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ISTITUTO EUROPEO DI DESIGN Milano – Interior Design

A.A. 2020/21
STORIA DELL’ARTE – LABORATORIO 1
Primo anno – Sezione B
Valentina Guglielmetti & Alessandro Santini

LA VIDEOARTE E NUOVI MEDIA

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SOMMARIO
INTRODUZIONE.................................................................................................................................................. 2
MOVIMENTO FLUXUS ........................................................................................................................................ 3
LA VIDEOARTE ................................................................................................................................................... 5
LA VIDEOSCULTURA........................................................................................................................................... 7
LA NET-ART ........................................................................................................................................................ 7
TONY OURSLER .................................................................................................................................................. 8
COLLABORAZIONE CON DAVID BOWIE ........................................................................................................... 11
OPERA DELL’ARTISTA: LAPSED C ..................................................................................................................... 12
LINEA DEL TEMPO (1900-2020) ....................................................................................................................... 13
GLOSSARIO ...................................................................................................................................................... 14
RIFERIMENTI: ................................................................................................................................................... 14

INTRODUZIONE
Per coloro che si affacciano per la prima volta a questo argomento è importante chiarire il
significato di questa parola. Il termine videoarte (coniato dal mercato dell'arte newyorkese) segue
cronologicamente la definizione di Nam June Paik, che intitolava una sua personale del 1968 a New
York Electronic Art, dando una prima definizione riguardo all’utilizzo del mezzo video, in
particolare in questo caso corrispondente all'uso di televisori.
In generale la videoarte è una forma d’arte che sfrutta apparecchiature televisive, siano esse
televisori, videoproiettori o ancora display sia come strumenti e supporti per la creazione di
installazioni artistiche sia come mezzi per la fruizione delle stesse. La videoarte è quindi la forma
d’arte che più dipende dalla tecnologia e dal suo avanzamento in quanto i supporti utilizzati dagli
artisti per le proprie creazioni ne sono il diretto risultato. Ciò l’ha resa un fenomeno estremamente
vivace, in quanto negli ultimi 60 anni lo sviluppo tecnologico è stato rapido e inarrestabile tanto da
cambiare radicalmente la società.

La nascita della videoarte è legata in particolare al movimento Fluxus, un incontro tra artisti
provenienti da diverse discipline e da diversi paesi che ha dato vita ad una corrente dinamica ed
eterogenea. Proprio all’interno del movimento infatti sono riflessi i tre elementi attraverso i quali
possiamo comprendere la nascita della videoarte. Il primo elemento è rappresentato dal moto
rivoluzionario che attraversò tutte le forme d’arte a partire dal primo novecento. Le avanguardie
storiche come Astrattismo, Cubismo, Futurismo, Dadaismo, Surrealismo nate all’inizio del 900 fra
la Russia, l’Italia, la Francia, la Svizzera e la Germania rappresentano infatti il primo abbandono di
una forma d’arte avvertita ormai come tradizionale e non al passo con la contemporaneità a favore
di un’arte spesso dichiaratamente rivoluzionaria e ancor più spesso fortemente contaminata dai
frutti dell’avanzamento tecnologico e dalla società che la circonda. Una forma d’arte che si
allontana dalle singole forme espressive per intraprendere una collaborazione fra diverse discipline
artistiche, che difende il nonsense e il diritto dell’artista di non dover esprimere alcun messaggio,
che vede la realtà fenomenica come una superficie illusoria all’interno della quale trovare differenti
modalità di rappresentazione. Possiamo quindi dire che la videoarte è la diretta succeditrice di
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queste avanguardie in quanto proprio come esse unisce diverse forme espressive per cercare nuove
modalità di rappresentazione e fruizione delle opere d’arte. Il secondo elemento in cui si deve
rintracciare la nascita della videoarte è lo sviluppo tecnologico. Infatti se le avanguardie all’inizio
del 900’ furono strettamente legate al contesto in cui nascevano lo stesso avvenne per la videoarte.
Questa trovò nell’inarrestabile sviluppo tecnologico che caratterizzò la seconda metà del 900’ il
fenomeno principale con cui stringere un legame. La nascita della televisione rappresentò infatti una
nuova fonte da cui attingere per la creazione di opere d’arte. Nelle fasi più precoci, durante le quali
la televisione si avvaleva per la totalità della diretta si utilizzò lo schermo o per installazioni in cui
venivano proposte immagini in diretta o utilizzandolo
esso stesso come elemento artistico. In un secondo
momento con l’avvento delle immagini registrate e
ancora più avanti della computer grafica lo schermo
divenne il mezzo per trasmettere immagini già lavorate e
modificate che andarono a rendere le installazioni più
complesse e interattive. Possiamo quindi affermare che la
nascita della televisione e quindi di un supporto che
permette la fruizione di immagini e non più solo di suoni
come la radio, permise di segnare una vera e propria Nam June Paik, Electronic Superhighway:
rivoluzione rispetto al passato per quanto riguarda la Continental U.S., Alaska, Hawaii, 13 dicembre 2012,
Smithsonian American Art Museum
creazione e la fruizione dell’arte in generale.
Il terzo elemento fu il cinema sperimentale in quanto tutte le conoscenze in materia di immagini di
cui beneficiò la videoarte sono il frutto delle sperimentazioni di coloro che facendo film per primi
sperimentarono queste nuove forme di trasmissione e di comunicazione. In particolare la videoarte
mutò da quest’ambito sia quelle conoscenze riguardanti la manipolazione delle immagini, in diretta
o registrate, in bianco e nero prima e a colori poi, sia la correlazione di queste con eventuali suoni
anch’essi in diretta o aggiunti durante la post-produzione.
Questa forma d’arte ha, come abbiamo capito, varie sfaccettature a seconda di quelli che sono i
supporti utilizzati: conosciamo infatti la videoarte ovvero installazioni artistiche che attraverso
schermi o altri supporti video hanno lo scopo di far immergere lo spettatore in una realtà alternativa.
Vi è poi la video scultura ovvero produzioni artistiche caratterizzate dalla presenza di opere
scultoree siano esse il risultato della proiezione di immagini su supporti come le statue o elementi
tecnologici che cambiando la propria destinazione d’uso entrano a far parte di una scultura. Infine
conosciamo la Net Art, ovvero una forma d’arte che utilizza la rete come supporto, come strumento
e come canale di fruizione per la produzione artistica.

