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“TRAME DIGITALI”

DENIS BROTTO
PARTE PRIMA: ORIGINI E FORME DEL RACCONTO
DIGITALE
1. L’assenza fragile. Origini dell’immagine digitale (pag.15-32)
1.1 L’IMMAGINE, UN INSIEME DI FRAMMENTI
Il CINEMA DIGITALE → costituisce una forma di recupero e di radicalizzazione di esigenze, idee e
istanze del secolo scorso, in grado di assumere oggi una veste rinnovata.

Il CINEMA DIGITALE → ritrova i suoi prodromi nella costituzione di due movimenti avutasi tra la fine
degli anni Novanta e i primi decenni del Duemila → MOMENTI DI AFFERMAZIONE DEL MEZZO
DIGITALE, DISCUSSIONE DI RICERCA ATTORNO AL LINGUAGGIO CINEMATOGRAFICO E ALLE
MODALITA’ DI NARRAZIONE E DI MOSTRAZIONE DELL’OPERA FILMICA.
Importante la presenza e il ruolo del cinema elettronico tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta →
stesso periodo: primi tentativi di effetti speciali.
Radici dell’immagine digitale → VIDEO ART (Paik) → influenza nel CINEMA DIGITALE.

“il digitale incontra il video per raggiungere il suo orizzonte finale: la composizione, la
manipolazione e l’elaborazione dell’immagine”

Etienne Jules Marey → FUCILE FOTOGRAFICO → tentativo di restrizione dello spazio-temporale che
si lega ai sogni avanguardistici in merito a una ripresa del reale senza soluzione di continuità.
Nel digitale si può trovare una forma di apparente compimento, di apparente congiunzione in cui
l’intera storia del cinema sembra essere inglobata.

1.2 PER UN’IDEA DI CONTEMPORANEO


Incontro tra cinema e nuove tecnologie: incidenza avuta dalla cultura contemporanea, dall’influenza
della post-modernità, dalla compresenza con l’idea di virtuale + rapporto con le forme
cinematografiche che l’hanno preceduto (cinema classico e moderno).
“Il contemporaneo è colui che riceve in pieno viso il fascio di tenebra che proviene dal suo tempo.”
Il mezzo digitale appare come sintomatico dell’attuale “forma di vita” e ne costituisce un tratto
consequenziale, una derivazione.
Bernard Stiegler → per lui le NUOVE TECNOLOGIE sono per l’uomo contemporaneo:

un rimedio→ Il digitale presenta simultanei tratti di miglioramento della vita dell’uomo;

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e un avvelenamento → del rapporto tra essere umano e reale, manipolazione e falsificazione della
realtà costituiscono la base di una successiva e gravosa forma di disorientamento dell’uomo stesso.
INDIVIDUARE CARATTERISTICHE CHE IL CINEMA DEVE MANTENERE SIA CON LE NUOVE
TECNOLOGIE, SIA CON I TRATTI CARATTERIZZANTI LA CONTEMPORANEITA’.
L’impiego di CGI (computer genereted imagery), di effetti speciali, di rielaborazioni in computer
graphic, portano verso una forma di iperreale che al contempo ingloba lo spettatore e lo conduce in
una dimensione distante e diversa dal contemporaneo.
Accanto a un’idea di morte nel cinema → vive una concezione che vede viceversa nella nostra
contemporaneità una forma di rivoluzione e di distacco dal passato => marcati dall’avvento del
digitale.
Roger Fidler → fotografia digitale => forma di estensione dei processi analogici, atta a riformulare
radicalmente il rapporto tra immagine e realtà.

1.3 TRA INFLUENZA POSTMODERNA E NUOVO REALISMO


DISTINZIONE TRA “DIGITALE” e “POSTMODERNO”
DIGITALE → tecnica di scomposizione codificata di segni che consente a delle macchine di trarre
grandi quantità di informazioni;
POSTMODERNO → stile che prende le distanze dal Classicismo e dalla Modernità, o di una ideologia
che prende le distanze dai Grandi Racconti.
I tratti del cinema classico abdicano nel cinema moderno a favore di un racconto più aperto, con il
rifiuto verso una rigidità causale e con l’introduzione di long takes (= paini di sequenza), elementi di
riflessione e tempi morti.
Il postmoderno → porta il linguaggio cinematografico verso una forma di multinarratività dove
l’immagine costituisce prima di tutto il formularsi di una sensazione secondo l’aspetto narrativo.
DIGITALE e POSTMODERNO → due aspetti a sé stanti pronti a reagire agli stimoli e alle sollecitazioni
reciproche. Due entità => una tecnologica, una teorica (una ha saputo e dovuto tener conto
dell’altra).
Il postmoderno → mantiene al suo interno le medesime istanze della cultura moderna come della
cultura classica.
“Il postmodernismo non è il modernismo giunto alla fine, ma il modernismo allo stato nascente – e
questo stato è costante.” (Lyotard)
➔ All’interno del paradigma postmoderno troviamo tratti del cinema classico e moderno.
“Le rotture radicali tra i periodi comportano la ristrutturazione di un certo numero di elementi già
esistenti.”

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REALISMO DIGITALE = dicotomia nel rapporto cinema-reale, segnato da una parte da un’aderenza
mimetica nei confronti della realtà, dall’altra da un tentativo di manipolazione, modificazione e
trasfigurazione del reale all’interno del processo di creazione filmica.
Il POSTMODERNO → ha segnato ampi tratti del linguaggio filmico, non ha ancora esaurito le sue
interpretazioni.
Sul versante del REALE → nuova emersione di questo rapporto, di confrontarsi con la realtà senza
barriere => favorita dalle tecnologie leggere.

1.4 LA FIGURA DELL’AUTORE


Rapporto tra autore e immagine digitale.
Il digitale porta con sé il rischio di una sorta di semplificazione linguistica e di impoverimento della
forma narrativa.
Il rischio di scomparsa che avvolge l’autore assume un significato legato a una deriva delle istanze
stilistiche dell’opera + impossibilità di riconoscere un valore e un timbro.
Definizione di “STILE” → in ambito cinematografico lo STILE può aiutarci a definire e decifrare la
presenza di un’autorialità.
Per quegli autori che hanno saputo trasferire una conoscenza del linguaggio filmico nelle nuove
tecnologie, i risultati hanno portato a un evidente sviluppo delle possibilità espressive.
AUTORE → deve saper essere interprete, per mezzo delle medesime tecnologie, della propria
epoca; un’epoca vicinissima e al contempo distante + assumersi il dovere di un principio di
selettività all’interno della moltitudine di immagini attuale.

2. Forme nuove di racconto (pag.33-57)


2.1 IL TESTO E LE IMMAGINI
Stiamo assistendo all’emergere di nuove strutture narrative, che si complicano ampliando la
gamma di possibilità del racconto anziché tracciare un percorso lineare con un inizio, un centro e
una fine.
Il digitale sembra muoversi in direzione di una forma di apertura volta a riformulare le modalità del
racconto.
Quali sono le possibilità di composizione che determinano il testo filmico oggi?
Il carico di influenze si muove tra un tardo postmodernismo e l’influenza del contemporaneo.
Territori instabili → mancanza di una narrazione forte → mancanza di interpretazione del
presente→ non linearità del racconto → “multiform stories” = frammentazione di diverse tipologie
narrative scaturite negli ultimi decenni.
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Molti registi pongono domande sul ruolo che i media hanno nella nostra società come nel nostro
modo id guardare e pensare.

Nelle molteplici traiettorie che costituiscono questa sottigliezza tra testualità e media → si può
tentare una prima delineazione di quelli che Valery avrebbe definito i “POSSIBILI DEL LINGUAGGIO”:

a) Racconto intimo;
b) Forma individuale;
c) Rapporto diretto con il reale;
d) Manipolazione del rapporto cinematografico;
e) Frammentazione e multinarratività del testo filmico;
f) Presentificazione del testo filmico;
g) Narrazione per accumulo di immagini;
h) Il digitale nella rappresentazione;
i) Possibilità di ripresa in assenza di operatore;
j) Il meta-racconto, il trial filmico, il carnet de notes;
k) Effetto rebound;
l) Influenza sul cinema fotochimico.
SONO QUESTI I TRATTI FONDANTI CHE FANNO DEL DIGITALE PRIMARIAMENTE “UN SISTEMA DI
RAPPRESENTAZIONE”.

