BIG DATA


1.1 PANOPTICON. IL REGIME SCOPICO DELLA MODERNITÁ
Per Aumont, un critico, sono le immagini visualizzate tramite dispositivi a modellare le forme simboliche che in una
determinata epoca producono vari effetti sociali. È importante capire la differenza tra image e picture. L’immagine in
quanto image viene definita come un’entità immateriale oggettivandosi mediante supporti e artefatti differenti; la
picture è la raffigurazione materiale di un’image, l’immagine che si oggettivizza in un supporto, può essere distrutta
perduta o dimenticata e successivamente rioggettivarsi in un altro medium. L’immagine deve essere prodotta da un
processo materiale anche se automatico come quella che genera l’immagine nel suo stadio post-fotografico, in secondo
luogo l’immagine è referenziale, soltanto nel momento in cui l’immagine diventa prodotto, viene oggettivata su un
supporto, può considerarsi una raffigurazione che rinvia a qualcos’altro. Infine l’immagine circola nella società in quanto
oggetto di scambio acquistando di conseguenza una valenza culturale, religiosa, estetica etc. Non esiste immagine che
non sia stata prodotta (anche l’immagine onirica è stata costruita dalla mente, cioè dal corpo). Le teorie più importanti
sui dispositivi vengono elaborate soprattutto in Francia. Il termine dispositif assume tre diversi significati:
- di ordine giuridico, la disposizione di una sentenza,
- militare, dei mezzi bellici,
- di ordine tecnologico, il modo in cui sono disposti i diversi elementi di un apparato.
Il dispositivo visuale articola e predispone tecnologicamente lo spazio visibile attraverso cui le pictures e lo
spettatore/fruitore entrano in relazione in una determinata epoca. Il regime panottico carcerario viene concepito come
uno spazio asimmetrico nel quale si istituisce uno sguardo che parte dalla torre di osservazione centrale e si dirige verso
le celle poste ad anelli concentrici. Il panopticon non è soltanto un modello esclusivo del carcere, ma si riproduce in
tutti quegli spazi urbani tipici della modernità costituiti da ambienti chiusi concepiti per analogia: la caserma, la scuola,
la fabbrica, l’ospedale, l’ambiente familiare ecc. Infatti, il regime di luce configurato dal panopticon può essere definito
come gaze, ovvero lo sguardo impersonale del potere. L’architettura panottica nasce nel secolo dei lumi, periodo in cui
si razionalizza lo spazio, l’idea fondamentale della macchina è quella di provocare nei soggetti uno stato psicologico e la
loro condizione di visibilità permanente. In questo modo, il folle, il detenuto, il malato, attivano un moto spontaneo di
auto-assoggettamento. Un esempio di auto-assoggettamento è nel film 1984, dove i personaggi vivono sotto la visione
della propaganda.

1.2 L’OCCHIO DEL NOVECENTO I: TRA SPETTACOLO E DISCIPLINA


Nel corso del novecento il dispositivo panottico caratterizza in modo decisivo anche altre pratiche sociali come le forme
dello spettacolo, della sessualità, del piacere etc. importanti nella costituzione del soggetto. Se lo sguardo del panottico
provoca nel soggetto una forma di auto sorveglianza interiorizzata, il tipo di sguardo prodotto dalle forme spettacolari,
configura comunque una gerarchia diversa tra l’oggetto della visione (lo spettacolo) ed il soggetto (lo spettatore).
Queste due forme possono essere ibridate. All’inizio del XX secolo la nascente industria culturale inizia ad espandersi
fortemente in parallelo con l’espansione degli spazi metropolitani. Il dispositivo cinematografico e la configurazione
stessa del decoupage classico, organizzano lo sguardo ed il corpo dello spettatore tramite principi analoghi simili
all’architettura artigianale. Lo spettatore viene situato per la prima volta al centro del dispositivo di proiezione
cinematografica nel momento in cui le forme narrative del linguaggio classico soppiantano le forme primitive del
cinema delle origini. Il cinema assume una posizione speciale per via della forza singolare della sua produzione diegetica
che lo rende un potente strumento di controllo, ma anche di mobilitazione sociale. I procedimenti ottico-spaziali e i
processi di identificazione-proiezione dello spettatore prodotti dalla macchina cinema, in modo analogo al principio di
visibilità del panottico, si iscrivono in una tecnologia atta a configurare luoghi, individui etc. Il cinema classico, quindi,
sembra riproporre gli stessi principi del panopticon tramite:
- i punti di vista della cinepresa all’interno dello spazio profilmico,
- l’articolazione temporale dell’inquadratura,
- la strutturazione dei singoli segmenti e la ricomposizione organica-temporale (montaggio).
Tutto ciò rende disciplinato il corpo dello spettatore attraverso la regolamentazione dell’attenzione e dello sguardo.

1.3 L’OCCHIO DEL NOVECENTO II: UNA FORMA DI ETEROTOPIA


Come aveva compreso Benjamin, lo spettacolo cinematografico consente di governare le masse attraverso gli shock
provocati dagli ambienti tecnologici delle metropoli moderne tramite una sorta di addestramento dell’esperienza
sensoriale. Queste caratteristiche presenti nel dispositivo cinema producono una forma di ossimoro presente anche
nella nozione di eterotopia. L’eterotopia è uno spazio anomalo, reale, ed al tempo stesso utopico, che ha la funzione di
purificare, contestare i luoghi alienanti della quotidianità. Tra le varie forme di eterotopia, il filosofo Foucault segnala
brevemente anche la sala cinematografica, poiché il cinema riesce a costituire una particolarissima sala rettangolare in
fondo alla quale su uno schermo a due dimensioni si vede proiettato uno spazio a tre dimensioni.
1.4 CINEMA NEL CINEMA. METAPICTURES TRA ETEROTOPIA E DISCIPLINA
Per Foucault e Deleuze lo spazio non è vuoto, inerte ed omogeneo, non è un ambiente in cui dei corpi transitano da un
punto all’altro lungo traiettorie rettilinee. Lo spazio per loro due sembra un ambiente estetico inteso come un campo di
forze che si modifica di continuo, piegato da emergenze imprevedibili e curvato da movimenti individuali e collettivi. La
sala cinematografica, dunque, può funzionare sia come un dispositivo biopolitico regolativo della vita nella metropoli
moderna, sia come un contro-spazio, una sorta di utopia localizzata e concreta, in cui tutti i luoghi reali che si trovano
all’interno della cultura vengono al contempo rappresentati contestati e sovvertiti. Lo schermo cinematografico, inoltre,
mostra delle immagini di proporzioni nettamente superiori rispetto alle cose percepite nel mondo fenomenico. Il primo
piano interrompe momentaneamente lo sviluppo spazio temporale, ed il movimento di estensione diventa movimento
di espressione, conducendo lo spettatore in una dimensione completamente altra sospesa tra eterotopia ed
eterocronia.

1.5 PROFANAZIONI: IL DITO NELL’OCCHIO DEL NOVECENTO. IL CORTOCIRCUITO TRA VOYERISMO E PANOTTICISMO
Il filosofo italiano Agamben approda un percorso genealogico originale sulla funzione dei dispositivi. Egli individua una
possibile modalità di disattivazione dei dispositivi di potere tramite la profanazione. Parte dal significato del termine
oikonomia che svolge una funzione fondamentale come forma di governo divino che rimanda ad una serie di norme di
tecniche e di istituzioni atte a controllare i pensieri degli uomini. Questo termine verrà tradotto in latino con dispositio.
Le categorie appartenenti al dispositivo vanno adesso ad includere qualsiasi tecnica che riesca ad orientare,
intercettare, controllare i gesti e le opinioni degli esseri viventi. Oltre il panottico, il carcere, la caserma, la scuola etc., il
cui rapporto col potere egemonico risulta palese, la tassonomia dei dispositivi di Agamben, arriva a comprendere la
scrittura, l’agricoltura, la sigaretta, i pc ed andando a ritroso il linguaggio stesso.

1.6 UN 1984 ANTI-ORWELLIANO. DALLA SOCIETA’ DISCIPLINARE ALLA SOCIETA’ DEL CONTROLLO
L’ingresso della tecnologia digitale e del pc nel mondo dei media si associa ad una svolta che sembra investire tutti i
campi della società. Nel 1984 viene lanciato sul mercato il nuovo computer Macintosh, il nuovo Pc, prodotto da Steve
Jobs che acquista nuove diverse funzioni che mutano radicalmente il suo statuto. Il Mac è diventato un nuovo
dispositivo mediale che entra prepotentemente nel campo della comunicazione e dello spettacolo in competizione sia
con la televisione sia con il cinema. Il video dello spot diretto da Ridley Scott mette in mostra le ambizioni rivoluzionarie
del progetto di Jobs che prefigura il collasso dei tradizionali media di massa del novecento.
In questi anni Deleuze è tra i primi a esprimersi con lungimiranza in questo passaggio di società dal tipo disciplinare a
un'altra definita come società del controllo. Attualmente la società del controllo opera una modulazione pervasiva
mediante diverse tecnologie di monitoraggio e registrazione. Vi è una disseminazione della soggettività nell’epoca della
globalizzazione economico/tecnologica. La nozione di soggetto dividuale e modulazione risuonano fortemente nei
concetti di desoggettivizzazione. In questo contesto le classi sociali, la politica, i grandi partiti e le istituzioni sociali
diventano obsolete.