MOVIMENTO FLUXUS
La nascita della videoarte è strettamente legata come abbiamo detto al
movimento Fluxus, il cui connubio tra musica, danza, poesia, cinema e le
altre forme d'espressione combinato all'interazione fra culture del vecchio e
del nuovo continente hanno dato vita a performances stupefacenti che hanno
lasciato interdetto il pubblico prima di conquistarlo. In particolare possiamo
individuare il nocciolo fondante del movimento in un gruppo di folli artisti,
giovani e rivoluzionari, amanti di Duchamp e legati da un certo
approccio Dada nei confronti dell’arte e della vita, uniti intorno alla figura
di John Cage, e guidati da un architetto lituano di nome George Maciunas.
Gli artisti di tale movimento esprimono la casualità e la quotidianità delle
cose: essi infatti non si basano sullo studio di oggetti privilegiati o sacri ma George Maciunas
Duchamp, 1931-1978

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rappresentano l’arte attraverso un concetto ludico, abbandonando i
valori estetici per concentrarsi su Humor e Non-sense.

Fluxus era uno spirito ribelle nei


confronti della commercializzazione
imperante del mercato dell’arte e
dell’ideale borghese di opera d’arte.
L’intento era quello di integrare
l’espressione artistica nella vita di ogni
singolo. Le sue radici risiedevano
nel Dada, nel Futurismo e
nel Surrealismo ed in generare nelle
avanguardie che erano nate durante il
900, all’interno delle quali erano state
gettate le basi per un certo
Manifesto movimento Fluxus, atteggiamento irriverente nei confronti
Dusseldorf, Germania, 1963 dell’ordine precostituito, unito a quello
spirito giovanile della controcultura che andava diffondendosi
soprattutto negli USA negli anni ’60. Le origini di Fluxus possono Charlotte Moorman, 1933-1991
essere rintracciate in molti dei concetti espressi dal compositore statunitense John Cage e nella sua
teorizzazione della musica sperimentale degli anni cinquanta. Cage infatti pianificò una serie di
categorie di Composizioni Sperimentali che iniziarono tra il 1957 ed il 1959 presso la New School
for Social Research di New York, che esploravano le nozioni di "indeterminatezza" nell'arte. Altre
influenze importanti possono poi essere ritrovate, come sopra accennato, nel lavoro di Marcel
Duchamp, che coniò il termine anti-arte nel 1913 assieme ai primi ready-made, una serie di opere
create esponendo e decontestualizzando una serie di oggetti della quotidianità, negando quindi di
fatto la necessità dell'abilità tecnica come veniva intesa nelle Arti Visive tradizionali. Un esempio
famoso tra i suoi ready-made è Fontana, un’opera mai esposta in pubblico e successivamente andata
persa. Fluxus era anche, anzi sopratutto, un atteggiamento corporativo e collettivo. Ovviamente
anche gli appartenenti al gruppo Fluxus dovevano poter trarre un
guadagno dalla propria attività così da renderla una fonte di redito
stabile e per permetterne la continuazione. Per far ciò pur andando
contro alla mercificazione dell’arte decisero di commercializzare le
proprie opere mediante i Fluxkits, produzioni multiple che venivano
commercializzate sotto il nome collettivo di Fluxus, che facevano di
economicità e produzione in serie le due parole chiave. Fluxus volle
dire quindi anche fuoriuscita dai luoghi usuali dell’arte quali gallerie e
mostre, e più in generale dal sistema arte complessivamente inteso.
Fluxus fu la violoncellista Charlotte Moorman che ha collaborato con Fontana di Marcel Duchamp,
Paik in una serie di spettacoli musicali, tra cui quello in cui l’artista fotografia di Alfred stieglitz

