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LABORATORIO DI SCRITTURA VIDEO-FILMICA PER EDUCATORI ED

INSEGNANTI.
Dr. Luca Luciani, docente di Analisi e scrittura video-filmica, università degli Studi di
Padova

1. UNA PREMESSA AI RIFEFERIMENTI, AI METODI E ALLE FINALITA'

Nella delineazione dei processi di scrittura video-filmica, così come per quegli autori
che ci hanno preceduto1, si considera imprescindibile la considerazione dell'esperienza e i
risultati di ricerca che progressivamente dagli anni '60 la semiotica interpretativa esprime, sia
a livello di modelli della comunicazione, con particolare attenzione e riferimento a quello
semiotico-enunciazionale2, sia per le dinamiche procedurali di codifica/decodifica e
denotazione/connotazione, in relazione agli elementi segnici di significazione propri del
linguaggio audiovisivo cinetico.
Nel delineare il percorso laboratoriale di scrittura video-filmica si tenterà anche di
includere i risultati della diretta esperienza dell'autore raggiunti nell'ambito della conduzione
di diversi corsi extrauniversitari sui linguaggi e le tecniche di cinema e video, del seminario e
dei laboratori di video film making nella Facoltà di Scienze della Formazione3. Tali
esperienze formative possono essere lette come una forma di proficua ricerca sul campo a
diretto contatto con le problematiche di linguaggio, tecnologiche e umane, con le possibili
modalità didattiche, con le risposte di interesse e di apprendimento degli studenti, con i
risultati prodotti e le loro valutazioni, che si è svolta nell'ambito del gruppo di ricerca del
Settore Tecnologie Educative dedicato ai linguaggi visivi e audiovisivi mediali e
all'educazione ai media.
Infine, a proposito delle finalità di questo scritto, vi è anche l’intenzione di creare una
memoria metodologica di un processo formativo che in futuro possa essere facilmente
ripercorribile e che possa nuovamente essere ripreso nella sua strutturazione più formalizzata,
dopo l'esperienza effettiva, da tutti gli studenti che si troveranno ad attuarlo e che di anno in
anno lo metteranno probabilmente nuovamente alla prova.

2. C’ERANO UNA VOLTA IL FILM E IL VIDEO (ovvero il cinema e la televisione)

1
Da più di quarant'anni il Settore Tecnologie Educative del Dipartimento di Scienze dell'Educazione dell'Università degli
Studi di Padova si occupa di educazione ai media. Nello specifico della scrittura video filmica le maggiori figure di
riferimento sono state e sono Giuseppe Flores D'Arcais, Luciano Galliani e Francesco Luchi. Quindi questo testo non potrà
che riferirsi in gran parte ai risultati delle loro ricerche, alle indicazioni metodologiche da loro tracciate e alle loro molte
pubblicazioni sull'argomento che si sono succedute numerose e regolari dagli inizi degli anni '70 fino agli inizi dei '90. Le
innovazioni riguarderanno l'adeguamento di quei risultati al nuovo contesto formativo dell'esperienza che andremo a
delineare, e cioè quello universitario, come anche l'analisi dell'evoluzione tecnologica a supporto di tale esperienza, che in
quest'ultimo decennio ha comportato una radicale innovazione.
2
Una chiara, breve ed efficace esposizione di questo modello comunicativo, ma anche dello sviluppo teorico che ha portato a
questo, al suo funzionamento e al rapporto testo-lettore messi a punto dalla teoria della semiotica interpretativa, si può
trovare nel saggio di G. Manetti, I modelli comunicativi e il rapporto testo-lettore nella semiotica interpretativa, in R.
Grandi, I mass media tra testo e contesto, Lupetti, Milano 1992, pp.53-84
3
Il riferimento è all'insegnamento di "Didattica dell'immagine" del Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria e,
per la parte dedicata alla scrittura delle immagini in movimento, di quelli di "Tecnologie dell'educazione" della Scuola di
Specializzazione in Educazione Ambientale.
Ci vollero molti anni per arrivare, da parte degli stessi realizzatori di film e
dell’industria che forniva loro le tecnologie, a definire con compiutezza il linguaggio
cinematografico come oggi lo “riconosciamo”. Passano circa trentacinque anni dalla sua
nascita (1895) alla diffusione sempre più consistente dei primi film sonori degli inizi degli
anni trenta. Da allora il linguaggio cinematografico, come peraltro qualsiasi altro linguaggio,
non si è fermato nella sua evoluzione espressiva e nelle sue modalità di riconoscimento ed
interpretazione da parte dei fruitori, ma indubbiamente da quel momento possiamo parlare di
un compiuto e specifico linguaggio audiovisivo cinematografico che è arrivato fino a noi e
che ci oltrepasserà. E l’invenzione tecnologica che consentì l’aggiunta della parte sonora del
film non fu che l’ultima tappa di un lungo percorso di trentacinque anni fatto di continue
sperimentazioni e di nuove invenzioni visivo-espressive sulle riprese, sulla fotografia, sulle
inquadrature, sulla recitazione e sul montaggio.
La televisione è molto più giovane. L’inizio delle prime trasmissioni regolari datano, a
seconda dei paesi, tra la fine degli anni quaranta e gli anni cinquanta. Ma questo medium si è
presentato fin dagli inizi con tutte le caratteristiche tecnologiche audiovisive e le specificità di
linguaggio e comunicative “fondamentali” con cui ancora noi oggi ci interreliamo. Per il
medium televisivo fu tutto molto più semplice a livello di elaborazione del proprio linguaggio
cinetico, avendo sostanzialmente adottato, a livello di modalità espressive e di
drammatizzazione (inquadrature, fotografia, e in gran parte anche nel montaggio, sebbene nei
casi più vicini allo specifico televisivo questo si svolga in tempo reale), quello
cinematografico4. La vera specificità del linguaggio televisivo era e resta nella possibilità
tecnologica della diretta televisiva per cui gli spettatori possono vedere, nello stesso tempo in
cui accade, ciò che viene mostrato, nella possibilità di raggiungere gli spettatori dotati dei
mezzi di ricezione direttamente nelle loro abitazioni e, almeno potenzialmente, nello stesso
momento, ovunque nel mondo, infine, nella possibilità tecnologica di rivedere ed
eventualmente montare immediatamente le immagini riprese.
Quest’ultimo aspetto ci rimanda ad altre differenze tecnologiche costitutive di cinema
e televisione e quindi di rispettive metodologie di elaborazione dei propri testi audiovisivi. Il
cinema è nato come medium chimico-meccanico analogico dove gli elementi tecnologici di
massima erano la pellicola da impressionare grazie alla cinepresa e in un secondo momento
da far sviluppare chimicamente, per poi poterla montare meccanicamente e, con l’avvento del
sonoro, sincronizzare alla moviola con la parte sonora registrata elettronicamente. La
televisione nasce invece come esclusivo medium elettronico analogico dove le immagini e il
sonoro ripreso dalle telecamere venivano direttamente messe in onda (in diretta) per essere
ricevute dalle antenne collegate ai televisori e/o registrate su nastri magnetici per poi essere
montate e mandate in onda “in differita”.
Cinema e televisione hanno, però, fin da subito molte volte sconfinato dal loro
“specifico” incontrandosi in una tipologia testuale, seppur significativamente variabile, ma
che potremmo però far coincidere in una sorta di “scrittura video-filmica” ante litteram. I
filmati pubblicitari prodotti (fine anni ‘50 - fine anni ‘70) dal cinema, come ci hanno bene

