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75 Cronologia
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173 13. Roy Menarini, “You Americans!”, “You Americans What?”
24 e il crollo di tutte le certezze
Le forme televisive seriali hanno rappresentato, fin dalla nascita della tele-
visione, un macrogenere di grande importanza, capace di catturare l’inte-
resse dei telespettatori, di generare fenomeni di culto e, più prosaicamen-
te, in grado di coprire una consistente quantità di ore di programmazione,
garantendo la possibilità di uno sfruttamento ripetuto. La televisione ame-
ricana, in particolare, ha da sempre investito su questa tipologia di pro-
dotto, elaborando forme narrative originali, sperimentando con i generi e
offrendo allo spettatore prodotti di qualità, esportati in tutto il mondo con
grande successo. Dunque, la storia dei prodotti televisivi seriali ha radici
piuttosto lontane nel tempo e l’evoluzione di questi formati narrativi va di
pari passo con l’evoluzione del medium stesso. In parallelo ai cambia-
menti che hanno investito la natura del medium e ai mutamenti nella
modalità di fruizione, si è assistito a una trasformazione anche nella natu-
ra delle forme seriali. Esse si sono infatti rivelate capaci di incorporare al
loro interno forme linguistiche e temi che costituiscono il riflesso delle
nuove esigenze spettatoriali, delle nuove modalità di fruizione e delle con-
traddizioni della società che le produce.
In questo senso, dunque, questo libro intende ripercorrere alcune tappe
utili a inquadrare il prodotto televisivo seriale all’interno di un arco di
tempo piuttosto ampio, che copre circa sessant’anni e che coincide dun-
que con l’apparizione e l’affermazione del medium televisivo. Il primo
capitolo del libro è perciò dedicato alla ricostruzione delle origini della
serialità televisiva, ma soprattutto all’analisi dei modelli narrativi che ne
costituiscono la fase che potremmo definire “classica”. Lo studio di queste
formule di racconto permette infatti di cogliere con maggiore facilità i
punti di frattura e di disomogeneità che caratterizzano invece l’epoca con-
temporanea, focalizzandosi dunque sulle nuove forme di serialità televisiva,
in particolare americana, considerate ormai da più parti come fenomeni di
grande interesse, sia per ciò che riguarda la sperimentazione sulle forme
narrative e sulla messa in scena, sia per quanto riguarda i complessi mec-
canismi promozionali attivati sia, infine, per la risposta che esse generano
negli spettatori, da quelli più assidui e appassionati a quelli occasionali.
Il secondo capitolo del libro è dedicato all’analisi della cosiddetta Second
Golden Age (seconda età d’oro) della produzione televisiva seriale, che
VIII Premessa
coincide in gran parte con il superamento delle forme narrative più tradi-
zionali e con l’affermazione di fenomeni di ibridazione e di contamina-
zione tra generi che hanno prodotto alcuni dei risultati più interessanti
(nonché alcuni dei più grandi successi) degli ultimi anni. In questo capi-
tolo, inoltre, si sottolinea come il rinnovato interesse da parte del pubbli-
co (ma anche da parte degli studiosi) nei confronti di queste forme di rac-
conto sia il frutto di una complessa attività di ideazione e costruzione di
questi prodotti, nonché di una sapiente attività di promozione e di mar-
keting, che non si limita dunque al medium televisivo, ma che coinvolge
tutti i media, rielaborando i prodotti seriali in forme adeguate al supporto
mediale destinato ad accoglierle (da Internet ai videogame, dai fumetti ai
mini-episodi per cellulare).
In questo contesto, quindi, un certo rilievo è stato posto sulla questione
del rapporto che si instaura tra gli spettatori e i prodotti seriali, in parti-
colare facendo riferimento alle numerose esperienze di partecipazione
che gli spettatori più attivi vivono, non limitandosi alla passiva visione di
un episodio, ma appropriandosi di temi e personaggi, rielaborandoli in
infinite nuove versioni e fornendo sempre nuove interpretazioni dei pro-
dotti seriali.
Il terzo capitolo, infine, è dedicato all’analisi dei prodotti seriali contem-
poranei all’interno del più ampio sistema dei media, dunque cercando di
cogliere la relazione che si instaura tra il prodotto seriale e l’innovazione
tecnologica, che favorisce evidentemente una modificazione dell’espe-
rienza mediale, e rapportando inoltre la serie televisiva ad altri prodotti
altrettanto peculiari per la televisione contemporanea, come ad esempio
i reality show. Dal terzo capitolo emerge dunque la rilevanza di questi
oggetti all’interno dell’articolato panorama mediale contemporaneo, nel
quale la delocalizzazione e la de-istituzionalizzazione del processo di frui-
zione hanno favorito la pervasività, la personalizzazione e la tendenza
cross-mediale di queste forme di racconto.
Alla parte antologica che chiude il volume, infine, spetta il compito di
ripercorrere – senza alcuna pretesa di esaustività, ma con l’intento di per-
mettere al lettore di ricostruire un quadro ampio della questione – alcune
tappe del discorso sulla serialità. Precedute da un’introduzione e da una
contestualizzazione, le quattro sezioni che compongono l’antologia offro-
no al lettore una selezione di brani che, benché certamente caratterizzati
da un margine di discrezionalità e di eterogeneità, si propongono di resti-
tuire un quadro del dibattito sulle forme seriali. In particolare, le quattro
sezioni dell’antologia offrono un percorso attraverso alcuni degli studi
sulla serialità prodotti in Italia tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, un’a-
nalisi della complessità narrativa dei mondi seriali, un approfondimento
sul ruolo delle serie televisive nella cultura contemporanea e, infine, una
riflessione sui fenomeni di culto generati da questo tipo di prodotti.
Premessa IX
Fordismo/Postfordismo
Ad Henry Ford, fondatore della Ford Motor Company e produttore di
automobili già dai primi anni del 1900, va attribuita l’introduzione,
negli anni Venti, della catena di montaggio come sistema di
razionalizzazione e di automatizzazione del ciclo di produzione delle
sue fabbriche. Questa modalità di organizzazione del lavoro ha preso
il nome di fordismo e ha rappresentato una profonda influenza nella
nostra società, permettendo una produzione e una diffusione di
massa dei beni materiali di consumo.