suonava il TV Cello (1971). Paik aveva posizionato le corde dello strumento su una pila di tre
televisori in cui le diverse forme e dimensioni rispecchiavano le forme dello strumento reale.
Fluxus fu Yoko Ono, la più nota del gruppo per via della relazione con John Lennon. Nel 1960
l’artista tenne nel suo studio al centro di New York, Chambers Street, con la collaborazione di La
Monte Young, una serie di eventi di artisti, ballerini, musicisti e compositori. Lo studio di Ono
sarebbe diventato un centro di lavoro nuovo, innovativo e sperimentale. Nel 1964 Ono debuttò con
una delle sue performance di maggior successo, Cut Piece: seduta sul pavimento con un paio di
forbici davanti a lei, istruì il pubblico a prenderle a turno per tagliare un pezzo del suo
abbigliamento.
Fluxus “fu” perché il suo fondatore morì di cancro nel 1978 all’età di 46 anni. Perché tante e troppe
erano le differenze di quel gruppo folle ed eterogeneo che si era radunato intorno a lui. Fluxus fu
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una bella utopia, a cui chi scrive ha creduto davvero. Un’utopia
che ribaltava, scardinava e attaccava l’arte per come era intesa, in un atteggiamento eternamente
giovanile di guardare alla vita
L’esponente forse più conosciuto e importante del gruppo Fluxus fu Nam June Paik, artista di
origini coreane, considerato il progenitore della video arte e tra i primi a fare arte con televisori e
videocamere. Queste tecnologie, che all’inizio erano solo il frutto di una sperimentazione divennero
ben presto il nucleo delle sue sculture e del suo modo di intendere l’arte.
Fluxus andò però a sciogliersi quando il suo fondatore morì di cancro nel 1978 all’età di 46 anni.
Tante e troppe erano infatti le differenze tra i membri di quel gruppo folle ed eterogeneo
che ribaltava, scardinava e attaccava l’arte per come era intesa, in un atteggiamento eternamente
giovanile di guardare.

