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VALENTINA VALENTINI
PARTE UNO: PRE-STORIE/INTERFERENZE
L’AVVENTURA DI ART/TAPES/22
Maria Gloria Baiocchi;
Firenze;
Art/Tapes/22 → CENTRO DI PRODUZIONE DI VIDEOTAPE;
Anni Settanta;
Due filoni d’arte in quel periodo: arte povera e concettuale, in America c’era la Minimal Art che in
qualche modo equivaleva all’arte povera italiana.
Alcuni artisti con i quali ha collaborato Maria Baiocchi:
Vito Acconci, Charlemagne Palestine, Joan Jonas, Douglas Davis, Nam June Paik, Joseph Beuys,
Allan Kaprow (uno dei primi a usare il video), Bob Wilson, Gino De Dominicis, Boetti (“ciò che
sempre parla in silenzio è il corpo”), Merz, Schum, Pistoletto e Penone.
Poteva essere che qualcuno di essi avesse sperimentato precedentemente anche il mezzo filmico.
Kounellis → anti-videotape.
Il videotape ha un tempo già predestinato, bisogna vederlo tutto. Si tratta di un tempo imposto dalla
lunghezza del nastro.
Chia → video incentrati tutti sul tempo, sulla durata, sulla tautologia, in fondo → tutti concettuali.
La pittura ritorna per questi artisti, non è certo una pittura classica, risente assolutamente di questo
percorso del video. Magari all’inizio questi artisti si vergognavano, però era uno sbocco
logicissimo.
Video più “teatrali” → Charlemagne, Palestine e Joan Jonas.
Nam June Paik → proposta di “le telecamere rotte”.
Motivo chiusura Art/Tapes/22 → si era cercato di farne una tendenza “videotapeismo” (NO!), ciò
ha fatto decantare la situazione, non si è più alimentata la curiosità. Grande abbuffata e poi, non
essendoci più mercato, non si sono più trovate le persone curiose.
Luogo a cui affidare la produzione di Art/Tapes/22 → la Biennale (lavori di McLuhan, Duchamp e
Richter)
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Bill Viola (direttore tecnico di Art/Tapes/22 per un po’ di tempo), David Ross.
Per gli artisti come Pasolini, creare un videotape voleva dire lavorare ad una propria opera, ha
significato l’adozione di un mezzo piuttosto che di un altro.
Differenza tecnica dello strumento utilizzato tra americani e italiani/europei.
Per gli italiani/europei il mezzo è un mezzo, non è un linguaggio, non deve condizionare. Per gli
americani è l’opposto, il mezzo è il linguaggio.
La perfezione tecnica in Europa non era perseguita come in America, dove invece è ritenuta parte
indissolubile del messaggio che l’artista vuole dare (opera dell’artista-video, non del tecnico che
aiuta l’artista).
Acconci (italiani in generale) → usava lo strumento senza preoccuparsi troppo degli aspetti tecnici.
Veri conoscitori degli strumenti: Bill Viola e Allan Kaprow.
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BILL → ha considerato l’ascolto altrettanto seriamente quanto la visione (molte persone spesso
dimenticano di ascoltare o non si aspettano di dover ascoltare attentamente con cura): Bill ci
impone di ascoltare alla stessa maniera in cui ci invita a guardare.
BILL → è interessato a creare anche delle strutture parallele visive e sonore che derivano
chiaramente da un quadro post-concettuale (= la fede nella capacità dell’arte di funzionare come
fonte di trascendenza spirituale, elemento questo che è sempre presente nell’opera di Bill).
BILL METTE IN QUESTIONE LA CAPACITA’ ONTOLOGICA E SPIRITUALE DELL’ARTE.
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➔ Si era alla ricerca di qualcosa che non si era mai visto e che non si sarebbe riconosciuto, una
volta visto.
Il video ha resistito ed è sopravvissuto. Internet ha riformato la nozione di arte, e quella di video.
Internet ha creato un nuovo contesto per l’arte che richiede una serie di qualità distintive che
definiscono questo nuovo spazio e le attività che vi hanno luogo.
RUOLO DELLO SPETTATORE: CAMBIATO DRAMMATICAMENTE → la natura dello spazio
della rete fa appello alle complessità dell’identità.
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SPECULARITA’
Assimilazione del monitor a uno specchio al centro di tutto il linguaggio del video, praticata in ogni
forma di esibizionismo di sé, del proprio corpo, in ogni “riflessione” metaoperativa.
Rapporto con l’Altro tende a smaterializzarsi sempre di più.
Robert Morris→ gioca sulla proprietà dello specchio di restituirci non solo la nostra immagine, ma
anche ciò che si trova dietro di noi e che non potremmo abbracciare con lo sguardo, consentendoci
dunque di fare esperienza della realtà nella sua interezza.
L’ABACO LINGUISTICO
Gli artisti utilizzano il video come luogo di sperimentazione delle strutture primarie della
comunicazione (mimica, estremamente elementare) → codice linguistico che va mettendosi a punto
progressivamente, è una costante nella ricerca video degli inizi.
IL CORPO COME LUOGO
Esplorazione dei propri limiti psicofisici trova nel video e nel film efficaci supporti. La componente
narcisistica è sempre presente: essere scrutati dall’occhio tecnologico, specchiarsi nello schermo →
attrazioni irresistibili per gli artisti che operano nell’area body.
Corpo e mente: impegnati entrambi a eseguire qualcosa fino in fondo, essendoci dentro e per intero.
IL PASTE-UP: VERSO UNA NUOVA SINTASSI
il tempo del video è un tempo diverso da quello reale, si attua nell’ordine della simulazione la cui
funzione di stimolo viene esaltata dagli esperimenti di alcuni autori.
UN ANTICO PARADOSSO
La nuova grammatica e la nuova sintassi inventate dagli artisti si possono leggere come il recupero
dell’archè a spese del divenire una ricostruzione della costruzione artistica.
Un argine allo scorrimento e all’effusività che non possiede necessariamente valore positivo o
negativo, ma contribuisce alla determinazione di quello che è il carattere più significativo del
linguaggio video delle origini: l’antinarratività.
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Le diverse materie espressive che un autore utilizza nel processo produttivo tendono a testualizzarsi.
ARTE E VIDEO
Video-arte → è stata resa possibile, grazie all’opera di azzeramento che le neo-avanguardie hanno
svolto nei confronti dei tradizionali apparati disciplinari delle arti. In modo particolare per le arti
visive, ma anche per il teatro, la danza e la musica.
Ignorando la propria cultura storica, ogni arte si è resa disponibile a travalicare il proprio apparato
disciplinare a diventare altro dall’identità accertata e riconosciuta.
Partire da zero ha significato fare atto di rifondazione, interrogarsi su un’originaria essenza del
processo di rifondazione.
Il dispositivo elettronico è entrato nelle diverse pratiche artistiche in un periodo id sperimentazione
radicale di tecniche, senza porre però contrapposizioni frontali fra vecchio e nuovo.
Le neo-avanguardie → hanno portato un comportamento in cui il rifiuto della tradizione si
coniugava con la pratica consapevole dell’ignoranza.
Il video si presentava come “medium di passaggio”, cioè non si prestava tanto a essere usato come
MEZZO ESPRESSIVO AUTONOMO, quanto come canale per TRASPORTARE E RINNOVARE
LE ARTI GIA’ PRESENTI, per adeguarle alle nuove prassi artistiche delle neo-avanguardie.
La prima generazione di artisti che hanno usato il video: proveniva dalle arti visive, dalla musica,
dalla danza, dalla poesia, dal teatro, coagulandosi in quell’area di azzeramento degli specifici
linguaggi che è stata la Performance Art.
I motivi di ordine estetico per cui gli artisti iniziarono a usare il video → l’arte visiva avrebbe
dovuto liberarsi dell’oggetto a favore dell’idea.
La natura immateriale della performance rendeva indispensabile la documentazione video, dal
momento che essa costituiva l’unica prova di un evento senza repliche (Marina Abraovic).
L’aspetto del video certamente più attraente, per gli artisti → vedere l’opera come qualcosa di non
definitivo, ma in trasformazione come la realtà.
Ito Acconci, Robert Morris, Richard Serra, Bruce Nauman (artisti video) → esperienza che si
inseriva nella natura autoriflessiva e concettuale della loro pratica artistica.
Il video dell’origine è uno SPECCHIO attraverso cui il performer può scrutare le reazioni del
proprio corpo in diverse situazioni. È la messa in scena del “guardare se stessi guardarsi” che il
dispositivo elettronico promuove.
Davanti all’occhio della telecamera l’artista riscopre il corpo umano, il volto, la carica di energia
impiegata in azioni elementari, l’espressività astratta di singole parti del corpo.
La relazione fra corpo e spazio è esplorata tramite il suono.
Fare l’artista è un ruolo sciale, che prevede anch’esso, come l’attore, un rituale e una sua maschera.
“Art must be beautiful, artist must be beautiful” Marina Abramovic.
Il video è stato usato contemporaneamente in ambito artistico e in ambito sociale → in funzione
partecipativa e di attivazione di processi di socializzazione e di identificazione collettiva.
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Le opere video delle origini sono ANTISPETTACOLARI.
La natura dei primi video rientra nel contesto dell’estetica della Performance Art:
➔ Si esalta l’aspetto analitico e concettuale che quello corporeo-esperienziale;
➔ Non narrano storie, educano e ravvivano la percezione dello spettatore;
➔ Innescano un procedimento cognitivo in funzione della destrutturazione dei linguaggi e dei
loro meccanismi.
BILL VIOLA → svilupperà l’atteggiamento umanistico nei confronti dei dispositivi tecnologici.
Le opere di Bill Viola non sono solo performance di fronte alla telecamera → introducono una
sofisticazione del dispositivo tecnologico audio-video sia in ripresa che in fase di editing (estranea
alle opere degli artisti dei primi anni Settanta).
L’immagine assume concretezza e malleabilità come se fosse la cosa vera e lo spettatore ha
l’impressione di essere trasportato fisicamente nei luoghi e nelle situazioni che gli vengono
proposte, di vivere anche lui l’esperienza che ha vissuto l’artista.
Bill Viola attesta la piena compiutezza del nuovo medium in mano a un artista maturato all’interno
delle esperienze della Performance Art → ri-creare un mondo e un paesaggio, utilizzando i nuovi
dispositivi tecnologici.
TEATRO E VIDEO
Cage, Maciunas, Vostell, Higgins, Kaprow, La Monte Young, Man June Paik → il loro terreno di
sperimentazione sono “gli intermedia”, forme espressive nate dalla combinazione e intersecazione
di differenti linguaggi (film, danza, musica).
HAPPENING = nuova forma di teatro (come il collage è una nuova forma di pittura) → si fonda su
un laboratorio come luogo di ricerca di gruppo dove si forgiava l’integrità psico-fisica del nuovo
attore e su un’idea di spettacolo come rito che produce una sua azione efficace.
Il nuovo teatro coltivava relazioni con le culture del corpo extra-europee, con un pensiero fondato
sull’antropologia (teatro-rito) che sull’estetica (teatro-arte). Se si assimila sia l’happening che la
performance al teatro, si dimentica che le esperienze teatrali più influenti sono state rigidamente
avverse a ogni pratica intermediale.