2.2 MINIATURE NARRATIVE


1995: DOGMA 95 (manifesto), Lars Von Trier → atto di ripudio verso il cinema e al tempo stesso
provocatorio tentativo di rilanciarne una forma di purezza.
Fine degli anni Novanta: PETITES CAMERAS (collezione di film), società francese ARTE e Pierre
Chevalier → tutto si fa più prossimo, ristretto, miniaturizzato. Si torna a dare attenzione al regista-
autore. È lui a creare in prima persone anche la fotografia del film.
Le azioni sembrano costruirsi come reazione agli stati d’animo dei personaggi.
Seppur meno ideologica rispetto al Dogma95, anche la serie francese contribuisce a portare la
tecnologia digitale a una forma di affermazione in ambito narrativo.
Appare chiaro anche l’intento di contrappuntare alla scrittura filmica i caratteri di novità dei nuovi
mezzi, cercando attraverso il loro impiego di sviluppare le proprietà del linguaggio cinematografico.

2.3 RACCONTI DI RACCONTI. LA MULTINARRAZIONE


(La mise en abyme (o anche mise en abîme o mise en abysme, in francese "messa in abisso"), è
un'espressione usata inizialmente da André Gide per indicare un espediente narratologico che prevede
la reduplicazione di una sequenza di eventi o la collocazione di una sequenza esemplare che condensi
in sé il significato ultimo della vicenda in cui è collocata e a cui rassomiglia.

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Nel cinema la funzione della mise en abyme è simile a quella che ha nelle arti figurative, ma include
anche il concetto di "sogno nel sogno". Per esempio, un personaggio si sveglia da un sogno e più tardi
scopre che sta ancora sognando. Attività simili al sogno, come stati di incoscienza e realtà virtuale,
vengono anch'esse definite "mise en abyme".)

Rapporto tra linguaggio cinematografico e nuove tecnologie.


EGOYAN → riflette in pochi minuti su molti aspetti che caratterizzano il cinema nella
contemporaneità. Riflette sulle influenze culturali, sociali e tecnologiche che influenzano il concetto
odierno di cinema. → “racconto nel racconto”
Per Egoyan l’idea stessa di composizione dell’immagine cinematografica viene spesso formulata
attraverso l’unione di più schermi: televisivi, filmici e telefonici.
Egoyan → dissemina direttamente nella forma della frammentarietà narrativa dei suoi lavori.
Importante è l’impiego delle immagini digitali che costituiscono solo una piccola parte del materiale
visivo del film. È alle immagini digitali che si affida il compito di mettere a nudo la parte più
profonda e personale della storia.
Il DIGITALE → sembra portare con sé una forma di verità. Di att4endibilità, oltre che al richijamo
autoriale, al passato dello stesso Egoyan.
NARRAZIONE MULTIPLA → Mise en abime → sviluppata dallo stesso Egoyan sembra voler rivelare
un Io profondo radicato nel cuore della concatenazione narrativa messa in atto.
Mise en ambine → principio della multinarratività → ricerca di sé.
Passato e presente → pellicola e digitale

INLAND EMPIRE di David Lynch → l’immagine si presenta come un insieme di superfici riflettenti,
moltiplicata come in una serie di specchi.

Film-labirinto in cui la narrazione non cerca di dare un ordine preciso agli eventi, ma in cui
“l’irrappresentabile deve sempre passare attraverso una pratica linguistica, e non attraverso la sua
negazione.”

Le modalità espressive della narrazione di Lynch si conformano al contenuto assecondando l’idea


che la percezione medesima dell’immagine digitale stia alla base di una diversa conformazione dei
livelli del racconto.

In INLAND EMPIRE si assiste a una sorta di quadrimensionalità, dove ai movimenti di un mondo a


tre dimensioni, se ne unisce una ulteriore data dalla correlazione tra un’entità esterna e la
tridimensionalità stessa.
INLAND EMPIRE → nella sua multinarratività si trovano tracce della nostra contemporaneità.

I media vengono impiegati come altrettanti stati della mente, ma anche come ulteriori stadi della
narrazione.
Ritrovano spazio le strutture narrative, ma anche le temporalità aperte.

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2.4 DERIVA DEL RACCONTO, INSTALLAZIONI, “CARNET DE NOTES”
I linguaggi della video art o delle installazioni si fanno più evidenti, determinanti.

Opere in cui la materia del cinema sembra conoscere nuove aperture, acquisizioni e relazioni.
Nessuna categoria di immagine può essere analizzata senza tener conto delle relazioni intrattenute
con le altre modalità di rappresentazione → le nuove tecnologie intervengono in un ulteriore punto
cruciale della relazione tra: NARRAZIONE ed ESTETICA CINEMATOGRAFICA.
RACCONTO CINEMATOGRAFICO → si contamina di fonti diverse, supporti diversi, accogliendo e
unendo tra loro immagini in movimento, fotografie, grafiche 2d, grafiche 3D, elementi digitali,
scansioni di dipinti o altro.

“DE-TERRITORIALIZZAZIONE DELLE IMMAGINI.” → perdita di significato univoco non solo per la


singola immagine proposta, ma anche per le relazioni che si vengono a creare tra le immagini.
L’influenza del cinema sembra farsi notare anche in ambiti MUSEALI → come le mostre oggi
operino una sorta di montaggio, rendendo l’esposizione museale → nuova forma di testualità.
Universo museale virtuale → le immagini del regista rappresentano le dimensioni plurime di questo
spazio fittizio consacrato dall’arte.
Le installazioni divengono un ulteriore modello tra narrazione e rimediazione che il cinema mette in
atto attraverso le nuove tecnologie.
Lo spazio scenografico dei cineasti-artisti diviene allora un ambiente museale e da costruire.
AGNES VARDA → la sua raccolta di videoinstallazioni descrive bene il rapporto tra installazioni e
spazi museali.
Viene meno la propensione al narrare e si cerca piuttosto di attuare una relazione temporale con la
materia del proprio osservare.
Kiarostami rivela una modalità ulteriore di interazione tra arte e cinema, tra installazione e media
visivi, tra racconto e fotografia.
L’attenzione di Kiarostami per il reale → dà vita a una sorta di coronamento delle proprie visioni.

I rapporti d’interscambio tra cinema, fotografia e video art si costituiscono come legami segnati da
una reciprocità.

In questo progressivo slittamento del cinema verso l’ibridazione formale, oltre ai rapporti con
video-art, fotografia, sperimentazioni visive, pittura, pubblicità, videoclip, un ulteriore e significativo
territorio di confine è dato dai film CARNET DE NOTES (taccuino) => opere spesso
metacinematografiche => contengono al loro interno immagini relative alla loro genesi, ai trials, al
loro making of.
➔ Si crea una traccia metafilmica interna alla narrazione, ma si rende conto anche della
lavorazione che precede le riprese, manifestando una riflessione aperta su quello che è il
lavoro di messa in scena, sul suo farsi e sulle direzioni molteplici che un’opera può prendere.

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Tentativo dichiarato di lasciare alle prove registrate la facoltà di mutare, ampliare, sviluppare il
soggetto di partenza.
BERTULUCCI → arriva a costituire l’intero film “L’amore probabile” sulla base dell’alternanza tra
finzione e dietro le quinte.
Il backstage, realizzato in digitale, delega al supporto DVCAM la funzione di svelare la presenza del
dispositivo cinematografico, entrando e uscendo costantemente dalla creazione funzionale.
BERTOLUCCI → “narrazione che avviene” → attraverso il mezzo digitale si sviluppa una recitazione
improvvisata, senza l’aiuto di un copione da seguire passo dopo passo.
Secondo le intenzioni di Bertolucci → tutto deve svilupparsi all’improvviso, sulla scena, attraverso il
dialogo, il confronto attoriale, l’improvvisazione, e la possibilità di filmare senza limiti temporali
permette di riconfigurare “il mondo come nuovo set possibile”.
KIAROSTAMI → l’intervento del reale all’interno della finzione avviene tramite l’immagine digitale.

KIAROSTAMI → decide di chiudere il lavoro su alcune immagini del dietro le quinte relative alla
troupe. Viene a costruirsi una sintesi perfetta del rapporto tra reale e finzione, ma anche tra
backstage e film, dando vita a una comparazione tra filmato originale e filmato della preparazione,
ora posti su un piano di uguaglianza e visti come entità sostituibili.
JAFAR PANAHI “This is not a film” → non-film che si trasforma in un CARNET DE NOTES sulle
possibilità infinite di interpretare, modellare, modificare una storia nel momento in cui si cerca di
darle una concretezza, una raffigurazione fisica e plastica.
“Honor de cavalleria”, Albert Serra → creare suspance per un’azione destinata a rimanere
eternamente fuori campo.

