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IMPRONTE

Collana diretta da
Silvana Cirillo

IMPRONTE
Letteratura
Responsabile scientifico
Silvana Cirillo
IMPRONTE Arti e scienze sociali

Impronte nasce con lobiettivo di offrire agli studenti universitari, non meno
che ai lettori interessati ad aggiornarsi, opere di autori gi noti e contributi
originali di giovani ricercatori, negli ambiti di Arte, Antropologia, Cinema,
Economia, Letteratura italiana, Storia. Promossa da un gruppo di docenti
della Sapienza di Roma, Impronte si propone di ospitare i contributi di
studiosi di altre sedi, diventando una vivace intersezione di rapporti interdi-
sciplinari e di metodologie diverse incardinate nella modernit e proiettate
nel futuro. In tale prospettiva la collana accoglier saggi, monografie, ma-
nuali, traduzioni di testi di rilevanza internazionale, opere collettive, atti di
convegni.

Comitato scientifico:
Paolo Bertetto, docente di Teoria e interpretazione del film
Silvana Cirillo, docente di Letteratura italiana contemporanea
Maurizio Franzini, docente di Politica Economica
Francesco Gui, docente di Storia dellEuropa
Simonetta Lux, docente di Storia dellarte contemporanea
Alberto Sobrero, docente di Antropologia
PAROLA DI SCRITTORE
Letteratura e giornalismo nel Novecento

Introduzione e cura di
Carlo Serafini

BULZONI EDITORE
In copertina:
Fotografia di Sara Di Iacovo

TUTTI I DIRITTI RISERVATI

vietata la traduzione, la memorizzazione elettronica,


la riproduzione totale o parziale, con qualsiasi mezzo,
compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.
Lillecito sar penalmente perseguibile a norma dellart. 171
della Legge n. 633 del 22/04/1941

ISBN 978-88-7870-???-?

2010 by Bulzoni Editore


00185 Roma, via dei Liburni, 14
http://www.bulzoni.it
e-mail:bulzoni@bulzoni.it
INDICE

CARLO SERAFINI, Introduzione. Parola di scrittore .......................... p. 9


NATLIA VACANTE, La battaglia dei libri e delle idee. Italo Svevo re-
censore e critico .............................................................................. 51
MICHELANGELO FINO, Dalla mostruosa macchina del giornalismo
allaffascinante macchina della cinemelografia: Pirandello, il gior-
nalismo e il cinema ........................................................................ 69
DARIO MOMIGLIANO, Le utopie di Filippo Tommaso Marinetti .... 95
MARIA TERESA IMBRIANI, La miserabile fatica quotidiana: Gabriele
dAnnunzio giornalista.................................................................... 109
MARIA PANETTA, Settantanni di militanza: Benedetto Croce, tra ri-
viste e quotidiani ............................................................................ 135
DANIELE GHIRLANDA, Emilio Cecchi fra libri e giornali ................ 159
GIULIA MAURO, Tommaso Landolfi giornalista sui generis .......... 171
GIORGIO PATRIZI, Savinio e il giornalista come greco...................... 191
SILVANA CIRILLO, Cesare Zavattini: senza di lui non si muoveva paglia! .. 199
MICHELANGELO FINO, Scrivere per vivere, vivere per scrivere: Corra-
do Alvaro e il giornalismo .............................................................. 209
DANIELA CARMOSINO, Volevo solo parlare esplicito. La scrittura
giornalistica di Riccardo Bacchelli .................................................. 229
CRISTIANO SPILA, Il reportage di guerra di Curzio Malaparte.......... 243
SILVANA CIRILLO, Dino Buzzati: un grande giornalista a servizio
del lettore........................................................................................ 261
SIRIANA SGAVICCHIA, Straniamento e utopia negli scritti di viaggio
di Anna Maria Ortese .................................................................... 271
IDA DE MICHELIS, Il terzo mestiere: Gadda giornalista .................. 283
ELEONORA CARDINALE, Il secondo mestiere di Eugenio Montale: Il
giornalismo sta alla letteratura come la riproduzione sta allamore .. 297
DANIELA MANGIONE, Credi, i giornalisti rovinano tutto. Marino
Moretti elzevirista ............................................................................ 317
8 Indice

MARIA RIZZARELLI, Parole solo per avventura quotidiane. Vitto-


rini pubblicista................................................................................ p. 333
CLELIA MARTIGNONI, Guido Piovene: il complicato laboratorio del
giornalismo .................................................................................... 349
BARBARA SILVIA ANGLANI, Achille Campanile giornalista ................ 359
ORETTA GUIDI, Primo Levi giornalista............................................ 371
MARIAGIOVANNA ITALIA, Lintelligenza del mondo e lagonia delluo-
mo negli scritti giornalistici di Mario Luzi...................................... 389
GABRIELLA PALLI BARONI, Attilio Bertolucci poeta giornalista ........ 403
STEFANIA RIMINI, Inseguendo una vita di ricambio: Flaiano recen-
sore cinematografico ...................................................................... 421
KATIA CAPPELLINI, Giorgio Manganelli: le eterne, fatali, inutili par-
tite ................................................................................................ 435
CARLO SERAFINI, Reportage su Calvino .......................................... 457
GIANLUIGI SIMONETTI, Il circuito della prosa. Letteratura e giorna-
lismo in Goffredo Parise ................................................................ 483
VALERIA MEROLA, La commedia umana di Alberto Moravia .......... 509
FLORIANA CALITTI, se mettessimo questo Pasolini in prima pa-
gina?.............................................................................................. 525
GIUSEPPE PALAZZOLO, Franco Fortini, ospite ingrato di quotidiani
e riviste .......................................................................................... 547
LUCA MASTRANTONIO, Luciano Bianciardi: lanarco-rubrichista.
Sport, sesso e televisione.................................................................. 561
CARLO SERAFINI, I corsivi morali di Giovanni Testori .................. 581
MASSIMILIANO BORELLI, Tra i linguaggi delle cose: Gianni Toti gior-
nalista ............................................................................................ 603
MATTEO DI GES, Leonardo Sciascia, giornalista malgrado tutto .... 617
UGO PEROLINO, Arbasino e il caso Moro: In questo Stato (1978-2008) .. 635
LUIGI WEBER, Un salutare difetto ottico. Edoardo Sanguineti pub-
blicista e recensore .......................................................................... 645
LUCA MASTRANTONIO, Umberto Eco: Accademico azionista .......... 663

Indice dei nomi .............................................................................. ???


CARLO SERAFINI

Introduzione
Parola di scrittore

Una raccolta di studi relativa agli scritti giornalistici dei maggiori autori
del Novecento per forza di cose di parte, nel senso che qualsiasi sforzo di
selezione ci si possa impegnare a fare, resteranno sempre fuori grandi poeti,
scrittori, letterati che sui giornali hanno pubblicato parte della loro produ-
zione. Il Novecento non soltanto un secolo ricco di grandi nomi, anche
un secolo ricco di avvenimenti e un secolo che ha visto unaccelerazione della
comunicazione come mai si era potuto forse nemmeno immaginare. Basti
pensare che nei venti anni, circa, nei quali si imposta la rete di Internet, c
stata pi comunicazione che in tutto il resto della storia. Inoltre va tenuto
presente che i giornali escono ogni giorno e le testate che si sono succedute
nel corso del secolo sono state innumerevoli. Inoltre realizzare un volume di
studi sui letterati giornalisti presenta la difficolt di un doppio criterio di sele-
zione: il primo relativo a quali letterati includere, il secondo su quale pro-
duzione giornalistica del letterato scelto stringere lobiettivo. Se sul primo
punto la scelta del curatore, sul secondo del singolo studioso che allau-
tore si dedicato. Personalit del calibro di Croce, DAnnunzio, Buzzati,
Moravia, Savinio, Pasolini, Piovene e molti altri ancora, che ai giornali hanno
dedicato numerose collaborazioni, richiederebbero un intero volume ciascu-
no. Va ancora tenuto presente che le collaborazioni giornalistiche svolte dagli
scrittori, su quotidiani, riviste, tenendo rubriche, pubblicando racconti, e
molto altro, fanno parte di una letteratura diciamo minore, meno indaga-
ta e studiata rispetto alle grandi opere per le quali gli scrittori sono noti. Se
questo , naturalmente, pi che comprensibile, ci non toglie che fra gli scrit-
ti giornalistici sia possibile individuare elementi di notevole interesse per la
comprensione dellautore stesso, per le dinamiche culturali allinterno delle
quali questi artisti hanno operato, per contatti, scambi, interessi. Il volume
nasce con lintento, dunque, di fornire uno strumento di studio storico-cri-
tico su quello che stato nel Novecento il rapporto tra scrittore e giornalismo
realizzato direttamente sul campo, ossia sugli articoli; la scelta degli autori
quindi in ragione di chi, per grande fama, per quantit, interesse o origina-
lit dellattivit giornalistica svolta (vedi per esempio Cecchi, Zavattini,
Bertolucci), ha dato un notevole e significativo contributo al giornalismo cul-
10 Carlo Serafini

turale italiano. La scelta di una rosa di autori rappresentativi dellintero seco-


lo offre la possibilit di seguire le evoluzioni del giornalismo culturale: dal
pezzo di bravura allimpegno politico, attraverso le radicali trasformazioni
ecomonico-politico-sociali del Novecento; ed inoltre significativa di cosa sia
stato nel corso del secolo il rapporto tra scrittore e giornale, e tra letteratura
e giornalismo, due mondi che, sebbene si basino entrambi sulla scrittura,
hanno differenze molto marcate. Non solo una questione di denaro che il
giornale, a differenza della letteratura, pu garantire (si torner spesso nel volu-
me sulla questione con diverse testimonianze, vedi ad esempio lemblematico
caso della letteratura alimentare di Landolfi) o di maggiore o minore visibi-
lit: lattrazione repulsione del letterato verso il giornale (e viceversa) nasce da
molti fattori. Cosa porta sul giornale lo scrittore in pi (o in meno) rispetto al
giornalista? Come riesce a conciliare a livello di scrittura la libert della crea-
zione con la misura del pezzo? Che differenza di lettura di un luogo, di un viag-
gio, di un avvenimento pu esistere tra un giornalista e un letterato? Che tipo
di rapporto intrattiene un letterato con il potere? Con i vertici di un giornale?
Con la velocit della comunicazione? Con il pubblico non avvezzo ai linguag-
gi della cultura cosiddetta alta? E questi rapporti come sono cambiati nel
corso del secolo? E gli articoli degli scrittori sono letteratura? O sono sola-
mente una produzione di serie minore? O addirittura il giornalismo pu esse-
re a sua volta considerato un genere letterario? Non manca certo bibliografia
idonea a fornire risposte alle domande appena articolate, ma la questione
sempre e comunque aperta, in ragione soprattutto del fatto che tanto il gior-
nalismo che la letteratura sono in continua evoluzione e trasformazione, n
oggi prevedibile con certezza (non assoluta certo, ma nemmeno relativa) verso
quale direzione stiano andando entrambe. Il forte prendere piede delleditoria
on-line (che offre notevoli vantaggi economici soprattutto nella fase distributi-
va e nel canale vendita), come le varie forme di giornalismo, pi o meno con-
diviso, in rete mettono lintero sistema nuovamente e radicalmente in gioco. E
potremmo aggiungere anche pericolosamente in gioco, visto che laccelera-
zione di cui si parlava prima oggi, soprattutto in ambito giornalistico, arriva-
ta allaggiornamento continuo in tempo reale a tutto vantaggio del tempo del-
linformazione e a tutto discapito del tempo della riflessione. Se lobiettivo
primo del giornalismo culturale quello di far riflettere, di dare spazio al com-
mento, alle idee, alla critica, di leggere le cose a gioco fermo come si suol dire,
che futuro si prospetta davanti, proprio ora che la tecnologia offre la possibilit
infinita di divulgazione? Sar in grado la cultura di reggere il passo del progres-
so, o sar questultimo a dare il passo alla cultura facendole, magari, segnare il
passo? E in che dinamica si trovano letteratura e giornalismo con un terzo fat-
tore che entrambe forse non ingloba del tutto, ma sicuramente e pesantemen-
te condiziona, e cio il mercato?
Convinti del fatto che non si possa capire il presente senza una forte cono-
scenza del passato, conoscenza che sia comprensione pi che nozione, che sia
Introduzione. Parola di scrittore 11

cio studio pi che lettura, possibile rinvenire la ratio di questa raccol-


ta di saggi proprio nella volont di creare uno strumento di analisi costruito
sulla parola degli scrittori, o letterati, o intellettuali, sulla parola cio di chi si
ferma davanti alle cose, le smonta, le rovescia, le rilegge, le contestualizza e
infine esprime anche, nella fiducia delle proprie idee, un giudizio. Ci sar
sempre una maggiore o minore forza del giudizio o della posizione presa
(questo dipende da molti fattori: indole, carattere, posizione sociale, contesto
politico, formazione, media usato) ma ci che offre garanzia nella parola di uno
scrittore la fedelt ad un processo di analisi, di smontaggio delle cose al fine
di guardarci dentro per meglio capire. Nella cronaca nera di Buzzati, nei viag-
gi della Ortese, nella politica di Calvino, nelluomo di Testori, nelle polemiche
di Pasolini, nella mafia di Sciascia, nella satira di Flaiano, nelle bugie di
Manganelli, nel metodo di Savinio lelemento critico sempre superiore
al fatto oggetto o pretesto dellarticolo. Ci che conta ci che sta sotto, il
dettaglio che parla, che fa riflettere, che apre sullavvenimento una luce capace
di scrivere quella pagina in pi. Ecco allora che la parola dello scrittore una
garanzia di poliprospettivismo di lettura, e se le cose sono diverse perch lo
scrittore manipola (nel senso di azione sulla notizia, non di falsificazione) le-
vento, perch lo guarda da dove la sua natura lo porta ad osservare. Una retta
vista da altra angolazione un punto, senza che si sia modificato niente. E se
tutto questo avviene in base a letture critiche, il volto diverso delle cose a van-
taggio del lettore che non solo non si trova ingannato, ma si trova davanti ad
una possibilit di riflessione che lo porta poi allinterno dellavvenimento con
spirito e capacit di comprensione diverse. Nellarco del Novecento non sem-
pre il giornalismo culturale stato questo, ma lo stato indubbiamente dal
secondo dopoguerra in poi, quando cio ha avuto modo di esprimersi la gran-
de e fondamentale novit consistente nellintroduzione dellelemento critico
quale elemento primo di lettura della societ.
Se dovessimo procedere ad una periodizzazione del giornalismo culturale
italiano, potremmo dividere il secolo in almeno quattro momenti: dalla
nascita della terza pagina al fascismo, il ventennio della dittatura, dalla fine
della guerra ai fatti dUngheria e infine il giornalismo dagli anni Sessanta ad
oggi, forse con una sotto periodizzazione per gli ultimi due decenni che
hanno visto il trionfo della tecnologia con la conseguente caduta di ogni
frontiera alla comunicazione e relativo adeguamento di linguaggio e conte-
nuto. La scelta degli autori finalizzata a dare testimonianza delle varie fasi
dellintero secolo, secondo un disegno che mira ad evidenziare come il gior-
nalismo culturale si sia trasformato nellarco del secolo dal famoso bello scri-
vere a luogo di lettura e comprensione della societ in cui viviamo.
***
Ufficialmente la terza pagina nasce il 10 dicembre 1901 sul Giornale
dItalia allora diretto da Alberto Bergamini, che della terza stato lideatore
12 Carlo Serafini

e il fondatore. Ma non possiamo comunque affermare che il giornalismo cul-


turale non fosse gi presente; se vero infatti che gi nel Seicento in diver-
si paesi europei vi erano giornali letterari che davano conto dei libri che usci-
vano, comunque nel secolo successivo che gazzette, riviste, giornali diven-
tano generosi contenitori di scritti letterari, recensioni, e non di rado inter-
venti che oggi definiremmo di analisi e persino di polemica culturale. In linea
generale nel Settecento e nellOttocento saranno le riviste i veicoli migliori
per la diffusione delle idee, con percorsi piuttosto simili nei vari Stati euro-
pei, inclusi diversi Stati italiani preunitari1.
La terza di Bergamini nasce come risultato di un processo che ha inizio
almeno a partire dallUnit dItalia, quando, come sottolinea Alessandra
Briganti, che al periodo precedente la nascita della terza dedica un interes-
sante studio, lintellettuale comincia a far leva sulle possibilit di sfrutta-
mento economico delle proprie capacit intellettuali, giunge a proporre la
cultura come professione2. Nel 1880 fu Il Capitan Fracassa ad attrarre vari
esponenti della cultura, artisti e giovani letterati, che, attraverso formule pi
agili, veicolavano la stessa sostanza politica. Nello stesso periodo si sviluppa-
rono anche i supplementi letterari domenicali, primo fra tutti il Fanfulla
della Domenica; da menzionare inoltre lattivit di Angelo Sommaruga che
con la sua Cronaca Bizantina, attiva dal 1881 al 1885, pu essere visto
come uno dei primi esempi di giornalismo moderno. Calcolando il rapido
sviluppo del giornalismo dopo lUnit e laffermazione in queglanni dellim-
portanza dei mezzi di comunicazione per formare lopinione e il consenso dei
vari ceti sociali, il tutto unito alla spinta economica data dallunificazione
della penisola, si pu osservare come il terreno fosse pronto per una nuova
funzione degli intellettuali nella societ: questo [] il momento di mag-
giore impegno nel tentativo di costruire uno status professionale alla lettera-
tura, di affermare i possessori della cultura come tecnici utilizzabili dalla
societ nel suo complesso e inserirli nei settori in via di sviluppo quali il gior-
nalismo e leditoria3. Secondo la Briganti, a fine secolo XIX, accanto al pro-
blema della mercificazione dellarte, vista come predominio della massa, del
numero sulle lites, che porta inevitabilmente borghesia dirigente ed intellet-
tuali ad allearsi contro la democrazia che minaccia gli uni nel predominio
economico, gli altri nella possibilit stessa di esprimersi in forme di pura
Bellezza4, altro problema era quello relativo alla condizione economica
degli scrittori, il cui lavoro veniva ancora reputato in ragione di un astratto
giudizio di valore e non nellottica di una professione. Basandosi su quanto

1
Cfr. G. Zanchini, Il giornalismo culturale, Carocci, Roma 2009, p. 13.
2
A. Briganti, Intellettuali e cultura tra Ottocento e Novecento. Nascita e storia della terza
pagina, Liviana, Padova 1972, p. 10.
3
Ivi, pp. 13-15.
4
Ivi, p. 29.
Introduzione. Parola di scrittore 13

emerso da una inchiesta di Ugo Ojetti5 sulla letteratura e larte contempora-


nea svolta nel 1894 tra le maggiori personalit della cultura del tempo, la
soluzione al problema poteva essere nell inserimento organico della
materia letteraria nei quotidiani, assai pi che nei supplementi e periodici
domenicali, [] anche perch da questa trasformazione avrebbe potuto
nascere negli editori un risveglio di interesse per la letteratura italiana di que-
gli anni. Esplicite in questo senso le risposte del Capuana, del De Roberto,
del Verga, di Fogazzaro, e di Panzacchi; mentre il Collutti e pi ancora
Domenico Oliva, pur individuando anchessi nelle difficili condizioni econo-
miche degli scrittori la causa del decadere dellarte, vedevano nelle masse un
pericolo da battere attraverso lassunzione di un impegno politico da parte
della letteratura. La Serao invece individuava il punto dolente della difficile
soluzione delle lettere in Italia nellassenza di una organizzazione culturale
adeguata allo sviluppo del paese. / A questo schieramento, formato dagli
intellettuali della prima generazione, si opponevano decisamente lo
Scarfoglio, il Butti e DAnnunzio che individuavano nella miseria dei tempi,
dominati dalla massa, la causa dellisterilimento dellArte, e avanzavano al
tempo stesso un programma dazione alternativo6. Nel 1895 usciva il primo
numero del Convito, lanno successivo Il Marzocco e il 10 dicembre
1899 il Giorno, che vedono le prime forme di intervento attivo dellintel-
lettuale nella societ. La massa inizia ad imporsi con il potere distruttivo del
livellamento del numero rispetto alloriginalit creativa del singolo; alla bel-
lezza dellopera darte unica la massa oppone limpersonalit della copia
riproducibile e al giudizio di valore estetico oppone il mercato. Lintellettuale
deve quindi reagire e si orienta verso una forma di attivismo che caratteriz-
zer il primo Novecento quale evoluzione dellestetismo che aveva caratteriz-
zato lultimo Ottocento. Estetismo e pessimismo appaiono [] il binomio
inseparabile della critica sociale dei giovani intellettuali alla fine del secolo:
eppure, ambiguamente bifronte, questo stesso binomio comprende in s
come premessa e, al tempo stesso, come logica linea di sviluppo, lattivismo7.
Tuttavia il fronte intellettuale8 a passaggio di secolo non appare uniforme n
compatto, nonostante la linea di tendenza appaia quella del considerare lar-
te e la poesia non pi come fine, ma come mezzo, e si dibatta poi parados-
salmente tra valori tradizionali e una maggior disponibilit nei confronti

5
Cfr. U. Ojetti, Alla scoperta dei letterati, Fratelli Dumolard, Milano 1895, poi Le
Monnier, Firenze 1946.
6
A. Briganti, cit., p. 30.
7
Ivi, p. 44.
8
Sul tema cfr. anche R. Gisotti, La nascita della terza pagina. Letterati e giornalismo 1860-
1914, Cavallino, Capone 1986, e Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa, Einaudi, Torino
1982, vol. I, Il letterato e le istituzioni (in maniera particolare: R. Tessari, Il Risorgimento e la
crisi di met secolo, pp. 433-468; L. Mangoni, Lo Stato unitario liberale, pp. 469-519).
14 Carlo Serafini

della civilt industriale, il tutto quindi in apparente contraddizione. Osserva


infatti ancora la Briganti:

Si capovolgeva dunque la posizione di questi intellettuali nei confronti della


civilt industriale: la ricostruita alleanza con la classe dirigente, decisamente
avviata sulla strada dellindustrializzazione, implicava infatti laccettazione delle
nuove strutture del mondo moderno di cui gli intellettuali italiani si sarebbero
fatti, nella maggior parte, apologeti. E parallelamente si modificavano, anche teo-
ricamente, i rapporti di forza con i gruppi dirigenti: gli intellettuali infatti non si
presentavano pi come gruppo politico con finalit autonome, ma come gruppo
intermedio finalizzato alla difesa del Progresso, cio al predominio della borghe-
sia e allo sviluppo senza limiti delle forze produttive. Cos il mandato sociale,
rivendicato dagli intellettuali nellultimo ventennio del secolo, si risolveva con-
cretamente, allinizio del Novecento, in una vera e propria milizia al servizio della
borghesia, nellesplicazione di un compito di formazione dellopinione pubblica.
[] Due saranno gli elementi su cui far forza la polemica antidecadente dei gio-
vani intellettuali attivisti legati ai gruppi industriali: listanza di un recupero del
realismo espressivo, e la necessit di affermare la collettivit al di sopra dellindi-
viduo. [] Tuttavia questi gruppi [] non esaurivano certamente il quadro delle
correnti ideologiche diffuse tra gli intellettuali allinizio del Novecento, ma ne
rappresentavano semmai il settore di punta. Una parte rilevante di essi appariva
invece ancora influenzata da residui della vecchia ideologia dopposizione dei ceti
medi, pervasa ora per da motivi che implicavano unaccettazione della nuova
struttura della societ. [] Man mano insomma che la piccola e media borghe-
sia si inducevano a lasciar cadere la pregiudiziale anti-industriale, rendendosi cos
disponibili allintegrazione della nuova societ, gli intellettuali pi legati allin-
dustria culturale (giornalismo e letteratura di consumo) sviluppavano i temi della
vecchia ideologia di opposizione dei ceti medi non pi nella direzione di una vera
e propria critica sociale ma in una dimensione moralistica piccolo-borghese. []
Nel complesso dunque la situazione degli intellettuali allinizio del Novecento
appare notevolmente modificata rispetto al precedente periodo: lopposizione alle
nuove strutture economiche, abbastanza diffusa come si visto dopo lunifica-
zione, appare definitivamente scomparsa, se si eccettuano singole personalit
come Svevo, Pirandello o Campana ad esempio, che si muovono su una linea di
opposizione alla civilt industriale. Inoltre [] la funzione [degli intellettuali]
appare ormai integrata in una industria culturale che comincia, proprio in que-
gli anni, a creare strutture stabili con lespansione delleditoria e del giornalismo9.

Il quadro che si viene aprendo ad inizio del Novecento quindi allinse-


gna dei rapporti tra politica, cultura e industria, cosa che caratterizzer lin-
tero secolo con connotazioni il pi delle volte conflittuali (spesso di subordi-
nazione della cultura verso la politica o di sfruttamento e strumentalizzazio-
ne della politica verso la cultura), raramente di emarginazione e quasi mai di

9
A. Briganti, cit., pp. 49-56.
Introduzione. Parola di scrittore 15

indifferenza. Inoltre non va dimenticato che la politica italiana nel XX seco-


lo attraversa tre (o quattro) periodi che sono nellordine la democrazia giolit-
tiana (1900-1914), il fascismo (1922-1943) e la democrazia repubblicana che
vede poi (dai primi anni Novanta) la cosiddetta Seconda repubblica. Se
questultima ha rielaborato o riprodotto, in negativo, in altrettanto corrotto
sistema e senza grandi sviluppi n progressi, le forme della precedente politi-
ca primo repubblicana (adattata solamente alle nuove tecniche e tecnologie
di comunicazione), le precedenti fasi vedono una differenziazione netta in
ragione di vere e proprie rotture costituzionali. Ci che non va trascurato
che il ruolo della cultura nella politica, finalizzato alla comprensione della
politica (ove possibile) e alla formazione dellopinione pubblica, stato nel
secolo piuttosto significativo, per quanto sia difficile definire le modalit pre-
cise del suo operato che, va notato, stato sempre influenzato dalla struttura
dei regimi politici e quindi economici incontrati. Nel senso che i sistemi eco-
nomico-politici hanno direttamente o indirettamente costretto la cultura ad
esprimersi in iniziative o riflessioni caratterizzate dalle regole, dalle strutture,
dai comportamenti o dalle dinamiche dei sistemi stessi, anche quando si trat-
ta di opposizione. Se osserviamo bene, la periodizzazione politica corrispon-
de grosso modo alle fasi, cui prima si accennava, dellevoluzione del giorna-
lismo culturale.
La democrazia giolittiana stata di fatto reale ma limitata, non solo per-
ch gran parte della popolazione ne era fuori (al punto pi alto del suffragio
era ammesso al voto il 20% della popolazione e votava circa il 50% degli
aventi diritto)10, ma anche perch nonostante gli sforzi di Giolitti stesso di
allargarla sia sul fronte della rappresentanza politica che su quello della deci-
sionalit democratica, gran parte delle critiche le riceveva dallinterno11. Va
considerato il fattore tempo, ossia la naturale interiorizzazione delle regole
democratiche allinterno della societ, e lesperienza della guerra che spian il
campo al fascismo, in ragione del ritorno ad un autoritarismo consolidato e
culturalmente definito, piuttosto che correre tutti i rischi di una democrazia
che si presentava inevitabilmente con i tratti del disordine delle masse. Ma
nel 1901, quando la terza pagina nasce, e per i primi anni del periodo giolit-
tiano, la nuova formula di governo garantiva una relativa stabilit sociale, e
successivamente, con linasprirsi delle lotte tra capitale e lavoro, lo stato ap-
parve sempre pi in veste di mediatore. Questo spiega anche perch le pagi-
ne culturali della stampa quotidiana, che iniziava ad essere lo strumento pres-
soch unico di informazione dei ceti medi e delle masse popolari urbane,
quindi strumento di formazione dellopinione pubblica, nei primi dieci anni

10
Cfr. P.L. Ballini, Le elezioni nella storia dItalia dallUnit al fascismo, Il Mulino, Bologna
1988.
11
Cfr. A.W. Salamone, Let giolittiana, Silva, Torino 1949; N. Bobbio, Saggi sulla scien-
za politica in Italia, Laterza, Bari 1969 (poi 1996).
16 Carlo Serafini

del Novecento appaiano dominate dalla moderazione e dallequilibrio. Nella


stampa dopinione, portavoce dei vari gruppi dirigenti, questo equilibrio si
manifester in un dosaggio prudente dei collaboratori: perci accanto agli
intellettuali legati ad una visione ormai tradizionale dellindustria culturale e
dei rapporti tra cultura e politica, troveranno uno spazio anche quelli che si
ponevano come mentori intellettuali e politici della rinascita borghese.
Questo dosaggio andr successivamente spostandosi in favore di questi ulti-
mi con lestendersi dellopposizione al giolittismo negli anni della stasi eco-
nomica dopo il 190712.
Ma procedendo con ordine. Come precedentemente accennato la terza
pagina nasce ufficialmente il 10 dicembre 1901 sul Giornale dItalia, per
idea e opera di Alberto Bergamini; ci affidiamo al racconto che lui stesso ne
ha dato:

Si doveva rappresentare a Roma la Francesca da Rimini di Gabriele dAnnunzio:


non si parlava daltro in tutta la Penisola. Io avevo avviata labitudine di adunare
la redazione per ogni fatto notevole, per ogni nuova iniziativa che mi venisse alla
mente: chiedevo il parere, i lumi dei miei colleghi: e discutevamo e si concorda-
va insieme il modus agendi. Nelle riunioni che tenemmo, dissi che la tragedia dan-
nunziana fragorosamente annunciata aveva non minore importanza di un discor-
so dellOn. Giolitti ai suoi elettori di Dronero, o di una crisi ministeriale, o di un
concitato congresso socialista: dunque volevo per la Francesca da Rimini, che
veniva alla ribalta del Teatro Costanzi, un servizio da fare colpo. LItalia era
tranquilla, non ancora turbata da scioperi, agitazioni, guerre e altre diavolerie: era
unItalia placida, aveva il gusto atavico della cultura si accendeva di entusiasmo
per lultima ode di Carducci, per le Myricae di Pascoli, per la Pioggia nel pineto di
DAnnunzio, leggeva avidamente un romanzo di Giovanni Verga, di Antonio
Fogazzaro, di Matilde Serao. Si compiaceva che un volume italiano, il Cuore di
Edmondo De Amicis, arrivato a un milione di copie, vincesse nel mondo il record
librario: discuteva la filosofia positivista di Roberto Ardir, la filosofia idealista di
Benedetto Croce e Giovanni Gentile: amava la toscana finezza letteraria di
Ferdinando Martini: acclamava larte squisita di Eleonora Duse e la musica di
Pietro Mascagni e di Giacomo Puccini, cantava le estreme melodie di Giuseppe
Verdi e consacrava la raggiante sua gloria: salutava il genio di Guglielmo Marconi
come pure apprezzava un articolo di Scarfoglio, di Lodi, di Rastignac. Era la belle
poque dellItalia sensibile ad ogni forma di intelligenza, in ogni campo. La tra-
gedia di DAnnunzio, che in quel clima affrontava il giudizio del pubblico, era
un grande avvenimento: richiedeva una degna relazione che superasse i maggiori
precedenti delle cronache teatrali. Furono mobilitati quattro redattori ognuno
con un incarico conforme al suo spirito e alle sue competenze, e tutti e quattro
bene risposero al mio disegno. Diego Angeli descrisse la scena, lambiente, una
corte romagnola allo scorcio del secolo XIII, ampie sale con le volte affrescate, gli
stemmi, le armi: la dimora dei Polentoni, non meno fastosa che quella dei

12
Cfr. A. Briganti, cit., p. 65.
Introduzione. Parola di scrittore 17

Malatesta: eleganze principesche, vesti stoffe broccati ricami: quel quadro


medioevale riviveva splendente. Seguiva una breve nota di Nicola dAtri sulla
musica del Maestro Scontrino. Poi lanalisi critica della tragedia: acuta analisi di
Domenico Oliva ricca di dottrina, di illuminato senso drammatico, di indagine
psicologica sulleterna passione che in ogni tempo al cor gentil ratto sapprende e
che a nullo amato, amar perdona. Infine una arguta cronaca In platea e fuori
di Eugenio Checchi (Tom) sui biasimi e le laudi, sui motti di spirito, le ironie,
gli improperi del vasto pubblico houleux, ch la serata fu tempestosa: la Duse, mi
disse Oliva (io non ero andato a teatro, aspettavo come al solito i redattori al
Palazzo Sciarpa) recit divinamente: lincanto della sua voce, il fascino della sua
arte vinsero in parte la bufera. Lampia relazione della agitata serata occup una
pagina che aveva un grosso titolo disteso su tutte le colonne: una intera pagina
allora inconsueta, che mi parve signorile, armoniosa e mi sugger lidea di unire
sempre, da quel giorno, la materia letteraria, artistica e affine, in una sola pagina,
distinta, se non proprio avulsa dalle altre: come una oasi fra larida politica e la
cronaca nera. E fu la terza pagina13.

Il Giornale dItalia vide il suo primo numero nel novembre del 1901 e,
fino alla nascita della terza, non spicc per elevata originalit rispetto agli altri
quotidiani presenti nel panorama italiano. Il successo della terza fu notevole,
ma subito ridimensionato dallassenza ogni giorno di avvenimenti del calibro
della prima di DAnnunzio. Ossia la terza era nata sul trampolino di un even-
to culturale molto forte, quindi non deve stupire se non ebbe uno sviluppo
immediato o se la novit venne avvertita solo in relazione ad altri eventi cul-
turali o alla scomparsa di grandi nomi del mondo culturale. Tuttavia
Bergamini, dotato di grande intuito giornalistico, riusc a portare il giornale
a maggiore organo di informazione del Centro-Sud; rispetto alla pagina cul-
turale aveva inoltre colto lesistenza di una sorta di incipiente avvenire bor-
ghese per la cultura14, e soprattutto aveva sperimentato per primo nei modi,
divenuti poi nella consuetudine istituzionale, della terza pagina, la possibilit
di registrare il fatto culturale a fini politici; di ridurre la materia letteraria nei
termini ideologici del giornale, di passare lidea dominante sotto forma di
dibattito intellettuale; di formare lopinione pubblica con articoli pi
influenti, quanto pi siglati da autorevoli firme15. La mossa di Bergamini di
chiamare a scrivere sul giornale grandi nomi16 della cultura fu vincente,

13
A. Bergamini, Nascita della Terza pagina, in Nuova Antologia, novembre 1955, pp.
347-362 (poi in E. Falqui, Nostra Terza pagina, Canesi, Roma 1965, pp. 250-268, cit. a pp.
251-253).
14
Cfr. B. Benvenuto, Elzeviro, Sellerio, Palermo 2002, p. 35.
15
Cfr. R. Gisotti, cit., pp. 101-102.
16
Tra gli altri: Alessandro DAncona, Francesco Torraca, Giuseppe Chiarini, Guido Maz-
zoni, Felice Tocco, Alessandro Chiappinelli, Alessandro Luzio, Raffaele De Cesare, Ferdinan-
do Martini, Antonio Fogazzaro, Luigi Capuana, Federico De Roberto, Luigi Pirandello, Ce-
sare De Lollis, Attilio Momigliano, Salvatore Di Giacomo, Roberto Bracco, Alfredo Panzini,
18 Carlo Serafini

soprattutto decisiva fu la collaborazione di Benedetto Croce (lavoratore inde-


fesso come testimonia il saggio di Maria Panetta17) che sul Giornale dItalia
portava scritti pubblicati anche sulla Critica e interventi che anticipavano
la sua Letteratura della nuova Italia. Ma, ricorda Bergamini, non di rado
Benedetto Croce, fra luna e laltra nota, trattava qualche problema di imme-
diata attualit letteraria, artistica o filosofica; e vi era qualche studioso che
aveva, o mi sembrava avesse, prestigio e autorit nella repubblica delle lette-
re il quale non concordava con i giudizi del Croce e scriveva alla terza pagi-
na il suo dissenso. Scriveva e, ahim io pubblicavo: il Croce era obbligato a
rispondere, e si piegava non senza fastidio, e si doleva poi meco: diceva che
io spalancavo la terza pagina senza rigore, anche ai mediocri dissidenti che
non potevano capirlo e lamentava che io accogliessi anzi promuovessi ed inci-
tassi singoli certami di gusto discutibile18. Ma non va trascurato lo stretto,
sebbene sottile, legame della pagina culturale con le tendenze politiche del
Giornale dItalia:

Si realizz [] una perfetta rispondenza tra la terza pagina e le posizioni del gior-
nale: si offriva al pubblico una cultura sorretta dal robusto tronco del pensiero
crociano e chiusa nellaffermazione gelosa della propria autonomia, ma pronta, in
caso di necessit, a trasformarsi in eteronoma e ad assumere nella battaglia poli-
tica una aperta funzione di fiancheggiamento [] si intensificava lutilizzazione
politica di certi aspetti del costume letterario di quegli anni. [] Cos nel 1912,
in ritardo rispetto alle prime manifestazioni del movimento e in un clima ormai
prebellico, comparvero alcuni scritti sul futurismo che veniva esaminato esclusi-
vamente nelle sue implicazioni politiche e valutato positivamente sulla base del-
laccostamento al nazionalismo. In quegli stessi anni la terza pagina del Giornale
dItalia si faceva portavoce delle teorie e degli scritti di George Sorel, mentre per
altro verso si intensificava la mitizzazione del personaggio DAnnunzio, dalle ini-
ziali accensioni di entusiasmo per le rappresentazioni teatrali alle ovazioni per i
discorsi interventisti del 1915. [] Dalliniziale contrapposizione fra erudizione
accademica e vaghe tendenze ad una rottura del sistema e dellordine tradiziona-
le in direzione conservatrice si era giunti, in prossimit dellimpresa libica e della
guerra mondiale, ad una momentanea convergenza con le impazienze nazionali-
ste, dannunziane e futuriste che costituivano un efficace mezzo di trasmissione
dellopinione pubblica, di unopposizione al giolittismo di natura decisamente
anticostituzionale. La terza pagina del Giornale dItalia ebbe cos un ruolo non
secondario nella battaglia interventista per trasformarsi poi, per tutta la durata del
conflitto mondiale, in pagina di propaganda bellica19.

Giuseppe Giacosa, Enrico Panzacchi, Corrado Ricci, Vittorio Pica, Giulio Cantalamessa,
Vittorio Spinazzola, Vilfredo Pareto, Maffeo Pantaleoni, Rodolfo Lanciani, Luigi Pigorini.
17
Cfr. nel presente volume M. Panetta, Settantanni di militanza: Benedetto Croce, tra rivi-
ste e quotidiani.
18
Cfr. A. Bergamini, cit., p. 351.
19
Cfr. A. Briganti, cit., pp. 69-70.
Introduzione. Parola di scrittore 19

Daltronde lo stesso lavoro di Croce pu essere letto in chiave politica, se


proprio lui a scrivere in una lettera a Giovanni Gentile del novembre 1902:
Io veramente intendo con la mia attivit personale sostituirmi alla deficien-
te attivit collettiva dei nostri pretesi corpi scientifici20, il che vuol dire poter
leggere limmensa attivit (saggistica, editoriale, giornalistica, epistolare)
del filosofo napoletano nellottica del rinnovamento della tradizione cultura-
le italiana con tutte le conseguenze, politiche appunto, che ne derivano.
Non si ripercorrer in questa sede levoluzione della terza, n le tante
questioni relative alla natura o alle definizioni date della pagina culturale dei
quotidiani, il tema stato ormai ampiamente dibattuto e non mancano di
certo n bibliografia n testimonianze 21; ci si limiter comunque a dire che
nel giro di pochi anni la terza fu recepita dai maggiori quotidiani del tempo,
dal Resto del Carlino, a Il Tempo, Lidea Nazionale, la Stampa, il
Corriere dItalia, LAvvenire dItalia, Il Messaggero Toscano, Corriere
della Sicilia, Unione, La Tribuna, La Vita, La Ragione, Avanti!, ma
il quotidiano che ebbe maggiore importanza fu il Corriere della sera sul
quale occorre spendere qualche parola anche in relazione ad uno dei suoi pi
importanti collaboratori, cio Gabriele DAnnunzio22. La nascita del
Corriere della sera risale al marzo del 1876, ma dallentrata in scena di
Benigno Crespi a met degli anni Ottanta che il quotidiano inizi la sua asce-
sa, forte anche dellesperienza e delle idee del suo direttore Eugenio Torelli
Viollier, il cui obiettivo era portare il giornale ad un pubblico sempre pi
ampio, capace quindi di contribuire alla formazione di una coscienza nazio-
nale 23. La vera svolta avvenne per con la direzione di Luigi Albertini, nel
luglio del 1900. Entrato al Corriere a met degli anni Novanta, fu inviato
a Mosca in occasione dellincoronazione dello zar Nicola II, ma lallora diret-
tore Torelli non pubblic la sua corrispondenza, vedendo in lui altre qualit,
e lo assunse per svolgere un compito particolare fino ad allora sconosciuto in

20
Cfr. G. Gentile, Epistolario. Lettere a Benedetto Croce (1896-1909), a c. di S.
Giannantoni, vol. II, Sansoni, Firenze 1974, p. 74.
21
Cfr. per lessenziale sintesi, anche bibliografica, B. Benvenuto, Elzeviro, cit.; Id., La
malinconia del critico, Sellerio, Palermo 2005; E. Falqui, Inchiesta sulla Terza pagina, Eri,
Torino 1953; Id., Nostra Terza pagina, Canesi, Roma 1965; Id., Giornalismo e letteratura,
Mursia, Milano 1969; N. Ajello, Lo scrittore e il potere, Laterza, Roma-Bari 1974; Id., Lezioni
di giornalismo, Garzanti, Milano 1985; G. Bellonci, Nel cinquantenario. La Terza pagina
La sua nascita e le sue vicende, in Il Giornale dItalia, 17 novembre 1951; E. Paccagnini, Il
giornalismo dal 1860 al 1960, in G. Farinelli E. Paccagnini G. Santambrogio A.I. Villa,
Storia del giornalismo italiano. Dalle origini ai nostri giorni, Utet, Torino 1997; P. Murialdi,
Storia del giornalismo italiano, Il Mulino, Bologna 1996.
22
Sulla collaborazione di DAnnunzio al Corriere della sera, cfr. le pp. 134-146 di A.
Albertini, Vita di Luigi Albertini, Mondadori, Milano 1945.
23
Per la storia dei primi anni del Corriere della sera, cfr. A. Moroni, Alle origini del
Corriere della Sera: da Eugenio Torelli Viollier a Luigi Albertini 1876-1900, F. Angeli, Milano
2005.
20 Carlo Serafini

Italia, tenere la corrispondenza con redattori e corrispondenti del giornale,


essere tramite fra direttore e redattori, ricevere gente, avere collamministra-
zione i rapporti che la direzione e la gerenza determinano24. Arrivato alla
direzione si impegn subito nellapportare alcune importanti innovazioni,
dalla veste grafica, alluso dei titoli, alla comparsa delle fotografie, allacqui-
sto di nuove rotative, a rendere il Corriere il primo giornale ad uscire con
otto pagine, ad una nuova gestione della pubblicit. Rafforzato il giornale, la
terza del Corriere appare il 3 gennaio del 1905, e fu una creazione degli
Albertini, perch se la direzione fu di Luigi, la scelta dei collaboratori e la
espressione tipografica furono dovute ad Alberto Albertini, che anche per le
sue tendenze letterarie era pi vicino al mondo delle muse. Luigi Albertini,
scostandosi in questo dagli esemplari giornali anglosassoni, cap che i mezzi
finanziari e le autorit del suo giornale dovevano servire da veicolo alleleva-
zione intellettuale e artistica del pubblico italiano. La sua terza pagina fu
nazionale nel senso che non vi figurarono firme straniere e fu tuttaltro che
un provinciale privilegio degli scrittori milanesi. E, a differenza di quella del
Giornale dItalia, austeramente cattedratica secondo le direttive di Berga-
mini, quella del Corriere fu sempre pi vivace, a tendenza narrativa e libe-
ra da ogni scuola e consorteria25. Accanto agli Albertini ci fu anche Ettore
Janni per la critica letteraria e Ugo Ojetti, collaboratore della testata dal 1898
e ideatore della fortunata rubrica Cose viste avviata nel 1921. Albertini gra-
zie allaumento delle copie e ai proventi della pubblicit aveva libert e indi-
pendenza, inoltre disponeva della pazienza necessaria per temporeggiare
prima di salire sul carro del vincitore, come nellimminenza della guerra libi-
ca, quando, trionfante linterventismo, commission a Gabriele DAnnunzio
le Canzoni delle Gesta doltremare, apparse tra l8 ottobre 1911 e il 14 gennaio
1912, con le quali il Corriere arriv al mezzo milione di copie vendute, e
superare poi le ottocentomila durante le cronache di guerra del primo con-
flitto mondiale.

il Corriere era [] istituzionalmente lontano dalla gravit accademica che


distingueva le maggiori testate meridionali. La gente per bene, che distingueva
la sua readership ideale, era una borghesia mercantile dalle idee solide e senza tanti
grilli per il capo; chiedeva al giornale la narrazione e linterpretazione dei fatti
quotidiani pi che levasione verso sfere suggestive e convenzionali. Se si scinde
la terza pagina, nei suoi due aspetti fondamentali il fondo culturale o lettera-
rio, da una parte, e la moralit o la corrispondenza brillante, dallaltra si potr
dire che lintroduzione del primo genere spettata al Giornale dItalia, ma lin-
venzione del secondo stata opera del quotidiano dei Crespi. [] Ma la prima
innovazione di una certa importanza in senso giornalistico doveva essere, poco

24
Cfr. L. Albertini, Ventanni di vita politica, Zanichelli, Bologna 1953, p. 3.
25
Cfr. la testimonianza di R. Calzini in E. Falqui, Giornalismo e letteratura, cit., p. 45.
Introduzione. Parola di scrittore 21

pi tardi, ladozione dellarticolo di risvolto di seconda pagina, il quale doveva


poi trasmigrare verso la terza. Era il diretto predecessore dellelzeviro di cronaca,
della cosa vista, del bozzetto di vita vissuta. [] la terza pagina del Corriere,
che era tra le meno cattedratiche, cominci ben presto a rappresentare unisola
del giornale. Essa si distingueva dalle altre per due distinti motivi: la maggiore
cura letteraria dei suoi pezzi lunghi e la maggiore apparente frivolezza del suo
notiziario. Accanto ai lunghissimi articoli di apertura [] cera tutta una serie di
spigolature culturali, di notizie e di commenti (sia pure redatti in tono letterario)
relativi agli avvenimenti del giorno pi vicini alla psicologia-standard dei lettori.
[] Il genere della corrispondenza letteraria, del rportage brillante, si affermava
sempre pi largamente26.

Sul Corriere hanno scritto negli anni, ed ancora oggi, i grandi nomi
della letteratura italiana. In questo primo periodo non possono non essere
citate le firme di Luigi Pirandello, Corrado Alvaro e Ugo Ojetti. Menzione a
parte, pur non essendo un letterato tout court, per Luigi Barzini27, forse il
maggiore inviato speciale del giornalismo italiano, creatura di Albertini che
per lui nutr sempre una considerazione ed un affetto particolari, anche
quando aveva qualche motivo di contrariet. Quello del giornalismo di viag-
gio un tema vastissimo intorno al quale non mancato di aprirsi un vivace
dibattito specialmente per quel che riguarda lepoca fascista. Il tema torner
spesso nel presente volume, come anche le analisi sui numerosissimi reporta-
ge di viaggio dallestero o dallItalia stessa (pensiamo a Piovene) degli scritto-
ri giornalisti del Novecento in epoche successive28. Ma tornando al Corrie-
re altra menzione a parte merita ovviamente Gabriele DAnnunzio, che con
Albertini ebbe un rapporto del tutto particolare, nato, forse per esigenze gior-
nalistiche (a DAnnunzio poteva far comodo una vetrina come il Corriere
e il direttore non poteva non tener conto di chi fosse il poeta nel panorama
delle cultura italiana), nel 1907 e diventato negli anni sempre pi stretto, fino
quasi alla funzione di tutore29 di Albertini nei confronti del poeta vate.

26
Cfr. N. Ajello, Storia della terza pagina, in Nord e Sud, n. 32 (1962), pp. 106-111.
27
Tra le numerose pubblicazioni su Barzini, cfr. D. Corucci, Luigi Barzini. Un inviato spe-
ciale, Guerra Edizioni, Perugina 1994.
28
Per una sintesi sul tema cfr. il capitolo Un viatico per le firme in B. Benvenuto,
Elzeviro, cit.; per una visione pi amplia, oltre la bibliografia contenuta nel capitolo prece-
dentemente citato, cfr. S. Sgavicchia, Scrivere il viaggio. Cronache, memorie, invenzioni, in
Storia Generale della Letteratura Italiana, diretta da N. Borsellino e W. Pedull, vol. XII
(Sperimentalismo e tradizione del nuovo), Federico Motta Editore, Milano 1999, pp. 498-515.
29
Il poeta lo chiama tutore inquantoch lAlbertini era stato il solo a tutelare efficace-
mente il patrimonio e lonore di DAnnunzio, quando questultimo era partito per la Francia.
Per ottenere questo ultimo risultato aveva seguito un sistema semplice. Convocati i creditori
aveva fatto loro comprendere che se non volevano perdere tutto dovevano ridurre ragionevol-
mente le loro pretese e solo a questo patto egli avrebbe dovuto garantire loro il pagamento
dovuto [] dal canto suo il poeta si era impegnato a cedere allamico Albertini sino ad estin-
22 Carlo Serafini

DAnnunzio non era certo nuovo al giornalismo: Al 16 gennaio 1882, data


di pubblicazione sul Fanfulla della cronaca di Gabriele DAnnunzio non
ancora diciannovenne dal titolo Fiera a Santa Susanna, lecito far risalire la
cerimonia liminare di unintera stagione del giornalismo romano della quale
Gabriele diventa molto presto larbiter assoluto, dettando tecniche e modi di
rappresentazione di quel sontuoso e miserabile teatro mondano con una
libert di movimenti cos sovrana da consentirgli di candidarsi, almeno una
volta, con lostentata sfacciataggine dellimpunito, a interprete autentico di
un universo, e del sistema di segni che lo governa, alla cui fondazione ha reca-
to un apporto decisivo30. Ma il rapporto tra il poeta e il direttore del
Corriere emblematico di un altro tipo di dinamica sulla quale preme por-
tare lattenzione, ossia quella della funzione del letterato come possibile voce
dellespressione politica di un determinato ceto. Tornando alla gi citata guer-
ra di Libia, possiamo osservare come levento sia stato loccasione per il mani-
festarsi di un diverso rapporto fra centri del potere politico ed intellettuali,
nella duplice funzione di fornitori di idee e di propagandisti delle stesse31.
Albertini infatti, attestata la posizione del giornale sullesplicito appoggio alla
guerra di Libia, chiede a DAnnunzio non qualche frammento letterario, ma
una ode alla guerra che il poeta ben lieto di inviare e diffondere immedia-
tamente grazie alla forza e alla fama del giornale. Viene quindi a delinearsi un
nuovo rapporto tra letterato e giornale, se vero poi che strumento di pro-
paganda, le Odi dannunziane venivano palesemente ad influire sul linguag-
gio stesso della propaganda: sempre pi gli editoriali del Corriere ripren-
devano espressioni dannunziane, e sempre pi Albertini cercava di inserire
organicamente le Odi nella struttura stessa del giornale32. Ovviamente non
mancarono i contrasti e le limitazioni imposte dal direttore al poeta33, ma
quel che preme sottolineare che il da sempre poeta della borghesia,
DAnnunzio, per questa sua collaborazione al Corriere, veniva in qualche

zione del suo debito una percentuale sui diritti dautore (cfr. T. Antongini, Quarantanni
con DAnnunzio, Mondadori, Milano 1957, pp. 482-483).
30
Cfr. F. Contorbia, Introduzione a Giornalismo italiano 1860-1901, I Meridiani,
Mondadori, Milano 2007, p. XXXIV.
31
Cfr. L. Mangoni, Lo stato unitario liberale, in Letteratura italiana, diretta da A. Asor
Rosa, vol. I, Il letterato e le istituzioni, Einaudi, Torino 1982, p. 511.
32
Ivi, p. 512.
33
Nota la vicenda relativa alla Canzone dei Dardanelli, dichiaratamente antiaustriaca e non
pubblicata da Albertini, che segn un forte contrasto tra il direttore e il poeta, che cos rispo-
se nella lettera del 16 dicembre 1911: Non pensavo che la mia Canzone avrebbe offeso la
moderazione del Corriere. N pensavo che il mio nome non fosse abbastanza largo da copri-
re intera la responsabilit di ci che firmo Non questo il luogo per risolvere il problema
che sorge da questa crisi, in ordine alla libert della mia collaborazione Per ora basta accen-
nare al fatto. Una comunione mirabile ed insolita tra il popolo dItalia e uno scrittore nazio-
nale interrotta.
Introduzione. Parola di scrittore 23

modo consacrato come espressione politica di quel ceto di media cultura cui
il giornale si indirizzava34.
Lepoca Albertini termin sotto il fascismo, per volont del Duce. L8
luglio del 1923 sul Popolo dItalia, Albertini fu oggetto di un pesante attac-
co: Senatore, vi sopportiamo da troppo tempo, e vi diciamo apertamente
che basta! Senatore Albertini, ci sono tanti fascisti in molte citt dItalia, che
solo domandano per iscritto, assumendo in pieno lonore e la responsabilit
del gesto, di essere prescelti a radere al suolo la vostra indegna baracca.
Mussolini ordin al Prefetto di Milano di diffidare il giornale, cosa che
avvenne il 2 luglio 1925, dato che il Corriere della Sera aveva intensifica-
to da qualche tempo la sua violenta, persistente campagna contro il regime
ed i pubblici poteri e che in alcuni articoli poteva ravvisarsi materiale atto a
gettare discredito sopra la Camera e sopra il Governo, che erano indubbia-
mente poteri dello Stato e infine, che certi suoi interventi per quanto redatti
con sottile accorgimento ed abilit, potevano rilevarsi addirittura pi danno-
si35. Albertini replic osservando che dato il fatto che i continui sequestri
rendevano impossibile allenorme maggioranza dei lettori di conoscere i
nostri articoli politici, rinunciamo per ora a trattar quei temi sui quali non ci
sia consentita la libert di parola necessaria per esprimere un pensiero n
troppo deformato. Siamo buoni intenditori. Ed i lettori anche36. Tuttavia il
Corriere di Albertini cadde il 27 novembre del 1925, con il pretesto di un
cavillo legale. Nel Commiato ai lettori pubblicato il 28 novembre, Luigi
Alberini, oltre a ripercorrere le tappe fondamentali della sua avventura al
giornale, denunci chiaramente limpossibilit di resistere alla decisione del
governo fascista, rivendicando il senso delle sue battaglie politiche sempre
vissute in nome dei principi liberali. Cos scrisse: sono entrato nel
Corriere nel settembre 1896 quale segretario di redazione accanto ad Eugenio
Torelli Viollier prima e a Domenico Oliva poi [] non avevo ancora 29
anni, mi mancavano ogni autorit e ogni credito eppure con grave scandalo
dei benpensanti e di qualcuno dei miei soci di allora e con grave pericolo per
la mia posizione []. Dopo tutte le amarezze del dopoguerra e della crisi di
collasso a cui dovevamo sottostare. Infine questultima battaglia combattuta
in nome delle stesse idealit, degli stessi principi liberali. Essa mi costa oggi
il maggior sacrificio, quello del Corriere, a cui avevo consacrato intera la mia
esistenza che in 25 anni assieme a mio fratello e a tanti eminenti collabora-
tori ai quali va un pensiero di gratitudine infinita, come va al personale tutto
di redazione, di amministrazione e di tipografia [] Perdo un bene che mi
era supremamente caro, ma serbo intatto un patrimonio spirituale che mi

34
Cfr. L. Mangoni, cit., p. 513.
35
Cfr. N. Tranfaglia, La stampa quotidiana e lavvento del regime 1922-1925, Laterza,
Roma-Bari, 1980, p. 27.
36
Ibidem.
24 Carlo Serafini

ancora pi caro e salvo, la mia dignit e la mia coscienza37. Uscendo dal por-
tone di Via Solferino disse che per distruggere il suo lavoro ci sarebbero volu-
ti almeno cinquantanni; Albertni mor il 21 dicembre del 1941, senza quin-
di vedere la fine di Mussolini. Il Corriere esce ancora oggi. Con Albertini
si chiudeva quindi unepoca del giornalismo italiano, come dimostrano anche
i tanti messaggi degli amici38 che si strinsero accanto al direttore.
***
La fine dellepoca Albertini emblematica di cosa sia stata la stampa sotto
il Fascismo39. Ma per la pagina culturale, e la cultura in generale, il discorso
pi complesso del semplice affermare che la presenza della censura abbia
livellato lespressione alla retorica del regime. Cosa vera, ma se da un lato la
censura ha determinato chiaramente un allineamento culturale ai dettami del
fascismo, il trionfo della terza pagina, quale luogo di un solo sterile bello
scrivere avvenuto in epoca fascista viene letto in maniera diversa. Cos ad
esempio Nello Ajello:

Per la terza pagina come istituzione, il consolidarsi del fascismo segn il passag-
gio dallaccademia allarcadia. Essa fu definita, a ragione, il salotto della stampa
italiana. [] I terzapaginisti diventarono una vera e propria corporazione,
affiatata in virt del comune ossequio ad un genere letterario che doveva diven-
tare la cifra distintiva della cultura militante italiana. [] Nel garbo con cui i let-
terati si sottomettevano era implicita una sorta di riconoscenza per il fatto che i
loro ludi stilistici potessero svolgersi sotto lala protettrice del regime. La consi-
derazione opposta che fosse, cio, la pressione politica ad indurli a lavorare di
fino nel recinto della prosa darte apparteneva a quelle verit cos scottanti che,
se soltanto fossero state enunciate da qualcuno, avrebbero danneggiato il lavoro
di tutti. / Lelzeviro divent la manifestazione tipica di questi stati danimo []
Sembr il frutto perfetto di un compromesso tra le ragioni tecniche del giornale
e le esigenze creative dello scrittore [] non si pu non essere daccordo con chi

37
Corriere della Sera, 28 novemnre 1925.
38
Giambattista Pirelli, Camillo Giussani, Ettore Conti, Tomaso Gallarati Scotti,
Alessandro Casati, Giacinto Motta, Francesco Ruffini (Il mondo civile con te, quattro quin-
ti dei migliori italiani sono con te; molti dei tuoi stessi avversari sono, in segreto, con te, cfr.
O. Bari, Luigi Albertini, UTET, Torino 1979, p. 511), Pietro Gobetti (Mi sembra di poter-
le mandare, con la mia, la gratitudine delle 200 persone che rimangono al loro posto, cfr. O.
Bari, cit. p. 511), Luigi Salvatorelli, Adriano Tilgher, Filippo Turati, Corrado Alvaro, Arturo
Carlo Jemolo (nel giorno in cui si spegne lultima luce e crolla lultimo baluardo, le mie pi
vive grazie per il bene che Ella ha fatto a noi tutti finch le stato possibile farne, cfr. O. Bari,
cit., p. 512).
39
A. Signoretti, La Stampa in camicia nera 1932-43, Volpe, Roma 1968; S. Romano,
Lequivoco della cultura antifascista. Considerazioni sugli intellettuali italiani durante il fascismo,
in Nuova Storia Contemporanea, luglio-agosto 2000; P. Murialdi, La stampa del regime fasci-
sta, Laterza, Roma-Bari 1986; V. Castronovo, La stampa italiana dallUnit al fascismo,
Laterza, Bari, 1976.
Introduzione. Parola di scrittore 25

rileva che il risultato finale di una inutilit sorprendente [] Lo spirito di


conventicola letteraria che circolava nelle terze pagine non si concret mai in una
posizione di battaglia culturale, in una funzione attiva sul piano politico. I lette-
rati non seppero essere, allinterno del regime, quello che oggi si definirebbe un
gruppo di pressione. Furono soltanto una schiera di fiancheggiatori soddisfat-
ti, fino allincredulit, di quellaria furbesca e melensa, di divertimento e di piglia
piglia, tra il carnevale e la cuccagna, che si era venuta creando intorno a quella
cosa sempre seria e delicata che, per un popolo civile, il nascere della sua lette-
ratura. Ladesione al regime era data per scontata40

Diversa la posizione di Beppe Benvenuto:

la terza, almeno agli inizi, non sub troppi contraccolpi, assai meno condiziona-
ta rispetto alle altre pagine del giornale dai provvedimenti fascisti di allineamento
dellinformazione. [] Non si assist n a un vero cambio della guardia, e neppu-
re a una radicale messa a regime dei settori colti della stampa [] La terza dei gior-
nali metropolitani durante il Ventennio si arricchisce. E conquista la fisionomia per
cui diventata celebre. Ala nobile del giornalismo nazionale, punto darrivo di
unonorata carriera letteraria, trampolino di lancio per coloro che, usciti dallano-
nimato, muovono i primi passi verso la notoriet, la terza ormai riassume in s tutti
questi significati e altri ancora. Naturale pertanto che la conflittualit fra i giornali
per potersi fregiare delle firme pi accreditate diventi sempre pi serrata. [] Senza
voler sminuire le differenze e le specificit di ciascuna terza, ci che emerge da una
rapida rassegna delle sezioni culturali sotto il Duce il forte significato che per lin-
sieme della carta stampata venne assumendo il settore. Si pu oscillare molto.
Pigiare il tasto della condanna o preferire quello pi beffardo. Si pu considerarlo
spia di chiusure autarchiche. Si pu anche vedere nelloperazione terza un blocco
di individualit (diversissime) capaci di dar risalto alla cultura umanistica nostrana
e in particolare di traghettarla attraverso linformazione a un livello che forse non
ha pari n prima n dopo nella storia del Novecento. I terzapaginisti furono
comunque in grado, come successivamente di rado accaduto, di assicurare con
uno spirito che potremmo definire di servizio (se il termine non suonasse troppo
usurato e fuori tempo massimo) e con perizia e artigiana misura una quantit e una
qualit di informazione culturale capace di orientare e di guidare con mano sicura
il lettore nel magma caotico della produzione letteraria. Svolsero una funzione,
anche, di tipo educativo. Senza precedenti particolarmente lusinghieri, contribui-
rono a una generale elevazione culturale del popolo dei lettori. Lo stesso difetto di
settarismo, il rimprovero di muoversi come gruppo, certe complicit discutibili di
cui sono stati, a ragione, accusati (idem per opinabilissimi e frequenti singoli giu-
dizi o pregiudizi diffusi attraverso quelle solite paginette), non inficiano la sostan-
ziale qualit di unoperazione che ha condizionato in profondit una parte signifi-
cativa della prosa creativa e del dibattito culturale del tempo. Ma che ha lasciato un
segno, non cos effimero, in stili e costumi della letteratura successiva41.

40
Cfr. N. Ajello, Storia della terza pagina, cit., pp. 113-114.
41
Cfr. B. Benvenuto, Elzeviro, cit., pp. 84-88.
26 Carlo Serafini

Il fascismo approva la nuova legge sulla stampa nel 1925 e nel 1934 tra-
sforma lUfficio stampa del capo del governo in Sottosegretariato per la stam-
pa e la propaganda, che lanno successivo diventa Ministero sotto la guida di
Galeazzo Ciano; nel 1937 nasce il Ministero della cultura popolare, il cosid-
detto Minculpop. Tuttavia nelle prime fasi del regime le espressioni propria-
mente culturali, soprattutto per quel che concerne lambito artistico letterario,
non subiscono limposizione di una vera e propria direttiva ufficiale. Il regime
sembra rivolgersi allintera classe intellettuale nellottica della ricerca di una
legittimazione che avviene, ad esempio, dando forte visibilit al tesseramento
di intellettuali (come nel caso di Pirandello sul quotidiano fascista romano
LImpero e altri numerosi articoli e interviste), o con la promessa di premi,
riconoscimenti e incarichi di prestigio42, come ad esempio lambita nomina ad
accademico dItalia data a Marinetti e Pirandello nel 1929, Ojetti e
Bontempelli nel 1930, Papini nel 1937 e ad Emilio Cecchi poco pi tardi.
Tra il 1925 e il 1926 vengono chiusi gli ultimi quotidiani di opposizione
ancora attivi (LUnit, Avanti!, Il Mondo di Giovanni Amendola, La
Voce repubblicana) e vengono introdotte persone fidate come direttori dei
quotidiani liberali. Restano da chiarire la posizioni del Corriere della sera e de
La Stampa. Si gi visto come il regime abbia estromesso Albertini, al quale
succederanno nellordine Pietro Croci, Ugo Ojetti, Maffio Maffii e Aldo Borelli
che rester alla direzione del Corriere dal 1929 fino al 1943 in linea con il
regime. La Stampa viene acquisita nel 1926 da Giovanni Agnelli che, dopo
aver alternato tre direttori (tra i quali, dal febbraio 1929 al gennaio 1931,
Curzio Malaparte anni dopo sar un originale reporter di guerra43 che ha
come redattore capo Mino Maccari), affida il giornale a Alfredo Signoretti che
lo condurr fino al 1943 anchegli in linea con il regime. Nel 1926 viene allon-
tanato dal Giornale dItalia Alberto Bergamini e affidata la direzione a
Virginio Gayda che la manterr anchesso fino al 1943: la terza pagina del
giornale decade rapidamente, prima suonando la grancassa per il regime, e poi
allineandosi passivamente su argomenti congeniali a unattualit dal regime
stesso sollecitata. I collaboratori sono nomi minori, se si eccettua una certa pre-
senza del mondo letterario romano e soprattutto delle scrittrici, da Gianna
Manzini ad Amalia Guglielminetti ed altre. Il titolare della critica letteraria
Goffredo Bellonci, nel suo primo articolo sotto la nuova direzione il 13 aprile
1926, con i toni nazionalistici a lui consueti condanna lasservimento allo stra-
niero in letteratura, mentre ancora il 24 gennaio 1934 sottolinea come il fasci-
smo porti a soluzione i problemi del Risorgimento44.

42
Cfr. S.Solmi, Letteratura e societ. Saggi sul fantastico La responsabilit della cultura
Scritti di argomento storico e politico, a cura di G. Pacchiano, Adelphi, Milano 2000, p. 401.
43
Cfr. nel presente volume C.Spila, Il reportage di guerra di Curzio Malaparte.
44
Cfr. G. C. Ferretti, S. Guerriero, Storia dellinformazione letteraria in Italia dalla terza
pagina a Internet 1925-2009, Feltrinelli, Milano 2010, p. 19.
Introduzione. Parola di scrittore 27

Di fronte a tutti i direttori radunatisi a Roma il 10 ottobre 1928,


Mussolini sottolinea come la stampa fascista sia la pi libera del mondo per-
ch fedele ad un solo regime, mentre negli altri paesi gli organi di stampa
sono al servizio di pi gruppi politici, pi partiti, pi individui45. Il giorna-
lismo italiano fascista inoltre sarebbe unorchestra di cui ogni giornale costi-
tuisce uno strumento diverso: un paragone la cui premessa implicita il ruolo
di unico direttore svolto dal dittatore46. Su questo, almeno storicamente,
non c dubbio. Negli anni Trenta si assiste al massimo sforzo del regime di
inglobare la cultura, anche con larruolamento nelle file dei giornali di molti
giovani cui si offre prospettiva di carriera e di guadagno; la terza pagina dei
quotidiani e la diffusione o linformazione culturale risentono chiaramente
della situazione trincerandosi dietro un isolamento che ne fa luogo autono-
mo rispetto al resto del giornale. Ad un calo della componete informativa
della terza pagina, corrisponde invece un rafforzarsi della separazione tra cul-
tura alta e popolare e della classica ripartizione in tre pezzi: elzeviro, reporta-
ge dallestero, variet di cronaca letterario-artistica. Se nellelzeviro domina la
prosa darte con predominio della letterariet sulla letteratura, il reportage
risponde piuttosto a unesigenza di evasione e di esotismo, senza i presup-
posti di scoperta, di denuncia e di ideologia che caratterizzeranno il genere
nel dopoguerra47. Non spicca certo per originalit il ruolo degli intellettuali
fascisti o semplici terzapaginisti graditi al regime, da Giuseppe Villaroel a
Indro Montanelli, Goffredo Bellonci, Enrico Falqui e molti altri. Semmai i
veri intellettuali sono gli antifascisti, basti citare il lavoro giornalistico di
Gobetti a Torino e di Giaime Pintor o quello editoriale di Giulio Einaudi cui
sono vicini Leone Ginzburg e Cesare Pavese, per non parlare dellattivit di
Benedetto Croce a Napoli e della Casa Laterza a Bari. Discorso a parte meri-
ta Antonio Gramsci, arrestato nel 1926 (stesso anno della morte di Gobetti),
uscito dal carcere solo nel 1937 per morire in clinica a Roma. Tralasciando la
sua formazione e attivit giornalistica nelle redazioni dellAvanti!, Il Grido
del popolo di cui fu direttore, LOrdine Nuovo e la fondazione de
lUnit, i circa dieci anni di lotta politica precedenti allarresto lo vedono
impegnatissimo in una immensa quantit di scritti giornalistici e politici fina-
lizzati al far maturare nella classe operaia la coscienza culturale del proprio
stato. Responsabile di questo processo per Gramsci lintellettuale, il cui
ruolo viene identificato nella mediazione culturale e del consenso, nellessere
organico ad una classe sociale, vicino alle sue problematiche ed esigenze, e
non lontano in una casta autonoma. In questo forse la grandezza del suo
pensiero, nellaver cio letto sempre i fatti culturali in unottica politico socia-
le. Ed ci che manca radicalmente nella terza fascista: la lettura politico

45
Cfr. P. Murialdi, La stampa del regime fascista, Laterza, Roma-Bari 1986, p. 60.
46
Cfr. G.C. Ferretti, S. Guerriero, cit., p. 20.
47
Ivi, p. 41.
28 Carlo Serafini

sociale degli avvenimenti. Gli intellettuali cio non sono o non riescono ad
essere un gruppo di azione, sono snaturati rispetto alla loro identit che
dovrebbe vederli attivi nella formazione libera dellopinione pubblica. Anche
la tanto decantata critica letteraria in realt resa debole dalla politica diffu-
sa del silenzio recensorio che, letto con il senno di poi, apre notevoli spazi di
interpretazione ai libri passati appunto sotto silenzio. Inoltre il Ventennio si
caratterizza anche per il continuo ritorno degli stessi nomi in ragione di un
oggettivo restringimento del panorama culturale. Non quindi scorretto par-
lare di corporativismo o di aria familiare nella repubblica delle lettere fasci-
sta. stato comunque notato come se tutto questo in alcuni casi fa pen-
sare a un circuito corto e per certi aspetti quasi medievale, tra lo scrittore e un
pubblico ristretto a lui simile e contiguo, al tempo stesso tuttavia favorisce un
legame forte e produttivo tra lo scrittore e il suo critico48. Come detto sul
fascismo i punti di vista non sono concordi.
Ma questo radicarsi in una posizione di chiusura intellettuale fu solo con-
seguenza della censura o delle direttive di regime? La verit forse nel mezzo,
o meglio nellatteggiamento ambiguo pi o meno evidente che tanto politici
che intellettuali dimostrarono nel corso del fascismo. Inoltre non va dimen-
ticato lo stato danimo di molti intellettuali nellimmediato primo dopo-
guerra. Occorre allora forse fare un passo indietro. Alla vigilia della prima
guerra mondiale, Renato Serra scrive Esame di coscienza di un letterato, una
sorta di giudizio sulla cultura italiana di quegli anni, sulla letteratura e sul
ruolo degli intellettuali, prendendo posizione sul fatto che non sar di certo
la guerra a cambiare il rapporto tra intellettuale e vita; si pone cio contro
quegli intellettuali che vedono nella guerra loccasione per uscire dallisola-
mento delle lettere e calarsi nellesistenza concreta. Lazione degli intellettua-
li nella vita sociale si basava su due linee divergenti: chi, come Croce, affer-
mava la propria autosufficienza, per cui il sapere non era al servizio di nessu-
na ideologia e si era lontani quindi da qualsiasi forma di attivismo, e chi inve-
ce, come Papini, agiva in ragione di una forma di milizia ideologica. Serra,
sostenendo che la guerra non cambia nulla, intendeva demolire la nozione di
guerra come sola igiene del mondo, lidea retorica di una missione italia-
na e la convinzione illusoria di molti intellettuali che la guerra avrebbe por-
tato radicali cambiamenti sociali e culturali. Di fatto la guerra sment le illu-
sioni di chi credeva in queste possibilit e acceler la crisi della civilt libera-
le. Se per i crociani si trattava della conferma dellimpossibilit intellettuale
di dominare il processo storico, per il resto del mondo intellettuale la delu-
sione post bellica era nella constatazione che dalla tragedia della guerra non
sarebbe nata una nuova cultura. Lo Stato italiano appariva dopo la Grande
Guerra profondamente diverso da quello di pochi anni prima. Passata la sta-

48
Ivi, p. 57.
Introduzione. Parola di scrittore 29

gione degli sperimentalismi avanguardistici e dei vociani, inizia il periodo del


cosiddetto ritorno allordine che vede nella rivista La Ronda il suo mag-
gior momento.

Dopo le intemperanze delle avanguardie e dei vociani, il ritorno allordine di cui


si fa portabandiera la rivista romana [La Ronda] insieme sintomo e causa della
crisi di ruolo dellintellettuale, e in particolare del letterato. Il coinvolgimento
attivo nella vita sociale e politica ha caratterizzato i primi decenni del secolo, ed
culminato con una sostanziale sconfitta nella spinta decisiva degli intellettuali a
favore della partecipazione alla Grande Guerra. A questo sono seguiti il ritiro nel-
lautonomia del campo letterario e la riaffermazione delle prerogative di casta del
letterato, sulla scia della Voce bianca di Giuseppe De Robertis. La Ronda ha
riproposto con forza una tipologia di letterato umanista, al di sopra e al di fuori
della mischia, che sar dominante per tutto il Ventennio fascista. Ecco allora che
la prosa darte, perfetta espressione del disimpegno in cui il calligrafismo prevale
su qualsiasi discorso di contenuto, diventa il genere egemone non tanto nel labo-
ratorio letterario, quanto piuttosto sulle pagine dei quotidiani dove si forma lim-
magine pubblica dello scrittore. Tuttavia la riaffermazione delle prerogative del
letterato nasconde la debolezza e la mancanza di unidentit forte da parte della
societ letteraria italiana, mentre il disinteresse per il politico coincide con la
disponibilit a priori verso qualsiasi politica: premesse che rendono il mondo
della letteratura, con le dovute ma molto rare eccezioni, del tutto subalterno al
fascismo. Pur partendo da premesse tra loro diverse, i letterati si muovono spon-
taneamente verso il regime molto prima che esso prenda provvedimenti49.

possibile quindi affermare che intellettuali e letterati si siano trovati


naturalmente portati ad aderire ad un ritorno allordine che poi degenera-
to, per lazione del regime, in impossibilit di uscirne; se poi limpossibilit
stata pi una questione di convenienza, di paura, di adesione, di fede o di
altro una questione relativa alle singole persone50. certo che non sono
pochi coloro che hanno sentito, caduto il fascismo o anche nel corso del fasci-
smo stesso, la necessit di fare i conti o di rinnegare apertamente il loro pas-
sato, dai casi pi eclatanti (pensiamo a Piovene) a quelli pi complessi (Vit-
torini, Alvaro, Gadda, Bontempelli, Brancati e altri). Liniziale adesione di
Gadda al fascismo, ad esempio, convinta quanto la presa di distanza suc-
cessiva. Ma sulla figura di Vittorini e sullattivit culturale svolta con Il
Politecnico che possibile iniziare ad inquadrare la necessit di una cultura
che, fuori dal fascismo, ripensi se stessa sullesperienza della storia italiana vis-
suta e su cosa realmente stato il fascismo. Ma per restare sul tema dellini-
ziale adesione al fascismo di chi poi lo rinnegher, emblematico il dialogo

49
Ivi, p. 25.
50
Sul tema cfr. M. Serri, I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte (1938-1948),
Corbaccio, Milano 2009.
30 Carlo Serafini

che Vittorini instaura con i giovani che confusi o disperati o almeno umi-
liati di essere stati fascisti51 temono di non poter pi essere uomini dopo
essere stati non uomini. Vittorini aiuta questi giovani a convincersi di
non essere colpevoli [] strumenti s del fascismo, ciechi dinnanzi a quello
che il fascismo era, vittime di quello che sembrava, deboli, non forti, ma non
fascisti. I giovani non potevano capire il fascismo anche perch lantifasci-
smo era allestero e non arrivava in Italia se non storpiato. Questi giovani
non erano reazionari [] erano per un progresso sociale, per una migliore
giustizia sociale, per leliminazione del latifondo e la socializzazione delle
grandi imprese. Il fascismo disse loro di essere appunto questo e si presenta-
va come un movimento moderno in grado di superare limpostazione dei vec-
chi partiti. I giovani si persuasero che il fascismo fosse in lotta contro
ogni sorta di reazionari per lattuazione di un programma socialmente rivo-
luzionario. Basta scorrere i giornali giovanili, specie nel periodo tra il 31 e il
35, per averne la prova. Gli slogans demagogici del fascismo diventavano, su
quei fogli, argomento di dibattito entusiasta e motivo di attacco concreto al
capitalismo, alla borghesia, ai rapporti di produzione della societ borghese
[] Qui parlo di unesperienza che anche la mia. E io sono nato nel 1908,
non nel 20 o nel 22. Avevo gi quattordici anni lanno della marcia su
Roma. Avevo sentito parlare in qualche modo, di come era nato il fascismo.
Eppure [] anchio mi agitai nel senso che ho descritto qui sopra, su fogli
fascisti pi o meno di provincia. Debbo dirlo a questi ragazzi che mi scrivo-
no. Anche io sono stato uno di loro. Sono stato non acuto e non forte.
Non uomo? Sono stato dei deboli.
***
Da un punto di vista di storia del giornalismo, il dopoguerra vede come
naturale conseguenza della caduta del regime il venir meno del controllo eser-
citato, con relativa sfascistizzazione dei giornali e dellinformazione, e con
lintroduzione dellelemento critico nella lettura sociale e politica della so-
ciet. Questa la grande novit, pur sopravvivendo ancora nella terza pagina
dei giornali lelzeviro tutto letterario, come dimostra, ad esempio, lesperien-
za di Moretti, gi attivo come terzapaginista dal 1923 sul Corriere. Riapre
significativamente la cronaca, soprattutto per quel che riguarda la nera. Mi-
rabile in questambito lo stile e la capacit di Dino Buzzati52. Non sono
pochi gli scrittori e gli intellettuali che partecipano con impegno alla rinasci-
ta dellinformazione democratica nel nostro Paese. Limpegno dei singoli si
concentra, per, sul lavoro di divulgazione politica e di informazione tout

51
Cfr., anche per le citazioni immediatamente successive, E. Vittorini, Fascisti i giovani?,
in Il Politecnico, n. 15, 5 gennaio 1946.
52
Cfr. nel presente volume S. Cirillo, Dino Buzzati: un grande giornalista a servizio del
lettore.
Introduzione. Parola di scrittore 31

court piuttosto che sul piano della produzione letteraria in campo giornali-
stico. I giornali, che in questo periodo escono in formato ridotto (otto pagi-
ne i pi ricchi), limitano gli interventi di natura espressamente culturale a
isolati episodi. Di solito si tratta di articoli in terza pagina a una o due colon-
ne53. Da notare ancora che proprio in questi anni non raro trovare scritto-
ri che lavorano nella redazioni dei quotidiani: Vittorini caporedattore del-
lUnit di Milano, Calvino redattore della terza pagina dellUnit di To-
rino, Montale dal 1948 scrive sul Corriere della sera occupandosi non solo
di critica letteraria, Caproni tra il 1945 e il 1946 conduce inchieste per Il
Politecnico sulle borgate romane per non parlare degli scrittori che dal
primo dopoguerra saranno inviati speciali al seguito del Giro dItalia54. Se da
un lato lesperienza della guerra domina la letteratura neorealista, con una
memorialistica che non pu non tener conto della tragedia subta, altra parte
del mondo intellettuale, e non solo, guarda al futuro con entusiasmo, vitalit
e progettualit diffusa. Lantifascismo domina lintero panorama, caratteriz-
zato dallanalisi critica del recente passato, e da passione civile, volont di rin-
novamento culturale, nascita di nuove testate e riapertura di vecchie, produ-
zione libraria, proliferare di iniziative editoriali. Venne lanno 1945. uno
spartiacque. La guerra appena finita e possiamo cogliere la dimensione delle
rovine. Sono rovine materiali ma anche rovine morali [] La maggior parte
di noi non riusc allora a vedere la faccia negativa del prodigioso sviluppo
della conoscenza che ha sostenuto la guerra e la vittoria. [] Tornavano i
superstiti, uno su cento, dai campi di sterminio. Raccontavano e comincia-
vano a scrivere cose inimmaginabili sulla disumanit del potere e sullorga-
nizzazione scientifica della morte, ma questi racconti non toccavano la nostra
gioia di vivere finalmente nella pace [] Proprio a partire dal 1945 si apr
una nuova e durevole fiducia nellunilinearit dello sviluppo economico e del
progresso sociale55. Ancora da notare che nellimmediato dopoguerra ini-
zia a manifestarsi, per lo meno a livello progettuale, la volont di attenuare la
differenza tra cultura alta ed elitaria e cultura bassa e popolare che si era ben
consolidata negli anni Trenta, e il processo di avvicinamento viene avvertito
quale conseguenza della volont di creare un comune sentire, una comune
esperienza che trova la sua radice nelle istanze di libert e di uguaglianza che
hanno caratterizzato gli anni della Liberazione. Si delinea insomma un pro-
getto di cultura unitaria e democratica, che tende a non privilegiare questa o

53
Cfr. P.F. Borgia, Letteratura e giornalismo dal 1945 a oggi, in Storia generale della lettera-
tura italiana, cit., vol. XII, pp. 488-496.
54
Cfr. per una sintesi sul tema N. Giurlani, La leggenda del Giro dItalia raccontata da gran-
di firme, Il Riformista, 6 maggio 2009; inoltre L. Lepri, In bicicletta, in LItalia in Italia.
Storia, formazione, immagini di una mutevole identit nazionale, a cura di R. Fedi e G.
Capecchi, Guerra edizioni, Perugia 2010, pp. 89-99.
55
Cfr. V. Fo, Il cavallo e la torre. Riflessioni su una vita, Einaudi, Torino 1991, pp. 69-70.
32 Carlo Serafini

quella disciplina, n questa o quella classe sociale, e che si fonda sulle nuove
istanze di trasformazione della societ, in una prospettiva militante e forma-
tiva, sperimentale e divulgativa. Nelle riviste e case editrici in particolare,
unit della cultura dalle lettere alle varie arti, e unit antifascista tra movi-
menti e partiti, convergono in modo dinamico e fecondo56. In questottica
va letta la nuova iniziativa di Vittorini, che il 29 settembre 1945 sul primo
numero de Il Politecnico57 traccia le linee di una nuova cultura che rive-
da il passato e che non sia pi consolatoria ma attiva concretamente nella vita
sociale.

Per un pezzo sar difficile dire se qualcuno abbia vinto in questa guerra. Ma certo
vi di tanto che ha perduto, e che si vede come abbia perduto. I morti, se li con-
tiamo, sono pi di bambini che di soldati: le macerie sono di citt che avevano
venticinque secoli di vita: di case e di biblioteche, di monumenti, di cattedrali, di
tutte le forme per le quali passato il progresso civile delluomo; e i campi sui
quali si sparso pi sangue si chiamano Mathausen, Maidaneck, Buchenwald,
Dakau. / Di chi la sconfitta pi grave in tutto questo che accaduto? Vi era
bene qualcosa che, attraverso i secoli, ci aveva insegnato a considerare sacra lesi-
stenza dei bambini. Anche di ogni conquista civile delluomo ci aveva insegnato
che era sacra; lo stesso del pane; lo stesso del lavoro. E se ora milioni di bambini
sono stati uccisi, se tanto che era sacro stato lo stesso colpito e distrutto, la scon-
fitta anzitutto di questa cosa che cinsegnava linviolabilit loro. Non anzi-
tutto di questa cosa che cinsegnava linviolabilit loro? / Questa cosa, voglio
dirlo subito, non altro che la cultura: lei che stato pensiero greco, ellenismo,
romanesimo, cristianesimo latino, cristianesimo medioevale, umanesimo, rifor-
ma, illuminismo, liberalismo [] Non vi delitto commesso dal fascismo che
questa cultura non avesse insegnato ad esecrare gi da tempo. / E se il fascismo
ha avuto modo di commettere tutti i delitti che questa cultura aveva insegnato ad
esecrare gi da tempo, non dobbiamo chiedere proprio a questa cultura come e
perch il fascismo ha potuto commetterli? / Dubito che un paladino di questa
cultura, alla quale anche noi apparteniamo, possa darci una risposta diversa da
quella che possiamo darci noi stessi; e non riconoscere con noi che linsegna-
mento di questa cultura non ha avuto che scarsa, forse nessuna, influenza civile
sugli uomini. [] qualit naturale della cultura di non poter influire sui fatti
degli uomini? Io lo nego. / Se quasi mai [] la cultura ha potuto influire sui fatti
degli uomini dipende solo dal modo in cui la cultura si manifestata. Essa ha
predicato, ha insegnato, ha elaborato principi e valori, ha scoperto continenti e
costruito macchine, ma non si identificata con la societ, non ha governato con
la societ, non ha condotto eserciti per la societ. Da che cosa la cultura trae
motivo per elaborare i suoi principi e i suoi valori? Dallo spettacolo di ci che
luomo soffre nella societ. Luomo ha sofferto nella societ, luomo soffre. E cosa

56
G.C. Ferretti e S.Guerriero, cit., p. 78.
57
Per la storia della rivista e il suo peso culturale cfr. M. Forti e S. Pautasso, Il Politecnico,
Lerici, Milano 1960.
Introduzione. Parola di scrittore 33

fa la cultura per luomo che soffre? Cerca di consolarlo. [] Potremo mai avere
una cultura che sappia proteggere luomo dalle sofferenze invece di limitarsi a
consolarlo? Una cultura che le impedisca, che le scongiuri, che aiuti a eliminare
lo sfruttamento e la schiavit, e a vincere il bisogno, questa la cultura in cui
occorre che si trasformi tutta la vecchia cultura.

Questi i nobili intenti del progetto di Vittorini, identificazione tra cultu-


ra e societ, tra politica e societ, ma il progetto, come anche la rivista di
Vittorini, sono destinati al fallimento. Lagognata vicinanza della cultura eli-
taria con la popolare di fatto non si verificher mai per una serie di motivi sia
ideologici che linguistici; intellettuali e realt restano distanti, un simile
obiettivo avrebbe richiesto ben altri processi di trasformazione sociale e cul-
turale, nei confronti della lunga tradizione di arretratezza e di analfabetismo,
di politiche classiste e di scelte editoriali conseguenti58. La fine de Il
Politecnico, rivista che rappresenta indubbiamente il tentativo di apertura
pi interessante dellimmediato dopoguerra, emblematica: al di l dei pro-
blemi finanziari, dei difficili rapporti con il Partito comunista, il progetto
della rivista fallisce per lincapacit o limpossibilit di realizzare quel pro-
gramma di emancipazione, lutopia cio di un laboratorio culturale di massa.
Il Politecnico evidenzia perci il fallimento dellistanza comunicativa e
antielitaria circolante in tante esperienze di quegli anni, e nello stesso neo-
realismo59. La stessa polemica con Togliatti, che critica limpostazione di
ricerca libera e aperta della rivista, evidenzia come i tempi non fossero matu-
ri per un progetto di cultura unitario, ma evidenzia anche e comunque lo
straordinario tentativo di un intellettuale di cercare di capire le dinamiche di
trasformazioni sociali e politiche della sua nazione. Quello di Vittorini pi
attivismo che altro, il vero concetto di impegno che lo guida pi nella
ricerca di una strada che in un vero e proprio progetto culturale definito.
Togliatti confessava di essere culturalmente fermo a Carducci, lontano quin-
di dalle suggestioni o innovazioni culturali di Vittorini, e lo stesso Calvino
nella lettera di dimissioni dal partito comunista scrive: non ho mai cre-
duto (neanche nel primo zelo del neofita) che la letteratura fosse quella triste
cosa che molti nel Partito predicavano, e proprio la povert della letteratura
ufficiale del comunismo m stata di sprone a cercare di dare al mio lavoro di
scrittore il segno della felicit creativa60. Un certo elitarismo era quindi pre-
sente anche nella cultura di sinistra, nonostante la maggiore apertura al dibat-
tito, elitarismo magari pi concreto che ideologico, magari pi basato sul tra-
dizionale concetto dellisolamento del lavoro intellettuale, prospettiva che

58
Ivi, p. 82.
59
Ivi, p. 84.
60
La lettera, pubblicata su lUnit del 7 agosto 1957, oggi in I. Calvino, Saggi, I
Meridiani, Mondadori, Milano 1995, vol. II, pp. 2188-2191.
34 Carlo Serafini

certo non era favorevole al dilagare di una nuova cultura progressista e demo-
cratica. Non va poi trascurata la vicenda politica e sociale italiana che in qual-
che modo costrinse gli intellettuali a prendere posizione. Infatti lItalia si
venne ricostruendo nel coesistere di forze politiche e sociali molto diverse tra
loro: comunisti, socialisti, partito dazione, liberali, nuovo partito cattolico
della democrazia cristiana, il tutto in un apparato istituzionale rinnovato
(dalla monarchia alla repubblica) ma in un apparato amministrativo burocra-
tico che risentiva ancora pesantemente delle dinamiche del Ventennio. Lan-
tifascismo inoltre era allinsegna della partecipazione pi diretta delle classi
popolari alla gestione del potere, cosa mal vista dallincedere del capitalismo
occidentale e dalle classi privilegiate. Il Partito comunista di Togliatti, schie-
rato per forza di cose e nonostante le aperture con il blocco sovietico stalini-
sta, venne estromesso dal governo nel 1947 e le elezioni dellanno successivo
videro la vittoria della Democrazia cristiana con conseguente ritorno al pote-
re dei cattolici in Italia e avvicinamento al blocco capitalistico in subalternit
agli Stati Uniti dAmerica. Il Partito comunista rest allora, almeno simboli-
camente, garanzia di antifascismo e di uguaglianza, e la sua politica culturale
venne sposata da tutti quegli intellettuali che sentivano di agire in nome
della libert. Il tutto almeno fino a quando cade la maschera del Comuni-
smo, nel 1956, anno che vede attuarsi, in conseguenza dei fatti dUngheria
sui quali bene fermarsi, una vera e propria presa di distanza tra cultura e
politica per lo meno nel senso che fino a qui si visto.
Il 5 marzo 1953 la morte di Stalin apre un nuovo scenario nellassetto
sovietico, con reazioni nei paesi satelliti. Dal 17 al 24 febbraio 1956 si svol-
ge a Mosca il XX Congresso del Partito Comunista, dove Nikita Sergeevic
Chruscv presenta il famoso Rapporto segreto che a breve circola in
America, Europa e quindi in Italia. Vedere il Segretario del Partito Comuni-
sta sovietico attaccare Stalin denunciandone i crimini ebbe un forte effetto
sui comunisti europei61. Di l a breve Polonia prima e Ungheria dopo si orga-
nizzano per insorgere.
Per renderci conto del ruolo giocato dallinformazione in quei giorni,
molto interessante la lettura parallela di due dei maggiori quotidiani italia-
ni. Da una parte lUnit, organo ufficiale del partito comunista italiano,
dallaltra il Corriere della sera, giornale moderato della grande borghesia
italiana. Se seguiamo parallelamente i numeri dei due quotidiani dai giorni
immediatamente successivi al 23 ottobre (inizio della rivoluzione ungherese)
alla met di novembre del 1956 (quando cio i carri armati russi avevano raso
al suolo tanto la citt di Budapest che i suoi abitanti), possiamo osservare
come gli stessi avvenimenti abbiano due volti differenti. Dallinizio della

61
Cfr. A. Guerra, Il giorno che Kruscev parl: dal XX Congresso alla rivolta ungherese, Editori
Riuniti, Roma 1996, p. 80.
Introduzione. Parola di scrittore 35

rivoluzione: lUnit si scaglia contro i rivoltosi accusandoli di fascismo e di


voler ripristinare con la violenza il capitalismo occidentale in Ungheria62, il
Corriere si limita a notare che qualcosa di nuovo sta nascendo63 e a con-
dannare la ferocia della repressione utilizzata dalle forze armate sovietiche64.
Quando prende piede la rivoluzione il quotidiano comunista segue la scia
della falsa propaganda sovietica affermando che ogni scontro armato stato
sedato e le truppe sovietiche hanno riportato la tranquillit65, mentre da Via
Solferino arrivano notizie sulle centinaia di morti e sullestendersi della vio-
lenza in tutta lUngheria66. Quando in Italia attivo il dibattito politico sui
fatti ungheresi, lUnit pubblica un articolo a firma Palmiro Togliatti dove
viene ribadita la posizione di comunisti italiani a fianco del socialismo sovie-
tico67, mentre il Corriere evidenzia le ripercussioni che i fatti hanno sulla
sinistra italiana in preda a confusione e lacerazioni interne68. Interessanti i
titoli dei due quotidiani sulla posizione dellallora Ministro degli esteri
Martino: Martino aiuta i fascisti nella speculazione sui tragici fatti che insan-
guinano lUngheria (lUnit del 27 ottobre 1956, senza firma) e Martino
esprime allUngheria la commossa solidariet del popolo italiano (Corriere della
sera del 27 ottobre 1956, non firmato). Nel momento della grande illusio-
ne ungherese, lUnit si sofferma sulla descrizione delle violenze e dei lin-
ciaggi pubblici dei funzionari comunisti ungheresi69, mentre il Corriere,
per mezzo dei suoi corrispondenti, elogia il coraggio fino a quel momento
dimostrato dal popolo ungherese per avere la sacrosanta libert70. Ma dopo

62
Cfr. A. Castellani, Scontri nelle vie di Budapest provocati da gruppi armati di contro-rivo-
luzionari, lUnit, 24 ottobre 1956.
63
Cfr. A. Valcini, Via i russi dallUngheria, grida la folla a Budapest, Corriere della sera,
24 ottobre 1956.
64
Cfr. Aerei russi bombardano la popolazione (senza firma) e A. Guerriero, Gli insorti com-
battono nelle vie di Budapest contro i carri armati dellesercito sovietico Ansia di libert,
Corriere della sera, 25 ottobre 1956.
65
Cfr. di O. Vangelista su lUnit, Il potere socialista ha infranto in Ungheria lattacco delle
bande armate controrivoluzionarie, 25 ottobre 1956; La giornata di ieri nella capitale unghere-
se, 26 ottobre 1956; Appello del Partito e del governo per la pacificazione mentre continuano scon-
tri tra gli insorti e il potere socialista, 27 ottobre 1956.
66
Cfr. A. Valcini, A mezzogiorno in piazza del parlamento i russi sparavano ancora sulla folla,
Corriere della sera, 26 ottobre 1956 e Migliaia di caduti nella capitale (senza firma),
Corriere della sera, 27 ottobre 1956.
67
Cfr. P. Togliatti, Da una parte della barricata a difesa del socialismo, lUnit, 25 otto-
bre 1956.
68
Cfr. su il Corriere della sera: A.A., Disorientati i comunisti, mentre il PSI condanna
Nagy, 25 ottobre 1956; Si profila per i comunisti il pericolo dellisolamento, 27 ottobre 1956;
Gravi dissensi tra i comunisti nella valutazione degli avvenimenti, 28 ottobre 1956.
69
Cfr. fra gli altri articoli O. Vangelista, Continua il terrore anticomunista a Budapest,
lUngheria denuncia il Patto di Varsavia, lUnit, 2 novembre 1256.
70
M. Luandi, Dalla frontiera austriaca ho visto un popolo rinato alla libert, Corriere della
sera, 1 novembre 1956.
36 Carlo Serafini

la devastante e violentissima repressione russa che si assiste ad una visione dei


fatti talmente divergente da non poter non provocare conseguenze sul mondo
culturale legato al Partito comunista. Gli articoli pubblicati su lUnit71
sono di aperto appoggio alla brutale violenza russa mascherata sotto il ritor-
no alla pace, al contrario della versione dei fatti data dal Corriere, ben pi
vicina alla realt72. Questo come detto non lasci indifferenti gli intellettuali
che si resero conto di cosa in realt fosse il Comunismo a pochi anni di
distanza dalluscita dalla guerra che aveva visto i crimini del fascismo e del
nazismo. Emblematica la vicenda di Italo Calvino che ricordando il perio-
do non esita ad affermare: Noi comunisti italiani eravamo schizofrenici. S,
credo proprio che questo sia il termine esatto. Con una parte di noi eravamo
e volevamo essere i testimoni della verit, i vendicatori dei torti subti dai
deboli e dagli oppressi, i difensori della giustizia contro ogni sopraffazione.
Con unaltra parte di noi giustificavamo i torti, le sopraffazioni, la tirannide
del partito, Stalin, in nome della Causa. Schizofrenici. Dissociati. Ricordo
benissimo che quando mi capitava di andare in viaggio in qualche paese del
socialismo, mi sentivo profondamente a disagio, estraneo, ostile. Ma quando
il treno mi riportava in Italia, quando ripassavo il confine, mi domandavo:
ma qui, in Italia, in questa Italia, che cosaltro potrei essere se non comuni-
sta?73. Emblematico questo tema del viaggio in Russia, dal momento che
furono molti gli intellettuali che nella prima met degli anni Cinquanta si
recarono nel paese sovietico con intenti propagandistici dellesperienza poli-
tica di riferimento del Comunismo italiano; questo spiega anche, come sot-
tolinea nel presente volume Siriana Sgavicchia74, il perch della fredda acco-
glienza del reportage russo di Anna Maria Ortese, rea di aver individuato
nelle persone e nel paesaggio e non nella politica loggetto della sua analisi.
Con il 1956 si chiude comunque una fase, la fase che aveva creduto nella
possibilit della politica di intervenire, in forza appunto di apposite politiche
culturali, nel merito delle scelte artistico letterarie. I rapporti tra politica e
cultura non muoiono certo qui, ma prendono negli anni a seguire uno svi-
luppo e una dinamica differente.
***
71
Cfr. O. Vangelista, Le truppe sovietiche intervengono in Ungheria per porre fine allanar-
chia ed al terrore bianco (5 novembre 1956); P. Togliatti, Per difendere la civilt e la pace (6
novembre 1956); O. Vangelista, Nuclei di sabotatori si abbandonano ad incendi e saccheggi a
Budapest (9 novembre 1956).
72
Cfr. V. Roberti, Lagonia magiara secondo la propaganda russa (6 novembre 1956); A.
Valcini, Gli indomabili insorti resistono disperatamente e impegnano le forze sovietiche a Budapest
e in provincia (7 novembre 1956); A. Guerriero, La tesi dellItalia (7 novembre 1956); I.
Montanelli, Il tradimento russo scatur da una serie funesta di errori (14 novembre 1956).
73
Cfr. Calvino: Quel giorno i carri uccisero le nostre speranze, intervista ad Eugenio Scalari,
la Repubblica, 13 dicembre 1980.
74
Cfr. nel presente volume S. Sgavicchia, Straniamento e utopia negli scritti di viaggio di
Anna Maria Ortese.
Introduzione. Parola di scrittore 37

Oltre ai fatti appena esaminati, nel 1956 esce il quotidiano finanziato


dallEni di Enrico Mattei Il Giorno, primo esempio concreto di morte
della terza pagina nel senso storico del termine. In effetti la terza esce sola-
mente spostata allinterno del giornale e profondamente aggiornata75; ma il
quotidiano stesso a presentare novit di rilievo soprattutto a livello grafico e
di impaginato, per la presenza di giovani firme e per interessanti aperture
(vedi ad esempio il sostengo allintervento pubblico alleconomia e alle aspi-
razioni del Terzo mondo). Nello stesso anno inoltre la crisi di Suez con i
riflessi sulla politica internazionale, ed altre vicende interne del paese, segna-
no una presa di coscienza della societ tanto sul piano politico che del-
linformazione, che si traduce in un proliferare di nuovi organi di stampa,
soprattutto rotocalchi e riviste, con conseguente crescita del dibattito cultu-
rale politico intorno alle prospettive di sviluppo della democrazia italiana in
rapporto alla crescita economica e civile del paese. La seconda met degli anni
Cinquanta vede inoltre nascere numerose testate che avranno un peso fon-
damentale nel panorama culturale a seguire; per citare solo le maggiori, nel
1955 nascono LEspresso e Officina, nel 1956 il Verri, nel 1959 Il
Menab di Letteratura, nel 1962 Panorama.
Il punto centrale da questo momento in poi la trasformazione in poco pi
di un decennio dellItalia da paese prettamente agricolo a paese industrializza-
to. I dati sono emblematici della rapidit del fenomeno e le conseguenze, in
ragione della velocit della trasformazione che non ha dato al paese il tempo
necessario per metabolizzare, hanno interessato tutti gli aspetti della vita,
dalle abitudini private dei cittadini ai grandi temi economico politici culturali.
Gli addetti allagricoltura nel 1951 raggiungevano il 42,2 % degli occupati,
dieci anni dopo, nel 1961 erano il 29,1%; mentre lo stesso dato nellindustria
regista una crescita dal 32,1 al 40,6 76. Inoltre lItalia si presenta ancora con forti
squilibri, soprattutto tra Nord e Sud (sul tema di grande forza sono gli scritti
di Corrado Alvaro). Limpatto sociale di questi fenomeni, gi di per s enor-
me, viene ancor pi accentuato dallaggravarsi di vecchi squilibri, come il diva-
rio tra la rapida crescita del Nord industrializzato e la permanente arretratezza
delleconomia meridionale [] e dallinsorgere di nuove esplosive contraddi-
zioni, come quelle prodotte dal tumultuoso flusso migratorio dal Sud verso le
aree urbane del triangolo industriale, che avrebbe in breve tempo trascinato al
collasso le strutture ricettive delle grandi citt e alimentato fenomeni di disgre-
gazione sociale e di autentica tensione razziale77. Il decennio successivo, fino

75
Per unanalisi dettagliata della terza de Il Giornale e di tutti i maggiori quotidiani ita-
liani dal Fascismo ai nostri giorni, cfr. il recente volume di G.C. Ferretti e S. Guerriero, cit.
76
Cfr. S. Lanaro, Storia dellItalia repubblicana, Marsilio, Venezia 1992, pp. 228 sgg.
77
M. G. Rossi, Una democrazia a rischio. Politica e conflitto sociale negli anni della guerra
fredda, in Storia dellItalia repubblicana, Einaudi, Torino 1994, vol. II, La costruzione della
democrazia, p. 1000.
38 Carlo Serafini

quindi alla met degli anni Sessanta, vede una serie di eventi che creano una
vera e propria metamorfosi nel volto del paese: senza entrare troppo allin-
terno dellanalisi storica e sociale di quegli anni, occorre porre lattenzione
solo su alcuni aspetti per i notevolissimi riflessi esercitati sulla cultura italia-
na. Il forte inurbamento, oltre ai problemi visti, crea una vera e propria tra-
sformazione del volto delle citt, con speculazioni edilizie tanto massicce
quanto criminali, tali da aver devastato in maniera irreversibile quasi tutti i
centri storici. La costruzione di aree periferiche degradate e prive di servizi e
di verde, come la costruzione, anchessa scellerata, di seconde case o comples-
si alberghieri per le vacanze, ha prodotto disagio esistenziale e criminalit in
un caso e depauperamento del patrimonio naturale nellaltro. Ma la vera rivo-
luzione a livello culturale viene data principalmente dallinarrestabile prende-
re piede di due fenomeni: il diffondersi dei mezzi di comunicazione di massa
e il dilagare della societ dei consumi, che impongono di fatto nella vita quo-
tidiana (pensiamo alla televisione) gli sviluppi portati dallindustria. I giornali
sembrano accorgersi della trasformazione, ma inizia ora una accelerazione dei
tempi che lascia tutti sconcertati; nel 1962 cos scriveva Nello Ajello:

Oggi il panorama diverso [] i giornali hanno cominciato, sia pure lentamen-


te, a tenere dietro al paese, al quale non somigliano pi da decenni, anzi proba-
bilmente non avevano mai somigliato. LItalia nella quale hanno preso a spec-
chiarsi non quella dei tramonti sul lago e dei carabinieri a cavallo: invece un
paese confusamente cresciuto, reso incredulo e affascinato dal miracolo di cui
protagonista, pieno di tumultosi entusiasmi per il mondo moderno appena sco-
perto. Gli stimoli culturali ai quali esso sottoposto fanno tuttuno con questa
scoperta. Il neo-capitalismo, letica del consumi e lindustria culturale sono
aspetti concatenati di una realt contemporanea che evidentemente non sol-
tanto italiana, ma che assume un senso diverso per chi ne osserva gli influssi su
un paese privo, com il nostro, di solide, preesistenti tradizioni. Chi lamentava
lassenza in Italia di una cultura nazional-popolare e si dava da fare per colmare
il ritardo, fiducioso nelle prospettive rivoluzionarie che ne sarebbero seguite,
stato clto di sorpresa dallentrata in opera di una serie di dispositivi culturali di
massa che invitano a rivedere, se non a considerare superati, tutti i termini sui
quali si fondava la loro azione. Quella che si diffonde con la celerit e lenergia
dellindustria che la produce infatti (ci si passi lespressione) una cultura cosmo-
politico-borghese paga di se stessa e perci priva di ogni spinta rivoluzionaria.
Ma anche molti di coloro che, da posizioni liberal-progressiste, avevano solleva-
to a lungo le loro proteste intellettuali contro la lentezza con cui lItalia si con-
giungeva al mondo moderno cio al capitalismo occidentale nelle sue forme pi
evolute sono stati presi in contropiede, e ora si attardano volentieri a stigma-
tizzare la carica di alienazione che il mondo moderno reca in s 78.