Le MINACCE AL TEATRO arrivavano da due fonti:
1) Dai nuovi media tecnologici che raggiungevano un pubblico vastissimo;
2) Da quelle arti, come le arti visive, che avevano attraversato un processo di teatralizzazione
invadendo con il corpo lo spazio tradizionalmente riservato al teatro.
Jannis Kounellis: espone 12 cavalli vivi => era certamente molto distante dalla mostra di pittura, ma
non più vicina agli spettacoli teatrali del tempo.
Se l’informale era stato neoprimitivo, l’Arte Povera e la Performance Art erano invece disponibili a
usare i nuovi media prodotti dalla civiltà industriale: i neon, i videoregistratori, il film e a far
scontrare drammaticamente o pacificamente “softness e hardness”, natura e cultura.
LA TENSIONE TEATRALE TRA ARTISTI VISIVI ITALIANI ERA DI MARCA
ANTROPOLOGICA E POLITICA, in quanto codificava l’incontro fra artista e spettatore.
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Anni Settanta → il teatro si rende disponibile all’incontro con i nuovi media, il bisogno di uscire da
sé per cercare di risolvere non più problemi di identità, ma di sopravvivenza.
Periodo di intensa sperimentazione da parte dei registi teatrali, lo spazio scenico si modella sulla
superficie bidimensionale di una scena-schermo.
Nei primissimi anni Ottanta, gli artisti si sono avvicinati al video con l’obiettivo di conquistare il
pubblico dei mass-media.
“Television Art” → il lavoro degli artisti impegnati a realizzare programmi televisivi con finalità
d’arte.
Robert Wilson → “Die Goldenen Fenster” → progettato affinché in cinque paesi diversi venissero
eseguite le cinque parti staccate di un unico spettacolo. Si trattava di una DISLOCAZIONE
SPAZIALE di un evento, unificato idealmente dal suo andare in scena contemporaneamente in
luoghi diversi del mondo;
➔ Far sì che il teatro possa estendere il proprio raggio d’azione al di là del pubblico radunato
in platea, superando i limiti de “qui e ora” dello spettacolo.
L’esperienza più avanzata in Italia di INTEGRAZIONE DI DISPOSITIVI DELLA SCENA
TEATRALE E IMMAGINE ELETTRONICA, si è avuta con i lavori realizzati d Studio Azzurro e
Giorgio Corsetti.
Il dispositivo elettronico è usato come feedback immediato, che dà in diretta le azioni reali che gli
attori compiono “qui e ora”, sul set predisposto dietro la scena. SIA L’ATTORE IN IMMAGINE
CHE L’ATTORE IN SCENA, SONO AMBEDUE REALI E VIVI.
Questi spettacoli sanciscono il superamento della conflittualità fra corpo e macchina, la
compatibilità fra ritmi corporei e input elettronici, pur esaltando le reciproche differenze.
LA TECNOLOGIA NON SCHIACCIA IL CORPO MA LO POTENZIA.
Non c’è opposizione fra macchina e organismo vivente → capacità dell’attore a essere
ambivalentemente libero a sopportare le due opposte polarità del dentro e del fuori, a rapportarsi
alla scena del teatro e al set cinematografico e televisivo.
Dal momento che il palcoscenico si è trasformato in un monitor → anche la recitazione degli attori
si uniforma a quella televisiva, mantenendo l’espressione vocale su toni colloquiali, proprio della
comunicazione interpersonale che si instaura fra lo speaker televisivo e lo spettatore.
Il modo più diffuso di utilizzo del video da parte degli autori teatrali è in funzione di una sorta di
“pre-produzione”, uno “studio” per uno spettacolo da compiere e a volte una rilettura di uno
spettacolo già compito.
Samuel Beckett → percezione di sé attraverso sé stesso, IMMAGINE-AFFEZIONE.
ROBERT WILSON → l’universo poetico dei suoi video dispiega anch’esso la scena del sogno,
dove i dettagli hanno il potere di risvegliare l’immaginazione.
VIDEO50→ solo suoni naturali, l’ossessività dell’interazione, lo scarto che fa precipitare
all’improvviso nel surreale una situazione apparentemente banale.
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Per Wilson il video è una fonte di luce con cui costruire forme e superfici, prima che un quadro per
proiettarvi immagini. Nelle opere di Wilson: intensificazione dei ritmi del racconto e
l’accentuazione dell’elemento a sorpresa.
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IL SOGGETTO ERRANTE FRA PAESAGGI ESOTICI E NATURE MORTE
Essere in un luogo e intervenire nell’ambiente (Bill Viola → The Reflecting Pool).
➔ Modalità relazionale che tiene ancora uniti soggetto e natura;
➔ In queste azioni la figura umana afferma la propria presenza come “misuratore” di spazi non
familiari.
Land Art (serie di video) → gli artisti inventarono una relazione possibile fra messa in immagine e
ambiente naturale.
Il contesto metropolitano viene rappresentato come “natura morta”, nel caso delle nature morte di
fine Novecento si esprime la devitalizzazione dell’ancora vivente, il suo divenire oggetto.
Charlotte Moorman, donna-robot di Paik (è possibile sopravvivere in questo mondo a patto che si
accetti di sostituire parti del corpo con una strumentazione elettronica) → in virtù di essere un
ibrido, ha un rapporto più intenso con il mondo: mescola l’Oriente con l’Occidente, cultura alta e
bassa, pubblicità e cronaca.
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GLI INSEPARABILI
Cinema, televisione e video.
Adieu Philippine, un film di Jacques Rozier (1961 circa), in piena Nouvelle Vague → film
premonitore dei rapporti fra cinema e video.
Il rapporto è più evidente oggi che non nell’epoca in cui è uscito il film.
È uno dei pochi film a parlare della guerra in Algeria e a trattare i rapporti tra cinema e televisione,
è uno dei primi.
“Grandezza e decadenza di un piccolo commercio di cinema all’epoca della potenza della
televisione” di Godard, e “Intervista” di Fellini.
Rozier sembra dimostrare un’estrema fiducia verso questo nuovo mezzo di produzione
dell’immagine e dei suoni (televisione).
Televisione = arte della diretta.
Rozier captava in diretta la vita per rimetterla in gioco. Allo stesso modo della televisione.
La televisione trae la propria identità da un tour de force (la diretta) che è negato al cinema. D’altra
parte, il cinema si mantiene vivo solo se adotta alcune forme di vita della televisione.
Radio = prima grande macchina a realizzare la diretta.
La televisione in origine veniva chiamata “radio a immagini”.
Appare un nuovo personaggio: a volte chiamato “video”, a volte “video arte” → pretende di non
essere televisione ma “televisione meglio della televisione”.
Il video maschera per mascherare meglio.
Se il cinema è stato considerato l’arte di porre in evidenza le cose in modo tale che solo uno
sguardo le possa modificare nella loro essenza, il video sarebbe invece l’arte di togliere lo sguardo
dalle cose e posarlo sui mille e uno modi di mostrarle.
Le immagini sono per il video ciò che il mondo è per il cinema: l’oggetto di tutti i suoi desideri.
Il video non è per la realtà un modo di essere presente, ma mille modi per le immagini di essere
altrove.
Il cinema ha lo scopo di restituirci la realtà credibile, il video cerca per prima cosa di farci credere
alla propria esistenza.
IMMAGINI A RALLENTATORE: modalità dello stile televisivo che permette di simulare la
diretta nella finzione. Bolla di ripetizione perpendicolare a un processo in corso.
Robert Cahen, Godard e Gary Hill.
Con la diretta siamo nel tempo LINEARE: il racconto non cambia direzione, lo sapzio è uno o si
divide dall’interno, si dispeiga, piega dopo piega.
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Il video, allo scopo di mettere in gioco alcune modalità narrative che si aprono su spazi e tempi
non-limitrofi e non-lineari, precede con ripiegamenti degli effetti speciali, gli uni sugli altri.
Tutto combacia, converge, si fonde. La simultaneità è perfetta, gli effetti non sono più effetti ma
cause. Il montaggio costituisce il momento del vero “girare”. Tutto succede in diretta. Gli effetti
accadono nel momento in cui la producono: essa non esiste senza di loro. Il loro tempo è lo stesso. I
loro spazi si identificano, si confondono. Si fondono a vicenda.
Non c’è più il prima, non c’è più il dopo, c’è solo il tempo di una rotazione perpetua, di un
interminabile girare che ha la propria fine in sé stesso.
Con il video non siamo mai commossi fino alle lacrime, come il cinema.
Per questo bisogna guardare al video documentario → PAIK, video che ha dedicato alla morte di
Julian Beck, tanto struggente quanto un film.
REWIND → metafisica degli elettroni in grado di invertire il tempo di un’immagine.
Sospettiamo che ciò che muore con lui è il mondo a cui appartiene l’arte video. Il titolo
dell’omaggio di Paik – Living with the living – è a doppio taglio.
Ciò che muore con il “film” di Paik su Beck è l’idea del video come arte irrimediabilmente separata
dal cinema. Il video ritorna all’ovile.
La televisione è l’avvenire del cinema. Il video è l’avvenire della televisione. Il cinema è l’avvenire
del video. Gli inseparabili sono tre. Uno di troppo?
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intrinseche di un’immagine priva di immobilità, manipolabile in diretta, capace di scollarsi in
infiniti modi dalla riproduzione realistica.
SCHERMI MUTANTI
Uno dei territori in cui questo confronto fra cinema e video risulta particolarmente fecondo è quello
della riflessione sulle modalità di fruizione, sulla posizione (fisica e metaforica) dello spettatore, sui
limiti e le possibili infrazioni dello spazio di visione.
La nozione di oltrepassamento, cara alle arti, viene pensata ed esplorata.
L’immagine elettronica consente collocazioni del tutto particolari nello spazio.
Apparente differenza fra i due media: perfezionamenti ottici contro cui si sono battuti gli artisti,
ritenendoli inessenziali e funzionali semmai a un progetto di segno opposto a quello di una viisone
partecipe e attiva.
Studio Azzurro: la ricerca dello spettacolo prevale sullo spettacolo della ricerca.
Con il fascino del “Lungometraggio” → respiro di una misura lunga, meraviglia e condivisione
della sala buia e di una fruizione collettiva, rituale.
Confronto fra immagine cinematografica e immagine video non si ferma, le carte si mescolano
ancora.
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PARTE DUE: TEORICHE/ESTETICHE
IL CLAMORE E LA VOCE
PROLOGO
Il video oggi esiste essenzialmente mescolato con le arti plastiche, fuori dall’apparato di produzione
televisivo, come una componente testuale di opere costruite polifonicamente, le installazioni
multimedia.
Il video come opera audiovisuale è in declino anche perché lo è la civiltà dell’immagine. In un
mondo che muta la realtà fisica in segni, l’arte contemporanea resiste alla derealizzazione cercando
qualcosa che permane.
La nostra percezione del tempo come concatenazione di causa ed effetto è illusoria → le
avanguardie storiche hanno significato una fine e un inizio, la fine dell’opera figurata e l’inizio del
pensiero raffigurante il proprio farsi.
Il valore forte non è più la cornice, ma la tensione che lega l’oggetto e il soggetto, spettatore ed
evento.
Il tempo dell’opera è l’intervallo necessario a compiere un’azione.
