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Dallinizio del secolo scorso ad oggi, la tragedia del Principe di Danimarca stata

sicuramente lopera scritta da William Shakespeare pi sfruttata dal grande schermo. Nel
periodo compreso tra il 1895 e il 1927 (rispettivamente la prima proiezione dei fratelli
Lumire e lintroduzione del sonoro) si contano gi pi di venti trasposizioni, per arrivare a
contarne un centinaio alla fine del secolo XX.
Una produzione cinematografica cos ampia sicuramente degna di questopera
immortale anche se, inevitabilmente, al suo interno, solo alcune produzioni sono state in
grado di conquistare e conservare una posizione nella storia del cinema, e ancora meno sono
state capaci di risultare rivoluzionarie in quanto a tecniche utilizzate e stile di recitazione.
Tra queste ultime non si possono non citare quattro trasposizioni, quattro diversi Hamlet,
di quattro celebri registi: Michael Almereyda, Kenneth Branagh, Franco Zeffirelli e, infine,
Laurence Olivier. Questi quattro uomini hanno avuto in particolare la capacit di trasformare
unopera nata per il teatro Elisabettiano in una pellicola capace di sfruttare al meglio il
potenziale mediatico del grande schermo, effettuando quella che si pu definire una vera e
propria traduzione, un adattamento che ha reso la Tragedia fruibile dal grande pubblico del
novecento.
Lopera di Olivier in ogni caso da considerarsi come la prima, linventrice di un nuovo
modo di rappresentare il teatro, dando inizio ad unimpostazione che continu ad essere
sfruttata nei decenni successivi. Le opere che si sono susseguite dopo il 1948, infatti,
tendono ad ispirarsi ad essa. Vennero considerati punti positivi laddove si riusc a discostarsi
dallopera madre ed introdurre nuovi piccoli particolari, realizzativi o interpretativi, capaci di
sfruttare ogni volta sempre meglio il potere del cinema (Cook, 2011, p.2).
Hamlet di Laurence Olivier arrivato ad essere come lo conosciamo grazie ad un
connubio di vari fattori, alcuni dovuti ad esperienze personali del regista, altri alla tecnica
cinematografica, che nel dopoguerra aveva fatto un passo avanti.
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LA FORMAZIONE

La vita di Laurence Kerr Olivier, soprattutto durante la sua giovinezza, fu molto tribolata,
e molte delle difficolt, dei traumi e dei dolori vissuti influenzarono in qualche modo la sua
opera. Nato nel 1907, sub una formazione molto rigida e severa. Il padre, prelato, era un
uomo inflessibile e a tratti violento. La madre, morta di cancro quando il giovane Laurence
era ancora bambino, era la persona a lui pi vicina, e il momento del distacco, preceduto
dalla terribile agonia della donna, fu il momento peggiore e pi drammatico dellintera vita
del regista. Fu proprio lei, in punto di morte, a chiedere al giovane figlio, nonostante le
opposizioni del padre, di conservare e perseguire il suo sogno di diventare un attore. Un
bravo attore (Beckett, 2005, p.6). Inizialmente per Laurence sembr non seguire con
particolare interesse il teatro e la recitazione, probabilmente temendo il giudizio negativo del
genitore (ivi, p.11).
Leducazione scolastica fu il momento pi sintomatico degli elementi che traspariranno
nel futuro dalle sue opere. Crebbe in un ambiente ostile e violento, con maestri che non
disdegnavano la punizione corporale e compagni di classe che non offrivano possibilit di
conforto. E noto che allet di 9 anni, presso la All Saint School, sub un tentativo di stupro
sulle scalinate della scuola da parte di un compagno pi grande. Questo evento traumatico si
trasciner per tutta la vita del regista (ivi, p.7).
Fu infine il padre, inaspettatamente, dopo la partenza del figlio Dickie per lIndia, a
permettere a Laurence di iniziare dei veri studi di recitazione, iscrivendolo alla Central
School of Speech Training and Dramatic Art, dove gi la sorella Sybille aveva studiato (ivi,
p.12).

Il primo incontro con la rappresentazione della tragedia dellAmleto fu nel 1925, quando
rimase colpito dal rapporto tra Gertrude e Amleto nella rappresentazione di John Barrymore.
Poco pi di dieci anni dopo entr in contatto con Freud attraverso le opere di Ernest Jones,
discepolo e biografo del celebre psicoanalista austriaco. Questi due incontri possono essere
considerati fondamentali nella rappresentazione freudiana dellopera da parte di Olivier.