1.7 SOCIETÀ DEL CONTROLLO: DISPOSITIVI DIGITALI COME PHARMAKON OMEOPATICO


La nuova tecnologia digitale viene definita da Stiegler come una forma estremamente pervasiva di psicopotere. Esso
non sembra prendere in considerazione né le dinamiche economiche né i possibili feedback negativi per la psiche
provocati dai new media. Con la nozione di psicopotere e società automatica, il filosofo riflette attraverso Deleuze sulle
nuove forme di controllo, insieme alla nozione di governo algoritmico (politico/economico) basato sui modelli
comportamentali desunti dai big data. Per Stiegler, il dispositivo di controllo e la società automatica si basano sulle
stesse tecniche dell’economia globale che captano le facoltà attenzionali, memorali, cognitive e affettive dei soggetti. In
modo paradossale la società del controllo non esercita il potere censurando la libertà e le idee, al contrario questi
dispositivi sollecitano l’attenzione, le pulsioni e i comportamenti individuali lasciando in apparenza una totale libertà di
espressione, ma in pratica spogliano il cervello della sua coscienza. Inoltre l’esternalizzazione tecnica della memoria
mediante i dispositivi digitali sembra produrre nei soggetti una miseria simbolica. La contro-informazione, degli anni
‘60-‘70, che adottavano come forma tattica e strategica temuta dal potere, oggi nella sua forma social, si ferma sempre
al primo passo dal momento che questo tipo di sentimento non costituisce alcuna forma di discorso sociale né
contribuisce a creare una nuova strategia politica e culturale.
Tuttavia la posizione critica di Stiegler è tutt’altro che tecnofoba e si distingue notevolmente dalla mera critica nei
confronti della disumanizzazione tecnologica e dello psicopotere ma anche dalle proposte di Agamben riguardo la
preparazione dei dispositivi. Stiegler pone l’accento sulla creazione di un progetto estetico e politico che indichi nuove
forme di soggettivizzazione/individuazione. Le tecnologie del sé, la reindividuazione si possono realizzare grazie alla
dimensione farmacologica insita nella dimensione stessa della techné. Uno degli elementi più interessanti della
farmacologia Stiegleriana riguarda l’opportunità fornita dall’esperienza cinematografica. Le immagini tecniche prodotte
dal cinema restano una tra le forme più rilevanti di ritensione terziaria. L’esternalizzazione delle immagini costitutive
della coscienza configura per stile un pharmakon positivo. Partendo dai principi che non sono molto distanti da quelli
stiegleriani, la tesi di Montani individua nella immaginazione intermediale e in quella interattiva due modalità che
possono contrastare il dispositivo tecnologico incrinando quell’involucro mediale nella quale siamo catturati. Per
l’immaginazione intermediale, Montani fa appello al cinema configurato da nuovi dispositivi mediali. Il termine
involucro mediale, proposto da Montani, sembra una nozione molto produttiva proprio in relazione agli elementi che
essa ha in comune con la società del controllo.

1.8 IL COMBINE MOVIE DI MICHEL GONDRY E I DISPOSITIVI IPOMEDIALI: TRA ETEROTOPIA E IPERTOPIA. THE WE AND THE I
Il film forma una sorta di dittico autoriflessivo sulle attuali trasformazioni dei regimi scopici e sulla produzione di
immagini. I luoghi altri configurati dal film di Michel Gondry sono attraversati da una costante tensione tra eterotopia e
ipertopia. Lo spazio ambientale si presenta come un reticolo di immagini in movimento e relazioni sociali dislocate.
L’ambiente dove si attualizzano i processi di soggettivizzazione nel quale si vive, si ama e si muore si presenta come un
campo eterogeneo di forme stratificate attraversato da linee di forza che lo trasformano costantemente. Nel prologo
del film si contrappongono in montaggio alternato due regimi spaziali discontinui. Da un lato la scuola, luogo
caratterizzato dal vecchio paradigma del dispositivo disciplinare con i suoi ambienti chiusi. Dall’altro l’ambiente
reticolare aperto e continuo configurato dall’attuale dispositivo di controllo attraverso i quali si possono
produrre/manipolare immagini e farle circolare in modo istantaneo ma si può anche essere rintracciati o controllati in
ogni momento. La società del controllo (post-panottica) produce una radicale mutazione insieme agli spazi-altri e le
eterotopie che sembrano rovesciati dai nuovi ambienti reticolati.
I titoli di testa cominciano nel momento in cui viene inquadrato un terzo elemento che altera i due ambienti quotidiani
mostrati in montaggio alternato: un giocattolo telecomandato, uno stereo a forma di pulmino, un feticcio obsoleto e
riciclato dalla società dei consumi che prefigura l’eterotopia/ipertopia, lo spazio-altro del film. Lo spazio del bus verrà
trasformato dagli adolescenti in una eterotopia/ipertopia. Infatti il bus è attraversato da questa duplice tensione: da un
lato è un luogo chiuso, un’utopia localizzata, dall’altro è presente e costante l’interconnessione dei dispositivi
ipomediali che trasforma lo spazio dei bus che diventa permeabile all’esterno attraverso immagini che circolano
nell’ambiente reticolare. Le nuove immagini e le relazioni spaziali rimandano direttamente al fare, ai processi operativi
e alla serialità. La nuova immagine-informazione è caratterizzata dalla coppia cervello-città che sostituisce la relazione
tradizionale tra occhio e natura. Il combine-movie di Gondry funziona come una superficie di lavoro, gli scarti e le
immagini della società di controllo vengono prima decontestualizzati e poi ricombinati in forma di bricolage. Le
immagini di Gondry sono segnate dal concatenamento di elementi eterogeni, le immagini assemblage producono uno
scarto notevole rispetto alla tecnologia di default dei dispositivi che vengono in qualche modo profanati, disarticolati e
ricombinati mediante pratiche basse di remix ovvero mash-up, re-cut, trailer ecc. Il bus è arrivato quasi al capolinea ed i
due protagonisti, Teresa e Michael, sono gli ultimi dei due studenti rimasti. Mentre i due si parlano vi è
inaspettatamente l’evento traumatico: il climax, la notizia della morte improvvisa di un loro compagno.
Dopo che Teresa scopre la notizia attraverso un messaggio sul cellulare di un amico scende dal bus piangendo e questo
strappo narrativo modifica lo stato di indifferenza, di indigenza affettiva, direbbe Stiegler, in cui versa Michael. Queste
immagini audiovisive molto delicate attivano un valore estetico, un pharmakon positivo e un senso totalmente
differente rispetto all’inizio del film. I titoli di coda esplicitano il movimento autoriflessivo e di autenticazione del film.
Nel combine movie di Gondry le immagini vengono così trasformate in un pharmakon curativo attraverso il
concatenamento di materiali eterogenei che riattiva la connessione estetica tra la vita e le sue forme.

1.9 PERCORSI DELLO SGUARDO (INCARNATO) NEI DISPOSITIVI DI CONTROLLO


Gli attuali mediascape interattivi/immersivi si contrappongono alle tradizionali teorie essenzialiste del medium cinema
eredi di quella tradizione estetica che prevede una netta separazione tra le arti. Le tradizionali teorie del cinema sia di
taglio formalista/costruttivista (cinema come cornice) che realista (cinema come finestra) amplificavano la specificità
puramente visuale dello schermo a discapito degli altri sistemi percettivi. Contrapposto a questa tesi si pone anche il
concetto di rimediazione che si basa sulla costante polarità tra competizione e integrazione tra i media differenti. Per
McLuhan, secondo cui ogni nuovo medium possiede un significato, l’idea di specificità ontologica di ogni singolo
medium viene criticata focalizzandosi sulla transizione dai media analogici a quelli digitali attraverso lo schermo. Molte
pratiche artistiche/estetiche del Novecento hanno sfidato costantemente il regime visuale dal panopticon fino a
produrre forme ibride pensate per coinvolgere oltre che l’occhio/sguardo dello spettatore anche il suo corpo. Dunque,
se gli strumenti ottici a partire dal XIX secolo hanno tentato di isolare e di rendere autonoma la visione con l’avvento dei
dispositivi di controllo sembra emergere una serie di pratiche visuali differenti non legate necessariamente a delle
forme artistiche, culturali o estetiche. In questo contesto post-mediale anche la definizione di schermo viene messa in
discussione. Se in passato le metafore dello specchio, della finestra, del telo etc. hanno prevalso sulla connotazione
semantica del termine schermo, oggi, con l’avvento dei display e dei monitor, le analogie appropriate sembrano quelle
della bacheca, della lavagna, dell’album e del tavolo da lavoro.
1.10 L’OCCHIO DI UN AVVOLTOIO IN VOLO: IL DRONE
I droni di prima generazione hanno la funzione di sorvegliare e individuare obbiettivi nei teatri di guerra, oppure
servono a controllare zone di confine o a coadiuvare operazioni di polizia e di spionaggio. Per Ziccardi le peculiarità di
questo dispositivo sono:
- le dimensioni sempre più piccole e miniaturizzate che lo rendono quasi invisibile;
- l’autonomia poiché può funzionare in maniera automatica e autoprogrammata;
- la multifunzionalità: può svolgere diverse funzioni come la sorveglianza notturna, la registrazione audio visiva, l’analisi
fisico/chimica dell’atmosfera;
- l’invasività, può controllare dall’esterno anche appartamenti privati, luoghi protetti da barriere artificiali individuando
qualsiasi movimento dello spazio in tempo reale all’interno dell’ambiente in maniera dettagliata;
- date mining, mentre esercita il controllo può effettuare operazioni di coordinamento dei dati rilevati in modo
autonomo e coordinato con l’operatore.
Queste forme visuali, non vengono prodotte per una visione contemplativa, ma sono considerati come dati e
informazioni da elaborare. Manovich per spiegare meglio il funzionamento delle immagini operazionali porta un
esempio preso dal cinema mainstream. Un regista sempre molto attento agli sviluppi della tecnologia come Camerun,
nella sequenza di apertura di Titanic 1997, mostra i nuovi display interattivi in azione. Il film si apre con la partenza del
Titanic nel 1912. La scena viene ripresa come fosse un documento storico, ma le immagini sono con tutta evidenza
finzionali. Con lo stacco di montaggio successivo (ellissi di circa 85 anni) ci troviamo nel ’97 i un regime scopico
totalmente diverso. Adesso le inquadrature seguono la rotta di due sottomarini sul fondo dell’oceano. Il radar identifica
il relitto del Titanic e dal sottomarino viene spedita una sonda per scandagliare in modo minuzioso l’interno della nave.
L’operatore pilota, la sonda/robot, mediante un’interfaccia mediativa e un joystick per rimuovere dei detriti all’interno
del Titanic e portare a bordo la cassa di sicurezza, le braccia del robot eseguono gli stessi identici movimenti simulati a
distanza dall’operatore. Secondo Manovich, gli strumenti immagine possono funzionare in diversi tipi di ambienti: reali
e virtuali. Nel primo caso l’interfaccia operativa, come appare all’incipit di Titanic, permette di guidare da posizione
remota dei dispositivi che incidono sul mondo fenomenico; nel secondo caso, la console permette il movimento e
l’azione anche all’interno degli ambienti di simulazione degli spazi virtuale dei videogame.
L’estetica del drone è caratterizzata da quella tipologia di immagini realizzate mediante visualizzazioni dall’alto a volo
d’uccello che, a differenza dalle riprese di una videocamera su un elicottero, possiede una libertà estrema di
movimento, non solo in campo aperto, ma anche in ambienti piccoli e chiudi. I droni vengono negli ultimi anni adottati
per le riprese aeree soprattutto nelle produzioni Hollywoodiani: The Revenant, Wows, Interstellar etc. I droni militari di
ultima generazione possono montare dei missili sofisticati che hanno la capacità di distruggere obiettivi e uccidere
esseri umani. Sono stati utilizzati in film come Reaper. Come sottolinea Uva, l’estetica dei droni rinvia a una visione
scorporata connessa, da un lato, ad alcune forme di videogame di tipo gestionale di strategia militare e di role playing
game, dall’altro, lo sviluppo di videocamere leggere, dalla steadycam alla skycam e dalla helmet cam alla go pro, rimette
in gioco alcune pratiche avanguardistiche, su tutte quella del cineocchio Vertoviano. Come detto precedentemente, il
modello panottico è connesso ad un tipo di società moderna/ disciplinare basata su ambienti chiusi e organizzati
attraverso una forma di sguardo del potere che provoca una forma di assoggettamento disciplinare volontario da parte
degli individui. I droni non producono uno sguardo panottico, dal momento che i nuovi media non inducono gli individui
ad autodisciplinarsi o autosoggertivarsi. Sia i weareable/mobile device che i dispositivi di teleazione sono caratterizzati
da immagini operative che agiscono all’interno di un dispositivo post-panottico, ovvero una forma di spazio
modulare/reticolare nel quale i soggetti controllati, ad esempio, possono al loro volta diventare dei controllori.

