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i prismi cinema

direzione di Guglielmo Pescatore


i prismi cinema
direzione di Guglielmo Pescatore

i prismi in preparazione

Michele Fadda
Caratteri del cinema contemporaneo

Giacomo Manzoli
Il cinema popolare

Francesco Pitassio e Paolo Noto


Neorealismo
Veronica Innocenti
Guglielmo Pescatore
Le nuove forme
della serialità televisiva
Storia, linguaggio e temi
© Archetipolibri - Gedit Edizioni 2008
prima edizione: gennaio 2008

responsabile editoriale: Elisabetta Menetti


responsabile di redazione: Daniela Artioli
redazione: Daniela Ambrosi
traduzioni: Simona Mambrini

copertina e progetto grafico: Avenida (Modena)


fotocomposizione: Nuova MCS (Firenze)
stampa: Press Service (Osmannoro - Firenze)

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Archetipolibri è a disposizione degli autori e degli editori che potrebbero


avere diritti sui testi contenuti nell’antologia.

Questo libro è stato interamente pensato, discusso ed elaborato dai due


autori in collaborazione. Tuttavia, per quanto concerne la stesura
materiale, Veronica Innocenti ha scritto il capitolo 1, il capitolo 2 e le
introduzioni ai testi 6-13; Guglielmo Pescatore ha scritto il capitolo 3 e
le introduzioni ai testi 1-5 e 14-17.
VII Premessa

Indice
Profilo critico

1 1. La serialità: cenni storici


8 1.1 I modelli narrativi della serialità televisiva
14 1.2 Genere e format
18 1.3 La serializzazione della serie
22 1.4 Crossover e spin-off
25 1.5 Dialogismo intertestuale

29 2. Una nuova Golden Age


33 2.1 All’interno del testo seriale: temi e forme linguistiche
38 2.2 High Concept TV Series
45 2.3 Serialità e nuovi media
49 2.4 Spettatori, fan, adepti

53 3. La serialità nel sistema dei media


57 3.1 L’innovazione tecnologica e l’esperienza mediale
60 3.2 Spazio, tempo, durata
63 3.3 L’eredità del fumetto
67 3.4 Reale, reality, fiction
70 3.5 Verso i media-community

75 Cronologia

Documenti

79 Alle origini del percorso teorico: gli studi sulla serialità


in Italia tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta
83 1. Francesco Casetti, L’immagine al plurale – Introduzione
87 2. Francesco Casetti, Le scelte del telefilm: la prevalenza
del quadro
93 3. Umberto Eco, L’innovazione nel seriale
101 4. Thomas Elsaesser, Melodramma e temporalità
107 5. Omar Calabrese, L’estetica della ripetizione nella fiction
televisiva

113 La complessità narrativa dei mondi seriali


118 6. Aldo Grasso, Il telefilm fa bene
121 7. Jason Mittell, La complessità narrativa nella televisione
americana contemporanea
132 8. Giorgio Grignaffini, I generi narrativi
136 9. Attilio Coco, Le serie tv e l’esperienza del transito

144 Le serie televisive nella cultura contemporanea


151 10. Franco La Polla, X-Files e l’orrore del pensiero tra
fantascienza e parodia
158 11. Sue Tait, Visione autoptica e immaginario necrofilo in CSI
166 12. Diego Del Pozzo, Buffy, Dawson e l'orrore della crescita

Indice
173 13. Roy Menarini, “You Americans!”, “You Americans What?”
24 e il crollo di tutte le certezze

182 Culti seriali


188 14. Henry Jenkins, La costruzione sociale della comunità di
fan di fantascienza
197 15. Massimo Scaglioni, Fan & the City. Il fandom nell’età della
convergenza
201 16. Ina Rae Hark, La trasposizione dei personaggi televisivi in
altri media
210 17. Tamar Liebes e Elihu Katz, Né carne né pesce: perché Dallas
non ha avuto successo in Giappone

219 Indice bibliografico

229 Indice dei documenti

231 Indice dei nomi


Premessa

Le forme televisive seriali hanno rappresentato, fin dalla nascita della tele-
visione, un macrogenere di grande importanza, capace di catturare l’inte-
resse dei telespettatori, di generare fenomeni di culto e, più prosaicamen-
te, in grado di coprire una consistente quantità di ore di programmazione,
garantendo la possibilità di uno sfruttamento ripetuto. La televisione ame-
ricana, in particolare, ha da sempre investito su questa tipologia di pro-
dotto, elaborando forme narrative originali, sperimentando con i generi e
offrendo allo spettatore prodotti di qualità, esportati in tutto il mondo con
grande successo. Dunque, la storia dei prodotti televisivi seriali ha radici
piuttosto lontane nel tempo e l’evoluzione di questi formati narrativi va di
pari passo con l’evoluzione del medium stesso. In parallelo ai cambia-
menti che hanno investito la natura del medium e ai mutamenti nella
modalità di fruizione, si è assistito a una trasformazione anche nella natu-
ra delle forme seriali. Esse si sono infatti rivelate capaci di incorporare al
loro interno forme linguistiche e temi che costituiscono il riflesso delle
nuove esigenze spettatoriali, delle nuove modalità di fruizione e delle con-
traddizioni della società che le produce.
In questo senso, dunque, questo libro intende ripercorrere alcune tappe
utili a inquadrare il prodotto televisivo seriale all’interno di un arco di
tempo piuttosto ampio, che copre circa sessant’anni e che coincide dun-
que con l’apparizione e l’affermazione del medium televisivo. Il primo
capitolo del libro è perciò dedicato alla ricostruzione delle origini della
serialità televisiva, ma soprattutto all’analisi dei modelli narrativi che ne
costituiscono la fase che potremmo definire “classica”. Lo studio di queste
formule di racconto permette infatti di cogliere con maggiore facilità i
punti di frattura e di disomogeneità che caratterizzano invece l’epoca con-
temporanea, focalizzandosi dunque sulle nuove forme di serialità televisiva,
in particolare americana, considerate ormai da più parti come fenomeni di
grande interesse, sia per ciò che riguarda la sperimentazione sulle forme
narrative e sulla messa in scena, sia per quanto riguarda i complessi mec-
canismi promozionali attivati sia, infine, per la risposta che esse generano
negli spettatori, da quelli più assidui e appassionati a quelli occasionali.
Il secondo capitolo del libro è dedicato all’analisi della cosiddetta Second
Golden Age (seconda età d’oro) della produzione televisiva seriale, che
VIII Premessa

coincide in gran parte con il superamento delle forme narrative più tradi-
zionali e con l’affermazione di fenomeni di ibridazione e di contamina-
zione tra generi che hanno prodotto alcuni dei risultati più interessanti
(nonché alcuni dei più grandi successi) degli ultimi anni. In questo capi-
tolo, inoltre, si sottolinea come il rinnovato interesse da parte del pubbli-
co (ma anche da parte degli studiosi) nei confronti di queste forme di rac-
conto sia il frutto di una complessa attività di ideazione e costruzione di
questi prodotti, nonché di una sapiente attività di promozione e di mar-
keting, che non si limita dunque al medium televisivo, ma che coinvolge
tutti i media, rielaborando i prodotti seriali in forme adeguate al supporto
mediale destinato ad accoglierle (da Internet ai videogame, dai fumetti ai
mini-episodi per cellulare).
In questo contesto, quindi, un certo rilievo è stato posto sulla questione
del rapporto che si instaura tra gli spettatori e i prodotti seriali, in parti-
colare facendo riferimento alle numerose esperienze di partecipazione
che gli spettatori più attivi vivono, non limitandosi alla passiva visione di
un episodio, ma appropriandosi di temi e personaggi, rielaborandoli in
infinite nuove versioni e fornendo sempre nuove interpretazioni dei pro-
dotti seriali.
Il terzo capitolo, infine, è dedicato all’analisi dei prodotti seriali contem-
poranei all’interno del più ampio sistema dei media, dunque cercando di
cogliere la relazione che si instaura tra il prodotto seriale e l’innovazione
tecnologica, che favorisce evidentemente una modificazione dell’espe-
rienza mediale, e rapportando inoltre la serie televisiva ad altri prodotti
altrettanto peculiari per la televisione contemporanea, come ad esempio
i reality show. Dal terzo capitolo emerge dunque la rilevanza di questi
oggetti all’interno dell’articolato panorama mediale contemporaneo, nel
quale la delocalizzazione e la de-istituzionalizzazione del processo di frui-
zione hanno favorito la pervasività, la personalizzazione e la tendenza
cross-mediale di queste forme di racconto.
Alla parte antologica che chiude il volume, infine, spetta il compito di
ripercorrere – senza alcuna pretesa di esaustività, ma con l’intento di per-
mettere al lettore di ricostruire un quadro ampio della questione – alcune
tappe del discorso sulla serialità. Precedute da un’introduzione e da una
contestualizzazione, le quattro sezioni che compongono l’antologia offro-
no al lettore una selezione di brani che, benché certamente caratterizzati
da un margine di discrezionalità e di eterogeneità, si propongono di resti-
tuire un quadro del dibattito sulle forme seriali. In particolare, le quattro
sezioni dell’antologia offrono un percorso attraverso alcuni degli studi
sulla serialità prodotti in Italia tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, un’a-
nalisi della complessità narrativa dei mondi seriali, un approfondimento
sul ruolo delle serie televisive nella cultura contemporanea e, infine, una
riflessione sui fenomeni di culto generati da questo tipo di prodotti.
Premessa IX

Un sentito ringraziamento va a Franco La Polla e Giacomo Manzoli, con cui


abbiamo discusso gli aspetti generali della ricerca e che ci hanno fornito
utili consigli e continui stimoli.
Grazie a Monica Dall’Asta e a Roy Menarini per le occasioni di confronto
e per le indicazioni bibliografiche che ci hanno generosamente fornito.
Durante le fasi della sua progettazione ed elaborazione, questo lavoro è
stato discusso nell’ambito del seminario di Dottorato in Studi Teatrali e
Cinematografici - Sezione Cinema: siamo grati a tutti i partecipanti al semi-
nario, che ci hanno dato idee e suggerimenti e ci hanno incoraggiato a
proseguire le nostre ricerche.
Grazie inoltre agli studenti dei nostri corsi dedicati alla serialità televisiva,
che in questi anni hanno sempre dimostrato, con la loro partecipazione,
grande entusiasmo e grande curiosità nei confronti delle nostre proposte.
Per la pazienza, il supporto e la cura con cui ha seguito questo lavoro gra-
zie a Elisabetta Menetti.
Per le pazienti letture, i preziosi suggerimenti, e per il costante incorag-
giamento un sincero ringraziamento va, infine, a Claudio Bisoni.
Profilo critico

1. La serialità: cenni storici

L’industria dell’audiovisivo ha, da sempre, attuato processi di serializzazio-


ne. Da un lato, la serialità sembra essere inscritta nelle caratteristiche stes-
se del mezzo, cinematografico prima e televisivo poi: il flusso di foto-
grammi, la molteplicità insita nella riproducibilità dell’immagine e quella
delle copie che circolano, la loro teoricamente infinita riproducibilità. Dal-
l’altro, la serialità diventa ben presto, nella storia del cinema, un impor-
tante meccanismo narrativo, che dà vita a una stagione importante, quale
quella del serial, e che mantiene comunque il suo influsso fino al cinema
contemporaneo. La nascita della serialità in ambito cinematografico e tele-
visivo non è perciò un fenomeno indipendente o scollegato da altri ambi-
ti importanti della comunicazione e dell’arte. Come nota Francesco Caset-
ti [1984a, 8] si afferma il declino dell’unicità e della individualità, mentre
trionfano serialità e ripetizione: «È come se le immagini e i suoni rinun-
ciassero ad una loro sia pur parziale singolarità e scegliessero di apparire
per così dire al plurale». Va insomma sfatato il mito di poter trovare nel
cinema «un baluardo dell’unicità della rappresentazione da opporre ai
modelli di serializzazione della tv. In realtà quelli dell’unicità e della seria-
lità sono modelli indipendenti dal medium che li trasmette: il cinema può
benissimo veicolare contenuti seriali e la televisione contenuti unici»
[Menoni 2001, 19].
In primo luogo, in ambito sociale ed economico, alla nascita del prodotto
cinematografico di stampo seriale fa da sfondo naturale l’affermarsi dei
processi di industrializzazione, che tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del
Novecento fanno sì che nella produzione in serie si collochi l’espressione
più rappresentativa di queste dinamiche. Come nella produzione di ogget-
ti materiali è una peculiare forma, basata principalmente sull’utilizzo della
catena di montaggio (il sistema cosiddetto fordista), a segnare le dinami-
che industriali del periodo, così nel campo dell’arte e della comunicazio-
ne «prima ancora di arrivare alla riproduzione seriale di singole unità iden-
tiche (il giornale, il libro, il disco, la puntata di un programma radiofonico
o televisivo), si impara a scomporre il modo di raccontarne il contenuto»
[Cardini 2004, 19].
2 Profilo critico

Fordismo/Postfordismo
Ad Henry Ford, fondatore della Ford Motor Company e produttore di
automobili già dai primi anni del 1900, va attribuita l’introduzione,
negli anni Venti, della catena di montaggio come sistema di
razionalizzazione e di automatizzazione del ciclo di produzione delle
sue fabbriche. Questa modalità di organizzazione del lavoro ha preso
il nome di fordismo e ha rappresentato una profonda influenza nella
nostra società, permettendo una produzione e una diffusione di
massa dei beni materiali di consumo.
Questa tipologia di produzione, di massa e fortemente localizzata
territorialmente, entra in crisi verso la metà degli anni Settanta,
quando si assiste a una fase di trasformazione della produzione e del
lavoro, veicolata dal ricorso sempre più massiccio alle tecnologie
informatiche. Il termine postfordismo identifica pertanto quell’insieme
di innovazioni nella produzione e nel sistema industriale che vedono
uno spostamento verso una delocalizzazione della produzione e una
centralità delle qualità immateriali dei beni prodotti. Come nota Italo
Calvino: «è vero che il software non potrebbe esercitare i poteri della
sua leggerezza se non mediante la pesantezza dell’hardware; ma è il
software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle
Industrializzazione macchine [...] Le macchine di ferro ci sono sempre, ma obbediscono
e produzione
di massa ai bits senza peso» [Calvino 1988, 9-10).

La produzione in serie di prodotti culturali muove certamente, come nel


caso della produzione di oggetti materiali, da ragioni economiche. Cardini
[2004, 19] nota infatti come ci si accorga molto presto che la frammenta-
zione, la serializzazione, la parcellizzazione

in piccoli frammenti uguali tra loro non nel contenuto, ma nel formato, man-
tengono vivi l’interesse e la curiosità per sapere cosa succederà dopo, accre-
scendo l’attaccamento e l’affezione alla storia, e moltiplicano in maniera
esponenziale il consumo del supporto che la contiene: il giornale, il cinema,
la radio, il disco, la televisione ecc.

Considereremo quindi il prodotto culturale come oggetto comunicativo


di massa, ma anche come oggetto culturale, come «luogo di sedimentazio-
ne, di espressione, di diffusione e di rafforzamento di conoscenze, cre-
denze, atteggiamenti, valori, norme propri di una società o di una sua por-
zione» [Colombo e Eugeni 2001, 28].
Assieme alle modifiche strutturali subite dai sistemi e dalle logiche di pro-
duzione, si fa largo un’altra importante entità: il pubblico, che manifesta
una grande propensione nei confronti dei prodotti seriali, facendo sì che
essi costituiscano una forma necessaria, adottata da ogni medium di
massa.A una maggiore disponibilità e competenza tecnologica, alla possi-
bilità di allargare l’offerta di prodotti culturali e all’ampliarsi del bacino di
La serialità: cenni storici 3

utenza, corrisponde quindi una risposta positiva del pubblico, che si dimo-
stra costantemente assetato di storie, ma anche incline a voler “ritrovare”
elementi comuni nelle storie di cui fruisce. Come nota Umberto Eco
[1985b, 129], «Nella serie l’utente crede di godere della novità della storia
mentre di fatto gode per il ricorrere di uno schema narrativo costante ed
è soddisfatto dal ritrovare un personaggio noto, con i propri tic, le proprie
frasi fatte, le proprie tecniche di soluzione dei problemi... La serie in tal
senso risponde al bisogno infantile, ma non per questo morboso, di riudi-
re sempre la stessa storia, di trovarsi consolati dal ritorno dell’identico,
superficialmente mascherato».
A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, in parallelo con l’aumento
del grado di alfabetizzazione, si assiste dunque all’affermarsi di opere nar-
rative pubblicate a puntate sulla stampa. Il romanzo a puntate costituisce
quindi un primo, cruciale passo verso l’istituzionalizzazione delle forme
narrative di tipo seriale.
Il fenomeno della serializzazione della narrativa nella letteratura, come
anche nella comunicazione visiva, risente significativamente della parti-
colare organizzazione tecnologica ed economica che le congiunzioni del
momento mettevano a disposizione, facendo della serie la sua espressione
retorica più diretta.Thomas Elsaesser [1984] nota infatti come l’ideologia
del romanzo a puntate, la particolare costruzione dei suoi enigmi e le
ramificazioni delle sue linee narrative, dipendano direttamente dall’intro-
duzione dei sistemi di stampa a basso costo, nonché dalla possibilità di
assicurare una grande rapidità di circolazione del prodotto, impensabile
fino a qualche tempo prima.
In questo scenario vanno allora diffondendosi pubblicazioni che segnano la
nascita di forme narrative di tipo seriale che ricoprono il ruolo di modelli di
riferimento per lo sviluppo di strutture seriali nei racconti di altri media.
I romanzi a puntate, ad esempio, vanno sviluppandosi numero dopo
numero, senza possedere un itinerario narrativo predefinito. Non si tratta
quindi di suddividere in segmenti una storia già scritta, quanto piuttosto
di pensare a un’articolazione narrativa progressiva, stratificata e sempre
più complessa. Questa caratteristica si adeguerà poi molto bene, come
vedremo, alle dinamiche produttive dei prodotti audiovisivi seriali, e in
particolare televisivi.
Il momento di maggior successo della narrativa a puntate è forse rappre-
sentato dal feuilleton, frutto dell’incontro tra la stampa e la letteratura. Per
feuilleton si intende una forma narrativa comparsa all’inizio dell’Ottocento
che consisteva in una sorta di “supplemento” al quotidiano, che ben presto
inizia a ospitare novelle, racconti di viaggio e, successivamente, veri e pro-
prio romanzi a puntate. Si rende dunque necessario «un nuovo modo di
scrivere:si improvvisa sul momento un intreccio che,teoricamente,potreb-
be non avere mai fine, infarcendolo di trame secondarie, nuovi personaggi,
nuovi legami tra loro che vengono a complicare talmente la vicenda che
l’autore stesso finisce per scordarne i particolari» [Cardini 2004, 29].
4 Profilo critico

Il romanzo a puntate
A partire dal 1831 Honoré de Balzac decide di anticipare alcuni
capitoli dei romanzi che sta scrivendo a mezzo stampa, per stimolare
attesa nei lettori. La pubblicazione di racconti inediti a puntate sui
quotidiani diventerà intorno agli anni Trenta dell’Ottocento una
strategia molto diffusa, che segnerà la nascita della narrativa seriale.
Nel 1836 Il Circolo Pickwick di Charles Dickens viene pubblicato in 20
fascicoli mensili e, a differenza di altre pubblicazioni precedenti
costituite da una segmentazione di opere preesistenti, nasce come
opera in progress, articolata senza un andamento narrativo rigido.
Tra le pubblicazioni a puntate più famose ritroviamo I misteri di Parigi,
romanzo a puntate di Eugène Sue pubblicato tra il 1842 e il 1843,
Forme seriali
I tre moschettieri (1844) e Il conte di Montecristo (1845) di Alexandre
in letteratura Dumas.

Prende vita, insomma, una stampa popolare, che attraverso le strutture del-
l’industria culturale [vedi Profilo critico, 3] è in grado di raggiungere un
pubblico molto vasto e che si incentra sugli elementi della ripetitività,
della narrativa interrotta e del piacere del pubblico nel ritrovare perso-
naggi e ambienti già noti e già percorsi.
Altro fattore incisivo nel determinare il successo di questo tipo di pro-
dotto, nonché nel provocare influenze significative sui prodotti seriali che
verranno poi proposti da altri mezzi di comunicazione, quali il cinema e
la televisione, è il fatto che la modalità di lettura di questi testi non è più
individuale, bensì collettiva e dunque basata sul confronto e sulla condi-
visione.
Alla letteratura si affianca poi anche il fumetto, la cui nascita viene fatta in
genere risalire al 1895, quando su un supplemento domenicale del quoti-
diano New York World esordisce un personaggio illustrato da Richard F.
Outcault. Si tratta di un bambino, piuttosto brutto e dalla testa calva, vesti-
to con un camicione giallo, ribattezzato presto Yellow Kid, e individuato
dagli storici del fumetto come l’evento che decreta la nascita del mezzo
[Brancato 2001]. Contemporaneamente al cinema nasce quindi anche un
altro mezzo, da più parti ritenuto a buon diritto appartenente alla catego-
ria dell’audiovisivo, che basa molta della sua fortuna e del suo fascino pro-
prio sul processo di serializzazione e che fa della frammentazione il suo
carattere espressivo, con uno stile narrativo spesso debitore del feuilleton.
Per quanto riguarda il cinema, secondo David Bordwell e Kristin Thomp-
son [1994] il serial cinematografico è oggi ricordato principalmente in
associazione a quei prodotti a basso budget che, tra gli anni Trenta e gli
anni Cinquanta, affollavano le matinée destinate agli spettatori più giova-
ni. In realtà, gli autori rammentano come il serial sia stato una forma carat-
teristica del cinema fin dagli anni Dieci. In quegli anni, la produzione era
infatti ricca di prodotti dalla durata variabile (alcuni erano molto brevi,
La serialità: cenni storici 5

altri duravano anche più di quarantacinque minuti), caratterizzati da molta


azione, e ricchi di situazioni di suspense, scenari esotici e avventurosi sal-
vataggi.
Si trattava quindi di film caratterizzati da una struttura episodica, in cui
una story-line veniva portata avanti per numerose puntate. La struttura dei
singoli frammenti prevedeva l’interruzione del racconto proprio nel
momento di apice della tensione, con un finale sospeso. La sistematica
sospensione del finale, con il consueto cartello che rimandava alla punta-
ta successiva, viene chiamata cliffhanger (dall’inglese cliff, scoglio e han-
ger, qualcosa che permette di stare appeso) proprio perché in genere l’e-
pisodio si chiudeva con il protagonista appeso a una roccia, o a penzolo-
ni da un palazzo, in attesa di una risoluzione che sarebbe arrivata solo con
l’episodio successivo, intrigando lo spettatore e incuriosendolo al punto
da indurlo a tornare la settimana seguente. Con il serial degli anni Dieci,
che si afferma pressoché contemporaneamente in Francia e negli Stati
Uniti, si definiscono allora alcuni elementi molto importanti per l’evolu-
zione del cinema, ma che avranno ripercussioni anche sulla struttura dei
prodotti televisivi.
Come nota Monica Dall’Asta [1999], infatti, il serial nasce in un momento
carico di trasformazioni significative, non ultimo un processo di moder-
nizzazione delle tecniche pubblicitarie, per cui l’obiettivo diventa quello
di “catturare” il pubblico. Così, come abbiamo già accennato, si va affer-
mando il ruolo dello spettatore che «comincia a definirsi come un essere
dotato di memoria», e che diventa quindi il destinatario di una serie di
messaggi che il film costruisce in relazione anche ad altre forme di comu-
nicazione, affermando il principio del «tie-in, il concatenamento interte-
stuale, che qui viene già sfruttato in una doppia forma: da un lato, nella
forma della novellizzazione del film, dall’altro, in quella di un concorso a
premi» [Dall’Asta 1999, 290].
La produzione di serial conosce in Francia un momento di grande entu-
siasmo con i film prodotti dalla Pathé e quelli di Louis Feuillade per la
Gaumont, in particolare con la serie Fantômas [Dall’Asta 2004], mentre
negli Stati Uniti il serial consolida la sua popolarità attraverso alcuni pro-
dotti che hanno per protagoniste le donne e che alle donne sembrano
essere in particolare rivolti: What Happened to Mary (W. Edwin, J. Searle
Dawley, 1912) e The Perils of Pauline (L.J. Gasnier, D. MacKenzie, 1914) si
affermano infatti come serial di grande successo, trasformando le loro pro-
tagoniste in dive, e inducendo le compagnie di produzione a lavorare su
prodotti similari.
In tal senso, i prodotti seriali cinematografici producono due effetti signi-
ficativi, dipendenti uno dall’altro.
In primo luogo, le caratteristiche che la produzione seriale presenta (si
pensi ad esempio alla ripetitività del personaggio e delle situazioni, alla
suspense legata alla sospensione della narrativa, ai processi di fidelizza-
zione che si instaurano tra il pubblico e il prodotto) incoraggiano lo svi-
6 Profilo critico

luppo del fenomeno del divismo, legato inizialmente a un personaggio,


come nel caso di Fantômas. In America, poi, si provvederà a legare il rac-
conto cinematografico seriale al volto di un attore, che verrà riconosciu-
to e percepito in relazione al personaggio che interpreta e che, grazie al
concatenamento intermediale di cui il cinema si rende presto conto,
potrà essere fruito anche attraverso altri media (dischi, radio, stampa
popolare).
In secondo luogo, la serialità sviluppa le dinamiche produttive e di diffu-
sione dei suoi prodotti al massimo grado, anche in virtù delle logiche di
sviluppo dell’industria cinematografica e delle sue dinamiche produttive.
Il serial possiede infatti modalità di produzione di tipo industriale, che ne
fanno «quanto di più vicino sia mai esistito in campo cinematografico a
una rigida organizzazione fordista del lavoro. [...] Realizzati, a dispetto
delle loro dimensioni (almeno tre volte quelle normali dei lungometrag-
gi), con budget ridottissimi, i serial dispongono di tempi di lavorazione
altrettanto ridotti» [Dall’Asta 1999, 315].
Il modello seriale diventa allora dominante. In primo luogo, per il tipo di
struttura produttiva che lo caratterizza e che caratterizza la dimensione
industriale della produzione cinematografica, in particolare americana. In
secondo luogo, perché il modello seriale non rimane esclusivamente con-
finato alle logiche produttive del film, bensì estende il suo influsso, per-
meandone anche la struttura linguistica. I meccanismi dello studio system
si coniugano allora con le sperimentazioni linguistiche, facendo sì che in
questi anni si determinino alcuni dei canoni linguistici della ripetizione
cinematografica, ad esempio con D.W. Griffith, sancendo l’ingresso della
ripetizione nella struttura del cinema e definendo i termini di una eredità
che influenzerà evidentemente tutta la futura struttura e produzione tele-
visiva.

Fidelizzazione
La serialità televisiva, srotolando le sue narrazioni sulla lunga durata
è tesa a ottenere un elevato grado di fedeltà dal proprio spettatore.
Ciò è evidente nelle strutture narrative che sottendono ai prodotti
seriali, finalizzate appunto a creare interesse nello spettatore, a
coinvolgerlo all’interno della vicenda narrata e a lasciargli quel grado
di incertezza e suspense necessario a far sì che egli si sintonizzi
nuovamente sul medesimo programma quando andrà in onda la
puntata successiva. Al concetto di fidelizzazione si associano anche gli
studi relativi alle abitudini di consumo degli spettatori televisivi, da cui
emerge frequentemente la presenza per gli spettatori di
«appuntamenti fissi, punti di ancoraggio all’interno della
programmazione, intorno a cui si organizzano percorsi di fruizione
Abitudini di consumo sempre più netti e definiti» [Fanchi 2001, 65].
La serialità: cenni storici 7

David Wark Griffith


Regista, sceneggiatore e produttore statunitense. Dopo aver lavorato
come attore, Griffith incominciò a dirigere film per la casa di
produzione Biograph nel 1908. Suo merito è quello di aver
sperimentato numerose tecniche di ripresa e montaggio, tra cui la più
nota è il cosiddetto cross-cutting: la macchina da presa si sposta su
due situazioni, facendoci assistere in tempo reale a due diversi
momenti.
Tra i suoi film più famosi troviamo Nascita di una nazione (Birth of a
Nation, 1915) e Intolerance (1916). 1875-1948

Va ricordata, infine, l’influenza del medium radiofonico sulla organizzazio-


ne e diffusione dei prodotti seriali, in particolare la sua evidente impor-
tanza nella costruzione del prodotto seriale televisivo. La nascita del
broadcasting – termine che indica una attività di diffusione di suoni (o
suoni e immagini) da un sistema di trasmissione a un insieme di sistemi di
ricezione – comporta la necessità di fornire una grande mole di contenu-
ti a costi accessibili. In un sistema radiofonico commerciale come quello
americano si fa pertanto da subito largo la necessità di catturare inserzio-
nisti pubblicitari, e dunque di studiare e ideare i formati narrativi più ade-
guati a tale scopo. Da qui, la soluzione presto escogitata è quella di pro-
durre trasmissioni seriali, i cui vantaggi sono molteplici: fidelizzano il pub-
blico grazie alla ricorsività di storie e caratteri; sono facilmente scompo-
nibili in blocchi narrativi al fine di inserire messaggi pubblicitari; i prodotti
pubblicizzati nelle interruzioni possono facilmente riferirsi all’universo
finzionale costruito dalla serie, garantendo un più efficace effetto del mes-
saggio pubblicitario.
Nell’affermarsi della produzione di stampo seriale, letteraria/fumettistica
prima e radiofonica poi, e nel passaggio di queste dinamiche al medium
cinematografico, si rafforzano allora due tendenze importanti, due carat-
teri tipici del prodotto culturale che segneranno le sorti delle produzioni
successive, operando una influenza forte sul consolidamento di tali dina-
miche in ambito televisivo [Colombo e Eugeni 2001, 19]:

la tendenza alla contaminazione tra generi differenti (storia, cronaca, fic-


tion); e la tendenza alla narrazione seriale, vuoi nella forma della saga (un
unico racconto tendenzialmente infinito o comunque ampio che procede in
sequenza alternando vari personaggi: ad esempio Les Mystères de Paris, pub-
blicato da Eugène Sue tra il 1842 e il 1843), vuoi nella forma della serie (dif-
ferenti racconti aventi al centro lo stesso personaggio o gli stessi personag-
gi: ad esempio i romanzi e i racconti di Sherlock Holmes, scaturiti tra il 1887
e il 1921 dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle).

