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Storia del cinema e del video - Riassunto libro

Dalla grotta di Chauvet al pre-cinema passando per la caverna platonica


Il concetto di immagine è uno strumento indispensabile per l’uomo per comprendere il mondo circostante. La storia
ci mostra come da sempre l'uomo abbia voluto lasciare dietro di sé una testimonianza visiva. Le prime
testimonianze risalgono al paleolitico, la tecnica compositiva diveniva il tramite per rappresentare il mondo
circostante e quindi controllarlo e attraverso il disegno, l'uomo diveniva qualcos’altro. Importanti sono le
considerazioni di Andrè Bazin, dalle sue riflessioni emerge che il cinema si lega profondamente alle altre forme di
rappresentazione, in quanto esprime un bisogno: quello di creare un doppio del reale, un doppio che permetta
l'illusione di immortalare il soggetto rappresentato.

Caverna ≃ sala cinematografica


L'accostamento dell'uomo nel paleolitico e l'uomo moderno lo vediamo nel documentario di Werner Herzog, Cave
of Forgotten Dreams (2011), grazie al quale possiamo godere delle più antiche pitture parietali scoperte dall'uomo,
presenti nella grotta di Chauvet e risalenti a 36.000-32.000 anni fa a.C. Vediamo come la caverna venga presentata
simile ad una “sala cinematografica" infatti entrambe sono luoghi chiusi, al buio, accessibili solo tramite l'uso delle
torce, creando così la sensazione di entrare in un luogo magico e misterioso. Davanti a noi si presentano delle
grandi immagini raffiguranti animali con sorprendente abilità tecnica, offrendoci la sensazione di un'immagine che
ci avvolge, permettendoci di vivere l'illusione di catapultarci al suo interno, si accende così in maniera viva
l'illusione di essere davanti a quegli animali. Questo è dovuto a tre fattori: un'immagine somigliante al reale, che
suscita cioè nello spettatore delle sensazioni simili a quelle che proverebbe se realmente avesse davanti il soggetto
rappresentato, il timore davanti ad un leone e l'illusione di sentirne il ruggito. In secondo luogo, la sensazione di
movimento attraverso una modalità di rappresentazione simile al fumetto, cioè la ripetizione di una stessa parte del
corpo disegnato. In ultimo, l'uso della torcia di fuoco, che facilita l'illusione che quella determinata immagine
illuminata sia in movimento grazie al tremolio della fiamma e i giochi di luce che questa crea proiettandosi sulla
parete dipinta.

Il mito della caverna


Si stringe però un rapporto anche con il mito della caverna di Platone. Tale mito intende mettere in luce la facilità
con cui l'uomo tende a cadere nelle illusioni delle apparenze. In primo luogo, possiamo notare come la condizione
dei prigionieri della caverna risulti simile a quella che vivono gli spettatori cinematografici, si trovano infatti
“incatenati” ad una poltrona e posti davanti uno schermo su cui si proiettano ombre e luci. In secondo luogo, il mito
ci interessa perché mette in luce la tendenza che abbiamo di ritenere reale ciò che è rappresentato. Tutto ciò è
supportato dalle dimensioni dell'immagine che ci sovrastano, permettendo l'immedesimazione con la proiezione,
proprio come i prigionieri della caverna che si confrontano con le ombre come se fossero delle realtà fisiche viventi
e non delle proiezioni di luci su una parete. Come dimostra Morin, la nascita dell’ homo sapiens coincide con il
sorgere dell’ homo demens, ovvero di quella parte presente nel sapiens che crede alle illusioni e vive in un continuo
stato d’incertezza tra reale e immaginario. È proprio quella parte di demens insito in ognuno di noi che ci permette
un forte coinvolgimento durante la visione di una rappresentazione.

Il decollo di Hollywood e la nascita dello stile cinematografico "classico"


Se il cinema europeo imbocca con rapidità la strada del lungometraggio di finzione, la stessa cosa non può dirsi per
gli Stati Uniti che rimangono fedeli ai loro 30 minuti di proiezione. A invertire questa tendenza è David Wark
Griffith convinto sostenitore del lungometraggio narrativo come i suoi due celebri lavori The birth of a Nation
(1915), e Intolerance (1916). Il primo di eccezionale durata (180 minuti) mette al proprio centro la ferita ancora
aperta della guerra civile americana (1861-65). Il cinema statunitense, nel corso degli anni 10, mette appunto un





apparato industriale di straordinaria efficienza. Le piccole compagnie di distribuzione e produzione tendono a
fondersi in aziende più grandi. Nascono nel corso del decennio molte case importanti. Il modo di produzione
dunque si trasforma, e dopo il 1914 si afferma così il producer system, al cui centro si pone non più il regista ma il
produttore.

