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PAOLO GIOLI

Paolo Gioli è nato a Sarzano di Rovigo nel 1942, pittore fotografo e regista italiano.
È uno degli artisti italiani più significativi degli ultimi decenni, soprattutto per la sua capacità di sperimentare in
più campi anche attraverso l’innovazione e la rielaborazione di dispositivi.
Studia presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia alla scuola libera di nudo, successivamente a fine anni ’60 si
trasferisce a New York dove fa diretta conoscenza dell’Espressionismo Astratto, della Pop Art e del New
American Cinema. L’esperienza americana segna la nascita di un forte interesse per cinema e fotografia.

Sia le fotografie che i film di Gioli coprono un arco temporale di oltre 50 anni (fine anni ’60 fino a oggi).
La sua è un’arte solitaria e sperimentatrice, l’artista è in continua ricerca:
in particolare questa sua ricerca si riversa negli oggetti della quotidianità, tra le pareti di casa, vecchie lastre
fotografiche e stereoscopi. Nelle forme dei suoi corpi si riversano le tensioni del quotidiano e la complessità
delle questioni estetico-filosofiche che affliggono l’esistenza umana.
È difficile operare una partizione cronologia delle sue opere e distinguere le datazioni, soprattutto delle sue
polaroid (a differenza delle tele serigrafiche e delle cartelle litografiche tutte realizzate negli anni 70), questo
perché nonostante la loro finitezza, le serie ed i cicli sono soggetti a ritorni e variazioni. Si è parlato di
“anacronia” per il fatto che lo stile dell’artista è sempre coevo a se stesso, si potrebbe pensare che non vi sia
evoluzione nel suo stile per l’assenza di fasi ben distinte, ma non è così: la ricerca di Gioli è assidua, la sua
estetica si nutre della necessità di reinventare costantemente, è un vero e proprio artista classico (non perché
lavora su motivi e modelli classici come il corpo e la natura morta, ma perché non è condannato a rincorrere
l’idea di contemporaneità, per Gioli si è contemporanei in rapporto ai tempi e ai procedimenti dell’arte, non
in relazione al proprio tempo, proprio come un’Arte senza tempo.
L’artista predilige il corpo come soggetto, le sue opere pongono quindi l’accento sul corpo, sul volto e sulla
natura, importanti furono i suoi studi alla scuola libera di nudo, dove si concentra sul corpo nudo, quasi
approcciandosi a un cinema pornografico. Un’altra particolarità dell’artista è il fatto che modificava le sue
cineprese, ad esempio il suo film più importante: Stenopeico – L’uomo senza la macchina da presa (1973-81-
89) che, in riferimento al capolavoro di Vertov L’uomo con la macchina da presa, il cui titolo sembra proprio
un rovesciamento di quest ultimo, vuole contrapporsi a quello che è il cinema del consumismo, decide quindi
di non utilizzare una cinepresa tradizionale bensì un utensile da lui creato, composto da un’asta e un
contenitore forato con 50 fori a sostituire l’ottica, da cui esce l’immagine stenopeica.

“L’immagine fotostenopeica mi è sorta perché non avevo una macchina fotografica, più tardi si è
trasformata, questa immagine, in una vera e propria fissazione della raffigurazione totale. Mi affascina la
purezza del gesto di riprendere “povero” e la restituzione altrettanto pura ma per niente povera, anzi
clamorosa.”
-Paolo Gioli

Dal greco “stenos opaios” significa “stretto foro”:


Procedimento fotografico che sfrutta il principio della forma di immagini in una camera oscura dotata di un
piccolo foro attraverso cui lasciar passare uno spiraglio di luce, i raggi di luce vanno a proiettare l’immagine,
con i lati invertiti, sul fondo della camera. I primi esperimenti col foro stenopeico si ebbero a partire dagli anni
’50 dell’800.
L’essenzialità nell’uso di fotocamere con foro stenopeico venne portata all’estremo quando Gioli fece uso
della sua stessa mano, chiusa a pugno e contenente pellicola sensibile, al posto della camera, per produrre
immagini. (Gioli, Pugno stenopeico 1989)
Negli anni 70 si trasferisce a Roma dove inizia a operare anche con la tecnica del fotofinish, reinventandola
creativamente:
Realizza una sorta di decostruzione e ricomposizione che ricordano poi delle vere e proprie elaborazioni
grafiche computerizzate, si tratta della creazione di più movimenti in tempo reale della fotocamera, della
pellicola, e del soggetto ripreso, la figura in movimento viene quindi trasformata in un’altra, il volto è costretto
a passare attraverso segni diversi rivoltando la propria identità.

Volto attraverso gli occhi di Pasolini, 1995

Nel 1976 si trasferisce a Milano, dove inizia a fare uso del materiale Polaroid, la pellicola a sviluppo istantaneo.
Fotografie di nudi, parti del corpo, volti, fotografati su polaroid e trasferiti su seta serigrafica. Gioli compie qui
un’operazione retorica, in cui la seta diventa metafora della pelle.

Gioli, Autoanatomia, 1987, Polaroid su seta serigrafica e fondo acrilico più matita

Gioli, infatti, non si limita a lasciare la pellicola della Polaroid intatta, ma la stravolge anche con la matita,
crea fondi con vernici ecc.

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