Gli orientamenti della narrazione seriale intesi in termini di saga e di serie,


come sottolineato da Colombo ed Eugeni, si prestano bene a un’analisi
8 Profilo critico

delle forme seriali audiovisive. È possibile notare un legame molto forte


tra l’idea di saga come di un racconto tendenzialmente infinito, ampio, che
procede in sequenza, e la struttura della soap opera televisiva (e, prima
ancora, radiofonica).Allo stesso modo, per ciò che riguarda la serie, è piut-
tosto evidente il fatto che lo stesso termine venga utilizzato comunemen-
te anche per i prodotti televisivi, e che caratterizzi la struttura di una certa
produzione cinematografica. Vediamone allora più da vicino le caratteri-
stiche e le peculiarità.

1.1 I modelli narrativi della serialità televisiva


In Italia, si è diffuso per lungo tempo l’uso del termine telefilm per indi-
care tutti quei prodotti di stampo seriale, di provenienza in gran parte sta-
tunitense, che iniziano ad affollare i palinsesti italiani in particolare dalla
fine degli anni Settanta in poi. Come ricorda Aldo Grasso [2007, 9], «tele-
film è parola squisitamente italiana (poco usata in area anglofona dove si
preferisce parlare di “tv series”, specificando il genere di appartenenza:
western, hospital, soap, sit, drama, sci-fi, docu...)». Telefilm è un termine
che suscita qualche perplessità, poiché sembra in effetti più adatto a
descrivere un fenomeno complesso e altrettanto importante in termini
quantitativi quale è quello dei made-for-TV movies, piuttosto che il pano-
rama della serialità televisiva.

Made-for-TV movies
I made-for-TV movies, o semplicemente tv movies, sono prodotti
assimilabili al film per il grande schermo per durata e formato, ma
pensati e realizzati esclusivamente per la diffusione televisiva.
Spiccano nel panorama televisivo per la scarsa qualità delle immagini,
che nascono senza eccessivo dispiego di mezzi e sono pensate per
una visione esclusiva sul piccolo schermo. Predominano quindi le
inquadrature in interni, in campo medio o in primo piano e
campo/controcampo, è il dettaglio a dominare il quadro. Il tv movie è
un prodotto indispensabile nel palinsesto dei network americani, di
cui occupa circa il 20% del prime time e per cui rappresenta una
delle risorse più significative per poter avere materiali inediti nel
proprio palinsesto [Rapping 1992]. Viene spesso utilizzato un
linguaggio standardizzato e di immediata comprensione anche alle
fasce di pubblico meno sofisticate e meno famigliari con il linguaggio
cinematografico. L’azione, come per sit-com e serial, è circoscritta
fisicamente e intellettualmente per stare dentro ai confini del video e
per rientrare nella realtà di una fruizione di tipo domestico.
Peculiarità del tv movie è quella di riuscire ad esprimere in maniera
didascalica e autoreferenziale i problemi che affronta, spesso ispirati
Tra serialità
a fatti di cronaca, fugando ogni possibile ambiguità e manifestando
e unicità un chiaro giudizio morale [Innocenti 2006, 2007a].
La serialità: cenni storici 9

All’interno della macro-categoria della serialità, sembra invece ancora


attuale la distinzione effettuata da Umberto Eco [1984, 1985b], che rico-
nosce l’esistenza di svariate modalità in cui il prodotto seriale può decli-
narsi. Tendenzialmente, possiamo differenziare i prodotti televisivi seriali
in due categorie principali, il serial e la serie. Ognuno di essi possiede
caratteristiche ben definite e modelli narrativi ricorrenti.
Per quanto riguarda il serial, esso è da considerarsi come un racconto arti-
colato in un numero variabile di parti distinte, dette puntate, interdipen-
denti e intervallate nel tempo. La puntata è un segmento narrativo non
autosufficiente, un frammento di una trama aperta, che occupa un posto
preciso nella narrazione, ed è direttamente concatenato ai segmenti pre-
cedenti e successivi [Buonanno 2002]. Il serial si può articolare in due
formule: la prima è detta continuous serial e si configura in due tipologie,
la soap opera, proveniente principalmente da Europa e Stati Uniti e carat-
terizzata da una narrativa che non prevede risoluzione né finale, e la tele-
novela, proveniente dall’America Latina, dalla narrativa invece chiusa, seb-
bene comunque di lunghissima durata, e in cui tutto procede verso la riso-
luzione del racconto. Nella telenovela c’è pertanto un epilogo, ma la nar-
rativa è comunque aperta, flessibile e modificabile anche a causa delle
necessità produttive. Soap opera e telenovela sono esempi di saga, in cui
il protagonista è seguito in maniera attenta anche in tutte quelle dirama-
zioni narrative che sono relative ai suoi discendenti, ai figli, ad altri perso-
naggi coinvolti, come accade per Dallas (1978-1991) o Beautiful (The
Bold and the Beautiful, dal 1987).
L’altra forma in cui si articola il serial è il cosiddetto miniserial, un pro-
dotto composto da poche puntate distribuite entro un breve arco di
tempo, è una sorta di ibrido, poiché il racconto interrotto lo rende appar-
tenente alla famiglia del serial, ma si tratta di una forma di serialità debo-
le, che chiede allo spettatore una fedeltà corta, a breve termine, e che è
dotato di una chiusura narrativa inequivocabile. Nella serialità lunga è il
dispositivo del ritorno del già noto che assicura fedeltà, esso è incorpora-
to nelle strutture narrative, nell’articolazione protratta nel tempo di una
identica situazione. Nella serialità corta, invece, questa risorsa manca, così
per assicurare fidelizzazione spesso si ricorre a forme intertestuali e di
ripetizione, giocando sulla familiarità e riconoscibilità di storie e temi che
rimandano a materiali risaputi, ad esempio attraverso la ricostruzione di
eventi storici o gli adattamenti di opere letterarie.
A sua volta, la serie si caratterizza per la sua articolazione in segmenti, ten-
denzialmente autoconclusivi e marcati dalla presenza di un titolo (che
spesso fa riferimento a quelli che saranno i temi affrontati): questi fram-
menti sono detti episodi e sono in larga misura autosufficienti nell’eco-
nomia della serie. Le forme più comuni in cui questa tipologia si articola
sono quelle della serie antologica, della sit-com (abbreviazione di situa-
tion comedy, commedia di situazione) e della serie propriamente detta. La
serie non si identifica con qualche specifico sub-universo narrativo, ma
10 Profilo critico

con tutti, dal poliziesco al genere ospedaliero, dall’avventura alla fanta-


scienza, dal western alla commedia familiare [Buonanno 2002].
Per serie antologica si intende una serie con episodi «di durata variabile da
mezz’ora a un’ora e mezza, [che] non ruotavano intorno a personaggi o
ambientazioni ricorrenti ma li diversificavano di continuo, come se ogni
volta si trattasse di un nuovo film [...] Il fattore inter-episodico unificante
poteva essere costituito dal genere (giallo, mistery), dal medesimo inter-
prete (alcune star del cinema avevano le proprie antologie), da una stessa
figura di narratore o presentatore che introduceva le storie e ne com-
mentava la conclusione» [Buonanno 2002, 164]. Il riferimento d’obbligo
qui va a prodotti come Ai confini della realtà (The Twilight Zone 1959-
1964, questa serie ha avuto ben due revival nel 1985 e nel 2002) e Alfred
Hitchcock presenta (Alfred Hitchcock Presents 1955-1962). Questa for-
mula scompare però abbastanza presto, perché richiede un grosso sforzo
creativo e produttivo, per creare ambienti, situazioni e personaggi sempre
nuovi.
La sit-com, invece, è articolata sulla base di episodi corti, di durata intorno
alla mezz’ora, e possiede toni leggeri da commedia. In questo breve arco
temporale si articola una commedia di situazione che coinvolge sempre il
medesimo gruppo di personaggi, ripresi in uno o più ambienti fissi. Le

La fiction in Italia
La serialità prodotta nel nostro paese viene indicata di norma con il
nome di fiction, ma prima di cominciare a parlare di fiction in Italia si
parlava di sceneggiato, romanzo sceneggiato o teleromanzo, formule
che per almeno vent’anni sono state il genere privilegiato della
produzione seriale della televisione italiana. Essenzialmente si
trattava di un adattamento letterario, un racconto a puntate tratto da
un’opera narrativa edita. Per lungo tempo, la serie all’italiana è stata
caratterizzata da un numero limitato di episodi di durata intorno ai 90
minuti l’uno e da una struttura narrativa a “incastro”. Si è parlato
spesso, per il modello italiano, di una serialità “debole” basata non
tanto sulla lunga durata, quanto sulla familiarità del pubblico con le
storie narrate: biografie di personaggi famosi, storie ispirate a fatti di
cronaca o adattamenti letterari [Buonanno1996; 2002].
Di recente, la fiction nostrana ha fatto propri i meccanismi produttivi
della lunga serialità, inaugurando la produzione di soap (Un posto al
sole, in produzione dal 1996 e Centovetrine, in produzione dal 2001) e
diffondendo il modello della serie serializzata. Inoltre, sempre più
spesso si assiste all’offerta di prodotti che presentano una continuità
multistagionale come accade per le serie americane (Distretto di
polizia, giunto alla settima stagione nel 2007, La squadra, all’ottava
stagione nel 2007 e RIS - Delitti imperfetti, alla quarta stagione nel
Serialità debole 2007).
La serialità: cenni storici 11

diverse situazioni riguardano di solito la sfera dei rapporti interpersonali


e sono complicate da motivi di contrasto, fra ruoli, fra sessi, fra classi socia-
li etc., da cui scaturiscono spunti umoristici [Jones 1992]. L’andamento è
dunque simile a quello delle serie che Eco [1984, 27] definisce a spirale,
in cui «apparentemente non solo vi accade sempre la stessa cosa, ma quasi
non vi accade nulla, eppure ad ogni nuova striscia il carattere [di Charlie
Brown] ne risulta arricchito e approfondito».
Di recente, grande successo hanno riscosso sit-com come Seinfeld (1990-
1998), Friends (1994-2004), Will & Grace (1998-2006): in questi casi, ogni
episodio è articolato in tre momenti: «stato di equilibrio iniziale, presto
scompigliato dall’ingresso di un elemento turbativo [...]; parabola ascen-
dente della tensione o del conflitto al suo apice; risoluzione del problema
e ritorno alla situazione di equilibrio iniziale» [Buonanno 2002, 174-175].
Il suo andamento è dunque circolare, il punto di arrivo tende a ricon-
giungersi idealmente al punto di partenza, così la sit-com sembra essere la
forma seriale per eccellenza poiché, come nota Buonanno [2002, 175]: «in
nessun altro caso ci troviamo di fronte, ogni volta, alla traduzione quasi let-
terale dell’essenza della serialità, vale a dire il ritorno del già noto, il ritor-
no al già noto». Nelle sit-com è vero infatti che le situazioni si ripetono
secondo uno schema ciclico consueto (stato di calma iniziale – elemento
di disturbo che porta scompiglio – ristabilimento della calma iniziale), ma
è vero altresì che i personaggi evolvono, crescono, cambiano posizione.
Sempre riferendoci a Friends, ad esempio, i suoi protagonisti, nonostante
un’apparente inamovibilità, si sposano, fanno figli, si lasciano, cambiano
lavoro. Lo spettatore sa, in tal modo, di poter ritrovare ogni settimana un
contesto familiare, ma sa anche che i suoi beniamini crescono con lui, in
una situazione che forse è ancora più evidente nelle serie giovanilistiche,
dove i personaggi passano attraverso un percorso evolutivo, fisico e psi-
cologico, che però non impedisce alla serie di mantenere certe caratteri-
stiche inalterate o di ripetere all’infinito determinate dinamiche e situa-
zioni. Anche dove c’è ciclicità e consuetudine si verifica comunque un
progredire della narrazione. Va inoltre sottolineato come si sia consolida-
ta, nella costruzione del palinsesto dei network americani – e per traslato
sempre più anche nella costruzione dei palinsesti nostrani – la tendenza e
la necessità di avere serie e sit-com come prodotti di punta nella organiz-
zazione degli spazi del prime time televisivo [Rose 2003].
A caratterizzare le serie di stampo più tradizionale sono invece lo schema
fisso e la presenza di un carattere fisso [Eco 1984]. Questa modalità pre-
vede una situazione che si ripropone a ogni episodio grazie alla ricorren-
za di caratteri «intorno ai quali ruotano dei personaggi secondari che
mutano, proprio per dare l’impressione che la storia seguente sia diversa
dalla storia precedente» [Eco 1984, 24]. Questa struttura è di norma adot-
tata dalle serie poliziesche degli anni Settanta e Ottanta e fino agli inizi
degli anni Novanta: pensiamo ad esempio a Colombo (Columbo 1968-
1991), ma anche a Starsky and Hutch (1975-1979) e La signora in gial-
12 Profilo critico

lo (Murder, She Wrote 1984-1996). La serialità televisiva fa necessaria-


mente ricorso ai caratteri fissi, tranne in rari casi, quali ad esempio le serie
antologiche, in cui si ripropongono solo situazioni simili per atmosfera.
Normalmente, qualsiasi tipo di serialità televisiva – serie, serial o sit-com –
si definisce tale proprio in virtù di questa forma di ripetizione che non
consiste solo nel ripresentare situazioni analoghe, ma nel farlo anche attra-
verso l’uso di un cast di personaggi ricorrenti.
In questa struttura piuttosto rigida è però possibile che si inseriscano
varianti e variazioni, come flashback ed episodi costruiti sull’idea del
“what... if...”, cioè del “cosa sarebbe successo se...”. Spesso il flashback
entra nella sit-com con intenti ironici e canzonatori, come nel caso di
Friends, in cui la magrissima Monica e la bella Rachel vengono più volte
mostrate da ragazzine, una grassa e l’altra con un naso deturpante. Proprio
da queste caratteristiche si innescano meccanismi comici e battute a ripe-
tizione. In altri casi il flashback si confonde con altre modalità, peculiari
del genere di prodotto che abbiamo davanti, e cioè con l’apertura a mondi
possibili e a linee narrative ancora mai considerate che in qualche modo
rimettono in prospettiva tutto il materiale narrativo fino a quel momento
sottoposto all’attenzione del pubblico, ma senza che questo alteri la fisio-
nomia dei personaggi ricorrenti.
È impossibile, in questo caso, non fare riferimento a Star Trek serie classi-
ca che è stata prodotta tra il 1966 e il 1969. Si tratta di una serie di culto
su cui molto è stato scritto [La Polla 1995 e 1998; Hertenstein 1998; Gib-
berman 1991] e da cui sono nate diverse serie-sequel (Star Trek - The Next
Generation 1987-1994; Star Trek - Deep Space Nine 1993-1999; Star Trek
- Voyager 1995-2001; Star Trek: Enterprise 2001-2005). In alcuni episodi
della serie classica e di Deep Space Nine, i protagonisti si ritrovano in un
distopico universo parallelo, il cosiddetto universo dello specchio, in cui
incontrano i propri alter ego malvagi e non esiste la Federazione dei Pia-

Prime Time
La giornata televisiva viene convenzionalmente divisa in fasce orarie
dedicate a conquistare precise tipologie di pubblico con l’obiettivo di
massimizzare gli ascolti. Il “Prime Time” è la fascia serale, che
corrisponde al momento in cui il maggior numero di spettatori è
sintonizzato sui canali televisivi [Gitlin 1983]. Negli USA corrisponde
convenzionalmente alla fascia 20.00-23.00 o 19-00-22.00, a seconda
delle zone geografiche, mentre in Italia, tradizionalmente, la fascia
oraria di prima serata corrisponde al periodo 21.00-23.30, momento
in cui le reti generaliste propongono una programmazione il più
possibile adatta ad un pubblico familiare ed allargato. Nel caso degli
USA i programmi sono tendenzialmente strutturati per coprire blocchi
di 60 minuti, mentre in Italia molti programmi hanno una durata
Fasce di palinsesto media di 90 minuti al netto degli spazi pubblicitari.
La serialità: cenni storici 13

neti Uniti (istituzione fittizia dell’universo fantascientifico di Star Trek,


che raccoglie sotto un unico governo l’umanità e molti altri popoli che
hanno proceduto ad una unificazione planetaria dei loro governi).
Questo tipo di meccanismo – grazie a una flessibilità narrativa straordina-
ria, dovuta in larga misura alla sua base fantasy che concede ampie possi-
bilità di sperimentazione – è sfruttato in tempi più recenti anche da Buffy
(Buffy the Vampire Slayer 1997-2003), in cui è più volte innescato con
risultati interessanti. Nell’episodio Di nuovo normale (Normal Again, sta-
gione 6, episodio 17), ad esempio, si incorpora in maniera interessante una
sorta di “vacanza” all’interno di una linea narrativa che mantiene i perso-
naggi e il contesto della serie, inscrivendosi in un più vasto insieme di
puntate che permettono di allargare gli orizzonti della storia per entrare
nel regime del “what... if...”. Qui, la protagonista viene ferita da un demo-
ne che le inocula un veleno attraverso il suo pungiglione: da quel momen-
to la ragazza comincia ad avere strane visioni su una realtà altra, in cui
Sunnydale, la città in cui vive, non esiste, ma è solo una proiezione della
sua mente malata e lei stessa si trova in realtà rinchiusa in un manicomio,
dove ha trascorso gli ultimi sei anni circondata da amici immaginari, abi-
tando un mondo inesistente popolato da demoni e vampiri.Alla fine Buffy
sceglierà di restare nel mondo di Sunnydale, riportando lo spettatore al
suo universo finzionale di riferimento [Innocenti 2007b].
Altri esempi di serie che sfruttano questo espediente sono In viaggio nel
tempo (Quantum Leap 1989-1993) e il più recente I viaggiatori (Sliders
1995-2000). Abbastanza classica la premessa nel primo caso: un esperi-
mento con una macchina del tempo proietta il protagonista indietro di
trent’anni, rendendolo impossibilitato a tornare nel presente. Così, per non
svelare la sua identità di uomo del futuro il protagonista può, in ogni epi-
sodio, assumere una diversa identità, sperimentando diverse possibilità,
assumendo le più varie incarnazioni. Senza marchingegni tipici della fanta-
scienza, se non quello che inizialmente catapulta il protagonista nel passa-
to, la serie è in grado di impiantare un meccanismo del tipo descritto in
precedenza, facendo del what... if...” l’espediente narrativo portante. Nel
secondo caso siamo invece davanti alle vicende di quattro personaggi che
hanno la peculiarità di poter saltare indietro nel tempo, in dimensioni
parallele rispetto a quanto scritto dalla Storia. Il telespettatore è dunque
condotto a scoprire cosa sarebbe successo se gli Stati Uniti avessero perso
la Guerra d’Indipendenza o come ci si potrebbe difendere da un asteroide
senza possedere armi nucleari [Damerini e Margaria 2004]. Nel 1996 la
Acclaim Comics si accordò con la Universal per produrre la versione a
fumetti di questa serie televisiva. L’intenzione degli autori era sfruttare pro-
prio le infinite possibilità offerte dalla trama, ma che non potevano essere
riprodotte a causa della ristrettezza del budget televisivo. Non è dunque un
caso che l’espediente del “what... if...”, di chiara derivazione fumettistica,
venga ben accolto dai prodotti televisivi seriali e funga da fulcro intorno al
quale creare innumerevoli variazioni sul medesimo canovaccio.
14 Profilo critico

La tipologia di prodotti seriali qui esposta, l’articolazione delle strutture


narrative che abbiamo individuato – anche grazie al riferimento ai nume-
rosi casi che compongono l’articolato panorama della serialità televisiva –,
il ricorso a espedienti che permettono l’allargamento agli imaginary
tales [Eco 1964], ci conducono ad esprimere ulteriori considerazioni, che
affronteremo nel paragrafo dedicato alla serializzazione della serie. Quello
che ci preme qui rimarcare è però il fatto che tali formule non si costitui-
scono in una rigida griglia all’interno della quale poco spazio è lasciato
alla sperimentazione e all’innovazione.Al contrario, si tratta di una classi-
ficazione utile allo studio dei prodotti seriali, dal momento che fornisce
una prima, chiara articolazione delle modalità di organizzazione della nar-
razione, ma che non esaurisce la complessità delle occorrenze in cui il
prodotto seriale televisivo si manifesta [Creeber 2004]. Le formule narra-
tive non sono schemi rigidi e intoccabili, esse si fondono, si sovrappongo-
no, danno vita a uno scenario produttivo complesso, all’interno del quale
si fanno avanti tipologie di prodotti più difficilmente classificabili, ma di
grande interesse, a cui dedicheremo attenzione nelle prossime pagine.

1.2 Genere e format


Sostanzialmente, la serialità è già di per sé un “genere” televisivo, se non
addirittura il genere televisivo per eccellenza, poiché essa costituisce il trat-
to distintivo della maggior parte dei programmi televisivi che si caratteriz-
zano proprio per la loro frammentazione in puntate ed episodi, indipen-
dentemente dal fatto che siano prodotti di fiction o talk show o varietà.
Ma prima di procedere, è bene fare un po’ di chiarezza rispetto ad alcuni
termini che comunemente vengono usati quando si parla di prodotti tele-
visivi. Al concetto di genere vengono infatti ad aggiungersi le nozioni di
format e di formato che necessitano di essere definite.
Il format è:

Uno schema di programma (dall’idea di base ai meccanismi di svolgimento


fino ai moduli produttivi e agli elementi scenografici) che viene commer-
cializzato sui mercati internazionali, corredato da tutta una serie di informa-
zioni riguardanti la possibile collocazione in palinsesto, le strategie promo-
zionali ecc. [Grignaffini 2004, 45].

Il termine format è importante poiché è ampiamente utilizzato tra i pro-


duttori e i consumatori per identificare il tipo di prodotto con il quale
hanno a che fare. I format possono essere prodotti originali, soggetti a
copyright, esportati dietro una licenza e venduti esattamente come un
qualsiasi altro prodotto commerciale o culturale, mentre il genere non
possiede queste caratteristiche, né è possibile infilarlo all’interno di con-
fini rigidi.
A definire un programma televisivo in termini di formato, invece, saranno
elementi quali la durata o il numero degli episodi in cui il programma si
articola, mentre, come nota Grignaffini [2004, 45], «il genere si riferisce
La serialità: cenni storici 15

principalmente alle caratteristiche comunicative di un programma (il


modo in cui produce significati condivisi socialmente)».
In questo senso, la fiction di stampo seriale costituisce appunto il macro-
genere del racconto audiovisivo, che può essere poi suddiviso in sottoca-
tegorie, in relazione al formato e quindi al tipo di serialità che articola e in
base al genere narrativo. La classificazione dei testi all’interno di catego-
rizzazioni che riescano di facile uso e applicazione agli spettatori è una
delle spinte che muove alla costituzione di definizioni di genere, poiché il
genere viene a determinare uno degli aspetti fondamentali del modo in
cui i testi (letterari, audiovisivi) sono selezionati, distribuiti e interpretati.
Immaginiamo di star guardando un film: improvvisamente uno dei perso-
naggi inizia a ballare e cantare. Lo spettatore sarà a questo punto piutto-
sto certo di trovarsi davanti a un musical. Altri elementi contribuiscono al
riconoscimento del genere da parte dello spettatore, elementi che sono
spesso determinati dal tipo di promozione che viene fatta intorno a uno
specifico prodotto: le recensioni, il materiale informativo, la presenza di
un certo attore.
Rick Altman [2004] ha indagato i generi cinematografici tenendo in con-
siderazione gli elementi pertinenti alle strategie pragmatiche e produttive
così come a quelle testuali nella sua definizione del genere. Un elemento
importante, nell’analisi di Altman, risulta essere allora l’idea che i generi
non siano categorie inerti, ma funzioni attivate da tutti coloro che le usano
nelle situazioni concrete.
Per quanto riguarda i generi specificamente televisivi, Glenn Creeber
[Creeber 2001] ne fornisce un’interessante sistematizzazione. Gli studi sul
genere televisivo sono stati sempre condizionati, secondo Creeber, dal
concetto stesso di genere e dal modo in cui tale concetto è stato applica-
to agli studi sulla televisione, dal momento che la televisione ha adottato
da sempre format e forme provenienti da altri media. Come si definisce
allora un genere in televisione? Ciò che conta è prima di tutto un reper-
torio di elementi: ambientazione, iconografia, narrazione, stile.Tutti fattori
che, però, possono essere portati all’attenzione anche di quelle altre forme
a cui la televisione, più o meno indirettamente, si ispira. Sarà allora utile
distinguere tra l’etichetta di genere per come la intendono e la applicano
gli spettatori, gli studiosi e i produttori televisivi. Nei diversi casi, infatti, il
concetto di genere assumerà specifiche caratteristiche e sfumature, dando
vita a utilizzi diversi della nozione in esame.
Per gli spettatori, il genere funziona infatti come un informante: li guida
relativamente al testo che si apprestano a consumare.Attraverso la pubbli-
cità che viene fatta dal canale televisivo, nelle recensioni delle guide tv,
nelle esperienze intertestuali e intermediali, il concetto di genere aiuta ad
inquadrare le aspettative dell’audience. Per il telespettatore (un’accurata
disamina del termine telespettatore e delle sue accezioni si trova in Di
Chio, Parenti 2003), il genere gioca un ruolo di grande rilievo nel determi-
nare il modo in cui i testi televisivi sono classificati, scelti e interpretati.
16 Profilo critico

L’utilizzo di una categorizzazione di genere è inoltre un modo per restrin-


gere l’ampiezza dell’oggetto in analisi (la televisione) attraverso la sua ridu-
zione a unità discrete e più facilmente comprensibili. Infatti, gli studi sulla
televisione si sono spesso distinti per l’analisi di una forma specifica – la
soap opera piuttosto che la fiction – poiché fin dal principio ci si è resi
conto della necessità, per studiare la televisione in quanto forma culturale,
di comprendere caratteristiche, convenzioni e specificità dei generi.
Per i produttori, invece, il genere è necessario per definire un progetto pro-
duttivo in relazione agli altri testi, tenendo presente che oltre alla televi-
sione generalista, nel cui palinsesto-tipo possiamo trovare una varietà di
generi, con l’arrivo delle televisioni tematiche si verifica una condizione
per cui interi canali sono rinominati alla luce del genere a cui appartengo-
no le loro programmazioni (ad esempio History Channel, National Geo-
graphic Channel, Cartoon Network, Disney Channel etc.). Lo sviluppo della
pay-tv, infatti, si è strutturato anche intorno a mercati di nicchia che rispec-
chiano le preferenze di genere del pubblico: video musicali, sport, docu-
mentari naturalistici, lifestyle programs (tipologia di programmi volti a
dare al pubblico consigli sullo stile di vita, spesso declinati nella tipologia
dei lifestyle show, come Estreme Makeover, in cui una televisione “gene-
rosa” offre a persone svantaggiate la possibilità di accedere a make over,
cioè rifacimenti, della loro persona, del loro look, della loro abitazione).
Caratteristica intrinseca dei generi e dei format televisivi è poi il loro
sostanziale ibridismo: il dialogo tra generi diventa particolarmente impor-
tante ed è praticato profusamente dalla televisione [Newcomb 1984, 41]. I
prodotti televisivi sembrano essere molto più riluttanti di quelli cinemato-
grafici a subire una classificazione in generi. Questa riluttanza si scontra
con la realtà dei fatti e quindi con tutte quelle etichette di comodo che
vengono applicate ai prodotti televisivi da parte, ad esempio, delle guide ai
programmi televisivi, che presumono una sorta di facilità di classificazione
dei prodotti, come se questi fossero facilmente identificabili ed etichetta-
bili all’interno di categorie prestabilite. John Hartley [1983] ha parlato di
una “dirtiness”, cioè di una “sporcizia” della televisione, che colpirebbe sia
la classificazione in testi/generi/format, sia il flusso televisivo medesimo.
L’idea di televisione di flusso è da attribuire agli studi di Raymond Wil-
liams, che parlava di flusso (o sequenza) definendolo «l’elemento caratte-
ristico del broadcasting, sia come tecnologia sia come forma culturale»
[Williams 2000, 106] e pensava alla televisione come a un oggetto che
presenta se stesso già in termini di “programma”, di sequenza di unità tem-
poralmente strutturate e marcate da chiari intervalli, al cui interno vengo-
no poi incorporati spot pubblicitari e trailer di prodotti, dando vita a un
flusso di unità differenti, ma tra loro collegate. Per Williams, l’offerta tele-
visiva si può identificare in un “flusso pianificato”: il messaggio televisivo
è continuo, ma allo stesso tempo è spezzato in unità discrete, i program-
mi, a loro volta suddivisi in blocchi e strutturati per catturare l’interesse
del pubblico [Grasso e Scaglioni 2003].
La serialità: cenni storici 17

Genere è un concetto meno maneggevole e meno nitido di format. Se è


semplice identificare un episodio di una serie come tale è più difficile
individuare a quale genere la serie, nonché l’episodio stesso, appartenga.
Prendendo ad esempio una serie come Scrubs - Medici ai primi ferri
(Scrubs 2001. Mentre scriviamo pare che la serie si concluderà con la set-
tima e ultima stagione tra il 2007 e il 2008), può apparire piuttosto com-
plesso etichettarne un episodio in qualità di commedia, sit-com, sit-com
per adulti o ancora come una sorta di sottogenere che ambienta le sue sto-
rie nel luogo di lavoro e tra i colleghi come sostituti della comunità fami-
liare [Zynda 1983, 256].
Studiare il genere in ambito televisivo vuole quindi dire porsi nella condi-
zione di considerare una serie di fattori e dinamiche che determinano una
costante sovrapposizione e un combinarsi di caratteristiche all’interno dei
singoli testi, cosicché approcciarsi alla idea di genere significhi, da un lato,
lavorare su categorie già etichettate e, dall’altro, tracciare i contorni di
categorie nuove, che si definiscono su una linea intertestuale e interme-
diale. Qualunque siano, comunque, le convenzioni di cui il genere si nutre
e intorno alle quali si struttura, certamente esse non sono statiche e immu-
tabili, ma la loro evoluzione e la loro trasformazione è costante. La mute-
volezza, l’instabilità, la vocazione alla contaminazione sono imprescindibi-
li nella lettura del testo televisivo in termini di genere, poiché questo ci
conduce spesso al di fuori dei confini del mezzo [Waller 1997].
Ancora, la malleabilità dei generi è allora una delle caratteristiche princi-
pali del prodotto televisivo. Nel lavoro curato da Glenn Creeber [2001], gli
autori dedicano accurate riflessioni ai generi televisivi operando una cate-
gorizzazione a partire da alcuni macro-generi, poi articolati in occorrenze
specifiche. Tra i macro-generi individuati, troviamo allora drama, soap
opera, e comedy, a loro volta passibili di sotto-articolazioni che, in una
certa misura, non fanno che riprendere quelli che sono, a livello cinema-
tografico, generi consolidati. Le serie televisive, in particolare, possono
essere poliziesche, o di fantascienza, o western, riprendendo alcuni degli
stilemi e degli archetipi che hanno contribuito a determinare certe eti-
chette di genere utilizzate per il cinema. Frequentemente esse sono anche
riferite al target designato dal prodotto, come ad esempio le serie per tee-
nager, dette Teen Series o Teen Drama, quali Buffy, ma anche Smallville
(dal 2001) e Dawson’s Creek (1998-2003). In particolare, come nota Fran-
co La Polla [2007, 89], Buffy è «il risultato di una operazione da laborato-
rio, di una chimica sperimentale che mette audacemente insieme elemen-
ti apparentemente incompatibili: il tema generazionale tipico del campus
movie, quello orrifico e fantastico legato al vampirismo, sì, ma anche alla
demonologia, e l’azione di combattimento individuale nei termini tipici
del film orientale d’arti marziali nella sua versione occidentalizzata».
L’audience composta dai giovani e giovanissimi ha rappresentato, fin dagli
anni Cinquanta, un target di grande importanza per l’industria televisiva,
dando forma ad un settore, sempre in crescita, della programmazione tele-
18 Profilo critico

visiva. In questo ambito, sono innumerevoli i prodotti che di volta in volta


venivano declinati secondo le regole della sit-com, della soap o della serie
da prime time. Le sit-com risultano spesso centrate sui rapporti tra gli ado-
lescenti e la famiglia e tra gli adolescenti e l’istituzione scolastica, mentre
le soap opera hanno dedicato sempre più attenzione ai problemi dell’a-
dolescenza, infarcendo le loro trame di gravidanze indesiderate, uso di dro-
ghe e altre problematiche tipiche dell’adolescenza televisiva. Gli anni
Novanta vedono un ritorno prepotente del Teen Drama, con produzioni
televisive chiave per il decennio, quali Beverly Hills, 90210 (1990-2000),
Cinque in famiglia (Party of Five 1994-2000), Buffy, Dawson’s Creek e
Roswell (1999-2002). Una larga fetta di queste produzioni, benché spesso
costrette nello sviluppo delle loro storie da una durata massima di 45 o 60
minuti, rientra nella categoria della serialità di lunga durata, soprattutto se
inquadrata nell’enfasi posta sulla ripetizione degli elementi narrativi e sul
rinvio costante della risoluzione di un problema, tecnica che avvicina il
prodotto serie sempre maggiormente al serial.
La drammaticità e l’emotività tipiche delle trame dei Teen Drama vengo-
no accentuate dall’uso di primi piani e dal ricorso a colonne sonore che
incorporano di frequente successi pop ben noti ai teenager [Moseley
2001]. Questa natura melodrammatica del genere sembra evidenziarsi su
due fronti: da un lato, concependo una struttura narrativa che lavora sem-
pre più sulla sospensione della narrazione e sull’allungamento della dura-
ta del racconto; dall’altro, incorporando all’interno della narrazione una
serie di argomenti che, benché da teenager (amicizia, amore, sesso, riti di
passaggio), avvicinano la serie giovanilistica alla qualità tipica del prodot-
to seriale americano da prime time.