L’America alla conquista dell’immaginario


Il caso di Ombre rosse di John Ford è emblematico. Questo film diventerà una specie di "manuale di regia" per
Orson Welles, il quale, quando deve dirigere Quarto potere (1941), il suo folgorante film di esordio, rivede
innumerevoli volte Ombre rosse. Se Ombre rosse è diventato un film di culto è certo innanzitutto per le
straordinarie doti di John Ford, nella composizione del quadro, nel ritmo delle scene di azione, nella capacità di
infondere respiro epico al personaggio. I generi funzionavano da strumento di fidelizzazione del pubblico. Il caso
del giovane Wells è emblematico, infatti a soli 24 anni firma per la RKO un contratto senza precedenti, che gli
garantisce un'autonomia quasi completa, il regista così esordisce con Quarto potere, biografia del magnate della
stampa Charles Foster Kane. Il regista adotta due soluzioni di discorso privilegiate: la profondità di campo e il
piano sequenza. La vita di Kane viene raccontata a ritroso dopo il suo decesso grazie a una serie di flashback di chi
gli fu vicino in vita. La vicenda è strutturata a frammenti, quasi destrutturata, per dare forma al tema
dell'impossibilità di giudicare un uomo. L’audacia del regista rispetto alla trasparenza dello stile classico, da un lato
lo condanneranno a una carriera ai margini di Hollywood, infatti il film si rivelò un insuccesso, d'altro canto viene
assorbita e riproposta dal genere nascente noir come il più sperimentale tra i generi del cinema hollywoodiano.
Contrariamente a Wells, la carriera di Alfred Hitchcock è caratterizzata da molti successi commerciali. Il thriller
sarà il suo genere maestro. Per creare racconti di grande tensione drammatica saranno classici esempi i suoi
protagonisti sempre lacerati da un dissidio morale o psichico, la suspense e il senso di colpa, il conferire al pubblico
un sapere maggiore rispetto a quello dei personaggi circa la vicenda. Hitchcock fa del decoupage uno strumento
raffinatissimo di manipolazione dell'immagine, del suo ritmo, e soprattutto dell'emozione spettatoriale. Il pubblico
si trova ad assistere a indagini dal tracciato psicanalitico (Psycho, 1964) ad analisi di figure archetipiche come
quella del doppio come nel film La donna che visse due volte (Vertigo, 1958), un altro capolavoro è la finestra sul
cortile (1954). Nel conflitto fra cinema e televisione pochi sono gli autori importanti a mettersi in gioco con la
televisione: tra questi è certamente Alfred Hitchcock ad aver lasciato maggiormente il segno; la sua fama cresce
esponenzialmente e diviene un volto familiare.

La modernità cinematografica
La modernità cinematografica è un concetto attraverso il quale crolla tutta un’estetica, sintetizzata da una formula:
"tutto torna”, come sempre in un film hollywoodiano. Formula che corrisponde allo stesso tempo sia al “non accade
nulla nel film che non abbia una spiegazione” e sia al “non accade nulla nel film che non rientri nell’intreccio”. Con
la modernità cinematografica quella formula si ribalta nel suo opposto: "nulla torna". Ad esempio, in uno dei
capolavori di Vittorio De Sica Ladri di biciclette (1948) i personaggi e gli spettatori rimangono sospesi, la certezza
iniziale sull'individuazione del colpevole durante il film vacilla, il protagonista del film poteva trovare come non
trovare la sua bicicletta, e da questo deriva il valore politico del film stesso. La serie di scene che si susseguono
poteva essere variata nel loro ordine senza che il film mutasse di senso. Ciò significa che il film non ha un arco
narrativo vincolante, perché non racconta alcuna vera azione, e senza azione non c'è storia, se non c'è storia c'è
solo visione. Il cinema moderno inizia dunque con la sospensione dell'azione; film esemplare in tal senso è La
finestra sul cortile di Hitchcock. La potenza dello stile al cinema si afferma dunque attraverso l'intercessione del
personaggio, la cui "invenzione" avviene con il cinema moderno. Il personaggio diventa intercessione dell'autore,
l'autore cioè trova un intermediario che sostituisce il personaggio-agente del cinema classico. Il cinema classico non
inventava personaggi, costruiva mondi.

Non c'è gerarchia di soggetti, di genere, di personaggi: non c'è più la divisione aristotelica tra personaggi "migliore
di noi" e quelli "peggiori di noi”, il cinema della modernità ha una visione più “democratica”.