78
Cfr. N. Ajello, Dalla terza pagina al supplemento letterario, in Nord e Sud, n. 33, 1962,
pp. 120-121.
Introduzione. Parola di scrittore 39

La societ dei consumi, imponendosi sul modello derivante dallesempio


americano, fa breccia in maniera particolare sulla nuova generazione che,
nata negli anni della guerra non ne cap la tragedia, e cresciuta nella rico-
struzione e nel benessere non si riesce a riconoscere nel concetto di sacrificio,
risparmio, ideale e lotta che aveva guidato la difficile giovent dei padri. Il
conflitto generazionale inevitabile. Negli anni Sessanta i giovani si ricono-
scono molto pi nei nuovi mezzi di trasporto, nella musica, nellabbiglia-
mento, nei volti dei divi del cinema che non negli eroi della lotta partigiana,
e questo delinea una fisionomia generazionale a tutto servizio della stessa
societ dei consumi. Il molto maggiore ampliarsi degli orizzonti, il dinami-
smo, la voglia di conoscere il mondo e di sperimentare in prima persona, la
quasi assenza di difensive li pongono in differenza rispetto agli adulti, e la
consapevolezza di questa divaricazione generazionale, insieme al sentito biso-
gno di protagonismo giovanile sia pubblico che politico, ne fa un gruppo che
non esita ad entrare in aperto conflitto con la scuola, luniversit, il lavoro e
la Chiesa. Ossia la societ tutta che gli adulti governano. Si sono spese
migliaia di pagine, e non si intende quindi soffermarci troppo, sul Sessantot-
to e su ci che ha significato quella che giustamente Sanguineti definisce una
rivolta e non una rivoluzione fondamentalmente anticomunista79. Se in
effetti da un punto di vista istituzionale ha cambiato ben poco, anzi diciamo
nulla, effetto del movimento giovanile stato semmai quello di aver portato
alla luce la necessit di un nuovo linguaggio e di unevoluzione dei costumi,
soprattutto per quel che riguarda lautoritarismo, la sessualit, la denuncia
sociale, lemancipazione della donna e la trasmissione del sapere. Ma non va
trascurato il fatto che con il Sessantotto prende anche avvio, come conse-
guenza, un generale involgarizzamento della societ e un rifiuto aprioristico
dellautorit, soprattutto accademico scolastica, che ha livellato la cultura
verso il basso. Se sacrosante sono state le battaglie per un ringiovanimento
della scuola e dellUniversit, ancorate ancora ad un troppo evidente e rigido
sistema di trasmissione verticale del sapere, altrettanto superficiale e perico-
loso dare priorit assoluta alla modalit di trasmissione del sapere rispetto
ai contenuti del sapere stesso e di conseguenza ai valori. E questo viene dimo-
strato dal decennio successivo, che, aprendosi con la doppia crisi monetaria
(1970-71) e petrolifera (1973), pone subito in difficolt gli equilibri di be-
nessere del decennio precedente. Convinti, i giovani, che il loro grado di
istruzione, il fatto di essere laureati, o la loro ampia visione della vita e del
mondo li porter a risolvere presto la situazione, si ritrovano nella met degli
anni Settanta a fare i conti con un tasso di disoccupazione giovanile triplica-
to. Come per il Sessantotto, non si intende in questa sede entrare nel merito

79
Cfr. nel presente volume il saggio di L. Weber, Un salutare difetto ottico. Edoardo San-
guineti pubblicista e recensore.
40 Carlo Serafini

dei meccanismi che hanno portato gli anni Settanta ad essere ricordati come
gli anni di piombo, va notato per che lapertura pubblico sociale alla base
del movimento fine anni Sessanta ripiega agli inizi del decennio successivo,
al sentire della crisi, verso lutilitarismo privato e lintrecciarsi di logiche di
potere che con meccanismi mai chiariti sfociano nel terrorismo, tanto rosso
che nero, che, a partire dalla strage di Piazza Fontana (12 dicembre 1969) al
sequestro Moro nella primavera del 1978, segna una delle parentesi pi nere
della storia repubblicana. Il momento del bilancio quindi amaro sia da un
punto di vista pratico che da un punto di vista di investimento ideologico,
anche perch i successivi anni Ottanta hanno visto il trionfare della logica dei
partiti e lonnipresenza del loro controllo sulle istituzioni e sullamministra-
zione pubblica il fallimento, cio, del Sessantotto.
Ma prima di tornare al giornalismo culturale e ai suoi protagonisti attivi
occorre ricordare che negli anni Settanta si sono svolte in Italia due vere e
proprie battaglie culturali sociali che hanno coinvolto lintera societ italiana,
dalla politica agli intellettuali, dalla Chiesa ai cittadini comuni intorno ai due
temi del divorzio e dellaborto. Nemmeno qui si entrer nel merito, ma non
si pu trascurare come leco, come anche le strumentalizzazioni, siano state
vastissime e come intorno alle questioni abbiano preso parola le maggiori
voci del panorama intellettuale italiano, da Moravia a Calvino, da Testori a
Manganelli, e, memorabile, la polemica innescata dallarticolo di Pasolini
Sono contro laborto sul Corriere della sera del 19 gennaio 1975. Avverte
giustamente Floriana Calitti80 che occorre fare attenzione a non leggere gli
articoli dello scrittore corsaro pensando alloggi e stare attenti a non cadere in
commenti sul profetismo di Pasolini, ma, sottolinea ancora la Calitti, il
compito arduo, perch in effetti Pasolini forse lesempio pi lucido ed effi-
cace di come la capacit di analisi di un intellettuale possa dare letture della
societ e della politica illuminanti non solo per il presente, ma anche per
quelli che di l a pochi anni sarebbero stati gli esiti delle scelte culturali o delle
politiche italiane. Pasolini si sar pur servito di una forza eccessiva delle sue
esternazioni o di una certa naturale propensione allo scandalo (lo scrisse
anche Moravia rispondendo a Pasolini stesso sullaborto), ma ha dimostrato
sempre, fino alla tragica morte del novembre 1975, di avere delle idee, saper-
le difendere e saperle comunicare. Indipendentemente dal trovarci daccordo
o meno con il suo pensiero, resta un esempio di coerenza e identit intellet-
tuale molto forte che ha dato, soprattutto negli anni del Corriere, un note-
volissimo contributo al sorgere di quel giornalismo di smascheramento del
potere che prender di l a pochi anni piede in maniera massiccia. A racco-
gliere il testimone degli attacchi diretti al Potere, al Palazzo, ai grandi perso-
naggi politici citati per nome e cognome di Pasolini, arriva al Corriere

80
Cfr. nel presente volume F. Calitti, se mettessimo questo Pasolini in prima pagina?.
Introduzione. Parola di scrittore 41

Giovanni Testori, che con i suoi corsivi morali81 sposta lobiettivo sullana-
lisi delluomo nella societ anni Settanta (come anche, sebbene in prospetti-
va diversa, la ricerca dellumano al centro del pensiero di Mario Luzi nella
sua lunghissima attivit intellettuale). Ma emblematico notare nella vicen-
da di Testori al Corriere come il suo ritardato ingresso sia stato causato
anche dallavversione di Montale che osteggiava lo scrittore milanese per la
sua omosessualit82. Testori, sempre in queglanni, viene a contatto con i
ragazzi di Comunione e Liberazione guidati da Don Giussani e diversi anni
dopo confesser a Luca Doninelli che stato proprio nel rapporto con quei
giovani che si sentito pienamente accettato come omosessuale, lontano da
ogni fronte di giudizio: il fatto che sia la poesia a rifiutare lomosessualit, e
ragazzi vicini alla Chiesa ad accettarla, la dice lunga sul divario o sulla con-
traddizione tra cultura, ideologia e realt negli Anni Settanta. Sia chiaro che
essendo un esempio va preso come tale.
Ma per limitare il continuo divagare come stato vissuto dagli intel-
lettuali il periodo in questione? Il trapasso della societ italiana da unecono-
mia prevalentemente agricola a uneconomia industriale venne sentito, in
maniera particolare dalla generazione di scrittori nata fra il 1910 e il 1930,
pi che come superamento del passato, come eliminazione brutale e violen-
ta del passato. Tuttavia questo non vuol dire affatto rifiuto del presente, sem-
mai lo stato danimo di colui che sa di assistere ad un processo assoluta-
mente irreversibile, rispetto al quale il passato non pu pi esistere perch
ormai assolutamente irrecuperabile. La nuova societ non ha modelli ai quali
rifarsi, radicalmente unaltra, non ha possibilit di confronto con modelli
precedenti, altra natura pi che evoluzione di una natura precedente. E
allora, non avendo modelli, lunico modo per conoscerla o tentare di capirla
leggerla dallinterno, immergersi nellorizzonte capitalistico industriale
come se una societ preindustriale non fosse mai esistita. Questa stata la
cifra di Pasolini e Testori a Roma e a Milano, ma in questottica vanno letti,
anche quando sembrano il frutto di semplici osservatori o quando si occupa-
no di altro, gli scritti di Flaiano e Manganelli che evidenziano con la cifra loro
propria tutte le contraddizioni e le incongruit, anche comiche, della nuova
Italia. il caso anche di Gianni Toti, forse meno conosciuto, ma che, par-
tendo da un forte impegno giornalistico in ambito sindacale nel mondo del
lavoro, arriva attraverso un particolare uso del linguaggio a smascherare le
verit della societ dei consumi. Arbasino, ad esempio, vede, non solo lette-
rariamente ma anche giornalisticamente, lItalia del progresso come un inin-
terrotto flusso nel quale losservatore obbligato ad entrare dentro se vuol
vedere qualche cosa. Sanguineti, in occasione del Convegno per i quaranta

81
Cfr. nel presente volume C. Serafini, I corsivi morali di Giovanni Testori.
82
Cfr. S. Grasso, Corriere della sera, 17 marzo 1993.
42 Carlo Serafini

anni del Gruppo 63 83, rispondendo alle accuse mosse al Gruppo di presunto
servilismo nei confronti dellorizzonte capitalistico-tecnologico, replica che a
opporsi al potere del capitalismo non sarebbe servito a nulla un ritorno al
passato pre-tecnologico, mentre pi opportuno stato il radicarsi critico
allinterno di quello stesso orizzonte. La posizione del poeta e critico ha forza
poi negli anni a seguire soprattutto per la sua visione politica e la sua polemi-
ca intellettuale, ben evidenziata in questo volume dal contributo di Weber84
che si sofferma giustamente sul dialogo a distanza con Sciascia, o con
Moravia e sul modo in cui stato affrontato dal poeta ligure il caso Moro.
Recentissimamente scomparso, marxista, materialista storico convinto,
Sanguineti stato per tutta la vita fedele ad un suo progetto intellettuale poli-
tico che lo ha visto molte volte isolato o per lo meno antipopolare. Nello stes-
so convegno citato del 2003 non ha esitato a dichiarasi spaventato da una
cultura talmente supina allimperialismo capitalistico da destituire di ogni
significato termini quali materialismo, capitalismo, proletariato, classe socia-
le, fino alla campagna elettorale per sindaco di Genova nel 2007 dove parla
di odio di classe e di invito a combattere lodio dei ricchi verso il proleta-
riato con le medesime armi dellodio. Ammettendo anche oggi lesistenza del-
lodio di classe (e su questo non gli si pu dare torto), parlarne in campagna
elettorale invitando a combatterlo con altrettanto odio , sempre oggi, un
suicidio politico. Resta il fatto comunque che il suo contributo intellettuale,
se non altro come studioso, critico e poeta, sia uno dei maggiori del
Novecento. Rispetto a Moravia, Valeria Merola85 sottolinea che, come si evin-
ce dal titolo della raccolta di scritti giornalistici dello scrittore (Impegno con-
trovoglia), il suo atteggiamento di fronte alla partecipazione intellettuale alla
vita politica e sociale decisamente controvoglia, nel senso di una non tota-
le militanza e di un mantenimento comunque di separazione con lopera let-
teraria vera e propria. Tuttavia Moravia rappresenta nel secondo dopoguerra
fino alla morte nel 1990 un punto di riferimento intellettuale se non altro
come presenza e come frequenza di interventi, senza contare il notevole con-
tributo culturale che ha dato con la sua attivit di critico cinematografico e
con i suoi reportage di viaggio. Se gli interventi giornalistici del Calvino intel-
lettuale disilluso anni Ottanta, quelli su Repubblica, risentono dellirrever-
sibilit dei tempi e del cambiamento anche psicologico degli Italiani, non
mancano di aprire polemiche e questioni i frequenti interventi di un intel-
lettuale gi attivissimo ai tempi del Politecnico come Franco Fortini. Chi
torna invece sul fronte dello smascheramento delle logiche occulte del pote-
re uno scrittore civile come Leonardo Sciascia: la mafia cambiata come

83
Cfr. il resoconto del convegno tenutosi a Palermo dal 27 al 30 ottobre 2003 sul nume-
ro 8/9, anno III, de LIlluminista, Rivista di cultura contemporanea diretta da W. Pedull.
84
Cfr. L. Weber, cit.
85
Cfr. nel presente volume V. Merola, La commedia umana di Alberto Moravia.
Introduzione. Parola di scrittore 43

cambiata lItalia, lattivit criminale non pi legata a logiche interne, maga-


ri agricole, ora gli interessi sono internazionali e legati a traffici miliardari
come quello degli stupefacenti. Cultore assoluto della legalit, entrer in po-
lemica con i poteri dati allantimafia e con la nomina a Procuratore della Re-
pubblica a Marsala di Paolo Borsellino, avvenuta eludendo il principio di an-
zianit. Gli andr malissimo, anche in ragione della tragica eroica morte di
Borsellino, divenuto uomo simbolo. Quello di Sciascia stato in fin dei conti
un solo peccato di ingenuit nel non aver previsto le possibili strumentaliz-
zazioni del suo intervento, cos come con le polemiche derivate dal caso
Tortora (sul quale interviene anche Manganelli) o lomicidio del generale
Dalla Chiesa. Una posizione a parte quella di Primo Levi che, sebbene
profondamente attuale nella lettura della nuova societ, fatta spesso in chia-
ve scientifica e intervenendo sul dibattito socio-politico (vedi ad es. il caso
Moro), non tralascia mai di tornare sul fondamentale valore della memoria,
convinto del pericolo, anche in una societ radicalmente diversa, del dimen-
ticare.
Ma tralasciando per un momento le posizioni particolari e tornando ad
osservare i fenomeni dallalto di visioni generali, su almeno due punti occor-
re fermare brevemente lattenzione: la questione della nuova lingua e lav-
vento della televisione. Cambiano i tempi, cambia lItalia, cambia anche il
linguaggio degli italiani: la questione della lingua uno dei maggiori temi di
dibattito intellettuale, e non solo per litaliano come lingua parlata dal popo-
lo, italiano che diventa tecnologico86 per Pasolini o burocratico per Calvi-
no87, ma anche come lingua letteraria che deve rivedere se stessa per raccon-
tare una realt profondamente diversa. Sulla questione della lingua letteraria,
e poetica soprattutto, un ruolo determinante hanno avuto le neoavanguardie
e gli sperimentalismi (il termine pasoliniano) che agiscono proprio sulla
ricerca di linguaggi che non si limitino a ripercorrere modelli precostituiti,
ma agiscano sulla realt con lintento di modificarla pi che rappresentarla.
E sulla questione lingua incide in maniera massiccia la televisione che arriva
in Italia nel 1954 portando una vera e propria rivoluzione avvertita con timo-
re, sin da subito, dal mondo intellettuale e che agisce in maniera tanto forte
quanto ineluttabile sullomologazione linguistica della penisola. Il mezzo
televisivo mostra da subito le proprie potenzialit se gi nel 1957 (stesso anno
dellingresso in Tv della pubblicit con Carosello) calano le vendite dei
biglietti cinematografici e le presenze a teatro. Si avverte che la televisione ha
la possibilit da un lato di contenere e fondere le altre forme di spettacolo, da
un altro di incidere anche inconsapevolmente sullopinione pubblica con-
trollando politicamente lintera societ dellinformazione. Nasce quindi

86
Cfr. P.P. Pasolini, Nuove questioni linguistiche, Rinascita, 26 dicembre 1964.
87
Cfr. I. Calvino, Per ora sommersi dallantilingua, Il Giorno, 3 febbraio 1965.
44 Carlo Serafini

immediatamente lesigenza politica di controllare lo sviluppo della televisio-


ne, esigenza che si stabilizza nel gennaio del 1961 con la direzione di Ettore
Bernabei, fanfaniano, ex direttore del Popolo, che rester sulla poltrona
fino al 1975 creando una struttura fortemente politicizzata che esprime il suo
potere in maniera pi visibile nel telegiornale, momento forte della program-
mazione, che, raggiungendo alla fine degli anni Sessanta un pubblico di quasi
dodici milioni di cittadini, diventa di fatto il primo giornale popolare italia-
no. Le riforme televisivo-legislative della met degli anni Settanta, la cosid-
detta lottizzazione interna alla Rai, la televisione commerciale restata per
quasi tutti gli anni Ottanta senza un chiaro quadro legislativo sono lesempio
ancor oggi pi che mai attivo del fatto che potere televisivo e potere politico
coincidono. Ma questo non altro che un segnale della forza del mezzo;
infatti, vedendo oltre la politica, la televisione incide sullimmaginario collet-
tivo in maniera tale da imporsi come mezzo che fa cultura pi che parlare di
cultura. E qui il rischio immenso, perch che cultura fa la televisione? Ossia
non solo un problema di contenuti, ma anche e soprattutto un problema
di linguaggio di un nuovo mezzo che, appena arrivato, non si capisce che tipo
di forza possa avere. Se nelle serate di Lascia o raddoppia? i cinema proiet-
tavano la trasmissione al posto del film per non restare deserti, vuol dire che
qualcosa che va oltre il contenuto trasmesso era stato toccato nelle corde degli
italiani. La reazione del mondo intellettuale di forte preoccupazione, per-
ch di fatto un elettrodomestico rappresenta il loro modello realizzato: inci-
de sulla coscienza di un popolo, e di tutto un popolo. Lei ci riesce, loro no.
La prima reazione stata quindi quella della demonizzazione del mezzo, e le
voci di Montale, Pasolini, Parise, Bianciardi si levano in coro. Pericolo, vol-
garit, violazione del privato, mediocrit, livellamento sono le parole dordi-
ne ma poi anche qui, in assenza di modelli di riferimento o di tradizioni cui
legarsi, e vista lirreversibilit del processo, tanto vale entrarci nella televisio-
ne. Il problema si presenta allora ancora sotto un altro aspetto, e cio che la
dinamica di creazione di un prodotto televisivo culturale, passa attraverso il
lavoro di tutta una serie di competenze che non sono soltanto culturali, e in
questo il rapido diffondersi della televisione non ha avuto il supporto di un
altrettanto rapido prendere piede della preparazione di chi in televisione lavo-
ra. Si pensato che la preparazione tecnica o registica ad esempio potesse sup-
plire ad una carenza di formazione culturale, cos come si pensato che
bastasse la sola cultura. La preparazione che mancata invece stata una pre-
parazione che viaggiasse parallelamente tra contenuto e forma, che non sia n
solo tecnica n solo culturale, ma che sia di tecnica della comunicazione cul-
turale. La sproporzione dei due livelli, culturale e di divulgazione della cul-
tura attraverso il mezzo televisivo, ha fatto s che o la cultura venisse degra-
data a spettacolo o che lo spettacolo venisse elevato a cultura, con effetti
comunque negativi, perch la cultura degradata a spettacolo ridicola, quin-
di spettacolo, e lo spettacolo della cultura appunto spettacolo. La televisio-
Introduzione. Parola di scrittore 45

ne e la cultura, e il mondo intellettuale quindi, non si sono trovati da subito,


perch la televisione stato, ed ora lo in maniera radicale, un linguaggio
altro rispetto a quello che allepoca era la cultura. La televisione porta alla
spettacolarizzazione, alla visibilit, ed infatti questa la strada che ha preso e
che ha visto il trionfo negli anni Ottanta con lesplodere del modello com-
merciale al quale si son dovuti adattare tutti, e tra questi tutti spiccano poli-
tici, intellettuali e giornali. E qui si entra radicalmente in un altro mondo,
quello del trionfo della comunicazione e della spettacolarizzazione88 di massa
e delle sue logiche di mercato.
***
Il 14 gennaio 1976 nasce a Roma La Repubblica che alla fine degli anni
Ottanta con il Corriere il giornale pi diffuso con una tiratura di pi di
650.000 copie, ma il trionfo della neotelevisione, legato anche allavvento
del colore e del telecomando che detta i tempi di fruizione del mezzo, a rap-
presentare la novit degli anni Ottanta destinata a cambiare radicalmente il
rapporto del cittadino non solo con la televisione stessa ma anche con il
mondo del consumo, che entra di prepotenza nella vita quotidiana e che
dipende dalle regole della pubblicit. Non soltanto un fatto di persuasione
allacquisto, anche e soprattutto la logica economica e quindi politica che
dallacquisto deriva. La televisione ha il dominio assoluto sul consumo,
creando un modello di consumatore che ha identit in ragione del volume
dellacquisto che pu permettersi89; e pi la televisione impone acquisto, pi
gli spazi televisivi acquistano potere economico. Ossia la televisione si autoa-
limenta (in termini economici enormi di vendita della pubblicit) in ragione
del potere che ha di vendere immagini che fanno comprare. Scoperto, con la
caduta del monopolio Rai, lo straordinario potere di fare soldi, la televisione
si indirizza su questa strada. I palinsesti vengono rivoluzionati, la televisio-
ne non offre pi appuntamenti ma tende a diventare flusso continuo, orien-
tato a sedurre gli spettatori. Lallargamento dellofferta televisiva e la possibi-
lit per i produttori di merci (materiali e immateriali) di inviare i loro mes-
saggi non pi a un pubblico unico e indifferenziato, ma in modo pi mirato
a singole parti di esso, convergono nel determinare la crisi del tradizionale
modello verticale della cultura di massa: si passa [] dalle comunicazioni di
massa alla comunicazioni segmentate. In prospettiva la segmentazione com-
porta, oltre alla formazione di pubblici differenziati, laccentuazione al loro
interno della componente individualistica, che si esprime attraverso le diver-
se scelte di consumo. Un fenomeno che dalla televisione si estende rapida-

88
Cfr. F. Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia, Marsilio, Venezia 1992,
p. 408.
89
Cfr. sul tema linteressante analisi di Z. Bauman, in La decadenza degli intellettuali,
Bollati Boringhieri, Torino 1992.
46 Carlo Serafini

mente a tutti i media e che avr il suo pieno sviluppo negli anni novanta e
duemila, con laumento dei canali televisivi disponibili, Internet e la digita-
lizzazione di tutti i contenuti audio, video e grafici90. Sostanzialmente,
quindi, non c consumatore che non venga raggiunto dal suo prodotto,
parallelamente alla nascita di un impero economico tale da non poter non
coinvolgere la politica, che si vede vincolata al mezzo televisivo sotto due
aspetti principali: il primo riguarda ovviamente il controllo di un simile
impero, il secondo riguarda lutilizzo del modello pubblicitario a fini di pro-
paganda politica, con conseguente presa di forza dellimmagine su ogni
forma di pensiero. La comunicazione diventa quindi il primo obiettivo strate-
gico delleconomia e della lotta politica. E nemmeno il mondo industriale ne
pu star fuori, conscio del fatto che i propri prodotti fuori dai circuiti pubbli-
citari sono praticamente invendibili; n possibile entrare nella pubblicit per
il solo lancio di un prodotto. infatti dimostrato che prodotti di grande suc-
cesso se escono dalla visibilit pubblicitaria vengono in brevissimo tempo di-
menticati dal consumatore. in questa fase dellItalia che viene ad imporsi eco-
nomicamente prima e politicamente poi il nome di Silvio Berlusconi e della sua
Fininvest che, dopo aver creato Canale 5 (1980), acquista Italia 1 (1982)
e Retequattro (1984) creando un sistema televisivo nazionale antagonista e
concorrenziale alla Rai. Lespansione del gruppo di Berlusconi non vede limiti
e ingloba anche leditoria cartacea (Mondadori ai primi anni Novanta) e altro,
arrivando poi alla fine del 1993 allingresso in politica del suo leader e di tutto
il suo potere mediatico aprendo il mai risolto, n da lui per ovvi motivi ma
nemmeno dai suoi avversari politici, conflitto di interessi.
Non ci si soffermer sulla storia dellItalia degli ultimi due decenni, sia per
vicinanza cronologica, sia perch caratterizzata dal continuo ripetersi di
espressioni come ribaltoni, tradimenti, scandali, persecuzioni, attac-
chi personali, pressioni fiscali, errori passati da gestire e una illimitata
quantit di parole che non hanno lasciato quasi nulla oltre il tempo che
hanno fatto perdere. La questione non tanto relativa a quanto rester al
governo Berlusconi lui, ma quanto resister il modello politico che lui ha por-
tato, rispetto al quale non sono mancati scrittori, da Tabucchi a Saviano, da
Eco alla Maraini, che hanno dimostrato con forza la loro opposizione. Ci si
limiter allora ad alcune brevi considerazioni conclusive (e soprattutto prov-
visorie) su come si presenta lItalia alla fine degli anni Zero dopo circa venti
anni di imperialismo del modello commerciale e su quale spazio e forza possa
avere ancora oggi la parola dellintellettuale. La prima considerazione da fare
relativa al doveroso prendere atto del fatto che la politica diventata una
saponetta, come disse DAlema, nel senso che il politico deve essere presen-
tato al pubblico (gli elettori) nello stesso modo con il quale un prodotto (tipo

90
G.C. Ferretti e S. Guerriero, cit., p. 295.
Introduzione. Parola di scrittore 47

il sapone appunto!) si piazza sul mercato. Al pensiero politico si sostituita


limmagine politica e alla propaganda politica la pubblicit politica. Prima
conseguenza di questo fattore la perdita di identit delle forze sul campo,
che stentano a differenziarsi in precisi programmi: non si erano mai viste in
Italia forze politiche che si dichiarano cos distanti presentare programmi
politici cos simili, come non si erano mai visti tanti cambi di nome e tanto
sorgere di nuove liste, come non si erano mai visti cos frequenti cambi di
bandiera di stessi personaggi che gravitano nel mondo politico. Ossia non esi-
ste pi una forte identit politica, un forte pensiero politico, con conseguen-
te smarrimento dellelettore. Se non sapessimo chi ha detto determinate cose,
le stesse potrebbero andare bene anche per parti antagoniste, ossia il pensie-
ro politico ha perso riconoscibilit, cio il primo fattore di identit, ci che
tiene, nel bene o nel male, un elettore vicino ad una sua scelta. Limmagine
politica, il marketing politico hanno portato ad un uso assoluto dei media
che non esita a scendere a patti con il proprio orizzonte di ideali in ragione
della caccia al consenso. Lo si vede in maniera particolare nelle campagne
elettorali, ormai diventate veri e propri bombardamenti mediatici sulle stes-
se dinamiche della pubblicit televisiva. Il modello quindi quello che lItalia
si abituata a vedere nei dieci e pi anni di Tv commerciale, ed un model-
lo quindi che non poteva portare ad altro se non alla vittoria di chi il model-
lo ha inventato. Forse lerrore di chi gli si opposto stato non reagire con
delle idee ma pensando di poter combattere con le stesse armi. Larruolamen-
to di Stanley Greenberg consulente di marketing politico per la campagna
elettorale 2001 di Rutelli rappresenta un esempio emblematico a conferma di
questa politica del marketing che pensa di poter sfidare Berlusconi sulla stes-
sa logica commerciale ideata e portata avanti in Italia da lui. Se la sinistra ha
sempre combattuto in ragione delle idee e del pensiero, difficile che possa
sconfiggere luomo marketing combattendolo con il marketing. Altro pro-
blema, anchesso conseguenza della televisione, lingresso in politica, o nella
partecipazione attiva della politica, di personalit che con la politica non
hanno mai avuto niente a che fare e che vengono nella maggioranza dei casi
dal mondo dello spettacolo. Tra soubrette televisive, girotondi finalizzati a far
dire qualcosa di sinistra, sermoni patetico apocalittici di molleggiati pre-
sentatori, grilli parlanti a corto di palcoscenici teatrali o trasformisti che
offrono parolacce in piazza durante i comizi pubblici ci che ne deriva
una miseria ideologica terrificante. Anche qui, nessun pensiero, solo imma-
gine che passa perch proviene da un nome dello spettacolo. Altro fattore
grave nella attuale societ labitudine allo scandalo: furti colossali, persona-
lit compromesse, abusi di ogni tipo niente fa pi notizia rispetto ad un
popolo che sembra assuefatto, che magari si indigna un po ma continua ad
andare avanti come se non fosse successo nulla. Lultimo scandalo che ha
fatto cadere un sistema di governo stato tangentopoli, con il passaggio dalla
prima alla seconda Repubblica, che se ha cambiato qualcosa nel sistema della
48 Carlo Serafini

corruzione che se prima si rubava per i partiti adesso si ruba per se stessi. E
nemmeno a dire che manca la denuncia, perch nonostante si tenti in pi
modi di arginare gli scandali, lattuale sistema del giornalismo di informazio-
ne in grado comunque di far trapelare le cose. Nessuno pu oggi dire di non
sapere, e allora ci si chiede perch unItalia che sa tutto si ostina a non cam-
biare nulla? Perch tanti italiani sono corsi a tirare monetine a Craxi e oggi si
continua a dare il voto a chi perennemente al centro di scandali? Cosa suc-
cesso allItalia in questi venti anni? E qui si apre unaltra questione che ha
riflessi culturali notevolissimi, perch se in Italia ha vinto un sistema com-
merciale che di fatto compra le cose, bisogna pur riconoscere che la vitto-
ria stata possibile perch tale sistema si trovato davanti un paese tutto
miseramente in vendita. Nessuno escluso, un paese dove il piccolo tornacon-
to personale dominante su qualsiasi visione pi ampia che il paese dovreb-
be avere rispetto alla propria situazione. Nessuno dichiara di votare
Berlusconi, come nessuno un tempo diceva di votare Democrazia cristiana,
ma almeno la met degli italiani gli ha dato il voto. Questo vuol dire che in
Italia domina la logica del benessere individuale, logica che ha annientato a
tal punto luso della critica da credere a chi, due giorni prima delle votazio-
ni, ti promette risparmi e benessere. Allora qui entra il problema culturale
il problema cio di chi continua ad essere in vendita rispetto ad un sistema
capitalistico commerciale che non ha altri mezzi di seduzione se non quelli
del denaro. Il problema cio quello di capire che se oggi viene offerto qual-
cosa, non detto che quel qualcosa sia ottenuto, ma forse molto pi pro-
babile che accettando si contribuisca ad indebolire un sistema che per non
collassare ti dovr chiedere ben altro, cio che la motivazione che ti ha spin-
to a dare un voto non stata altro che illusione, immagine appunto, esatta-
mente come quando si compra un dentifricio e ci si accorge che i nostri denti
restano dello stesso colore di prima, magari puliti, ma dello stesso colore di
prima. E la logica individuale non solo personale, a ben guardare anche a
livello di opposizione politica. E questa unaltra delle caratteristiche
dellItalia attuale: lopposizione al governo non fa mai sistema, non riesce ad
organizzarsi in un pensiero politico convincente e riconoscibile.
Il Paese a pezzi e la scuola a pezzi devono pur servire a qualcuno se cos
pervicacemente li si desidera, li si cerca e li si vuole91, scriveva Giovanni
Testori sul Corriere della sera nel 1979, e Calvino, un anno dopo, sostene-
va che non ci sono possibilit che le cose possano cambiare se non in peg-
gio92. Oggi siamo sempre l. La scuola viene riformata con frequenza tale da
non permettere ad alcuna riforma di far vedere che risultati porta, con luni-
co effetto che il livello di competenza di uscita degli studenti che entrano
allUniversit o nel mondo del lavoro bassissimo. Per non parlare dei pro-

91
Quellurna vuota degli studenti, Corriere della sera, 25 novembre 1979.
92
Cfr. I. Calvino, Ma abbiamo anche qualche virt, LEspresso, 21 dicembre 1980.
Introduzione. Parola di scrittore 49

blemi poi connessi a situazioni che ci si ostina a definire marginali ma i cui


effetti sono ben pi importanti, a partire dalledilizia scolastica, dallintegra-
zione interculturale, dallassenza ancora di ogni forma di educazione sessua-
le, al lassismo disciplinare, alla vacuit dei pur tanti progetti di orientamen-
to scolastico e lavorativo che non colmano il divario che ancora oggi separa
il mondo del lavoro da quello formativo. N migliore la situazione
dellUniversit, dove si ancora lontani dal veder risolto il problema merito-
cratico sullarruolamento docenti, dove i professori a contratto hanno sti-
pendi di 200 euro lordi lanno e dove tanto i docenti che gli studenti stanno
pagando in termini di ritardi, di burocrazia e di preparazione il fallimento del
sistema 3+2, che sempre di pi, infatti, si riavvicina al vecchio ordinamento.
Per non parlare dei tagli economici. N possibile affermare che la cultura e
le manifestazioni culturali siano immuni dalle logiche di mercato, con con-
seguente asservimento dei contenuti e con il proporre come culturali cose che
di culturale non hanno niente o che sono solo facciate per coprire un diver-
so uso dei finanziamenti. In effetti c quindi poco da stupirci se il modello
del benessere personale domina lo scenario culturale e politico italiano che
pu far breccia su un sostrato di ignoranza, illegalit e sopraffazione, tanto
manifesta quanto impunita.
Tutte cose che si sanno, dette e replicate fino alla noia, ma sempre l pre-
senti e imperanti come se nulla fosse. Ora tutto questo non pu non spinge-
re ad una riflessione sulla oggettiva inefficacia del pur utile giornalismo di
denuncia che oggi va per la maggiore, ma che presenta per lo meno due limi-
ti: il primo lallinearsi troppo spesso con le logiche dello spettacolo, con tra-
smissioni televisive gridate, con linsistere pi sul privato che sul pubblico e
con giornalisti che riempiono i teatri proponendo veri e propri show. Il
secondo la carenza oggettiva di sviluppo del pensiero critico, con un tipo di
giornalismo estremo e monolaterale che non lascia spazio al confronto di
idee. Qui interviene e deve trovare spazio di parola la critica e lintellettuale,
con unazione che non sia di sola denuncia, ma sia di riflessione critica tale
da far capire i pericoli seduttivi della pubblicit politica e linconsistenza delle
prospettive proposte. Non che questo cambi il mondo, tanto meno si pu
pensare ora pi che mai alla possibilit dellabbattimento della logica com-
merciale, ma la cultura pu offrire il contributo della consapevolezza, della
presa di coscienza dello stato attuale.
Se si insiste tanto sul discorso politico perch se evidente il disinteres-
se della politica per la cultura, questultima non pu non subire la politica e
non interessarsi alla politica quale stare insieme di una societ. Se minima
linfluenza della cultura sulla politica, immensa quella della politica sulla
cultura. Ma il modello commerciale televisivo si estende oltre la politica
anche ai giornali in maniera evidente; per restare in tema culturale, si pu
osservare come la stragrande maggioranza delle pagine culturali dei giornali
hanno vincolato la cultura allo spettacolo, associando le due diciture
50 Carlo Serafini

Cultura e spettacolo (anche il Corriere adotta questa formula a partire


dall8 novembre 1992, sotto la direzione di Paolo Mieli); inoltre il voler
inglobare il maggior numero di lettori possibile su ogni articolo implica che
molti argomenti vengano scartati perch ritenuti poco interessanti. La ten-
denza allapprofondimento critico decisamente inferiore rispetto al lato di
colore dellarticolo, quando lattuale pagina culturale non smaccatamente a
servizio dei gruppi editoriali con anticipazioni di testi o interviste con gli
autori concordate a scopi promozionali. Altra considerazione merita Internet,
vera rivoluzione in ambito mediatico degli anni Novanta. Se straordinaria
la possibilit dellinformazione in tempo reale e la possibilit di divulgazione
delle notizie, in ambito strettamente culturale oggi stata forse pi la cultu-
ra ad occuparsi di Internet che Internet di cultura, nel senso che grande
attenzione stata data al tipo di linguaggio che Internet adotta e a quale volto
del mondo la rete presenta. Forse laspetto pi interessante il dialogo che
sulla rete si sviluppa e che pu incuriosire e portare qualche lettore ad avvi-
cinarsi a questioni culturali, ma ad oggi Internet rappresenta pi un immen-
so bacino di informazione e di diffusione che non uno strumento attivo di
formazione. Questultima semmai indiretta, nel senso che la funzione dei
blog, dei siti, della rapidit della ricerca pu fornire strumenti di formazione
che se per non sono accompagnati da un vaglio critico possono arricchire la
confusione pi che la cultura. Levoluzione che Internet deve ancora fare in
termini di autorevolezza. Non la quantit a fare cultura, n la quantit a
dare legittimit allinformazione, necessario verificare le fonti e vagliare i
discorsi, confrontare continuamente, cosa che sembra mal sposarsi con la
naturale velocit del mezzo.
In conclusione e per tornare alla ratio del presente volume: cosa si inten-
de per parola di scrittore? Si intende fedelt ad un metodo che appunto
il metodo critico, il metodo che privilegia il tempo della riflessione su quello
dellinformazione, il metodo che riesce ad aprire spazi di pensiero e di idee
nel rapido fluire delle informazioni a getto continuo, il metodo che pu
ancora dare un senso alla carta stampata che persa oggi la priorit come stru-
mento di informazione pu passare ad essere luogo di commento e di com-
prensione. Non che questo sia per forza di cose una caratteristica del solo
scrittore, ma, come detto in precedenza, ci che accomuna tutti gli scritti qui
esaminati la garanzia delluso dellelemento critico posto a servizio della let-
tura del mondo. Senza rinnegare nulla, senza negare nessuna forma di pro-
gresso, senza evitare di entrare nelle dinamiche delle nuove comunicazioni,
senza estromettersi dallagone politico, il ruolo dellintellettuale e deve
restare, qualsiasi sia lo spazio nel quale si trova, quello di analizzare la societ
in maniera tale da vedere e far vedere cosa si nasconde dietro le facciate del-
lapparenza, oggi pi che mai. Far circolare idee che mettano sempre sotto
analisi le idee precedenti ed per questo che il ruolo dellintellettuale si pre-
senta sempre e comunque di opposizione.
NATLIA VACANTE

La battaglia dei libri e delle idee.


Italo Svevo recensore e critico

1. Lo studio dellattivit giornalistica di Italo Svevo si rivelato da tempo


uno strumento indispensabile per la ricostruzione dellapprendistato lettera-
rio dello scrittore triestino, per unindagine organica della sua formazione e
dei suoi interessi. Dai suoi articoli affiora limmagine di un lettore vorace, di
un osservatore attento e partecipe in ogni momento della vita culturale della
sua citt, con unottica non provinciale e angusta, ma aperta, limpidamente
proiettata sullo sfondo di uno scenario europeo in pieno movimento.
Il quadro oramai pressoch completo degli articoli da lui pubblicati nel
corso della sua vita1 ci consente una visione dinsieme della sua attivit gior-
nalistica, e ci permette di sviluppare ulteriori considerazioni non solo sulla
formazione del futuro scrittore, ma sulle doti di fine analista del giovane
Schmitz, che sin dalle prime prove mostra di conoscere bene lo stato della let-
teratura e del teatro in Europa, e di saper cogliere precocemente gli orienta-
menti della bussola culturale-epistemologica del tempo; e ci offre ulteriori
conferme sulle doti di fine osservatore di fenomeni politici e sociali che il
maturo imprenditore-scrittore seppe esercitare allindomani del conflitto
mondiale, usando la sua penna acuta e ironica per decifrare i confusi svilup-
pi della politica nazionale e internazionale.
Occupandosi dello Svevo articolista e polemista, occorre innanzitutto
distinguere le diverse fasi della sua collaborazione a testate giornalistiche trie-
stine, poich esse si collocano in momenti distinti della vita dello scrittore, e
presentano caratteristiche specifiche, essendo molto cambiati nel tempo e
latteggiamento e gli interessi di chi scrive.
La prima fase del lavoro giornalistico di Ettore Schmitz, com noto,
quella della collaborazione allLIndipendente, quotidiano battagliero che

1
Gli articoli di Svevo hanno trovato una sistemazione organica nella recente edizione cri-
tica di Tutte le opere, e in particolare nel volume I. Svevo, Teatro e saggi, a cura di F. Bertoni,
Mondadori (I Meridiani), Milano 2004. Ulteriori, brevi ma numerosi contributi, sono stati
rintracciati e pubblicati da B. Moloney e F. Hope (Italo Svevo giornalista triestino con scritti sco-
nosciuti, in Quaderni Giuliani di Storia, n. 1, Anno XXVII, gennaio-giugno 2006); e non
escluso che altri ancora ne possano affiorare nel corso del tempo.
52 Natlia Vacante

diede voce allirredentismo giuliano dal 1877 al 1915 2, sul quale egli pub-
blic articoli e recensioni (nonch due racconti3), fra il 1880 e il 1890. Oc-
corre tener presente che la collaborazione del giovane Schmitz non si limit
allambito strettamente culturale, se si deve prestar fede ai ricordi di Silvio
Benco riportati su Pegaso, in cui questi ripercorre la storia della frequenta-
zione con Svevo:

Ho conosciuto Italo Svevo quando facevo le mie prime armi nella redazione
dellIndipendente. Ogni mattina egli veniva e, con laiuto dei giornali tedeschi,
schiccherava una rubrica di politica estera. [] Era un lavoratore coscienzioso,
puntuale e anche rapido, bench non senza pentimenti: ma tratto tratto, come
annoiato, sollevava la testa dai fogli, e con la sua bella voce dalle appoggiature
gravi, gettava qualche parola scherzevole sui fatti del giorno. Poi ripigliava la siga-
retta e la penna, e si rimetteva al lavoro con un sorriso paziente4.

Si tratt dunque, verosimilmente, di una forma di collaborazione a pi


ampio raggio, per quanto riguarda gli interessi e le varie tipologie dei pezzi5,
e assai prolungata nel tempo, se si considera che anche Senilit fu pubblica-
to in 78 puntate sullo stesso giornale dal 15 giugno al 16 settembre 1898.

2
LIndipendente inizi le pubblicazioni il 4 giugno del 1877, subito dopo la messa al
bando del Nuovo Tergesteo nella primavera dello stesso anno, in seguito allarroventarsi del
clima politico, dovuto tra laltro alla decisione presa dal Parlamento di Vienna di abolire il
porto franco di Trieste. Il nuovo quotidiano fu fondato da un Comitato dazione segreto, costi-
tuito dai maggiori esponenti del Partito Liberale di Trieste, la sua direzione fu affidata allex-
garibaldino Giuseppe Caprin. Si trattava di un giornale assai diffuso negli ambienti della
finanza e del commercio, che si faceva portavoce dellirredentismo, e proprio per questo nel
corso degli anni fu pi volte sequestrato dalle autorit austriache. Tuttavia, nonostante seque-
stri, multe e altri provvedimenti restrittivi, esso riusc a sopravvivere, grazie al lavoro indefes-
so dei suoi redattori e al sostegno delle risorse del partito, fino allentrata in guerra dellItalia
nel 1915 (cfr. J. Gatt-Rutter, Alias Italo Svevo.Vita di Ettore Schmitz, scrittore triestino, Nuova
Immagine Editrice, Siena 1991, pp. 62-63).
3
Si tratta di Una lotta, uscita a puntate sui numeri 6-7-8 gennaio 1888, e dellAssassinio
di via Belpoggio, pubblicato in nove puntate sempre sulla terza pagina del quotidiano dal 4 al
13 ottobre 1890: entrambi i racconti sono firmati con lo pseudonimo E. Samigli.
4
S. Benco, Italo Svevo, in Pegaso, n. 1, Anno I, gennaio 1929, p. 48.
5
B. Moloney e F. Hope sostengono che sullIndipendente furono pubblicati vari altri
contributi non firmati di Svevo. Di recente hanno rinvenuto un Notiziario firmato in calce
Ettore, apparso sul numero del 6 luglio 1884, in cui compaiono brevi notizie sui temi pi
svariati: dallalpinismo, allesposizione di Torino, ad alcune opinioni della Serao e di George
Sand sulle donne, ai commenti del Fanfulla della Domenica su un volume del poeta triesti-
no Marco Padoa, alluscita della terza dispensa del Nvo dizionario universale della lingua ita-
liana compilato da P. Petrcchi. Considerando che molti degli argomenti trattati sono di inte-
resse sveviano, appare plausibile che possa essere sua la paternit di questo Notiziario. Al
Petrocchi, tra laltro, Ettore dedic larticolo Una commedia in lingua impossibile del 2 aprile
1884. Cfr. Italo Svevo giornalista triestino con scritti sconosciuti, cit., pp. 22-23 e pp. 31-33.
La battaglia dei libri e delle idee. Italo Svevo recensore e critico 53

Svevo stesso nel tardo Profilo autobiografico (pubblicato postumo nel


1929), volendo consegnare ai posteri un biografia che racchiudesse i momen-
ti di snodo della sua tormentata esistenza, richiama questa lunga collabora-
zione, che gli consent di godere di una certa rinomanza di critico letterario
nel piccolo ambiente cittadino6, prima ancora che avesse pubblicato il suo
primo romanzo.
Gli articoli pubblicati dal futuro Italo Svevo sullIndipendente risultano
a tuttoggi 27 e sono firmati con le iniziali E.S. dal 1880 al 1885, e con lo
pseudonimo E. Samigli dal 1886 al 1890. Brian Moloney 7 ha ipotizzato
che la scelta di modificare la firma dei suoi scritti sul giornale sia stata detta-
ta probabilmente da due ragioni: dal fatto che nel 1884 e poi nel 1886 com-
parvero sullIndipendente gli articoli di un certo Elio Staleno, un giorna-
lista romano; e ancor pi dallemergente collaborazione a quotidiani molto
diffusi di Edoardo Scarfoglio, il quale era solito firmare i suoi articoli con il
nome e cognome, ma siglava molto spesso le recensioni con le sole iniziali.
Per questa ragione, il povero E.S. triestino, molto meno famoso dello
scrittore romano, dovette subito cambiare il modo in cui si firm, optando
per lo pseudonimo in cui Marina Beer vede unallusione nascosta alla figura
dello Schlemihl ebraico8.
Considerando i contributi pubblicati sullIndipendente, colpisce subito
il fatto che non vi sia in essi alcuna traccia di aperta condivisione della linea
politica del giornale. Pi in generale, chi scrive non appare in sintonia con
quella linea culturale italianisante, di matrice risorgimentale, che imperversa-
va nella Trieste di quegli anni, e che trovava nel classicismo carducciano il
modello pi compiuto; anzi la scrittura sveviana appare sin dallinizio carat-

6
Trascrivo qui il brano per intero: Italo Svevo per lunghi anni fu collaboratore assiduo
dellIndipendente. Prima ancora di pubblicare Una vita, godette di una certa rinomanza di
critico letterario nel piccolo ambiente cittadino. Pot onorarsi dellamicizia di Riccardo Pitteri,
Cesare Rossi, ed anche Attilio Hortis. NellIndipendente pubblic anche una lunga novella
chegli poi ritenne di scarso interesse [cfr. I. Svevo, Profilo autobiografico, in Racconti e scritti
autobiografici, a cura di C. Bertoni, Mondadori (I Meridiani), Milano 2004, p. 802].
7
Allo studioso inglese, instancabile ricercatore di articoli sveviani dispersi, si devono
numerosi rinvenimenti avvenuti dagli anni Settanta. Cfr. B. Moloney, Italo Svevo e
lIndipendente: sei articoli sconosciuti, in Lettere italiane, n. 4, XXV, ottobre-dicembre
1973; Id., Londra dopo la guerra: five unknown articles by Italo Svevo, in Italian Studies,
XXXI, 1976; Id., Count Noris changes trams: an unknown article by Italo Svevo, in The
Modern Language Review, n. 1, LXXI, gennaio 1976; B. Moloney-J. Gatt-Rutter-F. Hope,
tanto differente questa Inghilterra. Gli scritti londinesi di Italo Svevo, Comune di Trieste-
Museo Sveviano, Trieste 2003; B. Moloney e F. Hope, Italo Svevo giornalista triestino con scrit-
ti sconosciuti, cit.
8
B. Moloney-F. Hope, Italo Svevo giornalista triestino con scritti sconosciuti, cit., p. 19. Il
saggio di M. Beer citato quello intitolato Alcune note su Ettore Schmitz e i suoi nomi: per una
ricerca sulle fonti di Italo Svevo, in Contributi sveviani, Lint, Trieste 1979. Sulla figura dello
Schlemihl in relazione ai personaggi sveviani, vedi anche B. Moloney, Italo Svevo narratore.
Lezioni triestine, Libreria editrice Goriziana, Gorizia 1998, pp. 40-44.
54 Natlia Vacante

terizzata da una linea di approccio ai fenomeni letterari, che, sulla scia della
lezione desanctisiana, si orienta verso una prospettiva apertamente europea.
Soffermandoci per ora su un piano meramente descrittivo, possiamo
notare come questi articoli si misurino con una grande variet di argomenti
e come essi forniscano una testimonianza della vastit di interessi del giova-
ne Schmitz, in quella fase di apprendistato letterario e di sperimentazione
ancora privata delle sue risorse di invenzione e di scrittura (attraverso le prime
commedie, i racconti, e fino al primo romanzo), che si apre con il ritorno a
Trieste nel 1878, dopo il soggiorno di studio nel collegio di Segnitz. que-
sta una fase fermentante, di letture onnivore, disordinate, praticate attraver-
so canali di approvvigionamento differenti: dagli scaffali della Biblioteca
Civica ai libri acquistati o scambiati, dalle fonti indirette di giornali e riviste
a diffusione nazionale, come la Nuova Antologia, il Corriere della Sera,
La Domenica Letteraria, La Domenica del Fracassa, Il Fanfulla della
Domenica, alle pagine della stampa estera, soprattutto francese e tedesca.
Per fornire una mappa sommaria di questa prima serie, pu essere utile
cercare di raggruppare gli articoli pubblicati da Svevo dal 1880 al 1890 per
aree di interesse. Si pu notare, innanzitutto, come molti di essi siano dedi-
cati al teatro, una delle grandi passioni di Ettore Schmitz, quella che, in effet-
ti, mise in moto la sua vocazione di scrittore e di recensore; al teatro sono
infatti dedicati il primo articolo, Shylock, e poi Riduzioni drammatiche, Il
pubblico, Una commedia in lingua impossibile, Una frase sulla Mandragola,
Critica negativa. Molti altri contributi vertono su romanzi e su romanzieri
allora in voga (La Joie de vivre di E. Zola, Giorgio Ohnet, Un individualista,
su J. Pladan, La vocazione del conte Ghislain di V. Cherbuliez, Limmortel
di A. Daudet, Mastro-don Gesualdo di G. Verga), altri testimoniano dellin-
teresse precoce dello scrittore per la dimensione memorialistica e autobiogra-
fica (Poesie in prosa di Iwan Turgenjeff, La verit, su E. Renan, Lautobiografia
di Riccardo Wagner, Le Memorie dei fratelli Goncourt). Troviamo inoltre recen-
sioni a libri di saggistica di costume, di critica, di storia (Il vero paese de
miliardi di M. Nordau, Brandelli di Olindo Guerrini, Il libro di Don
Chisciotte di Edoardo Scarfoglio, Per un critico, su H. Taine), e scritti genera-
ti da occasioni particolari (Giordano Bruno giudicato da Arturo Schopenhauer,
Accademia), e da polemiche e dibattiti dellultimora (Salvatore Grita. Pole-
miche artistiche, Il dilettantismo). Un cenno a parte va riservato ad altri con-
tributi che assumono una dimensione spiccatamente elzeviristica, nutrita gi
in questa fase da una forte componente autobiografica. In essi lio di chi scri-
ve entra direttamente in gioco con il proprio vissuto, con i propri ricordi e
persino con i propri vizi: mi riferisco a Il signor Nella e Napoleone, Sogni di
Natale, Il fumo.
La redazione degli articoli per lIndipendente si situa in un periodo in
cui Ettore Schmitz ha iniziato a fare i conti seriamente con le necessit della
vita borghese, cosicch scrivere e studiare si configurano per lui come attivit
La battaglia dei libri e delle idee. Italo Svevo recensore e critico 55

semi-clandestine, da praticare nelle ore serali e notturne, al riparo dallo


sguardo vigile del padre. Dal 1880 egli comincia a lavorare alla filiale triesti-
na della Unionbank di Vienna, per cui gli resta ben poco tempo da dedicare
alla lettura e alla scrittura, eppure nonostante ci egli continuer a seguire,
con pi costanza di quanto non risulter dalle dichiarazioni ufficiali del futu-
ro Svevo, la sotterranea e ricca vena della sua vocazione. Le cose si complica-
no ancora quando Ettore deve destreggiarsi fra tre impieghi, avendo accetta-
to dal 1893 di insegnare corrispondenza commerciale allIstituto Revoltella e
avendo avviato la collaborazione ad un altro giornale triestino, Il Piccolo,
per il quale esegue quotidianamente lo spoglio della stampa estera9.
Il Piccolo inizi le pubblicazioni il 29 dicembre 1881, e fu cos chia-
mato in ragione del formato ridotto pi maneggevole (50x30) rispetto a
quello dei grandi quotidiani dellepoca; esso si rivolgeva a un pubblico pi
vasto di quello dellIndipendente, sia per il costo pi modico, sia per il tono
pi colloquiale, e meno squisitamente politico, dei suoi articoli10. Non pos-
sibile stabilire quali possano essere stati i pezzi redatti da Svevo, perch
comunque si tratterebbe di trafiletti non firmati, e perch ogni attribuzione
su congettura rimarrebbe inverificabile in quanto, come ricorda Moloney, gli
archivi del giornale furono distrutti nellincendio del 1915.
Lattivit giornalistica di Svevo, praticata abbastanza assiduamente negli
anni della sua formazione, fu via via abbandonata, a mano a mano che egli si
vide costretto a fare i conti con la vita vera, e infine a eliminare dalla sua
vita quella ridicola e dannosa cosa che si chiama letteratura11. Gli ultimi
due articoletti pubblicati su opuscoli occasionali sono: Conseguenze di un tra-
versone (1891), scritto per le Nozze Rovis Angelini, e firmato in calce Et-
tore Schmitz, e Che cosa ne dite (1893), firmato Italo Svevo, che celebra-
va le nozze doro dei coniugi Levi.
Solamente dopo la guerra limprenditore Ettore Schmitz, che aveva tra-
scorso ventanni tra la fabbrica di vernici sottomarine di Trieste, Murano e
Londra, la famiglia e le traversie della guerra, torn a imbarcarsi in una nuova
esperienza giornalistica, molto diversa per dalla precedente degli anni
Ottanta. Allindomani del primo conflitto mondiale Svevo fu tra i fondatori
di un nuovo giornale, La Nazione, espressione del gruppo irredentista libe-
rale che intendeva rafforzarsi e ridefinire la propria linea di condotta dopo
lavvenuta redenzione di Trieste.

9
Sempre nel Profilo autobiografico Svevo ricorda a proposito dei primi anni successivi al
matrimonio: Scrivere dellaltro era difficile perch allora per poter corrispondere un po meglio
ai propri impegni lo Svevo occupava tre impieghi: la Banca, poi quello dinsegnante di corri-
spondenza commerciale allIstituto Revoltella e infine passava una parte della notte nella reda-
zione di un giornale a spogliare i giornali esteri (in Racconti e scritti autobiografici, cit., p. 807).
10
Cfr. J. Gatt-Rutter, Alias Italo Svevo, cit., pp. 93-94.
11
Cfr. la pagina di Diario del dicembre 1902, in Racconti e scritti autobiografici, cit., p. 736.
56 Natlia Vacante

Egli stesso, com noto, ricorda questa esperienza nel Profilo autobiografico:

E venne la redenzione. Dalle adunanze che prepararono laccoglienza alle truppe


italiane fu anche decisa la creazione di un giornale veramente italiano: La
Nazione. A direttore di tale giornale fu designato Giulio Cesari, un antico inti-
mo amico dello Svevo. Veramente un amico letterario, un autodidatta che a forza
di studii implicanti veri sacrifici sera elevato dal posto di tipografo [] a quello
di giornalista. Nellentusiasmo dellora lo Svevo promise la propria collaborazio-
ne. Dapprima volle occuparsi di politica, ma subito avvenne che la sua penna tra-
scese: fu gi opera letteraria la sua satira sul tramway di Servola (il pi lento
tramway del mondo) con otto piccoli articoletti che condussero infatti al miglio-
ramento della linea. Subito dopo vennero varii lunghi articoli su Londra nel
dopo-guerra. La macchina aveva avuto lolio. Nel diciannove la sua collaborazio-
ne fortemente diminu. Egli sera messo a scrivere La coscienza di Zeno 12.

Com stato pi volte osservato, il passo citato illumina con una luce
scientemente orientata questa fase dellattivit giornalistica dello Svevo ora-
mai riconosciuto scrittore. Innanzitutto, come osservano Moloney e Hope:

[] Svevo volutamente sottolinea gli aspetti pi strettamente letterari della sua


collaborazione al giornale gli articoli sul tramvai di Servola e la serie di cinque
saggi su Londra dopo la guerra, che rappresentano senza dubbio uno degli aspet-
ti pi interessanti della sua collaborazione: ma tace su altri aspetti della sua col-
laborazione alla fondazione del giornale13.

E poi, come si evidenziato da pi parti, non affatto vero che nel


diciannove la sua collaborazione fortemente diminu. Con questa afferma-
zione Svevo sembra voler sottolineare nel 1928 come lideazione e la stesura
del romanzo, con cui ha conquistato un tardivo quanto insperato successo,
siano derivate da una necessit cogente e assoluta, tale da non consentirgli
nessunaltra distrazione: Fu un attimo di forte travolgente ispirazione. Non
cera possibilit di salvarsi. Bisognava fare quel romanzo14.
Chi si occupato dello spoglio del giornale, uscito dal 1 novembre 1918
al 1922, ha rilevato invece che durante i primi mesi della sua esistenza, gli
articoli di fondo e i trafiletti furono tutti anonimi15, mentre proprio a par-
tire dal 1919 che si riscontra il maggior numero di articoli e note brevi sigla-
ti da Ettore Schmitz. significativo poi che Svevo in questa sede e a queste-
poca della sua vita abbia deciso di utilizzare non il suo pseudonimo da uomo

12
I. Svevo, Profilo autobiografico, in Racconti e scritti autobiografici, cit., p. 811.
13
B. Moloney-F. Hope, Italo Svevo giornalista triestino con scritti sconosciuti, cit., p. 23.
14
I. Svevo, Profilo autobiografico, in Racconti e scritti autobiografici, cit., pp. 811-812.
15
B. Moloney-F. Hope, Italo Svevo giornalista triestino con scritti sconosciuti, cit., p. 27.
La battaglia dei libri e delle idee. Italo Svevo recensore e critico 57

di lettere, ma sigle (E.S., Sch., E.Sch.16) che rinviavano alla sua identit
anagrafica di industriale e di viaggiatore, quasi a voler sottolineare il caratte-
re non letterario di quegli scritti. Gli articoli apparsi sulla Nazione sono in
effetti molto diversi da quelli scritti per lIndipendente, in quanto non sono
pi dedicati n al teatro, n a libri o autori, a dibattiti culturali e polemiche
artistiche.
Possiamo raggruppare questi contributi in tre serie che gravitano intorno a
due fuochi geografici17: Trieste e Londra. La prima serie, che ruota intorno
alla vita triestina, comprende gli articoletti intitolati Noi del tramway di Servola,
apparsi dal 23 agosto 1919 al 9 giugno 1921 18, caratterizzati da una verve iro-
nica e satirica che ripercorre le sfortunate vicissitudini del pi lento tramway
del mondo19, e poi larticolo, dal tono per cos dire fantascientifico, Storia
dello sviluppo della civilt a Trieste nel secolo presente (agosto 1921), attribuito
alla penna di un futuro cronista della Nazione nel 2021. La seconda serie
include gli articoli ricompresi sotto il titolo generale Londra dopo la guerra
(dicembre 1920-gennaio 1921)20 ed altri che riguardano gli scioperi dei mina-
tori inglesi nel 1920 e nel 1921, in cui riemerge linteresse di Svevo per la que-
stione sociale, e per i problemi economici e politici aperti dal conflitto nella
realt inglese ed europea. La terza serie, infine, quella pi eterogenea, ed
costituita da una costellazione di brevi dispacci e compendi di notizie inviati
nel 1919 da Vienna, e a partire dal 1920 da Londra. Dopo il ritorno a Charlton
nel 1920, limprenditore triestino fu infatti chiamato dalla Nazione, che
peraltro aveva gi un inviato a Londra, a redigere corrispondenze particolari,
riguardanti gli argomenti pi disparati: la situazione politica internazionale, la
crisi economica post-bellica, la questione irlandese, gli scioperi minerari in
Inghilterra, i problemi connessi ai risarcimenti imposti alla Germania sconfit-
ta, la montante ascesa dei bolscevichi, e poi casi di cronaca nera, notizie relati-
ve ad avvenimenti curiosi, a catastrofi naturali, a innovazioni tecnologiche,
come pure a scoperte geografiche e scientifiche 21.

16
Gli articoli pi lunghi venivano generalmente pubblicati in prima pagina, le iniziali
E.S. erano per lo pi poste in calce a testi di natura analitica e saggistica, laddove la firma
Sch. appare riservata ai pezzi pi brevi (cfr. B. Moloney-J. Gatt-Rutter-F. Hope, tanto dif-
ferente questa Inghilterra, cit., p. 158).
17
La notazione di F. Bertoni, cfr. I. Svevo, Teatro e saggi, cit., p. 1779.
18
Per la complessa storia del rinvenimento degli articoli cfr. F. Bertoni, apparato genetico
e commento a I. Svevo, Teatro e saggi, cit., pp. 1862-1863.
19
Come stato osservato, si tratta del famigerato e inaffidabile numero 2 che Joyce era
solito prendere per recarsi a dare lezioni private a Svevo in Villa Veneziani (cfr. B. Moloney-
J. Gatt-Rutter-F. Hope, tanto differente questa Inghilterra, cit., p. 158).
20
Anche per la storia del ritrovamento di questa serie cfr. lapparato genetico e commen-
to a I. Svevo, Teatro e saggi, cit., p. 1873.
21
Un primo gruppo di questi trafiletti stato pubblicato nel volume di B. Moloney-J.
Gatt-Rutter-F. Hope, tanto differente questa Inghilterra, cit. La serie completa sino ad
58 Natlia Vacante

Con la marcia su Roma e lascesa del fascismo, La Nazione, gi ridi-


mensionata dalla nascita del Popolo di Trieste (che sarebbe diventato il
giornale ufficiale del fascismo triestino), cess le pubblicazioni, e con essa si
spensero anche le corrispondenze dellimprenditore triestino. Erano gli anni
del completamento della Coscienza e di unassidua concentrazione sui pro-
blemi della scrittura letteraria, favorita del resto da un clima politico che non
lasciava pi spazio alla libera circolazione delle opinioni e delle idee.
Solo dopo lesplosione del caso e la notoriet improvvisa, Svevo fece le
ultime sporadiche uscite come giornalista, pubblicando nel 1926 e nel 1928
sul Popolo di Trieste tre articoli e due brevi scritti doccasione, tutti legati
alla sua riconosciuta identit di scrittore, e perci siglati o con le iniziali
I.S., S., o con lo pseudonimo per intero. Si tratta o di recensioni a volu-
mi appena usciti (la traduzione francese dei Dubliners di Joyce, la raccolta di
Panoramas des Littratures Contemporaines di Crmieux) o di brevi presenta-
zioni di opere e di artisti triestini (Ruggero Rovan, Carlo Sbis).
Un cenno a parte, per concludere su questa complessiva ricognizione del-
lattivit giornalistica di Italo Svevo, merita una dichiarazione intitolata Vera
battaglia, apparsa in occasione della Festa nazionale del libro del 1927 in un
fascicolo allegato al Secolo illustrato (che comprendeva anche le risposte
allinchiesta di Riccardo Bacchelli, Enrico Corradini, Giovanni Papini,
Trilussa, Orio Vergani22). In primo luogo questo rappresenta forse lunico
caso in cui Svevo fu chiamato a intervenire in unoccasione culturale ufficial-
mente significativa (e ci implica, tra laltro, che Italo Svevo nel 1927 pote-
va essere ritenuto uno scrittore italiano); in secondo luogo il contenuto del
suo intervento non appare particolarmente funzionale e spendibile per la
politica culturale del regime, e pur nella pacatezza assoluta del tono rivela,
anzi, un dissenso velato dalliniziativa in atto. In poche righe, Svevo si sottrae
elegantemente allintento propagandistico del fascicolo, che si inquadrava
nella pi ampia campagna di formazione di un pubblico stretto attorno a un
preciso ideale di identit e di letteratura nazionale, e come gi aveva fatto in
molti interventi sullIndipendente torna a considerare in termini molto
problematici il grado di consapevolezza e la stessa funzione del pubblico con-
temporaneo.
Una vera battaglia del Libro non dovrebbe tanto consistere, a suo avvi-
so, nel cercare di venire incontro a un pubblico di massa immaturo e schia-
vo delle mode, come quello dellItalia del tempo, promuovendo campagne
pubblicitarie, operazioni di propaganda, offerte di edizioni pregiate, ma sem-
mai nel cercare di portare alla lettura quei forti e innocenti che ancora non

ora rinvenuta stata inserita nel saggio di B. Moloney-F. Hope, Italo Svevo giornalista triesti-
no con scritti sconosciuti, cit.
22
Cfr. lapparato genetico e commento a I. Svevo, Teatro e saggi, cit., p. 1895.
La battaglia dei libri e delle idee. Italo Svevo recensore e critico 59

sanno leggere23, strati popolari forse pi incolti, ma pi autenticamente


motivabili allo sforzo della conoscenza e delleducazione.

2. Dopo aver delineato lintero percorso dellattivit giornalistica di Italo


Svevo, necessario soffermarsi su alcuni nuclei della riflessione dello scritto-
re, e in particolare su alcuni elementi che contribuiscono a mettere a fuoco la
sua idea di arte e di letteratura nella temperie culturale burrascosa della fin de
sicle. Sono in particolar modo gli articoli pubblicati sullIndipendente che
ci consentono di enucleare alcuni spunti di riflessione che agiranno come un
lievito fermentante nella mente del giovane scrittore, portandolo dalle prove
pi immature a sviluppare sempre pi nel corso degli anni una precisa idea
del discorso e dellimpegno letterario.
In una nota del 14 dicembre 1880, Elio Schmitz (bibliotecario e storico
del fratello maggiore) ricorda la sera del 1 dicembre in cui rapidamente prese
forma il primo articolo di lui:

Ettore la notte prima scrisse (cio la sera prima perch lo scrisse in pochi minu-
ti) Shylock che diceva di voler inserire nellIndipendente. Io non ci credeva, ma
venne alle 9 a raccontarmi che lo port allIndipendente e che parl con Caprin
affinch lo inserisse e questi lo accett, tagliando per alcuni brani. Infatti a mez-
zogiorno venne lIndipendente e larticolo Shylock era inserito24.

La decisione di scrivere il pezzo presa a caldo, dettata dal bisogno di


esprimere il proprio giudizio in merito a una questione scoppiata giorni
prima a Trieste: lopportunit di far rappresentare lo shakespeariano
Merchant of Venice (messo in scena dalla compagnia di Ernesto Rossi) in una
citt con una componente ebraica molto ampia e influente. Sia pur nellin-
certezza dellimpostazione e nellingenuit di certe espressioni, questo primo
scritto giornalistico ci consente di svolgere alcune osservazioni utili nellaf-
frontare lo Svevo critico. La prima che il discorso si sviluppa in lui quasi
sempre a partire da un coinvolgimento personale molto forte, seguendo cio
un filo sotterraneo e resistente di autobiografismo, rappresentato nel caso
specifico dal fatto che il giovane Schmitz, in quanto ebreo, si sente parte in
causa, ed combattuto tra lamore incondizionato per Shakespeare una
delle letture pi appassionate della sua giovinezza, com noto e loggettiva
presenza di tratti antisemitici che egli rinviene nel disegno del personaggio di
Shylock 25. La seconda osservazione riguarda la lettura in chiave attualizzante

23
I. Svevo, Vera battaglia, in Teatro e saggi, cit., p. 1171.
24
E. Schimitz, Diario, Sellerio, Palermo 1997, p. 89.
25
Sulla lettura della tragedia shakespeariana operata dal giovane Svevo cfr. R. Rimini, Il
teatro negli scritti critici di Italo Svevo, in Belfagor, XXVII, 31 luglio 1972, pp. 456-459.
60 Natlia Vacante

del fatto letterario, per cui nella momentanea ubriacatura zoliana Svevo con-
sidera lo stesso Shakespeare come un tragedo verista26, spettatore e inter-
prete del suo tempo; ma ci che lautore dellarticolo vuole mettere a fuoco,
al di l dei riferimenti al contesto storico e dei condizionamenti da esso eser-
citati sul drammaturgo inglese, la creazione di una figura colossale, ammi-
rabile, umana27, in cui affiorano i tratti di un carattere universale.
Sin dallesordio emerge, dunque, lattenzione del giovane Svevo per la
scena, seguita sia attraverso la frequentazione assidua dei teatri della citt, sia
attraverso la lettura delle pagine di critica teatrale sui giornali del tempo (da
cui pu osservare le tendenze e gli sviluppi del teatro italiano ed europeo), e
messa in pratica inoltre nelle sue prime prove creative, come si vede nei
numerosi titoli di opere teatrali progettate e abbandonate, di cui d conto il
diario di Elio.
Nella fase iniziale, la vocazione artistica di Ettore Schmitz si lega ad una
concezione della letteratura come strumento di formazione e diffusione di
idee, come mezzo capace di agire sul pubblico, di incidere concretamente
sulla realt; da questa esigenza profonda sembrano svilupparsi lindagine sulla
situazione del teatro negli anni Ottanta e il giudizio negativo espresso nei
confronti del pubblico e della stessa critica, che gli sembra condizionino trop-
po pesantemente lattivit dei drammaturghi. Dopo una stagione innovativa
di pice che contribuirono a rinsanguare i repertori portando sulla scena la
realt del nuovo dramma borghese, Svevo registra quella che a lui pare una
situazione di crisi e si sofferma su alcuni nodi problematici che secondo lui
occorrerebbe affrontare. Il primo di questi articoli si lega al dibattito sul
Naturalisme au thtre, e in particolare alla speranza della scuola verista di
estendere il suo dominio dal romanzo alla comedia28, riducendo i romanzi a
testi teatrali, cos come era accaduto in Francia29. A parere del giovane criti-
co che gi risente dellimpostazione estetica desanctisiana questa via non
appare particolarmente feconda, visto che questultimo decennio, tanto
povero di buone commedie poverissimo di buone riduzioni30, sia di quel-
le effettuate da riduttori per cos dire di mestiere, sia di quelle operate dagli
stessi romanzieri. Al di l dei vari problemi che il lavoro di adattamento tea-
trale pone agli autori, ci che ne determina il fallimento per il giovane
Schmitz laccoglienza ostile del pubblico, quelleffetto di incredulit che
prova lo spettatore nel sapere che lopera a cui assiste un testo rimaneggia-

26
I. Svevo, Shylock, in Teatro e saggi, cit., p. 969.
27
Ibidem.
28
I. Svevo, Riduzioni drammatiche, in Teatro e saggi, cit., p. 972.
29
Come ha osservato R. Rimini, Svevo mostra di aver chiaro [] le insidie di scarso
autonomismo che si prospettano ad un futuro drammaturgo italiano (cfr. R. Rimini, op. cit.,
p. 461).
30
I. Svevo, Riduzioni drammatiche, in Teatro e saggi, cit., p. 973.
La battaglia dei libri e delle idee. Italo Svevo recensore e critico 61

to e forzato da un intervento esterno, per cui lo spettatore a questa seconda


versione non crede ed incredulit che gliela fa sembrare peggiore della
prima. Manca lillusione; lartifizio artistico troppo visibile31.
Si affaccia gi in questo contributo il problema del potere decisionale del
pubblico su cui Svevo ritorna nellarticolo intitolato Il pubblico 32, in cui si
evidenzia il condizionamento negativo esercitato dalla ricerca del successo
con cui deve necessariamente fare i conti chi voglia scrivere per il teatro: Il
pubblico di sua natura corruttore, ed il contatto continuo in cui vengono
specialmente da noi portati autore e spettatori non pu essere che fatale
allarte33.
Larticolista ribadisce quanto possa essere decisivo il ruolo svolto dal pub-
blico di massa nella realt borghese, come esso sia influente per il destino di
un artista, tanto pi se si tratta di un autore teatrale, che direttamente espo-
sto al contatto con lo spettatore. Ci che determina il successo delle opere ,
secondo Svevo, soprattutto ladesione alle mode del momento (la moda
regna sovrana a teatro34). Un autore che intenda seguire un filo di discorso
autentico e originale condannato allinsuccesso se non appare in linea con
le tendenze del suo tempo, e perci spesso finisce per piegarsi ai gusti della
platea: il che produce leffetto di far degenerare non solo la forma artistica,
ma con essa glindividui che gi la ebbero viva ed originale35. Come ha rile-
vato R. Rimini, quella di Svevo

lopinione di un giovane che risente della propria recente educazione culturale in


equilibrio fra verismo, e dunque apertura democratica, e romanticismo, e cio
una certa aria di amareggiato distacco: ma pi che di una posizione politica o di
disprezzo si tratta [] di un gesto di rabbia. In realt egli vorrebbe che il teatro
continuasse a essere per tutto il pubblico, solo a patto che questo sapesse miglio-
rarsi e rieducarsi, anzich diseducare gli autori che vede rappresentare36.

Sono questi, infatti, gli anni in cui la riflessione sul teatro del giovane
Schmitz si sviluppa allontanandosi dai riferimenti fondamentali della sua gio-
vinezza da Shakespeare a Schiller, a Hebbel probabilmente passando per
il verismo, e poi orientandosi verso un teatro di idee, e imperniato sulla cen-
tralit dei conflitti interiori dei personaggi: basti ricordare che, assai precoce-

31
Ivi, p. 974.
32
Larticolo, come osserva il giovane autore, scritto a sproposito [] del libro uscito di
recente: Confessioni di un autore drammatico di G. Costetti, poich il discorso si indirizza piut-
tosto a mettere a fuoco in generale la condizione dellautore di teatro negli anni Ottanta (cfr.
I. Svevo, Il pubblico, in Teatro e saggi, cit., p. 984).
33
I. Svevo, Il pubblico, cit., p. 985.
34
Ivi, p. 986.
35
Ivi, p. 987.
36
R. Rimini, op. cit., p. 464.
62 Natlia Vacante

mente in Italia, egli giunger a interessarsi con competenza al teatro di Ibsen


e di Strindberg.
Alla degenerazione del teatro, Svevo ritiene inoltre che possa, paradossal-
mente, contribuire la stessa critica, come egli scrive nellarticolo sulla Critica
negativa, in cui rimprovera alla critica italiana di aver mancato il suo obietti-
vo: La critica ha per scopo di elevare, di affinare la cultura di un paese;
quando non riesce a questo scopo, non vi ragione alla sua esistenza37.
La responsabilit della cosiddetta critica negativa sarebbe stata quella di
aver cooperato a un ulteriore peggioramento della situazione del teatro nazio-
nale rispetto ai decenni precedenti. Laver sottoposto ad una serrata stronca-
tura le produzioni teatrali del nostro Paese (si cominci a parlare di verit,
di societ italiana che mancava, di lingua che non era la parlata come se ve
ne fosse una comune parlata38) avrebbe contribuito a determinare un effet-
to di impoverimento e dimpasse: poi tutto tacque; gli autori non fecero pi
nulla e fu lunica via che loro restava aperta per sfuggire ai fischi39; una via
di rassegnazione e di impotenza da cui diviene sempre pi difficile ripartire,
poich dal nulla nulla pu svilupparsi40.
Secondo Rimini, si avvertono in questo scritto un certo tono provincia-
le41 nel rimpianto di un certo passato, e una superficialit di giudizi, che
testimonierebbero peraltro del mutato orizzonte di interessi del giovane
Svevo, meno preso oramai dalle questioni teoriche relative al teatro e proiet-
tato verso una fase creativa in cui lo spazio centrale gi occupato dal roman-
zo (nel 1888 anno in cui apparve larticolo Una vita era, com noto, gi
in fase di elaborazione).
a partire dalla met degli anni Ottanta che la riflessione sveviana sul
romanzo si mette in moto, attraverso lanalisi delle nuove tendenze che si
venivano sviluppando rapidamente su scala europea in quegli anni: una ricca
serie di fenomeni letterari osservati e sottoposti a indagine penetrante in
molti degli articoli pubblicati sulle colonne dellIndipendente.
Il giovane critico si confronta a pi riprese con il problema della crisi del
Naturalismo, in un momento in cui si assiste a una progressiva messa in
discussione di una certa idea di scienza e dei paradigmi ad essa collegati, e si
profilano diverse alternative di stampo reazionario (individualista ed estetiz-
zante), da cui egli portato istintivamente a prendere le distanze, provando
ad approfondire e aggiornare in modi originali e del tutto antidogmatici la
questione del rapporto tra letteratura e scienza. In questi articoli sembra svol-

37
I. Svevo, Critica negativa, in Teatro e saggi, cit., p. 1076.
38
Ivi, p. 1077. Sul problema della lingua nel testo teatrale vedi anche Una commedia in
lingua impossibile.
39
Ibidem.
40
Ivi, p. 1078.
41
R. Rimini, op. cit., p. 477.
La battaglia dei libri e delle idee. Italo Svevo recensore e critico 63

gersi, a ben vedere, un filo di ragionamento che trascende la contingenza


delle occasioni che li hanno generati, e si indirizza a cogliere in tutta la sua
complessit il quadro inquieto e fermentante della fin de sicle.
Nella recensione pubblicata a ridosso delluscita in volume della Joie de
vivre di Zola, forse lo scritto pi significativo della serie dedicata a romanzi e
romanzieri del tempo, Svevo individua alcune apparenti contraddizioni
allinterno dello stesso sistema zoliano, coglie cio uno scarto tra le tesi del
teorico e la sperimentazione pi mossa e aperta del romanziere42, in cui gli
sembra prendere corpo uninterrogazione problematica dello stesso paradig-
ma scientista. Pauline Quenu, la protagonista, riesce infatti a sottrarsi alla
catena deterministica dellereditariet, a sfuggire alla malattia dei suoi ante-
nati, attraverso leducazione, che si configura in lei come contemplazione
spregiudicata della natura43, come unaderenza immediata e totale alla vita,
che le consente di osservare linfelicit del proprio e degli altrui destini da un
punto di vista etico superiore44. La salute di Pauline consiste non nel
rifiuto ma nellassunzione di una forma estrema di realismo e di lucidit, in
un modo maturo di prendere atto dei limiti oggettivi della condizione umana
che la scienza a sua volta descrive e anatomizza, e si contrappone al pessimi-
smo autolesionistico e nichilista di Lazare Chanteau.
Nellosservare la situazione in movimento del romanzo di fine Ottocento,
Svevo portato a valorizzare una letteratura che si faccia portavoce di una
problematicit di ordine etico e a smascherare per contro quelle forme di spi-
ritualismo decadente, di individualismo estetizzante, che si allontanavano del
tutto dal percorso investigante della scienza e del pensiero, e finivano per
adattare il discorso sperimentale naturalista alla morale borghese, alle ideo-
logie correnti, alle mode di un risorgente idealismo. La via feconda per un
superamento dellimpasse tardo-naturalista passa per Svevo attraverso lassun-
zione di una nuova e pi avanzata responsabilit, etica e conoscitiva, del
discorso letterario, ed questo il filo conduttore che il critico sviluppa, in
maniera asistematica ma coerente, negli articoli dedicati alla situazione della
letteratura di fine Ottocento.
Egli si orienta non a caso a favore della profonda eticit delluomo dalle
mani bianche di Turgenev, il quale, nonostante sia consapevole dellinutilit
del suo sagrificio per uomini che non lo sanno apprezzare45, decide di por-
tarlo avanti fino in fondo, persuaso della validit in s dei propri imperativi

42
Su questo punto vedi anche le considerazioni svolte da E. Saccone, nel saggio i dolori
del giovane Schmitz (1880-1889), in Id., Il poeta travestito. Otto scritti su Svevo, Pacini Editore,
Pisa 1977, pp. 45-47.
43
I. Svevo, La joie de vivre di Emilio Zola, in Teatro e saggi, cit., p. 994.
44
Sul rapporto tra etica e verit, cfr. le analitiche e suggestive considerazioni di M. Sechi,
Il giovane Svevo. Un autore mancato nellEuropa di fine Ottocento, Donzelli, Roma 2000.
45
I. Svevo, Poesie in prosa di Iwan Turgenjeff, in Teatro e saggi, cit., p. 991.
64 Natlia Vacante

morali, accettando di finire sulla forca per la liberazione di operai che lo con-
siderano estraneo al loro mondo. Il giovane Svevo apprezza lindividualismo
del personaggio di Turgenev, che si configura come la forma di unetica per-
seguita al di l dei suoi stessi risultati, e diffida invece dellegoismo teorico
di Josephin Pladan, che gli appare regressivo, poich esso riconduce larte e
lartista ad una presunzione di isolamento elitario e di superiorit rispetto alle
masse, negando o ritenendo di poter annullare i processi di collettivizzazione
della vita umana che si sono radicati nella societ moderna facendola progre-
dire. Per Svevo, larte, la scienza sono le collettivit maggiori; abbracciano
lumano consorzio intero46, e il discorso dellartista non si pu scindere dal
percorso di conoscenza prodotto dal cammino dellumanit.
La letteratura fin de sicle, per il critico, sembra aver smarrito quellassillo
di verit47 che aveva rappresentato il motore primo della letteratura naturali-
stica, per dar luogo o a un naturalismo deteriore e di consumo, o ad una let-
teratura decadente, irrazionalistica, imbevuta di miti compensativi (i valori
assoluti dellarte, le personalit deccezione, le nuove aristocrazie della razza e
della fede, ecc.) che, anzich approfondire la coscienza della crisi, finivano per
rendere pi nebuloso e incerto il suo scenario.
E cos negli articoli di questo periodo non mancano i giudizi negativi su
autori di successo: Max Nordau gli sembra animato, pi che da un desiderio
di conoscenza, dal desiderio di riuscire alla conferma di un pregiudizio o
sistema che sia48; George Ohnet viene giudicato come un ambizioso che
tratta larte quale giumenta fornitrice di burro49, nella cui scrittura tra la
rappresentazione e la natura si caccia [] il desiderio dellapplauso (per cui
egli diviene il prototipo dello scrittore che confeziona le sue opere secondo la
ricetta destinata a incontrare i gusti del pubblico, mentre le grandi verit
della vita gli rimangono ignote50); Victor Cherbuliez, a sua volta, gli sembra
posseduto dalla materia narrata, piuttosto che possederla, cosicch qua vio-
lenta, l si adatta lui; pare conduca al guinzaglio un grosso cane indocile che
ogni tanto lo faccia deviare51.
Nel confrontarsi con la crisi di fine Ottocento, dal suo osservatorio peri-
ferico, non sfugge a Svevo un altro fenomeno che sembra aver acquistato

46
Id., Un individualista, in Teatro e saggi, cit., p. 1041.
47
Nellarticolo intitolato La verit, Svevo polemizza con le posizioni di Renan, che, com
noto, cerc di contemperare positivismo e cristianesimo, individuando nei suoi scritti un
atteggiamento contraddittorio e ambiguo che tradirebbe quellamore per la verit professato a
parole nella sua autobiografia e nei suoi celebri discorsi (cfr. La verit, in Teatro e saggi, cit.,
pp. 1008-09).
48
I. Svevo, Il vero paese de miliardi, in Teatro e saggi, cit., p. 977.
49
Id., Giorgio Ohnet, in Teatro e saggi, cit., pp. 1030-31. Limmagine della giumenta trat-
ta da un epigramma di Schiller.
50
Ivi, p. 1035.
51
Id., La vocazione del conte Ghislain, in Teatro e saggi, cit., p. 1070.
La battaglia dei libri e delle idee. Italo Svevo recensore e critico 65

rilievo nella situazione sempre pi incerta dellarte moderna: il dilettanti-


smo52. Le cause che determinano il fenomeno sempre pi diffuso del dilet-
tantismo sono riconducibili per Svevo alle condizioni della letteratura attua-
le, che non fanno che alimentare quel germe presente da sempre nella natu-
ra umana, diffondendo una letteratura [] che non riconosce tradizioni, e
che appare lanciata verso mode effimere. Le mode definiscono quei mecca-
nismi oscuri in base ai quali si forma il consenso intorno ad un autore, e favo-
riscono la rapidit con la quale si ottiene il massimo premio che larte possa
concedere, per cui

essendo anche soltanto dilettanti si pu coricarsi sconosciuti e forse disprezzati e


svegliarsi destati dalla celebrit in persona che viene a impossessarsi delleletto53.

Il giovane Schmitz, che tra laltro si sente personalmente coinvolto in que-


sta dimensione impura dellarte moderna, essendo costretto per forza di cose
ad essere egli stesso un praticante di letteratura a met tempo, di fronte al
riproporsi di tendenze litarie e antidemocratiche nella letteratura di fine
Ottocento rivendica tuttavia limportanza del ruolo svolto dal dilettante
allinterno della societ, poich pur essendo dannoso quando fa della lette-
ratura che vuol essere originale sua, utilissimo quale individuo che diffon-
de idee altrui54. E ci si verifica soprattutto in provincia, ove gli artisti per
mestiere scarseggiano55. Al dilettante, Svevo riconosce limportante funzio-
ne di divulgare le idee altrui, di contribuire a diffonderle presso un pubblico
pi ampio56.
Infine, per concludere su questa breve individuazione di elementi disse-
minati negli articoli giornalistici, che continueranno ad agire nella mente del
giovane Schmitz portandolo a sviluppare narrativamente, e ad approfondire
teoricamente, i temi pi rilevanti del dibattito culturale, filosofico, scientifi-
co, del passaggio cruciale tra Otto e Novecento, vorrei richiamare lattenzio-
ne sullinteresse precoce da lui dimostrato nei confronti delle autobiografie, e

52
Al di l della contingenza dello spunto offerto al critico da una nota polemica apparsa
sulla Domenica letteraria, come ha notato M. Sechi, il discorso dellarticolista mostra di
avere contezza dei livelli pi complessi della questione, riconoscendo preliminarmente che il
dilettantismo un prodotto necessario della nostra societ contemporanea, come aveva affer-
mato Bourget in un recente saggio su Renan (cfr. M. Sechi, op. cit., pp. 49-54).
53
I. Svevo, Il dilettantismo, in Teatro e saggi, cit., p. 1018.
54
Ivi, p. 1019.
55
Ibidem.
56
A distanza di qualche anno Svevo torner a soffermarsi in maniera pi articolata sulla
questione, affrontandola da un punto di vista per cosi dire teorico, nel saggio Del sentimento
in arte, in cui espliciter con maggiore chiarezza come in arte non esistano forme di ignoran-
za assoluta, e come il dilettante rappresenti un livello intermedio tra lignorante assoluto e
il dotto in unarte.
66 Natlia Vacante

pi in generale della dimensione autobiografica della scrittura, che, com


noto, rappresenter uno degli assi portanti dellesperienza letteraria dello Sve-
vo narratore, di quel gioco di doppi, di trasposizioni, di travestimenti simu-
lati e dissimulati che si stratifica nei suoi romanzi e racconti.
Scorrendo i titoli degli articoli, si pu osservare come due siano i pezzi
esplicitamente dedicati allesame di scritti autobiografici: Lautobiografia di
Riccardo Wagner e Le Memorie dei fratelli Goncourt. Nel primo, Svevo fa rife-
rimento a un estratto della autobiografia di Wagner apparso su una rivista in
lingua inglese, e poi tradotto in tedesco57, e subito dimostra di non condivi-
derne n limpostazione (lautobiografia dovrebbe essere lo studio del pro-
prio individuo e, in seconda linea, onde spiegare questindividuo, lo studio
della propria epoca58, mentre in realt essa appare in questo caso un com-
posto bizzarro di storia, polemica, critica, e a tratti impazienti incompiuti, di
racconto della propria vita59); n loscurit del linguaggio, imputabile, spie-
ga il recensore, al misticismo di Wagner, che non rimase solamente esilia-
to nel suo ideale artistico, ma scese nella sua vita60. Svevo sembra cogliere
con acume la portata reazionaria e lanacronismo di fondo che sottende li-
deale artistico wagneriano61, che si ammantava di un misticismo estetico e
ideologico (Wagner condotto da un Dio, larte, a traverso un mondo di
esseri inferiori e nemici), di un nazionalismo oltranzista di cui egli intuisce
tutta la pericolosit. La sua una scrittura che nasconde la realt, la misti-
fica, e ad essa Svevo contrappone il classico modello goethiano, intriso di
oggettivit, animato da una volont autentica di conoscersi e di offrire alla
nazione che glielo chiedeva, un commento alla sua opera artistica62.
Nel recensire il primo volume del Journal dei fratelli De Goncourt, appe-
na uscito in Francia, Svevo spinto, invece, a sottolineare lo studio del cuore
umano portato avanti dai due scrittori anche nelle pagine di diario, in cui si
evidenzia la serenit di autore che anche quando parla di se stesso lo fa come
di terza persona osservata con la curiosit di studioso63, e in cui sempre si
sente il desiderio di essere sinceri, di darsi interamente con abbandono come
se le confessioni non avessero da venir pubblicate mai64. Il giovane Schmitz
appare, inoltre, fortemente colpito dallo sviluppo simbiotico della persona-
lit dei due fratelli, capaci di fondersi nella scrittura letteraria in un seul moi,

57
Per una ricostruzione puntuale della storia del testo wagneriano cfr. F. Bertoni, Apparato
genetico e commento a I. Svevo,Teatro e saggi, cit., nota 2 a p. 1020, pp. 1815-16.
58
I. Svevo, Lautobiografia di Riccardo Wagner, in Teatro e saggi, cit., p. 1020.
59
Ibidem.
60
Ivi, p. 1022.
61
Per trovare nella storia artistica un romantico tanto conseguente bisognerebbe risalire
secoli, scrive Svevo nellarticolo in questione (Ibidem).
62
Ivi, p. 1024.
63
I. Svevo, Le Memorie dei fratelli Goncourt, in Teatro e saggi, cit., p. 1062.
64
Ivi, p. 1063.
La battaglia dei libri e delle idee. Italo Svevo recensore e critico 67

un seul je, e di scrivere rispettivamente le proprie note nelle Memorie, senza


entrare mai in contraddizione luno col pensiero dellaltro. Tra le pieghe del-
larticolo si scorge la partecipazione emotiva con cui Ettore guarda al rappor-
to tra i Goncourt dopo la perdita recente del fratello Elio, e dopo la sorpresa
del ritrovamento del diario da lui tenuto, in cui tanto spazio era dedicato allo
studio e allammirazione per il fratello maggiore. Nelle pagine autobiografi-
che da lui stese qualche mese dopo la morte del fratello, Ettore portato a
sottolineare la complementarit dei loro caratteri e delle loro passioni artisti-
che (pareva fossimo nati a complemento uno dellaltro65); e di certo la let-
tura del primo volume del Journal scritto a due mani dai Goncourt, e pub-
blicato a quasi dieci anni dalla morte prematura di Jules, deve aver risveglia-
to in lui non solo linteresse del recensore abituale di vient de paratre, ma
anche una intensa commozione per il cammino di vita artistica e privata con-
diviso dai due fratelli francesi. Che si tratti di una lettura fortemente parteci-
pata lo si intuisce anche dalla chiusa con cui il giovane Svevo sceglie di licen-
ziare il pezzo: [] terminato il volume si prova, pi che il dispiacere di aver
finito un bel libro, quello di abbandonare una compagnia tanto grata66.
Esaminando gli articoli scritti per lIndipendente, possibile, dunque,
iniziare a seguire quel tenace filo di riflessione autobiografica che attraversa
per intero la scrittura sveviana, e che in questi anni si definisce a partire dai
suoi interessi di lettore (oltre a quelle recensite, il giovane Svevo mostra di
conoscere, direttamente o indirettamente, innumerevoli altre opere varia-
mente riconducibili al genere autobiografico: dagli exempla canonici della
Vita di Cellini, delle Confessions di Rousseau e della Vita di Alfieri, ad Aus
meinem Leben di Goethe, alle Memorie di Metternich, alle Confessioni di un
autore drammatico di G. Costetti, ai Souvenirs denfance et de jeunesse di Re-
nan), per divenire sempre pi una fascinazione a scrivere partendo dalla riela-
borazione creativa del proprio vissuto, come si pu riscontrare in alcuni degli
articoli di questo periodo (Il signor Nella e Napoleone, Sogni di Natale, Il
fumo).
Alla crescente attenzione per la dimensione autobiografica corrisponde in
Svevo il progressivo abbandono di una concezione dellarte come attivit
capace di incidere sulla realt, come strumento di affermazione delle idee,
corrisponde cio un sofferto ripiegamento verso una concezione privata e
clandestina della letteratura. La pratica della scrittura diverr per lui sem-
pre pi un esercizio privato, un modo per arrivare a capirsi meglio67, una
misura di igiene68 utile a fissare nel tempo la coscienza di s (mi pare di non

65
Id., Il romanzo di Elio, in Racconti e scritti autobiografici, cit., p. 672.
66
Id., Le Memorie di fratelli Goncourt, in Teatro e saggi, cit., p. 1066.
67
Id., Pagine di diario, in Racconti e scritti autobiografici, cit., p. 736.
68
Id., Prefazione, in Romanzi e Continuazioni, a cura di N. Palmieri e F. Vittorini, Mon-
dadori, (I Meridiani), Milano 2004, p. 1227.
68 Natlia Vacante

esser vissuto altro che quella parte di vita che descrissi69 far affermare al
vecchio Zeno), fino a risolversi nella paradossale profezia di una vita lettera-
turizzata, di un consumo assolutamente autoreferenziale della scrittura:

met dellumanit sar dedicata a leggere e studiare quello che laltra met avr
annotato. E il raccoglimento occuper il massimo tempo che cos sar sottratto
alla vita orrida vera. E se una parte dellumanit si ribeller e rifiuter di leggere
le elucubrazioni dellaltra, tanto meglio. Ognuno legger se stesso70.

69
Ibidem.
70
Id., Le confessioni del vegliardo, in Romanzi e Continuazioni, cit., p. 1116.
MICHELANGELO FINO

Dalla mostruosa macchina del giornalismo


allaffascinante macchina della cinemelografia:
Pirandello, il giornalismo e il cinema

Il rapporto tra Luigi Pirandello e il giornalismo estremamente contro-


verso. Pirandello critico e diffidente nei confronti di quotidiani e giornali-
sti, ma le difficolt economiche lo spingono e lo costringono a collaborare
con numerose testate. Daltra parte, lautore agrigentino si render conto
molto presto che la visibilit garantita dalla carta stampata rappresenta per
uno scrittore una necessit artistica, come dimostrano, ad esempio, le tante
interviste rilasciate ai quotidiani (soprattutto a partire dagli anni Venti) in cui
parla di s e della propria opera. condivisibile, in tal senso, lipotesi di Ivan
Pupo, che scorge, nelle tante interviste pirandelliane, un atteggiamento pro-
gettante dellautore nei confronti della propria opera1.
Limportanza del giornalismo per Pirandello scrittore avallata dal fatto
che la maggior parte delle novelle appare dapprima su riviste e giornali. Stesso
discorso per i romanzi2, per diversi drammi3 e per alcuni dei pi importanti

1
I. Pupo (a cura di), Interviste a Pirandello. Parole da dire, uomo, agli altri uomini, pref.
di N. Borsellino, Rubbettino, Catanzaro 2002, p. 43. Salvo diversa indicazione, le interviste
citate sono tratte da questo volume. Nei confronti delle interviste, peraltro, latteggiamento di
Pirandello complesso: sa dellimportanza che hanno come mezzo divulgativo e pubblicitario,
ma ne conosce anche le insidie, in particolare le incomprensioni, le distorsioni e le deforma-
zioni operate dallintervistatore che, daltra parte, lo divertono. Cos in unintervista apparsa
su Le grandi firme col titolo Pirandello il 1 luglio 1924: Bisognerebbe che le mie risposte
passassero attraverso la mente di chi le ascolta senza subire una sua interpretazione che sar
sempre troppo personale per rispondere con tutta precisione al mio sentimento. Per le inter-
viste mi divertono appunto per questa inevitabile trasformazione che finisce col presentarmi
un Pirandello che conosco poco e che non parla mai alla mia maniera.
2
Ad eccezione de Il turno e Suo marito tutti i romanzi pirandelliani appaiono su rivista:
Lesclusa esce a puntate su La Tribuna dal 29 giugno al 16 agosto 1901, Il fu Mattia Pascal
sulla Nuova Antologia dal 16 aprile al 16 giugno 1904, I vecchi e i giovani, anche se parzial-
mente (prima parte e seconda parte fino al I paragrafo del IV capitolo), sulla Rassegna con-
temporanea tra il gennaio e il novembre del 1909, Quaderni di Serafino Gubbio operatore con
il titolo Si gira sulla Nuova Antologia dal 1 giugno al 16 agosto 1915 e Uno nessuno e
centomila sulla Fiera letteraria fra il 13 dicembre 1925 e il 13 giugno 1926.
3
Ad esempio latto unico Lepilogo (Ariel, a. I, n. 14, 20 marzo 1898), Pensaci, Giacomi-
no! (Noi e il Mondo, 1 aprile-1 giugno 1917), Cos (se vi pare) (Nuova Antologia, 1 e
70 Michelangelo Fino

saggi4. In pi, il giornalismo rappresenta un collaudato meccanismo narrati-


vo: costituisce lo scenario entro cui ambientare le opere (Suo marito e Lo scal-
dino)5; lespediente che mette in moto gli ingranaggi narrativi (Il fu Mattia
Pascal); d vita ai personaggi (Quando si qualcuno); assume particolare rilie-
vo tematico-simbolico (I vecchi e i giovani)6.
Lespediente letterario del giornale, insieme agli altri mezzi della comuni-
cazione come il telegrafo e il telegramma, secondo Franco Zangrilli, fanno di
Pirandello un anticipatore del New Journalism americano degli anni 60:

egli sembra anticipare svariati elementi della poetica di quegli scrittori americani
degli anni Sessanta (Truman Capote, Norman Mailer, Tom Wolfe, Gay Talese,
Saul Bellow, John Updike, Philip Roth, ecc.) che danno vita al New Journalism,
sperimentando con tecniche, linguaggi, componenti della narrazione giornali-
stica, al punto di creare non solo the journalistic novel ma tutto un filone di
letteratura giornalistica 7.

Inoltre, lo stesso Pirandello non manca di sottolineare linfluenza positiva


che il giornalismo ha sulla scrittura, quando lamenta in Italia lassenza di una
prosa viva e piacevole:

innegabile che da buona pezza a questa parte, un po di scioltezza, se non di


leggiadria, s venuta acquistando. Il giornalismo, a tal riguardo, ha fatto un gran
bene, e assai pi che comunemente non si creda. Il contegno austero, da edifizii
ambulanti, delle matrone periodesse spezzato; il nesso sintattico, se lascia ancor
molto a desiderare per la correttezza, veramente pi snello e pi facile 8.

16 gennaio 1918), Luomo, la bestia e la virt (Comoedia, 10 settembre 1919), Il giuoco delle
parti (Nuova Antologia, 1 e 16 gennaio 1919), Sagra del Signore della nave (Convegno,
30 settembre 1924).
4
Si pensi a Illustratori, attori e traduttori apparso sulla Nuova Antologia (16 gennaio
1908), Teatro nuovo e teatro vecchio su Comoedia (1 gennaio 1923), Arte e coscienza doggi
su La Nazione letteraria (settembre 1893), Lazione parlata su Il Marzocco (7 maggio
1899), Teatro e letteratura su Il Messaggero della Domenica (30 luglio 1918) e Se il film par-
lante abolir il teatro sul Corriere della Sera (16 giugno 1929).
5
Nel romanzo Suo marito il mondo dei giornali gioca un ruolo da protagonista: il malsa-
no e fatuo ambiente giornalistico qui sottoposto al giudizio critico dellautore, che, con pun-
gente ironia, ridicolizza luniverso giornalistico. Daltra parte, come rileva Zangrilli, il prota-
gonista Giustino Boggiolo (marito e agente della scrittrice Silvia Roncella) capisce, come
Pirandello, il grande ruolo che svolge la stampa nel costruire limmagine di uno scrittore, nel
pubblicizzare il prodotto letterario. F. Zangrilli, Pirandello e il giornalismo, premessa di G.
Costa, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma 2003, p. 82.
6
Sul rapporto tra il mondo dei giornali e luniverso creativo di Pirandello, cfr. F. Zangrilli, Pi-
randello e il giornalismo, cit., pp. 71-97 e I. Pupo (a cura di), Interviste a Pirandello, cit., pp. 19 sgg.
7
F. Zangrilli, Pirandello e il giornalismo, cit., p. 77.
8
L. Pirandello, Prosa moderna (Dopo la lettura del Mastro don Gesualdo del Verga), Vita
Nuova, 5 ottobre 1890, ora in Id., Saggi, Poesie, Scritti varii, a cura di M. Lo Vecchio-Musti,
Mondadori, Milano 19935, p. 879.
Pirandello, il giornalismo e il cinema 71

Sappiamo, anche, che Pirandello un assiduo lettore di giornali:

La sera, dopo cena, sto un po a conversar con la mia famigliuola, leggo i titoli
degli articoli e le rubriche di qualche giornale, e a letto 9.

E che lamenta limpossibilit di comprare un giornale italiano durante le


sue tournes internazionali, come quando si trova nel 1927 in Sud America:
una sola, piccola cosa mi manca, qui a Buenos Aires: la lettura di un gior-
nale italiano, al mattino 10.
Nonostante le riserve nutrite, quindi, il giornalismo, sotto forme diverse,
una componente essenziale nellopera e nella vita di Pirandello. Come ricor-
da Sarah Zappulla Muscar, la firma di Pirandello [] apparsa su una sin-
golarmente frastagliata tessitura di testate, non tutte parimenti conosciute,
diverse per significato e area geografica, con una frequenza notevolmente
varia11. Lo scrittore esordisce come giornalista nel 1882-83, quando pro-
getta e dirige un giornaletto scolastico interamente scritto a mano dal titolo
Il Pensiero12.
Nel 1884 viene pubblicato il primo racconto, Capannetta, apparso il 1
giugno sulla Gazzetta del Popolo della Domenica. Quando, nel 1894, si
trasferisce con la moglie a Roma, sinfittisce la sua collaborazione a giornali e
riviste13: Gazzetta letteraria, Natura ed Arte, Roma letteraria, La
Critica di Gino Monaldi, Il Giornale di Sicilia, La Tribuna illustrata, La
Riviera ligure. A La Riviera Ligure Pirandello collabora per circa un quin-
dicennio (dal 1901 al 1915); una collaborazione paragonabile soltanto a
quella, particolarmente intensa e significativa, prestata a testate come il
Corriere della Sera unitamente al suo supplemento La Lettura, Il
Marzocco, la Nuova Antologia14. Al mensile diretto da Mario Novaro lo
scrittore agrigentino invia soprattutto poesie e in misura minore novelle,
forse anche in considerazione del pubblico medio borghese dei suoi letto-
ri15; la collaborazione si dirada a partire dal 1909, anno in cui Pirandello
entra nel Corriere della Sera.
Il 29 novembre 1896 inizia a collaborare con Il Marzocco (la collabora-
zione si conclude l8 agosto 1909) e nel 1902 con la Nuova Antologia, rivi-

9
Id., Lettera autobiografica, Le lettere, 15 ottobre 1924, ivi, p. 1286.
10
L. Coen, Quel sogno di Pirandello, La Repubblica, 10 gennaio 2000, in F. Zangrilli,
Pirandello e il giornalismo, cit., p. 46n.
11
L. Pirandello, Carteggi inediti (con Ojetti Albertini Orvieto Novaro De Gubernatis
De Filippo), a cura di S. Zappulla Muscar, Bulzoni, Roma 1980, p. 261.
12
I. Pupo (a cura di), Interviste a Pirandello, cit., p. 19n. Su questa testata studentesca, cfr.
G.R. Bussino, Alle fonti di Pirandello, Tipografia ABC, Firenze 1979, pp. 27-34.
13
In precedenza collabora, fra gli altri, a Vita Nuova e La Nazione letteraria su cui esce
il fondamentale saggio Arte e coscienza doggi (settembre 1893).
14
L. Pirandello, Carteggi inediti, cit., p. 354.
15
Ivi, p. 355.
72 Michelangelo Fino

ste sulle quali appariranno novelle, poesie, romanzi e saggi, e che offrono
alcuni dei migliori risultati del Pirandello scrittore e saggista16. La collabora-
zione alla rivista fiorentina Il Marzocco fondamentale nella storia della
sua attivit giornalistica e della sua produzione artistica:

A Il Marzocco Pirandello invia scritti che saggiano molteplici territori letterari.


[] Si registrano infatti versi [] scritti critici pi che su qualsiasi altro perio-
dico e, in misura ancora maggiore, novelle, tra le sue pi argute e originali17.

Negli anni successivi collabora a La Domenica italiana, Rassegna setti-


manale universale, Noi e il Mondo, Fiera letteraria, LIdea Nazionale,
Scenario, Penombra (rivista cinematografica) e Corriere della Sera,
quotidiano al quale Pirandello collaborer ininterrottamente dal 4 ottobre
1909 (con la novella Mondo di carta) al 9 dicembre 1936 (vigilia della sua
morte).
La collaborazione pirandelliana alle diverse testate si traduce, solitamente,
nella pubblicazione di novelle e di articoli-saggio. Gli attriti e le incompren-
sioni che caratterizzano il rapporto tra Pirandello e i giornali riguardano
soprattutto le novelle, in particolare per la loro lunghezza e il loro contenu-
to. Il carteggio tra lautore agrigentino e lamico Ugo Ojetti (direttore del
Corriere della Sera dal 1925 al 1927 e artefice dellingresso di Pirandello
nel quotidiano milanese) ben testimonia lorgoglio e la soddisfazione di un
Pirandello che si dice felicissimo di mandare le [] novelle al principe dei
nostri giornali quotidiani18, ma anche linsofferenza e il disappunto di fron-
te ai richiami dei dirigenti del Corriere, che lo invitano di continuo ad
accorciare i racconti o addirittura a modificarne la trama, per non urtare la
sensibilit e la moralit dei lettori: Le mando le bozze della sua bellissima
novella. E la prego di due favori: il primo di rimandarmele subito, ch c
urgenza dandar in macchina, laltro di toglier quellepisodio della digestio
post mortem che irriterebbe certo il pubblico familiare di una rivista19.
Linvito di Renato Simoni (critico teatrale del Corriere) a modificare la
novella Lillustre estinto, verr accolto da Pirandello, pur se con delle riserve20.
In altre occasioni, invece, lautore, anche in virt della fama raggiunta, si
dimostrer meno disponibile, addirittura aggressivo. Cos in una lettera del
10 dicembre 1933 al direttore Aldo Borelli:

16
Sulla Nuova Antologia usciranno, per esempio, Il fu Mattia Pascal e Si gira
17
L. Pirandello, Carteggi inediti, cit., pp. 261-62.
18
Ivi, p. 144. La lettera del 7 dicembre 1909.
19
Ivi, p. 140. Lettera del 28 settembre 1909. La rivista il supplemento mensile del
Corriere, La Lettura.
20
Cfr. ivi, p. 141. Lettera del 1 ottobre 1909.
Pirandello, il giornalismo e il cinema 73

conto di rimettermi in pieno alle novelle. Ne ho una gran voglia. Badate bene
per di non rifarmi pi le vecchie superate difficolt per la pubblicazione:
Vassumereste una brutta responsabilit! Di quello che scrivo me lassumo io,
intera []21.

Daltra parte, anche il Corriere, di fronte a uno dei pi grandi scrittori


dellepoca, cambia sensibilmente atteggiamento22.
Pirandello non si limiter a collaborare a diversi quotidiani e riviste, ma
insieme ad alcuni dei pi stretti amici (tra cui Italo Carlo Falbo, Ugo Fleres,
Tommaso Gnoli e Giuseppe Mantica) dar vita al settimanale letterario
Ariel: unesperienza che nella sua brevit (verr pubblicato dal 18 dicembre
1897 al 5 giugno 1898) riveste un ruolo importante per luomo e lo scritto-
re Pirandello. Il programma della rivista verr riassunto da Gnoli molti anni
pi tardi (nel 1935): da esso emerge con chiarezza la centralit e linfluenza
della concezione poetica pirandelliana, e che ruota intorno al Sincerismo23,
concetto ideato ed elaborato dallo scrittore agrigentino.
Gli articoli che Pirandello scrive per Ariel, ricorrendo alluso di pseudo-
nimi con i quali continuer anche in seguito a firmare i suoi pezzi (Prospero,
Caliban, Giulian Dorpelli, Testor, Paulo Post 24), consistono in racconti,
recensioni e scritti di critica. vero che la natura di questi interventi det-
tata dalla tipologia della rivista (un settimanale letterario); tuttavia questo il
taglio giornalistico che Pirandello manterr durante la sua attivit.
Oltretutto, a differenza di molti scrittori dellepoca (ad esempio Alvaro e
Buzzati), Pirandello non un giornalista di professione. Ecco perch rara-
mente ci imbattiamo in articoli di cronaca e doccasione 25, per quanto lo

21
Ivi, p. 246.
22
Cfr. ivi, p. 253. Lettera del redattore capo Oreste Rizzini, datata 12 dicembre 1935.
23
T. Gnoli, Un cenacolo letterario: Fleres, Pirandello & C., Leonardo, marzo 1935, ora in
Appendice a A. Barbina, Ariel. Storia duna rivista pirandelliana, Pubblicazioni dellIstituto di
Studi Pirandelliani, n. 7, Bulzoni, Roma 1984, p. 151. La definizione di Sincerismo ce la d
lo stesso Pirandello nellarticolo Sincerit, Ariel, a. 1, n. 19, 24 aprile 1898.
24
Questultimi due non compaiono in calce agli articoli dellAriel, ma verranno utiliz-
zati successivamente. Su leffettiva identificazione di Pirandello con tali pseudonimi, cfr. A.
Barbina, Ariel. Storia duna rivista pirandelliana, cit., pp. 15-21.
25
Non mancano comunque esempi in tal senso. Si pensi, fra gli altri, ai pezzi scritti in
occasione del terremoto di Messina e Reggio Calabria (Sul Bosforo dItalia, Il Marzocco, 10
gennaio 1909 e Altrove, Natura ed Arte, 1-15 febbraio1909), a Natale al Polo (Roma lette-
raria, 25 dicembre 1897) articolo in cui Pirandello parla delle spedizioni polari di Fridtjof
Nansen oppure a Lesposizione di belle arti in Roma 1895-96, una serie di articoli apparsa sul
Giornale di Sicilia tra il 20 settembre e il 1 dicembre 1895. Da segnalare anche gli articoli
Rinunzia (La critica di G. Monaldi, 8 febbraio 1896) in cui una recente scoperta scientifica
(probabilmente quella dei raggi X come suggerisce Lo Vecchio-Musti) offre lo spunto per una
serie di riflessioni sulla vita in unottica tipicamente pirandelliana e Feminismo in cui un tema
di grande attualit (il femminismo appunto) subisce il processo di scomposizione tanto caro a
Pirandello, o pi propriamente di sgonfiamento, visto che per lautore il feminismo , come
74 Michelangelo Fino

scrittore sia molto attento proprio alla cronaca, che spesso offre lo spunto alle
sue opere, per esempio ai titoli delle novelle (come ricorda Gnoli26).
Pirandello, dunque, essenzialmente un elzevirista: recensisce opere lette-
rarie e drammatiche27, e pubblicizza la propria opera. Un giornalismo lette-
rario che rifugge il giornalismo mondano, sensazionale, provocatorio al
punto che, in linea con il programma annunciato dalle pagine di Ariel,
lantipatia di Pirandello per il giornalismo di tipo dannunziano viene a coin-
cidere con la sua antipatia per lopera di DAnnunzio28. Pirandello fautore
non solo di una letteratura di cose29, ma anche di un giornalismo di cose e
non di parole. La sua diffidenza verso il giornalismo si spiega, in particolare
tra la fine dellOttocento e linizio del Novecento, anche con lampio spazio
concesso dai giornali a un autore come DAnnunzio che, com noto, lo scrit-
tore agrigentino non ama. C indubbiamente una certa stizza nei confronti
di quei giornali che celebrano la gloria poetica di DAnnunzio, e tale risenti-
mento peser sulla valutazione complessiva del mondo giornalistico. Ecco
perch, soprattutto in questo periodo, la battaglia antidannunziana e la pole-
mica contro il giornalismo vanno di pari passo. Nellarticolo Lidolo, apparso
su La Critica di Gino Monaldi il 31 gennaio 1896, parla addirittura di
mostruosa macchina del giornalismo, che continua a sopravvalutare ed
esaltare lopera di Gabriele DAnnunzio. Nel periodo di maggior successo,
invece, Pirandello criticher i giornalisti italiani per la scarsa attenzione a lui
rivolta, quasi inorridito per unindifferenza che stride con il vivo interesse
mostrato dalla stampa estera. Cos in una lettera inviata nel marzo del 1930
a Marta Abba, in occasione della prima de La vita che ti diedi:

Ho visto che i giornali italiani non hanno riportato il grande successo di Parigi.
veramente inaudito quello che fanno i giornalisti italiani: la loro incoscienza,
la loro leggerezza non hanno limiti. [] Solo il Popolo dItalia ha annunziato
il successo, perch al Restaurant Monteverdi ho visto il corrispondente Pierazzoli
[] e gli ho potuto far sapere che quella sera stessa alla Petite Scene ci sarebbe

tutte le costruzioni ideali, un palloncino sgonfiato. Questi ultimi due articoli sono riprodotti
in L. Pirandello, Saggi, Poesie, Scritti varii, cit., pp. 1056-60 e 1068-72.
26
Cfr. A. Barbina, Ariel. Storia duna rivista pirandelliana, cit., p. 149.
27
Su Pirandello recensore cfr. A. Barbina, Sul primo Pirandello recensore e recensito,
Quaderni dellIstituto di Studi Pirandelliani, I, Carucci, Roma 1973, pp. 121-50.
28
F. Zangrilli, Pirandello e il giornalismo, cit., p. 43.
29
Cfr. il Discorso di Catania (2 settembre 1920) e il Discorso alla Reale Accademia dItalia
(3 dicembre 1931) tenuti da Pirandello su Giovanni Verga, ora in L. Pirandello, Saggi, Poesie,
Scritti varii, cit., pp. 391-426. Altri rilevanti articoli in cui Pirandello polemizza con DAn-
nunzio sono, per esempio, Arte e coscienza doggi, La Nazione letteraria, settembre 1893, Su
Le vergini delle rocce, La Critica, 8 novembre 1895, Lidolo, La Critica, 31 gennaio 1896,
Osservazione sullevoluzione del verso, Marzocco, 29 agosto 1897 e La citt morta di Gabriele
DAnnunzio, Ariel, a. 1, n. 9, 13 febbraio 1898.
Pirandello, il giornalismo e il cinema 75

stata la prima de La vita che ti diedi. Altrimenti, non sarebbe andato neanche
lui30.

