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1.5 PROFANAZIONI: IL DITO NELL’OCCHIO DEL NOVECENTO. IL CORTOCIRCUITO TRA VOYERISMO E PANOTTICISMO
Il filosofo italiano Agamben approda un percorso genealogico originale sulla funzione dei dispositivi. Egli individua una
possibile modalità di disattivazione dei dispositivi di potere tramite la profanazione. Parte dal significato del termine
oikonomia che svolge una funzione fondamentale come forma di governo divino che rimanda ad una serie di norme di
tecniche e di istituzioni atte a controllare i pensieri degli uomini. Questo termine verrà tradotto in latino con dispositio.
Le categorie appartenenti al dispositivo vanno adesso ad includere qualsiasi tecnica che riesca ad orientare,
intercettare, controllare i gesti e le opinioni degli esseri viventi. Oltre il panottico, il carcere, la caserma, la scuola etc., il
cui rapporto col potere egemonico risulta palese, la tassonomia dei dispositivi di Agamben, arriva a comprendere la
scrittura, l’agricoltura, la sigaretta, i pc ed andando a ritroso il linguaggio stesso.
1.6 UN 1984 ANTI-ORWELLIANO. DALLA SOCIETA’ DISCIPLINARE ALLA SOCIETA’ DEL CONTROLLO
L’ingresso della tecnologia digitale e del pc nel mondo dei media si associa ad una svolta che sembra investire tutti i
campi della società. Nel 1984 viene lanciato sul mercato il nuovo computer Macintosh, il nuovo Pc, prodotto da Steve
Jobs che acquista nuove diverse funzioni che mutano radicalmente il suo statuto. Il Mac è diventato un nuovo
dispositivo mediale che entra prepotentemente nel campo della comunicazione e dello spettacolo in competizione sia
con la televisione sia con il cinema. Il video dello spot diretto da Ridley Scott mette in mostra le ambizioni rivoluzionarie
del progetto di Jobs che prefigura il collasso dei tradizionali media di massa del novecento.
In questi anni Deleuze è tra i primi a esprimersi con lungimiranza in questo passaggio di società dal tipo disciplinare a
un'altra definita come società del controllo. Attualmente la società del controllo opera una modulazione pervasiva
mediante diverse tecnologie di monitoraggio e registrazione. Vi è una disseminazione della soggettività nell’epoca della
globalizzazione economico/tecnologica. La nozione di soggetto dividuale e modulazione risuonano fortemente nei
concetti di desoggettivizzazione. In questo contesto le classi sociali, la politica, i grandi partiti e le istituzioni sociali
diventano obsolete.
1.8 IL COMBINE MOVIE DI MICHEL GONDRY E I DISPOSITIVI IPOMEDIALI: TRA ETEROTOPIA E IPERTOPIA. THE WE AND THE I
Il film forma una sorta di dittico autoriflessivo sulle attuali trasformazioni dei regimi scopici e sulla produzione di
immagini. I luoghi altri configurati dal film di Michel Gondry sono attraversati da una costante tensione tra eterotopia e
ipertopia. Lo spazio ambientale si presenta come un reticolo di immagini in movimento e relazioni sociali dislocate.
L’ambiente dove si attualizzano i processi di soggettivizzazione nel quale si vive, si ama e si muore si presenta come un
campo eterogeneo di forme stratificate attraversato da linee di forza che lo trasformano costantemente. Nel prologo
del film si contrappongono in montaggio alternato due regimi spaziali discontinui. Da un lato la scuola, luogo
caratterizzato dal vecchio paradigma del dispositivo disciplinare con i suoi ambienti chiusi. Dall’altro l’ambiente
reticolare aperto e continuo configurato dall’attuale dispositivo di controllo attraverso i quali si possono
produrre/manipolare immagini e farle circolare in modo istantaneo ma si può anche essere rintracciati o controllati in
ogni momento. La società del controllo (post-panottica) produce una radicale mutazione insieme agli spazi-altri e le
eterotopie che sembrano rovesciati dai nuovi ambienti reticolati.
I titoli di testa cominciano nel momento in cui viene inquadrato un terzo elemento che altera i due ambienti quotidiani
mostrati in montaggio alternato: un giocattolo telecomandato, uno stereo a forma di pulmino, un feticcio obsoleto e
riciclato dalla società dei consumi che prefigura l’eterotopia/ipertopia, lo spazio-altro del film. Lo spazio del bus verrà
trasformato dagli adolescenti in una eterotopia/ipertopia. Infatti il bus è attraversato da questa duplice tensione: da un
lato è un luogo chiuso, un’utopia localizzata, dall’altro è presente e costante l’interconnessione dei dispositivi
ipomediali che trasforma lo spazio dei bus che diventa permeabile all’esterno attraverso immagini che circolano
nell’ambiente reticolare. Le nuove immagini e le relazioni spaziali rimandano direttamente al fare, ai processi operativi
e alla serialità. La nuova immagine-informazione è caratterizzata dalla coppia cervello-città che sostituisce la relazione
tradizionale tra occhio e natura. Il combine-movie di Gondry funziona come una superficie di lavoro, gli scarti e le
immagini della società di controllo vengono prima decontestualizzati e poi ricombinati in forma di bricolage. Le
immagini di Gondry sono segnate dal concatenamento di elementi eterogeni, le immagini assemblage producono uno
scarto notevole rispetto alla tecnologia di default dei dispositivi che vengono in qualche modo profanati, disarticolati e
ricombinati mediante pratiche basse di remix ovvero mash-up, re-cut, trailer ecc. Il bus è arrivato quasi al capolinea ed i
due protagonisti, Teresa e Michael, sono gli ultimi dei due studenti rimasti. Mentre i due si parlano vi è
inaspettatamente l’evento traumatico: il climax, la notizia della morte improvvisa di un loro compagno.