Il Neorealismo e l’estetica della modernità


Quando si parla di Neorealismo ci si riferisce principalmente al nuovo corso del cinema italiano nel secondo
dopoguerra. In questo momento sono stati realizzati Roma città aperta (Roberto Rossellini, 1945), a cui si
attribuisce retrospettivamente l'atto di fondazione della Neorealismo, Sciuscià (Vittorio De Sica, 1946) e Paisà
(Rossellini, 1946). Entro la fine del 1948 usciranno Germania anno zero di Rossellini, Ladri di biciclette di De
Sica e La terra trema (Luchino Visconti, 1948). Si tratta di titoli che sono unanimemente considerati gli emblemi
del Neorealismo. La definizione del fenomeno, dunque, è successiva alla sua concreta manifestazione. Non si trova
un progetto condiviso o un manifesto che permetta di inquadrare il Neorealismo nell’ottica di una scuola, i registi si
muovono autonomamente. Si verifica una forte responsabilizzazione del ruolo dell'artista, che si immerge nella
realtà circostante con uno spirito di investigazione, di conoscenza e di denuncia. Più che un programma estetico e
politico condiviso da tutti, il Neorealismo esprime, secondo Cesare Zavattini, uno stato di crisi e di ricerca di una
nuova cultura, di un nuovo pensiero e di una nuova arte, infatti si intrecciano prospettive estetiche e ideologiche
eterogenee. Quella che è universalmente riconosciuta come la grande triade neorealista, composta da Rossellini,
Visconti e De Sica, è emblematica di questa unità nella differenza. Da tutti e tre però emerge un bisogno di
assumere il ruolo di testimone e il coinvolgimento di un'esperienza diretta, vediamo inoltre la grande volontà di
portare sullo schermo persone di classi popolari, in un viaggio continuo che promuove differenze culturali
importanti.

Legame con la cronaca


Si instaura un legame diretto con la cronaca e la memoria degli eventi bellici appena conclusi: Roma città aperta e
Paisà narrano rispettivamente le vicende dell’occupazione di Roma da parte dei nazifascisti e la liberazione
dell’Italia a opera delle forze alleate. Sciuscià racconta la situazione dell’infanzia nella Roma liberata, mentre
Germania anno zero si concentra sulla storia di un bambino suicida nella Berlino del dopoguerra, Ladri di biciclette
e Umberto D. (Vittorio De Sica, 1952) sono ambientati nella Roma postbellica alle prese con i problemi della
disoccupazione (il primo) e della vecchiaia (il secondo). La terra trema racconta l’eterna vicenda della lotta di
classe, in questo caso tra i pescatori di un paesino siciliano, Aci Trezza, e i grossisti che amministrano la vendita del
pesce.

Innovazioni estetiche neorealiste


Al di là dei temi e delle iconografie ricorrenti da un film all’altro, la questione più complessa riguarda le
innovazioni che il Neorealismo comporta a livello estetico, nei metodi e nelle forme di rappresentazione. Si
riconoscono delle tendenze che accomunano gli autori nella loro ricerca e fondazione di un nuovo cinema. Nei film
più sperimentali si delinea una rottura con i registri della classicità, rappresentati sia da Hollywood sia dai film
italiani degli anni Trenta. In Paisà la narrazione diventa frammentaria, basata sull’ellissi invece che sul rapporto
causa-effetto; mentre notiamo come in Roma città aperta le strategie narrative rispondono ancora ai canoni
tradizionali. Il soggetto non si distacca dalla realtà per rappresentarla, ma è tremendamente presente in essa. Ladri
di biciclette segue il principio di una narrazione minimalista, basata sui fatti della vita di ogni giorno, sulla
mancanza di eventi e personaggi eccezionali. Per Zavattini “il tentativo vero non è quello di inventare una storia
che somigli alla realtà, ma di raccontare la realtà come fosse una storia”. In Germania anno zero i personaggi, le
scene, gli eventi-chiave, come il suicidio finale del bambino protagonista si definiscono in fase di lavorazione.
L’orientamento prevalente è quello di abbandonare i teatri di posa e scenografie artificiali per girare in luoghi reali.
Tuttavia molti film adottano una coesistenza dei due ambienti, eccezion fatta per La terra trema dove Visconti usa
esclusivamente ciò che troverà ad Aci Trezza. Vediamo inoltre la valorizzazione del non-attore ovvero al rifiuto