L’evento si cerca e si copre solo agendo, al cospetto del fruitore.
IL BASAMENTO
➔ Collocare un oggetto qualsiasi su una base, applicandolo con radicale coerenza al suo
lavoro.
➔ Il basamento, inteso come contesto culturale e sociale in cui l’operante artistico viene fruito,
assume su di sé tutto il peso per determinare il senso dell’opera;
➔ Il basamento è necessario per dare valore alla non-opera, all’evento e al gesto, per creare
l’aura dell’evanescenza, scomparsa quella dell’unicità.
LA CITTA’
Passeggiare per la città è un’attività alla quale lo scrittore presta particolare cura, rappresentando il
contatto con il mondo, dove l’isolamento è totale.
La passeggiata dello scrittore Handke si dispone in un continuum di percorsi urbani e mentali
insieme, simile all’attività dello spettatore che si aggira, nell’environment costruito apposta per lui,
dove il lavoro di interconnettere i vari pezzi coinvolge sia un’attività fisica che psichica.
La città come luogo di interconnessioni funziona da paradigma per l’arte di quest’ultimo decennio.
Circolarità e verticalità sono le forme dello spazio-tempo di questo ultimo decennio, uno spazio che
ha recuperato all’opera e allo spettatore una frontalità che tende a chiuderlo in un cerchio protettivo.
La città è lo spazio organizzato dalle stratificazioni di più tempi, e l’opera è un sistema interrelato di
più parti.
IL DIS-CORRERE
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La destituzione della polarità dentro-fuori, soggetto-oggetto, natura-uomo, cultura-natura e la
restituzione degli effetti dell’avvenuta introiezione dell’esterno, trasforma il dis-correre dentro-fuori
in un movimento di forze reversibili a doppio percorso in cui il fuori e il dentro hanno accentuato la
loro differenza.
La dualità di corpo e immagine agisce per contrasti fra trasparenza e plasticità, ma in entrambe le
manifestazioni, è sempre l’attore che agisce qui e ora, in immagine dal set e dal vivo, sulla scena.
IL SUPERMARKET
Come la città è il modello di sistema interrelato e funzionante di produzione testuale, così il
supermarket, nel pensiero per equivalenze socio-topologiche della riflessione contemporanea,
corrisponde al dispositivo che regola i rapporti attuali fra “spectator” e opera.
Nel supermarket sono esposti oggetti lucidi e ben confezionati che attraggono al di là della loro
effettiva qualità e il cui valore di scambio risponde a logiche di mercato autonome.
Fra gli artisti statunitensi il supermarket è diventato il dispositivo modellizzante l’attuale sistema
dell’arte.
Il modello di supermarket delimita lo spazio chiuso in cui il nuovo flaneur si avventura per le sue
esplorazioni e dove può appropriarsi dell’oggetto dei suoi desideri, eliminando la distanza fra sé e
l’opera.
L’uomo non è più importante dell’oggetto.
CUM-TEMPLUM
L’oggetto non ha bisogno di essere interpretato per essere goduto.
“Vorrei che la mia arte uccidesse”.
La perfezione per Warhol stava nella piattezza, nella mancanza della profondità. L’ente e il niente
convivono pericolosamente sulla soglia.
La questione del vuoto è al centro dell’arte degli anni Settanta e del suo corrispettivo originario, il
pensiero dei teorici dell’arte astratta, da Malevic a Mondrian. Nello spazio della superficie, soggetto
e oggetto sono uniti sulla soglia di un illimitato senza referenti noti, ma concreto.
L’arte povera, l’arte concettuale, la performance art, hanno sgombrato il terreno praticando la
volontaria dimenticanza come condizione per poter organizzare la festa del non esistente. Ma, per
parteciparvi, lo spettatore doveva imparare ad uscire fuori dal proprio “io” quotidiano, stare in
quella condizione ideale di dormiveglia.
Le procedure più comuni messe in atto per addestrare lo spettatore alla dimenticanza di sé sono
state l’autoreflessività e la ripetizione.
L’estetica della performance art si fondava sull’esercizio del contemplare, nel quale attendere che
gli eventi reali si inscrivessero.
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Il dato più significativo dell’attività di colui che contempla non è tanto l’essere attivo o passivo,
quanto quello di risvegliare in sé la sapienza della conoscenza che passa attraverso il corpo di uno
spettatore che è riuscito a uscire fuori di sé.
FANTASIE TECNOLOGICHE
Analizzare l’impatto della tecnologia sulla cultura occidentale fino agli attuali anni Novanta.
1935-36 → “riproducibilità tecnica” → Benjamin sostiene che una tale riproducibilità opacizza
l’aura dell’arte, la sua unicità, autenticità, autorevolezza, “distanza”, e che questo svilimento
“emancipa” l’arte dalla sua base ritualistica, “porta le cose più vicine alle masse”.
Benjamin → il disfacimento dell’aura, la perdita di distanza, ha impatto sia sul corpo che
sull’immagine: i due non possono essere separati.
Analogia fra pittore e mago → mantengono una “distanza naturale” dall’oggetto da dipingere e dal
corpo da guarire;
Analogia fra cameraman e chirurgo → penetrano a fondo nella sua trama.
➔ Le nuove tecnologie visive sono “chirurgiche”: esse rivelano il mondo sotto nuove
rappresentazioni, colpiscono l’osservatore con nuove percezioni.
Nello spettacolo viene eliminata la DISTANZA ESTERNA (in quanto gli spettatori che siedono ai
margini sono collegati all’IMMAGINE CENTRALE)→ è riprodotta come DISTANZA INTERNA,
questo collegamento con le immagini centrali creai intervalli che separano gli spettatori.
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➔ QUESTO TIPO DI SEPARAZIONE SOTTINTENDE TUTTE LE DIFFERENZE
SOCIALI DI CLASSE, RAZZA E SESSO.
McLuhan → per lui le nuove tecnologie non penetrano il corpo “chirurgicamente” tanto quanto ne
sono un’estensione “elettricamente”. Come Benjamin, egli considera una doppia operazione -> la
tecnologia è a un tempo uno stimolo eccessivo, uno shock per il corpo -> e uno scudo protettivo
contro tale shock, che lo stimolo convoglia contro lo studio.
McLuhan → “abbiamo portato fuori di noi il nostro sistema nervoso centrale nella tecnologia
dell’elettricità”. Egli rimane all’interno di una “logica della tecnologia come protesi” – come
supplemento divino al corpo che minaccia una mutilazione dominante.
Il modello femminista cyborg proposta da Donna Haraway dimostra che l’interfaccia dell’aspetto
umano e di quello meccanico non deve essere immaginata in termini di timore di castrazione e di
fantasie feticiste.
“il cyborg è una categoria di un mondo asessuato” e vive l’interfaccia uomo-macchina come una
condizione di “accoppiamento fecondo” → cosa resta del SOGGETTIVISMO (quello spiegato
dalla psicoanalisi)?
Il nostro mondo dei media è un cyberspazio che rende i corpi immateriali, oppure è uno spazio in
cui i corpi sono marcati, spesso in modo violento, secondo differenze razziali, sessuali e sociali? Si
tratta di entrambe le cose allo stesso tempo → questa nuova intensità della s/connessione è
postmoderna.
Brivido di una potenza tecnologica, ma anche brivido di una dispersione immaginaria del mio
proprio corpo, della propria soggettività.
In questa sublimazione tecnologica c’è un parziale ritorno alla soggettività di tipo fascista, che si
manifesta anche a livello delle masse, dal momento che eventi come questo sono riservati alla
massa, producendo in tal modo una collettività psichica.
PROBLEMI DI DISTANZA
Fratture che si producono con nuova intensità: una frattura spazio-temporale, il PARADOSSO DEL
TEMPO REALE PROVOCATO DAI MEDIA; una frattura morale, paradosso del disgusto misto
alla fascinazione, o della simpatia mista al sadismo; una frattura dell’immagine del corpo.
Se anche fosse possibile dare una collocazione ad un oggetto postmoderno, esso finirebbe per farsi e
disfarsi continuamente in queste fratture → questo soggetto è spesso privo di una funzione, è
sospeso fra una vicinanza oscena e una lontananza spettacolare?
Struttura di riconoscimento e denegazione → caratteristica di un ragionamento cinico.
La DISTANZA è data spesso come perduta o condannata all’annullamento.
Benjamin in “Strada a senso unico” → offre un annuncio: “Spazio in affitto”:
➔ La CRITICA è questione di una corretta distanza. Si trovava a proprio agio in un mondo in
cui era ancora possibile assumere un punto di vista. Ora tutto preme sulla società umana;
➔ Benjamin situa questa pressione nei confronti del cinema e della pubblicità → “aboliscono
lo spazio in cui si muove la contemplazione”;
➔ Differenza tra visione e tatto;
➔ Concetto che “prospettive e prospetti” sottintendono la distanza critica.
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“Studi di iconologia” → Erwin Panofsky: si occupa del problema base della disciplina, pone
anch’esso una corretta prospettiva come presupposto della storia della critica.
- Presenta la prospettiva come una realtà visiva, e immagina la storia come una retrospettiva
scientifica.
Cosa giustifica un recupero critico di una pratica passata? Come possiamo comprendere l’insistenza
di questi ritorni storici? → Panofsky: “una distanza intellettuale fra presente e passato”.
Non si può fare a meno della distanza critica che deve essere ripensata, non serve a nulla lamentarne
o celebrarne il passato. Il sospetto nei confronti della distanza tocca la teoria critica in un punto
sensibile, che è la relazione fra la distanza critica e la differenza sociale.
NIETZSCHE → due impulsi contrari che sono all’opera in ogni giudizio critico: una volontà
“NOBILE” di distinguere o una “VOLGARE” reazione di rabbia. La differenza fra nobile e volgare
dipende dalla distanza fra basso e alto (in termini socio-spaziali).
Nietzsche pone la questione se la critica possa mai essere libera dalle differenze dal punto di vista
nobile e dalla rabbia dal punto di vista volgare.
Criticare vuol dire → giudicare o decidere. Possiamo dare giudizi di valore che non siano soltanto
reattivi ma anche attivi (in termini nietzschiani), non solo distintivi ma anche utili.
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Questo è lo stato delle cose: L’AUTENTICA PITTURA DI OGGI DEV’ESSERE TANTO
INDIFFERENTE A SE’ STESSA QUANTO IL MONDO LO È DIVENUTO A SE’. L’arte nel suo
insieme non è che il metalinguaggio della banalità.
Secondo Benjamin, c’è una SIMULAZIONE AUTENTICA e una SIMULAZIONE
INAUTENTICA → Warhol dipinge le sue Campbell Soups negli anni Sessanta, è uno scossone per
la simulazione e per tutta l’arte moderna: l’oggetto-merce viene ad essere ironicamente sacralizzato.
Quando dipinge le Soup Boxes non è più nello scandalo, ma nello stereotipo della simulazione,
riproduce l’inoriginalità in modo inoriginale.
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➔ Costituendo il proprio oggetto come feticistico esso nega nello stesso tempo la realtà del
sesso e del piacere sessuale. Non crede al sesso, non crede che nell’idea del sesso → ALLO
STESSO MODO, noi non crediamo più nell’arte, ma solamente nell’idea di arte.