LA VIDEOARTE
Possiamo identificare nella seconda metà degli anni sessanta il momento della nascita della
videoarte. Nel 1963 Nam June Paik realizza Exposition of Music-Electronic Television, considerato
oggi il primo atto concreto di pratica della videoarte. La svolta decisiva ed il conseguente
riconoscimento ufficiale di questa nuova sperimentazione artistica arrivarono però solo
nel 1968 con la mostra curata da Pontus Hulten al MOMA di New York dal titolo “The machine as
seen at the end of the mechanical age”, la quale segna il passaggio dall'epoca della macchina a
quella della tecnologia. In questa mostra Nam June Paik utilizza per la prima volta un
primitivo videoregistratore e nello stesso anno, dall'altra parte dell'oceano, all'Institute of
Contemporary Art di Londra Jasia Reichardt realizza insieme ad un esperto di tecnologia ed uno
di musica il progetto espositivo “Cybernetic serendipity” la cui caratteristica principale, di cui
vengono avvertiti anche i visitatori, è che non avrebbero capito con facilità se le opere erano state
realizzate da un artista o da uno scienziato
Per quanto riguarda le forme sotto cui è apparsa la
videoarte la videoinstallazione è la modalità comparsa per
prima nell’ambito di questa forma d’arte. Questa consiste
nell’utilizzo di televisori e schermi per la diffusione di
immagini. Possiamo individuare in questa modalità tre
grandi fasi caratterizzate da determinati utilizzi dello
schermo: la videoarte delle origini, la videoarte che utilizza
immagini registrate e la videoarte interattiva. La prima fase
è quella degli albori della videoarte ed è caratterizzata da
un utilizzo ancora molto arcaico dello strumento schermo
in quanto, come abbiamo detto, lo sviluppo di questa forma
d’arte segue quello della tecnologia. La televisione fu
inventata già a partire dagli anni 30 ma vista la complessità Wolf Vostell, Das schwarze Zimmer, 1958.1959,
di questo strumento e allo stesso tempo l’elevato costo, fu Berlinische Galerie – Landesmuseum fur Moderne
Kunst, Fotografie und Architektur
solo a partire dagli anni 50 che si diffuse diventando il
mezzo di comunicazione più diffuso ed utilizzato fino
all’avvento del computer e di internet. Ovviamente la televisione di allora era molto diversa da
quella che conosciamo oggi in quanto vi erano pochi canali, i quali trasmettevano solo in
determinate ore del giorno al contrario di oggi in cui la programmazione copre l’intera giornata.
Inoltre a cavallo tra gli anni 50 e gli anni 60 del secolo scorso, la televisione sfruttava per la sua
totalità la diretta e ciò, unito al fatto che le immagini erano ancora in bianco e nero, ne limitò
moltissimo gli utilizzi. In ogni caso questo strumento risultò molto affascinante per alcuni artisti che
intuirono le potenzialità che questo strumento aveva. Si poteva infatti semplicemente accendere la
televisione per ricevere un segnale video dando così vita a delle installazioni che non avevano limiti
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di tempo, e allo stesso tempo mutavano continuamente in funzione del segnale trasmesso.
I primi videoartisti decisero così di esporre dei televisori sui quali erano trasmessi programmi
qualsiasi. In alcuni casi addirittura il solo schermo grigio della TV accesa, il messaggio riguardo
all’assenza del segnale o ancora determinate grafiche modificate o meno rappresentavano un’opera
d’arte. Si pensò poi di cambiare o modificare la fonte delle informazioni trasmesse sullo schermo.
Quindi si utilizzarono i primi video mixer per alterare le immagini trasmesse e proporre così sullo
schermo suoni e immagini che suscitassero la sorpresa in coloro che le guardavano, in quanto
inusuali e quindi inaspettate. Parallelamente si decise di sfruttare la mutevolezza delle immagini
proposte all’interno del televisore per rendere le installazioni più interattive. In particolare si
collegarono i televisori esposti alle telecamere a circuito chiuso che riprendevano le sale, così da
rendere gli spettatori stessi parte dell’installazione artistica permettendogli di vedersi sullo schermo.
Con il passare degli anni, a partire dalla
seconda metà degli anni 70, lo sviluppo
tecnologico permise di fare grandi passi in
avanti in campo televisivo. Si iniziò infatti
a capire il potenziale di trasmissioni
registrate e trasmesse successivamente
anzi che in diretta. In questo modo vi era
la possibilità di post-produrre le immagini,
ovvero di alterarle dopo averle registrate
con particolari tecniche quali il chroma-
key, il luma-key, le tendine a comparsa o
ancora i riquadri e gli intarsi. L’avvento
dei colori permise inoltre di poter Fabrizio plessi, Fenix DNA, 26 Luglio 2017, Teatro Fenice, Venezia
modificare un ulteriore elemento. Si
sfruttò poi un fenomeno proprio della trasposizione dell’immagine in diretta sul nastro: la sua
alterazione. In molti casi infatti, registrando le immagini queste venivano deformate determinando
un abbassamento della qualità. Così si iniziò a deformarle del tutto accentuando quei fenomeni
propri della registrazione quali tagli, linee sullo schermo dovute all’assenza di dati da mostrare o
ancora rumori di sottofondo che rendevano l’immagine sgranata. Questa tecnologia era però molto
costosa e proprio per questo ebbe all’inizio una diffusione esigua, che non le permise di essere
sfruttata dagli artisti del video. Furono infatti le emittenti televisive a disporre per prime di studi di
produzione nei quali poter girare immagini e successivamente modificarle o integrarle. I videoartisti
in questa fase vennero in contatto con le nuove tecnologie proprio grazie alle emittenti televisive
che misero a diposizione gli studi al fine di creare programmi specifici, durante i quali venivano
trasmesse produzioni artistiche nate dalla collaborazione appunto tra artisti ed emittenti televisive.
Questo vincolo cadde quando furono commercializzati i primi registratori non destinati alle
emittenti bensì al grande pubblico. Possiamo quindi dire che nella prima fase della videoarte, anche
a causa della scarsa qualità delle immagini, si era posta particolare attenzione allo schermo. Al
contrario nella seconda fase l’attenzione si spostò dal televisore in se, alle immagini che questo
trasmetteva riavvicinandosi nuovamente ad una concezione propria della fotografia e del cinema
sperimentale andata persa durante la prima fase.
La terza ed ultima fase che caratterizza questo fenomeno inizia negli anni 90 ed è dovuta
all’avvento dell’era digitale e alla massiccia diffusione dei computer. Ciò determina un
cambiamento a vari livelli: il supporto non è più un nastro soggetto all’invecchiamento e incline a
rovinarsi danneggiando le immagini, bensì un hard-disk o altri tipi di memorie che mantengono
inalterati i dati in esso contenuti. Il passaggio dall’immagine analogica a quella digitale rappresenta
un salto in avanti epocale in quanto ora si può veramente fare ciò che si vuole con le immagini,
ripetendo più e più volte il montaggio fino a che non si è soddisfatti del risultato, modificandole in
ogni singolo aspetto ed in ogni singolo fotogramma pur mantenendo inalterata la qualità che in
questa fase viene fortemente ricercata. Si torna quindi ad una concezione simile a quella della
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fotografia e dell’animazione in cui immagini opportunamente modificate, dette frame, si succedono
andando a comporre un video. Ciò ha effetto anche sugli strumenti utilizzati, in quanto si passa da
ingombranti registratori a piccole videocamere digitali più maneggevoli e dai costi contenuti e,
parallelamente, gli schermi passano dalla tecnologia del tubo catodico a quella oggi presente nei
nostri televisori e smartphone caratterizzata quindi da dimensioni estremamente ridotte e qualità
molto alta. Il cambiamento sopra descritto è ancora in atto e la sua evoluzione dipende dalla
velocità dei software e delle memorie dei supporti utilizzati siano essi computer o smartphone. Per
quanto riguarda la videoarte, questo cambiamento ha effetti importantissimi in quanto la rende
accessibile ad un pubblico molto più vasto e permette la realizzazione di installazioni sempre più
complesse, il cui obbiettivo è quello di rendere sempre più coinvolti gli spettatori.

