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Video arte – NAM JUNE PAIK, BRUCE NAUMAN (Bill Viola)

Nell’arco di pochi decennia il dominio del video ha inglobato l’insieme dei media visuali, del design
e delle performing art, suscitando visioni molto ampie ricche e complesse allargando, così,
l’orizzonte del visibile.
Alcuni confini che regolavano gli scenari della creazione si sono pian piano dissolti, soprattuto a
causa della presenza del digitale, capace di annullare i confini tra vero e verosimile, reale e
artificiale e capace di trasformare l’approccio e il metodo di lavoro in un’evoluzione più libera.
Il video è visto come una vera e propria “visione” date le sue capacità di creare squarci percettivi,
associazioni visive, intuizioni sintetiche e di avvicinare l’occhio alla mente (rapida comprensione).
Esso è stato, ed è tutt’ora, una forma artistica molto complessa che difficilmete si presta a una
singola prospettiva interpretativa. E’ veicolo d’accesso a informazioni e punti di vista critici,
strumento in mano al pubblico ma anche definibile come genere artistico a sé stante. La forza del
video ha trovato concreta espressione proprio alla fine degli anni’60, anni in cui il sistema dell’arte
passava da un economia della produzione più semplice a diverse e stratificate forme
d’affermazione. La videoarte sembra scandire le fasi di trasformazione dei rapporti tra tv e
consumo pubblico. Le struttere materiale che hanno contribuito alla sua affermazione hanno
operato affiancandosi l’una all’altra, piuttosto che in contrapposizione tra loro (gallerie, centri
espositivi, broadcasting, edizioni non limitate, ecc..), creando un vasto orizzonte di attività e
possibilità. Per un intero decennio sembrò che il video potesse portare alla democrazia dell’arte,
l’utilizzo della tecnologia elettronica riuscì a concedere una maggiore libertà, sia in termini
d’indipendenza dai vincoli tecnici (sviluppo, costi) che in termini di praticità delle videocamere
(cinema sperimentale – es. Gioli, Schifano). Così il video assume un ruolo da protagonista, tramite
una pluralità di voci e di esperienze.
Il video permette di creare riprese naturali insinuandosi nel quotidiano, può distorcere e
deformare la realtà, permette le trasmissioni in diretta. A tal proposito aumenteranno le ricerche
di ambienti costruiti con l’aiuto di dispositivi video a circuito chiuso, in cui la trasmissione
immediata delpartecipante diventa possibilità di analisi dei meccanismi percettivi e fruitivi (Bruce
Nauman). Un’altra particolarità del video è il fatto di essere una fonte luminosa (il monitor emana
vibrazioni di luce trasmettendo le immgini in movimento) e può essere riproiettato negli
allestimenti più vari (nuova musealità).

Nam June Paik


E’ un compositore, performer e videoartista coreano. Esordisce nella scena europea come
performer e compositore d’avanguardia dopo essersi formato alla scuola di musica
contemporanea in Germania. Con Stockhausen e John Cage viene introdotto nell’ambiente del
gruppo fluxus, del quale diventerà uno dei principali esponenti. Si interessa alle potenzialità della
radiotrasmissione televisiva, sottoponendo quest’ultime a esperimenti con magneti (es. in Tv
Magnet (’65) pone sopra una tv a tubo catodico un magnete e distorce l’immagine, creando una
nuova immagine molto originale e mai vista per quel tempo). Nel ’62 intraprende degli
esperimenti sui tubi catodici e sulle possibilità di modulare le immagini elettroniche. Nel ’63
presenta i suoi primi esperimenti: dispone sul pavimento 13 televisori preparati per la distorsione
delle immagini, con questo evento Paik mette in una luce diversa la tv (questo fu l’evento con cui
inizia la videoarte in pubblico). Successivamente acquista un videoregistratore portatile (Portapak)
e inizia a registrare ed elaborare immagini, ma i suoi interessi si allargano di continuo e sperimenta
sempre nuovi eventi (arrivando anche alle trasmissioni satellitari). La sua indole di viaggiatore e
sperimentatore lo condurrà a nuove innovazioni tecnologiche, continui viaggi e collaborazioni e a
dedicarsi a un’arte elettronica non prigioniera della macchina ma in grado di sapersene servide e
distaccare (filosofie Zen). La sua più grande fortuna fu quella di essere un’artista aperto al
cambiamento e attento a ciò che gli avveniva intorno.