Quella che oggi chiamiamo arte sembra dare testimonianza di un vuoto irreparabile. L’arte è
travestita da idea e l’idea è travestita da arte. C’è una forma di travestimento estesa a tutto il
dominio dell’arte e della cultura.
Tutta l’arte moderna è astratta nel senso che è attraversata dall’idea assai più che dalle immagini
delle forme e delle sostanze. Tutta l’arte moderna è concettuale nel senso che feticizza nell’opera il
concetto, lo stereotipo di un modello cerebrale dell’arte.
VOTATA A QUESTA IDEOLOGIA FETICISTA E DECORATIVA, L’ARTE NON HA PIU’
ESISTENZA PROPRIA → SIAMO SULLA VIA DI UN ASCOMPARSA TOTALE
DELL’ARTE.
Questa crisi dell’arte rischia di diventare interminabile. La differenza tra Warhol e tutti gli altri è
che con Warhol essa è terminata nella sostanza.
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VIDEOR
Derrida → concetto adeguato a ciò che oggi chiamiamo “video”, e soprattutto, l’”arte del video”.
Se il video può giocarci un ruolo così visibile, non è né la prima né l’unica tecnica a farlo, e questo
costituisce per l’arte video una determinazione esterna. Sembra quasi che non ci sia unità essenziale
tra le cose che sembrano assomigliarsi o assembrarsi sotto il nome di video.
Perché circoscrivere la proprietà irriducibile di un’“arte”? perché tentare di classificare,
gerarchizzare, inquadrare anche ciò che amiamo ancora chiamare “arti”?
Non si è ancora capaci di parlare di un’identità del video. Attraverso l’evento “video” si riconosce
una “nuova arte”, si riconosce in ciò che non si riconosce. E pertanto, se sorge questa “nuova arte”,
significa che nel vago terreno dell’implicito qualcosa già si avviluppa – e si sviluppa.
Colui che sembra o si vede sembrare in un’opera d’arte video non è né una “persona reale”, né un
attore di cinema o di teatro, né un personaggio da romanzo.
Se questa è un’”arte”, e assolutamente nuova, soprattutto rispetto le analoghe della pittura,
fotografia, cinema e televisione, e pure dell’immagine digitale, in che cosa consisterebbe questa
differenza irriducibile, la sua propria? Cosa accade?
Mette in opera tante altre cose, tante altre “arti” che non hanno niente a che vedere con il video:
➔ Questa evidenza forse chiama l’ipotesi seguente: LA SPECIFICITA’ DI UNA NUOVA
ARTE → → la sua volontà resta a venire, sempre a venire rispetto una mutazione tecnica
che, a lei sola, potrebbe dar luogo alla più meccanica ripetizione di generi o stereotipi, per
esempio narrativi, romanzeschi, teatrali, cinematografici o televisivi.
➔ GARY HILL!!!!!!!!!! (importante artista!!)
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VIDEO → modo strano di rappresentazione (tutte le altre immagini hanno due termini (un nome e
un verbo) → come se oggetto e azione fossero due realtà allo stesso tempo ben distinte e
chiaramente articolate.
Bisogna stupirsi se il video si trova attraversato da incommensurabili problemi di identità?
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Nel campo delle pratiche video, il modo narrativo e di finzione è ben lontano dal rappresentare il
genere maggioritario. In video i modi principali di rappresentazione paiono essere da un lato il
modo plastico e dall’altro il modo documentario → entrambi con un senso costante del saggio, della
sperimentazione, della ricerca, dell’innovazione.
➔ Questi grandi modi di creazione video hanno contribuito a sviluppare dei modelli di
linguaggio dove la parte della ricerca e di saggio si è sovente rivelata preponderante. Al
punto da finire per generare una sorta di LINGUAGGIO VIDEOGRAFICO.
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“C’è altro da raccontare?”:
1) Prima intonazione: domanda tipica della postmodernità → tutto è già stato detto e nulla si
può più raccontare, se non la citazione del già detto. Non ci restano che le rovine dei
racconti ereditati.
2) Seconda intonazione: accento sulla parola “altro”. Questo “altro” è esattamente l’aporeticità
del tempo, la sua imprevedibilità. La nostra esperienza vitale è piena di storie potenziali, che
premono per essere raccontate → le culture si inventano degli strumenti per raccontarle
(scrivendo romanzi, girando film, producendo videoarte).
3) La terza intonazione: porta l’accento sul “c’è”.
C’è sempre altro da raccontare. Pensiamo alla complessità del tempo, alla complessità con
cui il semplice evento di un “toccare”, di un “manipolare”, emerge nel bellissimo video di
Studio Azzurro intitolato “Il giardino delle rose”.
Pensiamo alle infinite modalità del rapporto tempo-senso nella sua relazione con ciò che c’è.
Più si racconta, più il mondo si fa complesso, c’è dell’altro da raccontare, il tratto
dell’INESAURIBILITA’ DEL DATO.
Inesauribilità del dato = tratto che pare caratteristico di alcune delle invenzioni elettroniche di
Studio Azzurro → resta comunque il problema della connessione tra questo “C’E’” e il
RACCONTO.
La terza intonazione riguarda il presentarsi e il ricostruirsi del “dato”: il presentarsi e il ricostruirsi
di qualcosa che domanda racconto o anche solo figura, rappresentabilità, immaginabilità.
MARLEAU PONTY → “per il pittore il mondo è sempre da dipingere” => perché il suo “che c’è”
viene sempre di nuovo riscoperto e rigenerato dalla pittura. Proprio per questo il mondo è sempre in
via per essere dipinto.
➔ LA SPERIMENTAZIONE ELETTRONICA (VIDEOARTE, VIDEOINSTALLAZION)
LAVORA O NO IN QUESTO MODO, LAVORA O NO A QUESTA
“RIGENERAZIONE”?
La direzione è questa, anche se seguita con molto timidezza e con confusioni ed EQUIVOCI.
Grandissima povertà di elaborazione teorica, fatta eccezione per alcuni studi di ispirazione
semiotica (disciplina perennemente in crisi, povera di contributi rilevanti per quanto riguarda i
fondamenti del rapporto tra immagine e racconto);
L’interpretazione dell’immagine resta appannaggio degli iconologi: ma gli iconologi affrontano i
problemi dell’immagine elettronica con strumenti del tutto tradizionali.
3 EQUIVOCI CHE CI IMPONGONO DI VEDERE COME STANNO VERAMENTE LE COSE:
- Primo: SOPRAVALUTAZIONE DEL CARATTERE OTTICO O VISIVO DI CIO’ CHE
CHIAMIAMO IMMAGINE.
Questo concetto ha una radice più profonda. Ridurre arbitrariamente il concetto di
immaginazione all’immagine in senso ottico.
L’immaginazione va restituita alla sua caratteristica eterogeneità – che è anche tattile,
acustica, olfattiva ecc – o riportata a una matrice più originaria. E’ EVIDENTE IL PASSO
AVANTI CHE GLI SPERIMENTATORI DI “REALTA’ VIRTUALE” FAREBBERO SE
SOLO PRENDESSERO ATTO DI QUESTA INTERNA “VIRTUALITA’” DELLA
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NOSTRA IMMAGINAZIONE, CHE CI PERMETTE DI RIPRODURRE SOSTITUTI
ASSAI PLASTICI DELLE NOSTRE PERCEZIONI;
- Terzo (MITO): sensibilità verso l’interattività, dell’ipertesto che dialoga col suo utente e dà
mostra di “sensibilità” nei confronti delle risposte del suo interprete.
Mito interattività → c’è interattività ovunque ci sia rappresentazione e interpretazione.
L’interattività è una delle condizioni strutturali di esistenza di qualunque opera.
Aristotele chiamava “catarsi” quello che oggi indichiamo ingenuamente come “interattività”. I testi
con cui da sempre noi interagiamo “ci cambiamo la vita”.
Un testo compreso è un testo modificato dalla mia interazione in quanto me ne faccio qualcosa,
qualcosa che non c’era prima della mia interazione con quel testo di cui, d’ora innanzi, non solo
rispondo io, ma ne risponde anche il testo.
Il che modo la videoarte potrebbe costituirsi come il correlato di una comprensione più originaria
del rapporto tra immaginazione, narrazione e tempo?
Ejzenstein → gli effetti di senso del testo cinematografico si sprigionano a partire dalla correlazione
come tale che è lo spazio-tempo che si apre tra l’immagine e il suono.
È forse questa relazione complessa che bisogna mettere in condizioni di raccontare.
Dobbiamo cercare una riposta alle domande sul racconto e sul rapporto tra tempo e immaginazione.
Bisogna sollecitare la videoarte sulla questione del racconto e farsi carico della questione delle
“storie potenziali” e del “che c’è”.
È andata in questa direzione la sperimentazione elettronica? È stata praticata fin qui in modo
essenzialmente pittorico.
Nam June Paik, Bill Viola, Peter Greenaway → non rispondono ancora alle immense potenzialità di
sperimentazione narrativa che si sono rese disponibili → rispondono al bisogno di risensibilizzare il
mondo, ma assai poco al bisogno di raccogliere o di dar corpo alle storie potenziali di questa
riestetizzazione.
Che cosa avrebbe fatto Ejzenstein se avesse potuto disporre del montaggio elettronico e delle risorse
digitali? Forse avrebbe mirato a far apparire qualcosa come un PENSIERO INCARNATO, un
corpo “fuori di sé”, un corpo estatico, alle prese con l’altro da pensare.
Con la videoarte si fa ancora essenzialmente pittura. Nei casi più significativi – come Studio
Azzurro – si fa quella “riabilitazione ontologica del sensibile” che Marleu Ponty coglieva nella
pittura.
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È fra le immagini che si effettuano dei passaggi (sono a volte assai netti), “a” ciò che le contiene
senza però ridursi ad esse, a ciò di cui sono fatte.
L’ANALOGIA, ANCORA
L’immagine di sintesi (= anche chiamata “immagine sintetica”, è un’immagine grafica ottenuta
dalla sintesi di elementi preordinati che la compongono o la descrivono. Il processo che compone
un’immagine di sintesi è chiamato “sintesi di immagini”. Tale generazione viene mediante la
computer grafica. Tali tipi di immagine generate al computer sono l’immagine vettoriale e
l’immagine bitmap. Tipi di immagini di sintesi sono l’immagine fotografica, l’immagine
cinematografica, televisiva, elettromeccanica ed elettronica)→ obbliga a valutare ciò che avviene
dell’arte confrontata a ciò che essa incarna, rappresenta e costruisce.
L’attualità dell’immagine di sintesi non è nulla rispetto alla virtualità che dimostra. Essa riguarda in
particolare due dei grandi modi di passaggi che hanno presieduto da molto tempo al destino delle
immagini per entrare oggi in una configurazione di crisi e id incrocio ove acquisiscono una forza
nuova che riguarda i rapporti fra il mobile, immobile e quantità.
Ciò che si chiama la “realtà” del mondo dipende dalle immagini che si moltiplicano, è l’occhio che
assicura il legame tra il mondo e le sue immagini, dal momento che è lui che le percepisce.
Le immagini → hanno preso il passo sul mondo, moltiplicando esse stesse i mondi, sino
all’indiscernibile (= che non si può distinguere).