LA VIDEOSCULTURA
Un’altra modalità espressiva riconducibile alla
videoarte è la video scultura.
La Videoscultura è una delle forme espressive
della Videoarte prodotta negli anni '80.
In questa modalità possiamo distinguere due fasi. Nella
prima fase, figlia della tecnologia video ancora agli
albori, gli artisti decisero di snaturare l’oggetto
televisione spogliandolo della sua normale funzione ed
utilizzandolo come il semplice elemento di una
composizione. In questa fase si giocò molto con le
ombre, i riflessi e altri giochi luminosi dovuti o alla
luce naturale o più spesso alla luce emessa appunto
dagli schermi. Vi erano però molti limiti alla fantasia
degli artisti in quanto le installazioni erano spesso
molto complicate da rendere operative e, soprattutto, le Tony Oursler, M*r>or, 16 Settembre 2016, Magasin III
dimensioni di essere erano ancora molto ridotte in Museum for contemporary art.
quanto legate alle dimensioni degli schermi.
Uno spartiacque per questa forma di videoarte fu rappresentato dall’avvento del videoproiettore.
Questo strumento che consiste essenzialmente in una luce, che può essere di vari tipi, che proietta
appunto le immagini su di un supporto, esso ha fatto si che i video scultori potessero abbandonare i
limiti dimensionali dovuti alla grandezza degli schermi in favore di installazioni più grandi e con
forme più complesse. Possiamo dire che la video scultura di oggi si basa su due elementi: il
videoproiettore, il quale si è evoluto nel tempo permettendo di proiettare immagini molto grandi,
con diagonali anche di vari metri in qualità molto elevate purché in ambienti bui e il supporto che
può essere o un telo così come avviene ad esempio nei cinema o una struttura con dimensioni e
forme variabili.

LA NET-ART
Per quanto riguarda la internet art o net-art, possiamo dire che è l’ennesima dimostrazione di come
la videoarte sia estremamente legata all’avanzamento tecnologico in quanto si basa essenzialmente
sulla diffusione di internet e sulla nascita di una rete di connessioni globali. In generale possiamo
definire come net-art quel tipo di arte creata con il linguaggio di programmazione attraverso dei
software, interattiva e multimediale e la cui fruibilità sia globale, ovvero che possa avvenire
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attraverso qualsiasi postazione connessa ad internet.
Sia la videoarte che la video scultura, pur essendo
profondamente diverse, hanno una caratteristica
comune che allo stesso tempo le distingue dalla net-
art: la destinazione delle installazioni artistiche.
Infatti se per le prime due opere (WaxWeb di David
Blair e The File Room di Muntadas;1994), seppur
con tutti i limiti rappresentati dai formati deteriorabili
e spesso non più riproducibili che le hanno rese opere
sui cui puntare è molto rischioso, l’obbiettivo era
Vuk Cosic, Deep ASCII, 1998
quello di essere ammirate all’interno di gallerie ed
esposte in mostre di arte moderna. Per la net-art questa necessità scompare e al contrario
l’obbiettivo è quello di rendere, come detto in precedenza, queste opere fruibili al maggior numero
di persone e l’unico modo per farlo è attraverso l’utilizzo di internet.
Questo tipo di arte ha avuto una grande importanza durante il recente periodo di lockdown in
quanto internet è divenuto l’unico mezzo attraverso cui poter fare e distribuire arte pur non dovendo
uscire di casa. Possiamo poi distinguere tra coloro che hanno creato arte su internet e l’hanno poi
diffusa, e coloro che hanno invece utilizzato internet solo per veicolare la propria arte creata su di
un altro supporto o ancora coloro che hanno utilizzato internet per mostrare il processo creativo che
ha portato alla creazione di un’opera d’arte. In questa occasione poi la videoarte ha compiuto un
ulteriore step evolutivo, in quanto l’avanzamento tecnologico ha permesso agli smartphone e alle
applicazioni su esso presenti di supportare quei software prima usati dagli artisti sui computer per la
creazione di opere d’arte.
Gli avvenimenti dell’ultimo anno non sono stati l’occasione per sfruttare queste tecnologie solo per
gli artisti, ma anche dalle gallerie d’arte e dai musei che, impossibilitati ad aprire per via delle
restrizioni, hanno pensato di proporre al pubblico visite guidate a distanza come accaduto ad
esempio per il Cenacolo Vinciano di Milano. Qui, grazie alla velocità della fibra, gli spettatori
potranno seguire una visita guidata da casa. Ma non solo: potranno anche interagire con la guida
ponendogli domande o approfondimenti su vari aspetti della visita.

