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FANCIULLO CON CANESTRO DI FRUTTA

(1593. Roma, Galleria Borghese)

Debbo aver letto che se ci si vuol ammalare di arte figurativa


non c'è nulla di meglio del fascino che emana dalle opere di
Caravaggio. René Jullian, storico d'arte francese, nel suo Caravage
(1961), enumera magistralmente le ragioni di tale fascino. Intanto, a)
la "complessità" e la "novità" della pittura del lombardo, uno "stil
nuovo" che non rinviene analogie con nessun pittore del passato e
che, per questo, innova l'arte del dipingere facendone una forma
unica, non riconducibile ad altra; insomma , un'invenzione tutta sua
e, con una tale carica d'innovazione, da divenire, di per sé, una
"scuola". Quindi, a seguire, b) l'armonia dei colori, che si riverberano
più tardi, se si vuole fare un esempio, in quelli di Vermeer e c) la
particolarità del suo modo di dipingere, da vedersi nella prevalente
riduzione, fino alla totale rimozione, degli spazi scenici e
architettonici con la conseguente centralità riservata al "soggetto",
rappresentato da una o poche altre figure, tanto che dal nulla
nascono esseri e cose e dall'"informe" emergono forme. Dal tutto,
sempre secondo lo storico francese, discende una sorprendente
monumentalità della composizione ancor più ricca di contenuti
poetici.
Questa "cifra" dell'arte pittorica secondo Caravaggio appare,
anche se in forma ancora piuttosto prodromica, nelle prime sue
opere, che, a Roma, presso la bottega del d'Arpino lo vedono
"generista" e, nella fattispecie, pittore di "fiori" e "frutti". Si tratta di un
genere calato dal nord, dai Paesi Bassi soprattutto, auspice la pittura
fiamminga passata attraverso le "visitazioni" della pittura lombardo-
veneta.
A Roma Caravaggio è giunto da poco tempo e non trova che
impiegarsi e, soprattutto, "piegarsi" ai bisogni del momento. Pittore di
"genere", dunque. E qui s'accendono i primi fuochi del suo genio:
sono "fiori" e "frutti" che declinano un linguaggio inusitato. Essi non
vengono raffigurati nella floridezza tipicamente primaverile, così
tanto graditi e in bella mostra di sé nei quadri da camera presso le
residenze nobiliari. Appaiono, infatti, piuttosto lontani da intendimenti
dal tono domestico e meramente ornamentale e non si sottraggono
alle sottigliezze dell'interpretazione metaforica con rimandi alla
vanitas e ai sottintesi erotici.
Nasce così, e si è nel 1593, il Fanciullo con canestro di frutta.
Non ci si poteva attendere una natura morta più verosimile del vero,
tant'è che a noi moderni l'impressione può apparire addirittura
"fotografica". I frutti, accomodati e accostati tra variopinti grappoli
d'uva, fanno capolino tra una varietà congruente di foglie. Il
naturalismo, d'origine leonardesca, si scopre e s'intravvede nei
dettagli: le foglie a stelo non celano butterature e il fico maturo
tradisce nella buccia un'incrinatura. Una foglia ingiallita è colta nello
spasimo della caduta. Vi è l'uva, per fortuna, simbolo di gaiezza che
riequilibra il "messaggio" non del tutto fausto rappresentato dal cesto.
Ma che dire del ritratto a mezzo busto del fanciullo fruttaiolo? Egli
si propone, seduta stante, come il prototipo dei "fanciulli" di
Caravaggio. Creature un po' emblematiiche e un po' enigmatiche del
mondo opaco vissuto dall'artista. Il fanciullo mostra la sua spalla
destra ignuda, un particolare presente, se si esclude il Suonatore di
liuto, in quasi tutte le opere coeve ove siano presenti figure giovanili.
E' solo un vezzo teatrale del maestro? Altrettanto dicasi del capo
reclinato all'indietro e delle labbra appena socchiuse. C'è chi
reclama, anche qui, l'immancabile "insolenza" di Caravaggio, che
tornerà anche in ben altre opere di più alta ispirazione.
È il caso, forse, di fare piazza pulita di ogni sussuro "sinistro" sul
conto di questo dipinto. Si ammiri, una volta per tutte, la genialità già
presente nel ventiduenne artista: la bellezza di una pittura che
emerge, nonostante tutto, da una natura morta, che cela in sé i segni
di una imminente "decadenza" e dalla figura di adolescente colto
nella fragranza della sua giovinezza. Egli è lasciato solo, né l'aiuta il
fondo appena adombrato alle sue spalle, che, anzi, lo espone alla
solitaria e certamente meravigliata, se non sbalordita, ammirazione
di chi lo osserva.

Luigi Musacchio

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