Dopo che Teresa scopre la notizia attraverso un messaggio sul cellulare di un amico scende dal bus piangendo e questo
strappo narrativo modifica lo stato di indifferenza, di indigenza affettiva, direbbe Stiegler, in cui versa Michael. Queste
immagini audiovisive molto delicate attivano un valore estetico, un pharmakon positivo e un senso totalmente
differente rispetto all’inizio del film. I titoli di coda esplicitano il movimento autoriflessivo e di autenticazione del film.
Nel combine movie di Gondry le immagini vengono così trasformate in un pharmakon curativo attraverso il
concatenamento di materiali eterogenei che riattiva la connessione estetica tra la vita e le sue forme.
1.12 MINORITY REPORT STEVEN SPIELBERG (2002) DISPOSITIVI DI CONTROLLO VS EIDOLA ARCAICI
Le immagini di Minority Report sembrano riflettere il clima di panico e terrore istauratosi subito dopo l’attacco del 2001.
Dopo ciò, l’ossessione di sistemi di sicurezza più sofisticati accresciuti in larga scala, non solo negli USA ma in tutto il
mondo globalizzato. Le stazioni, le metro, i centri urbani etc., sono diventati il bersaglio dei terroristi e le metropoli si
sono trasformate in città panico. La Washington DC del 2054 di Minority Report ci appare come un media escape
distopico, un ambiente costantemente controllato da una sorta di involucro mediale. Il protagonista è un capitano di
polizia della pre-crime, dipartimento speciale si occupa delle indagini e della cattura di potenziali assassini prima che
possano commettere il reato grazie alle facoltà divinatorie dei pre cognitivi. La società di controllo del film espande il
proprio raggio di sorveglianza visiva oltre la dimensione spaziale includendo anche la dimensione culturale. Nella smart
city di Spielberg i microdispositivi di sorveglianza e le immagini in movimento che scorrono sui wall screen e sui display,
producono uno spazio ipervisibile nel quale i soggetti vengono costantemente rintracciati tramite dei rilevatori a
scansione oculare questi schermi, connessi con l’olosfera, sono multifunzionali e formano un sistema integrato
passando simultaneamente dalla video sorveglianza alla comunicazione di messaggi pubblicitari personalizzati. Localizza
e riconfigura diverse forme di produzione e ricezione di immagini che circolano sui diversi display, nel film possiamo
individuare due tipologie di immagini con funzioni e proprietà differenti. La prima tipologia, rinvia alle relazioni di
potere. Il passaggio di paradigma da un dispositivo disciplinare (panottico) ad un altro di controllo (post-panottico)
appare in modo esplicito in due diverse sequenze. La prima viene ambientata nel reparto di contenimento della pre-
crime: il carcere, lo spazio disciplinare per eccellenza. Qui, il dispositivo panottico viene mostrato e, al tempo stesso,
parodizzato e ridicolozzato; la sentinella che gestisce il reparto è un disabile su una sedia a rotelle; una figura grottesca
che ricorda da vicino i personaggi kafkiani. Le funzioni vitali dei prigionieri sono mantenute allo stato vegetativo
mediante la crioconservazione essi sono rinchiusi all’interno di cilindri trasparenti ed incolonnati gli uni sugli altri. La
predetenzione profilattica di questi soggetti è evidentemente paradossale: innanzitutto i detenuti non hanno compiuto
alcun crimine inoltre; il regime per riformare la popolazione carceraria in vista del ritorno alla vita sociale risulta dunque
totalmente fuori contesto. La pre-crime adotta dei rigidi sistemi soprattutto nei controlli a tappeto tra la gente richiesti
soprattutto nella zona chiamata il letamaio: i quartieri e le zone periferiche solitamente popolate da reietti emarginati e
tossico dipendenti. Nelle periferie scarseggiano scanner, rivelatori e urban screen poiché ci sono pochi consumatori
potenziali e cittadini da proteggere; in altri termini, la società del controllo basata su database, vede come uno spreco
di denaro installare i dispositivi nelle zone povere della città. In una società iper capitalista come quella del film, la
popolazione sgradita è quella che non consuma secondo il principio del banopticon coniato da Bigo che tratta di un
dispositivo centralizzato che permette agli apparati di potere di emarginare, profilare e di tener fuori la popolazione
degli esclusi, non di internarli. Nel modello fondato sul riconoscimento oculare, i criminali, per non farsi conoscere dagli
scanner, ricorrono in casi estremi al trapianto degli occhi. Il protagonista diventa vittima di un complotto ideato dal suo
diretto superiore. Braccato dalla pre-crime, l’ex capitano si nasconde in un vecchio edificio fatiscente. La polizia inizia a
fare controlli a tappeto. In questa sequenza in cui vediamo droni terrestri è ripresa in plongeè. L’inquadratura dall’alto
in cui i piccoli appartamenti vengono mostrati come piccole celle riinvia ad una forma di gaze tipica del modello