TONY OURSLER
L’artista da noi scelto è Tony Oursler. Abbiamo deciso di trattare di questo artista in quanto è una
figura pionieristica nell’ambito dei nuovi mezzi di comunicazione e della New Media Art.
Inoltre è il vero pioniere a livello internazionale delle opere di videoscultura, la forma di videoarte
che in generale ci ha affascinato di più. Dagli anni 70 Oursler, esplora modi diversi per incorporare
la tecnica del video nella propria pratica artistica, proiettando l’immagine oltre la bidimensionalità
dello schermo per creare misteriosi ambienti tridimensionali in movimento. Prosegue senza fine la
sua ricerca sul rapporto tra psiche e tecnologia, indagando la necessità dell’uomo di dare risposte a
eventi percepiti come misteriosi.
E’ fin dai suoi esordi, un “artista-antropolgo”, si confronta con temi come la magia, l’illusionismo,
scienze paranormali, conflitti e ossessioni dell’essere umano.

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Tony Oursler nasce a New York nel 1957 e frequenta il
California Institute of Arts, dove completa gli studi nel
1979.
Dalla metà degli anni Settanta, Oursler sviluppa un vasto
corpus di lavori comprendenti installazioni, pittura, scultura,
performance e video, incorporando pratiche dalle matrici
assai differenziate.
Negli anni 90 comincia a sperimentare alcune proiezioni su
supporti diversi dal video tradizionale: superfici
Tony Oursler, New York, 1957 tridimensionali irregolari, spesso sferiche, raffiguranti
frammenti di volti, in particolare occhi e bocche, declamanti monologhi dai risvolti intimisti e
deliranti. Una sintesi originale tra elementi propri della scultura, della proiezione multimediale e
della performance.
Le sue installazioni vennero da allora definite sculture-screens, in italiano sculture-schermo, e
Oursler proclamato l’iniziatore della video-scultura.
Nelle sue installazioni figure antropomorfe di teste, pupazzi e bambole sono animate da proiezioni
video dotate di voci narranti. Spinto dall’interesse per la scena elettronica e la psicologia del
trauma, che lo porterà ad approfondire il tema dello sdoppiamento della personalità, delle
compulsioni e delle dipendenze così come quello delle strutture subliminali e prelinguistiche della
comunicazione, Oursler affianca ad ogni sculture-screen un intervento sonoro non soltanto con
l’intento di proiettare il visitatore in una dimensione di sogno-incubo ma per assecondare la sua
ricerca di nuovi collegamenti dinamici fra il partecipante e l’opera d’arte, collegamenti storicamente
avvenuti fra mezzi silenziosi come i quadri, ma che ora in un mondo di immagini dinamiche
vengono creati attraverso strutture più complesse fatte di suoni e linguaggi diversi.
Anche lo scambio di sguardi
inquietanti tra l’opera e il pubblico o il
ridurre simbolicamente l’uomo a un
occhio, è uno dei temi centrali
dell’opera dell’artista americano,
imperniata sul rapporto dell’individuo
con una dimensione virtuale nella
quale si confondono i confini tra realtà
e finzione.
Gli occhi a bulbo di Oursler, nei quali
si possono vedere pupille che si
dilatano, i riflessi dell’iride e i battiti
delle palpebre, sembrano fissare lo
spazio o osservare il visitatore in modo
Tony Oursler, The Dark Side, Musja, Roma, Ottobre 2019-Marzo 2020
inquietante.
I video di Oursler formano un insieme di narrazioni oblique e sinistre, dai toni e dalle atmosfere
spesso bizzarre, quando non proprio ossessive, ricche di omaggi al cinema espressionista tedesco e
alla vigorosa pittura neo-figurativa tornata in auge proprio fra i tardi anni Settanta e i primi Ottanta.
La presenza costante di uno spiccato humor nero si mescola a messe in scena dalla forte e artificiale
teatralità.
Un vero e proprio universo in miniatura, realizzato e dipinto a mano, mescolato con scene di
animazione e con presenze date da proiezioni, forma la scena della personale reinterpretazione
narrativa di Oursler; influenzata da una sensibilità post-punk, contraddistinta dalla presenza di voci
narranti spesso fuori campo e da un gusto per collage sonori inquietanti, la sua ricca produzione
suggerisce un’atmosfera simile a stati onirici o di trance.
Il gusto scherzoso e ironico nell’assemblare materiali eterogenei provenienti da una vasta massa di
artefatti culturali (e subculturali) si collega a un interesse per quelle fantasie, quei sogni e quelle
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ossessioni adolescenziali, talvolta anche macabre e spaventose, tipiche della società occidentale. Un
gusto disinvolto per forme di simulazione e di parodia degli effetti speciali cinematografici ed
elettronici lo porta spesso a risultati immediatamente auto-ironici e immediatamente riconoscibili
nella loro capacità di denudare i meccanismi di illusione, mentre temi e riferimenti spaziano da un
interesse per stati psicotici, frustrazioni e alienazioni sessuali, fino alle forme di mania, di isteria, di
violenza, attraverso le fondamentali dicotomie del Bene e del Male, della vita e della morte.
Dai tardi anni Ottanta, il crescente interesse per la tecnologia porta Oursler a interessarsi agli aspetti
più nascosti e rimossi sottesi alla psiche e all’immaginazione umana, riuscendo in maniera sempre
più convincente a realizzare vere forme di analisi e critica sociale.
I suoi lavori sono presenti nelle collezioni dei maggiori musei del mondo, tra cui MOMA New
York, Whitney Museum, Musèe d’Orsay, Centre Georges Pompidou, Tate Gallery London, MoCA
Chicago, LACMA Los Angeles, Eli Broad Family Foundation Los Angeles, Hirschorn Museum
Washington, National Museum of Osaka e altri.