LE TECNICHE UTILIZZATE

Senza le innovazioni tecnologiche del secolo XX, questopera non sarebbe potuta essere
concepita e realizzata come la volle il regista. Forse non sarebbe nemmeno esistita. Tecniche
come il panfocus (o deep focus) e il piano sequenza permisero di proiettare lo spettatore in
una nuova dimensione, dentro unesperienza che prima non sarebbe stata possibile.
Fino agli anni 40, le riprese venivano realizzate seguendo il pensiero comune che lo
spettatore dovesse avere la migliore posizione possibile per osservare gli eventi, senza
distrarlo con frequenti movimenti della macchina da presa. Si trattava quindi di creare un
buon punto di vista, da cui lo spettatore aveva uno scorcio degli eventi, evitando ci che
verr scoperto ufficialmente dalla scienza negli anni Novanta: l orienting response (Cook,
2011, p.11).
Lorienting response un processo mentale involontario che dirotta lattenzione di un
individuo sui nuovi elementi che compaiono nel suo campo visivo, i quali, a seconda della
loro natura, suscitano o meno una reazione. Allinterno di un film, in particolare, i frequenti
movimenti e i cambi di inquadratura della cinepresa portano in continuazione nuovi elementi
sullo schermo, e ci voleva essere evitato dalla scuola di pensiero precedente a Olivier. Lo
spettatore doveva essere concentrato solo su quello che era veramente importante.

Olivier ribalta questa tecnica. Mette fine alla staticit. Cattura lo spettatore e lo proietta
allinterno della storia. Le cineprese non sono pi ferme e le gru permettono di muoversi a
piacere in tutte le direzioni; cambi di inquadratura, riprese grandangolari e ad alta profondit
di fuoco ci immergono in un verosimile spazio tridimensionale. Questo fu un grosso passo
avanti dellarte cinematografica, il quale ci permette al giorno doggi di poter essere
mentalmente proiettati allinterno di unazione dinamica anche essendo fisicamente immobili
davanti allo schermo della televisione (Cook, 2011, p.12).
Tale risultato fu dovuto allutilizzo combinato di due tecniche: il piano sequenza e il
panfocus, che, insieme alle sequenze separate (separation sequence) ci permettono di
identificarci nei personaggi stuzzicando continuamente lattenzione.

La sequenza separata: si tratta di una tecnica utilizzata nelle riprese di dialoghi. Essa
ci permette di immedesimarci sempre in un personaggio, condividendo il suo punto
di vista (offrire la possibilit di indossare i panni di un dato personaggio uno dei
poteri maggiori del cinema). La scena viene frammentata in singole sequenze in cui
gli interlocutori A e B si alternano. Quando A parla, il nostro punto di vista diventa
quello di B, mentre quando B parla, il nostro punto di vista diventa quello di A
(Cook, 2011, p.17).

Il piano sequenza (sequence shot): esso pu essere considerato uno degli elementi
principali e distintivi del nuovo cinema. Nel cinema classico, infatti, come gi detto,
linquadratura era resa statica dalla ricerca di un buon punto di vista per lo spettatore,
trovandosi poi a doverla spezzare attraverso il montaggio per seguire lazione. La
tecnica del piano sequenza venne utilizzata per la prima volta alcuni anni prima da
Orson Welles nel suo film Citizen Kane (Quarto potere - 1941) e si basa su un
concetto esattamente opposto. La cinepresa viene resa mobile e, senza stacchi,
lintera inquadratura che segue il ritmo e la direzione dellazione. Questo permette
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alla scena di regalare allo spettatore una complessit ed un grado di


immedesimazione che solo pochi anni prima non sarebbero potuti esistere, e Olivier
ne fa uno degli elementi fondamentali del suo film (Enciclopedia Treccani,
Enciclopedia del cinema, 2004).

Il panfocus:
per panfocus si intende una tecnica di ripresa cinematografica attraverso cui possibile
mantenere a fuoco il complesso delle parti che costituiscono uninquadratura. Essa richiede
uno specifico coordinamento dei dispositivi di ripresa, che prevede luso di pellicole molto
sensibili, di apparati per lilluminazione capaci di generare una luce molto penetrante, di
adattamenti del set per favorire la gestione dellilluminazione e in genere di lenti
grandangolari per aumentare la profondit di campo (Enciclopedia Treccani, Enciclopedia
del cinema, 2004).