1.3 La serializzazione della serie


Possiamo ora ripartire dalle considerazioni che John Ellis [1988] fa a pro-
posito delle differenze tra serie e serial. Queste differenze sono infatti fon-
damentali, in particolare in relazione all’idea che la serie proceda per epi-
sodi autoconclusivi in opposizione al serial che procede invece per una
narrazione continua e continuamente interrotta. Proprio da questa classi-
ficazione è necessario far ripartire una serie di osservazioni sul genere e
sul fenomeno che porta a una sempre maggiore ibridazione: in moltissimi
prodotti televisivi che potremmo targare come serie, infatti, sono conte-
nuti oggi elementi seriali a profusione, facendoci pertanto parlare di serie
serializzata.
Una caratteristica importante di molta serialità televisiva americana con-
temporanea è da riscontrarsi nella disposizione del prodotto a “serializ-
zarsi”, a tendere cioè sempre più verso la struttura della soap opera. Per
capire questa evoluzione si rende necessaria una precisazione. La serie,
come il serial, possiede un’articolazione segmentata della narrativa, ma si
distingue dal serial per un diverso principio di organizzazione testuale:
dove il serial sospende sistematicamente il racconto, la serie lo chiude,
La serialità: cenni storici 19

così che ogni nuovo episodio non sia la continuazione o la ripresa di quel-
lo precedente, ma l’inizio di una nuova storia.
Il mutamento, l’ibridazione, sono allora parte di un processo continuo, che
si nutre anche – a differenza di quanto accade per il cinema – della rispo-
sta immediata dei fruitori del testo televisivo, che tramite indici di ascolto
e commenti indirizzati al network che trasmette un determinato prodot-
to, risultano coinvolti in maniera intensa, contribuendo largamente alla
definizione e alla ri-definizione dei prodotti televisivi, facendo sì che i
generi e i format televisivi evolvano e mutino a partire dalle premesse
intorno alle quali si sono costruiti [Gertner 2005].
È in questo panorama, quindi, che assistiamo al fenomeno della “serializ-
zazione” delle serie. Benché la forma classica della serie a episodi autosuf-
ficienti non sia scomparsa – si pensi ad esempio a prodotti come Cold
Case (dal 2003) e Law&Order – I due volti della giustizia (Law&Order
dal 1990) – le formule narrative passano attraverso un processo di muta-
zione e di ibridazione, e molte serie “si serializzano”, avvicinando la loro
struttura sempre più a quella del serial, di un racconto, cioè, articolato in
un numero variabile di puntate, interdipendenti tra loro e quindi in gene-
re costituite da segmenti narrativi incompiuti e non autosufficienti, fram-
menti di una trama costantemente interrotta.
In questa tipologia, i singoli segmenti mantengono un alto grado di auto-
nomia, c’è dunque sempre una storia centrale che si conclude nell’episo-
dio (detta anthology plot), ma c’è anche una cornice che si prolunga per
più episodi (il cosiddetto running plot).Viene così aggiunto un elemento
di progressione temporale e di parziale apertura narrativa, assente dalla
formula tradizionale.
Ad un primo sguardo, molti prodotti recenti provenienti dagli Stati Uniti
sembrano funzionare come serie, essendo in possesso di molte delle mar-
che tipiche di questa formula, quali ad esempio tematiche ricorrenti
messe in scena da un cast ricorsivo in episodi dalla narrazione autocon-
clusiva. Ma Buffy, Six Feet Under (2001-2005) o Nip/Tuck (2003- ), oltre a
possedere le caratteristiche appena elencate, resistono al rischio di atro-
fizzazione della narrazione creando un mondo diegetico dove le variazio-
ni a tutti i livelli – dei personaggi, degli scenari, delle tecniche narrative –
sono incoraggiate e celebrate dai fan. Lo stile ibrido di Buffy, ad esempio,
fa sì che anche comportandosi come una serie, Buffy incorpori strumen-
ti drammaturgici comunemente associati alla soap opera [Da Ros 2004].A
partire dagli anni Novanta, allora, si è verificata una sempre maggiore ten-
denza verso una fusione tra la soap e le forme tipiche delle fiction prime
time a bassa serialità. In questi prodotti, «le tematiche del privato e dei sen-
timenti hanno guadagnato parecchio terreno: per rendere sempre più cre-
dibili i personaggi è necessario costruire il loro passato e prevedere uno
sviluppo futuro, ed è importante avvicinarli quanto più possibile alla sen-
sibilità e all’esperienza del pubblico» [Cardini 2004, 68-69].
Nonostante sia suddivisa in episodi circoscritti e auto-conclusivi, in Buffy,
20 Profilo critico

come in altre serie contemporanee, esiste un chiaro arco narrativo in ogni


stagione, verso il quale ogni episodio tende, e che costituisce più volte il
punto di svolta di ognuna delle stagioni. Come sappiamo, la narrazione
dilatata e continuata è cruciale per le soap, e gli eccessi che caratterizza-
no il personaggio di Buffy avvicinano sicuramente il prodotto alla soap.
Buffy muore e risorge, scambia il suo corpo con quello di una Slayer mal-
vagia, si innamora dei vampiri che è chiamata a combattere. Queste linee
narrative si dilatano lungo l’arco delle sette stagioni, facendo sì che il tele-
spettatore sia messo nella posizione di familiarizzare con queste storie e
permettendo pertanto anche ai nuovi spettatori di non perdersi nel per-
corso evolutivo della serie grazie alla ripetitività e alla lentezza con cui
certi obiettivi vengono raggiunti.
Non infrequenti, durante le numerose stagioni in cui mediamente si arti-
cola una serie televisiva, sono, ad esempio, gli episodi doppi, che assieme
a quelli caratterizzati da una struttura anomala che favorisce lo sviluppo
di un racconto “altro” rispetto a quello principale, permettono una
sospensione della narrazione primaria per lasciare spazio ad alternative
narrative.
Gli episodi doppi sembrano allora assolvere proprio alla funzione di “seria-
lizzare” la serie. L’episodio doppio fa infatti sì che la linea narrativa svilup-
pata all’interno di un singolo episodio non sia autoconclusiva. Il materiale
narrativo che dovrebbe appartenere all’ambito dell’anthology plot, e per-
tanto esaurirsi nel corso del singolo episodio, viene trasformato in un run-
ning plot, in un materiale che viene quindi riproposto e dilatato per alme-
no due episodi, portando la serie a svolgersi in una dimensione che non
le è costituzionalmente propria, cioè quella del serial. L’interdipendenza
delle puntate, le concatenazioni causali tra gli eventi messi in scena, non-
ché il progresso cronologico della vicenda, sono spesso scavalcate attra-
verso la ripetitività della narrazione e, conseguentemente, attraverso le
scelte stilistiche effettuate, dalla struttura delle inquadrature allo stile del
montaggio, che mettono anche lo spettatore occasionale nella condizione
di comprendere comunque le linee principali della storia.
In molti casi, pertanto, le serie partono con una struttura narrativa ad epi-
sodi autoconclusivi, per poi intraprendere la strada della serializzazione
dopo qualche stagione.Tale passaggio si rende necessario nel momento in
cui il prodotto deve garantire al suo fruitore il giusto equilibrio tra il “ritor-
no del già noto” e la novità, tra l’approfondimento del carattere dei perso-
naggi e la creazione di storylines sempre più appassionanti e coinvolgen-
ti. D’altronde, è vero che questo tipo di prodotto televisivo punta, più di
molti altri, alla creazione di un patto di fedeltà con il suo fruitore, alla
costruzione di uno spettatore fedele e appassionato che non si perde un
episodio/puntata. Ma è vero altresì che la forma seriale, e in particolare
quella del serial – proprio per le sue caratteristiche di serialità “lunga” – è
in grado di garantire un inserimento dello spettatore all’interno della
vicenda anche in medias res.
La serialità: cenni storici 21

Certo, negli ultimi anni la complessità narrativa di alcune serie televisive


rende forse la procedura più difficile: se prendiamo ad esempio Alias
(2001-2006) ci rendiamo conto che l’ipertrofia di azioni e avvenimenti, i
continui e repentini colpi di scena possono rendere difficile l’avvicina-
mento a questo prodotto. Ma il testo è comunque sempre dotato di mar-
che che guidano lo spettatore verso la sua comprensione, in continuità
con quanto notava Casetti [1984c, 28] e cioè la presenza di numerosi
«nodi testuali chiamati ad attivare la capacità di inquadrare ed incaricati di
condurre all’individuazione del genere».
In questo senso, anche una serie il cui universo narrativo si caratterizza per
una sorta di impenetrabilità quale appare essere Alias, mostra di possedere
alcune chiavi che permettono allo spettatore neofita di entrare a far parte
del meccanismo e di comprenderlo. Ci riferiamo, ad esempio, al lato spet-
tacolare, particolarmente estremizzato in una serie come Alias (non a caso,
il suo creatore J.J.Abrams è stato chiamato a dirigere il terzo capitolo della
serie cinematografica Mission: Impossible, dove il lato spettacolare ed effet-
tistico costituisce una delle colonne portanti del film), dove la logica nar-
rativa prescinde dalle concatenazioni causali e avviene, invece, per contat-
to. In Alias c’è, dunque, un continuo susseguirsi di missioni, di compiti da
svolgere,di accadimenti,di prove da superare.Vengono continuamente pro-
poste allo spettatore delle nuove situazioni, che un po’ si somigliano tra
loro, che sono in gran parte analoghe, che mantengono tra loro dei contat-
ti, delle analogie, dei fili sottili. Paradossalmente, è talmente intricata la nar-
razione, talmente paradossale che, di fatto, non c’è più narrazione nel senso
tradizionale. Dunque lo spettatore riesce comunque a trovare la via per
dipanare la matassa di eventi e situazioni conseguenti, poiché certe logiche
narrative paradossali – e da questo punto di vista Alias è l’esempio perfet-
to – ci offrono comunque degli appigli, dei ganci su cui articolare la nostra
comprensione che, nel caso di Alias si identificano anche con la centralità
e la forza del personaggio della protagonista, Sydney Bristow.
Per usare nuovamente Buffy in qualità di caso emblematico di questo
meccanismo, vediamo come in questo prodotto le due anime della seria-
lità televisiva si fondano. Il personaggio protagonista [Maio 2005] viene
ciclicamente inserito dal suo creatore in situazioni che si ripetono: la lotta
contro nemici soprannaturali, la presa di coscienza della propria forza e
della missione che la ragazza è chiamata a compiere, ma anche i problemi
sentimentali e le relazioni affettive. Così, nonostante il tempo del raccon-
to scorra in modo evidente – i personaggi crescono, si diplomano, vanno
al college – si mantiene una forma di ripetitività e di ciclicità che è con-
naturata alla forma stessa della fiction televisiva e che è imprescindibile
per il funzionamento dell’intero marchingegno narrativo. I prodotti seria-
li così costituiti riescono dunque a soddisfare tutti i possibili tipi di frui-
zione, da quella occasionale e discontinua a quella cultuale di chi non si
perde neppure un episodio.
Le serie televisive si serializzano costruendo dunque prodotti a incastro,
22 Profilo critico

in cui i singoli segmenti conservano un certo grado di autonomia, ma


lasciando spazio anche a una cornice che si prolunga per più episodi. Que-
sto fenomeno è ben evidente in Angel (1999-2004, serie spin-off di Buffy,
con la quale intreccia numerosi episodi crossover, questi modelli sono
analizzati nel paragrafo seguente), facendo addirittura sì che la terza e la
quarta stagione della serie risultino assolutamente inscindibili e concate-
nate. Terza e quarta stagione, infatti, costituiscono un unico, lunghissimo
arco narrativo e «l’azione si spezza alla fine della terza stagione in un fina-
le aperto (to be continued...) per riprendere poi nella prima puntata della
quarta» [Gomarasca 2004, 50]. Questa operazione crea un effetto sorpren-
dente, facendo diventare gli episodi di due intere stagioni le tessere di un
unico grande mosaico, un unico grande (e ambizioso) film, che rende la
serie sempre più impenetrabile al neofita. Se da un lato, quindi, si calca la
mano sull’effetto soap opera, dall’altro si prendono le distanze dal format,
scardinandolo e stravolgendolo: «nella soap-opera, infatti, pur cambiando
sempre tutto, la narrazione si dilata a tal punto che le cose sembrano resta-
re sempre le stesse [...], mentre in Angel gli eventi precipitano a una velo-
cità tale che si rischia di perdere il filo dell’azione» [Gomarasca 2004, 50].

1.4 Crossover e spin-off


Nella sua accezione più comune, lo spin-off è un prodotto che nasce intor-
no al successo di un personaggio secondario di uno show televisivo, al
quale viene affidato il ruolo di protagonista in un nuovo programma. Que-
sta pratica risulta essere particolarmente frequente nella produzione tele-
visiva seriale statunitense già a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta,
periodo in cui diventa piuttosto comune la procedura di “ritagliare” una
serie “su misura” addosso a un personaggio secondario di uno show affer-
mato. I casi significativi sono numerosi. Ci sono serie che hanno generato
un numero record di spin-off, alcuni dei quali di successo paragonabile a
quello della loro “matrice”, come il Mary Tyler Moore Show (1970-1977),
da cui sono nati Rhoda (1974-1978), Phyllis (1975-1977) e Lou Grant
(1977-1982).Anche Happy Days (1974-1984) ha dato vita ad almeno due
serie di discreto successo: Laverne & Shirley (1976-1983) e Mork &
Mindy (1978-1982), partorendo inoltre il meno apprezzato Jenny e Cha-
chi (Joanie Loves Cachi 1982-1983).
È spesso percepibile il differente dispiego di mezzi economici e produtti-
vi tra il prodotto “primo” e il prodotto “derivato”, assieme alla scarsa con-
vinzione degli sceneggiatori che spesso limitano i loro sforzi ad una mera
riproposta delle medesime situazioni e vicissitudini.A differenza di quan-
to è accaduto con prodotti come Lou Grant o Mork & Mindy, accade non
di rado che il prodotto nato da una costola del prodotto “maggiore” non
raggiunga il successo, né il cuore del pubblico, rimanendo confinato in
una programmazione secondaria o esaurendosi dopo una brevissima sta-
gione, come nel caso di Tabitha (1977-1978), spin-off inedito in Italia di
Vita da strega (Bewitched 1964-1972, a cui si ispira anche l’omonimo film
La serialità: cenni storici 23

diretto da Nora Ephron nel 2005) e incentrato sul personaggio della figlia
della protagonista, la strega Samantha, di cui lo show porta il nome.
Ma lo spin-off non è solo una fiction generata da un’altra fiction. La mol-
teplicità delle forme intertestuali fa sì che la casistica assuma contorni flui-
di, tanto che lo spin-off può anche risultare come il prodotto di una forma
di intertestualità che passa attraverso l’uso della star, protagonista di uno
show, che re-interpreta un personaggio già proposto, eventualmente adat-
tandolo alla nuova situazione narrativa [Innocenti 2003]. Questo accade,
ad esempio, nel rapporto tra I Love Lucy (1951-1957) e i successivi The
Lucy Show (1962-1968) e Here’s Lucy (1968-1974), in cui l’attrice Lucille
Ball, dopo aver interpretato il ruolo di una giovane sposina di professione
casalinga, interpreta il ruolo di una vedova che lavora come segretaria, sug-
gerendo una sorta di evoluzione (anche legata all’età della protagonista)
che passa però attraverso la riproposizione di situazioni e di personaggi
già visti (e già amati dal pubblico) in I Love Lucy. Non va dimenticato,
infatti, che una modalità tipica della struttura della serialità televisiva è la
presenza delle guest star. Questo tipo di pratica, assolutamente comune
nel contesto del prodotto seriale televisivo, conosce svariate forme, oltre
alla dimensione meramente ludica, derivata dal piacere di riconoscere una
star o, nello specifico, il personaggio da lei interpretato in un altro conte-
sto [Smith 2005]. Un esempio interessante viene da Friends, dove Lisa
Kudrow, che interpreta la buffa cantautrice Phoebe Buffay, appare talvolta
nei panni di Ursula, sua sorella gemella e personaggio già presente in
Innamorati pazzi (Mad About You 1992-1999).
Il termine crossover viene invece comunemente utilizzato per indicare
una situazione ormai piuttosto comune nel campo della serialità televisi-
va. Il crossover non amplia lo spazio fino a quel momento attribuito a uno
dei personaggi di una determinata serie come lo spin-off, ma amplia piut-
tosto lo spazio dell’intera serie, inserendola all’interno di un mondo allar-
gato che include anche personaggi appartenenti a un diverso universo nar-
rativo. Attraverso le dinamiche che il crossover instaura, si favorisce una
sorta di uscita dei personaggi dallo spazio claustrofobico e ristretto che
caratterizza lo svolgersi delle loro vicende, in particolare per quanto
riguarda episodi crossover inseriti all’interno del chiuso spazio riservato ai
protagonisti delle sit-com. Sebbene non si aggiungano grandi novità alla
struttura del mondo finzionale, che rimane comunque racchiuso in quel-
l’andirivieni tra la cucina e la sala da pranzo (per esempio ne I Robinson,
The Cosby Show, 1984-1992) e tra la casa e un luogo di ritrovo designato
(gli appartamenti dei ragazzi e il caffé Central Perk in Friends), sembra
ragionevole pensare che ci sia qualcosa oltre la porta. La sovrapposizione
offre quindi numerose occasioni di scambio tra i protagonisti delle diver-
se serie, spesso associando prodotti appartenenti a generi tra loro similari.
Questo tipo di relazione che si instaura tra prodotti diversi funziona piut-
tosto bene come forma di presentazione, una sorta di biglietto da visita,
una garanzia, che sembra voler suggerire al pubblico determinati orienta-
24 Profilo critico

menti di consumo. Il crossover, quindi, attiva un effetto traino tra il pro-


dotto già affermato e il prodotto esordiente, come è avvenuto tra Beverly
Hills, 90210 e Melrose Place (1992-1999), due prodotti con caratteristi-
che simili e rivolti ad un pubblico più o meno intercambiabile. L’incontro-
scontro tra i protagonisti delle diverse serie li pone quindi nella posizione
di funzionare come testimonial l’uno per l’altro, invitando i numerosi fan
a non rimanere eventualmente divisi in fazioni, ma ad allearsi nel godi-
mento di più prodotti che soddisfano le loro esigenze e che ripropongo-
no temi e scenari similari.
Nella tendenza più recente, poi, lo spin-off televisivo ha di fatto cambiato
forma: non si tratta più semplicemente di un prodotto incentrato su un
personaggio secondario di una serie di successo, quanto piuttosto di un
prodotto costruito intorno alla situazione narrativa dominante della serie
di successo (l’ospedale, la centrale di polizia, il tribunale, come luoghi pri-
vilegiati intorno al quale costruire variazioni sul tema). Prendiamo ad
esempio il caso di C.S.I. Miami (2002- ) e C.S.I. NY (dal 2004): entrambe le
serie vedono la loro genesi grazie a episodi crossover, nei quali i protago-
nisti dell’uno o dell’altro show si incontrano.Ad esempio, tra C.S.I. Scena
del crimine (C.S.I. – Crime Scene Investigation 2000- ) e C.S.I. Miami si
costruisce un legame che prevede che i protagonisti della prima serie si
rechino a Miami per contribuire alla risoluzione di un caso. Attraverso
questo passaggio di testimone si genera una forma di spin-off, che si carat-
terizza proprio per la ripresa delle situazioni narrative tipiche del model-
lo di riferimento, piuttosto che per la presenza di un personaggio prove-
niente dal prodotto di successo.
Lo scambio, la sovrapposizione, favoriscono allora il moltiplicarsi (e, con-
testualmente, il riproporsi) delle situazioni narrative. Ma questo non è suf-
ficiente. Per garantire la riuscita della ricetta è infatti necessario rafforzare
una certa dimensione cultuale in cui galleggiano i personaggi protagoni-
sti delle serie più amate dal pubblico, consolidando inoltre quella sensa-
zione di condivisione di un medesimo “passato narrativo”. Queste tipolo-
gie di scambio-contatto-sovrapposizione, che allargano il campo delle nar-
razioni seriali, sono ormai entrate a far parte dell’esperienza del telespet-
tatore, anche se materialmente non sempre è possibile percepire appieno
i rimandi e le sfumature su cui il meccanismo si innesta. Non si tratta qui,
infine, di formalizzare rigide tipologie quanto piuttosto, tralasciando per
un attimo la logica commerciale e le evidenti motivazioni economiche
che possono spingere i produttori a intraprendere questo tipo di strada,
di capire come le serie si incastrano, ma anche da dove nascano l’esigen-
za e il piacere di farle interferire.
Le regole che governano il meccanismo di intarsio per cui una serie (e
naturalmente i suoi protagonisti e le situazioni-tipo che la caratterizzano)
valica i suoi confini, entrando a far parte di un altro universo narrativo-fin-
zionale, sembrano scaturire da alcune caratteristiche tipiche delle forme
di narrazione seriali: la ripetizione di elementi o schemi; l’organizzazione
La serialità: cenni storici 25

dei testi in una successione; una certa indefinitezza che caratterizza l’in-
sieme, rendendo peraltro plausibile lo smisurato allargamento delle situa-
zioni narrate assieme alla possibilità di inglobare materiali narrativi (ovvia-
mente redditizi) sfruttati in altri contesti. Una caratteristica fondamentale
della fiction televisiva, e cioè il suo srotolarsi in tempi lunghi secondo un
andamento che prevede continue sovrapposizioni comunque alla luce
dell’esistenza di punti fissi, fa emergere quella logica tipica dell’appunta-
mento televisivo inteso come una sorta di ricorrenza da celebrare. Per il
telespettatore seguire gli sviluppi narrativi della propria serie preferita
significa partecipare a una sorta di celebrazione, che puntualmente ritor-
na nel palinsesto e che, recentemente, ha mutato i suoi confini, come
vedremo in seguito, esondando dai limiti del piccolo schermo per trasfor-
marsi in un’esperienza immersiva e che coinvolge diversi media.

1.5 Dialogismo intertestuale


Nel rapporto che intercorre tra prodotti seriali televisivi e altri ambiti
della comunicazione, in particolare il cinema, è evidente che il ruolo della
citazione stilistica sia predominante. Molti film hollywoodiani contempo-
ranei prendono a prestito l’universo narrativo di una serie televisiva di
qualche anno prima, riproponendolo, attualizzandolo e, in certi casi, sot-
toponendolo anche a una operazione di parodizzazione.
Il caso della parodia [Menarini 2004] può riguardare ad esempio Starsky
& Hutch (Todd Phillips 2004), che riprende la nota serie (prodotta tra il
1975 e il 1979), fungendo da prequel – il film racconta la storia del primo
caso risolto assieme dai due poliziotti – ma soprattutto esasperando alcu-
ni elementi, come ad esempio lo stile dell’abbigliamento e delle accon-
ciature «tra permanenti e abiti vintage [prende corpo] la nostalgica ope-
razione di modernariato [...] prendendosi bonariamente gioco della “disco
era” in cui anche i poliziotti sfoggiavano improbabili pettinature ed eccen-
triche mise» [De Luca 2004, 79]. Esaltando gli spunti comici e mescolan-
do «i tic della blaxpoitation a quelli del buddy movie» [De Luca 2004, 79]
si ottiene una miscela comica che della serie originale ha ben poco.Toni
più vicini a quelli dell’omaggio sono invece riscontrabili nella trasposizio-
ne cinematografica di Mission: Impossible (Brian De Palma, 1996 ispirato
dall’omonima serie prodotta tra il 1966 e il 1973), che secondo De Luca
[2004, 47] si dimostra capace di «interpretare in senso moderno gli aspet-
ti più tecnologici e cool del telefilm».
È evidente, allora, che queste modalità mettono in gioco, per dirla con Eco
[1984, 31], un’enciclopedia intertestuale: «abbiamo cioè testi che citano
altri testi e la conoscenza dei testi precedenti è presupposto necessario
per l’apprezzamento del testo in esame».
Nel caso di film ispirati a serie televisive, senza dubbio questo tipo di pro-
dotto fa leva sul piacere di “ritrovare” il già noto, che lega lo spettatore al
prodotto televisivo, dandogli pertanto la possibilità di continuare a “ritro-
vare” anche al cinema, o meglio, nella forma narrativa del film, personaggi
26 Profilo critico

e situazioni che ha imparato a conoscere attraverso le serie televisive. In


certi casi, il carattere di prequel enfatizza il meccanismo, regalando allo
spettatore un episodio che presuppone tutta la conoscenza di quanto
avverrà successivamente ai protagonisti. Accade con il già citato Starsky
& Hutch o con un prodotto anomalo, la serie “d’autore” I segreti di Twin
Peaks (Twin Peaks 1990) nata dalla immaginazione di David Lynch, che si
apre con il ritrovamento del cadavere della giovane Laura Palmer. Nel
1992, Lynch realizza Fuoco cammina con me (Twin Peaks – Fire Walk
with Me), prequel cinematografico alla serie, in cui si raccontano appun-
to le ultime settimane di vita di Laura Palmer.
A parte casi come quello di X-Files – Il film (The X-Files, Rob Bowman,
1998 basato sulla omonima serie prodotta dal 1993 al 2002) che viene rea-
lizzato in contemporanea con la serie, prodotti di questo genere sono
spesso frutto di un intervallo di tempo trascorso tra la messa in onda della
serie e l’uscita del film. Abitualmente, l’intervallo di tempo tra la serie e
l’uscita del film ad essa ispirato, costruisce un sistema di attese che si radi-
ca nell’apprezzamento che lo spettatore ha dimostrato nei confronti della
serie e gioca sul chiamare in causa la memoria spettatoriale, assieme all’af-
fezione nei confronti di un determinato universo narrativo che in questo
modo viene reso nuovamente disponibile, ma anche attualizzato, rinfre-
scato e aperto alle possibilità del “what... if...”.
A partire dalla serie Star Trek sono nati ben dieci film per il grande scher-
mo, realizzati tra il 1979 e il 2002, a distanza notevole, dunque, dalla con-
clusione della serie classica e in grado di rilanciarne il culto, rinverdendo
il successo del prodotto e sostanzialmente fungendo da traino per la pro-
duzione delle serie-sequel elencate sopra. I primi sei film della saga cine-
matografica presentano una omogeneità tra il cast della serie classica e
quello dei film, mentre nei film successivi ci si riallaccia alla contempora-
neità sostituendo l’equipaggio del Capitano Kirk, indiscusso beniamino
della serie classica, con quello della “Next Generation” comandato dal
capitano Picard. Le strategie soggiacenti a questi cambiamenti sono ben
analizzate nel saggio di Ina Rae Hark La trasposizione dei personaggi
televisivi in altri media, contenuto nella sezione di questo libro dedicata
ai testi. Si tratta infatti di una situazione peculiare, in cui è necessario unire
pubblici diversi nella fruizione e nel gradimento di uno stesso prodotto,
che con il film Generazioni (Star Trek: Generations 1994) rappresenta
l’anello di congiunzione tra i due differenti cast e li vede entrambi pre-
senti. Si tratta di un caso peculiare, quindi, perché nel passaggio interme-
diale tra la serie televisiva e il film evidentemente non sempre viene man-
tenuta una continuità nell’attribuzione dei ruoli. Anzi, il fatto che ci sia una
continuità, che l’attore che interpreta un certo personaggio nella serie sia
chiamato a interpretare il medesimo ruolo al cinema, sembra essere una
rarità piuttosto che una prassi.
X-Files – Il film è invece un’operazione di exploitation, di sfruttamento
immediato e tempestivo del successo di un prodotto televisivo tentando
La serialità: cenni storici 27