II
Fotografia → la si vede sorgere naturalmente dalle nutazioni della pittura. L’occhio è divenuto
mobile.
La foto fa ritorno nella storia dell’arte usurpando improvvisamente le funzioni della pittura per farla
precipitare verso le avventure dell’astrazione.
Questo modo di vedere ha l’inconveniente di relativizzare improvvisamente il fantastico
supplemento di cui la foto sarà stata e diverrà il luogo: il suo SUPPLEMENTO DI ANALOGIA.
L’esempio della foto scientifica mostra come la percezione guadagni un’infinità di nuove immagini.
È in rapporto a questi limiti (realismo concreto, realismo astratto) che si ingaggia una liberazione
della pittura attraverso la fotografia di cui essa subisce molto l’ascendente (pittorialismo, foto
d’arte).
La pittura apre a sua volta il campo del visuale a una dimensione dell’esperienza che la foto è meno
adatta a percepire:
➔ Farà così culminare nell’analogia di percezione un’ANALOGIA DI IMPRESSIONE
(l’impressionismo tende a fissare altrettanto bene ciò che apparteneva nella tavoletta al
mobile e all’evanescente);
➔ Cinema => ANALOGIA DI MOVIMENTO (le famose foglie che si muovono nelle
immagini dei Lumière che nessun pittore avrebbe osato sognare);
➔ Cézanne => ANALOGIA PERCETTIVA, non riusciva ad approfondirsi, fino ad abolirsi a
profitto di una sorta di ANALOGIA MENTALE (che si estende in modo spettacolare fino a
guadagnare alla propria causa l’analogia del movimento);
➔ Così, l’ANALOGIA ONTOLOGICA soggiacente a ogni analogia si divide come mai aveva
fatto → 4 osservazioni:
pag. 31
1) Le diverse arti dell’immagine estendono e trasformano la realtà del mondo mantenendo
all’interno di questo mondo uno scarto tra la propria percezione in quanto tale e la propria
percezione in quanto immagine.
L’estensione della capacità o della QUANTITA’ D’ANALOGIA, minaccia l’arte, sembra
minimizzare lo scarto entro cui essa stessa si riconosce. Ma se ne riappropria per
incorporarla al proprio principio, diversificando questa quantità e QUALITA’ DI
ANALOGIA (stili, movimenti, opere che si rivelano altrettanti trattamenti distintivi della
nuova quantità), trattando più chiaramente la questione di una variazione concomitante tra le
arti;
2) Ogni arte è tentata di ricoprire sé stessa, lo spettro della comunità che forma con le atre arti,
cioè con la QUANTITA’ D’ANALOGIA che possono singolarmente e insieme assumere e
mandare in rovina. Il cinema estende al massimo questa qualità quando si scopre come arte;
3) Così si costituisce un dispositivo di possibilità fra le diverse arti.
4) Ecco come si mette in opera quella che possiamo chiamare per METAFORA DELLA
DOPPIA ELICA = è rendere omaggio all’estensione della NATURA intravista dalla
SCIENZA, sottolineare a che punto siano legate le DUE grandi modalità secondo cui
l’analogia si trova costantemente minacciata e rielaborata → → →
La prima modalità tocca l’analogia fotografica, la seconda tocca l’analogia di movimento. Ecco che
le due potenze si trovano messe in gioco.
Nel film → irruzione violenta del fotografico, pura presenza del fermo immagine.
È in realtà il TEMPO → la qualità di presenza o di faglia del tempo che è autentificata da o
attraverso il tempo storico e antropologico dell’“è stato”.
Se il cinema è più implicato della foto nel funzionamento della “doppia elica”, è semplicemente per
il fatto che è più vasto, possiede un accesso più diretto, più complesso e più generale al movimento
e al tempo.
Il cinema si è costruito come unico capace di riconoscere a sé le grandi arti precedenti, se non di
permetterne la sintesi.
Il solo vero privilegio del fotografico è di costituire un’irruzione materiale del tempo che ne marca e
ne condensa molti altri. Ci sono al cinema degli spazi indiscernibili sulla scala imprecisa dei
LIVELLI DI FIGURAZIONE e DEFIGURAZIONE. Se c’è una forza particolare dei momenti e
delle forme che determinano il passaggio fra due o più di questi livelli, è che testimoniano della
tensione specifica che lega il cinema a più età confuse della pittura e delle arti della figura di cui
occupa comunque in parte il campo.
I due modi di passaggi nell’immagine della doppia elica costituiscono i bordi o i punti di
ancoraggio, a partire dei quali si può approcciare ciò che accade oggi fra le immagini.
Il video estende l’analogia del movimento al tempo: tempo reale, istantaneo, che doppia e oltrepassa
il tempo differito del film.
Il video porta alla sua perdita questa capacità di analogia dilatata alle dimensioni dell’universo.
Moltiplica così tutti i passaggi operati fin lì fra le arti e fa di questa capacità di passaggio ciò che la
definisce, negativamente e positivamente, in rapporto all’idea di arte.
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➔ Questo ha a che vedere con la sua posizione doppia: da un lato è legata per natura alla
televisione e alla diffusione di tutte le immagini; dall’altro incarna l’arte video come forma
nuova di utopia o almeno della differenza dell’arte.
IMMAGINE DI SINTESI? Non è identificata come un’immagine, ma come oggetto.
Si vede bene che l’idea stessa di immagine calcolata dissolve la questione dell’immagine.
L’immagine di sintesi riduce al di là di ogni misura la potenza dell’analogia strappando l’immagine
alla registrazione del tempo.
L’immagine di sintesi è l’espressione ultima e paradossale della metafora della doppia elica: il pixel
può tutto.
L’immagine di sintesi → desidera il tutto di un reale surreale, diviene così l’analogo in persona, il
suo duplice contrario.
Assumendo un reale al di là del vivente, l’immagine di sintesi implica di volta in volta una
creazione imitata e una creazione ricominciata.
È stupefacente che dopo un certo numero di anni l’immagine di sintesi non abbia realizzato ancora
nulla che assomigli a un’opera. Contrariamente all’arte video che è riuscita ad affermare
un’autonomia crescente; o del cinema che ha trasformato “un’invenzione senza avvenire”.
Questo ha senza dubbio a che vedere con le difficoltà proprie dell’immagine di sintesi: costi, tempi
di calcolo, apprendimento etc.
Nella loro purezza esemplare queste immagini sono confrontabili con le “vedute” Lumière di
un’arte che non sa ancora se ha un avvenire e quale.
L’immagine → è concepita più come un diagramma e una proiezione mentale che come una ripresa
di tempo della luce.
Nell’INTERATTIVITA’, al di là dell’immagine di sintesi, attraverso di essa, c’è una potenza
immensa.
L’interattività è da attribuirsi a credito di una nuova utopia.
L’interattività → NUOVA DIMENSIONE DELL’ESPERIENZA SUSCETTIBILE DI
RICONCILIARE L’ARTE CON LA SOCIETA’ E LA VITA, RIDUCENDO LA LORO
DIFFERENZA ATTRAVERSO UN ACCESSO PIU’ LARGO ADATTATO PER CIASCUNO AI
NUOVI STANDARD.
Interattività → sogno di una nuova “lingua” che approccia uno spazio mediato, tra le trasparenze
“dei rapporti di linguaggi” e “quella dei rapporti sociali”.
FRAMMENTI DI UN ARCIPELAGO
“Blade Runner” (Deckard) → finzione di uno spazio pre-fotografato, congiungere l’analogico e il
digitale.
“Granny’s is” (David Larcher) → Larcher regola le luci, modulando degli effetti di colore, ricchi e
arbitrari.
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Come conservare l’istante? Come ricordare nel tempo stesso in cui l’istante avviene, nello stesso
tempo ideale, decisivo e pregnante? Come essere nello spazio e nel tempo? Come fare della
simultaneità dei punti dello spazio un’esperienza della memoria e del tempo?
“Vertigo” → la memoria impossibile, la memoria folle.
“DAVANTI”
Tutto passa alla televisione, indistintamente e simultaneamente. È questo il dato che l’installazione
video invita a ripensare.
Spettatore-visitatore → un essere misto in cerca di accomodare all’interno di un solo sguardo la
visione fissa propria del cinema e le visioni plurali che si sono depositate di fronte ai quadri della
storia della pittura.
L’installazione è un luogo di passaggio, anche un luogo di culto: è poco adatta ad essere riprodotta,
l’installazione è dotata nei migliori casi, di un supplemento → la DOPPIA ELICA.
Doppia vista → il supplemento di visione è ciò che la colpisce e produce un’anamorfosi fragile
sulla linea di confine fra mobile e immobile.
“A”
Gary Hill → cerca di vedere il linguaggio nell’immagine, di colarlo nello spessore di una stessa
materia. L’ha fatto sorgere dal suono, primo terreno d’esperienza rapportato all’immagine, per
andare sempre più verso l’enigma di questo suono che produce senso, e tanto più fa immaginare
può fare immaginare, ancorarsi come enunciabile in un visibile di cui partecipa.
Hill → ha usato tanto la potenza della voce, del testo off, della pressione che si esercita così su
un’immagine inconcepibile senza questo flusso di parole di cui è satura.
Le parole arrivano. Parlano le immagini.
“Puissance de la parole” Godard.
Tutto riguarda il rapporto che si instaura nelle immagini e nelle parole fra le due azioni come
all’interno di ciascuna di esse.
Così si trova rappresentata una trattoria spaziale di voce. Le parole si trasformano in immagini, che
diventano l’incarnazione, l’eco delle parole che le suppongono.
Il trasporto amoroso diventa trasporto delle parole-immagini fra i corpi uniti e separati in una sorta
di sintesi della comunicazione possibile. Verbo da cui dipende la sua visibilità.
NULLA E’ PIU’ IMPORTANTE CHE IL SILENZIO DELLE GRANDI IMMAGINI.
DIFFERENTE DA QUELLO DEL CINEMA MUTO.
Noi siamo al di là dell’immagine → suono-immagine, di cui la televisione occupa il primo versante
e il computer il secondo. È lì che si inseriscono tutte le virtualità intraviste attraverso l’immagine di
sintesi, dal momento che essa nasce dalla stessa macchina che può alleare meglio ogni altro gioco di
immagine e gioco di linguaggio.
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PARTE TRE: INSTALLAZIONI VIDEO E MULTIMEDIA
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Ciò che egli discute è che esso possa attingere, attraverso i mezzi “teatrali” che dispiega,
l’intenzione di generare quella percezione complessa del luogo, del continuum fisico della
percezione, alla quale mirava.
Argomenti esposti da Fried: egli si ritorce contro i teorici minimal → accusa di antropomorfismo.
Nelle opere minimal questa deriva antropomorfica non sarebbe per nulla assente, quanto nascosta
dalle condizioni teatrali della loro esistenza.
Robert Morris → “consapevolezza di sé in quanto esiste nello stesso spazio dell’opera”, egli intende
tale condizione quale funzione di una letterale presa di distanza alla quale Fried riconosce predicati
psichici e non solo fisici.
Distanza fisica e distanza psichica → differenziazione estetica.
George Simmel → se il tatto è determinante rispetto alla percezione reale della terza dimensione, il
“significato estetico” dell’immagine, è il frutto di un “trasformazione che le determinatezze tattili
esperiscono, quali competenze di impressioni puramente ottiche”.