Questa tipologia di produzione, di massa e fortemente localizzata
territorialmente, entra in crisi verso la metà degli anni Settanta,
quando si assiste a una fase di trasformazione della produzione e del
lavoro, veicolata dal ricorso sempre più massiccio alle tecnologie
informatiche. Il termine postfordismo identifica pertanto quell’insieme
di innovazioni nella produzione e nel sistema industriale che vedono
uno spostamento verso una delocalizzazione della produzione e una
centralità delle qualità immateriali dei beni prodotti. Come nota Italo
Calvino: «è vero che il software non potrebbe esercitare i poteri della
sua leggerezza se non mediante la pesantezza dell’hardware; ma è il
software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle
Industrializzazione macchine [...] Le macchine di ferro ci sono sempre, ma obbediscono
e produzione
di massa ai bits senza peso» [Calvino 1988, 9-10).
in piccoli frammenti uguali tra loro non nel contenuto, ma nel formato, man-
tengono vivi l’interesse e la curiosità per sapere cosa succederà dopo, accre-
scendo l’attaccamento e l’affezione alla storia, e moltiplicano in maniera
esponenziale il consumo del supporto che la contiene: il giornale, il cinema,
la radio, il disco, la televisione ecc.
utenza, corrisponde quindi una risposta positiva del pubblico, che si dimo-
stra costantemente assetato di storie, ma anche incline a voler “ritrovare”
elementi comuni nelle storie di cui fruisce. Come nota Umberto Eco
[1985b, 129], «Nella serie l’utente crede di godere della novità della storia
mentre di fatto gode per il ricorrere di uno schema narrativo costante ed
è soddisfatto dal ritrovare un personaggio noto, con i propri tic, le proprie
frasi fatte, le proprie tecniche di soluzione dei problemi... La serie in tal
senso risponde al bisogno infantile, ma non per questo morboso, di riudi-
re sempre la stessa storia, di trovarsi consolati dal ritorno dell’identico,
superficialmente mascherato».
A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, in parallelo con l’aumento
del grado di alfabetizzazione, si assiste dunque all’affermarsi di opere nar-
rative pubblicate a puntate sulla stampa. Il romanzo a puntate costituisce
quindi un primo, cruciale passo verso l’istituzionalizzazione delle forme
narrative di tipo seriale.
Il fenomeno della serializzazione della narrativa nella letteratura, come
anche nella comunicazione visiva, risente significativamente della parti-
colare organizzazione tecnologica ed economica che le congiunzioni del
momento mettevano a disposizione, facendo della serie la sua espressione
retorica più diretta.Thomas Elsaesser [1984] nota infatti come l’ideologia
del romanzo a puntate, la particolare costruzione dei suoi enigmi e le
ramificazioni delle sue linee narrative, dipendano direttamente dall’intro-
duzione dei sistemi di stampa a basso costo, nonché dalla possibilità di
assicurare una grande rapidità di circolazione del prodotto, impensabile
fino a qualche tempo prima.
In questo scenario vanno allora diffondendosi pubblicazioni che segnano la
nascita di forme narrative di tipo seriale che ricoprono il ruolo di modelli di
riferimento per lo sviluppo di strutture seriali nei racconti di altri media.
I romanzi a puntate, ad esempio, vanno sviluppandosi numero dopo
numero, senza possedere un itinerario narrativo predefinito. Non si tratta
quindi di suddividere in segmenti una storia già scritta, quanto piuttosto
di pensare a un’articolazione narrativa progressiva, stratificata e sempre
più complessa. Questa caratteristica si adeguerà poi molto bene, come
vedremo, alle dinamiche produttive dei prodotti audiovisivi seriali, e in
particolare televisivi.
Il momento di maggior successo della narrativa a puntate è forse rappre-
sentato dal feuilleton, frutto dell’incontro tra la stampa e la letteratura. Per
feuilleton si intende una forma narrativa comparsa all’inizio dell’Ottocento
che consisteva in una sorta di “supplemento” al quotidiano, che ben presto
inizia a ospitare novelle, racconti di viaggio e, successivamente, veri e pro-
prio romanzi a puntate. Si rende dunque necessario «un nuovo modo di
scrivere:si improvvisa sul momento un intreccio che,teoricamente,potreb-
be non avere mai fine, infarcendolo di trame secondarie, nuovi personaggi,
nuovi legami tra loro che vengono a complicare talmente la vicenda che
l’autore stesso finisce per scordarne i particolari» [Cardini 2004, 29].
4 Profilo critico
Il romanzo a puntate
A partire dal 1831 Honoré de Balzac decide di anticipare alcuni
capitoli dei romanzi che sta scrivendo a mezzo stampa, per stimolare
attesa nei lettori. La pubblicazione di racconti inediti a puntate sui
quotidiani diventerà intorno agli anni Trenta dell’Ottocento una
strategia molto diffusa, che segnerà la nascita della narrativa seriale.
Nel 1836 Il Circolo Pickwick di Charles Dickens viene pubblicato in 20
fascicoli mensili e, a differenza di altre pubblicazioni precedenti
costituite da una segmentazione di opere preesistenti, nasce come
opera in progress, articolata senza un andamento narrativo rigido.
Tra le pubblicazioni a puntate più famose ritroviamo I misteri di Parigi,
romanzo a puntate di Eugène Sue pubblicato tra il 1842 e il 1843,
Forme seriali
I tre moschettieri (1844) e Il conte di Montecristo (1845) di Alexandre
in letteratura Dumas.
Prende vita, insomma, una stampa popolare, che attraverso le strutture del-
l’industria culturale [vedi Profilo critico, 3] è in grado di raggiungere un
pubblico molto vasto e che si incentra sugli elementi della ripetitività,
della narrativa interrotta e del piacere del pubblico nel ritrovare perso-
naggi e ambienti già noti e già percorsi.
Altro fattore incisivo nel determinare il successo di questo tipo di pro-
dotto, nonché nel provocare influenze significative sui prodotti seriali che
verranno poi proposti da altri mezzi di comunicazione, quali il cinema e
la televisione, è il fatto che la modalità di lettura di questi testi non è più
individuale, bensì collettiva e dunque basata sul confronto e sulla condi-
visione.
Alla letteratura si affianca poi anche il fumetto, la cui nascita viene fatta in
genere risalire al 1895, quando su un supplemento domenicale del quoti-
diano New York World esordisce un personaggio illustrato da Richard F.
Outcault. Si tratta di un bambino, piuttosto brutto e dalla testa calva, vesti-
to con un camicione giallo, ribattezzato presto Yellow Kid, e individuato
dagli storici del fumetto come l’evento che decreta la nascita del mezzo
[Brancato 2001]. Contemporaneamente al cinema nasce quindi anche un
altro mezzo, da più parti ritenuto a buon diritto appartenente alla catego-
ria dell’audiovisivo, che basa molta della sua fortuna e del suo fascino pro-
prio sul processo di serializzazione e che fa della frammentazione il suo
carattere espressivo, con uno stile narrativo spesso debitore del feuilleton.
Per quanto riguarda il cinema, secondo David Bordwell e Kristin Thomp-
son [1994] il serial cinematografico è oggi ricordato principalmente in
associazione a quei prodotti a basso budget che, tra gli anni Trenta e gli
anni Cinquanta, affollavano le matinée destinate agli spettatori più giova-
ni. In realtà, gli autori rammentano come il serial sia stato una forma carat-
teristica del cinema fin dagli anni Dieci. In quegli anni, la produzione era
infatti ricca di prodotti dalla durata variabile (alcuni erano molto brevi,
La serialità: cenni storici 5
Fidelizzazione
La serialità televisiva, srotolando le sue narrazioni sulla lunga durata
è tesa a ottenere un elevato grado di fedeltà dal proprio spettatore.