Il carteggio Pirandello-Abba estremamente interessante da questo punto


di vista, perch molte lettere contengono giudizi negativi sui giornalisti,
preoccupazioni, sospetti e ansie nei confronti di un mondo ambiguo e inqui-
nato del quale lautore diffida, e dal quale si sente osteggiato:

Tu mi domandi, Marta mia, come mai i giornalisti corrispondenti da Berlino non


abbiano fatto saper nulla in Italia della mia malattia. [] Il nuovo corrispondente
del Corriere della Sera, non lho mai veduto [] e quanto al Da Silva corri-
spondente per modo di dire della Tribuna di Roma [] e del resto, il Direttore
della Tribuna il signor Forges Davanzati. A cui, come a tanti altri, lannunzio
della mia malattia avrebbe fatto un grandissimo piacere []. Io a dispetto di tutti
i miei nemici, debbo star bene []. No no, basta di queste soddisfazioni a tutti colo-
ro che mi hanno (e non so perch!) come la polvere negli occhi31.

Il tono si fa veemente e polemico nella successiva missiva del 28 aprile


1930, nella quale Pirandello consola una Abba scoraggiata per le critiche
subte da parte di alcuni giornali:

Tutta la stampa italiana, tranne rarissime eccezioni, inquinata, in mano a bestie


presuntuose, ignoranti e in malafede, corrotte e servili, a cui con niente si pu far
dire bianco il nero e nero il bianco32.

In una lettera del 14 maggio 1930, lautore se la prende (usando un lin-


guaggio piuttosto colorito) con la stampa romana, rea di stroncare, senza
alcun presupposto critico, le rappresentazioni delle sue opere:

So che razza di canaglie c nella critica romana: quel porco gesuita del DAmico,
che ora stroncandomi sa di far piacere al suo principale Forges-Davanzati;
lAntonelli col Corradini al Giornale dItalia che fa lostruzionismo; e quellal-
tro imbecille del Messaggero, che dopo averlo accolto alle prove della Nuova
colonia perfidamente il giorno dopo ne scrisse male. [] Ma dopo tutto, se c
stampa che non conta nulla, proprio quella romana; ed inutile amareggiarsi il
sangue per ci che quattro bestie in mala fede, pagate, ne diranno33!

Altrove Pirandello si dimostra amareggiato nel constatare la totale indif-


ferenza della stampa in occasione della rappresentazione di Come tu mi vuoi:

30
L. Pirandello, Lettere a Marta Abba, a cura di B. Ortolani, I Meridiani, Mondadori,
Milano 1995, p. 334.
31
Ivi, pp. 420-21. Lettera del 27 aprile 1930.
32
Ivi, p. 424.
33
Ivi, p. 458.
76 Michelangelo Fino

Ho cercato sul Corriere di oggi, se cera qualche telegramma da Roma annun-


ziante lesito del Come tu mi vuoi; ma non ho trovato nulla. Per ogni altro
autore [] i corrispondenti dalle varie citt italiane fanno un telegramma al
Corriere; per me, non si scomoda nessuno, o se qualcuno si scomoda, il tele-
gramma forse cestinato34.

Infine, lautore parla apertamente di complotto, di vera e propria con-


giura del silenzio nei suoi confronti, e definisce unoscena camorra la cam-
pagna denigratoria condotta dalla politica, dalla stampa e dalla critica:

Devo questo alla oscena camorra dei nazionalisti che hanno in mano la stampa,
Corradini e Forges Davanzati, Federzoni e Bottai e compagnia [] Hanno allon-
tanato il pubblico; a denti stretti sono costretti a decretare il trionfo; proibiscono
ai loro critici doccuparsi di me e dei miei lavori; cestinano le notizie dallestero;
apertamente non possono combattermi e distruggermi per il posto che occupo
nellAccademia; e allora la congiura del silenzio, lo spegnitoio, la mormorazione
segreta, tutti i mezzi coperti e delittuosi della pi iniqua camorra35.

Detto questo, Pirandello ricorrer sistematicamente alla carta stampata


per dare voce alle sue idee, come dimostrano, ad esempio, le interviste e gli
articoli relativi al dibattito cinematografico. Lincontro tra lo scrittore e il
cinema assai precoce, coincidendo proprio con gli esordi del cinematografo,
quando lo scrittore assiste alla prima presentazione in Italia dei dodici fil-
metti di Louis Lumire allo Studio fotografico Le Lieure di Roma36 il 13
marzo 1896:

Lo scrittore and indubbiamente a vedere altre proiezioni mobili nei locali che
via via si moltiplicarono [] durante la fase iniziale di sviluppo della nuova
straordinaria invenzione (1896-1904). Fin dallora il cinematografo, come mani-
festazione e applicazione del doppio, dovette destare il suo interesse creativo e
critico37.

Latteggiamento nei confronti del cinema dettato, almeno inizialmente,


da un sentimento di critica diffidenza. Le riserve nutrite da Pirandello, tut-

34
Ivi, p. 461.
35
Ivi, pp. 469-70. La lettera del 19 maggio 1930. Lidea del complotto ritorna in una
lettera del 3 giugno 1930 (ivi, pp. 502-3).
36
F. Cllari, Pirandello e il cinema. Con una raccolta completa degli scritti teorici e creativi,
Marsilio, Venezia 1991, p. 17n. Il connubio cinema-letteratura in Pirandello risale probabil-
mente al biennio 1903-1904, periodo di progettazione del romanzo Filuri (di cui purtroppo
non si hanno tracce), diventato nel 1913 La tigre, che a sua volta uscir nel 1915 con il titolo
Si gira Su questo aspetto cfr. F. Cllari, Pirandello e il cinema, cit., pp. 17-24 e L. Pirandello,
Carteggi inediti, cit., in particolare i carteggi Pirandello-Ojetti, Pirandello-Albertini e
Pirandello-Orvieto.
37
Ivi, p. 17.
Pirandello, il giornalismo e il cinema 77

tavia, non sono state interpretate sempre correttamente. Per Gaspare Giudi-
ce, ad esempio, lautore fu attratto nellorbita cinematografica dalle necessit
di guadagno che lo strinsero quasi sempre durante tutta la vita38. Eppure, la
diffidenza (se non avversione) non impedir a Pirandello di occuparsi fatti-
vamente del mondo cinematografico39 (ben al di l delle necessit economi-
che), dal momento che nel 1915 pubblica Si gira, autentico romanzo-sag-
gio sul cinema muto, che d inizio a un lungo e controverso dibattito sulle
potenzialit, le opportunit e i limiti del cinema. Pi pertinente, a nostro
avviso, la tesi sostenuta da Francesco Cllari, che contesta la generale opi-
nione [] di un Pirandello spregiatore del muto, nemico del parlato, solo
venalmente interessato al cinema, in favore di un Pirandello osservatore
acuto, spettatore critico, vivamente attento alle capacit espressive della
nuova arte40. Innegabile, ancorch legittima, una certa diffidenza iniziale,
ma altrettanto incontestabile un interesse crescente, che lo porter a condur-
re una vera e propria campagna nei confronti del cinema41, attraverso la carta
stampata, seguendo levoluzione del cinematografo fino al passaggio cruciale
dal muto al sonoro che si concretizza alla fine degli anni Venti.
La critica ha rilevato come [p]ur essendo stato il primo scrittore, in senso
assoluto, ad occuparsi creativamente di cinematografo ed anche criticamen-
te, Pirandello, in questultimo campo non formul (a parte la Cinemelogra-
fia) una sua estetica del cinema ma assimil teoriche altrui (in specie di regi-
sti russi e tedeschi)42. Tuttavia, di grande interesse seguire levoluzione del-
latteggiamento pirandelliano nei confronti di un fenomeno artistico, cultu-
rale e sociale destinato a incidere profondamente sulla realt dellepoca. Un
atteggiamento che cambia sensibilmente nel corso degli anni: dalliniziale dif-
fidenza alla curiosit, dal favore accordato al muto allostilit nei confronti
del parlato (nellottica di una difesa del teatro) fino ad arrivare, allinizio degli
anni Trenta, a unautentica conversione, documentata da una lettera indiriz-
zata a Marta Abba43.

38
G. Giudice, Luigi Pirandello, UTET, Torino 1963, p. 511.
39
La diffidenza per il mondo cinematografico la stessa riscontrata per il mondo giorna-
listico. Anche il cinema pieno di volgarissima gente: in questo sporco mondo del
Cinematografo, mondo di malfattori idioti e brutali, dove s accampato il rifiuto e il ributto
di tutta la societ, la putredine: avvocati imbroglioni e senza cause, salumai arricchiti, com-
mercianti senza capitali, gente dogni risma e dogni conio. L. Pirandello, Lettere a Marta
Abba, cit., pp. 260, 1146.
40
F. Cllari, Pirandello e il cinema, cit., pp. 84-85.
41
Il cinema, a sua volta, si interessa a Pirandello a partire dal 1918 quando la Silentium di
Milano produce Il lume dellaltra casa dallomonima novella pirandelliana.
42
F. Cllari, Pirandello e il cinema, cit., p. 112.
43
anche vero che ci sono testimonianze che mettono in dubbio tale conversione: lanimo
dello scrittore, critico e ripugnante nei riguardi del cinema non si modific per quanto fossero
costanti i contatti con questarte. A. Frateili, Pirandello e il cinema, Cinema, 25 dicembre
1936. La testimonianza del Frateili riportata da Gaspare Giudice (Pirandello, cit., p. 511). La
78 Michelangelo Fino

Cambiamenti che, comunque, dimostrano il suo vivo interesse, e che te-


stimoniano quanto lautore intuisca immediatamente le straordinarie poten-
zialit della nuova frontiera artistica:

Pirandello forse tra gli intellettuali [] che collaborano con il cinema []


quello che ha una maggiore coscienza del nuovo mezzo espressivo che gli appare
cos tanto idoneo a esplorare larea delloltre e dellonirico44.

Le prime dichiarazioni pubbliche risalgono alla met degli anni Venti. In


unintervista del 1924 lo scrittore, annunciando la prossima trasposizione
cinematografica de Le Feu Mathias Pascal (1924-25) ad opera dello stimato
regista francese Marcel LHerbier, afferma:

Se alcuni si stupiscono [] del mio tardivo giungere alla cinematografia, sappia-


no che io non ho disprezzato la grandezza del suo dominio n la larghezza delle
sue possibilit. Fino ad ora i rapporti che ho avuto con le case editrici sono stati
poco importanti. Sono stati girati tre miei racconti, senza tradirli, ma senza
abbellirli. In America, una grossa casa si letteralmente gettata sopra uno dei
miei libri. Mi offr un numero rispettabile di dollari se io avessi permesso che la
mia storia venisse filmata, per modificandone la chiusa. [] la mia dignit di
scrittore [] mi vietava, e mi vieter sempre, di sacrificare il mio interesse mora-
le, le mie idee filosofiche e la mia coscienza a uno scopo commerciale. Ora do
con entusiasmo allHerbier, di cui stimo infinitamente il carattere e lingegno, Il
fu Mattia Pascal 45.

Parole che chiariscono meglio liniziale diffidenza per il cinema: non


sacrifica la propria arte al nuovo Dio e nutre forti dubbi sulla qualit e sulla
buona riuscita della riduzione filmica delle sue opere, al punto da avere
fiducia nellarte muta solo di fronte a due grandi artisti come lattore
Mosjoukine e il regista LHerbier; perplessit quindi legate agli uomini e non
alla macchina da presa. Di fatto lalienazione, lo svilimento, la riduzione di
Serafino Gubbio a una mano che gira una manovella46 sembrano gi lonta-

critica sostenitrice di un Pirandello denigratore del cinema ricorda il suo intervento al


Convegno Volta del 1934, ed in effetti lo scrittore drastico quando propone di limitare a
uno solo e a ora fissa lo spettacolo serale dei cinematografi; ma tale discorso va interpretato
nella giusta ottica, perch pi che atto daccusa nei confronti del cinema appare come uno
sprone verso un teatro in difficolt, soprattutto un invito a soddisfare le crescenti esigenze del
pubblico di massa. Cfr. L. Pirandello, Discorso al convegno Volta sul teatro drammatico, in Id.,
Saggi, Poesie, Scritti varii, cit., p. 1040.
44
S. Milioto, Pirandello e il cinema nelle lettere a Marta Abba, in E. Lauretta (a cura di), Il
cinema e Pirandello, Centro Nazionale Studi Pirandelliani, Agrigento 2003, p. 207.
45
N. Pascazio, Pirandello e il cinematografo, Il Secolo, 29 ottobre 1924. Il film
dellHerbier uscito nel 1925 avr un grande successo.
46
L. Pirandello, Quaderni di Serafino Gubbio operatore, in Id., Tutti i romanzi (2 voll.), a
cura di G. Macchia, Mondadori, Milano 1973, vol. II, p. 523.
Pirandello, il giornalismo e il cinema 79

nissimi47, anche perch lattenzione di Pirandello si concentra su altri aspetti


del mondo cinematografico, in sintonia con la fama raggiunta e con le inte-
ressanti opportunit prospettate dal connubio cinema-letteratura.
Un mese dopo (novembre 1924) lo scrittore rilascia una dichiarazione
particolarmente interessante, in quanto rivela un Pirandello addirittura stre-
gato dalle potenzialit del cinema. Unaffermazione che dimostra limportan-
za da lui attribuita al nuovo mezzo di comunicazione, soprattutto in relazio-
ne ai temi e ai modi della sua scrittura:

Io credo che il Cinema, pi facilmente, pi completamente di qualsiasi altro


mezzo despressione artistica possa darci la visione del pensiero. Perch tenerci
lontani da questo nuovo modo despressione che ci permette di rendere sensibili
fatti appartenenti ad un ambito che quasi del tutto interdetto al Teatro e al
Romanzo? [] un film russo che, durante la guerra, mi ha fatto intravedere la
possibilit di questa giovane arte: il Sogno, il Ricordo, lAllucinazione, la Follia,
lo Sdoppiamento della personalit48.

In questa intervista lo scrittore sembra addirittura sottostimare le poten-


zialit espressive e rappresentative del teatro e della narrativa, che non sareb-
bero in grado di approdare nel dominio dellinconscio, rispetto a quelle del
cinema. Se lo considerassimo un errore di valutazione, sarebbe in parte giu-
stificabile per il fatto che, nel 1924, Pirandello non pu prevedere la grande
stagione surreale degli anni Trenta, in cui, proprio attraverso la letteratura e
le novelle in particolare, riuscir a rendere a pieno la visione del pensiero,
sperimentando soluzioni artistiche ed espressive tipicamente cinematografi-

47
Questa enorme distanza non deve trarre in inganno, non deve cio essere interpretata
come incoerenza da parte dello scrittore agrigentino: il protagonista e la storia del Si gira
costituiscono un soggetto estremamente interessante su cui lautore innesta la visione della
realt, i temi e le forme tipici della sua poetica. Lo straniamento del protagonista, la sua assue-
fazione alla macchina da presa che inghiotte voracemente lesistenza degli individui non sono
che una delle tante espressioni del sentimento pirandelliano della vita moderna.
Indubbiamente in Serafino ravvisabile una certa avversione pirandelliana per la meccanizza-
zione della realt e nel romanzo esplicita la difesa del teatro dallassalto della macchina, che
con le sue riproduzioni meccaniche [] riempie le sale dei cinematografi e lascia vuoti i tea-
tri. (L. Pirandello, Quaderni di Serafino Gubbio operatore, cit., p. 585). Sarebbe sbagliato,
per, identificare il protagonista con il suo autore, che resta sempre il creatore di copioni che
gli attori, e non il regista, devono interpretare e recitare. Come sottolinea Giuseppe Petronio,
nel Si gira il tema centrale una riflessione appassionata [] sulla condizione delluomo
nellet delle macchine, dove il cinema solo la macchina scelta a modello e a simbolo di tutte
le altre. G. Petronio, Pirandello e il cinema, in E. Lauretta (a cura di), Pirandello e il cinema,
Atti del convegno internazionale (Agrigento, 1977), Centro Nazionale di Studi Pirandelliani,
Agrigento 1978, p. 42.
48
Intervista apparsa sulla rivista francese Les Nouvelles Littraires (1-15 novembre
1924), in F. Cllari, Pirandello e il cinema, cit., p. 10. Il film russo cui Pirandello allude Padre
Sergio (1917) tratto dallomonimo racconto di Tolstoj.
80 Michelangelo Fino

che. Probabilmente, per, si tratta di civetteria, di autocompiacimento, come


indicherebbe lidea che la visione del pensiero sia un ambito quasi del
tutto interdetto al Teatro e al Romanzo: quel quasi del tutto ridurrebbe al
minimo le possibilit rappresentative di questo ambito (la visione del pen-
siero, appunto) da parte del teatro e del romanzo. Ebbene, Pirandello finge
di ignorare che lui, in realt, quella piccola opportunit lha sfruttata al
meglio, praticandola sin dallinizio con risultati via via pi apprezzabili: lol-
tre, la dimensione altra da s sono territori attraversati gi dalle prime prove
narrative. Allucinazione, follia e sdoppiamento della personalit sono tratti
riconoscibilissimi dei suoi primi personaggi come degli ultimi. Certo la scrit-
tura delle immagini comporta difficolt maggiori, a volte insuperabili, rispet-
to alla visione delle immagini, ma Pirandello riesce benissimo a colmare que-
sto gap rappresentativo e lo fa, spesso, utilizzando proprio unimmagine e una
situazione cinematografica: il viaggio ferroviario. Lo scrittore agrigentino,
nella sua produzione narrativa, ricorre spesso al treno49, che notoriamente
assimilabile al cinema (soprattutto per quanto concerne la dimensione meta-
temporale e metaspaziale), tanto da essere scelta quale immagine inaugurale
della nuova arte (si pensi allingresso in stazione della locomotiva sbuffante
nella prima pellicola dei fratelli Lumire).
Da questo punto di vista, si pu ipotizzare che la dimensione cinemato-
grafica aleggi quasi inconsapevolmente e a uno stato embrionale gi da tempo
sulla scrittura pirandelliana, e che il mondo del cinema sia il naturale appro-
do di un percorso creativo iniziato molti anni prima.
Le potenzialit del cinema nel rappresentare linconscio, nel rendere la
visione del pensiero vengono ribadite in unaltra intervista risalente allotto-
bre del 1928. Unintervista il cui contenuto di estremo interesse per due
motivi: da una parte conferma alcune convinzioni pirandelliane, come le pos-
sibilit rappresentative del cinema (sconosciute al teatro e alla narrativa), e la
centralit, nella creazione cinematografica, dei registi e degli attori e, in un
certo senso, la loro superiorit rispetto alle macchine; dallaltra anticipa due
concetti che, successivamente, rappresenteranno il fulcro del dibattito cine-
matografico dellautore (la cinemelografia50 e la distinzione dei campi entro

49
Sono trentaquattro le novelle caratterizzate, in un modo o nellaltro, dal viaggio in treno
(che anche lo spazio-chiave del romanzo Il fu Mattia Pascal). Sul significato del treno e sul
valore simbolico-narrativo del viaggio su rotaie cfr. il mio volume Nella tenebra di una sta-
zione deserta. Il viaggio in treno nelle novelle di Pirandello, in L. Pirandello, Quattro novelle di
viaggio, a cura di L. Martinelli, Allori, Imola 2008. A conferma dellavversione pirandelliana
per i prodotti della modernit, va rilevato come anche il treno, al pari della macchina da presa,
unimmagine inquietante e minacciosa; nella lirica Esame, apparsa sulla Nuova Antologia
il 16 agosto 1910, Pirandello lo definisce un demon, un ferreo mostro: e avanti, avanti,
nella notte sola, / gelida, nera, mi conduce fino / allorlo di un abisso, e l mi lascia. L.
Pirandello, Saggi, Poesie, Scritti varii, cit., p. 843.
50
Il primo accenno alla rivoluzione cui aspira Pirandello (il cinema musicato) lo ritrovia-
mo in una lettera a Marta Abba datata 6 luglio 1928: Ho comprato a Roma tanti libri su
Pirandello, il giornalismo e il cinema 81

cui devono operare cinema, teatro e letteratura). Ai dubbi dellintervistatore


circa la buona riuscita della trasposizione cinematografica dei Sei personaggi 51,
cos risponde Pirandello:

Ho una fiducia grandissima in Murnau. Solo lui potr capirmi, solo con lui io
potrei accingermi a comporre e a girare il lavoro. [] E le dico che se Murnau ci
mette mano, Sei personaggi ci guadagneranno in evidenza, direi quasi in origina-
lit. [] Ci che detto o sottinteso nel lavoro, nel film si vedr realmente e suc-
cessivamente svolgersi52.

Parlando poi di come lopera verr resa cinematograficamente, annuncia


entusiasta la possibilit offerta dal cinema di rappresentare simultaneamente e
interattivamente i diversi piani del dramma53:

il mondo dellautore e delle creature che gli forniscono lo spunto (piano della
realt); quello dei personaggi, pallidi dapprima come fantasmi, poi sempre pi
distinti e alla fine superreali e dal corpo potente, statuario, incombente (piano
fantastico); e il mondo degli attori (piano teatrale) si incroci[a]no senza distur-
barsi ed anzi ottenendo unevidenza pari e una ricchezza anche maggiore di quel-
la del lavoro teatrale54.

Queste parole sembrerebbero sancire il sorpasso del cinema nei confronti


del teatro, se non fosse che lintervista si chiude con un severo monito di
Pirandello, che critica le forme e i linguaggi del cinema e invita a distingue-
re nettamente gli ambiti entro cui il nuovo mezzo di comunicazione deve
operare, anticipando ci che dir nel suo saggio cinematografico Se il film
parlante abolir il teatro. Lerrore del cinema , secondo lo scrittore, quello di
voler copiare il teatro e la letteratura, mentre dovrebbe seguire una strada
nuova e autonoma, sfruttando quelle prerogative artistiche che teatro e lette-
ratura non hanno:

Beethoven, per quellidea che Tu sai; e son dietro a leggerli. Verranno visioni magnifiche, e cose
non mai viste. L. Pirandello, Lettere a Marta Abba, cit., pp. 36-37.
51
Curiosamente e inspiegabilmente, come ricorda Cllari, ci sono stati ben 48 progetti di
realizzazione cinematografica dei Sei personaggi senza che nessuno andasse a buon fine. Cfr. F.
Cllari, Pirandello e il cinema, cit., pp. 34 sgg.
52
E. Rocca, Luigi Pirandello e le sue grandi novit cinematografiche, Il Popolo dItalia, 4
ottobre 1928. La fiducia al Murnau verr ribadita in unintervista apparsa su Comoedia il
15 gennaio 1929.
53
Unanticipazione sul film dei Sei personaggi Pirandello laveva data in due interviste, una
apparsa su LImpero il 12 marzo 1927, laltra su La fiera letteraria il 22 aprile 1928. In que-
stultima fa anche riferimento alla scomposizione su tre piani della trasposizione cinematogra-
fica (reale, fantastica, teatrale).
54
E. Rocca, Luigi Pirandello e le sue grandi novit cinematografiche, cit.
82 Michelangelo Fino

Il cinematografo, in altri termini, stato finora commedia, dramma: teatro, o novel-


la, romanzo: narrazione; stato drammatico o narrativo nel senso letterario della paro-
la. Quasi mai cinematografo. E cio una cosa a parte, che non teatro [] In teatro
io sono stato un rivoluzionario. Vorrei, se potessi e sono certo che potr portare
anche nel campo cinematografico la rivoluzione chio sogno. [] Cosa occorre al
cinematografo? Occorre [] levargli la parola. E forse non come Lei intende: sulle-
liminazione graduale o totale delle didascalie tutti sono infatti daccordo. Quando
dico levargli la parola intendo strappargli il tessuto, il contesto logico. Fargli espri-
mere lincosciente o, se meglio le piace, il suo cosciente: tutto ci che alla parola si
ribella: la materia del sogno. Si pu raccontare un sogno a parole55?

Evidentemente la risposta negativa, per quanto, come abbiamo gi rile-


vato, Pirandello negli anni Trenta sapr rendere la visione del pensiero e del
sogno attraverso alcune novelle propriamente surreali (si pensi a Soffio, Di
sera, un geranio e Una giornata). Di fatto sembra aver individuato nel cinema
lo strumento rappresentativo pi adatto a rendere lindeterminatezza della
vita interiore, di quellinvisibile nascosto dietro il visibile, dellirrazionale
radicato nel razionale che da sempre costituiscono i cardini della sua poetica.
Il binomio cinema-subcosciente viene ribadito in unintervista del 13 ottobre
1928, in cui riafferma lassoluta necessit per il cinema di sottrarsi al ruolo di
surrogato del dramma, del romanzo, della commedia:

Invece il cinematografo deve essere soltanto cinematografo. Niente romanzo,


niente dramma, niente commedia. E niente parole. Le parole sono i fili condut-
tori della logica. Servono ad esprimere il cosciente. Ora se il cinematografo vuole
essere unarte vera e nuova, deve lasciare le vecchie strade. Esso non pu espri-
mere il cosciente, ma tutto ci che per essere espresso non ha bisogno delle paro-
le. Deve rivelarci lincosciente. Allora soltanto sar unarte. Come? domando. Ma
la domanda resta senza risposta56.

Anche in questa occasione allude alla rivoluzione che ha in mente, senza


per svelarne il contenuto: una precisa strategia critico-poetica (e di marke-
ting), che mira ad accrescere le aspettative e la curiosit del pubblico.
La parola-chiave non viene pronunciata, eppure il discorso sembra conte-
nere in nuce ci che lautore dir un anno dopo a proposito della sua rivolu-
zione cinematografica: la cinemelografia. come se, in questa intervista,
individui il problema indicando per solo genericamente la strada da percor-
rere, proponendo una vera e propria soluzione solo nei due articoli-saggio del
1929 57 (soluzione che lo scrittore ha in mente gi dallanno precedente, come
dimostra la lettera alla Abba del 6 luglio 1928).

55
Ibidem.
56
L. Bottazzi, Visita a Pirandello, Corriere della Sera, 13 ottobre 1928.
57
Pirandello contro il film parlato e Se il film parlante abolir il teatro.
Pirandello, il giornalismo e il cinema 83

In unintervista del gennaio 1929, lo scrittore polemizza con lItalia, e in


particolare con gli impresari e gli industriali cinematografici, colpevoli di
averlo costretto a trasferirsi a Berlino (la Hollywood europea) per realizza-
re i film tratti dalle sue opere:

Volendo, come dicono, far rinascere la nostra cinematografia, mi pareva che non
si potesse dare occasione migliore di questa. Esposi sul Popolo dItalia [] le
mie idee, i miei propositi filmistici. Nessuno ha mostrato, non dico di appassio-
narsi ad essi, ma per lo meno di incuriosirsene. Salvo Mussolini, il quale vede
tutto, sa tutto e che, nelludienza accordatami, ha voluto chio gli illustrassi le mie
idee, le mie trovate tecniche per la traduzione cinegrafica delle mie visioni dar-
te. [] Viceversa non appena conosciute le mie intenzioni, industriali tedeschi e
americani si sono affrettati a farmi offerte lusinghiere58.

In margine a questa polemica, lautore indica unaltra caratteristica della


sua idea cinematografica, instaurando un interessante parallelismo con la sua
produzione narrativa: come nelle opere anche nei film la realt sar creata e
non semplicemente fotografata. Il presupposto di partenza che il cinema, al
pari della letteratura e del teatro, inteso come unarte a tutti gli effetti:

Larte, infatti, crea una realt, non copia mai una realt. La realt reale in for-
mazione continua, perch la vita muta continuamente, mentre larte crea una
realt definitiva. [] Non far quindi, nemmeno sullo schermo, opera di foto-
grafo, nonostante la macchina da presa, ma dinterprete59.

Il concetto pirandelliano di artisticit del cinema sar parzialmente condiviso


da Walter Benjamin che, nel saggio Lopera darte nellepoca della sua riproducibi-
lit tecnica (1936), riporter limpressione di Franz Werfel in occasione della ridu-
zione cinematografica di unopera di Shakespeare nel 1935, secondo cui a bloc-
care laccesso del film al regno dellarte, la sterile copia del mondo esterno60.
Arriviamo, cos, al periodo cruciale del dibattito cinematografico piran-
delliano, quello compreso tra laprile e il luglio del 1929. Un anno non casua-
le, dal momento che segna, in Italia, il passaggio dal muto al parlato (The
Jazz Singer il primo film sonoro della storia del cinema61, proiettato a New

58
E. Roma, Pirandello poeta del cine, Comoedia, 15 gennaio 1929. Lintervista cui
allude Pirandello quella apparsa su Il Popolo dItalia il 4 ottobre 1928.
59
E. Roma, Pirandello poeta del cine, cit.
60
W. Benjamin, Lopera darte nellepoca della sua riproducibilit tecnica, premessa di C.
Cases, trad. it. di E. Filippini, Einaudi, Torino 1991, p. 31.
61
In realt, come ricorda Guido Fink, Il Cantante di Jazz non il primo film con colon-
na sonora interamente sincronizzata (lo ha preceduto di quattordici mesi un Don Juan []),
e nemmeno il primo all talkie, che arriver solo nel luglio 1928 con Lights of New York. G.
Fink, Voce di macchina e voce del Padre (Se il film parlante abolir il teatro), in AA.VV.,
Pirandello saggista, Palumbo, Palermo 1982, p. 274.
84 Michelangelo Fino

York nel 1927 ad opera della Warner Bros, e uscito a Milano nel 1929). Nel
mese di aprile lautore rilascia due interviste in cui esce finalmente allo sco-
perto in merito a quella rivoluzione cinematografica cui tante volte ha accen-
nato: riprende concetti gi illustrati in precedenza, ma soprattutto anticipa
ci che dir due mesi dopo nel saggio cinematografico Se il film parlante abo-
lir il teatro. Il 14 aprile del 1929 afferma:

Bisogna liberare [] la cinematografia dalla letteratura. Romanzo e dramma


hanno bisogno della parola. La cinematografia un linguaggio di apparenze, e le
apparenze non parlano. Il linguaggio delle apparenze la musica. [] Non c
bisogno daltro: musica e visione. I due organi estetici per eccellenza, vista e
udito, ci affondano nel subcosciente, laddove la letteratura nasce dal cosciente
[]. La voce degli attori al cinema un assurdo. Gli attori del cinematografo non
sono personaggi, ma larve. Immaginate le larve parlanti: macabre e spaventose.
Le immagini del film sono distanti, figure lontane nei luoghi del film []. La
voce suoner invece sempre troppo vicina nella sala, in un modo innaturale e
insopportabile. Il male di aver tenuto il film sulla via impropria della letteratu-
ra e ora per rimedio gli si vuol dare la parola. Il rimedio peggiore del male62.

Pirandello si schiera apertamente contro il film parlato, definendo assur-


do quel cinema che pretende di dare la parola agli attori, che, sottolinea lau-
tore, non sono personaggi, ma larve. Altrove Pirandello addurr anche
ragioni tecnico-pratiche per spiegare la sua avversione63; per il momento si
limita a sottolineare leffetto straniante che produrrebbe il suono delle voci
rispetto alle immagini visualizzate sullo schermo, e propone di sostituire la
musica alla parola. Si tratta di quella cinemelografia annunciata pubblica-
mente per la prima volta nella successiva intervista del 19 aprile, che ancor
pi della precedente anticipa il contenuto dello scritto programmatico:

Ecco, sono venuto qua [Londra] per vedere questi film parlanti. [] Tutto il
mondo cinematografico inquieto e ansioso per questi film parlanti che hanno
sconvolto lindustria e sembrano iniziare una rivoluzione definitiva, aprire un
nuovo orizzonte. Ne ho visti 5 di questi film sonori a Londra
E lhanno convertito?
Tuttaltro. Mi hanno confermato il mio giudizio che contrario64.

62
C. Alvaro, Pirandello parla della Germania del cinema e di altre cose, LItalia letteraria,
14 aprile 1929.
63
Avversione riconducibile, in parte, alla diffidenza pirandelliana per le novit tecnologi-
che e che, in questo caso, tradisce clamorosamente lautore agrigentino, visto lenorme e inar-
restabile successo che avr il film parlato.
64
O. Rizzini, Pirandello contro il film parlato, Corriere della Sera, 19 aprile 1929. In una
lettera alla Abba del 16 aprile 1929, proprio allindomani della visione del primo film parla-
to, Pirandello parla di orrore: Non ti dico che orrore! Certe voci La distruzione dogni
illusione! Le figure parevano ventriloque [] una voce che non era umana! Se Dio vuole, e
Pirandello, il giornalismo e il cinema 85

Dopo aver illustrato gli inconvenienti del cinema parlato gi espressi nel-
lintervista del 14 aprile, muove anche delle obiezioni di natura pratica ed
economica che nei decenni successivi verranno per disattese, per quanto alla
fine degli anni Venti non certamente prevedibile lo straordinario progresso
conosciuto dal cinema e in particolare limporsi della pratica del doppiag-
gio65. Un errore di valutazione, quindi, assolutamente giustificabile:

E vi sono le considerazioni finanziarie e le considerazioni pratiche: il film parla-


to non ha linternazionalit del film silenzioso. vero che lAmerica disposta a
fare versioni tedesche dei film parlati, perch il mercato tedesco paga. Ma quan-
ti altri paesi saranno tagliati fuori?
[]
[] V pericolo insomma che lindustria europea si trovi fuorviata. Ma allora
qual il rimedio66?

Il rimedio, secondo Pirandello, appunto la cinemelografia, che nel-


lottica di un discorso puramente economico, rappresenta larma, in un pecu-
liare clima da guerra fredda Usa-Europa, per contrastare lo strapotere ameri-
cano, per far s che lEuropa non venga tagliata fuori67. Lautore grida addi-
rittura al complotto in chiave antieuropea, un sabotaggio del sonoro ai danni
del cinema muto. Sul versante propriamente critico, invece, la cinemelogra-
fia costituisce lunica ancora di salvezza per un agonizzante cinema, lunico
modo per sottrarsi alla letteratura ed essere unarte compiuta e originale:

La cinematografia [] un linguaggio di apparenze. Le apparenze non parla-


no. [] Il linguaggio delle apparenze pu essere soltanto la musica. Bisogna leva-
re la cinematografia dalla letteratura e metterla soltanto nella musica. Musica e
non pi letteratura deve essere lelemento fantastico della cinematografia. Il lin-
guaggio nuovo delle apparenze non pu essere altro che la musica e la cinemato-
grafia deve essere il linguaggio visibile della musica. [] Cine-melografia. La
musica parla a tutti, e tutti ascoltandola immaginano qualche cosa: immagini
varie, fluttuanti, luminose o fosche, lievi o potenti, liete o dolorose, tutte imma-
gini che nascono dai sentimenti che la musica esprime, con un movimento lento
o affrettato a seconda del ritmo. Non vi bisogno daltro. Pura musica e pura
visione. Qualunque musica: la canzone popolare o le sinfonie di Beethoven: qua-
lunque musica interpretata visivamente e da un poeta in immagini: in un ocea-

codeste bestie vogliono seguitare cos, sar la morte della cinematografia e la salvezza e il risor-
gimento del teatro. L. Pirandello, Lettere a Marta Abba, cit., p. 137.
65
Nei primi anni Trenta, quando Pirandello cambier idea sul film parlato, il suo giudi-
zio negativo si concentrer proprio sulla pratica del doublage. Cfr. infra, pp. 90-91.
66
O. Rizzini, Pirandello contro il film parlato, cit.
67
Paradossalmente, sar proprio lAmerica a tradurre in concreto lidea pirandelliana della
cinemelografia (che lo stesso autore abbandoner negli anni successivi), con il film della
Disney, Fantasia (1940).
86 Michelangelo Fino

no sul quale la cinematografia potr navigare a vele spiegate per approdare feli-
cemente ai porti prodigiosi del miracolo. []
Avanti, dunque, signori poeti dItalia: lidea affascinante68.

Sorvolando sullenfasi e sullinconsueto tono retorico che portano


Pirandello a sfruttare la tradizionale metafora della barca che solca le acque
del mare, interessante notare alcune scelte lessicali. Per esempio il fatto che
lo scrittore non utilizzi mare, ma oceano: si potrebbe scorgere unallusio-
ne a un oceano ben preciso (lAtlantico) e quindi una controffensiva euro-
pea allattacco americano del cinema sonoro. Altrettanto significativo il ricor-
so a poeti: proprio perch Pirandello intende svincolare il cinema dalla let-
teratura, il termine vuole ribadire la piena dignit artistica assegnata al cine-
ma, per cui il regista un poeta, un creatore (per usare unespressione cara
al drammaturgo) di immagini musicate, o meglio di musica interpretata
visivamente. un Pirandello entusiasta della sua idea (affascinante) quel-
lo che trapela dalle parole rilasciate allintervistatore. Contemporaneamente,
lautore pensa a unaltra idea originalissima, che confida alla Abba pochi
giorni dopo lintervista contro il film parlato:

avrai letto ci chio penso dei films-parlanti. E non ostante questo mio giudizio
contrario, far, far un film-parlante; ma che sar contro i films-parlanti. []
Luomo ha dato alla macchina la sua voce, e la macchina ora parla []. Sar un
film-parlato; ma parler solo la macchina; e la voce da ventriloquo allora non
offender pi, perch non vorr pi essere una voce umana, ma la voce della mac-
china, e tutto sar salvo. Lidea magnifica69.

Unesauriente ricostruzione etimologica del neologismo pirandelliano ci


viene da Sergio Raffaelli, secondo cui sulla nascita del composto costruito su
tre elementi lessicali greci, di largo o prestigioso impiego: cine-, -melo-, -gra-
fia [] si possono fare tre congetture; la pi pertinente sarebbe quella per
cui il neologismo sia nato dalle esperienze artistiche e culturali che nel corso
degli anni Venti Pirandello visse allestero e in particolare a Parigi [] per
dare forma al neologismo riprese cio cinegrafia [dal francese cingraphie],
innestandovi -melo-, forse nel ricordo legittimante dellalfieriana trameloge-
dia70.

Le testimonianze (pubbliche e private) lasciate da Pirandello durante gli


anni Venti devono indurre a ridimensionare limportanza attribuita allo scrit-
to cinematografico del 1929, dal momento che Se il film parlante abolir il

68
O. Rizzini, Pirandello contro il film parlato, cit.
69
L. Pirandello, Lettere a Marta Abba, cit., pp. 141-42.
70
S. Raffaelli, Il cinema nella lingua di Pirandello, Bulzoni Editore, Roma 1993, pp. 116-17.
Pirandello, il giornalismo e il cinema 87

teatro non aggiunge nulla di nuovo al dibattito cinematografico pirandellia-


no. Assume rilievo pi che altro per la sua veste formale, in quanto autenti-
co articolo-saggio con un alto valore programmatico. come se Pirandello
voglia sistemare definitivamente le sue idee in fatto di cinema, raccogliendo-
le in un unico luogo per dare anche nuovo vigore al suo pensiero. Lincipit
del saggio ripropone lidea gi espressa nellintervista del 19 aprile 1929, in
cui polemizza con il film sonoro americano. Lelemento di novit, semmai,
rappresentato dallo stato danimo del drammaturgo che, nel difendere il tea-
tro dallassalto del cinema parlato e nel ribadire il favore accordato al muto
musicato, appare turbato da uneresia ascoltata di recente:

Ebbene, in questi giorni di grande infatuazione universale per il film parlante, io


ho sentito dire questeresia: che il film parlante abolir il teatro; che tra due o tre
anni il teatro non ci sar pi; tutti i teatri, cos di prosa come di musica, saranno
chiusi perch tutto sar cinematografia, film parlante o film sonoro.
Una cosa simile detta da un Americano, con quel piglio ch naturale agli
Americani, dallegra arroganza, anche quando paja (come ) uneresia, sascolta
simpaticamente perch genuino negli Americani lorgoglio dellenormit. []
Ma ripetuta, come lho sentita ripetere io, da un Europeo, una cosa cos enorme
e bestiale perde ogni grazia genuina e diventa stupida e goffa. [] Il teatro intan-
to, cos di prosa come di musica, pu star tranquillo e sicuro che non sar aboli-
to, per questa semplicissima ragione: che non lui, il teatro, che vuol diventare
cinematografia, ma lei, la cinematografia, che vuol diventare teatro71.

Il fatto che tale eresia provenga da un europeo allarma Pirandello, che


avverte una sorta di cedimento da parte della roccaforte del teatro. La pro-
spettiva di non avere pi il sostegno dellEuropa nella sua battaglia, il timore
che preoccupatissimi e spaventati di questo diavolo di invenzione della mac-
china che parla i signori mercanti dellindustria cinematografica europea
possano effettivamente spianare la strada al film parlato spingono lautore a
rincarare la dose e a preoccuparsi di dare un sostegno teorico esaustivo alla
sua teoria cinematografica, scrivendo appunto un articolo-saggio che rappre-
senta la summa delle sue idee a riguardo. Pirandello elenca tutte le ragioni per
cui il teatro non ha nulla da temere: lerrore del cinema di mettersi sulla stra-
da della letteratura, il voler imitare il teatro, la volont di dare meccanica-
mente la parola alle immagini, che per definizione non parlano, e cos via.
Alla pars destruens segue quella construens, con la proposta, genuinamente
pirandelliana, della cinemelografia:

Lasci [il cinema] la narrazione al romanzo, e lasci il dramma al teatro. La lettera-


tura non il suo proprio elemento; il suo proprio elemento la musica. Si liberi

71
L. Pirandello, Se il film parlante abolir il teatro, Corriere della sera, 16 giugno 1929,
in Id., Saggi, Poesie, Scritti varii, cit., pp. 1031-32.
88 Michelangelo Fino

dalla letteratura e simmerga tutta nella musica. [] la cinematografia potr esse-


re il linguaggio visivo. Ecco: pura musica e pura visione. I due sensi estetici per
eccellenza, locchio e ludito, uniti in un godimento unico: [] sommovendo il
subcosciente che in tutti, immagini impensate, che possono esser terribili come
negli incubi, misteriose e mutevoli come nei sogni, in vertiginosa successione o
blande e riposanti, col movimento stesso del ritmo musicale. Cinemelografia,
ecco il nome della vera rivoluzione: linguaggio visibile della musica72.

Come si vede, si tratta di concetti ampiamente espressi negli anni prece-


denti. Cos come non nuova limmagine che chiude il saggio, per quanto
offra uno spunto interessante nellottica della contrapposizione America-film
parlato/Europa-film musicato:

Se finora la letteratura stato un mare avverso, su cui la cinematografia ha mala-


mente navigato, domani superate le due colonne dErcole della narrazione e del
dramma, essa sboccher liberamente nelloceano della musica, dove a vele spie-
gate potr alla fine, ritrovando se stessa, approdare ai porti prodigiosi del mira-
colo73.

Ritorna la metafora della barca accanto a uninedita identificazione artisti-


co-geografica soltanto allusivamente evocata nelle precedenti interviste (in par-
ticolare in quella del 19 aprile 1929): mare-letteratura, oceano-musica, colonne
dErcole-narrazione e dramma. Il riferimento nuovo costituito dalle colonne
dErcole, che sembrerebbero avallare lipotesi precedentemente avanzata: lascia-
re il Mediterraneo, superare lo stretto di Gibilterra e, Ulisside trionfante, solca-
re lOceano Atlantico per approdare ai porti americani. Non subire dunque
passivamente linvasione del film parlato americano, ma far sbarcare, proprio
il caso di dirlo, la cinemelografia sulle coste statunitensi.
Sarebbe anche ipotizzabile, a questo punto, una precisa strategia da parte
di Pirandello, che mente sapendo di mentire: di fronte al pericolo concreto
della crisi del teatro e consapevole della forza del cinema parlato, lautore si
ostina ad attaccarlo ponendosi come ultimo baluardo del vecchio caro teatro
e del Vecchio Continente. Un indizio potrebbe essere la lettera inviata a
Marta Abba il 27 maggio 1930. Occorre anche ricordare che lintervento di
Pirandello arriva dopo molti altri, senza i quali non si spiegherebbero n il
preambolo sullAmerica n gli accesi toni polemici74.
Daltra parte, questa polemica si inserisce pienamente allinterno della cri-
tica pirandelliana nei confronti della meccanizzazione della realt che ha
come obiettivo primario proprio lAmerica, dove le macchine hanno deter-

72
Ivi, pp. 1035-36.
73
Ivi, p. 1036.
74
G. Fink, Voce di macchina e voce del Padre (Se il film parlante abolir il teatro), cit.,
p. 274.
Pirandello, il giornalismo e il cinema 89

minato il trionfo dellesteriorit; trionfo brutale e dilagante, che schiaccia e


appiattisce e soffoca75.
questo un atteggiamento ricorrente e per certi versi sorprendente da
parte dello sperimentatore agrigentino. La contraddittoriet di tale atteggia-
mento , a nostro parere, solo apparente, perch riconducibile a un conser-
vatorismo nei confronti del progresso e della meccanizzazione che coabita
con un convinto progressismo nellarte.

In un articolo apparso su La Nacin il 7 luglio 1929, nel sottolineare le


forti corrispondenze tra cinema e sogno, ribadisce la sua netta contrariet al
film parlato:

non c [] assurdo pi grande degli esperimenti che si stanno facendo in mate-


ria di cinema parlato. Fin dal principio lo considero come unesperienza senza
esito, perch tenta di ottenere nel cinema effetti riservati per la scena e perch
non pu allo stesso tempo rendere giustizia allidea della produzione e allidea
della pellicola. [] debbo ammettere ci nonostante che ho idea di mettermi a
lavorare con il compito di cercare unopera darte per il cinema, unopera darte
che sia di pura visione, completamente distinta dal linguaggio []. Voglio indi-
care nuove strade al cinema. Come sar tecnicamente possibile che queste strade
risultino transitabili ancora il mio segreto, il quale per sar presto rivelato dal
mio lavoro che dar al pubblico76.

, in realt, il preludio alla conversione al parlato dei primi anni Trenta.


Cos scrive alla Abba:

Lavvenire dellarte drammatica e anche degli scrittori di teatro adesso l credi


bisogna orientarsi verso una nuova espressione darte: il film parlato. Ero con-
trario: mi sono ricreduto77.

75
O. Vergani, Con Pirandello, di ritorno dallAmerica, LIdea Nazionale, 8 marzo 1924.
Su questo aspetto cfr. anche E. Possenti, Colloquio con Luigi Pirandello, Corriere della Sera,
28 ottobre 1930, G. Villaroel, Colloqui con Pirandello, Il Giornale dItalia, 8 maggio 1924 e
D. Segre, Pirandello, Le grandi firme, 1 luglio 1924.
76
L. Pirandello, Il dramma e il cinematografo parlato, La Nacin, Buenos Aires, 7 luglio
1929, ora con il titolo Dramma e sonoro, in F. Cllari, Pirandello e il cinema, cit., pp. 125-27.
Il lavoro cui allude Pirandello verosimilmente Sei personaggi in cerca dautore, mentre il
segreto, almeno in Italia, lo ha gi svelato.
77
L. Pirandello, Lettere a Marta Abba, cit., p. 491. La lettera datata 27 maggio 1930 e
contiene una testimonianza assai rilevante, dal momento che Pirandello per la prima volta
accetta apertamente lidea del parlato. Ma un indizio della conversione presente in una let-
tera del 6 maggio 1929, in cui lautore pone la questione dellinternazionalizzazione del film
parlato, la necessit cio di far parlare nelle varie lingue gli attori (riprendendo la polemica
antiamericana dellintervista Pirandello contro il film parlato del 19 aprile 1929): Tutto il
mondo cinematografico in rivoluzione. Pare che il film-parlante sia veramente un prodigio:
sono riusciti ad ottenere alla perfezione la voce umana, vicina, lontana, timbrata in tutti i
90 Michelangelo Fino

Lo scrittore, dunque, cambia atteggiamento nei confronti del cinema


sonoro, accettando lidea di immagini parlanti sullo schermo e criticando,
ora, la pratica del doppiaggio. La conversione pirandelliana probabilmente
indotta anche dal successo di pubblico e di critica riscosso dal primo film ita-
liano sonoro, La canzone dellamore, tratto dalla novella pirandelliana In silen-
zio, uscito l8 ottobre 1930. Lautore non approva i mutamenti imposti alla
novella dalla resa cinematografica e, di fronte alle difficolt economiche del-
lindustria del cinema, non tralascia di rammentare le sue previsioni profeti-
che espresse nellarticolo-saggio del 1929; tuttavia nel pubblicizzare Gioca,
Pietro!, lo scenario da lui scritto appositamente per il cinema, Pirandello, di
fatto, dimostra di aver accettato lidea del sonoro, ponendo per una condi-
zione imprescindibile, quella cio di rinunciare al doublage:

Lo scenario che ho consegnato in questi giorni alla Cines e che sintitola Giuoca,
Pietro!, superando gli equivoci delle deleterie esperienze, vuol essere uno dei
primi saggi di cinematografia parlata e sonora, secondo le mie conclusioni78.

Le conclusioni di cui parla sono quelle gi espresse nel saggio del 1929 (e
in altre interviste), laddove si sofferma sulla stretta connessione tra cinema e
inconscio, e sulle possibilit che il cinema, pi del teatro e della letteratura,
ha di rendere la visione del pensiero (il subcosciente, lonirico e il visionario).
La parte iniziale dello scenario Gioca, Pietro!, infatti, realizza il passaggio dal
piano del vissuto a quello onirico. Una situazione che, mutata, ritorna nelle
novelle ferroviarie: il movimento sussultorio del treno in corsa assimilabile
al movimento stesso del ritmo musicale79, cos come le immagini impen-
sate, che possono esser terribili come negli incubi, misteriose e mutevoli
come nei sogni, in vertiginosa successione o blande e riposanti80, evocano lo
scorrere delle immagini fuori dal finestrino in una dimensione che, tanto
seduti davanti a uno schermo quanto seduti su un sedile di seconda classe,
sommovendo il subcosciente81, proiettano nel mondo del sogno. Come
avviene, ad esempio, alla protagonista della novella Il viaggio:

Andava in treno per la prima volta. A ogni tratto, a ogni giro di ruota, aveva lim-
pressione di penetrare, davanzarsi in un mondo ignoto, che dimprovviso le si

modi. [] Rester sempre per da risolvere la internazionalizzazione del film, che con la paro-
la verr a essere distrutta: gli attori inglesi non potranno che parlare inglese; i tedeschi, tede-
sco. Ivi, p. 116.
78
E. Roma, Pirandello e il cinema, Comoedia, 15 luglio-15 agosto 1932. Dallo scenario
Gioca, Pietro! tratto il film di Walter Ruttmann Acciaio (1933). La critica ha mosso dubbi
circa la paternit pirandelliana di tale sceneggiatura, ritenendo decisivo il contributo del figlio
Stefano. Su questo aspetto vedi F. Cllari, Pirandello e il cinema, cit., pp. 78-84.
79
L. Pirandello, Se il film parlante abolir il teatro, cit.
80
Ibidem.
81
Ibidem.
Pirandello, il giornalismo e il cinema 91

creava nello spirito con apparenze che, per quanto le fossero vicine, pur le sem-
bravano come lontane [] il mondo era un sogno82.

Lintervista del 1932 prosegue con un duro attacco contro il doppiaggio,


al punto che dice di preferirgli mille volte il muto, con didascalie:

Occorre prendere accordi con i mercati esteri e con le Case di produzione, per
poter girare sempre simultaneamente, edizioni dirette, nelle varie lingue, con
attori dei rispettivi paesi. tramontata lepoca degli attori internazionali. Come
in teatro, anche nel cinema ciascuna nazione deve avere i propri attori. [] In
ogni modo il doublage un ibrido ripiego, cui si dovr rinunziare per sempre.
bestiale cercare traduzioni relativamente fedeli delle parole, quando per ciascuna
di esse non corrispondono i gesti. La lingua non consiste soltanto di parole e dei
rispettivi accenti e suoni, ma, esprimendo pensieri e sensazioni, strettamente
legata ai caratteri del popolo. [] Se lattore che doppia la voce ripete le intona-
zioni delloriginale, al nostro orecchio sembrer incolore, sbiadito; [] Perci,
ripeto, lItalia deve pretendere assolutamente dalle Case estere versioni italiane
con attori italiani e imporre versioni francesi, inglesi, tedesche, della produzione
propria. Per intanto, al film doubl, io preferisco mille volte il muto, con dida-
scalie83.

La sensazione che Pirandello, ancora non pienamente convinto dal film


parlato, continui a criticarlo, trovando nella pratica del doppiaggio un valido
pretesto. Ma anche vero che sul doppiaggio pesano le riserve pirandelliane
nei confronti della traduzione gi espresse al tempo del saggio Illustratori,
attori e traduttori (1908)84.
Quello contro il doppiaggio il suo secondo errore di valutazione, conse-
guenza inevitabile del primo (la stroncatura del film parlato). Al di l del-
limpossibilit negli anni Trenta di prevedere la fortuna del doppiaggio, lau-
tore, condizionato dalliniziale avversione per il parlato, nei confronti del
quale muoveva obiezioni di carattere economico nellintervista del 19 aprile
1929 85, non comprende che proprio il doppiaggio permette di ovviare alle
ingenti spese che richiederebbero le versioni in lingua originale.
Tuttavia, la conclusione dellintervista emblematica del suo grado di
consapevolezza in materia di cinema. La sua risposta alla domanda dellin-
tervistatore sullavvenire della settima arte non ha bisogno di alcun com-
mento: Senza limiti86.

82
L. Pirandello, Il viaggio, in Novelle per un anno (3 voll.), a cura di M. Costanzo, pre-
messa di G. Macchia, I Meridiani, Mondadori, Milano 1990, vol. III, t. I, pp. 220-21.
83
E. Roma, Pirandello e il cinema, cit.
84
I. Pupo (a cura di), Interviste a Pirandello, cit., p. 489.
85
Vedi supra, p. 85.
86
E. Roma, Pirandello e il cinema, cit.
92 Michelangelo Fino

Nel dicembre del 1932 Testor-Pirandello rilascia unintervista in cui parla


della deprecabile situazione del cinema italiano, ponendo laccento sui due
principali problemi (la mancanza di tecnici che produce dilettantismo e la
necessit, tante volte invocata, di assegnare alla musica un ruolo primario
nella realizzazione dei film):
Il cinematografo unarte che tutti si sentono di affrontare, come se bastasse una
qualunque attitudine artistica per farne degli iniziati. Il problema del cinema ita-
liano invece un problema di tecnici e di competenze ma non nutriti di una pra-
tica puramente esteriore, bens creatori e scopritori di possibilit artistiche.
Bisogna anzitutto sgombrare il terreno dai dilettanti, considerare il cinemato-
grafo come unarte [] occorre una conoscenza dei problemi tecnici e un impie-
go di essi in modo strettamente originale87.
Al di l dellurgente necessit di formare degli uomini di cinema, che sap-
piano coniugare competenze tecniche e spirito artistico, dal momento che si
tratta di unarte e in quanto tale ha bisogno di creatori, non di fotografi, il
problema principale che allo straordinario progresso tecnologico della mac-
china da presa e delle soluzioni ad essa legate non corrisponde un utilizzo
appropriato degli strumenti offerti dal cinema parlato. Qui Pirandello ritor-
na sulla necessit di distinguere la musica dal dialogo, sulle prerogative del
suono, in particolare sul suo potere immaginifico, evocativo e creativo: il dia-
logo non pu che fotografare una realt facendo la brutta copia del teatro; la
musica, col suo potere suggestivo e simbolico, pu invece crearla facendo del
cinema unarte a s stante, arte simultanea e sintetica.
Della mediocrit del cinema italiano, della necessit di imparare il mestie-
re e delle prospettive economico-lavorative legate al mondo del cinema,
Pirandello parla anche in unintervista dellaprile 1934. Dopo aver ricordato
la condizione di parassitismo della radio e del cinematografo nei confronti
del teatro, dipinge un quadro desolante del cinema italiano:
Il filmino borghese, la commediola e il drammuccio non sono certo contri-
buti attivi alla nostra cinematografia che deve risorgere nel clima di oggi, dove
ogni mediocrit deve essere combattuta e dove ogni impresa deve avere innanzi a
s [] le opere colossali che il mondo ci invidia, realizzate in pochi mesi con pas-
sione e ardimento degni dellItalia fascista88.
Lenfasi retorica risente qui, inevitabilmente, del clima storico, politico e
culturale degli anni Trenta. Pirandello, sostenitore del regime89, lamenta la

87
Testor, Per il film italiano, La Stampa, 9 dicembre 1932, ora in F. Cllari, Pirandello e
il cinema, cit., p. 127.
88
Gim (Giuseppe Marotta o Mario Gromo), Colloquio con Luigi Pirandello, La Stampa,
21 aprile 1934.
89
In unintervista apparsa sul Corriere della Sera il 18 aprile 1926, cos Pirandello chia-
risce il significato di arte fascista: La mia arte [] arte fascista; essa stata malintesa nel suo
Pirandello, il giornalismo e il cinema 93

mancanza di un cinema italiano degno dellItalia fascista, in cui non c posto


per la mediocrit, ma solo per leccellenza. Il discorso si concentra poi sul ver-
sante squisitamente pragmatico, individuando nel cinema una miniera ine-
sauribile di opportunit lavorative, a patto per che al dilettantismo subentri
la competenza, che si perfezioni la tecnica e che, quindi, il cinema venga
inteso seriamente:

Non si deve dimenticare che il cinematografo deve essere, per il nostro Paese,
unindustria redditizia e non un organismo male in arnese fatto per dilapidare dei
capitali. Il cinematografo, a parte le sue finalit artistiche, pu dare lavoro a
migliaia di persone90.

Il rapporto tra Pirandello e i giornali e quello tra lo scrittore agrigentino


e il cinema, dunque, sono speculari. Lincontro-scontro con il mondo dei
giornali (cos come quello con il cinema) allinizio difficile, caratterizzato da
tensioni, incomprensioni e soprattutto da grande diffidenza. Diffidenza che
non si esaurir mai completamente, ma che lautore superer in nome della
sua arte: Pirandello capisce subito limportanza dei giornali per farsi cono-
scere e far conoscere la propria opera. Il dibattito cinematografico ne un
esempio lampante, ma non un caso isolato. Si parlato anche di precisa stra-
tegia letteraria e pubblicitaria: lo scrittore agrigentino intuisce che la carta
stampata un canale preferenziale attraverso cui farsi conoscere dal grande
pubblico, che, incuriosito dalle dichiarazioni rilasciate, sar indotto a leggere
le opere, scoprendo un Pirandello non dissimile da quello conosciuto sulle
pagine dei giornali. Da questo punto di vista il materiale raccolto sui quoti-
diani e sulle riviste costituisce un tassello fondamentale per completare il
mosaico pirandelliano: il Pirandello giornalista infatti un creatore, come lo
in letteratura, nel teatro e nel cinema.

senso morale; la si definita unarte negativa. Mentre con essa ho voluto far intendere e con-
statare che, se la realt vera e propria non esiste, la realt viene per creata. Ho affermato cio
la potenza creatrice dello spirito. Pochi sono gli uomini che creano la realt [] Mussolini ha
creato allItalia una nuova realt. Pirandello, dunque, fascista nel senso di creatore; equazio-
ne applicabile anche al cinema, dal momento che lo scrittore agrigentino ribadisce pi volte la
necessit nel cinema di essere creatori e non fotografi.
90
Gim (Giuseppe Marotta o Mario Gromo), Colloquio con Luigi Pirandello, cit.
DARIO MOMIGLIANO

Le utopie di Filippo Tommaso Marinetti

I giovani che tentino di farsi unidea del futurismo attraverso le pagine


delle storie letterarie o le voci delle enciclopedie andranno sempre delusi per-
ch il carattere della giovanile avventura marinettiana non pu essere disgiun-
to dal colore di quel tempo. Gli stessi libri di allora resterebbero incompren-
sibili se fossero letti in diversa e moderna edizione. Il futurismo fu un episo-
dio di stagione ma come slogan fu anche materia desportazione e in Russia
ebbe originali contraccolpi. Da noi ha lasciato poca poesia, opere pittoriche
ancora interessanti, e la traccia di uomini come Boccioni, Balla e SantElia,
dei quali si continuer a parlare. Fra i poeti che militarono nel futurismo o lo
sfiorarono, i migliori Buzzi e Govoni, Palazzeschi e Folgore non avrebbe-
ro scritto cose molto diverse se il movimento marinettiano non fosse esisti-
to1. Questo giudizio, firmato negli anni Sessanta da Eugenio Montale, in
maniera implicita lascia cogliere linfastidita diffidenza e lingenerosa critica,
a lungo vigenti nonch condivise da molti, nei confronti di Filippo Tommaso
Marinetti e del suo movimento davanguardia. Non si stenta certo a com-
prendere le ragioni soggiacenti a un simile desiderio di liquidazione. Linnata
indole polemica, la permanente esaltazione di toni, le spiccatissime note anti-
clericali hanno fatto di Marinetti, sin dal suo esordio, una figura oltremodo
scomoda; il padre e teorico del Futurismo stato artista dissacratore, poeta
ossessionato dal futuro, teorico irrazionale, anarchico e precursore della poli-
tica-spettacolo, oratore viscerale pronto ad affermare, gi dal primo dei suoi
manifesti, che un automobile ruggente [] pi bello della Vittoria di
Samotracia. Eppure a un secolo di distanza alcune delle sue provocazioni
suonano meno paradossali, altre persino meno pericolose, sollecitando lesi-
genza di una rilettura che, al di l delle sin troppo facili polemiche, tenga
conto degli innegabili contributi ricevuti dallestetica contemporanea per
mano dellideatore del Futurismo.
La grande funzione novatrice di Marinetti risiede nellaver saputo inne-
stare un processo di sperimentazioni che non furono soltanto artistiche ma
antropologiche. Il ruolo dellavanguardista consiste appunto nel trovare

1
E. Montale, Sulla poesia, Mondadori, Milano, 1976, p. 317.
96 Dario Momigliano

nuove strade, rinunciando una volta per tutte alla tradizione. Il no pronun-
ciato ai danni del passato evidente sin dai motti che Marinetti coni:
Marciare e non marcire, Abbasso i musei e le Biblioteche, Guerra sola
igiene del mondo, Evviva la originalit, Religione della velocit, Morte
al verismo. Poche parole che come lo slogan in politica hanno il compi-
to di riassumere icasticamente i capisaldi di un movimento passato alla storia
per le sue imprese provocatorie e belligeranti.
Marinetti (il cui vero nome non Filippo Tommaso bens Emilio Angelo)
nasce nel 1876 ad Alessandria dEgitto da genitori italiani. Presso il collegio
di gesuiti dove studia fonda Le Papyrus, piccola rivista di carattere scolasti-
co. In seguito, in virt del suo bilinguismo, collabora a numerose riviste, sia
francesi (La Plume, Gil Blas, Vers et prose, La Vogue, La Revue
Blanche) sia italiane (La Rassegna latina, Iride, Esperia). Gli interven-
ti di questi anni vertono per lo pi su questioni letterarie. Accanto alle prime
collaborazioni editoriali Marinetti intraprende unattivit di pubbliche decla-
mazioni poetiche presso teatri francesi e italiani, preludio a quelle che saran-
no, di l a poco, le performance delle cosiddette serate futuriste. La formazio-
ne culturale marinettiana si comprende meglio laddove si consideri la conti-
nua oscillazione dellautore tra i due poli di Parigi e Milano, citt emblema-
tiche dellindustrializzazione e luoghi di grande fermento culturale.
Il Novecento appena iniziato e lascesa dei nuovi mezzi comunicativi sta
riscrivendo le regole della comunicazione stessa. Marinetti intuisce i cambia-
menti in atto e, forte della discreta notoriet gi acquisita, decide di imporsi
allattenzione del pubblico con una rivista propria, capace di spiccare in un
panorama sempre pi affollato. Sfruttando la cospicua eredit paterna di cui
unico beneficiario, nel 1905 dalla sua abitazione milanese d alle stampe
Poesia, rivista internazionale che non ha eguali in Italia. Liniziativa edito-
riale marinettiana non soltanto lussuosa, tratto che di per s basterebbe a
distinguerla da tutte le altre; sono piuttosto le tecniche comunicative provo-
catorie (in copertina il disegno di una giovane nuda nellatto di uccidere un
drago) e innovative (le inchieste come quella sul verso libero) a rendere
Poesia un esperimento unico. La vita della rivista termina nel 1909 ma i
tempi sono ormai maturi per il vero atto di rottura: la nascita di un nuovo
movimento artistico chiamato Futurismo. Marinetti ne ideatore, fondatore
e guida indiscussa. La precedente avventura di editore, bench fallimentare
sul versante economico, servita a spianare la strada per quella che sarebbe
stata una autentica rivoluzione culturale.

La sfida alle stelle del ribelle Marinetti

I capisaldi dellavanguardia futurista sono evidenti sin dal testo desordio,


il celebre Fondazione e Manifesto del Futurismo, pubblicato nel 1909 in
Le utopie di Filippo Tommaso Marinetti 97

Francia sotto forma di editoriale del quotidiano Le Figaro e subito dopo in


Italia nellultimo numero della rivista Poesia. In realt prima di questa data
lautore, con una mossa astuta che anticipa le odierne tecniche di autopro-
mozione pubblicitaria, aveva fatto affiggere in diverse citt italiane alcuni
manifesti recanti la scritta Futurismo F.T. Marinetti. Nessuno ai tempi
sapeva cosa fosse il Futurismo ed quindi facile capire come Marinetti inten-
desse giocare danticipo e sorprendere tutti. Creare insomma una notizia
prima ancora che essa fosse realt. Lattenta pianificazione propagandistica
non finisce qui. Il Manifesto viene infatti divulgato sotto forma di volantini
lasciati piovere dallalto su ignari passanti. Questa trovata, oggi certamente
banale, per i primi anni del Novecento rappresentava una singolare novit,
unintuizione di quelli che sarebbero stati i futuri scenari comunicativi. Di
cosa si parla dunque nel Manifesto? Il cosiddetto atto di nascita del Futuri-
smo merita senza dubbio, almeno in alcuni punti salienti, una citazione per
esteso:

Avevamo vegliato tutta la notte i miei amici ed io sotto lampade di moschea


dalle cupole di ottone traforato, stellate come le nostre anime, perch come que-
ste irradiate dal chiuso fulgre di un cuore elettrico. Avevamo lungamente calpe-
stata su opulenti tappeti orientali la nostra atavica accidia, discutendo davanti ai
confini estremi della logica ed annerendo molta carta di frenetiche scritture2.

A leggere queste righe iniziali sembra quasi di trovarsi di fronte ad un rac-


conto. Il lessico, per esempio, colpisce immediatamente per la sua elevatezza.
Sarebbe per erroneo intendere il Manifesto alla stregua di un testo narrativo.
Lintenzione dellautore piuttosto quella di creare un antefatto che risulti
accattivante e inedito. I riferimenti forniti da questo primo capoverso sono
assai importanti: il luogo descritto il salotto di casa Marinetti, ambiente tra-
sformato in laboratorio di idee, fucina dellimminente rivoluzione culturale.
La presenza di alcuni amici lascia intendere che il Futurismo un gruppo. Le
singole personalit condividono tra loro un frenetico impeto di creazione. Ad
interrompere la veglia giunge improvviso il fragore delle automobili. Spesso
le macchine di Marinetti che siano automobili, locomotive o ancora navi
da guerra si comportano alla stregua di animali feroci: sbuffano, fiutano gli
odori, ruggiscono in maniera minacciosa. Ed proprio il ruggito meccanico
dei motori a causare la seguente reazione:

Andiamo, dissio; andiamo, amici! Partiamo! Finalmente la mitologia e lideale


mistico sono superati. Noi stiamo per assistere alla nascita del Centauro e presto
vedremo volare i primi Angeli!... Bisogner scuotere le porte della vita per pro-

2
F.T. Marinetti, Fondazione e Manifesto del Futurismo, in Teoria e invenzione futurista
[TIF], Mondadori, Milano, 1986, p. 7.
98 Dario Momigliano

varne i cardini e i chiavistelli!... Partiamo! [] Ci avvicinammo alle tre belve


sbuffanti, per palparne amorosamente i torridi petti. Io mi stesi sulla mia mac-
china come un cadavere nella bara, ma subito risuscitai sotto il volante, lama di
ghigliottina, che minacciava il mio stomaco3.

Inizia a questo punto una folle corsa automobilistica. I piloti, ebbri di


velocit, inseguono la Morte (personificata con la maiuscola come spesso
accade nei manifesti marinettiani per indicare concetti di rilievo). Limpre-
vista comparsa di due ciclisti obbliga il narratore ad una manovra che scara-
venta il suo veicolo in un fossato fangoso. Lincidente per non ha conse-
guenze tragiche. La macchina, dopo essere stata ripescata, riprende a funzio-
nare, rigenerata da una carezza. E qui termina la prima parte del Manifesto.
In che chiave vanno letti questi eventi? Un madornale errore di prospettiva
sarebbe quello di prendere alla lettera Marinetti in ogni sua affermazione. Il
suo discorso nasconde infatti una studiatissima filigrana simbolica. Le tecni-
che comunicative del poeta italo-francese richiedono quella che a tutti gli
effetti una decodificazione allegorica: la macchina allude allarte moderna,
il fossato costituisce lirrazionalit, infine lincidente (episodio realmente
accaduto a Marinetti) il banco di prova del nuovo artista futurista. Misco-
noscere questo valore simbolico della scrittura marinettiana equivale a frain-
tenderla del tutto.
Con un sottile coup de thtre la seconda parte del Manifesto trasforma
laffabulazione in orazione, esponendo secondo una progressione numerica
quelli che sono i precetti del Futurismo, le parole dordine dellavanguardia.
Comincia adesso unautentica dichiarazione di guerra alla tradizione, al pas-
sato, a tutto ci che rappresenta il cosiddetto canone: Ammirare un quadro
antico equivale a versare la nostra sensibilit in unurna funeraria, invece di
proiettarla lontano, in violenti getti di creazione e azione4. Nellottica mari-
nettiana i musei sono cimiteri e le biblioteche catacombe. Il progetto futuri-
sta intende svecchiare, innovare, velocizzare. Perci preferire alla contempla-
zione della Nike di Samotracia il brivido della corsa in automobile significa
appunto muoversi nella direzione di un radicale rinnovamento artistico. La
nuova poesia ama il pericolo, il dinamismo, laggressivit e le provocazioni.
Labolizione delle consuetudini espressive una delle sue maggiori priorit.
Larte scrive ancora Marinetti non pu essere che violenza, crudelt ed
ingiustizia.
Il manifesto futurista un genere particolare perch coniuga poesia e pro-
paganda, toni lirici ed enfasi retorica. Non c contraddizione perch le due
figure del Marinetti ideologo-ricercatore e del Marinetti poeta-narratore sono
ben difficilmente separabili; [] mentre da un lato il ricercatore detta nuovi

3
Ivi, p. 8.
4
Ivi, p. 12.
Le utopie di Filippo Tommaso Marinetti 99

manifesti, il poeta e il narratore scelgono le forme di una comunicazione5


destinata a conquistare lattenzione del lettore. La pubblicazione su rivista
strategica, serve appunto a garantire la massima diffusione, prerogativa tipica
dellinformazione giornalistica. Solo che il manifesto non un documento di
cronaca ma un documento estetico.
Unaltra peculiarit dei manifesti futuristi risiede nella loro indole tea-
trale. Essi sembrano scritti per essere recitati. Gli immaginari dialoghi col
pubblico, le domande retoriche, le apostrofi provocatorie, i toni prometeici,
le sapienti iterazioni sono tutti espedienti di una scrittura che declama se stes-
sa. Non per nulla Marinetti afferma che tra tutte le forme letterarie, quella
che pu avere una portata futurista immediata certamente lopera teatrale6.
I suoi manifesti, indipendentemente dallargomento trattato, sottendono una
destinazione orale che spiega e giustifica la loro tensione esibizionistica. Non
sussurrata, ma letta ad alta voce la sfida alle stelle che chiude il Manifesto
del Futurismo. Ed linizio della ribellione.

Marinetti e i manifesti artistici

Molti manifesti di Marinetti parlano di arte. Ci che si discute non per


una visione del presente bens una radicale (e spesso violenta) idea di rinno-
vamento. Tutte le discipline contemplate nei manifesti, dalla poesia al roman-
zo, dal teatro alla cinematografia, dalla danza alla fotografia, dalla radiofonia
alla musica, dallarte sacra alla matematica, vengono reinventate allinsegna di
concetti come poliespressivit, plurisensibilit e simultaneit.
Il Manifesto tecnico della letteratura futurista d inizio al programma di rin-
novamento delle arti, partendo dal bisogno furioso di liberare le parole,
traendole fuori dalla prigione del verbo latino! 7. Il duello con la tradizione
diventa ora aperto rifiuto delle sue norme. significativo che, in apertura, lo
scrittore non rappresenti se stesso seduto ad un tavolo, chino a scrivere, ma
nellatto di planare in cielo con un aeroplano. Adottando linedita prospetti-
va del volo, autentico topos del poeta italo-francese, al lettore vengono pre-
sentate le regole della nuova estetica futurista: abolizione di aggettivi, avver-
bi, congiunzioni e punteggiatura, zavorra grammaticale che nuoce alla dina-
micit del discorso; impiego in letteratura di simboli matematici e musicali;
uso di verbi allinfinito; distruzione della sintassi, ovvero sottrazione del
discorso al rigore logico; sostituzione della psicologia con lossessione della
materia (Il calore di un pezzo di ferro o di legno ormai pi appassionante,

5
G.E. Viola, Filippo Tommaso Marinetti: lo spettacolo dellarte, LEpos, Palermo 2004,
p. 175.
6
F.T. Marinetti, La volutt desser fischiati, in TIF, p. 310.
7
Id., Manifesto tecnico della letteratura futurista, in TIF, p. 46.
100 Dario Momigliano

per noi, del sorriso o delle lagrime di una donna). I precetti marinettiani si
muovono nella direzione di una totale riforma linguistica in nome della sin-
tesi e della velocit. Lo strumento principale despressione di questa nuova
visione del mondo lanalogia:

Lanalogia non altro che lamore profondo che collega le cose distanti, appa-
rentemente diverse ed ostili. Solo per mezzo di analogie vastissime uno stile
orchestrale, ad un tempo policromo, polifonico, e polimorfo, pu abbracciare la
vita della materia. [] Le immagini non sono fiori da scegliere e da cogliere con
parsimonia, come diceva Voltaire. Esse costituiscono il sangue stesso della poesia.
La poesia deve essere un seguito ininterrotto di immagini nuove senza di che non
altro che anemia e clorosi8.

Lautore non esista a proporre come esempio delle nuove regole brani
attinti dai suoi stessi testi narrativi (Battaglia di Tripoli e Mafarka il futurista).
Ma al di l delle note autocelebrative la vera intenzione del Manifesto tecnico
della letteratura futurista quella di trovare un aggiornamento e un adegua-
mento del linguaggio rispetto alla realt9. La fusione di parola e vita produ-
ce le parole in libert, strumento futurista di registrazione immediata degli
stati danimo. Grazie ad esse diventa possibile cogliere il fondo analogico
dellesistenza umana. Marinetti nel manifesto Distruzione della sintassi
Immaginazione senza fili Parole in libert elenca i vari risultati che si posso-
no ottenere mediante lespressione parolibera: metafore condensate, im-
magini telegrafiche, scorci di analogie e soprattutto il tuffo della parola
essenziale nellacqua della sensibilit, senza i cerchi concentrici che la parola
produce. In simili teorizzazioni vi sono le premesse di tanti fenomeni comu-
nicativi della modernit. Le espressioni sintetiche e sinestetiche del linguag-
gio pubblicitario devono molto a Marinetti, ma anche vero che un poeta
come Ungaretti ha riconosciuto, dopo numerose smentite, il proprio legame
con i dettami dei manifesti futuristi. La stessa rivoluzione tipografica del
futurismo ha aperto la strada agli artifici della moderna editoria e alla ormai
diffusa mail art.
Lintervento degli artisti futuristi presto interess non soltanto la lettera-
tura ma tutti gli aspetti della vita collettiva. La loro rivoluzione assunse cos
un carattere antropologico e omnicomprensivo. Ecco dunque il manifesto La
cinematografia futurista dove appunto il cinema viene inteso come forma
darte che deve prendere il posto della rivista, del dramma e del libro. Il film
inteso come realt caotizzata diventa lo strumento per una fusione di lin-
guaggi artistici: Metteremo in moto le parole in libert che rompono i limi-
ti della letteratura marciando verso la pittura, la musica, larte dei rumori e

8
Ivi, p. 48.
9
G. Baldissone, Filippo Tommaso Marinetti, Mursia, Milano 1986, p. 70.
Le utopie di Filippo Tommaso Marinetti 101

gettando un meraviglioso ponte tra la parola e loggetto reale10. Il cinema


interessa Marinetti in quanto in esso egli scorge quel linguaggio dinamico che
la parola dordine del Futurismo. Nel Manifesto dellaeropittura le prospet-
tive del volo offrono uninnovativa metodologia pittorica allartista che
chiamato a diventare aviatore. Interessante anche il Manifesto della danza fu-
turista, dove vengono teorizzate compiutamente la fusione delluomo con la
macchina e linterazione della danza con la guerra.
Si pensi infine al manifesto La radia pubblicato sulla Gazzetta del
Pubblico. In esso Marinetti intende rinnovare la radio slegandola dalle fun-
zioni teatrali e narrative. Lesperimento radiofonico futurista concepito
come captazione amplificazione e trasfigurazione delle vibrazioni espresse
dagli esseri viventi e dalla materia; fusione di voci e rumori, di concretezza e
astrazione; cassa di risonanza delle parole in libert. Ancora una volta il lin-
guaggio, libero da punteggiatura, a rivelarsi essenziale: Occorre la parola sia
ricaricata di tutta la sua potenza quindi parola essenziale e totalitaria ci che
nella teoria futurista si chiama parola-atmosfera. Le parole in libert figlie
dellestetica della macchina contengono unorchestra di rumori e di accordi
rumoristi (realisti e astratti) che soli possono aiutare la parola colorata e pla-
stica nella rappresentazione fulminea di ci che non si vede11. Marinetti
rivendica anche che lo stile parolibero, in quanto veloce scattante sintetico
simultaneo ha trovato grande fortuna nei romanzi avanguardisti (il riferi-
mento ad opere dannunziane come Notturno e Libro segreto) e nel linguag-
gio giornalistico.
Considerati nel loro insieme i manifesti costituiscono un radicale esperi-
mento dinnovazione. La loro grande particolarit sta per nellessere arte
della virtualit e non della realizzazione compiuta12. Appunto per questo in
molti manifesti i verbi sono coniugati al futuro. comunque doveroso rico-
noscere che le tante proposte, frutto del multiforme aspetto dellavanguardia,
abbiano spesso precorso i tempi, anticipando aspetti futuri dei linguaggi
comunicativi. Le utopie artistiche di Marinetti non sono rimaste lettera
morta.

Le promozioni culturali: Marinetti editore

Marinetti fu infaticabile avanguardista anche come critico ed editore. Se


oggi i nomi di Gozzano e Palazzeschi sono noti a tutti lo si deve anche al
fiuto della rivista marinettiana Poesia che present al pubblico le loro
prime poesie. Sulle stesse colonne apparvero anche ospiti illustri quali Pascoli

10
F.T. Marinetti, La cinematografia futurista, in TIF, p. 141.
11
Id., La radia, in TIF, p. 209.
12
G.E. Viola, cit., p. 13.
102 Dario Momigliano

e DAnnunzio, o destinati alla notoriet, come Jean Cocteau. Ma gi anni


prima, sempre grazie alla mediazione dellinventore del Futurismo, in Italia
cominciavano a diffondersi meglio i nomi di Baudelaire, Paul Claudel,
Jammes, Mallarm, Laforgue, Rimbaud, Verlaine. Le pubblicazioni futuriste
furono per anche il palcoscenico di brutali stroncature: nel manifesto Il
romanzo sintetico si prende posizione contro lavvilente monotonia delle
mille pagine di Thomas Mann e di Jules Romains le cui opere vengono inse-
rite nel filone del romanzo analitico socialpessimista comunisteggiante13.
Nella stessa ottica iconoclasta Joyce e Proust rappresenterebbero, secondo
Marinetti, dei corruttori delle parole in libert inventate dai futuristi. Bench
gli esempi appena riportati siano delle palesi esagerazioni, va riconosciuto che
i manifesti furono lo strumento appassionato di una promozione culturale
spesso in netto anticipo rispetto allaccademia stessa. Marinetti del resto non
manc di lanciare a questultima e al suo modus operandi dei violenti strali
polemici: Alla morte del mio grande amico Boccioni, denigrato in vita e glo-
rificato dopo la sua rassicurante sepoltura, mi sono convinto che in Italia ci
sono pochi imbecilli, ma moltissime canaglie. Queste intuiscono talvolta la
presenza di un nuovo ingegno. Ma subito addosso, con materassi, trappole,
palate di terra, dileggi, ironie e gas asfissianti di silenzio. Se muore, eccole
tutte a tavola sul suo cadavere da misurare, commentare, sfruttare cultural-
mente14.
Provocare serviva in ogni caso a far parlare di s. Era insomma una tecni-
ca atta a far circolare, e dunque propagandare meglio, le proprie idee. Anche
per questo Marinetti andava cercando nomi di intellettuali noti (e magari
controversi) da legare al Futurismo. Per quanto paradossale, mecenatismo,
esattezza critica e opportunismo autocelebrativo convivono nel suo giudizio
su Aldo Palazzeschi che, com noto, solo per poco tempo milita nelle fila del
movimento marinettiano: Lingegno di Palazzeschi ha per fondo una feroce
ironia demolitrice che abbatte tutti i motivi sacri del romanticismo: Amore,
Morte, Culto della donna ideale, Misticismo, ecc. Lopera di Aldo Palazzeschi
(come quella, pure audacissima, di Corrado Govoni) costituisce gran parte
della poesia futurista: la parte distruggitrice, quella che G.A. Borgese []
definiva con acume la critica parodistica del romanticismo15. Parole sinto-
maticamente affidate non ad un manifesto ma ad uno strumento effimero e
commerciale come appunto il volantino futurista.
noto che gli autori promossi da Marinetti, spesso attraverso un diretto
impegno economico, furono numerosi16. Un esempio importante riguarda la

13
F.T. Marinetti, Il romanzo sintetico, in TIF, p. 224.
14
Id., Introduzione a I nuovi poeti futuristi, in TIF, p. 186.
15
Id., Il poeta futurista Aldo Palazzeschi, in TIF, p. 64.
16
molto interessante in questo senso riportare un passo di una recente intervista alla
figlia dellautore, Vittoria Marinetti, la quale afferma: Il discorso di Marinetti e i futuristi
Le utopie di Filippo Tommaso Marinetti 103

presentazione al pubblico della nuova generazione di poeti futuristi. Essa


serv per dimostrare, col tipico piglio orgoglioso delle pagine marinettiane,
lincidenza che le idee del Futurismo stavano avendo sullevoluzione di lin-
guaggi. Non ultimo proprio il linguaggio giornalistico. La tecnica del paroli-
berismo era stata teorizzata, e di volta in volta rivista e corretta, in tre mani-
festi tutti appartenenti al primo decennio del Novecento: Manifesto tecnico
della letteratura futurista (11 maggio 1912), Distruzione della sintassi
Immaginazione senza fili Parole in libert (11 maggio 1913) e Lo splendore
geometrico e meccanico e la sensibilit numerica (18 marzo 1914). Circa dieci
anni dopo che queste idee erano state messe in circolazione, Marinetti, pre-
sentando al pubblico la nuova generazione di poeti futuristi e discutendo
limportanza del paroliberismo per la loro formazione, asser: facile dimo-
strare come le parole in libert abbiano anche influenzato il giornalismo. Si
trovano continuamente degli articoli di stile velocizzato sintetico essenziale
parole in libert, balzi di pensiero, immagini vastissime, notazioni telegrafi-
che e simultaneit17. La riutilizzazione della tecnica di scrittura inventata dal
Futurismo viene dimostrata riportando alcuni passi di un articolo tratto dal
Corriere della Sera che per luso di punteggiatura e sintassi, e per le nota-
zioni rapide e sintetiche, pu dirsi in pieno un testo futurista.
Le intuizioni marinettiane riguardarono altres la concezione del libro
come prodotto da presentare nella maniera pi accattivante. Vennero cos
sperimentati i libri imbullonati (le cui pagine potevano essere spostate a mo
di caleidoscopio) e i volumi litografati su latta; non manc lutilizzo di for-
mati abnormi rispetto alle consuetudini editoriali del tempo o di espedienti
cromatici sino ad allora impensabili. Antesignana della pop art fu lidea, mai
realizzata, di pubblicare libri a forma di ombrellini, destinati ad essere com-
mercializzati alla stregua di ortaggi. N manc il sogno di testi capaci di con-
tenere centomila pagine, corrispondente a ci che nellera moderna si chia-
ma e-book.
Quelli sinora prospettati sono tutti esempi della grande e spregiudicata
capacit comunicativa di Marinetti, il cui progetto di rivoluzione culturale
in gran parte recepito dallodierno mercato librario dava grande risalto alla
spettacolarit della veste tipografica. Loriginalit dellespediente visivo diven-
tava cos il trucco per attirare lattenzione del pubblico. vero che nei primi
anni del Novecento queste appariscenti forme di promozione pubblicitaria

un discorso abbastanza complesso. Non vero che lui faceva differenza tra i vari futuristi.
Certo, lui amava molto Boccioni, amava molto Balla; per, in genere, quando lui si occupava
degli artisti era sempre, vorrei dire, vergine nel rapporto con loro []; cera sempre questa
grande considerazione delle personalit con cui aveva a che fare, ed era la principale causa della
sua simpatia, della sua affezione tra tutti, perch lui amava trovare nelle persone questi lati ita-
liani e anche artistici, e anche inventivi, e anche degni di essere sostenuti. Lintervista si trova
in Appendice al volume di G.E. Viola, cit., pp. 181-188.
17
F.T. Marinetti, Introduzione a I nuovi poeti futuristi, in TIF, p. 191.
104 Dario Momigliano

venivano accolte per lo pi negativamente, causando indignazioni soprattutto


da parte dei ceti medi. Eppure oggi i libri futuristi figurano nei musei, sono
oggetto da collezione. Lidea marinettiana di trasformare il libro in merce, fon-
dendo insieme cultura e mercato, si rivelata lungimirante. In una simile ope-
razione loperato di Marinetti [] da una parte si apparenta alla condotta del
mecenate, dallaltra a quella del manager e dellimpresario: egli curava la diffu-
sione delle idee, lallestimento delle esposizioni e si preoccupava della vendita
dei quadri. In Marinetti quellunit degli opposti (mercato e autonomia) di cui
hanno parlato Adorno e Horkheimer a proposito dellarte borghese assume un
rilievo macroscopico, esplosivo [] e del tutto inedito18.

Marinetti e il giornalismo politico

Lidea di unarte militante non poteva che sfociare, gi a partire dal 1910,
in un diretto impegno politico di Marinetti. In una sua lettera a Papini, il lea-
der futurista scrive che larte legata alla politica. Da ci la formula futuri-
sta di Arte-azione. Una posizione netta, e sempre ribadita, del pensiero poli-
tico marinettiano fu il nazionalismo. La conquista della Libia venne salutata
in modo pi che acceso, durante una serata futurista presso il teatro Verdi di
Firenze:

La parola Italia deve dominare su la parola libert. La parola libert che aveva il
suo valore assoluto di violenza e di rigenerazione nella bocca di Garibaldi e di
Mazzini diventata una parola imbecille e sciupata nella bocca dun Turati o di
un Bissolati antilibici. (Applausi. 10 minuti di baccano infernale) Mentre invece la
parola Italia ha oggi il suo massimo fulgore e il suo massimo valore dinamico e
combattivo! Per noi internazionalismo vuol dire mascherare di frasi vuote una
preoccupazione egoistica e paurosa di pelle e di ventre. Internazionalismo signi-
fica essere assorbiti o schiacciati da un nazionalismo straniero! [] Si convinca-
no i socialisti che noi rappresentanti della nuova giovent artistica italiana com-
batteremo con tutti i mezzi e senza tregua i loro vigliacchissimi tentativi contro
il prestigio politico militare e coloniale dellItalia19.

Bench permangano espedienti stilistici gi visti nel Manifesto del


Futurismo qui il discorso non artistico ma politico. Larte militarizzata di
Marinetti non (soltanto) una figura retorica. Nellottica futurista la guerra
rappresenta un simbolo, uno dei pi violenti e intensi, della modernit. E
come tale non viene stigmatizzata ma continuamente esaltata. Nel celebre
manifesto Uccidiamo il chiaro di luna! si legge: La guerra? Ebbene, s: essa

18
L. De Maria, Introduzione, in F.T. Marinetti, Teoria e invenzione futurista, cit.,
pp. XLIX-L.
19
F.T. Marinetti, Grande serata futurista, in Lacerba, 15 dicembre 1913.
Le utopie di Filippo Tommaso Marinetti 105

la nostra unica speranza, la nostra ragione di vivere, la nostra sola volont!.


Il conflitto bellico oggetto di innumerevoli elogi nei manifesti marinettiani
perch incarna lemozione suprema, la massima realizzazione degli ideali del
Futurismo. I futuristi, forse per primi, operarono la trasfigurazione mitica
dellesperienza bellica, contribuendo alla nascita della mitologia del combat-
tentismo20. Lebbrezza del pericolo e lansia di duelli declamate nel Manifesto
del Futurismo diventano azione concreta allo scoppio della prima guerra
mondiale, allorch Marinetti e altri futuristi si arruolano come volontari.
Non tutti torneranno vivi.
Una tappa fondamentale dellesperienza politica di Marinetti si ha allin-
domani della disfatta di Caporetto, con la pubblicazione del Manifesto del
partito futurista italiano (11 febbraio 1918). Lo stesso anno nasce Roma
Futurista, giornale del partito politico futurista. I fondatori sono Marinetti,
Settimelli e Carli. A questultimo il leader futurista d per via epistolare pre-
cise indicazioni editoriali: scrivere articoli brevissimi con titoli precisi forti,
formare una specie di plotone di difesa del giornale, domandare sistema-
ticamente ogni giorno a tutte le edicole il giornale.
Il partito futurista, come gi lavanguardia artistica, si rivolgeva principal-
mente ai giovani (Non colpire mai i giovani mai scriveva ancora a Carli il
leader futurista). La giovent , insieme alla guerra e al progresso tecnico, un
altro mito di Marinetti, nellarte e nella politica. Un elemento importantissi-
mo del programma futurista riguardava appunto il ricambio generazionale:
non la possibilit ma la necessit che la giovinezza prendesse il posto della
vecchiaia nella guida del paese. Rivoluzione e senilit sono idee inconciliabi-
li. La proposta politica di Marinetti era una grande utopia culturale proprio
perch il rinnovamento della societ italiana sarebbe stato attuato da una gio-
vane lite di intellettuali che avrebbero esautorato senza mezze misure la vec-
chia classe dirigente:

Unico nella storia il nostro Partito stato concepito, voluto e attuato da un grup-
po di artisti poeti, pittori, musicisti, ecc.: che, carichi di genio e coraggio ormai
provati, dopo avere svecchiato brutalmente e modernizzato larte moderna sono
giunti logicamente ad una concezione di politica assolutamente sgombra di reto-
rica, violentemente italiana e violentemente rivoluzionaria, libera, dinamica e
armata di metodi assolutamente pratici 21.

Il partito futurista, pur suscitando continui tumulti per via delle sue azio-
ni plateali, numericamente aveva una consistenza pi che modesta. La stessa
Roma Futurista incontrava scarsa considerazione. Ci che permise a

20
E. Gentile, La nostra sfida alle stelle. Futuristi in politica, Laterza, Roma-Bari, 2009,
p. 49.
21
F.T. Marinetti, Democrazia futurista, in TIF, p. 345.
106 Dario Momigliano

Marinetti e al suo partito di uscire dallisolamento fu il legame col fascismo,


mossa compiuta ufficialmente nel 1919. La concordanza ideologica dei due
movimenti in nome dellinterventismo (parola divina22 a detta del leader
futurista) stata per talora amplificata o mistificata, trascurando le altret-
tanto rilevanti differenze di fondo. In realt il rapporto di Marinetti con
Mussolini una storia di tangenze e scissioni, di legami e rotture. ricono-
sciuto linflusso che i manifesti marinettiani ebbero sulliniziale propaganda
fascista. Dal punto di vista ideologico idee come virilit e antagonismo pia-
cevano al fascismo cosiddetto diciannovista. Inoltre non poteva non colpire
la lingua degli scritti politici di Marinetti perch diretta, rapida e modernis-
sima23. Limitarsi per alla superficie di questi apporti significa banalizzare
una dialettica in realt ben pi complessa.
Dopo solo un anno di collaborazione diventa infatti chiaro che tra il
movimento di Marinetti e quello di Mussolini non esiste una reale possibilit
dintesa. Lelemento mistico e rivoluzionario del Futurismo era inconciliabi-
le, a conti fatti, con il realismo politico adottato dal fascismo nel 1920. Senza
dimenticare poi che nel Manifesto del partito futurista italiano figurano pro-
getti come libert di sciopero e di stampa, svalutazione del patriottismo com-
memorativo, parificazione del lavoro femminile a quello maschile, radicali
riforme burocratiche e persino labolizione della polizia politica. Difficil-
mente Mussolini avrebbe condiviso simili programmi. Non sorprende dun-
que che gi nel 1920 il poeta italo-francese, al termine del secondo Congresso
dei Fasci tenutosi a Milano, decide di chiamarsi fuori dal movimento fasci-
sta. Con le sue dimissioni di fatto termina lesperienza politica marinettiana.
Ci che risult subito evidente, gi allindomani della scissione tra futuri-
smo e fascismo, fu il fallimento del sogno degli artisti futuristi di guidare una
rivoluzione politica e morale per trasformare lItalia24. Per volont di
Marinetti Roma Futurista smette dimprovviso di trattare argomenti poli-
tici e torna ad essere rivista esclusivamente darte. Nonostante un discusso e
controverso riavvicinamento al regime nel 1924, lutopia politica marinettia-
na muore nel 1920 sostituita dal discorso artistico. Non a caso in un artico-
lo del 1922, proprio quando trionfa Mussolini, il poeta italo-francese scrive:
Distruggete, annientate la politica, che opaca ogni corpo. una lebbra-sifi-
lide-colera tenacissima!25. Va infine sottolineato, a riprova ulteriore della
distanza dal fascismo, il fatto che Marinetti, con alcuni articoli usciti nel
1938 sulla rivista futurista Artecrazia, abbia fermamente condannato lan-
tisemitismo.

22
Ivi, p. 396.
23
L. De Maria, Introduzione, cit., p. XCIII.
24
E. Gentile, cit., p. 112.
25
F.T. Marinetti, Ad ogni uomo, ogni giorno, un mestiere diverso! Inegualismo e Artecrazia,
in Il Resto del Carlino, 1 novembre 1922; ora in Teoria e invenzione futurista, cit., p. 553.
Le utopie di Filippo Tommaso Marinetti 107

Marinetti e la contraddizione

La riscoperta critica di Marinetti ormai un dato di fatto. I pregiudizi di


un tempo sono stati in gran parte ridimensionati, bench la sua figura riman-
ga ancora in bilico tra luci e ombre. innegabile che il padre del Futurismo
abbia prefigurato, con i suoi manifesti e le sue invenzioni, molti aspetti delle
successive forme artistiche novecentesche. Ci non toglie che il suo pensiero
sia intriso di vistose contraddizioni e ineliminabili spigoli. Gli esempi possi-
bili sono numerosi: il sempre ribadito odio per le accademie non imped al
poeta italo-francese di diventare egli stesso accademico; la sua forma mentis
anticlericale cozza duramente con la scelta di sposarsi in chiesa e chiedere per
s funerali religiosi; il congedo dal simbolismo, tema ricorrente nei primi
manifesti marinettiani, contraddetto dalla persistenza in essi di temi e
forme di chiara ascendenza simbolista, quasi a sovrapporre ribellione e restau-
ro; anche lindividualismo anarchico fu prima sdegnato e poi recuperato; e
soprattutto la politica, di cui Marinetti subisce il fascino per poi allontanar-
sene deluso e in ultimo riaccostarsi ad essa nonostante i tanti dissidi col fasci-
smo. Tutte contraddizioni probabilmente note allo stesso autore, che nel
Discorso futurista agli Inglesi dichiara: Contraddirsi vivere. Simili parole in
realt spiegano molto del Futurismo, ma difficilmente potrebbero giustifica-
re uno dei suoi pi grandi paradossi ovvero che, nellincessante utopia futu-
rista, la costante apologia della guerra rimanga forse laspetto meno moderno
del modernissimo Marinetti.
MARIA TERESA IMBRIANI

La miserabile fatica quotidiana:


Gabriele dAnnunzio giornalista

Della mostruosa macchina del giornalismo

Non stupisce che Gabriele dAnnunzio sia il protagonista di una vera e


propria rivoluzione nellambito del giornalismo italiano tra la fine dellOtto-
cento e linizio del Novecento, anzi indirettamente a lui va ascritto persino il
merito di aver indotto linvenzione della cosiddetta Terza pagina, la pagina
culturale ormai ampiamente sostituita e nella collocazione e nella misura da
inserti centrali, spesso di pi fogli. Allalba del nuovo secolo il neonato
Giornale dItalia approntava infatti per la prima della Francesca da Rimini
un servizio a pi mani, apparso il 2 dicembre 1901 nella collocazione poi
divenuta usuale. Ne restituisce un largo resoconto lallora direttore Alberto
Bergamini:

Si doveva rappresentare a Roma la Francesca da Rimini di Gabriele dAnnunzio:


non si parlava daltro in tutta la Penisola. Io avevo avviata labitudine di adunare
la redazione per ogni fatto notevole, per ogni nuova iniziativa che mi venisse alla
mente []. Nella riunione che tenemmo, dissi che la tragedia dannunziana fra-
gorosamente annunciata aveva non minore importanza di un discorso dellon.
Giolitti ai suoi elettori di Dronero, o di una crisi ministeriale, o di un concitato
congresso socialista: dunque volevo per la Francesca da Rimini, che veniva alla
ribalta del Teatro Costanzi, un servizio da fare colpo. [] Lampia relazione
della agitata serata occup una pagina che aveva un grosso titolo disteso su tutte
le colonne: una intera pagina allora inconsueta, che mi parve signorile, armonio-
sa e mi sugger lidea di unire sempre, da quel giorno, la materia letteraria, arti-
stica e affine, in una sola pagina, distinta, se non proprio avulsa dalle altre: come
una oasi fra larida politica e la cronaca nera. E fu la terza pagina []1

Ma nel 1901 la fama dellartista ormai consolidata. Gi un ventennio


prima, dAnnunzio aveva intuito la carica deflagrante della modernit affida-

1
A. Bergamini, Nascita della Terza pagina, in Nuova Antologia, novembre 1955,
pp. 347-362 (poi in E. Falqui, Nostra Terza pagina, Canesi, Roma 1965, pp. 250-268, cit. a
pp. 251-253).
110 Maria Teresa Imbriani

ta alla mostruosa macchina del giornalismo2, assumendo il ruolo di prota-


gonista sulla scena italiana per oltre mezzo secolo appunto grazie al giornale,
usato presto come cassa di risonanza delle sue imprese nella vita e nellarte.
Negli Anni Novanta dellOttocento, un autorevole frequentatore del giovane
dAnnunzio alla redazione del Mattino di Napoli, Francesco Saverio Nitti,
aveva avuto loccasione di ammirare con quanto metodo e con quale dili-
genza curasse ogni dettaglio di pubblicit, per imporre la sua opera, anzi,
la sua immagine, anche sfruttando il pettegolezzo o addirittura la menzogna,
abilmente manipolata a proprio vantaggio3.
Se si torna infatti a quel 1901, necessario rimarcare che anche le aspet-
tative riguardo alla Francesca da Rimini erano state abilmente pilotate dal-
lautore, il quale, dopo aver convocato amici e attori per una pubblica lettu-
ra del testo, li aveva poi redarguiti dalle pagine della Tribuna, poich le
indiscrezioni avevano superato il limite del lecito. La lettera dannunziana,
esempio magistrale di come tener desta lattenzione del pubblico, fu stampa-
ta il 9 ottobre con il titolo Per la cortesia:

[] Or non pochi giorni, invitai nella mia casa a udire la lettura di una mia tra-
gedia gli attori che dovranno rappresentarla e alcuni uomini di lettere amici miei
fedeli, con la pi schietta fiducia nella loro discrezione, pensando che ciascuno
avrebbe avuto per le cose dello spirito almeno quellonesto riguardo che le perso-
ne bene educate soglion dimostrare verso lospite quando si levano da mensa
senza intascar la posata dargento. [] Ma, ecco, mi vien mostrato un giornale
bolognese che pure diretto da un gentile uomo dove leggo un sunto della
tragedia cos goffamente confuso e cos villanamente sconcio che mi fa pensare al
dispetto bestiale onde la scimmia talvolta tratta a manomettere e a lordare log-
getto ignoto in cui ella crede scorgere unapparenza ostile, unoscura minaccia.
Non so ancora quale dei miei uditori abbia trasmesso a quel giornale le indi-
screzioni, ma molto amaramente mi dolgo di aver ricevuto nella mia casa un tal
gaglioffo. [] Io minduco a lamentarmi publicamente perch non questa la
prima volta che patisco simili villanie. Pur di recente ho veduto andar su per tutte
le gazzette del regno mie lettere e miei telegrammi familiari, diretti a persone che
meran parse assai cortesi e gravi; e ho dovuto ammirare la disinvoltura inaspet-
tata con cui quei gentili uomini violavano le pi elementari norme della buona
creanza e dellonest.
Cos dunque in Italia colui che ardisce intendere le sue forze a una qualunque
opera ideale, si vede togliere perfino i diritti di cui gode il pi umile cittadino; e
non soltanto esposto allingiuria cotidiana dagli innumerevoli poltroni cialtro-
ni e buffoni che appestano il bel paese, ma pur sempre escluso dal beneficio del

2
La cit. da L. Pirandello, LIdolo, in La Critica, 31 gennaio 1896, ora in Id., Saggi e inter-
venti, a cura e con un saggio introduttivo di F. Taviani e una testimonianza di A. Pirandello,
Mondadori I Meridiani, Milano 2006, p. 123.
3
F. S. Nitti, DAnnunzio, la guerra e Fiume, in Id., Scritti politici. Rivelazioni. Meditazioni
e ricordi, a cura di G. Carocci, Laterza, Bari 1963, Edizione Nazionale, vol. XV, p. 321.
La miserabile fatica quotidiana: Gabriele dAnnunzio giornalista 111

vivere civile. E nessuno pi si crede in obbligo di usargli quei riguardi che si con-
cedono agli sconosciuti; e per lui particolarmente il segreto epistolare telegrafico
e domestico viene abolito; e il campo dovegli lavora vien considerato come una
vil piazza dove ciascuno pu deporre le sue immondizie o menar gazzarra.
Ma un amico ieri volle dimostrarmi liniquit del mio lamento, facendomi osser-
vare che io almeno dopo tanti anni di sforzi sono riuscito a ottenere nella mia
patria il pi singolare degli offici. In fatti, come la luna regola le maree, io ho lof-
ficio di provocare le inondazioni periodiche della stupidit nazionale. Lultima
dura da un mese e non accenna a descrescere. []4

Appare quasi superfluo sottolineare che la lettura della tragedia cui si fa


riferimento aveva provocato non uno soltanto, ma addirittura una serie di
interventi giornalistici: Forster sul Mattino, Gajo, ossia Adolfo Orvieto, nel
Marzocco e vari altri anonimi in Rassegna Internazionale, Il Nuovo Fan-
fulla, Flegrea5. Come in altre occasioni e valga per tutte quella della Fiac-
cola sotto il moggio, quando trasciner in tribunale Francesco Coppola redat-
tore del Giornale dItalia che ne aveva anticipato la trama6 , dAnnunzio
si serve del giornale a scopo propagandistico: insomma nel bene o nel male,
perch se ne parli, secondo il motto di Wilde, utilizzato in altri casi addirit-
tura ante litteram.
Il meccanismo cos abilmente congegnato serve inoltre a neutralizzare il
pi scaltro, ma anche il pi onesto, degli avversari, reo per lappunto di pro-
vocare le inondazioni periodiche della stupidit nazionale: ne fu avvertito
Pirandello fin dal 1896, quando, nel registrare leco delle rubriche di Thovez
sui plagi dei romanzi dannunziani, affermava la sua impossibilit di interve-
nire contro lidolo senza che il suo volto si tingesse di quel livido color
della petraia che dAnnunzio avrebbe colto persino sulla faccia di Pascoli:

E or ci si dica se dobbiamo in fondo vergognarci noi di questa presunta invidia,


o non piuttosto della loro ostinata supinit tutti quelli che innanzi allidolo si
prosternarono, pur sapendo che il piedistallo su cui sorgeva era di carta di gior-
nali a un soldo, pur messi sullattenti parecchie altre volte che alle opere di lui
spesso lavorassero mani straniere7.

4
G. dAnnunzio, Per la cortesia, in La Tribuna, 9 ottobre 1901.
5
Cfr. A. Baldazzi, Bibliografia della critica dannunziana nei periodici italiani dal 1880 al
1938, Cooperativa degli scrittori, Milano 1973, pp. 109-110.
6
Cfr. La Fiaccola sotto il moggio di dAnnunzio, in Il Giornale dItalia, 25 marzo 1905,
su cui M. M. Cappellini, Introduzione a G. dAnnunzio, La fiaccola sotto il moggio, Mondadori,
Milano 1998, p. XXVII. Anche in questo caso, su vari altri giornali veniva ampiamente
annunciata la tragedia che sarebbe stata rappresentata a Milano il 27 marzo 1905.
7
L. Pirandello, LIdolo, cit., p. 124. Si ricordi anche la polemica sui plagi dannunziani
inaugurata da Thovez il 7 dicembre 1895 dalle pagine della Gazzetta letteraria con lartico-
lo La farsa del superuomo, su cui si vedano le note allarticolo dannunziano Dellimpresa dei
beoti, in Il Marzocco, 5 aprile 1896 e allintervista di Ernst Tissot, Les sept plaies et les sept
112 Maria Teresa Imbriani

Il piedistallo di giornali da un soldo era stato in verit costruito scientifi-


camente dallIdolo precocissimo e geniale. Sfuggito allUniversit, dove si
limit a fare qualche rapida incursione ai corsi di Ernesto Monaci, limberbe
giovinetto era stato accolto come una star nelle redazioni dei pi agguerriti
giornali della Roma bizantina, trovandovi unoccupazione stabile, immedia-
ta e assai pi redditizia di qualunque altro impiego intellettuale, quandanche
avesse voluto, come altri della sua generazione, praticare la carriera accade-
mica che Carducci aveva additato al prossimo Vate della Nuova Italia. E a
dispetto di questa irregolarit ostentata, proprio di lui si discuter nel 1912,
ancora una volta sul Giornale dItalia, a proposito della successione pasco-
liana alla cattedra dellAteneo bolognese, quando Francesco Torraca, il
valente scrittore critico8 di quei primi anni romani ormai professore a
Napoli, rispondendo a Bergamini che vedeva in dAnnunzio lunico degno
di salire la cattedra sacra alla poesia, al magistero della italianit meglio che
allinsegnamento della cronologia9, ammoniva severamente

I poeti facciano i poeti; la storia letteraria appartiene agli storici e ai critici. Su la


cattedra, Giosue Carducci fu storico e critico. Voglio aggiungere, sicuro di inter-
pretare il pensiero di tutti i miei colleghi di letteratura italiana, che dalle cattedre
universitarie di letteratura non sinsegna soltanto la cronologia. E qualche cosa di
pi nobile, di pi utile, insegniamo ai nostri discepoli, noi con la seriet e la
dignit della vita immacolata10.