Si tratta quindi di una tecnica che permette di mettere a fuoco contemporaneamente


tutto ci che appare in scena, sia gli elementi in primo piano che quelli sullo sfondo.
La decisione di Olivier di sfruttare questa nuova tecnica (introdotta anchessa come il
piano sequenza allinizio degli anni 40, e riscontrabile anchessa nellopera di
Welles) ebbe notevoli effetti sulla struttura del film e fu un elemento fondamentale
che permise allo spettatore di comprendere al meglio la pellicola.
Il panfocus, mantenendo tutti gli elementi della scena perfettamente a fuoco, evita
agli occhi dello spettatore di compiere lo sforzo che normalmente devono esercitare
nella visione di qualsiasi immagine tridimensionale, trasformando la scena in una
sorta di quadro. Ci avvicina lo spettatore pi a quanto si pu vedere in un teatro,
dove la profondit del palco per forza di cose ridotta, piuttosto che a quello che si
poteva comunemente vedere nel mondo del cinema.
Limpatto esercitato da questa tecnica viene ancora esaltato dallutilizzo del bianco e
nero, che tende ad aumentare la definizione delle immagini dotate di molta profondit
di campo, e si rende molto pi adatto alle riprese interne. Nelle riprese in bianco e
nero, infatti, si pu ridurre al massimo lesposizione della pellicola alla luce,
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condizione necessaria affinch il panfocus si realizzi, dato lutilizzo, come detto


pocanzi, di luci molto forti e pellicole sensibili.

Olivier riusc grazie a tutto ci a relazionare i personaggi con lo spazio circostante e a


sfruttare il vuoto per unire, legare i personaggi, anzich dividerli (Davies, 1994, p.48).
La scena damore tra Amleto e Ofelia (atto I scena III; 25 del film), un chiaro esempio
della potenza comunicativa del panfocus. I personaggi (Amleto inquadrato alle spalle con un
primo piano, Ofelia sullo sfondo) si vedono, si guardano. Ma sono incredibilmente lontani.
La grande profondit di campo ci restituisce unOfelia molto piccola, come fosse a decine di
metri dal Principe, eppure perfettamente a fuoco, perfettamente integrata nella scena, quasi
sullo stesso livello di Amleto e la distanza, fisica, tra i due, viene immediatamente annullata.
Attraverso una lontananza materiale, i due, si dimostrano uniti in un modo che solo il grande
schermo poteva restituire.
Medesime osservazioni, ma in senso opposto, possono essere fatte per latto I scena II
(13 del film). Qui la tecnica stata utilizzata per allontanare, invece che avvicinare. Amleto
siede al fondo della tavolata su una sedia, fisicamente molto vicino alla corte, radunata
davanti al Re. Eppure, nonostante questa vicinanza, la scena offre una potente immagine
dellisolamento del principe, della sua distanza da esso, e non solo lo isola, ma lo eleva allo
stesso tempo, lo pone ad un livello pi alto di coloro che lo circondano (Davies, 1994, p.50)

Luso delle tre tecniche descritte ci permette quindi di comprendere meglio il film, ci
svela messaggi altrimenti difficili da apprezzare, ci trasporta nella dimensione temporale
della storia, allinterno di una struttura complessa. Tale struttura viene elaborata non solo in
base agli elementi e agli eventi che si susseguono linearmente, ma su pi livelli. Essi cercano
sempre di comunicare qualcosa, un messaggio, il quale si pu cogliere semplicemente
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guardando cosa compare davanti agli occhi in ogni scena. Questo ci rende partecipi e
immersi nel mondo che viene rappresentato, anche se ci troviamo ad essere spettatori seduti
e statici.
Tutto ci dovuto al talento e allabilit che port i pionieri del nuovo cinema come
Olivier, a trovare sempre unorganizzazione degli elementi presenti in scena che, grazie a
grandangoli, panfocus, primi piani, o qualsiasi altra tecnica, riesce sempre a tenere
lattenzione viva sullelemento pi importante. Certo, anche il cinema classico aveva
lobiettivo di mantenere lattenzione sullelemento importante della scena, ma la novit nel
grado di immedesimazione, di dinamicit e di divertimento, se vogliamo.