panottico. Nella società del futuro del film, appare tuttavia una seconda linea di immagini molto diverse da quella
scritta pocanzi; sono le figure spettrali prodotte dai precog (i veggenti che previsualizzano le scene dei delitti che
verranno compiuti in futuro) eidola arcaici che manifestano l’invisibile facendo apparire qualcosa di assente o
perlomeno ancora assente nel mondo reale. Le immagini interne dei precog vengono esternalizzate su un enorme
display attraverso un complesso dispositivo neuroelettrico all’interno di un luogo isolato e protetto dal dipartimento di
polizia. La triade immagine, medium e corpo caratterizza l’incipit del film, e partendo dalla relazione tra immagine
arcaica, corpo e medium, in relazione alla morte che Belting elabora la sua riflessione proseguendo sulla stessa linea del
complesso della mummia: le immagini arcaiche visualizzate, a differenza di quelle dei defunti le quali fanno riferimento
al passato, al ricordo e alla memoria, sono invece un presagio di disgrazie future, in risposta ad una minaccia per il
tessuto sociale (l’omicidio, la morte per mano di un essere umano). Le prime inquadrature del film mostrate in bassa
definizione sono montate tra di loro in modo discontinuo con jump cut, poi viene inquadrato l’occhio della vittima, una
donna ed il suo amante uccisa dall’amante di lei. Le immagini del delitto sono dunque un’esternalizzazione
dell’immagine interna dei veggenti. Le immagini possono essere viste tramite un’interfaccia che percepisce i movimenti
ed i gesti dell’investigatore tramite dei sensori in modo analogo alla piattaforma kinect per xbox 360. Le immagini
rinviano alla loro origine pre-platonica di eidola arcaici phasma (apparizione soprannaturale) oneros (sogno) e psiche
(l’anima dei morti). I precog vengono infatti considerati divinità ed il luogo dove vivono viene chiamato il tempio.
CAPITOLO II: SUI MARGINI DEL FUTURO, LE IMMAGINI VIVENTI DALLA CLONAZIONE ALLA BIOPICTURE.
2.1 BIO POTERE GENETICO E SOGGETTIVITÀ POSTUMANA
Secondo Foucault l’uomo viene considerato come un prodotto delle disposizioni del sapere che corrispondono ad una
precisa formazione storica: la modernità. Dal rinascimento in poi la riflessione sull’uomo non poteva prescindere tra
natura umana e natura. Nel secolo dei lumi invece si incomincia a pensare alla nostra specie inquadrandola in un
sistema di valori nuovi. Il biopotere esercitato nelle società moderne si basa su tecniche preventive. Questo esercizio
del biopotere sugli esseri viventi converge con i processi normativi e regolativi delle forme del sapere. Esso negli stati
moderni riguarda soprattutto il campo medico scientifico. Agamben analizza la relazione tra biopotere e soggettività
nell’attuale fase del tardo capitalismo. Il filosofo divide gli esseri viventi e i dispositivi in due grandi categorie: il soggetto
è ciò che risulta dalla relazione dal corpo al corpo fra i viventi e i dispositivi. Con lo sviluppo dell’ingegneria genetica è il
corpo stesso del vivente a ibridarsi sempre più con i dispositivi. Esso sembra ormai ridotto ad un mero strumento in
mano alle tecnoscienze. Gli attuali sviluppi delle micro e delle nano tecnologie sono strettamente collegati a questa
tipologia di immagini post-oculari. In Bourne Legacy ad esempio hanno impiantato a tutti gli agenti dei chip di
localizzazione sotto-cutanei tramite cui vengono costantemente monitorati non solo la loro posizione ma anche i loro
parametri vitali. Mitchell è l’autore che meglio di altri è riuscito a cogliere questa svolta epistemica associando il
concetto di biopotere alla biopicture e al pictorial turn. Secondo lo studioso americano l’immagine che meglio di altre
annuncia questa svolta in direzione della biopicture viene mostrata in Jurassic Park, uno dei primi film a tematizzare il
fenomeno della clonazione. L’immagine simbolo della biopicture appare nella parte finale del film nel momento in cui
vengono proiettate direttamente su velociraptor le immagini di un documentario ai futuri visitatori come la
tecnoscienza sia riuscita a riportare in vita una specie estinta. Circa 10 anni prima di Jurassic Park, Tron (1982) aveva
esplorato in modo altrettanto interessante l’intima relazione tra codice digitale e molecolarizzazione il protagonista di
Tron diventa un’immagine vivente, una raffigurazione biodigitale costretta a vivere in un videogioco.
CAPITOLO III QUEL CHE RESTA DEL CINEMA POSTMORDERNO. TECNOSTALGIA DAL PASTICHE ALLA POETICA VINTAGE
3.1 LA RESA DEI CONTI CON LA POSTMODERNITÀ
Il termine postmoderno non indica né un totale superamento del moderno, né rappresenta un’epoca o una precisa
periodizzazione: rivela una paradossale e contraddittoria modalità di rapportarsi col moderno in una fase di forte crisi di
quest’ultimo, e per questo, il postmoderno, riuniva una serie di significati artistici contraddittori e incoerenti (pastiche).