OPERE:
- TV Buddha (’74): è una videoinstallazione costituita da un antica statua del Buddha in legno
dorato che osserva la propria immagine proiettata sullo schermo di un monitor televisivo a tubo
catodico. L’opera prevede anche l’interazione con il pubblico, che, avvicinandosi all’opera, viene
ripreso da una telecamera posta sul monitor, entrando a far parte dell’opera stessa a cui sta
rivolgendo il suo sguardo. La videoinstallazione suggerisce, dunque, una riflessione critica sulla tv
come mezzo di trasformazione dei comportamenti degli individui, facendone emergere le
dinamiche seduttive, spesso subliminali, di una tecnologia di ripresa e distorsione della realtà e
della sua immagine in quanto televisione, cioè come creatrice di un immaginario in grado di
sovrapporsi alla realtà stessa. Inoltre, proprio sulla scia delle considerazioni sulla “musica
aleatoria” di Cage, Paik introduce in quest’opera, come in altri video, performance e opere di
musica elettronica, riferimenti diffusi al misticismo del buddismo zen, in un incessante confronto
tra culture, e quindi religioni o espressioni spirituali, e linguaggi espressivi differenti.
Molte delle sue opere dimostrano quello che la televisione sta diventando nelle vite quotidiane di
tutti a metà del 900, ma al contrario di quello che si potrebbe pensare, Paik la vede come uno
strumento di diffusione culturale e artistica e non come elemento negativo di influenza di massa.
- Aunt and uncle: E’ una sorta di esperimento di arte elettronica, l’artista crea due robot composti
interamente da televisori. Egli realizza 3 generazioni partendo dai nonni e arrivando ai nipoti, oltre
alle dimensioni dei robot, ciò che distingue le diverse età sono le televisioni utilizzate (dagli anni
’30 per i nonni fino a quelle degli anni ’60 per i nipoti).

videoarte continuo
Nel ’66 grazie ai Nine Evenings: Theater and Engineering (serie di eventi in cui danza e musica
sperimentale covarono le prime esperienze d’utilizzo del video in contesto live) si diffonde un’idea
di arte che ha a che fare sempre di più con le nuove tecnologie.
Una delle innovazioni più significative avvenute nel campo della video è di sicuro la costruzione di
un’esperienza modellata su di un ambiente appositamente concepito per indurre una serie di
sensazioni e riflessioni a partire dalla sua stessa forma e dal dispositivo congegnato. In questa
direzione una figura di rilievo è sicuramnete Bruce Nauman.
E’ un maestro nel riempire lo spazio sia con il suono che con la luce o i colori. Anche se utilizza
diverse forme per comunicare, esse sembrano comunicare tra loro. Egli, inoltre, adotta uno stile
concentrato ed essenziale e comincia una serie di esercizi fissati dalla cinepresa e sviluppi
effettuati col video, cercando di espandere le possibilità espressive. I primi film nascono
dall’intenzione di impiegare la cinepresa come semplice mezzo di registrazione, capace di
documentare le sue attività senza preoccupazioni di natura narrativa o estetica. Il mezzo filmico a
basso costo permette all’artista di proseguire le proprie investigazioni, inizialmente pensate come
performance, anche in mancanza di pubblico. Eseguiti con cinepresa fissa, alcuni lavori sono
propriamente analisi delle attività svolte nello studio, attraverso le quali l’artista descrive lo spazio
geometrico e mentale della sua pratica quotidiana. Partendo dal presupposto che qualunque
azione umana, per quanto elementare o arbitraria, è degna di attenzione, Nauman documenta ad
esempio l’atto fisico del suo continuo camminare, esagerando alcuni aspetti di questa semplice
azione o isolandoli in esercizi di danza. Si libera dalle costrizioni della pellicola e spinge al limite le
possibilità del mezzo utilizzato (registrazione video, spazio, azioni), sviluppa così azioni ripetitive in
tempo reale, testando limiti e possibilità del processo artistico nel suo farsi. Per la durata di un
intero nastro posta avanti come in un flusso ininterrotto l’esecuzione di un’attività corporea senza
inizio ne fine, con la tensione di qualcosa che potrebbe accadere.