IL FILM

Hamlet di Laurence Olivier, nonostante gli enormi meriti descritti, riusc al suo tempo a
ricevere diverse critiche. Queste furono dettate dal fatto che la pellicola fu considerata un
ibrido, unopera che si poneva a met strada tra unopera teatrale ed una cinematografica,
senza portarne a temine nessuna delle due. Dal punto di vista teatrale, infatti, gran parte del
testo originale, nonch alcuni personaggi (Guildernstern, Rosecrantz e Fortebraccio),
vennero sacrificati in favore di un ritmo narrativo pi adatto al grande schermo (Cook, 2011,
p.23).
Molti dei critici che discussero lopera si schierarono con la cinematografia classica,
sostenendo che la quantit di dettagli presenti in scena distogliesse lo spettatore dallo
svolgersi della storia, unitamente ai movimenti delle telecamere, che sottraevano attenzione
al parlato. Altre critiche successive si schierarono invece dalla parte del film, difendendo le
qualit di tutte le sue innovazioni. Bernice Kliman, parlando del lavoro di Olivier disse che il
regista aveva trovato un modo per espandere il teatro. (Kliman, 1977, p.2)
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La co-presenza di elementi cinematografici e teatrali ebbe inoltre due risultati: suscit la


curiosit del pubblico del 1948, il quale voleva provare, sperimentare, lesperienza di vedere
nello stesso momento un film e unopera shakespeariana, e nello stesso tempo prepar la
strada e gett le basi che nel futuro sarebbero servite a registi e produttori che seguirono le
orme di Olivier.
Lo sforzo infuso dal regista nella sua opera traspare gi dai primi secondi. Il fatto che la
pellicola si ponga a met strada tra il cinema e il teatro fu per precisa volont di Olivier, e
prima ancora che il film vero e proprio cominci, egli pone laccento su questa bivalenza. Gi
nei titoli di testa, infatti, i due elementi coesistono. La musica viene suonata da unorchestra,
e nulla ha di diverso da ci che si potrebbe ascoltare durante una rappresentazione dal vivo
(Davies, 1994, p.42). Il castello di Elsinore ci viene proposto con una visuale dallalto, ma si
tratta di un modello che non permette allo spettatore di tracciare mentalmente una mappatura
della struttura, comunque enorme, e ci infonde dubbio e ansia.
Una voce fuori campo e una didascalia ci introducono alla prima scena in assoluto. Ci
vengono mostrate le spoglie del re, da poco deceduto, mentre la cinepresa stringe sui soldati
che, a spalla, reggono il corpo. Essi sono statici su una piattaforma di dimensioni limitate,
circondata da nebbia. Linquadratura si sposta poi in alto, a offrire una panoramica pi ampia
del castello. Si ha limpressione di una struttura irreale, quasi senza un criterio, composta
solo di torri e lunghi camminamenti che, rendendo una forte sensazione di ansia,
irrequietezza e, se vogliamo, disordine, sono il primo elemento che identifica il conflitto
interiore del protagonista. This is the tragedy of a man who could not make up his mind ,
infatti, la frase pronunciata fuori campo che ci porta allinizio vero e proprio della pellicola.

Una dissolvenza fa scomparire gli attori dalla piattaforma, che rimane vuota, dopodich
si viene di nuovo gettati in una panoramica delle mura sterminate di Elsinore e delle sue
scalinate lunghe e ripide.1
Bernardo fa il suo ingresso in campo, entrando dal lato sinistro. Da questo momento
veniamo sballottati, rimbalziamo dal film al teatro, dal teatro al film, senza sosta. Solo nella
prima scena vengono messe in pratica una buona parte di tutte le tecniche di ripresa utilizzate
nellintero film. Il dialogo tra Bernardo e Francesco viene reso con una sequenza separata
che ci immedesima prima in un interlocutore, poi nellaltro, mentre un breve piano sequenza
ci porta nuovamente sulla piattaforma, per poi fermare la cinepresa e farci tornare, si pu
dire, a teatro. Gli spazi limitati potrebbero tranquillamente addirsi ad un palcoscenico, e il
modo di recitare pu essere definito teatrale. Enfatico, ma non realistico come imporrebbe
normalmente il cinema.
Altro piano sequenza, altro blocco della cinepresa. Infine, quando tutti e tre gli attori si
trovano insieme in campo, uso del panfocus, il quale, tenendoli perfettamente a fuoco, ci
lascia intendere come questi uomini siano tutti sullo stesso livello. La loro condizione la
medesima davanti allesperienza che stanno per vivere. La piattaforma continua ad essere
circondata dalla nebbia, e il contrasto di chiaro-scuri, luci ed ombre, richiama alcuni
elementi tipici del cinema espressionistico tedesco (Enciclopedia Treccani, Enciclopedia del
cinema, 2004).
Poi, per qualche decina di secondi, latmosfera si distende leggermente. Ma non appena
il racconto dellincontro con il fantasma inizia, lansia, il terrore, ci vengono rigettati
addosso moltiplicati. Limmagine pulsa e si sfoca, mentre linquadratura si stringe su