Ciò è evidente nelle strutture narrative che sottendono ai prodotti
seriali, finalizzate appunto a creare interesse nello spettatore, a
coinvolgerlo all’interno della vicenda narrata e a lasciargli quel grado
di incertezza e suspense necessario a far sì che egli si sintonizzi
nuovamente sul medesimo programma quando andrà in onda la
puntata successiva. Al concetto di fidelizzazione si associano anche gli
studi relativi alle abitudini di consumo degli spettatori televisivi, da cui
emerge frequentemente la presenza per gli spettatori di
«appuntamenti fissi, punti di ancoraggio all’interno della
programmazione, intorno a cui si organizzano percorsi di fruizione
Abitudini di consumo sempre più netti e definiti» [Fanchi 2001, 65].
La serialità: cenni storici 7
Made-for-TV movies
I made-for-TV movies, o semplicemente tv movies, sono prodotti
assimilabili al film per il grande schermo per durata e formato, ma
pensati e realizzati esclusivamente per la diffusione televisiva.
Spiccano nel panorama televisivo per la scarsa qualità delle immagini,
che nascono senza eccessivo dispiego di mezzi e sono pensate per
una visione esclusiva sul piccolo schermo. Predominano quindi le
inquadrature in interni, in campo medio o in primo piano e
campo/controcampo, è il dettaglio a dominare il quadro. Il tv movie è
un prodotto indispensabile nel palinsesto dei network americani, di
cui occupa circa il 20% del prime time e per cui rappresenta una
delle risorse più significative per poter avere materiali inediti nel
proprio palinsesto [Rapping 1992]. Viene spesso utilizzato un
linguaggio standardizzato e di immediata comprensione anche alle
fasce di pubblico meno sofisticate e meno famigliari con il linguaggio
cinematografico. L’azione, come per sit-com e serial, è circoscritta
fisicamente e intellettualmente per stare dentro ai confini del video e
per rientrare nella realtà di una fruizione di tipo domestico.
Peculiarità del tv movie è quella di riuscire ad esprimere in maniera
didascalica e autoreferenziale i problemi che affronta, spesso ispirati
Tra serialità
a fatti di cronaca, fugando ogni possibile ambiguità e manifestando
e unicità un chiaro giudizio morale [Innocenti 2006, 2007a].
La serialità: cenni storici 9
La fiction in Italia
La serialità prodotta nel nostro paese viene indicata di norma con il
nome di fiction, ma prima di cominciare a parlare di fiction in Italia si
parlava di sceneggiato, romanzo sceneggiato o teleromanzo, formule
che per almeno vent’anni sono state il genere privilegiato della
produzione seriale della televisione italiana. Essenzialmente si
trattava di un adattamento letterario, un racconto a puntate tratto da
un’opera narrativa edita. Per lungo tempo, la serie all’italiana è stata
caratterizzata da un numero limitato di episodi di durata intorno ai 90
minuti l’uno e da una struttura narrativa a “incastro”. Si è parlato
spesso, per il modello italiano, di una serialità “debole” basata non
tanto sulla lunga durata, quanto sulla familiarità del pubblico con le
storie narrate: biografie di personaggi famosi, storie ispirate a fatti di
cronaca o adattamenti letterari [Buonanno1996; 2002].
Di recente, la fiction nostrana ha fatto propri i meccanismi produttivi
della lunga serialità, inaugurando la produzione di soap (Un posto al
sole, in produzione dal 1996 e Centovetrine, in produzione dal 2001) e
diffondendo il modello della serie serializzata. Inoltre, sempre più
spesso si assiste all’offerta di prodotti che presentano una continuità
multistagionale come accade per le serie americane (Distretto di
polizia, giunto alla settima stagione nel 2007, La squadra, all’ottava
stagione nel 2007 e RIS - Delitti imperfetti, alla quarta stagione nel
Serialità debole 2007).
La serialità: cenni storici 11
Prime Time
La giornata televisiva viene convenzionalmente divisa in fasce orarie
dedicate a conquistare precise tipologie di pubblico con l’obiettivo di
massimizzare gli ascolti. Il “Prime Time” è la fascia serale, che
corrisponde al momento in cui il maggior numero di spettatori è
sintonizzato sui canali televisivi [Gitlin 1983]. Negli USA corrisponde
convenzionalmente alla fascia 20.00-23.00 o 19-00-22.00, a seconda
delle zone geografiche, mentre in Italia, tradizionalmente, la fascia
oraria di prima serata corrisponde al periodo 21.00-23.30, momento
in cui le reti generaliste propongono una programmazione il più
possibile adatta ad un pubblico familiare ed allargato. Nel caso degli
USA i programmi sono tendenzialmente strutturati per coprire blocchi
di 60 minuti, mentre in Italia molti programmi hanno una durata
Fasce di palinsesto media di 90 minuti al netto degli spazi pubblicitari.
La serialità: cenni storici 13
così che ogni nuovo episodio non sia la continuazione o la ripresa di quel-
lo precedente, ma l’inizio di una nuova storia.
Il mutamento, l’ibridazione, sono allora parte di un processo continuo, che
si nutre anche – a differenza di quanto accade per il cinema – della rispo-
sta immediata dei fruitori del testo televisivo, che tramite indici di ascolto
e commenti indirizzati al network che trasmette un determinato prodot-
to, risultano coinvolti in maniera intensa, contribuendo largamente alla
definizione e alla ri-definizione dei prodotti televisivi, facendo sì che i
generi e i format televisivi evolvano e mutino a partire dalle premesse
intorno alle quali si sono costruiti [Gertner 2005].
È in questo panorama, quindi, che assistiamo al fenomeno della “serializ-
zazione” delle serie. Benché la forma classica della serie a episodi autosuf-
ficienti non sia scomparsa – si pensi ad esempio a prodotti come Cold
Case (dal 2003) e Law&Order – I due volti della giustizia (Law&Order
dal 1990) – le formule narrative passano attraverso un processo di muta-
zione e di ibridazione, e molte serie “si serializzano”, avvicinando la loro
struttura sempre più a quella del serial, di un racconto, cioè, articolato in
un numero variabile di puntate, interdipendenti tra loro e quindi in gene-
re costituite da segmenti narrativi incompiuti e non autosufficienti, fram-
menti di una trama costantemente interrotta.
In questa tipologia, i singoli segmenti mantengono un alto grado di auto-
nomia, c’è dunque sempre una storia centrale che si conclude nell’episo-
dio (detta anthology plot), ma c’è anche una cornice che si prolunga per
più episodi (il cosiddetto running plot).Viene così aggiunto un elemento
di progressione temporale e di parziale apertura narrativa, assente dalla
formula tradizionale.