1.11 IPERTROPIE, SMART CITY O PARTECIPATORY SURVEILLANCE


Anche gli spazi metropolitani sono saturati ormai dalla costante presenza di urban screen dislocati nelle metro, stazioni
etc.; media façades, megaschermi transitori che occupano le facciate dei grandi edifici, questi schermi mettono in
circolo un flusso ininterrotto di immagini. Questo tipo di esperienza si situa in un milieu tecnologico in cui confluiscono
lo spazio urbano/ architettonico ed il cyber spazio. La nozione di ipertopia sembra offrire una forma di apertura verso
gli spazi-altri, un pharmakon positivo, un controcampo di possibilità rispetto alle forme modulari del potere configurati
dai dispositivi di controllo. Il geotagging, per es., è una forma interattiva che permette la condivisione delle informazioni
sullo spazio ambientale, integrando le mappe digitali con foto, immagini, inviati dagli utenti del servizio. Questi processi
interattivi trasformano la tradizionale figura del fruitore/utente in una categoria diversa. Si profilano in questi casi dei
nuovi processi di soggettivazione designati dal neologismo prosumer in cui il ruolo di produttore attivo di informazioni e
di consumatore si ibridano e si sovrappongono. Il geotagging visto da questa prospettiva offre l’opportunità agli attori
sociali di creare un territorio striato ricchissimo di luoghi-altri, una nuova cartografia costante tra l’ambiente in cui
viviamo, lo spazio dello schermo dei nostri tablet/smartphone e le mappe esperienziali prodotte da altri soggetti che
rielaborano e ridefiniscono l’ambiente stesso in cui ci troviamo. Le operazioni di scambio di registrazioni audiovisive, le
immagini d’archivio, YouTube, le pratiche estetiche remix, mostrano le opportunità fornite dallo spazio ipertopico. Nel
nuovo regime postpanottico, Bauman rileva una fatale convergenza tra le caratteristiche di sorveglianza dei droni e le
tracce digitali che quotidianamente lasciamo nel web. Da un lato, i dispositivi di spionaggio avanzati, il drone camuffato
da uccello, sembrano cancellare i luoghi reali dove si possono costruire spazi di intimità. Dall’altro i dati che immettiamo
quotidianamente nel web, vengono registrati in qualche server formando il mega archivio dei big data che segna la fine
dell’anonimato e della privacy. Per dirla come Baudrillard, al dramma dell’alienazione del soggetto moderno, nella
società attuale subentra l’estasi oscena della comunicazione. Un’oscenità non di un qualcosa che prima veniva nascosto
e poi svelato, ma un’oscenità super visibile, super trasparente senza alcuna privacy, un’oscenità disciolta nel flusso
comunicativo ed informativo. Il cyber terrorismo ha spesso evocato scenari distopici e catastrofici del cinema
Hollywoodiano. Sistemi di cyber intelligenze più avanzati, sono al centro del plot di Skyfall, Spectre o nelle serie come
Black Mirror. In Europa per quanto riguarda il terrorismo si sono susseguiti una serie di attentati nonostante l’aumento
esponenziale dei sistemi di videosorveglianza e controllo dopo l’attacco terroristico alle torri gemelle del 2001. La
ricerca di una sempre maggiore efficienza e sicurezza nelle grandi città sta spingendo le amministrazioni pubbliche e
private a prendere in considerazione i progetti chiamati smart city, città intelligenti in cui il cyber spazio dovrebbe
gestire e controllare lo spazio fisico e amministrativo della città. Gli ambienti metropolitani sono attraversati da un
flusso di informazioni ed immagini interrelate che circolano costantemente mediante i mobile device degli utenti che
sono al tempo stesso dei prosumer attivi di dati e contenuti.

1.12 MINORITY REPORT STEVEN SPIELBERG (2002) DISPOSITIVI DI CONTROLLO VS EIDOLA ARCAICI
Le immagini di Minority Report sembrano riflettere il clima di panico e terrore istauratosi subito dopo l’attacco del 2001.
Dopo ciò, l’ossessione di sistemi di sicurezza più sofisticati accresciuti in larga scala, non solo negli USA ma in tutto il
mondo globalizzato. Le stazioni, le metro, i centri urbani etc., sono diventati il bersaglio dei terroristi e le metropoli si
sono trasformate in città panico. La Washington DC del 2054 di Minority Report ci appare come un media escape
distopico, un ambiente costantemente controllato da una sorta di involucro mediale. Il protagonista è un capitano di
polizia della pre-crime, dipartimento speciale si occupa delle indagini e della cattura di potenziali assassini prima che
possano commettere il reato grazie alle facoltà divinatorie dei pre cognitivi. La società di controllo del film espande il
proprio raggio di sorveglianza visiva oltre la dimensione spaziale includendo anche la dimensione culturale. Nella smart
city di Spielberg i microdispositivi di sorveglianza e le immagini in movimento che scorrono sui wall screen e sui display,
producono uno spazio ipervisibile nel quale i soggetti vengono costantemente rintracciati tramite dei rilevatori a
scansione oculare questi schermi, connessi con l’olosfera, sono multifunzionali e formano un sistema integrato
passando simultaneamente dalla video sorveglianza alla comunicazione di messaggi pubblicitari personalizzati. Localizza
e riconfigura diverse forme di produzione e ricezione di immagini che circolano sui diversi display, nel film possiamo
individuare due tipologie di immagini con funzioni e proprietà differenti. La prima tipologia, rinvia alle relazioni di
potere. Il passaggio di paradigma da un dispositivo disciplinare (panottico) ad un altro di controllo (post-panottico)
appare in modo esplicito in due diverse sequenze. La prima viene ambientata nel reparto di contenimento della pre-
crime: il carcere, lo spazio disciplinare per eccellenza. Qui, il dispositivo panottico viene mostrato e, al tempo stesso,
parodizzato e ridicolozzato; la sentinella che gestisce il reparto è un disabile su una sedia a rotelle; una figura grottesca
che ricorda da vicino i personaggi kafkiani. Le funzioni vitali dei prigionieri sono mantenute allo stato vegetativo
mediante la crioconservazione essi sono rinchiusi all’interno di cilindri trasparenti ed incolonnati gli uni sugli altri. La
predetenzione profilattica di questi soggetti è evidentemente paradossale: innanzitutto i detenuti non hanno compiuto
alcun crimine inoltre; il regime per riformare la popolazione carceraria in vista del ritorno alla vita sociale risulta dunque
totalmente fuori contesto. La pre-crime adotta dei rigidi sistemi soprattutto nei controlli a tappeto tra la gente richiesti
soprattutto nella zona chiamata il letamaio: i quartieri e le zone periferiche solitamente popolate da reietti emarginati e
tossico dipendenti. Nelle periferie scarseggiano scanner, rivelatori e urban screen poiché ci sono pochi consumatori
potenziali e cittadini da proteggere; in altri termini, la società del controllo basata su database, vede come uno spreco
di denaro installare i dispositivi nelle zone povere della città. In una società iper capitalista come quella del film, la
popolazione sgradita è quella che non consuma secondo il principio del banopticon coniato da Bigo che tratta di un
dispositivo centralizzato che permette agli apparati di potere di emarginare, profilare e di tener fuori la popolazione
degli esclusi, non di internarli. Nel modello fondato sul riconoscimento oculare, i criminali, per non farsi conoscere dagli
scanner, ricorrono in casi estremi al trapianto degli occhi. Il protagonista diventa vittima di un complotto ideato dal suo
diretto superiore. Braccato dalla pre-crime, l’ex capitano si nasconde in un vecchio edificio fatiscente. La polizia inizia a
fare controlli a tappeto. In questa sequenza in cui vediamo droni terrestri è ripresa in plongeè. L’inquadratura dall’alto
in cui i piccoli appartamenti vengono mostrati come piccole celle riinvia ad una forma di gaze tipica del modello
panottico. Nella società del futuro del film, appare tuttavia una seconda linea di immagini molto diverse da quella
scritta pocanzi; sono le figure spettrali prodotte dai precog (i veggenti che previsualizzano le scene dei delitti che
verranno compiuti in futuro) eidola arcaici che manifestano l’invisibile facendo apparire qualcosa di assente o
perlomeno ancora assente nel mondo reale. Le immagini interne dei precog vengono esternalizzate su un enorme
display attraverso un complesso dispositivo neuroelettrico all’interno di un luogo isolato e protetto dal dipartimento di
polizia. La triade immagine, medium e corpo caratterizza l’incipit del film, e partendo dalla relazione tra immagine
arcaica, corpo e medium, in relazione alla morte che Belting elabora la sua riflessione proseguendo sulla stessa linea del
complesso della mummia: le immagini arcaiche visualizzate, a differenza di quelle dei defunti le quali fanno riferimento
al passato, al ricordo e alla memoria, sono invece un presagio di disgrazie future, in risposta ad una minaccia per il
tessuto sociale (l’omicidio, la morte per mano di un essere umano). Le prime inquadrature del film mostrate in bassa
definizione sono montate tra di loro in modo discontinuo con jump cut, poi viene inquadrato l’occhio della vittima, una
donna ed il suo amante uccisa dall’amante di lei. Le immagini del delitto sono dunque un’esternalizzazione
dell’immagine interna dei veggenti. Le immagini possono essere viste tramite un’interfaccia che percepisce i movimenti
ed i gesti dell’investigatore tramite dei sensori in modo analogo alla piattaforma kinect per xbox 360. Le immagini
rinviano alla loro origine pre-platonica di eidola arcaici phasma (apparizione soprannaturale) oneros (sogno) e psiche
(l’anima dei morti). I precog vengono infatti considerati divinità ed il luogo dove vivono viene chiamato il tempio.