E stato accennato al trauma subito da bambino da Olivier, quando fu vittima un tentativo di stupro allet di nove anni.
Questo avvenne sulle scalinate della sua scuola, e le scale sono uno degli elementi che sono pi ricorrenti nella pellicola,
unitamente a lunghi cunicoli. Questi elementi compaiono quasi in ogni scena. Essi certo possono essere entrambi ricondotti
alla lettura della psicologia di Amleto, ma risulta difficile non trovare delle congruenze con le esperienze del regista. Chi per
un motivo, chi per laltro, Amleto e Olivier sono due uomini che nella famiglia non hanno trovato laffetto e il calore che
normalmente ci si aspetterebbe, ma violenza, tradimento e un difficile rapporto paterno.

Marcello. Un suono di sottofondo comincia a farsi sentire, come il battito di un cuore,


seguito da un rumore via via pi forte, mentre sul viso delluomo si dipinge unespressione
di terrore. Marcello urla e i tre uomini si voltano di scatto verso la destra dello schermo. Si
tratta del momento pi carico di tensione della prima scena, e sicuramente tra i pi intensi di
tutto il film. Il fantasma appare come unentit extraterrena, immerso in un fumo denso con
una forte luce alle spalle.
Ripiombiamo nel teatro attraverso la recitazione composta degli attori (a dire il vero non
particolarmente ispirata ed espressiva). Il gallo canta. La cinepresa torna di nuovo a stringere
sul volto degli attori, che ora esprimono terrore mentre lo spettro si avvicina. Il suo viso
viene per un attimo mostrato. Un viso scavato, che sembra quasi una maschera ricoperta da
una folta barba grigia.
Poi, tutto svanisce di colpo e la scena si conclude con la frase pronunciata da Marcello
theres something rotten in the state of Denmark. Solo il cinema poteva rendere cos
espressiva questa frase. Marcello guarda in basso a destra, poi anche gli altri seguono il suo
sguardo, ed infine anche la cinepresa, che prosegue in quella direzione offrendo una
panoramica di scale, torri e passaggi, fino a fermarsi sulloggetto di quel qualcosa che
sarebbe marcio: il letto regale e il re in persona. Si tratta di un uso innovativo ed espressivo
del mezzo del cinema, che riesce in questo caso a collegare una frase con il suo destinatario
attraverso una semplice azione di montaggio.
La seconda scena del film inizia cos con un primo piano del re intento a bere da una
coppa. Passano pochi secondi e ci viene mostrata una parte del carattere del sovrano, il quale
getta la coppa che teneva in mano verso un cortigiano. Si tratta di in gesto indice della sua
personalit, del sentimento di superiorit e sprezzo nei confronti di chi lo circonda.
Poi, il re comincia il suo discorso. La cinepresa si allontana e apre la visuale sul lungo
tavolo. Il re appare in campo per circa sei minuti su una scena di sei minuti e trenta tra primi
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piani, riprese a media e lunga distanza, grazie al panfocus, che gli permette di restare a fuoco
e ben visibile anche quando la parola viene presa da un altro personaggio, elemento
anchesso che contribuisce a formare la personalit delluomo, un uomo marcio, ma
sicuramente di carattere (Cook, 2011, p.29).
Linquadratura si apre ancora, e adesso Amleto ad entrare in campo, seduto in fondo
alla tavolata. Il re gli parla, ma il principe non risponde. Solo lavvicinarsi della regina riesce
a smuoverlo. Sono i primi segnali della debolezza di Amleto nei confronti della madre. E
per lei che acconsente di non recarsi a Wittenberg. Questo sacrificio ricompensato con un
bacio sulla bocca, un bacio che nulla ha a che vedere con la tenerezza che ci dovrebbe essere
tra madre e figlio, lungo, sufficientemente da suscitare una piccola reazione del re, che
richiama la sua sposa. Ecco cos il primo elemento edipico che condiziona lesistenza del
protagonista, uomo che non riesce a trattenere le sue pulsioni pi recondite.
Facendo un piccolo balzo avanti nella narrazione ci imbattiamo in quella che, secondo il
parere di molti, una delle scene pi importanti e memorabili di tutta la pellicola: lincontro
tra Amleto e lo spettro del padre. (atto I scena IV, 30 del film). La prima scena gi descritta
qui viene in pratica riprodotta (il luogo il medesimo), ma cambia il tipo di disorientamento
che viene trasmesso allo spettatore. Il vuoto della prima scena, distribuito orizzontalmente
grazie alla nebbia e al nulla intorno alla piattaforma, lascia spazio a quello verticale,
restituito da strette scalinate e dislivelli.
Uno dei primi fotogrammi riprende Amleto che guarda gi, nel vuoto. Uno sguardo nel
dubbio, nelloscurit, forse quella della sua mente. Dopo un minuto di scena, il rumore del