Gli aspetti del paradigma postmodernista che ci interessano da vicino sono principalmente due: il primo riguarda la
somiglianza tra la nozione di nostalgia considerata come una sorta di effetto di ritorno nel passaggio dal modernismo al
postmodernismo e l’attuale fenomeno chiamato dai mediologi, tecnostalgico o vintage, il secondo si collega al primo e
riguarda più specificatamente il superamento del cinema moderno configurato dalle immagini di alcuni film che
mostrano quelle caratteristiche specifiche della poetica della retromania che rivaluta i media caduti in disuso e superati
dal digitale.
3.2 LO SPAZIO URBANO DI LAS VEGAS COME MODELLO IDEALE DELLO STILE POSTMODERNISTA
L’architettura postmoderna si dedica al riutilizzo di forme del passato in un gioco continuo di citazioni richiamando
esplicitamente stili come il barocco, il manierismo etc. destoricizzandoli e decontestualizzandoli. Uno dei casi
emblematici di città postmoderna è Las Vegas, nota per aver ricopiato alcuni tra i monumenti più famosi del mondo.
Una logica non così distante da quella del ready-made. La città sorta nel mezzo del deserto si sviluppa in senso
orizzontale, configurando nuove tipologie spaziali di dispersione urbana che diventeranno un riferimento anche per le
metropoli europee. L’architettura postmoderna si pone in contrapposizione ad un’idea uniformante. La condizione
postmoderna, come dice Lyotard è connessa all’emersione della nuova società dell’informazione che modifica la
struttura di trasmissione del sapere.
3.5 SUPER 8 (J.J ABRAMS, 2011). LA PELLICOLA COME RELIQUIA E IL CINEMA PRE-DIGITALE COME ICONA
J.J. Abrams mette al centro del suo film il formato in pellicola del Super 8 (supporto della Kodak) che negli anni è stato
uno dei formati più usati per le riprese di filmini familiari e amatoriali. Dopo un periodo di oblio oggi è tornato ad essere
adottato da molti artisti e videomaker. La risoluzione dell’immagine in Super 8 è compatibile col segnale dei televisori in
HD e questo consente al girato in pellicola il riversamento in digitale con buoni risultati senza costi particolarmente
onerosi. Il tipo di immagine analogica in Super 8 rinvia a un’estetica e a una tecnologia legata ai film di famiglia, alla
memoria, all’archivio e soprattutto a un periodo che va dagli anni ‘60 all’inizio degli anni ‘80. Insomma, la nostalgia per
una visual subculture come quella del Super 8 è un altro sintomo palese di quel fenomeno denominato tecnostalgia.
Essa viene declinata attraverso due modalità: una ricostruttiva/ricostituente e un’altra di tipo riflessivo. Nel primo caso
si tratta di una pratica che riprende e riusa nel modo più fedele possibile i supporti e i dispositivi del passato. La seconda
è invece più flessibile e configura una forma più riflessiva sul rapporto tra il presente e il passato. Il film Super 8 può
essere visto come un esempio di tecnostalgia che convoca entrambe le categorie, anche in relazione ad un certo
cinema fantastico post-classico. Anche se le sequenze più importanti del film come vedremo ricadono soprattutto
all’interno della prima tipologia ricostruttiva. Per queste due forme di tecnostalgia può tornare utile convocare
un’ulteriore coppia concettuale quella della: reliquia/icona, concetto ideato da Casetti riflettendo sul fenomeno della
New Cinephilia, che lo associa a una condizione di scarsità tramite cui la comunità cinefila si rinsalda e si ricostituisce
insieme all’oggetto di culto mediante la partecipazione a eventi speciali, festival etc. (pensiamo a The Hateful Eight nel
formato Ultra Panavision 70 che in Italia è stato proiettato nelle uniche tre sale attrezzate per questo tipo di
proiezione). Nel caso dell’icona, invece, la New Cinephilia si nutre insaziabilmente dell’archivio monumentale presente
in rete attraverso cui almeno potenzialmente si rendono disponibili e a portata di un qualsiasi display digitale tutte le
immagini della storia del cinema. Il film di Abrams inizia proprio con la scritta luminosa del titolo su fondo nero che
simula il formato in Super 8: ascoltiamo il caratteristico rumore dello scorrimento della pellicola e vediamo quel leggero
sussulto dei fotogrammi legato alla bassa definizione delle immagini. Siamo nel 1979: il plot inizia con la notizia della
morte di Elisabeth in un incidente di lavoro nell’industria di una piccola cittadina dell’Ohio. Dopo il breve prologo, c’è
un’ellissi di quattro mesi e vediamo i giovani protagonisti uscire da scuola. Per l’estate i ragazzi stanno organizzando le
riprese del loro film horror amatoriale da presentare all’international Super 8 Film Festival. I due amici, Joe (effetti
speciali) e Charles (il regista) si ritrovano in una cameretta per visionare una scena girata in precedenza: l’aggressione di
uno zombie ad un detective privato. Il genere di cui fa riferimento Super 8 è quello del cinema post modernista/post
classico di fine anni 70/primi anni 80. I riferimenti al cinema fantastico di quel periodo in Super 8 diventano il punto di
partenza di un processo riflessivo e di storicizzazione del cinema post-classico. Le immagini registrate in Super 8
posseggono una connotazione ben precisa all’interno del film di Abrams: sono delle tracce del mondo diegetico, sono le
immagini che alternate a quelle generate in CGI riescono a generare un processo intermediale e testimoniale. Saranno
infatti le riprese casuali della cinepresa caduta a terra durante il deragliamento del treno a documentare per la prima
volta l’esistenza dell’alieno. Anche Elisabeth, la madre di Joe, viene mostrata per la prima volta attraverso i filmini
amatoriali girati in Super 8. La convocazione continua e ossessiva del cinema degli anni ’70-‘80 rinvia al concetto di
icona e di prototipo rilevato a proposito della New Cinephilia che è strettamente connesso con la poetica del vintage.