3. Raccontarsi tra le immagini (pag.58-78)


3.1 HOMO MUNDOS MINOR
Michael Bachtin → rappresentazione del Sé nell’antichità, evidenziandone l’essenza e i tratti tipici
che la contraddistinguono.
AUTORITRATTO → mette dunque in stretta relazione il vissuto dell’autore con il tempo in cui
quest’ultimo è inserito, la dimensione pubblica del ritratto autobiografico diviene centrale.

Il cinema arriva con ritardo a sviluppare le possibilità di un racconto-autoritratto in grado di


rimarcare i medesimi principi storici delineati da Bachtin.

Il cinema delle origini → ha contemplato la possibilità di impiegare il nuovo mezzo di riproduzione


del movimento per ritrarre luoghi, eventi, riti, azioni, in precedenza fissabili attraverso la pittura o la
tecnica fotografica → tratti indicati da Bachtin solo negli ultimi anni, a partire dall’impiego delle
tecnologie digitali.

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Molti autori provenienti dal cinema su pellicola hanno trovato nel digitale quell’immediatezza e
quella fedeltà necessarie a poter disporre dell’immagine in movimento al pari di un diario cartaceo.
Catherine Ikam “Digital diaries”
Nel periodo che va dagli anni Settanta ai Novanta, l’avvento del cinema elettronico e del video
aveva favorito una pratica narrativa imperniata sull’autobiografia → rimarcando una necessità di
racconto del Sé attraverso lo SGUARDO CINEMATOGRAFICO.
La propensione del cinema elettronico a ricreare gli stessi procedimenti dinamici della mente
umana, del pensiero umano, oggi il raccontarsi tra le immagini arriva ad affermare in modo
definitivo l’idea di →→→ homo mundas minor all’interno di un contesto filmico = un mondo in
miniatura che è prima di tutto la propria esistenza, il proprio rapportarsi al mondo => il racconto si
conforma non solo alla propria vita e alla costituzione di un personale ritratto del sé, ma anche alla
medesima epoca in cui l’esistenza si radica.
DIGITALE → sembra chiudere il cerchio attorno al rapporto tra AUTORE e AUTORITRATTO, portando
le opere autobiografiche a pari con il cinema mainstream.
Il digitale instaura un rapporto di libero recadrage con il volto attoriale e con l’ambiente
circostante-
Rendere interscambiabile lo sguardo tra chi sta dietro la telecamera e colui che vi si pone dinanzi.

3.2 AUTOBIOGRAFIE, AUTORITRATTI, UTOFINZIONI, DIARI


La forza dell’autoritratto video è prima di tutto quella di saper conservare “la traccia delle cose nel
momento in cui sono accadute”, sottolineando la propensione tipica dell’autoritratto a trattenere
con sé i connotati di spazio e di tempo relativi a un accadimento nel momento stesso in cui questo è
avvenuto.
L’autoritratto in digitale unisce una modalità di scrittura “necessariamente frammentaria” →
manifestando un implicito richiamo alla tradizione dell’autoritratto pittorico o fotografico.

AGNES VARDA: LES PLAGES D’AGNES


La soggettività assume una libertà di scrittura del tutto rinnovata. Una libertà che, anche per mezzo
del digitale, risulta svincolata da limiti di ripresa o di ordine tecnico.
JEAN BRESCHAND → parla di un racconto sviluppato attraverso l’unione di “piccoli frammenti
sparpagliati nel mondo”.
Molti sono poi gli autoritratti che si manifestano come riflessioni sul rapporto tra vita e morte, sul
manifestarsi di quest’ultima, sull’esperienza dell’incombere della morte.
VAN DER KEUKEN, Una lunga vacanza → road-movie.
ALAIN CAVALIER → realizza un autoritratto imperniato su quella che l’autore stesso definisce “la
paura della morte” mostrandosi nel vivo della malattia.

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Per entrambi il centro dell’opera rimane la necessità di riflettere individualmente sul “gesto”
cinematografico, sui tempi morti del quotidiano che il linguaggio cinematografico può riconfigurare
in valore espressivo, mostrando dunque attenzione per quell’ insignificanza del tempo in grado di
farsi sostanza del nostro vivere.
Lo strumento digitale indaga e favorisce questa visione attenta e diretta dei fenomeni. Tutto si lega
all’estemporaneità degli eventi, a una visione-analisi di un tempo in transito, mentre gli oggetti
rivelano la loro potenzialità attraverso il valore fisico e corporeo che esprimono.
Attraverso un vetro sporco, Roberto Nanni.
Sleepless nights Stories, Jonas Mekas → autentico inno al rapporto tra cinema e autobiografia
AUTOFINZIONE = fiction sviluppata attraverso la propria soggettività autoriale, recuperando tratti
del proprio vissuto, della propria esperienza personale, sino a riprendere direttamente dal reale
eventi e accadimenti del passato.
Lecons de tènèbres, Vincent Dieutre → compie un viaggio fisico e filmico tra le città di Utrecht,
Napoli e Roma, sviluppando una narrazione che si fa al contempo racconto amoroso, ricerca
pittorica, diario personale e FINZIONE:
➔ Pensieri, immaginazione e creatività dell’autore tornano a intrecciarsi con il vissuto
personale;
➔ Racconto atipico, dove il ricordo di una città si unisce non solo ai ricordi personali, ma anche
ai momenti di fiction e a una evidente contaminazione tra formati, intrecciando materiali in
super 8, pellicola, VHS e digitale.

3.3 “FILM DE POCHE” E TRACCE DI MEMORIA


Accanto a opere diaristiche realizzate con l’ausilio di telecamere digitali, si trovano sempre più
lavori nati attraverso dispositivi ancor più leggeri e minimali, quali il videotelefono e le tante altre
tipologie di occhi elettronici portatili.
I FILM DE POCHE che emergono → contribuiscono anch’essi a rispondere a una medesima esigenza
di autorappresentazione del Sé, di autoritratto da realizzare con mezzi e apparati di dimensioni e
complessità sempre più ridotte.
In queste opere favorisce quel “spontaneous recording of events” → l’individuo, e in primis l’autore,
tornano ad assumere un ruolo centrale.
JOSEPH MORDER, Journal → resoconto dell’adeguamento tecnologico, dell’evoluzione tecnica
intervenuta nei processi realizzativi.
Si crea un legame costante e variabile con il proprio tempo: COSTANTE per continuità, VARIABILE
per la flessibilità e capacità di introdurre le mutazioni tecnologiche intervenute in ambito
cinematografico.
Un diario che diviene sguardo sulle modalità di ripresa e visione.

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“Ciascun formato offre uno sguardo diverso nei confronti della realtà, ed è questo che mi interessa
della tecnica.”
Riflessione sui nuovi mezzi di ripresa, sulla loro abilità nello scovare frammenti di un reale, facendo
leva su quella bassa risoluzione delle immagini telefoniche in grado di restituire un sentimento ancor
più autentico e immediato.
FILM DE POCHE → rispondere a delle esigenze connesse all’evoluzione dei media, a un desiderio di
riduzione degli spazi e delle tecnologie, a una ricerca di intimità con l’oggetto del proprio filmare →
“P CINEMA” (P = portable).
Il digitale e il virtuale → sembrano favorire una forma di smaterializzazione del reale, i film de
poche, i mobile movie ripropongono una “mummificazione della realtà”.
Reale → ricostruire una nuova ontologia del cinema, sino ad arrivare una sorta di scenario visivo
legato proprio alle immagini, dettate dagli occhi elettronici dei videotelefoni.
Un mobilescape in cui→ smartphone e tablet rappresentano gli ultimi esempi in cui la produzione di
audiovisivi amatoriali viene incentivata dalla presenza di social networks che su questi prodotti
basano molte delle dinamiche di condivisione di informazioni e dati dei singoli utenti.
A cambiare è la ricezione stessa dell’immagine filmica avente come destinatario anche il computer.
Queste esplorazioni del Sé (autobiografie, autoritratti, diari, autofinzioni) → vengono a coagularsi
attorno a queste nuove tipologie di strumenti, dando vita a UNA TECNOLOGIA DEL SE’ dove
elementi di personalizzazione, condivisione ed espressività → fanno delle piccole opere prodotte
un nugolo di frammenti e segni della propria intimità della propria esistenza del presente e dove il
dispositivo di realizzazione costituisce anche quello di distinzione dell’opera prodotta.

3.4 IL SÉ NEL “DILUVIO DI IMMAGINI”


Le autobiografie, gli autoritratti, i diari sembrano conoscere una nuova fioritura nell’epoca del
CINEMA DIGITALE.