4
Galliani inquadra bene questa stessa problematica comunicativa storica affermando che “la semiotica e la linguistica hanno
anche ampiamente chiarito che la modalità tecnica dello strumento televisivo non ha prodotto uno specifico sul piano segnico
e sintattico poichè il linguaggio che lo comprende è rimasto quello delle ‘immagini in movimento’ o ‘linguaggio audiovisivo
cinetico’ i cui elementi costitutivi sono l’inquadratura e il montaggio (visivi e sonori)” in L. Galliani, Il processo è
messaggio, Cappelli editore, Bologna 1979, p.31
indicato Laura Ballio e Adriano Zanacchi5, per il “Carosello” televisivo che inquadrava
all’epoca il momento della pubblicità nei canali televisisi italiani, erano dei veri e propri film
cinematograficamente prodotti a partire dalle “maestranze” (registi, a volte soggettisti e
sceneggiatori, operatori, fotografi, attori, personale tecnico vario) fino alle modalità
tecnologiche utilizzate e al risultato finale. Solo alla fine del processo produttivo il film
veniva “telecinemato” (portato su nastro magnetico) per poter poi essere mandato in onda.
Ancora oggi per la maggior parte dei casi dei film pubblicitari le riprese vengono realizzate in
modo cinematografico. Lo stesso peraltro è comunque successo, fino alla relativamente
recente innovazione e all’uso della telecamera professionale portatile e delle unità di
montaggio audiovisive elettroniche analogiche (fine anni ‘70 - inizi anni ‘80), per il film
documentario, per le inchieste-indagini televisive, che avevano avuto dagli anni ‘30 fino ai
primi anni ‘70 un loro corrispettivo cinematografico nei momenti informativi tipo i “filmati
luce” o “la settimana incom”, per il film scientifico-didattico, per quello industriale e per i
filmati sportivi. Le stesse trasmissioni educative e scolastiche erano realizzate con un mix tra
riprese esterne in cinematografico e riprese in studio con telecamere.
A sua volta il mezzo televisivo, rinunciando molto spesso alle sue specificità, o per
convenienza economica in relazione ai potenziali risultati d’ascolto (“audience”), o per
incapacità ideativo-realizzativa, o per motivazioni di controllo politico delle trasmissioni, è
ricorso spesso all’industria del cinema e alla sua capacità produttivo-realizzativa per poter
completare e arricchire i propri palinsesti. Negli anni si è così assistitito ad una imponente
veicolazione di film da parte della televisione, ad un progressivamente sempre maggiore uso
degli archivi di film delle case di produzione cinematografica (dai primi film muti, quelli di
genere comico in particolare, fino a quelli di recentissima produzione), e alla massiccia
produzione di telefilm , di film a puntate, di film per la televisione, di filmati musicali e di
intere trasmissioni o addirittura di interi canali televisivi basati su di essi. Il più facile accesso
alla videoregistrazione da parte di molti spettatori grazie ai formati video VHS e S-VHS, 8
mm e Hi-8 apparsi dagli inizi anni ‘80 e la conseguente consistente diffusione delle
videoteche hanno portato a fruire in modo ancora maggiore i film, varie tipologie di film,
attraverso lo schermo televisivo. E se negli anni ‘50 Mc Luhan definiva la televisione un
mezzo “freddo”, l’avvento del colore, della stereofonia, l’incredibile aumento della
definizione, del contrasto, della precisione cromatica, dell’effettistica audio sempre più
complessa (virtual surround, surround, dts), degli schermi sempre più piatti e
geometricamente regolari, del notevole aumento della grandezza dei monitor fino alla
videoproiezione (home theatre), lo hanno indubbiamente trasformato in un mezzo
potenzialmente (dipende molto anche dal tipo di fruizione che lo spettatore decide di attuare)
“caldo”, cioè in grado di produrre emozioni, mostrando o raccontando, senza più chiedere
allo spettatore di partecipare.
Questi ultimi anni hanno poi segnato gli inizi e lo sviluppo di un’innovazione tecnologica che
sovverte radicalmente la rigida divisione tipologica che esisteva tra i diversi mezzi di
produzione del cinema e della televisione (chimico-meccanico analogico vs elettronico
analogico). Oggi, grazie alle nuove tecnologie digitali di ripresa e montaggio e ai suoi nuovi
formati video digitali (DV, Mpeg 2 e 4, DV50, HDTV 720i, HDTV 1080i, etc.), è possibile,
come nel caso del recente film “Paz!” (2001) di Renato De Maria, riprendere con una
telecamera elettronico-digitale definita “prosumer” (tra l’amatoriale e il professionale) con

5
L. Ballio, A. Zanacchi, Carosello Story, ERI Edizioni Rai, Torino 1987
stile e progettualità dal marcato segno cinematografico (fotografia, inquadrature, movimenti
di macchina, ripresa del sonoro, recitazione), per poi montarlo con un personal computer
dotato di una scheda e di un programma in grado di gestire il formato di registrazione (in
questo caso il DV) ed infine passarlo in pellicola 35 mm (il formato professionale della
pellicola per il cinema) per la distribuzione nelle sale senza poter percepire la differenza con
un film originariamente ripreso in pellicola. E se “Paz!” è un’esperienza di cinema
indipendente, “dal basso”, gli ultimi episodi della saga “Guerre stellari” di Georges Lucas
sono tutti ripresi in video digitale ad alta definizione (HDTV) e ovviamente montati ed
effettati al computer. Già da diverso tempo è sempre più raro vedere montare i film sulle
moviole cinematografiche meccaniche, anche i film che continuano ad essere ripresi in
pellicola vengono poi trasposti in un formato video digitale per poter eseguire il montaggio
con la nuova moviola digitale, cioè il computer e il software dedicato. E se ancora oggi il
riversamento finale in pellicola è reso necessario ai film per il cinema per le condizioni attuali
della distribuzione (le sale cinematografiche sono ancora per la quasi totalità dotate di
proiettori meccanico-elettronici analogici), proprio con gli episodi della saga “Guerre stellari”
si è iniziato a proiettare con macchine digitali direttamente dal formato di origine (video
digitale in alta definizione registrato o su nastro magnetico o su hard disk) in alcuni cinema
dislocati nelle più grandi città del mondo. Questi cinema attrezzati per la proiezione digitale e
l’accordo con Lucas hanno avuto il compito di dimostrare che i film per il cinema sono pronti
già da qualche tempo per essere ripresi, montati e proiettati in video digitale senza nessuna
perdita rispetto alla pellicola 35mm. Film che da oggetti di notevoli dimensioni costituiti da
materiale deperibile diventano lunghi files di dati potenzialmente immodificabili dal tempo e
quindi in qualche modo indeperibili e immortali.
E si sa, i dati possono viaggiare velocemente sulla rete grazie ad Internet, e allora
cinema e televisione si incontreranno ancora una volta, ancora una volta sulla base dello
stesso linguaggio, ma questa volta veicolati da un nuovo diverso canale con le proprie
modalità comunicative. Quindi si troveranno inseriti in un incessante flusso multimediale ed
ipertestuale dove il film, declinato in tutte le sue possibili variabili, questa “unità” discorsiva
audiovisiva cinetica, un “filmato”, già realizzato come video digitale prima di essere immesso
in rete, resterà ancora una volta una delle basi e l’incipit interpretativo (dato dall’immediato
riconoscimento di genere e di tipo) comune al cinema e alla televisione.
Cinema e televisione sono e saranno ancora probabilmente per molto tempo6 dei
media differenti, questo però è vero per certi generi testuali prodotti e soprattutto per le loro
rispettive specifiche modalità comunicative-sociali, non per i fondamenti del loro linguaggio
e sempre di più non per le tecnologie produttive utilizzate. Quindi oggi è per noi possibile,
anche sicuri dell’indirizzo evolutivo tecnologico, proporre un unico iniziale percorso
laboratoriale di video e film sostanzialmente comune, per questa tipologia testuale, al “fare
cinema” e al “fare televisione” e per l’apprendimento della scrittura delle immagini in
movimento. Resteranno ovviamente delle differenze nei generi testuali che si vorranno
realizzare e nei loro “stili”. Tali differenze potranno dover prevedere un adeguamento di
alcune parti in fase produttiva (ideazione, scrittura pre-riprese, strutture di supporto alle
riprese, modalità di espressione verbo-corporea), ma una volta percorso il modello