Anche quando l’artista è protagonista delle azioni riprese, nessun video di Nauman ha intenti
autobiografici e se ripreso, il suo volto è spesso tagliato o non riconoscibile, mentre parti del suo
corpo eventualmente inquadrate in primo piano sono osservate come dettagli astratti, non
riconducibili a una specifica persona.
Successivamente, impiega il video per registrare azioni precedentemente presentate come
performance, producendo video destinati ad essere trasmessi a ciclo continuo.
Passa alle situazioni d’immersione fisicizzata, simili ai dispositivi di videosorveglianza – nascono
così i Video Corridors (‘68/’70-). Nel ’69 assieme ai suoi primi neon e alcuni videotape, espone una
videoinstallazione a crcuito chiuso Live/Taped Video Corridor – l’ambiente è uno stretto corridoio
con due telecamere a circuito chiuso all’ingresso e al fondo, lo spazio viene percepito e agito dal
singolo fruitore che entra e si dirige verso i due monitor posti al capo opposto (vede se stesso negli
schermi mentre si avvicina e si allontana – più si avvicina al monitor più la sua immagine diventa
piccola), si crea, così, una condizione percettiva di impesonalità verso se stessi, disorientamento, lo
spettatore diventa performer. Qui l'orientamento razionale e l'insicurezza emozionale si scontrano
l’uno con l’altra.
- Wall floor position (’68):Trasformandosi in una scultura di scena minimalista, Nauman si muove
attraverso varie pose sul mavimento e sul muro. Mentre altri scultori utilizzavano assi di legno,
pezzi di piombo o acciaio, egli uso il suo corpo per esplorare lo spazio della stanza, trasformandolo
in una sorta di metro di misura per indagare e misurare le dimensioni dello spazio.

videoarte continuo
Nel ’69 Gerry Schum apre a Berlno la TV Gallery, dove programma mostre che venivano trasmesse
via televisione sul territorio (la prima fu Land Art – 37 min di filmati di vari artisti). L’intenzione era
quella di superare i circuiti ristretti di studio/atelier-collezionista-museo per mettere l’arte
d’avanguardia alla portata e alla comprensione di tutti (il lavoro più celebre fu Identification del
’70). Iniziano a comparire varie esperienze di trasmissioni pubbliche, anche oltre oceano. Alla fine
del decennio collettivi video politici, gruppi d’azione e workshop sono creati sia a New York che a
San Francisco, organizzazioni politiche e di comunità adottano il video come mezzo di
controinformazione, attivismo. Anche in Italia viene fondato un centro per la produzione e
distribuzione di video d’artista da Maria Gloria Bicocchi l’Art/Tapes/22 – coninvolgerà artisti
europei e americani.
A queste prime testimonianze di interesse che iniziano a fiorire spontaneamente in tutti i paesi si
contrappongono varie limitazioni tecnologiche e produttive che solo negli USA riescono ad essere
superate rapidamente (li esisteva già un ramo della ricerca che lavorava a visioni utopiche grazie a
immagini elaborate direttamente dai computer). Vengono poi realizzate trasformazioni dei segnali
elettronici, interbenti su suoni e immagini, anche in tempo reale, l’elaborazione in sintesi digitale (i
Vasulka).
Col tempo il lavoro sviluppato sulle immagini si è spinto nella direzione di un’esperienza attenta
alle sottigliezze e alle ambiguità-illusioni ottiche e percettive (Frank Gillette – attento al senso fisico
ed esperienziale, al lato empirico dei dettagli e a un senso del tempo e dello spazio più profondi;
Peter Campus – esplora gli aspetti psicologici della percezione e i parametri tecnici e simbolici
come metafore dell’io).
In sintesi, nei primi anni ’70 vennero a crearsi le condizioni (soprattutto l’utilizzo di video e
videocamere – che permettevano di avere una tecnologia compatta e trasportabile ounque) per
una produzione vasta e variegata di nuovi lavori, ma che col tempo sono diventati poco visibili.