dell’attore professionista. Il film più simbolico è La terra trema, in cui tutti i personaggi sono interpretati da
autentici pescatori. La maggior parte delle volte si ha una composizione ibrida del cast. Proponendosi come
scoperta del paesaggio e del territorio italiano, il Neorealismo affronta le culture regionalistiche e marginali anche
attraverso le loro particolarità linguistica: il dialetto. Paisà adotta un registro plurilinguistico, mescolando i dialetti
italiani all’inglese degli alleati o al tedesco dei nazisti sottolineando la difficoltà di comunicazione tra le varie
culture. L’esperimento più estremo viene da Visconti con La terra trema che sacrifica la comprensibilità dei
dialoghi per le sonorità del dialetto acitrezzino. Il film di Visconti rappresenta anche uno dei rari casi in cui si tenta
di usare la presa diretta del suono. La maggior parte delle opere neorealiste viene totalmente o parzialmente
doppiata. A causa delle difficoltà di gestire in esterni le strumentazioni di registrazioni del sonoro viene dissociata
la voce dal corpo, in profonda contraddizione con il principio di autenticità professato dai registi neorealisti.

(In)Successo e morte del Neorealismo


Ci sono alcune eccezioni (Roma città aperta) in cui le opere hanno avuto uno scarso successo del pubblico. Gli
spettatori continuano a privilegiare il prodotto d'intrattenimento nazionale e soprattutto americano. le date e le cause
indicate per la conclusione del periodo neorealista sono le più divergenti, vengono collocate tra il ’49 e la prima
metà degli anni Cinquanta. Difatti in quegli anni emergono autori come Michelangelo Antonioni e Federico Fellini
che indicano nuove direzioni di ricerca.

La questione del reale e l’invenzione di una forma


Nel dopoguerra, posizione sociale e ruolo simbolico contano poco: il cinema racconta di disoccupazione,
pensionati, bambini e stranieri. Ecco così l’impiego della continuità spazio-temporale ottenuta attraverso la
profondità di campo e i movimenti di macchina (ad esempio Welles in Quarto Potere). Il cinema moderno
valorizza in un certo senso tutto ciò che il classico accantonava: incontri, intervalli, scarti. E questo perché mette in
gioco la questione del reale. Sia in Quarto Potere sia in Ladri di biciclette si vede come la narrazione non corra da
A a B, ma venga affrontato il flusso del film, in uno con vari flashback e quindi molteplici piccole storie viste da
punti di vista differenti che si intrecciano, e nell’altro il corso degli eventi non ha una struttura ferrea, tanto che si
potrebbero idealmente vedere scene in ordine sparso e non cambierebbe l’impatto del film.

L’industria del cinema italiano degli anni Sessanta


Gli anni Sessanta sono considerati un’epoca d’oro per il nostro cinema, quella che costituisce il mito del cinema
italiano anche all’estero. Il periodo in questione rappresenta più un’eccezione, o un momento di svolta, che un
momento esemplare. Si tratta uno dei pochi momenti in cui il cinema d’autore diventa il principale traino degli
incassi. Il 1955 vede in Italia un record assoluto nella sua storia di biglietti venduti, ma negli anni successivi le cifre
scendono costantemente approdando in una profonda crisi. La fase di ripresa, con l’aumento del numero di film
realizzati si manifesta chiaramente nel 1959 e si nota come il pubblico cambi tra gli anni Cinquanta e Sessanta.
La dolce vita (Federico Fellini, 1960) fu il maggior incasso della stagione 1959-60, dietro possiamo citare Il
sorpasso (Dino Risi, 1962), e 8 1\2 (Fellini, 1963). Unici film pienamente d’autore a riscuotere nuovamente
successo saranno in questo periodo Blow Up (Michelangelo Antonioni, 1967) e il Fellini Satyricon (Fellini, 1969).
In questa fase il cinema si polarizza in maniera abbastanza definitiva ad un cinema “di profondità” abbandonando
parzialmente il cinema d’autore.

Il super-spettacolo d’autore
Antonioni e Fellini sono stati visti come il simbolo di un cinema di grande ambizione artistica e produttiva,
affiancati in parte da Visconti, ma anche da esordienti come Pier Paolo Pasolini e Francesco Rosi. Tuttavia la
triade Fellini-Antonioni-Visconti presentano delle peculiarità italiane forti rispetto al cinema internazionale degli
stessi anni. Il periodo aureo è il giro di anni che va dal 1960 al ’63, con la Palma d’Oro a Cannes per La dolce vita e




altri premi a L’Avventura nel 1960, di Antonioni. L’Italia vincerà quasi tutti i principali premi internazionali nel
1963 con Il Gattopardo (Luchino Visconti 1963), e 8 1\2 (Fellini, 1963). In quella stessa stagione giunge a
maturità lo status internazionale di una serie di divi: Sophia Loren, Anna Magnani, Alberto Sordi, Marcello
Mastroianni, Nino Manfredi.