Di fronte a questo antropomorfismo scoperto, sembra a Fried di ritrovare nella teoria e nella pratica
minimal una sua variante occulta, un “naturalismo” latente ma comprensibile allorché si considera
che le cose dell’esperienza quotidiana che più si avvicinano alle qualità olistiche richieste sarebbero
le “altre persone”.
L’idealismo di cui è questione quello qui è quello proprio di una tradizione del moderno fondata sul
presupposto percettivo di una visione totale ed istantanea.
Differenza della medesima forma diviene la dimostrazione che il significato della figura non risiede
nella capacità di astrarla dalla situazione effettiva in cui si trova, “nella possibilità di trasferirla
intatta da un luogo ed orientamento ad un altro”
“Fenomenologia della percezione” di MARLEAU-PONTY → la natura olistica della percezione,
qualsiasi isolamento di un dato specifico di un singolo senso appare un’astrazione a posteriori.
La forma o il colore significano → vi dipende la percezione spaziale.
Marleu-Ponty → l’idea cartesiana di una geometria naturale della percezione, attraverso la quale
l’uomo prevederebbe idealmente le cose nello spazio secondo “coordinate assiomatiche”.
La finalità di operazione compita da Morris e dai minimal sarebbe allora l’acquisto di una nuova
consapevolezza riflessiva del sé in quanto situato nello spazio.
Questa intenzione riflessiva conferma l’accusa di naturalismo nascosto.
Nauman → Il senso di un centro mobile posto all’interno del corpo dello spettatore è l’ennesimo
attacco lanciato alle convenzioni della scultura sostenente nel conto di questo secolo:
➔ Questa interpretazione è abbastanza chiara. Allo spettatore che percorre l’opera di nauman
viene offerto l’incitamento a comprendere come la percezione stessa dello spazio includa il
proprio corpo: non ci possiamo collocare al di sopra del corpo, la profondità non si dà in una
proiezione diagrammatica retta da costanti già conosciute.
L’immagine video deve servire ad una comprensione del sé che riconosca la sua dipendenza
dall’esteriorità, fisica e intersoggettiva.
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Se l’immagine è uno strumento al pari di altri → rapporto tra opera e spettatore coincide tra sé ed
altro da sé, nulla può impedire a questo punto che la sequenza delle immagini video possa essere
intesa quale costituzione sullo schermo di una individualità autonoma o perlomeno apparentemente
tale.
Da momento di una relazione che può avvenire solo nel luogo ove l’opera è presentata → il corpo
diventa lo strumento di una rappresentazione che rivela la sua natura teatrale.
L’orientamento verso il corpo appare in una guisa tematica e non strutturale: ci si potrebbe chiedere
se tale carattere tematico non sia di per sé una conseguenza della peculiare natura formale del
medium filmico, e più in generale di qualsiasi forma artistica che prende le mosse dall’immagine.
Vito Acconci → egli aveva compreso quanto l’immagine sia costituita da una singolare ed
implacabile duplicità, attraverso la quale, nascondendosi, genera la sostanza di cui pure è soltanto
l’effige.
La riconoscibilità del corpo agisce come un supporto per l’apprensione delle differenze.
Al di là di una ormai equivoca intenzione espressiva, il nome d’autore si perpetua nell’arte degli
ultimi anni.
L’intenzione diretta ad aprire l’opera d’arte verso la temporalità fisica sembra spegnersi nella forma
della presentazione dei riflessi umbratili dell’identità.
L’uso attuale del video dà a vedere qualcosa di diverso, pone l’accento sull’indebolimento e la
sparizione dei confini tra interno ed esterno, arte e non arte, esperienza quotidiana ed estetica.
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soggettività, è necessario che l’artista riconosca l’indipendenza materiale e storica di un oggetto
esterno (o medium).
FEEDBACK VIDEO: attraverso di esso la coscienza della temporalità e della separazione fra
soggetto e oggetto sono simultaneamente nascosti.
Quando il lavoro di un artista viene pubblicato, è l’unico modo di verificarne l’esistenza come arte.
I lavori di Peter campus → riconoscono il potente narcisismo che spinge lo spettatore avanti e
indietro davanti al campo-muro. La condizione delle sue opere è di riconoscere come separate le
due superfici su cui sta l’immagine e di registrarle come assolutamente distinte:
➔ La recinzione narcisistica inerente al medium video diventa per lui parte di una strategia
psicologica per cui è in grado di esaminare la condizioni generali di pittoricità in rapporto ai
suoi spettatori;
➔ Può spiegare il narcisismo come una forma per mettere fra parentesi il mondo e le sue
condizioni, nello stesso grado in cui è capace di riasserire l’autenticità dell’oggetto contro il
carattere della spinta narcisistica.
DISPOSITIVI
Individuare alcuni problemi fondamentali che hanno stimolato gli artisti a servirsi di questo
medium.
Attraverso le sperimentazioni relativi ai dispositivi, il video ha contribuito più vivacemente allo
sviluppo di nuove concezioni dell’opera d’arte contemporanea.
Il video degli artisti comincia con FLUXUS → “un modo di vita, non un concetto artistico.”,
secondo Nam June Paik. Di spirito dadaista o zen, si manifesta essenzialmente in concerti,
happening, esposizioni, manifesti ecc.
➔ Avvenimenti che propongono relazioni diverse col pubblico;
➔ Qualunque cosa può sostituirsi all’arte e chiunque lo può fare.
Musica, arti plastiche, danza, poesia sono strettamente legate → il video partecipa a quasi tutte
queste correnti, sia che si chiamino arte concettuale, performance, Body art o Land art… si trova in
tutte le feste, coinvolto sotto tutte le etichette.
Frequentando la danza, la musica, le arti plastiche ecc., esso è d’un tratto impuro → viene sfidato a
provare la sua specificità e a procedere alla propria autodefinizione.
La percezione dell’opera, la sua esperienza da parte dello spettatore costituiscono una posta
decisiva. Approccio a cui gli artisti dell’arte detta minimale hanno contribuito in modo decisivo. Il
concetto dell’opera viene considerato l’elemento essenziale.
Modi di creazione come: PERFORMANCE e INSTALLAZIONE → dominare la produzione video.
Stretti legami con il teatro → esplorazione di nuovi rapporti con lo spettatore, sollecitato ogni volta
in modo diverso, o della messa in opera di altre logiche discorsive.
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ESPERIENZA DELL’OPERA/ESPERIENZA DI TEATRO
Arte in cui s’incrociano diverse discipline e soprattutto arte del tempo.
Robert Morris → “l’oggetto non è altro che uno dei termini della nuova estetica. Un’estetica che
sotto certi punti di vista non è più riflessiva, perché si viene ad avere maggiore coscienza del fatto
che esistano nello stesso spazio dell’opera di quanto non se ne aveva di fronte a opere precedenti,
con tutte le loro multipli relazioni interne. Ci si rende conto più di prima di quanto noi stessi siamo
impegnati a stabilire delle relazioni, mentre andiamo concependo l’oggetto a partire da posizioni
diverse e sotto condizioni variabili di luce e di spazio.”
L’installazione video → propone allo spettatore di spostarsi attorno/davanti/attraverso l’opera,
verificando a suo modo, come faceva l’opera minimalista, la teoria della relatività: “è l’osservatore
a cambiare continuamente di forma mutando la sua posizione in rapporto all’opera”.
L’esplorazione fisica è diventata il modo privilegiato della percezione dell’opera.
“opera aperta” → l’opera si presta a un0infinità di interpretazioni.
IL CONCETTO DELL’OPERA
Video → non può che essere procedimento, pura virtualità d’immagini. È un sistema di
rappresentazione, che si espone e definisce uno spazio concettuale sensibile, di riflessione e
percezione del tempo stesso.
Installazioni → mettono in moto tutto il corpo nella comprensione di una certa genesi
dell’immagine => diventano il luogo in cui il concetto e percezione possono pensarsi/esprimersi in
modo diverso.
IL DISPOSTIVO
Modelli narrativi, problemi di stile → le installazioni si sono impadronite dei modelli stessi della
rappresentazione per eluderli e rimetterli in gioco in modo diverso.
Ricerche compiute da un gran numero di film sperimentali.
L’installazione può “esporre” il processo stesso della produzione dell’immagine, perché lavora la
sua fiction in uno spazio reale.
Come l’oggetto d’arte minimale, l’immagine viene messa in situazione e non è più che un termine
in una relazione che coinvolge contemporaneamente: la macchina ottica ed elettronica, lo spazio
circostante o un’architettura specifica, il corpo del visitatore ripreso nell’immagine o semplicemente
coinvolto nella percezione del dispositivo.
I modelli che fondano le arti di rappresentazione in Occidente → vengono rivelati anzitutto da
giochi d’assenza, di dissociazione e d’attesa: privazione d’immagine, instabilità, sdoppiamento,
parziale recupero, distorsione.
➔ Questi modelli sono sottoposti a procedure di “disconoscimento” = procedure come il loro
reciproco incrocio.
➔ Dare alla visibilità quel che costituisce il visibile passa attraverso lo spostamento da un
sistema a un altro e attraverso sorprendenti ibridazioni.
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Inscatolamenti, integrazioni, rivolgimenti, sdoppiamenti, trasgressioni → avvengono tramite il
corpo, l’architettura, l’immagine e il tempo.
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Il divieto di vedere è letteralmente teatralizzato.
CORPO/IMMAGINE/ARCHITETTURA
Il privilegio dell’installazione video è di non cogliere soltanto lo sguardo del soggetto, ma di
coinvolgerlo globalmente mobilizzando tutti i suoi sensi.
L’installazione può negare l’architettura del luogo d’esposizione e abolire qualsiasi punto di
riferimento gettando la sala nell’oscurità.
L’architettura → gioca una parte essenziale nella concezione delle opere → essa è organizzazione
del visibile stesso, ne struttura le condizioni di percezione.
Ogni opera richiede l’elaborazione di uno spazio specifico, che comporta una certa esperienza
dell’immagine e del suono.
L’obiettivo è quello di produrre certi effetti sul comportamento del visitatore, di risvegliare in lui
sensazioni capaci a loro volta di stimolare in diversi interrogativi (Bruce Nauman → offre delle
resistenze al corpo umano, costringe il corpo in corridoi stretti).
La funzione dello spazio: luogo della finzione.
La posizione della camera impone fortemente la sensazione della sorveglianza.
Parecchie installazioni → permettono certi processi di delocalizzazione, di scambio, o magari di
integrazione.
SINTESI IN GESTAZIONE
Il video → si rivela un luogo privilegiato in cui si lavorano passaggi e riprese, uno spazio di
trasformazioni, una cerniera critica che mescola una molteplicità di modelli.
Le installazioni video → da parte loro hanno attivato la mobilità del punto di vista che non riguarda
più solo l’immagine ma anche lo spettatore, impegnato obbligatoriamente in un percorso.
La concezione di uno spazio tridimensionale di sintesi → ci proietta oggi all’interno d’un teatro
virtuale in cui si trova simulata un’incredibile mobilità dell’”osservatore” nello spazio.
Lo sguardo → viene anzitutto attivato e il corpo → di nuovo sprofonda in uno stato di sotto-
motorietà relativa.