Una natura umana ri-mediata, riconfigurata all’interno della sfera dei media → per la medesima
concezione che l’individuo ha di sé. Non solo l’evoluzione tecnologica modifica il nostro rapporto
con i mezzi di comunicazione, costituendo una forma di networking tra questi, ma anche il Sé
dell’individuo si trova a esperire in prima persona questa forma di cambiamento e di reinserimento
all’interno del contesto mediatico.
Un “Sé rimediato” in cui la nostra immagine è soggetta a un processo di revisione attraverso:
telecamere, dispositivi elettronici e computer.
Una rimediazione che si manifesta per mezzo di una crescita esponenziale delle
autorappresentazioni che l’uomo dà di sé attraverso i nuovi media.
Ad emergere in questi lavori è un tentativo di autoesplorazione di sé che mira a restituire il rapporto
tra soggetto e contesto.

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RISCHIO → la facilità realizzativa e la narcisistica concentrazione sulla propria immagine, può
portare a poco a poco a smarrire la necessaria attenzione critica rispetto non solo alla propria
opera, ma anche alla propria epoca, facendo venir meno il legame tra individuo e contemporaneità.
Presenza dello strumento digitale: non è una condizione sufficiente al fine di cogliere l’essenza
dell’individuo all’interno del proprio tempo storico.
Un passivo adeguamento al mezzo tecnologico ha come risultato => per l’uomo di quella necessaria
“istanza” rispetto alla propria epoca → autoritrarsi = mostrarsi in relazione alla contemporaneità.
Il videotelefono → è uno strumento di comunicazione verbale e immediata.
NON È IL MEZZO A DETERMINARE LA QUALITA’ DEL PRODOTTO, BENSI’ LA CONOSCENZA PRECISA E
APPROFONDITA DI UN LINGUAGGIO, RINNOVATO E ALLEGGERITO.

“Diluvio di immagini” → naufragare il nostro presente, sempre più compresso nell’attuale


proliferazione del visivo in cui spazio e tempo reali sembrano viaggiare verso il rischio concreto di
una reciproca implosione.

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PARTE SECONDA: ESTETICA E TECNICA DEL DIGITALE
4. Del reale. Dalla trasparenza alla manipolazione (pag.81-115)
4.1 NUOVE TECNOLOGIE E MODI DEL REALE
ANDRE’ BAZIN → ricordarci che il realismo non è un fenomeno unitario “di per sé” e che molte
possono essere le sue ramificazioni.
BAZIN → l’immaginazione e la creazione devono poter avere al proprio fianco la “densità spaziale
del reale”, una sorta di materia primigenia destinata ad incontrare un atto creativo.
JEAN-PIERRE OUDART→ distinzione tra: “EFFETTO DI RELTA’” ed “EFFETTO REALE”.

EFFETTO DI REALTA’ = l’immagine ricrea nello spettatore una sensazione di realtà attraverso una
convenzione, dei codici.

EFFETTO REALE = lo spettatore crede a ciò che vede non per convenzione, bensì perché vi riconosce
un fondamento di reale esistito davvero.

DIGITALE → interviene all’interno di tale binomio rafforzando le potenzialità di questo “effetto


reale”, radicalizzando un rapporto diretto con l’accadere delle cose.
Si assiste a una continua rielaborazione e trasformazione del reale.
KRACAUER → ribadisce come il cinema nei confronti del mondo agisca da specchio.
Realismo nell’epoca del digitale: nuove tecnologie rivitalizzano e rinnovano la relazione tra autore e
realtà, sino a favorire il compimento dell’utopia zavattiniana di poter “pedinare il reale”.
Il digitale propone→ dimensione di istantaneità del dispositivo, di osservazione e registrazione
diretta, senza mediazioni strutturali né temporali.
ZAVATTINI → auspica il sopraggiungere di uno strumento atto alla ripresa più leggero, di ridotte
dimensioni, in grado di inserirsi in spazi stretti →→→ SUBITOL.
➔ Si vuole far venire meno il ruolo della sceneggiatura, cercando di rinvenire nel reale il
terreno da cui creare il racconto cinematografico.
ZAVATTINI→ definizione del cinema che si usano oggi nel digitale: “cinema a basso costo”, “cinema
quotidiano”, “cinema di urgenza” e “cinema immediato”.
ABC Africa (2001), Kiarostami → film-documentario, il regista mette da parte la tradizionale
strumentazione cinematografica, abbracciando fisicamente e idealmente la tecnologia digitale.

Dieci, Kiarostami → Si sviluppa attraverso una “sceneggiatura aperta che trova la sua forma finale
mentre il film viene girato”:

➔ È la realtà stessa a forgiare la struttura del film;


➔ Non solo la leggerezza del medium, ma anche il venir meno della struttura che gravita
attorno contribuisce a lasciar spazio alle dinamiche del reale, al loro rivelarsi;
➔ “verità della vita che porge delle immagini a sé stessa.”

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Ossos (1997), Costa → processo narrativo attento al reale. Il lento muoversi della telecamera di
Costa mette in atto un movimento “selettivo, ragionato”, a partire dalla materia data dalla realtà.
Citès de la plaine (2001), Kramer ;
L’esquive (2003), Abdellaf Kechice ;

Entre les mures (2008), Laurent Cantet ;


Malancholia (2008), Lav Diaz → rapporto tra linguaggio cinematografico e tessuto sociale.
Molti sono ancora i film che confermano un rapporto privilegiato instaurandosi tra tecnologia e
reale.
Il digitale sviluppa un rapporto di prossimità con la città stessa in cui il film è ambientato.
La presenza del digitale ha contribuito a un nuovo sviluppo del genere documentario: a colpire è la
consonanza tra l’aderenza al reale e tecnologie digitali leggere.
In tutti questi esempi risiede la possibile concretizzazione di quell’idea di “pedinamento”, di
osservazione del reale a una giusta e ridotta distanza ipotizzata da Zavattini.

4.2 MUTAZIONI DI UN’IMMAGINE


Il digitale sembra portare l’immagine verso una forma di perdita di quel valore ontologico
attribuibile alla ripresa foto-cinematografica. La corrispondenza tra registrazione fotografica ed
esistenza dell’oggetto fotografico viene ora posta in discussione.
L’immagine sembra perdere la sua aderenza iconica con il reale. Il digitale rivela la possibilità di
creare un’immagine.
I colori della passione, Lech Majeswki
In una fase in cui l’immagine si trova sempre più soggetta alla mediazione digitale, Majewski sembra
suggerire che inevitabilmente i principi stessi del realismo sono destinati a mutare, con un rapporto
ontologico che dal reale sembra continuare ad assorbire la propria assenza.
DIGITALE → relazione di stampo dicotomico con il reale: vicinanza mimetica da una parte,
manipolazione e rielaborazione del visivo dall’altra.
MAJEWSKI → desiderio di coniugare il reale a un’idea di manipolazione.
MARK HENSEN → considera l’esperienza del digitale come la pratica più idonea per evidenziare lo
svincolarsi del corpo della “stretta relazione” con il resto dell’immagine.
È proprio attraverso questa forma di disgiunzione che il corpo rimarca la propria entità reale;
un’entità incorporata all’interno di un panorama artificiale.
Un ulteriore esempio di grande interesse nel far convivere realtà, virtuale e digitale è dato da Eric
Rohmer con il film La nobildonna e il Duca, nel 2001, in una fase ancora iniziale per le nuove
tecnologie.

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ROHMER → pone in risalto il particolare rapporto tra reale e dispositivo digitale facendo a poco a
poco percepire la profonda manipolazione scenografica che caratterizza la sua opera.
➔ Lascia il reale fuori dal teatro di posa, fuori dal contesto realizzativo del film;
➔ Crea una tridimensionalità che di fatto non esiste.
HERZOG → esempio ulteriore di manipolazione del reale; l’alterazione segue due differenti
coordinate: una manipolazione narrativa e una manipolazione visiva.
Still life, Jin Zhang Ke → manipolazione interna all’immagine, dando vita a una sorta di
sovrascrittura del dato visivo originario.
Un’ulteriore forma di manipolazione del reale arriva poi da quell’insieme d’immagini legate
all’esposizione e al racconto di dinamiche di guerra, di conflitto, agli attentati suicidi, ai video
testamenti.
Immagini morte che con regolare cadenza quotidiana popolano i media. L’ immediatezza, la
capacità ri-produttiva, le potenzialità di diffusione istantanea dei contenuti → portano il digitale a
essere il dispositivo privilegiato per osservare determinati aspetti centrali della contemporaneità,
come ad esempio le possibilità di manipolazione a cui questa è soggetta.
Immagini di guerra, di sangue → concorrono a una formula di costruzione della paura, giocando
talvolta sulla ricerca di choc sempre più profondo, esteso, illimitato.
Guerre = “terreno di scontro iconico, in cui si combatte a colpo di immagini”.
Elementi visivi capaci di costruire una sorta di forma estetica dell’immagine piegata alle esigenze di
una propaganda di terrore.