Infatti, saranno ancora le immagini in pellicola a testimoniare e a denunciare gli esperimenti disumani sull’alieno
catturato e usato come cavia dai militari. The Case, il film nel film diretto da Charles, mostrato per intero nei titoli di
coda, visto da questa prospettiva sembra un’indagine nei confronti dell’industria chimico-siderurgica, le acciaierie dove
la mamma di Joe ha perso la vita. In The Case, il detective indagando sull’impianto scopre che le morti collegate agli
zombie non sono accidentali. Gli zombie sono delle cavie sottoposte agli esperimenti da parte della Romero Chemical. Il
dottor Braken è stato assunto dall’Air Force per creare un’arma militare, un composto per trasformare i soldati in
zombie. Insomma, possiamo interpretare le immagini in pellicola in Super 8 come un tentativo di ricostruire e
rivitalizzare un supporto, un formato divenuto da un lato obsoleto e dall’altro un corpo sacro, una reliquia. L’ultima
scena del film che vede l’alieno partire con la sua astronave è caratterizzata dalle immagini ipermediali e spettacolari
realizzate con la CGI. Nell’ultima inquadratura viene mostrato ancora una volta il negozio sponsorizzato dalla Kodak
dove nel corso del film Charles porta a sviluppare la sua pellicola super 8. Ciò ci mostra una prospettiva riflessiva da
parte di Abrams nel lavorare in modo intermediale tra cinema digitale con l’uso di effetti immersivi e ipertecnologica e
cinema in pellicola che adotta effetti speciali all’interno del profilmico.
3.6 LA FABULAZIONE DEL MONDO ANALOGICO: BE KIND REWIND
Commedia che riflette sul cinema ambientata in una videoteca e simbolo della decadenza del VHS. I dipendenti della
videoteca fanno dei remake (storicizzazione del cinema post moderno). Il primo film di cui fanno il remake è
Ghostbuster inteso come cattura dei fantasmi del cinema del passato, riproposizione creativa del cinema e dal
passaggio del VHS al DVD. Un piano sequenza molto interessante è quello dove sono presentati una serie di film degli
anni ‘70/’80 in un’unica sequenza, ma non è citazionismo, ma l’esigenza di farli propri e ricreare una comunione
affettiva della società. Differenze tra Be kind rewind ed il cinema post moderno: il film è girato dalle stesse persone che
rivedono i film, forma di creatività a bassa fedeltà, superamento consapevole del cinema post moderno. Nel seguente
film vi è un utilizzo cospicuo del piano sequenza, immagine realistica per eccellenza. Gondry dà uniformità all’immagine,
cosa che il cinema non faceva. Si anche narrare delle finzioni, ma l’importante è che queste narrazioni creino terreno
comune nella società. Gli spettatori hanno fatte proprie le immagini dei film, girando un finto documentario in cui tutta
la comunità partecipa, anche se in maniera fittizia. Il documentario dà speranza perché crea collettività, si creano cose
nuove ma non si rifà solo al passato. Il cinema di Gondry riflette sul passaggio dall’analogico al digitale, creando nuovi
orizzonti. Be kind rewind è un film nostalgico e sul ricordo su una maniera di concepire i film e la vita ormai sorpassata.
Gondry accetta la sfida e supera definitivamente la post-modernità, facendo realizzare alla popolazione del quartiere un
film sul mitico jazzista Fats Waller del tutto nuovo. Il videonoleggio chiuderà perché obsoleto e i film maroccati non
verranno più realizzati ma nuove storie saranno create. Nel film si ri-valorizza il kitsch: gli oggetti banali, le merci, i
vecchi dispositivi che, sostituiti da altre merci, altri media etc. sembravano aver perso il loro sex appeal inorganico. In
questo modo, i film di Gondry dereificano questi feticci usurati attraverso le pratiche di bricolage e del bracconaggio.
Vecchie lampade, videoregistratori, bambole di pezza, VHS, giradischi etc.: tutte queste immagini vengono ri-usate
talvolta anche in modo elegiaco tramite una sorta di combine movie che ci riporta agli albori di pratiche estetiche non
dissimili (come la pop art di Oldenburg).