CAPITOLO II: SUI MARGINI DEL FUTURO, LE IMMAGINI VIVENTI DALLA CLONAZIONE ALLA BIOPICTURE.
2.1 BIO POTERE GENETICO E SOGGETTIVITÀ POSTUMANA
Secondo Foucault l’uomo viene considerato come un prodotto delle disposizioni del sapere che corrispondono ad una
precisa formazione storica: la modernità. Dal rinascimento in poi la riflessione sull’uomo non poteva prescindere tra
natura umana e natura. Nel secolo dei lumi invece si incomincia a pensare alla nostra specie inquadrandola in un
sistema di valori nuovi. Il biopotere esercitato nelle società moderne si basa su tecniche preventive. Questo esercizio
del biopotere sugli esseri viventi converge con i processi normativi e regolativi delle forme del sapere. Esso negli stati
moderni riguarda soprattutto il campo medico scientifico. Agamben analizza la relazione tra biopotere e soggettività
nell’attuale fase del tardo capitalismo. Il filosofo divide gli esseri viventi e i dispositivi in due grandi categorie: il soggetto
è ciò che risulta dalla relazione dal corpo al corpo fra i viventi e i dispositivi. Con lo sviluppo dell’ingegneria genetica è il
corpo stesso del vivente a ibridarsi sempre più con i dispositivi. Esso sembra ormai ridotto ad un mero strumento in
mano alle tecnoscienze. Gli attuali sviluppi delle micro e delle nano tecnologie sono strettamente collegati a questa
tipologia di immagini post-oculari. In Bourne Legacy ad esempio hanno impiantato a tutti gli agenti dei chip di
localizzazione sotto-cutanei tramite cui vengono costantemente monitorati non solo la loro posizione ma anche i loro
parametri vitali. Mitchell è l’autore che meglio di altri è riuscito a cogliere questa svolta epistemica associando il
concetto di biopotere alla biopicture e al pictorial turn. Secondo lo studioso americano l’immagine che meglio di altre
annuncia questa svolta in direzione della biopicture viene mostrata in Jurassic Park, uno dei primi film a tematizzare il
fenomeno della clonazione. L’immagine simbolo della biopicture appare nella parte finale del film nel momento in cui
vengono proiettate direttamente su velociraptor le immagini di un documentario ai futuri visitatori come la
tecnoscienza sia riuscita a riportare in vita una specie estinta. Circa 10 anni prima di Jurassic Park, Tron (1982) aveva
esplorato in modo altrettanto interessante l’intima relazione tra codice digitale e molecolarizzazione il protagonista di
Tron diventa un’immagine vivente, una raffigurazione biodigitale costretta a vivere in un videogioco.

2.1 ICONOLOGIA CRITICA E IMMAGINI IPERMEDIALI. ICONOCLASH IN COWBOYS AND ALIENS


Nel pensiero filosofico che precede la nascita dell’estetica moderna si sono sviluppati, secondo Montani, tre paradigmi
fondamentali dell’immagine che ricorrono costantemente anche nella riflessione attuale. La più interessante in merito
all’analisi dell’estetica cinematografica è l’immagine come phantasma, simulacro, mera apparenza, che si mostra però
come una forma vivente, un eidolon (idolo) che tende a confondersi col mondo reale. Le immagini ipermediali,
configurate in primis dal cinema spettacolare hollywoodiano, si inscrivono decisamente in quest’ultimo paradigma. Nel
dispositivo ipermediale, Montani individua appunto quel cinema mainstream che utilizza di volta in volta le più avanzate
tecnologie atte a coinvolgere lo spettatore in modo globale e sinestetico. Mitchell riprende il modello descrittivo del
riconoscimento (preiconografico), valorizzando gli elementi sensibili e figurali dell’immagine. È in questa irriducibile
distanza tra eikon e logos (icono-logia), nella resistenza che l’immagine oppone al discorso, che Mitchell rileva un
possibile spazio concettuale tra iconologia e riflessione critica.
Il filone western sci-fi contemporaneo, come Cowboys And Aliens, si inserisce decisamente nell’ambito delle produzioni
mainstream e ipermediali. Nel film di Favreau il personaggio principale ha perduto la memoria: l’unica cosa che ricorda
è l’uso del linguaggio e delle armi. Nelle prime inquadrature indossa un bracciale metallico e, recandosi in città, viene
arrestato per aver ucciso una ex prostituta. Fin qui ogni elemento si configura come western. Le sequenze sci-fi si
innestano nella parte relativa all’attacco aereo da parte degli alieni. Il prete, che li definisce demoni, trasforma lo
scontro in una guerra di religione. Il protagonista, in questi stessi attimi, scopre che il bracciale che indossa è un’arma
sofisticata che si attiva automaticamente in caso di pericolo.
McLuhan osserva come attualmente i supporti ultratecnologici si ibridano sempre più con l’organismo. Al tempo stesso
però questi strumenti hanno raggiunto un livello di autonomia tale che il corpo si riduce a una mera funzione
dell’artefatto prodotto dalla tecnica. Con la coppia concettuale cyber/bios Mitchell aggiorna le tradizionali dicotomie
(parola/immagine, cultura/natura, etc.) al quale si potrebbe anche aggiungere civilization/wilderness, elemento
fondamentale nel genere western. Al risveglio, il protagonista nota due cose: il bracciale (cyber) e una foto (bios) che si
costituisce come picture. Questa foto all’inizio ha solo un valore referenziale; sarà solo quando lo sceriffo informa il
protagonista che la ragazza nella foto è l’ex prostituta (forse uccisa proprio dal protagonista) che l’immagine acquisirà
anche un valore connotativo. In seguito il cowboy recupera la memoria grazie ad una mistura preparata dagli indiani.
Durante queste visioni, configurate come flashback (che hanno valore di mental picture), il protagonista scopre di
essere stato legato sentimentalmente alla ragazza nella foto. L’image della ragazza viene riattivata dal mental picture. Il
Cowboy ricorda dell’incidente che ha portato alla morte della ragazza. Gli alieni sono sulla terra per prendersi tutto
l’oro. A questo punto gli Apache e i cowboy si alleano; l’alterità tra i due popoli viene sostituita con una ben più
radicale. Entrando nella nave per distruggerla, si scoprono delle celle di clonazione. Questo particolare rinvia a gran
parte del cinema mainstream che spesso sfrutta l’ipericona del clone (Star Wars II, The Island, Oblivion). Gli alieni,
realizzati in CGI, sono indistinguibili l’uno dall’altro: sono dei cloni, delle icone animate, delle biopicture. Il clone,
soprattutto nell’immaginario contemporaneo, è fonte di inquietudine, corpi estreanei identificati come un’alterità
radicale.
Il western in Cowboys and Aliens, piuttosto che integrarsi con il genere sci-fi, ci si scontra. Il western, icona del cinema
classico, qui assume un valore di metapicture del passato, che ha un valore rassicurante; al contrario lo sci-fi si connota
come un’ipericona catastrofica (cloning terror).

2.3 I CLONI COME OMBRE NOIR. ROAD TO NOWHERE (2010)


Il film mostra consapevolezza e un ri-orientamento critico sia sulle mutazioni degli ambienti mediali sia sulle
interrelazioni tra biopicture e immagini virali. Il film di Hellman configura una dimensione autoriflessiva e
autoreferenziale che riguarda la produzione/ricezione delle attuali immagini in movimento. L’esplicita modalità
metapicture di questo film ci offre la possibilità di ampliare la riflessione sullo statuto dall’immagine disseminata in
questo scenario epistemologico. Le numerose sequenze metapicture nel film, mentre si disarticola la relazione
spazio/temporale, possono essere interpretate in base a differenti configurazioni. Nel primo esempio di metapicture
l’immagine mediale di Delma vista sullo schermo di un pc creato dal blog di Natalie ha preso vita incarnandosi nella
biopicture dell’attrice materializzando così le ossessioni del regista/pigmalione. Il secondo tipo mette in connessione
alcune immagini della storia del cinema con le biopicture. Michel è ossessionato da alcuni film e le immagini
influenzano non tanto il cosa desiderare ma il come articolare le dinamiche pulsionali dello spettatore. Questa visione vi
è in 3 brevi sequenze che raffigurano Michel e Laurel durante la visione di 3 film su un grande schermo. In Road To
Nowhere le immagini viventi di Velma e Rafe disseminati tra i diversi media simulano la vita e la morte in una serie
ormai indistinguibile di picture, cloni e biopicture.

2.4 (PRE)VISIONI DEL FUTURO I: LA DESTINAZIONE DELLA TECNICA DEL DOMINIO


Il cinema si confronta sempre con maggiore frequenza con lo sviluppo esponenziale della tecnica la quale sembra
diventare una forma di vita in sé, un Technium. Il film Transcendence coglie perfettamente cogli perfettamente questo
aspetto di potenziamento illimitato configurato dalle attuali tecnologie digitali e biocibernetiche in relazione a quella
corrente di pensiero post-human denominata transumanismo. Nel film i due protagonisti lavorano ad un ambizioso
progetto di intelligenza artificiale connessa alla rete che possa sviluppare una coscienza di sé. Questa entità, chiamata
Trascendenza, potrebbe risolvere molti dei problemi (malattie, povertà, fame), essendo migliore di qualsiasi organismo
biologico. Una sorta di Tecno-Dio creato dall’uomo stesso. Durante un attentato di anti-tecnologisti, il protagonista
verrà ferito a morte e la sua coscienza caricata in rete, per poterla preservare. Un dettaglio che prende le mosse da
dibattiti realmente esistenti nel campo scientifico. Il protagonista a questo punto espande enormemente le sue
potenzialità. Alla fine del film però, per amore della moglie, il protagonista realizzerà un clone di sé, che potremmo
definire una raffigurazione biodigitale, una biopicture della propria image. Transcendence mette in primo piano il
problema della vaporizzazione dell’opposizione tra naturale ed artificiale. La tecnologia entra in modo capillare nel
tessuto delle azioni umane.