Ad un primo sguardo, molti prodotti recenti provenienti dagli Stati Uniti
sembrano funzionare come serie, essendo in possesso di molte delle mar-
che tipiche di questa formula, quali ad esempio tematiche ricorrenti
messe in scena da un cast ricorsivo in episodi dalla narrazione autocon-
clusiva. Ma Buffy, Six Feet Under (2001-2005) o Nip/Tuck (2003- ), oltre a
possedere le caratteristiche appena elencate, resistono al rischio di atro-
fizzazione della narrazione creando un mondo diegetico dove le variazio-
ni a tutti i livelli – dei personaggi, degli scenari, delle tecniche narrative –
sono incoraggiate e celebrate dai fan. Lo stile ibrido di Buffy, ad esempio,
fa sì che anche comportandosi come una serie, Buffy incorpori strumen-
ti drammaturgici comunemente associati alla soap opera [Da Ros 2004].A
partire dagli anni Novanta, allora, si è verificata una sempre maggiore ten-
denza verso una fusione tra la soap e le forme tipiche delle fiction prime
time a bassa serialità. In questi prodotti, «le tematiche del privato e dei sen-
timenti hanno guadagnato parecchio terreno: per rendere sempre più cre-
dibili i personaggi è necessario costruire il loro passato e prevedere uno
sviluppo futuro, ed è importante avvicinarli quanto più possibile alla sen-
sibilità e all’esperienza del pubblico» [Cardini 2004, 68-69].
Nonostante sia suddivisa in episodi circoscritti e auto-conclusivi, in Buffy,
20 Profilo critico
diretto da Nora Ephron nel 2005) e incentrato sul personaggio della figlia
della protagonista, la strega Samantha, di cui lo show porta il nome.
Ma lo spin-off non è solo una fiction generata da un’altra fiction. La mol-
teplicità delle forme intertestuali fa sì che la casistica assuma contorni flui-
di, tanto che lo spin-off può anche risultare come il prodotto di una forma
di intertestualità che passa attraverso l’uso della star, protagonista di uno
show, che re-interpreta un personaggio già proposto, eventualmente adat-
tandolo alla nuova situazione narrativa [Innocenti 2003]. Questo accade,
ad esempio, nel rapporto tra I Love Lucy (1951-1957) e i successivi The
Lucy Show (1962-1968) e Here’s Lucy (1968-1974), in cui l’attrice Lucille
Ball, dopo aver interpretato il ruolo di una giovane sposina di professione
casalinga, interpreta il ruolo di una vedova che lavora come segretaria, sug-
gerendo una sorta di evoluzione (anche legata all’età della protagonista)
che passa però attraverso la riproposizione di situazioni e di personaggi
già visti (e già amati dal pubblico) in I Love Lucy. Non va dimenticato,
infatti, che una modalità tipica della struttura della serialità televisiva è la
presenza delle guest star. Questo tipo di pratica, assolutamente comune
nel contesto del prodotto seriale televisivo, conosce svariate forme, oltre
alla dimensione meramente ludica, derivata dal piacere di riconoscere una
star o, nello specifico, il personaggio da lei interpretato in un altro conte-
sto [Smith 2005]. Un esempio interessante viene da Friends, dove Lisa
Kudrow, che interpreta la buffa cantautrice Phoebe Buffay, appare talvolta
nei panni di Ursula, sua sorella gemella e personaggio già presente in
Innamorati pazzi (Mad About You 1992-1999).
Il termine crossover viene invece comunemente utilizzato per indicare
una situazione ormai piuttosto comune nel campo della serialità televisi-
va. Il crossover non amplia lo spazio fino a quel momento attribuito a uno
dei personaggi di una determinata serie come lo spin-off, ma amplia piut-
tosto lo spazio dell’intera serie, inserendola all’interno di un mondo allar-
gato che include anche personaggi appartenenti a un diverso universo nar-
rativo. Attraverso le dinamiche che il crossover instaura, si favorisce una
sorta di uscita dei personaggi dallo spazio claustrofobico e ristretto che
caratterizza lo svolgersi delle loro vicende, in particolare per quanto
riguarda episodi crossover inseriti all’interno del chiuso spazio riservato ai
protagonisti delle sit-com. Sebbene non si aggiungano grandi novità alla
struttura del mondo finzionale, che rimane comunque racchiuso in quel-
l’andirivieni tra la cucina e la sala da pranzo (per esempio ne I Robinson,
The Cosby Show, 1984-1992) e tra la casa e un luogo di ritrovo designato
(gli appartamenti dei ragazzi e il caffé Central Perk in Friends), sembra
ragionevole pensare che ci sia qualcosa oltre la porta. La sovrapposizione
offre quindi numerose occasioni di scambio tra i protagonisti delle diver-
se serie, spesso associando prodotti appartenenti a generi tra loro similari.
Questo tipo di relazione che si instaura tra prodotti diversi funziona piut-
tosto bene come forma di presentazione, una sorta di biglietto da visita,
una garanzia, che sembra voler suggerire al pubblico determinati orienta-
24 Profilo critico
dei testi in una successione; una certa indefinitezza che caratterizza l’in-
sieme, rendendo peraltro plausibile lo smisurato allargamento delle situa-
zioni narrate assieme alla possibilità di inglobare materiali narrativi (ovvia-
mente redditizi) sfruttati in altri contesti. Una caratteristica fondamentale
della fiction televisiva, e cioè il suo srotolarsi in tempi lunghi secondo un
andamento che prevede continue sovrapposizioni comunque alla luce
dell’esistenza di punti fissi, fa emergere quella logica tipica dell’appunta-
mento televisivo inteso come una sorta di ricorrenza da celebrare. Per il
telespettatore seguire gli sviluppi narrativi della propria serie preferita
significa partecipare a una sorta di celebrazione, che puntualmente ritor-
na nel palinsesto e che, recentemente, ha mutato i suoi confini, come
vedremo in seguito, esondando dai limiti del piccolo schermo per trasfor-
marsi in un’esperienza immersiva e che coinvolge diversi media.
sonaggi. Quanto, allora del film di Altman può considerarsi ripreso dalla
serie televisiva? Resta, senz’altro, la premessa di base che muove i perso-
naggi, cioè la necessità di compiere pazzie per preservare la propria sani-
tà mentale nell’assurdo clima della guerra. La serie televisiva si è poi evo-
luta in maniera autonoma rispetto all’ipotesto di riferimento, esplorando-
ne le possibilità, rivitalizzandosi all’occorrenza e adattandosi alle modifi-
che nell’audience. In breve, questa serie è stata capace non solo di adatta-
re il film originale alle esigenze e alle tempistiche televisive, ma anche di
adeguare la formula del programma al passare degli anni, ad esempio attra-
verso l’enfasi posta sullo sviluppo dei personaggi.
Anche per Fame, le questioni che si pongono sono più o meno le mede-
sime. Originata dall’omonimo film di Alan Parker, successo del 1980, la
serie riscosse grande consenso di pubblico soprattutto in Europa. Del cast
del film, sopravvivono nella serie ben quattro attori (l’insegnante di danza
Debbie Allen, il professore di musica Albert Hague, l’aspirante musicista
Lee Curreri e il giovane ballerino Gene Anthony Ray) e anche in questo
caso la pellicola di Parker funge da fonte di ispirazione, ma non si pone
come un riferimento imprescindibile per gli spettatori televisivi, che pos-
sono quindi facilmente approcciarsi alla serie televisiva anche digiuni
delle dinamiche del film.