6
Nelle prospettive che vengono indicate per l’evoluzione verso le sale cinematografiche digitali si propone anche la
possibilità per questi spazi di proiettare, a volte in esclusiva, grandi eventi televisivi, ritornando così alla visione televisiva
collettiva, che è stata tipica dell’iniziale diffusione di questo medium, anche se in questo caso si svolgerebbe nelle stesse sale
dedicate alla proiezione cinematografica con la possibilità che si svolgano anche con la stessa modalità del “buio in sala”.
esperienziale d’apprendimento che proponiamo, in qualche modo certamente “classico”, si
dovrebbe trattare di aggiustamenti intuitivi e progressivamente sviluppabili con l’esperienza e
con le maggiori abilità espressive acquisite.

3. MEZZI TECNOLOGICI DI BASE E PRIME LINEE METODOLOGICHE

E’ importante conoscere le tecnologie digitali (e non) di base per la realizzazione di un


film-video con le quali si può essere già venuti in contatto nelle normali pratiche sociali di
vita? E’ la domanda che ci siamo posti prima di affrontare l’inizio di questo breve capitolo e
la risposta che ci siamo dati è stata positiva e molteplice. Nel breve excursus partiremo
proprio dall’esposizione di queste molteplici risposte: 1- Per arrivare al prodotto compiuto
scritto col linguaggio delle immagini in movimento gli strumenti tecnologici, la loro
conoscenza e la loro capacità di utilizzo sono fondamentali7. 2- Nelle tecnologie alla base di
tutti i media, tra cui anche quelli che utilizzano il linguaggio cinetico audiovisivo, vi sono
insite le loro stesse modalità comunicative. 3- Gli studenti potrebbero anche non essere mai
venuti in contatto con parte o con tutte queste tecnologie. 4- Essere venuti in contatto o avere
utilizzato spontaneisticamente tali attrezzature non significa conoscerle, nè saperle utilizzare e
ancora meno saperci scrivere. 5- Una organica presentazione delle tecnologie alla base del
“fare video-filmico”, seppure breve e circoscritta alle reali possibilità tecnologiche, ha anche
il valore di trasmettere un iniziale, seppure a volte indiretto, indirizzo metodologico sui
processi di lavorazione e strutturazione dei testi audiovisivi.
La telecamera è composta da un obiettivo e da uno o più sensori (CCD) posti sul suo
piano focale, al quale sono connessi una serie di circuiti elettronici in grado di codificare in
dati (digitale) o di tradurre in segnali elettrici (analogica) l’immagine inizialmente
“impressionata”, che sarà poi registrata sul nastro magnetico dalle testine della parte della
telecamera che permette la videoregistrazione. Per l’indubbia qualità dell’immagine
potenzialmente registrabile, per la maggiore possibile manipolazione dell’immagine in fase di
ripresa (sia verso l’alta che la bassa definizione) e per la possibilità di trasferire direttamente
(nei modelli dotati di entrata e uscita del segnale video e audio) le immagini codificate (file di
dati) al computer per la fase di montaggio, è preferibile, ma non è comunque indispensabile,
utilizzare una telecamera digitale. Infatti l’alternativa è quella di dotare il computer di una
scheda video (può anche essere esterna, collegata attraverso le porte Firewire o USB 2) in
grado di digitalizzare i segnali elettrici analogici. Rispetto alle cineprese che permettevano la
ripresa su pellicole di diverso formato e sensibilità, le telecamere sia analogiche che digitali
utilizzano, a seconda del formato, un certo tipo di videocassetta. E a volte, a diverso formato
di cassetta o di supporto magnetico utilizzato, non corrisponde in realtà una diversa
definizione dell’immagine (qualità di registrazione). In ambito analogico, e per restare nel
quadro dei mezzi amatoriali e al primo livello di quelli professionali, è il caso del VHS che
sostanzialmente corrisponde alla qualità del video8, o del Super-VHS e del Hi8; per quanto
riguarda il digitale è il caso del miniDV, del Digital 8, del DV CAM, del DVC Pro, che in