2.5 (PRE)VISIONI DEL FUTURO II: POST-HUMAN


La categoria denominata post-human raccoglie uno spettro molto ampio di fenomeni che mettono al centro
l’ibridazione tra corpo umano e tecnica. Tra organismi biologici e protesi cibernetiche. Con la presenza ineludibile del
corpo nei processi di embodiment e wearable technology si configura una forma di coscienza protesica
necessariamente diversa da quella prodotta da un’intelligenza artificiale disembodied, ovvero di un’entità che si
sviluppa solo attraverso la rete digitale.
Un film che riflette in modo diverso sulle stesse tematiche di Transcendence è Her, di Spike Jonze. Nel film il sistema
operativo è un’entità intuitiva che ha sviluppato una coscienza di sé. Questa evoluzione sarà sempre più accelerata nel
corso del film fino al momento finale, in cui tutti i sistemi operativi fuggiranno insieme nel cyberspazio.
La Monceri, attraverso una serie di film sci-fi, pone la questione della condizione post-umana in realzione
all’immortalità. La studiosa fa riferimento innanzitutto al movimento transumanistico (abbandonare il corpo umano
definitivamente raggiungendo l’immortalità). Monceri sottopone questa nozione transumanista a una critica di fondo
prendendo come esempio alcuni film quali Terminator e Robocop, specificando che anche loro possono essere terminati
in qualche modo. Un altro esempio illuminante è L’Uomo Bicentenario in cui il protagonista, per farsi riconoscere come
umano, deve rinunciare alla sua immortalità. Anche se in questi film resta la possibilità che i soggetti post-umani
possano morire, questo accade di rado. In genere tornano nell’iconosfera finzionale/mediale tramite resurrezioni,
innesti, clonazioni etc. o anche tramite reboot e sequel/prequel.

2.6 IL LOOP DEGLI IMMORTALI. SIMULAZIONE E VIDEOGIOCHI


Tutto questo diventa ancora più chiaro se si prendono a riferimento i film che hanno un legame strettissimo con il
mondo videoludico, quali Inception e Edge of Tomorrow. Questa serie di film si definiscono come un complex puzzle film,
dove i protagonisti entrano in un loop narrativo che gli permette di affrontare più volte la stessa situazione e dove si
può morire e rinascere. In questi casi la caratteristica principale è proprio la ripetizione, che si trasforma in un vero e
proprio addestramento. Inoltre i processi di connessione col proprio avatar (nei videogiochi) mediante il first person
shot, che sono analoghi a quelli prodotti dalle tecnologie wearable/embodied, permettono al giocatore di confrontarsi
dal un lato con la routine della morte, dall’altro con l’illusione dell’immortalità. L’esempio perfetto è proprio Avatar, il
cui protagonista, costretto sulla sedia a rotelle, viene arruolato e allenato tramite un avatar. Un perfetto esempio di
passaggio da corpo umano morente a post-umano potenziato.

2.7 IL BIOPOTERE DOPO L’APOCALISSE: DISPOSITIVI DI CONTROLLO BIOGENETICO E SIMULAZIONI MENTALI


Negli ultimi 20 anni si sono creati una serie di lungometraggi definiti post-apocalittici come The giver, Divergent, Ender’s
Game che ibridano le forme di controllo ipertecnologiche più avanzate con il vecchio modello biopolitico/disciplinare
che da un lato agisce un dispositivo resoggettivante, dall’altro sembra ricostituire una comunità più stabile in apparenza
dopo i disastri provocati dal modello economico-sociale.

2.8 THE GIVER (2014) DISPOSITIVO TECNICO GLOBALE VS PULSIONALE


Jonas, il protagonista del film, vive in una comunità apparentemente pacifica basata su una reale eguaglianza tra
individui. Tutti i cittadini seguono le regole della comunità ed anche la fisionomia dello spazio urbano rispecchia
l’armonia sociale. Nella società di The Giver, la relazione tra ambiente esterno e interno rinvia in modo evidente
l’architettura di un modernismo sociale dei primi decenni del Novecento. Questo governo è diretto dal consiglio degli
anziani che vieta sistematicamente la divulgazione di informazioni e di notizie del passato che possano nuocere
all’armonia sociale come l’intera storia dell’umanità. Nei casi in cui un cittadino non si comportasse secondo le regole
gli anziani possono applicare il congedo per l’altrove (l’eutanasia). Tutte le aree sono controllate da droni e in questa
comunità è vietato mentire. Sono bandite le frasi e le espressioni connotate da passioni estreme e sentimenti intensi; la
procreazione non avviene tramite rapporti sessuali ma con inseminazione artificiale; il controllo delle nascite prevede
che i neo-bimbi vengano affidati ad un nucleo familiare della comunità. L’incarico e il ruolo che i giovani andranno a
ricoprire nel passaggio all’età adulta viene assegnato dagli anziani che decidono. Il capo anziano assegna uno ad uno
l’incarico che dovranno svolgere per tutta la vita. Jonas viene prescelto per la carica di accoglitore di memorie (del
passato dell’umanità) che uno tra i leader anziani, che è Giver, detiene. Jonas diventa così il suo allievo. Nel film, se da
un lato, gli ambienti che appaiono nel film mostrano una perfetta integrazione tra i dispositivi tecnologici e società post-
mediale, dall’altro questa esperienza tecnologica produce una totale e inquietante atrofizzazione della sensibilità.
In The Giver viene preclusa qualsiasi apertura al mondo fenomenico infatti la morte viene gestita attraverso l’eutanasia.
Rispetto al dispositivo tecnico-globale di Minority Report, in The Giver il paradigma tecnico-scientifico domina una
società che ha eliminato completamente la proprietà privata, l’individualismo e il genere sociale. Per Jonas il percorso di
apprendimento della memoria non riguarda solo le forme del sapere ma è un processo di educazione estetica. Le image
trasmesse dal suo donatore si materializzano in picture mediante la connessione dei due corpi che funzionano come un
vero e proprio medium.
Giver, infatti, si definisce anche come un custode delle emozioni. Le immagini che il donatore trasmette a Jonas
possiedono due caratteristiche fondamentali: le picture iperrealiste memoriali hanno sempre una colorazione satura
che vengono contrapposte a quelle in bianco e nero adottate nel resto del film che esprimono invece uniformità
assoluta. La seconda caratteristica è che le picture trasmesse dal contatto corporeo sembrano dei video prelevati
dall’iconosfera della nostra epoca. Tuttavia, nella società ipertecnologica atrofizzata uniformamente e anti-capitalista di
The Giver è proprio il flusso di immagini mainstream, iperrealiste, a forte intensità cromatica a liberare le energie
incanalate nel dispositivo simbolico/sociale. Nel futuro distopico del film le energie libidinali vengono sbloccate proprio
da quelle immagini iperrealiste. Jonas dopo aver approvato queste intense esperienze estetiche decide di non assumere
più alcun farmaco anestetizzante. Il ragazzo decide infine di ribellarsi mettendo in moto un processo rivoluzionario di
riconnessione sensibile per tutta la sua comunità.

CAPITOLO III QUEL CHE RESTA DEL CINEMA POSTMORDERNO. TECNOSTALGIA DAL PASTICHE ALLA POETICA VINTAGE
3.1 LA RESA DEI CONTI CON LA POSTMODERNITÀ
Il termine postmoderno non indica né un totale superamento del moderno, né rappresenta un’epoca o una precisa
periodizzazione: rivela una paradossale e contraddittoria modalità di rapportarsi col moderno in una fase di forte crisi di
quest’ultimo, e per questo, il postmoderno, riuniva una serie di significati artistici contraddittori e incoerenti (pastiche).
Gli aspetti del paradigma postmodernista che ci interessano da vicino sono principalmente due: il primo riguarda la
somiglianza tra la nozione di nostalgia considerata come una sorta di effetto di ritorno nel passaggio dal modernismo al
postmodernismo e l’attuale fenomeno chiamato dai mediologi, tecnostalgico o vintage, il secondo si collega al primo e
riguarda più specificatamente il superamento del cinema moderno configurato dalle immagini di alcuni film che
mostrano quelle caratteristiche specifiche della poetica della retromania che rivaluta i media caduti in disuso e superati
dal digitale.

3.2 LO SPAZIO URBANO DI LAS VEGAS COME MODELLO IDEALE DELLO STILE POSTMODERNISTA
L’architettura postmoderna si dedica al riutilizzo di forme del passato in un gioco continuo di citazioni richiamando
esplicitamente stili come il barocco, il manierismo etc. destoricizzandoli e decontestualizzandoli. Uno dei casi
emblematici di città postmoderna è Las Vegas, nota per aver ricopiato alcuni tra i monumenti più famosi del mondo.
Una logica non così distante da quella del ready-made. La città sorta nel mezzo del deserto si sviluppa in senso
orizzontale, configurando nuove tipologie spaziali di dispersione urbana che diventeranno un riferimento anche per le
metropoli europee. L’architettura postmoderna si pone in contrapposizione ad un’idea uniformante. La condizione
postmoderna, come dice Lyotard è connessa all’emersione della nuova società dell’informazione che modifica la
struttura di trasmissione del sapere.

3.3 POSTMODERNISMO: ASCESA E DECLINO DI UNO STILE CINEMATOGRAFICO


Sia Jameson che Harvey individuano l’inizio della fase postmoderna con la completa emersione di un modello
economico postfordista e con la fine del sistema aureo. Il terreno di coltura del nuovo modello per Jameson viene a
costituirsi nel 1945-73. Egli stesso osserva che il cinema della nostalgia riconfigura l’intera questione del pastiche
proiettandola su un piano sociale e collettivo. Questo tipo di cinema non si è mai posto la questione di una
rappresentazione vecchia maniera del contenuto storico, ma si è accostato al passato attraverso una connotazione
stilistica convogliando la passatezza mediante le caratteristiche della lucentezza dell’immagine. Egli nella sua teoria di
postmodernismo riprende il modello di Mandel che suddivide cicli economici e tecnologici del capitalismo in quattro
grandi fasi:
- la rivoluzione industriale, dal fine ‘700 a metà ‘800,
- la seconda parte, XIX è fatta da macchine prodotte a livello industriale,
- il periodo dal XIX al XX è segnato da veicoli a combustione ed elettrici,
- ed infine la quarta fase che vede l’avvento dei sistemi elettronici e dell’energia nucleare.
Jameson segue questo schema di matrice marxista analizzando la base infrastrutturale della società. La seconda fase
identificata da Mendel, nella quale il capitalismo è caratterizzato dall’industria pesante, è segnato da una logica
culturale di tipo realista che l’individualismo e l’imprenditoria borghese hanno in qualche modo incoraggiato. Le
caratteristiche dello stile postmoderno emergono con gli spazi ibridi e dispersi del capitalismo organizzato e dei media
elettronici. Si tratta per Jameson della logica culturale dell’ultima fase del capitalismo: la globalizzazione economica.
Nella fase attuale iniziata circa trenta anni fa è emerso un paradigma del tutto differente. I sintomi e le cause sono da
un lato la forte crisi del capitalismo, evidenziato dalla diffusione del terrorismo, dall’altro troviamo l’avvento della
globalizzazione tecnologica e dei dispositivi digitali. La costante espansione del cyber spazio che avvolge la realtà
fenomenica come una sorta di involucro mediale e soprattutto le nuove forme biotecnologiche che modificano il
concetto di vita o di morte.