Z32, Avi Mograbi → esempio di film-sguardo sulle zone di guerra, in grado di coniugare alcuni
aspetti derivanti dal digitale con il contesto in cui è ambientato → film-testimonianza.

MAGRABI → particolare rapporto tra realtà e manipolazione, egli cerca di attenuare il contatto con
il reale proprio per la stessa natura dell’opera → ancora una volta il reale diviene materia prima da
modificare nelle mani dell’autore.

Questi film adottano il digitale come sintomo di realtà da inserire tuttavia in un contesto
dichiaratamente funzionale.
Nella valle di Elah, Mike Deerfield;
Redacted, Brian De Palma → videodiario di guerra => impossibilità di staccarsi da quelle immagini
viste in Iraq durante la guerra, un orrore destinato a rimanere nel tempo.
Non è importante determinante se quelle immagini siano vere o false, in quanto a emergere è
comunque il loro valore documentale, dato dall’”autenticazione” che il film attribuisce a loro.

14
4.3 IL CRONOTOPO DI PRESENTE E IL CONCETTO DI DURATA
I luoghi, come i volti, manifestano una stratificazione del tempo, la contengono.

Il digitale sembra amplificare questa propensione. Il suo status di flusso, il suo presentarsi in
numeri, ricrea la sensazione di un tempo che si dipana, si rotola, si stratifica, convive.

Il modello del cinema digitale appare il più consono oggi a inglobare il TEMPO, inteso come
QUARTA DIMENSIONE, all’interno delle tre dimensioni che costituiscono lo spazio.
Le coordinate del tempo sembrano acquistare fisicità, corporeità, visibilità nella superficie del
quadro che compone l’immagine cinematografica digitale.
TEMPORALITA’ FILMICA → attrazione verso l’istante attuale. “OGNI IMMAGINE SUCCESSIVA
DISTRUGGE IL SIGNIFICATO DI QUELLA PRECEDENTE.” “Culto di eterno presente”→ l’immagine
sembra perdere la capacità di rappresentare il passato.
Si constata che siano proprio le nuove tecnologie a sviluppare un’immagine time-based, soggetta ad
“un continuo presente in divenire”.
All’interno dell’ambito digitale troviamo però anche soluzioni narrative in grado di marcare il
presente come categoria, modello, contenitore di istanze e temporalità molteplici.
Accanto a modalità di MANIPOLAZIONE e di INTERVENTO SULL’IMMAGINE troviamo una forma di
plurinarratività del racconto in grado di dar vita alla compresenza di molteplici piani narrativi, aventi
ognuno una temporalità autonoma.
Arca russa, Aleksandr Sokurov → ininterrotta inquadratura di novanta minuti, intera temporalità del
film attraverso un unico piano di sequenza.
Rileggere il paradigma del cinema digitale di questo suo statuto di presentificazione e di
simultaneità del tempo in un unico spazio → concetto di CRONOTOPO.
CRONOTOPO = interconnessione sostanziale dei rapporti temporali e spaziali dei quali la letteratura
si è impadronita artisticamente.
BACHTIN (studio cronotopo)
Il cronotopo cinematografico è alquanto letterale, concretamente dispiegato su uno schermo con
dimensioni specifiche e sviluppato in un tempo concreto (di solito 24 fps).
Si possono osservare alcune delle possibili articolazioni del tempo in relazione al modello del
cinema digitale, evidenziando le diverse modalità di convergenza temporale verso il presente e il
venirsi a costituire di un particolare tipo di spazio-temporalità, definibile come → “CRONOTOPO
DEL PRESENTE”.
Tra i caratteri che definiscono tale “cronotopo del presente” troviamo:
a) La costituzione di un tempo presente interno alla narrazione;
b) Una narrazione che predilige lavorare sulla durata attraverso la ripetizione dell’immagine
(loop);
c) Una forma di controllo al tempo presente;
15
d) Una ripresa senza soluzione di continuità.
Le tecnologie digitali permettono di effettuare una ripresa senza soluzione di continuità, senza
interruzioni, dando vita a una duplice modalità di narrazione:
- Da una parte la già descritta osservazione continua del reale, in grado di consentire una
ripresa della messa in scena nel suo farsi, nel suo evolversi;
- Dall’altra parte troviamo invece film concepiti e realizzati nello spazio di un’unica
inquadratura, nel tempo di un’unica ripresa.
Arca russa → evidenzia il sussistere di una coincidenza assoluta tra Tempo e Spazio, una
convergenza e un sincronismo in cui gli accadimenti del passato possono essere rilocati in un
presente continuo.
La creazione di uno spazio-tempo unitario rivela inoltre la coesistenza di più momenti del passato in
un unico ambiente → presentazione diretta del tempo “un tempo cronico, non cronologico”.
BACHTIN → lo spazio mantiene in sé il tempo, lo condensa, lo porta a una radicalizzazione in forma
presente.
AMBITO DELLA VIDEO ART

Higgs, 20 Mai 2005. CERN Undergroung Ring Walking (2005), Gianna Motti → unica ininterrotta
inquadratura di sei ore in cui il protagonista viene ripreso durante l’attraversamento del Large
Hadron Collier del CERN di Ginevra.
Teorie di Bachtin in merito al cronotopo

➔ permettono di ridefinire l’immagine digitale come un’immagine al presente => ad entrare in


un contesto di modificazione è l’idea stessa di durata dell’immagine digitale → non solo a
livello di inquadratura, di frames che ne rilevano la lunghezza in termini di frazioni di
secondo, ma anche sotto un profilo percettivo, di valor cognitivo e di PERMANENZA NELLA
NOSTRA MEMORIA DI UNA DETERMINATA IMMAGINE.
Tre scimmie, Nuri Bilge Ceylan

Ripetizione
A determinare il senso è la durata e la ridondanza dell’elemento visivo. È la ripetizione a costituire
una forma di spazialità emotiva.
Esempi di narrazioni loop → VIDEO ART (Vexation Island, Rodney Graham)
Lavoro di ripetizione e al contempo mutazione → videoartista VERONIQUE AUBOUY Work in
progress Proust Lu.
Il digitale arriva a coniugare molti degli aspetti sin qui evidenziati del PARADIGMA DIGITALE: il loop,
la ripetizione di un gesto, ma anche il conseguente venir meno della narrazione cinematografica.
Ritorna una propensione al diario, all’autobiografia, al ritratto, a una messa in evidenza della durata
con un unico gesto destinato a rimanere non solo nel tempo abituale di un’opera filmica, ma
addirittura negli anni, nei decenni.

16
4.4 MEMORIA E CONTROLLO NELLO SPAZIO-TEMPO DIGITALE
La nostra memoria sembra convivere ormai con lo spazio della mente umana con quello funzionale
di strumenti virtuali di supporto mnemonico.
La diffusione delle tecnologie digitali → ha ampliato enormemente il numero di strumenti ottici a
disposizione, con la conseguente costituzione di un modello di ININTERROTTA RIPORDUZIONE E
PRODUZIONE DI IMMAGINI.
Legame tra digitale e sfera sociale: richiama un aspetto ulteriore del concetto di cronotopo.

BACHTIN → non vide nel cronotopo soltanto un rapporto spazio-temporale, ma anche una
“condensazione del tempo storico, un gioco tra lo spazio-tempo reale e quello raffigurato nel testo
letterario” => un legame sociale e uno di spazio-tempo che rivela le derive spaziali e temporali
dell’epoca e della società in cui quella particolare opera è stata concepita.
PANOPTICON => “una forma dell’opera d’arte totale” nella quale non solo è visibile l’integralità
degli elementi coinvolti, ma tale integrità è visibile da ogni punto di vista e in qualsiasi maniera.
Niente da nascondere, Georges → scoperta che si tratta di riprese effettuate da una videocamera a
creare una separazione tra noi e il punto di vista del regista → “effetto perturbante” (Unheimlich di
Freud).
➔ L’immagine diviene una finestra sugli eventi data primariamente dal quadro televisivo;
➔ Il tempo diviene malleabile, si trasforma in un tempo soggettivo, legato alla volontà e alle
esigenze di chi ne detiene il controllo, il comando => forma di “sorveglianza digitale”, dove
“la ripetizione è anche il senso di questa memoria definita volontaria”.
L’ultimo nastro di Krapp→ indaga sula valore del PASSATO.
Attraverso il film di Heneke si coglie ciò che Paul Virilio definisce come MEGAOTTICO.