7
Sebbene Galliani si riferisca ad una esperienza per la scuola primaria riteniamo che resti valida la gran parte del’indicazione
che ci offre quando dice che “il linguaggio cinematografico (audiovisivo cinetico), per essere usato direttamente e
totalmente, prevede la conoscenza e manovrabilità di macchine e di tecniche, per cui da un lato la strumentazione condiziona
i livelli di espressività, e questi ultimi, dal’altro, dipendono strettamente, nel rapporto con gli strumenti, dai livelli di
maturazione fisico-psicologica per non dire di quella complessivamente denominata culturale di chi li usa” in L. Galliani, Il
film-making, in L. Galliani (a cura di), La progettazione audiovisiva nella scuola - Quaderni di comunicazione audiovisiva /
monotematico, Editoriale M.C.M., Pavia 1984 , p.180-181
realtà si basano tutti sul codec (codifica/decodifica) DV. In ambito professionale, in realtà ci
sono ancora più formati di ripresa sia analogica che digitale che prevedono diversi tipi di
videocassette, ma non è certamente sulla possibilità o meno di utilizzarli che si
sperimenteranno e si baseranno le possibilità di apprendimento delle capacità di scrittura
audiovisiva cinetica da parte degli studenti. Rispetto alle cineprese, le telecamere sono state
arricchite anche da molti automatismi e possibilità di ripresa (diaframmi, fuoco automatico,
grande sensibilità alla scarsezza di luce, effetti digitali, livelli automatici della ripresa sonora,
ecc.), che se da un lato permettono la realizzazione di questo tipo di laboratorio anche con
studenti muniti di scarse pre-conoscenze e un numero limitato di ore a disposizione (minimo
30 ore suddivise nel tempo - due/tre settimane - in moduli di due e quattro o più ore a seconda
della fase realizzativa e metodologica in cui ci si trova), dall’altro inducono a pensare che per
filmare sia sufficente “schiacciare un bottone”. Per ovviare a questo inconveniente è
indispensabile utilizzare una telecamera che sia in grado di escludere le funzioni di ripresa
automatica per poter eseguire delle riprese anche manualmente e quindi esplorare a fondo il
mezzo in relazione alle possibili variabili compositive dell’immagine (quantità e tipo di luce,
fuoco, profondità di campo, tipo di movimento da riprendere -veloce/lento-).
Quando si visiona un filmato uno degli aspetti formali che maggiormente ci inducono
a considerarlo di tipo “casalingo”, e che in realtà è il più delle volte il risultato di una errata
scrittura audiovisiva, è quello dei movimenti di macchina. Non solo di quelli “interni” di tipo
ottico come la “zoomata” (eseguiti grazie alle possibilità tecnologiche dell’obiettivo) molto
spesso assolutamente casuali e senza alcuna giustificazione espressiva, ma anche i veri e
propri spostamenti della macchina da presa nello spazio che appaiono incerti, tremolanti,
casuali, ondivaghi, senza meta. I movimenti di macchina invece sono tra i codici di
significazione fondamentali del linguaggio delle immagini in movimento. Per questo motivo
è essenziale l’utilizzo e la capacità d’uso in fase di ripresa di un cavalletto dotato di una testa
fluida in grado di consentire l’esecuzione consapevole di una buona parte dei movimenti di
macchina. E se l’uso “a mano” della macchina da presa sarà conseguente ad un utilizzo
consapevole ed esperto del cavalletto e della testa fluida anche questi possibili movimenti di
macchina probabilmente acquisteranno consapevolezza ed esperienza sintattico-semantica.
E’ possibile riprendere e successivamente registrare un’immagine soltanto grazie al
fenomeno fisico della riflessione della luce. Come abbiamo già detto le telecamere
permettono la ripresa in condizioni di luce “estrema” (molto poca -sotto esposizione- o
eccessiva -sovraesposizione-) autoregolandosi grazie alla propria dotazione di automatismi. Il
rischio è sempre quello di pensare che l’immagine si formi e si riveli in maniera casuale,
“magica”, o, peggio, scontata. Invece, anche per la ripresa con la telecamera, nella luce e
nelle possibilità del suo utilizzo per la composizione formale-segnica dell’immagine (colori,
chiaroscuri), vi sono racchiusi alcuni tra i “segreti” più importanti di questa scrittura. E’
quindi fondamentale considerare la possibilità di operare in fase di ripresa, sia in esterni che
in interni, con consapevolezza e con l’ausilio di lampade o schermi riflettenti (ad es. delle
comuni lastre di polistirolo) utilizzando al meglio sia la luce solare (bianca) come quella delle
lampade. E siccome la luce del sole è recepita come quella più naturale dovremmo cercare di
dotarci di lampade che si avvicinino maggiormente a quella temperatura colore (ad es. le
lampade alogene) o di filtri in grado di attenuare la colorazione gialla-arancio delle lampadine
o quella verdognolo-azzurra della luce al neon. Ovviamente è sempre possibile un uso
consapevolmente creativo, anche in eccesso, di queste dominanti di colore.
Infine il montaggio, il momento fondamentale ed essenziale della scrittura audiovisiva
cinetica, grazie ad un computer opportunamente dotato sia a livello hardware che software.
Sono infatti il computer e i programmi di editing video gli strumenti che oggi permettono di
concludere in modo veramente compiuto l’esperienza di scrittura video filmica potendo
arrivare a montare immagini e audio con la precisione del fotogramma. Fino a non molto
tempo fa una centralina di montaggio video unita a un mixer, a dei videoregistratori ad essa
sincronizzabili e ai relativi monitor, che permettesse questo stesso risultato, era così costosa
che le scuole e a parte qualche raro e circoscritto caso anche l’università non riuscivano a
dotarsene. E’ stato questo uno dei più consistenti motivi, assieme a quelli culturali, della non
diffusione di questo tipo di esperienza e di apprendimento, o purtroppo, spesso, del suo
fallimento.

4. L’IDEAZIONE E IL SOGGETTO

Il risultato concreto più importante che si propone l’esperienza di scrittura video-


filmica proposta, è quello di riuscire a realizzare, passando per tutte le diverse fasi produttive
del processo di composizione audiovisiva cinetica, un film-video completo dai titoli “di testa”
a quelli di “coda”. Per perseguire questo scopo dovrà essere inizialmente compiuta una
disamina il più possibile approfondita dei tempi a disposizione per la realizzazione, degli
strumenti tecnologici posseduti, dei luoghi potenzialmente ed effettivamente raggiungibili per
le riprese (“alla portata” dell’esperienza laboratoriale), dei punti di forza apportati
dall’esperienza personale dei partecipanti (pre-conoscenze tecnologiche, interpretative-
recitative, culturali-documentative, ecc.), dei limiti e delle possibilità che il contesto operativo
impone.
In relazione alla durata prevista per l’esperienza laboratoriale è chiaro che il film da
realizzare non potrà essere certamente un lungometraggio e questo a prescindere dalla
tipologia testuale che il gruppo deciderà di realizzare (di fiction -narrativo, poetico,
fantastico- o referenziale -informativo, documentativo-). L’obbiettivo sarà quindi quello di
arrivare a produrre un “cortometraggio” (comunque un film, anche se di breve durata). A
questo proposito sarebbe indispensabile riuscire a visionarne alcuni già realizzati da
precedenti gruppi che hanno svolto lo stesso laboratorio o qualche altro film di simile durata,
anche realizzati da affermati registi, che ovviamente però si siano ispirati alla massima
semplicità realizzativa (spazi e ambienti facilmente “alla portata”, mezzi tecnologici che
consentano riprese riproducibili anche dall’esperienza laboratoriale, scenari facilmente
individuabili o ricostrubili, ecc.). Questo ovviamente non per indurre un processo imitativo,
ma per dimostrare come un’idea consapevole, specialmente in ambito audiovisivo (processo
ideativo), renda a volte possibile la realizzazione di prodotti interessanti anche a prescindere
dalla quantità, dalla perfezione e dalle possibilità dei mezzi a disposizione.
Il cinema oltre ad essere stato definito come un’arte industriale è da sempre stato
considerato anche un’arte collettiva; con diversa gradualità queste affermazioni possono
essere estese anche al più generale fare filmico. Non significa che non esistano dei ruoli
differenti con compiti differenti e differenti responsabilità da svolgere all’interno del processo
realizzativo di un film, ma che ad esempio a differenza della maggior parte delle opere di arte
plastica, se non fosse per l’insieme collettivo dei diversi contributi, la quasi totalità dei testi
audiovisivi non verrebbe realizzata. Questo aspetto dovrebbe valere ancora maggiormente in
una situazione laboratoriale universitaria di scrittura video filmica fin dai primi momenti sia
ideativi che preparatori. Il tentativo dovrebbe essere quello di ottenere la maggior
partecipazione e interesse possibile da parte di tutti i protagonisti del gruppo grazie ad un’idea
e un progetto più condiviso.
L’iniziale fase ideativa si dovrebbe concludere con l’elaborazione di un soggetto da
parte del gruppo. Un breve scritto da cui emerga “l’intenzione della storia. Il soggetto è al
tempo stesso la storia che l’autore vuole raccontare e l’azione che la racconta. Il soggetto
della storia è dunque l’azione, vale a dire ciò che accade, e il (l’eventuale) personaggio a cui
accade”8. Nel caso del soggetto di un testo di tipo referenziale (ad es. documentario o
indagine-inchiesta) uno scritto che riassuma brevemente il tema e i contesti che si vogliono
descrivere o indagare ed eventualmente le modalità di massima con cui si intenderebbe farlo
(interviste, ricerche storiche, ecc.).