battito di un cuore ci colpisce e aumenta lagitazione, cos come allinizio del film. La
cinepresa pulsa e annuncia nuovamente lingresso del fantasma.
Amleto resta in piedi, in primo piano, ripreso dal basso verso lalto. I battiti aumentano
di intensit, cos come il rumore di sottofondo, e il principe cade al suolo. Lo spettro fa il suo
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ingresso. Amleto vuole parlare con quello che riconosce essere il fantasma del padre, ma i
suoi compagni non vogliono lasciarlo andare. Solo sguainando la spada riesce a divincolarsi
e a seguire lo spettro.
Le scale ripide sono le protagoniste durante lascensione del principe alla piattaforma
dove avverr il dialogo tra il defunto padre e il figlio. Una volta raggiunta la cima, la
sensazione di verticalit non cessa, ma viene sostenuta da una ripresa dallalto di Amleto
inginocchiato, la quale lavora in coppia con la consapevolezza dello spettatore della
pendenza delle scale che sono state percorse, con scalini talmente stretti da dover essere saliti
in punta di piedi.
La scena produsse allepoca alcune critiche. La quantit di dettagli che si paravano
davanti agli occhi dello spettatore venne giudicata da alcuni eccessiva, e che avesse come
risultato il distogliere lattenzione dagli eventi. Un esempio di questa ricchezza di particolari
si trova nellanello, indossato dal principe durante la sua salita, che viene mostrato al centro
dello schermo, in bella vista, quasi a voler sottolineare la sua presenza, una presenza che non
pu non essere notata trattandosi di una sequenza in cui il vuoto la fa da padrone. Questo
porta lo spettatore a domandarsi il perch di questo anello, e il significato che esso racchiude.
Un osservatore attento noter poi che, quando la sovrapposizione di immagini ci trasporta
nella mente del principe e ci mostra il momento della morte del re, il re stesso indossa il
medesimo anello.
Sempre lo stesso attento osservatore cercher quindi di abbinare mentalmente questi due
elementi in un quadro coerente, che si ricollega inevitabilmente al subtesto edipico
dellopera. Il medesimo anello posseduto da due uomini che desiderano la stessa donna
(Cook, 2011, p.35).
Lo sviluppo spaziale degli elementi della scenografia e la sua stessa struttura incorporano
il conflitto interiore del principe. Tutto ci che orbita intorno al fantasma viene associato ad
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uno sviluppo verticale, probabilmente per elevare la figura di Amleto sopra gli altri
personaggi, mentre tutti gli eventi terreni (fisicamente a livello di riprese e scenografia)
subiscono uno sviluppo orizzontale. Tutto ci che porta il protagonista a seguire i misteri
della mente e della coscienza lo fa salire verso lalto, mentre ci che riguarda il corpo e la
fisicit lo lascia al pari degli altri uomini.
Ancora un balzo avanti, per considerare lultima scena presa in analisi in questa sede, la
scena che maggiormente incarna ed esplicita il complesso edipico del protagonista: latto III
scena IV, che si va a posizionare ad unora e 28 minuti dallinizio del film.
Poco prima che Polonio si nasconda dietro agli arazzi, vediamo il principe salire una
nuova scala a spirale, pronunciando tre volte la parola madre. Poi, fa il suo ingresso in
quella che appare come una lussuosa camera da letto. Limpulsiva violenza di Amleto viene
subito evidenziata mentre getta la madre sul letto. Poi, sguaina il pugnale tenuto nascosto e
glielo punta al collo. Si tratta di una delle scene meglio riuscite a livello di espressivit. Le
urla di Polonio accrescono lira del principe, unira demoniaca. Questa sfocia nellatto
violento di uccidere luomo, ma luomo sbagliato. Amleto, infatti, fino a che non vede a
terra il corpo esanime del ciambellano, crede di aver ucciso lo zio e di aver fatto, quindi,
giustizia, di aver portato a termine la sua vendetta. Proprio per questo motivo Olivier
accresce la suspense. Lattesa prima di svelare al principe lerrore viene protratta per circa
trenta secondi, in cui la lama rimane conficcata nel petto di Polonio, il quale rimane per
sempre celato dietro allarazzo.
Nonostante il buon realismo espressivo globale della scena, due incongruenze di
sceneggiatura possono essere segnalate. Dal momento in cui Amleto tira la sua stoccata fino
a che il corpo non cade a terra (circa trenta secondi abbiamo detto), la lama viene tenuta
senza sforzo in posizione orizzontale, cosa che non sarebbe possibile, in quanto il peso
delluomo si sarebbe scaricato tutto su di essa, rendendo impossibile la leggerezza e la
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naturalezza dei movimenti di Amleto (forse il realismo viene volutamente sacrificato in