In pochi anni la scena internazionale si arricchisce di nuove elaborazioni, l’approccio si concentrava
in un’esplorazione sulle possibilità di registrazione e trasmissione del video (adoperare il video
come terreno multidisciplinare). A metà degli anni ’70 diverse istituzioni museali si interessano al
lavoro performativo testimoniato dal mezzo e con il mezzo elettronico ( ’75 – bodyworks a
Chicago, biennale di Parigi, ICA a Londra).
E’ importante sapere che le varie aree di indagine della ricerca video anche se nacono nello stesso
periodo, si sovrappongono e si sorpassano.
Dall’inizio degli anni ’80 il video tende a diventare videoscultura, nascono i videoambienti come
espressione del mutevole e indescrivibile dell’elettronico (ricerca di monumentalità che si affianca
alla trasmissione cioè qualcosa che non esiste materialmente). – All’esposizione DOCUMENTA 6
Nam June Paik alleste una grossa videoinstallazione in cui mimetizza 30 monitor in una fitta
vegetazione tropicale.
Il video comincia ad avere una posizione salda e una piena visibilità sulla società. Oltre alle
esposizioni museali, cominciano a crearsi attività più dinamiche grazie alla diffusione dei festival
simili al modello cinematografico. Nel 1980 nasce il Festival internazionale del video e televisivo
(manifestazione biennale, circa 40 lavori) – da qui iniziano a nascere varie manifestazioni. Inizia ad
esserci anche una nuova concezione degli allestimenti, gli ambienti sono ampi ma avvolti
nell’oscurità, per creare una forma di raccoglimento e teatralità – questa maggiore attenzione
nelle presentazioni porta ad un’evoluzione del gusto e degli orientamenti.
Il video assume una diversa visibilità, crea una tensione creativa e una competizione dinamica con
la storia dell’arte, gli artisti e i loro lavori evolvono velocemente spinti dall’interesse nella
trasformazione.
Si intensificano sempre di più le collaborazioni fra le arti della scena e la tecnologia elettronica, in
tutto il mondo nuove generazioni di registi e coreografi collaborano con alcuni creatori video,
scambiando le rispettive esperienze. Una figura di rilievo in questo periodo è sicuramente
Bill Viola
Fin dai primi anni ’70 Viola ha adoperato il video e l’elettronica (videotape, videoinstallazioni,
performace di musica elettronica..). La sua attenzione si focalizza sull’esperienza umana più
universale, il ciclo di nascita, crescita e morte e nello sviluppo della coscienza interiore. Le sue
ricerca hanno collaborato a rinnovare le possibilità del video come una delle forme più vitali e
innovative dell’arte contemporanea, espandendo gli orizzonti sia in termini tecnologici che di
contenuti. Le sue videoinstallazioni si sviluppano come ambienti che assorbono lo spettatore sia a
livello visivo che sonoro e impiegano raffinate tecnologie, si impongono,inoltre, per la precisione e
l’immediatezza realizzate nell’avvolgere lo spettatore in impressioni sensoriali e offrirgli ambienti
meditativi.
Le opere degli esordi, nella prima metà degli anni Settanta, ricercano la definizione delle possibilità
del mezzo elettronico: particolari proprietà visive o acustiche sono il soggetto dei primi nastri,
realizzati registrando e osservando il mondo reale e successivamente sottoponendo le immagini a
elaborazioni e montaggi. Negli anni ’80 Bill Viola decide di abbandonare la sua visione
strutturalista dell’arte per avvicinarsi ad uno stile più visionario. In questi anni l’artista sviluppa le
proprie opere nella forma di video installazioni a molteplici canali, concepite per avvolgere gli
osservatori con composizioni e suoni la cui non-linearità rappresenta le infinite possibilità della
psiche e dell’animo umano. A partire da fine millennio le installazioni di Viola diventano via via
sempre più complesse, implicando anche l’utilizzo di attori appositamente scritturati, un’ampia
troupe di proporzioni cinematografiche di cui lo stesso artista è anche direttore tecnico e di set di
grandi dimensioni. Viola si avvicina anche all’uso delle nuove tecnologie: le immagini a larga scala
vengono proiettate su schermi al plasma oppure LCD accompagnate da musica, effetti sonori ed
elaborazioni al computer, oramai sempre più parte integrante delle opere.

