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20/06/22, 18:36 "Umberto Eco e la TV, uno slittamento dal primo al terzo scaffale"
specifico della tv coincide con l’assunzione della teoria semiotica, è anche perché i problemi che l’universo
televisivo ha posto all’estetologo e allo studioso di comunicazioni di massa hanno sollecitato l’intervento di una
prospettiva di ricerca più ampia ed efficace, una prospettiva generale sul senso umano e sociale che né l’estetica
né la sociologia della comunicazione potevano e sapevano, per così dire, assumere in proprio. Prospettiva che ha
poi esteso i problemi del fatto televisivo, e le categorie per interpretarlo, ad ambiti di ricerca molto più ampi e
diversificati”
Un saggio come quello su Mike Bongiorno è, per così dire, semiotica spicciola… È d’accordo con quanto
da me affermato?
“Non so se sia spicciola, ma è sicuramente una semiotica implicita. Se pure nel titolo Eco usa il termine
‘fenomenologia’ rinviando ironicamente alla filosofia di Husserl e compagni, è
evidente che ricostruisce il personaggio di Bongiorno allo stesso modo in cui
in quegli stessi anni, in Francia, Roland Barthes scriveva le sue mitologie
sulla nascente società di massa. Cioè un modo semiologico. Del resto, quel
che è importante per lui nelle trasmissioni a quiz di Mike Bongiorno non è
tanto l’uomo reale quanto il modello di cultura che veicola: insignificante,
acritica, sostanzialmente anti-intellettuale. E il problema sta proprio nel fatto
che la tv genera modelli che, poi, la gente, prende a imitare. In altri termini il
problema non come la tv rappresenta il sociale ma quel che genera nel
sociale”.
La musica, la radio e la televisione, nonché Appunti sulla
televisione, entrambi comparsi in Apocalittici e integrati del 1964,
parlano dell’estetica della televisione. In proposito dicono che criticarla
sarebbe come giudicare tout court artistica o non artistica una casa
editrice, mentre questa è fatta di scelte editoriali, come appunto i
palinsesti Rai. Sono parole pionieristiche…
“Dipende da che cosa si intende per ‘estetica’, termine assai ambivalente:
se lo si intende come teoria dell’arte o come teoria della formatività (come fa
Eco riprendendo Pareyson), ovviamente la televisione non vi ha nulla a che
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vedere. Ma se lo si intende come teoria dell’esperienza sensibile, allora,
forse, le cose cambiano. Oggi quante estetiche di case editrici potremmo
ricostruire?”
Nei saggi degli anni Sessanta Eco si rifaceva molto alla teoria comunicativa indicata da Jakobson citandolo
solo una volta. Come mai?
“Jakobson è uno dei punti di riferimento costanti del pensiero semiotico di Eco; forse non lo cita nei saggi sulla tv
perché lo dà per scontato, o forse per dimenticanza, certamente non per disprezzo. Per esempio, tutta la critica a
McLuhan presente nel saggio ‘Per un cogito interruptus’ non fa che usare la teoria della comunicazione di
Jakobson”
Già nel 1967 Eco parlava di guerriglia semiologica, tema che ha ripreso anche in saggi successivi…
“In quegli anni, contemporaneamente al lavoro di edificazione della semiotica, per quel che riguarda specificamente
la televisione si ha in Eco l’assunzione di un nuovo sguardo analitico, questa volta maggiormente attento agli esiti
ideologici delle comunicazioni di massa e della tv in particolare. E se da un lato Eco si esercita a svelare i
meccanismi retorici sempre più evidenti che veicolano un’ideologia sempre più massificante, da un altro lato
propone, se non un rimedio, senz’altro una tattica di risposta. È appunto l’idea della guerriglia semiologica. Se nel
caso della comunicazione estetica, per Eco, l’ambiguità è sempre voluta dall’emittente (dunque il messaggio ha una
struttura aperta che consente al destinatario di riempirlo con sue interpretazioni), nelle comunicazioni di massa
l’ambiguità, anche se ignorata, è sempre presente. È la vastità e la differenziazione interna del pubblico, come
abbiamo visto, a provocare quella discrasia tra codici dell’emittente e codici del destinatario che porta a continue,
inevitabili forme di decodifica aberrante. Ma questa caratteristica delle comunicazioni di massa, dice Eco, se da un
lato deve essere per quanto possibile eliminata alla fonte, dall’altro può essere sfruttata all’arrivo. Diversamente da
quanto ritengono sia gli apocalittici sia gli integrati, secondo i quali il telespettatore riceve passivamente quel che
viene trasmesso, il pubblico può assumere in positivo la sua costitutiva capacità di decodifica aberrante, e vivere
felicemente questa specie di involontaria esteticità che è propria dei mass media. Come il cannibale trasforma
l’orologio che non sa usare in ciondolo da portare al collo, senza per questo dover essere considerato
necessariamente selvaggio o ignorante, allo stesso modo il telespettatore può mettere in gioco la propria batteria di
codici e sottocodici per distorcere tatticamente i messaggi televisivi, costruendo da sé le trasmissioni che vuol
vedere, riarticolando il senso che preferisce consumare e di fatto usando la tv come un’opera aperta”.
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20/06/22, 18:36 "Umberto Eco e la TV, uno slittamento dal primo al terzo scaffale"
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