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Jean Boudrillard

Il complotto dell’arte 1996

Boudrillard con le sue teorie è sempre stato un intellettuale all’opposizione

Attitudine nichilista, critica alla società dei consumi, una società che trabocca di immagini, e
afferma la totale indifferenza di questo attuale contesto sociale.

Le merci rappresentano il nulla, poiché la loro forma è anonima e moltiplicabile.

Disillusione dell’utopia, l’utopia si realizza,

Discorso estremista:

Che parte dalla domanda ancora novecentesca di “Cos’è l’arte?”

L’arte ha ancora un valore rappresentativo, crea illusioni e qui distacco tra l’oggetto e le sue forme

ma non può che rappresentare il nulla della società in cui viviamo, di conseguenza l’arte non ha
più alcun significato, ma continua ad esistere oltre la sua fine. E’ sovrapproduzione e
proliferazione sfrenata.

Allora l’arte contemporanea è un complotto in quanto il sistema dell’arte, visto anche come
sistema di idee si autoalimenta e si convince (convincendo anche gli altri) di avere un significato e
lo spettatore trovandosi davanti alla sensazione di non capire l’opera d’arte ma convinto che
l’opera debba avere un significato per forza di cose (lascito culturale e sociale) crede che
l’apparente insignificante è dovuto ad una sua mancanza culturale, nasce ilm senso di colpa.

Un gesto polemico rivolto alla cultura nel suo insieme, che oggi è simultaneamente tutto e niente.
Siamo stati così perfettamente addestrati a considerare l’arte con un rispetto quasi religioso che
non riusciamo più a volgere su di essa uno sguardo lucido, e meno ancora a contestare la sua
legittimità.

Per il suo discorso Baudrillard parte da Duchamp

Duchamp e warhol non hanno inventato forme nuove in grado di contrapporsi alle merci, anzi le
hanno raddoppiate. La loro arte è rappresentativa di un contesto, del nulla.

Duchamp: Il ready-made non segnò un punto di partenza ma un punto di non ritorno

Boudrillard per affrontare tale discorso ha usato come punto di partenza (ma anche di arrivo)
l’opera di Warhol. Questo perché Warhol rappresenta il caso più tipico, ma anche più drammatico,
di questo rapporto con il mondo veloce e rapido delle merci e con il nulla della rappresentazione.
Se già l’introduzione fra le opere d’arte degli oggetti quotidiani, degli oggetti prodotti, quindi
industriali, apparteneva a Marcel Duchamp con i ready-made, l’operazione di Warhol è
un’operazione molto più dura. Ciò significa che Warhol è un personaggio che cinicamente ha
osservato il mondo contemporaneo leggendolo attraverso l’ottica del consumismo, in quanto
viviamo in una società mercificata. Ma non solo noi viviamo in una società di merci, viviamo in una
società che fa diventare le merci immagini e che vende immagini. Cioè: quando noi compriamo un
prodotto, compriamo la sua pubblicità. Secondo Warhol non c’è nessuna alternativa a questo
mondo. La sua opera è una sorta di apoteosi del nulla, dell’inutilità, delle immagini più banali e
consuete; e il nulla contemporaneo per Warhol è qualcosa di estremamente tragico. Egli capisce
che non ha più senso creare dei simboli, che non c’è più nulla da rappresentare se non il vuoto. Il
vuoto che tende a coincidere con la merce che, per poter essere tale, è, appunto, anonima e
moltiplicabile. Quindi il vuoto, il nulla, è proprio questo, un’apoteosi negativa della merce. Il fatto
che noi viviamo in una società che produce una quantità di immagini sbalorditiva in continuazione,
vuol dire che siamo completamente immersi in questo fluire di immagini. Tutto questo Warhol lo
trova tragico; per lui l’arte è qualcosa che rappresenta questo vuoto e in questo senso è tragica.
Nel momento in cui l’arte si rifà esplicitamente a questo vuoto e fa finta di rappresentare
qualcosa, è un’arte che tradisce se stessa. Cioè il gesto radicale di Duchamp non vuole
rappresentare il vuoto, Duchamp vuole rappresentare l’onnipotenza dell’artista, è un po’ come la
parodia del ready-made di Manzoni (Merda d’artista) e lo spettatore è colui che è invitato a
credere a quello che dice l’artista. (Manzoni è l’ultimo rappresentante dell’intendere il ready-made,
tutto il resto sono copie, es. Jeff Koons = il vuoto).

Warhol: Vi è dramma e tragicità in quanto apoteosi di immagini banali e quotidiane. Simulazione


della fine dell’arte, creazione di simulacri

Nasce il feticismo, elevazione ad opera d’arte delle immagini già fatte e banali, allontanamento
dalla natura di sublimazione dell’arte.

Spinge l’estetica all’estremo, là dove essa non ha più una qualità estetica e si rovescia in senso
contrario.

L’arte a seguire è dunque vuota essendo una simulazione della simulazione, solo una strategia
commerciale del nulla.

Forma del simulacro: forma dell’arte contemporanea

L’ironia fa parte del complotto dell’arte. La maggior parte dell’arte contemporanea si dedica a
riciclarsi indefinitamente, vuole appropriarsi della banalità, degli scarti eleggendoli a valore e a
ideologia. Tutta questa mediocrità sostiene di sublimarsi passando al livello superiore e ironico
dell’arte ma è nulla e insignificante.