Quasi inutile il monito a chi, n allora n mai (o forse in un momento di


debolezza una sola volta nella vita)11, pens allinsegnamento, avendo trova-
to appunto nelle redazioni un lavoro assai ben remunerato e redditizio anche
sul versante intellettuale. Si ricordi bene, aveva affermato redarguendo un
malcapitato ufficiale fiumano che lo aveva appellato professore, che a Napoli
o professore quello che fa il gioco dei bussolotti12. Di gran lunga pi
fecondo era stato infatti il lavoro giornalistico, i cui lauti guadagni si erano
esponenzialmente accresciuti via via che la fama si estendeva e consolidava.

beauts de lItalie contemporaine, Perrin, Paris 1900 in G. dAnnunzio, Scritti giornalistici 1886-
1938, vol. II, a cura di A. Andreoli, testi raccolti da G. Zanetti, Mondadori I Meridiani,
Milano 2003, pp. 1633-1634 e pp. 1856-1859 (dora in avanti SG II).
8
[G. dAnnunzio], Giaufr Rudel (rubrica Cronaca letteraria) in La Tribuna, 9 aprile 1888,
ora in Id., Scritti giornalistici 1882-1888, vol. I, a cura di A. Andreoli, testi raccolti e trascritti da
F. Roncoroni, Mondadori I Meridiani, Milano 1996, p. 1122 (dora in poi SG I).
9
La cattedra a Gabriele dAnnunzio, in Il Giornale dItalia, 9 aprile 1912.
10
F. Torraca, Lettera al Direttore, in Il Giornale dItalia, 12 aprile 1912.
11
Nel 1891 aveva pensato di accettare una cattedra liceale offertagli dal Ministro
Ferdinando Martini, al fine di vivere con Barbara una vita modesta e pacata: cfr. A. Andreoli,
Il vivere inimitabile. Vita di Gabriele dAnnunzio, Mondadori, Milano 2000, p. 188.
12
G. Comisso, Le mie stagioni, Longanesi, Milano 1985, p. 72, cit. da S. Costa (a cura di),
Gabriele dAnnunzio. Volti e maschere di un personaggio, Sansoni, Firenze 1988, p. 246.
La miserabile fatica quotidiana: Gabriele dAnnunzio giornalista 113

Potrebbe meravigliare piuttosto la consapevolezza dello scrittore rampante,


che sa bene, e non certo per averlo appreso sui banchi del Liceo di Prato, che
litterae non dant panem. Cos infatti spiegava nel 1885 in uno dei primi arti-
coli del Fanfulla:

perch di buoni ed onesti scrittori che si sieno arricchiti o che almeno abbiano
tratto un giusto guadagno dalle opere loro, noi in Italia non ne conosciamo.
Giosu Carducci, che Giosu Carducci, se non facesse il professore in una
Universit governativa e se non avesse per ci un emolumento, sarebbe perduto,
perch ben poco avrebbe da sperare dal commercio dei suoi libri che pure il pub-
blico ammira, compra e legge. Che cosa offrono gli editori a Giosu Carducci per
un libro di critica o di poesia? Una miseria.
E Luigi Capuana, uno dei pi forti novellieri contemporanei, uno dei pi ricer-
cati, che cosa prende dalli editori per un suo libro di narrazioni? Una miseria.
E Matilde Serao, forse la pi popolare romanzatrice dItalia, una scrittrice labo-
riosa ed infaticabile, quali rendite ha dellopera sua? E Antonio Fogazzaro? E
Giovanni Verga? E Giuseppe Chiarini? E quelli altri pochi che studiano e fanno
larte con coscienza ed amore?13

Pi fruttuoso dunque il lavoro di redazione: incredula, la Kuliscioff avreb-


be annunciato nel 1907 la lauta retribuzione che il Corriere della Sera
aveva offerto al poeta in cambio della Canzone per la tomba di Carducci, 5000
lire (allincirca 20.000 euro attualizzati con i coefficienti Istat!), che doveva-
no allora apparire una cifra talmente spropositata da farle esclamare: Che
cosa vuoi che ci siano lagrime o vera poesia?14. E daltra parte, una simile for-
tuna era toccata ad altri della generazione dannunziana, come appunto il Nit-
ti di cui dicevamo sopra, il quale, poco pi che ventenne, trov proprio nella
professione di giornalista abbondanti mezzi di sostentamento per lui e tutta
la sua numerosa famiglia: A Napoli [] si parlava come di un fenomeno
unico dei miei grandi guadagni e del mio grande successo nel giornalismo15.
Torniamo ora nella Roma degli Anni Ottanta dellOttocento, per udire
dalla bocca di Edoardo Scarfoglio, il giornalista abruzzese sodale e collega
lungo tutto lo scorcio del secolo, quale fu laccoglienza riservata al novello
messia, giuntovi il 20 novembre 1881, dopo aver preparato abilmente il
campo per la sua battaglia letteraria:

Aspettato con impazienza curiosa, dopo il giudizio singolarmente benevolo che


della sua poesia infantile di il Chiarini, con lo spettacolo della sua estrema gio-

13
Bull-Calf, Lo sfumino perseguitato, in Fanfulla, 27-28 giugno 1885, ora in SG I, pp.
62-64: 63 (vd. anche la nota alle pp. 1229-1231).
14
Lettera di Anna Kuliscioff a Filippo Turati del 24 febbraio 1907, in S. Costa, Gabriele
dAnnunzio, cit., p. 129.
15
F. S. Nitti, DAnnunzio, la guerra e Fiume, cit., p. 314.
114 Maria Teresa Imbriani

vinezza, con la irradiazione di simpatia che la sua sembianza e le sue parole e i


suoi atti di fanciulla mandavano, conquist nel primo istante questa cittadella
romana che a tanta gente pare inespugnabile, e che apre invece tanto facilmente
le porte16.

Lattesa era ovviamente determinata dalle prime prove dellintrepido nar-


ratore di sogni17, che aveva pubblicato a spese del padre la raccolta di versi
Primo vere, salutata con enfasi da un benevolo Chiarini sul Fanfulla della
Domenica e persino da un inviato speciale come Marc Monnier, abituato a
ben altri reportage18. Ma qui occorre riferire un altro episodio: dopo un
nuovo intervento di Chiarini, che, smentendo se stesso, stronca le ventuno
poesie In memoriam della nonna19, giunge alla Gazzetta della Domenica di
Firenze lannuncio della morte precoce del giovane poeta gi noto alla re-
pubblica delle lettere20, caduto da cavallo sulla strada di Francavilla. Dietro
la notizia c ovviamente un dAnnunzio ancora in fasce, ma gi capace di pi-
lotare straordinariamente bene la macchina pubblicitaria! Infatti le necrolo-
gie si moltiplicano e gli offrono, stato notato, lopportunit della smenti-
ta21 oltre alloccasione di inviare ai giornali la seconda edizione riveduta di
Primo vere. Sul Capitan Fracassa dove Uriel, pseudonimo di Ugo Fleres, ha
gi stampato la Necrologia, appare, sempre a sua firma, una simpatica
Antinecrologia, che il vero atto dingresso del giovane dAnnunzio nelle re-
dazioni romane22.
Pronto a collaborare al Fanfulla, il liceale manda da Prato gli abbozzi
narrativi delle Figurine abruzzesi che appaiono, la prima, Cincinnato, in
Fanfulla della Domenica il 12 dicembre 1880 e le altre, sempre sul giorna-
le di Ferdinando Martini, nel corso del 1881 (Toto, il 6 febbraio; Fra Lucerta,
l8 maggio; La Gatta, il 18 dicembre)23. Ispirate al lavoro pittorico di Fran-

16
E. Scarfoglio, Il Libro di Don Chisciotte, Sommaruga, Roma 1885, pp. 196-197. Il Libro
fu poi riedito con aggiunte nel 1911 (Il Mattino, Napoli); ora disponibile nelledizione a
cura di C.A. Madrignani e note di A. Resta (Liguori, Napoli 1990).
17
Cos si esprimeva lui stesso in una lettera a Cesare Fontana del 20 maggio 1879, cit. da
A. Andreoli, Il vivere inimitabile, cit., p. 43.
18
Marc Monnier, il cronista del brigantaggio meridionale, loda le prove del liceale sulla
Revue suisse del 6 giugno 1889. Larticolo di Chiarini, A proposito di un nuovo poeta, era
apparso in Fanfulla della Domenica, 2 maggio 1889.
19
Cfr. G. Chiarini, Libri nuovi, rec. a G. dAnnunzio, In memoriam, in Fanfulla della
Domenica, 24 ottobre 1880.
20
R. Rutini, Gabriele dAnnunzio, in Gazzetta della Domenica, 14 novembre 1880.
21
A. Andreoli, Il vivere inimitabile, cit., p. 61.
22
Cfr. Uriel, Necrologia, in Capitan Fracassa, 22 novembre 1880; Id., Antinecrologia, ivi,
27 novembre 1880.
23
Cfr. G. dAnnunzio, Tutte le novelle, a cura di A. Andreoli e M. De Marco, Mondadori
I Meridiani, Milano 1992; P. Gibellini, Natura e cultura nel verismo dannunziano, in G.
dAnnunzio, Terra vergine, Mondadori, Milano 1981.
La miserabile fatica quotidiana: Gabriele dAnnunzio giornalista 115

cesco Paolo Michetti, nel cui cenacolo stato ammesso in quella fatidica esta-
te pescarese dellOttanta, le Figurine gli guadagnano lammirazione persino
di Filippo Turati, pronto a dettare nel giugno parole straordinariamente pro-
fetiche, apparse anchesse su un giornale:

C un giovane in Italia stavamo per dire un giovinetto che a diciassettanni


ha improvvisato un volume di versi quale altri glorierebbesi aver ponzato a qua-
ranta che ha dato a un foglio romano una manata di bozzetti abruzzesi, cos
caratteristici e zeppi di luce e barbagli e di vita clta sul fatto, che sono di per s
soli una rivelazione che sa maritare il rigido terra-terra del pi coscienzioso
verismo coi voli a perdita di vista della fantasia pi scapestrata un giovane che
ha negli occhi prismi miracolosi e nellanima le musiche e i cobalti e gli opaliz-
zamenti dellAdriatico e tutte le febri duna natura di selvaggio, liberissimamen-
te espansa ai cieli turchini e gialli dellAbruzzo nativo [] ignoto ieri, gi quasi
celebre oggi nella repubblica letteraria e che domani, se lo lasciano fare, capace
di mettersi sulla coscienza il suo bravo colpo di stato artistico, sconvolgendo gli
ordini e le gerarchie costituite24.

La conquista di Roma 25

Solo un lavoro sistematico ha avuto dAnnunzio nel corso della sua vita,
ed stato appunto quello del giornalista, dapprima stipendiato e persino
direttore della Cronaca bizantina per un breve periodo, dallautunno 1885
alla primavera 1886; poi capace di imporre i suoi pezzi al miglior offerente;
infine, nella cosiddetta stagione notturna delle Faville del maglio, riciclatore
di se stesso al caro prezzo che Luigi Albertini, direttore del Corriere della
Sera, paga per le 19 prose autobiografiche che compaiono dal 23 luglio 1911
al 24 settembre 1914 26, soppiantate, durante la guerra, dagli interventi che
tengano desto il morale delle truppe (Canti della guerra latina)27 o dai reso-
conti delle imprese belliche e, al tempo di Fiume, dai discorsi e proclami che
detta agli Arditi. Ovvie le differenze tra gli esordi e i tempi della fama conso-
lidata: se prima gli si chiedono cronache, poi sar lui a dettare le regole del
gioco, a imporre la sua parola, quale che sia; a disseminare, con intenti auto-

24
F. Turati, Una presentazione, in La Farfalla, 5 giugno 1881, in S. Costa, Gabriele
dAnnunzio, cit., p. 20.
25
il titolo di un romanzo di Matilde Serao apparso per i tipi del Barbera di Firenze nel
1885, dove si parla di un parlamentare della Basilicata, in cui qualcuno ha voluto vedere
Giustino Fortunato, destinato a perdersi una volta giunto a Roma.
26
Le Faville del maglio sono ora raccolte in G. dAnnunzio, Prose di ricerca, a cura di A.
Andreoli e G. Zanetti, Saggio introduttivo di A. Andreoli, Mondadori I Meridiani, Milano
2005, vol. I, pp. 1071-1658.
27
Ora in G. dAnnunzio, Versi damore e di gloria, a cura di A. Andreoli e N. Lorenzini,
edizione diretta da L. Anceschi, Milano 1984, vol. 2, pp. 761-865.
116 Maria Teresa Imbriani

promozionali, il suo verbo. Non si contano infatti gli interventi che giorna-
listi amici pubblicano sotto dettatura o raccogliendo fantomatiche interviste,
di cui a volte si ritrovano gli autografi tra le carte dannunziane, come nel caso
della famosa a Ojetti28. N si contano, come si cercato di dire prima, le pre-
senze indirette di dAnnunzio sui giornali del tempo, per il riflesso della sua
opera e della sua vita,

prestigiosa avventura letteraria, che prese tutta un tratto e tenne per tanto tempo
gli animi in un abbaglio fascinoso: quella dun uomo adatto e magnifico, nato
per lavventura, cos nellarte come nella vita, e in una tal confusione darte e di
vita da non potersi dire quanta della sua vita sia nella sua arte, quanta della sua
arte sia nella sua vita29.

Sotto il suo diretto o indiretto influsso nascono e muoiono giornali; sulla


scia delle sue opere verranno versati fiumi di inchiostro; per seguire le sue
imprese, letterarie, teatrali o semplicemente biografiche, sono arruolate frot-
te di cronisti, pi o meno agguerriti30.
La prima raccolta di scritti giornalistici dannunziani venne pubblicata nel
1913 da Alighiero Castelli, non senza il vigile placet31 dellautore, che pure
protest in pubblico. Benemerita, ma pur sempre incompleta, la silloge
nasceva con intento estetico, ossia dimostrare lo sviluppo graduale delle qua-
lit di scrittore, le sorgenti di alcune sue caratteristiche ispirazioni, gli
influssi dellambiente su lui e quelli di lui sullambiente e cos via. E Croce
campeggiava addirittura in prima pagina, giacch proprio dalle sue parole era
nato il progetto: Da uno spoglio accurato di queste raccolte [] si ricave-
rebbe un elenco di qualche interesse, ammoniva il filosofo elencando i gior-
nali, soprattutto quelli napoletani dove verosimilmente lui stesso si era abbe-
verato alle fonti dannunziane. Linteresse era in primo luogo filologico, per la
datazione, le eventuali varianti con le redazioni definitive in volume e i rifiu-

28
Sullintervista di Ugo Ojetti, in Id., Alla scoperta dei letterati, Dumolard, Milano 1895:
cfr. SG II, pp. 1375-1390 e relative note 1851-1853.
29
L. Pirandello, Giovanni Verga. Discorso al Teatro Bellini di Catania nellottantesimo com-
pleanno dello scrittore, 2 settembre 1920, in Id., Saggi e interventi, cit., p. 1005.
30
Si prenda il caso del giornale teatrale Il Tirso, nato sulla scia del successo della Figlia
di Iorio, come si legge nella breve premessa indirizzata ai lettori il 12 maggio 1904: Gabriele
dAnnunzio battezzando il nostro giornale con un nome che rievoca il Dio della scena ci
risparmia la fatica dun programma e ci ammonisce che il teatro come presso i Greci pres-
so di noi deve oggi rivendicare le sue originarie caratteristiche nobili e sacre: oggi che Egli vi
ha trasfuso nuovo sangue vivificando una forma drammatica che credevamo non esistere in
noi latini: la forma tragica. Perci noi giovani animati dalla pi schietta sincerit ci accingia-
mo a combattere per un solo ideale, lArte, e tutto quello che non sapr di Arte combattere-
mo con la pi fiera opposizione. | La Redazione | Luca Cortese Ugo Falena Enrico Fondi
Matteo Incagliati Pilade Vecchietti.
31
P. Gibellini, DAnnunzio dal gesto al testo, Mursia, Milano 1995, p. 194.
La miserabile fatica quotidiana: Gabriele dAnnunzio giornalista 117

ti, ma non mancava il riferimento agli scritti di argomento vario mai raccolti
in volume32.
Ledizione complessiva degli Scritti giornalistici dannunziani , ora, quella
procurata da Annamaria Andreoli, con la collaborazione di Federico
Roncoroni per il periodo 1882-1888 e di Giorgio Zanetti per quello 1889-
1938, nella collezione mondadoriana dei Meridiani, che ha finalmente
messo a disposizione del pubblico una gran massa di materiale annotato,
offrendo nel concreto uno spaccato significativo dellenorme prolificit dan-
nunziana: i numeri sono da soli eloquenti, 271 articoli nel primo volume,
217 nel secondo. Restano ovviamente escluse da quei due tomi, le novelle, le
traduzioni, le prose narrative, le Faville, le numerose poesie, i romanzi o gli
abbozzi di romanzo, tutti scritti che pure compaiono sui giornali prima del-
ledizione definitiva, mentre non manca nel secondo dei due volumi una
significativa antologia delle interviste a dAnnunzio33.
Daltra parte, un censimento complessivo della presenza giornalistica dan-
nunziana, sia attraverso i suoi articoli, come auspicava a suo tempo Croce, sia
attraverso gli articoli che parlano di lui, impresa titanica quante altre mai,
sarebbe tuttora auspicabile, giacch, oltre a restituire numeri davvero ecce-
zionali, forse consentirebbe ancora dei recuperi, dal momento che frequente-
mente, anche dietro trafiletti anonimi che parlano di lui o della sua opera, si
cela il facondissimo manager di se stesso.
Difficile da definire, la scrittura sui giornali fu per dAnnunzio una pale-
stra letteraria notevole, com ampiamente noto: dalle cronache mondane
discende Il Piacere; senza le riflessioni del Mattino difficilmente avremmo
Le Vergini delle rocce o Il Trionfo della morte; gli scritti della Tribuna e del
Convito preludono, oltre che al Fuoco, anche alla scelta teatrale. E se si
pensa al dorato esilio in Francia ancora il giornale il banco di prova della
prosa memorialistica, che a ben guardare nasce assai prima e gi in funzione
autocelebrativa proprio grazie al supporto delle gazzette:

32
G. dAnnunzio, Pagine disperse. Cronache mondane, letteratura, arte, coordinate e anno-
tate da A. Castelli, Lux, Roma 1913, pp. 5-10 (dora in avanti Castelli). Per la bibliografia rela-
tiva al giornalismo dannunziano cfr. SG I, pp. 1385-1391 e SG II, pp. 1885-1892. Resta
punto di riferimento E. Tiboni L. Abrugiati (a cura di), DAnnunzio giornalista, Atti del V
Congresso Internazionale di studi dannunziani Pescara 14-15 ottobre 1983, Centro Nazionale
di Studi dannunziani, Pescara 1984 (dora in avanti DAnnunzio giornalista).
33
Cfr. le edizioni annotate della collezione mondadoriane dei Meridiani: Versi damore
e di gloria, cit.; Prose di romanzi, a cura di A. Andreoli e N. Lorenzini, Introduzione di E.
Raimondi, Milano, Mondadori I Meridiani, 1988-1989, 2 voll.; Tutte le novelle, cit.; Prose
di ricerca, cit. e le edizioni critiche apparse per lEdizione Nazionale delle Opere di Gabriele
dAnnunzio: P. Gibellini (a cura di) Alcyone, Mondadori, Milano 1988; M. G. Sanjust (a cura
di), Elegie romane, Mondadori, Milano 2001. Per le interviste si veda anche G. Oliva, Interviste
a Gabriele dAnnunzio 1895-1938, con la collaborazione di M. Paolucci, Carabba, Lanciano
2002.
118 Maria Teresa Imbriani

Io sono nato nel 1864 a bordo del brigantino Irene, nelle acque dellAdriatico.
Questa nativit marina ha influito sul mio spirito. Il mare in fatti la mia pas-
sione pi profonda mattira veramente come una patria. [...] Uscito di collegio,
andai allUniversit di Roma. [] Appena giunto, io fui accerchiato e tratto nel
cenacolo, e adorato. [] Il mio nome correva su tutte le bocche. Tutti mi ricer-
cavano, mi davano incenso, mi proclamavano dio. [] E allora corsi il pericolo
estremo. La lode mi ubriac. Io mi gettai nella vita perdutamente, avido di pia-
cere, con tutto lardore della mia giovinezza. Tutte le porte mi furono aperte; pas-
savo di trionfo in trionfo, senza mai volgermi in dietro. E commisi errori su erro-
ri, rasentai mille precipizi. [] Io mi sarei irrimediabilmente perduto se un inci-
dente fortunato non mavesse costretto a tornare nella mia terra, su la riva salu-
bre del mio Mare. Lasciai dietro di me tutti gli amori, tutte le vanit, pregai la
Terra di riprendermi nelle sue braccia e di rinnovarmi, e fui esaudito. [] Il
Dolore, finalmente, mi diede la nuova luce. Dal Dolore mi vennero tutte le rive-
lazioni. Comera giusto, io incominciai a scontare i miei errori e i miei disordini
e i miei eccessi nella vita; incominciai a soffrire con la stessa intensit con cui
avevo goduto. Il Dolore fece di me un uomo nuovo: rursus homo est!34

Lattivit dannunziana sinterseca con la storia del giornalismo italiano


otto-novecentesco, quando si passa dai settimanali che presentano pi lette-
ratura che cronaca qualche dispaccio, qualche telegramma, qualche nota di
politica interna ai quotidiani che diventano a mano a mano pi attenti alla
cronaca piuttosto che alla letteratura. E alla cronaca, quella dei salotti in
prima istanza, ma anche dei luoghi di villeggiatura, dei teatri, delle sale da
concerto, appunto dedicata la prima attivit dannunziana.
Quando giunge a Roma, dannunziano prima di divenire dAnnunzio35,
accolto con favore, sebbene debba accontentarsi, per cos dire, della critica
darte, forte della frequentazione michettiana, e della cronaca mondana, gra-
zie a una penna davvero straordinaria. Vorrebbe scrivere di letteratura?
Probabilmente s, ma i giornali bizantini sono al tempo occupati, per la cri-
tica letteraria, da scrittori e critici militanti che hanno gi una loro notoriet,
Torraca, ad esempio, allievo dellultimo De Sanctis, o Luigi Capuana,
entrambi di stanza al Fanfulla, o lo stesso Carducci, maestro di quella gene-
razione di moretti e paraninfi36. Destinato a fare presto scandalo per i com-
portamenti e le opere licenziose si ricordi la polemica sullerotismo e la por-
nografia nella poesia e nellarte, che lo aveva investito allindomani della pub-

34
Gabriele dAnnunzio, pote et romancier italien, in La revue hebdomadaire, 24 aprile
1893, in SG II pp. 173-178.
35
Lo riferisce divertito Geno Pampaloni, in DAnnunzio giornalista, p. 8.
36
La cit. in una lettera di Alessandro DAncona a Torraca del 27 settembre 1884 che cos
si lamenta a proposito di Scarfoglio: M.T. Imbriani (a cura di), DAncona Torraca, Scuola
Normale Superiore, Pisa 2003, p. 88.
La miserabile fatica quotidiana: Gabriele dAnnunzio giornalista 119

blicazione dellIntermezzo di rime 37 dAnnunzio si far largo con il lavoro e


soprattutto con il consenso che subito gli arride.
Il primo articolo a noi noto, Fiera a Santa Susanna, apparso il 16 gennaio
1882 sul Fanfulla, fa bella mostra di s anche nel volume che Contorbia ha
dedicato al Giornalismo italiano 38, segno inequivocabile del rinnovamento
che lirruzione di dAnnunzio avrebbe apportato nella carta stampata. Larti-
colo usc a firma di Bull-Calf, il primo dei numerosi pseudonimi della sta-
gione romana, giacch, come ricordava Castelli, fino al 1888 in verit nel
1892 appare ancora per una volta sul Mattino il nome Miching Mallecho
dAnnunzio non sottoscrisse quasi mai con il suo nome, ma prefer usare
di svariati pseudonimi39. E infatti nel primo tomo degli Scritti giornalistici
154 articoli sono firmati Il Duca Minimo; 19 Bull-Calf; 14 Vere de Vere (e
3 Sir Ch. Vere de Vere); 13 Lila Biscuit (e 1 Lila); 7 Myr; 6 Miching
Mallecho; 4 Mario de Fiori e Filippo La Selvi; 2 Puck. Una sola volta com-
paiono invece i nomi Bottom, Happemouche, G. Cellini, Il conte di Sostene,
Il marchese di Caulonia, La Salamandra, Mambrino, Musidoro, Shiun-Sui-
Katsu-Kava, X.Y. E nellelenco non sono comprese le rubriche Favole mon-
dane o Storie e storielle, anchesse a firma del Duca Minimo, di Lila Biscuit,
di Myr, ma anche di Mab e di Svelt40.
Al contrario, poche volte, in questo periodo, i lettori troveranno sui gior-
nali il suo vero nome: sui 271 articoli del primo volume mondadoriano, solo
diciannove sono firmati da dAnnunzio e di questi 9 compaiono nel Fanfulla
della Domenica (5 riguardano lEsposizione darte del 1883, tra i quali spic-
ca quello dedicato al pittore abruzzese amico: Il voto. Quadro di F. P. Michetti,
Fanfulla della Domenica, 4 gennaio 1883), 8 sulla Tribuna e 2 nella
Cronaca bizantina, di cui uno a doppia firma con Scarfoglio. Ma che cosa
sottoscrive dAnnunzio? Innanzitutto le recensioni e le riflessioni pi pro-
priamente letterarie, Per un compagno darme (Fanfulla della Domenica, 19
febbraio 1882), Penetrale (ivi, 22 ottobre 1882), Letteratura giapponese (Cro-
naca bizantina, 14 giugno 1885), La Cantata di Calen daprile (La Tri-
buna, 1 aprile 1888), Sonetti e sonettatori (rubrica Cronaca letteraria, ivi, 7
aprile 1888), Lultimo romanzo (Cronaca letteraria, ivi, 26 maggio 1888); poi
pochi articoli di critica darte, Esposizione promotrice I (Larte a Roma, ivi, 10
marzo 1885), La statua equestre di Vittorio Emanuele II (ivi, 22 aprile 1885),

37
Roma, Sommaruga, 1883. Gli scritti di Chiarini, Panzacchi, Nencioni, Lodi contro la
poesia dannunziana vennero raccolti nel volume Alla ricerca della verecondia, Sommaruga,
Roma 1884.
38
Cfr. F. Contorbia (a cura di), Giornalismo italiano 1869-1901, Mondadori I Meridia-
ni, Milano 2007, vol. I, pp. 915-918. Significativa la scelta degli articoli dannunziani inseri-
ti appunto nel volume.
39
Larticolo dannunziano cui si fa riferimento Se fosse vivo!, in Il Mattino, 16-17
dicembre 1892, in SG II, pp. 107-109. La cit. tratta da Castelli, p. 5.
40
Ivi, p. 148.
120 Maria Teresa Imbriani

Fra Bartolomeo della Porta (Cose darte, ivi, 8 dicembre 1886), Un pittore dal-
legorie (Cronaca darte, ivi, 13 dicembre 1887); ancora un lungo contributo
sulla presenza di Moleschott a Roma per linaugurazione dellanno accade-
mico della Sapienza (Per una festa della scienza, ivi, 4 novembre 1887); final-
mente due brani autobiografici, insieme a Scarfoglio, il resoconto Masua.
Dalla Sardegna, in Cronaca bizantina, 1 giugno 1882 e Ricordi francaville-
si. Frammento autobiografico, in Fanfulla della Domenica, 7 gennaio 1883.
Di particolare interesse sono appunto gli articoli, entrambi del gennaio
1883, dedicati allattivit dellamico pittore Michetti, autentico mallevadore
dellopera dannunziana a venire: si preannuncia tanta della materia abruzze-
se che avrebbe connotato i capolavori, dalle Novelle della Pescara al Trionfo
della morte, dai Pastori alcyonii alla Figlia di Iorio. Il tono dei Ricordi franca-
villesi gi memoriale, sebbene ci si trovi di fronte a un dAnnunzio non
ancora ventenne:

Oh i bei giorni ottobrali di Francavilla, quando il culto dellarte ci univa! Quella


povera casa solitaria, in mezzo alla immensit dei litorali, era il nostro tempio: per
le stanze un grande alito di salsedine spirava, ci ventava in faccia lodore degli sco-
gli, ci infiltrava nel sangue unaspra freschezza di salute. [] Dentro, da per
tutto, su le pareti, su i pavimenti, su i tavoli, su le porte, larte trionfava: era un
popolo duomini e di femmine e di fanciulli e di animali, che riviveva miracolo-
samente. Volti muliebri, dai riflessi vermigli, dalle carni trasparenti, sotto cui il
sangue scorreva; volti che parevano illuminati da crepuscoli misteriosi di aurore
boreali. [] E ne cieli che misterii di nuvole, che popolo fantastico di forme!
Era come il grande poema della luce []. Ma il trionfo del mare inondava altri
spazii; unaspra freschezza di sale parea si levasse dalle pareti a ferire le narici, una
freschezza di corallina, dalighe, di conchiglie. Era il barbaro, il forte, leterno gio-
vine mare; era una vitalit invaditrice che assaltava li scogli, che si espandeva alle
rive, che animava le onde. [] Oh i bei giorni di Francavilla! Che sciupo felice
di giovinezza, di forze, di amori, di sangue, di vino! Che felice copia dingegno
sparsa nelle tele, nella creta, nelle strofe, nelle canzoni!41

Il vigore straordinario della pittura michettiana inoltre protagonista


della celebre recensione del Voto, apparsa, come si diceva nellinserto dome-
nicale del Fanfulla il 4 gennaio 1883, pagina giornalistica che gli servir
come cartone preparatorio di vari spunti novellistici, fino allaffresco degli
idolatri nel Trionfo della morte42. Loccasione offerta dallEsposizione di
Belle Arti di Roma del 1883, dove la gigantesca tela michettiana accompa-
gnata dagli studi che, per forza di esecuzione, superano il quadro43, come

41
In SG I, pp. 84-91.
42
P. Gibellini, Il primitivo culturale della Pescara, in Logos e mythos. Studi su Gabriele
dAnnunzio, Olschki, Firenze 1985, p. 176.
43
SG I, p. 14.
La miserabile fatica quotidiana: Gabriele dAnnunzio giornalista 121

aveva sostenuto Bull-Calf, ossia lui stesso in veste di cronista, nel primo dei
venti articoli dedicati allevento romano, Arte e artisti. Inseguimento (in
Fanfulla, 22 gennaio 1883). Ma nel Voto ancora una volta il ricordo auto-
biografico si sovrappone alla descrizione del soggetto dipinto:

Limpressione fu a Miglianico, alla festa di San Pantaleone, nella calura soffocan-


te dellestate, dentro la chiesa, tra il lezzo bestiale che esalava da quei mucchi di
corpi umani accalcati nella mezza ombra. Era una greggia, una mandra enorme
duomini, di femmine, di fanciulli, entrata a forza, per vedere il santo, per pre-
gare il gran santo dargento, per assistere al martirio dei devoti. La mandra nel-
lafa sudava e ansava come un solo gigantesco animale sdraiato sul pavimento a
soffrire: un mugolo cupo si propagava sotto la navata, tra il fumo dellincenso
saliente a disperdersi. Onde dincenso passavano su quelle mille teste inchinate al
suolo, onde aspre di suono fremevano riempiendo la sonorit vuota: le fiammel-
le giallognole nella mezza ombra tremavano e morivano. E l, in mezzo ad un
solco umano, fra pareti umane, tre quattro cinque forsennati savanzavano stri-
sciando, con il ventre per terra, con la lingua su la polvere dei mattoni, con le
punte dei piedi rigide a sostenere il corpo. Rettili. I muscoli della gambe ignude
si tendevano in rilievo sotto la pelle pelosa, sotto il sudiciume della pelle nerastra;
le vene delle braccia si gonfiavano in un lividore verdognolo, come di umore vele-
noso, quasi per scoppiare; e nello spasimo dello sforzo pareva che le reni si spez-
zassero. Tra le dita delle mani, tra le unghie dei piedi le chiazze del sangue appa-
rivano gi; e la bocca sanguinava nello strofinio feroce su i mattoni, e su le mac-
chie rosse che un fanatico aveva lasciate strisciava la lingua arida di un altro fana-
tico. Si avanzavano cos, come rettili. Una superstizione cupa li acciecava; tutta
quellafa, tutto quel lezzo, tutto quel suono, e lodore dellincenso, e il tremolo
delle fiammelle, e lalito ardente che le pareti umane ventavano, tutto li abbatte-
va in uno stupidimento sacro, li abbarbagliava in unallucinazione di fede, li esal-
tava nel dolore44.

Bull-Calf non che il primo degli alter ego dannunziani che, se vero che
compaiono per distinguere lopera veramente letteraria, pi meditata e
solenne [] dagli scritti che gli uscivano rapidamente dalla penna giorno per
giorno e che gli sembravano di minor conto45, sono utili anche per molti-
plicare la propria presenza su diverse testate o addirittura sullo stesso giorna-
le, magari scrivendo di argomenti contigui. Si pensi allappena vista serie di
articoli dedicati allEsposizione romana di Belle Arti del 1883 che appaiono
sul Fanfulla nella rubrica Arte e artisti a firma di Bull-Calf (22, 25, 29 gen-
naio; 1, 3, 9, 11, 14, 20, 25 febbraio; 8 marzo; 4, 10 aprile 1883) e sul
Fanfulla della Domenica a firma Gabriele dAnnunzio (28 gennaio; 11, 18
febbraio; 4 marzo; 1 aprile 1883), o alla recensione a Convolvoli, versi di

44
Ivi, pp. 94-95.
45
Castelli, p. 5.
122 Maria Teresa Imbriani

Carmelo Errico, non siglata nella rubrica Libri nuovi del Fanfulla della
Domenica del 28 gennaio 1883 e firmata Mario de Fiori nella Cronaca
bizantina del 1 marzo 1883 e cos via. O si pensi anche agli articoli prolun-
gati artificiosamente con doppia firma: il Duca Minimo e Myr (Il concerto dei
concerti nella rubrica A Roma e altrove, in La Tribuna, 18 aprile 1886) o il
Duca Minimo e Lila (Rubriche: Cronaca darte e Cronachetta mondana, ivi,
19 gennaio 1887). Ogni pretesto buono per riempire la pagina bianca, il
diario di Donna Claribel a firma Sir Ch. Vere de Vere (rubrica Giornate
romane, ivi, 21 dicembre 1884) o il colloquio epistolare con lettori privile-
giati come con il pittore napoletano Augusto Licata (A proposito di una que-
stione, Cose darte, ivi, 23 dicembre 1886) o lamico filosofo Angelo Conti, il
Doctor Mysticus (Cadentia sidera, Lestate a Roma, ivi, 13 agosto 1887), che
detta una nitida pagina leopardiana nel dialogo tra Cielo e Tempo. In que-
stultimo caso, lintroduzione tocca al Duca:

CADENTIA SIDERA
Caro Amico,
ti mando oggi una curiosa epistola del Doctor Mysticus, che tu puoi pubblicare
affinch i lettori conoscano quale strana virt abbiano le stelle cadenti sui cervel-
li degli uomini solitarii nella lunazione dagosto.
Cordiali ringraziamenti e saluti.
Il Duca Minimo 46

Il gioco degli pseudonimi non certamente privo di una buona dose di


autoironia. Nella cronaca delle nozze Scarfoglio Serao, infatti, il rampante
articolista talmente calato nel personaggio del cronista mondano, tal-
mente un altro da s che a un certo punto compare in veste di invitato:

Erano auspici, dietro le sedie nuziali, due amici antichi e compagni darte e con-
terranei: Gabriele dAnnunzio e Costantino Barbella47.

Il suo pi noto nome di battaglia, Il Duca Minimo, viene alla luce per la
prima volta il 12 maggio 1885 e lo accompagna nella Tribuna (con la sola
eccezione di un intervento sulla Cronaca bizantina del 23 agosto 1885),
innanzitutto con il Piccolo corriere della rubrica La vita ovunque, poi in altre
rubriche periodiche come Cronaca bizantina, La vita a Roma, Grotteschi e
rabeschi, Cronaca della spada, Cronaca darte, Cronaca letteraria, Lestate a
Roma, qualche Cronaca mondana, appannaggio di Lila Biscuit, che stiler
quasi sempre la Cronaca della moda. Sar proprio il Duca Minimo il vero sti-
pendiato della Tribuna, larbiter elegantiae dei salotti e dei teatri romani,

46
SG I, pp. 926-927.
47
Vere de Vere, Nuptialia, La vita a Roma, in La Tribuna, 3 marzo 1885, in SG I, p. 267.
La miserabile fatica quotidiana: Gabriele dAnnunzio giornalista 123

delle sale da concerto e dei boudoir, visto che Gabriele ha ormai dovuto
accettare limpiego per via delle nozze con Maria Hardouin di Gallese, il cui
Peccato di maggio non rimasto privo di conseguenze48. Prendiamo uno qual-
siasi dei suoi articoli: si va dalle novit del teatro francese ai consigli di lettu-
ra per il pubblico femminile, dalla descrizione delle scomodit legate al cap-
pello a cilindro fino alle massime di Sagesse de poche che sempre riguardano
le signore, alle quali il cronista si rivolge con attenzione meticolosa.

PICCOLO CORRIERE
Gi da qualche giorno lautore di Monsieur de Camors ha letto al comitato della
Comdie Franaise la sua nuova commedia. Octave Feuillet legge molto bene, ma
anche molto lentamente. Cosicch la lettura, incominciata alle due, finita alle
cinque. []
Raccomandiamo alle lettrici i Contes la contesse dArmand Silvestre []. Non
si spaventino le lettrici. Silvestre mette innanzi al suo nuovo volume una specie
di prefazione in cui dichiara la perfetta decenza di queste sue nuove novelle. Le
lettrici possono fidarsi ed aprire il libro che elegante di forme ed elegantemen-
te illustrato Kauffmann. Rideranno molto. Il libro non che un sonante scoppio
di risa, che si prolunga per trecento pagine con un crescendo meraviglioso. []
Mariti ingannati, amanti astuti, femmine amorose formano la maggior parte
delle avventure. Silvestre lillustratore e lamatore delle femmine grasse, delle
dodues. Egli da molto tempo fa una guerra spietata alle donne bernhardtiane [].
Le signore di Roma, bianche e molli nella pinguedine nascente, trovano in
Armand Silvestre un paladino audace e un sapientissimo buongustaio. []
Santillane del Gil-Blas fa una guerra accanita al cappello a cilindro, alla tuba,
allorribile bomba.
Il primo uomo, egli dice, che immagin di coprirsi il capo duna qualunque cosa,
ebbe la manifesta intenzione di mettersi al riparo dal sole, dalla pioggia, dal fred-
do, da tutte insomma le intemperie della stagione. Ora, il cappello a cilindro (le
tuyau de pole, dice Santillane) adatto allo scopo? Per niente, come tutti sanno.
Anzi caldo destate, freddo dinverno; il pi leggero colpo di vento lo butta
gi, senza che ci sia modo di arrivare a fermarlo.
A cavallo, il cappello a cilindro insopportabile; al pi piccolo movimento di
trotto, va allaria; nella cavalcate per i boschi, si attacca a tutti i rami. In chiesa,
in teatro, in qualunque luogo affollato, dun impaccio supremo, e una causa di
continue preoccupazioni se non si vuol che rimanga schiacciato, o sfondato, o
guasto in qualche maniera.
Incomodo e poco pratico, fosse almeno elegante! Ma no. Nulla pi brutto, pi
antiartistico, pi ridicolo di questo strano utensile che deve suscitare molta ilarit
negli Orientali. []

48
G. dAnnunzio, Il peccato di maggio (poi in Intermezzo di rime, ora in Versi damore e di
gloria, cit. vol. I, pp. 267-271 e note pp. 944 e sgg.) apparve in Cronaca bizantina, 16 mag-
gio 1883 (ma delle due duchesse, madre e figlia, si parlava anche nellarticolo Venere capitoli-
na favente, a firma di Bull-Calf, in Fanfulla, 13 aprile 1883, in SG I, pp. 58-61).
124 Maria Teresa Imbriani

Alcune massime tolte dalla Sagesse de poche di Daniele Darc []: Una donna
stupida una calamit assai pi grande di un uomo stupido, perch ella parla di
pi. [] Non vi fidate della donna che ride sempre e delluomo che non ride
mai49.

E il giorno prima, impegnato a difendere e a esaltare le bellezze femmini-


li, era stato prodigo di consigli per la scelta dei veli colorati:

Al gran sole, non vi fidate dei veli in tulle rosso, giallo, turchino, o verde. Questi
veli hanno tanti riflessi diversi che colorano il volto e non sempre con vantaggio.
Il velo rosso empie tutta la fronte e il naso dun fulgore dincendio che pu star
bene a un viso pallido, specialmente se il viso si vede in pieno. Ma di profilo il
riflesso rosso non pi che una macchia vinosa dunapparenza sgradevole.
Il velo giallo d alla pelle un color di limone e fa sembrare dun color mattone la
parte del viso che rimane scoperta.
Il velo verde d un colore di ranocchia, uno sguardo semispento, laspetto mala-
ticcio.
Il tulle bianco invece sfuma delicatamente i contorni, addolcisce la tinta; e il tulle
nero vivifica il rosso delle labbra, lo splendore delli occhi e rende pi brune le
ciglia e le sopracciglia50.

Il giornalista mondano descrive e in tal modo detta moda nella capitale,


si insinua nei salotti, viene invitato alle cene, ospite ai matrimoni; disprez-
za la middle class, che pure quella che lo legge; trasforma con la sua penna
le signore in principesse, le principesse in regine, tutte le donne in dee. Ma
erano appunto i tempi di Saturno, di Venere e di Plutone51! Che cosa c di
pi bello di una pelliccia di lontra? Il cronista lo ribadir, e con le stesse paro-
le, ben due volte nelle sue cronache:

Oh bei mantelli di lontra ornati di castoro biondo! Il pelo lucidissimo si apre qua
e l come una spiga, variando legual colore cupo con apparenze doro. Nulla
pi signorilmente voluttuoso che una pelliccia di lontra da qualche tempo usata.
Allora le pelli consentono a tutte le pieghevolezze del corpo femminile; ma non
con la leggera aderenza della seta e del raso, s bene con una certa gravit non
priva di grazie e di quelle dolci grazie che li animali forniti di ricco pelame hanno
nei loro movimenti furtivi. Sempre una specie di lampo, una specie di lucidit
repentina precede o accompagna il movimento, e d al movimento una strana
bellezza.

49
Il Duca Minimo, La vita ovunque. Piccolo corriere, in La Tribuna, 25 giugno 1885, in
SG I, pp. 456-459.
50
Id., La vita ovunque. Piccolo corriere, in La Tribuna, 24 giugno 1885, in SG I, pp.
P. 453.
51
S. Slataper, Quando Roma era Bisanzio, in La Voce, 20 aprile 1911, in S. Costa,
Gabriele dAnnunzio, cit., p. 37.
La miserabile fatica quotidiana: Gabriele dAnnunzio giornalista 125

Alle giunture poi delle spalle, su l rovescio delle braccia, in torno ai fianchi, e qua
e l su l seno il colore prende un tono duna soavit antica, quasi morente, simi-
le forse a quello dun vaso di argento dorato in cui largento non anche apparisca
schietto e loro muoia52.

E chi delle nobildonne andr mai pi a una prima teatrale, dopo che Vere
de Vere, autentico struggler for life53, ha avvertito di evitare lApollo, teatro
mediocre e mal frequentato?

Noi amiamo con molto ardore i grandi spettacoli, i larghissimi lussi, le vibrazio-
ni delle pierreries, la luminosit dei tessuti paillettis, pe quali il gran Tho faceva
sonetti mirabili, e le scollature audaci, e le acconciature splendenti di monili aral-
dici e tutte quelle magnificenze feminili che mutano la sala di un teatro in un
convegno di bellezza e di ricchezza dilettoso alla vista dei mortali. Odiamo e
disprezziamo lignobile mediocrit di questo Apollo dove lilluminazione cos
scialba, dove linterno dei palchi duna tinta cos indecentemente sporca, dove
le signore vanno in abito chiuso e qualche volta anche in cappello, e dove per-
messo che un tenore si presenti, con un paio di pantaloni vecchi e con un ber-
retto da fattorino del telegrafo, a far delle stecche atroci. Oh povero Apollo, fre-
quentato omai dalli impiegati al Debito Pubblico, dalli ufficiali della Milizia
Territoriale e dai mariti delle coriste, perch laltra sera le acque melmose del
padre Tevere non ti copersero tutto?54

La vera protagonista del primo periodo del giornalismo dannunziano


certamente Roma, quella Roma che lo avrebbe vinto, come scriveva al prin-
cipe Sciarra, suo committente55. Il fascino della citt eterna aveva riempito la
colonna del giornale gi da quando luniversitario, appena giunto, ne descri-
veva gli effetti di luce, non senza uno sprazzo dironia per le memorie dei
banchi di scuola:

una primavera precoce. Ieri, uscendo fuori di porta del Popolo, vidi biancheg-
giare sul fondo turchino del cielo un ricamo finissimo disegnato dalla chioma di
un albero: da buon adoratore della santa Natura, ebbi un impeto dallegria, e gri-
dai ad un amico: Un mandorlo fiorente! Ahim, non era che una ramaglia secca
dalle foglie argentine.

52
Happemouche, Cronache romane. La cronachetta delle pellicce, in La Tribuna, 11
dicembre 1884, in SG I p. 205; Il Duca Minimo, Cronaca bizantina, in La Tribuna, 12
novembre 1886, in SG I, p. 674.
53
Lespressione nella lettera di Romain Rolland a Suars del 18 maggio 1897, in G. Tosi,
DAnnunzio visto da Romain Rolland. Con documenti inediti, in Il Ponte, marzo 1963, p. 346.
54
Vere de Vere, Giornate romane. Alla vigilia di Carnevale, in La Tribuna, 16 gennaio
1885, in SG I, pp. 226-227.
55
Cfr. A. Andreoli, Il vivere inimitabile, cit., p. 171.
126 Maria Teresa Imbriani

Pure la primavera c, si sente nellaria, si sente nel verde umile della campagna,
si sente nel sangue. Roma uno splendore; ha un incanto nuovo, pare giovine e
lieta; fa pensare alla saturnia augusta Roma pagana; perfino il Pantheon, il nero
aggrondato gigante, sanima stranamente a questo biondo sole; e di sotto al por-
tico e tra le colonne corintie pare qualche volta di vedere ondeggiare un pallio o
un peplo Con un po di buona volont, anche un questurino si pu trasfor-
mare in vergine sacra o in senatore quirite; perch no?

Eppure, anche questo pezzo immaturo rivela una complessiva musicalit,


vicina agli esiti descrittivi che saranno di un Ottorino Respighi, dove non
manca un presagio della propria vita a venire, di quel sogno di poeta colti-
vato dal diciottenne:

Tutto diventa oro; gli ultimi sprazzi di luce prendono una tinta calda, un aran-
cione intenso ove turbinano nugoli di polvere luccicante. Si cammina per una
via; tutta un tratto, alzando gli occhi, si vede una striscia gloriosa di sole che
bacia i cornicioni delle case, che d lampi e guizzi vivissimi alle vetrate, una stri-
scia di luce densa, dir cos, consistente, come un vapore. []
Passa poi sempre su quellora qualche splendida creatura dal viso pallido, dagli occhi
cerchiati di violaceo tenero, profondi, pieni di promesse; dalla bocca rossa come una
ferita, qualcuna di quelle pantere umane cantate e ricantate in elzeviro; passa traendo
seco per le penombre crepuscolari un desiderio di adolescente o un sogno di poeta56.

Lamore per la citt si tradurr nelle invettive contro gli sventramenti e le


speculazioni che ne stanno trasformando radicalmente il volto, trovando in
dAnnunzio, qualunque sia lo pseudonimo usato, il paladino della sua bel-
lezza. Cos scrive nelle vesti del Duca Minimo il 12 maggio 1885:

Roma diventa la citt delle demolizioni. La gran polvere delle ruine si leva da tutti
i punti dellUrbe e si va disperdendo a questi dolci maggesi. [] Ma dalle rovi-
ne sorger e risplender la nuova Roma, la Roma nitida, spaziosa e salutare, la
Roma costruita dalli architetti giovani che lasceranno da parte le eleganze spon-
tanee del Bramante e sinspireranno utilmente al palazzo del Ministero delle
finanze, al gran mostro della moderna architettura, alla caserma deglimpiegati57.

E poi aggiunge, nel dicembre 1886, evocando addirittura un piccolo ter-


remoto:

Fra non molti anni, se una giusta e severa legge edilizia non mette un freno alla
prepotenza e alla impudenza dei fabbricatori, la capitale del mondo rassomiglier

56
Bull-Calf, Corriere di Roma. Effetti di luce, in Fanfulla, 30 gennaio 1882, in SG I,
pp. 6-9.
57
Il Duca Minimo, La vita ovunque. Piccolo corriere, in La Tribuna, 12 maggio 1885, in
SG I, pp. 310-311.
La miserabile fatica quotidiana: Gabriele dAnnunzio giornalista 127

a una qualche brutta citt americana edificata da una masnada di mercanti di


cotone.
Meno male che questa razza ingorda adopera ne suoi mostruosi edifici cattiva
calce e cattivi mattoni! Si pu almeno sperare che un piccolo terremoto faccia
ampia vendetta e che, ammonita dal castigo, la mala razza si ravveda ed emigri
per sempre58.

Infine, nel 1893, larticolo Preambolo, che annuncia il suo ritorno alla
Tribuna, far di nuovo riferimento alla frenesia demolitoria, rievocando, a
distanza di un lustro, lesperienza del cronista mondano, che presto coinci-
der con quella di Claudio Cantelmo, il protagonista delle Vergini delle rocce.

Mi par gi lontanissimo il tempo in cui, mettendo per la prima volta il mio spi-
rito curioso a contatto immediato con i pi singolari fenomeni della vita moder-
na, io su questo giornale medesimo rompevo il mio stile a tutti gli sforzi della rap-
presentazione istantanea e della celere indagine o con la lieta veemenza della gio-
vinezza conducevo qualche impresa efficace contro i beoti, per la dignit dellar-
te, pel rispetto di una grande memoria, pel trionfo di unidea nuova.
Era il tempo in cui pi torbida ferveva loperosit dei distruttori o dei costrutto-
ri sul suolo di Roma. Insieme con nuvoli di polvere si propagava una specie di
follia edificatoria, come un turbine improvviso, afferrando non soltanto i fami-
gliari della calce e del mattone ma ben anche i pi schivi eredi dei majorascati
papali, che avevano fino allora guardato con dispregio gli intrusi dalle finestre dei
palazzi di travertino incrollabili sotto la crosta dei secoli. [] E din torno, su i
prati signorili ove nella primavera anteriore le violette erano apparse per lultima
volta pi numerose dei fili derba, biancheggiavano pozze di calce, rosseggiavano
cumuli di mattoni, stridevano ruote di carri carichi di pietre, si alternavano le
chiamate dei mastri e i gridi rauchi dei carrettieri, cresceva rapidamente lopera
brutale che doveva occupare i luoghi gi per tanta et sacri alla Bellezza e al
Sogno.
Sembrava che soffiasse su Roma un vento di barbarie e minacciasse di strapparle
quella raggiante corona di ville gentilizie a cui nulla paragonabile nel mondo
delle memorie e della poesia. Perfino i bussi della Villa Albani, che eran parsi
immortali come le cariatidi e le erme, rabbrividivano nel presentimento del mer-
cato e della morte.
Fu allora, da per tutto, come un contagio di volgarit. Nel contrasto incessante
degli affari, nella furia quasi feroce degli appetiti e delle passioni, nellesercizio
disordinato ed esclusivo delle attivit utili, ogni senso estetico fu smarrito, ogni
rispetto del passato fu deposto. La lotta per la ricchezza e per la potenza fu com-
battuta con un accanimento implacabile, senza alcun freno. Il piccone, la caz-
zuola e la mala fede furono le armi. E, da una settimana allaltra, con una rapi-
dit quasi chimerica sorgevano sulle fondamenta riempite di macerie le gabbie
enormi e vacue, crivellate di buchi rettangolari, sormontate da cornicioni postic-

58
Id., La vita ovunque, in La Tribuna, 15 dicembre 1886, in SG I, p. 737.
128 Maria Teresa Imbriani

ci, incrostate di stucchi obbrobriosi. Una specie dimmenso tumore biancastro


sporgeva dal fianco della vecchia Urbe e ne assorbiva la vita59.

La chiara presa di posizione contro il vento di barbarie la vera novit


rappresentata dalla raccolta integrale degli scritti giornalistici, come ha fatto
notare la curatrice, ed in linea con tutta lopera del poeta, anzi rappresen-
ta uno degli aspetti pi incisivi dellestetismo militante di dAnnunzio60. La
deprecatio temporis si manifesta nelle lamentationes per la perdita dei capola-
vori del passato: si parte con la visione delle rovine dellAbbazia di San Cle-
mente a Casauria nellarticolo in forma di lettera a Pasquale Villari, con cui
si apre la collaborazione al Mattino di Scarfoglio61; si chiude con il grido di
orrore contro gli sventramenti di Firenze, uno degli ultimi articoli, in forma
di lettera allamico Ugo Ojetti, stampati dal Corriere della Sera:

Mio caro fratello fiorentino,


gli argomenti da opporre al bestiale sfregio che minaccia la mia Fiorenza, la
nostra Firenze sono tanto manifesti e tanto imperiosi che io disdegno di nove-
rarli e di comentarli. [] Alla vergogna io mi opporr con tutte le mie forze, e
con quelle de miei pochi o molti fedeli, pur anco se dagli Italiani io fossi per esser
mandato novamente a confine; ch di Firenze mi sento gi esiliato da tanta buag-
gine che cerca di cangiare il bel Giglio fatto vermiglio in utile cavolfiore conci-
mato a Varlungo62.

Se la voce del poeta era rimasta inascoltata a proposito degli sventramenti


di Roma e di quelli pi tardi di Bologna, nei casi appena citati, il grido dallar-
me trover ampia accoglienza: nel 1892 Villari, Ministro della Pubblica Istru-
zione, che allora sovrintendeva anche ai Beni culturali, stanzier i fondi per il

59
G. dAnnunzio, Nella vita e nellarte. Preambolo, in La Tribuna, 7 giugno 1893, in SG
II, p. 196.
60
A. Andreoli, Introduzione, in SG II, p. XXIX, che continua: Identificato di solito con
la pagina optima, con le dimore leggendarie o con leleganza ricercata, lesteta invece alle
prese anche con ben altro che non riguarda il suo personale e, secondo il moralismo dei pi,
discutibile stile di scrittura e di vita. Durante gli anni del suo lungo interventismo culturale lo
troveremo infatti puntualmente l dove il brivido della distruzione fa fremere unopera dar-
te o unaugusta memoria. Non si contano i tesori di bellezza che egli ha difeso senza rispar-
mio: monumenti, abbazzie, cattedrali, cinte murarie, torri, centri storici, paesaggi, arredi urba-
ni, affreschi, statue, volumi rari, spartiti musicali, ricettari, tradizioni artigianali, dialogando di
continuo con soprintendenti, conservatori, archeologi, architetti. Cantore di tutte le bellezze
della terra italiana la dicitura sua dAnnunzio pertanto uno dei massimi, miscono-
sciuti, paladini di quelli che si sarebbero definiti beni culturali.
61
G. dAnnunzio, LAbbazia abbandonata. A Pasquale Villari, in Il Mattino, 30-31
marzo 1892, in SG II, pp. 24-29.
62
Id., La galleria nel centro di Firenze. Una lettera di Gabriele dAnnunzio, in Corriere
della Sera, 25 marzo 1926, in SG II, pp. 780-1 (e per la risposta del Primo ministro cfr. la
nota a p. 1714).
La miserabile fatica quotidiana: Gabriele dAnnunzio giornalista 129

Museo clementino, mentre nel 1926 sar Benito Mussolini in persona a inter-
venire affinch la Fiorenza del bel San Giovanni non venga deturpata.

La consacrazione delleroe

Liberatosi della miserabile fatica quotidiana63, dismessi i tanti pseudo-


nimi, pubblicato con successo Il Piacere, elegante sintesi dellesperienza
romana, il dAnnunzio di Napoli un artista ormai famoso cui manca solo il
riconoscimento doltralpe. Gli arriver puntualmente, e proprio da Napoli,
dove ritrova due dei pi cari amici della Roma bizantina, Matilde Serao ed
Edoardo Scarfoglio, che lo innalzano sullaltare della gloria. Non pi costret-
to al lavoro su commissione, dAnnunzio sfrutta il successo del romanzo per
pubblicare sul Mattino, e poi di nuovo sulla Tribuna, riflessioni e studi,
veri e propri esercizi preparatori per le sue opere e le sue teorie pi impe-
gnative. Legge Barrs, Nietzsche, Sailles, Taine, Joubert, Shakespeare,
Sofocle, Amiel; formula considerazioni originali; riflette sulle masse, e non
solo in funzione letteraria; conia addirittura il termine intellettuale e a pro-
posito di un napoletano illustre, Francesco De Sanctis, al quale viene dedica-
ta una Nota nel decennale della morte64. Questi anni di splendida miseria
preludono al dAnnunzio maturo: lo conducono da un lato nel cuore del pas-
sato, con la ripresa dei classici greci (Sofocle in particolare), e dallaltro lo
proiettano nella modernit. Mentre le riflessioni wagneriane lo indurranno a
considerare il teatro in funzione dello spettatore, il rinnovatore prepara la
duplice strada che lo porta incontro alle masse, da un lato con lingresso in
politica, dallaltro con la drammaturgia. La rinascenza della tragedia, lartico-
lo apparso sulla Tribuna del 2 agosto 1897, segner lavvio delle riflessioni
sul carattere del teatro come rito collettivo, capace di corrispondere alla vita
ideale degli spettatori. Per la massa popolareggiante, sorpresa durante la
visione dellAntigone di Sofocle nel teatro allaperto dOrange,

la voce di Antigone sale verso le stelle virginee; le pieghe del peplo dorico sono
commosse dal vento che passato su i monti e su i mari. E i battellieri del

63
Se ne lamentava nellarticolo Il Ritorno della rubrica Cronaca bizantina, apparso a firma
del Duca Minimo in La Tribuna, 8 ottobre 1887 (in SG I, p. 931): Anche la miserabile fati-
ca quotidiana del giornale, in questa prima sollevazione, vi appare meno dura e meno inutile
poich villumina la speranza che almeno una piccola parte dei vostri convincimenti e dei
vostri intendimenti e dei vostri gusti si diffonda nella moltitudine e serva a preparare tempi
migliori per larte che amate.
64
Per la parola intellettuale, cfr. E. Giammattei, DAnnunzio giornalista a Napoli. I segni
del contesto, in DAnnunzio giornalista, pp. 37-57 (ma anche Ead., Retorica e idealismo. Croce
nel primo Novecento, Il Mulino, Bologna 1987, p. 191). Sulle letture dannunziane cfr. almeno
G. Tosi, DAnnunzio critique dart. Aux sources franaises de son loge de Michetti (1893-1896),
in DAnnunzio giornalista, pp. 75-92.
130 Maria Teresa Imbriani

Rodano, i bifolchi della Camarga, i setaiuoli di Avignone, i calafati di Arles misti


agli ospiti venuti dalle citt sconosciute, tremano di piet e di terrore mentre la
soave ed eroica figlia di Edipo savanza verso il talamo che tutto sopisce. Essi
sono l, intenti e muti, dinanzi a quellapparizione subitanea della vita ideale.
Nelle loro anime rudi ed ignare ov un oscuro bisogno di elevarsi, per mezzo
della Finzione, fuor della carcere cotidiana in cui elle servono e soffrono la
parola del poeta, pur non compresa, per il potere misterioso del ritmo, reca un
turbamento profondo che somiglia a quello del prigioniere il quale sia sul punto
di essere liberato dai duri vincoli. La felicit della liberazione si spande a poco a
poco in tutto il loro essere; le loro fronti solcate si rischiarano; le loro bocche, use
alle vociferazioni violente, si dischiudono alla meraviglia. E le loro mani alfine
le aspre mani asservite agli stromenti del lavoro: al remo, allaratro, al telaio, al
martello si tendono con un moto concorde verso la vergine sublime che manda
alle stelle un gemito immortale65.

La manifestazione della catarsi di aristotelica memoria sui volti del pub-


blico leffetto del lavoro artistico: proprio a proposito di Wagner, dAnnun-
zio aveva affermato che tra filosofo e artista vi una differenza fondamenta-
le, giacch per chi specula piuttosto un difetto quella condizione

che in vece per noi ha grandissimo pregio: Voglio dire la modernit. [] Cos
il filosofo si mette fuori del suo tempo, mentre lartefice rientra nel suo tempo.
Ma luno, pur glorificando la vita, spazia in un dominio puramente speculativo;
mentre laltro realizza le sue astrazioni nella forma concreta dellopera darte66.

E ancora, allatto di entrare in Parlamento, nel celebre discorso detto della


siepe, il candidato della Bellezza sostiene a chiare lettere:

V nella moltitudine una bellezza risposta, donde il poeta e leroe soltanto pos-
sono trarre baleni. Quando quella bellezza si rivela per limprovviso clamore che
scoppia nellanfiteatro o su la piazza publica o nella trincea, allora un torrente di
gioia gonfia il cuore di colui che seppe suscitarla col verso, con larringa, col segno
della spada. La parola del poeta comunicata alla folla un atto come il gesto del-
leroe. un atto che crea dalloscurit dellanima innumerevole unistantanea bel-

65
G. dAnnunzio, NellArte e nella Vita. La rinascenza della tragedia, in La Tribuna, 2
agosto 1897, in SG II, pp. 263-264. Si veda anche Id., Il fuoco [1900], in Prose di romanzi,
cit., I, p. 298: Il popolo consiste di tutti coloro i quali sentono un oscuro bisogno di elevar-
si, per mezzo della Finzione, fuor della carcere cotidiana in cui servono e soffrono. [] Nelle
anime rudi e ignare la sua arte, pur non compresa, per il potere misterioso del ritmo recava un
turbamento profondo, simile a quello del prigioniere che sia sul punto di essere liberato dai
duri vincoli. La felicit della liberazione si spandeva a poco a poco nei pi abietti; le fronti sol-
cate si rischiaravano; le bocche, use alle vociferazioni violente, si dischiudevano alla meravi-
glia.
66
Id., Nella vita e nellarte. Il caso Wagner II, in La Tribuna, 3 agosto 1893, in SG II,
pp. 242-244.
La miserabile fatica quotidiana: Gabriele dAnnunzio giornalista 131

lezza, come uno statuario portentoso potrebbe da una molle argilla trarre con un
sol tocco del suo pollice plastico una statua divina. Cessa allora il silenzio che
scende, come una cortina sacra, sul poema compiuto. La materia della vita non
pi evocata dai simboli immateriali; ma la vita si manifesta nel poeta integra, il
verbo si fa carne, il ritmo si acclera in una forma respirante e palpitante, lidea
si enuncia nella pienezza della forza e della libert67.

LAristocratico di massa68 aveva messo dunque a frutto letture e studi


del biennio napoletano, quando sui giornali abbondano le Note, proprio a
rimarcare lo sperimentalismo di queste prose assai poco giornalistiche: Note
su larte. La Sensitiva (Il Mattino, 28-29 agosto 1892); Note su larte. Il biso-
gno del sogno (ivi, 31 agosto 1 settembre 1892); Note su la vita (ivi, 22-23
settembre 1892); Note su larte. Costantino Barbella (ivi, 6-7 ottobre 1892);
Nota su Francesco De Sanctis (rubrica Nella vita e nellarte, in La Tribuna, 28
giugno 1893); Nota su Giorgione e la critica (Il Convito, gennaio 1895);
Note sul Rinascimento Latino (ivi, febbraio 1895) Nota su Francesco Paolo
Michetti (ivi, luglio-dicembre 1896).
Agli Anni Novanta risale unaltra delle prove tra le pi interessanti del
giornalismo dannunziano, ossia quella che stata definita la regia della rivi-
sta di Adolfo de Bosis, Il Convito, che segna appunto la stagione del
Rinascimento latino 69. Anche qui confluiscono le idee di quel giovine cuore
campno70, che ha ormai il suo doppio in Claudio Cantelmo, protagonista
delle Vergini delle rocce, come si apprende puntualmente dal confronto tra
carte di appunti recentemente riemerse e il Proemio della rivista. Si tratta di
studi su Socrate in generale, ma anche di traduzioni di versi dalle tragedie di
Sofocle, il Filottete e lElettra, da cui deriva senzaltro un passaggio piuttosto
significativo del Proemio:

Ebbene, c ancra qualcuno che in mezzo a tanta miseria e a tanta abjezione ita-
liana serba la fede nella virt occulta della stirpe, nella forza ascendente delle idea-
lit trasmesseci dai padri, nel potere indistruttibile della Bellezza, nella sovrana
dignit dello spirito, nella necessit delle gerarchie intellettuali, in tutti gli alti
valori che oggi dal popolo dItalia sono tenuti a vile, e specialmente nellefficacia
della parola. Dopo aver considerato e tentato ogni cosa, io vedo che la parola
non lazione conduce tutto fra i mortali dice lOdisseo di Sofocle, con senten-
za profonda. Ed Elettra Poche parole hanno sovente sollevato o abbattuto un

67
Id., Agli elettori di Ortona, in La Tribuna, 23 agosto 1897, in SG II p. 270.
68
P. Gibellini, Logos e mythos, cit., p. 6.
69
Cfr. A. Andreoli, La regia del Convito, in DAnnunzio giornalista, pp. 167-176 (e anche
della stessa le note in SG II, pp. 1585-1595).
70
Cos si autodefinisce dAnnunzio nellarticolo Per le onoranze a Vittorio Pica, Corriere
della Sera, 26 febbraio 1928, in SG II, p. 784.
132 Maria Teresa Imbriani

uomo. Credendo in questa antica e sempre nuova efficacia, noi ci gettiamo con
ardore nellimpresa71.

Politica e letteratura a un certo punto sintersecano e le riflessioni sul pub-


blico verranno scavalcate da quelle che riguardano le masse. La collaborazio-
ne con La Tribuna interrotta appunto dal discorso Agli elettori di Ortona
del 25 agosto 1897, che prelude al rapido passaggio in Parlamento. Dora in
poi, a esclusione delle Faville e dei Canti i giornali ospiteranno gli interventi
in cui dAnnunzio prender posizioni esplicite su fatti contemporanei: da
quelli del Giorno del 1900, quando in Morti e vivi (26 marzo) giustificher
il suo passaggio dai banchi della Destra a quelli della Sinistra, agli articoli
riguardanti lesperienza bellica, La chanson de Saucourt (Le gaulois, 24 set-
tembre 1914, ma in traduzione nel Corriere della Sera, 25 settembre); La
trs amre Adriatique (La Petite Gironde, 25 aprile 1915); lOrazione della
Sagra dei Mille (Corriere della Sera, 5 maggio 1915); Il volo di dAnnunzio
su Trento (ivi, 26 settembre 1915); La beffa di Buccari (ivi, 19 e 20 febbraio
1918); Parole di G. dAnnunzio dopo il volo su Vienna (ivi, 18 agosto 1918)
fino al tardivo Leroismo della nostra stirpe (ivi, 15 giugno 1936), il messaggio
per i fascisti decorati al valor militare riunitisi a Gardone. Allimpresa fiuma-
na sono invece dedicati tutti gli articoli che appaiono nel giornale La
Vedetta dItalia, dove sono accolti discorsi e dispacci del Comandante, che
gi altrove si era espresso sui motivi che lo spingevano allimpresa (Lettera ai
Dalmati, in La Gazzetta di Venezia, 14 gennaio 1919; Disobbedisco, in
LIdea Nazionale, 1 luglio 1919; Italia o morte, in La Gazzetta del popo-
lo, 8 e 13 settembre 1919; ecc.). Il neonato giornale fiumano sar appunto
lorgano ufficiale dei venti mesi della Reggenza del Carnaro, di cui registrer
nascita, imprese ed epilogo. Appartengono agli anni della guerra, e soprat-
tutto delloccupazione di Fiume, gli slogan che hanno caratterizzato unepo-
ca, dalla vittoria mutilata, allamarissimo Adriatico, dal grido della bac-
canti riutilizzato in funzione eroica eia eia eia alal allItalia o morte, pas-
sando per le brache di Cagoia, il Nitti allora al tavolo della pace, senza
dimenticare lardisco non ordisco e la noi o al con me pi tardi riuti-
lizzati dal regime:

A chi la forza?
A noi!
A chi la costanza?
A noi!

71
Proemio, in Il Convito, gennaio 1895, in SG II, p. 285. Le due citt. da Sofocle,
Filottete, vv. 98-99 ed Elettra, vv. 415-416 sono nella c. 13 di ARC.21.1/39, conservata pres-
so la Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II di Roma, su cui M.T. Imbriani,
Nascondere il brutto o volgerlo al sublime: nel laboratorio delle Vergini delle rocce, in
Quaderni del Vittoriale nuova serie 3, 2006, pp. 39-130.
La miserabile fatica quotidiana: Gabriele dAnnunzio giornalista 133

A chi la fedelt?
A noi!
A chi la vittoria?
A noi!
Contro tutto e contro tutti
alal!72

Il giornalismo dannunziano, quello del tempo della gloria, in realt


costituito per la massima parte dalle Faville, quando, ormai consacrato,

in queste cose scritte un po a caso, mandate una dopo laltra a un giornale che le
paghi e le stampi, la qualit vera di dAnnunzio si dimostra con una purit repen-
tina; senza schemi, senza programmi. dAnnunzio che prende una cosa qua-
lunque e la scrive. [] Son cose del suo passato, della sua vita, che ci riportano
dinanzi le amanti, i giardini, le cere, i cavalli, le abitudini e le pose consuete; ma
tutto questo materiale un po falso e stilizzato ha poco valore nella pagina nuova.
un pretesto per scriverla. Quel che importa soltanto lo scrivere; DAnnunzio
che si ferma sopra un punto, un ricordo, una sensazione e la esprime; ne cava una
pagina e poi ha finito. Va per il suo cammino; la pagine resta dietro di lui lieve e
sciolta come una foglia non legata a nulla; piena e pefetta in s stessa, limpida
come una goccia dacqua pura73.

Si tratta in verit del contributo pi notevole dello sperimentatore dec-


cezione, il vero capolavoro anche in funzione del pubblico, come dimostra-
no appunto le parole appena udite di un osservatore deccezione, quale fu
Renato Serra. Per il resto, ogni qualvolta la penna del poeta-soldato sfiorer
le colonne dei giornali, sar o a fini politici e propagandistici oppure, dopo il
ritiro nella roccaforte del Vittoriale, in funzione autocelebrativa. Discorsi, let-
tere al direttore o ai pi vari interlocutori, rappresentano lultimo orizzonte
del rapporto che linfaticabile grafomane tenne, volutamente o meno, con i
giornali nellultima stagione. Negli anni del fascismo, afferma un privilegia-
to spettatore contemporaneo, si estrassero dal materiale mitologico di
dAnnunzio, teorie, dottrine e nomi per liquori; sinizi un modo di vestire,
di parlare, di camminare, di scriver dediche e articoli, di legare le scatole dei
confetti e soprattutto ci si sent grandi, eroici, individualisti ed eterni74. Ma

72
Cos si conclude un discorso dannunziano stampato con il titolo A noi!, in La Vedetta
dItalia, 18 maggio 1920, in SG II, p. 1110. Gli articoli della Vedetta dItalia sono raccolti
in SG II, pp. 1003-1327. Vd. anche E. Paratore, DAnnunzio giornalista al tempo della guerra,
in DAnnunzio giornalista, pp. 155-165 e P. Alatri, DAnnunzio giornalista politico, ivi, pp. 177-
197 e Id., Nitti, dAnnunzio e la questione adriatica 1919-1920, Feltrinelli, Milano 1976, oltre,
a cura dello stesso, G. dAnnunzio, Scritti politici, Feltrinelli, Milano 1980.
73
R. Serra, DAnnunzio, in Id., Le lettere [1914], a cura di A. Palermo, Mephite, Atripalda
2004, p. 84.
74
L. Longanesi, La morte del cigno, in LItaliano, 30 novembre 1928, ora in Id.,
LItaliano, raccolta antologica a cura di M. Veneziani, Ciarrapico, Roma 1985 p. 52.
134 Maria Teresa Imbriani

lui, lultimo Vate dItalia, lormai Principe di Montenevoso, dalla reggia di


Cargnacco, avr sempre una parola limpida, dirimente, decisiva. Lultima,
insomma, com proprio delluomo che popolarmente fu ritenuto il pi
intelligente dItalia75, quandanche si trattasse di risolvere un problema lega-
to al genere di un sostantivo:

A Giovanni Agnelli
Mio caro Senatore,
in questo momento ritorno dal mio campo di Desenzano, con la Sua macchina
che mi sembra risolvere la questione del sesso gi dibattuta. LAutomobile fem-
minile. Questa ha la grazia, la snellezza, la vivacit duna seduttrice; ha, inoltre,
una virt ignota alle donne: la perfetta obbedienza. Ma, per contro, delle donne
ha la disinvolta levit nel superare ogni scabrezza. Inclinata progreditur. []76

75
La cit. tratta da A. Gramsci, Passato e presente. Caratteri del popolo italiano, in Quaderni
del carcere, edizione critica a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975, vol. II, p. 1202.
76
G. dAnnunzio, A Giovanni Agnelli, in Rivista Fiat, gennaio-febbraio 1926, in SG II,
p. 1367.
MARIA PANETTA

Settantanni di militanza:
Benedetto Croce, tra riviste e quotidiani

Il 4 febbraio 1909 usciva sulla Voce un articolo intitolato I laureati al


bivio 1: Croce vi tratteggiava una panoramica sui giovani italiani che allora si
laureavano in lettere e filosofia, a suo dire perlopi indecisi tra lopzione di
intraprendere la strada del giornalismo e quella di perseguire la via dellinse-
gnamento scolastico.
Troppi di essi2 a suo giudizio propendevano per correre a ingrossa-
re le file del giornalismo3, sebbene non vi fossero attratti da naturale e irre-
sistibile vocazione4. Egli affermava, infatti (delineando, con unimplicita
professione dintenti, le caratteristiche del suo ideale di giornalista): chi ha
passione e intelligenza della vita politica o degli affari, fa benissimo a darsi al
giornalismo, ad aggregarsi a un partito, a promuovere con la parola e con la
penna glindirizzi che stima salutari, ad appoggiare o combattere uomini e
istituzioni5; e precisava di non riferirsi nemmeno ai mestieranti6. Puntua-
lizzava, dunque, di star parlando di coloro che, pur non avendo vocazione
alcuna n per la scuola n per il giornalismo, non erano privi di interessi
ideali7 e, anzi, mostravano una buona disposizione pel culto della scienza e
dellarte8: questi giovani approdavano, a suo parere, al suddetto bivio perch
costretti a provvedere in qualche modo allassetto economico della loro
vita9.
Se la scuola li poteva attrarre per la sicurezza di un posto da impiegato sta-
tale, il giornalismo

1
Cfr. B. Croce, I laureati al bivio, in La Voce, I, n. 8, 4 febbraio 1909; rist. in Id.,
Cultura e vita morale. Intermezzi polemici, a cura di. M.A. Frangipani, Bibliopolis, Napoli
1993, pp. 109-113.
2
Cfr. Id., I laureati al bivio, in Id., Cultura e vita morale, cit., p. 109.
3
Ibidem.
4
Ibidem.
5
Ibidem.
6
Ibidem.
7
Ivi, p. 110.
8
Ibidem.
9
Ibidem.
136 Maria Panetta

li respinge bens anchesso per la natura instabile e sempre pericolante del lavoro
che in grado di fornire; ma assai pi fortemente li attira coi pronti e talora lar-
ghi guadagni, con la dimora nelle grandi citt, con la relativa libert nelluso della
propria giornata, con la notoriet che procura facilmente, sin dalle prime prove10.

Croce prendeva ivi posizione netta contro il mondo della carta stampa-
ta, affermando che fosse necessario indirizzare questi giovani indecisi (ma
capaci) verso linsegnamento, distogliendoli dal giornalismo, che, a suo giu-
dizio, coltivato quotidianamente,

distrae le menti degli aspiranti scienziati e artisti; le disabitua dalla considerazio-


ne attenta e scrupolosa della verit; rafforza in chi vi disposto e svolge in chi
non vi sarebbe naturalmente disposto la tendenza allunilateralit, allimprecisio-
ne e al sofisma (nella scienza), e alla ricerca delleffetto e del successo (nellarte);
costringe allimprovvisazione e perci, pi o meno, al ciarlatanesimo11.

Questi, dunque, i difetti del giornalismo dellepoca, secondo Croce


(estensibili anche a parte di quello contemporaneo aggiungerei). Egli rite-
neva che la pratica della scrittura giornalistica al contrario di quella dellin-
segnamento disabituasse i giovani allordine e alla regolarit del lavoro,
allesattezza12 e alla diligenza13, e stemperasse la loro eventuale predispo-
sizione alla contemplazione e alla riflessione (che necessitano di una certa
distanza14 dalloggetto della meditazione) a causa delleccessivo contatto
con le questioni pratiche e con i problemi della vita di tutti i giorni.
Concludeva osservando che glingegni poetici e scientifici15, se nella scuola
possono destare, merc la larga cultura e lo spirito vivace, simpatia e amore
negli scolari16, nel giornalismo divengono

corruttori, e sotto specie di nobilitarlo, lo rendono frivolo, sostituendo alla seria


informazione e discussione dei problemi pratici finzioni di arte e di scienza, gon-
fiezze, falsi colori. Il giornalismo progredisce e si nobilita per opera dei giornali-
sti-nati, e non gi dei letterati mancati.

A cavallo tra Ottocento e Novecento noto molti giovani italiani fu-


rono attratti dallidea di entrare a far parte del mondo delleditoria in espan-
sione, sia collaborando a testate giornalistiche, sia divenendo consiglieri di

10
Ibidem.
11
Ivi, p. 111.
12
Ibidem.
13
Ibidem.
14
Ibidem.
15
Ivi, p. 112.
16
Ibidem.
Settantanni di militanza: Benedetto Croce, tra riviste e quotidiani 137

case editrici. Lo stesso Croce forniva loro un egregio esempio di vivace e


geniale eclettismo, essendo egli stesso coinvolto in una serie di iniziative edi-
toriali di ampio respiro e vasto seguito.
Ripercorrere le tappe dellattivit di Croce collaboratore di riviste e quo-
tidiani, e condirettore o fondatore egli stesso di periodici, significa occuparsi
della storia della cultura italiana negli anni che vanno dallultimo ventennio
dellOttocento al primo cinquantennio del Novecento: nellimpossibilit di
fornire una trattazione esaustiva al riguardo nellesiguo spazio di un breve
saggio, si cercher di descriverne delle tappe significative, focalizzandosi su
alcune questioni di rilevante interesse.
del 28 ottobre 1882 il primo articolo di Croce su Le lettere virgiliane del
Bettinelli, apparso su Lopinione letteraria di Roma e seguito da altri tre
componimenti di terza liceale, poi stampati sul medesimo periodico: La can-
zone Alla fortuna del Guidi (del 2 novembre), Bettinelli e Dante (del 30
novembre) e Didone (del 7 dicembre 1882)17. LOpinione letteraria era un
supplemento letterario settimanale dellOpinione, giornale conservatore
che prese a uscire ogni gioved, a partire dalla fine del 1881, e termin le sue
pubblicazioni gi nel dicembre del 1882, perch ospitava perlopi puerili18
saggetti e poesie di scolari di ginnasio, di liceo e delle scuole tecniche del
Regno dItalia. Nel 1910 Croce raccontava di aver spedito con molta trepi-
dazione19, tra lestate e lautunno del 1882, i quattro articoletti al direttore
del periodico, il marchese dArcais, dopo averli sottoposti al suo insegnante
di lettere italiane, Ferdinando Flores, che spronava i suoi allievi a scrivere
temi di argomento libero, suggeriti dalle personali letture e impressioni.
Cos si spiega come io, che passavo per lerudito della classe, prendessi a trat-
tare del Bettinelli e di Alessandro Guidi20.
Dellanno seguente, invece, una ben pi seria e nota pubblicazione:
quella del Giambattista Basile. Archivio di letteratura popolare, rivista de-
dicata agli studi demologici e diretta da Luigi Molinaro del Chiaro21. Il perio-

17
I quattro articoli vennero ristampati in un opuscolo diffuso in 50 copie per le nozze tra
Giuseppe Lombardo Radice ed Emma Harasim: cfr. B. Croce, Il primo passo. Quattro scritti
critici, S. Tip., Napoli MCMX, poi raccolto in appendice a Id., Pagine sparse, vol. I, Ricciardi,
Napoli 1943, pp. 415-437. Cfr. E. Cione, Bibliografia crociana, Bocca, Milano 1956, pp. 62
e sgg., e p. 231. I saggi sono stati, in seguito, inclusi nel secondo volume delle crociane Nuove
pagine sparse (II ed., Laterza, Bari 1966, pp. 273-300). Cfr. A. Manganaro, Un dono di nozze
a Giuseppe Lombardo Radice: Il primo passo di Benedetto Croce, in Unistituzione. Una storia
(1938-2001), Annuario dellIstituto Magistrale Statale G. Lombardo Radice di Catania,
Greco, Catania 2001, pp. 91-94.
18
Cfr. B. Croce, Pagine sparse, vol. I, cit., p. 420.
19
Ibidem.
20
Ibidem.
21
Giambattista Basile: Napoli, 1883-1889, 1892 (a. VIII), 1893-1905 (a. IX), 1906,
1907 (a. XI). Redattori: M. Mandalari, M. Scherillo, L. Correra, G. Amalfi, V. Della Sala, V.
138 Maria Panetta

dico usc tra il 1883 e il 1907, in 139 fascicoli, e si occup del patrimonio
letterario, linguistico ed etnologico di Napoli e della Campania, con cenni
alle altre regioni del meridione dItalia.
Sotto la suggestione dellimpulso dato da Alessandro DAncona (con cui
Croce era in corrispondenza)22, Giuseppe Pitr e Vittorio Imbriani agli studi
di letteratura popolare, anche Croce si dilett, in quel periodo, a raccogliere
e ad annotare fiabe, canti, cunti, detti e proverbi popolari, non senza assilla-
re, per procurarsene di sconosciuti o poco conosciuti, le cameriere, il cuoco
e il cocchiere di casa, e ancora i contadini, [] anzi persino i zampognari23:
di essi si trova traccia in numerosi articoli da lui pubblicati, tra il 1883 e il
1889, soprattutto sul suddetto Giambattista Basile, seguendo le direttive e
i propositi riassunti nel Programma della rivista (Ai nostri lettori, del 15 gen-
naio 1883), nel quale, dopo aver sottolineato la grande importanza degli
studi di letteratura popolare, i redattori precisavano:

ecco dunque il nostro disegno. Studiarci di raccogliere quanto direttamente od indi-


rettamente si riferisca al popolo; e quindi in questo giornale troveran posto i canti, i
conti, le leggende, i proverbii, glindovinelli, eccetera eccetera [] non vi mancheran-
no nel nostro giornale degli articoletti intesi ad illustrare qualche uso o costume ed
anche qualche poeta popolare. Ma il miglior posto sar occupato dai prodotti in dia-
letto, i quali, del resto, non mancheranno desser corredati di note esplicative, spe-
cialmente storiche e dialettali; punto estetiche, perch unico scopo di farli gustare e
meglio intendere ai lettori. Alluopo vi saranno anche dei riscontri e delle varianti.
[] Sindicheranno le pi importanti pubblicazioni, sia nostrali, che straniere, in
specie tedesche [] cercheremo di conciliare lutile dulci di Orazio, studiandoci di far
cosa gradita e al cultore delle cose popolari e al semplice dilettante [] memori che
la scrittura debba ritrarre, per quanto possibile, i suoni, ci varremo dellortografia
comunemente adottata ed anche nella raccolta Imbriani-Casetti 24.

Croce contribu firmando numerosi articoli, dei quali si d notizia per


esteso, per rendere lidea della produttivit, e dellinteresse per la materia, del
giovane erudito: U lupo e a vorpa. Favola raccolta sul villaggio del Vomero
da Benedetto Croce (del 15 luglio 1883)25; Proverbi trimembri napoletani (del
15 settembre 1883)26, raccolta di quarantacinque proverbi trascelti da uno
zibaldone manoscritto di un tale Luca Auriemma; O cunto da vecchierella.

Simoncelli. Cfr. la ristampa anastatica in tre volumi, edita da Arnaldo Forni editore (Sala
Bolognese 1979).
22
Cfr. D. Conrieri (a cura di), Carteggio DAncona-Croce, introduzione di M. Fubini,
Scuola Normale Superiore di Pisa, Pisa 1977.
23
Cfr. B. Nicolini, Benedetto Croce, UTET, Torino 1962, pp. 62-63.
24
Cfr. Giambattista Basile, cit., a. I, pp. 1-2.
25
Al riguardo, cfr. M. Panetta, Croce editore, vol. I, Edizione Nazionale delle Opere di
Benedetto Croce, Bibliopolis, Napoli 2006, p. 108.
26
Ivi, pp. 108-109.
Settantanni di militanza: Benedetto Croce, tra riviste e quotidiani 139

Favola raccolta sul villaggio del Vomero (del 15 novembre 1883)27, che lo stes-
so Croce reputava un seguito di stramberie mal connesse, fatto, direi quasi, pi
per ludito che per la fantasia28; Canti popolari raccolti in Napoli sul Villaggio
del Vomero (del 15 dicembre 1883)29, dieci canti popolari sino ad allora scono-
sciuti, seguiti da note lessicali e notazioni sui personaggi evocati; Canti popola-
ri raccolti a San Cipriano Picentino (del 15 febbraio 1884)30, altri dieci canti
popolari annotati da Croce. Seguirono: Letteratura scolastica (del 15 giugno
1885)31, ovvero motti, versi, indovinelli, filastrocche, aneddoti e facezie cor-
renti nelle scuole; il noto saggio su La leggenda di Niccol Pesce (del 15 luglio
1885)32, in cui Croce ne raccont una delle versioni circolanti, con la successi-
va Giunta alla leggenda di Niccol Pesce (del 15 agosto 1885)33 e la risposta ad
Arturo Graf intitolata Ancora di Niccol Pesce (del 15 gennaio 1886)34; Come va
che gli uomini mangiano ancora il pane (del 15 settembre 1885)35, resoconto di
un fatterello36 raccontatogli da un facchino in una stazione; Un opuscolo popo-
lare del secolo XVI (del 15 ottobre 1885)37, ovvero la ristampa di una Relazione
sincrona sulla morte di Maria Stuarda; Canti popolari della Marittima e
Campagna (del 15 agosto 1886)38, raccolta di sei canti popolari in endecasilla-
bi; Usi nuziali di San Cipriano Picentino e di Mercato San Severino (del 15 mag-
gio 1887)39; Francesco Caracciolo e un suo Omero (del 15 novembre 1887)40, in
cui compare la ristampa di un opuscolo popolare sullammiraglio giacobino
Francesco Caracciolo e sulla battaglia navale del 14 marzo 1795 tra inglesi e
francesi, seguito dallarticolo intitolato Intorno al poemetto popolare su Francesco
Caracciolo (del 15 gennaio 1888)41, in cui si conferma la datazione proposta da
Croce per il suddetto poemetto nellintervento precedente; O cunto ro gallo e
a zoccola. Favola raccolta sul villaggio del Vomero da Benedetto Croce (del 15
maggio 1888)42;O cunto e luorco e lorca (15 gennaio 1889)43 e, infine, Canti
politici del popolo napoletano (del 15 agosto 1889)44.

27
Ivi, pp. 109-110.
28
Cfr. Giambattista Basile, cit., a. I, n. 11, p. 83.
29
Cfr. M. Panetta, Croce editore, vol. I, cit., pp. 110-112.
30
Ivi, pp. 113-114.
31
Ivi, pp. 115-116.
32
Ivi, pp. 116-118.
33
Ivi, pp. 118-119.
34
Ivi, pp. 123-124.
35
Ivi, p. 119.
36
Cfr. Giambattista Basile, cit., a. III, n. 9, p. 72.
37
Cfr. M. Panetta, Croce editore, vol. I, cit., pp. 119-120.
38
Ivi, p. 124.
39
Ivi, p. 130.
40
Ivi, pp. 130-131.
41
Ivi, p. 132.
42
Ibidem.
43
Ivi, p. 133.
44
Ivi, pp. 133-134.
140 Maria Panetta

Contemporaneamente allinteresse demologico per le produzioni sponta-


nee del popolo napoletano, Croce inizi a coltivare quello per la lettura di
opere varie di contemporanei, che prese a recensire su varie testate: il Croce
recensore45 fece il suo primo ingresso nellarena del giornalismo culturale il
13 giugno 1883, con un articolo sul romanzo di Vittorio Imbriani Dio ne
scampi dagli Orsenigo, edito dalla Gazzetta di Napoli46.
Perlopi firmando con lo pseudonimo di Gustavo Colline, a partire dal
1885 egli collabor, con articoli tra gusto erudito e attenzione alla contem-
poraneit, anche a svariati numeri47 della Rassegna pugliese di scienze, let-
tere ed arti (1884-1913)48, che usciva ogni quindici giorni a Trani, stampa-

45
Del quale non si tratter, in questa sede, se non per brevi cenni e sul quale cfr. F. Lolli,
Croce polemista e recensore (1897-1919), Il Mulino, Bologna 2001.
46
Cfr. a. XIII, n. 162, p. 3; rist. in B. Croce, Pagine sparse, vol. I, cit., pp. 443-447.
47
Cfr., oltre a numerose sue recensioni, B. Croce, Chi lo Schiavo da Bari. Lettera, in
Rassegna pugliese, 1885, p. 261; Id., Ancora dello Schiavo da Bari, 1885, p. 298; Id., Il mito
di Shakespeare, n. 11, 15 giugno 1885; Id., Di un antico vocabolarietto italiano-tedesco, n. 11,
15 giugno 1885; Id., Ranuccio Farnese e Sisto V, n. 12, 30 giugno 1885, pp. 183-185; Id., Una
bugia napoletana di Wolfango Goethe, n. 13, 15 luglio 1885, pp. 202-203; Id., Un elogio della
pazzia italiana, n. 14, 31 luglio 1885, pp. 217-218; Id., Dante Alighieri, poeta latino del sec.
XV, n. 15, 15 agosto 1885, pp. 232-234; Id., Un miracolo, n. 15, 15 agosto 1885, pp. 237-
238; Id., Notizie di opere letterarie italiane su Maria Stuarda, n. 17, 15 settembre 1885, pp.
266-269, 294-297, 310-312; Id., Traduzione in versi dellHiver del Branger, n. 5, 15 novem-
bre 1885, p. 322; Id., Lucrezia dAlagno, notizie storiche, n. 21, 15 novembre 1885, pp. 328-
330, 345-347, 360-363, 373-376; Id., Massime per la vita di Augusto V. Platen, n. 19, 10
novembre 1886; Id., Dai colloqui di Erasmo, n. 8, 30 aprile-6 maggio 1886, pp. 115-118, n.
9, 15-23 maggio 1886, pp. 132-134, n. 11, 25 giugno 1886, pp. 165-166; Id., Gorgheggi del-
lanima, n. 13, 31 luglio 1886, pp. 203-204; Id., Poesie popolari spagnuole e traduzioni in versi
dal Marot, n. 5, 15 marzo 1886, p. 66; Id., Una vecchia questione, larte e la morale, n. 4, 28
febbraio 1886, pp. 51-54; Id., Alcuni appunti di erudizione, n. 15, 19 settembre 1886, pp.
255-257; Id., Pensieri sullarte, n. 15, 15 marzo 1886, pp. 71-73; Id., Necrologia di Vittorio
Imbriani, n. 1, 15 gennaio 1886, pp. 3-4; Id., Appunti, n. 4, 28 febbraio 1886, p. 60; Id., Tra
libri vecchi, nn. 23-24, 31 dicembre 1886, pp. 255-257; Id., Figurine goethiane: La principes-
sa, IV, n. 14, 31 luglio 1887; Id., Figurine goethiana: Miss Harte, IV, n. 16, 31 agosto 1887;
Id., Figurine goethiane: La duchessa Giovane, IV, n. 18, 30 settembre 1887; Id., La poesia dida-
scalica, n. 4, 12 marzo 1887, pp. 52-54; Id., Giordano Bruno e W. Goethe, n. 1, 30 gennaio
1887, pp. 7-8; Id., Luisa Sanfelice e la congiura dei Baccher, V, ff. 7, 9, 11, 16 del 1888; Id.,
Pomponio de Algerino, V, nn. 21-22, 6 novembre 1888; Id., Una raccoltina di autografi, VII,
1890, dal n. 4-5, 21 marzo, al n. 14-15, 12 settembre 1890; Id., Don Onofrio Galeota, VII, n.
7, 4 maggio, e n. 10-11, 15 luglio 1890; Id., Ines de Castro, IX, n. 21-22, 24 dicembre 1892;
Id., Collegi femminili in Italia, IX, n. 21-22, 24 dicembre 1892; Id., Di alcune obiezioni mosse
a una mia memoria sul concetto della storia, X, 1894; Id., Versi spagnuoli in lode di Lucrezia
Borgia duchessa di Ferrara e delle sue damigelle, XI, 1894; Id., Lodi di dame napoletane del seco-
lo decimosesto, dallAmor prigioniero di Mario di Leo, XI, 1894; Id., Lavversario spagnuolo di
Antonio Galateo, XII, 1895.
48
Cfr. A. Iurilli, M.T. Colotti (a cura di), Rassegna pugliese di scienze, lettere ed arti, 1884-
1913: indici; introduzione di M. DellAquila, Lacaita, Manduria 1985; C. Prencipe Di
Donna, La Rassegna pugliese e Benedetto Croce, Apulia, Foggia 1974.
Settantanni di militanza: Benedetto Croce, tra riviste e quotidiani 141

ta dal tipografo Valdemaro Vecchi49, con cui com noto Croce ebbe un
rapporto duraturo e proficuo anche in seguito.
Dopo lavvenuta unificazione nazionale, infatti, la cultura pugliese, in
generale, perse progressivamente il suo carattere marcatamente provinciale,
trovando nella stampa un efficace veicolo di divulgazione: nella Rassegna
pugliese, in particolare, comparvero anche numerosi articoli e recensioni
sugli autori pi importanti della letteratura inglese e di quella americana,
nonch servizi relativi ai diversi aspetti del mondo doltremanica e doltreo-
ceano. La rivista sinser pure efficacemente nel filone della letteratura meri-
dionalista, apportando contributi importanti al dibattito in corso e valendo-
si della collaborazione dei pi illustri intellettuali meridionali dellepoca nel
campo delleconomia, della letteratura, della politica, delle arti e delle scien-
ze: oltre a Croce, Giovanni Bovio, Giacomo Boggiano, Francesco Fraccacre-
ta, Ottavio Serena, Nicola De Nicol, Giovanni Beltrani, Nicola Bavaro,
Francesco Saverio Vista etc.
Alcuni degli articoli di Croce ivi pubblicati riapparvero, poi, in opuscolo
e figurano tra i suoi contributi pi importanti e noti alla storia erudita italia-
na: tra essi, si ricordi almeno Luisa Sanfelice e la congiura dei Baccher, uscito
anche in estratto nel 1888 per la tipografia di Valdemaro Vecchi e poi ristam-
pato nel noto volume crociano su La rivoluzione napoletana del 1799 50.
In questo periodo della vita dello studioso, lattivit giornalistica sintrec-
cia con gli studi eruditi e con la curatela di una serie di edizioni di testi mino-
ri o di difficile reperibilit (come, ad esempio, quella del Memoriale a Beatrice
dAragona regina dUngheria di Diomede Carafa, uscito nel 1894 a Napoli),
dei quali Croce anticipa le prefazioni facendole uscire prima in rivista51.
Del 1887 la collaborazione al Pantagruel, inaugurato a Trani proprio
quellanno da Giovanni Mennuti, e alla romana Rassegna degli interessi
femminili, fondata nel 1886 dalla belga Fanny Salazar Zampini, docente di
lingua e letteratura inglese presso il Magistero femminile di Roma: per que-
stultima Croce firm, tra gli altri, un articolo su Gaspara Stampa52 e uno su
Eleonora Fonseca Pimentel 53, delle quali si sarebbe interessato in modo pi
approfondito in seguito54. Interessante, invece, per quanto riguarda il

49
Cfr. R. Russo, Valdemaro Vecchi: ricordo del grande tipografo-editore a cento anni dalla
morte, 1906-2006, Rotas, Barletta 2006; M. DellAquila, Valdemaro Vecchi e la Rassegna
pugliese, s.n., Bari s.a.
50
Cfr. B. Croce, La rivoluzione napoletana del 1799: biografie, racconti, ricerche, Morano,
Napoli 1899.
51
Per un panorama completo delle prefazioni e delle introduzioni firmate da Croce, cfr.
M. Panetta, Croce editore, cit.
52
Cfr. n. 2, del 15 febbraio, e n. 3, del 15 marzo 1887.
53
Cfr. numeri dal n. 5, del 15 maggio, al n. 9, del 15 agosto 1887.
54
Al riguardo, cfr. M. Panetta, Croce editore, cit., vol. II, pp. 680-681 (per la Stampa); vol.
I, pp. 215-219 e 226 e vol. II, pp. 599-601 (per la Fonseca Pimentel).
142 Maria Panetta

Pantagruel, lintervento intitolato Poesia e non poesia 55, nel quale il giovane
Croce critic duramente la poesia di Mario Rapisardi Per leccidio degli ita-
liani a Saati, contrapponendole il dialoghetto in dialetto napoletano sullo
stesso tema di A. Toschi56.
Unimportante collaborazione prese avvio nel 1889, ovvero quella con
lArchivio storico per le provincie napoletane, la pubblicazione della
Societ di storia patria, alla quale Croce si era associato nel 1886 e che era
stata fondata, dieci anni prima, da Scipione Volpicella, Bartolommeo
Capasso, Giuseppe De Blasiis, Camillo Minieri-Riccio, Carlo Carignani,
Vincenzo Volpicelli e Luigi Riccio: nellArchivio Croce inaugur la serie su
I teatri di Napoli del secolo XV-XVIII 57.
Dello stesso interesse testimoniano anche un articolo uscito lanno suc-
cessivo su Lettere e arte di Bologna, intitolato Il matrimonio di Paisiello 58 e
che sarebbe stato ristampato nel volume del 1891 su I teatri di Napoli dal
Rinascimento alla fine del secolo decimottavo (ma escluso dalle edizioni succes-
sive del saggio), e uno su Pulcinella sul principio del Settecento 59, che diede il
via alla collaborazione col Fanfulla della domenica di Roma. Del 1890
anche linizio dellattiva partecipazione a due fogli torinesi, Letteratura60 e
Lintermezzo (a questultimo con un articolo su Il primo pallone aerostatico
a Napoli, I, 1890), e dellemergere dellinteresse di Croce per le sorti dellar-
chitettura e dellurbanistica della citt di Napoli, con la pubblicazione in
opuscolo della relazione Sulla denominazione delle nuove vie di Napoli risul-
tanti dal piano di risanamento 61.
Questa attenzione per la citt partenopea si pales in modo netto quan-
do, a sue spese (come dichiar nel Contributo alla critica di me stesso 62) e per
amor di cultura, egli inizi una Biblioteca napoletana di storia e letteratu-
ra63, della quale apparve nel 1891, sempre ad opera del Vecchi di Trani64, il

55
Cfr. a. I, n. 2, 27 marzo 1887.
56
Al riguardo, cfr. A. Manganaro, Leccidio di Saati e Poesia e non poesia: Rapisardi e
Torelli raffrontati dal giovane Croce, in Letterature e lingue nazionali e regionali. Studi in onore
di Nicol Mineo, a c. di S.C. Sgroi e S.C. Trovato, Il Calamo, Roma 1996, pp. 275-285.
57
Cfr. vol. XIV, 1889; e il volumi XV e XVI, del 1890-1891. Il lavoro venne riproposto
in estratto, con delle aggiunte, nel 1891, dalleditore napoletano Pierro.
58
Cfr. a. II, 1890. Seguir B. Croce, Sara Goudar a Napoli, II, 1890.
59
Cfr. a. XII, 1890.
60
Cfr. B. Croce, Il falso Bellino, V, 1890; Id., Un poeta meridionale, Vincenzo Padula, V,
1890.
61
Giannini, Napoli 1890.
62
I ed. 1918: si pu consultare nelledizione Adelphi, Milano 1989, da cui sono tratte le
citazioni seguenti.
63
Da lui citata come Biblioteca letteraria napoletana, nel Contributo (cit., p. 28) e da
Nicolini come Biblioteca di scrittori napoletani (Benedetto Croce, cit., p. 145).
64
Il gi citato Valdemaro Vecchi, editore di origini settentrionali che a Trani aveva impian-
tato la sua tipografia. Su Vecchi cfr. anche: V. Vecchi, Trentanni di lavoro in Puglia, Tip. V.
Settantanni di militanza: Benedetto Croce, tra riviste e quotidiani 143

Pentamerone di Basile (incompiuto), da lui curato65: in linea con il filone delle


ricerche da Croce parallelamente intraprese sul Seicento italiano. Allepoca
egli dirigeva, con Giuseppe66 Ceci, la rivista di arte e topografia napoletane
Napoli nobilissima, la cui direzione pass nel 1902 al fidato amico Fausto
Nicolini67 e sulla quale comparvero molte delle sue Storie e leggende napole-
tane 68: lavori, questi, dei quali egli, a posteriori, scorse un qualche aspetto
positivo prima di tutto

nel compiacimento onde rievocavo quelle immagini del passato, uno sfogo alla
giovanile fantasia, bramosa di sogni poetici e di esercitazioni letterarie; e, in
secondo luogo, nelle assidue e faticose ricerche, una formale disciplina che mi
venivo dando alla laboriosit in servizio della scienza: il che era chiaro anche nello
zelo con cui collaboravo allArchivio storico e alla Napoli nobilissima, e dise-
gnavo collezioni ed edizioni di autori69.

E, invece, ne individu laspetto negativo nella sua attenzione quasi esclu-


siva allaneddoto, alla curiosit, alla pura erudizione, il disgusto dei quali suc-
cessivamente lo condusse sulla strada della filosofia e, grazie alla lezione di De
Sanctis, gli permise di elaborare e determinare i rapporti tra critica storica e
critica estetica, tra erudizione e storia, tra storia filologica e storia poetica:

Quante volte, nello svelare le debolezze delleruditismo e filologismo, le sue inter-


ne contradizioni [sic], le sue comiche illusioni, mi son detto: Molti immagine-
ranno che, nel formare questo tipo psicologico, nello schizzare questa caricatura,
io abbia preso la materia da questo o quello dei filologi, che vengo criticando; ma
la vera materia lho trovata in me stesso, il vero tipo sono io a me stesso, io che
ricordo quel che credevo, o almeno che mi passava di fuga per la mente (fugato
dal buon senso), quando lavoravo da mero erudito e da aneddotista70.

Vecchi e C., Trani 1898; B. Ronchi, Valdemaro Vecchi. Un grande benemerito delleditoria e della
cultura pugliese, in La Rassegna Pugliese, Nuova Serie, a. I, (1966), n. 1, pp. 40-55; n. 3, pp.
256-275 e n. 5, pp. 412-436. Cfr. anche B. Croce, Valdemaro Vecchi, in La Critica, a. IV,
(1906), pp. 167-168: necrologia; rist. in Id., Pagine sparse, II ed., vol. II, Ricciardi, Napoli
1943, pp. 45-47; III ed., vol. II, Laterza, Bari 1960, pp. 56-59. Di probabile attribuzione a
Croce, anche se concepita nello spirito collegiale della redazione e perci genericamente fir-
mata La Napoli mobilissima, la necrologia Valdemaro Vecchi, in Napoli nobilissima, XV,
(1906), fasc. II, p. 17 (cfr. G. Brescia, Valdemaro Vecchi, in Rivista di studi crociani, Napoli,
a. VII, fasc. I, gennaio-marzo 1970, pp. 106-107). Cfr. anche G. Brescia, Note di bibliografia
crociana: IV. Altre correzioni ed aggiunte; V. Ancora di Valdemaro Vecchi, in Rivista di studi cro-
ciani, vol. IX, (1972), fasc. II, pp. 202-208.
65
Cfr. M. Panetta, Croce editore, vol. I, cit., pp. 136-153.
66
E non Consalvo, come in C. Patuzzi, Laterza, Liguori, Napoli 1982, p. 29.
67
Cfr. B. Croce, Contributo alla critica di me stesso, cit., p. 28.
68
Laterza, Bari 1919.
69
Cfr. B. Croce, Contributo alla critica di me stesso, cit., pp. 28-29.
70
Ivi, p. 49.
144 Maria Panetta

La Napoli nobilissima venne fondata nel 1891 e sopravvisse fino al


1906, con una breve ripresa dal 1920 al 1922: tra i collaboratori, oltre a
Salvatore Di Giacomo (che ne redasse il programma), essa vantava Bartolom-
meo Capasso, Giuseppe Ceci, Nunzio Federico Faraglia, Michelangelo Schi-
pa, Emilio Bertaux, Eugenio Mele, Alfonso Miola, Giulio de Montemayor,
Fabio Colonna di Stigliano, Riccardo Carafa dAndria, Vittorio Spinazzola,
Antonio Filangeri di Candida, Lodovico de la Ville-sur-Yllon, Ettore Bernich
e Fausto Nicolini.
Su quegli anni rimane preziosa la testimonianza di Riccardo Ricciardi71,
che conobbe Croce a Napoli nel 1903, nella libreria Pierro a piazza Dante, e
che, successivamente, pubblic le prime edizioni di alcune sue opere, come
le Curiosit storiche, gli Aneddoti di varia letteratura, la serie delle Pagine spar-
se e il poderoso volume Filosofia, Poesia, Storia 72:

Amico del libro, dei librai e dei tipografi Benedetto Croce ebbe costante cura
della veste esteriore di ogni sua pubblicazione. Gli fu particolarmente caro il tipo-
grafo Valdemaro Vecchi [], che cur la stampa della intera serie della Napoli
nobilissima (1892-1906) e del primo decennio della Critica. [] noto che
per molti anni, prima dellincontro con Giovanni Laterza, di tanta importanza
per la cultura italiana, Croce pubblicava i suoi libri a proprie spese, tipografo
fedele il Vecchi. Con esemplare dignit e buon gusto, senza fregi o elementi deco-
rativi, impressi su una deliziosa sottile carta a mano, abbiamo: La critica lettera-
ria (1896); Il concetto della storia nella sua relazione col concetto dellArte (1896);
gli Studi storici della rivoluzione napoletana del 1799 (1897)73.

Dal 1895 in poi Croce riprese a studiare De Sanctis, pubblicandone varie


opere tra cui, nel 1897, le lezioni sulla Scuola democratica e su quella libera-
le, raccolte da un allievo del maestro, Francesco Torraca74, e nel 1898 due
volumi di Scritti var inediti o rari 75: ci anche in risposta agli attacchi al cri-
tico provenienti, sin dal 1882, dai redattori del Giornale storico della lette-
ratura italiana e soprattutto a quello di Carducci apparso sulla Rivista dIta-
lia il 15 febbraio 1898, cui Croce, sebbene fosse in buoni rapporti col poeta
maremmano, replic con fermezza nella Memoria Francesco de Sanctis e i suoi
critici recenti (3 aprile 1898), inserita negli Atti dellAccademia Pontaniana,

71
Sul quale cfr. E. Giammattei, Lettere alleditore Ricciardi, in R. Ricciardi, Le carte di
Riccardo Ricciardi alla Biblioteca Nazionale di Napoli, Arte Tipografica, Napoli 1998.
72
Nellintervento di Ricciardi, il volume viene erroneamente citato come Filosofia, Poesia,
Pensiero.
73
Cfr., alle pp. 41-42, R. Ricciardi, Croce e il libro, in Rivista abruzzese, a. XIX, (gen-
naio-giugno 1966), nn. 1-2, pp. 41-44. Cfr. pure A. Pescarzoli, Croce e i librai, in
LApprodo, rivista presso la Radio Italiana, marzo 1953.
74
Cfr. M. Panetta, Croce editore, vol. I, cit., pp. 174-193.
75
Ivi, pp. 197-207.
Settantanni di militanza: Benedetto Croce, tra riviste e quotidiani 145

lillustre societ notoriamente fondata da Antonio Beccadelli nel 1458, della


quale Croce era divenuto socio nel 1892: nei suddetti Atti egli diede alle
stampe, in tutto, una settantina di suoi scritti, tra memorie, note e relazioni.
I rapporti col Giornale storico, in particolare, furono controversi fin
dallinizio: Croce vi collabor, a partire dal 1892, ma periodicamente emer-
sero dissensi tra lui e i collaboratori del periodico. In un articolo del 1905 76,
ad esempio, egli si vantava di potersi ritenere immune, tra le tante corbelle-
rie che ogni uomo inevitabilmente compie nella vita, da quella di aver mai
aderito al Positivismo, e ricordava le ragioni dellinvincibile ripugnanza
nata, al riguardo, nel suo cervello di adolescente, ansioso di luce:

Studiavo, allora, con molta curiosit, la storia; e i positivisti mi offendevano con


la quantit di evidenti spropositi storici di cui infioravano le loro pagine.
Andavo imparando il metodo filologico, di ricorrere sempre alle fonti e mettere
le citazioni esatte; e i positivisti citavano di quarta o quinta o decima mano, e le
loro citazioni di solito non si ritrovavano nei testi. Leggevo di molta poesia e let-
teratura, ed ero rispettosissimo dello scrivere ordinato e nitido; e i positivisti
scrivevano con fraseologia da mediconzolo di provincia [...] Credevo che gli
stud italiani dovessero tenersi affiatati specialmente con la cultura classica, e, nel
mondo moderno, con gli stud germanici; e i positivisti italiani, di solito, non
bazzicavano se non la letteratura francese di secondordine, o tuttal pi i liber-
coli da dilettanti e per dilettanti [...] Ero convinto che bisognasse riprendere le
quistioni dal punto al quale le avevano portate le ricerche precedenti, epper che
la filosofia dovesse accompagnarsi alla solida cognizione della storia della filoso-
fia; e i positivisti ignoravano la storia della filosofia, trattavano con grossolanit
barbarica i grandi pensatori del passato [...] Tutto ci minduceva nella persua-
sione che il positivismo, anzich dottrina discutibile, era uno stato danimo,
misto dignoranza e di baldanza: una rivolta di schiavi contro il rigore e la seve-
rit della scienza77.