Va notata, dunque, la forte tendenza delle serie contemporanee – in parti-
colare proprio quelle rivolte ai giovani – all’uso del cinema in maniera
autoriflessiva, in forma di citazione o di allusione. Le serie televisive, sem-
pre più, si propongono allora come forme di meta-fiction, di meta-televi-
sione o meglio ancora possono vantare una struttura autoriflessiva sul pro-
prio statuto di oggetti appartenenti al mondo della comunicazione. Que-
sti prodotti sono sempre più caratterizzati da una struttura che riflette sul
genere [Olson 1987], puntando sulla capacità dell’audience di cogliere tali
riflessioni e riferimenti, capacità essenziale al funzionamento del mecca-
nismo. Anche Eco [1985b] sottolinea come alcune forme di dialogismo
vadano al di là degli interessi e delle necessità collegate alla trattazione
specifica del problema del seriale nelle forme audiovisive.
Parlare di dialogismo e di intertestualità significa, infine, rifarsi anche ai
concetti esposti da Bachtin, Kristeva, Genette [Bachtin 1979; Kristeva
1978; Genette 1997]: attraverso le loro riflessioni è possibile allora cerca-
re di individuare i confini dell’analisi, con riferimento ai rapporti e colle-
gamenti tra i testi [Comand 2001; Guagnelini e Re 2007]. La cornice inter-
testuale all’interno della quale si posizionano i prodotti televisivi seriali si
rivela infatti essenziale per comprendere la complessità e la stratificazio-
ne di tali prodotti. Inoltre, è necessario affrontare la questione anche nei
termini di rapporti intermediali, intendendo l’intermedialità come l’inte-
razione e l’integrazione dei media, che conduce ad una più capillare dif-
fusione e circolazione dei prodotti culturali. Gli scambi tra il cinema e la
televisione, di cui abbiamo qui trattato, vanno proprio a posizionarsi all’in-
terno di un quadro che vede i media non «come semplicemente indipen-
Una nuova Goldel Age 29
Convergenza/Convergenza culturale
L’idea di convergenza è utilizzata dagli studiosi per indicare un
ambiente multimediale, reso possibile dalla tecnologia digitale.
Convergenza implica dunque una molteplicità di servizi fruibili
attraverso un mezzo di comunicazione e si basa sull’idea di
compresenza e di interazione di più mezzi di comunicazione in uno
stesso supporto informativo.
Si parla di contenuti multimediali, ci si avvale di molti media diversi:
immagini in movimento (video), immagini statiche (fotografie), musica
e testo. La convergenza tra mezzi di comunicazione di massa non si
realizza, né è ipotizzabile, soltanto dal punto di vista tecnologico, ma
si tratta altresì di un fatto culturale, associato evidentemente alle
pratiche di consumo che prevedono l’utilizzo di una pluralità di media,
che a loro volta mettono a disposizione dell’utente una vastissima
gamma di prodotti. La convergenza culturale mette in piedi un
creativo processo di “poaching” (bracconaggio) [Jenkins 1992a] che
richiama in causa tutte le competenze e le conoscenze pregresse
dello spettatore e si organizza intorno alla abbondanza di materiali
Processo creativo che i media stessi mettono a disposizione.
Una nuova Goldel Age 33
pertanto anche dai suoi spin-off, dai fumetti ad essa ispirati, dai romanzi
che ne derivano, dai siti Internet più o meno amatoriali, dai videogiochi
che ripropongono ambientazioni e personaggi permettendo al fan di agire
in prima persona.
In questo modo, lo spazio di fruizione del prodotto si allarga a dismisura,
coinvolgendo molti altri momenti della giornata dello spettatore, che può
così continuare a far parte della dimensione messa in piedi dallo show, ad
essere a sua volta parte di quell’universo narrativo anche al di fuori dei
limiti spazio-temporali imposti dalla fruizione televisiva.
Reality tv
La reality tv non è una invenzione degli ultimi anni e non nasce con il
Grande Fratello: chiamiamo infatti reality tv tutti quei programmi
«esplicitamente basati sulla tematizzazione di eventi, situazioni, tempi
e persone che vengono presentati come “veri”, “contemporanei” e
“autentici”, vale a dire al cui centro vi è la “realtà” di personaggi e
spazi, e la contemporaneità di tempi e di eventi solitamente estranei
allo spettacolo televisivo» [Demaria, Grosso e Spaziante 2002].
Distinguiamo fondamentalmente quattro modelli di reality tv: real tv,
tv verità, reality show, docu-soap. Il modello di maggior successo
degli ultimi anni è quello del reality show, «programma basato su
situazioni reali che coinvolgono persone comuni, presentate in un
contesto narrativo (e quindi strutturate in storie), che si avvale
I 4 format solitamente di contributi filmati in diretta» [Alessandri 1999].
Una nuova Goldel Age 35
piano delle soluzioni narrative adottate per i singoli episodi, poi, è da nota-
re che E.R. ha anche azzardato numerosi esperimenti, spesso legati alla
struttura temporale dell’episodio, come nel caso di Frammenti di verità
(Hindsight, stagione 9, episodio 189) che ripropone in larga misura la
struttura temporale del film di Christopher Nolan Memento (2000). Come
nel film di Nolan, anche la vicenda di cui sono protagonisti i medici del
Policlinico di Chicago è narrata «a partire dalla sua conclusione per risali-
re a ritroso il corso del tempo, con ciclici ritorni indietro. Ogni singola
sequenza ha in sé uno sviluppo lineare, ma le sequenze, nel loro com-
plesso, sono organizzate in modo che l’inizio di una venga a coincidere
con la fine di quella successiva» [Autelitano 2004, 53].
Il potere di fascinazione, di coinvolgimento, di creazione, di adesione pro-
prio di ogni finzione emerge dunque dall’articolazione e da una partico-
lare declinazione della categoria del verosimile. L’efficacia di questo tipo
di prodotto deriva dalla modulazione di una dimensione simulatoria (del
reale), e una dimensione narrativa (del “come se”). La fiction legge il reale,
ne amplifica alcuni dettagli, ne narcotizza altri, ne dilata altri ancora: così
facendo, ci invita a leggerlo e consumarlo nello stesso modo. La fiction
può perciò proporsi come un serbatoio di proposte esegetiche, che pos-
sono divenire offerte a cui si aderisce completamente, traducibili in prati-
che e stili di vita, in modelli non solo accettati, ma continuamente ricrea-
ti e perfezionati.
E.R. segna dunque l’avvio di una nuova fase, che culminerà ai giorni
nostri, con i successi mondiali di 24 (dal 2001), Lost (dal 2004) e Dr.
House-Medical Division (House M.D. dal 2004) che prendiamo qui in
esame in qualità di programmi estremamente significativi di una nuova
modalità di fare serialità.