Per quanto riguarda il ruolo che il pubblico deve svolgere nelle sue rappresentazione Oursler
afferma: l’osservatore si deve sentire parte integrante della mia opera: gli chiedo una percezione
totale, che coinvolge più sensi e arriva ad insinuarsi nell’inconscio.
Vorrei che il fruitore si sentisse “inghiottito” da ogni installazione. Il mio intento è quello di
spronare le persone ad affrontare i propri fantasmi, prendere coscienza delle turbe che le assillano e
dare loro gli strumenti per affrancarsi dalle catene del sistema mediatico, che tenta di manipolare le
nostre menti e ci annebbia con metodi subdoli, insidiosi. Mi piacerebbe scrutare più spesso le
reazioni della gente davanti ai miei
lavori, capire quali meccanismi riesco a
muovere, soprattutto constatare quali
reazioni avvengano nella loro psiche. In
definitiva quindi Oursler riserva un ruolo
molto importante al pubblico presente
alle sue mostre in quanto non solo le sue
opere hanno l’obbiettivo di “integrarsi”
con lo spettatore ma allo stesso tempo è
la reazione che ha lo spettatore a
Tony Oursler, The Volcano, Poetics Tattoo & UFO, April 5th - June 1st, 2019
cambiare il significato dell’opera in Dep Art Gallery, Milan
relazione alle emozioni che questa gli
provoca.
Ousler ha inoltre parlato della relazione tra le sue produzione e la musica affermando ciò: tra
musica e arte visiva incorre una relazione sinestetica: si tratta di campi affini, che si compenetrano e
influenzano l’un l’altro. Mi piace contaminare il mio lavoro con le sonorità del rock, da cui traggo
suggestioni e spunti infiniti.
E’ come se acuisse l’impulso a sfogare la tensione creativa. Non potrei concepire una netta
separazione tra questi due mondi espressivi: i confini vanno valicati, confusi. Anzi, i confini non
esistono.

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COLLABORAZIONE CON DAVID
BOWIE
Where Are We Now? è un brano musicale scritto
ed interpretato dal musicista britannico David
Bowie, primo singolo estratto dal suo album The
Next Day pubblicato nel 2013. Il singolo venne
pubblicato su iTunes l'8 gennaio 2013, giorno del
sessantaseiesimo compleanno di Bowie,
accompagnato da un videoclip diretto da Tony
Oursler, postato sul sito internet di Bowie. Bowie
ha scelto Where Are We Now? come singolo Copertina di Where Are We Now?
perché "la gente doveva affrontare lo shock del
suo ritorno” dopo un'assenza di 10 anni. Il video musicale, mostra Bowie che osserva silenzioso uno
schermo su cui scorrono vecchie immagini berlinesi in bianco e nero. Il suo volto, ora segnato dal
tempo, si materializza assieme a quello di una donna sulla faccia di due vecchi manichini. Con una
smorfia sul viso, il pupazzo esprime col canto i pensieri inquieti del cantante. I luoghi a cui si
legano le decisioni di ieri, le incertezze dell'oggi. Il tutto ripreso in un garage pieno di vecchie
reliquie, bozzetti, manichini, cianfrusaglie varie provenienti dal passato. La donna, non identificata
all'uscita del video, si scoprì in seguito essere l'artista Jacqueline Humphries, moglie di Oursler.