Federico Fellini
La dolce vita (Federico Fellini, 1960), forse il film più celebre dell’intera storia del cinema italiano, è un’opera
estremamente stratificata, nella quale convergono elementi molto diversi. Nasce dalla cronaca di quegli anni,
racconta la contemporanea cultura di massa e allo stesso tempo, ne diviene oggetto: le riprese diventano una
specie di evento permanente, seguito dai giornali e riviste, e l’uscita del film avverrà sotto il segno delle polemiche
da parte della cultura conservatrice di alcuni settori del Vaticano. Fellini alterna improvvisi rallentamenti e
accelerazioni, scene intime “a due” o di stanchezza da dopo-festa a vertiginose e affollate composizioni collettive.
Ma la forza registica di Fellini consiste nella sua disposizione dentro la singola sequenza, o addirittura dentro la
singola inquadratura. Con 8 1\2 invece nascerà il cosiddetto cinema “felliniano”. Il film racconta di una crisi creativa
di un regista (trasparente proiezione autobiografica), e alterna il quotidiano con improvvise irruzioni del mondo dei
sogni e dei ricordi d’infanzia. Proprio l’autobiografismo, intrecciato all’onirico e al ricordo sarà la cifra con cui
si identificherà il cinema di Fellini. Ma va ricordato che vi è una forte componente inquietante: i sogni sono
anzitutto incubi, e i ricordi grottesche caricature.

Due (e più) approcci opposti al cinema moderno


Fellini e Antonioni costituiscono idealmente due opposte vie italiane al cinema moderno: se il primo sceglie la
strada del “tutto pieno”, il secondo punta sempre più ad uno stile fatto di silenzi e di pause. Fellini mostra subito un
gusto per la commedia malinconica e feroce (Lo sceicco bianco, 1952, I vitelloni, 1953). Antonioni è da subito
attratto da personaggi borghesi, mentre Fellini si interessa a figure marginali e reietti con un tono più lirico (La
strada, 1954, Le notti di Cabiria, 1957). Antonioni non conoscerà mai il successo del pubblico di Fellini, ma il suo
cinema è quello che forse più ha influenzato gli autori internazionali nei decenni successivi. L’avventura
(Antonioni, 1960) segna uno stacco dal suo cinema precedente per come allenta i tempi della narrazione e gioca
sullo spaesamento dei personaggi nell’ambiente. Un gruppo di amici è in vacanza su un’isola: una di loro scompare
e si mettono sulle sue tracce l’amante di lei e un’amica. Un giallo alla rovescia che diventa una ricerca attraverso
una Sicilia astratta e mitica. Il tema della sparizione torna anche in Blow-Up. Il regista abbandona il suo stile anni
Cinquanta, fatto di movimenti di macchina elaborati, per puntare ad un montaggio più serrato e alla supremazia di
primi piani “larghi”. Dunque, uno dei mezzi più tipici della modernità cinematografica (il piano-sequenza) viene
rifiutato da Antonioni, a favore di un découpage dall’apparenza classica che però valorizza la composizione
dell’inquadratura.
Visconti è l’unico ad aver vissuto come protagonista la stagione del Neorealismo. Con Senso (1954) si distacca
completamente dallo stile neorealista. Insieme a Fellini e Antonioni l’inventore di forme più riconoscibili del cinema moderno
è senz’altro Pier Paolo Pasolini. Nonostante le apparenze, la scelta di vicende di sottoproletari taglia ogni legame con una
prospettiva di denuncia. Ed è solo nel filmare i corpi sottoproletari che il suo cinema sembra raggiungere compiutamente la
propria vocazione di “lingua scritta della realtà” perché come dirà il regista: i poveri sono reali, i ricchi irreali. L’influenza del
cinema di Pasolini sarà pari solo a quella di Antonioni: e non solo in tutto il cinema italiano che racconta vicende di degrado e
marginalità, ma in molto cinema del Terzo Mondo, come l’America Latina. In questo senso sarà altrettanto importante Il
Vangelo secondo Matteo (1964), in cui lo stile cambia radicalmente, passando da una solennità che idealizza i corpi
trasformandoli in figure sacre, a uno stile mosso, da documentario, quando affronta direttamente la vita di Gesù.
Il cinema d'autore si differenzia dal cinema di profondità, detto anche cinema di genere, perchè mentre il cinema
d’autore è per un pubblico più colto, il cinema di profondità è più per le masse popolari, essendo di una qualità
minore.


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