5. LA SCENEGGIATURA

Il percorso industriale-professionale della scrittura per gli audiovisivi prevederebbe a


questo punto l’elaborazione di un trattamento (intreccio), cioè lo sviluppo, a partire dal
soggetto, della trama (elaborazione del personaggio in relazione all’azione) e del tema della
storia (un’astrazione intellettuale che unifica la struttura9). Così come nella scrittura
contemporanea per le immagini in movimento sarebbe prevista una fase successiva alla
sceneggiatura. Si tratta del découpage tecnico in cui alla continuità dialogata della
sceneggiatura (scrittura che si concentra sull’evoluzione dell’azione privata di indicazioni
tecniche di ripresa) si aggiungono le indispensabili indicazioni di regia e ripresa.
Nel caso del percorso laboratoriale che proponiamo la sceneggiatura che verrà
prodotta corrisponderà al découpage tecnico e cioè la scrittura sia dell’eventuale continuità
dialogata o più semplicemente dello svolgimento dell’azione con tutte le previste indicazioni
di ripresa e regia (inquadrature, particolari inclinature della macchina da presa, movimenti di
macchina, messa a fuoco, luminosità, illuminazione, dissolvenze -incrociate, in apertura, in
chiusura-, voci fuori campo, elementi di sonorizzazzione -rumori, suoni, musiche-,
indicazioni di recitazione-interpretazione). E comunque, anche se non toglie o aggiunge
valore al percorso laboratoriale da noi proposto sarà interessante sapere che fino agli anni ‘50
era proprio questo tipo di sceneggiatura che veniva richiesto agli sceneggiatori per poter
considerare veramente completato il loro lavoro. Ovviamente, per quanto riguarda la
sceneggiatura di un documentario, di un’indagine-inchiesta televisiva, o di un film
sperimentale a forte caratterizzazione poetica, sebbene ne venga richiesta ugualmente la
scrittura, questa non potrà necessariamente comprendere tutte le voci sopraelencate. Questo
non significa che non si dovranno riportare tutti quegli elementi della sceneggiatura
comunque potenzialmente prevedibili e descrivibili. Eventualmente si otterrà una maggior
discrepanza tra il prodotto finito e la sceneggiatura con degli effetti comunque significativi e
significanti per il percorso di apprendimento intrapreso.
Chi scrive una sceneggiatura lo fa per una serie di figure: il produttore, per
convincerlo ad acquistargliela nella speranza che si tramuti in un vero e proprio film, il
regista, per suggerirgli il più possibile tutti gli elementi drammatici del film, la troupe,
composta da tutte le figure professionali artistiche e organizzative che partecipano alla

8
D. Parent Altier, Introduzione alla sceneggiatura, Lindau, Torino 1997, p.61
9
Ibidem, p.67
lavorazione del film e che avranno bisogno di trovare nella sceneggiatura tutti gli elementi
necessari allo svolgimento del loro lavoro, l’attore, al quale suggerire un numero sufficente di
indicazioni psicologiche, fisiche e circostanziali perchè possa interpretare al meglio il
personaggio che gli è stato affidato. Il gruppo di laboratorio invece scrive, avendo presente
comunque tutti questi elementi, per: a) imparare a tradurre e costruire con le immagini una
storia o un’azione pensata verbalmente, b) memorizzare consapevolmente gli elementi segnici
di base su cui si struttura il linguaggio delle immagini in movimento, c) “pre-vedere” (vedere
prima prevedendo - previsualizzare) le immagini in grado di raccontare una storia, un’azione,
un documento, un’informazione, una metafora, un simbolo, in relazione anche alla loro forma
e alla modalità tecnico-espressiva da adottare, d) apprendere il più consapevolmente possibile
il linguaggio tecnico-espressivo delle immagini in movimento in relazione alle concrete
azioni realizzative che determina, per poi riutilizzarlo anche in fase di ripresa e montaggio
come comune e facilitante piattaforma linguistica del gruppo, e) confrontare e valutare
l’adattamento e la reinvenzione determinati dalla realizzazione delle effettive riprese o dal
montaggio con quanto previsto in fase di sceneggiatura per affinare le personali capacità di
previsione dei partecipanti, f) per motivarsi con maggiore chiarezza alle successive fasi
laboratoriali di ripresa e montaggio, g) per il successo collettivo di gruppo e individuale
nell’apprendimento del linguaggio audiovisivo cinetico.
Oltre a prestare una continua “vigilanza tecnica e drammaturgica”10 esiste comunque
uno stile grafico specifico della scrittura per il film, che deve essere rispettato per ritrovarsi
poi compiutamente nelle altre fasi della realizzazione filmica (piano di lavorazione/scaletta,
riprese, montaggio). A fianco della numerazione delle scene in ordine cronologico gli
elementi fondamentali di questa impaginazione sono due indicazioni di tempo e una di luogo
che invariabilmente compariranno all’inizio della descrizione di ogni scena sulla
sceneggiatura come ad esempio: 1. INTERNO (o ESTERNO) - APPARTAMENTO DI
LUCIANO (luogo dell’azione che può essere descritto anche in modo più preciso: camera da
letto, bagno, ecc.) - NOTTE (o GIORNO o ancora in modo più dettagliato: alba, mattina,
pomeriggio, sera, tramonto, crepuscolo). Infine, prima di iniziare a scrivere, è fondamentale
saper riconoscere la differenza tra inquadratura, scena e sequenza. Per inquadratura si
intendono tutti i fotogrammi che vengono ripresi durante una fase di accensione e
spegnimento della machina da presa (24 ogni secondo nelle cineprese a pellicola e come
opzione in alcune nuove telecamere digitali in alta definizione; 25 ogni secondo per le
telecamere analogiche o digitali che riprendono nel sistema televisivo pal e secam). La scena
invece si compone di una o più inquadrature inserite in una continuità spazio-temporale e la
sequenza corrisponde invece all’insieme di diverse scene in successione in cui si possa però
individuare un’unità sia tematica, temporale o spaziale. La sequenza resta comunque uno
strumento fondamentalmente analitico (di lettura di un film) piuttosto che un obbietivo di
scrittura.

5.1 Le inquadrature

Prima di dare una definizione di massima dei diversi tipi di inquadrature che si sono
nel tempo codificate nell’ambito del linguaggio audiovisivo cinetico, vogliamo ricordare che
queste non sono il risultato di operazioni matematiche e che per l’appunto l’indicazione di

10
Ibidem, p.27
massima di un primo piano non significa che non esistano molteplici, “infinite”, possibilità di
realizzarlo (più o meno stretto, illuminazione, elementi profilmici, ecc.). Ed è proprio anche
nella contestuale conoscenza sia delle definizioni di massima che delle molteplici possibilità
di realizzazione delle inquadrature che si situa la diversità, la sperimentazione e l’innovazione
stilistico-espressiva degli autori. Lo stesso pensiamo debba valere per gli angoli di ripresa e i
movimenti di macchina.

Tipo di inquadratura Abbreviazione Definizione


Campo Lunghissimo C.L.L. in riferimento alla scena da riprendere è una delle
più grandi porzioni di orizzonte che si possano
realizzare
Campo Lungo C.L. sempre in riferimento alla scena, rispetto alla
precedente prevede la ripresa di una porzione un
po' inferiore di orizzonte
Campo Totale o solo Totale C.T. si tratta dell’inquadratura totale della scena da
riprendere; a volte può essere usato in sostizione
del C.L.L. e del C.L.
Campo Medio C.M. permette l’inquadratura dell’ambiente della scena
dove però anche la figura umana può trovare
risalto
Figura Intera F.I. corrisponde alla ripresa dell’intera figura umana
Piano Americano P.A. i 3/4 circa della figura umana ripresa
Mezza Figura Intera M.F.I. La ripresa di circa la metà della figura umana
Primo Piano P.P. inquadratura della figura umana ripresa da circa
metà busto in sù
Primissimo Piano P.P.P. la ripresa del solo volto
Dettaglio o Particolare DETT. o PART. il primo si riferisce agli oggetti ripresi in modo
ravvicinato o molto ravvicinato (isolati
dall’ambiente della scena); il secondo alla figura
umana (bocca, mani, occhi, ecc.)