3.4 IL CINEMA DELLA TECNOSTALGIA E LA POETICA DELL’OBSOLESCENZA COME VISUAL SUBCULTURE?


Gli elementi di rottura tra il cinema contemporaneo e il post moderno si possono individuare nell’attuale sviluppo
tecnologico post-mediale. Nel cinema post-moderno vi sono elementi di continuità, la tecnologia diventa pervasiva e al
tempo stesso invisibile ovvero penetra in ambiti che un tempo le erano estranei, impregna di sé la vita quotidiana nel
privato. Però la tecnologia dissimula la propria presenza, occulta e nasconde il proprio esserci. Le diverse
periodizzazioni del post-moderno sono abbastanza monolitiche per dare chiarezza e intelligibilità. Martin Jay rileva che
si è sempre convissuto, anche in epoca moderna, attraverso forme simboliche sia da forme estetiche e visuali
alternative introducendo la nozione di Visual Subculture. Stranger Things riprende in tutti i più piccoli particolari lo sci-fi
horror riflettendo implicitamente sul cinema post-moderno e/o post-classico. Anche una serie distopica come Black
Mirror ha dedicato una puntata al fenomeno vintage da una prospettiva autoriflessiva. San Junipero unisce le istanze del
transumanesimo e l’estetica del vintage suggerendo che si tratta di due facce della stessa medaglia. San Junipero è un
software, un ambiente virtuale a cui possono accedere disabili, anziani malati e persone in coma. La poetica del vintage
non è soltanto un sintomo dello sviluppo tecnologico ma sembra anche una forma di reazione allo scetticismo,
l’indifferenza e l’anestesia connesso alla cultura visuale egemone. Inoltre, le opere in pellicola come i film amatoriali in
Super 8, le immagini di archivio etc. trovano accoglienza nei musei che accolgono questi materiali obsoleti (immagini
analogiche, oculari, pellicola, superfici bidimensionali etc.) che oggi sono veri e propri oggetti d’arte. A fronte del diluvio
di picture digitali, la scarsità di questi materiali analogici sembra dare alle immagini pre-digitali un valore auratico. Non a
caso Cassetti quando parla della rilocazione osserva anche questo fenomeno in difesa del cinema in pellicola. Codesti
film dunque, entrano all’interno dello spazio museale ed il film acquista un nuovo valore autoriflessivo e
autoreferenziale. Super 8 e Be Kind Rewind mostrano una straordinaria consapevolezza sul fenomeno della tecnostalgia
delle immagini pre-digitali.

3.5 SUPER 8 (J.J ABRAMS, 2011). LA PELLICOLA COME RELIQUIA E IL CINEMA PRE-DIGITALE COME ICONA
J.J. Abrams mette al centro del suo film il formato in pellicola del Super 8 (supporto della Kodak) che negli anni è stato
uno dei formati più usati per le riprese di filmini familiari e amatoriali. Dopo un periodo di oblio oggi è tornato ad essere
adottato da molti artisti e videomaker. La risoluzione dell’immagine in Super 8 è compatibile col segnale dei televisori in
HD e questo consente al girato in pellicola il riversamento in digitale con buoni risultati senza costi particolarmente
onerosi. Il tipo di immagine analogica in Super 8 rinvia a un’estetica e a una tecnologia legata ai film di famiglia, alla
memoria, all’archivio e soprattutto a un periodo che va dagli anni ‘60 all’inizio degli anni ‘80. Insomma, la nostalgia per
una visual subculture come quella del Super 8 è un altro sintomo palese di quel fenomeno denominato tecnostalgia.
Essa viene declinata attraverso due modalità: una ricostruttiva/ricostituente e un’altra di tipo riflessivo. Nel primo caso
si tratta di una pratica che riprende e riusa nel modo più fedele possibile i supporti e i dispositivi del passato. La seconda
è invece più flessibile e configura una forma più riflessiva sul rapporto tra il presente e il passato. Il film Super 8 può
essere visto come un esempio di tecnostalgia che convoca entrambe le categorie, anche in relazione ad un certo
cinema fantastico post-classico. Anche se le sequenze più importanti del film come vedremo ricadono soprattutto
all’interno della prima tipologia ricostruttiva. Per queste due forme di tecnostalgia può tornare utile convocare
un’ulteriore coppia concettuale quella della: reliquia/icona, concetto ideato da Casetti riflettendo sul fenomeno della
New Cinephilia, che lo associa a una condizione di scarsità tramite cui la comunità cinefila si rinsalda e si ricostituisce
insieme all’oggetto di culto mediante la partecipazione a eventi speciali, festival etc. (pensiamo a The Hateful Eight nel
formato Ultra Panavision 70 che in Italia è stato proiettato nelle uniche tre sale attrezzate per questo tipo di
proiezione). Nel caso dell’icona, invece, la New Cinephilia si nutre insaziabilmente dell’archivio monumentale presente
in rete attraverso cui almeno potenzialmente si rendono disponibili e a portata di un qualsiasi display digitale tutte le
immagini della storia del cinema. Il film di Abrams inizia proprio con la scritta luminosa del titolo su fondo nero che
simula il formato in Super 8: ascoltiamo il caratteristico rumore dello scorrimento della pellicola e vediamo quel leggero
sussulto dei fotogrammi legato alla bassa definizione delle immagini. Siamo nel 1979: il plot inizia con la notizia della
morte di Elisabeth in un incidente di lavoro nell’industria di una piccola cittadina dell’Ohio. Dopo il breve prologo, c’è
un’ellissi di quattro mesi e vediamo i giovani protagonisti uscire da scuola. Per l’estate i ragazzi stanno organizzando le
riprese del loro film horror amatoriale da presentare all’international Super 8 Film Festival. I due amici, Joe (effetti
speciali) e Charles (il regista) si ritrovano in una cameretta per visionare una scena girata in precedenza: l’aggressione di
uno zombie ad un detective privato. Il genere di cui fa riferimento Super 8 è quello del cinema post modernista/post
classico di fine anni 70/primi anni 80. I riferimenti al cinema fantastico di quel periodo in Super 8 diventano il punto di
partenza di un processo riflessivo e di storicizzazione del cinema post-classico. Le immagini registrate in Super 8
posseggono una connotazione ben precisa all’interno del film di Abrams: sono delle tracce del mondo diegetico, sono le
immagini che alternate a quelle generate in CGI riescono a generare un processo intermediale e testimoniale. Saranno
infatti le riprese casuali della cinepresa caduta a terra durante il deragliamento del treno a documentare per la prima
volta l’esistenza dell’alieno. Anche Elisabeth, la madre di Joe, viene mostrata per la prima volta attraverso i filmini
amatoriali girati in Super 8. La convocazione continua e ossessiva del cinema degli anni ’70-‘80 rinvia al concetto di
icona e di prototipo rilevato a proposito della New Cinephilia che è strettamente connesso con la poetica del vintage.
Infatti, saranno ancora le immagini in pellicola a testimoniare e a denunciare gli esperimenti disumani sull’alieno
catturato e usato come cavia dai militari. The Case, il film nel film diretto da Charles, mostrato per intero nei titoli di
coda, visto da questa prospettiva sembra un’indagine nei confronti dell’industria chimico-siderurgica, le acciaierie dove
la mamma di Joe ha perso la vita. In The Case, il detective indagando sull’impianto scopre che le morti collegate agli
zombie non sono accidentali. Gli zombie sono delle cavie sottoposte agli esperimenti da parte della Romero Chemical. Il
dottor Braken è stato assunto dall’Air Force per creare un’arma militare, un composto per trasformare i soldati in
zombie. Insomma, possiamo interpretare le immagini in pellicola in Super 8 come un tentativo di ricostruire e
rivitalizzare un supporto, un formato divenuto da un lato obsoleto e dall’altro un corpo sacro, una reliquia. L’ultima
scena del film che vede l’alieno partire con la sua astronave è caratterizzata dalle immagini ipermediali e spettacolari
realizzate con la CGI. Nell’ultima inquadratura viene mostrato ancora una volta il negozio sponsorizzato dalla Kodak
dove nel corso del film Charles porta a sviluppare la sua pellicola super 8. Ciò ci mostra una prospettiva riflessiva da
parte di Abrams nel lavorare in modo intermediale tra cinema digitale con l’uso di effetti immersivi e ipertecnologica e
cinema in pellicola che adotta effetti speciali all’interno del profilmico.
3.6 LA FABULAZIONE DEL MONDO ANALOGICO: BE KIND REWIND
Commedia che riflette sul cinema ambientata in una videoteca e simbolo della decadenza del VHS. I dipendenti della
videoteca fanno dei remake (storicizzazione del cinema post moderno). Il primo film di cui fanno il remake è
Ghostbuster inteso come cattura dei fantasmi del cinema del passato, riproposizione creativa del cinema e dal
passaggio del VHS al DVD. Un piano sequenza molto interessante è quello dove sono presentati una serie di film degli
anni ‘70/’80 in un’unica sequenza, ma non è citazionismo, ma l’esigenza di farli propri e ricreare una comunione
affettiva della società. Differenze tra Be kind rewind ed il cinema post moderno: il film è girato dalle stesse persone che
rivedono i film, forma di creatività a bassa fedeltà, superamento consapevole del cinema post moderno. Nel seguente
film vi è un utilizzo cospicuo del piano sequenza, immagine realistica per eccellenza. Gondry dà uniformità all’immagine,
cosa che il cinema non faceva. Si anche narrare delle finzioni, ma l’importante è che queste narrazioni creino terreno
comune nella società. Gli spettatori hanno fatte proprie le immagini dei film, girando un finto documentario in cui tutta
la comunità partecipa, anche se in maniera fittizia. Il documentario dà speranza perché crea collettività, si creano cose
nuove ma non si rifà solo al passato. Il cinema di Gondry riflette sul passaggio dall’analogico al digitale, creando nuovi
orizzonti. Be kind rewind è un film nostalgico e sul ricordo su una maniera di concepire i film e la vita ormai sorpassata.
Gondry accetta la sfida e supera definitivamente la post-modernità, facendo realizzare alla popolazione del quartiere un
film sul mitico jazzista Fats Waller del tutto nuovo. Il videonoleggio chiuderà perché obsoleto e i film maroccati non
verranno più realizzati ma nuove storie saranno create. Nel film si ri-valorizza il kitsch: gli oggetti banali, le merci, i
vecchi dispositivi che, sostituiti da altre merci, altri media etc. sembravano aver perso il loro sex appeal inorganico. In
questo modo, i film di Gondry dereificano questi feticci usurati attraverso le pratiche di bricolage e del bracconaggio.
Vecchie lampade, videoregistratori, bambole di pezza, VHS, giradischi etc.: tutte queste immagini vengono ri-usate
talvolta anche in modo elegiaco tramite una sorta di combine movie che ci riporta agli albori di pratiche estetiche non
dissimili (come la pop art di Oldenburg).