MEGAOTTICO = l’attuale sistema di osservazione sociale, configurato come forma di video-


sorveglianza espansa, globale, una sorta di esplosione dello sguardo priva di un indirizzo preciso e
dunque in grado di colpire indistintamente qualsiasi punto.

Tutto concorre a formare uno status di sorveglianza perenne.


HENEKE → riflessione sul DIGITALE e sulla sua rilevanza nel tessuto sociale contemporaneo => si
estende dunque anche all’interno della rappresentazione.
Red Road → necessità di seguire una storia da più angolazioni;
Il grande capo, Von Trier → forma di ripresa dell’istantaneità.
OSSERVAZIONE DEL REALE AL COSTANTE E INCESSANTE RITMO DEL PRESENTE.

17
5. L’opera-archivio e il digitale multiforme (pag.116-139)
5.1 IL CONCETTO DI INTEGRAZIONE
Il digitale rivela un’inedita integrazione dei due principali fattori dell’arte cinematografica: le
decisioni e scelte inerenti alle modalità di messa in scena, ideazione e realizzazione del film, e la
componente tecnica, intesa come filiera che dall’idea giunge alla produzione e distribuzione di un
film.

Le fasi di editing → viste non più come stadi isolati fra loro, bensì come tasselli interconnessi l’uno
all’altro, integrati all’interno di un unico sistema realizzativo.

Compare l’idea di CINEMA IN MOVIMENTO, IN MUTAZIONE → all’interno della quale il nome


unitario di cinema digitale serve a definire ambiti tra loro anche molto distanti.
La filiera di costruzione di un film si trasforma da orizzontale in verticale → segnata da caratteri di
contemporaneità, coincidenzialità, interscambio continuo tra le sue componenti e le sue diverse
fasi.

Intermedialità = processo di trasferimento, di migrazione, tra media, forme e contenuto → si


riferisce al rapporto tra gli strumenti stessi che portano alla creazione filmica.
➔ Rapporto diretto tra media
➔ Integrazione ben espressa dal concetto di embedded, di incluso, incorporato.
PRIMA DISTINZIONE: heavy digital (digitale pesante) e light digital (digitale leggero).
Differenziazione che include → il tipo di strumentazione, i formati impiegati, il valore e la
definizione dei macchinari, i costi di realizzazione, le possibilità tecniche, il differente grado di
prossimità e intimità con il reale, il peso e la rilevanza dell’equipe tecnica che lavora sul film.
Negli anni Ottanta l’elaborazione e la sintesi delle immagini digitali è divenuta più presente, in
particolare nei videoclips e negli spots pubblicitari, oltre che al cinema.
CONTINUA RICERCA DI SVILUPPO E DI MIGLIORAMENTO TECNOLOGICO.
Camcorder → → (cam, camera; re-corder, videoregistratore)
➔ Risoluzioni molteplici;
➔ Definizione superiore rispetto a quella della pellicola (RED ONE);
➔ STRUTTURA INTERNA:
si basa sulla presenza di una struttura a fotosensori in silicio
i CCD (charged-couple device)→ convertono i segnali luminosi in segnali elettrici → il
segnale in ingresso viene tradotto in segnale elettromagnetico, mentre l’immagine si
compone di piccoli elettrodi detti fotoelementi (disposti su una griglia bidimensionale
secondo un preciso ordine geometrico)
Fotoelementi → corrispondono nell’immagine finale ai pixel → alla cui definizione
concorrono due differenti tipi di procedura:
1) Campionamento
2) Quantizzazione;

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Camcorder → molteplici categorie sulla base di qualità di definizione e formato di registrazione:
1) Formati Mini-DV
2) Formati DV
3) Formati DVCAM (Sony) – 50fps
4) Formati DVCPRO (Panasonic) – 50fps
5) Formato HD – 1920x1080 pixel (4 volte superiore rispetto al formato DV)
6) Formato HDV^7 (ibridazione tra telecamere heavy e light digital);

Presenza di un ulteriore camcorder HD dato dalle telecamere digital cinema → risoluzioni a 2k e a


4k (k=migliaia di pixel di risoluzione orizzontale): 2048(x1080) -> (2k),
4096(x2160) -> (4k);
Sensore CMOS → la sua risoluzione equivale a quella di una pellicola 35mm;

Distinzione tra: component e camcorders


Per sistema qualitativo in component → insieme di tre cifre che vanno da 0 a 4 e che
indicano e definiscono il tipo di luce e di colore del camcorder.
4:4:4 = piena qualità cromatica → primo numero: crominanza e le informazioni relative al
colore verde; secondo numero: relative al colore rosso; terzo numero: relative al colore blu.

Una nuova fase introdotta dal digitale è costituita dal digital intermediate (DI) = PRASSI DI
LAVORAZIONE CHE PERMETTE DI POSTPRODURRE UN FILM IN DIGITALE ANCHE SE GIRATO IN
FOTO-CHIMICO (=analogico).
Il DI permette di ottemperare a molte limitazioni del processo chimico di lavorazione del film, quali
ad esempio:
1) Possibilità di danneggiamento in cui può tipicamente incorrere il supporto fisico della
pellicola;
2) Ogni modifica arrecata alla pellicola in fase di lavorazione comporta una perdita di qualità
della stessa;
3) I processi di elaborazione cromatica della pellicola sono lineari, e i cambiamenti sono di
natura chimica.
Il digital intermediate → integra alla fase di editing quelle di postproduzione e di color correction.
Si riducono i tempi nell’elaborazione dell’immagine.
Prossimo al procedimento del DI è il metodo di RESTAURO IN DIGITALE DEL FILM = eliminazione di
graffi, rigature, spuntinature o macchie che sporcano l’immagine su pellicola → ricostruzione di
sezioni d’immagine venute a rovinarsi, o a perdersi, nel tempo.
L’ingresso dei software digitali ha ridotto di circa l’80% l’intervento umano nella fase di correzione
dei difetti della pellicola, permettendo di implementare sensibilmente le potenzialità di determinare
fasi di restauro dell’immagine.

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La fase di restauro costituisce inoltre non solo un recupero dello status d’origine dell’opera, bensì
anche una forma d’interpretazione mediale del film → adeguata alle rinnovate possibilità dei
media.
RESTAURO => deve permettere un’omogeneità nell’utilizzo di parametri atti a costituire una
modalità di archiviazione dell’opera di ampia consultabilità e condivisione.
Un altro aspetto cui tener conto → integrabilità di file digitalizzati e restaurati.
Intento del restauro → ottenimento dell’integrabilità del supporto con un medium atto alla sua
visualizzazione e archiviazione, fasi imperniate anch’esse su un concetto di intermedialità.

5.2 LA NUOVA FILIERA DIGITALE


“Montaggio non lineare” → dove si può intervenire con un taglio a ogni momento e in qualsiasi
punto del film.
Tra i numerosi vantaggi apportati dal montaggio digitale è opportuno evidenziarne alcuni:
1) Maggior velocità di elaborazione;
2) Applicazione di effetti speciali, filtri e plugins di correzione, ora semplice e immediata;
3) Ridefinire il quadro;
4) Rivedere in tempo reale il materiale modificato;
5) Una pluralità di timeline contenenti ognuna una differente versione di montaggio;
6) Si possono suddividere le diverse fonti (musica, componente grafica, immagini fisse, riprese
di formati diversi);
7) Riduzione del personale impiegato nell’elaborazione del film.
Attraverso il montaggio digitale assume ulteriore valore il concetto di → INTEGRAZIONE.

➔ L’applicazione di effetti di postproduzione trova una forma di interazione. Il montaggio


virtuale permette il chroma-key, le modificazioni interne all’immagine, le combinazioni tra
più inquadrature.

l’obiettivo del MONTAGGIO DIGITALE → portare a un tipo di relazione “un uomo/una macchina: il
montatore che lavora come pittore” (caratterizzazione artistica del ruolo del montatore).

POSTPRODUZIONE → indica l’insieme dei trattamenti effettuati sul materiale registrato,


comprendendo il montaggio, l’inserimento di altre fonti visive e sonore, sino alle voci off e agli
effetti speciali.

➔ Valorizzazione dello stato di coesistenza di materiali diversi → MATTE PAINTING (nuova


pratica di produzione => picture in picture)

DIGITALE→ facilitazione d’uso, maggior precisione applicativa, sviluppo creativo delle possibilità
offerte.