favore della teatralit, una sorta di licenza presa del regista per enfatizzare la recitazione,
ma si tratta comunque di una scelta che rende lazione eccessivamente innaturale).
La sorpresa nel veder cadere a terra un corpo diverso da quello dello zio si dipinge poi
sul volto e, dopo un attimo di apparente mancamento, lascia cadere a terra il pugnale,
perfettamente pulito, nonostante sia rimasto piantato per trenta secondi nel petto di un uomo
(seconda incongruenza della scena).
Dopo pochi secondi di sgomento, il singhiozzare spaventato della regina sposta lazione
sul letto. Amleto la costringe a guardare le immagini dei due re che entrambi tengono appese
al collo. Lui, quella di suo padre, lei, quella del marito. La sprona a compararle, definendo
una piaga imputridita che infetta il fratello sano, il re, marito di sua madre, suo zio. (III-IV64).
Da questo momento inizia la scena chiave, la pi esplicita, del rapporto incestuoso tra
madre e figlio. Mentre il principe parla, gli occhi della regina si spostano, con fare languido e
desideroso, sulla sua fronte e sul suo viso. I due volti sono vicinissimi. Amleto continua ad
urlare tutte le sue ragioni in faccia alla donna, scossa ora dal pianto. Le labbra quasi si
sfiorano, fino a che un rumore interrompe lintensit della scena. Il solito battito, che
annuncia lingresso dello spettro.
La cinepresa rimbalza da un primo piano di Amleto, la cui ira in un secondo lascia spazio
alla tensione e allansia, a quello della madre, con il desiderio dipinto in volto, nonostante le
lacrime. Lui la spinge via, e lei cade distesa sul letto. La spinge via per non trovarsi in
contatto con lei al cospetto del defunto padre, per non tradirlo, per non cedere al proprio
desiderio pi recondito in sua presenza Poi, cos comera accaduto per il primo incontro,
cade al suolo.