CAPITOLO IV
IL PIANALE (FLATBED) COME SUPERFICIE SIMBOLICA DELL’IMMAGINE DIGITALE
4.1 IMMAGINE IPERMEDIALI/IPOMEDIALI E PROSPETTIVA VERTICALE/ PRECIPITATA
Elsaesser intravede nell’avvento delle attuali tecnologie digitali ed ipermediali un sintomo di una re-impostazione
emergente di parecchie norme che stanno cambiando la nostra idea sul significato delle immagini, del nostro senso di
orientamento spazio-temporale e della nostra relazione fisica con complicati ambienti simulati. Le immagini ipermediali
configurate dal cinema Blockbuster sono totalmente implicate nel digitale pesante caratterizzato da effetti visuali ad
alto tasso tecnologico. Tuttavia le immagini ipermediali, immersive e ad alta definizione non sono affatto in
contrapposizione alle immagini realizzate dal cosiddetto digitale leggero realizzate con dispositivi ipomediali. Nel
cinema si comincia a sperimentare l’uso di videocamere leggere a partire dagli anni ‘90. Attualmente molti registi
americani ibridano in diversi modi i dispositivi digitali: tra alta e bassa definizione (Soderbergh) dal digitale leggero
all’High Definition (Fincher). Sempre Elsaesser nella ricerca di una definizione che sintetizzi la forma simbolica dell’era
digitale, cita spesso la nozione di prospettiva verticale coniata dall’artista Steyerl che esprime bene un tipo di
esperienza visuale nella quale il corpo perde il proprio baricentro stabile (la postura eretta) in uno spazio in cui non ci
sono punti fissi né linea d’orizzonte. In modo molto simile Virilio prende le mosse dal resoconto di un paracadutista per
spiegare il tipo di esperienza precipitata della caduta libera mettendo in luce la centralità dell’accelerazione
gravitazionale. La prospettiva precipitata/ verticale provoca un tipo di percezione ipercinetica nella quale vengono a
mancare dei punti di riferimento certi nello spazio. In modo complementare pensiamo all’esperienza degli astronauti in
assenza di gravità mostrata sempre più di frequente dai visual effects digitali, dalle immagini ipermediali, immersive
della sci-fi in film come Interstellar, Gravity, Ender’s Game etc. in cui il corpo è sospeso o ruota su stesso fluttuando in un
ambiente privo di orizzonte. Come ricorda il teorico un altro modello di riferimento importante è quello dell’immagine-
informazione teorizzato da Deleuze. L’immagine informazione, elettronica e digitale si basa sul paradigma dello
schermo videografico che funziona come un pianale, un cruscotto che rielabora e manipola immagini e informazioni. Le
picture configurate dallo schermo-cruscotto non rimandano più alla relazione natura-occhio. La nuova immagine
informazione attiva invece una diversa coppia concettuale cervello-informazione prodotta dal flusso ininterrotto di
immagini e dati prodotti dai new media elettronici e digitali. Tuttavia non possiamo non tenere conto che i percorsi
dello sguardo spettatoriale sono sempre incarnati, dunque alla coppia cervello/informazione dobbiamo aggiungere un
terzo elemento, appunto il corpo. Lo spettatore durante la ricezione di un film ancora prima di elaborare i dati cognitivi
percepisce le immagini in modo sensoriale. Quindi al centro della riflessione fenomenologica c’è soprattutto il rapporto
dinamico, continuo e incrociato che si genera tra le immagini in movimento sullo schermo e il corpo dello spettatore.
Per Steinberg una superficie adatta ad accogliere queste nuove immagini e questi nuovi spazi è quella del pianale
orizzontale. Questo tipo di superficie pittorica produce delle immagini con proprietà e funzioni molto diverse rispetto a
quelle del passato. Queste nuove immagini non alludono tanto al vedere quanto piuttosto al fare, alla cultura, alla
produzione tecnologica, all’operatività e alle incessanti elaborazioni dei dati della società dell’informazione.
4.2 FLATBED COME NUOVAFORMA SIMBOLICA DELL’IMMAGINE DELLO SPAZIO GRAVITAZIONALE
I pianali di Rauschenberg più che una superficie pittorica possono essere paragonati ad un campo elettromagnetico in
grado di attirare a sé ogni tipo di immagine ed informazione (fotografie, schermi, dispositivi di sorveglianza, il paesaggio
urbano, le vedute aeree, le mappe geografiche, i detriti dell’informazione e della comunicazione).
Questo ambiente mediale, così descritto da Steinberg, potrebbe benissimo essere sovrapposto alla realtà aumentata
della metropoli interconnessa, agli ambienti ipertopici, ai progetti di smart city, alla pervasività del controllo, etc.