Il lavoro videografico → mette soprattutto in evidenza il fatto che ormai non è più possibile pensare
la rappresentazione solamente in termini di immagine. Essa si concepisce come un sistema, un
procedimento al tempo stesso tecnico, sensibile e mentale.
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LE INSTALLAZIONI MULTIMEDIA: COME METTERE IN
GIOCO LO SPETTATORE
L’ARTE DELLO SCONFINAMENTO
Anni Sessanta-Settanta, Bruce Nauman → “Non sembrava ci fosse nessun problema a usare
differenti tipi di materiali. Sembrava molto anticonvenzionale usare differenti modi di esprimere
idee o presentare materiali.”
Il programma delle avanguardie → oltrepassare i limiti fra arte e non arte => ha modificato
enormemente i modi di produrre e di fruire l’arte.
Nauman → il suo lavoro viene fuori dalla frustrazione sulla condizione umana, e su come le
persone si rifiutano di comprendersi reciprocamente.
Fluxus, Joseph Beuys → pratica di contro-informazione un’operazione artistica, coinvolgeva tutti i
movimenti del secondo dopoguerra, fra cui quello “minimale” → focalizzava l’attenzione sulla
percezione e la relazione che lo spettatore ha con l’opera, e quello “concettuale” → contribuì a
rimuovere le categorie di oggettualità, unicità, originalità.
L’opera di arte ha perso le qualità che storicamente l’hanno identificata.
Molti artisti → privilegiano l’immediatezza e la semplicità dei processi costruttivi, l’adozione di
soluzioni tecnicamente più facili (la fotografia anziché la pittura, ad esempio), l’accettazione
dell’errore come elemento di stile (il fuori sincrono nei film e nei video di Nauman).
Performance di Body-art → il corpo diventa un materiale da manipolare, interscambiabile con un
robot, una forma utilizzata per la sua riconoscibilità.
L’oggetto trovato, la ripresa in diretta della televisione e del video (in cui qualcuno o qualcosa è
presente qui e ora nella sua autenticità e immediatezza) → segnano il nuovo corso dell’arte come
presentazione.
Video → “è un sistema di rappresentazione che si espone e definisce uno spazio concettuale
sensibile, di riflessione e percezione del tempo stesso.”
Installazione → appare come fase di sintesi di un processo iniziato con la scultura moderna che ha
incorniciato e al quale non è stata estranea la musica elettronica, l’happening, la nuova danza e il
nuovo teatro.
Installazione → dimora in cui le pratiche artistiche del Novecento si sono incontrate → luogo in cui
lo spettatore ha contemporaneamente accesso all’azione e alla visione; alla purificazione e al
bombardamento percettivo.
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Scultura moderna → integrato ambiente e figura umana. Fa sì che non si sia più la rappresentazione
del corpo, ma lo spettatore stesso, una persona reale, che esplora autonomamente lo spazio
costituito e allestito per lui.
Il senso della continuità fra il mondo dello spettatore e quello dell’opera → riproduce un
environment quotidiano, dove però lo spettatore non si sente affatto rassicurato, perché è
l’espressione di un mondo reificato, invaso di oggetti che lo sovrastano con la loro serialità e
uniformità.
I tratti propri della scultura moderna:
- Interscambiabilità fra oggetto e figura umana;
- Presenza attiva dell’osservatore nello spazio plastico visivo acustico e praticabile che
l’artista ha costruito per lui;
- Meccanizzazione e serializzazione della produzione artistica per cui si mette in crisi il
rapporto fra attività psichica e rappresentazione → e si spoglia l’opera dei suoi tratti
simbolici, emotivi e psicologici.
Nel momento in cui l’artista rinuncia a costruire con le sue mani l’opera e si limita a scegliere e a
prelevare uno fra i tanti oggetti della vita quotidiana → si deresponsabilizza non solo la’utore ma
anche l’osservatore => in quanto l’opera non gli richiede più un lavoro di interpretazione e
decodifica a livello formale e compositivo.
Tagliare la via di comunicazione autore-spettatore ha portato a un processo di depersonalizzazione
nell’arte.
STARE FRA
L’installazione multimediale si comprende nell’alveo di quelle forme aetistiche basate sul
LIVENESS → arte dello spazio e del tempo, evento irripetibile.
I tratti “teatrali” delle installazioni si ritrovano nella spazializzazione del tempo e temporalizzazione
dello spazio e nella struttura drammatica per cui lo spettatore ha esperienza di qualcosa che
inaspettatamente succede.
Tale dominanza del dispositivo teatrale, aveva destato le preoccupazioni e la fiera opposizione da
parte dei critici “puristi”.
Michael Fried → l’arte è teatrale, e in quanto tale è la negazione dell’arte: la salvezza dell’arte
moderna consisterebbe nella sua capacità di sconfiggere la teatralità, perché “l’arte si corrompe ogni
qualvolta si avvicina alla condizione di teatro.”
È INVECE TEATRO TUTTO CIO’ CHE “STA IN MEZZO, FRA LE ARTI.”
Rispetto a questa tesi, l’arte minimale → è caduta in una zona di nessuno: “lo stare fra” è
condizione specifica del teatro, quindi l’arte giace fuori dai propri confini, è teatrale:
➔ Teatrale in questa sfera significa → cogliere l’opera come processo e attività mentale in cui
la dimensione spazio-temporale diventa parte costruttiva del suo esperirsi.
Rosalind krauss → la sua tesi è che => il teatro ha posto alla scultura moderna nuove domande che
hanno contribuito a rinnovare il suo statuto: “cosa è l’oggetto, come ne veniamo a conoscenza e
cosa significa per noi.”: situazione intricata e difficile da schematizzare.
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L’ESEMPLARE ATTIVITA’ DI BRUCE NAUMAN (CON I NUOVI MEDIA)
A partire dai primi anni Settanta, Nauman ha incominciato a costruire ambienti specifici che
coinvolgevano e richiedevano la messa in azione di un altro da sé: lo spettatore.
Estetica strumentalista → il tempo “riempie uno spazio” (Andy Warhol e Phil Glass).
I titoli delle opere di Nauman → vere e proprie frasi in cui il verbo è al presente continuo, a indicare
la natura processuale dell’azione registrata, funzionano come una sorta di anticipazione verbale di
ciò che la foto, il film o il video farà vedere in immagine:
➔ Il titola sta in un rapporto di simmetria con l’opera nella prospettiva per cui fare e dire sono
indipendenti, avendo la stessa valenza e incidenza, perché il linguaggio equivale all’azione.
Qual è la soglia fra dimensione pubblica e privata connessa alla pratica artistica? Cos’è che
trasforma un’azione in opera?
➔ Questa speculazione porta Nauman a lavorare sull’ambiguità fra spazio fisico e spazio
psichico: il dentro è il fuori e il fuori è il dentro.
Nauman tende a eliminare dall’opera i dati soggettivi e psicologici per cui tratta il corpo umano
come un oggetto, lo seziona, lo frammenta, inquadrandone solo delle parti e censura il volto
riprendendo la persona solo di spalle → → sono procedimenti volti a ridurre la presenza di sé a
“immagine di una figura umana” resa in modo astratto.
Depersonalizzazione dell’opera e dell’attività artistica.
L’astrazione della figura umana e la reciprocità che si instaura fra oggetto e persona, sono processi
paralleli all’indebolimento del ruolo dell’artista, autore dell’opera e alla perdita di tratti stilistici e
compositivi immessi nell’opera dall’autore e concorrono ad accorciare sempre di più le distanze fra
ruolo dell’autore e ruolo dell’osservatore dell’opera.
Ciò che rende artistica l’attività → serietà, rigore, dedizione e ostinazione che viene profusa
dall’artista nel compierla.
Ridefinizione del ruolo dell’autore come spettatore => e come spettatore nel ruolo dell’autore si
gioca l’ambiguità, le contraddizioni, le mistificazioni dell’arte della seconda metà del Novecento e
l’installazione catalizzata su di sé massimamente queste istanze.
Nauman → attivare lo spettatore, farlo diventare elemento e materia compositiva dell’opera stessa e
del suo procedimento costruttivo → metterlo in condizione di sperimentare direttamente il percorso
pensato e messo in atto dall’artista, inscrivendolo in un tracciato prefissato → → la possibilità che
lo spettatore intervenga a suo piacimento nella struttura dell’opera non è contemplata.
➔ NON PERMETTERE ALLE PERSONE DI PORDURRE LA PROPRIA PERFORMANCE
PARTENDO DALLA SUA ARTE. NON SI FIDA DELLA PERTECIPAZIONE DEL
PUBBLICO;
➔ “Il problema con questo tipo di approccio è quello con cui si trasforma l’arte in un gioco.
Ritengo che questa sia un’idea pericolosa, c’è un tipo di logica e di struttura nella pratica
artista che si potrebbe associare a quella del gioco. Ma partecipare a un gioco non coinvolge
nessuna responsabilità, mentre ritengo che essere un artista coinvolga una responsabilità
morale. L’arte è una sorta di trucco che implica un sovvertimento delle regole o addirittura
tirarsi fuori dal gioco per cambiarlo.”
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LE INSTALLAZIONI OPERA-PROCESSO, OPERA-PROIETTILE
Lo spettatore delle installazioni multimedia intrattiene con l’opera un rapporto multidimensionale e
dinamico → privilegiare la percezione ottico-visiva a quella multisensoriale e sinestetica.
Nel passaggio da scultura a installazione è diventato fondante il ruolo dello spettatore nello spazio-
tempo, ambiente visivo e sonoro costruito per accoglierlo e, contemporaneamente → l’esperienza
del tempo diventa costitutiva del darsi dell’opera.
Queste opere esistono solamente nella durata della loro esperienza, nel qui e ora della loro
attualizzazione. Lo spettatore si trova in uno spazio con cui deve interagire secondo modalità da
scoprire.
La stessa cosa è accaduta con le immagini → nelle installazioni multimedia, nelle installazioni
multimedia, navigano liberamente nello spazio, per cui lo spettatore diventa un flaneur (= colui che
vaga senza una direzione precisa), condizione questa del soggetto contemporaneo:
➔ La sua ricezione si fonda sulla percezione tattile anziché su quella ottica, su sguardi
occasionali anziché sulla contemplazione frontale dell’opera, non essendo lui stesso a
indirizzarsi verso l’opera.
Installazioni → ambienti totali → → lo spettatore è il soggetto dell’interazione multimediale e
spaziale.
Per l’installazione il contesto è più importante rispetto al testo. Non si tratta più di “esporre
un’opera”, né di interpretarla, quanto di attualizzare un’opera-evento in movimento la cui
esperienza è incomunicabile.
Le installazioni multimediali hanno qualcosa in comune con lo spettacolo dal vivo (liveness):
- Vanno riallestite di volta in volta;
- Hanno un’esistenza in nuce (= in progetto);
- Accentuano il tratto dell’evento dell’eventuale → una performance che diviene spettacolo
per altri.
La performance che Nauman ha previsto per lo spettatore è obbligata. Nel caso invece dei
videoambienti interattivi di Studio Azzurro lo spettatore ha una libertà d’azione perché può variare
il tipo di movimento, il ritmo e la durata.
DI UN ALTRO CINEMA
Antonioni.