di replicarlo/prolungarlo attraverso un altro mezzo di comunicazione. Il


funzionamento del film, in questo caso, è molto più simile a quello che
potrebbe essere il meccanismo sotteso a un episodio speciale, a una pun-
tata “natalizia”, a una sorta di chicca per lo spettatore che può prolungare
il godimento derivato dalla fruizione di un determinato prodotto per un
tempo più lungo rispetto alla canonica durata di un episodio/puntata.
Mauro Gervasini [2001, 29] considera il film come un esempio di fedeltà
al format originario: «Se X-Files The Movie deve essere, che almeno sia in
tutto e per tutto come il telefilm. [...] di fatto il film è un episodio “fuori
serie” che è possibile apprezzare in pieno soltanto conoscendo alcuni
degli antefatti principali (l’ossessione di Mulder per gli alieni, ad esempio)
e che difficilmente riesce ad avere vita autonoma».
All’opposto, quando è il film a essere oggetto di un trasbordo verso il
mezzo televisivo, pare invece che la conoscenza del film di riferimento
non sia necessaria. In questo passaggio, infatti, vengono ripresi e ripropo-
sti per lo spettatore televisivo personaggi, ma soprattutto ambienti, situa-
zioni e dinamiche presenti nel testo di riferimento, ma è altresì vero che
la frammentazione della narrazione in episodi/puntate riempie il prodot-
to televisivo di elementi utili alla comprensione anche da parte dello spet-
tatore che non ha visto il film. Se prendiamo ad esempio M.A.S.H.
(M*A*S*H 1972-1983, dall’omonimo film di Robert Altman del 1970) o
Saranno famosi (Fame 1982-1987, serie che si ispira al film omonimo
diretto da Alan Parker nel 1980), o ancora, Buffy (dal film Buffy l’am-
mazzavampiri, Buffy the Vampire Slayer, F. Rubel Kuzui, 1992), ci ren-
diamo subito conto di come non sia assolutamente necessaria, per lo spet-
tatore televisivo, la conoscenza dell’ipotesto-film. Ognuno di questi casi, è
ovvio, presenta le sue peculiarità ed è evidente che una fetta dei destina-
tari a cui il prodotto si rivolge sia composta da spettatori che hanno visto
il film e che attraverso la serie possono in un certo modo rinnovare, di set-
timana in settimana, il piacere che hanno provato nei confronti del film.
Nel caso di M.A.S.H., ad esempio, la serie nacque, molto pragmaticamente,
per riutilizzare i set che erano serviti per il film, rispetto al quale conser-
va la coralità dei protagonisti, re-impiegando anche alcuni degli attori pre-
senti nel film all’interno della serie. Rimane, eredità del film, anche il tono
indisciplinato e goliardico dei protagonisti, che pur essendo ottimi medi-
ci, tentano di sdrammatizzare le terribili angosce del conflitto tra USA e
Corea. Quindi, non sorprende troppo che appena due anni dopo essere
stato il terzo maggiore incasso del 1970 M.A.S.H. sia stato trasformato in
una serie televisiva [Weis 1998]. Quello che forse sorprende maggior-
mente in relazione al successo di questa serie è il fatto che si tratti di una
delle più longeve della televisione americana, nonché una delle più popo-
lari. Una popolarità, questa, costruita distaccandosi quindi da una fonte,
quella del film di riferimento, che sembrava offrire pochi elementi effetti-
vamente compatibili con gli standard televisivi. Durata undici stagioni, la
serie è andata incontro a una revisione costante della narrativa e dei per-
28 Profilo critico

sonaggi. Quanto, allora del film di Altman può considerarsi ripreso dalla
serie televisiva? Resta, senz’altro, la premessa di base che muove i perso-
naggi, cioè la necessità di compiere pazzie per preservare la propria sani-
tà mentale nell’assurdo clima della guerra. La serie televisiva si è poi evo-
luta in maniera autonoma rispetto all’ipotesto di riferimento, esplorando-
ne le possibilità, rivitalizzandosi all’occorrenza e adattandosi alle modifi-
che nell’audience. In breve, questa serie è stata capace non solo di adatta-
re il film originale alle esigenze e alle tempistiche televisive, ma anche di
adeguare la formula del programma al passare degli anni, ad esempio attra-
verso l’enfasi posta sullo sviluppo dei personaggi.
Anche per Fame, le questioni che si pongono sono più o meno le mede-
sime. Originata dall’omonimo film di Alan Parker, successo del 1980, la
serie riscosse grande consenso di pubblico soprattutto in Europa. Del cast
del film, sopravvivono nella serie ben quattro attori (l’insegnante di danza
Debbie Allen, il professore di musica Albert Hague, l’aspirante musicista
Lee Curreri e il giovane ballerino Gene Anthony Ray) e anche in questo
caso la pellicola di Parker funge da fonte di ispirazione, ma non si pone
come un riferimento imprescindibile per gli spettatori televisivi, che pos-
sono quindi facilmente approcciarsi alla serie televisiva anche digiuni
delle dinamiche del film.
Va notata, dunque, la forte tendenza delle serie contemporanee – in parti-
colare proprio quelle rivolte ai giovani – all’uso del cinema in maniera
autoriflessiva, in forma di citazione o di allusione. Le serie televisive, sem-
pre più, si propongono allora come forme di meta-fiction, di meta-televi-
sione o meglio ancora possono vantare una struttura autoriflessiva sul pro-
prio statuto di oggetti appartenenti al mondo della comunicazione. Que-
sti prodotti sono sempre più caratterizzati da una struttura che riflette sul
genere [Olson 1987], puntando sulla capacità dell’audience di cogliere tali
riflessioni e riferimenti, capacità essenziale al funzionamento del mecca-
nismo. Anche Eco [1985b] sottolinea come alcune forme di dialogismo
vadano al di là degli interessi e delle necessità collegate alla trattazione
specifica del problema del seriale nelle forme audiovisive.
Parlare di dialogismo e di intertestualità significa, infine, rifarsi anche ai
concetti esposti da Bachtin, Kristeva, Genette [Bachtin 1979; Kristeva
1978; Genette 1997]: attraverso le loro riflessioni è possibile allora cerca-
re di individuare i confini dell’analisi, con riferimento ai rapporti e colle-
gamenti tra i testi [Comand 2001; Guagnelini e Re 2007]. La cornice inter-
testuale all’interno della quale si posizionano i prodotti televisivi seriali si
rivela infatti essenziale per comprendere la complessità e la stratificazio-
ne di tali prodotti. Inoltre, è necessario affrontare la questione anche nei
termini di rapporti intermediali, intendendo l’intermedialità come l’inte-
razione e l’integrazione dei media, che conduce ad una più capillare dif-
fusione e circolazione dei prodotti culturali. Gli scambi tra il cinema e la
televisione, di cui abbiamo qui trattato, vanno proprio a posizionarsi all’in-
terno di un quadro che vede i media non «come semplicemente indipen-
Una nuova Goldel Age 29

denti o contrapposti, bensì come strettamente interrelati, operanti su pre-


supposizioni reciproche, linkati. Più che a situazioni di conflittualità, essi
danno luogo a occasioni di scambio e si integrano reciprocamente» [Fer-
raro 2002, 352]. Lo scenario contemporaneo offre situazioni interessanti,
in continua evoluzione, e una costante ricerca di una forma efficace di
convergenza tra mezzi di comunicazione di massa, che non si realizza sol-
tanto dal punto di vista tecnologico. Non si tratta, infatti, solamente del
frutto del processo tecnico, ma si tratta altresì di un fatto culturale, asso-
ciato evidentemente alle pratiche di consumo contemporanee, che pre-
vedono l’utilizzo di una pluralità di media, che a loro volta mettono a dis-
posizione dell’utente una vastissima gamma di prodotti e dove, all’interno
di questa costellazione di supporti e prodotti, si delinea l’orizzonte di una
comunità partecipatoria di spettatori/utenti.

2. Una nuova Golden Age

Negli Stati Uniti, dove il modello della televisione commerciale è nato e si


è affermato, si è soliti indicare con l’espressione Golden Age (età d’oro),
quel periodo che va dagli esordi della televisione, subito dopo la fine della
seconda Guerra Mondiale, fino all’inizio degli anni Sessanta. In quel lasso
di tempo, dunque, la televisione si afferma come medium di massa e
costruisce tipologie di programmi e format che ancora oggi restano in
auge. I critici e gli studiosi attribuiscono a quel periodo la produzione di
un alto numero di prodotti innovativi, di grande impatto e di alta qualità,
che segnano un’era difficilmente replicabile. In particolare, sono quelli gli
anni degli anthology drama, sorta di film per la tv proposti live e scritti
da ottimi sceneggiatori, e di alcune serie che hanno lasciato il segno, a cui
abbiamo fatto riferimento in precedenza (Ai confini della realtà, I Love
Lucy etc.). Questo non significa che negli anni successivi non vi siano pro-
dotti di buon livello, ma solo che la sintesi perfetta tra intrattenimento e
qualità realizzata durante la Golden Age appare difficile da ritrovare.Alme-
no fino agli anni Ottanta.
Molti studiosi [Thompson R.J. 1996; Caldwell 1995] sono infatti concordi
nell’individuare una seconda età dell’oro della televisione americana che,
a partire dagli anni Ottanta, coincide con l’affermazione di alcune serie
televisive di grande successo, con l’originalità dei loro modelli narrativi e
con le peculiarità della loro promozione e distribuzione su più piattafor-
me mediatiche. Si apre quindi una nuova stagione, che arriva fino a oggi e
che determina il grande interesse che si è venuto a costituire intorno a
certi prodotti televisivi seriali, a partire dal 1981 con le innovazioni di Hill
Street giorno e notte (Hill Street Blues 1981-1987) con la sua costruzione
drammaturgica multistrand (cioè multilineare, che permette quindi i pro-
cessi di serializzazione della serie), passando per la serialità d’autore
(David Lynch e Twin Peaks), fino ad arrivare alle serie tv high concept di
30 Profilo critico

cui parleremo successivamente. Come nota Candalino [2007, 74-75]: «Il


potenziale che ha questa struttura narrativa “multilineare” non smette di
dar frutti. [...] Dopo questo mix di serie “chiusa” e serie “aperta”, il telefilm
diventerà la palestra industriale di nuove forme di produzione televisiva
aperte a nuove forme di “consumo produttivo”».
Negli ultimi anni, quindi, la fioritura di serie televisive di buona o ottima
qualità ha imposto la loro capillare diffusione sui diversi mercati televisi-
vi nazionali, colonizzando i palinsesti di tutto il mondo. In primo luogo
possiamo perciò considerare la questione della qualità di questi prodotti,
appartenenti a quel trend che gli studiosi di televisione chiamano quality
television [Jancovich e Lyons 2003; McCabe e Akass 2007], cioè televisio-
ne di qualità, per riferirsi a una serie di programmi televisivi caratterizzati
da uno stile peculiare che essi riconducono a contenuti, a sceneggiature e
a costruzione visiva di particolare valore. Kristin Thompson sostiene ad
esempio che i programmi della quality television siano caratterizzati da
cast importanti, ibridazione di generi, autoriflessività e da una spiccata
tendenza verso il realismo [Thompson K. 2003].
Negli Stati Uniti, dagli anni Ottanta fino al 2000, è esistita una organizza-
zione chiamata Viewers for Quality Television, finalizzata a sostenere e
incoraggiare la produzione e la trasmissione di show che l’associazione
riteneva soddisfare i criteri di qualità. La fondatrice del gruppo, Dorothy
Swanson, sosteneva che uno show televisivo di qualità dovesse sfidare e
coinvolgere lo spettatore, provocando reazioni e restando a lungo nella
memoria del fruitore. Le valutazioni offerte dal gruppo sui programmi tra-
smessi venivano tenute in grande considerazione dall’industria televisiva,
poiché si dimostravano essere il riflesso delle preferenze di un target di
livello culturale elevato, naturalmente nel mirino degli inserzionisti pub-
blicitari. Come nota Aldo Grasso [2007, 5] in un recente studio dedicato
alle serie televisive di qualità: «non c’è mai stata una tv tanto vitale, intelli-
gente e ricca di risonanze metaforiche come l’attuale. Sembra quasi un
paradosso ma spesso si fa fatica a trovare un romanzo moderno o un film
che sia più interessante di un buon telefilm».
I modelli di riferimento di questa televisione di qualità sono quelli di serie
molto popolari a partire dalla metà degli anni Ottanta in poi: tra le altre,
E.R.-Medici in prima linea (E.R. dal 1994), X-Files, I Soprano (The Sopra-
nos 1999-2007) e West Wing (1999-2006) che, come abbiamo già sottoli-
neato, enfatizzano la complessità narrativa, costruendo sceneggiature
intrecciate e stratificate, che invitano lo spettatore a una visione ripetuta
[Mittell 2006]. Con l’aumento della popolarità di questi prodotti, l’indu-
stria dei media ha dovuto fare i conti con la necessità di garantire la pos-
sibilità di rivedere questi materiali. Dal momento che la tecnologia offre
diverse modalità per rispondere a questa esigenza, si sono moltiplicate le
vendite di cofanetti DVD di serie tv, i network hanno reso disponibili i loro
prodotti in streaming via Web e aumentato il più possibile la loro circola-
zione, di fatto allungandone straordinariamente la vita, ancora di più di
Una nuova Goldel Age 31

quanto il sistema delle repliche televisive aveva potuto garantire negli


anni precedenti.
In Italia, la scelta di inserire in palinsesto questa tipologia di programmi è
stata dettata dapprima dalla necessità di coprire le ore di programmazione
giornaliere, andate progressivamente aumentando dall’inizio degli anni
Ottanta ai giorni nostri. I prodotti seriali si prestano infatti molto bene a
questo compito, poiché si tratta di prodotti di magazzino, cioè materiali ad
utilità potenzialmente ripetuta, conservabili nelle cosiddette library (cioè
negli archivi di programmi che le reti televisive compongono acquistando
o producendo) [Grignaffini 2004]. In seconda battuta, si è presto reso evi-
dente che questi prodotti erano in grado di catalizzare l’attenzione del
grande pubblico, in virtù della loro capacità di riprodurre la realtà senza
deformarla, fornendo uno strumento valido all’intrattenimento, ma anche
alla rielaborazione, alla discussione e al commento di temi e problemi della
vita sociale quotidiana [Meyrowitz 1995]. In tale contesto, va menzionato
il ruolo di rilievo ricoperto dal marketing per l’azienda televisiva, che ha
permesso di cogliere i segnali dell’audience permettendo di combinare
intuizioni creative e valorizzazione del palinsesto. Il marketing per la tele-
visione, infatti, ricopre una funzione essenziale, contribuendo su vari livel-
li alla costruzione del palinsesto, poiché ad esso «è demandato il compito
di combinare per ogni singola rete i generi in modo da rispettare il budget
e soddisfare le esigenze della platea» [Agnese, Pratesi e Teodoli 2007, 77]
Dal punto di vista del dibattito che è scaturito intorno alla serialità televi-
siva possiamo rimarcare, in accordo con Booker [2002], che le serie tele-
visive si presentano come oggetti piuttosto difficili da discutere, non per-
ché esse rappresentino un oggetto troppo semplice nel panorama dei
fenomeni culturali della contemporaneità, quanto piuttosto perché si trat-
ta di oggetti estremamente complessi. Parte di questa complessità scaturi-
sce dal fatto che le connessioni intertestuali e intermediali tra il singolo
programma e il panorama complessivo dei media e della televisione sono
intricate e stratificate. Il processo di mercificazione della cultura a cui è
andata incontro la società occidentale nel ventesimo secolo non può non
riguardare anche la televisione, la natura della quale esprime pertanto il
culmine di un processo che ha riguardato tutti i campi della comunica-
zione.
Una seconda questione, che implica un’intrinseca difficoltà ad affrontare
la serialità televisiva come oggetto di studio, è da individuarsi inoltre nello
sforzo di porre una distanza tra lo studioso e l’oggetto della sua analisi.
Troppo spesso, infatti, le serie televisive sono oggetto di un culto profon-
do e radicato che impedisce una disamina accurata e che stempera molte
analisi nella semplice esaltazione di una serie e nel tentativo di coinvolge-
re altri spettatori. Come notano Casetti e Di Chio [1990, 10], «qualunque
studioso sa che deve stare abbastanza vicino all’oggetto investigato da
coglierne tutti i tratti essenziali, ma anche abbastanza lontano da non
restarne invischiato e coinvolto. [...] Una “buona distanza” è quella che
32 Profilo critico

permette un’investigazione critica, e insieme quella che non esclude una


investigazione appassionata». Consapevole di tale difficoltà, lo studioso
americano Henry Jenkins, che per lungo tempo si è occupato di oggetti
comunicativi della società di massa, ha coniato il termine “Aca/Fan” per
indicare quella comunità di studiosi caratterizzati da una identità ibrida:
teorici e accademici da un lato, ma con una tendenza spiccata a rappor-
tarsi ai prodotti della cultura contemporanea con una passione e un entu-
siasmo tipici dei fan [Jenkins 2006].
Sempre facendo riferimento agli studi di Henry Jenkins, l’idea che i mezzi
di comunicazione, nella fattispecie la televisione, tracimino dai loro confi-
ni, sbordando dentro altre forme comunicative ci pare in questo contesto
assolutamente rilevante. È negli interstizi tra un medium e l’altro che i pro-
dotti dell’industria culturale trovano spazio confortevole, è in tali spazi
che si posizionano, che si radicano, colmandoli e permettendo una inte-
grazione tra media che va al di là delle possibilità tecnologiche, ma si basa
piuttosto sulla idea di una forma di convergenza culturale [Jenkins 2007],
o meglio ancora, di una estensione di un marchio ad altri prodotti, ad altri
spazi.
In questo panorama di convergenza culturale, sembra che l’esperienza di
assistere a uno show televisivo sia in realtà veicolo di molti e più com-
plessi significati, espandendo il senso dello show oltre i suoi confini (l’e-
pisodio settimanale), e facendolo diventare un vero e proprio stile di vita
o comunque facendo sì che il programma televisivo non sia solo questo,
bensì la risultante di una costellazione complessa di prodotti, costituita

Convergenza/Convergenza culturale
L’idea di convergenza è utilizzata dagli studiosi per indicare un
ambiente multimediale, reso possibile dalla tecnologia digitale.
Convergenza implica dunque una molteplicità di servizi fruibili
attraverso un mezzo di comunicazione e si basa sull’idea di
compresenza e di interazione di più mezzi di comunicazione in uno
stesso supporto informativo.
Si parla di contenuti multimediali, ci si avvale di molti media diversi:
immagini in movimento (video), immagini statiche (fotografie), musica
e testo. La convergenza tra mezzi di comunicazione di massa non si
realizza, né è ipotizzabile, soltanto dal punto di vista tecnologico, ma
si tratta altresì di un fatto culturale, associato evidentemente alle
pratiche di consumo che prevedono l’utilizzo di una pluralità di media,
che a loro volta mettono a disposizione dell’utente una vastissima
gamma di prodotti. La convergenza culturale mette in piedi un
creativo processo di “poaching” (bracconaggio) [Jenkins 1992a] che
richiama in causa tutte le competenze e le conoscenze pregresse
dello spettatore e si organizza intorno alla abbondanza di materiali
Processo creativo che i media stessi mettono a disposizione.
Una nuova Goldel Age 33

pertanto anche dai suoi spin-off, dai fumetti ad essa ispirati, dai romanzi
che ne derivano, dai siti Internet più o meno amatoriali, dai videogiochi
che ripropongono ambientazioni e personaggi permettendo al fan di agire
in prima persona.
In questo modo, lo spazio di fruizione del prodotto si allarga a dismisura,
coinvolgendo molti altri momenti della giornata dello spettatore, che può
così continuare a far parte della dimensione messa in piedi dallo show, ad
essere a sua volta parte di quell’universo narrativo anche al di fuori dei
limiti spazio-temporali imposti dalla fruizione televisiva.

2.1 All’interno del testo seriale: temi e forme linguistiche


Nel paragrafo precedente abbiamo sottolineato come i modelli di riferi-
mento della quality television coincidano in gran parte con serie televi-
sive molto popolari a partire dalla metà degli anni Ottanta in poi. Acco-
munati da strutture narrativamente complesse in grado di richiamare la
realtà che ci circonda, questi prodotti sono particolarmente efficaci nell’i-
stituire un racconto che può risultare più o meno parallelo a quello delle
nostre esistenze.Abbiamo inoltre notato come il filone delle narrative mul-
tilineari [Douglas 2006], inaugurato da Hill Street giorno e notte, rappre-
senti un’innovazione sostanziale nella gestione delle narrazioni seriali,
permettendo la realizzazione di prodotti di grande successo, ritenuti a più
livelli particolarmente significativi per descrivere il panorama televisivo
della contemporaneità. A questo punto, è però necessario addentrarsi in
maniera più precisa all’interno di questi oggetti, analizzandoli più da vici-
no per meglio comprenderne i contenuti, le forme linguistiche e le forme
di concatenazione seriale che li caratterizzano.
Se è vero, infatti, che Hill Street giorno e notte ha rappresentato una pie-
tra miliare della serialità televisiva, proponendo un nuovo standard per
questa tipologia di prodotti, è vero altresì che ci troviamo ancora in un’e-
poca televisiva contraddistinta da serie “classiche”, decisamente conven-
zionali per quanto riguarda la composizione dell’immagine e il linguaggio
visivo utilizzato. Sono gli anni di Love Boat (1977-1986) o di Magnum P.I.
(1980-1988), le cui storie sono rivolte principalmente ad uno spettatore
“couch potato”, cioè uno spettatore pigro, passivo e poco incline a mani-
festare reazioni nei confronti dei prodotti audiovisivi. Prevale ancora la
narrazione ad episodi autoconclusivi, che autorizza a una visione meno
fidelizzata e assidua e che non costruisce una suspense trasversale alla
serie, ma la limita invece all’interno del singolo episodio. Ancora, dal
punto di vista del linguaggio, queste serie non presentano grandi innova-
zioni, privilegiando le riprese in interni, i dialoghi girati in campo/contro-
campo e le inquadrature in campo medio o in primo piano.
Una grossa novità per gli spettatori televisivi è rappresentata invece da
E.R.-Medici in prima linea, che debutta negli USA nel 1994. La serie rac-
conta, con una narrazione multistrand, le vicende di un gruppo di medi-
ci e infermieri che lavora presso il pronto soccorso del policlinico uni-
34 Profilo critico

versitario di Chicago, il County General Hospital. L’avvio della serie è


stato ispirato dai racconti Casi di emergenza del noto scrittore Michael
Crichton, ed è stata coprodotta da Steven Spielberg. Intrecciando le storie
private e quelle professionali dei medici e dei pazienti dell’ospedale, E.R.
ha toccato spesso temi di attualità e di forte impatto come l’omosessuali-
tà, il cancro e l’eutanasia, confermandosi prodotto di punta del canale
NBC per quattordici stagioni. E.R. ha tratteggiato un nuovo modo di
costruire il racconto televisivo, sia dal punto di vista narrativo che dal
punto di vista della struttura dell’immagine, negli anni in cui si andava
affermando la reality tv.
La metà degli anni Novanta è infatti il momento in cui la televisione della
realtà – che è ben rappresentata dall’introduzione di format che preludo-
no al successivo avvento dei reality show, in particolare The Real World,
programma di MTV partito nel 1992, che si focalizza intorno alla vita di
sette estranei ripresi da una troupe con attrezzature leggere durante tutte
le attività quotidiane per un periodo di diversi mesi – si afferma e diffon-
de a livello globale. Sul piano tecnico, E.R. sembra dunque ereditare que-
sto nuovo interesse da parte del pubblico nei confronti di un maggiore
realismo. La serie si distingue infatti per l’uso della steadycam, per il mon-
taggio sincopato, per l’andamento in cui «non esiste un inizio, un climax
e una fine» [Damerini e Margaria 2004]. Lo stile visivo di E.R. è più pulito
di quello della coetanea, e altrettanto cruda e realistica NYPD Blue (1993-
2005), ma è altrettanto caotico: la camera insegue i medici durante le
corse disperate lungo i corridoi dell’ospedale, pedina i pazienti in barella,
ci fa vivere i sobbalzi dell’elisoccorso e ci trasporta, appunto, “in prima
linea”, non risparmiandoci dettagli crudi e momenti tragici. Nascendo,
dunque, in un periodo della storia della televisione in cui è la realtà a
dominare i palinsesti, questo show si dimostra perfettamente adeguato e
rispondente all’urgenza e al realismo dei tempi [Thompson R.J. 1996]. Sul

Reality tv
La reality tv non è una invenzione degli ultimi anni e non nasce con il
Grande Fratello: chiamiamo infatti reality tv tutti quei programmi
«esplicitamente basati sulla tematizzazione di eventi, situazioni, tempi
e persone che vengono presentati come “veri”, “contemporanei” e
“autentici”, vale a dire al cui centro vi è la “realtà” di personaggi e
spazi, e la contemporaneità di tempi e di eventi solitamente estranei
allo spettacolo televisivo» [Demaria, Grosso e Spaziante 2002].
Distinguiamo fondamentalmente quattro modelli di reality tv: real tv,
tv verità, reality show, docu-soap. Il modello di maggior successo
degli ultimi anni è quello del reality show, «programma basato su
situazioni reali che coinvolgono persone comuni, presentate in un
contesto narrativo (e quindi strutturate in storie), che si avvale
I 4 format solitamente di contributi filmati in diretta» [Alessandri 1999].
Una nuova Goldel Age 35

piano delle soluzioni narrative adottate per i singoli episodi, poi, è da nota-
re che E.R. ha anche azzardato numerosi esperimenti, spesso legati alla
struttura temporale dell’episodio, come nel caso di Frammenti di verità
(Hindsight, stagione 9, episodio 189) che ripropone in larga misura la
struttura temporale del film di Christopher Nolan Memento (2000). Come
nel film di Nolan, anche la vicenda di cui sono protagonisti i medici del
Policlinico di Chicago è narrata «a partire dalla sua conclusione per risali-
re a ritroso il corso del tempo, con ciclici ritorni indietro. Ogni singola
sequenza ha in sé uno sviluppo lineare, ma le sequenze, nel loro com-
plesso, sono organizzate in modo che l’inizio di una venga a coincidere
con la fine di quella successiva» [Autelitano 2004, 53].
Il potere di fascinazione, di coinvolgimento, di creazione, di adesione pro-
prio di ogni finzione emerge dunque dall’articolazione e da una partico-
lare declinazione della categoria del verosimile. L’efficacia di questo tipo
di prodotto deriva dalla modulazione di una dimensione simulatoria (del
reale), e una dimensione narrativa (del “come se”). La fiction legge il reale,
ne amplifica alcuni dettagli, ne narcotizza altri, ne dilata altri ancora: così
facendo, ci invita a leggerlo e consumarlo nello stesso modo. La fiction
può perciò proporsi come un serbatoio di proposte esegetiche, che pos-
sono divenire offerte a cui si aderisce completamente, traducibili in prati-
che e stili di vita, in modelli non solo accettati, ma continuamente ricrea-
ti e perfezionati.
E.R. segna dunque l’avvio di una nuova fase, che culminerà ai giorni
nostri, con i successi mondiali di 24 (dal 2001), Lost (dal 2004) e Dr.
House-Medical Division (House M.D. dal 2004) che prendiamo qui in
esame in qualità di programmi estremamente significativi di una nuova
modalità di fare serialità.
24, ideata da Robert Cochran e Joel Surnow, è una serie prodotta dalla Fox
e in onda dal 2001. Ogni stagione racconta una serie di eventi che si svol-
gono nelle 24 ore di una giornata. La struttura narrativa si articola in ven-
tiquattro puntate da 45 minuti ciascuna – che diventano 60 con gli spazi
pubblicitari – e che danno allo spettatore l’illusione di seguire gli eventi in
tempo reale. Ogni puntata copre infatti un’ora della giornata del protago-
nista, l’agente del CTU (Counter-Terrorism Unit) di Los Angeles Jack Bauer,
alle prese con attacchi terroristici di varia origine e natura. Benché non
innovativa (è stata usata ad esempio da M.A.S.H.), la formula del tempo
reale è particolarmente ben gestita in questo prodotto, che ne fa il princi-
pio centrale della narrazione di una intera serie [Corel 2005]. Gli eventi
narrati, scanditi dalla presenza del timecode, avvengono sotto i nostri
occhi e ribadiscono la loro contemporaneità rispetto al concetto di
tempo. Il tempo dei protagonisti è il nostro tempo, perché lo spazio tem-
porale che intercorre all’interno di un episodio corrisponde al tempo tra-
scorso nella nostra condizione di realtà. Con un sapiente uso del cliffhan-
ger che conclude di fatto ogni puntata (e ogni ora della giornata di Jack
Bauer), 24 rappresenta un tentativo di ripensare la narrazione seriale, riva-
36 Profilo critico

lutando la centralità delle forme di concatenazione tra singoli frammenti


seriali e rifocalizzando l’attenzione dello spettatore (e l’immersività che la
storia favorisce e attiva) sulla dimensione temporale. Come nota Enrico
Terrone [2004, 5]: «Il tempo sovrabbondante delle serie non è più il sup-
porto di una progressione illimitata né la forma di una ripetizione inter-
minabile, ma la materia con cui costruire un blocco spazio-temporale
denso e compatto. La vicenda dell’agente federale Jack Bauer [...] è rac-
contata facendo coincidere la durata della storia con quella del discorso,
e quindi il tempo dei personaggi con il tempo dello spettatore. Le 24 ore
insonni dell’agente Jack Bauer e del candidato Palmer corrispondono a 24
episodi da circa un’ora, cosi che il tempo della serie diviene inestricabile
dal suo campo narrativo». Altro elemento distintivo della serie, che costi-
tuisce anche una novità dal punto di vista del linguaggio, è rappresentato
dall’utilizzo di split screen, che rimarcano lo svolgersi in contemporaneità
di eventi diversi, e che mantengono viva l’attenzione dello spettatore sulle
diverse linee narrative che la serie intesse. Di conseguenza, «In 24 è il
tempo, nella sua continuità a unificare la molteplicità dello spazio, resi-
stendo alle forze centrifughe che tendono a disgregarlo. La cifra di questa
struttura è l’immagine che raccorda le sequenze: un articolato split screen
dove ai riquadri delle differenti scene si aggiungono il quadrante di un
orologio digitale e il pulsare implacabile del suono. I personaggi si trova-
no in luoghi diversi e in molteplici situazioni, ma le loro azioni avvengono
tutte nello stesso tempo, ed è questo [...] a legare i loro destini» [Terrone
2004, 5]. Nell’articolare le vicende di 24, quindi, quello che conta è il
tempo, non lo spazio, che in 24 è pressoché inesistente, e in cui la dimen-
sione temporale prende il sopravvento su quella spaziale. 24 è dunque una
serie a cui dedicare particolare attenzione nel tracciare i caratteri della
nuova serialità contemporanea e che, giunta alla sua settima stagione,
appassiona ancora milioni di spettatori, grazie al suo carattere sperimen-
tale, alla originalità della sua formula, alla spettacolarità degli eventi che vi
sono narrati (una interessante analisi delle strutture temporali del cinema
contemporaneo e delle loro eventuali ricadute sull’ambito della narrazio-
ne televisiva è rintracciabile nel volume Cronosismi di Autelitano).
Lost, scritta da J.J. Abrams, racconta invece le vicende dei sopravvissuti a
un disastro aereo, che si ritrovano su una misteriosa isola deserta in atte-
sa di soccorsi che tardano ad arrivare, cercando di risolvere numerosi
problemi, soprattutto di sopravvivenza, e di indagare i tanti misteri del
luogo.A catturare l’interesse del pubblico, in questo caso, concorrono una
serie di fattori: in primo luogo, la sceneggiatura, che affronta temi “classi-
ci” in un modo assai innovativo per l’ambito televisivo. Il tema del naufra-
gio, a cui segue la rinascita e la conseguente possibilità di iniziare una
nuova vita, è un tema caro alla letteratura (Robinson Crusoe di Daniel
Defoe), così come al cinema (recentemente, Cast Away 2000, di Robert
Zemeckis), e che trova in questa serie nuova linfa grazie al lavoro sui per-
sonaggi. Il gruppo che costituisce il cast ricorrente della prima stagione è
Una nuova Goldel Age 37