4.4 PROSPETTIVA VERTICALE NEL CINEMA I. NELLO SPAZIO NON C’È UN SOPRA O UN SOTTO
Le immagini ipermediali della science-fiction o i film di esplorazioni spaziali, mostrano di continuo ambienti a gravità
zero o comunque spazi disorientati in cui il corpo fluttua senza avere più delle precise coordinate geometriche. In questi
film il corpo dei personaggi deve gestire i propri movimenti all'interno o all'esterno dei campi di forza e quindi subire gli
effetti evidenti delle incurvature. Pensiamo al campo di forze creato dal warmhole di Interstellar: è simile a un buco
nero, una scorciatoia che permette di viaggiare attraverso lo spazio-tempo da un punto all'altro dell'universo. Nel film
di Nolan, il buco nero viene realizzato da una specie aliena per consentire alla popolazione terrestre di raggiungere un
altro pianeta abitabile, in quanto il nostro è ormai morente a causa delle forti e continue tempesta di sabbia. La NASA
ha individuato il sistema solare appartenente un'altra galassia che sembra avere più di un pianeta con le caratteristiche
adatte alla vita, ed invia così degli esploratori in missione. Nel climax di Interstellar, la spedizione Lazzarus sembra ormai
fallita e Cooper si lascia cadere all'interno del wormhole e, dopo aver attraversato delle fortissime turbolenze
gravitazionali, entra nel nucleo centrale. Cooper, attratto dall'immensa forza gravitazionale del buco nero scivola in un
ipercubo, un dispositivo a forma di tesseratto creato dagli alieni per comunicare attraverso il tempo e lo spazio. La
tecnologia di teletrasporto creata dagli esseri dell'iperspazio è totalmente compressa e manipolata, permettendo al
protagonista di comunicare con la figlia Murph. Cooper intuisce che gli esseri dell'iperspazio appartengono in realtà alla
nostra specie che si è voluta superando le quattro dimensioni. Immagini temporali multiple all'interno del wormhole
presentano delle corrispondenze con un altro film di Nolan, Inception. Nell'epilogo di Interstellar Cooper si risveglia a
bordo del veicolo spaziale che trasporta gli ultimi terrestri verso il nuovo pianeta. Dall'inizio della missione Lazzarus
sono trascorsi 124 anni, per Cooper il viaggio è durato qualche anno. Il protagonista si affaccia dalla finestra e vede dei
ragazzi giocare a baseball e lo sguardo di Cooper segue la palla che ha colpito il battitore. Il tragitto ascendente della
palla va a rompere il vetro di una finestra, ma la traiettoria è diversa, è discendente, come se fosse caduta dall'alto.
All'interno dell'astronave, infatti, si produce una forza di repulsione gravitazionale centrifuga, che produce
disorientamento nello spettatore. Simile è l’epilogo di Star Trek Beyond, ambientato in una stazione spaziale.
Nell’epilogo, il capitano Kirk deve bloccare il nemico di turno. La stazione produce un’attrazione gravitazionale tramite
una tecnologia complessa, che sviluppa un’attrazione gravitazionale centrifuga. In questi ambienti, le leggi della fisica
sono completamente manipolati. L’effetto della mdp nella scena finale è disorientante, perché la linea d’orizzonte è
sparita e vi sono prospettive che forniscono un senso di vertigini. Ciò non è dovuto solo al fatto che Krall, il nemico, si
trovi in piedi in cima ad una torre altissima, ma piuttosto all’effetto di inversione gravitazionale, eliminando totalmente
il senso di basso e alto. Quando Kirk e Krall iniziano a combattere, la mdp ci fornisce delle immagini che sollecitano in
modo extra-ordinario il corpo e l’equilibrio dello spettatore. Un altro caso interessante è Total Recall di Wiseman, in cui
una guerra chimica ha reso il nostro pianeta inospitabile. Esistono però due territori vivibili e per spostarsi da uno
all’altro si servono di una galleria che attraversa il centro della terra, chiamata the Fall, che agisce grazie alla forza di
gravità esercitata. Questi due territori si differenziano in quanto il Nord è la parte ricca ed il Sud è sotto-proletarizzato
dall’altro. Nella scena finale del film, vediamo i protagonisti che sembrano allenati a compiere azioni complesse
all’interno di ambienti tecno-estetici che sfruttano i campi di forza elettro-magnetici. Le immagini immersive in D-3D di
Gravity di Cuaròn, che è il film manifesto di questa estetica, si confrontano con lo spazio a gravità zero. Tutta la
sequenza iniziale è fatta da movimenti morbidi, che creano disorientamento e al tempo stesso rilassamento. La terra, la
navicella ed i tre personaggi vengono inquadrati in tutte le possibili posizioni, fino a quando Kowalsky, il capitano, riceve
un messaggio da Houston in cui riferisce che i Russi hanno fatto esplodere un satellite creando una reazione a catena di
detriti che li sta raggiungendo. In Gravity, il D-3D stereoscopico viene adottato per dare un effetto
sinestetico/immersivo del disorientamento spazio-terrestre nel momento in cui la navicella viene colpita. Nella scena in
cui Ryan si deve spostare dalla navicella dei Russi a quella dei Cinesi (che porterà la protagonista sulla Terra), usa un
estintore per spostarsi nello spazio. Queste condizioni ambientali instabili, stanno diventando normali. Ma questo filone
importante, oltre a dare una visione di disorientamento, attua una funzione di ri-ordinamento, quasi come se fosse una
forma training e di adattamento.
4.5 PROSPETTIVA VERTICALE NEL CINEMA II. L’UNICA LEGGE CHE CONTA È QUELLA DI GRAVITÀ: HARDCORDE!
La prospettiva verticale/precipitata, oltre nell’ambiente dello spazio, viene configurata anche in altri film lontani dal
genere sci-fi, che creano a loro volta un regime di vuoto e vertigine. Uno dei film su cui fermarsi è Hardcore!