5.2 Angoli di ripresa

Indicano l’inclinatura della macchina da presa in relazione al soggetto da riprendere. Rispetto


all’asse verticale e orizzontale di quest’ultimo la ripresa può essere frontale oppure
variamente angolata dall’alto, dal basso, da dx, da sx.

5.3 Movimenti di macchina

Tipo di movimento Definizione


Panoramica si tratta di un movimento di macchina rotatorio più o meno lento realizzato
grazie alla testa fluida del cavalletto che può essere orizzontale ( da dx a sx o
viceversa; a 360° se completo - panoramica orizzontale), verticale (dall’alto
al basso o viceversa - panoramica verticale), obliquo (verso l’alto o verso il
basso - panoramica obliqua)
Carrellata grazie ad un supporto mobile (il carrello o un veicolo - camera car -) la
macchina da presa può compiere dei movimenti nello spazio: avanti, indietro,
a sx, a dx, obliquo; nel caso in cui segua un soggetto si parla di carrellata a
seguire, nel caso in cui lo preceda si parla invece di carrellata a precedere
Dolly o Gru grazie ad un braccio più o meno mobile e lungo (nel secondo caso maggiore)
collocato su ruote o su un veicolo, la macchina da presa può compiere dei
movimenti dal basso verso l’alto e viceversa, verticali o obliqui, anche in
associazione con quelli previsti dalla panoramica e dalla carrellata
Macchina a mano movimenti di macchina realizzati dall’operatore senza l’ausilio di alcuno
strumento tecnologico
Steadycam grazie ad una particolare strumentazione fissata al corpo dell’operatore o
comunque da lui guidata sotto forma di braccio mobile la macchina da presa
può muoversi nello spazio con movimenti più o meno veloci molto fluidi
anche se precisi e repentini
Zoom si tratta di un movimento di avvicinamento o allontanamento al o dal soggetto
ripreso, più o meno veloce (se molto veloce si dice a schiaffo), che può anche
essere combinato ad un movimento rotatorio nelle diverse possibili direzioni e
che si realizza senza un vero e proprio movimento della macchina da presa
ma grazie alle possibilità ottiche di un obiettivo chiamato zoom (zoomata)

6. LA SCALETTA

Una delle fasi più importanti della preparazione di un film nell’ambito professionale-
industriale è la preparazione del “piano di lavorazione”. Si tratta di un grande foglio in cui
compaiono i mesi, le settimane e tutte le giornate di lavorazione che si prevedono per le
riprese del film. Per ogni giornata compaiono anche i luoghi implicati per le riprese, le
tipologie generali più importanti degli scenari, il numero delle scene che si riprenderanno in
quella giornata di lavorazione, gli attori coinvolti e i loro ruoli, i figuranti (le comparse)
suddivisi per il grado di importanza di ruolo nelle scene in cui sono coinvolti, per sesso e per
età, le necessità tecnologiche speciali (sia per le riprese che quelle extra), ogni altra
occorrenza fondamentale per le riprese compresi gli eventuali animali...... E’ ovvio che in
relazione alla durata e alla “semplicità” del film che il nostro percorso laboratoriale si
propone di realizzare un tale lavoro non sarebbe dimensionato. Potrebbe però tornare
comunque molto utile la realizzazione di una “scaletta esecutiva” del lavoro ormai progettato
sotto forma di découpage tecnico. Tale scaletta avrà il compito fondamentale di suddividere
le diverse scene da riprendere secondo una economia dei tempi in relazione ai luoghi delle
riprese. Significa che se si hanno due o più scene diverse da riprendere a casa di Luciano di
cui ad esempio due si svolgono nel salotto della sua casa, una nel suo bagno e una nella sua
camera da letto, il gruppo resterà a casa di Luciano con il set fino a quando non avrà
terminato tutte le diverse riprese che vi sono ambientate. Detto con altre parole in fase di
ripresa non viene necessariamente rispettato l’ordine cronologico assegnato alle scene dalla
sceneggiatura. E siccome le necessità per le riprese anche nella “semplicità” sono comunque
molte e devono essere rispettate per poter procedere in tempi abbastanza precisi per arrivare
ad un prodotto video filmico compiuto, questa scaletta servirà anche ad indicare tutte le
diverse occorrenze delle riprese e quale partecipante del gruppo se ne dovrà occupare
(suddividendosi equamente i compiti).

7. LE RIPRESE

Con la fase delle riprese si entra nello specifico del “fare film”. Se il gruppo arriva a
questo momento avendo svolto compiutamente sia la preparazione teorica delle lezioni sia le
fasi teorico-produttive di ideazione, scrittura e organizzazione, sarà in grado di assumere da
subito la responsabilità esecutiva delle riprese. A questo proposito è bene ribadire che “non è
sufficente la conoscenza degli strumenti (tecniche) attraverso cui vengono ‘scritti’ i testi
audiovisivi, ma occorre l’uso ‘diretto’ e ‘totale’ dei medesimi” 11. Galliani scriveva queste
parole a proposito di un’esperienza laboratoriale riferita alla scuola primaria ma è a nostro
avviso indubbiamente valida in qualsiasi momento o ambito formativo in cui si voglia fare
apprendere in modo completo e approfondito il linguaggio delle immagini in movimento.
Sembrerebbe superfluo dopo quanto abbiamo sostenuto e mostrato in questo breve saggio, ma
gli approci che si fermano proprio a questa fase o a quella successiva del montaggio, dopo
aver svolto le esperienze di analisi del film (di linguaggio, storica, sociologica, artistica, ecc.)
o al massimo dopo quella di ideazione scritta, sono in alcuni ambienti (anche universitari) la
norma e sono talmente radicati che desideriamo ribadire con forza quanto affermato in questa
parte12.
Con la fase delle riprese entriamo in un nuovo momento creativo specifico della
scrittura filmica. E’ necessario filmare tutto quello che è stato previsto dal decoupage tecnico,
verificarne la validità sul campo ed eventualmente, immediatamente “sul posto”, reinventarlo
o adattarlo. E’ la fase in cui si sperimenta e si apprendono le reali possibilità dei mezzi di
ripresa e i modi più adatti per utilizzarli. E’ una fase in cui chi conduce l’esperienza
laboratoriale dovrebbe stare il “più lontano possibile” dai luoghi delle riprese. Non per paura
di orientare o supportare troppo il gruppo, che può essere comunque fatto in fase di revisione
del “girato” alla fine della “giornata” delle riprese e prima di quella successiva, ma per
permettere una reale sperimentazione, facendo in modo che tutti i partecipanti al gruppo,
senza alcuna soggezione dovuta alla presenza di qualcuno che in qualche modo comunque
dovrà in seguito valutarli, si alternino effettivamente in tutti i ruoli del set in particolare quelli
relativi alla ripresa con la telecamera (operatore, aiuto operatore per le eventuali messe a
fuoco manuali, direttore della fotografia per l’illuminazione).
In fase di preparazione alla scrittura della sceneggiatura in forma di découpage tecnico
si sarebbero già dovuti presentare i potenziali errori più vistosi che si possono compiere
riguardo al modo di riprendere le immagini in relazione alle esigenze logiche della continuità
narrativa del linguaggio audivisivo cinetico come: lo scavalcamento di campo (di norma se
riprendiamo una persona che sta camminando e questa esce a dx dell’inquadratura dovremo
farla poi rientrare da sx), il campo contro campo (gli sguardi delle persone che stanno
dialogando tra di loro si devono incontrare) e i raccordi (ad esempio due inquadrature troppo
simili tra loro se raccordate in fase di montaggio provocano un errore percettivo, come, in
relazione ai potenziali raccordi, bisognerà anche ricercare corrispondenze di composizione
figurativa e cromatica, esposizione, angolo, campo, inclinazione e movimenti di macchina).
Così ne circoscrive la problematica Luchi: “I frammenti che l’inquadratura ritaglia
nell’evento profilmico (tutto quello che è davanti all’obiettivo della macchina da presa) a