- Al 1995 risale una delle sue opere più iconiche, forse la più celebre di tutta la sua
produzione: “The Greeting”, una video installazione direttamente ispirata alla “Visitazione” del
grande maestro fiorentino Pontormo. In quest’opera una scena di pochi secondi viene dilatata
attraverso un rallentamento estremo, grazie all’utilizzo di una telecamera speciale in grado di
ottenere trecento fotogrammi al secondo. Nel video due donne sono impegnate in una
conversazione. Dopo qualche minuto entra in scena una terza figura femminile che interrompe il
dialogo. Quest’ultima si avvicina alla più giovane del gruppo, le sussurra qualcosa all’orecchio ed
infine si abbracciano.
Il filmato, compie il miracolo di instillare il tempo in un medium eminentemente atemporale: la
pittura. Così Viola cattura lo spirito del Pontormo e lo fa rivivere alla luce della contemporaneità,
intensificando gesti, movimenti ed emozioni dei personaggi, i quali vengono spogliati della loro
simbologia religiosa, ricontestualizzati in una nuova dimensione e resi perciò esemplari.
Ciò che interessava all’artista era la rappresentazione di un momento preciso, semplice e
quotidiano, quello dell’incontro fra tre donne, all’interno del quale mostrare le complesse
dinamiche interiori e sociali di un fatto così ordinario.
The Greeting aprì a Bill un nuovo e sterminato territorio creativo, cambiando la natura spontanea
e diretta del suo modo di catturare immagini in vere e proprie produzioni cinematografiche.

videoarte continuo
Agli inizi degli anni ’80 lo sviluppo della tecnologia del VHS e i perfezionamenti del colore
abbassano i costi e migliorano la qualità di produzioni video, anche il trattemento elettronico delle
immagini registrate raggiunge livelli elevati di raffinatezza. I videoartisti mutano una visione
sempre più ironica e parodiata dal confronto con la società dei consumi e lavorano sull’impatto
che l’impiego delle tecnologie moderne porta con sé (es. il gruppo General Idea – adottano
tecniche che derivano dalla pubblicità e i mass media, creano forme di provocazione ironica contro
il capitalismo e la società/ shut the fuck up ‘85).
All’inizio degli anni ’90 con il rafforzamento e il perfezionamento dei dispositivi tecnici si diffonde
una maggiore sensibilità per la presenza dell’immagine elettronica in relazione all’insieme dei
generi e delle tecniche già sviluppatisi. Nascono nuove e più complesse riconsiderazioni sul
terreno delle immagini riprodotte, sul loro ruolo, sulle potenzialità e le valenze. La mostra a Parigi
“Passeges de l’imagine” 1990, riunisce vari artisti in rapporto alla riflessione sul cinema, sul video e
sulle arti visive, questo progetto funge da riflessione sui rapporti tra USA ed Europa. A metà degli
anni ’90 la nuova generazione di artisti inglesi si impone grazie all’uso più sicuro e smaliziato delle
nuove tecnologie dell’immagine. Nella seconda metà degli anni ’90 emergono nuove tendenze: da
una parte la ricerca del video continua a sviluppare produzioni legate all’elaborazione e al
trattamento di immagini astratte, dall’altra molti artisti hanno utilizzato il video nelle sue
possibilità più semplici. Il video è spesso utilizzato come mezzo per elaborare o sottolineare
modalità di azioni o gesti in modo che prendano forma proprio nella dimensione reale, fisica,
circoscritta dalla ripresa e da un uso non invasivo del montaggio (avviene registrando gesti
performativi e sequenze d’azioni con approcci semplici, essenziali). Si fa strada anche una
sensibilità in cui emergono tendenze più spettacolari, attente alla dimensione narrativa, ma allo
stesso tempo anche esigenze ambientali che rileggono con un nuovo spirito il rapporto spaziale
che la videoinstallazione intrattiene diegeticamente con i luoghi espositivi.
In Italia, negli anni ’90, non c’è stata molta continuità, la trasformazione della scena artistica
internazionale ha visto eclissarsi molti importanti festival (utilizzati come mezzi di circolazione). Più
che videoartisti, negli anni a seguire, si sono affermati artisti plastici e visuali che sviluppavano le
proprie ricerche reinventando mezzi e modalità d’uso del video.

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