infatti presentato allo spettatore in maniera progressiva e grazie all’uso


sapiente del flashback, espediente non tanto televisivo quanto cinemato-
grafico, che viene qui assunto a tema portante dell’intera serie. È grazie
alle continue analessi, infatti, che la serie esce dai confini delimitati dell’i-
sola deserta e allarga a un fuori campo che costituisce il cuore della nar-
razione, cioè il passato dei suoi protagonisti, raccontato per tappe e gra-
dualmente ricostruito al fine di rendere una complessità caratteriale che
simboleggia, nel microcosmo ricreato sull’isola, la complessità umana.
Come osserva Canova [2000, 84] a proposito del cinema contemporaneo:
«da semplice risorsa tecnica di articolazione del racconto nel periodo del
muto e in parte anche del cinema classico» il flashback è divenuto oggi
vero e proprio «oggetto di tematizzazione diegetica». Così il flashback in
Lost è figura linguistica e al tempo stesso tema e oggetto intorno a cui arti-
colare la narrazione: «mentre nel cinema classico il flashback aveva per lo
più una funzione chiarificatrice (consentiva il ritorno del rimosso, scio-
glieva gli enigmi o i nodi del racconto, ritrovava nel passato le cause e le
radici del presente), nel cinema contemporaneo tende progressivamente
a perdere questa funzione per configurarsi piuttosto come elemento di
“oscuramento” e di complicazione» [Canova 2000, 84]. Questo espediente
dunque, rinviando lo spettatore ad altri indizi e disseminando la narrazio-
ne di tracce da seguire e di sottotrame necessarie allo sviluppo narrativo
e alla serializzazione della serie, si configura come elemento linguistico e
narrativo portante, rimarcando la natura rivelatoria sui caratteri dei perso-
naggi e ponendo l’accento sulla struttura modulare del testo televisivo. Lo
spettatore, infatti, sollecitato da continui inserti e rimandi, è portato a indi-
rizzarsi verso il recupero di ulteriori informazioni che lo aiutino a distri-
carsi all’interno della trama, implementando quel procedimento cross-
mediale che vedremo meglio nel paragrafo successivo. La forma della con-
catenazione dei frammenti che compongono la trama di Lost passa allora
attraverso gli elementi paratestuali predisposti per completarne l’univer-
so narrativo, quali ad esempio la Lost Experience (gioco creato dagli stes-
si autori di Lost, che si basa sulla scoperta di indizi e tracce nascoste nei
siti che fanno parte del gioco) o Lostpedia, sito curato dai fan e che nella
forma di un’enciclopedia on-line è dedicato ad approfondire, arricchire e
sviscerare tutti gli aspetti della serie.
A segnare questa nuova tendenza della serialità contemporanea troviamo
anche Dr. House-Medical Division, serie ambientata nel reparto di diagno-
stica medica dell’(inesistente) ospedale universitario Princeton-Plainsboro
Teaching Hospital. La serie è incentrata sulle vicende di un team di medi-
ci (un neurologo, una immunologa, un oncologo) guidato dal Dr. Gregory
House, scontroso, acido e poco gentile medico, dotato però di grandi capa-
cità diagnostiche e di pungente ironia. La più evidente ispirazione della
serie proviene dai libri di Conan Doyle e dalla sua più famosa creatura,
Sherlock Holmes. In ogni episodio, tendenzialmente autoconclusivo e
costruito col medesimo schema (una falsa pista nel prologo, in cui venia-
38 Profilo critico

mo a conoscenza della vittima, le prime ipotesi vagliate dal team di medi-


ci, un progressivo aggravamento del paziente, che in genere omette o
mente su dettagli fondamentali alla sua guarigione e l’illuminazione finale
che colpisce House e gli permette di risolvere il caso) c’è un mistero che
si presenta sotto forma di una malattia o di una emergenza medica, da risol-
vere in base a vari indizi, più o meno evidenti.A differenza di quanto acca-
de nell’altro medical drama di grande successo E.R., in cui le vicende e le
storie personali dei medici prendono presto il sopravvento sui casi clinici
e sulle cure ai pazienti, Dr. House si focalizza sulla malattia e sui suoi sinto-
mi, trattandola appunto come un giallo da risolvere. Per far questo, la serie
si avvale di una struttura con uno schema piuttosto costante e fisso, che
ricorda da vicino quello delle detection più classiche (Colombo, La signo-
ra in giallo) e che predilige lo sviluppo dell’anthology plot sul running
plot. Questo naturalmente non esclude il ricorso a sottotrame che coinvol-
gono i protagonisti per più episodi, ma limita questo utilizzo, privilegiando
una struttura autoconclusiva (i casi sono sempre risolti all’interno del sin-
golo episodio) e puntando sull’innovazione sul piano linguistico. La serie
presenta infatti un notevole grado di sperimentazione, ad esempio con la
messa in scena del flashback, come nell’episodio Sotto Accusa (The Mista-
ke, stagione 2, episodio 8), in cui un caso avvenuto mesi prima e finito tra-
gicamente è ripresentato in vista di una udienza in tribunale in cui House
e un membro del suo team sono chiamati a giudizio. In questo episodio, i
ricordi dei protagonisti convivono nello stesso tempo e spazio degli even-
ti del presente, in una messa in scena altamente coinvolgente, in cui i diver-
si punti di vista compongono un quadro articolato degli eventi. Ancora,
sulla scia di quanto inaugurato con CSI, anche Dr. House utilizza copiosa-
mente dettagli iperrealistici che guidano lo spettatore in incredibili disce-
se all’interno del corpo umano, dove ci vengono mostrati, grazie a movi-
menti di macchina invasivi e iperbolici, dettagli altrimenti invisibili.A que-
sto utilizzo del dettaglio figurativo, fa da contraltare l’uso di un linguaggio
altamente specializzato, inaffrontabile se non esperti del settore, ma che
viene reso accessibile grazie all’ipertrofia del dettaglio visivo intorno a cui
la serie si costruisce. Come ha scritto Aldo Grasso [2007, 146], Dr. House si
distingue per due strategie narrative di notevole interesse: «La prima è che
assume su di sé tutte le storie individuali dell’équipe medica e lo fa in
modo così misantropico da ritagliarsi uno spazio inedito. [...] La seconda è
che proprio la parte diagnostica,la parte più squisitamente medica,è molto
più esaltata rispetto ad altre serie». Ne derivano dunque uno slittamento dal
filone del medical drama a quello poliziesco e una serie che gioca in
maniera molto sottile con il meccanismo del ritorno del già noto, garan-
tendo continuità e al tempo stesso novità al proprio pubblico.

2.2 High Concept TV Series


I prodotti seriali contemporanei si allargano ben oltre i confini imposti dal
format a cui appartengono per estendere il proprio potenziale ad altri
Una nuova Goldel Age 39

campi dell’industria culturale. Le strategie di marketing e di integrazione


tra media e prodotti commerciali fanno sì che la produzione proliferi, con
la commercializzazione di qualunque tipo di prodotto: action-figures con
le sembianze dei protagonisti della serie, ma anche ovviamente poster,
carte da gioco e videogiochi, romanzi e novellizzazioni e tanto altro, che
estendono le avventure dei protagonisti in altri ambiti e su piattaforme
mediatiche differenti. Nel mercato globale è impossibile essere competiti-
vi se non si lavora su più livelli, in un sistema di cross-promotion (promo-
zione incrociata) che assicura il necessario riscontro in termini di succes-
so commerciale e di affezione del consumatore al brand, esattamente
come accade per i beni di consumo materiali, come un detersivo o un pro-
dotto alimentare [Olson 1999].
Se i fan, allora, cercano uno spazio in cui discutere il proprio prodotto
seriale preferito, chi meglio del suo produttore può fornire uno spazio
adeguato? Con questa logica in mente, molti show televisivi (o meglio i
network che li producono/trasmettono) hanno dotato i loro fan di news-
letter, forum e gruppi di discussione intorno ai prodotti più seguiti all’in-
terno dei loro siti ufficiali. Ma non troppo sorprendentemente, dal
momento che Internet provvede una tecnologia agile e semplice con un
elevato grado di facilità d’accesso, le stesse tecnologie usate dai produtto-
ri sono utilizzate anche dai fan per creare community intorno al medesi-
mo e condiviso interesse per una serie.
Da notare, allora, la distinzione necessaria, nella definizione del fenomeno
di convergenza culturale in atto, tra la convergenza prodotta dal proprie-
tario del brand, cioè in questo caso prodotta dai creatori/produttori dello
show e legata pertanto allo sfruttamento in senso commerciale dello stes-
so marchio su media diversi, e quella che invece si determina come un

Brand
Il termine inglese brand viene in genere tradotto con “marca”, ad
indicare un nome, un simbolo, un disegno, o una combinazione di tali
elementi, con cui si identificano prodotti o servizi di uno o più venditori
al fine di differenziarli da altri offerti dalla concorrenza. Di norma il
termine viene usato in riferimento a beni di consumo materiali, ma
negli ultimi anni ha assunto anche un significato allargato, riferito a
prodotti culturali e inteso come strumento di identificazione di più
prodotti, anche molto diversi tra loro, legati però da una promessa
comune e da valori di riferimento condivisi. Ad esempio, nel caso di
Buffy, si parla di Buffyverse come di quel mondo finzionale di cui Buffy
è il centro e intorno al quale gravitano numerosi altri prodotti
mediatici direttamente derivati da Buffy (i suoi spin-off ufficiali),
nonché tutti quei prodotti che per affinità, per diretta citazione, oppure
perché inseriti all’interno dell’universo di riferimento della serie, L’universo
entrano a farne parte, in una concezione allargata dell’idea di brand. della marca
40 Profilo critico

prodotto dell’intervento dei fan e che non è quindi motivata da una logi-
ca di sfruttamento commerciale. Una distinzione importante, questa, e
che, come nota Brooker [2001] è interessante indagare, soprattutto cer-
cando di comprendere se le modalità siano esclusive o inclusive, se cioè
possano o meno convivere nel panorama che si va delineando. Ad esem-
pio, i siti ufficiali dei network/show, possono essere visti come strumenti
che contribuiscono a incoraggiare la creatività e il senso di comunità che
unisce i fan, attraverso una serie di strumenti che favoriscono l’incontro e
la discussione, quali le chat i blog e i feed RSS, ma allo stesso tempo i fan
si aggregano in altri ambiti attraverso l’utilizzo dei medesimi strumenti,
senza necessariamente passare per gli spazi ufficialmente creati per loro.
È chiaro quindi che nel contesto contemporaneo, gli spettatori, più che a
vedere una serie tv sono invitati ad aderire a uno stile di vita, ad essere
parte di un’esperienza che non si limita, appunto, all’ora di visione setti-
manale, ma che si allarga a 360 gradi. Questo è accaduto ad esempio con
Heroes (2006- ) e con l’omonimo ARG (Alternate Reality Game), Heroes
360 Experience nato sulla scia di quella che è stata, per il pubblico ame-
ricano, la cosiddetta Lost Experience – cioè quell’ARG giocato dai fan
durante la seconda stagione di Lost in UK e nell’intervallo tra la fine della
seconda stagione e l’inizio della terza in USA – e che rappresenta una
estensione su piattaforme digitali (e non) della serie.
Naturalmente, l’esistenza del Web e di Internet rende il tutto non solo pos-
sibile, ma anche interessante per dimensioni e caratteristiche del fenome-
no, consentendo una diffusione rapida e capillare dei contenuti, che ben-
ché certamente indirizzati a un pubblico già coinvolto nel meccanismo,
sono comunque di facile reperibilità e accessibilità. Se per anni, infatti, i
fan di un determinato prodotto, come ad esempio Star Trek, si sono riuni-
ti in convention e eventi dedicati ai loro beniamini per condividere idee
ed eventualmente le loro personali produzioni intorno allo show, ora, con
le possibilità offerte dalla rete, un nuovo modo di condivisione delle infor-
mazioni e delle proprie produzioni si è affermato, con evidenti cambia-
menti. Internet, di conseguenza, ha accelerato un processo che, per una
delle comunità di fan più vecchie e studiate (quella di Star Trek, appunto)
ha impiegato anni a compiersi, favorendo e sveltendo la ricerca di perso-
ne che condividano lo stesso tipo di interesse per una serie televisiva.
Il supporto a questo tipo di esperienza, coinvolgente ed immersiva, è natu-
ralmente il frutto di un intenso lavoro di sfruttamento delle potenzialità
offerte da Internet, così come dell’integrazione tra le diverse piattaforme
che rendono possibile allo spettatore l’accesso ai contenuti, alle password
e all’intera costellazione di prodotti mediali di cui si compone ad esempio
il mondo di Heroes [Porter, Lavery e Robson, 2007]. Che poggia pertanto
su numerosi hoax movie sites, sugli easter eggs contenuti nelle tavole del
fumetto, su blog e indizi disseminati fuori e dentro la rete.
In un certo senso, studiare il comportamento e il ruolo dei fan di un pro-
dotto televisivo ha voluto dire, per lungo tempo, considerare il pubblico
Una nuova Goldel Age 41

semplicemente come un gruppo di frequentatori di un determinato


ambiente mediatico, che avidamente consumavano e accettavano in
maniera passiva qualsiasi prodotto venisse loro offerto. In molti hanno
dimostrato invece come, in realtà, i fan adottino un approccio attivo nei
confronti dei testi mass mediatici [Jenkins 1992a] dimostrando di essere
spettatori che consumano, certo, ma che discutono e riflettono su quanto
consumano. Molti di loro, poi, sono anche produttori di fan fiction, cioè
poesie, canzoni, racconti, sceneggiature di nuovi episodi costruiti intorno
ai loro personaggi preferiti. Non solo, allora, molti fan sono vivaci nella
comprensione dei prodotti/testi mediatici, ma si costruiscono un ruolo
proattivo anche nella creazione di nuovi materiali correlati.
La convergenza digitale ha consentito una proliferazione di contenuti
mediali distribuiti su differenti piattaforme, la logica che muove questo
meccanismo è pertanto quella del transmedia storytelling, cioè della nar-
razione transmediale, nella cui prospettiva ogni medium fa quello che gli
riesce meglio e, in tal modo, una storia può essere introdotta sotto forma
di serie televisiva, ampliata attraverso il cinema, romanzi e fumetti, i video-
giochi e il Web. L’esperienza di fruizione che ne deriva, diversificata e dis-
tribuita, genera una partecipazione profonda, che sollecita ulteriore con-
sumo. Secondo Jenkins, il Web ha portato alla luce, e ha contribuito a dif-
fondere, il lavoro delle comunità dei fan che, come abbiamo detto, è stato
per lungo tempo relegato nelle nicchie di appassionati. Questa attività
creativa ha conseguentemente concorso a stimolare il passaparola
(Word-of-Mouth) tra gli spettatori, incrementando gli ascolti, diffondendo
l’interesse per un prodotto e fornendo nuovi spunti agli autori, abili nel-
l’incorporare all’interno delle sceneggiature suggerimenti forniti dagli
spettatori più assidui. La narrazione allora non possiede più un unico cen-
tro d’irradiazione, ma tende a svilupparsi su strade diverse.

Hoax Movie Sites


Il termine inglese “hoax” è traducibile in italiano con “bufala”, dunque,
un Hoax Movie Site è un sito Internet «apparentemente dedicato a
elementi reali ma il cui contenuto è in realtà fittizio e fortemente
collegato ad una produzione cinematografica o televisiva» [Roder
2006, 55]. Molti film, da The Blair Witch Project (Myrick e Sanchez
1999) in poi hanno sfruttato questa forma particolare e per certi versi
innovativa di circolazione delle notizie, spacciando per veritieri
elementi appartenenti alla trama e al mondo finzionale costruito dal
film: «Sono, metaforicamente, dei “prolungamenti” cibernetici della
fabula cinematografica ed è qui che risiede il loro aspetto più originale
e interessante dal punto di vista semiologico» [Roder 2006, 55]. L’uso
di questo espediente contribuisce a sollecitare la curiosità e
l’interesse da parte dei potenziali spettatori rispetto a film e Strategie
programmi televisivi. di marketing
42 Profilo critico

Mutuando il termine dalla definizione ormai consolidata fornita da Justin


Wyatt [1994] sul blockbuster cinematografico, potremmo definire queste
narrazioni come high concept. Secondo Justin Wyatt, la caratteristica fon-
damentale di un high concept è lo stile, poiché ogni film deve avere un
look riconoscibile, ben definito e di impatto. L’high concept è un prodot-
to caratterizzato dalla grande vendibilità, adatto ad essere esperito su
diversi supporti e venduto sui mercati interni e stranieri. Pertanto, dal
punto di vista industriale, ciò significa passare da un prodotto medio e da
un rischio calcolato, ad operazioni a rischio estremamente alto, che accen-
trano la gran parte delle risorse disponibili. Di essenziale importanza è la
struttura modulare dell’high concept, che fa sì che questo possa essere
parcellizzato e riproposto in differenti contesti ludici o di intrattenimen-
to, permettendo la frammentazione, lo spostamento e la diversificazione
della fruizione. Come si può notare, tale definizione si rapporta perfetta-
mente al fenomeno della serialità televisiva contemporanea, favorendone
lo studio in termini di una costellazione complessa di prodotti raggruppati
intorno ad un medesimo brand.
In questo contesto, come accade per il blockbuster cinematografico,
anche le serie televisive che possiamo definire high concept, e dunque
tutte quelle che adottano narrative multilineari che fungono da spunto
per ulteriori narrazioni su altri media, hanno dato vita a veri e propri feno-
meni di franchise, ossia prodotti che possono essere replicati in altri for-
mati mediatici [Staiger 2000]. Infatti, il sistema delle major conglomerate
ha permesso di dare una risposta globale ed esauriente ad una domanda
di intrattenimento divenuta matura ed estremamente differenziata. È inte-
ressante a questo proposito quanto nota Matteo Bittanti [2006, 133]: «Lad-
dove la formula produttiva dominante nell’era analogica era l’adattamen-
to – per cui i medesimi contenuti venivano trasferiti da un medium all’al-
tro per mezzo di un processo di rimodellamento – oggi si producono
matrici di narrazioni che si sviluppano in modo (relativamente) auto-
nomo su più piattaforme. Detto altrimenti, nell’era digitale, la produzione
di nuove direzioni narrative all’interno della stessa cosmologia ha sosti-
tuito la prassi di ridistribuire i medesimi contenuti. Questo cambio di
paradigma prevede a sua volta un nuovo tipo di fruitore dotato di com-
petenze trans-mediali».
Per la serie 24, ad esempio, il sistema delle grandi conglomerate [Tungate
2006] ha fornito aggregazioni mirate allo sviluppo del prodotto attraverso
il dialogo tra diversi ambiti mediatici: ne è prova l’accordo con la Sony e
la sua costola che opera nel settore video-ludico attraverso la Sony Com-
puter Entertainments impegnata nella produzione e nella distribuzione
della console PlayStation per lo sviluppo del videogioco ispirato alla serie,
ovvero 24 The Game. In 24, inoltre, la contaminazione transmediale è
molto evidente, poiché il videogioco si propone di colmare una lacuna
narrativa a cavallo tra la seconda e la terza stagione. Nell’applicazione del-
l’idea di high concept alla serialità televisiva va però espressa un’ulteriore
Una nuova Goldel Age 43

considerazione: benché modulabile e riadattabile ad altri contesti ludici e


di intrattenimento, l’high concept cinematografico è un prodotto caratte-
rizzato da una chiusura narrativa, che può dare vita a prequel e sequel, ma
che di norma ha un numero finito di personaggi e di occorrenze cinema-
tografiche che lo regolano. Le serie televisive contemporanee che possia-
mo leggere sulla base delle caratteristiche dell’high concept si caratteriz-
zano invece per la possibilità di ridefinizione della trama e della dimen-
sione diegetica, che i meccanismi stessi del racconto seriale, uniti alla
intermedialità tipica dell’high concept, rendono estremamente intensa e
stratificata.
Molte serie televisive sono allora considerate come franchise per la loro
durata prolungata nel tempo, che permette di sfruttare un’onda molto più
lunga [Anderson 2007] se comparata al prodotto cinematografico. Un pro-
dotto come 24, ad esempio, permette di mantenere vivo nel tempo l’inte-
resse per l’intera serie. Questi oggetti sono infatti dei veri e propri long
seller, lungamente sostenibili nel tempo e rinfrescabili ad ogni lancio di
stagione. Definire le serie franchise significa infine far riferimento ad un
insieme di artefatti culturali, ad un intreccio di narrazioni che viaggiano su
canali differenti. Sempre prendendo ad esempio 24, è evidente come qui
domini la logica del transmedia storytelling così come quella dello spin-
off (i mobisodes e i webisodes, che non confluiscono nella serie princi-
pale e che analizzeremmo in dettaglio più avanti). La fruizione diversifica-
ta è dunque in grado di generare nel consumatore (non più un semplice
spettatore, ma un fruitore di più media e di più prodotti collegati) un’e-
sperienza profonda che sollecita ulteriore consumo. Si può parlare per-
tanto di matrici della narrazione, che ricevono dalla serie da cui sono ori-
ginate influssi e indicazioni di atmosfera e ambientazione. Siamo di fronte
ad una nuova forma di cultura popolare che è progettata per essere aper-
ta e multi-strato, provocatoria ed evocativa, più esplorativa di quanto un
semplice spettatore possa concepire.
I concetti di high concept e di franchise che abbiamo fin qui delineato, ci
permettono di affrontare il discorso delle serie televisive contemporanee
nei termini di prodotti ad alto potenziale, sfruttabili in vari contesti e che
possiedono tutte le caratteristiche necessarie a considerarli come eventi
mediatici [Dayan e Katz 1999], cioè come occasioni che attraggono una
potente copertura da parte dei mezzi di comunicazione e che si configu-
rano come eventi imperdibili nel panorama dei media: pensiamo ad esem-
pio all’episodio conclusivo della stagione di una serie televisiva di suc-
cesso seguito da milioni di persone o all’episodio di apertura di una nuova
stagione (23 milioni di americani hanno seguito il primo episodio della
seconda stagione di Lost).
La molteplicità e la stratificazione di questi prodotti li rende però anche
adatti ad essere scomposti in pacchetti modulari che riportano ad ele-
menti di base la loro complessità narrativa, di fatto garantendo la possibi-
lità di semplificare il prodotto in termini di format, vendibile, esportabile,
44 Profilo critico

Mobisodes
Con questo termine ci si riferisce a episodi di programmi televisivi
fatti oggetto di un lavoro di adattamento che li rende disponibili per la
visione attraverso lo schermo del telefono cellulare. In genere si
tratta di episodi di breve durata (da uno a tre minuti). Tra i primi e più
noti esempi di questo adattamento di prodotti seriali alla fruizione via
cellulare troviamo 24: Conspiracy, spin off della serie 24, reso
disponibile dalla FOX a partire dal gennaio 2005, dopo la messa in
onda dei primi episodi della quarta stagione della serie. Distribuiti al
ritmo di un episodio ogni tre giorni, i mobisodes di 24 articolano
appunto ventiquattro minuti di narrazione non lineare che racconta
una storia che possiede espliciti riferimenti alla stagione 4 della serie
ideata da Joel Surnow e Robert Cochran. Utili alla promozione e alla
pubblicità di una serie, i mobisodes appartengono a quel ricco e
Forme narrative
articolato panorama che ha visto l’affermazione di prodotti
transmediali multipiattaforma e high concept.

globalizzabile e, al tempo stesso, passibile di un riadattamento a livello


locale, attivando modalità di glocalizzazione [Bauman 2005] che sposano
perfettamente una tipologia di marketing che tiene conto delle dinamiche
mondiali di interrelazione tra i popoli, le loro culture ed i loro mercati,
delle peculiarità e delle particolarità storiche dell’ambito in cui si vuole
operare. Così, un caso emblematico di format che sfrutta in questi termini
la sua componente franchise è quello di Ugly Betty (dal 2006), serie tele-
visiva americana del network ABC, trasmessa dal 2007 anche in Italia. La
serie è ispirata alla telenovela colombiana Betty la cozza (Yo soy Betty la
fea 1999-2001), a sua volta trasmessa in Italia tra il 2004 e il 2005. Dal con-
cept di questa serie (una ragazza bruttina ma di buoni sentimenti che
vuole lavorare nel dorato mondo delle riviste di moda) sono derivati nu-
merosi adattamenti locali, di cui il prodotto americano è solo una delle
versioni. Messico, India, Israele, Germania, Russia, Olanda e Spagna hanno
prodotto le loro versioni dello show, adattandolo al meglio ai diversi con-
testi socio-culturali nazionali. Oltre al prodotto originale, curiosamente, in
Italia sono stati trasmessi numerosi di questi adattamenti, tra cui quello
olandese (Lotte 2006-2007) e quello americano.
Quello che accomuna le serie televisive contemporanee è infine una par-
ticolare sensazione di permanenza. Jenkins nota infatti come questi pro-
dotti, grazie alla integrazione tra media offerta dal sistema delle conglo-
merate, alle pratiche di franchising e alla costruzione high concept, siano
in grado di garantire una eccezionale durata e persistenza nella mente
degli spettatori, addirittura ipotizzando che questi programmi siano così
durevoli da garantirsi una sopravvivenza anche quando la base dei fan
attuali sarà andata dissolvendosi.
Una nuova Goldel Age 45