11
L. Galliani, Il film-making, cit. , p.181
12
Inoltre, a volte ancora oggi, negli ambienti formativi-scolastici anche universitari, appena si paventa la possibilità dell’uso
diretto degli strumenti da parte degli studenti si devono cominciare a superare tutta una serie di ostacoli burocratico-
organizzativi (presenza vincolante di tecnici inesistenti, liberatorie, assicurazioni, ecc.) che di fatto possono impedire lo
svolgimento di un percorso laboratoriale così concepito. Peraltro riteniamo che tutto questo sia veramente strano visto che
molte strumentazioni vengono acquistate con i contributi da loro versati sotto forma di tasse e con i soldi pubblici (ancora
una volta anche loro) derivanti dalla valutazione della loro adesione numerica ad un ente formativo piuttosto che ad un altro.
Ma sopratutto, siccome la conoscenza si persegue anche con e sui mezzi tecnologici non si capisce perchè tali attrezzature
non dovrebbero essere date loro in queste occasioni.
scomporre la sua continuità (del film) di spazio-tempo-azione, devono poi risultare
collegabili per ricomporre lo spazio-tempo-azione cinematografici (filmici) che, seppure
autonomi rispetto a quelli dell’evento, devono percettivamente e logicamente risultare
continui o, lungo gli stessi assi, rendere comprensibile e accettabile allo spettatore la
discontinuità (del passaggio di scena ad esempio)13.
Vogliamo terminare questo excursus sulla fase laboratoriale delle riprese utilizzando
di nuovo le parole di Luchi che bene ne indicano l’aspetto probabilmente più importante e che
dovrebbe essere assunto consapevolmente da tutti i partecipanti: “sono operazioni che, decise
in maniera esplicita o implicita, si traducono in altrettante scelte linguistiche e che
determineranno intenzionalmente o meno i significati degli spezzoni di pellicola (nastro
magnetico) impressionata (registrato)14.

7. DEL MONTAGGIO

Per l’importanza e la complessità che riveste il montaggio nella scrittura filmica questo
capitolo dovrebbe probabilmente avere una trattazione a sè stante sotto forma di saggio
autonomo o di libro. E’ però anche vero che rispetto alla felice sperimentazione e al grande
valore riservato al montaggio dal cinema sovietico degli anni ‘20 e dalle avanguardie storiche
del ‘900 oggi questa importanza si è in qualche modo relativizzata. Nel senso che si sostiene
che una parte sostanziale del montaggio finale viene già deciso durante la redazione del
découpage e l’esecuzione delle riprese15. Effettivamente, anche per quanto riguarda in nostro
percorso laboratoriale, se le due precedenti fasi si fossero svolte con un buon grado di
consapevolezza linguistica e si fossero evitati quei potenziali errori di scrittura in fase di
ripresa che abbiamo già evidenziato nel capitolo precedente, quella del montaggio
risulterebbe meno difficile e rischiosa (errori non recuperabili e l’impossibilità di raccordare
le inquadrature impedisce di fatto, visti i tempi del laboratorio, il completamento del film e
quindi la sua stessa effettiva realizzazione). Un interessante primo stimolo procedurale ce lo
suggerisce Luchi quando afferma che la fase di revisione delle riprese “dovrebbe completarsi
in moviola (computer) con il taglio delle singole inquadrature (...), l’eliminazione degli scarti
(quelle non rispondenti a minimi requisiti tecnici), la giunzione in “bozzoni” di massima (...
comprendente anche le inquadrature alternative) dei raggruppamenti appartenenti alle stesse
azioni sceniche, l’ordinamento, quindi, di questi secondo la successione prevista dalla
sceneggiatura (premontaggio). L’operazione ha l’evidente scopo di predisporre il lavoro di
montaggio, dando modo (ai partecipanti) di farsi un’idea complessiva delle riprese
disponibili, preordinarle e con questo quadro intuirne le possibili combinazioni”16.
Ma il montaggio resta il responsabile ultimo e fondamentale di azioni che implicano
oltre a capacità creative anche la conoscenza approfondita delle modalità di significazione
filmica e che determina l’effettiva forma significante del film. Così “ ‘tagliando’ e
‘giuntando’ (incollando), si introducono ‘sensi’ nuovi; scegliendo in un certo modo i
fotogrammi da mettere a contatto, infatti si modificano spesso sostanzialmente i rapporti
spazio-temporali degli elementi fenomenici del reale rappresentati. Fare ciò significa

13
F. Luchi, Scrivere con l’immagine: il film, in L. Galliani, Educazione ai linguaggi audiovisivi, SEI, Torino, 1988, p.150
14
Ibidem
15
Vedi il fondamentale contributo sul montaggio cinematografico di G. Millar e K. Reisz, La tecnica del montaggio
cinematografico, Lindau, Torino 2001
16
F. Luchi, Scrivere con l’immagine: il film, cit., p.152
‘costruire’ strutture narrative esercitando al massimo funzioni creative e inventive”17. La
funzione selettiva e combinatoria del montaggio è responsabile della scorrevolezza delle
scene (dove per scorrevolezza si intende più il fatto che le transizioni tra le inquadrature siano
contestualmente e comunicativamente riuscite - che non tolgano allo spettatore l’illusione di
assistere a un’azione continua - più che costituite da stacchi impercettibili),
dell’armonizzazione delle azioni consecutive (come rendere continui i movimenti di attori e
cose), della giusta direzione dei movimenti delle persone e delle cose, della continuità della
narrazione, dei tempi filmici delle azioni e dell’intero film (che non corrispondono quasi mai
a quelli reali - a volte in un film di 1h30 circa possono scorrere ad esempio le vite intere dei
personaggi o il passaggio di molte generazioni, ecc.), del ritmo del film (che è fondamentale
per raggiungere i propri scopi comunicativi), e della relazione significante tra le immagini e la
parte sonora del film.
Il linguaggio delle immagini in movimento come tutti i linguaggi vivi è in continua
sperimentazione ed evoluzione. Se esistono sicuramente alcune regole di base e alcune
consuetudini narrative già testate e diffuse per evitare di incorrere in squalificanti errori, e che
si devono conoscere nel momento in cui si monta (taglia e incolla) un film, è anche vero che,
come per qualsiasi scrittura, probabilmente anche in modo maggiore per quella audiovisiva
cinetica, a causa della potenziale molteplicità di codificazione e allo stesso tempo
dell’immediatezza delle immagini, nonchè per i vincoli grammaticali meno aprioristicamente
determinati, per raggiungere i risultati narrativi prefissati occorre innanzitutto provare, a volte
inventare e infine valutarne con obbiettività e sensibilità il risultato; in altre parole sviluppare
uno stile comunicativamente finalizzato attraverso degli affinamenti progressivi. A solo titolo
di completezza esplicativa e non certo per indurre in questo percorso laboratoriale di
apprendimento della scrittura audiovisiva un uso incauto, immotivatamente stravagante,
spontaneistico, delle funzioni e delle possibilità del montaggio, ricordiamo con Costa che
“l’utilizzazione di raccordi ‘scorretti’ e disarmonici può essere una scelta stilistica: è questo,
per esempio, uno degli elementi più vistosi sul piano tecnico-stilistico di Fino all’ultimo
respiro (1960), il lungometraggio di esordio di J.-L. Godard che fece scalpore anche per la
sua ostentata disinvoltura nei confronti della sintassi filmica più collaudata e rispettata”18.
Proviamo ora a tracciare seppur brevemente alcuni elementi di montaggio non ancora
evidenziati e alla base della scrittura delle immagini in movimento sempre ricordando con
Reisz che “il montatore, quando stacca all’improvviso da un’immagine all’altra, riproduce il
normale meccanismo mentale dell’attenzione: è questo che giustifica il procedimento
meccanico del montaggio. Quando invece egli opera cambiamenti di punto di vista, che non
hanno corrispondente nell’esperienza reale, esercita il diritto di scelta di un artista che noi,
come spettatori, accettiamo”19.
Possiamo distinguere due modalità selettive del montaggio filmico tra di loro non in
opposizione, una in relazione allo spazio e un’altra in relazione alla durata. Nel primo caso
rispetto alla continuità spaziale vengono selezionate diverse modalità di visione che possano
corrispondere alle varie esigenze di modalità comunicativa, così l’inquadratura, l’angolo o le
inclinazioni della macchina da presa, i movimenti di macchina che organizzano anche i
rapporti spaziali tra gli elementi ripresi, contemporaneamente compiono anche una
operazione combinatoria. In questo senso lo si considera un “montaggio interno”