76
Cfr. B. Croce, A proposito del positivismo italiano. Ricordi personali, in Id., Cultura e vita
morale, a cura di M.A. Frangipani, Bibliopolis, Napoli 1993, pp. 41-46.
77
Ivi, pp. 43-44. Cfr. anche A. Momigliano, La Critica, in LOpinione, 16 settembre
1945; rist. in Id., Ultimi studi, La Nuova Italia, Firenze 1954, pp. 3-6: Croce ha sconfitto da
solo tutta una scuola, quella del metodo storico, della quale del resto ha riconosciuto i meriti.
Io mi trovai a studiare nel momento che quella scuola, gi esaurita, si vide sorgere davanti la
calma e potente figura di Croce. Da allora si cominci a capire che quella scuola mancava di
vero senso storico, che i suoi seguaci erano gli aridi cronisti e non gli storici della letteratura
italiana; da allora cominciarono la rivendicazione del De Sanctis, la battaglia contro le pseu-
docategorie estetiche, la distinzione fra storia della cultura e storia della letteratura, fra curio-
sit e critica. Quando apparve la rivista di Croce, il Giornale storico della letteratura italiana
troneggiava ancora; ma gi dava segni di aver finito il suo compito; e se presto si indusse ad
aprir le porte a scritti di genere insolito, mi sembra che questo non sarebbe stato possibile
senza la ventata daria nuova che veniva da Napoli (pp. 3-4). Cfr. anche L. Blasucci, La col-
laborazione di Attilio Momigliano, in Centanni di Giornale storico della letteratura italiana, Atti
del Convegno, Torino, 5-6-7 dicembre 1983, Loescher, Torino 1985, pp. 271-291.
146 Maria Panetta

A giudizio di Bobbio78, importante distinguere, nellambito del Positi-


vismo79, tra il metodo positivista e la concezione del mondo (meccanicisti-
ca e deterministica) che fa capo a quellorientamento filosofico: il Giornale
storico della letteratura italiana (fondato nel 1883 80) pu, a suo giudizio,

78
Cfr. N. Bobbio, Il Giornale storico e la cultura positivistica, in Centanni di Giornale sto-
rico della letteratura italiana, cit., pp. 1-16.
79
Arrivato a suo dire tardi in Italia, intorno al 1870, e morto alla nascita di riviste
come La Critica e Leonardo, nel 1903, anno anche della prolusione di Gentile
allUniversit di Napoli, La rinascita dellidealismo (Stabilimento tipografico della Regia
Universit, Napoli 1903, pp. 11), contro le Baccanti del Naturalismo, del Materialismo e del
Positivismo.
80
Cfr. G. Folena, Rodolfo Renier e gli esordi del Giornale storico, in Centanni di Giornale
storico.., cit., pp. 17-51. Contando su collaboratori provenienti da Milano, Firenze, Roma,
Napoli, Padova e Pisa, il Giornale godeva di una partecipazione corale eppur fortemente
selettiva di tutta la cultura storico-letteraria dellItalia postunitaria, in concorso ed emulazione
con la migliore cultura transalpina, tedesca e francese (ibidem). Folena fa notare che le edi-
zioni allestite da Renier, nonostante il plauso dei maestri DAncona e Bartoli, furono gene-
ralmente manchevoli per vari riguardi (p. 39) e ricevettero numerosi appunti critici da parte
dei giovani pi preparati, come Morpurgo e il carducciano Casini (cfr. Giornale storico della
letteratura italiana, a. I, 1883, pp. 466-477). Da notare, a margine, che gli Svaghi critici di
Renier (Laterza, Bari 1910) furono pubblicati nella Biblioteca di cultura moderna, come
Attraverso il Medioevo di Novati (Laterza, Bari 1905). Cfr. B. Croce, Ancora del Giornale sto-
rico, in La Critica, a. VI, fasc. I (20 gennaio 1908), p. 80; rist. in Id., Pagine sparse, Serie I,
vol. I, Ricciardi, Napoli 1919, pp. 111-112 e in Id., Pagine sparse, II ed., vol. I, Ricciardi,
Napoli 1943, pp. 114-115; III ed., vol. I, Laterza, Bari 1960, p. 152. Cfr. anche B. Croce, Il
Giornale storico, in Quaderni della Critica, 19-20, (1951), pp. 215-216; rist. in Id., Terze
pagine sparse, vol. II, Laterza, Bari 1955, pp. 198-201; Id., La critica erudita della letteratura e
i suoi avversari, in La Critica, a. XI, (1913), pp. 261-275; rist. in Id., La letteratura della
Nuova Italia, vol. III, Laterza, Bari 1915, pp. 388-407 (IV ed., vol. III, 1943, pp. 378-396:
qui Croce contrappone linterpretazione in chiave erudita e cronachistica della letteratura di
DAncona a quella storica di De Sanctis); B. Croce, Metodi critici del Giornale storico della
letteratura italiana [1923-24], in Id., Pagine sparse, III ed., vol. II, cit., pp. 200-212. Cfr.
anche la lettera 69 di Vittorio Cian a Croce (Torino, 23 marzo 1917), in cui Cian si ram-
marica per quella specie di denuncia del Giornale Storico e per linesplicabile accanimento
contro il Graf in un recente fascicolo della Critica (p. 20); quella di Croce a Cian (Vi,
28.9.1917) n. 81, in cui egli si dice pronto a continuare la polemica (p. 27): cfr. R. Bruno
Pagnamenta e R. Martinoni, (a cura di), Allombra del maestro. Lettere di e a Benedetto Croce
(1903-1933) scelte, trascritte e raccolte da Giovanni Castellano, Edizioni dellOrso, Alessandria
2003. In Croce, in genere, da notare un atteggiamento di rifiuto della pura erudizione, in
senso negativo o riduttivo, ma di apprezzamento della opportuna e vittoriosa difesa della
Filologia condotta dalla rivista. Cfr. M. Marti, La linea erudita tra fonti e biografie, in
Centanni di Giornale storico della letteratura italiana, cit., pp. 52-75: su questa erudizione
positiva e positivistica sabbatt lironia, talora sprezzante dellinsorgente neoidealismo e in
particolare di Benedetto Croce, che pure proprio allinsegna della scuola storica aveva condot-
to le sue prime esperienze erudite; era laltro termine dialettico dello svolgimento della storia
(p. 58). Marti fa notare come Croce, con apparente consenso, ma con sostanziale riduzione
(p. 59) riconoscesse principalmente alle pagine di bibliografia e cronaca erudita una qualche
utilit, allinterno del Giornale e aggiunge che i ferrei legami accademici e universitari che
poi lo strinsero e lo sostennero, furono forse non ultima cagione insieme col rifiuto del con-
Settantanni di militanza: Benedetto Croce, tra riviste e quotidiani 147

essere definito positivista solo in relazione al metodo81. Nel suo Programma,


si promuoveva un metodo scientifico il cui presupposto era la raccolta dei
dati: seguiva losservazione degli stessi, allo scopo di trarne delle leggi univer-
salmente valide. Dunque, si esortava com noto a rifare in massima
parte la storia della letteratura italiana, scandagliando pi accuratamente le
biblioteche e gli archivi, e procedendo anche a un nuovo e pi attento
esame della lezione dei testi82.

temporaneo del profondo iato, a lungo andare, assai dannoso per tutti, tra la cultura togata
e la cultura cosiddetta militante extra-universitaria (pp. 66-67). Cfr. anche M. Berengo, Le
origini del Giornale storico della letteratura italiana, in Critica e storia letteraria. Studi offerti
a Mario Fubini, Liviana, Padova 1970, vol. II, pp. 3-26; V. Cian, Il Giornale storico della let-
teratura italiana, in La Nuova Antologia, 16 ottobre 1916, pp. 385-404; C. Varese, Il primo
venticinquennio del Giornale storico della letteratura italiana, in Annali della Regia Scuola
Normale Superiore di Pisa. Lettere, Storia e Filosofia, s. II, vol. I, 1932, pp. 309-323; C.
Varese, Cinquantanni di Giornale storico, in Cultura letteraria contemporanea, Nistri-Lischi,
Pisa 1951, pp. 329-340; P. De Nolhac, Il Giornale storico della letteratura italiana, in
Mlanges dArchologie et dHistoire, XI, 1891, pp. 515-518; L.F. Benedetto, Ai tempi del
metodo storico, in Id., Uomini e tempi, Ricciardi, Milano-Napoli 1953, pp. 21-38; C.
Calcaterra, Il metodo storico, in Idea nazionale, 9 marzo 1922 (e, su di lui, B.T. Sozzi, Carlo
Calcaterra nella direzione del Giornale storico, in Centanni di..., cit., pp. 292-303).
81
Cfr. E. Garin, Il positivismo come metodo e come concezione del mondo, in Id., Tra due
secoli. Socialismo e filosofia in Italia dopo lUnit, De Donato, Bari 1983, pp. 65-89. Il mani-
festo del Positivismo italiano considerata la prolusione letta da Pasquale Villari al principio
del suo primo corso di storia (1865-1866) allIstituto superiore di Firenze, pubblicata ne Il
Politecnico del gennaio 1866 e poi nella raccolta di Saggi di storia, di critica e di politica
(1868). Nella prefazione a questi saggi, Villari scrive: Noi non vi diamo un nuovo sistema,
ma un nuovo metodo per la filosofia. Altro manifesto positivista si pu considerare la prolu-
sione di Arturo Graf Di una trattazione scientifica della storia letteraria, Loescher, Torino 1877
(per le prolusioni grafiane cfr. M. Panetta, Le prolusioni torinesi di Arturo Graf [2001], in
Scrittori in cattedra. La forma della lezione dalle Origini al Novecento, a cura di F. Calitti,
Bulzoni, Roma 2002, pp. 189-205; cfr. anche A. Graf, Confessioni di un maestro. Scritti su cul-
tura e insegnamento con lettere inedite, a cura di S. Signorini, Interlinea srl edizioni, Novara
2002).
82
Numerosi gli interventi di Croce al riguardo; fin dal 1894 egli si schier contro la moda
della ricerca delle fonti e contro certa tendenza alla comparatistica (di cui, ad es., Graf era un
cultore): cfr. B. Croce, La critica letteraria. Questioni teoriche, in Id., Primi saggi, III ed.,
Laterza, Bari 1951, pp. 73-165 (in vivace polemica con B. Zumbini); i capp. su La letteratu-
ra comparata [1902] e La ricerca delle fonti [1909], in Id., Problemi di estetica, IV ed., Laterza,
Bari 1949, pp. 71-76 e 487-502, e V ed., Laterza, Bari 1954, pp. 71-76 e 487-502; Id., La
critica erudita della letteratura e i suoi avversari, in Id., La letteratura della Nuova Italia, IV ed.,
Laterza, Bari 1943, pp. 378-396; i due paragrafi su La critica delle fonti e Critica storica e cri-
tica estetica, in Id., Conversazioni critiche. Serie II, IV ed., Laterza, Bari 1950, pp. 181-192 e
262-266; Id., Un vecchio detto della scuola storica, in Id., Conversazioni critiche. Serie III, II ed.,
Laterza, Bari 1951, pp. 74-78; Id., Postilla, nellultimo dei Quaderni della Critica, 1951, pp.
215-216. Ancora: Id., Un detto del Machiavelli, in Id., Conversazioni critiche. Serie IV, II ed.,
Laterza, Bari 1951, p. 17 (laddove si pu leggere una battuta piuttosto pungente contro V.
Cian, un critico nazionalistico (il che vuol dire bens eroico, sempre, ma non sempre molto
sottile)); Id., Pensieri sullarte, XXXV, in Id., Conversazioni critiche. Serie III, III ed. riv.,
148 Maria Panetta

In un confronto tra Storicismo e Positivismo, Bobbio fa notare che come


metodo, lo storicismo promuove ricerche individualizzanti83, mentre il Po-
sitivismo ricerche generalizzanti e adotta il metodo induttivo o empirico
contro quello deduttivo proprio della metafisica che d per presupposte e
certe alcune verit primarie [...] e ne trae conseguenze altrettanto certe84. Il
metodo storico85 ha in comune con quello filologico il rigoroso controllo
delle fonti e dei testi, mentre con quello positivo la ricerca delle costanti,
delle uniformit, la ricostruzione di un tessuto connettivo dei fatti sociali che
permetta di ricostruire a grandi linee le tappe di sviluppo del corso storico,
che , secondo unidea comune a tutta la filosofia del secolo scorso, progres-
sivo86.
In conclusione, il metodo storico e quello positivo convergono nellatten-
zione allo stare ai fatti e nella ricerca di un sapere oggettivo. Il metodo
storico non fu necessariamente, allora, incompatibile con lestetica della
forma [...] di De Sanctis, n [...] con quella che, imperante Croce, fu chia-
mata critica estetica87 conclude Bobbio , tanto vero che Croce com-
batt certe angustie del metodo storico, e la ristrettezza mentale di coloro che
ripetutamente lo avevano accusato del rinascente estetismo, ma non ebbe
mai a ripudiarlo88.
Daltro canto, da ricordare dato di non secondaria importanza che
sia Novati sia Renier stamparono nella Biblioteca di Cultura moderna
Laterza una raccolta di loro studi, e che espressero un loro parere sul piano
degli Scrittori dItalia laterziani, cui Novati promise addirittura la propria
collaborazione89. Inoltre, secondo il parere di Mario Chiesa, la scuola stori-
ca manc uno dei suoi obiettivi e [...] il Giornale non mantenne uno dei
suoi punti programmatici: preparare delle edizioni migliori dei nostri autori.
Anzi si ritiene che furono cattivi filologi, fermi alledizione diplomatica o del
manoscritto autorevole, mancando in sostanza di una coscienza filologica90.

Laterza, Bari 1942, pp. 181-182 etc. Cfr. anche L. Sozzi, Gli studi di letteratura comparata, in
Centanni di Giornale storico della letteratura italiana, cit., pp. 347-359.
83
Cfr. N. Bobbio, Il Giornale storico e la cultura positivistica, cit., p. 7.
84
Ibidem.
85
Cfr. C. Dionisotti, Scuola storica, in Dizionario critico della letteratura italiana, UTET,
Torino 1973, III, pp. 352-361; D. Consoli, La scuola storica, Ed. La Scuola, Brescia 1979.
86
Cfr. N. Bobbio, Il Giornale storico e la cultura positivistica, cit., p. 7.
87
Ivi, p. 8. Cfr. R. Renier, Metodo storico e metodo estetico, in Gazzetta Letteraria, 15
novembre 1890, rist. in D. Consoli, La scuola storica, cit., pp. 116-123; B. Croce, Critica sto-
rica e critica estetica, in Id., Conversazioni critiche, Serie II, IV ed. riv., Laterza, Bari 1950, pp.
262-266.
88
Cfr. N. Bobbio, Il Giornale storico e la cultura positivistica, cit., p. 9.
89
Cfr. A. Limentani, Francesco Novati condirettore del Giornale storico, in Centanni di...,
cit., pp. 188-213.
90
Cfr. M. Chiesa, Vittorio Rossi e il Giornale storico, in Centanni di..., cit., pp. 214-236:
p. 220. A proposito di Vittorio Rossi (cugino, tra laltro, di Renier), Chiesa annota: Non
Settantanni di militanza: Benedetto Croce, tra riviste e quotidiani 149

In seguito alla morte di Renier, nel 1915, dopo Novati, alla direzione del
Giornale successe Egidio Gorra e ci fu una progressiva apertura della rivi-
sta alla nuova cultura ormai imperante: la recensione91 di Gorra al crociano
Gli scritti di Francesco De Sanctis e la loro varia fortuna (Laterza, Bari 1917)
sanc un netto allontanamento dalla scuola del metodo storico. Ma gi in pre-
cedenza il Giornale aveva manifestato una sostanziale concordanza didee
con le riserve espresse da Croce92 sullutilit delle ricerche e delle classifica-
zioni stilistiche e metriche, al di l di un loro impiego meramente pratico e
comunque allinterno di una critica di tipo estetico93.
Successivamente alla pubblicazione della desanctisiana Storia della lettera-
tura italiana a cura di Croce (1912)94, un intervento di Gorra95 scaten la rea-
zione di Croce sulle pagine della Critica del 1917 96: evidentemente ha
commentato Mario Pozzi97 ragioni umane e politiche gli impedivano di
scorgere nei rimbrotti del Gorra il dispetto di chi, per gli errori di un passa-
to ormai lontano, vedeva misconosciuti gli sforzi di rinnovamento del
Giornale, testimoniati dallaccoglimento della critica estetica, dalla con-
danna dei laudatores temporis acti, dal desiderio di aprire le porte alla cultura
idealistica, e non solo al Gentile (allora assiduo collaboratore) ma, se possibi-
le, allo stesso Croce, i cui lavori erano seguiti con grande attenzione e, per lo

giungeva quindi a pretendere uno stemma; ma queste osservazioni ci fanno anche avvertiti che
fondare ledizione su di un unico manoscritto (senza farne un feticcio) non era in quegli anni
lalternativa al metodo lachmanniano, ma alla contaminazione di cui dava esempi il Solerti
(p. 222).
91
Cfr. Giornale storico della letteratura italiana, vol. LXX, (1917), pp. 209-212: lin-
dagine storica indispensabile fondamento ad ogni buona critica estetica [...] Se ogni sistema
o metodo ha le sue ragioni storiche, ogni recriminazione contro un passato, il cui ritorno non
, per il momento, prevedibile, sterile e vana.
92
Cfr. B. Croce, Rec. al vol. del Lisio, Larte del periodo, in La Critica, a. I, (1903), pp.
62-65 (rist. in Id., Conversazioni critiche, Serie II, IV ed., Laterza, Bari 1950, pp. 180-181);
Id., Stile, ritmo, rima e altre cose, sul saggio di Vossler Stil, Rhythmus und Reim in ihrer
Wechselwirkung bei Petrarca und Leopardi (1903), rist. in Id., Problemi di estetica, IV ed.,
Laterza, Bari 1949, pp. 165-172. Ma le stesse idee vengono anticipate in B. Croce, Di alcuni
princip di sintassi e stilistica psicologiche del Grber, in Atti dellAccademia Pontaniana di
Napoli, XXIX, (1899), pp. 1-12 (poi in Id., Problemi di estetica, V ed., Laterza, Bari 1954,
pp. 141-152; su questo intervento, cfr. E. Cutinelli-Rndina (a cura di), Carteggio Croce-
Vossler. 1899-1949, Bibliopolis, Napoli 1991: le prime 8 lettere del 1899, XII, XIII, XIV, XIX,
XXIV, XXXII, XXXIII, XXXIV, XLVI); B. Croce, Le categorie rettoriche e il prof. Grber, in
Flegrea, II, (1900). Cfr. i commenti positivi della Redazione del Giornale alle due note
crociane, rispettivamente in Giornale storico della letteratura italiana, vol. XXX, (1900), p.
135; e vol. XXXVI, (1900), pp. 232-234 (questultima a cura di Gentile).
93
Cfr. E. Bigi, Studi di stilistica e di metrica, in Centanni di ..., cit., pp. 76-105.
94
Per la quale cfr. M. Panetta, Croce editore, vol. I, cit., pp. 309-318.
95
Cfr. Giornale storico della letteratura italiana, vol. LXX, (1917), pp. 21-12.
96
Cfr. La Critica, a. XV, (1917), p. 322. Cfr. la replica di Gorra, in Giornale storico
della letteratura italiana, vol. LXX, (1917), pp. 357-361.
97
Cfr., a p. 109, Il Giornale storico fra le due guerre, in Centanni di ..., cit., pp. 106-130.
150 Maria Panetta

pi, con consenso. Per la penna del suo direttore conclude Pozzi il
Giornale dunque riconosceva gli errori del passato e alla luce dellestetica
crociana considerava gli studi eruditi lavori preparatori e subalterni a una cri-
tica estetica che ormai si poteva e si doveva praticare98. Bonora ritiene

assolutamente incontrovertibile [...] la dimostrazione delle ragioni per cui il


Croce, nonostante i motivati dissensi dai primi direttori99 e collaboratori del
Giornale per certa loro limitatezza di vedute, si sentisse poi e fosse a loro molto
vicino nellesplorare pazientemente i documenti storici, nellinterrogarli e spie-
garli, addentrandosi nei pur minimi fatti; e questo non negli anni giovanili,
quando anche lui era stato o aveva creduto di essere un erudito senza problemi,
ma ancora nella piena maturit e nellalacre vecchiaia, quando la sua riflessione
filosofica, proprio per bisogno di concretezza, mai si era scompagnata dallassidua
esplorazione del certo100.

Prova ne sono anche alcune lettere da lui scambiate con Alessandro


DAncona, fin dal 1887 101:

io non intendevo di sconoscere [sic] non solo che gli studii speciali sono una con-
dizione sine qua non del progresso della scienza, ma neanche chessi sono una
potente educazione e disciplina dellintelletto; volevo soltanto alludere alla gret-
tezza di mente che si trova in moltissimi specialisti, che consiste nel considerare
il loro ramo di studii non come un ramo, ma come un albero, anzi come tutto il
mondo vegetale; il loro campicello come luniverso; e che saccoppia con una
grande indifferenza di tutto il resto dello scibile. Lo specializzare, non accompa-
gnato dalla coscienza, e dallinteresse pel sapere in generale, mi sembra una fissa-
zione pedantesca, e non una funzione scientifica102.

98
Ivi, p. 110. Cfr., poi, B. Croce, in La Critica, a. XXI, (1923), p. 107, intervento in cui
Croce si dichiara cultore della bibliografia, dellerudizione e del metodo storico; cfr. anche la
recensione di A. Tasca al primo volume crociano delle Conversazioni critiche, in Giornale sto-
rico della letteratura italiana, vol. LXXII, (1918), pp. 350-352 (recensione positiva).
99
Ad esempio, da ricordare la menzionata polemica con Graf relativamente alla pubblica-
zione, da parte del giovane Croce, della citata leggenda di Niccol Pesce, stroncata dal profes-
sore (cfr. Giornale storico della letteratura italiana, vol. VI, 1885; etc.). Cfr. anche G.
Barbarisi, La parte del Graf nella fondazione e nella prima direzione del Giornale storico, in
Centanni di..., cit., pp. 158-187.
100
Cfr. a p. 137: E. Bonora, La direzione Fubini, in Centanni di ..., cit., pp. 131-157. Cfr.
anche B. Croce, Un vecchio detto della scuola storica, in Id., Conversazioni critiche, Serie III,
III ed. riv., Laterza, Bari 1942, pp. 74-78: Croce ivi riconosce alcuni punti in comune con la
scuola del metodo storico, quali la distinzione tra storia della poesia e storia della cultura, e la
contrapposizione (fatti i dovuti aggiustamenti) tra storia ed estetica.
101
Cfr. D. Conrieri (a cura di), Carteggio DAncona-Croce, introduzione di M. Fubini,
Scuola Normale Superiore di Pisa, Pisa 1977: da questo volume sono tratte tutte le citazioni
seguenti.
102
Lettera n. 2, di Croce, datata Napoli, 15 ottobre 1887.
Settantanni di militanza: Benedetto Croce, tra riviste e quotidiani 151

In particolare, riguardo alla questione dei due metodi103, il Maestro della


scuola storica scriveva (cartolina postale 134: Pisa, 25 aprile 1899): mi basta
che non si entri nei battibecchi di scuole e metodi, storico ed estetico []
Ognuno fa quello che pu e come pu, e limportante far bene104; e a lui
Croce replicava (cartolina postale 135: Napoli, 27 aprile 1899):

Non entrer nella questione del doppio metodo ecc., perch anchio ne sono
stufo. Ne ho scritto abbastanza in questi ultimi anni105, e forse non son riuscito
a farmi capire bene. Io credo appunto che tutti i due metodi sieno buoni, perch
adempiono a scopi diversi. Indegnamente, cerco anche, in pratica, di coltivare
luno e laltro metodo. E la lettura del De Sanctis non mi ha fatto e non mi far
mai venire in uggia le ricerche dellerudizione. Mi pare dunque di essere abba-
stanza daccordo con voi106.

Al timore di Croce (lettera 156: Napoli, 4 giugno 1902) che il suo volu-
me sullEstetica avesse fatto cattiva impressione al DAncona (ho cercato di
provare in esso che sono egualmente rispettabili le ricerche speculative e quel-
le derudizione: e del metodo erudito mi son valso nella parte storica. Mi pare
che si possa beneficiare dellopera di entrambe le generazioni precedenti: di
quella anteriore al 1860, e di quella che ha lavorato dopo il 1860107), questi
rispondeva esortandolo (cartolina postale 158: Pisa, 9 giugno 1902:
Cerchiamo di unire, di profittare dogni energia, anzich dividere gli animi
e gli intelletti108), nel momento di massima intesa e vicinanza tra i due stu-
diosi, testimoniato anche dalla spia linguistica del passaggio dal Lei al Tu,
registrato unicamente nella cartolina del 22 novembre 1902.
Ancora, il 15 febbraio 1903 Croce scriveva: Ho letto stamattina il vostro
bellarticolo sul Giorn. dItalia 109; e, ringraziandovi della cortese menzione
che avete fatto di me, voglio dire che sono con voi interamente daccordo. E,
invece di parlare di metodi esclusivi, ognuno dovrebbe pensare a far seria-
mente ci che prende a fare110. Infine, si veda la cartolina postale (datata

103
Sulla quale cfr. A. Parente, Scuola storica e scuola estetica nel carteggio DAncona-
Croce, in Rivista di studi crociani, vol. XIV, (1977), fasc. III-IV, pp. 254 e sgg.
104
Ivi, p. 179. Cfr. anche il C. Bonomo (a cura di), Carteggio DAncona-Gentile, Sansoni,
Firenze 1973, pp. 93-107, soprattutto la lettera di D. del 4 febbraio 1899, p. 100: lopinio-
ne mia questa: che ognuno fa secondo la natura del proprio ingegno, portato o alle conside-
razioni generali o alle ricerche di fatto: che il tutto sta nel far bene, e con misura.
105
Cfr. B. Croce, La critica letteraria. Questioni teoriche, Loescher, Roma 1894; Id., Intorno
alla critica letteraria. Polemica intorno ad un opuscolo del Dr. Trojano, Pierro, Napoli 1895.
106
Cfr. Carteggio DAncona-Croce, cit., p. 181.
107
Ivi, p. 207.
108
Ivi, p. 210.
109
Appunto del 15 novembre 1903, dal titolo Il metodo storico e il metodo estetico (cfr. la
lettera del DAncona, datata 11 novembre).
110
Cfr. Carteggio DAncona-Croce, cit., p. 226.
152 Maria Panetta

Massa, 20 agosto 1912), in cui DAncona ringrazia Croce per una missiva,
la quale mi dimostra che se in certe cose differiamo luno dallaltro, siamo
concordi nel modo di considerare e trattare gli studj; e lasciamo al loro desti-
no certa gente che si piace a seminare zizzania!111.
Del 1901 com noto limportante incontro tra Benedetto Croce e
Giovanni Laterza, che inaugur un sodalizio umano e professionale durato
decenni. Del 1903, invece, la nascita de La Critica (dal 1906 stampata dal-
leditore barese), una delle riviste culturali che hanno pi profondamente
segnato la prima met del Novecento italiano: il periodico si protrasse fino al
1944 e, alla sua fine, prosegu ancora idealmente per sette anni, fino al 1951,
con i Quaderni della Critica.
Dello stesso 1903 anche la fondazione del Leonardo112, ad opera di
Papini e Prezzolini: i carteggi tra Croce e i due giovani intellettuali113 sono

111
Ivi, p. 259.
112
Sulla rivista cfr. C. Ballerini (a cura di), Antologia del Leonardo, prefazione di C. Bo,
Edizioni dellAlbero, s.l. 1957; D. Castelnuovo Frigessi (a cura di), La cultura italiana del Novecento
attraverso le riviste, vol. I, Leonardo, Hermes, Il Regno, Einaudi, Torino 1960; G. Prezzolini (a
cura di), Il tempo della Voce, Longanesi (Firenze, Vallecchi), Milano 1960; P. Casini, Alle origini del
Novecento: Leonardo 1903-1907, Il Mulino, Bologna 2002; Leonardo: rivista didee, rist. anastatica
integrale, Vallecchi, Firenze 2002 (e in particolare Leonardo, 1903-1907: la nascita della modernit,
introduzione di G. Luti, Vallecchi, Firenze 2002). La rivista di Papini e Prezzolini usc dal gennaio
del 1903 allagosto del 1907 per complessivi 25 fascicoli. Lidea databile alla fine del 1902, come
testimonia una lettera di Papini a Prezzolini (cfr. G. Papini-G. Prezzolini, Carteggio, a cura di S.
Gentili e G. Manghetti, vol. I, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2003, lettera 84, del 9 novem-
bre 1902, pp. 199-200): Costetti, De Karolis e altri vorrebbero fondare un giornale di vita e di
battaglia e mi avrebbero offerta la direzione intellettuale. Il titolo sarebbe probabilmente
Leonardo e DAnnunzio darebbe per il 1 numero un brano della Laude della Vita Cosa mi
consiglieresti? Ti prometto di seguire il tuo consiglio se combacia colla mia determinazione (per
altri dettagli, cfr. anche la lettera 88 del citato carteggio). Fondato a Firenze nel gennaio 1903, il
Leonardo fece parte di quel gruppo di riviste fiorentine (tra le quali Hermes e Il Regno) che
prepar lesperienza de La Voce. Il direttore fu Papini, allora ventiduenne, che firmava gli artico-
li con lo pseudonimo di Gian Falco. Prezzolini, allora ventunenne, si firmava, invece, Giuliano il
Sofista. La storia della rivista, che si apr con il programma scritto da Papini in cui si esaltava il gio-
vanilismo e lindividualismo, si articola in tre periodi (con annessi cambi di formato della rivista
stessa). Il primo, corrispondente alla prima serie e a una nuova serie, comprende il biennio 1903-
1904 e si caratterizza per la sua polemica antipositivista e antisocialista; la seconda serie copre gli
anni 1904-1905 ed quella della diffusione del Pragmatismo in Italia; la terza serie, che conclude
la vita del periodico nel 1907, ha il suo centro di interesse nelloccultismo e nella propaganda nazio-
nalista. Il gruppo di giovani che si radun attorno al periodico venne battezzato da Papini Gruppo
Vinciano: ne facevano parte 12 letterati, 9 pittori, 3 musicisti, 1 scultore! Caratteri generali: este-
ti, antidemocratici, lettori di DAnnunzio, ammiratori di Nietzsche (che credono lultima incarna-
zione della filosofia) amanti della forma e delle parole [] Io solo starei a rappresentare la vita e il
pensiero (cfr. G. Papini-G. Prezzolini, Carteggio, vol. I, cit., lettera 88 di Papini, del 17 novembre
1902, pp. 204-205). Cfr. anche A. Accame Bobbio, Le riviste fiorentine del principio del secolo
(1903-1916), presentazione di G. Luti, Le Lettere, Firenze 1984.
113
Cfr. B. Croce-G. Prezzolini, Carteggio, a cura di E. Giammattei, Edizioni di Storia e Lettera-
tura, Roma 1990; quello tra Croce e Papini uscir nel 2010 per le Edizioni di Storia e Lette-
ratura, a cura di chi scrive.
Settantanni di militanza: Benedetto Croce, tra riviste e quotidiani 153

assai preziosi per comprendere le ragioni per cui Croce decise di collaborare,
seppur saltuariamente, al noto periodico, pur non condividendone tutte le
idee ispiratrici e pur criticandone alcune impostazioni nelle sue discusse due
recensioni alla rivista, che comparvero nel 1903 114 e nel 1907 115 sulla Cri-
tica.
Un altro importante intervento sul periodico fiorentino riguard il volu-
me crociano sulla Logica (Lettera sulla Logica [a Giovanni Papini], in
Leonardo, serie II, ottobre-dicembre 1905) e segu alle polemiche suscitate
tra i leonardiani dalla sua pubblicazione.
Alla morte del Leonardo segu, il 20 dicembre 1908, la nascita della
Voce, diretta perlopi da Prezzolini116: Croce vi collabor con vari inter-
venti, tra il 1909 e il 1914. Oltre al gi citato I laureati al bivio (n. 8, 4 feb-
braio 1909), comparvero sulla rivista fiorentina: Un vocabolario della lingua
filosofica italiana (Proposta), del 25 febbraio 1909 (n. 11); Il caso Gentile e la
disonest della vita universitaria italiana (4 marzo 1909); A proposito del caso
Gentile (1 aprile 1909); Linfinit della filosofia (13 maggio 1909); De Con-
solatione Philosophiae (10 giugno 1909); LItalia che non sa nulla [nulla di
nulla, secondo M. Porena, della nuova letteratura estetica tedesca] (n. 30, 8
luglio 1909); Intorno alla vita e al carattere di Giambattista Vico (n. 43, 7 otto-
bre 1909); La letteratura italiana del Seicento e la critica (n. 24, 26 maggio
1910); Il superamento (n. 31, 14 luglio 1910); Postilla [allarticolo di K.
Vossler] (15 settembre 1910); Norme di polizia letteraria (23 febbraio e 2
marzo 1911); Il rapporto tra la morale e la religione nella filosofia del Vico (19
gennaio 1911); Documenti del socialismo italiano (n. 12, 23 marzo 1911); Per
Giuseppe Prezzolini (n. 30, 27 luglio 1911); Per un poeta [Berchet] non trat-
tato bene [da Rabizzani sul Marzocco e da Prezzolini sulla Voce] (n. 49, 7
dicembre 1911); Ho letto appunti di taccuino (25 gennaio 1912); Giudizi
tedeschi su Napoli (1 febbraio 1912); Amori con le nuvole [nota polemica este-
tica con Giovanni Boine] (4 aprile 1912); Circoli, congressi e discussioni filo-
sofiche (19 dicembre 1912); La teoria dellarte come pura visibilit (13 febbraio
1913); Contro una cattedra di filosofia della storia (12 e 19 giugno 1913);
Intorno allidealismo attuale (13 novembre 1913); Intorno allidealismo attua-
le (13 gennaio 1914); infine, Pensieri sullarte (28 maggio 1914).
Le collaborazioni di Croce a riviste e quotidiani furono varie e perlopi
discontinue: il 1907 fu soprattutto lanno del Giornale dItalia (ad esem-
pio, con Nuovi doveri. La missione degli insegnanti, del 10 giugno; con la
Lettera di B. Croce intorno alla poesia di G. Pascoli, del 3 aprile; o con Il poeta.

114
Cfr. vol. I, 1903, pp. 213-217.
115
Cfr. vol. V, 1907, pp. 480-483.
116
Cfr. P. Colonnello, Croce e i vociani, Studio Editoriale di Cultura, Genova 1984; L.
Lattarulo, Egemonia e dialogo. Croce e la cultura primonovecentesca, Vecchiarelli Editore, Roma
2000.
154 Maria Panetta

In morte di Giosue Carducci, del 18 febbraio); importante anche lannunzio,


dato sul quotidiano romano, della nascita della collana degli Scrittori dIta-
lia Laterza, il 28 settembre 1909 117.
Nel periodo 1900-1911 egli scrisse, saltuariamente, per il Marzocco
(1896-1932) dei fratelli Orvieto, con i quali era in corrispondenza: da ricor-
dare, ad esempio, i numerosi interventi in questioni di pubblico interesse (ad
esempio, Regolamento Nasi per concorsi universitari, del 1905; Contraffazioni
di codici e pubblico denaro, 4 marzo 1906). Il carteggio tra Croce e Corrado
Ricci (uscito nel 2009) offre unimportante testimonianza sulle battaglie con-
dotte da Croce118 per la tutela, ad esempio, del patrimonio artistico e archi-
tettonico, specie napoletano: battaglie combattute in prima linea, dalle pagi-
ne di giornali allora molto diffusi e seguiti, come Il Mattino di Napoli e
soprattutto Il Giornale dItalia, e della rivista Napoli nobilissima.
Croce collabor saltuariamente anche ad altri fogli; ne forniamo un non
esaustivo elenco, per dare lidea della vastit e della complessit delle relazio-
ni intrattenute dal filosofo con la stampa nazionale (e internazionale: si pensi
anche solo agli articoli per Die Nation di Berna, tudes italiennes di Pa-
rigi, il New York Times, il londinese Times etc.): Flegrea di Napoli, la
napoletana Rassegna critica della letteratura italiana, la pisana Rassegna
bibliografica della letteratura italiana, lAvanti!, il Giornale degli econo-
misti e la Rivista italiana di sociologia di Roma, il Corriere di Napoli,
Il pungolo di Napoli, Hermes di Firenze, Il Resto del Carlino di Bolo-
gna, La Cultura di Roma, Nuovi doveri di Messina, Lunit di Firenze,
il Messaggero di Roma, il Bollettino del Comune di Napoli, Italia no-
stra e Nuova Antologia di Roma, LAzione di Milano, il napoletano Ro-
ma, La Stampa di Torino, LItalia che scrive di Roma, Il nuovo giorna-
le di Firenze, Il mezzogiorno di Napoli, Il risorgimento liberale e La
citt libera di Roma etc.
Il pi importante strumento di lotta del Croce militante resta, per, la
sua longeva rivista: egli diffuse il programma de La Critica, rivista di storia
letteratura e filosofia il giorno 1 novembre 1902 119, dichiarando che il foglio
che aveva in animo di pubblicare avrebbe trattato di libri, italiani e stranie-
ri, di filosofia, storia e letteratura, senza la pretesa di tenere il lettore al cor-
rente di tutte le pubblicazioni sui varii argomenti, ma scegliendo alcune di
quelle che abbiano, per largomento o pel merito, maggiore interesse, o
meglio si prestino a feconde discussioni. [] ci proponiamo di sostenere un
determinato ordine didee. Niente , infatti, pi dannoso al sano svolgimento

117
Per il quale, cfr. lIntroduzione al vol. I del mio Croce editore, cit.
118
Cfr. M. Panetta, Rec. a B. Croce-C. Ricci, Carteggio, a cura di C. Bertoni, Istituto
Italiano per gli studi storici, Napoli 2009, in Poetiche, 2009, fasc. I, pp. 203-211; cfr. anche
Bollettino di Italianistica, 2/2009, pp. 249-251.
119
Cfr. lappendice alle sue Conversazioni critiche, Serie II, cit.
Settantanni di militanza: Benedetto Croce, tra riviste e quotidiani 155

degli studii di quel malinteso sentimento di tolleranza, ch in fondo indiffe-


renza e scetticismo, pel quale da molti si fa largo, nelle proprie riviste, a vedu-
te diverse e discordanti120. Riguardo allindirizzo del periodico, il compila-
tore affermava di credere

fermamente che uno dei maggiori progressi compiuti in Italia negli ultimi decen-
nii sia stato lessersi disciplinato, mediante le universit e le altre istituzioni di
scuola e di controllo e dinformazione, il metodo della ricerca e della documen-
tazione; ed perci un convinto fautore di quello che si chiama metodo storico o
metodo filologico. Ma egli crede, con altrettanta fermezza, che tale metodo non
basti a tutte le esigenze del pensiero, ed occorra perci promuovere un generale
risveglio dello spirito filosofico; e che, sotto questo rispetto, la critica, la storio-
grafia, e la stessa filosofia, potranno trarre profitto da un ponderato ritorno a tra-
dizioni di pensiero, che furono disgraziatamente interrotte dopo il compimento
della rivoluzione italiana, e nelle quali rifulgeva lidea della sintesi spirituale, li-
dea dellhumanitas 121.

La Critica si occup sistematicamente di movimenti letterari e filosofi-


ci, di correnti dopinione, di vicende politiche e civili, schierandosi sempre ed
esprimendo opinioni chiare e puntualmente motivate: tratt del Positivismo
e del Decadentismo, del Futurismo e del Nazionalismo, delle polemiche rela-
tive alla Prima guerra mondiale e dellascesa al potere del fascismo, dellIdea-
lismo di Gentile e delle questioni inerenti la Seconda guerra mondiale etc.
Nel primo fascicolo (del 20 gennaio 1903) Croce inaugur, con un sag-
gio su Carducci122, la fortunata serie delle Note sulla letteratura italiana nella
seconda met del secolo XIX, che si sarebbero concluse nel 1914 e sarebbero,
poi, state raccolte in sei volumi da Laterza (a partire proprio dal 1914). In
esse Croce si occup diffusamente della letteratura italiana dallUnit (pochi,
infatti, i saggi sulla prima met dellOttocento) alla Prima guerra mondiale e,
dunque, perlopi della produzione letteraria a lui contemporanea (Fogaz-
zaro, De Amicis, Verga, Serao, Di Giacomo, nel 1903; DAnnunzio, Boito,
Tarchetti, Zanella, Praga, Betteloni, Zendrini, Chiarini, Costanzo nel 1904;
Guerrini, Rapisardi, Cossa, Cavallotti, Ferrari, Torelli, Capuana, Neera, Imbriani,
Dossi nel 1905; Nencioni, Panzacchi, Graf, Gnoli, Contessa Lara, Vivanti,
Bersezio, Barrili, Farina, Fucini, Gallina, De Marchi, Marradi, Ferrari, A. Negri
nel 1906; Pascoli, Fornari, Spaventa, De Meis, Trezza, Zocchi, Tari, Labriola,
Bovio nel 1907; Giacosa, Bonghi, Martini, Cantoni nel 1908; Oriani, G. Negri,
Morandi, DOvidio nel 1909; ancora Carducci nel 1910; Bonacci, Aganoor,
Capacelatro, Camerana, Bettini, Calandra, Montefredini, P. Sbarbaro, Pascarella

120
Cfr. I, 1903, p. 2.
121
Ivi, p. 3.
122
A. I, 1903, pp. 7-31.
156 Maria Panetta

nel 1911; Prati, Guerrazzi, Tommaseo, Aleardi, Padula, Rovani, Nievo nel 1912;
Manzoni, Settembrini, De Sanctis, la critica erudita, Riccardi di Lantosca,
Rndani, Mazzoni, Ricci Signorini nel 1913; De Bosis nel 1914; alcune aggiun-
te furono edite nei fascicoli degli anni 1934-1939), di fatto impostando un vero
e proprio canone e imponendolo ai suoi lettori.
La seconda serie del periodico (in realt, gi lultimo volume della prima,
del 1914) si focalizz sul maestro De Sanctis (pubblicandone Le lezioni di let-
teratura di Francesco De Sanctis dal 1839 al 1848: dai quaderni di scuola dal
1915 al 1919)123, su problemi storiografici (1915-1920), sulla famiglia dei
patrioti Giuseppe124 e Alessandro125 Poerio (1917) e su Vico (1917-1921),
prendendo posizione, allo scoppio delle polemiche tra neutralisti e interventi-
sti in occasione della Prima guerra mondiale, a favore dei primi; nonostante
limportanza dei temi legati alla guerra, per, La Critica non smise mai di
occuparsi anche di letteratura e di arte, in nome del dovere verso la verit:
proprio sulle pagine della rivista uscirono, per la prima volta a partire dal 1918,
i noti saggi crociani su Ariosto (1918), Shakespeare (1919) e Corneille
(1920)126. Nel 1919 venne inaugurata da Croce anche unimportante sezione
di Note sulla poesia italiana e straniera del secolo decimonono (De Vigny,
Baudelaire, Stendhal nel 1919; Werner, Kleist, Flaubert nel 1920; Ibsen,
Heine, Balzac, Zola e Daudet, Manzoni, Monti nel 1921; Sand, Caballero,
Foscolo, Leopardi, Schiller, Berchet nel 1922; Scott, Giusti nel 1923).
Alla fine della Seconda guerra mondiale, il periodico prosegu la sua lotta
contro il Decadentismo, il Futurismo e il Pascolismo. I futuristi, e in parti-
colare Marinetti, accusarono, in momenti diversi, Croce di essere un tede-
scofilo e un passatista. Nel 1924 egli rispose alle loro provocazioni quan-
do, un decennio dopo il papiniano Discorso contro Roma e Benedetto Croce
(1913), inneggiavano alla rivoluzione contro il filosofo:

Veramente, per chi abbia senso delle connessioni storiche, lorigine ideale del
fascismo si ritrova nel futurismo: in quella risolutezza a scendere in piazza, a
imporre il proprio sentire, a turare la bocca ai dissidenti, a non temere tumulti e
parapiglia, in quella sete del nuovo, in quellardore a rompere ogni tradizione, in
quella esaltazione della giovinezza, che fu propria del futurismo [...] Marciare
contro di me? e perch? Avverto, a ogni modo, quei bravi giovani che si tratte-
rebbe di perseguirmi non a Roma, ma al polo della Logica, dove io mi sono
alquanto acclimatato, ma essi, temo, morirebbero di gelo127.

123
Cfr. F. De Sanctis, Teoria e storia della letteratura, a cura di B. Croce, Laterza, Bari 1926;
cfr. M. Panetta, Croce editore, vol. I, cit., pp. 440-444.
124
Cfr. M. Panetta, Croce editore, vol. I, cit., pp. 369-370.
125
Ivi, pp. 373-374; vol. II, pp. 685-686.
126
Cfr. B. Croce, Ariosto, Shakespeare e Corneille, Laterza, Bari 1920.
127
Cfr. B. Croce, Fatti politici e interpretazioni storiche, in La Critica, vol. XXII, maggio
1924, pp. 189-192: la cit. tratta dalle pp. 191 e 192 (nota).
Settantanni di militanza: Benedetto Croce, tra riviste e quotidiani 157

Dal 1921 al 1925, invece, comparvero sulla rivista alcune questioni ine-
renti lattivit di Croce senatore liberale (1925) e ministro della Pubblica
Istruzione: ad esempio, si ricordi il dibattito Sullinsegnamento religioso (vol.
XXI, 1923, pp. 253-256). La Critica ospit anche alcuni capitoli della cro-
ciana Storia del reame di Napoli (1923-1924) e questioni storiografiche
riguardanti la storia del meridione dItalia, let barocca (1926-1930) e il
Seicento (1921, 1925, 1932).
Il 20 maggio 1925 venne iniziata la terza serie del periodico, con la dichia-
razione esplicita di una volont di partecipare, con delucidazioni storiche e
con noterelle polemiche, al chiarimento di questioni e problemi relativi alla
contemporanea vita italiana, e di volersi attenere, nel perseguimento di que-
sto obiettivo, al programma liberale annunciato nel 1902, cui la rivista si
ribadiva era sempre rimasta fedele. In una fase in cui lideologia fascista
sembrava aver ammorbidito i toni, La Critica inaugur, allinterno della
sezione Variet, una rubrica intitolata Documenti della presente vita italiana
(1925, pp. 310-318 e 376-378), atta a raccogliere le testimonianze del rap-
porto tra la cultura e la politica italiane di quel preciso momento storico (tra
le altre, la notissima Protesta contro il Manifesto degli intellettuali fascistici,
datata 1 maggio 1925), ma la rubrica termin quellanno stesso, a causa di
un nuovo irrigidimento del regime.
Il fascicolo del 20 gennaio 1926, infatti, in pieno clima di attualismo
trionfante, dichiarava nuovamente che i pochi redattori rimasti attorno a
Croce (come Adolfo Omodeo, Guido De Ruggiero e Francesco Flora,
Giuseppe Citanna, Gioachino Brognoligo etc., dopo che Gentile aveva diser-
tato il periodico, nel 1923) intendevano riprendere il severo programma di
lavoro e di studio enunciato alla nascita della rivista, proponendo una serie di
monografie che trattavano di storia civile e letteraria (1927-1928, 1931,
1933-1937, 1940-1942) e di filosofia contemporanea (1928-1934; Croce
intervenne sul marxismo tedesco nel 1938-1939): da ricordare anche la pub-
blicazione delle lettere di Georges Sorel a Croce stesso (1927-1930)128.
La quarta serie de La Critica (1939-1944), infine, ritorn a occuparsi di
letteratura italiana moderna (la serie sugli Scrittori del pieno e del tardo
Rinascimento inizi nel 1941 e termin nel 1944) e contemporanea, di poe-
sia (gli Studi su poesie antiche e moderne erano stati inaugurati nel 1937, e
durarono fino al 1940), di problemi di estetica, ma anche ad affrontare que-
stioni di metodologia storica e a raccontare fatti e personaggi del passato.
Il 20 marzo 1944, a chiusura dellultima annata della rivista, Croce deli-
ne con soddisfazione un bilancio della sua alacre e duratura attivit (datato
gennaio 1944):

128
Per le quali cfr. M. Panetta, Croce editore, cit.
158 Maria Panetta

La Critica attinge col 1944 il suo quarantaduesimo anno: grande spazio di tempo
al quale ripenso non senza meraviglia e con un tacito atto di ringraziamento verso
la buona sorte, che mi ha concesso di lavorare senza intermissione per quaranta-
due anni a unopera alla quale mi accinsi nella piena virilit, a trentasei anni; ma
che altres con qualche meraviglia sar forse riguardata nellaneddotica delle pub-
blicazioni periodiche, perch una rivista, configurata da unico sistema di concet-
ti e scritta, se non esclusivamente, in massima parte da un sol uomo, la quale duri
tanto tempo, non ha, per quel che io ricordi, alcun riscontro. Rimangono bens
memorande alcune riviste programmatiche, di filosofia, di storia, di letteratura,
dovute a una persona sola o a un piccolo gruppo stretto da comuni convinci-
menti e comuni propositi (come, in Italia, la Frusta letteraria, il Caff, il Concilia-
tore, o in Germania il Kritisches Journal fr Philosophie di Hegel e Schelling), che
tutte consumarono con vorace fiammata, in un anno o poco oltre, la loro vita o,
se mai la proseguirono pi a lungo, serbarono il primo titolo ma non gi il pri-
mitivo carattere []. Il fascismo crollato e [] la libert tornata almeno nella
parte dItalia nella quale io scrivo, e la Critica non serve pi al fine al quale ha
servito per ventanni e che le infondeva vita e calore. [] Non gi che il diretto-
re della rivista e il suo amico collaboratore129 abbiano potuto smettere di far poli-
tica 130: ne fanno, anzi, assai pi e in modo pi diretto e concreto di prima; ma
essi stessi pubblicano di volta in volta, in forma di discorsi, di saggi e di articoli
di giornale, quel che in altri tempi avrebbero detto, nel modo e nella misura in
cui allora potevano, nella Critica 131.

129
Nella pagina precedente, Croce aveva menzionato Adolfo Omodeo e i suoi preziosi
contributi sulla cultura francese della Restaurazione etc.
130
Corsivo mio.
131
Cfr. XLII, 1944, pp. 1-9.
DANIELE GHIRLANDA

Emilio Cecchi fra libri e giornali

La giovinezza di Cecchi coincide con un periodo in cui la citt di Firenze,


dove nato e si formato, al centro della cultura italiana, grazie ad alcune
riviste dalla durata spesso effimera ma dallindubbio impatto culturale, come
Il Marzocco di Angelo Conti, Il Regno di Enrico Corradini, Hermes di
Borgese e Leonardo, fondato da Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini.
Cecchi pubblica i suoi primi articoli nel 1902 su La Medusa; lanno suc-
cessivo inizia a collaborare a Leonardo, ad Hermes e a Il Regno. La sua
presenza sulle riviste fiorentine costante: sono le prime recensioni, i primi
frutti dellingegno critico di un ragazzo che non ha studi liceali alle spalle ed
asseconda le sue inclinazioni letterarie con la tenacia dellautodidatta, dedi-
cando completamente alla cultura il tempo ritagliato dalle occupazioni neces-
sarie al sostentamento di una famiglia economicamente malsicura. Il punto
di svolta della sua carriera letteraria il 16 gennaio del 1906, giorno in cui
decide di andare a Roma in cerca di contatti e della possibilit di ricavare
dalla sua vocazione letteraria quel tanto che gli permetta di non dividere il
proprio tempo fra i libri e il negozio di ferramenta del padre o limpiego di
copista allOspedale di Santa Maria Nuova. Dopo pochi mesi Cecchi
costretto a tornare a Firenze, ma questa sortita romana gli frutta qualche arti-
colo sulle riviste capitoline e la determinazione ormai definitiva a proseguire
gli studi e a tramutare le sue aspirazioni in un mestiere: in quello stesso anno
inizia la prima stabile collaborazione sulla terza pagina del Nuovo Giornale
fiorentino.
Dopo due anni di incertezze finanziarie e vicissitudini familiari, nel 1909
Cecchi pubblica un intervento sulla neonata Voce di Prezzolini, sulla quale
scriver, seppure sempre pi sporadicamente, fino al 1913. Nel 1910 Mala-
godi, neodirettore del giornale romano La Tribuna, gli offre una collabora-
zione fissa su argomenti letterari; Cecchi accetta la proposta e gi nellanno
successivo si trasferisce, questa volta definitivamente, a Roma. La collabora-
zione non esclusiva; articoli di taglio ed argomento vario escono su altri
quotidiani, come il Fanfulla ed Il Resto del Carlino. Parallelamente con-
duce alcuni tentativi di critica monografica nei diversi campi della sua vasta
competenza di letterato e conoscitore darte, desideroso di sottrarsi alla con-
160 Daniele Ghirlanda

tingenza delle occasioni critiche offerte dal giornalismo1. Diradatisi con la


guerra, i suoi interventi sulla stampa ricavano nuovo vigore e nuove solleci-
tazioni da un soggiorno a Londra fra il 1918 e il 1919, durante il quale ottie-
ne lincarico di corrispondente di politica italiana per il Manchester
Guardian, incarico che manterr fino al 1925. Tornato a Roma, partecipa
alla fondazione della Ronda, periodico cruciale nellassestamento della cul-
tura italiana dopo la prima guerra mondiale e dopo listerilirsi delle avan-
guardie artistiche. Dal 15 luglio 1921 al 30 novembre 1923 mantiene su La
Tribuna una rubrica di recensioni letterarie intitolata Libri nuovi e usati, fir-
mata con lo pseudonimo di tarlo. In seguito alle dimissioni del direttore
che lo aveva chiamato al giornale, Cecchi, che gi collaborava con la
Stampa di Torino, nel 1923 lascia La Tribuna; lanno seguente inizia a fir-
mare critiche letterarie per il Secolo. Nel 1927 lascia il Secolo e approda
al Corriere della Sera, che rimarr il porto sicuro della sua esperienza gior-
nalistica fino alla morte ed ospiter la maggior parte dei suoi interventi sag-
gistici e molte delle sue recensioni. Per il Corriere della Sera diviene anche
autore di reportage dai viaggi in Messico e negli Stati Uniti, in Grecia ed
attorno alle coste dellAfrica. Al termine della seconda guerra mondiale
riprende fitta la collaborazione al giornale con articoli che toccano ogni lato
dei suoi interessi poliedrici, anche se fra il 1948 e il 1953 le recensioni lette-
rarie saranno destinate prevalentemente al settimanale LEuropeo. Dal
1953 fino al 12 luglio del 1966, data della morte, la sua firma torner in
esclusiva al Corriere della Sera, con una media di trenta articoli lanno2.

Dopo la rievocazione, seppure corsiva, della sua attivit giornalistica sem-


bra addirittura improprio chiedersi in che termini la personalit e lo stile di
Cecchi scrittore si manifestassero sulle pagine dei giornali, perch non appa-
re possibile separare Cecchi scrittore da Cecchi giornalista. Eppure nellin-
troduzione alla raccolta Saggi e viaggi la curatrice Margherita Ghilardi, una
delle maggiori conoscitrici della sua opera, si affretta ad anteporre una pre-
messa che sembra invertire radicalmente i termini di una questione che, a
rigore di curriculum, non dovrebbe neppure porsi:

1
Fra le opere scritte in questi anni al di fuori della produzione giornalistica ricordiamo
almeno la monografia critica Rudyard Kipling (1910) e limportante Storia della letteratura
inglese nel secolo XIX (1915).
2
Per la biografia di Cecchi si possono consultare: la sezione Vita e opere della Guida ai
Taccuini di Emilio Cecchi, a cura di N. Gallo e P. Citati, Arnoldo Mondadori Editore, Milano
1977, pp. 13-25; la voce a cura di F. Del Beccaro nel Dizionario biografico degli italiani,
Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1979, vol. 23, pp. 250-261; la cronologia che
accompagna la raccolta E. Cecchi, Saggi e viaggi, a cura di M. Ghilardi, Mondadori, Milano
1997, pp. xxxi-lx. La carriera di Cecchi scrittore pu essere ripercorsa facilmente grazie ad un
prezioso repertorio bibliografico ordinato per anno: Bibliografia degli scritti di Emilio Cecchi, a
cura di G. Scudder, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1970.
Emilio Cecchi fra libri e giornali 161

Non sar mai possibile una giusta valutazione delle opere di Cecchi, e di conse-
guenza del suo influsso pi o meno persistente e fruttuoso sulle vicende contem-
poranee e future tanto della poesia quanto della narrativa italiana, se prima di
tutto non si acconsenta a considerarlo uno scrittore di libri anzich di singoli arti-
coli apparsi per necessit o per scelta sulle colonne di un giornale3.

Il nodo gordiano che stringe scrittura saggistica e scrittura giornalistica


deve quindi essere indagato con particolare attenzione, anche perch i libri di
Cecchi sono quasi del tutto composti di prose precedentemente apparse sulla
stampa. A scorrere i lemmi della monumentale bibliografia cecchiana
approntata da Giuliana Scudder4, raro che, a partire almeno dal 1910-12,
un articolo di un qualche spessore critico non sia stato recuperato e reinseri-
to in volume. Loperazione precoce, e pu essere fatta risalire gi a tre tito-
li del 1912, La poesia di Giovanni Pascoli, Note darte a Valle Giulia e Studi
critici, che raccolgono alcune recensioni e critiche dargomento letterario ed
artistico pubblicate negli anni precedenti5. La confluenza in volume dei saggi
e delle recensioni di carattere letterario, opportunamente riadattati e corret-
ti, la prassi pi che leccezione sia per gli interventi sulla letteratura italia-
na, come nelle raccolte Di giorno in giorno (1954), Ritratti e profili (1957) e
Libri nuovi e usati (1958), che per quelli sulla letteratura anglo-americana,
con la raccolta Scrittori inglesi e americani (1935)6. Alla stessa sorte vanno
incontro anche gli articoli di taglio pi saggistico, che sono sapientemente e
pazientemente unificati in volumi che faranno la celebrit di Cecchi scritto-
re: Pesci rossi (1920), LOsteria del cattivo tempo (1927), Qualche cosa (1931),
Corse al trotto. Saggi, capricci, fantasie (1936) e i reportage di viaggio Messico
(1932), Et in Arcadia ego (1936), America amara (1940), Appunti per un peri-
plo dellAfrica (1954) e Vagabondaggi (1962)7.

3
E. Cecchi, Saggi e viaggi, cit., p. xii.
4
Bibliografia degli scritti di Emilio Cecchi, cit.
5
In una lettera del 17 luglio 1912 a Giovanni Boine, Cecchi ammette di aver messo insie-
me il volume di Studi critici per motivi strettamente finanziari: Sono cose che non bisogne-
rebbe fare, e che spero che non far mai mai pi; ma anno ebbi un momento di bisogno ter-
ribile, cfr. G. Boine, Carteggio, 5 voll., vol. 2. Giovanni Boine Emilio Cecchi (1911-1917),
a cura di M. Marchione e S. E. Scalia, prefazione di C. Martini, Edizioni di Storia e
Letteratura, Roma 1972, p. 7. Per questi volumi cfr. i lemmi 154, 155 e 156 della Bibliografia
degli scritti di Emilio Cecchi, cit.
6
Per la composizione di questi volumi cfr. rispettivamente i lemmi 2225, 2367, 2430 e
1257 della Bibliografia degli scritti di Emilio Cecchi, cit. Una buona parte dei materiali critici
sugli autori del Novecento verr poi rifusa nelle sezioni curate da Cecchi per la Storia della let-
teratura italiana, diretta da E. Cecchi e N. Sapegno, Garzanti, Milano 1965-69, IX. Il Nove-
cento, 1969 (I crepuscolari: Gozzano e Corazzini; Due poeti dialettali; Prosatori e narratori).
7
Fra parentesi ho indicato la data della prima edizione. Per le numerose riedizioni, spesso
con consistenti mutamenti di struttura e di stile, confronta le accurate Note e notizie sui testi
di Margherita Ghilardi in calce a E. Cecchi, Saggi e viaggi, cit. Nota per che gli ultimi due
162 Daniele Ghirlanda

Fermiamoci ad analizzare Pesci rossi, che oltre ad essere il primo volume di


prosa saggistica anche il libro in assoluto pi celebre di Cecchi, se non il suo
migliore, libro fondatore di un genere letterario punto medio fra la letteratu-
ra e critica. Nei Pesci rossi troviamo articoli che non si legano ad alcuna esi-
genza di cronaca, i cui contenuti, le cui movenze stilistiche sono spesso anti-
cipati nei fogli privati dei Taccuini in date che precedono di molto leffettiva
pubblicazione su rivista. Quando la prosa ragiona su un evento particolare,
su un determinato libro, prima di essere accolta nel volume viene limata nello
stile allocutivo e purgata dalle incrostazioni relative ai fatti. Leggendo per la
redazione affidata ai fogli dei giornali e quella che arriva nei libri destinati agli
scaffali delle biblioteche, non si trovano differenze radicali, al pi lomissio-
ne dei rifermenti contingenti e alcune piccole modifiche di registro8. Allora
in che modo, e fino a che punto, il lavoro di giornalista influenza, od osta-
cola, il lavoro di scrittore?
chiaro che al principio della sua carriera il giornalismo per Cecchi lu-
nica strada percorribile verso lo studio della letteratura e dellarte, perch
lunica strada capace, anche se a fatica, di affrancarlo dalla sua situazione
familiare9. Prendendo in mano la bibliografia degli scritti di Cecchi si sba-
lorditi per la quantit di interventi che in varie forme saggi, recensioni, elze-
viri, reportage si affollano sulle riviste e sui quotidiani pi importanti,
accompagnati da traduzioni e curatele di volumi altrui. Non ovviamente un
caso che gli anni pi fecondi siano quelli fra il 1910 e il 1920, in cui Cecchi
deve creare una propria riconoscibilit ed affidabilit di giornalista e deve
mantenere una larga rete di collaborazioni che gli permetta di porsi al riparo
da improvvisi rovesci della sua ancora precaria attivit. In questo periodo le
riflessioni sulla professione di giornalista sono contrastanti. Con il passare del
tempo le recriminazioni sullaridit e sulla ripetitivit del mestiere si fanno
sempre pi insistenti, correlate come sono allesigenza di trovare settimana
dopo settimana un libro da recensire, un fatto da commentare, unopinione
da controbattere, ed il tutto nello spazio stretto delle colonne di un giornale,
con la preoccupazione, sua o dei direttori, di contemperare le proprie esigen-

titoli della serie, Appunti per un periplo dellAfrica e Vagabondaggi, seppure raccolti e rivisti dal-
lautore, sono una mera ristampa di alcune corrispondenze di viaggio, privi di una rielabora-
zione strutturale che gli conferisca una riconoscibile forma-libro. In questo saggio le citazio-
ni saranno tratte da E. Cecchi, Saggi e viaggi, cit., che raccoglie questi volumi nella loro ulti-
ma edizione.
8
La genesi delle prose di Pesci rossi minuziosamente ricostruita nella Storia del testo e
apparato critico in E. Cecchi, Pesci rossi, edizione critica a cura di M. Ghilardi, Vallecchi,
Firenze 1989, pp. 139-497.
9
Cfr. quanto Cecchi afferma in una lettera a Boine del 28 maggio 1913: Se ti posso par-
lare per esperienza personale, ti dir che, nel 1910, io credevo di dover campare a vita di col-
laborazione errante, per dir cos, e vidi che si poteva, cfr. G. Boine, Carteggio, vol. 2. Giovanni
Boine Emilio Cecchi (1911-1917), cit., pp. 32-33.
Emilio Cecchi fra libri e giornali 163

ze estetiche con quelle, meno raffinate, dei quotidiani e dei loro lettori. A pi
riprese Cecchi manifesta la sua insofferenza nei confronti della misura e della
natura artisticamente mortificante dellarticolo, esprimendo la volont di
liberarsi dai vincoli della contingenza e dedicarsi ad un lavoro creativo, libe-
ro. Nelle sue conversazioni epistolari o nei suoi Taccuini personali non dif-
ficile trovare franche espressioni di questo disagio: Quel disfarmi negli arti-
coli mi nauseava; Larticolo una vigliaccheria; [] Questo stato, in me,
non pu essere che di intermezzo: intermezzo utile perch lho vissuto scru-
polosamente, perch ne ho imparato tanto, ma non perpetuabile10; o consi-
derazioni completamente liquidatorie e vertiginosamente pessimiste, come in
questo stralcio di una lettera a Boine:

Per quale simulazione, necessitata da ragioni contingenti ma pur gravi, io produ-


ca la mia critica, mi interessi alla coltura, e perch, come diceva Nietzsche
macchi le mie mani e il mio cuore alla idolatria vergognosa della coltura moder-
na, occorrerebbe a spiegarlo una fatica di cui non sono qui capace; e forse que-
sta fatica non si sazierebbe se non in una lunga opera analitica di ricerca intima,
chiusa la quale sarei nella decisione logica corrispondente alla mia istintiva deci-
sione che cos non posso durare. Ma ti dico, suicidio, scrivere queste cose [].
La mia produzione non produzione, passivit, suicidio, suicidio per vivere11.

Eppure, agli inizi della sua collaborazione fissa al quotidiano La Tribuna,


Cecchi era piuttosto fiducioso nelle potenzialit espressive e culturali, se non
proprio artistiche, della sua nuova professione giornalistica. Nel 1910 scrive
cos alla moglie: A me importerebbe moltissimo poter stabilire una corrente
continua di idee, etc, fra me e il pubblico []; e temperare e lucidare il mio
stile, in modo da renderlo tutto chiaro e perspicuo. Il quale risultato non si
ottiene che con un lavoro vivo, fatto appunto sul pubblico vivo, dogni giorno;
e non su quello riposato e meditativo che legge i libri12. In maniera ancora pi
consapevole, mentre si sta sforzando di trovare per lamico Giovanni Boine
alcuni contatti che gli permettano di pubblicare qualche articolo e di sollevarsi
almeno momentaneamente da una pressante indigenza, coglie loccasione per
fare lelogio dellonest e dellutilit della sua professione e difenderla dai male-
voli che la screditano a petto della critica pura o accademica:

10
La prima citazione tratta da una lettera alla moglie Leonetta del 26 agosto 1911, ed
riportata da Margherita Ghilardi nella sua introduzione a E. Cecchi, Pesci rossi, cit., p. xi; la
seconda citazione, del marzo 1912, ricordata Ivi, p. ix, e si pu leggere nel suo contesto inte-
grale in E. Cecchi, Taccuini, a cura di N. Gallo e P. Citati, Arnoldo Mondadori Editore,
Milano 1976, p. 120.
11
La lettera, del 28 febbraio 1914, si legge in G. Boine, Carteggio, vol. 2. Giovanni Boine
Emilio Cecchi (1911-1917), cit., p. 88.
12
La citazione tratta da una lettera del 18 marzo 1910 e si legge nellintroduzione a E.
Cecchi, Saggi e viaggi, cit., p. xxxix.
164 Daniele Ghirlanda

Verranno, dopo, i sublimi a dirti che fai giornalismo, ma questo non importa; io
fo, credilo, dei molti crudeli esami di coscienza, ma il mio giornalismo la cosa
che mi rimorde meno. A volte, sono stato io che non lho saputo fare; e, comun-
que, ci che avevo in corpo, quattro anni fa, confermato e purificato ora, non
ha fatto compromessi. Credo che mi sono accostato, attraverso ad una fatica tal-
volta molto dura, superando delle terribili stanchezze, al mio destino ch di scrit-
tore, di artista. E sono contento di aver dato, a volte, pi peso al mio esercizio
giornalistico, di quel che si dovrebbe, forse, dare: non stata fatica invano. Ora
ho qualche momento di vera, profonda sicurezza e serenit finale13.

Le oscillazioni fra questi due stati danimo erano destinate a risolversi con
lapprodo ad un luogo letterario equidistante dalla scrittura giornalistica e dalla
scrittura artistica. Arrivato a Londra nel 1918 come rappresentate dellItalian
Foreing Office Action Bureau e corrispondente de La Tribuna, il distacco
dalla realt italiana e la vicinanza alla venerata memoria del giornalismo ingle-
se mettono Cecchi sulla via che lo porter alla stampa del suo primo volume di
prose letterarie, nella scia di quellessay che ha saputo fondere le esigenze della
letteratura con quelle della realt. Durante la sua esperienza londinese Cecchi
colleziona impressioni, idee, fantasie, incontri, occasioni di riflessione sulluo-
mo, sullarte e sulla natura che confluiranno nei Pesci rossi. Non bisogna pen-
sare ad una conversione immediata, ad una illuminazione inattesa. Molti arti-
coli che finiranno nel volume sono antecedenti al viaggio a Londra, come pure
lo quello che d il titolo alla raccolta, nato come recensione ad una silloge di
poesie cinesi. Ci che Cecchi riporta dal viaggio nellamatissima Inghilterra, fil-
trata e mitizzata attraverso lo studio appassionato e autodidatta della sua lette-
ratura, la misura della sua vocazione letteraria, come in quei giorni confida in
una lettera alla moglie Leonetta: Credo di andar trovando una forma di essay,
nella quale potr dire tutto14.

Possiamo ripercorre le tappe della conquista di questa consapevolezza cul-


turale e letteraria attraverso le riflessioni dello stesso Cecchi, a partire da una

13
G. Boine, Carteggio, vol. 2. Giovanni Boine Emilio Cecchi (1911-1917), cit., pp. 33-
34. Figura anfibia fra critica e giornalismo, Cecchi prester il fianco alle critiche di entrambi i
campi. Oltre alle accuse degli scrittori e dei critici puri, cui accenna in questa lettera, Cecchi
sub, altrettanto violente, anche le critiche dei giornalisti che, come ricorda Mario Praz in un
suo intervento celebrativo, trovavano che egli, in terza pagina, era un intruso, intruso per
essere troppo astruso, e i pi benevoli lo scongiuravano a mani giunte perch scendesse da
quelle che a loro parevano nuvole, e si decidesse una buona volta a write down, come dicono
gli anglosassoni, a mettersi alla portata di tutti, M. Praz, Emilio Cecchi e la cattedra della terza
pagina nel numero monografico commemorativo de LApprodo letterario, n. 40, anno XIII,
1967, Omaggio a Cecchi, a cura di G. Cattaneo, p. 9.
14
Citazione tratta da una lettera del gennaio 1919 e riportata nellintroduzione a E.
Cecchi, Pesci rossi, cit., p. xxxi; tutta la nota al testo una acuta e serrata ricostruzione del per-
corso intrapreso da Cecchi per giungere al suo primo libro di prose.
Emilio Cecchi fra libri e giornali 165

prosa di Pesci rossi intitolata emblematicamente Dello stare a sedere. Larticolo


analizza lessenza del giornalismo e la funzione del giornalista, contro tutte le
suggestioni dellimmediatezza dellinformazione: Secondo me il giornalista
essenzialmente un uomo che sta fermo; Perch nella societ capovolta ch
la societ moderna, a forza di denaro e di uomini, si pu sempre procurarsi
quella cosa costosa e che vien di lontano ch la notizia. Ma inarrivabile e rara
rimane la cosa casalinga che non costa nulla: lopinione15. A chiudere la
riflessione, e a suggellare questo nuovo breviario della professione, Cecchi
allega una prima spiazzante lista di autorit cui affidarsi per contrastare i fau-
tori della nuova notizia telegrafica, immediata ma caduca, e richiama i nomi
di Swift, Machiavelli, Pascal, Demostene e SantAgostino. Una lista di colle-
ghi che non tarder a farsi pi lunga e pi circostanziata.
La prima prosa della Osteria del cattivo tempo, la seconda raccolta saggi-
stica di Cecchi, si intitola programmaticamente Dellarticolo di giornale e si
propone di stilare una volta per tutte la genealogia dellarticolista, disegnan-
do uno stemma di ascendenze elette, tracciato con una necessaria tinta ironi-
ca che stempera, ma proprio per questo rende accettabili, alcune solenni affi-
liazioni. Ogni sotto-genere giornalistico ha i suoi nobili antenati: lEpistola ai
Romani una specie di colossale articolo di fondo; Pindaro linventore
dellarticolo entusiastico o, come si dice, soffietto; Teofrasto e Luciano
son perfettamente al corrente con quanto di meglio seppero escogitare i
nostri scrittori di variet; lepodo oraziano modello insuperato dartico-
lo polemico e stroncatura con tutti i sacramenti; Berni, nel suo capitolo sul
viaggio da Roma a Brindisi, fu forse il primo inviato speciale; Berni stesso
poi, con il Diluvio di Mugello, alle origini dellarticolo di terza pagina16.
Dopo questa rassegna, cui si aggiungono Bartoli, Magalotti e Algarotti, Cec-
chi arriva finalmente a riconoscere i padri pi autentici del giornalismo mo-
derno, o almeno del suo moderno concetto di giornalismo: Addison,
Johnson, Swift e Pope. I quattro giornalisti, scrittori, saggisti inglesi sono ac-
comunati nellincisivo e definitivo affresco di una cultura che alle basi della
professione dellarticolista:

Una cultura classica, squisita ma non mortificante; unautentica e non pedante-


sca seriet morale; un senso di dignit sociale che corregge litaliana ironia trop-
po feroce; limpeto duna gran vita letteraria dove gli ingegni si scaldano e rag-
giungono tutte le proprie possibilit; lagile e bizzarra disposizione inglese a
cogliere nel meschino frammento di vita una verit inaspettata e profonda; una
copiosit agevole e serena []. Mai il giornalismo fu colloquio cos nobile e cor-
diale con il lettore17.

15
Ivi, pp. 49-50.
16
Ivi, pp. 120-123.
17
Ivi, p. 125.
166 Daniele Ghirlanda

Per chi conosca il Cecchi di Pesci rossi, dellOsteria del cattivo tempo, di
Messico e delle altre raccolte saggistiche o di viaggio, questo un autoritratto
con la penna in mano. Nello stesso articolo viene affrontato anche un tema
intimamente connesso a quello della dignit artistica del giornalismo, tema
divenuto di stretta attualit per la sua carriera di scrittore dopo il grande suc-
cesso di Pesci rossi: legittimo, o meglio, opportuno raccogliere gli articoli
in un volume, dare ai fogli sciolti la veste di un libro rilegato? La risposta
affermativa, ma fatta con il garbo, con lunderstantment di chi ha compreso
bene quale la strada da intraprendere per affinare e vedere riconosciuta la
propria arte e cerca di convincere gli altri senza alzare la voce o peccare dim-
modestia. Larticolo di giornale, ci dice Cecchi, avrebbe tutto il vantaggio a
rimanere sulla carta stampata, la sua contingenza anche la sua forza: tale
caducit fra le cose che pi invogliano a scrivere sui giornali18; limpres-
sione ricevuta da unidea e dallo stile in cui viene espressa tanto pi profon-
da quanto pi superficiale il contesto in cui la incontriamo; meno sono le
nostre aspettative, pi alta la nostra gratitudine verso chi ci sorprende. La fra-
gilit, non solo culturale ma addirittura fisica, materiale, della carta stampa-
ta una buona alleata dello scrittore. Leventuale ricerca in una misteriosa e
polverosa emeroteca unavventura, unarcheologica ed emozionante impre-
sa dello spirito. Conviene vietarsi siffatte avventure ed emozioni, pel gusto
della ristampa? Togliere gli scritti di giornale da questa atmosfera che nel vol-
gere di poche ore gi comincia a dorarli dun oro di leggenda? Conviene la
diplomatica esattezza dei testi, o la vaga poesia della rimembranza?19. Queste
domande sono solo apparentemente retoriche, visto che appaiono sulla soglia
di Osteria del cattivo tempo, cio proprio di una raccolta composta per la mag-
gior parte di articoli di giornale o di rivista20.
Cecchi ritorna unultima volta sullargomento in Saggio e Prosa darte, una
riflessione pubblicata in due parti nel 1949 sulla rivista Limmagine, accol-
ta praticamente senza alterazioni nellultima edizione di Qualche cosa. Il tito-
lo del testo gi pone una prima distinzione del problema. Il saggio definito
pi dal suo contenuto che dalla sua forma, la prosa darte, al contrario, sin-
serisce nel tessuto dei generi pi diversi. Cecchi include anche Montaigne
allinterno del suo personale pantheon e recupera dalle sue predilezioni di
anglista Charles Lamb e Thomas De Quincey. I due autori inglesi sono rico-
nosciuti come rappresentati tipici, e in qualche modo antagonistici, della

18
Ivi, p. 126.
19
Ivi, p. 127.
20
Gli interrogativi citati compaiono nella seconda parte della redazione definitiva di
Dellarticolo di giornale, ma vennero formulati la prima volta allinterno di una recensione del
tarlo al libro Venti uomini, un satiro e un burattinaio di Pietro Pancrazi, pubblicata il 26 gen-
naio del 1923 su La Tribuna e che ora si pu leggere in E. Cecchi, I tarli, a cura di S.
Betocchi, introduzione di E. Siciliano, Fazi, Roma 1999, pp. 74-78.
Emilio Cecchi fra libri e giornali 167

forma classica del saggio, il primo; e della prosa poetica, o cosiddetta prosa
darte il secondo, che ne preannuncia assai remoti sviluppi21. Conoscendo
lammirazione di Cecchi per questi due scrittori, facile dedurre che egli stes-
so avrebbe avuto difficolt, se non fastidio, ad etichettare la sua prosa esclu-
sivamente con una di queste due definizioni. Prosa darte infatti sembra esse-
re per lui sinonimo di stile e non definizione di genere. Nel trattare pi ana-
liticamente della prosa poetica Cecchi recupera infatti ascendenze che riman-
dano alla letteratura nazionale, alla prosa italiana insomma; appare finalmen-
te il nome di Leopardi e, dopo opportuni riferimenti a Baudelaire e un ulte-
riore sguardo allOttocento inglese, arriva a parlare, e a lungo, di
DAnnunzio, che in questo campo fu contemporaneamente al suo meglio e
al suo peggio22. A suggello della liquidit del genere, e dunque dellambi-
guit anfibia della sua stessa opera di giornalista e saggista, Cecchi chiude lar-
ticolo tornando al punto di partenza:

Cosicch, nel lasciare, col DAnnunzio, gli esempi storici nei quali di fatto si
testimonia la legittimit del saggio, della prosa poetica e della prosa darte,
queste forme, ancora una volta, sembrano soprattutto mostracisi nella loro insta-
bilit, allotropicit e quasi inafferrabilit; e ancora una volta, tutto considerato,
uno ha limpressione daverne saputo dir poco o niente23.

Nel corso di oltre trentanni, dalle prime riflessioni nei carteggi privati
fino a questultimo ampio articolo, Cecchi impiega tutto il suo acume criti-
co e tutta la sua enorme riserva di conoscenze storico-letterarie per attribuire
alla prosa saggistica di breve respiro e dallo stile raffinato un blasone rispet-
tabile, una genealogia riconosciuta di nobili antenati. Non arriva a definizio-
ni categoriche, che a lui come a noi sembrano impossibili ed inutili, e pro-
prio per questo traccia per s una campo di azione molto vasto, in cui eserci-
tare la propria vena e la propria ambizione artistica senza paura di sconfina-
re. A questi patti Cecchi sembra rivendicare il titolo di giornalista come rico-
noscimento di una piena appartenenza alla categoria, non per civetteria o
pudore24. Reclama a s questo titolo non solo per lopera di recensore e cri-
tico, attivit che storicamente sempre stata di casa sulle colonne dei gior-
nali, ma anche per la sua attivit di saggista, per quelle sue due colonne che

21
E. Cecchi, Saggi e viaggi, cit., p. 325.
22
Ivi, p. 335.
23
Ivi, p. 336.
24
Queste considerazioni limitative dellautopercezione di Cecchi come giornalista sono
espresse da Margherita Ghilardi, Ivi, p. xiii. Questi giudizi trancianti scontano unaccezione
negativa del termine giornalista, corrente soprattutto nellambito letterario. Come si cercato
di mostrare, non pare che Cecchi, al netto di alcune altalenanti considerazioni dettate dalle
difficolt incontrate agli inizi della sua carriera, abbia mai svalutato il titolo e il ruolo dei gior-
nalisti.
168 Daniele Ghirlanda

per anni sono servite a commentare, ricordare, descrivere, discutere, analiz-


zare gli elementi, anche i pi minuti, che si offrivano alla sua curiosit di
uomo e di scrittore25.
Laffermazione di Margherita Ghilardi sulla maggiore influenza esercitata
da Cecchi come autore di libri piuttosto che come giornalista, citata in aper-
tura di questo intervento, non deve comunque essere sottovalutata. Il pas-
saggio dal quotidiano al volume non passaggio irrilevante, n linguistica-
mente n letterariamente26. I volumi saggistici e di viaggio cecchiani non
sono delle semplici raccolte, ma dei libri. Come in un canzoniere, i testi ven-
gono suturati luno allaltro, accostati ed ordinati per affinit tematica, per
geometrie interne che hanno origine dal tono e dallo stile, mai dallordine
cronologico. Questi principi di riuso sono perseguiti con scrupolo e coeren-
za attraverso pi edizioni, che perfezionano di volta in volta lautosufficienza
e la simmetria27. Anche nei libri di viaggio, che quantomeno si dovrebbero
mantenere fedeli ad un itinerario reale e ad una cronologia certa, Cecchi arri-
va a scombinare le tappe, fedele pi alle esigenze letterarie che a quelle della
veridicit28.

25
Fra le molte testimonianze di protagonisti della letteratura e della critica che in prima
battuta ricordano Cecchi come giornalista piuttosto che genericamente come scrittore, cfr.
quanto ebbe a dire Montale nellarticolo del 14 luglio 1964 affidatogli dal Corriere della Sera
per la celebrazione del suo ottantesimo compleanno: Emilio Cecchi si sempre definito gior-
nalista, senza nessuna civetteria, e ha dato coraggio a quanti di noi, scrittori pi o meno buoni,
non avremmo messo la pentola al fuoco se i grandi giornali si fossero convinti che la buona
prosa, come credeva il bourgeois gentilhomme, possono farla, senza accorgersene, anche gli illet-
terati, E. Montale, Auguri a Cecchi, in Id. Il secondo mestiere. Prose (1920-1979), a cura di G.
Zampa, Mondadori, Milano 1996, t. 2, p. 2637. Anche per Contini Cecchi stato giornali-
sta principe, G. Contini, Letteratura dellItalia unita, Sansoni, Firenze 1968, p. 741.
26
Il modo migliore per rendersi conto dei percorsi stilistici e redazionali seguiti da Cecchi
per creare le sue raccolte saggistiche a partire dagli articoli di giornale senza dubbio la consul-
tazione della monumentale sezione Storia del testo e apparato critico nelledizione critica dei Pesci
rossi a cura di Margherita Ghilardi, in E. Cecchi, Pesci rossi, cit., pp. 139-497. Elementi di storia
del testo delle altre raccolte di saggi, pi stringati ma altrettanto accurati, si leggono nelle Note e
notizie sui testi redatte sempre da Margherita Ghilardi per E. Cecchi, Saggi e viaggi, cit. Non biso-
gna per credere che i testi in questo passaggio venissero radicalmente stravolti, come rimarca fra
gli altri anche Giacomo Debenedetti: le sue note, fin da quando escono sul giornale, hanno l
per l tutti i requisiti dellarticolo, ma gi anche il suono e come la maggiore stabilit tipografica
delle pagine di un libro, G. Debenedetti, Il tarlo in valuta oro, in Id. Saggi, progetto editoria-
le e saggio introduttivo di A. Berardinelli, Mondadori, Milano 1999, p. 1244.
27
A titolo di esempio segnalo unicamente il fatto che, quasi fino al termine dei suoi gior-
ni, Cecchi progetter di aggiungere ai Pesci rossi una suite centrale di pezzi brevi sulla scorta
delle sezioni Lanterna magica de Losteria del cattivo tempo, di Nero e bianco di Qualche cosa e
di Album da disegno di Corse al trotto, cfr. E. Cecchi, Saggi e viaggi, cit., p. 1918.
28
Il caso pi evidente quello di Messico, che attraverso le varie redazioni subisce radicali
spostamenti di materiali da una parte allaltra del libro ed unalterazione sensibile delleffetti-
va cronologia del viaggio, subordinando le esigenze di veridicit a quelle di carattere estetico e
stilistico, cfr. Ivi, pp. 1799-1805.
Emilio Cecchi fra libri e giornali 169

Ci nonostante le caratteristiche che hanno fatto di Cecchi uno dei mag-


giori scrittori italiani della prima met del Novecento derivano direttamente
dalla pratica di giornalista. E parliamo sia del contenuto che della forma.
Lelzeviro di Cecchi divenuto famoso per il suo impasto levigato di qualit
e di argomenti altrimenti difficilmente accostabili: la curiosit per ogni aspet-
to della vita umana ed animale, per le diverse arti, per il dettaglio che finisce
sotto locchiale da presbite del critico e ne rivela lunicit nascosta dalla quo-
tidianit; luso di immagini che riempiono la pagina e ne attenuano o ne
ingentiliscono anche le prese di posizione pi decise; lironia squisita della sua
prosa, che rende le sue pagine, altrimenti a rischio di essere troppo aree e
inconsistenti, cos familiari e piacevoli. La misura dellarticolo di giornale, il
contatto costante e necessario con un pubblico ampio, sicuramente pi vario
e meno elettivo di quello del volume, sono il correttivo migliore alle punte
del suo moralismo e alla deriva romantica e iperletteraria della sua critica.
La disciplina giornalistica ha contribuito in maniera determinante anche a
forgiare laltro elemento inossidabile della sua prosa: lo stile. Indagato a lungo
e con sapienza da varie angolazioni, si riconosce unanimemente a Cecchi uno
stile magistrale, costruito su di una sintassi paratattica, un lessico ricco e dut-
tile, con connotazioni coloristiche e una disponibilit infinita di toni e tinte
diverse, uno stile adatto a svolgere argomentazioni sempre chiare e razionali
su di un registro vario che stempera laulico con il colloquiale 29. Anche que-
sto equilibrio stilistico dovuto in larga parte alla disciplina imposta dalla
carta stampata. Cecchi stesso riconosceva, pur nella insofferenza verso gli
aspetti pi snervanti e affaticanti del mestiere, linsospettata fecondit delle
limitazioni imposte dalla misura necessaria allarticolo. Lo scarto di maturit
artistica fra la prosa romanticamente fiorita delle prime prove critiche e quel-
la dei Pesci rossi evidente ad ogni lettore. Per un autodidatta onnivoro dalla
produzione bulimica quale era il giovane Cecchi, esercitare la propria vena e
contenere le proprie inclinazioni in un campo delimitato si rivelato un osta-
colo fecondo, un limite che ne ha esaltato le qualit e arginato i difetti30. Sim-

29
Per tutti riportiamo il giudizio di Geno Pampaloni nel capitolo dedicato a Cecchi nel-
lultimo volume della Storia della letteratura italiana diretta da Cecchi stesso insieme a
Natalino Sapengo, intenso commiato dellopera al suo curatore a tre anni dalla morte: Dopo
il DAnnunzio, e con leccezione, su altro registro, del Croce, non c nellItalia del Novecento
una scrittura cos leggendariamente evocativa e sensibile, Storia della letteratura italiana, vol.
IX Il Novecento, cit., p. 744. Per unaccurata analisi linguistica dello stile di Cecchi cfr. I.
Baldelli, Varianti di prosatori contemporanei (Palazzeschi, Cecchi, Bassani, Cassola, Testori), Le
Monnier, Firenze 1970, pp. 24-45 e M. Brusadin, Emilio Cecchi e la crisi della lingua lettera-
ria italiana del primo Novecento, in M. Brusadin et alii, Profili linguistici di prosatori contem-
poranei: Cecchi, Gadda, Vittorini, Pratolini, Pavese, introduzione di P. V. Mengaldo, Liviana,
Padova 1973, pp. 3-112; considerazioni importanti ed acute sulla prosa di Cecchi in G.
Debenedetti, Corse al trotto di Emilio Cecchi, in Id., Saggi, cit., pp. 480-487.
30
Dice bene a questo proposito la Ghirladi, nella sua introduzione a Pesci Rossi: per un
ennesimo di quei paradossi che tanto gli erano e gli saranno cari in futuro, Cecchi trova pro-
170 Daniele Ghirlanda

bolicamente poi questo limite si concretizzava nei rituali della scrittura:


tagliare i fogli con il righello in formato cartolina, scrivere il pezzo, correg-
gerlo e trascriverlo per due volte fino ad arrivare, in una terza, definitiva, ste-
sura, allinvariabile misura delle quattro cartelle e mezzo31. I limiti tipografi-
ci si trasformano in ideali confini entro i quali costringere, perfezionandola e
limandola su ogni spigolo, la propria scrittura.
Lalternativa fra articolo e volume, fra giornalista e scrittore, dunque solo
una questione di contingenza e di cronologia, non di prospettiva critica. Per
chi gli sia stato coetaneo o affezionato lettore, Cecchi sar apparso di setti-
mana in settimana sulle pagine dei giornali a commentare, a recensire o ad
evadere dallattualit culturale, sempre contemporaneo al lettore. Gli altri lo
conobbero giocoforza dalle pagine dei libri, e anche loro in quelli apprezza-
rono certamente pi lo stile, il tono ed il contenuto che larchitettura e il
lavoro di montaggio e incastro dei testi sparsi32. Questo discorso ammette
una sola, importante eccezione. Per gli scrittori della sua stessa tempra arti-
stica, quelli che sono stati insieme critici e recensori, scrittori di articoli e di
saggi Praz, Manganelli, Parise, Calvino, Pasolini e pochi altri33 , i Pesci
rossi e le altre raccolte di saggi di Cecchi dimostrarono la legittimit e la
fecondit della coesistenza della medesima voce sulla carta dei quotidiani e su
quella dei libri; una coesistenza che ha avuto un ruolo fondamentale nello
sviluppo della cultura e della letteratura italiana nella seconda met del
Novecento.

prio nella precariet stabile dellelzeviro la misura definitiva del suo talento, nellambiguit
apparente il tratto inconfondibile della sua prosa; nella caducit appositamente ostentata la
forza per fermare con la scrittura il tempo, E. Cecchi, Pesci rossi, cit., p. xxxi; cfr. anche le
osservazioni di Carmine Di Biase: Sar proprio il giornalismo, ossia il necessario contatto con
il lettore e con la realt, a riportare Cecchi allideale dellumilt, a dargli una maniera, nel
senso di uno stile suo, autentica, C. Di Biase, Emilio Cecchi, La Nuova Italia, Firenze 1982
[1983], p. 49; fra virgolette sono citate alcune parole chiave della riflessione di Cecchi sul suo
mestiere di scrittore che compaiono nelle prose Questioni di maniera e La bandiera dellumilt
entrambe accolte ne Losteria del cattivo tempo, cfr. E. Cecchi, Saggi e viaggi, cit. pp. 129-132,
198-99.
31
Per il modus operandi di Cecchi cfr. E. Cecchi, Taccuini, cit., pp. 115-116 e il ricordo
del nipote Masolino DAmico su La Stampa, 8 marzo 2003, p. 23.
32
Il giovane Calvino, ad esempio, sar talmente colpito dalla limpidezza e dalla plasticit
dello stile di Cecchi da imparare a memoria lincipit di Pesci rossi, come confessa nellarticolo
Cecchi e i pesci-drago, La Repubblica, 14 luglio 1984, p. 20.
33
Una lettura illuminante sulle affinit che legano alcuni di questi critici, tutti scrittori di
terze pagine, nel saggio di G. Pulce, Elogio della discontinuit. Di alcuni tratti della scrittura
saggistica nella letteratura italiana novecentesca, in G. Cantarutti, L. Avellini e S. Albertazzi (a
cura di), Forme e funzioni di un genere letterario, Il Mulino, Bologna 2007, pp. 113-133.
GIULIA MAURO

Tommaso Landolfi giornalista sui generis

Landolfi pubblicista: riviste e testate

La classicit di questo autore contemporaneo, per altri versi modernissi-


mo, giustifica il suo approccio altro alla carta stampata, che non far mai di
Landolfi un giornalista in piena regola, semmai un pubblicista schivo, fuori
dai ranghi e fedelissimo alla propria vocazione letteraria, difficilmente conci-
liabile con un pubblico allargato. La natura peculiare della sua scrittura, tut-
tavia, irriducibile al mezzo cui pure ricorre e ai conformismi dellintellighen-
zia (sia durante il regime, sia nellItalia repubblicana), non inficia il carattere
significativo dei suoi numerosi interventi su riviste e quotidiani. Tali contri-
buti, ben al di l del pur evidente disprezzo dautore per il mestiere, rap-
presentano un unicum nel panorama giornalistico del periodo.
Il giovane e brillante slavista, gi a partire dal 1934, collabora a riviste
romane come Occidente, LEuropa Orientale (dove pubblica la sua tesi
di laurea su Anna Achmatova), LItalia letteraria e Caratteri. A Firenze,
inoltre, dove partecipa agli incontri degli intellettuali nel caff delle Giubbe
Rosse (con Renato Poggioli, Leone Traverso e Carlo Bo tra gli altri), Landolfi
scrive per periodici come Letteratura e Campo di Marte. I suoi contri-
buti, per, non sono pensati in funzione delle riviste, si tratta piuttosto di
anticipazioni di racconti che saranno pubblicati successivamente ne Il dialo-
go dei massimi sistemi e Il mar delle blatte e altre storie.
Il periodico Letteratura, fondato nel 1937 e diretto da Alessandro Bon-
santi, raccoglie leredit di Solaria, sostenendo il pi possibile, in pieno
regime, lautonomia letteraria e lapertura alle esperienze europee, con la col-
laborazione di scrittori anche molto diversi tra cui: Romano Bilenchi, Carlo
Bo, Gianfranco Contini, Giuseppe De Robertis, Carlo Emilio Gadda, Alfon-
so Gatto, Mario Luzi ed Elio Vittorini.
Campo di Marte, attivo tra il 1938 e il 1939, diretto da Enrico Vallec-
chi e redatto da Alfonso Gatto e Vasco Pratolini, un quindicinale ermetico
e polemico, che unisce alladesione alla poesia pura unansia di rinnovamen-
to culturale e politico riconducibile al fascismo di fronda1.

1
Cfr. N. Ajello, Il settimanale dattualit in La stampa italiana del neocapitalismo a cura di
V. Castronovo e N. Tranfaglia, Laterza, Bari 1976, pp. 310-330.
172 Giulia Mauro

Negli stessi anni Tommaso Landolfi collabora, in modo altrettanto spora-


dico, con resoconti e corrispondenze di vario genere, al settimanale Omni-
bus di attualit politica e letteraria, fondato da Leo Longanesi nel 1937, che
costituir un importante modello per i periodici del secondo dopoguerra.
La rivista porta avanti una sorta di parodia dellattualit, in chiave lette-
raria e con un certo snobismo, che ha per principale bersaglio la demagogia
di regime e i suoi slogan di massa, incarnati nel costume italiano. Nonostante
la critica sia sostanzialmente interna al sistema, il settimanale viene soppres-
so dopo soli due anni di vita.
Tommaso Landolfi e diversi altri collaboratori, dunque, passano a Oggi,
settimanale fondato da Benedetti e Pannunzio (1939-1942) che conserva
limpronta di Longanesi, con un atteggiamento di maggior prudenza e mino-
re anticonformismo.

Tuttavia, queste esperienze non sono che le premesse di un impegno pi


continuativo dellautore di Pico nellambito del sistema editoriale, che si con-
cretizza solo negli anni Cinquanta con la collaborazione a Il Mondo (1951-
1959), pur sempre esterna e occasionale, data laristocratica insofferenza nei
confronti del mestiere e della routine.
Inizialmente, Landolfi si limita a pubblicarvi sporadicamente i propri rac-
conti, poi confluiti in Ombre (1954), oltre a gestire la rubrica cinematografi-
ca per poco pi di un mese nellestate del 1953, in assenza di Corrado Alvaro.
Il contributo pi corposo e costante al settimanale, in seguito, si estrinseca
nella cura di due rubriche, che consistono rispettivamente in recensioni let-
terarie (a partire dalla fine del 1953), settantanove delle quali saranno rac-
colte in Gogol a Roma (1971), e curiose corrispondenze di viaggio sul terri-
torio italiano (fra il 1952 e il 1959), successivamente ripubblicate con lem-
blematico titolo Se non la realt (1960).
Il Mondo, nato nel febbraio del 1949 per iniziativa di Mario Pannun-
zio, si configura come un giornale di minoranza, estraneo al clima dominan-
te nellimmediato secondo dopoguerra. Allattualit e ai toni gridati, infatti,
si preferisce una grafica sobria, elegante, in bianco e nero, emblematica di un
atteggiamento anticonformista, tanto sul terreno politico quanto in ambito
culturale.
Per quanto riguarda il primo aspetto, Pannunzio incarna una posizione
laica, anticlericale e anticomunista al tempo stesso, di matrice liberaldemo-
cratica, tesa a conciliare due posizioni ideali diverse tra loro, quelle di
Benedetto Croce e di Gaetano Salvemini, entrambe lette in modo antidog-
matico, asistematico.
Dal punto di vista culturale, inoltre, lo humour e il gusto del divertisse-
ment intellettuale, in parte ereditati da Longanesi, sono un importante segno
di originalit. I collaboratori (tra cui Ennio Flaiano, Vitaliano Brancati, Gio-
vanni Comisso, Carlo Cassola, Gabriele Baldini, Corrado Alvaro, Mino
Tommaso Landolfi giornalista sui generis 173

Maccari, Alberto Moravia e Ignazio Silone) sono liberi di esprimere posizio-


ni diverse e rifuggono la nozione gramsciana di impegno, pur preoccupan-
dosi, con leccezione di Landolfi, del rapporto tra letteratura e societ e del
problema della formazione di una nuova coscienza civile.
La differenza pi rilevante rispetto alle altre testate si pensi, tra laltro,
al Politecnico di Vittorini il rifiuto della matrice pedagogica e delli-
deologia marcata a favore, viceversa, dellindipendenza di giudizio e del rifiu-
to di ogni facile compromesso, pur nellambito di un liberalismo progressista
di fondo. La rivista pu essere considerata un antirotocalco2, al di l della tec-
nica di stampa impiegata, per la sua lezione di eleganza nel farsi interprete di
unlite intellettuale che ha molto poco a che vedere con le grandi masse.
Pubblicare su Il Mondo considerato come fonte di prestigio e orgoglio
dagli intellettuali.
I collaboratori, in genere, recapitano personalmente larticolo, non solo
per conoscere il giudizio di Pannunzio, che legge subito ci che pi gli inte-
ressa, ma anche perch il loro rapporto con il settimanale diretto, persona-
le, non meramente professionale e tecnico ma ideale. Chi scrive, inoltre, non
rifiuta la tradizione n si fa portabandiera di dogmi extraletterari: ognuno
conserva la sua voce riconoscibile, pur nella coerenza tra le varie pagine del
settimanale. Le scelte creative e saggistiche costruiscono una tradizione laica,
umanistica e critica coerente e articolata.
Limpegno de Il Mondo e della maggior parte dei suoi colleghi per il
rinnovamento e la modernizzazione, per un legame vitale tra cultura e poli-
tica, non si pu certo definire congeniale alla personalit di Landolfi. Daltro
canto, per, lanticonformismo, la presa di distanza dalla cronaca e da una
precisa appartenenza letteraria o politica, la componente aristocratica, lasso-
luta libert di giudizio e il gusto intellettuale elitario, nonch lattenzione alla
forma si prestano a unintesa e garantiscono a Landolfi unisola minoritaria,
il pi possibile libera da costrizioni di sorta.

La collaborazione pi cospicua per intensit e durata, comunque, poste-


riore e vede Landolfi impegnato come elzevirista per il Corriere della Sera,
quotidiano pi diffuso e prestigioso sul territorio nazionale, la cui terza pagi-
na non a caso molto ambita dagli intellettuali italiani.
La struttura della terza, al Corriere e nella maggior parte dei quotidiani
dinformazione, rimane a lungo invariata nel secondo dopoguerra: lelzevi-
ro di due colonne in apertura (articolo critico o racconto), il taglio o cor-
rispondenza dallestero nella parte centrale e la variet che occupa la spalla,
ossia le due ultime colonne.

2
Cfr. P. Bonetti, Prefazione in Id., Il Mondo 1949-1966: ragione e illusione borghese,
Laterza, Roma-Bari 1975, pp. VII-XXVII.
174 Giulia Mauro

Negli anni Cinquanta, Lorenzo Gigli sottolinea come la tradizione prose-


gua con grande vitalit nei giornali italiani: le terze risultano cos un indice
o un prontuario della nostra letteratura []. Ogni narratore o saggista auto-
revole vi anticipa il fiore della produzione che poi raccoglier, rielaborata e
riordinata, nel volume. La funzione dunque continua []. Scorrete le terze
pagine dei quotidiani e vi troverete lo Stato maggiore delle nostre lettere, al
completo3.
Nel quotidiano milanese la direzione di Mario Missiroli (dal 1952 al
1961) sostanzialmente indifferente alle novit, ai fermenti culturali recenti
e attuali, dalla psicanalisi alla sociologia, alla narrativa e alla poesia sperimen-
tali. Inoltre, il suo rapporto con i collaboratori del tutto particolare: il diret-
tore paradossalmente non gradisce la ricezione degli articoli, poich molto
imbarazzato nel dover valutare ed eventualmente respingere i contributi, in
particolare per quanto riguarda la terza pagina, fonte di prestigio e banco di
prova principale delle sue capacit4.
Mario Missiroli, comunque, si circonda di brillanti inviati speciali e di
noti scrittori e saggisti, come Mario Soldati, Ennio Flaiano, Thomas Mann,
Tommaso Landolfi, che si aggiungono ai fedelissimi quale il redattore Dino
Buzzati. Lautore di Pico tuttavia, invitato dal direttore stesso a redigere gli
elzeviri, elemento pi in vista della terza, entra ben presto in contrasto con
lui, per le modifiche e i rifiuti opposti ai suoi scritti.
La collaborazione, interrotta nel 1954 da Landolfi, riprende con il suc-
cessore Alfio Russo che, nel 1963, lo invita con rinnovato interesse a parteci-
pare, sia con racconti in terza pagina, sia nella sezione propriamente lettera-
ria (con spunti polemici o critici)5.
A partire da questo momento, il rapporto con il quotidiano milanese si fa
pi continuativo, sebbene gli scambi epistolari testimonino di frequenti tagli
e modifiche funzionali alle reazioni del pubblico borghese, particolarmente
sensibile per quanto riguarda il senso del pudore (nel caso, per esempio, del-
lelzeviro Il bacio) e la parodia nei confronti delle autorit politiche e religio-
se. Lautore, pur contrariato, preferir conservare la versione modificata al
momento di raccogliere i pezzi in volume: Un paniere di chiocciole (1968) gli
varr il premio DAnnunzio; seguiranno Del Meno (1978), ultima opera ap-
provata dallo scrittore, e la pubblicazione postuma Il gioco della torre (1987),
scelta di elzeviri landolfiani scritti nellultimo decennio di attivit.
Nel 1968 la direzione del Corriere passa a Giovanni Spadolini, che
dedica una maggiore attenzione al prestigio culturale, preoccupandosi al

3
E. Falqui, Giornalismo e letteratura, Mursia, Milano 1969, pp. 62-63.
4
Cfr. G. Alfetra, Corriere primo amore, Bompiani, Milano 1984.
5
Lettera da Milano, 20 Aprile 1963, in I. Landolfi, Nota al testo, Un paniere di chiocciole,
in T. Landolfi, Opere II (1960-1971), a cura di I. Landolfi, Rizzoli, Milano 1991, p. 1283.
Tommaso Landolfi giornalista sui generis 175

tempo stesso di unampia diffusione, e rinnova linteresse per la firma di Lan-


dolfi, pur riducendo la richiesta di contributi in termini quantitativi (circa
venti ogni anno), dal momento che lattualit ha infine contagiato anche la
terza pagina del quotidiano milanese.
La collaborazione di Landolfi, dopo una parentesi tra il 1972 e il 1975,
proseguir con il controverso innovatore Piero Ottone fino a poco prima
della morte del Nostro, quattro anni pi tardi.

Il rapporto con la letteratura alimentare

La condizione di disagio di Tommaso Landolfi nei confronti della scrit-


tura di servizio si evince principalmente da alcune annotazioni in Des mois,
diario dei mesi compresi tra il 1963 e il 1964, ossia allinizio del suo impe-
gno giornalistico pi corposo. Leggiamo: Il punto di involuzione o, si
potrebbe dire, di degenerazione duna vita quando il lavoro (intellettuale, si
capisce) appare indispensabile, ossia unico mezzo per preservarla []
Tuttavia duro proprio logicamente, il passaggio da unesistenza a una non
esistenza, perch certo non esistenza il lavoro. Ma sospetto che in questo
rifiuto o in questa sopravvenuta inadeguatezza al vivere sia implicita una col-
pevole acquiescenza [] unacquiescenza e soprattutto un falso giudizio6.
Gi a partire dagli anni Cinquanta, comunque, si sono moltiplicate le col-
laborazioni occasionali e la scrittura si configurata come un lavoro quoti-
diano, che implica unagenda fitta di impegni vissuti come condanna, non-
ch la creazione di unimmagine pubblica non pi esclusivamente letteraria,
che non a caso si delinea come insofferenza e aristocratico distacco nei con-
fronti della societ di massa.
Landolfi soffre di una letteratura che ormai lavoro subordinato: lalta
espressione dello spirito, libera a prescindere dal numero e dalla risposta di
chi legge, si convertita in attivit parcellizzata e subordinata agli umori di
un committente e di un pubblico ampio (mai troppi per la verit i lettori di
Landolfi, ma certo un quotidiano nazionale moltiplica la visibilit). Lutilit
sociale della letteratura per il consorzio umano e civile non fede cui il dandy
di Pico possa convertirsi agevolmente, pur costretto da condizioni obiettive a
un impegno in termini di scrittura professionale. La sua produzione, a parti-
re dagli anni Cinquanta, assume ritmi stringenti e manifesta una tendenza
alla ricorsivit di temi gi trattati, che sembra riflettere la condizione del let-
terato costretto a un mestiere vissuto come riduzione umiliante, destituito dal
sistema letterario e culturale imperante di un suo status privilegiato 7.

6
T. Landolfi, Des Mois [1967], in Opere II, cit., p. 695.
7
Cfr. M. Carlino, Tommaso Landolfi in Storia generale delle letteratura italiana, vol. XI, a
cura di W. Pedull e N. Borsellino, Motta, Milano 1999, pp. 222-250.
176 Giulia Mauro

Il lavoro considerato dallautore un vero e proprio vizio, un cedimento


rischioso per la salute, che potrebbe riuscirgli fatale, dal momento che per
sostenerlo non pu fare a meno di darsi allalcol e al fumo: Questa poi! Non
mi aspettavo una tale conclusione della mia vita; conclusione grottesca addi-
rittura8. Persino la consuetudine al mestiere un problema, figurarsi lob-
bligo quotidiano di sottoporre il proprio ingegno a regole ferree. Farne a
meno, daltra parte, altrettanto doloroso e comporta conseguenze analoghe
allastinenza, oltre a essere economicamente insostenibile.
Nel ricordare il suo amore giovanile per una fanciulla bella ma zoppa,
Landolfi si interrompe per dirsi insoddisfatto del breve racconto, i cui difet-
ti sono probabilmente da ricondursi alla pecca fondamentale della scrittura
elzeviristica. Non ha potuto trasmettere langoscia autentica dellepisodio
passato, le vere ragioni della fine di questo amore; la preoccupazione costan-
te, lansia di dover redigere un elzeviro, simile a quella di chi tema ogni volta
di risultare impotente9, gli hanno impedito di dar corpo ai reali motivi. La
misura e il gusto connaturati allelzeviro sono vissuti come una forma din-
sufficienza, di amputazione, di ulteriore mistificazione: quasi di mortificazio-
ne del proprio talento.
Labitudine a scrivere per la terza pagina pu falsare locchio dellautore,
portato a restringere la visuale, a modificare il proprio punto di vista, e non
pi libero, costretto com ad abitare langusto spazio di due colonne. La sede
giornalistica comporta per chi scrive il rischio di perdere alcuni valori impor-
tanti tra cui la seriet della trattazione, la rilevanza dei temi e lo stile10.
Questultimo, tuttavia, conserva in Landolfi la sua eleganza letteraria, non a
caso i suoi contributi sono per la maggior parte elzeviri narrativi o critici e
foglietti di viaggio, entrambi generi meno suscettibili di modificarsi in rap-
porto a un pubblico ampio, data la loro collocazione privilegiata nellambito
della terza pagina o della rivista.
La situazione di disagio dautore rispetto al lavoro su misura, su commis-
sione, comprensibile per la scarsa disponibilit, per di pi in un letterato
volutamente isolato, al sacrificio della vocazione poetica, della piena libert
espressiva, in un secondo mestiere equivoco, a met strada tra creativit e
comunicazione estemporanea allopinione pubblica.
Se la valenza elitaria e salottiera della pagina culturale si attenua a partire
dal secondo dopoguerra, per la maggior propensione allattualit, a unorga-
nica integrazione con il resto del quotidiano a detrimento del bello stile e
della personalissima divagazione, Landolfi costituisce senza dubbio unecce-
zione, anche laddove sostiene di non avere altra meta se non la realt. La sua
originalit si riconferma con la scrittura di elzeviri narrativi negli anni

8
T. Landolfi, Des Mois, cit., p. 714.
9
Ivi, p. 757.
10
E. Falqui, Giornalismo e letteratura, cit., p. 87.
Tommaso Landolfi giornalista sui generis 177

Sessanta e Settanta, quando ormai rarissimi sono i collaboratori che pratica-


no questo genere e la terza si fa sempre pi pagina di costume e informazio-
ne, dove lurgenza della notizia ha il sopravvento sulleleganza dellelzeviro:

Gi: come si pu guadagnarsi la vita inventando elzeviri? Si potr andare avanti


per un certo tempo, ma poi essi dovranno per forza diventare via via pi fiacchi,
e dovr addirittura inaridirsene la fonte Pure, chi mi obbliga a scrivere elzevi-
ri, ossia questo particolare genere di elzeviri? Potrei anche fare articoli di diverso
tenore, trattare qualche problema di cultura, di costume, sociale (come vedo
fare agevolmente e brillantemente da tanti miei illustri colleghi), insomma eser-
citare le mie prerogative di letterato o almeno esercitare modestamente il mio
mestiere s, s, certo: ma il male che mi vergogno11.