2.3 Serialità e nuovi media


Tra i numerosi significati del verbo “seguire” ce ne sono due particolar-
mente pertinenti rispetto alle questioni che questo libro affronta. Il primo
è quello di leggere, ascoltare, vedere qualcosa con assiduità: seguire una
rubrica giornalistica, un programma radiofonico, una trasmissione
televisiva. Dunque essere, nel nostro caso, assidui spettatori di un pro-
gramma televisivo. Il secondo significato è invece quello di tallonare, pedi-
nare, avanzare verso una determinata direzione, a partire da un punto di
riferimento. Un programma televisivo non è un oggetto chiuso, limitato e
confinato al mezzo per il quale è nato, al contrario, i modi attraverso i quali
la comunicazione audiovisiva ha avuto tradizionalmente luogo, sono entra-
ti in una fase di complessa e incessante modificazione, dovuta principal-
mente all’apporto del digitale. I mezzi di comunicazione fanno perciò
parte di un sistema articolato di scambi linguistici, culturali, sociali ed eco-
nomici di cui lo show televisivo è oggi solo un tassello all’interno di un
più vasto e complesso puzzle mediatico e, soprattutto per i fan affeziona-
ti di una serie, vedere lo show diviene solo una tra le molteplici pratiche
legate al consumo di un determinato brand (quali possono essere consi-
derati Buffy, Lost o Heroes), poiché la fruizione, il consumo del prodotto
e di una serie di valori e significati da questo veicolati, continua con molte
altre forme e attraverso altri mezzi di comunicazione.
È allora urgente riconsiderare cosa significhi realmente “seguire” un pro-
gramma televisivo: starsene seduti sul divano con in mano il telecomando
non è infatti più sufficiente. “Seguire” un programma significa compiere
un’esperienza dinamica, un processo di attivazione che porta lo spettato-
re/consumatore a mettersi in azione per pedinare e andare a scovare il
prodotto che lo interessa anche su altre piattaforme, altri supporti e in
altri formati, diversi da quelli tradizionali [Brooker 2001].
Rispetto ai prodotti seriali la situazione è piuttosto intrigante. La maggior
parte della serialità televisiva contemporanea, di qualità e high concept, di
provenienza statunitense, mette in atto numerose strategie per suscitare
quei processi di attivazione dello spettatore a cui abbiamo accennato
poco fa. Sostanzialmente, oltre ad avere ridefinito le pratiche sociali di frui-
zione, in termini di nuove modalità di consumo, più libere e intense, e ad
avere prodotto una modificazione sul piano del linguaggio (ad esempio i
dettagli iperrealisti di CSI, gli split screen e il timecode di 24), lo sfrutta-
mento delle risorse offerte dalle tecnologie digitali e dal Web come piat-
taforma di diffusione ha generato un fenomeno di affrancamento dei con-
tenuti dai supporti a cui un tempo erano saldamente legati (apparato cine-
matografico, videoregistratore ecc.), secondo un processo che porta gli
stessi contenuti audiovisivi a circolare ed essere fruiti su una grande mol-
teplicità di canali. Da qui, la necessità di offrire spazi alternativi a conte-
nuti veicolati inizialmente da media tradizionali, nonché l’elaborazione di
contenuti originali appositamente formulati per essere sfruttati attraverso
Internet. Come nota Anna Sfardini [2007, 84], «oggi, infatti, far parte di un
46 Profilo critico

pubblico significa vivere un’esperienza costitutiva della vita quotidiana,


apparteniamo a un’audience diffusa, immersi in una società pervasa dai
media che non solo definiscono e regolano la nostra quotidianità, ma ci
offrono continuamente occasioni per “essere parte di un pubblico”».
Si è reso dunque necessario un ripensamento dei formati narrativi tradi-
zionali rispetto alle caratteristiche e alle modalità di fruizione che il Web
possiede. In questo caso, alcune esperienze diventano particolarmente
rilevanti, esplorando le possibilità di sfruttamento di archivi e libraries,
suggerendo nuovi modelli narrativi, e lasciando spazio alle produzioni dal
basso degli stessi consumatori e fan di prodotti televisivi: minisodes, webi-
sodes e fan series, diventano dunque fenomeni la cui rilevanza aumenta
proporzionalmente al crescere del numero di episodi disponibili e di fan
catturati da questi prodotti e per i quali Internet è lo spazio di circolazio-
ne ideale e necessario.
Alla prima categoria, quella dei minisodes, appartengono forme seriali
organizzate all’interno del cosiddetto Minisode Network, uno spazio sul
social network MySpace che la Sony, produttrice di alcune serie di grande
successo degli anni Settanta e Ottanta tra cui Charlie’s Angels (1976-1981)
e Arnold (Different Strokes 1978-1986), ha dedicato ai suoi prodotti sto-
rici. Il nome nasce dalla contrazione di mini-episode e fa riferimento a un
nuovo formato di fruizione dei contenuti audiovisivi, in cui vengono pre-
sentati episodi delle serie citate, condensati in una durata di cinque minu-
ti circa. Un episodio standard di una sit-com dura in genere 20 minuti
senza pubblicità, mentre per le serie da prime time si raggiungono i 40
minuti senza spot. Ridurre la durata è un’operazione alquanto complessa:
per mantenere un filo conduttore devono essere eliminate le scene acces-
sorie e tagliate numerose sequenze, riducendo a pochi eventi il plot del-
l’episodio. La scommessa (apparentemente vinta) di Sony è dunque quel-
la di riadattare le serie televisive di successo, quelle che fanno parte della
nostra biografia di spettatori televisivi, effettuando una vera e propria tra-
duzione dal linguaggio televisivo a quello di MySpace, a riprova di quella
tendenza, tipica del Web 2.0, che è stata definita Snack Culture, ovvero
divorare televisione, film e musica con la voracità e la rapidità con cui si
divora uno snack. Dunque, un caso importante di rimediazione [Bolter e
Grusin 2002], di migrazione e di riciclo di contenuti pre-esistenti in un for-
mato inedito e perfettamente conforme con le regole di visione imposte
dalla rete.
Altro fenomeno interessante è quello dei webisodes, cioè episodi di una
serie di stampo e fattura televisiva, ma che viene trasmessa esclusivamente
su Internet, senza che sia necessariamente prevista una programmazione in
televisione di questi contenuti. Qui, le caratteristiche dei prodotti sono le
più disparate: dalla curatissima Prom Queen, all’esilarante Undercover
Cheerleaders, sorta di ibrido tra serie tv, reality show e una sempreverde
candid camera, alla più casalinga e autoreferenziale Break a Leg.
Prom Queen è forse il prodotto più high concept tra quelli qui menzio-
Una nuova Goldel Age 47

nati, si tratta di una serie la cui prima stagione è composta di 80 episodi


di circa 90 secondi l’uno e che rappresenta un ingresso in grande stile nel-
l’ambito dei programmi originali per la visione on line. Il plot è incentra-
to intorno a un gruppo di liceali che si sta preparando per il ballo di fine
anno e che ben presto sarà turbato da un inquietante SMS, ricevuto da uno
di loro, in cui si annuncia l’imminente omicidio della reginetta del ballo.
La serie ha generato per i produttori consistenti introiti legati alle spon-
sorizzazioni (ogni episodio si apre e chiude con il trailer di Hairspray –
Grasso è bello, di Adam Shankman e con il logo dell’operatore telefonico
Verizon, che offre la possibilità di vedere gli episodi della serie anche sul
proprio telefono cellulare), alla vendita dell’intero pacchetto di episodi
scaricabili tramite Amazon per 9.99 $ e al product placement, per cui gli
abiti e gli accessori sfoggiati dai teen-ager protagonisti della serie sono
acquistabili via Internet.
Undercover Cheerleader è invece una satira acuta e feroce degli stereoti-
pi sull’ignoranza degli americani e sulla loro continua necessità di farsi
paladini della lotta contro le ingiustizie, in un formato narrativo agile e
divertente, che dura all’incirca cinque minuti e che prevede un coinvolgi-
mento diretto da parte degli spettatori, che possono segnalare al team di
bionde cheerleader-giustiziere una situazione per la quale è richiesto il
loro intervento riparatore. Break a Leg, infine, è la storia di un giovane
autore di serie televisive che ha appena ottenuto il suo primo incarico
importante per un network, il plot sbeffeggia allegramente le logiche del-
l’entertainment tradizionale, articolandosi in episodi di durata paragona-
bile a quelli di una sit-com televisiva (circa 25 minuti suddivisi di norma
in 3 blocchi da 5-8 minuti l’uno). Inoltre, sul sito della serie è possibile tro-
vare una grande quantità di materiale canonico: interviste al cast e alla
troupe, bloopers e dietro le quinte. Questa serie, dunque, sfrutta tutte le
possibilità offerte dalla convergenza mediale (feed RSS, podcast, iTunes,
social network come MySpace, etc.), mantenendo però un forte legame
con i metodi più tradizionali di distribuzione di contenuti audiovisivi che
si evidenziano fortemente nella durata dei singoli episodi, che benché dis-
tribuiti a blocchi di breve durata, vanno a comporre un risultato finale che
non si discosta da quelli che sono i formati tipici della sit-com televisiva.
A chiudere il cerchio troviamo infine le fan series, appartenenti a tutti gli
effetti alla categoria degli User Generated Content (UGC), cioè quei mate-
riali resi disponibili sul Web e prodotti dagli utenti anziché da società spe-
cializzate. Censire questo tipo di realtà diventa per ovvi motivi piuttosto
difficile, a causa della estrema penetrazione raggiunta da hardware e soft-
ware semplici e a basso costo, che permettono a tutti di cimentarsi con la
produzione e la distribuzione di contenuti audiovisivi. È però possibile rin-
tracciare, tra la mole di contenuti prodotti da amatori, fan, dilettanti, colle-
zionisti e apprendisti (insomma, i cosiddetti spett-autori), alcune espe-
rienze che prendono le mosse proprio dai più noti prodotti seriali televi-
sivi, trovando nel Web il terreno ideale per quella circolazione cultuale che
48 Profilo critico

da sempre caratterizza le produzioni di fan fiction. Per fan fiction si inten-


de la produzione di storie e narrazioni che abbiano per protagonisti i per-
sonaggi dell’universo finzionale costruito dal prodotto culturale: si tratta
dunque di poesie, canzoni, racconti, sceneggiature di nuovi episodi, qua-
dri e poster, costruiti intorno ai personaggi prediletti dai fan. Internet con-
sente una diffusione rapida e capillare dei contenuti, e amplia l’ambito
produttivo ai contenuti audiovisivi, che benché certamente indirizzati a
un pubblico già coinvolto nel meccanismo, sono comunque di facile repe-
ribilità e accessibilità. Si apre allora uno scenario ricchissimo, al limite tra
pirateria e brillante rielaborazione, tra violazione del copyright e diritto
alla creatività [Lessig 2005].
Molti di questi prodotti prendono la forma della parodia: ad esempio, ispi-
randosi a Angel, serie creata da Joss Whedon come spin-off di Buffy, è pos-
sibile trovare in rete Cherub. Si tratta di una serie composta da due sta-
gioni di 12 e 13 episodi dalla durata di 4-7 minuti l’uno, dedicati alle avven-
ture di Cherub, poco credibile vampiro con pantofole di peluche. Si tratta
di un omaggio all’universo creato da Whedon (e che i fan identificano con
il termine Whedonverse) in forma di burlesca ripresa delle atmosfere e di
alcuni caratteri peculiari della serie. Se a prima vista si potrebbe pensare
a un divertissement per pochi iniziati, ci si rende però ben presto conto
che così non è. I primi episodi della prima stagione di Cherub hanno infat-
ti superato i 100 mila download, rivelando una potenzialità notevole e una
popolarità diffusa, nonché una cura nella produzione che, benché amato-
riale, si può considerare senz’altro professionale. Ma la fan series che più
di tutte ha entusiasmato una comunità longeva e sparsa in giro per il
mondo è sicuramente Star Trek: New Voyages, creata da Jack Marshall e
James Cawley nel 2003 e ambientata nell’universo di Star Trek. Distribui-
ta esclusivamente attraverso il download via Internet, la serie è pensata
per essere la continuazione dello Star Trek originale, quello con protago-
nisti il Capitano Kirk e il leggendario Dottor Spock.Ambientata nel quar-
to anno di viaggio dell’Enterprise, la serie si propone quindi di completa-
re il progetto iniziale di Gene Roddenberry, che ne aveva previste cinque
stagioni, mentre ne furono realizzate solo tre. Il primo episodio della serie,
prodotta grazie agli sforzi economici della nutrita schiera di appassionati
e volontari che ci lavora, è stato reso scaricabile nel gennaio 2004, mentre
attualmente sono disponibili tre episodi e il quarto è annunciato come
imminente. Nonostante i diritti di sfruttamento della franchise Star Trek
appartengano alla CBS, non sono stati compiuti atti volti a bloccare que-
sta produzione e la sua circolazione, facendo sì che Star Trek: New Voya-
ges goda di un certo grado di tolleranza, tradizionalmente riservata alle
opere dei fan relative a Star Trek dai detentori dei diritti. In realtà, questa
produzione gode anche dell’appoggio del figlio di Gene Roddenberry
come consulente e della partecipazione di alcuni attori del cast originale
(George Takei e Walter Koenig, rispettivamente Sulu e Chekov).
A conti fatti, le forme narrative seriali sul Web sono un fenomeno di tutto
Una nuova Goldel Age 49

rilievo e in evidente espansione. In uno scenario in costante movimento,


prodotti agili, facilmente visionabili in ogni momento della giornata, svin-
colati dalla ritualità di orario tipica del palinsesto televisivo, si vanno pro-
gressivamente affermando. Che si tratti di riutilizzo del proprio materiale
d’archivio (i minisodes Sony), di web series inedite e calibrate su un tar-
get specifico (l’adolescenziale Prom Queen) o di rielaborazioni, ripropo-
ste, e parodie prodotte dai fan, di fatto ci rendiamo conto di essere di fron-
te a un evento da non sottovalutare. E che dimostra, in ultima analisi, di
tenere in grande considerazione il proprio pubblico, identificandolo come
un pubblico motivato, attivo e abile nel selezionare, all’interno della gran-
de offerta di contenuti audiovisivi, percorsi personalizzati e meglio rispon-
denti alle proprie esigenze, facendo di questi prodotti e di tutti gli appa-
rati che li supportano (social network, blog, forum etc.) un luogo impor-
tante di socializzazione e di definizione del rapporto con le nuove forme
di intrattenimento mediale. Un pubblico ben disposto, insomma, a
(in)seguire la propria serie preferita nei meandri della rete.

2.4 Spettatori, fan, adepti


La televisione, secondo Ellis [1988], è un medium che si basa, evidente-
mente, sulla frequenza, poiché introduce prodotti che sono unici, ma nel
contesto però della ripetizione di una struttura che è costantemente aper-
ta. I prodotti televisivi, in gran parte, replicano se stessi ogni settimana,
secondo uno schema di ripetizione che tende a fissare nella memoria
dello spettatore storie, personaggi, modelli narrativi. Benché si mantenga
viva la necessità di conquistare e creare ogni volta un proprio pubblico, è
vero altresì che si può contare anche su spettatori fedeli, pronti a rinno-
vare ogni settimana il loro gradimento nei confronti di un programma, gra-
zie anche alla dilatazione e alla diluizione della narrazione che la serialità
televisiva permette. Questa dilatazione e diluizione, anzi, diventa un punto
di forza sulla via per la “cultualizzazione”di certi prodotti. Essa infatti carat-
terizza il rapporto del pubblico con un prodotto seriale, determinandone
una fidelizzazione che si gioca anche sulla lunga durata, come dimostra la
diversa gestione della serialità nel nostro paese, spesso sospesa quando il
riscontro immediato dei dati di ascolto non appare positivo. Siamo davan-
ti a prodotti di lunga durata, nonché a utilità ripetuta, che spesso sono
quindi in grado di trovare una seconda giovinezza attraverso il sistema
delle repliche (che in terra americana vanno avanti per decenni attraver-
so la catena delle reti televisive in syndication, affiliate ai network princi-
pali) e che sono certamente in grado, per il loro legame con un prodotto
riuscito e per le loro caratteristiche narrative, di generare successo e
fenomeni di culto.
Tra i format televisivi più coinvolgenti per i fan, ingaggiati in un’attività
partecipatoria intensa e ricca, ci sono proprio le serie televisive, che
determinano uno scenario particolarmente elaborato, all’interno del quale
fan e appassionati dedicano svariati prodotti della loro attività ai loro
50 Profilo critico

beniamini. Una combinazione di fattori pare essere la ragione per cui tali
formati sono particolarmente ben funzionanti nel generare assiduità e
attaccamento negli spettatori. In primo luogo, le forme seriali sono state
parte del panorama culturale da quando è nata la televisione (e prima
ancora erano patrimonio del pubblico radiofonico, di quello dei serial
cinematografici, nonché dei lettori di feuilleton). La longevità di questi for-
mat/generi è in grado di creare e al tempo stesso di alimentare e mante-
nere la lealtà che i fan vi dedicano. Inoltre, questo tipo di prodotto pre-
senta una struttura seriale di lunga/lunghissima durata che evidentemen-
te contribuisce allo stabilirsi della fedeltà dei fan e al suo mantenimento.
Ancora, i fan rispondono in maniera così estesa alle sollecitazioni espres-
se da soap e serie anche a causa dei loro contenuti e dei loro temi speci-
fici, che attirano particolari categorie di spettatori e sono determinanti nel
mantenere la fedeltà e l’interesse degli appassionati lungo un periodo di
tempo dilatato.
In particolare, le soap e le serie di ambientazione domestica, con il loro
strutturarsi attorno alle tematiche delle relazioni, della famiglia e agli intri-
ghi romantici fanno sì che il pubblico vi si appassioni anche in virtù di una
funzione di identificazione. La fantascienza, invece, rende possibile inclu-
dere, oltre al fascino per l’avventura e la scoperta, anche una serie di valo-
ri di riferimento, quali il rigetto della discriminazione razziale, di genere, di
religione, che consentono al prodotto di fare presa sui fan, come ben
dimostra il grande seguito di Star Trek.
Dunque, il successo e l’efficacia di penetrazione di questi programmi non
si misura unicamente nei termini degli indici di ascolto, ma ha a che fare
anche e soprattutto con la loro capacità di suscitare reazioni negli spetta-
tori, e di accendere e stimolare la loro rielaborazione critica, come dimo-
stra il fallimento negli USA della serie Firefly (una sola stagione nel 2002)
ideata da Joss Whedon, la cui chiusura anticipata ha però indotto i fan più
assidui ad acquistare una pagina su Variety e a sollecitare una campagna
di protesta contro la rete UPN, nel tentativo di salvare la loro serie prefe-

Syndication
Nell’ambito della diffusione di programmi televisivi (e radiofonici) si
parla di syndication per indicare la vendita dei diritti di messa in onda
di show a più stazioni. È un fenomeno molto comune in paesi, come
gli USA, in cui la televisione è organizzata intorno a network, cioè a
reti centrali di distribuzione di contenuti a cui si aggregano affiliati
locali. Le syndication sono quindi circuiti che trasmettono prodotti “di
seconda mano”, benché comunque “dignitosi” come ad esempio
repliche di episodi di serie tv già trasmesse dai network principali.
Questo sistema può essere molto remunerativo poiché garantisce un
Distribuzione
numero molto alto di passaggi televisivi, con un conseguente aumento
di contenuti nella vendita di spazi pubblicitari.
Una nuova Goldel Age 51

rita. Generando la loro personale versione dell’universo narrativo della


serie di cui sono appassionati, i fan usano lo strumento della scrittura per
esprimere la risposta emotiva che lo show genera in loro, per commenta-
re ciò che accade nel programma, per discuterne i personaggi e gli even-
ti e per analizzare la serie stessa.Alcuni dei racconti scritti dai fan hanno
ad esempio la funzione di riempire i vuoti lasciati dalle sceneggiature uffi-
ciali, spesso arricchendo i personaggi di sfumature e risvolti emotivi ine-
diti, altri ancora invece tendono a stabilire relazioni amorose tra determi-
nati personaggi che sono solo accennate nello show.
Comunemente, il lavoro dei fan viene etichettato come fan fiction, cioè
quella pratica molto diffusa di scrivere storie che abbiano per protagoni-
sti i personaggi di un determinato prodotto mediatico (una serie tv, un
fumetto, etc.), aiutando i fan a sentirsi intimamente connessi e legati ai
personaggi e al marchio di riferimento, in maniera simile a quanto accade
attraverso la frequentazione di siti Internet, blog e forum di discussione.
La produzione di fiction da parte dei fan permette ai partecipanti di gio-
care con i personaggi e le situazioni, diventando parte attiva dell’universo
di riferimento. Esiste anche un fenomeno complementare che è detto
slash fiction, storie cioè in cui i nomi dei personaggi principali coinvolti
sono indicati con il simbolo “/” che li unisce denotando intrecci sessuali
raccontati nella storia (particolarmente numerosi i contributi dei fan in
cui si mettono in relazione il capitano Kirk e il Dottor Spock per Star Trek
serie classica, fenomeno che hai poi dato vita a diversi studi sulla slash fic-
tion di Star Trek). La fan fiction possiede svariati formati e alle produzio-
ni scritte (racconti, sceneggiature, poesie) si affiancano anche prodotti più
complessi quali appunto le fan art (elaborazioni grafiche, poster, foto-
montaggi al cui centro stanno i personaggi di una serie), le fan series, di
cui abbiamo parlato nel paragrafo dedicato alle forme seriali sui nuovi
media, le songfic (i fan compongono canzoni sulla base di canzoni esi-
stenti, in cui modificano le parole inserendovi riferimenti al mondo del
prodotto di cui sono ammiratori), i fenomeni di cosplaying.
Diventa quindi importante soffermarsi sulle relazioni che si instaurano tra
la serie e le storie, così come sulle storie al di là della serie. In particolare,
esistono una serie di sottogeneri all’interno delle storie scritte dai fan, tra
i quali le slash fiction e tutto quanto ha che fare con la sfera sessuale, ma
anche le fan fiction chiamate hurt-comfort, in cui in genere si racconta la
storia di un personaggio immaginandolo malato, ferito o torturato e cura-
to e ristabilito attraverso le cure di un altro dei personaggi, facendo sì che
le cure ricevute/prestate inducano un grado inedito di intimità che spes-
so rivela, anche in questo caso, intrecci romantici. Come nota Kristina
Busse [2002], i fan possono, a partire da queste poche coordinate, costrui-
re complesse storie, che spesso ipotizzano complicate e morbose relazio-
ni familiari, incesti e relazioni disfunzionali all’interno di uno show che
manifesta comunque una rappresentazione della famiglia piuttosto com-
plessa (genitori assenti o disattenti, o intolleranti) e in cui le relazioni tra
52 Profilo critico

personaggi apparentemente distanti spesso si fanno metafora delle rela-


zioni familiari.
Ulteriore particolarità del rapporto che si viene a costruire tra la serie e i
fan è relativa al modo in cui il prodotto si dimostra in grado di riconosce-
re l’attività dei suoi ammiratori all’interno dello show stesso. Diversi epi-
sodi di Buffy, ad esempio, mettono in gioco proprio la complessa relazio-
ne tra i testi prodotti dai fan e i testi prodotti dagli sceneggiatori della
serie. Quello che accade in molti episodi di Buffy, in virtù della flessibilità
narrativa di cui abbiamo parlato in precedenza, è infatti la concretizzazio-
ne di quelle che sono alcune delle modalità di interazione ricorrenti tra i
fan e la serie, ovverosia la realizzazione di episodi che trattano proprio
quei temi e quei possibili universi tanto cari ai fan. Ogni episodio di Buffy
riconosce dunque l’esistenza e l’attività dei suoi fan, invitandoli a una let-
tura attenta e specializzata, sviluppando un linguaggio e uno stile visivo
che i fan imparano presto a riconoscere e che a loro volta adottano nelle
proprie produzioni [Larbalastier 2002]. Accade ad esempio nell’episodio
Qualcosa di blu (Something Blue, stagione 4, episodio 9) dove la messa in
scena di una storia d’amore tra due personaggi antagonisti (Spike e Buffy)
attiva i meccanismi tipici della slash fiction tradizionale, che prevede che
due personaggi apparentemente non passibili di divenire una coppia (la
Slayer e il vampiro, appunto) vengano posti uno accanto all’altro.
Le forme televisive seriali si aprono dunque ad una lettura di piacere, che
vive secondo una modalità di godimento giocata sulla ripetizione, sulla
variazione infinita, sulla competenza intertestuale del pubblico, che è con-
tinuamente chiamato in causa, con allusioni e ammiccamenti. I personaggi
e gli attori, pur appartenendo a due ordini di realtà in apparenza incompa-
tibili, vengono allora interpretati come “vicini”. Il culto del programma è
cura e interesse per loro, conoscenza dei dettagli della loro vicenda, inter-
pretazione dei loro pensieri, citazione dei loro detti, imitazione, emozione
per le loro peripezie. Gli spettatori di culto sanno benissimo che la tra-

Cosplaying
Si tratta di una subcultura nata in Giappone e centrata sull’abbigliarsi
come personaggi di manga, anime, serie e videogames. Il termine è il
frutto di una contrazione tra “costume”, abito e “play”, giocare, ma
anche recitare. In Giappone è un hobby diffuso con nutrite comunità di
cosplayer che si ritrovano per ammirare i costumi altrui e mostrare i
propri, fatti a mano da loro stessi, partecipando a gare per il miglior
costume. Si pratica in situazioni pubbliche, come fiere dedicate a
fumetti e videogiochi, ma anche feste a tema cosplay in locali notturni
e parchi tematici. La tendenza più recente è in Giappone è l’aumento
di popolarità del cosplaying legato a film e prodotti non giapponesi,
per esempio le saghe cinematografiche Matrix, Star Wars, Il signore
Fandom degli anelli, Harry Potter.
La serialità nel sistema dei media 53

smissione che li interessa così tanto è finzionale, ma ciò non diminuisce


l’interesse che essi provano nei confronti dell’universo narrativo di riferi-
mento e dei personaggi che lo abitano, come dimostra il proliferare di blog
“gestiti” dai personaggi di una serie (come il blog di Hiro Nakamura, per-
sonaggio della serie Heroes, ora chiuso, ma per tutta la durata della prima
stagione reperibile all’indirizzo http://blog.nbc.com/hiro_blog/) o i profili
dei personaggi di una serie inseriti su social network quali MySpace o Face-
book.
I programmi di culto [Gwenllian-Jones e Pearson 2004, Monteleone 2005;
Scaglioni 2006; Volli 2002] creano un delicato equilibrio fra realtà e sur-
realtà, che precede in certa misura uno sforzo analogo che sarà compiuto
dai loro cultori. Le trasmissioni di culto non importano la realtà nella sfera
della fiction televisiva, ma al contrario esportano questa nel comporta-
mento, nelle abitudini, nella sfera del vissuto più intenso del suo pubblico.
Si tratta infatti di creare non solo un luogo mentale riconoscibile, in cui sia
possibile abitare a lungo, ma anche di regolare le interferenze e gli attriti
che vi sono fra il mondo possibile del culto e quello reale, in maniera tale
da permettere agli spettatori di usare il culto come un codice di interpre-
tazione che permetta di conoscere e di filtrare la vita sociale.

3. La serialità nel sistema dei media

Dopo aver ripercorso nel capitolo 1 le tappe dell’affermazione dei pro-


dotti televisivi seriali, e dopo essersi soffermati nel capitolo 2 sulle pecu-
liarità linguistiche, promozionali e di fruizione delle serie televisive, è ora
utile approfondire l’analisi del ruolo di questi oggetti all’interno del siste-
ma dei media, cercando di indagarne da vicino la rilevanza nella cultura
contemporanea e l’influenza rispetto ad altre forme di racconto mediale.
La storia dei media di massa è intrinsecamente legata al concetto di seria-
lità poiché, come è stato sottolineato nel primo capitolo, processi di seria-
lizzazione sono stati adottati dall’industria dell’intrattenimento nei conte-
sti più diversi: da quello cinematografico (i serial degli anni Dieci e Venti),
a quello radiofonico (le soap opera), a quello, infine, eminentemente tele-
visivo, (le soap opera migrate dalla radio alla televisione, ma anche le sit-
com, le fiction, e i più recenti modelli di intrattenimento seriale, come rea-
lity show e lifestyle program).
Le origini di questo legame vanno rintracciate all’interno della società
occidentale e capitalistica del XIX e XX secolo, fortemente segnata dai
processi di industrializzazione, urbanizzazione, tecnologizzazione e
modernizzazione. È in quel contesto, infatti, che si manifesta il fenome-
no noto come industria culturale. Sostanzialmente, anche la cultura e
l’arte sono costrette a fare i conti con la tecnologia che permette la
riproducibilità tecnica [Benjamin 1966], e dunque con una maggiore
accessibilità, diffusione e circolazione di queste forme di sapere. Quan-
54 Profilo critico

do si parla di industria culturale si intende pertanto considerare la pro-


duzione culturale nei termini di una produzione industriale, massificata
e standardizzata.
Nel 1944, Theodor W. Adorno e Max Horkheimer pubblicano Dialettica
dell’illuminismo, in cui il termine industria culturale è usato per riferirsi
a forme culturali definite non tanto da logiche creative, quanto piuttosto
dalla logica dell’accumulazione del capitale, determinando una manipola-
zione del desiderio, funzionale a produrre consumatori. Sarà Edgar Morin
in Lo spirito del tempo [1962], a porsi l’obiettivo di ridimensionare il
ruolo della cultura alta, dando il via ad una operazione di rivalutazione
della cultura di massa. In Italia questa tendenza sarà ben rappresentata da
Umberto Eco che in Apocalittici e integrati [1964] interviene sulla que-
stione, impostando un discorso sui mass media e a difesa della cultura di
massa.
Nonostante le accezioni negative che di volta in volta vengono attribuite
all’idea di mass media e di cultura di massa, dunque, è possibile focalizzare
meglio l’oggetto del discorso partendo da una definizione condivisa: per
media di massa si intendono tutti quei mezzi di comunicazione che sono
strutturati in modo tale da raggiungere un’audience molto vasta e, di
norma, piuttosto indistinta. Tra i media audiovisivi cinema e televisione
appartengono entrambi a questa categoria, ma è piuttosto evidente come il
medium televisivo possa essere considerato, certamente più del cinema, un
medium seriale per eccellenza, soprattutto considerando la conformazione
narrativa e le modalità di programmazione che sono caratteristiche delle
serie televisive studiate e analizzate nel primo e nel secondo capitolo.
A partire dagli anni Ottanta del Novecento, però, il processo di serializza-
zione non riguarda più soltanto le serie televisive, che pure costituiscono
il principale oggetto del nostro interesse, ma sembra invece divenire carat-
teristico di tutta l’industria dell’intrattenimento. In particolare, in ambito
televisivo si assiste all’affermarsi di alcune modalità di programmazione
che determinano un importante cambiamento.
L’ambito italiano rende bene l’idea di questo cambiamento: in quegli anni
in Italia si va affermando la cosiddetta neotelevisione, termine coniato da
Umberto Eco per indicare i programmi della tv pubblica negli anni Ottan-
ta.Alla radice di questo cambiamento sta l’entrata in campo della concor-
renza delle televisioni commerciali, che spingono la RAI a rinnovare pro-
fondamente le caratteristiche comunicative, i contenuti e il linguaggio dei
suoi programmi. Questo cambiamento di indirizzo assume perciò un rilie-
vo tale che, in contrasto con le caratteristiche assunte dalla neotelevisio-
ne, i programmi dei decenni precedenti verranno etichettati con il termi-
ne paleotelevisione. La neotelevisione abbandona dunque il modello
pedagogico che aveva caratterizzato le sue trasmissioni negli anni Cin-
quanta e Sessanta e, per fronteggiare l’agguerrita concorrenza dei nuovi
attori privati, punta particolarmente alla spettacolarizzazione e all’intrat-
tenimento, con programmi che vengono a tutt’oggi ricordati per aver
La serialità nel sistema dei media 55

aperto la strada a un nuovo modo di fare televisione, tra i quali possiamo


ricordare Pronto, Raffaella?, Quelli della notte, Telefono giallo. I palinse-
sti si allargano a dismisura arrivando, in breve tempo, a colonizzare tutte
le ore della giornata, con programmi appositamente studiati per le diver-
se fasce orarie e per i pubblici corrispondenti.Ancora, con l’avvento della
neotelevisione si riduce la distanza tra telespettatore e conduttore [Caset-
ti 1988], il coinvolgimento dello spettatore all’interno dei programmi tele-
visivi è sempre più intenso (con espedienti di vario tipo, dalle telefonate
in diretta, ai programmi in cui gli spettatori e le loro storie diventano pro-
tagonisti) [Pozzato 1995], e la televisione si fa sempre più metatelevisio-
ne, diventando quindi sempre più autoreferenziale e aprendo la strada
all’affermazione di programmi come Blob e Schegge, in cui è la televisio-
ne stessa a diventare protagonista [Bruno 1994].
In quegli stessi anni, la pervasività del seriale viene a coinvolgere anche
altri ambiti televisivi. La serialità non è più una caratteristica dei formati
che storicamente l’hanno adottata, sia dal punto di vista produttivo che
dal punto di vista narrativo, ma si estende a tutti i generi televisivi, influen-
zando l’intrattenimento, così come i programmi di informazione e quelli
con un carattere più spiccatamente culturale ed educativo. Quello a cui si
va incontro, dunque, è un fenomeno di serializzazione dell’intrattenimen-
to televisivo, che come abbiamo visto diventa la forma predominante della
neotelevisione.
All’interno del palinsesto è possibile rintracciare diverse tipologie di pro-
grammi, che possono però essere ridotte a due grandi macrocategorie: i
programmi non prodotti appositamente per la tv e quelli di specifica pro-
duzione televisiva [Grignaffini 2004, 41].Alla prima categoria appartiene,
ad esempio, il cinema, ma anche la trasmissione televisiva di un evento
extratelevisivo (un concerto, un evento sportivo) caratterizzato da unicità
e necessità di uno sfruttamento immediato.Alla seconda categoria appar-
tengono invece tutti i programmi presenti nel palinsesto, appositamente
costruiti secondo i criteri comunicativi e di fruizione del medium televi-
sivo e che, di fatto, sottostanno a una logica di tipo seriale. Infatti, i pro-
grammi prodotti appositamente per la televisione sono caratterizzati da
un forte grado di replicabilità, che riguarda sia la loro utilità ripetuta, sia la
logica tipica della programmazione televisiva che presuppone la costru-
zione di appuntamenti ben scanditi all’interno della giornata o della setti-
mana. I programmi televisivi non rappresentano un evento unico e irripe-
tibile, ma sono invece caratterizzati dalla concatenazione in puntate setti-
manali o in più appuntamenti all’interno della giornata televisiva. Nel
primo caso ci troviamo davanti ai talk show a cadenza settimanale (Bal-
larò, Le invasioni barbariche), ai programmi di intrattenimento (Per un
pugno di libri, Che tempo che fa), ai programmi culturali (Ulisse). In que-
sto ambito possiamo inoltre inserire anche tutti quei programmi che costi-
tuiscono, attraverso la concatenazione seriale, l’appuntamento quotidia-
no: pensiamo ad esempio ai programmi che occupano la fascia meridiana
56 Profilo critico

(La prova del cuoco), ai quiz serali (L’eredità, Affari tuoi), all’intratteni-
mento offerto da un programma come Striscia la notizia. In sostanza, i
programmi che caratterizzano il medium televisivo sono costruiti secon-
do forme di concatenazione che presuppongono due tipologie di movi-
mento: da un lato, la struttura dell’offerta televisiva prevede una concate-
nazione verticale, cioè relativa alla connessione tra i programmi inseriti
nel palinsesto giornaliero, mentre dall’altro ogni emittente televisiva posi-
ziona i programmi secondo una concatenazione orizzontale, cioè relativa
al palinsesto settimanale, spesso ripetendo in striscia i programmi di gior-
no in giorno.
Dunque, il processo di serializzazione – che abbiamo visto essere conna-
turato alla storia dei media di massa e che riguarda non solo le serie tele-
visive ma in generale la programmazione mediatica – può essere sintetiz-
zato intorno a tre punti fondamentali.
In primo luogo, il processo di serializzazione riguarda i formati più tradi-
zionali e cioè i prodotti cinematografici e le serie televisive di stampo più
classico. A partire dagli anni Ottanta si assiste infatti ad un ritorno delle
forme seriali al cinema, con serie di grande successo come Indiana Jones
(I predatori dell’arca perduta, 1981; Indiana Jones e il tempio maledet-
to, 1984 e Indiana Jones e l’ultima crociata, 1989) e Ritorno al futuro
(Ritorno al futuro, 1985; Ritorno al futuro parte II, 1989 e Ritorno al
futuro parte III, 1990). Per ciò che riguarda le serie televisive, il modello
di serialità più tradizionale viene rimesso in discussione attraverso un
rimaneggiamento dei formati e del materiale narrativo che è noto come
serializzazione della serie (vedi Profilo critico, 1.3).
In secondo luogo, a partire dal periodo che abbiamo descritto, si avvia un
meccanismo che instaura un “effetto alone”, che si sostanzia nell’espan-
sione dei formati e dei contenuti seriali al di fuori dall’ambito circoscritto
delle serie televisive, imponendo invece un’invasione e una colonizzazio-
ne del palinsesto da parte di programmi che appartengono alla più vasta
categoria dell’intrattenimento. Si tratta dunque di un effetto che riguarda,
ad esempio, i reality show che, nella televisione generalista, proliferano a
partire dal momento stesso in cui vengono proposti. Inserito all’interno di
un contenitore di tipo spettacolare e di intrattenimento, questo tipo di
programma si espande e si allarga in molti altri contesti, eludendo lo spa-
zio chiuso e circoscritto all’interno del quale dovrebbe rimanere confina-
to (l’isola, la casa, la fattoria etc.) e andando invece a occupare i più sva-
riati spazi del palinsesto (dai telegiornali ai talk show, dai contenitori
domenicali ai programmi di satira). Nel momento in cui questa colonizza-
zione ha luogo, nel momento in cui questo prodotto entra a più livelli
nello spazio esperienziale del telespettatore, esso attiva a tutti gli effetti
meccanismi di concatenazione seriale che rafforzano la convinzione che
il processo di serializzazione in atto sia di buon grado allargato all’intero
ambito mediale, piuttosto che circoscritto alla sola sfera delle serie televi-
sive.
La serialità nel sistema dei media 57

L’effetto alone, infine, assume una forma ancora più complessa ai giorni
nostri, attraverso l’instaurarsi di un processo di espansione transmediale
che fa sì che i prodotti seriali televisivi esondino dai confini del medium
per il quale sono inizialmente pensati e tendano invece a migrare verso
altri media (Internet, i videogiochi, i telefoni cellulari). Siamo, in questo
caso, nell’ambito della costruzione di prodotti multipiattaforma, basati su
forme narrative transmediali, modulari e high concept (vedi Profilo criti-
co, 2.2 e 2.3), per le quali il medium televisivo rappresenta semplicemen-
te una sorta di punto di ingresso all’interno di universi finzionali molto più
complessi e articolati.