24, ideata da Robert Cochran e Joel Surnow, è una serie prodotta dalla Fox
e in onda dal 2001. Ogni stagione racconta una serie di eventi che si svol-
gono nelle 24 ore di una giornata. La struttura narrativa si articola in ven-
tiquattro puntate da 45 minuti ciascuna – che diventano 60 con gli spazi
pubblicitari – e che danno allo spettatore l’illusione di seguire gli eventi in
tempo reale. Ogni puntata copre infatti un’ora della giornata del protago-
nista, l’agente del CTU (Counter-Terrorism Unit) di Los Angeles Jack Bauer,
alle prese con attacchi terroristici di varia origine e natura. Benché non
innovativa (è stata usata ad esempio da M.A.S.H.), la formula del tempo
reale è particolarmente ben gestita in questo prodotto, che ne fa il princi-
pio centrale della narrazione di una intera serie [Corel 2005]. Gli eventi
narrati, scanditi dalla presenza del timecode, avvengono sotto i nostri
occhi e ribadiscono la loro contemporaneità rispetto al concetto di
tempo. Il tempo dei protagonisti è il nostro tempo, perché lo spazio tem-
porale che intercorre all’interno di un episodio corrisponde al tempo tra-
scorso nella nostra condizione di realtà. Con un sapiente uso del cliffhan-
ger che conclude di fatto ogni puntata (e ogni ora della giornata di Jack
Bauer), 24 rappresenta un tentativo di ripensare la narrazione seriale, riva-
36 Profilo critico
Brand
Il termine inglese brand viene in genere tradotto con “marca”, ad
indicare un nome, un simbolo, un disegno, o una combinazione di tali
elementi, con cui si identificano prodotti o servizi di uno o più venditori
al fine di differenziarli da altri offerti dalla concorrenza. Di norma il
termine viene usato in riferimento a beni di consumo materiali, ma
negli ultimi anni ha assunto anche un significato allargato, riferito a
prodotti culturali e inteso come strumento di identificazione di più
prodotti, anche molto diversi tra loro, legati però da una promessa
comune e da valori di riferimento condivisi. Ad esempio, nel caso di
Buffy, si parla di Buffyverse come di quel mondo finzionale di cui Buffy
è il centro e intorno al quale gravitano numerosi altri prodotti
mediatici direttamente derivati da Buffy (i suoi spin-off ufficiali),
nonché tutti quei prodotti che per affinità, per diretta citazione, oppure
perché inseriti all’interno dell’universo di riferimento della serie, L’universo
entrano a farne parte, in una concezione allargata dell’idea di brand. della marca
40 Profilo critico
prodotto dell’intervento dei fan e che non è quindi motivata da una logi-
ca di sfruttamento commerciale. Una distinzione importante, questa, e
che, come nota Brooker [2001] è interessante indagare, soprattutto cer-
cando di comprendere se le modalità siano esclusive o inclusive, se cioè
possano o meno convivere nel panorama che si va delineando. Ad esem-
pio, i siti ufficiali dei network/show, possono essere visti come strumenti
che contribuiscono a incoraggiare la creatività e il senso di comunità che
unisce i fan, attraverso una serie di strumenti che favoriscono l’incontro e
la discussione, quali le chat i blog e i feed RSS, ma allo stesso tempo i fan
si aggregano in altri ambiti attraverso l’utilizzo dei medesimi strumenti,
senza necessariamente passare per gli spazi ufficialmente creati per loro.
È chiaro quindi che nel contesto contemporaneo, gli spettatori, più che a
vedere una serie tv sono invitati ad aderire a uno stile di vita, ad essere
parte di un’esperienza che non si limita, appunto, all’ora di visione setti-
manale, ma che si allarga a 360 gradi. Questo è accaduto ad esempio con
Heroes (2006- ) e con l’omonimo ARG (Alternate Reality Game), Heroes
360 Experience nato sulla scia di quella che è stata, per il pubblico ame-
ricano, la cosiddetta Lost Experience – cioè quell’ARG giocato dai fan
durante la seconda stagione di Lost in UK e nell’intervallo tra la fine della
seconda stagione e l’inizio della terza in USA – e che rappresenta una
estensione su piattaforme digitali (e non) della serie.
Naturalmente, l’esistenza del Web e di Internet rende il tutto non solo pos-
sibile, ma anche interessante per dimensioni e caratteristiche del fenome-
no, consentendo una diffusione rapida e capillare dei contenuti, che ben-
ché certamente indirizzati a un pubblico già coinvolto nel meccanismo,
sono comunque di facile reperibilità e accessibilità. Se per anni, infatti, i
fan di un determinato prodotto, come ad esempio Star Trek, si sono riuni-
ti in convention e eventi dedicati ai loro beniamini per condividere idee
ed eventualmente le loro personali produzioni intorno allo show, ora, con
le possibilità offerte dalla rete, un nuovo modo di condivisione delle infor-
mazioni e delle proprie produzioni si è affermato, con evidenti cambia-
menti. Internet, di conseguenza, ha accelerato un processo che, per una
delle comunità di fan più vecchie e studiate (quella di Star Trek, appunto)
ha impiegato anni a compiersi, favorendo e sveltendo la ricerca di perso-
ne che condividano lo stesso tipo di interesse per una serie televisiva.
Il supporto a questo tipo di esperienza, coinvolgente ed immersiva, è natu-
ralmente il frutto di un intenso lavoro di sfruttamento delle potenzialità
offerte da Internet, così come dell’integrazione tra le diverse piattaforme
che rendono possibile allo spettatore l’accesso ai contenuti, alle password
e all’intera costellazione di prodotti mediali di cui si compone ad esempio
il mondo di Heroes [Porter, Lavery e Robson, 2007]. Che poggia pertanto
su numerosi hoax movie sites, sugli easter eggs contenuti nelle tavole del
fumetto, su blog e indizi disseminati fuori e dentro la rete.
In un certo senso, studiare il comportamento e il ruolo dei fan di un pro-
dotto televisivo ha voluto dire, per lungo tempo, considerare il pubblico
Una nuova Goldel Age 41
Mobisodes
Con questo termine ci si riferisce a episodi di programmi televisivi
fatti oggetto di un lavoro di adattamento che li rende disponibili per la
visione attraverso lo schermo del telefono cellulare. In genere si
tratta di episodi di breve durata (da uno a tre minuti). Tra i primi e più
noti esempi di questo adattamento di prodotti seriali alla fruizione via
cellulare troviamo 24: Conspiracy, spin off della serie 24, reso
disponibile dalla FOX a partire dal gennaio 2005, dopo la messa in
onda dei primi episodi della quarta stagione della serie. Distribuiti al
ritmo di un episodio ogni tre giorni, i mobisodes di 24 articolano
appunto ventiquattro minuti di narrazione non lineare che racconta
una storia che possiede espliciti riferimenti alla stagione 4 della serie
ideata da Joel Surnow e Robert Cochran. Utili alla promozione e alla
pubblicità di una serie, i mobisodes appartengono a quel ricco e
Forme narrative
articolato panorama che ha visto l’affermazione di prodotti
transmediali multipiattaforma e high concept.
beniamini. Una combinazione di fattori pare essere la ragione per cui tali
formati sono particolarmente ben funzionanti nel generare assiduità e
attaccamento negli spettatori. In primo luogo, le forme seriali sono state
parte del panorama culturale da quando è nata la televisione (e prima
ancora erano patrimonio del pubblico radiofonico, di quello dei serial
cinematografici, nonché dei lettori di feuilleton). La longevità di questi for-
mat/generi è in grado di creare e al tempo stesso di alimentare e mante-
nere la lealtà che i fan vi dedicano. Inoltre, questo tipo di prodotto pre-
senta una struttura seriale di lunga/lunghissima durata che evidentemen-
te contribuisce allo stabilirsi della fedeltà dei fan e al suo mantenimento.