17
L. Galliani, Il film-making, cit. , p.185
18
A. Costa, Saper vedere il cinema, Bompiani, Milano 1985, p.216
19
G. Millar e K. Reisz, La tecnica del montaggio cinematografico, cit., p.239
(all’inquadratura) che si sviluppa in modo sostanziale ma non definitivo in fase di découpage
e ripresa. Nel secondo caso, in relazione alle esigenze di continuità temporale di un’azione, di
una scena o dell’intera narrazione l’operazione selettiva circoscrive i movimenti significativi
prevedendo così nella struttura narrativa l’utilizzo di ellissi o di più rare dilatazioni temporali
più o meno evidenti. Complementare a questa operazione di selezione (che dovrebbe essere
prevista dal decoupage e si compie in fase di ripresa) è ovviamente quella di combinazione di
questi elementi narrativi che è specifica della fase del montaggio.
I raccordi tra scene o sequenze prevedono necessariamente di raccordare inquadrature
relative a luoghi e spazi differenti. Vi sono allora a disposizione diversi tipi di raccordi che
hanno raggiunto attraverso l’uso e l’esperienza della visione filmica un notevole grado di
codificazione linguistico-comunicativa: lo stacco (quando all’ultima inquadratura della scena
A succede la prima della scena B per semplice avvicinamento e successione), la dissolvenza
in chiusura (quando la scena si dissolve più o meno velocemente in uno sfondo nero o neutro
-a nero-) la dissolvenza in apertura (quando dalla scena A dissolta più o meno velocemente a
sfondo nero o neutro appare più o meno gradualmente la prima inquadratura della scena B -da
nero-), la dissolvenza incrociata (quando alla graduale sparizione delle inquadrature finali
della scena A appaiono progressivamente quelle della scena B - i tempi di
sparizione/apparizione sono variabili e per un certo tratto le immagini risultano
sovrapposte).Vi sono poi anche mascherini e tendine che però sono molto in disuso al punto
che a volte vengono riesumati proprio per dare l’idea che si tratti di un vecchio film o per
creare un effetto di particolare straniamento nella visione o di “giocosità” narrativa. Tutti
questi effetti sono considerati dei veri e propri segni di punteggiatura, o più propriamente
nella definizione di Metz di “macropunteggiatura”20. Possono anche venire chiamati “segni di
interpunizione”.
Alcune modalità narrative relative al montaggio, per consuetudine e ripetizione d’uso
nel tempo sono diventate dei riferimenti ben definiti del linguaggio cinetico audiovisivo. Per
esempio il montaggio parallelo (due o più azioni proseguono parallelamente senza un preciso
rapporto temporale o spaziale mettendo eventualmente in luce il valore simbolico di analogie
e contraddizioni), o il montaggio alternato (all’interno di due o più serie di azioni i rapporti
temporali sono consecutivi ma considerandoli in blocco il rapporto temporale è di
simultaneità), e il piano sequenza (realizzato in fase di ripresa, può essere inteso anche come
uno dei modi del montaggio in macchina, è un segmento autonomo del film costituito da una
soluzione continua di inquadrature, di una o più azioni, che possono o meno variare di
tipologia in seguito ad un movimento di macchina o di obiettivo).
Per quanto riguarda la sonorizzazione (montaggio del sonoro) ricordiamo con le
parole di Luchi che “l’immagine cinetica ‘implica’ una sonorità in funzione sia di richiamo e
potenziamento percettivo (effetto intersensorio), sia naturalmente di completa e originale
sintesi audiovisiva d’espressione”21. Questa fase prevede la messa a punto e l’enventuale
sincronizzazione del parlato (dialoghi, voci fuori campo) e la scelta di rumori e musiche con
cui comporre completamente o con cui completare quello ripreso in diretta. La problematica
centrale di linguaggio nell’operazione di sonorizzazione è la scelta degli elementi sonori -
parole, musica, rumori - e le loro modalità di apparizione ed esecuzione in relazione al
registro visivo del film. Il caso del sincronismo parallelo rappresenta il primo momento della

20
Ch. Metz, La significazione nel cinema, Bompiani, Milano 1975, p. 245
21
F. Luchi, Scrivere con l’immagine: il film, cit., p.155
sonorizzazione, crea un effetto di realismo espressivo, e prevede che si abbinino in sincronia i
suoni alle fonti che li emettono (persone-dialoghi, strumenti musicali-musica, oggetti-
rumori). Quello dell’asincronismo parallelo svolge una funzione esplicativo-espressiva di
azioni, situazioni e svolgimento narrativo (indicazioni narrative, ambienti, atmosfere,
sentimenti, ecc.), ed è costituito da suoni - voce fuori campo, musiche, rumori - non
“realisticamente” abbinati al registro visivo.

8. PROIEZIONE E CIRCUITAZIONE DEL FILM

Come ci ricorda Galliani “il film è stato fatto perchè altri lo vedano, perchè cioè entri
nel circuito di comunicazione”22 e allo stesso tempo è altrettanto vero che “per il film è
richiesto dalla normale abitudine (...) (che è anche specifica modalità comunicativa) di
vederlo ‘insieme’ e come ‘spettacolo’ “23. Se una volta trascorso un po' di tempo, una
proiezione iniziale dedicata ai partecipanti del laboratorio corrisponderà ad un momento di
gratificazione importante e a un’occasione di effettiva e più obbietiva valutazione del film
realizzato (visione più “distaccata”, collettiva, su di un grande schermo), in un secondo
momento sarebbe importante organizzare un processo di socializzazione comunicativa
(visione, presentazione, dibattito, stimolazione, ecc.) all’interno e all’esterno dell’università,
riuscendo a costruire o a inserirsi in momenti istituzionali già esistenti per questo tipo di
prodotti filmici.

22
L. Galliani, Il film-making, cit. , p.186
23
F. Luchi, Scrivere con l’immagine: il film, cit., p.156

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