3.1 L’innovazione tecnologica e l’esperienza mediale


Un altro aspetto rilevante nelle nuove logiche della serialità in relazione
allo scenario allargato dei media riguarda il rapporto tra innovazione tec-
nologica, modificazione delle forme seriali ed esperienza mediale.A parti-
re dagli anni Ottanta, lo sviluppo del mondo dei media, dell’entertain-
ment e, più in generale, dell’industria culturale, ha reso questo settore
capace di attirare ingenti investimenti economici. Ciò ha provocato, come
conseguenza principale, una serie di ristrutturazioni, sia nel senso di forti
processi di aggregazione industriale, sia nella direzione della proliferazio-
ne di start-up caratterizzate da tecnologie e contenuti innovativi.
Si registra dunque un forte aumento delle risorse destinate alla pubblicità
e alle operazioni di marketing, con il fine di ottenere un incremento pro-
gressivo della visibilità delle merci culturali e garantire processi di fideliz-
zazione nei loro confronti. I testi dell’industria culturale sono sempre stati
contornati da un ampio materiale paratestuale in grado di incrementare al
massimo le possibilità di commercializzazione, diretta o parassitaria, di
merci connesse ai prodotti audiovisivi stessi (videogiochi, novellizzazioni,
romanzi, poster ecc.) e di orientare le strategie di consumo, segnalando le
categorie di gusto in cui i testi andavano collocati e fruiti (critiche, com-
menti, trailer, promo televisivi ecc.). Oggi, però, a causa del proliferare
delle strategie di integrazione tra i vari media, non è sempre scontato
riuscire a distinguere tra testualità primaria (il testo, l’episodio di una serie
ecc.) e testualità secondaria (il suo commento, la sua promozione).
Sembra allora di trovarsi di fronte a un’inversione dei rapporti abituali, da
un lato in termini quantitativi, poiché i siti che parlano delle serie tv, le
strategie promozionali che ne segnalano l’esistenza, sono capaci di attra-
versare i media e di diffondersi con maggiore efficacia degli episodi stes-
si della serie e, dall’altro, in termini qualitativi. Infatti, oggi, certe forme di
marketing virale delle serie tv, o segmenti di culture partecipative in rete
a esse connessi, sono sempre più considerati occasioni di creatività, di ori-
ginalità estetica, e a volte guadagnano un riconoscimento sociale autono-
mo: si pensi al caso di The Blair Witch Project, con la sua campagna pro-
mozionale in rete o ancora al rapporto tra Lost e Lost Experience.
L’innovazione tecnologica ha poi esercitato una forte pressione su tutto il
58 Profilo critico

comparto mediale. Ma ciò non è sempre avvenuto secondo le direttrici


indicate dalle previsioni. In passato si era prevista una sempre maggiore
frattura tra vecchi media passivi e nuovi media interattivi, con una netta
distinzione e successione tra i due universi. Ma ciò di cui ci si è resi conto
è che i vecchi media non muoiono mai del tutto e, assieme ai nuovi media,
essi cercano di ridisegnare se stessi.
Lo stesso fenomeno della cultura convergente o della convergenza media-
le, analizzato da uno studioso come Henry Jenkins [2007], è un insieme di
almeno tre elementi: la circolazione di contenuti attraverso vari media,
cioè la loro scalabilità; la cooperazione tra industrie dei media; il compor-
tamento dell’audience che si sposta di tecnologia in tecnologia, di sup-
porto in supporto per vedere e fruire ciò che sta cercando. Tutto ciò è
reso possibile dallo sviluppo tecnologico, in breve, dalla rivoluzione digi-
tale e dalla diffusione della rete, ma non è un caso che si parli appunto di
“cultura convergente” e non di “tecnologia convergente”. Siamo davanti a
un altro caso eloquente di previsione sbagliata. In passato gli studiosi
erano stati propensi a ipotizzare l’imminente comparsa di strumenti in
grado di convogliare in un unico sistema centrale una moltitudine di con-
tenuti. Si è rivelato un errore, che Jenkins chiama «errore della scatola
nera» (black box fallacy).Al contrario, infatti, i sistemi di diffusione hard-
ware divergono e si assiste piuttosto alla proliferazione delle scatole nere,
mentre sono i contenuti a convergere. In sostanza, le forme di convergen-
za non hanno riguardato tanto l’hardware come si era ipotizzato negli
anni Novanta (la creazione di un unico dispositivo capace di trattare tutti
i flussi mediali), ma hanno piuttosto riguardato il software (un unico con-
tenuto in grado di adattarsi a più dispositivi). Le mutazioni più significati-
ve portate dalla convergenza mediale investono infatti il lato della produ-
zione, quello della testualità e quello della fruizione.
La digitalizzazione dei media ha generato un fenomeno di affrancamento
dei contenuti dai supporti, secondo una dinamica che porta gli stessi con-
tenuti audiovisivi a circolare (ed essere fruiti) su una grande molteplicità
di canali e di supporti. Il fenomeno di diffusione di contenuti “scalabili” ha
ricadute immediate sia in termini di una modificazione degli assetti com-
plessivi dei formati narrativo-testuali, sia in termini di riadattamento dei
contenuti dei media tradizionali. La messa in circolo di nuove forme seria-
li, a volte molto brevi e pensate per la diffusione via Web o su dispositivi
mobili, ha portato a una notevole variabilità della scala delle grandezze dei
supporti, sia verso la miniaturizzazione, in linea con i più diffusi processi
di quotidianizzazione mobile (per cui i miniscreen, e le serie tv e gli
eventi sportivi fruiti sugli schermi di palmari e cellulari sono l’equivalen-
te, nella sfera mediale, di quel più ampio processo tecnologico che fa sì
che anche agende, PC, sistemi di scrittura ecc. abbiano preso una dimen-
sione portatile, si siano adattati all’ambiente quotidiano miniaturizzato gra-
zie al quale l’uomo flessibile moderno rende mobile la propria domestici-
tà), sia verso il recupero di una dimensione spettacolare aggiornata tec-
La serialità nel sistema dei media 59

nologicamente e volta al gigantismo (parchi a tema, I-MAX, megascreen


ecc.).
Quindi, se da un lato si riscontra l’emergere della riusabilità e della granu-
larità dei contenuti, su un altro versante si impongono forme di spettaco-
larità inglobanti che si propongono o come contenitori modulari della
testualità mediatica dispersa nei processi di quotidianizzazione mobile,
oppure rispondono a logiche di partecipazione ad eventi mediatici in cui
il processo di fruizione di un testo diventa parte integrante di un’espe-
rienza totalizzante.
Su un altro versante si assiste a processi di serializzazione dei media tra-
dizionali e dei testi audiovisivi ad essi originariamente dedicati. Le forme
tradizionali di serialità sono rimediate nel nuovo contesto tecnologico,
come avviene sul Web, quando serie inizialmente pensate per il piccolo
schermo vengono riformattate per la fruizione su schermi ancora più
portatili in mini episodi di pochi minuti ciascuno (come abbiamo visto a
proposito di fenomeni come webisodes e minisodes).
Inoltre, ci sono degli effetti di ritorno che i processi di rimediazione
hanno sulle dinamiche seriali dei media tradizionali, sia che si tratti di cine-
ma, dove la logica della serie (che lo aveva pure ampiamente riguardato)
assume contorni nuovi, per esempio quelli della estrema frammentazione
per forme brevi (si pensi a un film come Sin City), oppure quella del “to
be continued” (con cui, per esempio si stabilisce il passaggio da episodio
a episodio in film come Matrix, Kill Bill, Pirati dei Caraibi); sia che si trat-
ti di televisione, dove, accanto al fenomeno della nuova serialità centrale
in questo libro (24, Dr. House, Heroes, Lost ecc.), si assiste al diffondersi
della logica dei programmi interstiziali (come Camera Cafè), dove in
genere i singoli episodi sono legati a una dinamica seriale per brevi bloc-
chi, minimali per durata e per costruzione formale, in genere realizzati
attraverso una o poche inquadrature fisse.
Infine, sono osservabili notevoli cambiamenti sul versante della fruizione.
Anche qui il problema è complesso. Da un lato infatti appare del tutto legit-
timo, anche a proposito dei new media, parlare di processi disciplinari,
così come si è fatto, assai proficuamente, a proposito del cinema. France-
sco Casetti ha ricordato di recente come il cinema funzioni nei termini di
una pratica disciplinare: «se è vero che il cinema regola l’occhio, non rego-
la nello stesso modo i corpi» [Casetti 2005, 283]. Nel medium cinemato-
grafico esiste una disciplina dell’occhio, lo sguardo è tenuto a seguire
determinati percorsi. Eppure i rituali sociali imposti dalla frequentazione
degli spazi di una sala cinematografica non sono rigidi o costrittivi, anzi
essi spesso «rompono vecchie divisioni sociali, fanno lievitare le promi-
scuità...» [Casetti 2005, 283]. Al contrario, certe forme dello spettacolo
audiovisivo contemporaneo costringono i corpi verso quel tipo di disci-
plina che il cinema non aveva voluto/saputo imporre loro. Si pensi agli
apparati di contenzione nelle attrazioni dei parchi tematici, alla necessità
di un posizionamento spaziale assai vincolante dello spettatore in alcune
60 Profilo critico

forme immersive (I-MAX, 3D, ecc.), all’insieme di sensori e dispositivi e


interfacce che monitorano, tracciano, regolano il complesso dei movimen-
ti dei giocatori in certi videogiochi. Per questa via non sarebbe difficile
riconoscere allo scenario dei nuovi media un carattere di aggiornamento
disciplinare nel quale, rispetto al cinema, la posta in gioco sarebbe proprio
quella di passare da una disciplina dell’occhio a una disciplina del corpo,
da una disciplina dei corpi sociali a una disciplina dei corpi individuali.
È però del tutto evidente che oggi l’esperienza mediale configura anche
possibilità di movimento, creatività e partecipazione inimmaginabili nello
scenario degli old media. Le nuove tecnologie hanno favorito un proces-
so di delocalizzazione e de-istituzionalizzazione dell’esperienza di fruizio-
ne: dai palmari, ai multiplex, passando per gli schermi dei computer, gli
spettatori sono sempre più chiamati a definire le regole di interazione, i
tempi, i modi, le situazioni d’uso dei prodotti audiovisivi. Inoltre, esse
hanno reso più visibili e diffuse forme di partecipazione attiva, di discus-
sione on-line tra appassionati, di contatto e influenza dei fruitori nei con-
fronti di settori della produzione dei testi, al punto da indebolire la distin-
zione stessa produzione/fruizione.
In realtà, oggi siamo di fronte a una crescita delle cornici di fruizione
[Fanchi 2007]. E tali cornici sono definite da caratteristiche proprie delle
piattaforme (la loro complessità tecnologica, la loro allocazione in una
sfera più o meno privata, la loro “mobilità”, ecc.) ma anche dall’immagine
sociale, che i fruitori costruiscono intorno alle piattaforme stesse, cioè dal
modo in cui le usano (spesso le caratteristiche oggettive degli ambienti
mediali sono ignorate o distorte dai fruitori).
Si danno quindi diverse forme di esperienza mediale, ognuna caratterizzata
da differenti cornici di relazione con i prodotti audiovisivi e le tecnologie
di delivery.Accanto alla sopravvivenza di forme classiche, caratterizzate da
relazioni intense tra spettatore e prodotto audiovisivo, fortemente regolate
dalla tipologia del testo fruito, e marcate da dinamiche di fruizione comu-
nitaria, ancora regolate da luoghi istituzionali come la sala cinematografica,
i multiplex ecc, i palinsesti tradizionali, ve ne sono altre più aperte. Queste
ultime sono caratterizzate da percorsi di visione individuali ed esplorativi,
effettuati in un regime di attenzione variabile e non indirizzato in modo
esclusivo a una sola risorsa. In quest’ultimo caso, le componenti di rottura
sono più evidenti, poiché gli utenti riutilizzano i testi in funzione ludica e
manipolativa, piegando gli oggetti mediali ai propri gusti e necessità. È l’u-
niverso degli User Generated Contents, della loro conquista di un sempre
maggiore spazio mediale ed economico, ma anche dei blogger e delle
comunità di fan, descritto anche in precedenza (vedi Profilo critico, 2.4), le
cui potenzialità in termini di cultura partecipativa sono già state chiarite.

3.2 Spazio, tempo, durata


La struttura modulare della serialità contemporanea contribuisce a ridefi-
nire in gran parte concetti familiari alle teorie del racconto: espressioni
La serialità nel sistema dei media 61

come “compattezza diegetica” e “mondo arredato” perdono di significato


o lo mutano. Una caratteristica dei testi conclusi è di presentare mondi
diegetici perfettamente arredati e non modificabili. Lo spazio di un audio-
visivo tradizionale (per esempio un film di genere) è aperto a varie possi-
bilità combinatorie, ma finito e definito in modo stabile. La nuova seriali-
tà, invece, tende sia a spingersi oltre i confini tradizionali del format di pro-
venienza, a sviluppare matrici di narrazioni che si propagano su diverse
piattaforme, sia a predisporre, all’interno delle singole serie, mondi diege-
tici espandibili di continuo, cioè perfettamente definiti, arredati, ma non
stabili. Abbiamo visto (Profilo critico, 2.2) come ci sia una differenza
sostanziale tra un high concept cinematografico, che rimane in sostanza
legato a un numero finito di situazioni o personaggi (universo implemen-
tabile, ma singolare), e le nuove serie caratterizzate da incessanti possibi-
lità di ridefinizione del mondo diegetico. Nella neo-serialità si trovano
appunto universi iper-diegetici: universi vasti, dettagliati, di cui solo alcu-
ne porzioni vengono di volta in volta perlustrate, ma di cui altre porzioni
sono sempre suscettibili di ampliamento e ricostruzione. Possono compa-
rire personaggi nuovi, altri possono sparire, possono imporsi nuovi mondi
che non hanno a che fare con ciò che è stata la linea narrativa dominan-
te, oppure l’intero universo diegetico e i rapporti che lo regolano posso-
no essere riconfigurati nell’arco di due o tre episodi (è ciò che succede in
Alias). Per questo tipo di fenomeni si è parlato anche di fiction deterrito-
rializzata [Scaglioni 2006].
Ma gli universi diegetici delle recenti serie tv non sono solo mutevoli:
sono anche duraturi. Cambiano e occupano tempo per farlo. Abbiamo a
che fare con universi permanenti, cioè che durano nel tempo, che hanno
una durata materiale con un forte potere di condizionamento delle risor-
se temporali dei fruitori. Gli spettatori cinematografici sono abituati a
ricordare il tempo passato al cinema come una parte determinante dello
scorrere delle proprie vite. Ed è pure vero che i cinefili, attraverso le ripe-
tute visioni, come dice Enzo Ungari, inseguono «una specie di film infini-
to» [Ungari 1978, 14], cioè sanno mettere insieme un’esperienza di durata
prolungata, di esposizione dilatata all’audiovisivo, creando una sorta di
sovrapposizione tra tempo della proiezione e tempo della vita. Ma si trat-
ta di una durata costruita. Con la nuova serialità questo tipo di durata è già
data, connaturata all’organizzazione degli episodi. Le serie accompagnano,
scandiscono le esperienze di visione per periodi ampi, per durate in grado
di riguardare interi cicli dell’esistenza degli individui e di caratterizzare
tali esistenze in termini transmediali (come abbiamo detto nel paragrafo
2.2, nell’epoca della convergenza gli spettatori sono invitati più che a
vedere semplicemente una serie tv, a compiere un’esperienza che tra-
scende i confini della fruizione situata).
Da qui anche la necessità di sottoporre lo stesso tempo di visione a pro-
cessi negoziali.A seconda quindi che ci si collochi all’interno di cornici di
fruizioni tradizionali o più sperimentali, gli spettatori potranno accettare
62 Profilo critico

la temporalità di fruizione imposta dal palinsesto, ridefinirla e modificarla


in modo lieve (magari posticipando l’orario di visione grazie a sistemi di
videoregistrazione) o in modo assai marcato (ciò che avviene quando si
segue un andamento fruitivo contratto, o al contrario estremamente dilui-
to: 12 episodi in una sola notte o singoli episodi a scadenza mensile ecc.).
D’altra parte, questo effetto di immanenza nel tempo, di durata che con-
diziona così fortemente le esperienze di fruizione e riguarda quindi il fron-
te esterno dell’uso sociale dei testi, ha un suo lato ben visibile nelle stes-
se strategie di costruzione testuale della temporalità interna all’audiovisi-
vo. Nella nuova serialità il tempo rappresentato presenta una grande ela-
sticità. Lo sfruttamento delle anacronie sfalda la compattezza del tempo
discorsivo permettendo l’inserimento/sviluppo di filoni narrativi dotati di
una propria temporalità alternativa.Anche in questo caso la dilatazione è
virtualmente infinita (quanto il virtuosismo narratologico degli sceneggia-
tori). Se già in E.R.-Medici in prima linea ogni stagione presentava epi-
sodi ricalcati sui tour de force narrativi prelevati dalle stagioni cinemato-
grafiche coeve (episodi a frequenza ripetitiva; altri realizzati in coinci-
denza di tempo del discorso e della storia, con effetto di durata “reale”;
oppure, come si è detto, con struttura a ritroso in stile Memento ecc.), è
soprattutto Lost che, applicando ogni possibilità di intervento sull’asse del
tempo, espande la temporalità in modo parossistico. Gli sceneggiatori di
Lost, sfruttando il meccanismo narratologico dell’ampiezza e della porta-
ta variabile delle anacronie, trattano il passato dei personaggi come serie
di universi senza fondo, nei quali è legittimo immergersi totalmente, recu-
perando sempre diversi segmenti di esperienza. Inoltre vengono attivati
nuovi filoni narrativi costruiti sul vissuto di personaggi fino a quel
momento semplici comparse. In questi casi, interi archi narrativi sono
percorsi più di una volta rispettando, caso per caso, il punto di vista di un
personaggio differente (sfruttando quindi al massimo le potenzialità offer-
te dalla frequenza ripetitiva). L’effetto è quello di trovarsi di fronte a
mondi che non solo moltiplicano gli spazi, che si aprono su altri mondi
arredati i quali, a loro volta, si concatenano con altri universi possibili, ma
che lo fanno dilatando in modo virtualmente inesauribile la linea tempo-
rale. Nelle serie non si ha più a che fare con oggetti conclusi temporal-
mente, la dilatazione è illimitata, l’orizzonte ultimo è una sorta di poten-
ziale eternità.
Le conseguenze possono essere di un certo rilievo. Consideriamone una
esemplare: la rappresentazione della morte. Al cinema, bene o male, la
morte esiste. Nel senso che è un accadimento puntuale, che, come diceva
André Bazin [1973], può ripetersi ogni pomeriggio, a ogni nuova proie-
zione, ma che in se stesso ha la consistenza di un evento unico, concluso.
Nella serialità televisiva, e in particolar modo nelle sue forme più recenti,
la morte si inscrive in un’economia simbolica differente. Non sono tanto
interessanti i casi di personaggi “resuscitati” a seguito degli andamenti
incerti degli ascolti (fenomeni già accaduti nell’universo delle soap),
La serialità nel sistema dei media 63

quanto piuttosto le strategie con cui si “fa morire” un protagonista all’in-


terno di una serie serializzata. ER è un caso emblematico. Come è noto a
tutti gli spettatori della serie, il Dott. Greene, uno dei personaggi princi-
pali, muore nell’episodio 21 dell’ottava stagione. Ma questo evento non ha
alcuna traccia di unicità. È vero che il Dott. Greene non tornerà più tra le
corsie del Policlinico di Chicago. Ma la sua presenza nella serie sarà richia-
mata attraverso l’uso dei flashback negli episodi successivi, creando anche
in questo caso una sorta di effetto alone sugli archi narrativi a seguire. Inol-
tre si tratta di una morte non solo protratta, ricordata ex post, ma anche
annunciata, pubblicizzata con largo anticipo, con un posto centrale all’in-
terno delle strategie promozionali della serie (si pensi, per fare un altro
esempio, al richiamo mediatico suscitato anche dalla morte annunciata di
Maude Flanders nell’episodio 14 della undicesima stagione dei Simpson).
D’altra parte gli spettatori con buona memoria ricordano che, prima della
scomparsa di Greene, altri protagonisti erano improvvisamente caduti vit-
time di incidenti mortali (nella sesta stagione un folle uccide in ospedale
Lucy e riduce Carter in fin di vita). In questi casi di morte “a sorpresa”sem-
brerebbe che la scomparsa del personaggio rispetti la logica dell’accadi-
mento puntuale, ma in realtà anche qui abbiamo una sovraesposizione del-
l’evento che gli toglie unicità. Non solo infatti anche questi personaggi
possono “scavalcare” la morte tornando negli episodi successivi (attraver-
so il sistema dei flashback), ma la loro stessa scomparsa, con lo shock cui
sottopongono gli spettatori poco abituati a processi quasi proibiti in ter-
mini di convenzioni di genere, permette alla serie di “vivere di rendita”
molto a lungo, per esempio rinegoziando tutti i parametri di attese e pre-
vedibilità del racconto (è ciò che succede anche in 24, con la morte di
David Palmer e Michelle Dessler nel primo episodio della quarta stagione
e con Prison Break all’inizio della terza stagione). Anche in questi casi
quindi la morte entra a far parte di un sistema di risorse, e di sfruttamen-
to di potenzialità narrative che la serializzano, la dilatano. Del resto questa
forma di serializzazione della morte diventa evidente nei videogiochi, in
cui le vite stesse possono essere enumerate e la fine prelude sempre a un
nuovo inizio. Insomma: non si muore mai realmente nelle serie tv, o, quan-
to meno, è possibile non farlo.

3.3 L’eredità del fumetto


Nel ricostruire le origini delle forme narrative seriali e nel posizionarle
all’interno dell’evoluzione del panorama mediale (vedi Profilo critico, 1)
abbiamo accennato a una questione che è opportuno riprendere in que-
sta sede, poiché è strettamente connessa al peso delle forme seriali nel
sistema dei media. In quel paragrafo si faceva infatti cenno al rapporto che
intercorre tra il fumetto e le narrazioni seriali, individuando proprio nel
fumetto un importante antesignano di questo modello narrativo.
Innanzi tutto, dobbiamo ricordare che tra l’inizio degli anni Quaranta e gli
anni Sessanta l’affermazione del fumetto negli USA è particolarmente
64 Profilo critico

intensa. Sono gli anni in cui Superman e Batman divengono l’emblema


del racconto per immagini, a cui si affiancheranno, all’inizio degli anni Ses-
santa, Spider Man, I Fantastici Quattro e gli X-Men. La popolarità di que-
sti personaggi raggiunge livelli particolarmente elevati, stabilendo questa
forma di racconto come una delle forme dominanti del ventesimo secolo.
La passione dei lettori nei confronti di questi personaggi fa sì che gli albi
che raccontano le loro vicende divengano presto materiali per collezioni-
sti, stimolando l’industria dei media a inaugurare prodotti e materiali diret-
tamente rivolti a questa tipologia di pubblico, proprio come accade oggi
attraverso le forme di fandom legate alla serialità televisiva (vedi Profilo
critico, 2.4 e 3.5).
È allora evidente come al giorno d’oggi almeno due delle principali carat-
teristiche del fumetto americano vengano ereditate dalle forme narrative
seriali televisive. Le serie televisive, infatti, dal punto di vista sociologico
vengono a sostituire nell’esperienza e nell’uso, il ruolo che in passato era
appartenuto al fumetto. C’è una contiguità culturale forte tra questi due
oggetti che, benché appartengano a due universi per certi versi ben distin-
ti, hanno comunque una funzione, un ruolo culturale, analogo. La prossi-
mità che esiste tra questi due prodotti dell’industria dell’intrattenimento
è ben dimostrata da due esempi, che suggeriscono come il reticolo che
lega la funzione, i modi del racconto e i pubblici del fumetto e delle serie
tv sia particolarmente intricato.
Il primo esempio riguarda Buffy, serie televisiva che abbiamo nominato
più volte in precedenza per svariate ragioni. Buffy è stata infatti, tra il 1998
e il 2003, anche una serie a fumetti prodotta in parallelo agli episodi tele-
visivi. Oltre alla serie regolare, sono state prodotte anche numerose mini-
serie e albi singoli con storie autoconclusive, mentre gli eventi narrati
nella serie a fumetti, benché possiedano una precisa collocazione all’in-
terno della cronologia della serie, non hanno influito sulla costruzione dei
plot del prodotto televisivo. Ma non è tutto, poiché dopo la conclusione
della serie televisiva, avvenuta nel 2003 alla sua settima stagione, il suo
ideatore Joss Whedon ha sceneggiato una serie a fumetti, intitolata Buffy
the Vampire Slayer - Season 8, che dal punto di vista narrativo prende le
mosse dalla conclusione della settima stagione della serie televisiva. Di
fatto, questa serie a fumetti si pone come l’ottava stagione della serie e ha
una durata prevista di 25 episodi, analoga alla durata standard di una sta-
gione televisiva. La migrazione di personaggi e contenuti tra un medium e
l’altro è qui particolarmente evidente e riflette anche un certo grado di
flessibilità del pubblico dell’industria culturale, che si rivolge pertanto a
oggetti diversi che vengono ad assolvere analoga funzione di intratteni-
mento all’interno dell’offerta mediale contemporanea.
Un altro esempio del rapporto intenso che caratterizza fumetto e serie,
nonché dell’importanza assunta dalla serie televisive come forma che in
qualche maniera prosegue il lavoro iniziato dal fumetto a partire dagli anni
Quaranta, è rappresentato dalla scelta di presentare le serie televisive in
La serialità nel sistema dei media 65

anteprima al Comic Con International di San Diego. Il Comic Con è una


manifestazione annuale, una convention di fan che dagli anni Settanta si
rivolge agli appassionati di fumetti e di fantascienza. Nel corso degli anni
la manifestazione si è allargata ad altri ambiti dell’industria culturale, inclu-
dendo tra i suoi eventi un’ampia gamma di prodotti della pop culture, tra
i quali sono state incluse anche le serie televisive. Negli ultimi anni, dun-
que, i maggiori network americani produttori di serie tv hanno costruito
all’interno del Comic Con appositi spazi nei quali promuovere, far cono-
scere e far circolare i loro prodotti. NBC, ad esempio, ha presentato in
anteprima nel 2006 il pilot di 72 minuti di Heroes, mentre nel 2007 ha uti-
lizzato la medesima vetrina per proporre nuove anticipazioni su questa
serie e sulle sue diramazioni intermediali, tra cui uno spin-off, per ora solo
annunciato, chiamato Heroes: Origins, e i webcomics che accompagnano
settimanalmente la messa in onda dell’episodio televisivo, approfondendo
archi narrativi lasciati oscuri e la versione a stampa del fumetto tratto dalla
serie. La presentazione delle serie televisive in appositi panel dedicati
all’interno di questa frequentatissima convention sembra essere dunque la
prova di un rapporto tra fumetto e serie tv che va a coinvolgere diretta-
mente i fruitori delle due tipologie di prodotti. Si tratta infatti di un grup-
po vasto di potenziali spettatori composto da persone che condividono
un comune interesse nei confronti dei fumetti. Offrire in queste occasio-
ni delle anteprime del proprio prodotto significa infine, per il network
televisivo, attivare forme di passaparola e di marketing virale che sono in
grado di scatenare l’attenzione e l’interesse nei confronti del proprio pro-
dotto.
Ancora, il fumetto ha un ruolo importante di antesignano rispetto a moda-
lità narrative che sono diventate tipiche delle serie televisive. Al livello
della narrazione e della dimensione diegetica delle serie televisive a cui
abbiamo fatto riferimento (vedi Profilo critico, 1.3) è infatti ben evidente
il debito di molte serie televisive contemporanee (un esempio su tutti,
Heroes) nei confronti della narrativa multistrand e delle caratteristiche
dei personaggi tipiche del fumetto americano. In particolare, l’autocon-
clusività tipica delle serie televisive più tradizionali viene ridimensionata
dall’acquisizione di una maggiore libertà sulla gestione degli archi narrati-
vi e sull’inserimento di narrazioni multilineari che tengono aperte le più
varie possibilità di costruzione delle storie e dei personaggi.
La struttura narrativa di Heroes, ad esempio, si pone in linea con lo stile di
numerosi comics americani, con episodi caratterizzati da una molteplicità
di archi narrativi, i cui fili si intrecciano sapientemente fino allo scontro
finale tra il bad guy Sylar e gli eroi Peter Petrelli e Hiro Nakamura nell’e-
pisodio conclusivo della prima stagione, che proprio come accade nei
fumetti lascia aperte svariate porte, imposta il meccanismo di serializza-
zione su un arco narrativo ancora più lungo della singola stagione e apre
la strada a ritorni, rinascite e resurrezioni, anticipando l’avvento di un cat-
tivo ancora più temibile e pericoloso di Sylar. Inoltre, i protagonisti di
66 Profilo critico