Landolfi, dunque, rifiuta di occuparsi di problemi di attualit, di perder-


si in sterili dibattiti, di legittimare un sistema culturale e politico in preda alle
maggioranze di cui disconosce lutilit e il valore, da autentico anticonformi-
sta irriducibile a mode e dettami o correnti dopinione. Lelemento per lui
inaccettabile nei colleghi la piena adesione allestablishment culturale, una
certa acquiescenza di fondo, una implicita accettazione degli umani e patri
istituti, che io untorello pretenderei discutere12. Per questo si vergogna di
scrivere altro a eccezione degli innocenti raccontini13, che sono tuttaltro
che innocenti e gli permettono di restare fuori dalla mischia, di conservare
una voce unica, fuori dal coro.
Le polemiche e la pubblica discussione, infatti, in definitiva legittimano
lo status quo di una forma mentis democratica i cui vizi gli sono pienamente
visibili, primi fra tutti lo svilimento intellettuale e la mediocrit diffusa, cui
Landolfi contrappone il proprio radicalismo di aristocratico umanista, volu-
tamente fuori tempo e fuori luogo.
Daltronde, lo scopo dichiarato degli articolini il conseguimento del
sudato pane14; latteggiamento nei confronti dei creduli e integrati colleghi
dironia beffarda per la loro fede nellutilit sociale della cultura, per lo stile
tuttaltro che oratorio ed elegante, che rifugge la letteratissima eredit della
tradizione in nome di una perentoria e sintetica scrittura giornalistica.
Quanto alleventualit paventata di un inaridimento della vena creativa
per la ripetuta pratica dellelzeviro, lispirazione congeniale a una forma breve
e alla scrittura brillante e stilisticamente altra dallo standard, alta, garantisco-
no un contributo artistico di rilievo. Tuttavia, la tendenza a riprodurre la pro-
pria ideologia attraverso meccanismi narrativi emblematici e ricorrenti in

11
T. Landolfi, Des mois, cit., p. 757.
12
Ibidem.
13
Ivi, p. 758.
14
Ibidem.
178 Giulia Mauro

spazi costrittivi finisce per introdurre, a lungo andare, una certa serialit, che
emerge dal confronto fra Il paniere di chiocciole, Del meno e Il gioco della torre.
Fermo restando che la collaborazione giornalistica non in Landolfi il
frutto di una personale vocazione, che si tratta di una scelta obbligata e sof-
ferta, la polemica nei confronti del valore degli elzeviri pubblicati (per esem-
pio nel caso de Il furto) va presa con la dovuta diffidenza. Si pu infatti age-
volmente contestualizzare nelle frequenti critiche alle proprie opere, incluse
le maggiori, nel corso della produzione diaristica, parte di una dinamica di
confessione apertamente letteraria, che vede la compresenza di svelamento e
occultamento, verit e fictio nel monologo autobiografico.
Il carteggio del 1954 con lallora direttore del Corriere e la conseguen-
te temporanea rottura con il quotidiano sono emblematici dellincompren-
sione reciproca tra lo scrittore e il mondo della carta stampata.
Missiroli lo invita a collaborare, inizialmente affidando lambasciata alla-
mico dellautore Eugenio Montale, per aver molto apprezzato la raccolta La
spada, sebbene Landolfi lo avverta fin dallinizio che quel genere ormai
superato, n gli dato resuscitarlo. In seguito a diversi rifiuti (tra cui
Lombrello e La vera storia di Maria Giuseppa) e tre soli articoli pubblicati (La
beccaccia, Annina e Sorrento poi confluiti in Ombre), lautore replicher con
durezza: Codesto genere di collaborazione non pu convenirmi, come gi le
feci intendere [] io mi stavo in pace, sobrio e pudico; Ella mi scov, mi
sottopose a un vero fuoco di fila di cortesi sollecitazioni [] e mi indusse
infine, me riluttante, ad accettare. Ora poi sembra, assurdamente, che nulla
Le stia bene. N so vedere come ci sia, se Ella ebbe allora tutto il tempo e
tutto lagio [] di documentarsi sulla mia povera persona e sulle mie possi-
bilit15.
La falsa modestia e il rifiuto di un rapporto subordinato pur prestigioso,
sollecitato da altri piuttosto che perseguito per ambizioni personali, sfociano
nella rivendicazione del valore e delloriginalit della propria scrittura, della
sua irriducibilit: Ella invit dunque me, o un altro? O davvero sperava che
alla scuola del Corriere sarei diventato altro da me? Inoltre, tuttora mi si chie-
de dal suo giornale un impegno (e unesclusiva) che non compensato da
nulla []. Ebbene, caro Direttore devo forse ricordarLe che essendo io
deplorevolmente sprovvisto di ambizioni e non spiegando per me la gloria e
la notoriet alcun allettamento [] se mi risolvo a un lavoro sistematico, lo
fo unicamente per motivi venali?16.
Missiroli, nella lettera di chiusura del contrastato scambio epistolare, oltre
a parlare di impossibilit di redigere contratti, problema poi risolto con mag-
giore buona volont dal successore Alfio Russo, lo apostrofa duramente:

15
I. Landolfi, Nota ai testi, La beccaccia in T. Landolfi, Opere I (1937-1959), a cura di I.
Landolfi, Rizzoli, Milano 1991, p. 1023.
16
Ivi, p. 1024.
Tommaso Landolfi giornalista sui generis 179

Stando cos le cose, io penso che Ella dovrebbe scrivere (per noi) quando le-
stro di un tempo si rinnovi17. Il criterio editoriale, extraletterario, cui il diret-
tore si richiama nellapprovare o respingere i contributi proposti, ha a che
vedere con il giudizio del pi ampio pubblico, destinatario e tiranno dei
mezzi di comunicazione di massa. Chi scrive afferma, inoltre, di non essere
disposto a discuterlo e lancia una sorta di ultimatum per una collaborazione
conforme alle sue aspettative, che Landolfi ricuser con orgoglio e sdegno,
fino allinvito, da altri e diversamente formulato, di nove anni successivo.
In ogni caso, al di l dello spiacevole incidente, il carattere continuativo
dellimpegno giornalistico negli ultimi tre decenni della sua vita sembra con-
fermare come: Uno impara soltanto ci che sa []. La nostra scienza o ci
esce armata (gi articolata) nel cervello, o non esce per nulla []. Dico, redi-
ger telegrammi. Sostengo non si dia questione, per quanto forcelluta o mul-
tipartita, che non possa venir racchiusa (esposta, trattata) in un numero limi-
tatissimo di parole18. Lesperimento telegrafico considerato da Landolfi
positivamente, a differenza di molti nocivi sperimentalismi del suo tempo,
anche se la sfida tra le pi ardue, trattandosi non semplicemente di sinte-
tizzare la materia narrativa adeguandola, ma di conservarne intatti il valore,
la ricchezza.
Le due colonne dellelzeviro, i brevi foglietti di viaggio e gli spunti cri-
tici di Gogol a Roma possono considerarsi una particolare forma di tele-
grammi: queste prove sembrano smentire la convinzione del diarista, ancora
una volta puramente letteraria, insincera, che lesperimento pi difficile del
previsto19 non possa riuscire.

Landolfi viaggiatore e critico letterario: attraversamenti e modalit auto-


rappresentative

Gli articoli di viaggio de Il Mondo, rielaborazioni a posteriori degli iti-


nerari prescelti da Landolfi, delineano una geografia sublimata, filtrata dalla
sensibilit di chi scrive, in contrasto con le istanze etico politiche dominanti
nel secondo dopoguerra, che portano molti autori a mettere da parte la let-
terariet e il privato per confrontarsi con il reportage giornalistico (si pensi a
Viaggio in Italia di Piovene).
Il viaggiatore deccezione, che percorre distanze per lo pi ridotte nellIta-
lia degli anni Cinquanta, a piedi o con i mezzi pubblici, racconta i suoi luo-
ghi, salvo rari casi, in chiave personalissima, di frequente esimendosi dalla de-
scrizione e replicando numerosi temi a lui cari, in una cornice solo apparen-

17
Non lasci il Corriere in la Repubblica, 30 novembre 2001, p. 46.
18
T. Landolfi, Des mois, cit., p. 720.
19
Ibidem.
180 Giulia Mauro

temente realistica, dal momento che ritrae una realt altamente mediata, di
secondo grado.
Il viaggio, infatti, gi presente in Cancroregina come metafora di ripeti-
zione e circolarit senza progresso, negli articoli considerati principalmente
un ritorno a luoghi gi noti, non solo di persona ma nella memoria cultura-
le: come le opere maggiori dellautore, Se non la realt in primo luogo un
viaggio dentro la forma20, una riscrittura della tradizione letteraria. Il trait
dunion dei luoghi attraversati unulteriore declinazione del personaggio
autobiografico, coerente con la rappresentazione di s nelle opere maggiori,
ma arricchita dal confronto con la geografia privata di Landolfi.
Lelemento soggettivo, ossia la funzione emotiva sempre presente nella
scrittura di viaggio dautore, occupa in Landolfi una posizione di primo
piano, tanto da scalzare la presunta oggettivit, liberandosi a partire dal con-
testo di riferimento come spunto iniziale, palcoscenico del personaggio auto-
riale. Come si legge ne Il villaggio di X e i suoi abitanti, infatti: Alcuni viag-
giano pi volentieri per di dentro che per di fuori (uno era il noto autore del
Viaggio intorno alla sua stanza, un altro potrei essere io), forse ponendo
mente piuttosto allanimo delle persone e raccontando la storia patria, per
cos esprimersi, dallinterno21.
Come per gli appunti di viaggio, anche per le recensioni Mario Pannunzio
si affida alle scelte dellautore, che sono il frutto di letture personali, nella
maggior parte dei casi indirette, relative a saggi su opere dei grandi dellOtto-
cento (ma non mancano pagine critiche sui contemporanei), in prevalenza
russi e francesi.
Tali contributi, poi confluiti in Gogol a Roma, equivalgono ai tasselli di
una poetica, delineata procedendo per consonanze e dissonanze: possono leg-
gersi come momenti di confronto dellio landolfiano con i rispettivi autori-
personaggi, vissuti come altrettante occasioni di auto-definizione.
La lettura continuativa degli interventi, ricchi di ricorsivit critiche, per-
mette a un primo livello di individuare le principali ascendenze letterarie, di
tracciare una pi accurata genealogia, al di l dellesibito isolamento, di uno
scrittore dalla formazione preziosa e articolata.
In presenza di una dialettica di riconoscimenti e riserve, il maggior moti-
vo dinteresse, trait dunion degli innumerevoli giudizi per adesione o per
contrasto, tuttavia la proiezione di unidea personalissima e classica di let-
teratura, che fornisce uneloquente chiave di lettura del macrotesto landolfia-
no. Nelle vesti di recensore, dunque, Landolfi parla nuovamente per s.
Sul versante opposto alla critica storica e alle cronache letterarie, infatti, la
critica dautore non pu che essere socialmente disinteressata e dal punto di

20
B. Pompili, Tempo e scrittura in Cancroregina di Landolfi, in Il lettore di provincia
n. 56, 1984, anno XV, p. 79.
21
T. Landolfi, Se non la realt [1960], Adelphi, Milano 2003, p. 98.
Tommaso Landolfi giornalista sui generis 181

vista personale furiosamente interessata, come Proust insegna. Il ritratto


dellautore francese, che ha introdotto il concetto di critica come attivit
creativa, asistematica e spregiudicata, pu considerarsi come una nota meta-
critica di particolare rilievo: Il suo disinteresse raggiunto per lunico cammi-
no possibile, quello dellardente interesse personale, il suo disprezzo per lin-
telligenza chiesto allintelligenza stessa sono altrettante lezioni che egli ci ha
lasciato22.

La scrittura e la riscrittura in Un paniere di chiocciole

La raccolta, edita da Vallecchi nel 1968, riunisce in ordine cronologico


cinquanta elzeviri landolfiani, pubblicati sulla terza del Corriere della Sera
tra il maggio del 1963 e il settembre del 1965, con la sola eccezione di Isolia
Splendens, dedicato alla figlia Idolina, che uscir postumo.
Nellambito di tali fulminei contributi dautore si possono agevolmente
individuare dei macrotemi (dal sadismo ai difetti fisici, dallamore allamici-
zia; dal rimpianto della felicit naturale alla critica radicale della civilt, dal
filone del fantastico a quello metalinguistico, dalla famiglia al gioco dazzar-
do e via dicendo), tuttavia i contenuti, spesso costanti nel macrotesto lan-
dolfiano, sono per lo pi mere occasioni, pretesti.
Centrali, viceversa, sono luso della lingua, la qualit letteraria (e anti-
giornalistica) della prosa, particolarmente densa in questo caso per la misura
canonica, estremamente ridotta, del racconto di terza pagina. Come lautore
stesso ha gi chiosato in una diversa occasione: qui, neanche a dirlo, debo-
le anzi inconsistente e pi che mai indifferente la favola medesima, e il tutto
resterebbe affidato alla scrittura23, pi che altrove, data limpossibilit di svi-
luppare un intreccio di ampio respiro.
Uno tra gli aspetti pi significativi della raccolta riguarda gli originali esem-
plari di poetica creativa o in atto24. Landolfi, infatti, che rifugge le dichiarazio-
ni di poetica, a eccezione di quelle comunque ambigue e finzionali dei diari,
preferisce manifestare il suo pensiero, quando esplicitato, parodicamente.
Parole in agitazione, per esempio, ipostatizza lo scioglimento paradossale
di ogni nesso semantico, prendendo alla lettera il detto sciacquarsi la bocca
con le parole25. Quando lio narrante si lava i denti, infatti, a fuoriuscire

22
T. Landolfi, La lezione di Proust [1955] in Gogol a Roma [1971], Adelphi, Milano 2002,
p. 163.
23
T. Landolfi, Rien va [1963], Adelphi, Milano 1998, p. 66.
24
Per una definizione del pensiero in atto cfr. E. Biagini, La scrittura sopra la scrittura.
Nota sul critico inquisitore, in AA. VV., Gli altrove di Tommaso Landolfi: Atti del convegno di
studi, Firenze 4-5 dicembre 2001, a cura di I. Landolfi, Bulzoni, Roma 2004, p. 96.
25
T. Landolfi, Un paniere di chiocciole [1968] in Id., Opere II, cit., p. 858.
182 Giulia Mauro

dalla fonte stessa del linguaggio sono vocaboli animati e animalizzati con il
frequente ricorso a metafore zoomorfe, che alludono al carattere originario
della parole come atto congiunto di nominazione e creazione, ulteriore rispet-
to alla valenza comunicativa, referenziale.
Non a caso i protagonisti del racconto, riflessione in chiave fantastica sulla
natura convenzionale del rapporto tra significante e significato, sono termini
desueti come Locupletale, Massiccotto, Magiostra, zone per lo pi
dimenticate del vocabolario che rivendicano, con fare parodicamente conte-
statore, una ridistribuzione dei significati.
Lo scrittore, raffigurato come giocoliere di parole, incarna il carattere
codificato della langue, delle convenzioni linguistiche ereditate dalla tradizio-
ne, gi oggetto di Des mois:

[] Volli una volta foggiarmi una lingua personale []. Ma intesi bene che per
ci dovevo rifarmi da ancor pi lontano [] la lingua essendo supremo fiore anzi
frutto di una civilt []. Ebbene ero votato allinsuccesso. impossibile inven-
tare qualcosa di diverso, non intendo da ci che stato, ma da ci che sempre
stato, come impossibile inventare un gioco nuovo; [] quella invece che in tale
contesto si afferma la Convenzione, in forza di concetto e di dimensione.
Ameni tentativi di chi cerca nuovi linguaggi! E necessariamente rientra in qual-
che antichissimo sistema di rapporti, donde non si evade26.

I segni linguistici in rivolta, viceversa, sono rappresentati come fantasmi,


significanti che rifiutano le significazioni cristallizzate e socialmente accetta-
te, rimarcandone larbitrariet, per rivendicarne di nuove in un continuo slit-
tamento a partire dal loro stesso suono. Si legga un campione della singolare
dissertazione, attribuita al termine Locupletale: Significhi pressa poco At-
tinente alla ricchezza [] No, vedi [...]. Dovrei invece significare Attinente
a ruscello o in genere ad acqua che scorre. Ma perch? Perbacco, lo-cu-
ple-ta-le: non ce lhai lorecchio? [...]27.
Questa modalit, in particolare, sembra parodiare gli sperimentatori con-
temporanei, accusati di incongruenza e sterile polemica in un passo di Des
mois, in cui Landolfi teorizza le parole viticci, autonome dagli oggetti28.
Dal punto di vista lessicale il dialogo, complessivamente mimetico del
parlato, vivacizzato dal frequente ricorso a toscanismi (da la sarebbe brut-
ta a grulline da leticare a che bella cosina che fo ora), da espressioni
idiomatiche e dalla rivisitazione di un proverbio, a emblema della confusio-

26
Id., Des mois, cit., p. 681.
27
Id., Un paniere di chiocciole, cit., p. 857.
28
Cfr. Id., Des mois, cit., p. 766: Credo volentieri che coloro, i furiosi sperimentatori,
siano le vittime di una fondamentale incongruenza: volendo profondare nelle tenebre dellin-
conoscibile e mirando al cuore delle cose, essi per utilizzano gli attributi sensibili delle paro-
le. [].
Tommaso Landolfi giornalista sui generis 183

ne in atto: Calma, dissi io, proprio vero che due femmine e una pape-
ra fanno un mercato a Napoli29.
La soluzione dellincontrollato diverbio linguistico, che mima limpoten-
za dello scrittore nei confronti del suo strumento espressivo, affidata alla
sorte, con la chiusura degli esserini vocianti, paragonati a topi in trappola,
nella bottiglia. Lespediente dellestrazione ricorda il giocatore-poeta classi-
cheggiante di La dea cieca o veggente (In societ), paradosso sulle possibilit
combinatorie del fare poetico che finiscono per riprodurre i capolavori del
passato. Qui lesito dellazzardo altrettanto provocatorio: lio autoriale,
dimentico dei nuovi significati e privato del suo potere demiurgico, si ritrae
in balia delle parole, segni linguistici instabili, svincolati da un rapporto di
determinazione univoca.
La penna un ulteriore sguardo divertito nellofficina dellautore, una
nuova simulazione dimpotenza da parte dellennesimo alterego landolfiano
nei confronti di una penna, personaggio che svolge le improbabili funzioni
di severo critico letterario.
La comicit dellelzeviro, affidato a un narratore intradiegetico, accen-
tuata per contrasto dal ricorso allo stile alto e solenne: Ma neppur questa
filava, bench trattata con ogni riguardo, ovverosia assecondata nei suoi sup-
ponibili capricci di penna mediante opportune inclinazioni o pressioni: il che
indusse il poeta a tornare con spirito pi conciliativo alla prima, la quale per
rimaneva renitente30.
La penna in questione, ribelle come le parole animalini, sciopera, cosic-
ch il protagonista decide di scendere a patti, sforzandosi di capire quale sia
il pensiero della bizzarra messaggera di Apollo, con tanto di diffusi interro-
gativi analitici sulle possibili mancanze della sua opera e sulle opportune stra-
tegie da adottare.
Il racconto manifesta la costante tendenza landolfiana allargomentazione
verbosa di natura paradossale, ricca di variazioni sul tema e precisazioni, che
si avvita su se stessa e procrastina lo svolgimento dellazione.
Lauctor in fabula, nel tentativo di vincere la tenzone, inscena un espe-
rimento letterario, una poesia damore artificiosa e carica di topoi, satura di
iperboli e immagini ipercodificate. Il testo nel testo, parodia della retorica e
della prigione manieristica della letteratura pi volte lamentata da Landolfi,
puntualmente riscritto dalla penna, che lo rovescia in irridente autoritratto,
con unimmagine che richiama Pizzicheria di Palazzeschi: E in conclusione,
con o senza la mia Violante, non mi resta che cambiar mestiere... []. Oh,
addirittura droghiere? Non potrei in caso scegliere un mestiere un tantino pi

29
Id., Un paniere di chiocciole, cit., p. 857.
30
Ivi, p. 922.
184 Giulia Mauro

poetico?... Sciocchezze! Devo farmi coraggio e provvedere subito: o sar trop-


po tardi e seguiter per tutta la vita a baloccarmi con gusci vuoti31.
Landolfi, con ghigno da istrione, torna a vestire i panni del severo auto-
critico, che si riduce a stilista e giocoliere della parola, per ribadire, in chiave
comica e in una misura condensata ma non meno letteraria, una minorit e
uninsufficienza gi esibite nei diari.
In A tavolino il narratore eterodiegetico si concentra interamente sul tavo-
lo dello scrittore che, secondo un topos comune del secondo Landolfi, co-
niugato ma separato da moglie e figli, oltre che privato di gran parte della
mobilia.
Lo stile alto, nellaffrontare in unirridente trattazione pseudofilosofica i
problemi minimi del vedovato [forma letteraria] scrittore, privo di spazio
sufficiente per esercitare il mestiere.
Lelzevirista percorre il tavolo del suo alterego nel dettaglio, in una rasse-
gna che ne mette in risalto parodicamente le nevrosi, evidenziate dallaccu-
mulo di oggetti inessenziali, spesso inutilizzati o estranei allatto dello scrive-
re: dal calamaio per la penna a sfera alla limetta per le unghie, dalle irrinun-
ciabili sigarette alle compresse antiasmatiche.
Lironia, come spesso in Landolfi, scaturisce principalmente dal contrasto
tra la lingua altisonante e i dettagli pi insignificanti e prosaici: Taccuini
dappunti. E che, non se ne discorre: devono star l a petto, docili al polli-
ce che li compulsi [variante per consulti], se per un caso lispirazione venga
meno, o non soccorra lespressione acconcia, o largomento stesso dilegui tra
irrefrenabili sbadigli32.
Sul piano da lavoro non pu mancare, tra i manoscritti pi recenti e un
comico fazzoletto per scrittori, lamato Zingarelli, pretesto per sottolineare
ironicamente la scarsa propriet di linguaggio degli autori odierni.
Nessuno degli improbabili oggetti pu essere eliminato, n si pu rinun-
ciare alla scrittura, odiato mestiere di cui si evidenzia il carattere alimenta-
re. Lespressione artistica non pi gratuita, ma di servizio e vincolata alla
responsabilit familiare.
La crisi creativa parodiata, ricondotta allimpossibilit di aprire un qua-
derno: In breve il nostro scrittore era caduto preda di quanto i mandarini
dei letterari cimenti e delle letterarie angosce definiscono una crisi. Su questo
minimo tavolo [] che cosa mai mi riuscirebbe di scrivere o come vacherei
[vocabolo antiquato per dedicarsi] alla redazione di testi eterni e feraci
[forma culta per ricco dinventiva] e alle brutte (riprendeva con lodevole
buon senso) di testi immediatamente e volgarmente fruttiferi?33.

31
Ivi, p. 925.
32
Ivi, p. 980.
33
Ivi, p. 981.
Tommaso Landolfi giornalista sui generis 185

Il finale esibisce la matrice metaletteraria dellelzeviro: la soluzione del


comico dilemma coincide con il disvelamento del meccanismo generativo,
ossia fare larticolo senza farlo, semplicemente riferendone linattuabilit
costitutiva, protagonista della raccolta Racconti impossibili (1966).
Un tipo ostinato anchesso un racconto impossibile, relativo al caratte-
re casuale delle soluzioni narrative, superflue e perfettamente intercambiabi-
li nella letteratura epigona, ridotta a passatempo e fonte di guadagno.
Si immagina che un lettore scriva pi volte retoricamente allimprovvisa-
to autore di racconti di consumo Tal dei tali per chiedere lo scioglimento di
un delitto: [...] Leggo il suo racconto su codesto spettabile foglio [] non
privo al certo di veneri; ma mincombe confessare che ci ho capito ben poco.
In ispecie [uso della i protetica], chi il misterioso assassino e quale il moven-
te del misfatto? Ecco quanto, mi scusi Ella, non emerge in modo inconfon-
dibile dal suo pur minuzioso scritto [...]34.
Le inserzioni di vocaboli in disuso o antichi, da di leggieri per facilmente, al
termine poetico vittrice, insieme al tono iperletterario dellostinato lettore, sono
in aperto (e ironico) contrasto con la squallida dimensione piccolo borghese
dellimpiegatuccio dordine presso certa amministrazione statale35, sottolineata
dalla proliferazione di diminutivi (camicine, calzini, pulloverini, ideuzza).
Davanti alle minacce dellinsistente lettore, non resta che cercare un fina-
le qualunque per ingannarlo, ricorrendo persino ai consigli della moglie,
una volta venuta meno irrimediabilmente lonniscienza del narratore tradi-
zionale.
Lespediente narrativo trova la sua giustificazione (provocatoria) in un
passo di Des mois: E poi? E poi nulla, non una mia idea originale che si
possa procedere anche a caso, o discutendo gli ulteriori sviluppi della vicen-
da con la propria moglie, addirittura con la propria serva36. Una volta di pi
linvenzione letteraria si fa parodia e azzardo, con lestrazione a sorte di uno
dei personaggi per stabilire lassassino.
Star al folle e cerimonioso ammiratore individuare il movente: Ella non
soltanto, colla sua pregiata, mi sovviene dellambita risposta, bens la mede-
sima mi palesa consona a quanto, nella mia pochezza e per mia parte, avevo
gi osato congetturare. Resta in tal modo sconfitto [] qualunque sospetto
avessi io concepito sul di Lei conto. Adesso tutto mi chiaro: Adolfo, certo!
Ed il motivo del suo orrendo crimine mi ormai del pari patente37.
Lelzeviro una rappresentazione emblematica e parodica dellinsignifi-
canza del referente per Landolfi, che si affida alla costruzione formale, al
potere della parola.

34
Ivi, p. 986.
35
Ivi, p. 987.
36
T. Landolfi, Des mois, cit., p. 704.
37
Id., Un paniere di chiocciole, cit., p. 989.
186 Giulia Mauro

La lettura, invece, una variazione in tono minore38 e personalissima del-


lomonimo racconto di Cechov, esemplare del rapporto di Landolfi con i
classici, decontestualizzati e fatti propri per essere inglobati nel discorso auto-
riale che conserva, nel falsetto, il suo timbro originale.
Lautore, che sispira con grande libert allipotesto, compila un esercizio
di stile dialogico parodico dellignoranza contemporanea, esplicitando nel
cappello introduttivo lintento polemico nei confronti della massificazione
nascente dellindustria editoriale nei primi anni dei tascabili.
Landolfi si ritrae pedone cronico in attesa dei mezzi pubblici, mentre
affronta un dialogo con un vicino dallaria comune, ugualmente contrario
allistruzione indiscriminata. Linterlocutore mima una grande erudizione
nellambito specialistico del russista di Pico per poi lanciarsi in quadri stori-
co-letterari clamorosamente errati. Tolstoj, per esempio, diventa un autore
del Seicento, per non parlare di Dostoevskij, per loccasione amico del
monarca cinquecentesco Ivan il Terribile, ribattezzato satrapo babilonese.
La satira feroce della genericit del sapere diffuso si traduce in un accu-
mulo di incongruenze e affermazioni paradossali: Venevitinov [poeta
romantico russo]: sa quello stesso che [] tanto contribu allunit dItalia e
prese perfino il premio Nobel per la pace istituito poco prima da Caterina la
Jaghellonide [nome inventato]... Badiamo per che quei grandi non erano n
agivano isolati, ma avevano allacciato intelligenze e corrispondenze con altri
grandi delle parti nostre: Racine, mettiamo, [] Robbe-Grillet, Einstein39.
Non manca la parodia delle conquiste del progresso nei termini distrutti-
vi della bomba atomica, frutto dellunione solidale e democratica di intel-
ligenze internazionali.
Landolfi, sulla scia della sua fonte ma in chiave ben pi irridente ed espli-
cita, lancia i suoi strali contro lo storicismo, lo scientismo, il tecnicismo e le
nuove scienze sociali, assimilate alla cultura diffusa e approssimativa del suo
tempo.
Nel profluvio di citazioni reinventate gli autori si confondono, oppure
genio e sapere popolare diventano intercambiabili nel caos fagocitante del
consumo librario: E, come disse Shakespeare, la secchia perde il manico ma
non il vizio; e, come disse Addison-Lamb, si ha un bel grattarsi la tigna
[...]40.
Nei racconti omonimi di Cechov e Landolfi, si evidenzia come la lettura
priva di competenze possa avere effetti paradossali sulla realt, sulla vita dei
semplici: qui, per esempio, il Nostro immagina che il marito incoraggi la
moglie a tradirlo temendo per lei la sorte di Anna Karenina (attribuita, peral-
tro, a S. Freud).

38
Ivi, p. 1005.
39
Ivi, p. 1007.
40
Ivi, p. 1008.
Tommaso Landolfi giornalista sui generis 187

Oltre loccasione giornalistica: una lezione eminentemente letteraria

Lautoreferenzialit e liperletterariet disegnano un doppio filo nella scrit-


tura di Landolfi pubblicista, restituendo coerenza nel loro complesso ai con-
tributi stessi, che intessono un dialogo continuo con la tradizione letteraria e
con il macrotesto.
Lelemento di maggiore interesse, in una scrittura che, anche nel momen-
to in cui si definisce alimentare, in primo luogo discorso metariflessivo e
autocritico sulla presunta insufficienza in termini esistenziali e poetici, il
carattere problematicamente autobiografico, in stretto rapporto con la pro-
duzione diaristica coeva:

forse notevole il fatto che a partire dal momento in cui lopera diventa ricerca
dellarte, diventa letteratura, lo scrittore senta sempre pi il bisogno di mantene-
re un rapporto con se stesso. Egli prova sempre unestrema ripugnanza a disfarsi
di s a vantaggio di quella potenza neutra, senza forma e senza destino, che die-
tro tutto ci che si scrive, ripugnanza e apprensione rivelate dal bisogno, proprio
di tanti autori, di redigere ci che essi chiamano il loro Diario []. Si d il caso
che gli scrittori che tengono un diario siano i pi letterari di tutti gli scrittori, ma
forse proprio perch evitano cos lestremo della letteratura, se questa il regno
inquietante dellassenza di tempo41.

Sebbene la forma delle collaborazioni del letterato non sia riconducibile


al diario, lattitudine autocritica e partecipe dellevoluzione di uno scrittore
fedele a se stesso, dunque sostanzialmente indifferente ai possibili target di
riferimento, la rende aperta e permeabile alla confessione come cifra domi-
nante.
Landolfi nelle vesti di viaggiatore, elzevirista, critico letterario ci restitui-
sce una nuova, teatrale immagine di s, frammentata nello spazio denso di
poche pagine, eppure estremamente congruente.
La rappresentazione dellio, inclusa la personale idea di letteratura, espli-
citata o meno, in rapporto di continuit, inoltre, con lauto-proiezione sot-
tesa alle prime opere, poich il movimento della scrittura landolfiana gio-
cato circolarmente nella egoit o, per dirla con Macr, Iit42.
Nelloggettivazione narrativa o critica, infatti, insita fino a farsi prepon-
derante la componente soggettiva, sempre pi scoperta a partire dallo spar-
tiacque della BIERE DU PECHEUR, secondo una dialettica di rispecchiamento
della propria immagine e delle ragioni della scrittura, che paradossalmente
accresce e moltiplica la letterariet e loccultamento.

41
M. Blanchot, Lo spazio letterario [1955], trad. it. di G. Zanobetti, Einaudi, Torino 1975,
pp. 14-15.
42
O. Macr, Tommaso Landolfi: narratore, poeta, critico, artefice della lingua, Le Lettere,
Firenze 1990, p. 22.
188 Giulia Mauro

La confessione inscenata nei diari informa lintera produzione del secon-


do Landolfi, dai racconti brevi agli elzeviri e alle poesie, attraversando e con-
taminando i diversi generi, riscritti allinsegna dellesibizione di un ego decli-
nato in molteplici varianti. La dialettica circolare della coscienza di s e dello-
pera sincorpora con maggiore evidenza nel discorso letterario, come proiezio-
ne speculare di un unico tipo, alter ego autoriale e personaggio privilegiato.
Le osservazioni di Carlo Bo relativamente al Paniere di chiocciole si posso-
no legittimamente estendere al complesso della sua attivit di pubblicista: Si
ha limpressione che Landolfi sin da principio abbia fatto una riduzione asso-
luta a se stesso, al suo privatissimo io. Una volta stabilito questo principio del
regime personale, tutto il resto viene fatalmente e a volte meccanicamente a
trovarsi sulla linea del completamento: cio i suoi personaggi hanno, s, una
loro vita, ma ben circoscritta alla parte di figuranti. Gli danno delle risposte
che da un certo punto di vista sono superflue43. Assistiamo dunque, di volta
in volta, a un dialogo serrato con personaggi e autori che incarnano lalterit
e costituiscono al tempo stesso altrettanti complementi dellio, punto di par-
tenza e di arrivo dellipotesi landolfiana.

Una chiave di volta nel suo macrocosmo, di spicco e di grande attualit,


riguarda il costante rovesciamento di prospettiva, lo svuotamento della visio-
ne convenzionale in virt di un filtro ironico distanziante, che agisce conte-
stando dallinterno la tradizione letteraria.
Se lo sperimentalismo di Landolfi conservativo, le espressioni auliche,
desuete, preziose sono presentate come reperti oggetto di contaminazione e
assemblaggio, secondo una dinamica di straniamento dal contesto originario
propria del repchage, forma di riappropriazione e reinvenzione.
Il ricorso al paradosso e alla parodia della parola propria e altrui compli-
cano e ravvivano la scrittura; questa, per lo pi in prima persona, sdoppia-
ta in canto letteratissimo di una realt sempre pi prosaica e minuta (pre-
figurata dal commiato di Ombre 44) e controcanto irridente, spesso deman-
dato alluso di parentetiche e incisi.
Il conflitto tra uno stile magniloquente, dimpianto classico (laddove le
incursioni del parlato sono di norma stilizzate) e un referente banale, umile,
produce effetti dabbassamento comico o sconfina nella satira nei confronti
dello status quo.
Lumorismo, tuttavia, non soltanto stilistico, bens elemento strutturale
di una parola letteraria altamente critica e autocritica, che provoca i valori
costituiti trasgredendoli e mette in discussione il proprio statuto.

43
C. Bo, Nel paniere di Landolfi in Corriere della Sera, 18 luglio 1968.
44
Cfr. T. Landolfi, Commiato, in Ombre [1954], in Id., Opere I (1937-1959), a cura di I.
Landolfi, Rizzoli, Milano 1991, p. 808: Non v pi meta alle nostre pigre passeggiate se non
la realt.
Tommaso Landolfi giornalista sui generis 189

Non a caso, molto spesso gli elzeviri non hanno un vero finale, viceversa
la comunicazione resta aperta, ipostasi della cattiva infinit di un meccani-
smo narrativo centrifugo, improntato alla divagazione e alla dissipazione, che
ha nel gioco dazzardo la sua figura pi emblematica.
Alla rinuncia a una valenza affermativa del discorso, ormai impraticabi-
le, subentra la centralit dello scarto che separa arte e vissuto, nella loro reci-
proca insufficienza, pur nel confronto ineludibile. Il disagio morale che atta-
naglia il soggetto impotente si configura come accidia, inadeguatezza
esistenziale e poetica (si pensi al leitmotiv del narratore o del critico inaffi-
dabile), rifiuto dellazione e della dimensione positiva in genere, destituita
di certezze.
La tendenza a indagare il lato oscuro e retroverso della realt, la predile-
zione per la deformazione grottesca delle situazioni quotidiane, dalla vita
familiare alle chiacchiere gratuite dei passanti, un gioco fra i pi seri, con-
trariamente a quanto potrebbe sembrare.
Lo sguardo gettato sui vuoti e sulle lacune, sui paradossi della condizione
umana, non rinuncia, comunque, a imprimere una forma che contenga
lhorror vacui, e non cosa da poco, oltre a segnare il maggior discrimine
rispetto a un approdo nichilistico.
Se lespressione letteraria irrinunciabile, poich non dato inventare un
gioco nuovo, daltro canto linnocenza della parola, irripetibile e in rappor-
to diretto con la realt, andata perduta: tutto gi stato nominato e alla lin-
gua non resta che dire e disdirsi, riproducendo unattitudine internamente
dialogica e dubitativa.
La chiosa, la ritrattazione e la citazione, segnalata o meno, che costitui-
scono parte integrante di un discorso avvitato su se stesso, danno lidea di un
testo che riproduca un originale non meglio identificabile, con effetti di reci-
tato e ambiguit della significazione vicini alle opere maggiori.
Lossimoro, la litote, lantifrasi e liperbole sono s figure connaturali a una
retorica postuma della classicit, ma rifunzionalizzate nel discorso landolfia-
no, altamente dissacrante e trasgressivo, nellordine letterario come in quello
extraletterario.
Particolarmente significativo, inoltre, risulta il dialogo tra narratore e nar-
ratario, lettore ideale e ponte verso il lettore reale, cui Landolfi non lascia
respiro o possibilit di catarsi, per imporgli viceversa la collaborazione attiva.
Sia negli scritti dinvenzione sia negli articoli critici lautore si mostra parti-
colarmente attento alla ricezione, esercitando le diverse funzioni del linguag-
gio (conativa, ftica e metalinguistica in particolare) per mettere in crisi lo
statuto convenzionale della comunicazione.
Allinterlocutore, alterego oggetto di provocazione, si chiede alternativa-
mente di non credere a quanto si dice, di non attribuire un significato al nar-
rato, o di riempire i vuoti del discorso, disponendolo allo straniamento e
allassunzione di una postura critica.
190 Giulia Mauro

Lunica alternativa al silenzio e alla paventata morte della Letteratura45,


orfana del protagonismo e dei punti fermi del movimento romantico e post-
romantico, la messa in scena ironico-disperata delle sue contraddizioni.
Non a caso si dichiara pi volte limpossibilit costitutiva dellopera in atto,
espediente narrativo che accomuna i diari a diversi elzeviri metaletterari,
impossibili come gli omonimi Racconti.
La riduzione ironica della voce propria e dei maestri della tradizione, fan-
tasmi con cui conferire e da assimilare (nella prassi narrativa e nella critica
dautore senza soluzione di continuit) non fine a se stessa, ma rientra nella
ricerca inesauribile e antidogmatica di una verit che si lascia intravedere solo
sotto forma di maschera.
Quello che stato letto, in diversi casi, come disimpegno e gratuito diver-
tissement il frutto viceversa di un percorso sofferto, frastagliato ma sostan-
zialmente unitario, particolarmente moderno per lapertura problematica di
senso, irriducibile a ununivocit rassicurante.

45
Per approfondire il carattere di leitmotiv di questa tesi, che si ripete lungo tutta la storia
dellarte con particolare sviluppo nellet moderna, Cfr. T. Adorno, Societ in Teoria Estetica
[1970], Einaudi, Torino 1975, pp. 452-453.
GIORGIO PATRIZI

Savinio e il giornalista come greco

Provo un vivo attaccamento per la mia finestra. Essa sti-


mola il mio sguardo, conseguentemente feconda il mio spi-
rito che di continuo teso per sobbalzare al brivido della
cosa nuova.
(Alberto Savinio)

noto come lattivit intellettuale di Alberto Savinio abbia spaziato nei


pi diversi campi espressivi, praticando una sorta di sperimentazione di lin-
guaggi a tutto campo, da quello verbale a quello figurativo-visivo, a quello
musicale: peraltro cercando, allinterno di ogni linguaggio praticato, una
peculiare cifra enunciativa-argomentativa, che sancisce la totale originalit
della pagina, e la qualit dellintervento. Questa ricerca intersemiotica forni-
sce in modo diretto ed esplicito la misura della creativit saviniana, che si san-
cisce come un impegno complesso ed estremamente articolato sui temi e le
forme della tradizione, a cui guarda nella pi ampia prospettiva possibile, con
un intento di scansione dei motivi e dei problemi capace di farne emergere i
significati pi profondi e nascosti. Questa particolarissima tecnica ermeneu-
tica, che Savinio mette a punto e che esibisce in ogni pagina, la puntuale
celebrazione di una intelligenza capace di osservare e comprendere a fondo
loggetto di analisi che gli si propone e che sempre assunto come momen-
to centrale di una costante, ininterrotta, interrogazione del mondo. A questa
straordinaria capacit di cogliere il cuore del problema, corrisponde una sorta
di voracit intellettuale che lo ha sempre spinto a non percorrere le strade
consuete, ma piuttosto ad inventarsi, ogni volta, un approccio nuovo, incon-
sueto, inatteso, a temi pure tradizionali. Che tale procedura trovi le proprie
radici nella natura sostanzialmente apolide dei due fratelli De Chirico e nella
loro cultura cosmopolita un dato ormai fortemente acquisito, ma che forse
occorre sottolineare ancora con maggiore forza, tale il tratto di sostanziale
originalit della loro cultura che non pu fare a meno di essere interpretato
con una radicale diversit di formazione. Come scrive Silvana Cirillo, La
nascita in Grecia, cos come tutti i suoi spostamenti, lessere fondamental-
mente apolide, si trasformano per Savinio in una situazione ironica, in cui
192 Giorgio Patrizi

egli riesce a crearsi una sua cultura eclettica e dinamica. Il nomadismo diven-
ta quindi una soluzione di stile: eclettismo, plurilinguismo, versatilit savi-
niane nascono dalla possibilit di attingere alle fonti pi prolifiche e pi viva-
ci del momento1.
A questa predisposizione che da culturale sembra diventare sempre pi
radicalmente naturale, si lega il dato stilistico: da l nasce lo stile di
Savinio. Egli stesso si definisce una centrale creativa, dotata di grande ver-
satilit. Usa il termine greco di polipragmosine, che vuol dire, appunto,
dedicarsi a pi arti: e lo usa con orgoglio a dispetto della cultura contempo-
ranea tradizionalista, specialmente quella idealista e crociana, che lo leggono,
invece, come deprecabile sperpero2. A legittimare questa tensione a lavorare
con i linguaggi pi diversi c la reiterata affermazione della fragilit di una
sola verit, che deve essere sostituita da una molteplicit di verit. La batta-
glia della cultura dovr essere allora proprio quella di demolire lautoritarismo
di quella che oggi definiamo cultura unica, a cui Savinio oppone la cultura
delle molteplici verit: C la verit? No, ci sono le verit, un grande confor-
to per noi e, quanto pi alto il numero delle verit, tanto pi bassa la pos-
sibilit di una verit sola. Nostro compito di aumentare il numero delle
verit, fino a rendere impossibile la ricostruzione della verit. nelle pagine
dedicate allOro del Reno di Wagner, raccolte in Scatola sonora che Savinio
definisce in modo preciso questo principio: Poche teste sanno ospitare con-
temporaneamente due idee diverse, dico nella loro vera essenza e profon-
dit Pochi uomini, dunque, sono destinati a conoscere la verit, perch
unidea sola pu dare la fede, ma a farci intravvedere la verit almeno due idee
sono necessarie e che apparentemente si contraddicano3. Ha scritto Cacciari:
Il motto adorniano, Il Tutto falso, potrebbe valere anche per Savinio.
Lunione un errore. In questo senso leuropeo la tomba di Dio ma tale
morte viene assunta gioiosamente, una gaja scienza. Essa annuncia lepoca
di un augurabile nihilismo, assolutamente distinto da quello dello Stato: un
nihilismo versus gli idola che vogliono arrestare il divenire, liquidare la sor-
presa del Caso4. Ed ancora, a proposito della filosofia dellarte saviniana:
Tutta lestetica di Savinio filosofia dellarte su base nietzschiana: arte alcyo-
nia, arte felice misura, rythmos: composizione dei casi5.
fondamentale, per cogliere sino in fondo la peculiarit del pensiero
saviniano, considerare loriginalit del suo modo di rapportarsi ai temi cultu-
rali e politici che and via via affrontando: quando per il mondo comincia-

1
S. Cirillo, Alberto Savinio, Mondadori, Milano 1997, p. 10.
2
Ivi, p. 13.
3
Idem.
4
M. Cacciari, Savinio europeo, in Mistero dello sguardo. Studi per un profilo di Alberto
Savinio, a cura di R. Tordi, Bulzoni, Roma 1992, p. 17.
5
Ivi, p. 18.
Savinio e il giornalista come greco 193

vano gi a serpeggiare i veleni appestanti del colonialismo e del nazionalismo,


Savinio prendeva una strada diversa, abbracciava orizzonti pi vasti e ideolo-
gicamente allavanguardia6. Sia nella riflessione del libretto Sorte dEuropa
(del 1940), sia nella ripresa di quei temi, attraverso lopera di pubblicista svol-
ta tra il 1941 e il 1948 e raccolta in Nuova Enciclopedia, lanalisi della storia
dEuropa e dello specifico ruolo storico del continente si svolge lungo il filo
di una ragione attenta e calda ma comunque sempre capace di guardare agli
aspetti meno evidenti ma fondamentali delle vicende dellOccidente. Se si se-
gue lo sviluppo delle argomentazioni di Savinio, ci si rende conto della pecu-
liarit del suo modo di argomentare e di scrivere.
Al centro della sua riflessione sulla natura e sulle modalit dellarte con-
temporanea, ricollegate agli esiti molteplici e contraddittori di una tradizio-
ne che non si spegne, ma solo muta toni e colori, c il privilegio della fase
della transizione. che Savinio ama la transizione, la crisi, labbozzo, lin-
compiuto, il minuscolo che pu servire a comporre il grande puzzle della
vita. A suo parere, uno dei meriti principali della cosiddetta arte moderna la
scoperta che larte non ha significato.
I primi scritti di Savinio appaiono sulla rivista di Apollinaire Les Soires
de Paris nel 1914. In Le drame et la musique, aprile 1914, distingue la
mtaphysique moderne da quella barbare7. Si tratta di un vero e proprio
gesto fondativo, che ribadisce fortemente lindipendenza del lavoro intellet-
tuale rispetto alle istituzioni e alle tradizioni. una vera ossessione per
Savinio; scriver su La Voce del 29 febbraio 1916: Io non voglio essere il
pupattolo pendente alle mammelle di alcuna lupa: n di quella tedesca, n
di quella francese, n di quella italiana. Il latte me lo trovo da me solo.
Quello che a me importa lassoluta indipendenza di idee, di spirito e da-
zione.
Tra il 1918 e il 1921, collabora a Valori plastici. Scriver in Primi saggi
di filosofia delle arti (p. 17): Le arti non si rivalgono della qualit materiale e
tangibile delle cose, sibbene di quella impalpabile, ma pi intima e profon-
da: si rivalgono della qualit metafisica delle cose [] tutto ci che della
realt continua lessere, oltre gli aspetti grossolanamente patenti della realt
medesima. Ed ancora, con una riflessione che sintetizza la sua prospettiva
storiografica: La nostra vita [] poggia tutta intera sullieri e sul domani,
come un ponte su due rive [] Perch quando nella mente delluomo il
ricordo dellieri e la speranza del domani si oscurano, egli si affaccia sulla
soglia del nulla, della disperazione, e uccide se stesso8.

6
S. Cirillo, cit., p. 19.
7
R. Buttier, Savino giornalista, Bulzoni, Roma 1987, p. 15.
8
A. Savinio, Primi saggi di filosofia delle Arti, in Valori plastici, marzo-aprile 1921,
p. 25.
194 Giorgio Patrizi

nella stessa prospettiva che afferma, in Arte. Idee Moderne: Ci che si


deve ricercare in unopera darte lo stato dintelligenza9. Daltronde cos
aveva definito il suo particolare approccio al Surrealismo: Nel surrealismo
mio si cela una volont formativa e, perch non dirlo?, una specie di aposto-
lico fine. Quanto alla poesia del mio surrealismo, essa non gratuita n fine
a se stessa, ma a suo modo una poesia civica, per quanto operante in un
civismo pi alto e pi vasto, ossia in un supercivismo10. Il vero compito
del suo surrealismo, scriver pi tardi, quello di dare forma allinforme e
coscienza allincosciente11.
Savinio collabora attivamente a Valori Plastici dal 1918 al 1922: la sua
presenza nel gruppo redazionale fondamentale: egli si pone come il teori-
co del gruppo, enunciando e mettendo a fuoco le idee portanti sulle quali si
basano le intenzioni della pubblicazione: [] ordine, serenit e compostezza
dellarte, contro il disprezzo per la tradizione e lo sperimentalismo12.
Nel giugno del 1919, inizia la collaborazione allIllustrazione Italiana.
Successivamente va ricordata la sua presenza, fino al 1926, come critico
musicale, sulle colonne del Secolo XX, con la rubrica Scatola sonora13.
Negli anni Trenta, la strada di Savinio si biforca: una va verso il racconto,
laltra verso la riflessione intellettuale (Dico a te, Clio; Ascolta il tuo cuore,
citt; Narrate uomini la vostra storia; Nuova enciclopedia). Come ha sottoli-
neato Sergio Zoppi, lesigenza di privilegiare lintelligenza nel corso delle sue
ricerche, se da una parte lo distanzia dallarea surrealista, dallaltra lo spinge
ad annunciare la nascita di un nuovo classicismo14. quello che va inteso
come il raggiungimento della forma pi adatta alla realizzazione di un pen-
siero e di una volont artistica, la quale non esclude affatto le novit de-
spressione, anzi le include, anzi le esige15. Le collaborazioni giornalistiche
diventano particolarmente intense: con La Nazione di Firenze, tra il 1933
e il 1938, con La Stampa di Torino, nella rubrica Torre di guardia, dal 1933
al 1940. Poi Omnibus di Longanesi, con gli scritti di critica teatrale, sotto
il titolo di Palchetti romani, fino alla chiusura del periodico, da parte del regi-
me, proprio a causa di un articolo di Savinio. E ancora collabora a Lavoro

9
Da Valori plastici, novembre 1918, p. 7.
10
Cit. in S. Battaglia, Savinio e il surrealismo civico in A. Savinio, Torre di guardia, Sellerio,
Palermo 1993 (I ed. 1977), p. 23.
11
A. Savinio, Prefazione a Tutta la vita, Bompiani, Milano 1945.
12
R. Buttier, cit., p. 26.
13
da ricordare la pagina di Apollinaire, in cui cos si sintetizza il lavoro sulla musica di
Savinio: Il croit pouvoir [] faire ressortir par sa musique tout ce qui, dans notre poque, se
rvle nous sous une forme trange et nigmatique. (G.Apollinaire, Musique nouvelle, in R.
Buttier, op. cit., p. 29).
14
S. Zoppi, Quando le statue non sorridevano, in Alberto Savinio, catalogo della mostra di
Palazzo Reale, Milano, Electa 1976, pp. 105-116.
15
A. Savinio, Fini dellarte, in Valori Plastici giugno 1919, p. 21.
Savinio e il giornalista come greco 195

fascista, con interventi sullattualit e sulla cultura. La presenza della sua


firma sul periodico del regime, appare contraddire limpegno di tuttaltro
segno sempre dimostrato dallo scrittore: si detto della censura a
Omnibus, scattata con il pretesto di un articolo saviniano sulla golosit di
Leopardi (Il sorbetto di Leopardi)16 che fu inteso come troppo irriverente,
nei confronti del poeta. Ma va sicuramente anche ricordato cosa scrive
Leonardo Sciascia, presentando la raccolta degli articoli di Torre di guardia,
la rubrica, come si detto, tenuta su La Stampa: Lintelligenza di Savinio,
la sua formazione, il suo modo di vivere, il suo comportamento erano quan-
to di pi lontano, di pi refrattario, si pu immaginare rispetto al fasci-
smo17. Nello stesso volume, da tener presente uno scritto di Salvatore
Battaglia, dedicato al surrealismo civico saviniano. Siamo sul piano incli-
nato delle esperienze che impegnano luomo a uscire dalle sue consuete pro-
tezioni e mettere a cimento quel peculio di piccole e astratte certezze che gli
sono state fornite, assieme al cibo e agli abiti, dalla societ, dalleducazione
familiare, dalla scuola, dalle cognizioni religiose e laiche. E niente offende di
pi la sensibilit dei lettori (italiani), quanto lirrisione dei vertici emotivi,
tragici, fatali a cui ritiene di giungere lumanit. La passione, il genio, lispi-
razione, il sogno, leroismo, lavventura, la sapienza, la santit, la gloria; e
ancora, il dolore, la disperazione, la morte: tutto appare, nello stesso istante
che si propone, vero e falso, sincero e inautentico, libero e coatto [] Su que-
sta frontiera dellirrisione che si rifrange in una cadenza desolata, della
coscienza che si nega lultima immagine illusoria, del nulla spirituale e stori-
co che brama altri vuoti e partorisce nuove negazioni esistenziali, larte di
Savinio insieme frenetica e corrosiva, allucinata e spietata, commossa e clau-
nesca18.
La collaborazione di Savinio a quotidiani e periodici sempre pi inten-
sa e articolata: scriver negli anni Quaranta per Il Tempo e Il Corriere
della Sera; terr una rubrica Nuova Enciclopedia, che poi diverr il titolo
del fondamentale volume adelphiano sulla rivista di architettura Domus
e una di critica musicale sul settimanale di spettacolo Film. Tutta questa
produzione costituisce un ricchissimo repertorio di analisi, riflessioni, sugge-
stioni, racconti, unattivit febbrilededicata interamente a tradurre in
suoni, parole e immagini una visione singolare e profonda del mondo19.
Cos Leonardo Sciascia ha descritto la scoperta di Savinio: Era un dislar-
go di orizzonte, un senso di liberazione, una leggerezza e un leggero stordi-
mento come di decollo o come dalluscire in piena aria e luce da un luogo
chiuso ed oscuro. Dalla sua pagina, subito alle prime righe si apriva la rivela-

16
Id., Il sorbetto di Leopardi, in Omnibus, 28 gennaio 1939.
17
L. Sciascia, Nota a A. Savinio, Torre di guardia, cit., p. 11.
18
S. Battaglia, Savinio e il surrealismo civico, cit., p. 24-25.
19
R. Buttier, cit., p. 46.
196 Giorgio Patrizi

zione che cera dellaltro: che cerano tante verit, da cercare dentro e fuori di
noi liberamente, senza paure; che il mondo era stato ed era, negli uomini,
nelle cose, nei libri, pi semplice e luminoso e al tempo stesso pi comples-
so ed oscuro, di quanto volevano farci credere; che lItalia in cui vivevamo, e
che volevano che credessimo impareggiabile, era un paese angusto e povero,
che Papini e Malaparte, Ojetti e Soffici, strapaese e stracitt, Lemmonio Bo-
reo e il cavalier Mostardo, La Critica e Il Frontespizio, tutto il fascismo e
certo antifascismo diciamo ufficializzato, appunto erano angustia e povert:
nel loro costituirsi, insieme e di fatto, come antieuropee [] Savinio, ecco,
era lEuropa: lEuropa ancora libera, ricca di idee di contraddizioni, di dege-
nerazioni, inquieta, minacciata; quella in cui ancora si poteva scrivere20.
Questa lettura della pagina saviniana ne illumina i tratti di apertura al nuovo,
sprovincializzazione di una cultura accademizzata e strapaesana che appariva
incapace di incontare le degenerazioni di una pi ampia dimensione di spe-
rimentazione e di ricerca espressiva. Ma la scelta di Savinio molto radicale:
muove in direzione di una sorta di discussione a tutto campo dei linguaggi e
dei personaggi che affiorano nella quotidiana lettura del mondo, della storia,
dei suoi protagonisti o vittime. In questa prospettiva sottolineare la peculia-
re costruzione analitica, o argomentativa, o destrutturante dei saggi di Sa-
vinio, vuol dire mettere a fuoco una sempre lucida volont di comprensione
e di polemica ricerca della verit, quella della conoscenza e della morale. il
Savinio che scriveva, in Tutta la Vita: I greci non facevano nulla, neppure un
particolare di architettura, che non rispondesse ad una ragione morale.
A scorrere la gran mole di scritti giornalistici o di pubblicistica prodotti
da Savinio nei decenni della sua collaborazione alle riviste delle pi diverse
estrazioni, emerge con evidenza la sua peculiare modalit di costruzione del-
larticolo.
Qualche esempio dalla raccolta adelphiana di Scritti dispersi 1943-1952,
curata da Paola Italia, nel 2004. In uno scritto del 45, Savinio ragiona sulla
natura e la cultura dei Greci: Prima di tutto quando si dice Greci antichi, di
quali Greci si vuol parlare? Perch non negabile che fra i Greci della civilt
ionica ossia dei tempi di Omero e i Greci del tempo di Pericle ci sia una certa
quale differenza, considerato che fra gli uni e gli altri si frappone quelloscu-
ro periodo dinvasioni e di trasformazioni che va sotto il nome di medioevo
dorico. Del resto io qui non esamino le mescolanze che possono essere avve-
nute nella penisola greca in sguito alla conquista romana prima, poi allarri-
vo dei Franchi, dei Veneti, dei Turchi, lascio questi studi agli eruditi, ossia a
coloro che sanno tutto e non capiscono niente. A me che conosco i Greci
naturalmente e poeticamente, per essere nato ad Atene e per avere cono-
sciuto intimamente le loro qualit, risulta che tra i Greci di oggi e quelli del-

20
L. Sciascia, in A. Tinterri, Sciascia e Savinio (per lui-meme), in A. Savinio, Scritti disper-
si. 1942-1952, a cura di P. Italia, Milano, Adelphi 2004, pp. XI-XII.
Savinio e il giornalista come greco 197

lantichit, non c differenza sostanziale. La sola differenza semmai nellin-


tensit del tono, come un do che ora suona fortissimo e ora pianissimo, ma
non cessa per questo di essere la stessa nota [] Sia pure in tono basso, io ho
ritrovato in Grecia tutti gli elementi che fanno la gloria della Grecia antica.
Ho ritrovato Omero nella persona di un vecchio rapsodo che tutti i giorni
veniva a sedersi sul marciapiede di via Patissia [] E ricordo nelle vie di
Atene il mendicante che prende soldi al passante non con la preghiera ma col
sarcasmo, a somiglianza di come una volta facevano gli ales e i cinici []
Resta da scoprire per quale oscura ragione uomini di provenienza diversa e di
diversa specie, riuniti in uno stesso spazio geografico finiscono per avere gli
stessi caratteri fisici e intellettuali21.
Nelluso attuale, moderno e quotidiano, del mito per Savinio la voca-
zione di un lavoro intellettuale come scavo nella tradizione e nei suoi possi-
bili rapporti con il presente. Il passato mitico come significato pi profondo
delloggi: la chiave per un approccio alla realt in cui far giocare tutta lin-
telligenza, la conoscenza della storia delluomo, delle sue idee, dei suoi lin-
guaggi.
del 1948, apparso su Ulisse di gennaio, il lungo saggio dedicato al-
lEuropa, che riprende i temi del volumetto del 1945, Le Sorti dellEuropa. Leg-
giamo lincipit folgorante: LEuropa la tomba di Dio. Definizione pi esatta
dellEuropa e assieme pi profonda. Quante volte Dio muove alla conquista
dellEuropa, tante volte muore. Muove dallAsia, sua sede naturale. Dio nasce
in Asia e muore in Europa. Stupisce che Dio muoia tante volte? Dio, come
si sa, immortale. La morte, nella vita di lui, appena un incidente.
Dovrebbe stupire piuttosto che Dio, riconosciuto da tanti come Intelligenza
Suprema, sintesti nel tentativo di colonizzare questa terra a lui mortale.
Neanche a Dio lesperienza insegna? Al lume degli avvenimenti recenti, e da
come si comportano, sulla scia di essi, gli uomini responsabili, si pu vedere
quanto poco agli uomini stessi insegna lesperienza. nella testa degli uomi-
ni che si conosce Dio. La verit che Dio non intelligenza. Lintelligenza
insegna a separare, e Dio Unit22.
una premessa di lucida razionalit, una densa riflessione che, con il
movimento del ragionamento paradossale, ridefinisce il senso storico, cultu-
rale-antropologico dellEuropa, terra laica, ripetutamente a confronto con il
principio dautorit di una religione intesa come teologia assolutista (scrive
ancora Savinio: Dio, nel significato qui usato, non Dio nel significato di
amore: Dio nel significato di autorit suprema e accentratrice23).

21
A. Savinio, Greci e Greci, in Id., Scritti dispersi. 1943-1952, a cura di P. Italia, Adelhpi,
Milano, pp. 103-105.
22
Id., Europa, ivi, p. 699.
23
Ivi, p. 701.
198 Giorgio Patrizi

Ed ecco, ancora nel 1950, come Savinio propone una serie di riflessioni
allinterno, come al solito, di unanalisi di grande acume ed originalit sui
caratteri specifici della musica nera: Cantare come i negri rimedio della nevra-
stenia 24, apparso sul Corriere della Sera del 1 gennaio 1950: quando la
musica delluomo bianco sta per finire, essa preannuncia la propria fine. Il
qualcosa di diverso sta per finire. Preparatevi alla fine del diverso. E comin-
cia la cadenza. Talvolta lunghissima [] La musica negra no. La musica
negra non comincia, n finisce. Cessa a un certo momento, sinterrompe.
Salvo a riprendere. Con la stessa mancanza di cominciamento. Cade la musi-
ca, si spegne, nientaltro [] Perch? Perch nella vita del negro la musica
non unaltra cosa, non una cosa diversa. Non ha bisogno dunque di
annunciarsi. N di annunciare la propria fine. Nella vita del negro, la musi-
ca cosa naturale. Parte dalla vita25.
Segue una puntuale descrizione di una serie componimenti di musica
jazz, che Savinio legge sullo sfondo dei caratteri antropologico-culturali dei
musicisti: Il negro non canta, non suona per diletto, non pure per esprime-
re la propria anima. Suona e canta per scaricare la propria anima [] La
musica negra una respirazione pi profonda; una respirazione che scende
oltre i polmoni, nel sacco nero (negro) della psiche26.
Anche questa pagina pu essere assunta ad esempio del procedimento dia-
lettico e retorico di Savinio: muove dalla percezione di una realt, originale o
misconosciuta, rispetto allopinione comune; quindi cerca di dirimerne ed
evidenziarne i vari elementi costituenti, sempre attento a riconoscere, dietro
i dettagli, la loro portata epistemologica, o estetica, o morale. cos che lo
sguardo capace di penetrare nei dettagli delloggetto da conoscere e da inda-
gare, segue il percorso di una catena di significati che ampliano costante-
mente il senso dellanalisi.
questo, paradossale, il surrealismo di Savinio: una scomposizione della
realt fatta al lume della logica, che si giova di tutti gli strumenti dellanalisi
razionale, filologica, linguistica, di senso, per approdare al ritrovamento del
senso pi profondo delle cose, della vita, delle azioni delluomo.

24
Ivi, pp. 1263-1264.
25
Id., Cantare come i negri rimedio alla nevrastenia, ivi, p. 1263.
26
Ivi, p. 1264.
SILVANA CIRILLO

Cesare Zavattini: senza di lui non si muoveva paglia!

Sul tavolo da lavoro ho pochi oggetti: il calamaio, la penna, alcuni fogli


di carta, la mia fotografia. Che fronte spaziosa! Cosa mai diventer questo bel
giovane? Ministro? Re?. Questo lattacco scherzoso del primo libro di Cesare
Zavattini, Parliamo tanto di me (1931).
Za non diventer n ministro n re, ma nel decennio di permanenza a
Milano che va dal 1930 al 1940 si accrediter la fama di essere uno dei pi
arguti e moderni giornalisti e consulenti editoriali su piazza e sar conteso dai
maggiori editori, che senza il suo benestare, per lappunto, non muovevano
paglia. Ma da giornalista, scrittore, soggettista, sceneggiatore, pittore, orga-
nizzatore culturale che Zavattini attraverser poi 50 anni di vita culturale
italiana, mostrando una capacit unica di cogliere e anticipare gli ammicca-
menti del nuovo ancora in embrione e le linee di tendenza sotterranee del
cambiamento; di intuire le potenzialit dei moderni mezzi di comunicazione
e dei loro linguaggi e di assumere il ruolo autentico e riconosciuto di maestro
per generazioni di artisti. ormai incontestabile che giornalismo e cinema
non sarebbero quello che sono senza il suo contributo*.
Lattivit giornalistica di Zavattini inizi nel 1926 con La Gazzetta di
Parma, di cui fu redattore culturale, e fin a pochi anni dalla morte (ottobre
1989) con lultimo telegramma inviato a Paese sera nella rubrica I tele-
grammi, creata nel 1983. Corrispondenza, domande, risposte: il rapporto
diretto, cio, col lettore, col pubblico era stato sempre il suo modo democra-
tico e strategico di comunicare e coinvolgere il prossimo. Che nella sua sca-
letta gerarchica e sociale occupava un posto esattamente uguale al suo! Che
fossero le famiglie o i bambini delle prime rubriche sulla Gazzetta (Spet-
tacolo per famiglie fu la prima rubrica inventata per la Gazzetta di Parma) o
i cittadini comuni che gli scrivevano su Epoca, o lascoltatore indefinito ma
assiduo di Voi ed io; che fosse ledicolante di Via SantAngela Merici o De Sica
o lultimo pittore naif di Luzzara, o i mille giovani che da sempre erano i suoi
interlocutori preferiti, tutti per Zavattini rappresentavano il prossimo da
cui imparare e a cui dare, in cui immedesimarsi per carpirne le esigenze e a

*
Per unidea complessiva dellattivit di Za si veda in Il Caff illustrato, n. 28, gen. feb.
2006, Dossier Zavattini, a cura di S. Cirillo.
200 Silvana Cirillo

cui dare risposte franche e quanto pi condivisibili. Se una linea di tendenza


e una poetica sono deducibili dai suoi progetti, dal suo lavoro editoriale, dagli
schemi e abbozzi e menab, dalle lettere e dagli appunti diretti agli editori,
dai suggerimenti passati a Mondadori, a Bompiani e a Rizzoli, queste sicura-
mente si rispecchiano in un concetto di giornalismo democratico, antielita-
rio e assolutamente al servizio delluomo, cos come lo sono il suo cinema
e la sua letteratura. In cui la realt quotidiana e lattualit, la cronaca delluo-
mo comune al cui gruppo per primo lui stesso dice di appartenere e la
fusione perfetta di componenti intellettuali e prospettive popolaresche, lin-
vito a non perdere mai di vista il dialogo tra giornalismo e societ sono i perni
attorno cui far ruotare e mettere al servizio il proprio sapere, la propria
coscienza: locchio perspicace dellinvestigatore, le chiavi felici della fantasia,
la verve del polemista, il coraggio del trasgressore. E se unetica viene fuori
quella del non celarsi, dello spendersi senza tregua, del pagare di persona,
quella morale rigorosissima e antimoralistica, quel mettersi sempre in que-
stione, quella scontentezza di s e del mondo che lo circonda, quellantiindi-
vidualismo convinto di fondo, che lo inducono a tentare sempre nuove stra-
de e quel senso del dovere che si porta dietro come un gozzo che lo costrin-
ge a percorrerle fino in fondo con tutte le sue forze costi quel che costi ,
dando sempre allidea limpronta della coscienza e allarte il peso di unazio-
ne. Il mondo piccolo se vediamo piccolo diceva, ma grande se guardia-
mo con gli occhi ampi dei piccoli: da qui hanno inizio il percorso artistico-
intellettuale e la ricerca di Zavattini, che non perderanno mai di vista lo-
biettivo, fino alle ultime feconde parole de La veritaaa.
Ma cominciamo dallinizio.
Cesare Zavattini nasce a Luzzara, in provincia di Reggio Emilia, nel 1902.
Il padre, Arturo, appartiene a una famiglia di fornai e pasticcieri, la madre,
Ida Giovanardi proviene da una famiglia di commercianti. A Luzzara Cesare
rimane fino a sei anni: dopo la prima elementare va a proseguire i suoi studi
a Bergamo fino allet di quindici anni, poi a Roma, ad Alatri. Finita la guer-
ra, i genitori tornano a Luzzara, Zavattini li raggiunge nel 1920. Pensa di fare
lavvocato penalista e si iscrive nel 1921 alla Facolt di Legge di Parma,
senza mai laurearsi! Nel 1922, per interessamento di una parente, riesce ad
entrare nellIstituto Maria Luigia come istitutore, rimanendovi per circa cin-
que anni. Qui far il primo giornale umoristico della sua carriera, Bazar un
giornaletto clandestino, cui collaborer anche Giovannino Guareschi, suo
allievo al collegio. Nel 1925 durante una supplenza in III ginnasio avr come
allievo il quattordicenne Attilio Bertolucci. In occasione del tema Descrivete
una passeggiata scolastica alla maniera di Panzini, Bertolucci si distinse tanto
per bravura e stile, che Za lo spinse a intraprendere la strada letteraria e ne
divenne amico. In quegli anni, come testimonia lo stesso Bertolucci,
Zavattini divorava le riviste di Gobetti, Il Baretti e La Rivoluzione libera-
le. Il primo film di Chaplin, La febbre delloro, Zavattini lo vide proprio con
Cesare Zavattini: senza di lui non si muoveva paglia! 201

Bertolucci; insieme a lui frequenter gli amici di Parma: il drammaturgo Ugo


Betti, il critico letterario Gino Saviotti (che sostituir, con insuccesso, sulla
Gazzetta come critico teatrale di unopera pirandelliana), i pittori Auton
Atanasio Soldati ed Erberto Carboni, Pietrino Bianchi, Alessandro Minardi,
Leonida Fietta, con i quali creer lo staff redazionale della Gazzetta di Par-
ma diretta da Priamo Brunazzi. Mentre escono i suoi primi racconti Confi-
denze del mendicante, (Gazzetta di Parma del 23 agosto 1927); Zanzare etc.,
3 settembre, Lemosina alle donne brutte, 22 settembre, Zavattini pubblica un
pezzo non firmato, ma sicuramente di sua mano, sulla Fiera Letteraria del
4 settembre 1927, Tetralogia della genesi, poi ripubblicato sulla Gazzetta di
Parma il 6 ottobre dello stesso anno: inizia cos la sua carriera giornalistica,
contemporaneamente su due importanti giornali, un quotidiano di provincia
e un settimanale culturale di livello nazionale. La prima rubrica in assoluto
inventata da Zavattini, Spettacolo per Famiglie, nasce sul modello dellOtto
Volante, la rubrica satirica di aneddoti e facezie della Fiera Letteraria sul
mondo degli intellettuali, a cui Zavattini collabora in maniera anonima. Ru-
brica che compare per la prima volta il 28 agosto 1927 sulla Fiera Lette-
raria, firmata da un redattore sotto lo pseudonimo di Giacomino. Quel gior-
no i redattori scrivono sulla manchette di destra, a fianco del titolo in prima
pagina: Oggi si mette in moto lOtto Volante. Pericoloso sporgersi quando il
carrello in corsa. E in alcune pubblicit sparse sulle pagine del settimana-
le che reclamizzano la rubrica si legge: Tutti gli aneddoti nellOtto Volante
sono inediti e autentici Chi aveva aneddoti, aforismi, racconti e ricordi me-
morabili e pettegolezzi su amici scrittori, poeti e artisti, poteva collaborare li-
beramente alla rubrica che, per ovvie ragioni, doveva restare anonima. Alla
Gazzetta Zavattini inizi a lavorare nel 1926 quasi per gioco, spinto dal ret-
tore Efisio Trincas che aveva apprezzato le sue note sui ragazzi e il piccolo re-
soconto di una gita a Fano, ma nel 1928 lasciava il Maria Luigia per dedicarsi
interamente al giornale, firmando due rubriche, Andantino e Dite la vostra oltre
a A ciel sereno, dove firmandosi Za, scrive raccontini e pezzetti umoristici. La
prima recensione teatrale fu una stroncatura a Diana e la Tuda di Pirandello,
con cui il giovane critico alle prime armi pensava di guadagnarsi la fama di cri-
tico rigoroso e obiettivo. Se ne pent subito. Ma quando nellestate del 1928 la
Gazzetta di Parma fu assorbita dal foglio fascista Corriere emiliano,
Zavattini abbandon la collaborazione, congedandosene il 30 giugno1.

La rubrica dedicata ai bambini, Rifugio per bambini forse quella che


maggiormente stupisce nel lavoro di Zavattini alla Gazzetta di Parma: qui
il giovane Zavattini prende le vesti del mago e dellamico fraterno, o del
clown, firmandosi Lamico Za. Spariscono terminologie tecnico-scientifiche,
astruse e alla moda, sostituite da un linguaggio diretto e caloroso, familiare e

1
Il periodo parmense stato studiato da Guido Conti.
202 Silvana Cirillo

immediato, pieno di diminutivi e di giochi linguistici. Cambiano anche il tono


e il modo di scrivere: non si rivolge pi agli adulti raffinati, che leggono i gior-
nali e conoscono bene il mondo americano e di Hollywood. Se nella rubrica
Dite la vostra Zavattini ama usare un vocabolario alla moda, americaneggiante,
misto di termini francesi e inglesi e toni satlrico-umoristici, in Rifugio per bam-
bini i suoi pezzi comunicano con uno stile semplice e favolistico insieme.
E proprio nel periodo parmigiano troviamo gi la matrice di tematiche, scel-
te e strategie che poi Zavattini nel tempo maturer e insieme fattori per ricostruire
le origini, la formazione e levoluzione del suo pensiero. Non casuale, perci, li-
dea del Rifugio per bambini, non solo perch una delle vere novit giornalisti-
che e letterarie del giovane scrittore, ma perch aprire una rubrica per bambini
nella terza pagina di un quotidiano denota acuta sensibilit nel capire che da l
nasce il cittadino e luomo tout court. Non si pu non pensare al sogno di Za di
portare nelle scuole (di ogni ordine e grado) unora di lezione/discussione sulla
Pace: come pensiero, cultura, comportamento quotidiano, gioco e impegno,
seguito dal progetto dei Cinegiornali della pace.
Nel 1929 il nostro a Firenze per il servizio militare: inizia una nuova ric-
chissima fase della sua vita. Qui conosce i solariani, partecipa agli incontri
nel famoso caff delle Giubbe Rosse: mettevo la bicicletta davanti al famo-
so caff G.R., entravo e partecipavo ai discorsi, ma soprattutto ascoltavo, per-
ch cera un uomo che era il pi autorevole e importante, Montale. Intanto
continuava a leggere, faceva recensioni, scriveva raccontini. Nello stesso anno
inizia la collaborazione di Za anche al Secolo XX di Rizzoli, a Il Caff, a
Il Tevere, a Il Bargello, alla Gazzetta del popolo, a LIllustrazione, al
Travaso delle idee e a Le grandi firme diretta ancora da Dino Segre (in
arte Pitigrilli) alla Fiera letteraria (gi Italia letteraria). Nel 1930 troviamo
la sua firma anche su Solaria, su Novella (dove adotter gli pseudonimi di
Antonio Dantara e Cesare Alfieri) e sul Secolo illustrato. Agli inizi del 1930
Za interrompeva il servizio militare a Firenze, a causa di una malattia grave e
lenta che aveva colpito il padre: Mio padre malato di cirrosi epatica scri-
ve a Saviotti Gli hanno gi estratto 12 litri dacqua. Altra ne estrarranno fra
pochi giorni. Il medico dice che potr vivere un anno, dieci mesi, come un
mese e si recava a Milano alla Rizzoli a cercare lavoro. E intanto, scrivendo
anche di notte, mentre assisteva il padre morente, manipolando materiali gi
pubblicati e aggiungendone di nuovi, inventando la cornice della commedia
con Inferno, Purgatorio e Paradiso, aveva composto quello che sar il suo
primo libretto e fatto il primo disegno della sua carriera pittorica, un funera-
lino, da mettere in apertura. Alla fine dellanno il padre mor e quando, qual-
che mese dopo, Za pot ritornare a Milano la situazione era cambiata: quel
Cavicchioli (il direttore di Novella) che maveva offerto lavoro a 2000 lire
al mese lavevano mandato via: aiutato allinterno dai miei amici, Piazzi,
Marotta, Buzzichini, alla Rizzoli riuscii a ottenere soltanto un posto di cor-
rettore di bozze scriver Zavattini.
Cesare Zavattini: senza di lui non si muoveva paglia! 203

Zavattini sbarca dunque in citt a ottobre del 1930 con la compagna


Olga, con due figli, molti debiti lasciati dal padre prematuramente morto: ha
una necessit assoluta di guadagnare, avendo sulle spalle lintera famiglia, la
madre e due sorelle comprese. Va ad abitare in un buco di casa a via Iommelli
e lavorer giorno e notte: di giorno presso Rizzoli, di notte presso Bompiani.
Valentino Bompiani gli pubblicher il primo libro, ma si giover della sua
competenza e delle sue instancabili capacit lavorative (appunto fino a tarda
notte) per confezionare, a partire dal 1931, i famosi Almanacchi Bompiani di
cadenza annuale, ambito trampolino di lancio per artisti e scrittori: quante
lettere in Archivio di Za che scriveva, convocava, suggeriva, tagliava!
Intanto su Cinema illustrazione aveva iniziato a scrivere nel 1930 (fino
al 1934) inventandole di sana pianta e fingendosi un inviato speciale le
Cronache da Hollywood, firmate con vari pseudonimi: Jules Parme, J.P., Kaiser
Zha, Giulio Tani, Louis Sassoon, Quello di Hollywood. Le Cronache saran-
no pubblicate in volume soltanto nel 1991. Presso la Bompiani, dicevamo,
invece, nel 1931 esce il libro di esordio, Parliamo tanto di me, con un picco-
lo disegnino in apertura, il primo funeralino della sua carriera pittorica: da
questo momento comincia la sua fortuna. Un successo enorme ne accompa-
gn luscita. Al Premio Viareggio dove fu presentato in estate da Massimo
Bontempelli, non si parlava daltro: tutti facevano a gara a tesserne lodi e leg-
gerne pezzetti. Orio Vergani improvvisava declamazioni dello stesso ad ogni
angolo! Andrea Rizzoli, che fu informato di avere tra i suoi correttori di bozze
lo scrittore emergente C.Z., lo volle conoscere, lo invit nella sua villa a
Canzo (e Za non lo dimenticher mai per tutta la vita) e poco dopo gli affid
la redazione di Cinema illustrazione e del rotocalco femminile Piccola.
Nel 1934 Za era responsabile di Piccola, Lei, Novella, Cinema illu-
strazione, Secolo illustrato. Nello stesso anno con Rizzoli, di cui gode ormai
piena fiducia, cura la prima collana editoriale, I giovani, in cui grazie al corag-
gio di Zavattini esordisce Carlo Bernari con Tre operai. Il libro suscita polemi-
che e censure. Nel medesimo anno inizia il rapporto di Zavattini col cinema.
Con Giaci Mondaini (giornalista e pittore) scrive Buoni per un giorno; col
figlio di Angelo Rizzoli, Andrea, firma Cinque poveri in automobile. Rizzoli
compra in qualit di produttore (Novella film) Buoni per un giorno di cui Za
fa la sceneggiatura: il film diventa Dar un milione, per la regia di M. Camerini
(1935). Proprio sul set di Dar un milione a Roma Za conosce Vittorio De Sica,
che uno degli interpreti. E da questo momento il nome di Zavattini sar asso-
ciato principalmente al mondo del cinema, di cui diventer indiscusso maestro
e rappresentante nel mondo del neorealismo. Ma se il cinema metter in ombra
le altre sue attivit, in effetti queste soprattutto letteratura, giornalismo e pit-
tura procederanno feconde e ricche di splendidi risultati e percorsi innovati-
vi e mai interrotte fino agli ultimi anni di vita.
Intanto il rapporto tra Rizzoli e lartista destinato ad incrinarsi (1936),
quando Zavattini chiede di essere iscritto al sindacato giornalisti; viene licen-
204 Silvana Cirillo

ziato, infatti, su due piedi, ma, essendosi ormai conquistato la meritatissima


fama di grande esperto nel settore dei giornali e della comunicazione, sempre
su due piedi viene assunto a 30.000 lire lanno da Mondadori per dirigere alcu-
ni periodici oltre al settore Walt Disney Mondadori (che comprendeva la
serie de Il cerchio verde di genere giallo , Topolino, I tre porcellini,
Paperino). Rizzoli accortosi ben presto dellerrore commesso, gli propone un
rientro a 100.000 lire annuali per la direzione di tutti i suoi giornali escluso il
Bertoldo (creato assieme a Za): Zavattini, da uomo di parola, non torna
indietro e viene di questo ripagato, perch in breve Mondadori gli porta lo sti-
pendio a 7.500 lire al mese. Meritatissime, visto che Za non si accontenta di
organizzare la collana, ma si inventa un nuovo tipo di raccontini avveniristici e
molto liberi ideologicamente: i fumetti per ragazzi. Intanto il progetto di crea-
re un giornale umoristico con Mosca, Metz, Guareschi per Rizzoli, Il
milione (Rizzoli avrebbe preferito il titolo: Va l che vai bene) sfumato. In
compenso Rizzoli ne aveva subito varato un altro dal titolo Bertoldo, cui
aveva chiamato a collaborare tutti gli intellettuali suggeriti e allevati da Za. Ma
Za non si perder danimo e gli restituir la palla, come vedremo pi avanti, col
rilancio spettacolare del settimanale rotocalco Le grandi firme.
Da Mondadori Zavattini rester per tre anni, per dirigere alcuni periodi-
ci, il settore Walt Disney Mondadori e iniziare i nuovi raccontini-fumetto
per ragazzi, pensati da Zavattini stesso e non importati dallAmerica: anche
con i suoi Saturno contro la Terra (Topolino), Zorro della metropoli
(Paperino) e La Compagnia dei sette (Almanacco di Topolino), disegnati
da Walter. Molino, dunque, Za si mostr allavanguardia! Collabora al gior-
nale umoristico di De Bellis MarcAurelio, con la rubrica Cinquanta righe
circa (1936-1940) e dietro le quinte gli d mille suggerimenti per fare del
giornale umoristico un giornale concorrenziale2. Svariate lettere indirizzate a
De Bellis3 per migliorare, anche graficamente, il giornale umoristico
MarcAurelio, puntando molto su Campanile, Novello e Zavattini stesso,
fregando magari Molino al concorrente Bertoldo, aumentando le vignette,
gli sfott, le interviste agli uomini della strada che risultava un ottimo vei-
colo pubblicitario inventando magari un sedicesimo da intitolare IL libro
proibito, in cui inserire domande e resoconti sui tab contemporanei, e a
Bompiani per le riviste Marted (cui suggerisce, per es. la rubrica
Pedinamenti, quella delle Cose viste e di Italia domanda 4) e Bis (su cui face-
va, tra laltro, il consulente) ne sono chiara testimonianza.

Intanto con Mondadori porter a buon fine loperazione editoriale gi


intrapresa per Rizzoli e che diventer uno dei cavalli di battaglia e delledito-

2
Cfr. S.Cirillo, Una cento mille lettere, Bompiani, Milano 1986 (ora anche nei tascabili).
3
Ivi, lettera di C. Z. del 4-8-1937.
4
Ivi, lettera del 9-6-1947.
Cesare Zavattini: senza di lui non si muoveva paglia! 205

re e di Za: Le grandi firme, il periodico quindicinale diretto ormai stanca-


mente da Pitigrilli (Dino Segre), rilevato per farne un settimanale rotocalco
a larga diffusione con la copertina illustrata da Gino Boccasile (che inventa
le gambe lunghe e scopertissime della famosa Signorina grandi firme) e
pubblicare racconti di grandi firme della narrativa, anche di esordienti, cam-
biando taglio e veste grafica.
Scalpore e successo enorme suscitarono le gambe affusolate della famosa
signorina, a dimostrare quanto Za fosse lungimirante: sicuramente era stato
fra i primi direttori a capire limportanza dellimmagine nel giornale e a dare
grande peso alla fotografia, dunque al nascente fotogiornalismo e alla pub-
blicit: attorno al giornale Za costru da vero manager un battage pubblicita-
rio incredibile, perfino con camion sonoro, dischi Cetra da distribuire e far
girare per le varie spiagge, concorsi intitolati a lei.
Il giornale va a gonfie vele, suscitando invidia e ammirazione. Mussolini
lo far chiudere nel 1938, con la scusa di un racconto indesiderato e immo-
rale di Paola Masino (in realt crudissimo e quanto mai doloroso), sulla
guerra e la fame (vissuta paradossalmente come una richiesta di eutanasia da
parte dei figli, ormai sfiniti dal digiuno, al padre, che di loro si nutrir alla
fine per sopravvivere) intitolato per lappunto Fame.
Nel 1937 esce il libro I poveri sono matti, ma Zavattini in preda a un esau-
rimento nervoso se ne va a Oltre il Colle (Mi) a riposarsi e si porta dietro i
colori, che un collega della Mondadori gli ha regalato. Per prima cosa dipin-
ge il cimitero del paese. Da questo momento non smetter pi di dipingere.
di questi anni pure la direzione assieme ad Achille Campanile (poi da solo)
de Il Settebello (1938-39) uscito da Mondadori. In dicembre si trasferisce
a Roma con la famiglia e va a vivere in via SantAngela Merici che diventer
presto luogo di pellegrinaggio per giovani studiosi e artisti. De Sica gli dir
tu vieni nella fossa dei leoni, ma Zavattini non si scoraggia e affronta con
passione e decisione lambiente del cinema.
Inizia il 13 luglio (fino al 6-7-1948) a pubblicare su Bis (diretto da
Marotta) il Diario di cinema e di vita. La diaristica dir Za latto pi
profondo di umilt che ho compiuto nella mia carriera alla ricerca della
verit. Per me il concetto di uguaglianza sempre stato talmente totale che
non ho mai sentito la colpa di parlare di me: parlavo di un uomo!. Nel 1939
(fino al 1941) era iniziata anche la collaborazione di Za al settimanale Tem-
po (direttore A. Tofanelli): con critiche vivaci e avanguardiste di teatro, di
variet, di cinema e raccontini (I nuovi raccontini) che saranno poi raggrup-
pati e pubblicati nel 1941 sotto il titolo Io sono il diavolo. Progetta per Mon-
dadori dei giornali nuovi, schietti, liberi, disinibiti quali Il Disonesto (che
nella sua testa doveva rappresentare lesatto opposto del contemporaneo
Uomo qualunque) e Italia domanda: ambedue, per, per ovvie ragioni,
non vedranno mai la luce. Troppo spesso le idee di Za erano troppo avanza-
te rispetto ai tempi! In compenso negli anni Cinquanta diede nuovo slancio
206 Silvana Cirillo

alla rivista di Mondadori Epoca, inventandosi la rubrica seguitissima Italia


domanda. Su Epoca finisce dunque quellItalia domanda, che in principio,
ossia nel 1946, Zavattini progettava come un giornale di attualit a cui gli ita-
liani potessero sottoporre quesiti sui problemi pi sentiti e scottanti e che aves-
se a disposizione un trust di cervelli che rispondano a tutte le domande che
lItalia rivolge loro. Il giornale cos formulato non si far mai, sebbene
Zavattini avesse raccolto gi circa trecento domande e scelto intellettuali adat-
ti a dare risposte a ognuna di esse e scritto lettere e inviato menab dettagliati
a Bompiani e pensato a disegnatori validi (Novello, per es.) per dare anche
risposte in immagini5. Era un progetto ambizioso e caro, non se ne fece nien-
te, ma in compenso Italia domanda, dal 1950, sar un angolo di Epoca, fra
i pi frequentati e mossi e costituir l80% del successo della rivista. Noi che
tiriamo al mezzo milione di copie abbiamo lobbligo di essere divertenti sem-
pre; anche graficamente e propone una rivista non letteraturoide o borghe-
se, ma aggrappata ai fatti dellultima ora, alle persone, a immagini che siano
forti, chiare da album moderno, colori non casuali ma parlanti, titoli e
didascalie diretti ed eloquenti, interviste importanti e seriamente affrontate e
facendo la parte degli avvocati del diavolo: la Magnani su una casa chiusa, per
es. o altri sullo stato delleducazione sessuale in Italia6. Za seguir personal-
mente i primi quattro numeri, poi, per questioni puramente ideologiche (per
le posizioni filoamericane di un pezzo firmato dalleditore) lascer Mondadori
e la rubrica. Ma essa diventer modello per rubriche adottate in giornali suc-
cessivi, quali Lo specchio dei tempi, de La Stampa, per esempio., senza parlare
delloggi ove questo considerato uno degli aspetti insostituibili del giornali-
smo stampato, di quello radio-televisivo in particolare e della comunicazione in
genere, che diventata anzitutto compartecipazione.
Altri progetti gli prendono molte energie ma senza risultati, tipo Il gior-
nale dei dieci uomini, polemico, al pepe, prospettato a Mondadori nel 1958,
e da affidare esclusivamente a penne come quelle di Marotta, Soldati,
Flaiano, o Italia mia, inchiesta cinematografica che immaginava realizzata
da registi come De Sica e Visconti in giro per lItalia a coglierne voci, costu-
mi, attese, fatti e che invece divenne una collana editoriale per Einaudi e poi
una trasmissione televisiva. Altri progetti recano titoli eloquenti: Il bolletti-
no dei poveri, per esempio e la rubrica Domande agli uomini della strada
e di qualunque ceto sociale, che cur personalmente per due anni sul setti-
manale del PCI Vie Nuove (1956-57)7, mentre del 1960 la realizzazione
per la televisione dellinchiesta su LItalia che legge. Viaggio lungo il Tirreno,
sorta di inchiesta-documentario svolto con la regia di Mario Soldati. E come
dimenticare i numerosi bollettini che, con umile appassionato impegno,

5
Ivi, lettera del 9-6-1947 a Bompiani.
6
Ivi, lettere ad Alberto Mondadori del 27-6-1950 e del 2-11-1950.
7
Ora pubblicate a c. di Renzo Martinelli, Domande agli uomini, Le Lettere, Firenze 2007.
Cesare Zavattini: senza di lui non si muoveva paglia! 207

sociale e culturale, Zavattini ha fondato e curato, dal Bollettino del neorea-


lismo, ospitato nel 1955 da Cinema nuovo, a Il bollettino del Circolo ita-
liano del cinema, Il bollettino dei cinegiornali liberi (nel 1968-69), Il
bollettino dellAssociazione cooperazione culturale (nel 1979). Il Cine-
giornale della pace e Cinegiornali liberi (1968), furono una delle iniziati-
ve pi democratiche che Za invent per il cinema: ove tutti potevano parte-
cipare e contribuire con propri filmati o inchieste. Ogni cinegiornale libero
un atto di rivolta contro il monopolio dellinformazione, scriveva nelledi-
toriale del primo numero. La pace rimarr unossessione nel pensiero di
Zavattini, che nel 1963 lancer dalle pagine di Rinascita il Cinegiornale
della pace cui ognuno pu collaborare a suo modo: con una poesia, con un
racconto, con una confessione, con una testimonianza, con un gridocon
una favola come un pezzo di vita. Pochi per aderirono e liniziativa mor.
Che dire poi del sogno premonitore di Za di introdurre unora di pace nelle
scuole, da lui caldeggiata gi negli anni Cinquanta, al fine di educare alla pace
le giovani generazioni, visto che mi diceva continuamente la pace un
sentimento, uno stato danimo, una capacit di comprensione, di tolleranza
e di solidariet, che non nasce come un fungo dai massimi sistemi o nei gran-
di momenti della storia, ma che si coltiva nel quotidiano, come una fede che
si assorbe sin da bambini? Anche il primo film di cronaca, Roma ore 11
per la regia di Giuseppe De Santis ha un impianto giornalistico. E cos il
primo film-lampo ideato da Za, Storia di Caterina, che fu realizzato col gio-
vane Citto Maselli ed entr a far parte del film ad episodi, Amore in citt
seguito a ruota da Siamo donne con Ingrid Bergman e Anna Magnani, che
si raccontano assieme ad altre attrici.
Saggi giornalistici sono anche i due cicli di trasmissioni radiofoniche, Voi
e io, andate in onda nel 1975-1976 quotidianamente, sempre scandite da un
fitto e spontaneo dialogare tra Zavattini e il suo pubblico, e oggetto di scan-
dalizzate reazioni dai benpensanti che Zavattini ha provocato, osando pro-
nunciare ai microfoni della Rai la parola cazzo e altro. Daltra parte non fu
proprio Zavattini a scrivere poeticamente: Diu al gh./Sal gh la figa al
gh?
in ossequio alla sintesi e alla brevit, ma anche al gusto del parados-
so, che richiede misure brevi per essere pi lapidario, che Za inizier a pub-
blicare nel 1983 su Paese sera i Telegrammi di Zavattini.
Concludiamo facendo nostre le parole, appropriatissime, di uno dei mi-
gliori lettori dellarte zavattiniana, Mino Argentieri: Lo Zavattini, teorico di
un neorealismo integrale e nuovo rispetto agli approcci realistici del cinema
americano, sovietico e francese, vien formandosi sui banchi di una scuola
giornalistica in cui i coefficienti sono mescolabili: listantanea scattata di sor-
presa e la finzione, la testimonianza a caldo e la disamina analitica di un pro-
blema o di un accadimento, linchiesta e lautoconfessione. E un corredo che,
attraversando anche le postulazioni cinematografiche, avrebbe per Zavattini
208 Silvana Cirillo

lo sfocio naturale nella radio e principalmente nella televisione se a impedire


o a snaturare questo attracco non fosse, nei gestori dellente televisivo, la
paura di accreditare metodi che non consentano pi loro un controllo rigido
sulle informazioni e li espongano ai rischi dellimprevisto.
MICHELANGELO FINO

Scrivere per vivere, vivere per scrivere:


Corrado Alvaro e il giornalismo

Lattivit giornalistica di Corrado Alvaro stata intensa e proficua. Il gior-


nalismo costituisce una parte essenziale per lopera di Alvaro, al punto che
risulta difficile distinguere nettamente i confini che separano il giornalista, il
saggista e il narratore. La natura anfibia1 dei suoi scritti giornalistici deter-
mina infatti la continua intersezione dei diversi ambiti della scrittura (gior-
nalistica, saggistica e letteraria appunto). Tuttavia, la scrittura giornalistica
incide sullesercizio letterario pi di quanto le opere non influiscano sugli
articoli: locchio del giornalista attento osservatore della realt, capace di
cogliere le complesse dinamiche sociali, culturali e storiche del suo tempo,
ravvisabile non solo nelle opere saggistiche scaturite dallattivit giornalisti-
ca2, ma anche in quelle squisitamente letterarie, in cui i personaggi travalica-
no la loro individualit per assurgere a simboli e icone di stati danimo col-
lettivi, rispecchiando le ansie, le aspirazioni e le illusioni di una societ quan-
to mai conflittuale e mutevole. Eppure, questa estrema versatilit nel passare
da un versante allaltro non impedisce ad Alvaro di distinguere gli ambiti di
indagine, ben sapendo che al primo [il giornalismo] va assegnato ci che
perentorio (come il teatro, che lui apparentava al giornalismo) e alla seconda
[la narrativa] ci che va detto in modo allusivo3: un giornalismo teatrale,
tutto dialogo, azione, dinamismo, battuta contundente, parola deflagrante,
un giornalismo audace, curioso, crudele e grottesco come deve essere il pi
accanito teatro moderno4. Si badi, per, che limmediatezza e lessenzialit

1
G. Rando, Corrado Alvaro narratore. Lofficina giornalistica, Falzea Editore, Reggio
Calabria 2004, p. 196.
2
Si pensi a Viaggio in Turchia (1932), Itinerario italiano (1933), Cronaca (o fantasia)
(1934), Terra nuova. Prima cronaca dellAgro Pontino (1934), I maestri del diluvio. Viaggio nella
Russia Sovietica (1935), LItalia rinunzia? (1945), Quasi una vita. Giornale di uno scrittore
(1950), Il nostro tempo e la speranza. Saggi di vita contemporanea (1952), Roma vestita di nuovo
(1957), Un treno nel sud (1958).
3
W. Pedull, Le ribelli di Corrado Alvaro, in Storia generale della letteratura italiana (12
voll.), dir. da N. Borsellino e W. Pedull, Motta Editore, Milano 1999, vol. XI, p. 275.
4
Id., Introduzione a Corrado Alvaro, Scritti dispersi 1921-1956, a cura di M. Strati, Bom-
piani, Milano 1995, p. XIX.
210 Michelangelo Fino

della battuta giornalistica alvariana scaturiscono da un ricco e complesso


bagaglio culturale e conoscitivo, da [r]adici profonde e rami che si allargano
in ogni direzione. Tutti i rami del sapere5. E rimanendo nellambito delle
metafore botaniche, sar bene prestare attenzione al richiamo di Walter
Pedull che avverte: Attenti alle foglie: nei particolari splende la sua capacit
di mettere in evidenza una questione fondamentale6. Limportanza del det-
taglio: nel piccolo si concentrano la verit e il senso del grande, attraverso il
particolare si comprende il generale. Per Alvaro, infatti, spesso le comparse
sono pi significative dei protagonisti:

Quando vedo fotografie di grossi personaggi che si incontrano, che si stringono


la mano, che stanno discutendo i destini del mondo, non sono i protagonisti a
interessarmi, ma quelle figure in genere sorridenti nel vuoto e che non si sa mai
chi siano7.

Alvaro un giornalista poliedrico: brillante elzevirista, finissimo critico


teatrale e cinematografico, inviato speciale e corrispondente, redattore e
direttore. La sua una scrittura di denuncia e di impegno che pretende col-
laborazione e partecipazione attiva del lettore, invitato a trarre delle conclu-
sioni: un giornalismo democratico, liberale, intelligente. Di fatto la sua pro-
duzione giornalistica ha uno spessore, una forza e una qualit tali da entrare
a pieno diritto tra le sue opere pi importanti e conserva[re], ben al di l
delle occasioni contingenti da cui solitamente ebbe origine, un interesse e
una validit che durano e possono durare nel tempo8.
Come ricorda Mario Strati, il compito precipuo di Alvaro [] quello
di scrivere, scrivere per guadagnarsi da vivere e realizzarsi artisticamente,
cose raggiungibili solo attraverso il giornalismo9. Il giornalismo alvariano
ben riassunto nella concezione che Alvaro ha dello scrittore, inteso come
colui che, scrivendo intorno a tutto ci che realt e vita, comunica con lu-
manit, le pone problemi, ricerca insieme ad essa le soluzioni []. Lo scrit-
tore colui che capta i messaggi che provengono dalle cose intorno e li comu-
nica chiarendoli, interpretandoli, traducendoli, a tutti gli uomini10. Dun-
que, ancor prima che un lavoro, un dovere etico-morale, una fonte di piace-
re e di soddisfazione, lo scrivere rappresenta per Alvaro una necessit esisten-
ziale: bisogno di uscire dallisolamento e di comunicare eludendo quei mono-
loghi che costituiscono per lui il dramma moderno. Una situazione ben rap-

5
Ivi, p. XIV.
6
Ivi, p. XV.
7
C. Alvaro, Documenti di vita, La Stampa, 19 novembre 1952.
8
A. Balduino, Corrado Alvaro, Mursia, Milano 1965, p. 123.
9
M. Strati, Appunti per un discorso critico su Alvaro giornalista: 1916-1936, Arti Grafiche
Edizioni, Ardore Marina 1992, p. 3.
10
M.L. Cassata, Corrado Alvaro, Le Monnier, Firenze 1974, p. 13.
Scrivere per vivere, vivere per scrivere: Corrado Alvaro e il giornalismo 211

presentata nelle sue opere, dove i colloqui tra i personaggi non sono fre-
quentissimi. Una condizione esorcizzata proprio attraverso la scrittura gior-
nalistica, come rivela una testimonianza dello stesso Alvaro in merito alla
sfortunata esperienza novecentista, considerata un pi o meno conscio ten-
tativo di comunicare col mondo esterno [] unistintiva fuga dallisolamen-
to in cui si chiudeva il nostro paese con la sua cultura11.
E nellAlvaro giornalista c sempre, con alterne fortune, la ferma volont
di agire al di fuori della politica, di uscire dallasfissiante e asfittica realt ita-
liana, non per allontanarla e ignorarla, ma al contrario per meglio osservarla
e documentarla. Nelle sue numerose corrispondenze dallestero come inviato
della Stampa, ad esempio, non parla mai soltanto della Russia comunista,
della Germania nazista o della Turchia moderna; in quelle realt lontane solo
geograficamente, scorge affinit pi o meno latenti, intravede le stesse ombre,
gli stessi problemi del suo paese. In oltre quarantanni di attivit giornalisti-
ca ha saputo cogliere le profonde contraddizioni del suo tempo, passando
consapevolmente attraverso i drammatici avvenimenti storici, politici, socia-
li ed economici che segneranno la prima met del XX secolo: la nascita e laf-
fermazione delle dittature (comunismo, fascismo, nazismo), i due conflitti
mondiali, la Resistenza, le lotte operaie e contadine, la questione meridiona-
le, fino ad arrivare ai primi segnali della nuova societ del benessere.

Il primo incontro di Alvaro con il mondo dei giornali avviene nel 1914,
quando lo scrittore di San Luca pubblica sulla Rivista dOggi la traduzione
di tre poesie di Tagore12. Nel 1916 lo scrittore entra nella redazione del Re-
sto del Carlino, giornale sul quale continuer a pubblicare fino al gennaio
del 1923 (con uninterruzione durata per tutto il 1922)13.
Nel luglio del 1919, grazie allinteressamento di Giuseppe Antonio
Borgese, suo professore di Letteratura tedesca allUniversit di Milano14, ini-
zia la sua lunga e controversa collaborazione al Corriere della Sera, allepo-

11
E. Falqui, Il futurismo. Il novecentismo, Eri, Roma 1953, p. 114.
12
Sempre nel 1914 Alvaro pubblica le sue prime poesie su Il nuovo birichino calabrese.
Altre poesie appaiono su La Riviera Ligure tra il 1915 e il 1917.
13
Sul rapporto tra Alvaro e Il Resto del Carlino cfr. A. Barbina, Alvaro 1916-1917, in
Otto/Novecento, a. III, mar.-apr. 1979, pp. 163-78, poi con il titolo Alvaro al Resto del
Carlino, in AA. VV., Corrado Alvaro, lAspromonte e lEuropa, atti del convegno di Reggio
Calabria (4, 10-12 nov. 1978), Casa del Libro, Reggio Calabria 1981, pp. 327-40.
14
Cos Borgese in una lettera dellottobre 1918 indirizzata al redattore capo del Corriere
Pietro Croci: credo di poterti indicare una persona adatta per la missione in Oriente. Si trat-
ta di Corrado Alvaro. Ha qualit letterarie molto fini ed ha fatto una buona esperienza tecni-
ca giornalistica al Resto del Carlino. [] LAlvaro politicamente del tutto sicuro e non ha
mai mostrato soddisfazione di trovarsi al Carlino. M. Strati (a cura di), Corrado Alvaro e il
Corriere della Sera. Carteggio 1919-1955, Carocci, Roma 2006, p. 127. Il politicamente del
tutto sicuro fa riferimento, come sottolinea Strati, al non allineamento di Alvaro con le posi-
zioni neutraliste e filosocialiste assunte dal giornale durante il primo conflitto mondiale.
212 Michelangelo Fino

ca diretto da Luigi Albertini. Questo primo incontro con il Corriere ha vita


breve: Alvaro, che ricopre un ruolo secondario lavorando come redattore
senza firma, lascia per protesta il giornale nel 1920 (o forse 1921), rivelando
subito quelle valide e insieme controproducenti peculiarit caratteriali, che lo
contraddistingueranno per tutta la vita (tenacia, fermezza, ostinazione).
Nel 1922 passa al Mondo come corrispondente da Parigi (vi collaborer
per pi di tre anni e mezzo, fino allottobre 1926)15. Lallora direttore
Giovanni Amendola contribuir non poco alla formazione della coscienza
liberale dello scrittore calabrese, tanto che su quel giornale, principale porta-
voce dellantifascismo, Alvaro scrive numerosi articoli compromettenti16.
Nellottobre del 1926, dopo la tragica scomparsa di Amendola (aprile 1926),
Il Mondo viene soppresso17, ma lo scrittore, invitato a riparare a Parigi,
rifiuta, rendendo ancor pi delicata la sua posizione nei confronti del partito
fascista.
Per tutto il 1924 collabora alla rivista umoristica Il becco giallo tenen-
do, con vari pseudonimi (C. Cuta, Cam Omilla, V. E. Leno), la rubrica
Sfott dalle cui pagine critica apertamente il partito e gli intellettuali che
gravitano intorno ad esso.
Nel 1925 critico drammatico per Il Risorgimento, inizia la collabora-
zione alla Fiera letteraria ed entra con entusiasmo nella redazione di 900
di Massimo Bontempelli (sar segretario della redazione romana fino al luglio
del 1928).
Il 4 aprile 1926 inizia la proficua collaborazione alla Stampa (che si pro-
trarr ininterrottamente fino al 1942, per poi riprendere tra il 1948 e il
1952)18. Il suo impegno di intellettuale militante accresce le antipatie dei
fascisti, al punto che Alvaro costretto a recarsi in Germania. A Berlino col-
labora al Berliner Tageblatt e alla Weltbhne, mentre alcuni suoi scritti
appaiono sulla rivista francese Europe. Al rientro da Berlino si intensifica,
negli anni Trenta, la sua attivit giornalistica, mentre diminuisce la produ-
zione novellistica. in questa fase che si manifesta pienamente la sua vena
saggistica e moralistica, soprattutto attraverso i reportage dallestero: a parti-
re dal 1929 corrispondente per La Stampa in Medio Oriente, Germania
e Russia prima, Turchia, Grecia, Svizzera, Francia e ancora Russia poi (nel
1952 andr in Danimarca, Svezia e Norvegia).

15
Sulla collaborazione di Alvaro al Mondo, cfr. C. Alvaro, Lettere parigine e altri scritti
1922-1925, a cura di A.-C. Faitrop-Porta, Salerno Editrice, Roma 1997.
16
Alvaro firma tra laltro la risposta crociana degli antifascisti al manifesto degli intellet-
tuali fascisti redatto da Giovanni Gentile.
17
Su questo delicato momento per lattivit giornalistica di Alvaro cfr. la lettera datata 13
novembre 1925 indirizzata allamico Nino Frank. Alvaro-Bontempelli-Frank, Lettere a 900,
a c. di M. Mascia Galateria, Bulzoni, Roma 1986, p. 11.
18
Il primo contatto con il quotidiano torinese avviene per nel 1921 quando Alvaro, tra
luglio e agosto, pubblica quattro articoli.
Scrivere per vivere, vivere per scrivere: Corrado Alvaro e il giornalismo 213

Dal 4 febbraio 1940 al 12 novembre 1942 collabora al Popolo di Roma.


Dal gennaio al luglio del 1943 nuovamente al Corriere della Sera, lavo-
randovi come collaboratore fisso, fin quando Aldo Borelli, con cui Alvaro ha
ottimi rapporti, lascia la direzione del giornale.
Dirige Il popolo di Roma dal 28 luglio al 13 settembre del 1943, ma a
causa delloccupazione nazifascista colpito da mandato di cattura e fugge in
Abruzzo, a Chieti.
Nel 1946 collabora al Tempo e lanno successivo diventa direttore del
Risorgimento. In questa occasione Alvaro, che ha ripreso alla fine di
novembre la collaborazione al Corriere della Sera, chiede allallora diretto-
re Guglielmo Emanuel la sospensione del contratto per un periodo di sei
mesi. Lorientamento di sinistra che Alvaro d al Risorgimento, tuttavia,
non piace al partito liberale che lo finanzia e cos, con la sua proverbiale one-
st intellettuale e la sua inconfutabile coerenza, lo scrittore calabrese lascia
dopo quattro mesi la direzione del giornale.
Continua assiduamente la collaborazione al Corriere della Sera fino al
marzo del 1948, quando d le dimissioni in seguito a un articolo di Gaetano
Baldacci, che attacca e denigra lo scrittore calabrese proprio dalle pagine del
Corriere (episodio interessante sul quale varr la pena di tornare).
Tra il 1949 e il 1951 tiene una rubrica di critica teatrale sul Mondo.
Infine, dal novembre 1952 allaprile del 1956 (anno in cui lo scrittore muore)
si registra lennesimo ritorno al Corriere della Sera, con cui Alvaro chiude
la sua attivit giornalistica, pubblicando circa cento articoli in quella che la
sua stagione pi prolifica.
Oltre a queste collaborazioni pi o meno continue, Alvaro lavora saltua-
riamente con numerose altre riviste e testate tra cui: Avanti!, Cinema,
Civilt Fascista, Colloqui, Corriere dInformazione, Donna, Dram-
ma, Europische Revue, Lavoro Fascista, Lettura, Littoriale, Matti-
no, Messaggero, Narrativa Meridionale, Noi e il Mondo, Nuova An-
tologia, Omnibus, Otto/Novecento, Poesia ed Arte, Prospettive Me-
ridionali, Scena, Sipario, Teatro.

Un punto chiave della carriera giornalistica di Alvaro la tormentata col-


laborazione al Corriere della Sera, il prestigioso quotidiano con cui inau-
gura e conclude la sua attivit di giornalista (prescindendo dalliniziale espe-
rienza con Il Resto del Carlino). Il rapporto Alvaro-Corriere della Sera
sintomatico del clima storico-politico-culturale nel quale lautore lavora,
delle necessit e difficolt dellintellettuale a cavallo tra le due guerre e, non
da ultimo, della tempra delluomo-giornalista. Alcuni aneddoti ricavabili dal
carteggio tra Alvaro e il giornale milanese illuminano quello che si potrebbe
definire il dietro le quinte della collaborazione tra uno scrittore e un giornale,
facendo emergere aspetti e curiosit utili se si vuol comprendere questo tipo
di rapporto professionale e umano, nonch lautore stesso. Quello delle
214 Michelangelo Fino

necessit economiche, ad esempio, sembra essere un autentico Leitmotiv, che


assilla lo scrittore calabrese19.
Lepisodio pi increscioso della collaborazione tra Alvaro e il Corriere
la polemica sorta tra lautore e il giornalista Gaetano Baldacci. Lo scontro fra
i due scoppia allindomani del convegno promosso dallAlleanza della cultu-
ra tenutosi a Firenze tra il 2 e il 3 aprile 1948, al quale Alvaro partecipa
tenendo una relazione sulla deplorevole situazione in cui versano gli intellet-
tuali e il giornalismo dopo la fine del fascismo. Dalle pagine del Corriere
Baldacci critica il contenuto politico-ideologico del Convegno (tanto da inti-
tolare il suo articolo Aria di littoriali a Firenze), e attacca pesantemente e per-
sonalmente Alvaro, reo di aver lamentato lassenza di sostegni economici da
parte dello Stato nei confronti degli intellettuali e la passiva strumentalizza-
zione della stampa da parte del Governo postbellico. Baldacci sottolinea
come il regime abbia sostenuto gli artisti e finanziato periodici e riviste 20, ma
pretendendo e ottenendo in cambio un incondizionato servilismo:

Oggi [] possibile a Corrado Alvaro unirsi al coro socialcomunista contro la


stampa indipendente, che egli dichiara strumento passivo di un Governo di
colore, e, insieme, continuare liberamente a collaborarvi21.

Immediata la replica di Alvaro, che, con un articolo dal titolo Corrado


Alvaro o della coerenza, si difende dalle accuse precisando che il suo interven-
to al convegno stato di natura culturale e non politica (men che mai nostal-
gicamente fascista) e di non aver affatto avanzato pretese economiche in favo-
re degli scrittori italiani:

Signor direttore,
leggo nel Nuovo Corriere della Sera del 4 aprile, e me ne rammarico, quanto ha
scritto il signor Gaetano Baldacci sullAlleanza della cultura, sugli scrittori italia-
ni e su me personalmente. [] Il fatto che al convegno dellAlleanza della cul-
tura a Firenze nulla s chiesto al Governo in favore degli scrittori italiani [].
Per gli scrittori, io ho avuto modo di chiarire che i nostri interessi dovessero esser-
vi discussi solo in quanto interessi culturali. [] Ho creduto fino a ieri che esse-
re collaboratore del Corriere, e collaboratore letterario e non politico, non impli-
casse la totale abdicazione di ogni mia idea per le idee del signor Baldacci, e Sue,
signor direttore, se Lei assume, come pare lassuma, la responsabilit degli scritti
del Suo corrispondente. Se cos, Le rassegno le mie dimissioni dallincarico

19
Su questo aspetto cfr. M. Strati (a cura di), Corrado Alvaro e il Corriere della Sera, cit.
e Alvaro-Bontempelli-Frank, Lettere a 900, cit.
20
Il riferimento verosimilmente alla rivista filofascista Primato, voluta da Giuseppe
Bottai, personaggio assai influente negli ambienti fascisti nonch ministro dellEducazione
Nazionale tra il 1936 e il 1943, attiva fra il 1940 e il 1943, alla quale Alvaro aveva collaborato.
21
G. Baldacci, Aria di littoriali a Firenze, Corriere della Sera, 4 aprile 1948.
Scrivere per vivere, vivere per scrivere: Corrado Alvaro e il giornalismo 215

[]. A meno che Lei, pubblicando questa mia lettera, non la accompagni con la
pi doverosa ritrattazione delle affermazioni del signor Baldacci. Il quale avr cos
una prova del desiderio di servit duno scrittore italiano22.