Ancora, i fan rispondono in maniera così estesa alle sollecitazioni espres-
se da soap e serie anche a causa dei loro contenuti e dei loro temi speci-
fici, che attirano particolari categorie di spettatori e sono determinanti nel
mantenere la fedeltà e l’interesse degli appassionati lungo un periodo di
tempo dilatato.
In particolare, le soap e le serie di ambientazione domestica, con il loro
strutturarsi attorno alle tematiche delle relazioni, della famiglia e agli intri-
ghi romantici fanno sì che il pubblico vi si appassioni anche in virtù di una
funzione di identificazione. La fantascienza, invece, rende possibile inclu-
dere, oltre al fascino per l’avventura e la scoperta, anche una serie di valo-
ri di riferimento, quali il rigetto della discriminazione razziale, di genere, di
religione, che consentono al prodotto di fare presa sui fan, come ben
dimostra il grande seguito di Star Trek.
Dunque, il successo e l’efficacia di penetrazione di questi programmi non
si misura unicamente nei termini degli indici di ascolto, ma ha a che fare
anche e soprattutto con la loro capacità di suscitare reazioni negli spetta-
tori, e di accendere e stimolare la loro rielaborazione critica, come dimo-
stra il fallimento negli USA della serie Firefly (una sola stagione nel 2002)
ideata da Joss Whedon, la cui chiusura anticipata ha però indotto i fan più
assidui ad acquistare una pagina su Variety e a sollecitare una campagna
di protesta contro la rete UPN, nel tentativo di salvare la loro serie prefe-
Syndication
Nell’ambito della diffusione di programmi televisivi (e radiofonici) si
parla di syndication per indicare la vendita dei diritti di messa in onda
di show a più stazioni. È un fenomeno molto comune in paesi, come
gli USA, in cui la televisione è organizzata intorno a network, cioè a
reti centrali di distribuzione di contenuti a cui si aggregano affiliati
locali. Le syndication sono quindi circuiti che trasmettono prodotti “di
seconda mano”, benché comunque “dignitosi” come ad esempio
repliche di episodi di serie tv già trasmesse dai network principali.
Questo sistema può essere molto remunerativo poiché garantisce un
Distribuzione
numero molto alto di passaggi televisivi, con un conseguente aumento
di contenuti nella vendita di spazi pubblicitari.
Una nuova Goldel Age 51
Cosplaying
Si tratta di una subcultura nata in Giappone e centrata sull’abbigliarsi
come personaggi di manga, anime, serie e videogames. Il termine è il
frutto di una contrazione tra “costume”, abito e “play”, giocare, ma
anche recitare. In Giappone è un hobby diffuso con nutrite comunità di
cosplayer che si ritrovano per ammirare i costumi altrui e mostrare i
propri, fatti a mano da loro stessi, partecipando a gare per il miglior
costume. Si pratica in situazioni pubbliche, come fiere dedicate a
fumetti e videogiochi, ma anche feste a tema cosplay in locali notturni
e parchi tematici. La tendenza più recente è in Giappone è l’aumento
di popolarità del cosplaying legato a film e prodotti non giapponesi,
per esempio le saghe cinematografiche Matrix, Star Wars, Il signore
Fandom degli anelli, Harry Potter.
La serialità nel sistema dei media 53
(La prova del cuoco), ai quiz serali (L’eredità, Affari tuoi), all’intratteni-
mento offerto da un programma come Striscia la notizia. In sostanza, i
programmi che caratterizzano il medium televisivo sono costruiti secon-
do forme di concatenazione che presuppongono due tipologie di movi-
mento: da un lato, la struttura dell’offerta televisiva prevede una concate-
nazione verticale, cioè relativa alla connessione tra i programmi inseriti
nel palinsesto giornaliero, mentre dall’altro ogni emittente televisiva posi-
ziona i programmi secondo una concatenazione orizzontale, cioè relativa
al palinsesto settimanale, spesso ripetendo in striscia i programmi di gior-
no in giorno.
Dunque, il processo di serializzazione – che abbiamo visto essere conna-
turato alla storia dei media di massa e che riguarda non solo le serie tele-
visive ma in generale la programmazione mediatica – può essere sintetiz-
zato intorno a tre punti fondamentali.
In primo luogo, il processo di serializzazione riguarda i formati più tradi-
zionali e cioè i prodotti cinematografici e le serie televisive di stampo più
classico. A partire dagli anni Ottanta si assiste infatti ad un ritorno delle
forme seriali al cinema, con serie di grande successo come Indiana Jones
(I predatori dell’arca perduta, 1981; Indiana Jones e il tempio maledet-
to, 1984 e Indiana Jones e l’ultima crociata, 1989) e Ritorno al futuro
(Ritorno al futuro, 1985; Ritorno al futuro parte II, 1989 e Ritorno al
futuro parte III, 1990). Per ciò che riguarda le serie televisive, il modello
di serialità più tradizionale viene rimesso in discussione attraverso un
rimaneggiamento dei formati e del materiale narrativo che è noto come
serializzazione della serie (vedi Profilo critico, 1.3).
In secondo luogo, a partire dal periodo che abbiamo descritto, si avvia un
meccanismo che instaura un “effetto alone”, che si sostanzia nell’espan-
sione dei formati e dei contenuti seriali al di fuori dall’ambito circoscritto
delle serie televisive, imponendo invece un’invasione e una colonizzazio-
ne del palinsesto da parte di programmi che appartengono alla più vasta
categoria dell’intrattenimento. Si tratta dunque di un effetto che riguarda,
ad esempio, i reality show che, nella televisione generalista, proliferano a
partire dal momento stesso in cui vengono proposti. Inserito all’interno di
un contenitore di tipo spettacolare e di intrattenimento, questo tipo di
programma si espande e si allarga in molti altri contesti, eludendo lo spa-
zio chiuso e circoscritto all’interno del quale dovrebbe rimanere confina-
to (l’isola, la casa, la fattoria etc.) e andando invece a occupare i più sva-
riati spazi del palinsesto (dai telegiornali ai talk show, dai contenitori
domenicali ai programmi di satira). Nel momento in cui questa colonizza-
zione ha luogo, nel momento in cui questo prodotto entra a più livelli
nello spazio esperienziale del telespettatore, esso attiva a tutti gli effetti
meccanismi di concatenazione seriale che rafforzano la convinzione che
il processo di serializzazione in atto sia di buon grado allargato all’intero
ambito mediale, piuttosto che circoscritto alla sola sfera delle serie televi-
sive.
La serialità nel sistema dei media 57
L’effetto alone, infine, assume una forma ancora più complessa ai giorni
nostri, attraverso l’instaurarsi di un processo di espansione transmediale
che fa sì che i prodotti seriali televisivi esondino dai confini del medium
per il quale sono inizialmente pensati e tendano invece a migrare verso
altri media (Internet, i videogiochi, i telefoni cellulari). Siamo, in questo
caso, nell’ambito della costruzione di prodotti multipiattaforma, basati su
forme narrative transmediali, modulari e high concept (vedi Profilo criti-
co, 2.2 e 2.3), per le quali il medium televisivo rappresenta semplicemen-
te una sorta di punto di ingresso all’interno di universi finzionali molto più
complessi e articolati.