Heroes sono persone normali, con personalità poco appariscenti e storie


come tante: sono infermieri, poliziotti, spogliarelliste, timidi orologiai e
giovanissime cheerleader. Ma come i comics ci hanno insegnato,“grandi
poteri comportano grandi responsabilità”. E infatti, dietro alla apparente
normalità dell’occhialuto Clark Kent o alla goffaggine di Peter Parker si
celano un superuomo e un uomo con i sensi di ragno. Una lezione ben
tenuta a mente da Kring e dagli sceneggiatori di Heroes, che delineano
perciò le vicende di una stirpe di eletti, di eroi straordinari, catapultati da
imprevisti poteri e da incredibili abilità in un’avventura più grande di loro.
Alcuni hanno evidenziato la diretta dipendenza della costruzione dei per-
sonaggi di questa serie dai fumetti Marvel, dal momento che molti dei per-
sonaggi di Heroes scoprono i loro poteri superiori in modo molto simile
a quanto accade per i personaggi dei fumetti Marvel negli anni Sessanta,
come Spider Man e gli X-Men. Questa scoperta è, prima di tutto, un pro-
cesso esistenziale attraverso cui persone giovani e prive di esperienza
imparano a conoscere se stessi grazie alla scoperta delle loro abilità spe-
ciali [Porter, Lavery e Robson 2007].Abilità che, appunto, consistono nella
capacità di rigenerare i propri tessuti, di leggere il pensiero, di volare o
prevedere il futuro, di teletrasportarsi avanti e indietro nel tempo, come
spesso accade ai protagonisti dei fumetti Marvel. Del resto la derivazione
fumettistica è ampiamente tematizzata nella narrazione stessa della serie
che vede tra i protagonisti proprio un disegnatore di fumetti, le cui tavole
hanno un ruolo di tutto rilievo nel dipanarsi dell'intreccio e vengono spes-
so mimate o raddoppiate nella composizione figurativa del testo.
A proposito di Heroes, inoltre, è anche il caso di ricordare che, oltre alle
analogie tematiche della serie con molte serie a fumetti, vanno sottolinea-
te anche alcune analogie strutturali. Episodi e stagioni della serie televisi-
va vengono chiamati con una terminologia diversa: ogni episodio è in real-
tà un capitolo.Tutti i capitoli vengono poi riuniti in volumi. Il primo volu-
me, Heroes: Genesis, raccoglie tutti i 23 episodi della prima stagione, fino
a pochi minuti prima della fine dell’ultimo episodio, How to Stop an
Exploding Man.A questo punto compare la scritta End of Volume One e
inizia il volume 2, Heroes: Generations.
Infine, nel ricordare i punti di contatto e, soprattutto, la funzione analoga
a quella del fumetto che molte serie televisive hanno assunto nel panora-
ma contemporaneo, è opportuno richiamare come la relazione tra fumet-
to e serie passi anche attraverso la tendenza, condivisa da entrambi, a crea-
re universi finzionali con uno statuto peculiare, fantasmagorico e proietti-
vo. Il continuo fiorire di storie alternative, parallele, con personaggi ulte-
riori che in qualche modo sono legati al personaggio centrale, i ritorni di
antagonisti creduti morti che sviluppano storie altre, il costante riformu-
lare la struttura stessa della storia, il continuo proliferare di elementi che
sono elementi disturbanti rispetto alla linearità, portano alla costruzione
di un universo tutto sommato inconsistente dal punto di vista temporale
(vedi Profilo critico, 1.1).Tutto questo crea, nel fumetto prima e nelle serie
La serialità nel sistema dei media 67

televisive poi, un clima fortemente onirico perché la logica non è più


quella della concatenazione per consequenzialità temporale, ma è una
concatenazione costruita piuttosto per contatto, per somiglianza. Tutte
queste inconsistenze si tengono assieme, quindi, in una logica che non è
più una logica di causa ed effetto prestabilita, ma è invece una logica oni-
rica. Tra le serie che funzionano secondo questo meccanismo possiamo
annoverare Heroes, Buffy, Lost; ma molte altre, anche di stampo più reali-
stico e più fortemente ancorate alla verosimiglianza delle storie narrate,
hanno sperimentato in questo senso: pensiamo ad esempio a Dr. House
nell’episodio Mr. Jekyll e Dr. House (No Reason, stagione 2, episodio 24),
interamente costruito sulle allucinazioni vissute dal diagnosta dopo esse-
re stato colpito da un proiettile, o all’episodio Top Secret (stagione 3, epi-
sodio 13) nel quale è un sogno di House a fungere da elemento chiarifi-
catore per risolvere la patologia del paziente. La presenza di immagini di
tipo proiettivo, che fungono da immagini vicarianti di un’azione, è signifi-
cativa nel fumetto, e viene ereditata anche dalla serialità televisiva, dove
sogni, immagini mentali, apparizioni, vere e proprie fantasmagorie, irrom-
pono nello sviluppo narrativo canonico del prodotto seriale minandone la
logica interna, a vantaggio della fascinazione esercitata sullo spettatore
costretto, piacevolmente, a sospendere l’incredulità e a lasciarsi catturare
dalla complessità degli universi finzionali.
Potremmo dunque dire che le serie ereditano dal fumetto sia un ampio
bagaglio tematico e narrativo, sia un’abitudine di fruizione fortemente
radicata nella durata, scandita dalla periodicità degli albi e degli episodi,
dilatata nel tempo e commisurata non più alla singolarità dell’esperienza,
ma alla continuità della fruizione.

3.4 Reale, reality, fiction


I processi che portano a effetti di fiction deterritorializzata e a frame
spazio-temporali persistenti, duraturi, producono, tra le altre cose, una
conseguenza sull’opposizione classica realtà/finzione: «[...] la metafora
dello zoo [...] è quella che viene spontanea appena si entra:“vietato dare
da mangiare agli animaliӏ la battuta standard con cui ti accolgono gli ope-
ratori. Dello zoo e dell’acquario: perché è tutto vetri (che per gli abitanti
della casa sono specchi), e se non hai le cuffie non senti da dentro il mini-
mo rumore. Si ha persino l’impressione che si muovano al ralenti, appun-
to come se fossero sott’acqua [...]: in effetti, la coscienza mai subliminal-
mente eliminabile di trovarsi sotto le telecamere, e il tempo desolatamen-
te vuoto, rallentano tutti i movimenti – ci mettono tre minuti per accen-
dersi la sigaretta, e dieci per cambiarsi i calzoni» [Siti 2006, 168]. Con que-
ste parole Walter Siti, un saggista-romanziere, in un libro quasi per intero
ambientato nel mondo della televisione contemporanea (un libro che è
già in sé in bilico tra diario e fiction), descrive la sensazione derealizzante
che assale chi assiste dal vivo alla messa in scena di un reality televisivo
(qui si tratta di un dietro le quinte della prima edizione italiana del Gran-
68 Profilo critico

de Fratello).Anche fuori da una situazione così specifica, pare proprio che


la distinzione realtà/fiction si indebolisca, venga meno sulla scena media-
le contemporanea: è un processo osservabile su entrambi i versanti del
binomio.
Da un lato si va verso una sorta di soapizzazione di programmi che nasco-
no in ambito reality. In generale gli stessi reality show incorporano tecni-
che di riarticolazione narrativa proprie della fiction (riassunti, selezioni,
sequenze ed episodi a carattere tematico) e di altri generi televisivi. Gli
stessi individui che li abitano, pur essendo presi dalla vita “reale”, nell’im-
mensa disponibilità di tempo davanti alle telecamere si conformano a ste-
reotipi, reagiscono a stimoli “tipicizzanti” proposti dagli autori e dalla pro-
duzione, decidono di attivare programmi narrativi in grado di far ottenere
la vittoria in eventuali competizioni (le storie d’amore tra concorrenti in
genere salvano i medesimi dal meccanismo del televoto ecc.). Inoltre i rea-
lity si espandono su tutto il palinsesto, vanno ad alimentare con i propri
contenuti altri programmi, si ibridano con altri format.
Dall’altro lato la serialità finzionale, grazie appunto ai suoi fenomeni di
durata e persistenza, comincia a funzionare come una cosa reale. Non si
tratta di un “creder vero”. Quanto piuttosto di una funzione d’uso. Quasi
tutti gli spettatori sanno benissimo che gli eventi e gli esistenti che si
manifestano e accadono sullo schermo non hanno la stessa consistenza
ontologica degli eventi e degli esistenti che abitano le loro vite. Ma usano
quegli eventi e quegli esistenti come pezzi d’esistenza reale, li fanno entra-
re nelle loro giornate (nelle conversazioni, nelle interazioni quotidiane) in
funzioni del tutto simili a quelle riservate alle cose del mondo reale. In
altri termini, li usano come risorse relazionali ed esperienziali, come
merce di scambio tra individui e come modelli di interpretazione di situa-
zioni della realtà.Tutto ciò non segna necessariamente il passaggio a un’e-
poca in cui l’immagine, il virtuale uccide la realtà, la copre di segni, la
rende irriconoscibile, come alcune riflessioni di stampo apocalittico
hanno ritenuto di dover profetizzare. Il mondo dei media pare piuttosto
essere un mondo sempre più additivo rispetto al mondo reale, non sosti-
tutivo. Con la nuova serialità nell’ambito della convergenza mediale si por-
tano a compimento processi che avevano avuto la loro prima spinta con
la diffusione di media elettronici come la televisione: con il venir meno
delle barriere tra testualità ed esperienza di vita si diffondono sempre più
pratiche di interazione para-sociale. Gli spettatori in qualche modo intera-
giscono con queste figure persistenti e prossime che abitano il mondo fin-
zionale, come se fossero “amici mediali” [Meyrowitz 1995].
L’obiezione che si può fare a un simile quadro è che già da tempo i cul-
tural studies hanno documentato le varie forme di consumo produttivo e
di uso dei testi audiovisivi da parte dell’audience, in alcuni casi [Fiske
1989] anche i processi attraverso i quali pubblici specifici sanno trarre
piaceri e vantaggi da programmi pensati per rispecchiare i valori domi-
nanti. D’altra parte gli studi sui consumi e la memoria culturale [Forgacs e
La serialità nel sistema dei media 69

Gundle 2007; Kuhn 2002] ci mostrano come già dalle prime fasi di diffu-
sione dell’industria culturale il pubblico abbia saputo “vivere” divi, attori,
personaggi mediali in termini di prossimità, di vicinanza, di intimità (l’at-
tore percepito come un fratello, l’attrice esperita come compagna di vita
ecc.). La cosa poi non avrebbe fatto altro che propagarsi con l’epoca dei
media elettronici (non a caso l’espressione “amici mediali” risale agli anni
Ottanta).
Ciò non di meno ci sono almeno tre fattori che differenziano in modo piut-
tosto marcato i nuovi modi di fare esperienza reale dei mondi e dei per-
sonaggi della serialità dalle dinamiche appena ricordate. In primo luogo
c’è un fenomeno quantitativo. Le dinamiche di fandom o anche di attac-
camento appassionato ai racconti seriali non sono più fenomeni di nic-
chia. Come ci ricorda Massimo Scaglioni (quarta sezione dell’antologia), i
venti milioni di spettatori di Lost fanno qualche differenza.Vecchi serial e
soap entravano nei palinsesti con collocazioni precise, target piuttosto
definiti (in termini di età e gender) ma in un contesto culturale marcato da
un certo grado di disapprovazione sociale: gli studi sul consumo ci dicono
che, per esempio, spesso la lettura di romanzi rosa e la visione di soap
opera sono state percepite dalle casalinghe come attività da nascondere
[Colombo e Eugeni 2001]. Oggi non solo certe sezioni del pubblico da tv
generalista hanno sempre meno importanza, ma, con la diffusione del Web
e della cultura partecipativa, come abbiamo visto, il pubblico appassiona-
to (che ragiona in termini di “amici mediali” nei confronti dei personaggi
della nuova serialità) ottiene la sua rivincita. In generale la dimensione cul-
tuale dell’esperienza audiovisiva passa dall’essere un effetto collaterale
delle dinamiche di consumo a essere un modello di tendenza.
In secondo luogo, i nuovi fan, oltre a essere più numerosi, costituiscono
comunità visibili, visitabili, socialmente testualizzate (siti Web, blog, riviste
on line, liste di discussione) dove si attribuiscono interpretazione e valore
ai personaggi mediali in modo esplicito. Inoltre essi (e questo è un ele-
mento di reale novità) non si limitano a fruire brani di cultura popolare
riconducendoli alle proprie esperienze in termini di analogia e prossimi-
tà, piuttosto intervengono su queste vite finzionali cercando di modificar-
ne il corso, scrivendone varianti possibili, sviluppando percorsi autonomi,
giocando con la logica del what if. Il grado di partecipazione innescato
dalla cultura convergente non può essere trascurato. Misery non deve
morire di Stephen King racconta la storia di uno scrittore che viene impri-
gionato e torturato da una sua fan affinché resusciti l’eroina di un ciclo
romanzesco del quale l’autore aveva decretato la prematura fine. I nuovi
fan e blogger riescono a fare giorno per giorno ciò che in Misery non
deve morire il protagonista vive come un incubo. Riescono cioè a porsi
come interlocutori privilegiati anche nei confronti di settori specifici del-
l’industria dei media (gli autori, gli sceneggiatori delle serie ecc.). Del
resto, la carceriera del protagonista di Misery è una folle sociopatica. Men-
tre oggi i fan, come mostra Scaglioni, sono un fenomeno sempre più
70 Profilo critico

mainstream, diventando raffinati interpreti, lasciandosi dietro gli ultimi


residui di un’immagine di sé ormai anacronistica che li rappresentava
sempre come un insieme di disadattati patologici e ossessivi.
In terzo luogo il modo in cui si determinava in passato il rapporto tra con-
sumatore e star cinematografica è diverso da quello che regola il rappor-
to tra spettatori convergenti e nuovi eroi della serialità. Chi ha studiato i
meccanismi di costruzione della star classica in termini di relazione tra
immagine e discorsi/tipologie sociali ha messo in evidenza come, in defi-
nitiva, l’emergere del divo e il consumo della sua immagine si basino su
un meccanismo di ostentazione ripetuta della star. In questo senso la star
risponde ancora a una logica fordista della replica. Il divismo contiene un
meccanismo seriale classico: il divo attore deve rispettare nella propria
evoluzione e nella scelta delle parti future delle caratteristiche di ripeti-
zione e riconoscibilità molto marcate (che definiscono e canonizzano la
sua star-image). Per dirla nei termini usati da Casetti (vedi Documenti, Alle
origini del percorso teorico: gli studi sulla serialità in Italia tra gli anni
Ottanta e gli anni Novanta), l’elemento di ripetizione predomina su
quello della successione lineare. Nella nuova serialità invece il personag-
gio non è l’occorrenza ripetuta di un type ideale stabile, bensì un ele-
mento puntuale collocabile in un continuum, un segmento inserito in
modo forte in una concatenazione di tipo sintagmatico. Insomma, il con-
testo postmoderno impone un superamento della replicabilità propria
della produzione industriale a vantaggio della successione e della connes-
sione di frammenti: la concatenazione seriale conta più della ripetizione.
Ciò evidentemente è il frutto, tra gli altri elementi, delle nuove strutture
ad archi narrativi e il tutto ridisegna in termini più aperti e ricchi le tipo-
logie di rapporto tra evoluzione dei personaggi mediali e fruitori delle
serie.

3.5 Verso i media-community


A fronte di quanto proposto in precedenza, in particolare nei paragrafi 2.3
e 3.1, è piuttosto evidente come alcune caratteristiche tecnologiche dei
media contemporanei suggeriscano un mutamento di paradigma, all’in-
terno del quale il modello offerto dalla televisione seriale si trova partico-
larmente a suo agio.
Innanzitutto la delocalizzazione, che come abbiamo visto nel paragrafo 3.1
è un fenomeno che riguarda il cambiamento nelle strutture della fruizio-
ne dei prodotti dell’industria dell’intrattenimento. Tra le ragioni che sot-
tostanno al verificarsi di questo cambiamento è senz’altro possibile anno-
verare il sempre più stretto legame con le nuove tecnologie, che puntano
verso una miniaturizzazione dell’hardware. In tal modo, si assicura all’u-
tente la possibilità di portare con sé, in qualsiasi situazione, le apparec-
chiature necessarie al consumo di prodotti di intrattenimento, consenten-
do una praticità di visione che si alimenta anche grazie alla struttura nar-
rativa scalare e modulabile che contraddistingue i prodotti seriali.
La serialità nel sistema dei media 71

Tra le conseguenze di questo significativo cambiamento è importante


ricordare il venire meno di una fruizione istituzionale, legata ad una strut-
tura rigida e inflessibile come il tradizionale palinsesto. Il processo di delo-
calizzazione (e di digitalizzazione) offre al consumatore la possibilità di
immagazzinare contenuti che potranno essere fruiti nelle più diverse cir-
costanze e attraverso i mezzi di comunicazione e le piattaforme tecnolo-
giche più disparate. Prendiamo ad esempio proprio una serie televisiva:
essa può essere registrata su supporto digitale tramite DVD Recorder, sca-
ricata sul proprio computer attraverso programmi di file sharing, resa dis-
ponibile su supporto DVD, visionabile attraverso sistemi di televisione
peer-to-peer come Joost. In seguito, essa può essere visionata in qualunque
momento sul proprio televisore domestico, ma anche in treno su un com-
puter portatile o tramite il proprio lettore portatile di file multimediali. La
ritualità connaturata alla modalità di fruizione palinsestuale, la logica del-
l’appuntamento fisso che determinava in passato la composizione della
giornata televisiva, viene completamente sovvertita dalle nuove tecnolo-
gie e dalle nuove modalità di relazione che si vengono a creare tra utente
e medium. Dunque è chiaro che a cambiare non sono solamente le piat-
taforme mediali e i contenuti che ad esse si adattano, ma cambiano anche
gli spettatori [Casetti e Fanchi 2006], sempre più spesso ingaggiati all’in-
terno di una relazione dinamica con i prodotti dell’entertainment (vedi
Profilo critico, 2.3 e 2.4).
Si potrebbe ipotizzare che esistano al giorno d’oggi tre forme di relazione
con il medium, che, a ben guardare, sembrano convivere. Non si tratta,
ovviamente, di rigide caselle all’interno delle quali trovano posto tutte le
offerte del panorama mediale, ma piuttosto si tratta di tre tendenze che
restituiscono un panorama composito e in continua evoluzione, ma nel
quale sopravvivono, appunto, anche modalità di relazione e di fruizione
più tradizionali.
In primo luogo c’è, storicamente, una televisione generalista in cui domi-
na la logica del palinsesto. Questa televisione si fonda su un’idea di tele-
visione esperienziale, cioè sull’idea che la programmazione televisiva in
qualche modo debba entrare a far parte dell’esperienza del singolo, del
suo ritmo quotidiano, della scansione dei suoi tempi di vita [Zerubavel
1985]. Questa modalità coincide dunque con l’idea di un medium-palin-
sesto, di una televisione focolare intorno alla quale ritrovarsi. Benché in
varie occasioni superato, questo modello resiste ancora, ad esempio, nella
programmazione delle tv satellitari. Se pensiamo a Fox, Fox Life e Fox
Crime all’interno del pacchetto Sky, ci rendiamo conto di come ancora
oggi questi canali televisivi siano costruiti sulla logica del palinsesto e del-
l’appuntamento fisso, occupato in particolare proprio dalle serie televisi-
ve sulle quali questi tre canali incentrano la loro programmazione. A ripro-
va di tale approccio vale la pena ricordare il fatto che il pacchetto Sky
offre la versione “+1” di tutti e tre i canali, nei quali è possibile ritrovare
l’intera offerta del palinsesto, solo ritardata di un’ora nella programmazio-
72 Profilo critico

ne. Il loro palinsesto è scandito da blocchi testuali chiusi, moduli giustap-


posti dove i programmi non fungono da cerniera tra un blocco testuale e
l’altro, come invece accade per la televisione generalista in cui persistono,
come vedremo a breve, pratiche di hammocking (collocazione di un
nuovo programma tra due programmi di successo, in modo da garantire
continuità in termini di flusso di ascolto) e traino, cioè strategie di orga-
nizzazione di una serialità allargata e diffusa all’interno del flusso mediale.
Il secondo modello, che coincide fortemente con quel passaggio che in
Italia è noto come neotelevisione (vedi Profilo critico, 3), riguarda la tra-
sformazione del medium-palinsesto, caratterizzato dall’essere una sorta di
contenitore di oggetti testuali ben definiti e identificati, a una forma che
potremmo chiamare di medium-flusso. La televisione di flusso, in buona
sostanza, è una forma di televisione in cui il legame e la concatenazione
seriale tra gli oggetti che la compongono si fa sempre più spiccato. I diver-
si programmi che la occupano sono infatti sempre più concatenati tra loro
(con rimandi incrociati e strategie linguistiche che puntano a mantenere
fedele il pubblico). Le cesure tra un programma e l’altro si fanno sempre
più vaghe e indefinite, lo spettatore si trova davanti a un macro-conteni-
tore all’interno del quale l’offerta diviene sempre più indistinta e nella
quale la televisione si fa, come abbiamo già sottolineato, sempre più auto-
referenziale. È questo il caso dei canali televisivi generalisti, dove ogni pro-
gramma viene introdotto da quello che lo precede, pensiamo ad esempio
alle anticipazioni fornite nell’ultima parte del Tg serale rispetto al prime
time televisivo (traino). Come nota Gerbner [1994, 389] per la maggior
parte del pubblico televisivo l’esperienza di visione è relativamente non
selettiva: le dinamiche di scelta sono scandite dalla propria disponibilità in
termini di tempo e dalla relativa corrispondenza con l’offerta mediatica,
piuttosto che da una accurata selezione del programma da vedere.
Ma c’è un terzo modello di programmazione, che riguarda più da vicino la
contemporaneità e che include al suo interno i prodotti seriali a cui ci
siamo dedicati nel corso di questa analisi. Si tratta, fondamentalmente, di
una forma che potremmo chiamare di medium-community, strutturata
intorno a una programmazione che punta a creare una relazione e una
forma di tipo comunitario, proprio come accade, per esempio, con le
comunità virtuali nell’ambito dei nuovi media. In questo modello, la rela-
zione tra medium e spettatore è costruita sulla prossimità e sulla conti-
nuità che scaturisce dal testo, quello seriale in particolare, ma l’organizza-
zione delle regole e dei tempi di fruizione è autonoma rispetto a quanto
imposto dal medium-palinsesto e dal medium-flusso. Lo spettatore è chia-
mato direttamente in causa, è uno spettatore attivo che si muove in un
ambito che esce dal sistema organizzativo del singolo medium per entra-
re invece all’interno di un sistema mediale integrato e convergente. Il
medium mantiene la funzione di costruire il legame, il contatto tra lo spet-
tatore/utente e l’oggetto testuale, ma una volta esaurito tale compito que-
sto contatto è garantito dalla concatenazione seriale che caratterizza que-
La serialità nel sistema dei media 73

sti prodotti. Dunque, un legame che prescinde dal medium e può essere
compiuto, in virtù della delocalizzazione, della digitalizzazione e del venir
meno di una fruizione istituzionalizzata, nei modi più diversi e con il più
alto grado di coinvolgimento dello spettatore.
Il medium-community, legato a un interesse condiviso da un gruppo di
utenti, impone pertanto un ripensamento del modello televisivo, che non
è più legato all’idea di palinsesto e all’idea di flusso, ma è piuttosto legato
a un’idea di relazione diretta, coinvolgente e proattiva con lo spettatore
che è in gran parte fondata sul passaggio da un’idea di testo chiuso a un’i-
dea di testualità diffusa. Non abbiamo più davanti un oggetto dai contorni
definiti (l’appuntamento settimanale con l’episodio a carattere autocon-
clusivo di Colombo), né un testo inserito nel flusso (l’appuntamento con
le sit-com all’interno dei contenitori televisivi domenicali, ad esempio), ma
qualcosa che si amplia e si allarga, con contorni sfumati e non facilmente
mappabili. I confini del testo sono difficilmente rintracciabili, la sua
espansione e la sua frammentazione fanno sì che esso si spalmi su più
ambiti mediali facendo diventare le forme seriali la vera ossatura dell’au-
diovisivo contemporaneo. Le pratiche di espansione e frammentazione
della testualità tradizionale investono quindi un piano intertestuale, così
come un piano propriamente intermediale, e sono caratteristiche delle
nuove forme della serialità contemporanea [Pescatore 2006a].
Le modalità di diffusione e di accesso ai prodotti culturali nell’ambito dei
nuovi media sono complesse, ma particolarmente interessanti poiché si
tratta, come abbiamo sottolineato, di prodotti che possiedono una strut-
tura modulare, che rende possibile la pervasività dei testi, la loro serializ-
zazione, la loro fruibilità in ambiti e contesti diversi, la costruzione di
community di spettatori che condividono l’interesse nei confronti della
medesima serie di oggetti mediatici. Il perno dell’intero meccanismo è
costituito proprio dall’idea di comunità, che a sua volta veicola una logica
che è quella della cooperazione: la logica che governa tali modalità di cir-
colazione delle idee e degli oggetti mediali presuppone quindi un approc-
cio collaborativo e caratterizzato da una moltiplicazione delle possibilità
di relazione tra testo e spettatore. Come sottolinea Pierre Lévy [1996, 34],
«le distinzioni stabilite tra autori e lettori, produttori e spettatori, creatori
e interpreti si confondono a favore di un continuum di lettura-scrittura
che va dagli ideatori di macchine e reti fino ai recettori finali, ciascuno dei
quali contribuisce ad alimentare di riflesso l’azione degli altri».
Le forme di narrazione dominanti divengono quelle senza un centro, carat-
teristica peculiare dei prodotti seriali, che vanno costantemente aumen-
tando, anche e soprattutto grazie al progresso tecnologico. Il prodotto
seriale si caratterizza per una sempre crescente interattività rispetto alla
narrazione, mentre viene lasciato sempre più spazio e sempre più autori-
tà a una nuova tipologia di fruitore. Il pubblico, considerato per lungo
tempo semplicemente come un gruppo di frequentatori di un determina-
to ambiente della comunicazione di massa che consumava avidamente e
74 Profilo critico

accettava in maniera passiva qualsiasi prodotto venisse loro offerto, viene


oggi rivalutato. I consumatori di prodotti seriali adottano infatti frequen-
temente un approccio attivo, dimostrando di essere spettatori dinamici,
che consumano, ma che discutono e riflettono su quanto consumano e
che sono attivi nella comprensione dei prodotti/testi mediatici, anche
costruendosi un ruolo dinamico nella creazione di nuovi materiali corre-
lati, come evidenziato nel paragrafo 2.4.
Si assiste dunque alla sviluppo di due fenomeni paralleli: da un lato il decli-
no, almeno parziale, dei media di massa e della fruizione di massa a van-
taggio di forme di fruizione parcellizzate e di audience ritagliate sul sin-
golo prodotto. Il modello degli hit, dei blockbuster destinati a un pubbli-
co indifferenziato o comunque socialmente determinato, sempre più cede
il passo alla sommatoria di consumi autodeterminati dalle attitudini e gli
interessi dei singoli, che si raggruppano secondo processi di aggregazione
orizzontale, in larga parte indipendenti dalle forme di organizzazione
interna dei media [Anderson 2007]. Dall’altro le forme della fruizione
sono sempre più legate a quella testualità diffusa di cui si è detto, alle rela-
zioni tra i testi, alla loro concatenazione seriale: più che l’esperienza
mediale è dunque questa nuova esperienza testuale a garantire la coesio-
ne delle audience e la continuità del consumo.
È in base alle caratteristiche del consumatore/spettatore e al medium uti-
lizzato per la visione, infatti, che la serie e i suoi prodotti collaterali ven-
gono personalizzati e ritagliati su misura. La tendenza cross-mediale pre-
vede perciò una narrazione in gran parte condotta dal fruitore. Nella stre-
nua lotta per la conquista dell’audience (e di consumatori), la creazione di
nuove forme narrative e la personalizzazione del prodotto, dal punto di
vista narrativo così come da quello delle modalità di fruizione, diventano
insomma una necessità primaria.

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