20
5.3 VERSO UN “SECONDO MONTAGGIO”
Flessibilità e integrabilità del digitale → incremento del workflow filmico.

In breve tempo la nascita di nuove modalità di fruizione e interazione con l’opera filmica, che
proprio sui software digitali basano molte delle loro possibilità.

Negli anni che vanno dal 2000 al 2005, la radicalizzazione delle tecnologie si è fatta assoluta per
quanto concerne le pratiche di montaggio e di applicazione degli effetti speciali, mentre ha
riguardato quasi il 40% dei film in merito alla color correction.

Considerevole aumento delle sale digitali.


Il file contenente il film può eseguire una prima collocazione nell’home video in cui il DSM (digital
source master) viene destinato alla proiezione televisiva e alla stampa dei DVD. Per la
cinematografia viene realizzato un DCDM (digital cinema distribution master).
nuovi cambiamenti investono il mercato dell’home video.
Il cinema, come la letteratura, è un linguaggio che può esprimere qualunque settore del pensiero.”
Lo spettatore vive in un rapporto di prossimità estrema con l’opera, una prossimità immersiva,
inglobante, come accade nelle sale cinematografiche high-tech, dotate di tecniche che tentano di
riprodurre un ascolto olofonico e di principi sinestetici uniti all’effetto del dolby digital surround e
del digital theater system.
Gli schermi IMAX, sistemi di proiezione di 22m di lunghezza x 16 di altezza, danno vita a esperienze
visive in cui → → → lo spettatore è INGLOBATO all’interno dell’immagine.
L’immagine filmica prolunga il proprio status di entità visiva in movimento abbandonando la sala ed
estendendosi al di fuori di questa → le installazioni di immagini in movimento vanno a sviluppare
l’idea di image-environment → immagine-ambiente, in grado di confluire in questi nuovi spazi,
divenendone parte integrante.
ARTSCAPE → l’immagine si fonde con l’architettura, l’arte, il cinema, dando vita a visioni in grado di
acquisire volume e profondità.
Cinema mobile → in movimento non solo nella sua essenza fatta di immagini che scorrono una
dopo l’altra, ma anche nel suo rapporto con l’ambiente circostante → luoghi reali in luoghi investiti
in elementi cinematografici => RILOCAZIONE.
RILOCAZIONE = lo spazio circostante “assorbe” la presenza di telecamere digitali, si ampliano le
forme di visione.
Screen-wall → sintomi evidenti di un nuovo modo di concepire e vivere il film.
Il testo filmico assume forme differenti in base al tipo di medium da cui è trasmesso.
Il film si presenta come opera multipla → visione dell’opera in una forma di nuova cooperazione tra
autore e spettatore → è quest’ultimo a stabilire i tempi e i modi di fruizione dell’opera, con la
facoltà di visionare il film più volte e con modalità sempre differenti.

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Dopo l’editing del regista, è lo spettatore a mettere in pratica un lavoro di ricreazione e
rielaborazione del film → lo spettatore diviene parte del dispositivo.
“Il testo di confronta con il suo destinatario” => con le pratiche sociali in uso all’interno di una
comunità, i bisogni e i processi di consumo.
L’opera assume un nuovo spessore → volta verso il pubblico (identificazione e condivisione)

5.4 L’ARCHIVIO INFINITO E IL MUSEO VIRTUALE


Il digitale apre le porte a un processo interconnettivo di realtà anche per quanto riguarda le
successive fasi di archiviazione, restauro, consultazione dell’opera.
Rapporto tra archivi e nuove tecnologie → HANS BELTING → relazione esistente tra immagine e
mente:
 Porzione di memoria dove risiede un archivio di immagini;
 Altra memoria intesa come attività, capacità di richiamare alla mente delle immagini.
Già al nostro interno è dunque presente un medium duplice → capace di sedimentare le immagini e
dall’altra di riattivarle, ricordarle, proiettarle, ma anche cancellarle, censurarle e trasformarle.
Mente umana → “database vivente di immagini” → processo di associazione, moltiplicazione,
ricostituzione ed eliminazione.
Musèe imaginaire, musèe virtuel => “Museo 2.0”.
Il digitale evidenzia la possibilità di amplificare il rapporto tra conservazione e riproposizione, in
accordo con l’idea che conservare, archiviare significhi = mostrare, ampliando la concezione degli
archivicome lieux de mèmoire.
Con il digitale → cambia la logica del documento => non è più una costituzione primariamente
meterica che necessita di un tempo per il suo reperimento, bensì un file incorporeo,
immediatamente accessibile.
Il trasporto fisico del film da un archivio scompare → rimpiazzato da playlist (elencazione delle
opere da trasmettere in virtuale) e da storage system (gestione dei file).
L’archivio muove le proprie funzioni dalla semplice conservazione di film verso la produzione stessa
di opere.
ANARCHIVE = sistema di archiviazione basato su dispositivi inter-ROM con una struttura simile a
quella delle pagine web, che permette di consultare materiali audiovisivi, note informative, disegni,
documenti video e sonori, con le medesime modalità di un sito internet.
In queste opere di visione-interazione-ricreazione si va oltre l’idea del documento da conservare,
modificando l’ottica tradizionale dell’archivio e sviluppando un modo di concepire la conservazione
di materiale filmico capace di adattarsi alle possibilità esplorative dei nuovi media.
Anarchive → favorisce un livello di interazione tra archivio e opera.

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È il fruitore stesso a intervenire nella scelta di quali questi materiali vedere e in quale ordine.
Numerosi casi di opere mash-up o di cinema remix → partono da questo nugolo di possibilità
esperienziali offerte dalla rete e dalle nuove tecnologie.
PETER WEIBEL → “nelle installazioni multimediali del futuro l’osservatore sarà il narratore, sia
localmente sia tramite Rete, a distanza.”

Attraverso un’operazione di file-sharing si possono rinvenire documenti audiovisivi da fagocitare


all’interno di un processo realizzativo personale, radicalizzando un interscambio (e talvolta un furto)
tra autori/fruitori.

6. L’estetica digitale e le forme di esperienza mediata (pag.140-


165)
6.1 L’IMMAGINE-SCHERMO
Estetica derivante dalle tecnologie digitali → osservare quelle che sono le qualità etologiche dei
nuovi media, come questi permettano all’uomo di intrattenere relazioni con il mondo circostante,
con gli altri esseri umani, con gli altri media.
Concetto di “INTERFACCIA” → congiunzione tra essere umano e ambiente circostante.
Un fattore che unisce, ma che al tempo stesso si pone come filtro.

Il digitale porta con sé un carattere di perdita dell’esperienza diretta dell’uomo.


Esperienza → qualcosa che si apprende in modo “virtuale”, mediato attraverso l’interfaccia dei
computer, le nuove tecnologie, l’interazione con archivi e database on-line.
L’esperienza diventa user-experience e l’intervento dell’essere umano è ora limitato, filtrato,
mediato → il rapporto con il reale si modifica.
JOHN BERGER → schermo televisivo → elemento che sostituisce la realtà.
Una sostituzione duplice, in quanto la realtà nasce dall’incontro tra coscienza ed eventi.
Non è la realtà che viene meno, che scompare, che “non esiste”; è l’uomo che tende a perdere la
possibilità di incontrarla, conoscerla, verificarne la multiforme consistenza fisica.
I media elettronici sembrano inglobare la nostra psicologia e il nostro modo di pensare piegandoli
alla loro funzionalità. Qualcosa di simile avviene anche nel modo di pensare la NARRAZIONE
AUDIOSVISIVA → non più solo messa in quadro del reale ma anche elemento soggetto a
manipolazione, riconfigurazione.
ANNE-MARIE CHRISTIN → “l’immagine schermo” porta scrittura creativa e scrittura filmica alla
condivisione delle medesime coordinate spaziali. Un libro, come un film, nasce attraverso il
medesimo schermo-interfaccia.

23
BOLTER → parla di “ipertesti” messi in relazione a “ipermedia”, in cui la scrittura filmica si viene a
costituire come in “alberi elettronici”. La testualità si dirama mentre la forma esperienziale viene
delegata al medium.
Le valigie di Tulse Luper, Peter Greenway → 9 camcorders DVCAM Sony PD 150 => creare una serie
di finestre sullo schermo, ognuna delle quali simile ma diversa dalle altre.
Le immagini si succedono attraverso split-screens, compositing, puzzle di frames, loops visivi senza
quasi lasciare il tempo di capire la reale esistenza di un collegamento tra le singole immagini:
➔ Tentativo di rappresentare il caos che è proprio della vita, dell’universo, e al contempo di
controllare tale caoticità, di regolarne il flusso.
Componente numerica → riferimento ai codici numerici, i quali divengono i riferimenti primari
nell’opera di Greenway.
Concetto di “videorealtà” → si amplifica.