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OPERA DELL’ARTISTA:
LAPSED C
Lapsed C rappresenta una
rielaborazione di foto e video
raccolti e registrati da Oursler e
Mike Kelley negli anni in cui
componevano il gruppo rock
sperimentale “Poetics”. Il film è
proiettato su uno schermo
appositamente trattato che si
illumina al buio enfatizzando la
qualità gotica del fenomeno della
persistenza della visione e ritrae
l’inesausta ricerca della band per
ritrovare il posto in cui si era tenuta
la sfrenatissima festa per
Tony Oursler, Lapsed C, The Volcano, Poetics Tattoo & UFO, April 5th - June 1st, l’esibizione finale dei Poetics,
2019, Dep Art Gallery, Milan incontrando i fantasmi del punk e
della psichedelia. Si tratta, in buona parte, di girato ancora inedito, recuperato dall’archivio della
band, e mai mostrato in pubblico nemmeno in precedenti collaborazioni dei due artisti.
L’opera è stata esposta nel 2019 nella mostra ‘The Volcano and Poetics Tattoo’ a Milano alla Dep
Art Gallery.
Le opere presentate nello spazio milanese sono pensate per sperimentare gli effetti disorientanti che
la tecnologia ha sull’uomo, come spesso accade nei lavori di Oursler. Il pubblico, grazie all’aiuto
di appositi visori 3D, è chiamato a immergersi nelle ambientazioni e tra i personaggi virtuali e
stranianti creati dall’artista. La galleria, in un suggestivo allestimento al buio costellato dalle
proiezioni, sarà dunque “abitata” da persone e luoghi virtuali e tridimensionali.

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LINEA DEL TEMPO (1900-2020)

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GLOSSARIO
VIDEOINSTALLAZIONE: Il termine videoinstallazione fu coniato dal mercato
dell'arte newyorkese ed indica in generale una forma d’arte che sfrutta apparecchiature televisive,
siano esse televisori, videoproiettori o ancora display sia come strumenti e supporti per la creazione
di installazioni artistiche sia come mezzi per la fruizione delle stesse.

VIDEOSCULTURA: Con il termine videoscultura si intendono produzioni artistiche caratterizzate


dalla presenza di opere scultoree siano esse il risultato della proiezione di immagini su supporti
come le statue o elementi tecnologici che cambiando la propria destinazione d’uso entrano a far
parte di una scultura.

ANTI-ARTE: Con il termine anti-arte è indicata qualsiasi opera che può essere esposta in un
contesto "tradizionale" ma che di fatto denigra l'arte stessa o ne stravolge la natura. Il conio del
termine è da attribuirsi all'artista franco-americano Marcel Duchamp, il cui lavoro Fountain, “un
urinale”, fu il primo esempio del genere.

READY-MADE: Il termine ready-made, in italiano già fatto, confezionato, prefabbricato, pronto


all'uso, si riferisce esclusivamente ad un oggetto disponibile sul mercato del quale un artista si
appropria così com'è, ma privandolo della sua funzione utilitaristica. Aggiunge un titolo, una data, a
volte un'iscrizione e opera su di lui una manipolazione (capovolgimento, sospensione, fissazione sul
terreno o sul muro, ecc.). Quindi lo presenta in una mostra d'arte, in cui viene conferito all'oggetto
lo status di opera d'arte.

CHROMA-KEY: Il chroma key o chiave cromatica, noto anche come green screen o blue screen, è
una delle tecniche usate per realizzare effetti di sovrapposizione di due diverse immagini, o due
diversi video. Con questa tecnica si può rimuovere il colore di sfondo della prima immagine, e
sostituirlo con qualsiasi altra immagine.

RIFERIMENTI:
[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Videoarte
[2] https://www.treccani.it/enciclopedia/videoarte_%28Enciclopedia-dei-ragazzi%29/
[3] https://www.artuu.it/2017/07/29/cose-la-video-arte/curiosita/
[4] Libro Videoarte di Alessandro Amaducci edito da Edizioni Kaplan, 2014
[5] https://www.castellodirivoli.org/collezione-video/artista/tony-oursler/
[6] https://www.stilearte.it/tony-oursler-linventore-della-videoscultura-lintervista-la-formazione/

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