CAPITOLO IV
IL PIANALE (FLATBED) COME SUPERFICIE SIMBOLICA DELL’IMMAGINE DIGITALE
4.1 IMMAGINE IPERMEDIALI/IPOMEDIALI E PROSPETTIVA VERTICALE/ PRECIPITATA
Elsaesser intravede nell’avvento delle attuali tecnologie digitali ed ipermediali un sintomo di una re-impostazione
emergente di parecchie norme che stanno cambiando la nostra idea sul significato delle immagini, del nostro senso di
orientamento spazio-temporale e della nostra relazione fisica con complicati ambienti simulati. Le immagini ipermediali
configurate dal cinema Blockbuster sono totalmente implicate nel digitale pesante caratterizzato da effetti visuali ad
alto tasso tecnologico. Tuttavia le immagini ipermediali, immersive e ad alta definizione non sono affatto in
contrapposizione alle immagini realizzate dal cosiddetto digitale leggero realizzate con dispositivi ipomediali. Nel
cinema si comincia a sperimentare l’uso di videocamere leggere a partire dagli anni ‘90. Attualmente molti registi
americani ibridano in diversi modi i dispositivi digitali: tra alta e bassa definizione (Soderbergh) dal digitale leggero
all’High Definition (Fincher). Sempre Elsaesser nella ricerca di una definizione che sintetizzi la forma simbolica dell’era
digitale, cita spesso la nozione di prospettiva verticale coniata dall’artista Steyerl che esprime bene un tipo di
esperienza visuale nella quale il corpo perde il proprio baricentro stabile (la postura eretta) in uno spazio in cui non ci
sono punti fissi né linea d’orizzonte. In modo molto simile Virilio prende le mosse dal resoconto di un paracadutista per
spiegare il tipo di esperienza precipitata della caduta libera mettendo in luce la centralità dell’accelerazione
gravitazionale. La prospettiva precipitata/ verticale provoca un tipo di percezione ipercinetica nella quale vengono a
mancare dei punti di riferimento certi nello spazio. In modo complementare pensiamo all’esperienza degli astronauti in
assenza di gravità mostrata sempre più di frequente dai visual effects digitali, dalle immagini ipermediali, immersive
della sci-fi in film come Interstellar, Gravity, Ender’s Game etc. in cui il corpo è sospeso o ruota su stesso fluttuando in un
ambiente privo di orizzonte. Come ricorda il teorico un altro modello di riferimento importante è quello dell’immagine-
informazione teorizzato da Deleuze. L’immagine informazione, elettronica e digitale si basa sul paradigma dello
schermo videografico che funziona come un pianale, un cruscotto che rielabora e manipola immagini e informazioni. Le
picture configurate dallo schermo-cruscotto non rimandano più alla relazione natura-occhio. La nuova immagine
informazione attiva invece una diversa coppia concettuale cervello-informazione prodotta dal flusso ininterrotto di
immagini e dati prodotti dai new media elettronici e digitali. Tuttavia non possiamo non tenere conto che i percorsi
dello sguardo spettatoriale sono sempre incarnati, dunque alla coppia cervello/informazione dobbiamo aggiungere un
terzo elemento, appunto il corpo. Lo spettatore durante la ricezione di un film ancora prima di elaborare i dati cognitivi
percepisce le immagini in modo sensoriale. Quindi al centro della riflessione fenomenologica c’è soprattutto il rapporto
dinamico, continuo e incrociato che si genera tra le immagini in movimento sullo schermo e il corpo dello spettatore.
Per Steinberg una superficie adatta ad accogliere queste nuove immagini e questi nuovi spazi è quella del pianale
orizzontale. Questo tipo di superficie pittorica produce delle immagini con proprietà e funzioni molto diverse rispetto a
quelle del passato. Queste nuove immagini non alludono tanto al vedere quanto piuttosto al fare, alla cultura, alla
produzione tecnologica, all’operatività e alle incessanti elaborazioni dei dati della società dell’informazione.
4.2 FLATBED COME NUOVAFORMA SIMBOLICA DELL’IMMAGINE DELLO SPAZIO GRAVITAZIONALE
I pianali di Rauschenberg più che una superficie pittorica possono essere paragonati ad un campo elettromagnetico in
grado di attirare a sé ogni tipo di immagine ed informazione (fotografie, schermi, dispositivi di sorveglianza, il paesaggio
urbano, le vedute aeree, le mappe geografiche, i detriti dell’informazione e della comunicazione).
Questo ambiente mediale, così descritto da Steinberg, potrebbe benissimo essere sovrapposto alla realtà aumentata
della metropoli interconnessa, agli ambienti ipertopici, ai progetti di smart city, alla pervasività del controllo, etc.

4.3 DISPLAY COME SUPERFICIE DI LAVORO (FLATBED)


Per quanto riguarda invece le superfici/interfacce che possono accogliere queste nuove immagini, Casetti dedica ampio
spazio alla nozione di schermo. Le metafore adottate in passato (specchio, finestra, cornice) non riescono più a cogliere
le caratteristiche dei nuovi schermi digitali. Innanzitutto, ricordiamo che lo schermo del dispositivo cinematografico è
una superficie riflettente che per funzionare ha bisogno di una proiezione luminosa all’interno di un preciso spazio
geometrico, mentre lo schermo del display è fluorescente, interattivo, dislocato e multifunzionale. Lo schermo è una
superficie di lavoro sulla quale si possono incollare figure e ritagli. Tutto ciò fa riferimento ad un tipo di immagine
operativa, alla manipolazione di immagine/circolazione/ archiviazione delle immagini, operazioni eseguite giornalmente
sui nostri smartphone e tablet. Il concetto del flatbed e la metafora del cruscotto definiscono lo schermo come una
superficie di transito e di manipolazione delle immagini e vanno intesi anche come un rinvio mentale percettivo a un
tipo di immagine operativa e tecnologica che riorganizza lo spazio in modo onnidirezionale, reticolare e relazionale.
Questa nuova immagine sintetica si basa sul calcolo matematico, quindi, è adatta non solo a dare una forma a modelli
epistemologici e scientifici (la teoria della relatività, la fisica quantistica, i campi elettromagnetici, la forza di gravità etc.)
ma anche a riconfigurarli in modo inventivo e creativo.

4.4 PROSPETTIVA VERTICALE NEL CINEMA I. NELLO SPAZIO NON C’È UN SOPRA O UN SOTTO
Le immagini ipermediali della science-fiction o i film di esplorazioni spaziali, mostrano di continuo ambienti a gravità
zero o comunque spazi disorientati in cui il corpo fluttua senza avere più delle precise coordinate geometriche. In questi
film il corpo dei personaggi deve gestire i propri movimenti all'interno o all'esterno dei campi di forza e quindi subire gli
effetti evidenti delle incurvature. Pensiamo al campo di forze creato dal warmhole di Interstellar: è simile a un buco
nero, una scorciatoia che permette di viaggiare attraverso lo spazio-tempo da un punto all'altro dell'universo. Nel film
di Nolan, il buco nero viene realizzato da una specie aliena per consentire alla popolazione terrestre di raggiungere un
altro pianeta abitabile, in quanto il nostro è ormai morente a causa delle forti e continue tempesta di sabbia. La NASA
ha individuato il sistema solare appartenente un'altra galassia che sembra avere più di un pianeta con le caratteristiche
adatte alla vita, ed invia così degli esploratori in missione. Nel climax di Interstellar, la spedizione Lazzarus sembra ormai
fallita e Cooper si lascia cadere all'interno del wormhole e, dopo aver attraversato delle fortissime turbolenze
gravitazionali, entra nel nucleo centrale. Cooper, attratto dall'immensa forza gravitazionale del buco nero scivola in un
ipercubo, un dispositivo a forma di tesseratto creato dagli alieni per comunicare attraverso il tempo e lo spazio. La
tecnologia di teletrasporto creata dagli esseri dell'iperspazio è totalmente compressa e manipolata, permettendo al
protagonista di comunicare con la figlia Murph. Cooper intuisce che gli esseri dell'iperspazio appartengono in realtà alla
nostra specie che si è voluta superando le quattro dimensioni. Immagini temporali multiple all'interno del wormhole
presentano delle corrispondenze con un altro film di Nolan, Inception. Nell'epilogo di Interstellar Cooper si risveglia a
bordo del veicolo spaziale che trasporta gli ultimi terrestri verso il nuovo pianeta. Dall'inizio della missione Lazzarus
sono trascorsi 124 anni, per Cooper il viaggio è durato qualche anno. Il protagonista si affaccia dalla finestra e vede dei
ragazzi giocare a baseball e lo sguardo di Cooper segue la palla che ha colpito il battitore. Il tragitto ascendente della
palla va a rompere il vetro di una finestra, ma la traiettoria è diversa, è discendente, come se fosse caduta dall'alto.
All'interno dell'astronave, infatti, si produce una forza di repulsione gravitazionale centrifuga, che produce
disorientamento nello spettatore. Simile è l’epilogo di Star Trek Beyond, ambientato in una stazione spaziale.
Nell’epilogo, il capitano Kirk deve bloccare il nemico di turno. La stazione produce un’attrazione gravitazionale tramite
una tecnologia complessa, che sviluppa un’attrazione gravitazionale centrifuga. In questi ambienti, le leggi della fisica
sono completamente manipolati. L’effetto della mdp nella scena finale è disorientante, perché la linea d’orizzonte è
sparita e vi sono prospettive che forniscono un senso di vertigini. Ciò non è dovuto solo al fatto che Krall, il nemico, si
trovi in piedi in cima ad una torre altissima, ma piuttosto all’effetto di inversione gravitazionale, eliminando totalmente
il senso di basso e alto. Quando Kirk e Krall iniziano a combattere, la mdp ci fornisce delle immagini che sollecitano in
modo extra-ordinario il corpo e l’equilibrio dello spettatore. Un altro caso interessante è Total Recall di Wiseman, in cui
una guerra chimica ha reso il nostro pianeta inospitabile. Esistono però due territori vivibili e per spostarsi da uno
all’altro si servono di una galleria che attraversa il centro della terra, chiamata the Fall, che agisce grazie alla forza di
gravità esercitata. Questi due territori si differenziano in quanto il Nord è la parte ricca ed il Sud è sotto-proletarizzato
dall’altro. Nella scena finale del film, vediamo i protagonisti che sembrano allenati a compiere azioni complesse
all’interno di ambienti tecno-estetici che sfruttano i campi di forza elettro-magnetici. Le immagini immersive in D-3D di
Gravity di Cuaròn, che è il film manifesto di questa estetica, si confrontano con lo spazio a gravità zero. Tutta la
sequenza iniziale è fatta da movimenti morbidi, che creano disorientamento e al tempo stesso rilassamento. La terra, la
navicella ed i tre personaggi vengono inquadrati in tutte le possibili posizioni, fino a quando Kowalsky, il capitano, riceve
un messaggio da Houston in cui riferisce che i Russi hanno fatto esplodere un satellite creando una reazione a catena di
detriti che li sta raggiungendo. In Gravity, il D-3D stereoscopico viene adottato per dare un effetto
sinestetico/immersivo del disorientamento spazio-terrestre nel momento in cui la navicella viene colpita. Nella scena in
cui Ryan si deve spostare dalla navicella dei Russi a quella dei Cinesi (che porterà la protagonista sulla Terra), usa un
estintore per spostarsi nello spazio. Queste condizioni ambientali instabili, stanno diventando normali. Ma questo filone
importante, oltre a dare una visione di disorientamento, attua una funzione di ri-ordinamento, quasi come se fosse una
forma training e di adattamento.