Tutta la duplicità dell’arte contemporanea sta proprio in questo: rivendicare la nullità, mirare alla
nullità essendo già nulla.

L’arte è parzialmente divenuta una vetrina, un dispositivo di dissuasione destinato a nascondere il


fatto che l’insieme della società è ormai trans estetico. L’arte ha perduto il suo privilegio, ma di
colpo la si trova ovunque. La fine del principio estetico non ha segnato la sua scomparsa ma la
sua diffusione nell’intero corpo sociale.

Jean Boudrillard

La teoria dei simulacri

Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà:

In un mondo fatto da accumulazioni e proliferazioni di immagini è la sottrazione e l’assenza che


hanno maggior forza

Simulacri

Il Simulacro non è ciò che nasconde la verità, esso è la verità che nasconde il niente.

I simboli e i segni nella società attuale hanno sostituito la realtà, l’esperienza umana è diventata
una simulazione della realtà

Il reale non esiste più, è scomparso, sgretolato dai media e dalle moderne tecnologie.

I media ci offrono immagini che non fanno riferimento al reale, ci offrono immagini che ricevono
senso solo da altre immagini e che si rigenerano perpetuamente da se stesse, rimanendo così
sempre più sconnesse da ciò che in origine era reale.

La conseguenza è che la società contemporanea è immersa in quella che Baudrillard chiama


iperrealtà, vale a dire una pseudo-realtà generata dalla simulazione di modelli che sono però privi
di un referente nel mondo reale.

Baudrillard teorizza che la mancanza di distinzione tra realtà e simulacri abbia origine da diversi
fenomeni e ne elenca cinque:

1. Media contemporanei tra cui televisione, film, stampa e internet, che sono responsabili di
confondere la linea di demarcazione tra prodotti necessari (per vivere) e i prodotti per i quali viene
creata una necessità da immagini commerciali.

2. Valore di scambio, in cui il valore dei beni si basa sulla moneta (denominata valuta fiat) piuttosto
che sulla utilità. L’utilità viene quantificata e definita in termini monetari per favorire lo scambio.

3. Capitalismo multinazionale, in cui vengono separati i prodotti determinati da vegetali, minerali e


altri materiali originali e i processi utilizzati per crearli (comprese le persone e il loro contesto
culturale).

4. Urbanizzazione, che separa gli esseri umani dal mondo non umano e centra la cultura attorno a
sistemi produttivi così grandi da causare alienazione.

5. Lingua e ideologie, in cui il linguaggio viene sempre più coinvolto nella produzione di relazioni di
potere tra gruppi sociali, specialmente quando i gruppi sociali potenti si autoalimentano
parzialmente in termini monetari.

Simulacri e periodi storici

• 1º Ordine, associato al periodo premoderno, (dal Rinascimento), simulacro-contraffazione

I segni si rifanno alla realtà, è il “riflesso di una realtà profonda”

esempi: arti rinascimentali, come l’uso dello stucco nelle arti plastiche per imitare la natura,
oppure nel teatro in cui è messa in scena l’imitazione della società. Altri esempi possono essere:
un romanzo, una scultura, o una semplice mappa.

• 2º Ordine, associato alla modernità della rivoluzione industriale, simulacro-produzione

dove le distinzioni tra rappresentazioni e realtà si rompono a causa della proliferazione di copie
prodotte in serie di oggetti trasformati in merce. La capacità della merce di imitare la realtà rischia
di sostituirsi all’autorità della versione originale, perché la copia è reale come il suo prototipo.

Nel simulacro di secondo ordine abbiamo dunque una copia così simile all’originale che i confini
tra realtà e rappresentazione vengono offuscati e la possibilità di distinguerle inizia a vacillare a
causa della produzione di massa e della proliferazione di copie; ciò nonostante, il simulacro di
secondo ordine permette ancora, seppur a fatica, di accedere al reale.

• 3º Ordine, associato alla postmodernità del tardo capitalismo, in cui il simulacro precede
l’originale e la distinzione tra realtà e rappresentazione svanisce, il simulacro prende il suo
posto.

Si arriva all’iperrealtà

Livelli di rappresentazione da parte dei segni:

• I stadio, ordine sacramentale:

immagine/copia fedele, il segno in questo caso è il “riflesso di una realtà profonda”

• Il secondo stadio, ordine malefico:

è la perversione della realtà. Il segno è una copia infedele, che maschera e denigra la realtà, ma
può suggerire l’esistenza di una realtà profonda che il segno stesso è incapace di incorporare.

• III stadio, ordine della stregoneria

il segno non è una copia originale e maschera l’assenza di una realtà profonda, finge cioè di
essere una copia fedele. Segni e immagini fingono di rappresentare qualcosa di reale, ma
nessuna rappresentazione è in atto, perché le immagini arbitrarie sono suggerite come oggetti
che non hanno relazione.

• VI stadio, iperrealismo

puro simulacro e non ha alcun riferimento con la realtà. I segni riflettono altri segni, qualsiasi
rivendicazione della realtà da parte delle immagini è solo un regime di totale equivalenza, in cui i
prodotti culturali non devono più nemmeno fingere di essere reali, perché le esperienze dei
consumatori sono talmente artificiali che ci si aspetta che le pretese sulla realtà siano artificiali.
Questo fenomeno viene definito da Baudrillard Iperrealismo, dove qualsiasi pretesa di realtà è
percepita priva di consapevolezza del sé critico e dunque eccessiva.

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