(Naishuller), in cui ci si sofferma sulla clonazione, alle biopicture e alla nozione di post-umano. Già dalla locandina posta
in first person shot di un uomo che è in caduta libera verso il suolo, possiamo notare la natura anomala, con un effetto
disorientante. Attraverso la Gopro, infatti, notiamo come fa entrare organicamente il corpo in scena. Infatti, in tutte le
scene del film, vi è un susseguirsi di cadute libere dall’alto ed impatti violenti col suolo, amplificando ancor di più la
visione in first person shot. E da ciò si può notare come Hardcore! abbia una forte relazione con la forza di gravità. Un
elemento interessante del film è l’antagonista, che si libera dalla forza di gravità essendo capace di restare sospeso
nell’aria. Vediamo quindi anche in questo film la dicotomia tra gravità ed assenza di gravità. Gli ambienti tecno/estetici
e di simulazione definiscono quindi esperienze estetiche interattive/ immersive.
4.7 DISPOSITIVI DI CONTROLLO, WARGAME E IMMAGINI PROPAGANDISTICHE NEL REGIME DISTOPICO DI ENDER’S GAME
Il film Ender’s Game rappresenta un case study particolare ed anomalo all’interno del genere sci-fi. Nel prologo
possiamo denotare tre diverse immagini: la prima riguarda le immagini d’archivio della flotta trasformate in mezzo di
propaganda, l’immaginario collettivo è dominato dall’eroe Mazar Rackham e le immagini del videogame dove giocano il
protagonista ed un altro cadetto. Inoltre la musica extradiegetica crea un clima di tensione che connota tutto il
segmento iniziale. Vengono dunque ad ibridarsi attraverso lo sguardo di Ender (protagonista) due regimi scopici
differenti: il primo connesso al cinema tout court con le sue forme significanti/connotative legate al montaggio, ed il
secondo che rinvia ad ambienti interattivi attraverso la quale lo spettatore si identifica. Tuttavia è la terza tipologia di
immagini a stabilire i rapporti di forza tra le due forme visuali: sono le immagini dei dispositivi di controllo. Uno di questi
dispositivi viene inserito nel corpo delle giovani reclute per cui si sfocia in un regime di controllo globale.
4.8 LE IMMAGINI DEL CINEMA CONTEMPORANEO TRA LABORATORIO CREATIVO E OSSERVATORIO CRITICO
Il modello tecnomorfista e la nozione di spazio, rilegano tutti i quattro capitoli attraverso il fil rouge in cui vi sono delle
svolte visuali, dei pictorial turn nei diversi quattro ambiti: dal dispositivo disciplinare a quello di controllo, la rivoluzione
delle biotecnlogie e le biopicture, dal declino del post-modernismo alla poetica dell’obsolescenza, ed infine il cambio di
paradigma della prospettica verticale. Nel primo capitolo si sono presi in considerazione film accomunati da una
concezione spaziale diversa dai canoni della modernità, che si è focalizzata sul passaggio dal modello del panopticon al
paradigma del controllo, caratterizzato da ambienti reticolari ed interconnessi. Attraverso The We and the I si è visto da
un lato come questi ambienti mediali possano da un lato impoverire, attraverso la miseria simbolica dei soggetti,
dall’alto lato arricchire e curare attraverso il pharmakon stiegleriano. Se Minority Report si colloca nella prospettiva di
osservatorio critico sulle immagini e sui dispositivi di controllo, il film di Gondry si pone come uno straordinario
laboratorio creativo che apre nuovi percorsi tra la vita e le sue forme, attraverso luoghi disomogenei e irregolari
secondo la nozione di eterotopia. Da questa prospettiva, poi, si ha analizzato metapicture autoriflessive che riescono a
disattivare la macchina disciplinare/panottica. Diversamente accade nel passaggio alla società del controllo che Deleuze
segnala attraverso nozioni di tipo spaziale: ambienti modulari, spazi aperti e modulati, in cui è possibile creare nessi
inediti tra le cose e le immagini. Il secondo capitolo è soffermato sul rapporto tra immagini digitali e tecnologia genetica
con lo sviluppo di nanotecnologia, clonazione etc. In questo contesto anche la relazione tra essere vivente e dispositivo
tecnico viene messa in discussione. Come analizzato, in The Giver vi è la riconfigurazione delle stesse istanze in modo
davvero originale e creativo attivando un cortocircuito tra dispositivo tecnico globale e dispositivo pulsionale. Nel terzo
capitolo è presente un altro film di Gondry, Be Kind Rewind, dove le immagini autoriflessive del regista, da un lato
disattivano tutti i cliché dello stile post-modernista, dall’altro fanno apparire degradato il lato urbano. Al centro del film
c’è il formato analogico VHS, reso obsoleto dal DVD. La politica dell’obsolescenza ri-estetizza quegli oggetti tecnologici
accostandola ad un contesto artistico, apparentemente simile ai ready-made, che mette in risalto una forma personale
di autoriflessività. In questa poetica dell’obsolescenza le caratteristiche estetiche, sensibili e nostalgiche si ripresentano
in un contesto socio-culturale, come in Super 8. Il quarto capitolo mette al centro immagini sci-fi e di esplorazione
spaziale in cui le immagini ipermediali non sono più solo a scopo attrattivo/immersivo, ma fanno soprattutto un salto di
paradigma nella configurazione spaziale delle immagini. Il passaggio di paradigma da una prospettiva geometrica
orizzontale ed un altro che si basa sulla prospettiva verticale/precipitata sembra cogliere una mutazione nei processi di
soggettivizzazione/ individuazione all’interno dei nuovi ambienti tecnico-estetici.