Bill Viola decide di intitolare: “Slowly Turning Narrative” → una delle sue installazioni più forti:
➔ Due immagini proiettate su uno schermo rotante, di cui una delle due facce è uno specchio;
➔ Lo spettatore riflesso nello schermo/specchio, si incorpora al dispositivo.
Perché una parola così forte, “Narrative”? Narrazione, racconto, relazione, storia, fiaba? E perché
un racconto che gira? E lentamente? È per differenziarsi dal cinema che questo dispositivo designa
a modo suo il cinema, quel racconto per immagini che non ruota alla stessa maniera?
BIENNALE DI VENEZIA 1999 → RICCA DI INSTALLAZIONE DI TUTTI I TIPI:
➔ Si tratta di descrivere un’esplosione secondo cui quello che si crede sia, o sia stato il
cinema, si trova in ogni caso distribuito, trasformato, reinstallato, mimato;
➔ Queste installazioni ereditano dal cinema la sua vocazione primigenia a raccontare e
documentare, e ad essere fortemente legato alle cose cosiddette reali del mondo;
➔ Rielaborano più o meno delle figure che i film hanno formalizzato come specifiche della
propria forma d’espressione;
➔ Inglobano il cinema in una storia che esse stesse travalicano;
➔ Storia di installazioni che si intreccia con la storia della camera oscura e della proiezione.
Il gran numero di installazioni che vediamo può sembrare l’effetto di un rivendicato stato di crisi
interna al cinema, oppure anche come difficoltà interne al sistema dell’arte contemporanea, di cui
queste installazioni rappresentano senz’altro la parte più vivace.
TONY OURSLER → reinvenzione della proiezione. Inventa una specie d cinema metafisico e
sociale ma anche parziale e permanente, in preda agli affanni di una miniproiezione generalizzata.
L’essere che guarda non è più uno spettatore, neppure flaneur. Ha bisogno della folla, quella vera, e
la strada non è il Salon. L’opera fissa colui che potremmo chiamare visitatore (non c’è una parola
pertinente per fissare le variazioni di questo spettatore frammentato, dissolto, intermittente e
sballottato).
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La scenografia di una vita, in poche parole.
Mettere in relazione le tre proiezioni:
1) Prima: sembra composta dai passaggi di paesaggi del secondo;
2) Secondo: parla del terzo;
3) Terzo: cerco l’eroina nella sua vita familaire.
Questa scenografia sembra esplodere dall’interno sotto la pressione di una serie di immagini mixate.
Interattività certa → limitata ma più obbligata e più viva di quella che si prova al cinema. Siamo in
UN ALTRO CINEMA.
Pipilotti Rist ha concepito un ulteriore e terzo gesto che ripresenta a seconda delle capitali dove
reinstalla il suo “Remake of the Week-end” (descrizione interminabile).
Tutto diventa possibile con lo spazio di proiezione → l’habitat “reale” tocca il cinema da un punto
di vista inatteso. Se la proiezione si estende a tutto, se tutto diventa schermo, allora il corpo stesso
diventa il luogo di questa espansione frenetica.
Corpo → attraverso cui il visitatore, se avesse camminato sull’immagine proiettata al suolo, sarebbe
come stato inghiottito dalla bocca spalancata dell’eroina, sempre Pipilotti, che sembra andargli
incontro. Un corpo esplorato dalla telecamera.
PIU’ STANZE
Venezia → Doug Aitken: più sale per raccontare una storia.
Otto immagini-schermo disposte sulle pareti lungo il percorso dei quattro spazi → “Electric Earth”,
interpretata da un attore-eroe, il giovane di colore Ali Johnson, racconta o espone i tragitti, fisici e
senza dubbio mentali.
Aitken ha vinto il Leone d’oro per “Electric Earth”, ha cominciato con la pubblicità e clip musicali.
Si dice prossimo al cinema. Ha presentato alcune sue opere anche come monocanale loop, ma
sempre più come installazioni. “Eraser” → mostra bene come si costruisce un processo che mette in
scena la finzione di uno sguardo documentario, attraverso l’utilizzo di uno spazio.
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UNA O PIU’ IMMAGINI
Sam Taylor-Wood → “Travesty of a Mockery”: rimettere in scena una delle più grandi scene della
storia del cinema, la scena del mènage a cui Rossellini e Godard hanno dato la sua ampiezza
moderna. La forza del dispositivo è che il suo simbolismo troppo semplice prende come bersaglio la
separazione fra le inquadrature, materia in cui il cinema crede di poter dettare legge.
Sam Taylor-Wood → tre pareti, un’immagine per parete, riservando la quarta allo spettatore
(“Atlantic”):
➔ Il dispositivo è semplice, perfino troppo, tuttavia terribilmente intelligente: non si smettono
di immaginare, non solo le combinazioni possibili fra queste tre inquadrature simbolo del
montaggio cinematografico, ma anche le scelte intermedie che richiamano, le possibili
variazioni di proporzioni e di figure che inducono.
CAMPO-CONTROCAMPO
In entrambi casi è il campo-controcampo, la figura principale dell’identificazione reciproca fra due
personaggi del cinema, che si trova ridisegnata ed interrogata.
Questa relazione di scarto a specchio fra due inquadrature → l’installazione tende teoricamente ad
affrontarla attraverso la divisione unitaria dei suoi spazi ed il paradosso dei suoi dispositivi.
Doppio schermo-specchio rotante di “Slowly Turning Narrative” → due inquadrature, o successioni
di inquadrature, che contrastano tematicamente sono proiettate in alternanza sue due pareti opposte
della stanza, dando luogo così ad una sorta di montaggio parallelo “spostato”.
Questa equivalenza contratta del montaggio parallelo o alternato caro al cinema può anche
estendersi, suggerito da un altro tipo di violenza.
“Turbulent” Shirin Neshat → la forza consiste nel tenere il visitatore tanto nella successione quanto
nella simultaneità. Si può immaginare che l’altro cinema stia cercando di inventarsi un equivalente
di quello che cercava Griffith nei suoi grandi parallelismo e di cui “Intolerance” sarà l’atto
definitivo.
Uno dei buoni critici francesi del momento, piuttosto scettico su questo via vai fra cinema e
installazioni. Oggi la vicinanza delle discipline obbliga a delle messe in relazione che sfuggono.
Se il campo-controcampo elaborato nelle installazioni affronta nelle sue differenti forme una
finzione che ha evidentemente a che fare con quella del cinema, è il suo dispositivo che si trova
sempre affrontato da coloro che lo reinventano e lo decostruiscono.
È la forza dell’idea, sottile ma intensa della sua installazione nella stessa Biennale veneziana,
“Through a Looking Glass”. Basta scegliere bene un istante della famosa scena Taxi Driver dover
Robert DeNiro gioca ad affrontarsi con una colt di fronte ad uno specchio, e proiettare questo
astratto in loop ma due volte, faccia a faccia ed in modo sfasato, sulle pareti di una grande sala nera.
È questo il legame che l’installazione mette a nudo: accordo discordante fra due immagini sentite
come identiche e tuttavia diverse, ma che non si possono vedere insieme.
È il proposito della finno-americana Lisa Roberts → nella sua installazione-film “To drive an
Approach” lo specchio ne è l’emblema, due scene reversibili proiettate faccia a faccia, sue due
piccoli schermi sospesi.
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Le immagini si oppongono e si completano.
Ogni visitatore contribuisce a produrla: la proiezione s’interrompe ogni volta che si entra nella sala;
riprende non appena già più vicini delle due immagini fra cui ci si ferma, non si può più vederle
insieme, né fisicamente né psichicamente.
EIJA-LLISA AHTILA
L’interesse tutto speciale di questa artista finlandese è nel tentare di non credere più all differenza
fra installazione e film, museo, televisione o cinema.
“Today” → è “un cortometraggio” e un’installazione video formata di tre episodi. È destinato ad
essere presentato in televisione, nei cinema e nei festival cinematografici, ma altrettanto nelle
gallerie d’arte e nei musei.”
Oppure “Me/Way, Okay, Gray” → tre brevi racconti audiovisivi/produzioni cinematografiche. I
film sono mostrati sia come opere indipendenti, fra i trailer al cinema, sia sui diversi canali
televisivi, fra la pubblicità e i programmi.
Visitare una mostra di Athila significa => sottoporsi ad una serie di spostamenti sottili che fanno
dubitare colui che guarda della propria identità.
“Consolation Service” → è un film che racconta sui suoi due schermi la difficile storia della
separazione di una coppia con un bambino. I suoni, i dialoghi sono identici fra i due schermi, solo
l’immagine cambia di continuo. Bisognerebbe approcciare attraverso i dettagli tutte le implicazioni
dello strano supplemento che genera il doppio schermo rispetto alla percezione, all’identificazione e
all’emozione.
L’EFFETTO PIU’ INTENSO HA A CHE FARE CON IL RICORDO.
Raymond Bellour → vivono in lui dei corpi cinematografici confrontabili a quelli dei tanti altri
corpi più o meno destinati ad abitarlo a seconda della pregnanza del film, e che in questo caso vede
come parte pregnante un dispositivo anomalo.
Il racconto ritorna e va al cinema con una memoria determinata ed integra i suoi tempi passati in un
unico tempo, avendo la virtualità dell’immagine-cristallo.
Il desiderio dell’installazione si serve anche del desiderio di cinema per minarlo.
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- LA PARETE: è una delle più antiche figure del video;
- LA STANZA: la camera chiusa e buia può diventare il luogo dove avviene l’esperienza,
poiché mima più di altri spazi l’esordio del cinema, attraverso gli spostamenti e i
traversamenti che abbiamo visto.
La parete di fondo da cui parte la proiezione non ha certamente il mistero di una vera cabina
di proiezione vietata allo sguardo dello spettatore.
La stanza può accogliere delle proiezioni ambientali che restituiscono l’immagine in
maniera nuova e diversa, continuando allo stesso tempo a mettere in gioco dei drammi e dei
luoghi suscettibili di storie → contrariamente alle polifonie speculativo-tematiche delle
stanze di Bill Viola;
- LA PROIEZIONE: l’immagine sta anche nella distanza incerta della sua proiezione, la
grande proiezione frontale su un solo schermo di un’unica immagine. Nell’altro cinema è
dunque l’immagine stessa che può o intraprendere la propria trasformazione, a
autodistruzione, oppure trasformare la sua potenza di fascinazione.
Si può anche reinventare il cinema, un altro cinema, a partire da altri mezzi → nulla di più
pertinente di “Photograph”, una delle ultime installazioni di James Coleman.
Ci si lascia andare sino a pensare che uno dei buoni critici cinematografici del momento non abbia
ragione e che l’arte delle installazioni, quest’altro cinema, possa non solo avvicinarsi al cinema ma
anche sovrapporcisi uguagliandolo.
Diventa il tremore della vita, trasfigurata. Questa veduta della laguna anima insensibile, lungo una
serie di dissolvenze quasi invisibili, lungo il tempo accelerato, al ritmo ora interminabile ora
sincopato di tutto quello che si affaccia all’inquadratura, come in una visione variabile, cattedrali e
deserti di Monet riprese in un blocco unico. Il tempo che una notte rossa e nebbiosa cada a filo
dell’acqua e che lo spettatore non sappia veramente più chi è.
(metafora dell’“altro cinema” con Venezia)
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