Il direttore del Corriere Emanuel accetter di buon grado le dimissioni


dello scrittore calabrese, quasi compiaciuto perch, come scrive nella precisa-
zione che segue la lettera dimissionaria dellautore, finalmente, lAlvaro stes-
so si accorge della incompatibilit della sua posizione con la nostra23. La
querelle tra Alvaro e il Corriere costituisce una novit per quanto concerne
il tono acceso e polemico, ma non si pu dire altrettanto per il tema che ha
portato a un tale scontro, dal momento che durante tutta la sua attivit gior-
nalistica lo scrittore scrive moltissimi articoli riguardanti il ruolo degli intel-
lettuali, della stampa e della cultura rispetto alla politica e alla societ.
LAlvaro che nel 1948 rileva lo scadimento del giornalismo durante il fasci-
smo lo stesso che nel 1933, sotto legida del regime e accecato da quella stes-
sa luce artificiale e artificiosa che in quel periodo abbaglia tanti altri intellet-
tuali, definisce il Duce il solo vero amico delle arti e della cultura in Italia
e rivendica orgogliosamente la propria italianit, la coscienza della nostra
tipicit. Contro i critici faciloni e i censori afferma:

Lungi dal farci impressionare dalle soluzioni gi belle e fatte fuori dItalia, lungi
dal prendere in prestito atteggiamenti non nostri, che facilmente hanno soccor-
so in altri tempi la scarsit dellispirazione e delloriginalit, noi abbiamo rico-
minciato a ricostruire punto per punto la nostra realt, giacch non potevamo
contentarci di risultati polemici, come sono stati gli ultimi che ci hanno propo-
sto prima della guerra; e andiamo elaborando soltanto quello che stimiamo
nostro, particolare, congeniale24.

Ha ragione Pedull: cambiano i tempi e si adattano le idee, il mutamen-


to dopinione segno di elasticit e in quel preciso momento il militante
combatte meglio con una tesi che in diverso contesto avrebbe respinto ma
che ora ha un impatto culturalmente positivo; ed altrettanto vero che la
buona fede di Alvaro determini a un certo punto sdoppiamento e non
doppiezza25. Ma lascia perplessi ascoltare certi discorsi da chi, qualche anno
prima, si batteva strenuamente a favore di una rivista come 900, che, per
giunta, usciva in francese:

Ora scoppiata la controversia di cui il duello Bontempelli-Ungaretti un epi-


sodio. Si tratta duna rivista annunziata da Bontempelli col titolo 900, e non

22
C. Alvaro, Corrado Alvaro o della coerenza, Corriere della Sera, 8 aprile 1948.
23
Ibidem.
24
Id., La solita polemica, La Stampa, 21 febbraio 1933.
25
W. Pedull, Introduzione a Scritti dispersi, cit., pp. X, XVII.
216 Michelangelo Fino

ancora stampata. [] Il punto pi grave della controversia un altro. La rivista


uscir in francese, tradotta da uno scrittore francese, stampata a Firenze, edita a
Roma, e in francese per intendersi, giacch vi collaborer molta letteratura stra-
niera. Qui una gran parte di scrittori insorta. La letteratura straniera, essi dico-
no, un miscuglio semita-internazionalista-rivoluzionario, e lItalia deve stare per
conto suo col suo classicismo26.

La battaglia a favore dellitalianit condotta attraverso le pagine dei quo-


tidiani durante gli anni Trenta il riflesso di un particolare clima politico, del
quale Alvaro, insieme a tanti altri scrittori dellepoca, giocoforza risente.
Questi articoli non veicolano un messaggio politico (almeno nelle intenzio-
ni), per nascono in un contesto che invece fortemente ideologizzato, per
cui non possibile astrarre tali discorsi da questo clima, considerando, oltre-
tutto, che negli anni Trenta c un effettivo cedimento di Alvaro nei confronti
del regime 27. In sostanza il nazionalismo letterario di tale periodo addensa
intorno a s delle ombre che prima e dopo non sono ravvisabili:

[gli scrittori italiani] hanno dato un giornalismo dei pi originali e puliti, hanno
allargato i confini e compiuto i primi viaggi di una letteratura da troppo tempo
sedentaria, e imparato a guardare con occhi di italiani; [] la letteratura italiana
si distaccata risolutamente dalle influenze straniere per cui teatro e romanzo in
Italia furono, per trentanni prima della guerra, echi di un mondo non italiano
[]28.

Altrove Alvaro invoca, raggiunta quella politica, unindipendenza lette-


raria, apprezza il lavoro di chi finalmente guarda lItalia con occhi nuovi,
celebra Garibaldi, Verga e DAnnunzio, e critica chi alla barca di lupini ha
preferito il carro di grano dei pionieri del Far West29.
In un altro articolo rileva lesclusione dellintellettuale dalla sua missione
allinterno della societ e della civilt30, e auspica luniversalismo linguistico e

26
C. Alvaro, Letterati a rumore, La Stampa, 26 agosto 1926.
27
In questa sede non si ha la pretesa e lintento di stabilire quanto Alvaro sia antifascista
e quanto, ad un certo punto, si avvicini al regime. per importante accennare ai rapporti che
lo scrittore di volta in volta stringe con il mondo politico per meglio comprendere i discorsi e
le posizioni tenuti nel corso degli anni. Per un approfondimento si rimanda, fra gli altri, a E.
Misefari, Alvaro politico. Analisi di un comportamento, pref. di P. Alatri, Rubbettino, Soveria
Mannelli 1981 e V. Stranieri, Corrado Alvaro e il fascismo, Centro Stampa Sud, Bovalino 1999.
28
C. Alvaro, La solita polemica, cit.
29
Id., Una storia oscura, La Stampa, 4 novembre 1933.
30
In molte altre occasioni Alvaro denuncia la sconfitta della cultura e lo svilimento della
funzione dei letterati. Cos scrive in un articolo intitolato Un dialogo difficile apparso sulla
Stampa il 24 ottobre del 1952: oggi v la sconfitta delluomo di cultura nella sua missione
di guida e nella sua ambizione sacerdotale.
Scrivere per vivere, vivere per scrivere: Corrado Alvaro e il giornalismo 217

culturale dellEuropa, che parta necessariamente dal particolarismo degli


stati, dalla valorizzazione dellindividualit di ciascuna nazione:

Si discute molto oggi della funzione degli scrittori e degli uomini di selezione in
genere; per limitarci allItalia, le ultime polemiche letterarie sono il sintomo dun
grave malessere. Intanto, e non solo da noi, glintellettuali si sentono fuori della
loro missione, sono ridotti a n pi n meno che a una delle tante classi in cui il
mondo moderno, meglio ancora, uno dei tanti compartimenti stagni incomuni-
cabili fra di loro che il carattere di questa declinante civilt; del resto, gli avve-
nimenti dellEuropa dalla guerra a questa parte segnano la sconfitta degli intel-
lettuali31.

Dopo aver constatato il dilagare dellincomunicabilit (tema assai caro alla


scrittura alvariana) e lo svilimento della funzione dellintellettuale, Alvaro si
fa portavoce di un europeismo per certi versi moderno, in cui per pesa come
un macigno il giudizio negativo nei confronti dellesotismo:

Tant, dunque, proporre apertamente le civilt nazionali, chiuse nei loro limiti,
fino a quando lEuropa, tornata a reggersi in un assetto politico simile, e certo in
forme nuove, non parler un linguaggio concorde. Appunto perch credo
allEuropa come fatto totale parlo di chiusura entro i limiti della civilt naziona-
le. [] Per rimanere in Italia, lesotismo della nostra classe media da pi di
trentanni ha cercato di adattarsi come una colonia alle mode che le venivano da
fuori []. Appunto perch credo allimmortalit, alla universalit, alla premi-
nenza dellEuropa, io parlo di particolarismo: appunto perch so che lEuropa
inevitabilmente il prodotto delle varie civilt che la compongono e non la media
di una civilt, io parlo cos stretto32.

E spesso in questi anni Alvaro parler cos stretto. Si potrebbe parafrasare


questo modo di parlare con cieca perentoriet, tenendo presente, per, che
tale perentoriet scaturisce da una profonda consapevolezza, da una conoscen-
za ben pi vasta e lungimirante: Alvaro consapevole di ci che sta avvenendo
in Germania, in Russia e in Italia. Sa individuare e smontare i complicati ingra-
naggi che muovono i motori dellEuropa e sa interpretare le epocali trasforma-
zioni in atto, anticipandone profeticamente le drammatiche conseguenze. Ma
sa anche ci che, rispetto alla censura, lecito dire e ci che non lo ; ci che
si pu esplicitare e ci che deve restare allusivo; una cecit dunque soltanto
apparente e in un certo senso indotta. E infatti quando pu gridare, Alvaro
lo fa e con grande intelligenza: Sarebbe troppo grave che in una rubrica setti-
manale come questa non ci si accorgesse che son passati i fascisti33. Allindo-

31
Id., Glintellettuali, oggi, La Stampa, 11 maggio 1933.
32
Ibidem.
33
Id., Trucioli della storia, Il Mondo, 7 novembre 1922.
218 Michelangelo Fino

mani della marcia su Roma, lo scrittore riporta la propria testimonianza su


un avvenimento la cui portata storica sembra gi intuire, e per commentare
la grande Storia di quei giorni ricorre a una quotidianit apparentemente
banale che lascia quasi sconcertato il lettore di oggi, in grado, con il senno di
poi, di cogliere in certe sfumature linguistiche e iconografiche folgoranti anti-
cipazioni. Daltra parte, Alvaro ricorda come [n]on vi sono che gli episodi i
quali possano dar carattere a una situazione34.
Allo stesso modo non esita a denunciare ci che gli capita di vedere nella
redazione dun giornale avversario: un bastone simile a una clava lavorato,
ornato, vestito a festa, un bastone retorico che preoccupa Alvaro per il pro-
cedimento estetico, per ledulcorazione cui tale cimelio sottoposto; il timo-
re che questo bastone non sia trasformato in tagliacarte o in un bocchino da
sigarette35. E grider ancora allindomani del rapimento Matteotti con
articoli angoscianti, che ben rappresentano il clima di terrore e di smarri-
mento instauratosi nel paese:

Tutto parve provvisorio e sul punto di scomparire. Le automobili sulla strada par-
vero cariche di assassini. La gente attonita in piazza, incapace di muoversi; []
In ogni uomo un nemico di cui non sera mai sospettato []36.

Molti anni pi tardi, nel 1950, Alvaro scriver un articolo, dallemblema-


tico titolo Discorso interrotto, con cui sembra tirare le somme. A tratti larti-
colo assume le sembianze della confessione, soprattutto quando parla di quei
giovani che credevano di poter agire dallinterno del sistema della dittatura,
salvo poi constatare che il rinnovamento della vita italiana quale apparve nel
Risorgimento, il rinnovamento della cultura, tramontavano ancora una volta
nella eterna illusione37. Lincomunicabilit , secondo Alvaro, il male socia-
le pi grave dei venti anni38, ma anche il dramma dellItalia democratica del
secondo dopoguerra, come dimostra il continuo proliferare di custodi e pre-
cettori che, ieri come oggi, spiega il rachitismo della letteratura e cultura
italiana, della sua gran testa e del suo corpo deforme39.

Alvaro, anche quando fa la voce grossa, non si lascia mai travolgere da una
vera e propria vis polemica. Il suo stile sempre piuttosto pacato, il suo
discorso piano, meditato, proprio di un attento osservatore che predilige la
scrittura composta e misurata alla violenza verbale, un senso adulto della

34
Ibidem.
35
Id., Denunzia, Il Mondo, 20 settembre 1923.
36
Id., Cronaca, Il Mondo, 6 luglio 1924.
37
Id., Il discorso interrotto, La Stampa, 5 aprile 1950.
38
Ibidem.
39
Id., Un giro di vite, Il Mondo, 27 ottobre 1951.
Scrivere per vivere, vivere per scrivere: Corrado Alvaro e il giornalismo 219

misura che si traduce nel rifiuto di atteggiamenti estremistici o nichilisti-


ci40. Da questo punto di vista, il giornalismo alvariano degli anni Trenta
sembra qualitativamente inferiore rispetto alle altre sue stagioni giornalisti-
che, perch perde la naturale genuinit in favore di unenfasi, una retorica e
un tono declamatorio che non gli appartengono. Alvaro ama ragionare e far
ragionare, capire e far capire senza clamore, senza aggressivit, accerchiando
pazientemente lobiettivo per centrarlo inesorabilmente. Una calma, una
pacatezza, una tendenza allastrazione (riflessione) che sono qualit tipica-
mente meridionali. Di qui un atteggiamento paterno soprattutto nei con-
fronti dei lettori giovani per mostrare loro il mondo anche nei suoi aspetti
meno gratificanti; non barare mai []; guardare tuttavia al futuro con lot-
timismo dello storicista41.
Il viscerale legame con il Sud porta Alvaro a discutere frequentemente la
spinosa questione meridionale, che lo scrittore calabrese sa affrontare con
uno spirito critico originalissimo e persuasivo derivante dalle sue doti intel-
lettuali e insieme dalla profonda conoscenza del problema. In certi casi il suo
giornalismo sembra essere avanguardistico nel senso che lapproccio alle pro-
blematiche meridionali scardina gli schemi interpretativi tradizionali per
seguire un personalissimo discorso logico-ermeneutico, che potrebbe lasciare
interdetto il lettore meno attento; ragionamenti talmente sottili che rischia-
no di essere equivocati, di far gridare allo scandalo, di scatenare le reazioni
indignate di politici e intellettuali perbene, ma che Alvaro sa adoperare chi-
rurgicamente per cogliere lessenza del problema. La sua arte giornalistica
propriamente moderna, aggettivo certo troppo generico e poco caratterizzan-
te, se non lo utilizzassimo nel senso che lo stesso Alvaro ci suggerisce quando
parla dellarte: Unarte non moderna perch riproduce gli avvenimenti del
tempo, ma perch riecheggia lo spirito del tempo42. Ebbene, il suo giornali-
smo non si riduce mai a una mera riproduzione cronachistica; le sue parole
sanno penetrare e rievocare lo spirito degli avvenimenti, sanno restituire il
colore e le sfumature degli eventi attraverso cui capire il proprio tempo.
Uno degli esempi pi significativi in tal senso rappresentato da un arti-
colo su Salvatore Giuliano, articolo che conserva una straordinaria attualit
pensando a noti personaggi malavitosi del nostro tempo, che hanno ripropo-
sto, ad esempio, il tema della mitizzazione del cattivo. Alvaro, in questo e
in tanti altri articoli, non si pone semplicemente delle domande, ma d anche
delle risposte, che offrono la giusta chiave interpretativa per una definitiva
soluzione: quello meridionale il problema della stessa essenza civile
dellItalia43, una questione che non si pu credere di risolvere in termini

40
G. Rando, Corrado Alvaro narratore, cit., p. 161.
41
Ivi, p. 160.
42
C. Alvaro, Prevalenza del teatro, Il Mondo, 4 ottobre 1923.
43
Id., Giuliano, La Stampa, 8 maggio 1949.
220 Michelangelo Fino

puramente economici, giacch il problema duna vita morale e sociale che


possa determinare uneconomia, cio un modo dessere44.
Una questione che non si risolve con la feroce e incondizionata repressio-
ne n con il fiscalismo di leggi che si abbattono indistintamente sui carnefi-
ci e sulle vittime di un sistema di vita fatalmente corrotto. Alvaro non assol-
ve certo i briganti, ma invoca un impegno serio e responsabile da parte del
governo, affinch prima di pensare come punire un assassino, intervenendo
in modo tanto repentino quanto grossolano, rifletta sul perch nel sud si
commette un omicidio; e acutamente lo scrittore ricorda come la carriera
omicida di Giuliano e la sua persecuzione siano iniziate per avere portato di
contrabbando un sacco di farina in citt mentre tutta la Nazione formicola
di speculazioni e di mercati neri. Alvaro auspica la condanna per i colpevoli-
malavitosi, ma insieme e prima quella dei responsabili-politici, ignoranti del
problema e complici dellanomalia politica, economica e sociale del sud:

Alla fine, sollecitato dal discredito che veniva al Paese dagli atteggiamenti di
Giuliano, dalle sfide di questo sventurato alle autorit dello Stato e allopinione
pubblica, il Governo ha aperto contro di lui loffensiva decisiva. Chi ha veduto le
condizioni in cui vive una intera contrada a pochi chilometri da Palermo, fra il
terrore dei banditi e quello delle forze di polizia, fra le vittime di questa e di quel-
la parte, la catena delle vendette, delle denunce, le fughe verso la montagna []
si domanda come lavventura di Giuliano abbia potuto durare tanto. C anche
da domandarsi, alla fine, come mai un bandito, macchiato di decine di delitti,
abbia potuto rappresentare un personaggio di fronte a cui ogni terribilit sangui-
nosa passava in seconda linea, per cedere il posto a una certa attrattiva, se non a
piet, come verso il figlio di una terra generosa che ha piegato al male, una forza
non comune, un ingegno strategico, unaudacia, un senso primordiale della giu-
stizia, divenuto delinquenza. Giuliano sembra uno di quei campioni della dispe-
razione che lItalia ha dato troppe volte nella sua storia, votati al male e quasi con-
dannati al male, ma ugualmente tipi umani considerevoli45.

Il Giuliano alvariano un assassino, ma ancor prima uno sventurato,


il figlio di una terra generosa che ha piegato al male una forza, un ingegno
e unaudacia fuori dal comune, un campione della disperazione quasi con-
dannato al male. Questa versione novecentesca del self-made-man verghiano
capace di passare dalla sconfitta alla vittoria, per forza di cose acquista davan-
ti agli occhi dei diseredati unaura mitica, diventando un modello da seguire
se si vuol cambiare vita; al popolo disperato del profondo sud non importa
affatto come Giuliano da perdente si trasformi in vincente, ci che importa
cambiare stato, lasciarsi alle spalle gli affanni e le amarezze di un destino
avverso, le sconfitte e le umiliazioni subite in secoli di domini e di occupa-

44
Id., Biografie meridionali, Corriere della Sera, 11 settembre 1954.
45
Id., Giuliano, cit.
Scrivere per vivere, vivere per scrivere: Corrado Alvaro e il giornalismo 221

zioni. Occorre resistere ai torti della Storia e reagire, in un modo o nellaltro,


alla farsa del recente passato, al finto Risorgimento e allUnit imperfetta46. Al-
varo conosce bene questa Storia, conosce lanimo dei cittadini meridionali e sa
che le cicatrici impresse sui corpi di questi individui non si cancellano a colpi
di schioppettate. Occorre comprendere la psicologia degli emarginati prima di
giudicare i loro atti, ricorrere alla responsabilit e al senso civile, preoccuparsi
delle origini e dei sintomi dei mali se si vuole risolvere il problema della con-
vivenza nellItalia meridionale. Secondo Alvaro, uno dei pi madornali errori
interpretativi del governo quello di non capire che spesso i cittadini meridio-
nali, lungi dallessere complici, sono le uniche, vere vittime:

Perseguire col fiscalismo di una legge disattenta cui molti sfuggono ridendo e pochi
soccombono sanguinando, vuol dire spingere la miseria alla rivolta, alla criminalit.
Perseguitare intere famiglie, complici volontarie, e pi spesso involontarie, dei ban-
diti quando le forze di polizia sono incapaci per mesi e per anni di difendere la casa,
la famiglia, la libert, lintegrit e la libert dei cittadini [] questo seminare un
male inestinguibile [] e non preoccuparsi invece delle origini e dei sintomi di
quei mali e non prevederli e non tentare di porvi riparo, pericoloso errore47.

Quanta drammatica attualit in queste parole: una popolazione costretta


a stringere un patto di alleanza con le organizzazioni malavitose di fronte alla
totale assenza dello Stato e una storia millenaria che si ripete allinfinito sem-
pre uguale, con le stesse vittime e gli stessi carnefici, la stessa indifferenza, la
stessa complicit e la stessa ignoranza. Giuliano non sar preso vivo, possia-
mo star certi: anche in questo Alvaro avr ragione48. Larticolo si chiude con
unamara quanto ineccepibile considerazione sulla storia dellItalia, su un
paese che, a dispetto di ci che diceva DAzeglio, ben lungi dallessere fatto:

Giuliano non potr parlare ma non sar lultimo nella discendenza di tanti tristi
personaggi, il cui dramma troppo ripetuto da quando incominciata la storia
della democrazia, fa balenare il sospetto che si tratti di una protesta pazza e inu-
mana di un dramma ben altrimenti umano e paziente. ancora il dramma del-
lunit italiana. E non piacevole che una storia di briganti si tiri dietro conside-
razioni di questo genere49.

Le altre due questioni legate al problema meridionale sono lemigrazione


e lanalfabetismo. Nellaffrontare problematiche cos delicate il punto di par-

46
NellItalia meridionale pi che altrove, si pu parlare del Risorgimento come di una
rivoluzione liberale fallita. Id., Donne di passo e avventure in un albergo siciliano, La Stampa,
22 dicembre 1948.
47
Id., Giuliano, cit.
48
Il cadavere di Salvatore Giuliano verr trovato nel cortile di una casa di Castelvetrano il
5 luglio 1950.
49
C. Alvaro, Giuliano, cit.
222 Michelangelo Fino

tenza della sua indagine sempre lo stesso (profonda conoscenza del feno-
meno meridionale), ma cambia di volta in volta il percorso di tale indagine,
senza peraltro che ci comporti delle differenze nel risultato finale: ogni arti-
colo, pur variando la prospettiva, ci restituisce unanalisi puntuale della realt
meridionale, illuminando un microcosmo indecifrabile per chi meridionale
non (e spesso Alvaro nei suoi articoli sottolinea limportanza, anzi la neces-
sit di avere sangue e anima meridionali per capire il sud). A volte, infatti, lo
scrittore indugia su aneddoti apparentemente divertenti, personaggi bizzarri,
vicende romanzesche, ricorrendo a un tono semiserio per spiegare un dram-
ma (lemigrazione) che, in quanto tale, serissimo. Questo particolare pro-
cedimento, peraltro, funzionale alla rappresentazione di alcune doti carat-
teriali e intellettuali dellindividuo meridionale: lo spirito di sacrificio e di
sopportazione, un certo ottimismo e lirriducibile speranza in un avvenire
migliore. Ecco perch le partenze degli emigranti si consumano in unatmo-
sfera inspiegabilmente (per chi non li conosce) allegra e spensierata:

Alla stazione di Milazzo, aspettando il treno, arriv unaltra comitiva di emi-


granti. Si misero a giocare a piastrelle. [] Era dovunque una tranquilla speran-
za e attesa, specialmente fra questi che giocavano eludendo il loro misterioso
destino. Altre partenze in montagna. Vanno via col sacco della biancheria, col
pane e il companatico nella manica della giacca legata al polso, e la giacca sulle
spalle. Cantano, fanno quattro salti in piazza, partono con lamico che li accom-
pagna alla stazione suonando lorganetto. [] Perch lemigrante come il sol-
dato da guerra. Parte attrezzato e con molti nonnulla, e col sacco. Butta via tutto
in prossimit della lotta tenendosi in tasca lultimo pezzo di pane, come il solda-
to le cartucce50.

Dietro la commedia si adombra inevitabilmente il dramma, e lemigran-


te fiero e fiducioso parte come il soldato che affronta la morte a testa alta,
pronto a sparare fino allultima cartuccia prima di arrendersi al proprio ine-
luttabile destino. Probabilmente i pezzi migliori di Alvaro riguardanti la que-
stione meridionale sono proprio quelli in cui piuttosto che affrontare pole-
micamente il problema prendendolo di petto, si mette a raccontare straordi-
nari episodi di ordinaria vita meridionale, i cui protagonisti, altrettanto
straordinari, sono perfetti sconosciuti, tipi normalissimi per il sud, personag-
gi che pirandellianamente fanno prima sorridere e poi riflettere. Ecco, la
grande lezione di Pirandello sembra trasparire inequivocabile da questi vir-
tuosismi giornalistico-letterari.
In Giornate dellemigrante lo scrittore parte da una rapida quanto puntua-
le ricostruzione storica del fenomeno dellemigrazione, ripercorrendo le prin-
cipali tappe (Africa e America), per poi passare in rassegna, come se ci tro-

50
Id., Giornate dellemigrante, La Stampa, 23 ottobre 1926.
Scrivere per vivere, vivere per scrivere: Corrado Alvaro e il giornalismo 223

vassimo a teatro (e sul teatro Alvaro scriver tanto attraverso i giornali), gli
attori protagonisti di commedie agrodolci. Commedie che, viste dal di fuori,
si trasformano in drammi individuali e collettivi, per quanto, e qui c tanta
parte dellessenza meridionale, i protagonisti nella loro felice inconsapevolez-
za continueranno a recitare il copione di una curiosa e stravagante comme-
dia. Attraverso queste storie eccezionali lautore riesce a fare chiarezza, a
sgombrare il campo da tanti luoghi comuni, a sfatare i falsi miti che circon-
dano i meridionali, la loro vita, la loro storia. Si scopre cos unumanit inso-
spettabile, uno spirito imprenditoriale da far impallidire il pi intraprenden-
te uomo settentrionale, uningegnosit e una disponibilit al nuovo che stri-
dono con lo stereotipo del meridionale ottuso, passivo, refrattario a qualsiasi
novit. Alvaro sa che molto spesso queste qualit restano ad uno stadio
potenziale senza che si traducano in atto, ma sa altrettanto bene che non
tanto un problema di volont quanto di mancanza di opportunit. Un ser-
batoio inesauribile, quello alvariano, dal quale attingere storie51 di improvvi-
se e folgoranti vocazioni come quella del minatore che, tornato in patria, si
mette a fare lorologiaio:

Questa sua vocazione, che era il riscatto dellintelligenza sulla vita materiale, lo
fece pallido e affilato. Impar, a furia di sfruconare, come si fa camminare un
orologio. Queste scoperte gli diedero lebbrezza, e si mise in testa di fabbricare un
orologio che addirittura si caricasse ogni ventanni52.

Storie di cocenti delusioni come quella del fabbricatore di gazzose:

Un altro, in un paese di mille abitanti dove cera appena danaro per le semine, si
mise a fabbricare gazose con una sua macchina infernale, con essenze inventate
da lui, e certi meravigliosi colori. Fall naturalmente, e io lo vidi amaro presso la
sua macchina morta, e accanto la zappa lucente cui aveva dovuto tornare53.

Storie di fallimenti che rivelano la profonda, autentica umanit dellani-


mo meridionale, come quella del tagliaborse che salva il prete del suo paese
dallaggressione:

un giorno, stando appostato coi suoi in una strada, vide venire avanti un pacifi-
co prelato con una croce doro sul petto e un anello al dito. Gli parve di ricono-
scerlo. Ma quello proprio uno del suo paese. Il suo paese! Si volse alla sua com-
pagnia che agognava gi quelloro, e disse: Non lo vedete? un miserabile che
io conosco, un millantatore che porta addosso tutta roba falsa, un vero malan-

51
Storie, quelle raccontate in questarticolo, che alimenteranno pi tardi opere quali Gente
in Aspromonte e Lamata alla finestra.
52
C. Alvaro, Giornate dellemigrante, cit.
53
Ibidem.
224 Michelangelo Fino

drino e furfante come noi. Cos lo salv. Con questi suoi sentimenti, neppure
quel mestiere pot durare, e tornato a casa and a raccontare al prete come lave-
va salvato54.

La storia dellemigrante meridionale talmente affascinante che, afferma


Alvaro, bisogna scrivere il romanzo dellemigrante italiano55.
Altre volte il tono si fa pi serio, quando il giornalista prevale decisa-
mente sullo scrittore, rinunciando ai modi romanzeschi. Di qui i pezzi pi
vicini allinchiesta e alla pura denuncia sociale, come quello scritto allindo-
mani dei tragici fatti di Crotone56, nel quale Alvaro effettua unattenta anali-
si storico-sociale del fenomeno dellemigrazione. Insopportabile vita nel paese
natale si apre con un rapido excursus che fissa alcune delle tappe centrali della
maledetta storia calabrese, individuando quei mali secolari, come il feudalesi-
mo, che hanno condannato la Calabria ad avere una plebe sempre per forza
in rivolta e a non avere una convivenza civile, n quella borghesia e piccola
borghesia di intellettuali, quella classe media industriosa e affaristica che in
tutto il resto dItalia si era rafforzata []. La Calabria aveva conosciuto sol-
tanto feudatari piovuti sulle sue terre a dominare57. Con lunit dItalia lim-
perativo per la grande massa stremata fu quello di fuggire, abbandonare
questo paese maledetto. Lemigrazione, osserva Alvaro, fu per la plebe cala-
brese innanzitutto il mezzo di evasione e il primo strumento della lotta di
classe:

Chi tornava con qualche risparmio, si accorgeva di non poter pi sopportare la


vita nel paese natale; aveva appreso il rispetto delluomo e il salario del lavoro; ed
emigrava nuovamente con quella nostalgia che rode di continuo i calabresi, fatta
dun amore disperato e mai ricambiato58.

Lo scrittore individua, quindi, il cuore del problema dellemigrazione: la


fuga di cervelli verso il resto del Paese e la conseguente assenza di un ceto
medio che faccia da intermediario tra ricchi e poveri, che eserciti quel pote-
re mediatore prerogativa imprescindibile di ogni societ civile59. Fuga di
disperati, una fiumana incontrollabile e indistinguibile di buoni e di cattivi,
di menti ferine e di menti brillanti:

54
Ibidem.
55
Ibidem.
56
Il 29 ottobre del 1949 segna il tragico epilogo delle lotte agrarie scoppiate in tutto il
meridione del periodo postbellico, e iniziate allindomani della ratifica dei Decreti Gullo da
parte del Ministro allAgricoltura Antonio Segni. Quel giorno, tristemente noto come il gior-
no dei fatti di Melissa, la polizia reprime nel sangue la protesta dei contadini.
57
C. Alvaro, Insopportabile vita nel paese natale, La Stampa, 18 novembre 1949.
58
Ibidem.
59
Spesso Alvaro nei suoi articoli individua nellassenza della classe media, del cemento co-
me la definisce, la causa prima del deficit del Mezzogiorno. Cfr. Id., Biografie meridionali, cit.
Scrivere per vivere, vivere per scrivere: Corrado Alvaro e il giornalismo 225

Quelli che con gli altri meridionali si sparsero nella nostra penisola, furono il
nerbo della burocrazia, della polizia, delle professioni liberali []. Vale a dire
penetrarono nel circolo della nazione, e in quello che ha di pi delicato lo Stato.
E qui torna la frase di Mazzini, che lItalia sar ci che il Mezzogiorno sar. []
Naturalmente, col peggio, cio col pi istintivo e ferino della popolazione meri-
dionale, fugge anche il pi vigoroso, il pi intraprendente, se non il migliore e il
pi intelligente. il fenomeno pi grave della societ calabrese: la mancanza di
convivenza civile. Evade lelemento sociale pi inquieto e audace. Evade lele-
mento intellettuale, quando pu evade lelemento direttivo. Resta la plebe, tra i
fornitori di merci e lusura, fornitori di medicine, di consigli, di processi; insom-
ma, fornitori di dolori e di lacrime60.

Oggi peraltro si assiste, sottolinea Alvaro, a unevoluzione del fenomeno


emigrazione, che non ha pi come protagonista il meridionale qualificato che
tenta la sorte nelle grandi citt dItalia, ma quello che fugge il suo paese die-
tro ai nomi, magici per qualunque meridionale, delle citt del Nord61. E qui
si consuma un dramma nel dramma, perch i meridionali sono costretti a
scontrarsi con un clima ostile, fatto di diffidenza, quando non odio; come
avviene, ad esempio, a Genova, dove esiste una popolazione fuori legge di
circa trentamila persone:

Queste, naturalmente, non hanno diritti, cio diritto al lavoro. Vi sono i qua-
rantamila disoccupati della citt. E naturalmente la massa degli immigrati fuori
legge accusata di togliere ad essi il pane. E siamo al noto dramma meridionale
che ha per scena tutte le citt italiane che abbiano una rinomanza di ricchezza e
in cui si pensa che qualche briciola possa cadere sotto la tavola62.

Spesso questi nuovi disperati sono costretti a tornare nel loro paese pi
disperati di prima e soprattutto pi poveri di prima, perch hanno perso
anche la speranza in un futuro migliore. Ecco perch, secondo Alvaro, tutta
la vita nel sud si consuma da decenni nellillusione del divenire63, e porta i
calabresi (emblemi qui del popolo meridionale) a reputarsi esuli di un regi-
me insopportabile64.
Altrove lo scrittore ricorda come larretratezza economica del sud tragga
origine soprattutto dallisolamento, che a un tempo storico, geografico e
culturale. Di qui la suggestiva associazione tra impraticabilit geografica e
impenetrabilit culturale, che sembra rimarcare la convinzione alvariana
secondo cui allorigine di tutti i mali meridionali ci sia una certa fatalit,

60
Id., Insopportabile vita nel paese natale, cit.
61
Ibidem.
62
Id., Tempi crudeli, La Stampa, 2 ottobre 1951.
63
Id., Biografie meridionali, cit.
64
Id., Insopportabile vita nel paese natale, cit.
226 Michelangelo Fino

unostile predestinazione che rappresenta un handicap di partenza. Come la


storia e come gli uomini che lhanno fatta, anche la natura stata poco bene-
vola, se non propriamente matrigna, nei confronti degli uomini del sud:

Leconomia, come il commercio, come lindustria, come le idee dellItalia meri-


dionale, hanno una comune causa alle loro crisi da tempo immemorabile: liso-
lamento, la deficienza delle comunicazioni, limpraticabilit geografica della
regione che diventa impenetrabilit culturale65.

Questo isolamento li colloca in una dimensione quasi magica e surreale


che aiuta a capire situazioni paradossali come quella per cui in molti paesi
non fu possibile mai istituire una sezione del partito perch portare la cami-
cia nera , nel popolo, un segno di lutto66. Come se non bastasse, infatti, il
quadro della realt meridionale si complica ulteriormente aggiungendo un
dato che, ricorda Alvaro, Verga gi diede poeticamente e con amore:

che la vita delluomo meridionale pare accada in una dimensione al disopra e al di-
fuori dellindividuo e della sua volont, per un capriccio assurdo e inesplicabile.
lo stesso senso dei canti popolari meridionali. Ed il problema meridionale67.

La letteratura meridionale ha sempre evocato limmagine di un sud che


vive in una dimensione metatemporale e metaspaziale, un mondo spento,
lunare68 che sopravvive al di l della Storia, in una realt altra che sfugge a
qualsiasi tentativo di determinazione logica. Il problema meridionale anche
questo: nella coscienza che la vita del sud immersa in atmosfere mitiche e
ancestrali come quelle che ci restituiscono i canti popolari; in un destino
indecifrabile e assurdo che regola le esistenze degli uomini meridionali69; in
un enigma imperscrutabile simile al sorriso ironico, pungente e nello stesso
tempo amaro70 dellignoto marinaio di Antonello; in fatalit esteriori,
nella terrificante insularit di animo e nei paesaggi malefici, giogaie male-
dette, pianure malariche e torpide [] paesaggi calabresi e basilischi del
romanzo lampedusiano71; nel fango e nella pioggia che ricoprono lalba livi-

65
Id., La stella del sud, La Stampa, 1 giugno 1952.
66
Ibidem.
67
Id., Biografie meridionali, cit.
68
Id., Gente in Aspromonte, Garzanti, Milano 2000, p. 8.
69
Segni che, per esempio, si notano anche sui volti dei mendicanti meridionali, che vaga-
no per le strade di Roma e che li distinguono da tutti gli altri mendicanti: Ho veduto men-
dicanti dogni specie. Quelli dellItalia meridionale come colpiti da un male mitico, disperati
e con la voce dei castighi di Dio, quelli del nord sagaci e solidi come banchieri, quelli di Parigi
e di Berlino che a capodanno [] suonano violini impetuosi come per una serata donore.
Id., Primavera dei poveri, La Stampa, 24 aprile 1926.
70
V. Consolo, Il sorriso dellignoto marinaio, Mondadori, Milano 2002, p. 14.
71
Cfr. G. Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Feltrinelli, Milano 1998, pp. 164, 217.
Scrivere per vivere, vivere per scrivere: Corrado Alvaro e il giornalismo 227

da sferzata dal vento gelido della Sicilia pirandelliana72; nel [m]are amaro73
verghiano che inghiotte la Provvidenza.
Un mondo enigmatico che, tuttavia, conserva al suo interno una logica
chiarissima. Ecco perch, ad esempio, lArgir alvariano pu dire: Beati
quelli che stanno nelle citt dove invecchiano tardi, perch hanno tanti pia-
ceri. Hanno le case grandi e comperano quello che vogliono perch guada-
gnano. Ma non hanno le pere da inverno e i pollastri che abbiamo noi74.
C, probabilmente, un solo modo per tentare di capire la vita meridionale,
ed quello di farne parte, di esserne lespressione, lemanazione diretta:
una vita alla quale occorre essere iniziati per capirla, esserci nati per amarla75.
Anche sullaltro grande problema meridionale Alvaro scrive molto: lanal-
fabetismo e il problema dellistruzione. Ed anche di fronte a questo tipo di
questioni, il suo giornalismo passa da articoli-inchiesta di forte denuncia76 a
pezzi giornalistici in cui prevale il gusto per laneddoto. Ne citiamo uno
appartenente a questa seconda tipologia, dove un dettaglio apparentemente
insignificante raggiunge il cuore del problema e illumina la coscienza del let-
tore. Per lo scrittore calabrese la scuola nel sud si risolve, anche o soprattut-
to, in una questione di scarpe. Una questione che, a ben vedere, investe il senso
civico di un Paese intero e costituisce la risposta a tutta una serie di doman-
de; al perch, per esempio, non impariamo come essere onesti, leali, dotati
di civismo, pagare le tasse, occuparci del problema meridionale oppure al
perch non siamo come gli svizzeri o gli svedesi:

Per la stessa ragione per cui i ragazzi di molte scuole meridionali hanno un libro
di testo per ogni gruppo di tre o sei, e scrivono i loro compiti sulle righe, e poi
in croce sulle righe gi scritte. Non possono comprarsi il libro o il quaderno,
come poi non potranno comprarsi la decenza, il civismo, e forse lonest. Io fui
ragazzo in una di coteste scuole: il maestro rimandava indietro gli alunni che non
serano lavati i piedi, scalzi. Non pretendeva che avessero le scarpe per la buona
ragione che non ne avevano. Il rispetto della scuola anche una questione di scar-
pe, come essere buoni svizzeri o svedesi77.

Nel sud il civismo e la buona educazione sono merci rare, impossibili da


acquistare almeno fin quando mancheranno le scarpe. Alvaro non si rassegna,

72
Cfr. L. Pirandello, I vecchi e i giovani, Mondadori, Milano 1967, p. 9.
73
G. Verga, I Malavoglia, in I grandi romanzi, pref. di R. Bacchelli, a c. di F. Cecco e C.
Riccardi, I Meridiani, Mondadori, Milano 1997, p. 35.
74
C. Alvaro, Gente in Aspromonte, cit., p. 49.
75
Ivi, p. 9.
76
Si pensi, per citare alcuni esempi tra i tanti, a Inchiesta tra gli analfabeti apparso sulla
Stampa il 28 luglio 1948 o a Chi parte chi resta uscito sul Corriere della Sera il 28 febbraio 1947,
in cui Alvaro auspica una radicale riforma dellistruzione incentivando la diffusione di scuole tec-
niche per arginare il continuo, ingiustificato e dannoso proliferare delle scuole classiche.
77
C. Alvaro, Emblemi, Corriere della Sera, 4 maggio 1954.
228 Michelangelo Fino

come il maestro del sud, continua a lottare affinch tutti gli scolari, oltre ai
piedi puliti, abbiano un paio di scarpe. Lo scrittore calabrese critica aspra-
mente gli abitanti del nord (un nord non soltanto italiano), che non com-
prendono e mai comprenderanno78 che, per quanto scandaloso e inconcepi-
bile, la decenza degli alunni del Meridione passa, ieri come oggi, attraverso
due piedi perfettamente puliti. Questi frettolosi visitatori stranieri nel nostro
Paese, dice Alvaro, non sanno, non vedono, non capiscono e non possono
capire:

E poich il Paese non il loro, dicono che la libert non per noi. Non possono
capire che, a onta di ogni episodio, se v un Paese che ha al sommo delle sue
preoccupazioni la decenza, e sia pure per ragioni di apparenza [] questo il
nostro. E che le sue qualit cattive sono lestrema manifestazione delle sue miglio-
ri tendenze quando non pu manifestarle 79.

Alvaro ci lascia un quadro controverso e preoccupante della realt italiana


della prima met del Novecento, smascherando gli aspetti pi negativi e
facendo emergere le verit scomode di un Paese che cerca affannosamente
una propria identit. Gli si potrebbe contestare di cavalcare il malessere meri-
dionale per dipingere a tinte esasperatamente fosche laffresco della societ
italiana, ma un giornalista risponderebbe che il suo mestiere quello di
denunciare ci che non funziona, di mostrare innanzitutto il marcio delle
cose. Alvaro, probabilmente, riprendendo lintuizione di Mazzini secondo
cui LItalia sar ci che il Mezzogiorno sar80, replicherebbe che non si
intende lItalia se non si capisce lItalia meridionale81.

78
Pi volte Alvaro prende le difese della sua terra contro i giudizi e i pregiudizi degli stra-
nieri. Cfr., ad esempio, il sopraccitato Giuliano. Ma laspetto pi interessante notare come i
politici italiani siano considerati da Alvaro alla stregua dei frettolosi visitatori stranieri, per-
ch incapaci come questi di comprendere il fenomeno meridionale. Il punto che, almeno, i
cittadini stranieri possono essere assolti per il fatto stesso di vivere in altri Paesi, alibi al quale
i governanti italiani non possono aggrapparsi per quanto, direbbe Alvaro, vivano soltanto
idealmente nella stessa nazione.
79
C. Alvaro, Emblemi, cit.
80
Id., Insopportabile vita nel paese natale, cit.
81
Id., Donne di passo e avventure in un albergo siciliano, cit.
DANIELA CARMOSINO

Volevo solo parlare esplicito.


La scrittura giornalistica di Riccardo Bacchelli

Ad appena diciotto anni, pensava di fare lo scrittore gi allora?


No, non ci pensavo. Volevo solo parlare esplicito1.
Laffermazione sembra mal conciliarsi con la naturale decadente fram-
mentariet della prosa2 di Bacchelli, cos descritta da Pampaloni, con quello
stile che Cecchi defin barocco, Contini sontuoso, Momigliano oratorio.
Eppure, se spostiamo il discorso dal livello stilistico a quello dei contenuti, in
ci davvero si pu ritrovare la spinta propulsiva della produzione giornalisti-
ca di Bacchelli. Ed in particolar modo nella polemistica che limpegno a
parlar esplicito si fa dovere, atto di coraggio, non di rado fieramente esibito.
Vastissimo e diversificato, per quanto concerne i generi e le testate, il cor-
pus di scritti giornalistici di Bacchelli, che agli inizi della sua carriera di scrit-
tore riusciva a guadagnare qualche lira pubblicando, su periodici e quotidia-
ni, novelle, liriche, romanzi a puntate, resoconti di viaggio in Italia e alleste-
ro, recensioni letterarie e teatrali, interventi di critica darte, di carattere
sociale e di costume, di tema politico o religioso, molti di questi raccolti e
subito editi in volume.
Figlio dun influente e colto avvocato deputato liberale di formazione
cavouriana e presidente dellAmministrazione provinciale, della Societ del
Quartetto e della Societ Francesco Francia per le belle arti la cultura let-
teraria, a predominanza umanistico-goethiana, Bacchelli laveva respirata sin
dai primi anni, grazie a quel piccolo cenacolo letterario cui aveva dato vita
sua madre, la musicista fiorentina ma originaria del Wrttenberg, Anna Bu-
miller. Da lei Carducci, che godeva in quegli anni piena autorit nel panora-
ma culturale bolognese e di cui Bacchelli fu poi allievo, si faceva leggere in
lingua originale le poesie di Klopstock e di Platen. Umanesimo goethiano,
cattolicesimo e carduccianesimo: questi i primissimi nutrimenti dello scritto-
re in una Bologna conservatrice, nei cui caff, per, gi si cominciava a discu-
tere di socialismo e liberalismo.

1
A. Briganti, Riccardo Bacchelli, ed. La Nuova Italia, Firenze 1967, p. 3.
2
G. Pampaloni, Riccardo Bacchelli o degli sposi promessi, Il Ponte, n. 48.
230 Daniela Carmosino

Lesordio sulle pagine dei giornali avviene nel dicembre 1909 in una testa-
ta di tutto rispetto: Il Resto del Carlino, definito dallo stesso Bacchelli il
pi bel giornale dItalia! Aperto a tutti [...]. Ma da un altro punto di vista,
uno zibaldone indigesto e senzordine continuativo!3.
Proprio in quellanno, passando sotto la direzione ufficiale di Pio
Schinetti, ma di fatto diretto da Mario Missiroli, il giornale perdeva il suo
storico indirizzo filo-giolittiano, democratico e popolare per collocarsi in
unarea pi conservatrice ed agraria. Proprio a Missiroli si deve larruolamen-
to di nuove e prestigiose firme, molte quali colte nella nascente area vociana:
Prezzolini, Papini, Amendola e poi Gentile e Croce. E, naturalmente,
Bacchelli, dapprima in veste di critico teatrale e sporadicamente come auto-
re di novelle: era infatti questo un genere che, richiestissimo in quegli anni,
poteva rappresentare per molti autori esordienti una discreta fonte di guada-
gno. Ma la produzione pi interessante quella che Bacchelli stesso avrebbe
poi definito note pi veramente satiriche del costume che non di polemica
politica, esprimenti gli umori di un liberale conservatore4.
Ha inizio nel 1912 la collaborazione al settimanale bolognese Patria,
rinato nellanno precedente dopo essere stato assorbito, alla fine
dellOttocento, proprio dal Resto del Carlino. Nello Quilici, che giusto dal
1912 aveva assunto la direzione del giornale, era anche lui di provenienza
vociana. In un prezioso articolo5 pubblicato proprio in questa sede, Bacchelli
illustrava, con una vis polemica che caratterizzer molti dei suoi interventi, i
due principali problemi che gravavano sulla qualit dei giornali dellepoca: la
mancanza di contributi statali che li costringevano a far ricorso a sovvenzio-
ni da parte di soggetti diversi, talvolta persino ideologicamente contrapposti
e quali conseguenze del primo la scarsa indipendenza di giudizio e la cau-
tela nel muovere critiche. Un quotidiano costa molto spiega Bacchelli un
quotidiano sempre passivo. Da tutto questo risulta che un giornale lega-
to da tutte le parti e non pu prendere posizioni nette [...]. molto pi pro-
ficuo non rispondere agli attacchi, lasciar dire, abolire addirittura ogni discus-
sione. Di qui la vergogna culminante del giornalismo moderno: labolizio-
ne delle polemiche [...] le polemiche serie, in cui si depura e si rafforza lopi-
nione messa alla prova dallopinione contraria. Cos Bacchelli spiega la rina-
scita, in quegli anni, dei settimanali, meno costosi e meno obbligati a rin-

3
R. Bacchelli, La rinascita del settimanale. Patria 27 aprile 1912.
4
Id., La politica di un impolitico (1948). Scrive lautore: raccolgo in questo volume, con
la data e lorigine di ognuno, gli scritti che testimonino la mia partecipazione intellettuale e
direi umana ai fatti politici dal 14 al 45. Non sono scritti politici in senso stretto, ma pi
tosto riflessioni sotto lassillo dei fatti, riepiloghi di ansie []. Se diretta partecipazione ho
avuto alla politica militante essa si riduce ad articoli sulla Voce antigiolittiana e antitripoli-
na e sul settimanale bolognese Patria.
5
Id., La rinascita del settimanale, cit.
Volevo solo parlare esplicito. La scrittura giornalistica di Riccardo Bacchelli 231

correre freneticamente la notizia. E cos noi ci spieghiamo il desiderio dello


scrittore di esibire, per reazione e talvolta con qualche forzatura, la propria
capacit di parlar chiaro intesa come coraggio di denunciare, di attaccare, di
additare senza timori. Sempre dal medesimo articolo si evince quello che per
Bacchelli dovrebbe essere il compito di un giornale; dunque, quello cui mira-
va la redazione del Patria, di cui lo scrittore faceva parte: proporsi come
organo dautorit in materia intellettuale, di scambio, discussione, promuo-
vere cultura e non la distinzione operata dallo stesso autore offrire mera
informazione. Questa lesplicita dichiarazione dintenti: Non vogliamo nulla
pi che formare un gruppo di forse neppure duecento persone, giovani per
lo pi, che critichino pure e demoliscano (se ci riescono) per primi noi stes-
si, ma si trovino, si possano qualche volta intendere, sappiano pensar colla
testa loro, ne sentano il dovere. E in chiusa: Tutto sar serio e convinto nel
giornale, non una riga messa l per riempire o per piaggiare [...]. Ricorreremo
a tutte le rclame. Non abbiamo nessuna delle solite paure desser detti ciar-
latani, sfacciati o libellisti o ridicoli. Quindi inutile farcene sventolare lo
spauracchio. Vogliamo essere sentiti.
Negli otto numeri di Patria usciti da aprile ad ottobre compare costan-
temente la firma di Bacchelli: gi dando un primo sguardo ai titoli salta subi-
to agli occhi come i temi degli interventi (la guerra, la questione dei Balcani,
listruzione pubblica) come pure gli autori recensiti (Soffici, Slataper,
Rolland, Claudel) indichino una perfetta coincidenza con gli interessi vocia-
ni. Daltronde, la firma di Bacchelli compare su La Voce di cui lo scrit-
tore sar anche caporedattore sotto Prezzolini, gi nel maggio del 1912, pro-
prio mentre Patria sta per chiudere i battenti scomparendo, poi, due anni
dopo, quando la rivista passa sotto la direzione di De Robertis, assumendo
una vocazione pi puramente letteraria.
Nel primo quindicennio del secolo, dunque, il polo dattrazione cultura-
le per Bacchelli Firenze. E sar proprio per la citt de La Voce, citt in
quegli anni culturalmente vivacissima, che il giovane Bacchelli, nel 1913,
dopo aver lasciato gli studi universitari, abbandoner anche tutta la rattrat-
ta cultura bolognese6. Come negli interventi apparsi sul bolognese Patria,
il periodare di Bacchelli denuncia una notevole familiarit coi testi classici per
la sapienza usata nel costruire retoricamente il ragionamento dalluso del
climax, delle figure chiastiche, delle forti antitesi a quegli incisi ironici, che
nella scrittura drammaturgica ben nota a Bacchelli si direbbero a parte;
dalle frequenti allocuzioni7 alle interrogative, alle esclamative, alle interiezio-

6
Ibidem.
7
Si confronti, a questo proposito, la Prefazione dellautore a Il filo meraviglioso di Lodovico
Cl, da cui risulta chiaro il rifiuto di Bacchelli nei confronti della recente industrializzazione
delleditoria e della formazione di un pubblico di massa, cos come la sua costante ricerca di
un rapporto individuale col lettore: non c pubblico ma degli individui; gli uomini diven-
232 Daniela Carmosino

ni, a quella che Franco Gavazzeni indicher come withmaniana sovrabbon-


danza metaforica8. Talvolta, invece, il pi consueto periodare ipotattico si
frantuma in un discorrere pi agile, pi direttamente allocutorio. Spe-
rimentale e novecentesco, semmai, laccostamento di termini desueti e po-
polari, preziosismi e tecnicismi, di registri alto e basso. Ne diamo qualche
breve esempio:

Perequare il catasto italiano, informe conglobato di disparati catasti, tutti lo


vogliono. solo poi che cominciano i guai [...]. Un governo forte, riserbandosi
magari per riguardo alla crisi degli ulivi alcuni sgravi molto ponderati e sempre
pronto a ritirarli, farebbe tacere i soliti deputati della regione, prima di tutto
badando ad assicurare lestimo sulla base che vuol la legge. Senza di che la spere-
quazione (unica legge italiana si noti, che attui un concetto di giustizia tributa-
ria) andr gi per lacqua9.

E ancora:

C da scommettere che avr adesso la fortuna che avrebbe meritata di prima.


Mah! Infatti, pensate un po, adesso che va infiltrandosi nelle vene della cultura
un certo pizzicore di critica sociologica, come si presta bene questa etichetta.
Quando prenderete uno per la giacca mettendogli sotto gli occhi il nudo e crudo
fatto economico con quale risolino di superiorit, quasi schifando la vostra igno-
ranza, potr dirvi: Ohib, ma io sono un nazionalista economico10.

Dalla frequentazione con lambiente vociano nascer, seppur in antagoni-


smo, la storica rivista del rppel a lordre: la Ronda. Racconter Bacchelli
che era da poco entrato a far parte della redazione prezzoliniana quando
conobbe un letterato di pochi anni pi vecchio di lui, un altro colto e raffi-
nato autodidatta che sarebbe diventato un prezioso compagno davventure
letterarie e giornalistiche: Vincenzo Cardarelli. Lincontro, tuttaltro che cor-
diale a causa del dichiarato disprezzo di Cardarelli per Rolland, allora ama-
tissimo dai vociani e da Bacchelli stesso, avvenne in occasione dellinaugura-
zione della libreria fiorentina La Voce di Piazza Davanzati. Malgrado lo
scontro iniziale, i due continueranno a confrontarsi, a scriversi, a studiare e a
lavorare assieme. Tanto che, giusto pochi anni prima del conflitto, a Roma,
assieme ad altri letterati poi confluiti ne La Ronda, tenteranno di metter in
piedi una rivista letteraria: alla fine non se ne fece nulla, e il gruppo si disper-

tano pubblico, quando riuniti in una sala o in piazza o sotto il fascino della rclame soggiac-
ciono a certe leggi speciali. Se no: lettori. R. Bacchelli, Prefazione a Il filo meraviglioso di
Lodovico Clo, Garzanti, Milano 1911.
8
F. Gavazzeni, I cinquantanni dei poemi lirici, in Discorrendo di Riccardo Bacchelli,
Ricciardi, Milano Napoli 1966.
9
R. Bacchelli, Giustizia pi giusta, La Voce, a iv, n. 34, 22 agosto 1912, p. 875.
10
Id., Nazionalismo economico, La voce, a. iv, n. 32, 8 agosto 1912, p. 868.
Volevo solo parlare esplicito. La scrittura giornalistica di Riccardo Bacchelli 233

se. Bacchelli e Cardarelli si concessero assieme un periodo di intenso studio


e di lavoro nelle campagne etrusche del Lazio. Ci coincide con una battuta
darresto della presenza di Bacchelli sulle pagine dei giornali, ma non nelle
redazioni di questi, che restavano il luogo privilegiato presso cui perorare la
pubblicazione dei Poemi lirici, editi poi nel 1914. In questanno compare un
solo articolo di Bacchelli, apocrifo e pubblicato insolitamente su LAzione
di Milano11. Il tono polemico che gi conosciamo si fa pi severo e pi fermo
nel denunciare lopinione media e mediocre, ossia il partito liberale e i mali
generati dal pavido moderatismo, assumendo nella pars construens unenfasi
retorica che, per temi e per toni, ricorder poi quella fascista; cos come pure
linvocazione conclusiva, funestamente chiaroveggente, di quello che chia-
mer: luomo che ci vuole. Solo che luomo cui pensava Bacchelli non era
Mussolini ma il Giolitti machiavellico con discrezione12 e la forma di gover-
no auspicata un ritorno al liberismo parlamentare progressivo sullistituto
della monarchia costituzionale13.
Esemplare qui il nitore stilistico, che si percepisce quale risultato di
unassoluta chiarezza didee felicemente coniugata con unincrollabile fede
nelle stesse. Esemplare ma non sempre presente nella polemistica di Bacchel-
li, nel cui corpus troppi interventi paiono scontare una sorta di malumore,
un sarcasmo forzato, una programmatica volont di rabbiosa e pungente
denuncia che di rado giovano alla chiarezza, alla limpidezza, tanto stilistiche
quanto concettuali. Qui invece il periodo si asciuga, non si riversa nei fiumi
in piena dellipotassi bacchelliana, ma si contiene naturaliter nellalveo di
ragionamenti che procedono con una gradualit logica, sapientemente scan-
dita dalla punteggiatura e dalle anafore, numerosissime, quasi una sorta di
cablas capfinidas, come se lautore/oratore temesse di perdere il filo durante il
discorso o temesse di farlo perdere al suo uditorio. Eccone un breve stral-
cio, stilisticamente significativo:

Utilizzeremo un esempio storico fondamentale per dare un nome a questa men-


talit: mentalit girondina, volgarmente: andare con la testa nel sacco. Il sacco
sarebbero: il feticismo della legalit e la necessit sentimentale, istintiva, dir
anche carnale, di fondare, promulgare, accomodare, sistemare la societ o lo
Stato.

Col suo sorvegliatissimo stile, larticolo in questione offre una non pro-
prio consueta purezza retorica nellaccezione pi piena e alta del termine
di contro a quella che a volte, in quegli anni, pare un innesto, un tentativo
di innesto di sperimentalismo vociano su una base, come sappiamo, classica.

11
Id., Filosofia degli alberi della libert, LAzione, a.1, n. 9, 5 luglio 1914.
12
Id., La politica di un impolitico (1948), cit.
13
Ibidem.
234 Daniela Carmosino

Una purezza ciceroniana che forse discende proprio dallintima, immediata e


poi ragionata, adesione di Bacchelli al tema affrontato. Dove lemotivit
decanta e cede il passo al pacato ragionamento, dove il tema percepito da
Bacchelli come grave, serio, quando si tratta di un tema che gli sta a cuore,
l che lo scrittore d prova di inconfutabile sapienza retorica. Ed ci che
ritroviamo, a riprova di quanto affermato, negli interventi, profondamente
sentiti, che trattano della guerra. La guerra, appunto. Il periodo precedente il
conflitto coincide per Bacchelli con una crisi di coscienza che lo conduce a
pensare di abbandonare la scrittura: sar proprio lesperienza della guerra,
invece, a fargli superare limpasse. Come per molti intellettuali, in primis i
vociani, lesperienza bellica rappresentava una possibilit di scuotere le
coscienze, di rinnovare moralmente il Paese. Non sono mai stato n pacifi-
sta, n guerrafondaio, n interventista, ma giudico la guerra unesperienza
che non posso neppure pensare di non avere fatto, confider, a distanza di
anni, lo scrittore a Corrado Stajano14, precisando poi non credo allo slogan
della propaganda interventista secondo il quale il conflitto mondiale contri-
bu allunificazione psicologica e morale degli italiani. Questo un dovere e
un impegno degli anni di pace. Il significato del 15-18 stato invece di aver-
ci fatto partecipare alla storia europea.
Arruolatosi volontario come ufficiale dartiglieria, Bacchelli verr poi con-
gedato per una brutta flebite. Dopo il silenzio giornalistico del 1917, nel feb-
braio dellanno successivo compaiono alcuni interventi sulla guerra. Guerra
che aveva colpito duramente anche la vita culturale del Paese, dunque le rivi-
ste letterarie e le loro possibilit di trovar fondi. Di questo discutevano
Bacchelli e Giuseppe Raimondi seduti al tavolino dun caff romano altra
abitudine la cui scomparsa nel dopoguerra spesso lamentata da Bacchelli
quando ebbero lidea di fondare una rivista letteraria, naturalmente autofi-
nanziata. La rivista, che si sarebbe chiamata La Raccolta, avrebbe chiamato
a s le forze migliori tra quelle che il conflitto aveva risparmiato: mentre
Raimondi coinvolgeva Carlo Carr, Primo Conti, Giorgio Morandi,
Bacchelli avrebbe mediato per Baldini, Cecchi, Linati, Soffici e altri. Grazie
a Raimondi, poi, si affacci anche il ct avanguardista europeo quella-
vanguardia poco amata da Bacchelli da Apollinaire a Tzara. La rivista ces-
ser le pubblicazioni gi nel 1919. A parte quello finanziario, il contributo di
Bacchelli alla rivista rimane fissato in pochi articoli scritti tra il 1918 e il
1919, meditazioni sul tempo presente, sulla politica, su fatti di cronaca, sulla
guerra. La Raccolta stessa, daltronde, ebbe vita breve, secondo una para-
bola non insolita allepoca, ma prosegu, idealmente e puntellandosi sulle
medesime firme, in Valori Plastici e ne La Ronda. Questultima la cui re-

14
C. Stajano, Riccardo Bacchelli ricorda gli anni della Grande Guerra, Corriere della Sera,
7 novembre 1968.
Volevo solo parlare esplicito. La scrittura giornalistica di Riccardo Bacchelli 235

dazione era composta da Barilli, Bacchelli, Cardarelli, Montano, Cecchi,


Baldini ebbe comunque vita non breve considerando i tempi e dalla prima
sede disagiata a piazza Venezia, riusc a guadagnarsi una magnifica vista su
Trinit dei Monti. Ricorder lo scrittore a distanza di anni come la postbel-
lica rivista, cui laltrui grossezza e nostra sottigliezza non esente da polemica
civetteria applicarono il nome di conservatrice e reazionaria e neoclassica, da
parte laggressivit polemica, ebbe spiriti ribelli, rivoluzionaria non solo con-
tro la letteratura e larte borghesi ma, a guardare bene, in quanto intima-
mente romantica magari decadentistica nel suo nostalgico, e dunque non
accademico, fantasioso amor del passato15. Lo spazio de La Ronda sembra
perfettamente consono ad accogliere gli umori e le passioni di Bacchelli che
qui esprime in piena libert: ecco dunque gli interventi sugli amatissimi
Leopardi e Manzoni, la polemica su Pascoli e sulla lettura che ne dava Croce,
ma anche le Note di rondesca, allinsegna dellironia o pi spesso del sarca-
smo: brevi pensieri, considerazioni, barzellette, amenit varie, polemiche,
apologhi, ancora caratterizzati da una scrittura intarsiata di parentetiche,
esclamazioni, diminutivi e vezzeggiativi in funzione ironica. Eccone un
esempio:

CRITICA AL METODO
Anni fa un poeta davanguardia in una rivista davanguardia elenc nero su nero
molte cose buie e il tutto dipinto colle tenebre. Dimentic per il massimo del-
loscurit, che, come tutti sanno, sarebbe il culo di un moro visto nella camera
oscura.

Polemicamente agguerrita la dichiarazione dintenti ricavabile da unaltra


nota di rondesca e che andr confrontata con la simile, ma pi pacata, del
tempo di Patria. Ricordando la pratica tribale di giudicare un reo tramite
oracoli desunti dal mondo animale, Bacchelli scrive con tono allusivo:

OH, VILISSIMI NOI!


Noi non faremo mai nomi, non citeremo fatti specifici, non daremo mai presa
alle feconde discussioni [...] non entreremo mai nel libero arringo della polemi-
ca [...] saremo sempre scorretti, libellisti, diffamatori, anonimi, sciagurati, sub-
doli, venduti, forse [] noi andiamo seminando questi pezzetti di veleno, per-
ch certe galline abbocchino e ci diano indizio sicuro su certi rei sospetti.

A questaltezza, la polemica ancora esercitata contro un obiettivo politi-


co: segno che Bacchelli nutre nella satira politica quella fiducia che par venir
meno negli anni Cinquanta, in cui si dedicher semmai a cronache di viag-
gio e pezzi di costume:

15
R. Bacchelli, I tempi della censura (1965) in Giorno dopo Giorno, cit.
236 Daniela Carmosino

Leggo con gusto, perch son spiritosi, gli articoli e le note dei non pochi scritto-
ri che, magari in opposizione e contrasto fra loro, formano, si pu dire, una scuo-
la di polemisti politici e moralistici, sveltiti della pratica giornalistica, scaltriti da
quello stile di dire a mezzavoce [...]16.

La captatio benevolentiae dellincipit per solo un modo, retoricamente


attestato, per far credere di non esser mal disposto, e sferrare, subito dopo, il
colpo. Cos i non pochi scrittori diventano troppi e troppo spiritosi, e
inefficaci le loro armi, perch adoperate senza la necessaria competenza e per-
ch deboli e mosse da una debole motivazione interna.

Veggo opporre alle mazze e ai coltellacci di cui armata e minacciosa la passione


e lazione politica oggigiorno, [] eleganti fioretti, punture di spillo17.

Chi fa politica con passione, insomma, o neppure saccorge di questi pole-


misti oppure si intestardisce e si irrigidisce ancor pi nelle proprie posizioni.
Ma siamo ancora negli anni Venti, anni di fitta collaborazione come polemi-
sta su temi sociali e di costume con Il Resto del Carlino: i toni non sono
meno accesi di quelli delle note di rondesca, medesima lironia, medesime le
allocuzioni al lettore. Ecco un brano in cui Bacchelli prende di mira il
Socialismo e i suoi organi di stampa:

Mentre scrivevo questa nota, alcuni giorni or sono, ancora non sapevo quel che
lAvanti mi fa sapere, che cio il mio nome serve di paravento e di pretesto intel-
lettuale a non so quale tenebrosa macchinazione politica e plutocratica. Mi affret-
to a giovarmi della notizia per farmi accrescere lo stipendio18.

Abbiamo gi visto come il reclutamento in una rivista arrivasse per via di


conoscenze e di frequentazioni del medesimo ct: vale la pena dunque esa-
minare la testimonianza19 dello stesso Bacchelli a proposito dei suoi contatti
col periodico Nuova Antologia, cui gi dal 1930 collaborava con interven-
ti sporadici.

Cominciai a scrivere sulla Nuova Antologia non ricordo in che anno, ma gi in


carriera da tempo, e potrei dire gi noto. Ci per due motivi.
Primo: alla illustre, e anche in periodi di stanca sempre illustre rivista, si era di
solito invitati e non pi, e da tempo, esordienti in esperimento.
Secondo: non che io avessi cercato dentrarci, perch in quella o quellaltra rivi-
sta o periodico o giornale o casa editrice non ho mai avuto voglia dentrare senza
essere invitato.

16
Id., Uso e valor dellironia politica (1952), in Giorno dopo giorno, cit., p 746.
17
Ibidem.
18
Id., Dedicato ai lettori dappendici, Il Resto del Carlino, 2 febbraio 1922.
19
Id., I tempi della censura (1965) in Giorno dopo Giorno, cit.
Volevo solo parlare esplicito. La scrittura giornalistica di Riccardo Bacchelli 237

[...] Ero a quei tempi partecipe e milite dei principali movimenti critici che, spe-
cialmente su fondamento crociano gentiliano, operavano nei primordi di questo
secolo riforme e rinnovazioni che nellambito civile nel pi ampio senso, si pote-
vano chiamare rivoluzionarie. Tale non era e non poteva n doveva essere la
semiufficiosa Nuova Antologia, la rivista di tutto riposo20.

Dissoltasi La Ronda, Bacchelli entra dunque in Nuova Antologia nel


segretariato di Antonio Baldini e sotto la presidenza di Luigi Federzoni. Ed
a proposito della rivista che Bacchelli parler per la prima volta di censura:
censura che sembra si accanisse nei confronti dei giornali dichiaratamente
politici, ma allargava le maglie nel caso delle pubblicazioni in volume: soprat-
tutto se gi comparse, a puntate, su rivista, secondo la consuetudine dellepo-
ca. E meglio ancora se questa rivista era la filogovernativa Nuova Antologia.
Scherzava cos Bacchelli, facendo il verso a un amico censore alle prese con
una sua pubblicazione: A proposito: uscito sulla Nuova Antologia? Allora,
tanto basta21. Nel 1925 compaiono interventi su numerosi giornali, da La
Cultura a Comoedia, rivista specializzata in ambito teatrale. E poi su
LAmbrosiano, fiancheggiatore del regime fascista, nato come contraltare al
moderato Corriere della sera, alle cui ricche pagine culturali collaboravano
Carr, Gadda, Quasimodo, e persino lantifascista Delio Tessa. Per lIta-
liano, invece, Bacchelli pubblicher numerosi rportage di viaggio, genere
che si rivela assai duttile sotto la penna di uno scrittore capace di trasfonder-
vi, con felice discrezione, la sua visione della storia e, tout court, della realt.
Il nome di Bacchelli, che nel frattempo si era trasferito definitivamente a
Milano, comincia a circolare e a farsi apprezzare. Riviste e quotidiani richie-
dono sempre pi la sua firma. Tra questi la neonata Fiera Letteraria, fon-
data a Milano il 13 dicembre 1925 sotto la direzione di Umberto Fracchia,
giornalista e scrittore e gi collaboratore di quel Corriere della Sera di cui
Bacchelli aveva deplorato la meschina politica, troppo cauta, troppo atten-
ta a rincorrere la notizia, troppo superficiale nelle pagine culturali. La rivista,
che rivendicava un primato caro al nostro scrittore, il primato letterario
dellItalia sulle altre nazioni, vantava tra i suoi collaboratori Libero De
Libero, Sandro Penna, Giuseppe Ungaretti, Corrado Alvaro, Tommaso Lan-
dolfi. Bacchelli cominci a collaborarvi nel 1926, in qualit di critico teatra-
le al posto di Luigi Chiarelli, con una rubrica fissa Prime rappresentazioni.
Io ero racconter molti anni pi tardi, ricordando il suo arrivo a Milano
un eccentrico, un eccezionale, un clandestino, conosciuto, pi di fama che
di lettura, per due stramberie: quella daver fatto un Amleto, e quella dun
titolo come Lo sa il tonno. In realt Bacchelli incuriosisce, vero, per la sua
prosa esuberante che lo rende un eccentrico nel panorama giornalistico, ma

20
Ibidem.
21
Ibidem.
238 Daniela Carmosino

riscuote gi molto credito e gode di un certo prestigio. A dimostrarlo, anche


lindiscusso ruolo preminente che avr nel Premio Bagutta, che Bacchelli
stesso fond assieme a una decina di amici, parte collaboratori della Fiera,
parte nuovi acquisti, quali Paolo Monelli, noto giornalista del Corriere della
Sera. Ad unirli, oltre alla buona cucina toscana dellosteria del Pepoli, nella
milanese via Bagutta, certi ideali rondeschi. Ideali che ritroveremo, assieme a
Bacchelli stesso, proprio nel 1926, a Firenze, nella rivista Solaria di Alberto
Carocci. Lo scrittore si schier subito con Baldini, Tecchi, Loria e Bonsanti,
nellala rondista di Solaria, tra quelli che aspiravano a una civilt letteraria
tutta italiana e indipendente dalla politica; di contro, Montale, Leone
Ginzburg, Debenedetti, Solmi ed altri, che, guardando piuttosto a Gobetti,
ritenevano che lartista dovesse assumere una posizione decisamente critica
nei confronti dellattualit: ovvero del fascismo.
Anche il premio Bagutta nacque in virt dellautofinanziamento, secondo
unideale di mecenatismo pi di una volte espresso da Bacchelli fu subito
nominato presidente a vita del Premio: lidea rivoluzionaria e modernissima
di gratificare con vile denaro il lavoro artistico avr immediatamente fortu-
na, aprendo la strada a molti altri premi letterari.
Giunto nel 1927 il successo de Il diavolo al Pontelungo, Bacchelli assurge
a scrittore di successo, ben integrato nel sistema culturale e nellindustria edi-
toriale. Furono quelli i primi anni in cui Bacchelli pot guadagnare abba-
stanza da non continuare a intaccare pericolosamente le sostanze ereditate.
Sono questi anche gli anni della fitta collaborazione con La Stampa, nelle
cui pagine troveremo numerosi resoconti di viaggio, quasi tutti subito con-
fluiti in Italia per mare e per terra e poi in BellItalia. Novelle fiabe racconti 22 e
La ruota del tempo. Scritti doccasione 23. Lesiguit dello spazio offertogli dal
quotidiano viene aggirata pubblicando il lavoro a puntate. Nascono cos i
rportage del Gargano o quelli del Tombone di San Marco. Occasional-
mente, intanto, il nostro scrittore dalla vita dispendiosa (belle auto e buona
cucina) non disdegna altre collaborazioni: Vita bolognese, Corriere pada-
no, Litaliano, Lillustrazione italiana, Pegaso, LAlmanacco di Stra-
paese.
Sul finire degli anni Venti e ai primi del Trenta la vena di polemista poli-
tico sembra esaurirsi: Bacchelli assumer da ora il profilo dellopinionista e
del reportagista: il Corriere della Sera gli offre ampio e costante spazio,
accogliendo dapprima le sue molte novelle, poi scritti di viaggio che conflui-
scono in Italia per mare e per terra, e qualcuno in Viaggi allestero e Vagabon-
daggi di fantasia 24. Nel 1939 esce ledizione definitiva del Mulino del Po per
attender alla pubblicazione del quale Baccheli aveva diradato gli interventi

22
Id., BellItalia. Novelle fiabe racconti, Ceschina, Milano 1928.
23
Id., La ruota del tempo. Scritti doccasione, Litaliano, Bologna.
24
Id., Viaggi allestero e Vagabondaggi di fantasia, Mondadori, Milano 1965.
Volevo solo parlare esplicito. La scrittura giornalistica di Riccardo Bacchelli 239

giornalistici che lo consacra alla notoriet. Alle soglie della guerra e duran-
te il conflitto, lo scrittore si propone quasi solo come critico letterario (dedi-
cher molti articoli del Corriere agli amati Leopardi, Manzoni, Baudelaire)
e come scrittore di viaggio in territorio italiano. Da notare come, nel crucia-
le 1945, le meditazione sui tragici avvenimenti di quegli anni saranno affida-
ti ai versi: quelli della raccolta La notte dell8 settembre 1943 25 e, per la rivi-
sta Nuova antologia, quelli della lirica Stella cadente 26.
La scrittura tender ora a farsi pi agile, pi snella, per meglio servire il
ragionamento, che proceder sempre di pi per snodi ravvicinati e soprattut-
to per allocuzioni a quello che ormai un uditorio affezionato. Faccio un
altro esempio concreto e recente. Tiriamo le somme di quel che da parte
avversa fu promesso [...] Tirate le somme [...]27. E altrove: Cercher dunque
di restringermi ad una conclusione, dopo la quale non metter oltre alla
prova la sopportazione dei lettori28.
La sua fama di attento narratore dei costumi della storia, delle bellezze arti-
stiche e paesaggistiche del territorio italiano tale che nel 1946 Lillustrazione
italiana Garzanti lo inserisce nella rosa dei trenta scrittori italiani cui viene
chiesto un contributo in seno a uninchiesta sulla vita italiana contemporanea29,
mentre il Touring Club Italiano gli commissiona lIntroduzione al volume
Emilia Romagna 30. Gli anni Cinquanta e Sessanta vedono infatti Bacchelli assai
impegnato nelle collaborazioni con La Stampa con il Corriere della Sera: si
tratter quasi esclusivamente di rportage di viaggio, in Italia e allestero (Cuba,
Usa, Grecia). Mentre nel decennio Settanta-Ottanta lo scrittore offrir, soprat-
tutto al Corriere della Sera, riflessioni varie sulla cultura, sul costume, sulla
societ e interventi di carattere letterario, ma su Verga, Ariosto, Manzoni piut-
tosto che sui contemporanei. Dagli anni Quaranta il successo ormai raggiun-
to: membro dellAccademia dItalia, dellAccademia Nazionale dei Lincei di
Roma, dellAccademia della Crusca e dellIstituto lombardo di Scienze e
Lettere, riceve la laurea honoris causa dalle Universit di Milano e di Bologna,
citt che negli anni Settanta gli conferir anche lambita onorificenza
dellArchiginnasio doro. Negli ultimi anni della sua vita, conclusasi a Milano
nel 1985, pot goder del vitalizio che prende il suo nome.
Abbiamo osservato come gi sul finire degli anni Trenta Bacchelli giorna-
lista cominciava ad imporsi come autore di pezzi di costume e soprattutto di
rportage. Genere, questultimo, assai frequentato, nel secondo dopoguerra,

25
Id., La notte del8 settembre 43, Garzanti, Milano 1945.
26
Id., Stella cadente, in Nuova Antologia, f.17838, ottobre 1945, p. 125.
27
Id., La storia fatta di dimenticanze?, Corriere della Sera, 8 gennaio 1948.
28
Id., Italia non barbara, Il Mondo, 13 maggio 1950.
29
Bacchelli contribuir con lo scritto Il mare, in Sommario dellItalia contemporanea, a cura
di D. Terra, Garzanti, Milano 1947.
30
Id., Introduzione a LEmila Romagna, ed. Touring Club Italiano, 1950, pp. 5-22.
240 Daniela Carmosino

al pari della polemistica nei primi decenni del Novecento. Se gi negli anni
Venti il diffuso interesse degli intellettuali italiani per il continente america-
no e per lAfrica aveva prodotto i bei rportage di Enrico Rocca, Oreste Villa,
Orio Vergani, Emilio Cecchi e pi tardi le inchieste sul Sud di Giovannino
Russo per Il Mondo di Pannunzio, a partire dagli anni Cinquanta il gene-
re aumenta il suo gradimento presso il pubblico, anche grazie alla diffusione
in versione televisiva, con la cui concorrenza molti settimanali si trovavano
ora a fare i conti.
Ma come interpreta Bacchelli il genere del rportage? Occorrer puntel-
larsi su due elementi teorici, che informano, daltronde, lintera sua produ-
zione: il primo che Bacchelli si pone di fronte alla materia da narrare nel
rportage di fronte ai luoghi ai loro abitanti e alla loro storia con quello che
nella Prefazione a Il filo meraviglioso di Lodovico Cl, chiama stupor: non
uno stupore finto, rappresentato con maestria ingannevole, ma unintima
disposizione allascolto tipicamente vociana, Prezzolini la definiva meravi-
glia che permette di cogliere lanima, lessenza della realt che si ha di fron-
te e che autonomamente si impone alla creazione. Ed a questo punto che
leredit manzoniana agisce sulla poetica vociana: il dato reale, soggettiva-
mente percepito, va subito innestato nella storia, nella memoria, va, insom-
ma individuato attraverso una precisa contestualizzazione, una ricostruzio-
ne storico-sociale, psicologica e ambientale. unindividuazione che d vita
alloggetto rappresentato, permettendogli cos desser trasposto dal piano sto-
rico a quello esistenziale, dal particolare alluniversale, di assurgere, insomma,
a rappresentante di una data condizione umana, perci astorica31, ma solo a
patto che dalla storia, manzonianamente intesa, si parta. Il secondo puntello
teorico dunque la concezione che Bacchelli ha della storia, concezione era-
clitea, che prevede uno scorrere senza telos: lincessante susseguirsi delle vicen-
de umane, il continuo trasformarsi e consumarsi delle cose del mondo non
soggiace ad alcuna legge o finalit. E se anche queste vi fossero, non sarem-
mo comunque in grado di conoscerle. Da tali premesse discende la prospet-
tiva con cui Bacchelli va incontro ai luoghi da raccontare.
Attraverso la lezione manzoniana gi cara a Gadda, che in proprio in
Bacchelli la ritrovava linerte dato storico-geografico torna a vivere grazie a
un processo di immaginazione capace di ricostruire il dato nei suoi dettagli
concreti, di individuarlo figurandoselo vivo nella sua epoca, nel suo conte-
sto storico-sociale, nel clima spirituale:

31
E quanto realizza Dante e non riesce a raggiungere Ariosto: spiega Bacchelli nella
Prefazione al Filo, cit. Dante scrisse per s e per tutti gli uomini, per il suo tempo e per tutti
i tempi, perch fu realista e Virgilio e tutti gli altri sono bene individuati, cio liberi. E anco-
ra, Mario Saccenti in Riccardo Bacchelli, Mursia, Milano 1973, p. 8. Bacchelli cerca di aderi-
re subito alle cose e tuttavia di estrarne [] una loro interna ma identificabile essenza.
Volevo solo parlare esplicito. La scrittura giornalistica di Riccardo Bacchelli 241

mi figuro che le basiliche dei Vescovi sacerdoti e principi dovessero esser chiese,
parlamento, concilio.
mi son provato a immaginarmi il dottore dellImpero, lesule nellultimo rifugio
mi figuro davanti a SantApollinare in Classe la folla di fedeli, di eretici, di mer-
canti, di artigiani, di operai e di dottori, mescolati.
mi par desser stato nelle Istorie del Machiavelli, un soldato di Antonio Giacomi-
ni o di Castruccio Castracani.

Queste solo alcune delle numerosissime testimonianze del processo appe-


na descritto. Un processo di individuazione che diventa cos processo di
immedesimazione: ricreato lambiente Bacchelli vi si cala per sentirne il clima
spirituale, la natura psicologica, e renderne subito partecipe il lettore. Se di
resa realistica si tratta, per un realismo tutto post-naturalistico, nutrito
semmai di bergsonismo, di blondelismo. Ancora una volta, insomma, in
piena sintonia col certo clima primonovecentesco e vociano:

Larte realista rende le forze che muovono le cose del mondo, non fotografa delle
superfici isolate [...]. Intendo che ogni parola e ogni atto che lartista nota, signi-
ficano, nellarte realista, la vita sottessi di unanima.
Larte realista rende dei momenti successivi nella vita di un uomo. Il valore di un
momento dipende dal valore dei precedenti e dei seguenti: valore secondo psico-
logia, e non secondo logica, che una fredda esperienza di cose gi avvenute.
Unanima, in arte, il valore di ogni momento rispetto a tutti gli altri32.

In ogni racconto di viaggio Bacchelli, che mantiene il consueto, ma qui


pi confidenziale piuttosto che ironico, stile allocutorio, prende per mano il
lettore e lo cala in una scenografia da lui stesso ricreata, ricostruita per via dim-
maginazione a partire dai dettagli reali. E proprio la necessit di dar vita alli-
nerte dato storico-geografico lo spinge a un largo uso di aggettivi volti a ripro-
durre sensazioni visive olfattive, coloristiche (secondo la lezione goethiana) con
una predilezione per la luministica chiaroscurale e per le condizioni climatiche
umide, brumose. Il tutto sempre rigorosamente asservito alla riproduzione di
processi psicologici. Anche la tipica prosa ipotattica si distende e frantuma spes-
so in periodi brevi ed agili cos da seguire lelasticit dei processi psicologici.
Scegliamo un solo testo, esemplare del metodo secondo cui Bacchelli solito
costruire i suoi racconti di viaggio: Selciati e selcini, del 1936 33.
Lautore muove dallosservazione di un dettaglio minimo, il lavoro di
ristrutturazione del lastricato di fronte casa, a Bologna. Di l, attraverso dis-

32
R. Bacchelli, Idee critiche, in Appendice a A, Briganti, Riccardo Bacchelli, cit. pp. 169-70.
33
R. Bacchelli, Selciati e selcini in Italia per terra e per mare, cit., pp. 28-32. Da ora tutte
le citazioni sono tratte dal medesimo scritto.
242 Daniela Carmosino

sertazioni sulla tipologia delle pietre e sulle cave da cui esse provengono, risale
ai primi lastricatori dellantichissima Italia, gli Etruschi. Immediatamente
Bacchelli allestisce una scenografia quotidiana ben individuata, vivida, detta-
gliata, in cui fa muovere realisticamente gli individui calati nella specificit
del proprio tempo. Ma lindividuazione, come la intende Bacchelli, fa subito
scattare una sorta di processo inverso: un processo di annullamento delle
distanze temporali che porta in luce lessenza di quellimmagine, facendola as-
surgere, da particolare, a universale, in un commosso affratellamento, tutto
leopardiano. Affratellamento entro una condizione umana colta sempre nella
mediocritas della vita quotidiana di gente semplice, manzonianamente umile:

Ho visto in qualche scavo pezzi di lastrico etrusco, lho calcato col piede riverente [...]
le pi umili vestigia meglio mi parlano e mi torcono dolcemente il cuore bizzarro: ar-
redi domestici, arti rozze, sassi accozzati, traccie lievi. Vissero, come io vivo; ecco, son
morti, e un giorno e millanni sono la stessa cosa. I secoli salleviano, come traccia di
favole di cui ricordo soltanto daverle udite un giorno narrare: olim, una volta.

E ancora:

mi parve udir cigolar i mozzi delle carrette, stridere le ruote che incisero con
lungo attrito quel tufo [...] mi figurai che i lavoratori sospendessero il lavoro e fer-
massero le carrette al pianto dei flauti [...] riebbi, per un istante pi rapido della
luce, vivo ed umano nel cuore il pianto dei dolenti antichi.

Ricorda cos come gli etruschi inventarono il selciato ed aggiunge signifi-


cativamente non sar questa una scoperta, ma certo un pretesto per fanta-
sticare: un fantasticare che si traduce subito nelallestimento di una minu-
ziosa scenografia, ancora una volta popolare, la quale a sua volta prende lab-
brivio di in una sorta di dichiarazione di poetica:

E mi ritrovo, coi tempi andati, sotto i portici angusti [...] guardo i selcini, quelli
che strappano le inutili rigogliose erbacce che si insinuano tra i ciottoli del lastri-
cato [...] mi vien dunque fatto di raffrontare il mio mestiere col loro e le parole
con ben lustri ciottoli adatti.

Come il suo stimato contemporaneo, Gadda, Bacchelli detesta la retorica


trombonesca di certo DAnnunzio, quelle rigogliose erbacce che si insinua-
no, inutili, tra le parole. Cerca piuttosto, ancora come Gadda, tra i sinoni-
mi i doppioni, i triploni per arrivare al termine preciso, puntuale, adatto,
appunto, a una resa realistica che non sia piatta mimesi ma che arrivi al senso
delle cose, alle loro ragioni ultime. Trovate le parole adatte, legarle sapiente-
mente in un quel processo di ricostruzione del senso, istante dopo istante,
pura tekn, lavoro da artigiano. Sapiente, piuttosto che umile: non umilt
somigliare parole legate ed esatte a un rassodato e ben fatto selciato.
CRISTIANO SPILA

Il reportage di guerra di Curzio Malaparte

Al centro di unattenzione storica per quel che riguarda una ricognizione


meno approssimativa e tendenziosa del giornalismo militante negli anni della
guerra e del post-fascismo, Curzio Malaparte figura di intellettuale diviso in
ruoli alterni, tra anarchismo e fascismo e collaborazionismo1. Interessato a
tecniche e generi diversi, in un composto ideologico-letterario di differenti
intenti e realizzazioni, risulta difficilmente classificabile sotto le tradizionali
etichette affibbiategli: camaleonte, avventuriero, dannunziano ecc 2. Ma fu
soprattutto durante il secondo conflitto mondiale che Malaparte visse, in
modo paradigmatico, le difficolt e le contraddizioni di uno scrittore poli-
morfo3, che cerca di conciliare limpegno di documentazione e di informa-
zione con un gusto tutto letterario per la polemica e il paradosso, cercando
di mantenere una propria indipendenza e libert di giudizio critico di fronte
alle verit precostituite.
Scrittore-giornalista che costruisce anche rischiosamente la propria imma-
gine pubblica e il proprio ruolo, Malaparte si rif alla concezione dello scrit-
tore come testimone e [...] confessore (se non proprio il giudice) del suo
tempo4. Dunque, il termine reporter ben si attaglia al suo caso; giacch
egli si trova sulla scena mondiale in una catastrofe di immani proporzioni,

1
Sul ruolo di Malaparte nella seconda guerra mondiale come collaboratore del contro-
spionaggio alleato, si veda M. Canali, Curzio Malaparte e i servizi segreti americani, in Nuova
Storia Contemporanea, a. XIII, n. 4, 2009, pp. 13-22; cfr. anche la recensione al saggio di D.
Messina, Curzio Malaparte doppiogiochista per gli americani, in Corriere della Sera, 17 luglio
2009.
2
Tentativi di revisione degli stereotipi critici sullo scrittore svolgono G. Grana, Il cama-
leonte e il sistema letterario italiano, in Malaparte scrittore dEuropa. Atti del convegno (Prato
1987) e altri contributi, coordinazione G. Grana, redazione e cura bibliografica V. Baroncelli,
Comune di Prato-Marzorati Editore, Prato 1991, pp. 31-52; e G. Pardini, Curzio Malaparte.
Biografia politica, Prefazione F. Perfetti, Luni Editrice, Milano-Trento 1998, in part.
lIntroduzione alle pp. 13-22.
3
Gianni Grana parla di polimorfismo o di sperimentalismo neomorfico per la scrit-
tura malapartiana (cfr. Grana, Il camaleonte e il sistema letterario italiano, cit., p. 48).
4
C. Malaparte, Lo scrittore nel mondo moderno, in Id., Battibecco, a cura di E. Falqui,
Vallecchi, Firenze 1967, pp. 219-220.
244 Cristiano Spila

come la guerra, ed chiamato a riportare ci di cui testimone con i suoi


propri occhi5. In questo modo, egli elabora un giornalismo dintervento, che
carica le immagini di energia militante e di violenza paradossale e che si
avvale di paradossi e contraddizioni, di isolenti provocazioni, per ricusare e
contrastare le idee correnti retoricizzate dai sistemi politici, sia durante che
dopo il fascismo6. Lintelligenza provocatoria del giornalismo malapartiano si
esprime anzitutto nella diversificazione stilistica e nella qualit autobiografi-
ca della scrittura.
Si pu leggere il giornalismo malapartiano come frutto di un innesto, nel
concreto profilo di cronaca, della metaforica fisionomia del racconto, secon-
do il modello codificato dal pi celebre tra gli inviati speciali dellepoca,
Ernest Hemingway. Nello scrittore americano, il cui lavoro stato spesso
accostato a quello simile di Malaparte, lidea del reportage scaturisce da
unintuizione secondo cui il giornalista-scrittore luomo di cultura che si fa
da solo; unidea di cultura fortemente individuale e avventurosa (il modello
quello di Jack London) e trova la radice fondamentale nella coscienza di
testimoniare il proprio tempo7. Hemigway fu maestro in questo, perch in
oltre quarantanni di attivit come giornalista si serv dello stesso materiale
per i pezzi dattualit e per i racconti, e pubblic le sue prose giornalistiche
in raccolte di racconti. Il giornalista diventa con lui una figura professionale
certo non nuova, ma come vivificata e resa eroica durante la guerra. Il nuovo

5
Sulla scelta del reportage come genere o supergenere praticato da Malaparte durante la
sua carriera, si vedano le riflessioni di R. Barilli, Viva Caporetto! come opera archetipa, in Curzio
Malaparte. La rivolta del santo maledetto, a cura di C. Di Biase, CUEN, Napoli 1999, pp. 19-
39. Osservatore attento e inevitabilmente crudo della realt della guerra, Malaparte si serve,
nella sua attivit di reporter, anche dellapparecchio fotografico: un uso documentario a mo
di appunti per la memoria della macchina fotografica, dice M. Isnenghi, I due occhi di
Malaparte giornalista e fotografo, in Da Malaparte a Malaparte. Malaparte fotografo. Catalogo
della Mostra (Prato, 31 ottobre-13 dicembre 1987), a cura di S. Luisini, Comune di
Prato/Regione Toscana, Prato 1987, pp. 3-6.
6
Un interesse metodologico, applicabile a Malaparte operatore culturale, con alterne for-
tune, nei quadri della intellighenzia fascista, riveste il volume di M. Isnenghi, Intellettuali
militanti e intellettuali funzionari, Einaudi, Torino 1979, in part. pp. 228-230. In evidenza
poi il ruolo degli intellettuali militanti o funzionari dellinformazione, operanti allinterno del
fascismo sulla stampa; che lo studioso riconosce come modalit molto simili della stampa poli-
tico-economica in generale.
7
Il giornalismo per Hemingway un mezzo di conquista, di forte passione che, con ine-
sausto spirito combattivo, spinge lo scrittore verso alte mete. Lo stile giornalistico
hemingwaiano cercava soprattutto di evidenziare il dettaglio sensoriale, le sensazioni fisiche e
le percezioni dei sensi, presentandole entro la struttura drammatica della prosa, capace in que-
sto modo di trasportare il racconto in una dimensione emotiva, e non solo descrittivo-info-
mativa. Cfr. By-Line: dal nostro inviato Ernest Hemingway, Traduzioni di E. Capriolo e G.
Monicelli, Introduzione di W. White, Mondadori, Milano 1967, in cui si legge una scelta della
sua produzione giornalistica. Sul giornalismo di Hemingway, vedi le pagine di E. Rovit,
Hemingway, La Nuova Italia, Firenze 1972, pp. 31-45.
Il reportage di guerra di Curzio Malaparte 245

giornalismo hemingwayano si fonda essenzialmente sul reportage, agile orga-


nismo narrativo dattualit che fonde insieme, nel pieno rispetto delle prero-
gative dellinformazione, comunicazione (cronaca di cose viste e personag-
gi incontrati, riflessioni e analisi) e invenzione (racconto e descrizione).
Hemigway stesso ricav gli spunti da fatti accaduti e dalla cronaca, mostran-
do sino a che punto lattualit poteva diventare racconto, invenzione, atmo-
sfera letteraria (gli articoli sulla seconda guerra mondiale, ad esempio, furo-
no tutti scritti dopo il suo ritorno a New York sulla base degli appunti presi
sul luogo).
Cronaca o racconto romanzato, commento o saggio, nel reportage si assot-
tiglia, quasi si elide, la separazione tra giornalista e scrittore: la letteratura si mi-
sura con lattualit che nutre il giornalismo e i due campi tendono a identificar-
si. La cronaca si unisce a una capacit di racconto, intessuto di descrizioni e per-
sino di dialoghi che, un tempo usati quasi soltanto nei resoconti giudiziari, ven-
gono favoriti dagli strumenti di registrazione (a scapito del pi letterario discor-
so indiretto). La corrispondenza, seppure nata in circostante ben definite e
con determinati limiti, tende a trasformarsi in un discorso pi vasto, pieno,
organico ed esauriente. Questo accade soprattutto quando posa su una matri-
ce ricca e complessa, come un evento bellico o politico di grandi dimensioni: il
quale fu, appunto, nel caso di Malaparte, il secondo conflitto mondiale.
La produzione degli scritti di guerra malapartiani da collocare tra gli
anni Quaranta e Cinquanta. Il suo impegno come scrittore-reporter nasce
dallattraversamento del grande evento tragico e totalitario della seconda
guerra mondiale e del difficile dopoguerra. In questi dieci anni, Malaparte
conclude con Mamma marcia, la cui stesura del 1951-52 ma ledizione del
1959 8, una sorta di trilogia iniziata con Kaputt (1944) e proseguita con La
pelle (1949); al cui interno si inseriscono anche le altre testimonianze di guer-
ra, cio le due corrispondenze, come furono definite, dal fronte occidenta-
le e orientale: Il sole cieco, scritto e anticipato in qualche brano nel 1940
(cronologicamente, quindi, prima di Kaputt) e pubblicato per intero a pun-
tate nel 1941 (in volume solo nel 1947), e Il Volga nasce in Europa del 1943.
Questo decennio di elaborazione giornalistico-narrativa di Malaparte si situa
proprio negli anni del neorealismo, anche se la sua produzione non esatta-
mente collocabile nel solco di questo filone9.

8
In questo elenco da porre anche il Diario di uno straniero a Parigi, edito postumo da
Enrico Falqui (Firenze, Vallecchi) nel 1966, ma scritto tra il 1947 e il 48, quando, dopo quat-
tordici anni di assenza (di esilio), Malaparte era tornato nella capitale francese.
9
Per quanto si riscontri una tangenza di linee tematiche e unidea di impegno morale
tipici del gusto letterario di quegli anni, Malaparte si situa piuttosto nellarea critica del neo-
realismo: il suo impegno rivolto semmai alla costruzione di una prosa classica, suggestiva e
incisiva, da scrittore e storico, basata sulla testimonianza diretta. Per la questione dei rapporti
tra Malaparte e il neorealismo si vedano le riflessioni di L. Martellini, Malaparte narratore, in
Id., Nel labirinto delle scritture, Salerno Editrice, Roma 1996, pp. 113-169.
246 Cristiano Spila

Lapprodo al reportage di guerra raggiunto da Malaparte attraverso un


percorso mobilissimo che si snoda dalle prime esperienze nellufficio stampa
del Consiglio Supremo di guerra presso la Conferenza della pace a Versailles
nel 1919 per proseguire con la direzione della rivista politica La Conquista
dello Stato, nel 1924, fino alle inchieste di Italia barbara (edito da Piero
Gobetti nel 1925), al volume LEuropa vivente, pubblicata anche in edizione
francese (con il tit. LItalie contre lEurope, prefazione di Benjamin Crmieux,
1928)10; ma anche dagli scritti letterari sui diversi periodici: La Voce, La
Fiera letteraria (di cui condirettore con G.B. Angioletti dal 1927), fino a
900 (il trimestrale diretto assieme a Massimo Bontempelli)11, alle collabo-
razioni giornalistiche con Il Mattino di Napoli (1928-29), fino allimpegno
come direttore de La Stampa (dal marzo 1929 al gennaio 1931)12, e alle
corrispondenze dallURSS, riunite nel volume Intelligenza di Lenin (1932);
per finire con il successo e lo scandalo internazionale di Technique du coup
dtat, uscito a Parigi, presso Grasset, nel 1931 13. Quindi, la risoluzione per
il mestiere di reporter internazionale, dal 1932, quando passer al Corriere
della Sera, diretto da Aldo Borelli, per articoli di letteratura estera. La col-
laborazione al celebre quotidiano venne poi interrotta per le disavventure
politiche di Malaparte (confino di polizia a Lipari ecc.), che poi ritorn in un
secondo momento a scrivere per il Corriere con lo pseudonimo di
Candido 14. In seguito, fu corrispondente di guerra, durante il secondo con-

10
Una rassegna delle traduzioni di testi malapartiani si legge in Il Boulevard delle diversit.
Da Parigi a Pechino, uno scrittore intorno al mondo. Catalogo della mostra a cura di M. Grassi e
F. Goti, Biblioteca comunale Alessandro Lazzerini/Comune di Prato, Prato 2007; ma si veda
anche la Bibliografia, in C. Malaparte, Opere scelte, a cura di L. Martellini, con una testimonian-
za di G. Vigorelli, Mondadori, Milano 1997 (I Meridiani), pp. 1573-1601 [dora in poi OS].
11
La preistoria dellattivit giornalistica di Malaparte ripercorribile a partire dalla prati-
ca del genere elzeviristico, con alcune deviazioni (verso lo strapaesano Il Selvaggio di Mino
Maccari, con alcuni articoli, fino a LItaliano di Leo Longanesi con scelte di tipo intellet-
tualistico e qualitativamente raffinato). Sulla produzione letteraria del primo Malaparte e la
questione dei modelli letterari, cfr. Martellini, Malaparte narratore, cit.; mentre Falqui pone la
produzione degli anni trenta di Malaparte nel genere della prosa darte (E. Falqui, Capitoli per
una storia della nostra prosa darte, Panorama, Milano-Roma 1938).
12
Malaparte venne licenziato da La Stampa per un litigio con lamministratore delega-
to Giuseppe Colli. Ricostruisce la vicenda G.B. Guerri, Larcitaliano, vita di Curzio Malaparte,
Bompiani, Milano 1980, pp. 125-131.
13
Per la pubblicazione in Italia fu necessario attendere la fine della guerra: ledizione ita-
liana, con il titolo Tecnica del colpo di Stato, uscir infatti solo nel 1948, a Milano per
Bompiani. Sulle vicende connesse alla stesura e pubblicazione del libro, cfr. L. Martellini,
Introduzione alledizione Oscar di C. Malaparte, Tecnica del colpo di Stato, a cura di L.
Martellini, Mondadori, Milano 1983, pp. 5-21. Cfr. anche Pardini, Curzio Malaparte.
Biografia politica, cit., pp. 235-245.
14
Per il giornale milanese Malaparte scrive un complesso di oltre duecento tra articoli e
corrispondenze. Vedi in Corriere della Sera. 1876/1986. Dieci anni e un secolo, il fascicolo dedi-
Il reportage di guerra di Curzio Malaparte 247

flitto mondiale sempre per il Corriere (fino al luglio 1943) e per Tempo.
Una naturale risoluzione tecnica dal brillante saggismo politico-letterario al
reportage di tipo autobiografico15.
La seconda guerra mondiale segna, dunque, una svolta nella scrittura di
Malaparte16. Nei suoi scritti dal fronte, egli pratica uno stile pi letterario che
giornalistico, in cui dominano lattenzione alle scelte espressive, una visione
lirica delle cose e una struttura testuale non propriamente cronachistica. Nei
suoi reports manca una tematica lineare e una ricostruzione cronologica,
quindi manca a guardar bene una base di realismo; mentre domina il filo-
ne introspettivo, che problematizza la realt sotto laspetto psicologico e per-
cettivo. Nellidea malapartiana di reportage, il sangue, la paura, lorrore, la
sofferenza, e altri sentimenti congiunti sono molto pi significativi da rac-
contare piuttosto che la cronaca e la mera registrazione dei fatti. Esistono,
insomma, per dirla pascalianamente, le ragioni del cuore: prima dei fatti
storici esiste la realt interiore, lindividualit e la piet umana. Malaparte
racconta cos il disfacimento corporale, la morte del cuore umano, la lacera-
zione fisica dellio, lo choc mentale in una sorta di interrogazione costante dei
reconditi avvenimenti interiori.
Piuttosto che il referto cronachistico delle azioni di guerra e degli eventi
militari, Malaparte preferisce raccontarne le conseguenze psicologiche: il
trauma, lorrore, la fisicit degli scontri e la sua dimensione introiettiva.
Eppure egli, come un buon reporter, attinge alla realt, raccoglie dati nati da
circostanze quotidiane e dagli avvenimenti: un materiale fattuale che lui tra-
sforma in un surplus espressivo. Il suo reportage di guerra si sviluppa come
un ibrido tra documento e romanzo, nel senso che adatta certi moventi gior-
nalistici al romanzo e viceversa17. In una societ che richiede informazioni e
scandalo, il reportage malapartiano una sorta di archivio della violenza e
degli scandali della guerra, una mostra delle atrocit esposte con pathos ed
enfasi, con metaforismo e valenze oniriche18.

cato a Malaparte e il Corriere, supplemento al Corriere della Sera del 29 novembre 1986,
pp. 3-66.
15
Lelenco ragionato della sua produzione giornalistica in C. Santi, Articoli e altri scritti
in giornali e riviste, in Malaparte scrittore dEuropa, cit., pp. 301-343.
16
A conflitto iniziato, viene richiamato nel 5 Reggimento Alpini come ufficiale di com-
plemento e inviato sul fronte francese nel giugno del 1940, ma dopo poco tempo assume lim-
piego presso lufficio stampa dello Stato Maggiore, avendo modo di svolgere pure lattivit di
corrispondente di guerra da vari fronti per Tempo e soprattutto per Il Corriere della Sera.
Cfr. Guerri, Larcitaliano, vita di Curzio Malaparte, cit., pp. 188-203.
17
Di natura piuttosto diseguale, il reportage diventa un vero genere letterario capace di
fondere insieme poesia e consumo e di sopportare le deformazioni, gli innesti, le etichette di
generi dentro altri generi. Sulla storia del reportage come genere giornalistico-letterario, cfr. E.
Falqui, Giornalismo e letteratura, Mursia, Milano 1969, in part. pp. 125-129.
18
Unanalisi della prosa di guerra di Malaparte in L. Martellini, Comete di ghiaccio, ESI,
Napoli 2003, in part. pp. 11-29.
248 Cristiano Spila

Straordinario osservatore della realt politico-diplomatica e conoscitore


anche di economia, Malaparte adatta il materiale raccolto ai fini della propria
immaginazione: bench descriva le cose che vede, i suoi scritti mostrano piut-
tosto le impressioni, come egli vede le cose. una forma di giornalismo poli-
tico, in cui lastuta invenzione si mescola alla verit dei fatti, e in cui leven-
to ripercorso ed enfatizzato e dilatato in una forma di ossessionante con-
templazione. Nella sua esperienza narrativa, letteratura e giornalismo si lega-
no: la letteratura si vede nella precisione della conoscenza e nella limpidezza
del ragionamento e nellesposizione, nella capacit di inquadrare i fatti nel
contesto cui appartengono, alla ricerca delle cause; mentre al giornalismo
propriamente detto compete la connessione delle discipline, il tono rapido
ma insistito con cui viene raccontata una notizia o un fatto, e il colore,
quella carica di espressivit retorica che era tipica dello stile dei cinegiornali e
dei rotocalchi del tempo.
In questo senso, infatti, la retorica riveste un ruolo determinante.
Malaparte avverte i limiti della capacit dello strumento giornalistico quan-
to a predicazione del vero e prova ad aumentarlo, ad enfatizzarlo con i
mezzi della letteratura. Non dunque un caso che egli sperimenti la strada
del macabro, dellestremo raccapriccio, in una sorta di decadente baudelai-
riana simpatia dellorrore19. Il suo reportage implica una forma di iposta-
tizzazione dello sguardo, per cui la verit di un fatto scaturisce dalla forza
espressiva dellimmagine che racconta lavvenimento. Luso retorico della-
nafora e dellenumerazione, laggettivazione colta e raffinata, le scelte lessi-
cali squisite si caricano di un valore enfatico; per non dire degli scenari e
delle situazioni incredibili e inusitate. Si assiste cos allo spettacolo del
mondo alla rovescia: animalit, antropofagia, necrofilia, vampirismo, vio-
lenza. Il riportare immagini e metafore coglie il segno di ci che operante
e pulsante nel cuore umano e consente di abbandonare la narrativa artifi-
ciosa e ideologica di Primo Novecento per tentare la via dellautenticit
morale. Non che lartificio scompaia del tutto; ma il primum ora la cruda
verit esistenziale. La letteratura, allora, si giustifica non pi come indivi-
dualismo politico o presa di possesso del reale, ma come estetica dellorrore;
non pi (o non solo) come atto ideologico ma come choc linguistico il
pomo aurato del dolore.
Nel numero 5 di Prospettive, la rivista da lui stesso fondata e diretta,
Malaparte pubblica una lettera aperta dal fronte (dal Settore del Monte
Bianco 12 giugno [1940]), in cui tra le altre cose scrive: sullo sfondo di
questo infelicissimo dramma europeo, i problemi dello spirito, quelli della
cultura, e della letteratura in particolare, acquistano unimportanza tanto

19
Il riferimento alla lirica di C. Baudelaire, Horreur sympatique, LXXXII dei Fiori del
male.
Il reportage di guerra di Curzio Malaparte 249

maggiore, quanto pi gravi sono i problemi politici, e comunque di ordine


pratico, che la guerra pone in gioco20.
Stretto nella necessit di trovare un nuovo stile, pi aderente alla realt
orribile e inusitata da riportare, Malaparte supera la prosa darte in una let-
teratura nuova, lacerante nel suo impeto descrittivo-percettivo. Egli avverte le
stretture e linutilit del modello vociano-rondista del capitolo o dellelze-
viro, che propone unestetica scissionista fra problemi di scrittura e proble-
mi morali. La letteratura moderna del reportage, invece, non propone solu-
zioni esclusivamente formali, ma cerca di esprimere i problemi e le urgenze
della coscienza dilaniata dalla crisi morale della guerra. La partecipazione
alla guerra non soltanto fisica: sopra tutto intima, sotto la specie di una
catarsi esteriore che si tramuta nello sforzo cosciente e se non cosciente
non vale di superare tutto ci che di morto, di inutile, di falso, ci han lascia-
to le generazioni precedenti21.
Un dato di fatto di sicura rilevanza in questa risoluzione tecnica si pu
vedere nelle corrispondenze dal fronte russo, raccolte nel 1943 con il titolo
Il Volga nasce in Europa. In questi articoli si ritrova leleganza di stile e le qua-
lit visivo-narrative della proiezione riflessiva della letteratura. I cromatismi
(torbide strisce sanguigne, grigie macchine dacciaio, cielo tutto striato
di verde, enormi cataste di ferro annerito, dorato splendore del grano,
cortina di polvere rossa e di caligine plumbea, nuvola nera di pece, lun-
ghi denti gialli), la registrazione di percezioni visive (interiora di ferro con-
torto, melma vischiosa succhia le ruote, scheletri di case, scenario di
rovine fumanti, immense valanghe dombra), le sensazioni uditive (cre-
pitio delle mitragliatrici, stridore dei denti dei cingoli, terribile urto di
macchine, scroscio delle pietre, Piove dallo zenit un ronzio di motori,
schianto lacerante di qualche grossa granata, denso opaco silenzio franava
sulla pianura, crepitare rabbioso della pioggia), e olfattive (un odore vio-
lento e grasso, il suo odore forte, un odore dolio, di benzina e di sudore,
uno spaventoso fetore di carne bruciata) costruiscono una fitta rete di astra-
zioni e di esasperazioni descrittive che cerca di drammatizzare il senso di
smarrimento e di paura, la carica emotiva della tragedia bellica e umana.
un modulo narrativo di cronaca e, insieme, di diario epico-lirico, rein-
ventato da Malaparte. Nella scrittura sedimentano elementi letterariamente
ricchi ed espressivi, il tono si fa appassionato e il registro retoricamente alto.
Specialmente nella parte delle corrispondenze dallUnione sovietica fino
allassedio di Leningrado, si avverte una intensificazione immaginativa e sti-

20
Sulla volont di rinnovamento ideologico-letterario di Malaparte, si veda anche il fasci-
colo di Prospettive, IV, n. 6-7, 1940, intitolato Cadaveri squisiti, in cui lo scrittore collega le
problematiche di natura stilistica alla dimensione etica. Cfr. L. Martellini, Impegno e disimpe-
gno, in Id., Invito alla lettura di Malaparte, Mursia, Milano 1977, pp. 122-127.
21
C. Malaparte, Lana caprina, in Prospettive, IV, n. 5, 15 maggio 1940, pp. 3-4.
250 Cristiano Spila

listica che, pure nella presa diretta sulle cose, tende a comporsi nello spazio
della memoria letteraria.

Io penso alla ritirata delle truppe sovietiche, a quella loro triste, solitaria, disperata
lotta. Non la classica ritirata russa, quella di Guerra e pace, la ritirata nel bagliore
degli incendi, sulle vie ingombre di fuggiaschi, di feriti, di armi abbandonate. ,
questa, una ritirata che lascia nellaria la fredda, vuota, deserta atmosfera dei corti-
li delle fabbriche dopo uno sciopero fallito. Qualche arma per terra, qualche indu-
mento, qualche carcassa di macchine. Un enorme sciopero fallito22.