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Lo spettatore cosciente della presenza dello spettro. Tutti gli elementi della
sceneggiatura (il battito, il rumore, le espressioni dei volti) lo hanno abituato a riconoscere il
suo ingresso in scena, ma il regista sceglie in questo caso di non mostrarlo. Un solo elemento
differisce dalle due apparizioni precedenti: la messa a fuoco non pulsa, ma rimane perfetta.
Lutilizzo della sequenza separata ci restituisce il punto di vista del fantasma, quindi
associato con la posizione della cinepresa (anche se lo sguardo di Amleto sembra puntare
leggermente pi lontano). Gertrude non guarda verso lo spettro. Lei non lo vede e non
avverte la sua presenza e continua a guardare nella direzione del figlio, ancora disteso al
suolo. Quando Amleto alza il dito, indicando la direzione del fantasma, lei alza lo sguardo,
per poi far ricadere la testa in modo sconfortato, come se ormai fosse certa della pazzia del
figlio.
La cinepresa poi cambia posizione e, mettendosi alle spalle di Amleto, ci fa
immedesimare nel suo punto di vista. Ci si aspetterebbe a questo punto di trovarsi davanti lo
spettro tale e quale come nelle due scene precedenti; invece ora ci appare come un pallido
alone che si staglia sul buio oltre lingresso della stanza. Poi, un piano sequenza sposta il
punto di vista da quello di Amleto a quello di Gertrude. La cinepresa scorre dalluno allaltra
e la regina, con unespressione a met strada tra il perplesso e lo sconcertato, decide di alzare
lo sguardo verso la direzione indicata dal figlio, dove poco prima, nei suoi panni, si stagliava
quellalone pallido. La regina, per, cos come noi attraverso il suo punto di vista, non vede
altro che buio. Olivier ci fa tornare allora nei panni dello spettro che, mentre se ne va, ci
offre nuovamente limmagine di Amleto riverso a terra, che allunga le braccia nella nostra
direzione.
Dopo i momenti di follia di questi minuti di pellicola, la calma torna a prendere il suo
posto. La scena cambia di intensit. A questo punto, a seguito delle parole dette dal figlio,
sembra che la regina comprenda il terribile atto commesso sposando il cognato, e in un certo
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modo come se si creasse unalleanza tra i due. Latteggiamento della madre torna pacato, e
inizialmente sembra essere materno e proprio della figura che dovrebbe rappresentare
(Cook, 2011, p.48).
Questo atteggiamento dura per circa un minuto, fino a che, voltatasi verso Amleto intento
ad augurarle la buonanotte, cede al bacio, restituito e rafforzato dal figlio. Lalleanza tra i due
personaggi viene cos sigillata, sigillata da un bacio incestuoso, passionale, che non
stonerebbe tra due amanti.
Poi Amleto trascina via il corpo senza vita di Polonio.

CONCLUSIONI

Con lanalisi di queste sole quattro scene, si fatta una panoramica sulle tematiche
toccate dal regista e sulle tecniche utilizzate. Nonostante alcune critiche ricevute allepoca
dai classicisti del cinema, si tratta senza dubbio di una pellicola di incredibile qualit,
premiata infatti con ben quattro premi Oscar: miglior film, miglior scenografia, migliori
costumi e miglior attore protagonista a Laurence Olivier, che fu il primo nella storia ad
essere premiato in un film diretto da se stesso. (Riuscir nellimpresa anche Roberto Benigni
cinquantanni dopo con il film La vita bella - 1997).
Olivier trov una nuova via per esprimere e rendere ancora pi vivo ci che era stato
espressamente concepito per il palcoscenico, eliminando quei limiti spazio temporali
caratteristici della rappresentazione teatrale. Per questo scelse di riprendere scene ed
ambienti che poco differiscono da quelli propri del palcoscenico, per poi trasportare lo
spettatore allinterno della pellicola con luso di gru, riprese aeree, dissolvenze e quantaltro.
Tutte cose che solo il cinema pu regalare.

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Incrociando la sua arte alla cinematografia riusc a sfruttare questi elementi per
raggiungere il pi vasto pubblico possibile. Attraverso il cinema, infatti, riusc ad avvicinare
lAmleto di Shakespeare al pubblico cinematografico dellepoca, cercando contestualmente
di raggiungere la pi alta espressione dellopera.
Possiamo affermare che il cinema cos come lo concepiamo oggi deve qualcosa anche a
Laurence Olivier. Egli contribu a gettare le basi per la successiva cinematografia e tutto ci
non fa che confermare la grandezza di questo artista, la cui ambizione era essere ricordato
come il pi grande attore di tutti i tempi.

BIBLIOGRAFIA

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Mahwah 2002.

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Sharff Stefan, The elements of Cinema: toward a theory of cinesthetic impact,


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SITOGRAFIA

www.movieforum.it

www.shakespeare.it

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