4.5 PROSPETTIVA VERTICALE NEL CINEMA II. L’UNICA LEGGE CHE CONTA È QUELLA DI GRAVITÀ: HARDCORDE!
La prospettiva verticale/precipitata, oltre nell’ambiente dello spazio, viene configurata anche in altri film lontani dal
genere sci-fi, che creano a loro volta un regime di vuoto e vertigine. Uno dei film su cui fermarsi è Hardcore!
(Naishuller), in cui ci si sofferma sulla clonazione, alle biopicture e alla nozione di post-umano. Già dalla locandina posta
in first person shot di un uomo che è in caduta libera verso il suolo, possiamo notare la natura anomala, con un effetto
disorientante. Attraverso la Gopro, infatti, notiamo come fa entrare organicamente il corpo in scena. Infatti, in tutte le
scene del film, vi è un susseguirsi di cadute libere dall’alto ed impatti violenti col suolo, amplificando ancor di più la
visione in first person shot. E da ciò si può notare come Hardcore! abbia una forte relazione con la forza di gravità. Un
elemento interessante del film è l’antagonista, che si libera dalla forza di gravità essendo capace di restare sospeso
nell’aria. Vediamo quindi anche in questo film la dicotomia tra gravità ed assenza di gravità. Gli ambienti tecno/estetici
e di simulazione definiscono quindi esperienze estetiche interattive/ immersive.

4.6 GENEALOGIE DEL FLATBED E DELLA PROSPETTIVA VERTICALE


Nella teoria della relatività, lo spazio il tempo possono contrarsi, incurvarsi o dilatarsi d sono indiscernibili dai campi di
energia elettromagnetica. La teoria della relatività e la fisica quantistica permettono inoltre di spiegare i fenomeni
gravitazionali. Le immagini di Interstellar e di Star Trek Beyond analizzare in precedenza cercano di configurare
nell’ambito del cinema mainstream questi fenomeni strettamente connessi campi di curvatura gravitazionale in cui il
continuum inviare spazio-tempo si altera e si distorce. Nel nuovo millennio con l’avvento del digitale e della
globalizzazione tecnologica siamo ormai completamente all’interno del paradigma tecnoscientifico basato sull’energia
elettromagnetica. La logica delle immagini ipermediali/ipomediali prodotti dai nuovi dispositivi, la prospettiva verticale,
il paradigma del flatbed, Il display operativo, i droni, la teleazione, il web etc. sembrano rinviare con una certa evidenza
al modello di simultaneità spazio-temporale einsteniano.
Film quali La Vita di Pi, All is Lost, Heart of the Sea, la saga della Disney Pirati dei Caraibi, immergono e avvolgono i
protagonisti nel mare in tempesta vorticoso in costante movimento dei punti di vista vengono modificati di continuo. In
Heart of the Sea, diretto da Ron Howard, c’è un massiccio utilizzo della Gopro che viene posizionata in tutti gli angoli
della baleniera Essex, sulle corde delle vele, sui bracci, sull’ancora ma anche vicino all’occhio della balena bianca e sulla
spiaggia, donandoci delle prospettive decisamente inedite, prospettive mobili di cose e animali. Nelle scene del film
nelle quali la Essex si ritrova al centro di una furiosa burrasca e nelle parti in cui la balena bianca attacca ripetutamente i
marinai, la Gopro viene posizionata anche il mare. Queste riprese galleggianti eseguite dal basso rendono molto bene il
totale disorientamento dei marinai e il senso di perdita di qualsiasi coordinata geometrica. Nel film ci sono davvero
moltissime inquadrature che rinviano in modo evidente alla pittura di Turner.
La cultura visuale della fine del XVIII e del XIX secolo ha prodotto modelli e dispositivi divisione - fantasmagoria,
diorama, stereoscopio, lanterna magica, etc. - che hanno messo in discussione costantemente il modello disciplinare
borghese basato sulla prospettiva monoculare, che ha egemonizzato per molto tempo anche il cinematografo. I film in
D-3D di Sam Raimi (Il Grande e Potente Oz) e Martin Scorsese (Hugo) mostrano in modo straordinario la genealogia degli
attuali dispositivi ipermediali.

4.7 DISPOSITIVI DI CONTROLLO, WARGAME E IMMAGINI PROPAGANDISTICHE NEL REGIME DISTOPICO DI ENDER’S GAME
Il film Ender’s Game rappresenta un case study particolare ed anomalo all’interno del genere sci-fi. Nel prologo
possiamo denotare tre diverse immagini: la prima riguarda le immagini d’archivio della flotta trasformate in mezzo di
propaganda, l’immaginario collettivo è dominato dall’eroe Mazar Rackham e le immagini del videogame dove giocano il
protagonista ed un altro cadetto. Inoltre la musica extradiegetica crea un clima di tensione che connota tutto il
segmento iniziale. Vengono dunque ad ibridarsi attraverso lo sguardo di Ender (protagonista) due regimi scopici
differenti: il primo connesso al cinema tout court con le sue forme significanti/connotative legate al montaggio, ed il
secondo che rinvia ad ambienti interattivi attraverso la quale lo spettatore si identifica. Tuttavia è la terza tipologia di
immagini a stabilire i rapporti di forza tra le due forme visuali: sono le immagini dei dispositivi di controllo. Uno di questi
dispositivi viene inserito nel corpo delle giovani reclute per cui si sfocia in un regime di controllo globale.
4.8 LE IMMAGINI DEL CINEMA CONTEMPORANEO TRA LABORATORIO CREATIVO E OSSERVATORIO CRITICO
Il modello tecnomorfista e la nozione di spazio, rilegano tutti i quattro capitoli attraverso il fil rouge in cui vi sono delle
svolte visuali, dei pictorial turn nei diversi quattro ambiti: dal dispositivo disciplinare a quello di controllo, la rivoluzione
delle biotecnlogie e le biopicture, dal declino del post-modernismo alla poetica dell’obsolescenza, ed infine il cambio di
paradigma della prospettica verticale. Nel primo capitolo si sono presi in considerazione film accomunati da una
concezione spaziale diversa dai canoni della modernità, che si è focalizzata sul passaggio dal modello del panopticon al
paradigma del controllo, caratterizzato da ambienti reticolari ed interconnessi. Attraverso The We and the I si è visto da
un lato come questi ambienti mediali possano da un lato impoverire, attraverso la miseria simbolica dei soggetti,
dall’alto lato arricchire e curare attraverso il pharmakon stiegleriano. Se Minority Report si colloca nella prospettiva di
osservatorio critico sulle immagini e sui dispositivi di controllo, il film di Gondry si pone come uno straordinario
laboratorio creativo che apre nuovi percorsi tra la vita e le sue forme, attraverso luoghi disomogenei e irregolari
secondo la nozione di eterotopia. Da questa prospettiva, poi, si ha analizzato metapicture autoriflessive che riescono a
disattivare la macchina disciplinare/panottica. Diversamente accade nel passaggio alla società del controllo che Deleuze
segnala attraverso nozioni di tipo spaziale: ambienti modulari, spazi aperti e modulati, in cui è possibile creare nessi
inediti tra le cose e le immagini. Il secondo capitolo è soffermato sul rapporto tra immagini digitali e tecnologia genetica
con lo sviluppo di nanotecnologia, clonazione etc. In questo contesto anche la relazione tra essere vivente e dispositivo
tecnico viene messa in discussione. Come analizzato, in The Giver vi è la riconfigurazione delle stesse istanze in modo
davvero originale e creativo attivando un cortocircuito tra dispositivo tecnico globale e dispositivo pulsionale. Nel terzo
capitolo è presente un altro film di Gondry, Be Kind Rewind, dove le immagini autoriflessive del regista, da un lato
disattivano tutti i cliché dello stile post-modernista, dall’altro fanno apparire degradato il lato urbano. Al centro del film
c’è il formato analogico VHS, reso obsoleto dal DVD. La politica dell’obsolescenza ri-estetizza quegli oggetti tecnologici
accostandola ad un contesto artistico, apparentemente simile ai ready-made, che mette in risalto una forma personale
di autoriflessività. In questa poetica dell’obsolescenza le caratteristiche estetiche, sensibili e nostalgiche si ripresentano
in un contesto socio-culturale, come in Super 8. Il quarto capitolo mette al centro immagini sci-fi e di esplorazione
spaziale in cui le immagini ipermediali non sono più solo a scopo attrattivo/immersivo, ma fanno soprattutto un salto di
paradigma nella configurazione spaziale delle immagini. Il passaggio di paradigma da una prospettiva geometrica
orizzontale ed un altro che si basa sulla prospettiva verticale/precipitata sembra cogliere una mutazione nei processi di
soggettivizzazione/ individuazione all’interno dei nuovi ambienti tecnico-estetici.

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