Tutto sembra essere già superato dalla realtà, una realtà che tuttavia destinata spesso a rimanere
solo virtuale.

6.2 IL COLORE IN PIXEL


Ricerche in merito al colore dell’immagine video, con quest’ultima percepita come un valore
visivo → “elemento freddo” → valenza cromatica ritenuta fredda, distaccata.
L’evoluzione è stata tuttavia costante, soprattutto con il digitale.
Il rapporto cromatico dell’immagine si è fatto via via più versatile, mutevole, caldo, con una valenza
espressiva soggetta → filtri cromatici, effetti digitali, dei plugins applicati alle immagini in fase di
postproduzione.
Il COLORE diviene condizione primaria per una definizione espressiva dell’immagine, ma diviene
anche carattere funzionale a una comprensione dei rapporti tra volumi, oggetti, personaggi.
Si passa dall’immagine grezza → a quella di effetto iperrealista.

Intensità cromatica, la qualità e la definizione del colore → rendono l’immagine digitale un insieme
di possibilità, di diverse soluzioni visive e percettive.

Il digitale ha favorito una facilità di intervento sull’immagine:


➔ Il digitale ha evidenziato una rinnovata funzione del colore, non più soltanto forma
espressivo-ornamentale, ma anche mezzo narrativo, elemento in grado di concorrere allo
sviluppo del racconto.
➔ Bassa risoluzione, effetto pixellation, colori attenuati, opachi, flickering → caratteri più
facilmente ricollegabili alle tecnologie digitali leggere.

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La nobildonna e il duca, di Eric Rohmer:
 Il realismo pittorico dell’immagine mantiene sia una componente naturale, sia una
elevazione in chiave pittorica, in grado di contestualizzare anche visivamente il racconto di
Rohmer → ambientato all’epoca della Rivoluzione francese;
 Relazione tra: digitale e “ritorno neo-primitivista alla colorazione”;
 Si ritrovano le sensazioni della pittura, del gesto pittorico, ritualizzando le idee di
Michelangelo Antonioni di poter “dipingere il film come si dipinge un quadro”.
Videoart di Christian Boustani;
Screen bleed = nuova forma narrativa in cui l’elemento cromatico tende a rendere omogenei fra
loro spazi ed elementi visivi provenienti da media e formati differenti.
Si passa dal figurativo → all’ astratto → contrasto cromatico che riformula adeguatamente la
distanza tra realtà nota e realtà finzionale.
Color depth e color fidelity = numero di bit necessari per ogni singolo pixel affinchè il colore abbia
una fedeltà cromatica rispetto all’originale.
Effetto di iperreale = grazie alle tecnologie digitali si è in grado di travalicare la capacità di
osservazione dell’uomo, di rendere le immagini “più vere del vero”, più marcate, eccedenti rispetto
al reale → → → INLAND EMPIRE (David Lynch) → viaggio all’interno della mente dell’uomo.
“Calore” dell’immagine digitale.
Una forma di pensiero cromatico = si stabilisce un controllo del colore da parte dell’autore in
riferimento ai suoi personaggi, si innesca una relazione sostanziale tra: il referente cromatico e il
suo significato.
Tecnica di rotoscoping → interessante condivisione tra animato, fisico e filmico.

Duplice misurazione del tempo → lo scorrimento temporale filmico è giustapposto a quello di


ideazione e creazione del quadro che fa da soggetto al film.

6.3 MUTAZIONI DELLO SPAZIO SCENICO. “DIGITAL EFFECTS” E 3D


L’estetica digitale mostra una forma di apertura crescente rispetto alla possibilità di intervento
sull’immagine, sul colore, sulla struttura interna stessa della messa in quadro → sia da un punto di
vista realizzativo, sia tramite un successivo intervento in fase di postproduzione attraverso
l’applicazione di digital effects e di rielaborazioni cromatiche.
Effetti di pixellation, flickering, aliasing e moirè.
La GESTIONE DELLA LUCE → può caratterizzare un rapporto privilegiato con il reale: la LUCE diviene
ELEMENTO CARATTERIZZANTE.
Modulazioni e modifiche che possono avvenire in postproduzione:
- Special effects (durante le riprese)
- Visual effects (psotproduzione)
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Computer generated lights (CGL) → ristabilisce l’apporto di luce nell’immagine
DIstant lights (luci direzionali), general lights (luci d’ambiente), e point lights (creazione di piccoli
punti luce) → sono divenuti effetti-luce complementari all’impianto d’illuminazione presente sulla
scena.
L’intervento pittorico/informatico dell’autore interviene in prima persona (l’immagine è prossima
alla pittura) → trattamento digitale.
Green screen → l’elemento virtuale interagisce con il reale, dando vita a spazi e ambienti che nella
realtà non esistono.
Stop motion → animazione: motion capture e performance capture => due pratiche assimilabili,
diversa relazione di contiguità con la figura umana, funzionale e di “apparenza” nel primo caso →
più attenta a una forma di umanizzazione comportamentale nel secolo.
MOTION CAPTURE → aiuto dei markers => performance capture (obiettivo: raggiungimento di una
identificazione sinestetica e coercitiva dell’attore con il personaggio da interpretare).
Morphing, compositing → costituiscono ulteriori modalità di creazione digitale di immagini.

Composizione attraverso LAYER → elementi realizzati separatamente dividendo un’unica entità,


un’unica immagine.
VISIONE STEREOSCOPICA → duplice intento: 1. Valorizzare la specificità del medium
cinematografico => offrendo una forma di visione autonoma e non riproducibile alla TV, 2.
Accentuare una valenza spettacolare dell’opera cinematografica => per mezzo dell’effetto
tridimensionale.

Tecnologia stereoscopica → film d’azione, d’avventura o horror.


3D → tecnologia legata in prevalenza a eventi visivi fondati sull’azione e sull’estrema dinamicità, più
che sulla composizione dell’immagine o sulla narrazione di eventi.
Il 3D MANCA → laddove cerca di inseguire una forma radicale di realismo → c’è dove deve dar vita
a una forma di spettacolo solamente illusoria, lontana, divergente dal reale.

6.4 L’ANALISI FILMICA E I SOFTWARE DIGITALI


L’applicazione del digitale nell’ambito dei film studies è un aspetto ancora poco trattato che proprio
negli ultimi anni ha conosciuto un primo stadio di sviluppo.
ANNA FRIEDBERG → gli studi concernenti l’analisi del film si trovano oggi in una fase di transizione
in cui il film viene assoggettato a un dispositivo di archiviazione, conformandosi alla natura stessa
dei medium.
Lo spettatore, come lo studioso → può disporre di questo FILM-ARCHIVIO potendo intervenire
direttamente sul supporto, sul contenuto del supporto, manipolandolo, alterando la disposizione
delle sequenze.

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I software digitali possono dar vita → visual effects. → mettendo in evidenza ancora una volta quel
concetto di INTEGRABILITA’ che sta alla base degli stessi software digitali.
Software per film studies → LIGNES DE TEMPS (= timeline => quella timeline alla base dei
programmi di montaggio)
L’idea di “individuation collective” indica la relazione tra pubblico e software: esercizio che parte dal
singolo individuo, dal singolo soggetto, per divenire parte di un intervento collettivo, di ampia
portata che riguarda tutto il pubblico.
Numerose esposizioni museali che hanno cercato di mettere il PUBBLICO al CENTRO DELLO SPAZIO
ESPOSITIVO.
The art of partecipation (MOMA) → forma di unione tra l’ambito artistico e quello del pubblico, ma
anche tra pubblico e componente tecnologica, informatica.
È presto dire se i software digitali porteranno a una nuova forma di critica dell’opera filmica →
“innocent monsters”: interrelazione tra cinema e nuove tecnologie.
Molti sono ancora gli aspetti carenti => creare un sistema di condivisione dei risultati ottenuti, in
modo da creare una comunità di spettatori/studiosi “di profondità”, attenti allo sviluppo dei film
studies → alla creazione di discussioni attorno alle diverse tipologie di analisi approntate su singoli
film.
Ciò che tuttavia appare evidente è l’INTERAZIONE NECESSARIA TRA COMPONENTE INFORMATICA E
COMPETENZA ANALITICA → la competenza di chi osserva un film influenza i futuri e successivi
sviluppi dei software informatici, piegandoli a quelle che sono le necessità dei film studies.

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