Gundle 2007; Kuhn 2002] ci mostrano come già dalle prime fasi di diffu-
sione dell’industria culturale il pubblico abbia saputo “vivere” divi, attori,
personaggi mediali in termini di prossimità, di vicinanza, di intimità (l’at-
tore percepito come un fratello, l’attrice esperita come compagna di vita
ecc.). La cosa poi non avrebbe fatto altro che propagarsi con l’epoca dei
media elettronici (non a caso l’espressione “amici mediali” risale agli anni
Ottanta).
Ciò non di meno ci sono almeno tre fattori che differenziano in modo piut-
tosto marcato i nuovi modi di fare esperienza reale dei mondi e dei per-
sonaggi della serialità dalle dinamiche appena ricordate. In primo luogo
c’è un fenomeno quantitativo. Le dinamiche di fandom o anche di attac-
camento appassionato ai racconti seriali non sono più fenomeni di nic-
chia. Come ci ricorda Massimo Scaglioni (quarta sezione dell’antologia), i
venti milioni di spettatori di Lost fanno qualche differenza.Vecchi serial e
soap entravano nei palinsesti con collocazioni precise, target piuttosto
definiti (in termini di età e gender) ma in un contesto culturale marcato da
un certo grado di disapprovazione sociale: gli studi sul consumo ci dicono
che, per esempio, spesso la lettura di romanzi rosa e la visione di soap
opera sono state percepite dalle casalinghe come attività da nascondere
[Colombo e Eugeni 2001]. Oggi non solo certe sezioni del pubblico da tv
generalista hanno sempre meno importanza, ma, con la diffusione del Web
e della cultura partecipativa, come abbiamo visto, il pubblico appassiona-
to (che ragiona in termini di “amici mediali” nei confronti dei personaggi
della nuova serialità) ottiene la sua rivincita. In generale la dimensione cul-
tuale dell’esperienza audiovisiva passa dall’essere un effetto collaterale
delle dinamiche di consumo a essere un modello di tendenza.
In secondo luogo, i nuovi fan, oltre a essere più numerosi, costituiscono
comunità visibili, visitabili, socialmente testualizzate (siti Web, blog, riviste
on line, liste di discussione) dove si attribuiscono interpretazione e valore
ai personaggi mediali in modo esplicito. Inoltre essi (e questo è un ele-
mento di reale novità) non si limitano a fruire brani di cultura popolare
riconducendoli alle proprie esperienze in termini di analogia e prossimi-
tà, piuttosto intervengono su queste vite finzionali cercando di modificar-
ne il corso, scrivendone varianti possibili, sviluppando percorsi autonomi,
giocando con la logica del what if. Il grado di partecipazione innescato
dalla cultura convergente non può essere trascurato. Misery non deve
morire di Stephen King racconta la storia di uno scrittore che viene impri-
gionato e torturato da una sua fan affinché resusciti l’eroina di un ciclo
romanzesco del quale l’autore aveva decretato la prematura fine. I nuovi
fan e blogger riescono a fare giorno per giorno ciò che in Misery non
deve morire il protagonista vive come un incubo. Riescono cioè a porsi
come interlocutori privilegiati anche nei confronti di settori specifici del-
l’industria dei media (gli autori, gli sceneggiatori delle serie ecc.). Del
resto, la carceriera del protagonista di Misery è una folle sociopatica. Men-
tre oggi i fan, come mostra Scaglioni, sono un fenomeno sempre più
70 Profilo critico
sti prodotti. Dunque, un legame che prescinde dal medium e può essere
compiuto, in virtù della delocalizzazione, della digitalizzazione e del venir
meno di una fruizione istituzionalizzata, nei modi più diversi e con il più
alto grado di coinvolgimento dello spettatore.
Il medium-community, legato a un interesse condiviso da un gruppo di
utenti, impone pertanto un ripensamento del modello televisivo, che non
è più legato all’idea di palinsesto e all’idea di flusso, ma è piuttosto legato
a un’idea di relazione diretta, coinvolgente e proattiva con lo spettatore
che è in gran parte fondata sul passaggio da un’idea di testo chiuso a un’i-
dea di testualità diffusa. Non abbiamo più davanti un oggetto dai contorni
definiti (l’appuntamento settimanale con l’episodio a carattere autocon-
clusivo di Colombo), né un testo inserito nel flusso (l’appuntamento con
le sit-com all’interno dei contenitori televisivi domenicali, ad esempio), ma
qualcosa che si amplia e si allarga, con contorni sfumati e non facilmente
mappabili. I confini del testo sono difficilmente rintracciabili, la sua
espansione e la sua frammentazione fanno sì che esso si spalmi su più
ambiti mediali facendo diventare le forme seriali la vera ossatura dell’au-
diovisivo contemporaneo. Le pratiche di espansione e frammentazione
della testualità tradizionale investono quindi un piano intertestuale, così
come un piano propriamente intermediale, e sono caratteristiche delle
nuove forme della serialità contemporanea [Pescatore 2006a].
Le modalità di diffusione e di accesso ai prodotti culturali nell’ambito dei
nuovi media sono complesse, ma particolarmente interessanti poiché si
tratta, come abbiamo sottolineato, di prodotti che possiedono una strut-
tura modulare, che rende possibile la pervasività dei testi, la loro serializ-
zazione, la loro fruibilità in ambiti e contesti diversi, la costruzione di
community di spettatori che condividono l’interesse nei confronti della
medesima serie di oggetti mediatici. Il perno dell’intero meccanismo è
costituito proprio dall’idea di comunità, che a sua volta veicola una logica
che è quella della cooperazione: la logica che governa tali modalità di cir-
colazione delle idee e degli oggetti mediali presuppone quindi un approc-
cio collaborativo e caratterizzato da una moltiplicazione delle possibilità
di relazione tra testo e spettatore. Come sottolinea Pierre Lévy [1996, 34],
«le distinzioni stabilite tra autori e lettori, produttori e spettatori, creatori
e interpreti si confondono a favore di un continuum di lettura-scrittura
che va dagli ideatori di macchine e reti fino ai recettori finali, ciascuno dei
quali contribuisce ad alimentare di riflesso l’azione degli altri».
Le forme di narrazione dominanti divengono quelle senza un centro, carat-
teristica peculiare dei prodotti seriali, che vanno costantemente aumen-
tando, anche e soprattutto grazie al progresso tecnologico. Il prodotto
seriale si caratterizza per una sempre crescente interattività rispetto alla
narrazione, mentre viene lasciato sempre più spazio e sempre più autori-
tà a una nuova tipologia di fruitore. Il pubblico, considerato per lungo
tempo semplicemente come un gruppo di frequentatori di un determina-
to ambiente della comunicazione di massa che consumava avidamente e
74 Profilo critico