Il merito principale dello scrittore sta nellaver descritto la guerra dalla


parte del corpo, mostrato laspetto quotidiano, materiale, umano, della fati-
ca e della paura cos nella descrizione della vita quotidiana di una colonna
in marcia di soldati tedeschi23:

I soldati, seduti sulle panche messe di traverso sugli autocarri scoperti, appariva-
no bianchi di polvere. [...] Sotto la maschera di polvere, i visi si indovinavano
anneriti dal sole, bruciati dal vento greco. I soldati stavano seduti sulle panche
con una strana rigidezza, avevano laspetto di statue. Sembravano di marmo,
tanto eran bianchi di polvere24.

Pi avanti:

i carristi tedeschi si aggirano intorno ai carri, si curvano ad esaminare i cingoli,


battono nelle ruote con pesanti martelli, come fanno i ferrovieri per verificare i
freni. Alcuni salgono sui carri, sollevano il coperchio della botola, entrano ed
escono dal ventre del carro armato. [...] Altri smontano un motore, altri verifica-
no con un manometro la pressione delle gomme degli autocarri. Un odore di olio
bruciato, di acido carbonico, di benzina, e di ferro incandescente, crea nel bosco
la particolare atmosfera di un cortile di officina. ( questo lodore della guerra
moderna, proprio questo lodore della guerra motorizzata). Bisogna allontanar-
si di un centinaio di passi per sentire lodore forte dellorina di cavalli, e del sudo-
re umano25.

E ancora le scene quotidiane, fisiologiche, del pasto:

22
C. Malaparte, Oltre il Prut, in Id., Il Volga nasce in Europa e altri scritti di guerra, a cura
di E. Falqui, Vallecchi, Firenze 1965, p. 44.
23
Cfr. O. Bergamini, Specchi di guerra. Giornalismo e conflitti armati da Napoleone a oggi,
Laterza, Roma-Bari 2009, che riporta a pp. 113-114, il giudizio di Philipp Knightley (The
First Casuality, 2004), secondo cui Malaparte avrebbe prodotto nel 1941 il miglior giornali-
smo di guerra in circolazione. Cfr. anche pp. 101-103.
24
C. Malaparte, La guerra rossa, in Id., Il Volga nasce in Europa, cit., p. 24.
25
C. Malaparte, Operai soldati, in Id., Il Volga nasce in Europa, cit., p. 29.
Il reportage di guerra di Curzio Malaparte 251

Stanno seduti sui parafanghi delle macchine, sulla schiena dei carri armati, le
gambe penzoloni dentro le botole, e mangiano. In queste colonne non c lora
del rancio. Si mangia quando si pu. Ciascun soldato si porta con s il suo pane
scuro, la sua marmellata, il suo termos di t. Ogni tanto, anche durante il com-
battimento, il soldato toglie da qualche sua bisaccia una fetta di pane, la spalma
di marmellata, se la porta alla bocca con una mano (e con laltra stringe il volan-
te, o il calcio della mitragliatrice)26.

La corrispondenza di guerra rende insomma una testimonianza di forte


impatto visivo e percettivo, con elaborate dinamiche retoriche e differenti
registri stilistici, in una lingua comune di informazione ma di acuita sensi-
bilit comunicativo-emotiva. Il reporter si assume il compito di testimone
sereno e obbiettivo e non descrive tanto i segni della battaglia, quali riman-
gono come reliquie allo sguardo, ma nota obbiettivamente, senza inutili e
stupide partigianerie, tutti gli elementi caratteristici della guerra in atto27.
I problemi che la letteratura pone vengono risolti dallevento in s, dalla
guerra come avvenimento concreto: la verit di quello che si scrive garanti-
ta dalla verit tangibile della guerra, del sangue, della morte. Lorrore reale
e il dolore vero della guerra fondano il valore stesso della scrittura. Quello che
per colpisce che quella realt e verit, pi che strettamente storico-
politiche o etiche, sono autobiografiche. Labbrutimento fisico, la morte, lor-
rore e lo schifo, la materialit viscerale, segni concreti di un male storico, di
una sofferenza concreta, collettiva, entrano nella scrittura malapartiana come
i segni di una percezione dal punto di vista dellio-testimone. Quello che
Malaparte salva nella scrittura non lin-s in quanto uomo ma in quanto
testimone, che garantisce la concretezza delle cose vedute (o immaginate).
In tal senso, la guerra acquista un significato complesso, dal punto di vista
esistenziale: essa la chiamata a raccolta di tutti i mali della terra, una sorta
di dantesco inferno sulla terra e, in questa atmosfera catastrofica e spettrale,
sembra aggirarsi solo lui, il maledetto28 Malaparte, unica presenza umana
sopravvissuta alla totale degradagazione delle cose. Il dolore delle cose spo-
stato sulla guerra come avvenimento totale: solo cos la vicenda biografica
diventa una vicenda esemplare e lesistenza di chi racconta entra nella rile-
vanza degli impossibilia letterario-mitici. Perci il reportage malapartiano ,
in un senso tutto particolare, unautobiografia; e, in generale, le sue differen-
ti corrispondenze dal fronte costituiscono i singoli momenti di una storia
autobiografica.

26
C. Malaparte, Guardateli bene in viso, questi morti, in Id., Il Volga nasce in Europa, cit.,
p. 65.
27
Cfr. C. Malaparte, Tecnica e morale operaia, in Id., Il Volga nasce in Europa, cit., p. 45.
28
Laggettivo , ovviamente, autorizzato dalluso che ne fa lo stesso Malaparte in due suoi
celebri libri: La rivolta dei santi maledetti (1921) e Maledetti toscani (1956).
252 Cristiano Spila

Per lui si tratta di mettersi nella storia, dentro la storia, in modo da inte-
grare una vicenda privata in una svolta epocale, cos che la vita stessa acqui-
sti un significato, una fondatezza. La sola forma di partecipazione alla storia
lesserne dentro; e la sola forma di etica il non lasciarsi travolgere da essa.
Il cosiddetto moralismo, di cui lo scrittore stato spesso accusato, perci
un tentativo di assolvere alla funzione di intellettuale rappresentandosi come
chi parli per voce altrui, come chi si relazioni con altri destini. Il nodo strin-
gente sta nella maniera di rappresentare gli eventi bellici con il gusto delli-
perbole, dellenfasi, del paradossale topos del mondo alla rovescia.
Lespressione culminante di questa idea della guerra come iperbolica e
macabra esperienza umana Kaputt, reportage o romanzo-saggio, anti-ro-
manzo, romanzo-collage29.
Nel libro, composto da corrispondenze di guerra30, risalta la singolarit
del ruolo testimoniale dello scrittore, la cui presenza al tavolo dei potenti
della terra una attestazione lucida e ironica al tempo stesso, topos letterario
di lunga tradizione. Esaltando la sua figura di osservatore super partes degli
eventi bellici, Malaparte racconta il mondo della diplomazia e della politica
con intelligenza critica e smagata ironia. Si pensi al ritratto del crudele
Dietrich:

gli avevo raccontato dei prigionieri sovietici che mangiavano i cadaveri dei loro
compagni, nel campo di Smolensk. Dietrich si era messo a ridere. Avevo incon-
trato lObergruppenfhrer Dietrich, il sanguinoso Dietrich, comandante della
guardia personale di Hitler, nella villa dellAmbasciata dItalia, sulle rive del
Wannsee, presso Berlino; ed ero stato certamente attratto dal suo viso pallido, dai
suoi occhi incredibilmente freddi, dalle sue orecchie enormi, dalla sua piccola
bocca di pesce. Dietrich si era messo a ridere: Haben sie ihnnen geschmekt? li
mangiavano di gusto? E rideva spalancando la piccola bocca di pesce dal pala-
to roseo, mostrando i denti di pesce fitti e aguzzi31.

Quella di Malaparte una testimonianza complessa e altamente compo-


sita fra realismo e visionariet, fra cronaca e immaginazione, che si avvale di
una quantit di dati, di emozioni visive registrate nei vari teatri europei del
disastro durante un lungo periodo di servizio giornalistico sempre pi coin-
volgente. Kaputt il libro della decomposizione, della miseria morale e della

29
La definizione di G. Grana, Malaparte, La Nuova Italia, Firenze 1973, p. 78. Vedi
anche pp. 70-103 per unanalisi del testo, che sottolinea la grande energia figurativa con richia-
mi a modelli pittorici europei.
30
In Kaputt confluiscono materiali scritti in precedenza, articoli usciti sul Corriere della
Sera. Sulla genesi e rielaborazione (e collocazione in volume) delle corrispondenze dal fronte,
si veda G. Pinotti, Nota al testo, nella nuova edizione di C. Malaparte, Kaputt, a cura di G.
Pinotti, Adelphi, Milano 2009, pp. 447-476.
31
C. Malaparte, Kaputt, in OS, pp. 445-446.
Il reportage di guerra di Curzio Malaparte 253

morte. Nel delirio della guerra, savanza lo spettro marcescente del Patria-
cavallo:

un odore di carogna di cavallo si scioglieva nellodore dellerba e dei girasoli. Non


potevo dormire. Ero disteso sul letto a occhi chiusi, e non potevo pigliar sonno,
tanto la fatica mi doleva nelle ossa. [...] La carogna giaceva riversa nella pozzan-
ghera, la testa posata sul ciglio polveroso della strada. Aveva la pancia gonfia,
tutta screpolata. Locchio splendeva sbarrato, umido e tondo. La bionda criniera
polverosa, imbrattata di croste di sangue e di fango, si drizzava rigida sul collo,
come le criniere equine sugli elmi degli antichi guerrieri. Mi sedei sul ciglio della
strada, le spalle appoggiate allo steccato. Un uccello nero fugg via con un volo
lento e silenzioso32.

Dal fondo del paesaggio ucraino bruciato e distrutto, emerge il sogno del
cadavere putrescente di un cavallo sporco di sangue; unimmagine apparen-
temente irrelata di distruzione e morte che costituisce la metafora dello sfa-
celo dEuropa, della patria umanistica:

Muore tutto ci che lEuropa ha di nobile, di gentile, di puro. La nostra patria


il cavallo. Voi capite quel che voglio dire. La nostra patria muore, la nostra anti-
ca patria. E tutte quelle immagini ossessionanti, quella continua ossessione dei
nitriti, dellodore orrendo e triste dei cavalli morti, rovesciati sulle strade della
guerra, non vi pare che rispondano alle immagini della guerra, alla nostra voce,
al nostro odore, allodore dellEuropa morta?33

Carogne e corpi fatti a pezzi appaiono in ogni dove; carogne di cavalli, di


uomini, di cani, ma anche di carri armati che emanano odori acri e insop-
portabili: odori di ferro putrefatto e di sangue rappreso, odori di olio com-
busto e di corpi marciti. La registrazione delle percezioni olfattive si spiega
con la visione di un paesaggio allucinato e dantesco, che innesca un inferna-
le simbolismo che solo pu spiegare lorrore. Un immaginario di crudezza e
di morte, ma anche di piet e di nostalgica elegia per una Europa umanisti-
ca distrutta dallindustria dello sterminio di massa.
In Kaputt domina uno scenario apocalittico, costruito con i tasselli delle-
rudizione figurativa e linguistica, dove tutto ha una funzione visiva, con
eccessi barocchi di accesa metaforizzazione e di tableaux surreali di situazioni

32
Ivi, p. 468.
33
Ivi, p. 499. La figura del crollo, cui rinvia il termine Kaputt, pu essere intesa alme-
no in due direzioni. Il crollo fisico, di distruzione terrena, materiale, storica, che scorge o dise-
gna un presente marcio e disumano; oppure quello morale, etico-giuridico, in cui la materia
del diritto, della convivenza sociale, della pietas hanno perso la loro altera compostezza, lace-
rata dal dolore e dallo sbigottimento, proiettando lEuropa (e lItalia) verso una fine certa e un
futuro pieno di angoscia e di alienazione.
254 Cristiano Spila

al limite dellassurdo, di un espressionismo fortemente visualizzato, sul mo-


dello di un Ensor o di un Grosz, ma anche di Chagall:

I morti giacevano abbandonati sulla neve [...]. Avevano la barba sporca di nevi-
schio e di fango. Alcuni avevano gli occhi spalancati, ci seguivano a lungo con lo
sguardo bianco, guardavan la folla passare. Erano rigidi e duri, parevano statue di
legno. Simili ai morti ebrei di Chagall. Le barbe sembravano azzurre negli scarni
visi illividiti dal gelo e dalla morte. Di un azzurro cos puro, che ricordava quel-
lo di certe alghe marine34.

Nel discorso narrativo, raffinato e paradossale, di Malaparte torna spesso


il dettaglio iconografico, la nota figurativa, quasi sempre orientata in direzio-
ne del grottesco (animalesco) o del macabro, che conforma la descrizione
memoriale lirico-drammatica alla scenografia dellorrore; come certe figure,
volti o atteggiamenti del potere visti alla tavola del Reichminister Frank,
governatore generale tedesco della Polonia conquistata:

mi pareva di penetrare, per incanto, in qualche Corte espressionista tedesca idea-


ta da Grosz. Ritrovavo intorno alle tavole, riccamente imbandite, le nuche, i ven-
tri, le bocche, gli orecchi disegnati da Grosz: e quegli occhi tedeschi freddi e fissi,
quegli occhi di pesce35.

In questo modo, il dolore o la figura analogica dello strazio si definiscono


in immagini di icastica intensit, rese pi forti dallo stridore ossimorico e
dalle incarnazioni metaforiche: i cavalli, i topi, i cani, gli uccelli, le renne, le
mosche. Gli animali sono una costellazione ricorrente nellimmaginario
malapartiano, quasi a rinviare a una struttura profonda della sua sostanza psi-
chica, o meglio del suo rapporto col mondo, della weltanschauung interiore,
che trova una concretizzazione simbolica nei temi dello sbranamento, del
cannibalismo e della cruenta oscenit.

La guerra non mangia i cadaveri, divora soltanto i soldati vivi. Mangia le gambe,
le braccia, gli occhi dei soldati vivi, quasi sempre mentre dormono, come fanno
i topi. Ma gli uomini son pi civili: non mangiano mai gli uomini vivi.
Preferiscono, chi sa perch, mangiare i cadaveri36.

Il reportage malapartiano ruota attorno a due grandi polarit, o isotopie,


diverse, quasi opposte. La prima reca in s i tratti della distruzione, delle-
normit della strage, del dolore, della violenza, della lacerazione. Per conse-
guire una verit testimoniale, di cronaca storica, recando in s la traccia

34
C. Malaparte, Kaputt, in OS, p. 540.
35
Ivi, pp. 514-515.
36
Ivi, p. 753.
Il reportage di guerra di Curzio Malaparte 255

dello sforzo di ricerca durato per ottenerla, il discorso narrativo si colora di


tonalit cupe. La tensione semantica di questo primo gruppo di analogie non
si lascia chiudere in una sola direttrice: le figure dellanimalit, della viscera-
lit e della decomposizione si leggono come correlativi o equivalenti della
distruzione:

Tornavo dal fronte di Smolensk, ero terribilmente stanco, la nausea non mi


lasciava dormire. La notte mi svegliavo con un violento dolore allo stomaco, mi
pareva di avere ingoiato una bestia e che la bestia mi mordesse le viscere. Era pro-
prio come se avessi mangiato un pezzo duomo vivo, rimanevo ore e ore con gli
occhi sbarrati nel buio37.

La seconda polarit, o isotopia, presenta invece i tratti dellurbanit, del


decoro formale, della ricomposizione autobiografica; propone temi conversa-
tivi e biografici, in cui lo scrittore gioca un ruolo diverso, di osservatore
distaccato, di reporter appunto. In tal modo, Kaputt non si presenta mono-
liticamente come un libro di guerra (o libro sulla guerra), ma anche come
lautobiografia di un intellettuale borghese al fronte, osservatore implicato di
eventi storici collettivi e dei loro atroci effetti. Autobiografia di un reporter:
lautore non si nasconde, non preclude i fili di comunicazione tra il perso-
naggio principale che dice io e una sua accertabile presenza anagrafica; egli
lascia i luoghi della sua esistenza quotidiana per portarsi in luoghi deccezio-
ne, dove nessun mortale era stato prima di lui per assistere a cose ecceziona-
li, degne di essere riportate, giorno dopo giorno, al consorzio degli uomini
perch vi meditino sopra e ne traggano frutti migliori per la vita morale.
Quello che cambia in Kaputt, rispetto al precedente Il Volga nasce in
Europa, non deriva solo dallimpostazione dei diversi argomenti, ma anche
dalla riflessione culturale e letteraria. I problemi sono impostati diversamen-
te perch il libro-reportage si basa su una nuova idea di scrittura enfatica. Un
reportage enfatico, secondo una definizione approssimativa, vuol dire per
Malaparte almeno due cose. In primo luogo, documentare la storia non attra-
verso una concatenazione fattuale (come una cronaca), ma per temi o per
immagini (vedi il ritorno topico di alcuni simboli o ricorrenze situazionali).
La struttura per temi intende liberare il reportage dalla sudditanza (giornali-
stica) alla notizia, alle cose come sono andate, e lo risolve in una trama ver-
bale, in una struttura conversativa (di cui lo stesso narratore protagonista).
In secondo luogo, scopo dello scrittore anche quello di unificare il reporta-
ge e farlo libro attraverso una cornice di tipo conversativo. La narrazione si
snoda, infatti, per lo pi in una cornice dialogica, anche in certi momenti
conviviale, altamente volgare e grottesca se messa a confronto con lo scena-
rio della fame e dellannientamento delle vittime: il mondo della diplomazia

37
Ivi, p. 755.
256 Cristiano Spila

internazionale lelemento portante, che permette il continuo dichiararsi


della rievocazione, il proporsi e riproporsi dei racconti memoriali. Ma allin-
terno della realt diplomatica e politica, emerge prepotente il mondo simbo-
lico: lintensa immaginazione lirica e allegorica si tende in ossessione visiva,
si dispiega nelliperrealismo e nel surrealismo dellorrore, nella dilatazione
delirante e nella deformazione espressionistica.

Sulle panche disposte luna sullaltra, a gradini, lungo la parete della sauna, stan-
no seduti, o distesi, una decina duomini nudi. Cos bianchi, molli, flosci, iner-
mi. Cos straordinariamente nudi, che par non abbiano pelle. Hanno la carne
simile alla polpa dei crostacei: pallida, rosea, e manda un odore acidulo di cro-
staceo. Il petto hanno ampio, grasso, le mammelle gonfie e cascanti. Il viso seve-
ro e duro, quel viso tedesco, fa un singolare contrasto con quelle nude membra
bianche e flosce, ha quasi il valore di una maschera. Quegli uomini nudi siedono
o giacciono sulle panche come cadaveri stanchi. [...] I tedeschi nudi sono mera-
vigliosamente inermi. Sono senza segreto. Non fanno pi paura. Il segreto della
loro forza non nella pelle, nelle loro ossa, nel loro sangue, ma nella loro unifor-
me. Sono talmente nudi, che non si sentono vestiti se non in uniforme. La loro
vera pelle luniforme38.

Si pensi a questa metafora della pelle come maschera, immagine sim-


bolica che rimanda alla guerra come un carnevale infernale. Una immagine
tutta letteraria. La scrittura lillusionistica evocazione della morte e della
violenza, perch una visione non immediata, nel senso che la messa in
forma della verit coincide con la messa in forma della realt compiuta dalla
coscienza.
La metafora torner nel successivo romanzo-reportage, intitolato appun-
to La pelle 39. Lopera si situa sullo sfondo di una Napoli distrutta e affamata,
in cui i traffici illeciti, la prostituzione sfrontata, la vendita dei bambini tra-
volgono tutto in una decomposizione fisica e morale, dagli uomini al pae-
saggio. LItalia, sconvolta dalla guerra e dalle privazioni di ogni genere, la
stessa del neorealismo cinematografico dei film di Rossellini e di De Sica, ma
lo scenario raccapricciante: ragazzi cenciosi gettati in strada accecati dalla
fame, carogne abbandonate e decomposte di uomini e animali, pederastia,
cannibalismo, violenza, orrori fisici e, persino, lapocalittico scenario delle-
ruzione del Vesuvio. Malaparte evoca i mesi tragici fra linverno del 1943 e il
marzo 1944, nel corso dei quali egli aveva il compito di assicurare il collega-
mento tra i partigiani antifascisti e il comando americano.

38
Ivi, p. 854.
39
Il romanzo-reportage venne pubblicato, con il titolo La peu, nel 1949, a Parigi, da Denel,
poi nel 1950 a Milano da Aria dItalia, una casa editrice creata da Malaparte per loccasione, per-
ch nessun editore in Italia voleva pubblicare questo libro apocalittico e disilluso che disgregava
limmagine retorica delleroismo e rappresentava scandali e amoralit dei vincitori.
Il reportage di guerra di Curzio Malaparte 257

Nel definire La pelle come storia e racconto, Malaparte lo pone in una


linea che non n quella del saggio storico n quella dello studio politico e
sociale; bens unopera romanzata, in cui i fatti fondamentali sono veri ed
esatti, ma i motivi di esperienza personale si intrecciano continuamente con
quelli tratti dalla fantasia e dallaltrui esperienza. La strutturazione per temi,
gi presente in Kaputt, la dissoluzione del fatto e la sua sfrangiatura nelluni-
verso del possibile sono i caratteri precipui di questo libro. Lavvenimento
narrato diviene allegoria piuttosto che registrarsi come fatto: le cose avven-
gono piuttosto che nel mondo delle cose presenti e verificabili, nel teatro
aleatorio delle rivelazioni. Il brano seguente, tratto dal cap. VII, in tal senso
dei pi emblematici, perch mette in scena latrocit di un pasto cannibalico
visto come simbolo di una conclamata degradazione morale:

In quel momento la porta si apr, e sulla soglia, preceduti dal maggiordomo,


apparvero quattro valletti in livrea recando al modo antico, sopra una specie di
barella ricoperta di un magnifico broccato rosso dallo stemma dei Duchi di
Toledo, un enorme pesce adagiato in un immenso vassoio dargento massiccio.
Un oh! di gioia e di ammirazione corse lungo la tavola, ed esclamando Ecco la
Sirena!, il Generale Cork si volse a Mrs. Flat, e sinchin. [...] Tutti guardammo
il pesce, e allibimmo. Un debole grido dorrore sfugg dalle labbra di Mrs. Flat, e
il Generale Cork impallid. Una bambina, qualcosa che assomigliava a una bam-
bina, era distesa sulla schiena in mezzo al vassoio, sopra un letto di verdi foglie di
lattuga, entro una grande ghirlanda di rosei rami di corallo40.

Il racconto, scritto in prima persona quasi fosse una specie di autobiogra-


fia, ha la parvenza di un racconto fantastico. Soggettivismo e realt oggettiva
subiscono la metamorfosi di bizzarre e metafisiche invenzioni. In questo caso,
loggetto centrale del racconto, la Sirena, appare come il simbolo stesso della
violenza e dellangoscia della guerra. Persino lincertezza del suo stato (pesce
o bambina) riflette lambiguit del reale; cos come lincrocio di realismo ed
elementi surreali rendono latmosfera del racconto simile a quella di un inu-
sitato gioco grottesco. Nella cornice realistica del pranzo fatto al Quartier
Generale delle forze armate americane a Napoli, appare lelemento macabro
che denuncia la violenza e lorrore della guerra. Caduta la maschera della fin-
zione, della mitologia, non resta che il cadavere di una bambina, qualcosa di
oscuro e barbarico che trova riscontro in una simbologia delluomo-animale.

E ora tutti guardavano allibiti, muti per la sorpresa e per lorrore, quella povera
bambina morta, distesa a occhi aperti nel vassoio dargento, su un letto di verdi
foglie di lattuga, in mezzo a una ghirlanda di rosei rami di corallo. [...] Io guar-
davo quella povera bambina bollita, e tremavo di piet e di orgoglio dentro di me.
Meraviglioso paese, lItalia! pensavo. Quale altro popolo al mondo si pu per-

40
C. Malaparte, La pelle, in OS, pp. 1196-1197.
258 Cristiano Spila

mettere il lusso di offrire a un esercito straniero, che ha distrutto e invaso la sua


patria, una Sirena alla maionese con contorno di coralli? Ah! metteva conto di
perder la guerra, sol per vedere quegli ufficiali americani, quellorgogliosa donna
americana, seder pallidi e sbigottiti dorrore intorno a una Sirena, a una deit
marina distesa morta in un vassoio dargento, sulla tavola di un generale ameri-
cano!41

Limmagine cannibalica indizio dellimmenso naufragio della civilt e


della catastrofe morale di tutto ci che umano. Anche il liberatore, il gene-
rale americano Cork, affetto da una forma di crudele vanit che lo spinge a
preparare banchetti mentre la fame imperversa. Napoli diviene cos il simbo-
lo della decadenza dellEuropa, il cui marciume trova lingorgo finale in que-
sta citt-fogna in cui si fondono il bello e il laido, lantica compostezza neo-
classica e il lutulento caos della sopravvivenza, la volont di miglioramento
morale e la miseria fisica del presente.
Come si vede da questo esempio, linterpretazione del reale sub specie sog-
gettiva gi introdotto nei fatti e nella connessione con il livello dellauto-
biografia, per cui mondo e coscienza vivono in una continua interrelazione e
non possibile scorporarli. Il reportage non pu essere obiettivo, perch scri-
vere dare laccaduto come interpretato: il fatto giustificato come dato di
partenza e ben presto diventa lelemento di un sistema che si presenta come
ossessionante ed enfatico.
Se Malaparte si era cimentato col reportage di guerra mostrandone il volto
orrendo e realistico in un tempo in cui ancora permaneva nella letteratura di
argomento bellico una convenzionale retorica di eroismo o di relazione uffi-
ciale; ora con La pelle egli realizza un pi ambizioso progetto di romanzo-
reportage, superando dun colpo la formula tradizionale del romanzo realista.
Enfatizzando temi e situazioni, egli sposta lattenzione sul linguaggio come
memoria di una tradizione, ma anche come contraddizione e ambiguit. La
guerra si configura cos una macabra galleria di orrori, veri o presunti,
comunque possibili. In tal modo, il lettore ha limpressione di assistere agli
avvenimenti narrati e di prenderne parte attraverso lio narrante (testimo-
ne e protagonista). Si veda questaltro brano:

A Jampol, sul Dniester, in Ukraina, nel luglio del 1941, mera accaduto di vede-
re nella polvere della strada, proprio in mezzo al villaggio, un tappeto di pelle
umana. Era un uomo schiacciato dai cingoli di un carro armato. Il viso aveva
preso una forma quadrata, il petto e il ventre serano allargati e messi di traverso,
in forma di losanga: le gambe divaricate, e le braccia un po discoste dal tronco,
eran simili ai calzoni e alle maniche di un vestito appena stirato, disteso sulla
tavola da stiro. Era un uomo morto, qualcosa di pi, o dimeno, di un cane o di

41
Ivi, p. 1203.
Il reportage di guerra di Curzio Malaparte 259

un gatto morto. Non saprei dire, ora, che cosa ci fosse, in quelluomo morto, di
pi o di meno di quel che non ci sia in un cane o in un gatto morto. Ma allora,
quella sera, nel momento in cui lo vidi stampato nella polvere della strada, in
mezzo al villaggio di Jampol, avrei forse potuto dire che cosa cera in lui di pi o
di meno che in un cane o in un gatto morto42.

Il racconto viene costruito attraverso lisolamento di un dettaglio: luomo


morto schiacciato dai carri armati diviene una tappeto (poi una bandiera) di
pelle umana. La ridondanza e la ripetizione ossessiva fungono da elementi
inquietanti e magici che danno vita a un mondo ignobile e odioso che nasce
sotto gli occhi del cronachista.

In mezzo alla strada, l, davanti a me, giaceva luomo schiacciato dai cingoli di un
carro armato. Vennero alcuni ebrei, e si misero a scrostare dalla polvere quel pro-
filo duomo morto. Adagio adagio sollevarono con la punta delle vanghe i lembi
di quel disegno, come si sollevano i lembi di un tappeto. Era un tappeto di pelle
umana, e la trama era una sottile armatura ossea, una ragnatela dossa schiaccia-
te. Pareva un vestito inamidato, una pelle duomo inamidata. La scena era atro-
ce e insieme leggera, delicata, remota. Gli ebrei parlavano tra loro, e le voci suo-
navano distanti, dolci, smorzate. Quando il tappeto di pelle umana fu del tutto
staccato dalla polvere della strada, uno di quegli ebrei lo infil dalla parte della
testa sulla punta della vanga, e con quella bandiera si mosse43.

La macabra poeticit del racconto si trasferisce agli oggetti rimasti sul ter-
reno: la pelle umana come una bandiera, oggetto forse realmente visto, ma
anche un simbolo surreale di rivendicazione; sono questi gli elementi che
innescano unincessante e delirante catena della memoria, incastrata tra lin-
comprensione e la pazzia. Insieme, prende corpo una tecnica narrativo-gior-
nalistica che presenta cadenze e tagli di tipo cinematografico. Si tratta di un
narrare per immagini e raccontare per sequenze, alla maniera di Hemingway.

Dietro lalfiere veniva, con le vanghe in spalla, il corteo dei becchini, chiusi nei
loro kaftani neri. E il vento faceva sventolar la bandiera, muoveva i capelli impia-
stricciati di polvere e di sangue, irti sulla larga fronte quadrata come la dura cri-
niera di un santo in unicona. Andiamo a veder seppellire la nostra bandiera
dissi a Pellegrini.
Landavano a seppellire nella fossa comune scavata allingresso del villaggio, verso
la riva del Dniester. Landavano a buttare nellimmondezzaio della fossa comune
gi colma di cadaveri bruciacchiati, di carogne di cavallo lorde di sangue e di
fango. [...] E unitici al corteo dei becchini, ci avviammo dietro la bandiera. Era
una bandiera di pelle umana, la bandiera della nostra patria, era la nostra stessa
patria. E cos andammo a veder buttare la bandiera della nostra patria, la ban-

42
Ivi, pp. 1282-1283.
43
Ivi, p. 1283.
260 Cristiano Spila

diera della patria di tutti i popoli, di tutti gli uomini, nellimmondezzaio della
fossa comune44.

Nella riformulazione del reportage in termini enfatico-simbolici assume


unimportanza strategica il momento dellepifania, la rivelazione dellorrore
del mondo e la sua drammatica significazione. Lorrore non pu essere pi
solo conradianamente evocato, deve essere figurato, esposto, ostentato:
esso il modo retorico per tradurre i fatti in scrittura, lesperienza in simbo-
lo. Il quotidiano esiste soltanto in una forma estremizzata di orrore e di
schifo, perch nello stordimento prodotto dalla guerra tutto grida e sovrasi-
gnifica. Limpronunciabilit del reale e, insieme, quasi contraddittoriamente,
il rivelare le sensazioni di ci che si sperimenta e si vive: cos va inteso il nar-
rare malapartiano, come lossessione di chi costretto, attraverso la scrittura,
a dire di s, delle proprie paure. In questo modo, lo scrittore sovrappone le
situazioni biografico-personali a quelle geografico-ambientali. Lautobiografi-
smo malapartiano si spiega proprio come momento della fondazione di una
coscienza che verifica i fatti.
Insomma, il tempo della storia e il tempo della biografia, la sfera pubbli-
ca della politica e della diplomazia e quella intima del raccapriccio e dello
sconquasso interiore, vale a dire due delle maggiori linee tematiche (e antro-
pologiche) su cui poggia il reportage di Malaparte, si fondono nel tempo del
presente, dove la visione escatologica e apocalittica, tipica della religiosit
biblico-cristiana, si proietta nella concretezza del divenire storico.

44
Ivi, pp. 1284-1286.
SILVANA CIRILLO

Dino Buzzati: un grande giornalista


a servizio del lettore

Metto insieme giornalismo e letteratura narrativa, perch


sono la stessa identica cosa. E penso effettivamente che dal
punto di vista della tecnica letteraria il giornalismo sia
unesemplare scuola Molti miei illustri colleghi, se aves-
sero fatto proprio un apprentissage giornalistico, scrivereb-
bero dei libri molto pi leggibili di quelli che scrivono
il vero mestiere di scrivere coincide col mestiere del gior-
nalismo, e consiste nel raccontare le cose nel modo pi
semplice possibile.
Dino Buzzati, Un autoritratto

Eccentrica ed estremamente eclettica stata lattivit di Dino Buzzati Tra-


verso, nato a San Pellegrino presso Belluno, nellantica villa di propriet del-
la famiglia, il 16 ottobre 1906. Lancora giovane Buzzati cominci a mostrar-
si per la prima volta interessato al disegno e alla scrittura intorno al 1920,
dopo la morte del padre Giulio Cesare, docente di diritto internazionale al-
lUniversit di Pavia, di cui avrebbe seguito comunque il modello degli studi
laureandosi anche lui in giurisprudenza ma coltivando ambizioni assai
diverse da quelle dellinsegnamento. Il suo obiettivo primario, complementa-
re in un primo momento a molteplici altre attivit, fu quello di esercitare la
professione giornalistica, su cui si ciment prestissimo ma con grandi delu-
sioni iniziali, di cui preoccupato si lament con lamico Arturo Brambilla
e che gli avrebbe a sua volta aperto la strada alla letteratura. Del 1933 sar il
suo primo romanzo, Brnabo delle montagne.
Intanto era rimasto a tal punto affascinato dai disegni di Arthur Rackam
e da La storia dellarte egiziana dellegittologo Gaston Maspro, che la prima
prova letteraria di Dinophis (pseudonimo di Dino Buzzati), lAnubeide,
dovette ispirarsi ad unoriginale reinterpretazione della scrittura egizia.
Era gi in embrione, dunque, quella poliedricit di cui lautore bellunese
dar saggio passando dalla pittura alla drammaturgia, dalla scenografia alla
262 Silvana Cirillo

musica, dalla narrazione, al fumetto, al giornalismo, che intraprender nel


luglio 1928, appena ventiduenne e assai inesperto al Corriere della sera e
che non abbandoner pi fino alla morte (1972).
E anche nel settore giornalistico non si risparmi: cos nelle stanze di via
Solferino ricopr nel tempo tutte le mansioni previste: da correttore di bozze,
a raccoglitore di notizie (sia dalle agenzie di stampa, sia tramite peregrinazio-
ni tra le strade e i commissariati cittadini e nei meandri della provincia) a
redattore di cronaca e apprezzatissimo titolista; da reporter a recensore di
libri, da critico teatrale a critico musicale e cinematografico; da inviato spe-
ciale in Africa a corrispondente di guerra nel Mediterraneo. Pass dalla cro-
naca, con cui stentatamente aveva esordito, ma di cui divenne ben presto
langelo e il poeta come lo definirono i colleghi alla direzione edito-
riale (dal 1950 al 1963) della Domenica del Corriere di cui salv miraco-
losamente i destini, come disse la Cederna, e moltiplic vistosamente le ven-
dite (fino a portarle a un milione e 280.000 copie), creando una piccola ma
efficientissima squadra, in cui lavorarono anche Walter Molino, Orio Vergani
e Indro Montanelli, aumentando pagine e rubriche, dando pi spazio alla
fotografia, facendo attenzione a titoli e didascalie Allanarcoide e scalpi-
tante Indro Montanelli, ad esempio, cui il conservatore direttore del Cor-
riere della Sera aveva frenato la vena polemica e anticonformista come
ricorda Alfredo Pigna1, che lavor per dieci anni a fianco di Buzzati Buzzati
offr una pagina nella quale il collega poteva sfogarsi, scrivendo tutto quello
che gli passava per la testa senza la minima censura. E siccome Montanelli
conveniva con Buzzati che la storia cos come era raccontata nei libri scola-
stici era noiosa e poco appetibile, Buzzati lo convinse a riscrivere a puntate
sulla Domenica del Corriere la storia dei greci e dei romani, la stessa che
poi, trasferita in volume, fece di Montanelli il pi venduto fra gli scrittori ita-
liani. Nel 1963 fu il nuovo amministratore, Egidio Stagno, a sollevarlo dal-
lincarico per trasformare la Corrierona e metterla in concorrenza con
Epoca e Gente: in breve il giornale, traditi i lettori abituali, fall.
La pittura per me non un hobby, ma il mestiere; hobby per me scrive-
re dir lautore in un autoironico discorso compreso nel catalogo della Galle-
ria darte Cavalletto , ma dipingere e scrivere per me sono in fondo la stessa
cosa. Che dipinga o che scriva, io perseguo il medesimo scopo, che quello di
raccontare delle storie. Le stesse opere narrative ma, soprattutto, il Poema a
fumetti e I Miracoli di Val Morel sono la realizzazione pi eclatante di questa
compenetrazione tra scrittura e pittura, a cui lautore non seppe e non volle mai
rinunciare, mentre la critica esercitata con dedizione e slancio indefesso tra il
1967 e il 1971 sul Corriere (al posto di Leonardo Borghese) sar la testimo-

1
Da Arcipelago Buzzati. Il tempo dellattesa, il viaggio dela scrittura, Radio Rai, puntata III:
Langelo della nera: fra giornalismo e letteratura, con Silvana Cirillo e Alfredo Pigna, 13 set-
tembre 2006.
Dino Buzzati: un grande giornalista a servizio del lettore 263

nianza della sua passione per le forme tutte dellarte. Non amava sentirsi chiama-
re critico darte, Buzzati, non aveva compiuto studi adeguati sosteneva era
semplicemente uno scrittore che capiva larte moderna e si sentiva vicino

a tutti quei colleghi che, su quotidiani e settimanali, si mettono al servizio del pub-
blico In Italia, specialmente, la critica darte ha raggiunto vertici di ermetismo quali
non si riscontrano in nessuna parte del mondo. Da noi chi oscuro autorevole, chi
incomprensibile intelligente. Ora io sono convinto che chi sa scrivere e ha le idee
chiare scrive in modo chiaro e cose chiare: non ci sono eccezioni.

Giacomo Debenedetti avrebbe sicuramente apprezzato nella sua scrittura,


come gi in quella del realista magico Massimo Bontempelli, lo splendore della
naturalezza: fitta di dettagli, allusioni, atmosfere, quasi metafisica, e insieme
calda fruibile limpida, come la metafisica. Cos anche quando affront a Parigi,
nel 1971, la critica choccante delle opere di Francis Bacon, di cui sond gli echi
psichici e sofferti, o a Venezia, alla biennale del 64, il terremoto dellarte pop, che
non riscosse esattamente la sua partecipazione, Buzzati lo fece stabilendo un dia-
logo chiaro e condivisibile col suo pubblico:

Non fidatevi. Non giudicate il dittatore dindustria dal suo spettacolo, quando
esce vittorioso dal consiglio damministrazione o accompagna la figlia allalta-
re per le nozze col giovane Lord Stravolgi.
Dovreste vederlo a tarda sera, quando per pochi minuti, sottratti al vortice degli
impegni, riesce a rimanere solo. Allora egli si guarda attorno e spalanca la bocca
in un urlo estremo, che nessuno tuttavia potr sentire, perch egli in quellattimo
svuotato e dalla bocca non esce che un gemito opaco di agonia.

Il potere dunque non sopperisce allumanit e al sentimento, soffocati da


ambizione e potenza, la solitudine contorce chiunque, e ritratti cos sofferti
come quelli dellartista dublinese livellano e accomunano lumanit intera,
irridendo gerarchie e privilegi di classe. Lanalisi essenziale, ma arriva diret-
tamente al lettore: per un procedimento di attualizzazione e umanizzazio-
ne, reciterebbe un buon manuale di giornalismo. Ma la strategia comunica-
tiva connaturata alla scrittura buzzatiana, nasce da una sensibilit e non da
un progetto. Assume i toni del dialogo, abbatte il muro del formalismo.
Ritratti raccapriccianti, volti deturpati, corpi lacerati: eppure la pittura di
Bacon trasmette vita, secondo Buzzati, forse per contrapposizione: una fuga
dal disfacimento dei corpi che riflettono baratri di anime e creano reazioni
uguali e contrarie; la lettura critica di Buzzati inedita e non tollera automa-
tismi mentali, forte e arriva a colpire immediata i sensi dello spettatore:
tanto che la risposta ad ogni sua recensione registrava un raddoppiamento nel
flusso dei visitatori. Usciva la mattina il suo pezzo sul Corriere e pomerig-
gio e sera le gallerie si riempivano!
A via San Gregorio a Milano, una sera del 46, furono uccisi a sprangate
una donna e i suoi tre figlioletti. Buzzati arriv ancor prima della polizia:
264 Silvana Cirillo

Una specie di demonio si aggira dunque per la citt, invisibile e sta forse prepa-
randosi per nuovo sangue. Laltra sera, noi eravamo a tavola per il pranzo, quan-
do poche case pi in l, una donna ancora giovane massacrava con una spranga
di ferro la rivale e i suoi tre figlioletti. Non si ud un grido. Negli appartamenti
vicini continuavano tra tintinnio di posate e stanchi dialoghi i pranzi familiari
come nulla fosse successo. Invece l, tutto era silenzioso e immobile, orribil-
mente fermi come pietre i quattro corpi di cui il pi piccolo seduto sul seggio-
lone con la testa piegata da una parte come per un sonno improvviso. fermo
ormai anche il sangue i cui rigagnoli simili a polipi immondi lucevano sempre
meno ai riflessi della lampadina di venticinque candele facendosi sempre pi
neri.

Siamo nel 1946, ancora non c la televisione e quindi tutto quello che il
cronista riesce a ricreare, cogliendone i particolari e restituendo latmosfera
terrificante di stupore attorno, per proiettarci dentro il lettore stesso. E per-
ch creda di vedere con i suoi stessi occhi la scena raccapricciante che lui gli
sta raccontando. Buzzati aveva una predisposizione naturale, aveva il colpo
docchio per la nera, come mi raccontava sempre il suo nume tutelare,
Gaetano Afeltra, e sapeva calare sensorialmente il lettore allinterno del fatto
che narrava. Lui arriva sul luogo del delitto prima della polizia, dunque,
quando la scena si presenta ancor pi drammatica e choccante, scrive il pezzo
qualche giorno dopo il fatto, quando gi Rina Fort accusata dellomicidio;
il processo arriver poi, nel 1950, e anche quello sar seguito da Buzzati attra-
verso altre pagine esemplari, che resteranno a segnare la storia del giornali-
smo italiano. Daltra parte nel 1946, dopo un anno quindi dalla fine della
guerra, esaurite le censure del ventennio fascista, la nera aveva fatto un rien-
tro trionfante sulla stampa, affascinando il pubblico esattamente come lo
affascinava il Giro dItalia e dividendo lItalia focosamente di volta in volta in
innocentisti e colpevolisti.
Il connubio tra arte e scrittura Buzzati, come sappiamo, lo avrebbe cele-
brato per tutta la vita; lo stesso accadde pure per giornalismo e letteratura.
Chi conosce Dino Buzzati si chiesto almeno una volta se viene prima
Buzzati giornalista o prima Buzzati scrittore. La risposta scontata: se vero
che Buzzati esordisce come giornalista, vero anche che le due attivit, in lui,
sono complementari e interagiscono costantemente. Cos se lo scrittore attin-
ge alle storie che la Storia (e cio la vita e la cronaca) gli pone sotto gli occhi,
daltro canto il giornalista trasforma la cronaca nera, il reportage di guerra,
i fatti pi comuni della quotidianit in avvincenti racconti fantasiosi. Lo scat-
to verso il magico, la sua fantasiosit cos familiare nella narrativa che ci pro-
pone, lassurdo che alberga subdolo nel pi trito quotidiano si presentano, sia
nella prosa narrativa che in quella giornalistica, come una naturale conse-
guenza del reale stesso e nato da una medesima radice: Io raccontando una
cosa di carattere fantastico, devo cercare al massimo di renderla plausibile ed
Dino Buzzati: un grande giornalista a servizio del lettore 265

evidente [] per questo secondo me la cosa fantastica deve essere resa pi


vicina che sia possibile, proprio alla cronaca2.
Come re Mida, quel che Buzzati tocca con la sua penna, si trasforma subi-
to in oro, e cio in vera letteratura. Ne sono una prova la cronaca, scritta
come dicevamo, in occasione della condanna allergastolo di Rina Fort, o
quella che invi al Corriere da Alberga, ove persero la vita quarantatr bam-
bini e quattro maestre di una colonia milanese nel naufragio della motonave
su cui erano imbarcati. Qui il tono commosso non raggiunge mai unenfati-
ca drammatizzazione: Buzzati sa evocare con sobriet e con rabbia insieme i
gravi momenti dellesistenza e il tema del grande mistero della morte: quel
mistero che, ugualmente doloroso, e umanamente incomprensibile, trionfa
sui campi di battaglia napoleonici, ad Auschwitz, nei massacri della guerra
civile spagnola raccontata da Hemingway, sui pallidi visini dei quarantatr
bambini di Alberga. O nel cuore del bambino che gioca con le figurine di cal-
cio, rifiutando di accettare che i suoi beniamini siano finiti tutti su un aereo
caduto dal cielo sopra Superga e infrantosi sul muro retrostante la Basilica: la
tragedia che vide morire in un sol colpo tutta la squadra di calcio del Torino:

Appartatosi in un angolo di casa, il ragazzetto ha aperto il suo quaderno dove al


posto donore sono incollate, ritagli di giornale, le facce rassicuranti di Mazzola,
Maroso, Bacicalupo, con le annotazioni meticolose delle loro imprese; di nasco-
sto li ha contemplati, e piangeva piangeva adagio adagio senza singhiozzi perch
gli eroi dei bambini possono morire tra i nembi di unepica battaglia o travolti
dai tifoni del Mar dei Carabi, ma cos, no, una fine simile per loro una insen-
sata e inconsolabile ingiustizia.

In realt Buzzati riusciva a cogliere il dramma quotidiano senza enfatiz-


zarlo, pur nella solennit delle parole, con una profondit di sguardo e unat-
tualizzazione capaci di toccare lanima di chiunque, ma senza cadere nel tra-
nello della spettacolarizzazione, tentazione enorme per chi invece fa giornali-
smo, scritto, radiofonico, o televisivo oggi e subisce pi limput dellaudien-
ce che quello della etica professionale. Pensiamo ad Alberga, pensiamo a
Superga, pensiamo al pezzo sulla Rina Fort, o alla tragedia del Vajont in
cui un sasso caduto in un bicchiere colmo dacqua e lacqua traboccata
sulla tovaglia. Tutto qui. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri e il
sasso grande come una montagna e di sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia
di creature umane che non potevano difendersi3.
Si tratta di momenti di grande dolore e anche di choccante assurdit cala-
ta nel quotidiano, ma lui li rende con una sobriet, una contenutezza e anche
una ricerca di agganci alla vita di tutti quanti, che ne siglano la alta qualit

2
Da Intervista-Autoritratto con Yves Panafieu, 1968.
3
Natura crudele, Corriere della Sera, 10 ottobre 1963.
266 Silvana Cirillo

umana e letteraria. Montale, che attribuiva a Buzzati la stessa semplicit dei


classici, vedeva in lui letteratura e giornalismo come il dentro e il fuori di un
medesimo guanto, rovesciato. Lorenzo Vigan, che ne ha curato recente-
mente unantologia della nera, osserva: Io mi sono trovato a leggere dei brani
della cronaca che in realt sono dei veri e propri racconti, tanto vero che la
rubrica da lui usata sul Corriere dellinformazione proprio intitolata la
Cronaca di Dino Buzzati: come se la cronaca lui la trasformasse in una favo-
la []. Allo stesso modo i suoi racconti hanno proprio il passo, il respiro del
pezzo giornalistico [], tanto vero che gli incipit dei suoi racconti assomi-
gliano di pi ad attacchi giornalistici, dove gi nelle prime dieci righe trovi
tutte le informazioni che il lettore deve sapere.
Altrettanto avvincente la sua scrittura nelle cronache del Giro dItalia, che
gli furono affidate nel 1949 (19 tappe dal 21 maggio al 14 giugno), per cura-
re quello che in gergo giornalistico viene definito colore, in cui ci restitu il ri-
tratto umano e non solo sportivo di Bartali e Coppi, che da allora furono im-
mortalati nel mondo della bicicletta come realissimi ed eroici Enea e Achille!
Vinse la maglia rosa Coppi; nacque un volume dal titolo Dino Buzzati al giro
dItalia, che raccoglie i venticinque servizi scritti per il Corriere.
Paradossalmente per lui, appassionato di bicicletta, quella era la prima volta
che vedeva una corsa ciclistica su strada: il che lo esonerava da cimenti trop-
po tecnici e insieme lo autorizzava a libert poetiche e digressioni di tutti i
tipi. E al soffermarsi continuo sugli stati danimo, i sogni, le paure e le aspet-
tative dei corridori immersi in panorami e scorci da mozzafiato: registri auli-
ci e brillanti si alternano e potenziano. Il comportamento festivo-teatrale
della folla rende la corsa un vero e proprio circo, su cui la vena comica buz-
zatiana si cimenta. Gli uomini come animali veloci si inseguono, le gambe
[] miserabili, schiave, ammaccate, pelose, permalose, e stanche pedalano,
la gente esulta come a teatro o in un circo o trovando unidentit nella patria
sportiva egalitaria; i due eroi giganteggiano, come Enea e Achille lealmente
combattono e il pensiero dello scrittore finisce sempre l, dove il dente duole:
Ho visto correre il tempo, ahim, quanti anni e quanti giorni, in mezzo a
noi uomini, cambiandoci la faccia a poco a poco; e la sua velocit spavento-
sa, bench non cronometrata, presumo sia molto pi alta di qualsiasi media
totalizzata da qualsiasi corridore in bicicletta, in auto, o in aeroplano-razzo4.
Non per niente nella prefazione al volume di Lorenzo Vigan, Miliarda-
rio in borghese, Buzzati scriveva che un buon giornalista deve farsi capire dal
popolo dei semi-analfabeti ed essere gradito ai lettori pi esigenti, essere chia-
ro, dunque, e cercare di rincorrere quanto pi possibile la verit, onesto in-
tellettualmente e fare della cultura un servizio sociale. Negli anni Sessanta il
suo giornalismo si incardiner ancora pi nella realt sociale, nei costumi, nel

4
Dino Buzzati al giro dItalia, Mondadori, Milano 1981, pp. 35-37.
Dino Buzzati: un grande giornalista a servizio del lettore 267

quotidiano, spesso alienato e conflittuale, della Milano borghese del boom


economico, e difficile sar allora distinguere dove comincia la fantasia e dove
la cronaca. Paura alla scala, con lodio milanese per il pericolo rosso e la paura
che i Mozi invadano la citt, ne sar la prova pi evidente.
Ma torniamo indietro, al Buzzati ancora giovane giornalista. Negli anni
Trenta, quando pi intensa sar loperazione di colonizzazione italiana in
Africa e molto avveduto il controllo e la censura del Ministero per la stampa
e la Propaganda fascista sui servizi dei vari inviati, Buzzati sar in Libia, dove
si acuir la sua passione per il deserto, e in Etiopia, dove rimarr dallaprile
del 1939 allaprile del 1940 e dove raggiunger momenti di pura felicit5. Dei
settantatr articoli, per lo pi forzatamente incentrati sulla natura, gli animali
e usi e costumi di laggi, tredici furono comunque censurati mentre gli altri
erano passati al filtro e delluficio stampa di Addis Abeba e del Corriere
stesso: Va notato che in Africa orientale il lavoro giornalistico era difficilis-
simo [] perch tutti i problemi interessanti e dio sa se ce nerano erano
tab e bisognava girarci attorno con estrema precauzione: in ogni problema
cera infatti un elemento positivo e uno negativo; del positivo si poteva par-
lare, ricorder nel 1952 nel racconto Unudienza. Bisognava astenersi
dalle sdolcinature e tenerezze riguardo gli Abissini [] nessun episodio sen-
timentale, nessuna fraternizzazione. Assoluta e netta divisione tra la razza che
domina e quella che dominata recitano i documenti dellepoca. Buzzati
aveva invece trattato anche di abitanti etiopi (in Un uomo bianco solo e una
citt morta, Gildessa), della sanit, della giustizia, dei comportamenti diversi
delle varie personalit in Africa (elogiando il Duca dAosta e meno il mini-
stro Teruzzi), ha ironizzato sui beni locali irrinunciabili, quali fucili e stivali,
beni preziosi per gli italiani borghesi e sedentari: chiss, con quelle guaine di
cuoio sui polpacci, forse si sentono animati da spiriti eroici, si sentono pi
forti, pi intraprendenti, pi uomini, pi Buffali Bill, ha scambiato imma-
gini e ricordi italiani con quelli di Addis Abeba, cercando vecchine e mamme
che in una popolazione cos forte e giovane sembrano sparite; ha invece elo-
giato gli italiani pi semplici l dislocati per ricostruire il paese e portare l una
nuova Bari italiana: Coraggio allora, Francesco Napoletano, Giuseppe
Brescia [] coraggio, contadini di Puglia. Milleduecento ettari sono gi
ripuliti dalla boscaglia, settecento gi seminati, il tono quello incitante
del Deserto dei Tartari, la citt era invece quella di Bari di Etiopia. Quando il
romanzo usc il 9 giugno 1940, presso Rizzoli, Buzzati aveva dunque gi vis-
suto la sua prima esperienza di inviato in guerra ad Addis Abeba, ma non fu
la guerra a ispirarlo nella narrazione del Deserto. Lo indussero, da una parte,
lindole militare da cui il rigido, inflessibile e geometrico regolamento quoti-
diano del forte, scandito da un altrettanto inesorabile e monotono rincorrer-

5
Cfr. Marie-Helne Caspar, LAfrica di Buzzati, Nanterre, Universit Paris X, 1997.
268 Silvana Cirillo

si delle ore; dallaltra, secondo quanto egli stesso sosteneva, la vita di reda-
zione al Corriere, di cui allegoria la vicenda di Drogo nella Fortezza:

Dal 1933 al 1939 ci ho lavorato tutte le notti [al Corriere della sera] ed era un lavo-
ro piuttosto pesante e monotono, e i mesi passavano, passavano gli anni, e io mi chie-
devo se sarebbe andata sempre cos, se le speranze, i sogni inevitabili quando si gio-
vane, si sarebbero atrofizzati a poco a poco, se la grande occasione sarebbe venuta o
no, e intorno a me vedevo uomini [] i quali andavano trasportati dallo stesso lento
fiume e mi chiedevo se anchio un giorno non mi sarei trovato nelle stesse condizio-
ni dei colleghi dai capelli bianchi gi alla vigilia della pensione, colleghi oscuri che non
avrebbero lasciato dietro di s che un pallido ricordo destinato a svanire6.

Naturalmente il peso del Deserto dei tartari non tanto, come molti
hanno visto, nella rappresentazione della noia e della attesa tipici della reda-
zione del giornale, a dispetto dei ritmi serrati di certi momenti, o nella spe-
ranza dellevento e della gloria, quanto (l c molto di pi, dunque!) nellin-
terrogazione sul senso dellesistenza (di cui il giornale una tranche e un
micro-modello), che intraprende la letteratura europea del Novecento: non
pi letteratura delle certezze, ma letteratura delle domande, del dubbio, let-
teratura di chi ha perso la fede e non riesce a sostituirla n a trovare nuovi
miti. Buzzati stesso ha un rimpianto forte per un Dio a cui non riesce a cre-
dere mentre ha perso fedi, miti e illusioni; perfino la morte eroica di Angu-
stina sulla cima del monte suoner inutile e aprir tutto il contenzioso del
rapporto del soggetto con se stesso e con il senso della vita, con la storia, con
la realt, con il contemporaneo. Se dovessimo cercare una consonanza lette-
raria, ancor pi che non con lassurdo esistenziale kafkiano, la troveremmo
senzaltro con lattesa apocalittica e drammaturgica beckettiane.
Lastrattezza geografica, storica e cronologica entro cui si svolgono i fatti
proietta in una dechirichiana dimensione metafisica: Drogo, partendo per la
Fortezza, si dirige verso un generico Nord, verso una terra senza alcuna pre-
cisa collocazione geografica che non sia quella del deserto.
Si sottrae alla madre e agli affetti per lungo tempo, e, sopraffatto dalle
cicliche incombenze della vita e dallabitudine a vivere, non si accorge, se
non in particolari momenti di coscienza, dello scorrere lineare del tempo
che porta dritti alla morte, solo grande evento a cui parteciper da prota-
gonista. La metafisica attesa-ricerca dellevento-Avvento dei Tartari si riveler
fallace e vana quanto linsensato trascinarsi delle singole esistenze nella
Fortezza Bastiani, sorretto solo dalla speranza in un eroico riscatto bellico, ma
unattesa dir Buzzati stesso che non ha timori o dubbi e che rappre-
senta forse lunica forma di felicit concessa agli uomini.

6
Cfr. intervista ad Alberico Sala, prefaz. a D. Buzzati, Il deserto deiTartari, Mondadori,
Milano 1966.
Dino Buzzati: un grande giornalista a servizio del lettore 269

Nel frattempo arriva la guerra, Buzzati imbarcato per conto del Corrie-
re sullincrociatore Fiume come corrispondente di guerra (1940-43).
Chiuso in quellincredibile osservatorio parteciper alle pi importanti batta-
glie del Mediterraneo, da Capo Teulada e Matapan al Golfo della Sirte, scen-
der in paesini e porti, scriver articoli (pubblicati e non) per il Corriere
della sera e il Corriere dellinformazione e questi confluiranno, insieme ad
altri successivi, nel volume Il buttafuoco. Non il deserto, ma il mare ora il
protagonista, convulso e imprevedibile, assieme a tanti anonimi personaggi
della marina militare e a Buzzati stesso che riflette sul mestiere difficile del
giornalista, ancora una volta soggetto ad obblighi e censure. Ma quando sale
a bordo dellincrociatore ed assiste a piccoli tragici momenti quotidiani o bel-
lici e al dolore inconsolabile della morte, indifferente alla et dei giovani che
si porta via o allo stupore inebetito con cui, sorda, stramazza chi resta e alle
tante anonime madri svuotate, allora la sua drammaticit profonda viene
fuori tutta intera e solenne e Buzzati d voce a uomini figli madri ufficiali ser-
genti marinai mogli ansie addii sogni morti agguati battiti mancamenti. Il
pubblico pensa al comandante che tiene la sorte della nave, a chi regge il
timone, per Buzzati invece altri sono gli eroi. E tronfa la paura della guerra.
E il mare amico e nemico, su cui il giornalista scrittore esercita la sua fanta-
sia e il suo pensiero esistenzialista. Oggi, finalmente riscattato Buzzati dalli-
poteca della mancanza di impegno politico e ideologismo esplicitati, che
deriva dallequazione rigida e obsoleta qualit=ideologia, i testi di Buzzati
ritornano alla ribalta: sia i racconti, di forte impronta surreale, sia gli artico-
li, specie del Buzzati post-bellico, il Buzzati che osserva con grande ironia
societ e costumi della Milano bene, nevrotica e ossessionata da rumori, mac-
chine, pericolo rosso e invasione di Mozi. La babelica e labirintica Milano,
quale appare anche nei racconti e in Un amore, il luogo dellabitudine, del
tempo che si ripete sempre uguale, dei conformismi, dei rituali borghesi. il
luogo dellodio che si scatena tra automobilisti, dellinquinamento che allon-
tana dalla natura, della ripetitivit e rapidit dei movimenti negli spazi ristret-
ti, senza orizzonti da scorgere per chi sogna che accada qualcosa, un evento,
che, come tutte le deviazioni o deformazioni del reale, lo possa proiettare in
una dimensione pi vera e accettabile.
Ancora in qualit di inviato troviamo Buzzati ai confini del mondo: in
Giappone andr nel 1963 per seguire i preparativi in vista delle Olimpiadi del
1964 e invier quindici articoli, di cui tre inseriti nelle Cronache terrestri. Qui
non perder occasione per sondare aspetti architettonici, urbanistici, econo-
mici e utilitaristici, ma anche per restituire una spregiudicata immagine
sociale, dedotta da interviste e contatti assidui e diretti con organizzatori,
sportivi, artisti, donne, geishe, perfino chiromanti, girando i quartieri ricchi,
quelli popolari, i poveri, i mondani, i malfamati, le gallerie darte, i teatri i
calamitanti pachinko, sottolineando il rilancio del senso di appartenenza e
orgoglio nazionale che le olimpiadi suscitavano, raccontando con allegria e
270 Silvana Cirillo

gusto la cucina locale e con stupore interrogativo le credenze su fantasmi e


cose occulte, ed esercitando la sua eloquenza esuberante e tornita in quadri
fantasiosi di angoli e dettagli: Una delle cose che fa pi colpo a Tokio sono
le gigantesche insegne luminose di pubblicit e sulle facciate del centro. Lo
spettacolo della Ginza di sera abbacinante. Girandole, spruzzi, cascate,
esplosioni, tremolii, sciabolate, frane di luci. Girano, scorrono, salgono, scen-
dono, ammiccano girano gli occhi. E al riverbero anche le facce dei pas-
santi passano di scatto dal bianco al rosso, dal verde al violetto. una deli-
rante sagra, un ciclopico lunapark, un favoloso negozio di giocattoli semo-
venti. I palazzi, le torri, le sedi delle pi importanti societ a una certa ora si
ubriacano, ballano, ridono, cantano, fanno scherzi di ogni genere7.
Nel 1964 sar invece al seguito del Papa, che per la prima volta nella sto-
ria si allunga in Terra santa (gennaio 1964) e in India (dicembre 1964, gen-
naio 1965). Da l mander al giornale sette pezzi, in cui toccher anche i con-
flitti tra credo diversi come lebreo e il cristiano, prover a trasmettere quello
che la televisione non pu immortalare, sentimenti ed emozioni e finir per
identificare addirittura il Pontefice con Cristo: Ges sta per sbarcare dal
quadrigetto, scender lo scalandrone [] e una automobile blindata fra poco
lo porter via verso il Giordano, verso Gerusalemme, verso la terra, dove fu
bambino, ragazzetto, giovanotto, uomo e vide il mondo, cap il mondo come
nessuno lo aveva capito prima di lui, e fece i capricci, dove gioc, studi,
impar, conobbe i primi palpiti delluomo8.
Allartista dubbioso, sopraffatto dal mistero quotidiano (fonte di vita e
ricerca, ma anche di angoscia e interrogativi), calvinista convinto, da sempre
alla ricerca di un Dio buono e comprensivo, che non trover mai, solo la figu-
ra di Cristo come umana concentrazione di spiritualit generosa, poteva por-
tare qualche punto fermo. Il volume Cronache terrestri raccoglie molti dei
pezzi pubblicati come inviato sul Corriere. Il giornalista si infila anche nelle
pi piccole cose e come in un magico macroscopio, avvicina mondi lontani
ai lettori, che li vivono come concreti e propri; non si occupa solo di argo-
menti gravi o grandi eventi irraggiungibili, dunque, ma d risalto a figure
anonime e non trascura i dettagli, che a volte suonano al lettore pi vicini e
attraenti, rendendolo coprotagonista del fatto. E questo buon giornalismo:
al servizio del lettore, come lui stesso auspicava.

7
False leggende di Tokyo, Corriere della Sera,15 novembre 1963.
8
Il Papa sulla via di Cristo, Corriere della Sera, 5 gennaio 1965.
SIRIANA SGAVICCHIA

Straniamento e utopia negli scritti di viaggio


di Anna Maria Ortese

Lampia produzione giornalistica di Anna Maria Ortese consente di rico-


struire lorizzonte delle sollecitazioni culturali e umane, politiche e civili che
accompagnano lattivit creativa, narrativa e poetica, dellautrice. Gli scritti
giornalistici, in parte raccolti nel volume La lente scura 1, appartengono a dif-
ferenti tipologie (dalla cronaca, allelzeviro, al reportage) e forniscono spunti
non irrilevanti per costruire un ritratto dellautrice sia dal punto di vista sti-
listico ed espressivo sia dal punto di vista umano, integrando la testimonian-
za fornita dalle opere letterarie2, a partire dai racconti magici di Angelici
dolori (1937) che segnano lesordio come narratrice, la cui pubblicazione fu
promossa presso Bompiani da Massimo Bontempelli; alla raccolta tra inven-
zione e inchiesta del Mare non bagna Napoli, edito nella collana dei Gettoni
diretta da Elio Vittorini nel 1953; allallegoria narrativa dellIguana (Val-
lecchi, 1965); alla ricostruzione autobiografica in prosa e versi di Il porto di
Toledo (Rizzoli, 1975); fino agli esperimenti visionari delle ultime prove nar-
rative, Il cardillo addolorato (Adelphi, 1993) e Alonso e i visionari (Adelphi,
1996)3.
Le collaborazioni giornalistiche della scrittrice, che nacque a Roma nel
1914 e che visse linfanzia e la prima giovinezza prevalentemente a Napoli,
divennero una professione soprattutto dopo la pubblicazione di Angelici dolo-
ri, quando, anche per vicissitudini non felici della sua vita (le difficolt eco-
nomiche della famiglia, la morte di un fratello, marinaio su una nave mer-
cantile in Martinica nel 1933, quella dellaltro fratello in Albania nel 1937),
cominci a spostarsi da una citt allaltra, di volta in volta procurandosi col-
laborazioni presso differenti testate locali. Nel 1938-1939 inizi, quindi, a

1
A. M. Ortese, La lente oscura. Scritti di viaggio, a cura di L. Clerici, Marcos y Marcos,
Milano 1991.
2
L. Clerici, Apparizione e visione. Vita e opere di Anna Maria Ortese, Mondadori, Milano
2002.
3
Per la bibliografia completa si rinvia a G. Iannaccone, Bibliografia degli scritti di Anna
Maria Ortese, in A. M. Ortese, Romanzi, vol. I., a cura di M. Farnetti, Adelphi, Milano 2002,
pp. 1153-1221.
272 Siriana Sgavicchia

collaborare alla terza pagina del quotidiano napoletano Roma e al suo roto-
calco settimanale Roma della domenica, soprattutto pubblicando novelle e
racconti. Negli stessi anni, e fino al 1943, scrisse su Belvedere e su IX
Maggio, riviste napoletane legate ai Gruppi Universitari Fascisti. Dal 1945,
trasferitasi per un periodo a Venezia, collabor con Il Gazzettino e con la
Gazzetta di Venezia pubblicando testi creativi e articoli di critica darte e si
occup della sezione letteraria della rivista di scienze, lettere e arti Ateneo
Veneto. Negli stessi anni, sul settimanale Tempo, tenne una rubrica inti-
tolata Colloqui che fu molto seguita dai lettori.
Prima della guerra, a parte alcune eccezioni, i suoi contributi sulla stam-
pa periodica furono di carattere creativo (poesie, racconti) e autobiografico;
immediatamente dopo, invece, sindirizzarono sempre pi verso il reportage.
Nel 1945 la scrittrice torn a Napoli e, pure continuando a pubblicare rac-
conti su La Fiera Letteraria e sullIllustrazione Italiana (molti dei quali
confluiranno nella raccolta Linfanta sepolta pubblicata dalleditrice Milano-
Sera nel 1950), cominci a collaborare con diversi quotidiani e periodici
napoletani con articoli di inchiesta e reportages (su Il Mattino, La Voce e
Il Risorgimento). Tra il 1946 e il 1947 partecip alla breve esperienza della
rivista Sud diretta da Pasquale Prunas, con la quale collaborano, tra gli altri,
Antonio Ghirelli, Luigi Compagnone, Raffaele La Capria, Domenico Rea,
Michele Prisco, Mario Stefanile (del fallimento del progetto di promozione
di una nuova cultura portato avanti dal gruppo di Sud la scrittrice ha
discusso, con toni polemici, nel capitolo intitolato Il silenzio della ragione in
Il mare non bagna Napoli).
Dal 1948, e soprattutto nel 1949, Ortese, che si era trasferita a Milano,
inizi a collaborare al settimanale Omnibus con vari reportages e con unin-
chiesta sulla vita sociale e culturale di Trieste. Nello stesso anno pubblic
resoconti di vita milanese sul quotidiano Milano-sera. Negli anni Cinquan-
ta molti articoli della scrittrice vennero ospitati da varie testate della sinistra,
oltre a Milano-sera, il settimanale Noi donne dellUnione Donne Italia-
ne, il quotidiano di Firenze Il Nuovo Corriere diretto da Romano Bilenchi
e, dal 1954, LUnit e Il Contemporaneo (gi dal 1950 Ortese tenne una
rubrica di corrispondenze con le lettrici nella pagina della donna sulledizio-
ne milanese dellUnit). Contemporaneamente, introdotta da Paola
Masino, pubblic sul rotocalco di Rizzoli Oggi articoli rivolti al grande
pubblico (la storia damore del re Edoardo di Inghilterra e Wallis Simpson,
quella del re Carol di Romania e Magda Lupescu, e un ritratto di Eleonora
Duse). A partire dal 1951 la cifra del reportage divent quella sua pi conge-
niale: scrisse, infatti, come inviata di Milano-sera di suoi viaggi a Bologna,
a Firenze, a Napoli, in Sicilia e pubblic resoconti di vita milanese. Cominci
in quello stesso anno a collaborare con il quotidiano napoletano Il Corriere
di Napoli e con il settimanale Il Mondo diretto da Mario Pazzunzio, sul
quale apparvero, nel 1951, Un paio di occhiali, La citt involontaria e La plebe
Straniamento e utopia negli scritti di viaggio di Anna Maria Ortese 273

regina, racconti poi inclusi nel Mare non bagna Napoli, che sono dedicati alla
citt partenopea e in cui le motivazioni stilistiche del realismo si intrecciano
con toni visionari ed espressionistici. La collaborazione con Il Mondo acce-
se lattenzione di lettori e critici nei confronti della scrittrice, che nel 1952
ottenne il prestigioso Premio Saint Vincent per il giornalismo (nello stesso
anno Italo Calvino ebbe lo stesso riconoscimento).
Dal 1954 contributi della scrittrice vennero pubblicati anche su
LEuropeo. In seguito, infatti, ad un viaggio in Unione Sovietica compiuto
con la delegazione dellUnione Donne Italiane, Anna Maria Ortese prepar
un servizio intitolato La Russia vista da una donna italiana che usc in sei
puntate sulla rivista milanese (lanno successivo, gli stessi materiali vennero
riorganizzati e integrati con altri appunti per la pubblicazione sulla terza pagi-
na delledizione milanese dellUnit di un ciclo di articoli intitolato Donne
sovietiche come le ho viste). La testimonianza del viaggio in Russia, che suscit
polemiche negli ambienti della destra e della sinistra in questi ultimi sem-
br che il ritratto del paese fornito da Ortese non aderisse allimmagine poli-
tica che di esso si intendeva divulgare in quegli anni stata in parte pub-
blicata nel volume Il treno russo (Pellicanolibri, Catania, 1983). Nel 1955 la
scrittrice firm sullEuropeo anche uninchiesta sul bandito siciliano
Salvatore Giuliano e una serie di articoli in cui si ciment nel giornalismo
sportivo. Inviata dal settimanale milanese, fu la prima donna a seguire il Giro
dItalia (noti corrispondenti del Giro erano stati negli anni Quaranta autori
come Dino Buzzati, Alfonso Gatto, Vasco Pratolini, Achille Campanile, Gof-
fredo Parise, Cesare Zavattini). La collaborazione con ledizione romana del-
lUnit, anche grazie allamicizia con Marcello Venturi che era allora il re-
sponsabile della pagina culturale, sinfitt tra il 1957 e il 1958 con contribu-
ti sul costume e sulla societ italiana e con resoconti di viaggio (tra i quali, Il
viaggio di Anna Maria Ortese in Liguria pubblicato a puntate nellagosto del
1957). Nel 1958 pubblic presso Laterza Silenzio a Milano, un libro in cui
confluiscono reportages che hanno come oggetto la citt lombarda, per lo pi
pubblicati sullEuropeo e sullUnit nel 1957. Alla fine degli anni Cin-
quanta la scrittrice si stabil a Roma, dove per il settimanale Italia Domani
(al quale collaboravano anche Italo Calvino, Carlo Cassola, Carlo Bernari)
scrisse alcuni articoli di impegno sociale, tra i quali uninchiesta svolta pres-
so i quartieri popolari della capitale sui corsi scolastici sperimentali di
Telescuola realizzati attraverso il mezzo televisivo. Collabor, inoltre, anco-
ra con il Mondo, dove pubblic tra laltro il racconto di un viaggio com-
piuto a Londra nel 1953, incluso nel volume Il mormorio di Parigi (Theoria,
Roma, 1986) che raccoglie, oltre al resoconto londinese e a una memoria su
Palermo, una serie di corrispondenze da Parigi pubblicate tra il 1960 e il
1964 sulledizione pomeridiana del Corriere della sera. Dagli anni Sessanta
le collaborazioni di Ortese con quotidiani e riviste tornano ad essere pi di
carattere creativo, fatta eccezione per la rubrica Il flash della Ortese nella pagi-
274 Siriana Sgavicchia

na della donna del Corriere della sera del 1969 e pochi interventi di costu-
me che appaiono negli stessi anni sullo stesso quotidiano. Lallontanamento
dallattivit giornalistica fu sancito dal trasferimento a Rapallo nel 1975.
Esso segn per la scrittrice anni di difficolt e di delusione fino al grande ri-
lancio editoriale promosso dalla casa editrice Adelphi a partire dagli anni
Novanta.
Lesperienza della scrittura giornalistica costituisce, per la gran mole delle
testimonianze, per la variet delle tipologie, per la qualit della scrittura un
aspetto decisivo del percorso di autrice di Anna Maria Ortese come, soprat-
tutto di recente, ampi e documentati studi hanno dimostrato4. opportuno
rimarcare, per, che si tratta in tutti i casi di unesperienza che tende a con-
fluire dal territorio propriamente giornalistico (quello della cronaca, dellin-
chiesta, dellarticolo di costume, del reportage 5) nel pi ampio territorio della
sperimentazione e dellespressione letteraria e che trova nella forma del rac-
conto di viaggio6 la misura stilistica pi adeguata a coniugare le motivazioni
del realismo (inteso in senso ampio) che appartengono alla poetica del-
lautrice lungo tutto larco della sua produzione con lesigenza di andar
oltre il dato oggettivo e la fedelt al visto e al fatto. Fu, daltronde, la stessa
autrice ad attribuire ai suoi scritti di viaggio maggiore rilevanza rispetto agli
scritti giornalistici di altra tipologia, tanto vero che alla fine degli anni
Settanta progett di pubblicare con Mondadori un volume intitolato Scritti
di viaggio in cui incluse una scelta dei suoi pezzi giornalistici migliori. Il libro,
del quale Ortese aveva anche gi provveduto ad inviare alleditore i materiali
in dattiloscritto, non fu realizzato, ma il progetto stato recuperato nel 1991
per ledizione del volume La lente scura. Scritti di viaggio che raccoglie nella
prima parte i testi scelti dalla scrittrice per il progetto mondadoriano e nella
seconda parte articoli di viaggio non inclusi nel primitivo progetto di pub-
blicazione. Questo volume, curato da Luca Clerici, reca una interessante pre-
fazione di Ortese, in cui lautrice fornisce attraverso la metafora della lente
scura la chiave interpretativa pi opportuna a definire lattitudine insieme
malinconica e protestataria della sua scrittura (la mia Lente Scura malin-

4
Oltre alla postazione di L. Clerici al volume A. M. Ortese, La lente scura, cit., pp. 451-
516, cfr. G. Iannaccone, La scrittrice reazionaria. Il giornalismo militante di A. M. Ortese,
Liguori, Napoli 2003 e E. Guagnini, Anna Maria Ortese giornalista, scrittrice di viaggi, in Atti
del Convegno di studi su Anna Maria Ortese, Rapallo, 16 maggio 1998, a cura di F. De
Nicola, P. A. Zannoni, Sagep, Genova 1999, pp. 21-29.
5
Per una contestualizzazione dellattivit della scrittrice allinterno del panorama giorna-
listico italiano del secondo dopoguerra cfr. il fondamentale volume Storia del giornalismo ita-
liano, 1939-1968, vol. III, a cura di F. Contorbia, Mondadori, Milano 2009.
6
Sui reportages in autori del Novecento italiano cfr. M. Farnetti, Reportages. Letteratura di
viaggio del 900 italiano, Guerini, Milano 1994.
Straniamento e utopia negli scritti di viaggio di Anna Maria Ortese 275

conia e protesta era di continuo allontanata e ravvicinata alle cose7) in cui


il viaggio diventa non solo esperienza di conoscenza dellAltro ma anche vei-
colo di trasformazione del soggetto che scrive, nonch occasione utopica
dimmaginazione e di creazione.

Nel periodo compreso tra gli anni 48 e 62, ma anche un po prima e anche un
po dopo, mi accadde di prendere una quantit di treni, scendere in molte sta-
zioni allalba, e ripartire ancora di notte, barcollando per la stanchezza, senza
sapere precisamente dove avrei riposato il giorno successivo. Qualche volta viag-
giavo per un giornale, qualche volta no. E i giornali erano, nel caso fortunato, di
destra (per dire che pagavano), in quelli meno fortunati, di sinistra o piccola sini-
stra (per dire che spesso il compenso era di pochi spiccioli, e a volte nemmeno).
Non saprei dire che animo e che aspetto avessi allora. Si tratta di tanto tempo fa.
LItalia era ancora povera, non offriva una vita facile. Tuttavia questa vita era simi-
le a un campo pieno di confuse, grandiose possibilit; e la speranza e il rischio
bastavano []8.

Tra le esperienze di viaggio comprese tra la fine degli anni Quaranta e i


primi anni Sessanta, senzaltro il viaggio in Unione Sovietica rappresent per
la scrittrice una tappa fondamentale, tanto vero che al proposito, nella pre-
fazione a La lente scura, scrive per chiarire la propria predisposizione a rac-
contare, la quale consiste in unattenzione scrupolosa al dettaglio e soprattut-
to in una tendenza a indagare nel profondo lumanit dei personaggi. Gli
aspetti quotidiani, apparentemente anche banali, dellesistenza sono per la
scrittrice fondamentali per conoscere lAltro e per innescare il circolo virtuo-
so della solidariet al di l delle differenze culturali e delle ideologie politiche.

Quale fu [] la verit pi segreta del mio viaggio da Praga al confine sovietico?


Questa: che cera molto sacrificio, molta pena, molta sofferenza e obbedienza, e
questo era sconsigliabile a dirsi per i Credenti di sinistra; ma anche bont, spe-
ranza, saldezza, e questo non andava bene per i Credenti di destra. Ma soprat-
tutto Occhi-Occhi-Occhi, e Voci dolci, umane, chiarissime, ma come provenienti
da un pianeta oscuro, diverso dal nostro, molto lontano, severo: dietro il sole. []
Soprattutto donne e ragazze di Mosca, di queste avrei voluto a lungo parlare;
semplici come da noi nelle campagne, ma insieme supremamente gravi, compas-
sionevoli, serene, attente al patire degli altri!9

Accanto alla solidariet, un altro elemento chiave per Ortese che scrive di viag-
gio il contrasto emotivo e cromatico prodotto, da una parte, dalla sfiducia nella
ragione (la ragione (delle cose) non la vedevo pi10), che evidenzia il vuoto di

7
A. M. Ortese, Prefazione in La lente scura, cit. p. II.
8
Ibidem.
9
Ivi, p. II-III.
10
Ivi, p. III.
276 Siriana Sgavicchia

un mondo in rapida trasformazione il cui ritmo sembra non poter essere pi


catturato in un verso o trasformato in intreccio; dallaltra parte, dalla fede
nellUtopia, che consente, invece, proprio attraverso lo stile sbandato e
ansioso, spezzato, esitante11 della scrittura di viaggio di sperimentare ancora
la possibilit del racconto.

[] devo ammettere che buona parte di questa, e della visione buia carpita dalla
Lente, buona parte appartiene soltanto a me, alla mia indole, soltanto mia. Nel
vivere umano, mentre i decenni e i mezzi secoli rotolano via sempre pi in fret-
ta, con un effetto di turbine e di rovina non visibile e quindi rimediabile io
vedo da tempo una macchia, come vedo una macchia nella natura delluomo
anche buono, e forse una macchia nel sole stesso. E a questa percezione devo
dire forse dovuta la mia propensione per il poco o il nulla e la mia reveren-
za per lUtopia sempre alta e presente come una luce bianca tra le nuvole basse,
nello sconfortato vivere. La vita si muove, viaggia; e alta sui paesi come sulle cam-
pagne perse mentre i convogli del tempo continuano a inseguirsi alta sui paesi
deserti e campagne mute, resta la mirabile, cara fedele Utopia12.

Lo straniamento e lUtopia costituiscono proprio i leitmotiv tematici e sti-


listici degli scritti di viaggio dellautrice. Un anno dopo la pubblicazione del
Mare non bagna Napoli, le fu proposto di trascorrere un mese (tra giugno e
luglio del 1954) in Unione Sovietica facendo parte di una delegazione
dellUnione Donne Italiane. Ortese ha ricordato questesperienza nel volume
intitolato Il cappello piumato evidenziando con straordinaria incisivit e con
la sensibilit letteraria che appartiene alla sua pi nota produzione narrativa
alcuni dettagli del costume e del paesaggio russo che la spinsero, rientrata a
Milano, a proporre al settimanale lEuropeo un servizio giornalistico, poi
pubblicato in sei puntate tra il 14 novembre e il 19 dicembre del 1954, con
il titolo complessivo La Russia vista da una donna italiana:

L passai un mese, e vidi molte cose straordinarie, che ora non ripeto, anche per-
ch sono diventate patrimonio di tutti, nel senso che tutti le conoscono, ma allo-
ra mi fecero grande impressione. Mi parve che gli uomini fossero fondamental-
mente buoni, e veri, e il cielo triste. Mi parve che mai, come l, fosse possibile
intendersi subito con gli uomini e le donne. Mi parve che nel loro modo di esse-
re, anche solo di respirare, vi fosse qualcosa dimmenso. Di statura non appena
pi grandi degli europei, con un che di irsuto ed estatico, rusticamente gentile.
Le donne non usavano cappello, ma solo fazzoletti, e quei pochi cappellini una
paglia, eravamo destate, con un nastro rosso tutti simili, erano assai antiquati.
In sostanza, il paragone pi evidente che si presentava tra quei due tipi di uma-
nit, la nostra e quella sovietica, era di un lago brillante di fronte a un oceano

11
Ivi, p. III.
12
Ivi, pp. III-IV.
Straniamento e utopia negli scritti di viaggio di Anna Maria Ortese 277

commosso e desolato. Conobbi molte ragazze e donne, ed esse, pi ancora degli


uomini, mi fecero una impressione profonda, di creature appassionate, intima-
mente irragionevoli, viventi sul filo di leggi grandissime, che noi avevamo dimen-
ticate. I loro occhi erano cos grandi, lampeggianti, teneri. Vi fissavano, e un
mesto sorriso nasceva sulle loro labbra non dipinte13.

La testimonianza che lautrice fornisce in questo scritto consente di com-


prendere come lesperienza della scrittura del viaggio in Ortese assuma le
connotazioni di quellespressionismo immaginifico14 che definisce anche le
sue migliori prove di narratrice. Balza allattenzione, ad esempio, la tendenza
a filtrare attraverso la soggettivit lesperienza del viaggio (si noti literazione
di Mi parve), focalizzando soprattutto attraverso laggettivazione dettagli
che impressionano visivamente ed emotivamente lautrice (gli uomini []
fondamentalmente buoni, il cielo triste, i sovietici pi grandi degli euro-
pei, con un che di irsuto ed estatico, le donne, creature appassionate, inti-
mamente irragionevoli, e i loro occhi gradi, lampeggianti, teneri) e utiliz-
zando immagini metaforiche di evidenza quasi poetica (il confronto fra lu-
manit italiana e quella sovietica si misura nelle proporzioni che distinguono
un lago brillante da un oceano commosso e desolato). Daltronde la tie-
pida, e talvolta polemica, accoglienza avuta, anche da parte di intellettuali di
sinistra, dal servizio giornalistico sullUnione Sovietica (non solo quello pub-
blicato sullEuropeo ma anche quello in quattro parti apparso a puntate tra
il 18 e il 22 novembre del 1955 sullUnit con il titolo Donne sovietiche
come io le ho viste che rielabora materiali utilizzati per lEuropeo) ulterio-
re prova della inedita natura del reportage di Ortese, che, a differenza di altri
inviati15, diretti in quegli anni verso la stessa meta allo scopo di studiare une-
sperienza politica che rappresentava un riferimento ideale, non si sofferma sul
resoconto sociale della rivoluzione con intenti pi o meno propagandistici
ma individua narrativamente nelle persone e nel paesaggio loggetto della sua

13
A. M. Ortese, Il cappello piumato, Mondadori, Milano 1979, p. 54.
14
L. Clerici, Lespressionismo immaginifico di Anna Maria Ortese reporter, in Scrittrici, gior-
naliste. Da Matilde Serao a Susanna Tamaro, a cura di F. De Nicola e P. A. Zannoni, Marsilio,
Venezia 2001, pp. 33 e sgg.
15
Nel primo quinquennio degli anni Cinquanta numerosi furono gli intellettuali e fun-
zionari del partito comunista italiano che si recarono in Unione Sovietica e nei paesi dellEst
per conto del quotidiano LUnit che pubblic, ad esempio, a puntate il Taccuino di viaggio
nellUnione Sovietica di Italo Calvino e altri servizi di Renata Vigan, di Sibilla Aleramo. Nel
1954 il quotidiano del Pci tradusse il viaggio in Russia di J. P. Sarte. Anche sullEuropeo,
comparve oltre al reportage di Ortese anche un servizio di Achille Campanile intitolato La mia
Russia. Sulle testimonianze di viaggio in Russia di scrittori italiani del Novecento cfr. anche S.
Sgavicchia, Scrivere il viaggio. Cronache memorie invenzioni, in Storia Generale della Letteratura
Italiana, diretta da N. Borsellino e W. Pedull, vol. XII (Sperimentalismo e tradizione del
nuovo), Federico Motta Editore, Milano, 1999, pp. 498-515.
278 Siriana Sgavicchia

analisi. La scelta dellautrice di raccogliere alcuni degli articoli pubblicati


sullEuropeo a distanza di circa trentanni e lontano dagli entusiasmi e dai
furori sovietici in un volumetto a s intitolato Il treno russo testimonia, a mag-
gior ragione, non solo la natura non occasionale di quegli scritti ma anche la
volont di sottrarli alla polemica ideologica. Il piccolo libro , infatti, oltre
che un documento storico su un paese che prima dei fatti del 1956 fu un
modello dellideologia rivoluzionaria, un racconto su un popolo straniero
con il quale Ortese entr in contatto di solidariet e di ammirazione grazie
alla sua straordinaria sensibilit di donna e di scrittrice esponendo se stessa
alle resistenze, alle paure del viaggio in un paese lontano e relativamente sco-
nosciuto e alle difficolt che, tra laltro, la scelta di arrivare in Russia in treno,
anzich in aereo, rese pi aspre. Nel Treno russo, in cui sono inclusi solo alcu-
ni materiali del servizio giornalistico originariamente pubblicato su
LEuropeo, il percorso in treno, che nella prima parte, in particolare, scan-
dito dalle stazioni ferroviarie, dalle soste, consente alla scrittrice di incontra-
re lAltro, non solo il popolo straniero ma anche lAltro da s, lombra, i ma-
lesseri psicofisici, lungo una sorta di via crucis laica che mira anche attraver-
so una poetica della sofferenza a ottenere la trasformazione dellIo e limme-
desimazione nellAltro. In questo senso, la narrazione del viaggio diventa
anche veicolo di indagine autobiografica e strumento di una sperimentazio-
ne narrativa che, in alcuni romanzi dellautrice mantiene la medesima con-
notazione spaziale e geografica (si veda, ad esempio, la reinvezione della topo-
logia di Napoli nel romanzo autobiografico Il Porto di Toledo 16).
Il primo capitolo del Treno russo, intitolato Da Praga al confine sovietico,
prende avvio proprio dal viaggio in treno: Ortese parte da sola (le compagne
dellUDI si spostavano in aereo) e arriva in Russia dopo diciotto ore. Il treno
anche una metafora perch rappresenta il veicolo stilistico di uno sposta-
mento attraverso il quale ci si accosta gradualmente alla meta, soffrendo,
come si diceva, ma anche assaporando i vari gradi della distanza dalla patria
e le trasformazioni del paesaggio geografico e umano che si verificano nel
corso di esso. Sin dal principio il racconto condotto come in un diario in
cui lautrice registra disagi, umori e riflessioni. Viaggiando anche in vagoni di
terza classe stipati di gente modesta, contadini e soldati, non poche sono le
sofferenze e gli spaesamenti (cominciai a desiderare in maniera spasmodica
dellacqua. Pi tardi desiderai del caff, pi tardi ancora del cognac. Poi desi-
derai una coperta perch il freddo era intenso []. Le mie forze se ne anda-
vano piano piano []) ma ad essi fa da controcanto la curiosit umana e
narrativa che distrae dal freddo, dalla sete, dalla stanchezza, ogni volta che

16
Cfr. S. Sgavicchia, Spazio reale e testuale nel Porto di Toledo di Anna Maria Ortese, in
Avanguardia, diretta da F. Bernardini e A. Mastropasqua, n. XXI, Roma, 2002, pp. 89-99.
Straniamento e utopia negli scritti di viaggio di Anna Maria Ortese 279

appaiono nuovi viaggiatori come personaggi di un racconto sempre in fieri


in cui si susseguono brevi ma intense storie, paesaggi che appaiono e scom-
paiono in sonno o in veglia lungo la corsa del treno.

Salirono a una fermata, ma non cera ombra di stazione, due viaggiatori, e dopo
una leggera esitazione vennero a sedersi di fronte a me. Uno era giovane, laltro
pi anziano, e parlavano fitto fitto in una lingua che mi sembrava vicina al fran-
cese. Supposi che fossero minatori, senza dubbio operai, ma di che nazionalit lo
ignoro. Ed ecco il pi giovane, chera smilzo e biondo, con una faccia dolcissima,
e batteva i denti, posa gli occhi celesti e grandi sul mio sacco di tela abbandona-
to in un angolo. La cerniera si era rotta. Lui vede questo, gli occhi, che scintilla-
no di continuo, con una luce di fiume, una grazia infantile, minterrogano: pu
provarsi a riparare la cerniera? Faccio s col capo. Prende il sacco, e le sue mani
scure e delicate lavorano febbrilmente intorno alla cerniera, fin quando non
aggiustata. Mi riconsegna il sacco sorridendo. Poco dopo, a unaltra fermata, il
giovane e il suo compagno scompaiono. Dico scompaiono perch ancora il cre-
puscolo, lora fredda e torbida che precede lalba, e non posso dire di aver nota-
to chiaramente i loro passi e i loro volti17.

Lattenzione rivolta alle storie di individui comuni spesso filtrata nella


scrittura attraverso il femminile (spesso le donne sono loggetto privilegiato
dellindagine della scrittrice). Il femminile inteso, per, non tanto come
categoria di genere in una prospettiva femminista, ma come orizzonte esi-
stenziale che naturalmente incontra lesperienza dellautrice e la attraversa,
non di rado la specchia e la deforma, facendo del confronto una dimensione
fondamentale anche della conoscenza di s. Quando Ortese racconta il primo
impatto con Mosca, dopo il lungo viaggio, il paesaggio urbano sconosciuto
della citt russa sembra confondersi nella nebbia della memoria con quello di
altre citt, mentre nellatmosfera in bianco e nero dei negozi disadorni, della
gente che cammina sui marciapiedi con abiti dimessi spicca improvvisamen-
te il colore delle trecce delle donne che sembrano quasi code di fantastiche
sirene.

Spalancavo gli occhi per vedere tutto, ma purtroppo, non riuscivo a vedere nulla
di particolare. Lingresso della citt era come quello di Milano, Roma, quasi ano-
nimo, con quelle ampie strade e piazze limitate da palazzi e case alte, alla base dei
quali sporgevano le insegne dei negozi con le diciture, per, scritte in caratteri
cirillici. Come avevo letto mille volte, nei reportages, i negozi, salvo quelli di libri
e di pellicce, avevano un aspetto disadorno, come spento, e la gente che cammi-
nava sui marciapiedi, bench non avesse nulla dindecoroso, era vestita general-
mente in modo dimesso, con abiti di vecchia foggia, sbiaditi, e quelli femminili,
senza nessuna linea che accentuasse o rivelasse delle forme. Questa fu una cosa

17
A. M. Ortese, Il treno russo, in La lente scura, cit., p. 87.
280 Siriana Sgavicchia

che mi colp subito, insieme al silenzio e alla calma del traffico, niente affatto
limitato, a giudicare dalle lunghe colonne di macchine private e di taxi. Ma nulla
faceva rumore. Insieme a questo silenzio, mi stupirono le trecce dorate delle
donne. Ogni essere femminile, dalla bimba alla donna di et, aveva due lunghe
trecce pallidamente dorate oppure rosse, avvolte intorno alla nuca, mentre a qual-
cuna, specialmente se con i libri sottobraccio, scendeva fin sulle reni una pesan-
te coda doro18.

Nel corso del viaggio raccontato nel Treno russo non di rado lautrice
coglie loccasione dellincontro con alcuni altri viaggiatori, non solo per
imbastire racconti o anche per carpire qualche segreto dellanima russa,
discorrendo in francese o nellitaliano stentato dei suoi interlocutori, ma
anche per esporre alcune importanti messaggi di carattere civile che riguar-
dano la convivenza pacifica tra i popoli e la tolleranza nei confronti delle cul-
ture diverse dalla propria. In questo senso le testimonianze del viaggio in
Russia mostrano di voler conciliare lo stile della scrittura diaristica e la cifra
espressiva del racconto letterario con lesigenza di fornire ai lettori (origina-
riamente lettori di stampa giornalistica) un insegnamento o quanto meno un
monito, come quando nel capitolo Verso Mosca si descrive un momento di
speciale solidariet tra la scrittrice e altri tre viaggiatori:

Fu portato dello champagne, si bevve e, in quel punto, il sole oramai tramonta-


to, sul limite della pianura, dardeggi per qualche minuto i suoi lunghi raggi
nello scompartimento. Liza, Sergio, e Pietro mi parvero, avvolti in quella luce,
incandescenti, erano straordinari e, fosse lo champagne o la stanchezza di tante
emozioni, sentii i miei occhi inumidirsi. Essi mi guardavano tutti con dolcezza,
come se, in quella parte del tavolo, invece di una persona straniera, vi fosse una
persona una persona nota e lungamente ricordata. Era una sensazione che dove-
vo provare pi volte, in Russia: fuori e dentro lideologia, non vi sono vere bar-
riere tra un cittadino russo e uno straniero. Si stabiliscono immediatamente, in
ogni ambiente, intese tenere e strane, ci si prende la mano nello stesso modo
impulsivo e ingenuo, tipico dei ragazzi. Non ha importanza di che idee siete, ma
come sentite e pensate19.

Altrove Ortese trova anche il modo di indicare uno dei modelli espressi-
vi che guidano la sua indagine nella scrittura del viaggio in Russia, fornen-
do una interpretazione del Neorealismo nel corso di un fugace dialogo con
uno studente di ingegneria che dice di conoscere un po lItalia attraverso il
cinema.

18
Ivi, pp. 120-121.
19
Ivi, p. 99.
Straniamento e utopia negli scritti di viaggio di Anna Maria Ortese 281

Penso che neorealismo voglia dire questo, cerco di sorridere. Un regista italia-
no sale su questo treno, sa che un treno dellUnione Sovietica, e perci molto
importante, perch c dietro tutta la storia dellUnione Sovietica, ma per dare il
senso del treno, cio della vita, lui deve guardare tutti i particolari che si trovano
su questo treno, che fanno il treno intero (col suo significato), e che a volte pos-
sono essere deludenti, e sembrare in contrasto con la bella idea del treno, con li-
dea di ci che vorremmo fosse un treno. [] Lo scopo dare il senso della vita,
attraverso una somma di particolari. I particolari sono forse cattivi, il senso
buono. E c anche un altro scopo, nel registrare tante cose: farle migliorare. O,
se per qualche motivo non possono ancora migliorare, la gente sia al corrente di
questo. Cos sia informata sinceramente di tutto quanto riguarda il proprio paese,
delle condizioni economiche, morali, di tutto20.

Ma a fronte di una intenzione estetica che pure coincide con la prospet-


tiva ideologica del Neorealismo, lesito espressivo del racconto ortesiano del-
lUnione Sovietica sembra essere decisamente altro rispetto allesigenza di ce-
lebrare il luogo e il topos politico, in particolare quando, accompagnata nella
stanza dalbergo a Mosca da una compagna russa, la scrittrice dalla finestra
per la prima volta guarda il Cremlino: alla visione gelidamente metafisica del
primo impatto, che procura lo spaesamento, segue una nuova immagine in
cui la Storia scompare cedendo spazio alluniversale Poesia della natura.

Dietro il Cremlino si vedeva uno spazio immenso, squadrato, pieno daria, tinto
tenuamente di rosso, dal centro del quale, come una nave a met scomparsa nella
tempesta, emergevano delle mura rosse e delle cupole gialle e verdi, con qualco-
sa di dorato: la chiesa di San Basilio, nella Piazza Rossa. Da un lato si scorgeva
un pezzo del Mausoleo che custodisce le bare di cristallo dove sono deposti Lenin
e Stalin; sullaltro lato, di sbieco, i magazzini Generali. [] Sorgeva una piccola
luna, nel cielo, bench fosse pieno giorno, in un incavo di perla; sorgeva, mi
parve, proprio sulla Cittadella terribile mura rosse, ma ora sbiancate dallafa,
aeree cupole verdi e dorate e illuminava o cancellava? un angolo delle tombe
sublimi. Ma n Lenin n Stalin, n gli altri visi giganteschi si vedevano pi.
Vennero invece dei passeri, che forse abitavano tra quelle tombe, fino al mio
davanzale, vennero strillando con grande allegria, e qualcuno si spinse fin dentro
la stanza: Non sapevo che la natura fosse cos amorosa dovunque!. Cercai del
pane da dare a quegli affamati, e intanto terrore e lacrime, guardando quei pas-
seri, se nerano andati, potevo nuovamente sorridere21.

20
Ivi, pp. 115-116.
21
Ivi, pp. 125-127.
IDA DE MICHELIS

Il terzo mestiere: Gadda giornalista

Io quando devo fare un elzeviro mi sento morire:


annaspo annaspo con lo spettro del direttore e del suo
pubblico di serve davanti al naso
(Lettera inedita di C.E. Gadda a Silvio Guarnieri,
18 agosto 1948)

Per ricostruire la storia delle collaborazioni giornalistiche delleclettico


Ingegner Carlo Emilio Gadda, si potrebbe partire se non dalla fine dal mezzo,
dal culmine cio di quella storia, quasi ad accettare la provocazione delliro-
nica sorte che lo volle assunto cinquantottenne praticante giornalista addet-
to alla Segreteria dei Servizi parlati culturali presso la Direzione Generale Rai.
Ironia della sorte, e della storia, tutta italiana quella che vide un maturo,
affermato e gi premiato scrittore, assunto a tempo determinato, prima, inde-
terminato poi, come praticante in Rai.
La Storia ci mostra che molti scrittori italiani si appoggiarono allattivit
giornalistica come secondo mestiere, per guadagnarsi cio quel pane che spes-
so la pura arte letteraria non riusciva a garantire loro, e Guido Piovene da
parte sua giudica questa una peculiarit tutta nazionale:

lunione tra letteratura e giornalismo in Italia ha due ragioni: una negativa e


unaltra positiva. Quella negativa pi evidente: la povert. Lenorme maggio-
ranza degli scrittori italiani non pu vivere sulla letteratura: n daltra parte soc-
corsa da un numero sufficiente di riviste paganti. perci obbligata a ricorrere a
un secondo mestiere, e preferisce il giornalismo, che almeno si esercita con la
penna1.

Alla definizione di secondo mestiere ricorre anche Montale, in un articolo


del 27 gennaio 1959 in cui scrive:

1
Citazione riportata in E. Falqui, Inchiesta sulla terza pagina, Ed. RAI, Torino 1953,
p. 139. Corsivi miei.
284 Ida De Michelis

distinguiamo a colpo docchio le poche [opere] che appartengono all[] arte


dalle molte che sono di pertinenza del [] secondo mestiere: quello del produtto-
re di parole stampate2.

Eppure proprio il caso di Gadda esorbita dalla norma di questa storia: per
lui, infatti, bisogna piuttosto parlare di terzo mestiere, giacch, com ben
noto, egli lavor per anni come Ingegnere, in Italia e allestero, soffrendo
molto dellimpossibilit di dedicarsi tutto alla sua vera inclinazione, quella
cio per le lettere.
La ricerca di collaborazioni giornalistiche ha perci proprio il senso di
emanciparsi dal lavoro tecnico, pratico, di Ingegnere appunto, per applicarsi
sempre pi allarte della parola. Ma fin da subito, come testimoniano episto-
lari editi ed inediti di suo pugno, si dovette rendere conto che anche la scrit-
tura giornalistica aveva un peso di tempo e impegno consistente che andava
ad essere comunque dimpedimento alla scrittura creativa.
Ben chiara in lui fu quindi la distanza tra larte della scrittura e la scrittura
periodica a pagamento: anche se alto rimane sempre in Gadda il riconosci-
mento e il rispetto tributato ad ogni genere di fatica umana, intellettuale o fisi-
ca, per cui mestiere egualmente degno sar da considerarsi il terzo, di giornali-
sta, come il primo, di scrittore, quanto il secondo di ingegnere. E perch alto
potesse rimanere tale riconoscimento egli sempre ebbe lesigenza di rispondere
con impegno pari a tutti i suoi doveri, soffrendone per non poco lonere e non
vedendosi sempre riconosciuti tutti gli onori attesi:

non mi rivolgo al giornale con trascuratezza, tanto per fare: ma con il vivo desi-
derio di concretare qualcosa che sia giornalismo e, possibilmente, arte a un mede-
simo tempo [] il mio ideale non per larticolo meramente tecnico, ma lar-
ticolo a sfondo umano3.

Ed ecco come fin per essere liberato dalla coazione ingegneristica e assun-
to definitivamente come giornalista solo alle soglie dellet pensionabile:
poco prima cio di potere finalmente dedicarsi tutto ai suoi scritti, e al suo
tardo successo.

La storia dei fatti, per ordine

su un giornale (Il Corriere delle Maestre del 19 ottobre 1902) che


Gadda, allora alle soglie del nono anno di vita, vede per la prima volta appa-

2
Citazione da G. Zampa, a c. di, Introduzione a E. Montale, Il secondo mestiere Prose
1920-1979, Mondadori, Milano 1996, p. XI.
3
Lettera inedita di C.E. Gadda a Ermanno Amicucci, 2 ottobre 1934.
Il terzo mestiere: Gadda giornalista 285

rire pubblicamente un testo a sua firma4: la nota, di carattere squisitamente


biografico, aiuta per ad introdurre il discorso sulla cronologia delle collabo-
razioni giornalistiche di Gadda. Ed con questo dato che inizia la sua pub-
blica bibliografia: con questa lettera-articolo nella rubrica Corrispondenza fra
scolari.
Segue significativamente nel caldo maggio 1915 unaltra lettera, lettera
interventista a firma di Emilio Fornasini, Carlo Emilio Gadda e Luigi
Semenza, intitolata Una legittima protesta di studenti, sulle pagine de Il
Popolo dItalia5. E sappiamo quali fatti seguirono a quelle parole: partecipa-
zione da tenente degli Alpini alla Grande Guerra, prigionia in Germania,
perdita dellamatissimo fratello minore.
Il primo articolo pubblicato dal Gadda adulto e reduce, ormai per sem-
pre, laureato al Politecnico di Milano, usc nel 1921, a firma dellIng C.E.
Gadda, sulla milanese Perseveranza, ed ebbe carattere tecnico. Si tratta del-
larticolo Caratteristiche del problema idroelettrico 6 e anticipa di qualche anno
lesordio del Gadda scrittore di racconti7.
La storia delle sue collaborazioni giornalistiche appena cominciata ma
gi traccia con evidenza la peculiarit del suo profilo di uomo e di scrittore:
ingegnere prima che letterato, sappiamo per costrizioni familiari ma questi
furono i fatti, combattente prima che ingegnere.
Agli anni di trasferimento in Argentina, dovuti sempre ad un impiego tec-
nico, risale invece la sua prima recensione edita: si tratta della recensione al
libro di poesie di Ugo Betti8, suo compagno di prigionia in Germania, assie-
me ad un altro rappresentante delle patrie Lettere, Bonaventura Tecchi, du-
rante lultimo anno della Grande guerra. Questo articolo interessante per-
ch risulta essere lunico scritto e pubblicato nel periodo argentino, troppo
pieno, a dire di Gadda stesso, di impegni e fatiche di lavoro per permettergli
di produrre altro. Ma linteresse di questa recensione risiede anche nel retro-
scena della sua pubblicazione: Gadda infatti inizia a prendere posizione a
favore del Regime (si era tesserato gi nel 1921), seppure da Oltreoceano,

4
E. Centofanti, Giornalismo, voce dellEnciclopedia gaddiana on-line, EJGS,
www.gadda.ed.ac.uk.
5
La lettera usc per la precisione il 22 maggio 1915.
6
Larticolo usc nel numero del 20 dicembre di quellanno.
7
Lesordio di Gadda scrittore avvenne nel giugno 1926 sulle pagine della rivista letteraria
Solaria con i raccontini Studi imperfetti: Solaria, a. I, n. 6, giugno 1926, pp. 23-28. E anco-
ra per le edizioni di quella stessa rivista usc, nel 1931, il volume del suo esordio narrativo La
Madonna dei Filosofi.
8
Un libro di poesie: Il Re pensieroso di Ugo Betti, in La Patria degli Italiani, Buenos
Ayres, 20 aprile 1923, firmato Ing. Carlo Emilio Gadda. La raccolta era uscita dai Fratelli
Treves a Milano nel 1922, e Gadda ne fece due differenti recensioni delle quali questa fu la
prima ad uscire. La seconda uscir solo nel 1926 con medesimo titolo, con data 22 gennaio
sulle pagine de Il Giornale dItalia.
286 Ida De Michelis

proprio in relazione alle vicende di questo breve articolo, scrivendo alla sorel-
la Clara: I giornali italiani di qui primo fra tutti la Patria sono i primi deni-
gratori del fascismo e per questo io non vi ho pi scritto e non vi scriver pi
fino a che la Patria non cambi bandiera9.
Chiaro fin da subito gli risultava, quindi, il nesso tra informazione e for-
mazione, politica ed ideologica, nel giornalismo durante il Ventennio, e stra-
namente accettato come doveroso. Gadda, come appare da documenti pub-
blici quali i suoi articoli dellepoca, e privati, come i suoi ricchi epistolari a
parenti ed amici, si volle a quanto pare allineare a tale concezione totalitaria
ma con unambiguit di fondo che non poteva non avere ladesione ai prin-
cipi fascisti da parte di chi, come lui, era moralmente attaccato ad un senso
del dovere e della responsabilit individuale tanto richiamato quanto poi nei
fatti disconosciuto dal sistema dittatoriale di Mussolini. Tale ambiguit, o
meglio contraddittoriet, ben emerger nel suo tardo rifiuto del Fascismo che
nei secondi anni Quaranta lo porter a scrivere le sue parole pi aspre e vio-
lente: proprio contro il Duce10.

9
Lettera del 3 settembre 1923, in C.E. Gadda, Lettere alla sorella. 1920-1924, (a c. di G.
Colombo), Archinto, Milano 1988, p. 86.
10
S. Luzzatto, Mussolini buonanima, in EJGS, gi in Il corpo del duce, Einaudi, Torino
1998, pp. 120-158: A partire dallinverno 1944-45, Gadda ha rivolto prima contro il vecchio
di Sal, poi contro lesposto di piazzale Loreto uninterminata e feroce logorrea; non cadave-
rosi poemi, secondo la tradizione dei vati italiani denunciata gi nella Cognizione (RR I 682),
ma cadaverose invettive. [] Le due versioni di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, dal-
ledizione su rivista del 1946 al bestseller garzantiano del 57; Il primo libro delle Favole, usci-
to nel 52, labbozzo di Eros e Priapo dato alle stampe nel 55: durante limmediato dopoguer-
ra, nessuno scrittore italiano si impegnato altrettanto nello sforzo di ricostruire le implica-
zioni corporali del mussolinismo, o addirittura le sue implicazioni genitali. In apparenza, guar-
dando al regime fascista attraverso le lenti del fisiologismo, Gadda ha elaborato un discorso sto-
riografico sorprendentemente novatore, quasi unanticipazione di certi odierni esercizi di body
history. In realt, il suo approccio si rivela tanto originale nella forma quanto convenzionale
nella sostanza. Sebbene dannato, stramaledetto, il duce postumo di Gadda assomma i caratte-
ri funzionali a uninterpretazione di comodo del ventennio fascista. Inesauribile la serie di qua-
lifiche che lo scrittore ha attribuito a Mussolini: ciascuna dotata di valore aggiunto, contribu-
to alla decifrazione di quel pachidermico sistema di segni che per Gadda il corpo del duce.
Basta accumularle secondo un banale ordine alfabetico per suggerire la ricchezza ermeneutica
della prospettiva assunta da Gadda: Amatissimo, Appestato Appestatore, Batrace, Bombetta,
Caciocavallo, Ciuco Maramaldo, Cupo nostro, Defecato maltonico, Emiro col fez, Estrover-
tito, Ex-Bomba, Facciaferoce, Fava, Fava Marcia, Farabutto Impestato, Favente Genio, Feten-
te, Furioso Ingrogato, Ginocchio, Giuda in bombetta, Glorioso, Gradasso Ipocalcico, Grande
Imago, Gran Pernacchia, Gran Somaro Nocchiero, Gran Tamburone del Nulla, Gran Tauro,
Grugnone Sanguemarcio, Inturgidito Modellone, Maccherone fottuto di Predappio, Maldito,
Marchese delle Caminate, Mascella dasino Maltone, Mascellone ebefrenico, Merda, Mer-
donio, Minchiolini, Minchione Ottimo Massimo, Modellone Torsolone, Mugliante, Na-
poleone fesso e tuttoculo, Nero personaggio, Nullapensante, Paflagone inturgidito, Pir-
gopolinice, Poffarbacco, Predappio, Predappiogiuda, Predappiomerda, Priapo-Imagine, Primo
Racimolatore e Fabulatore ed Ejettatore, Profeta forlimpopolo, Provolone, Pulcinella finto
Il terzo mestiere: Gadda giornalista 287

A tal proposito stato scritto che

un singolare, paradossale rapporto di continuit si viene [] a creare tra scritti


pro- e anti- fascisti di Gadda. [] Sono gli uni e gli altri impuri, separati ma uniti
da un labile confine, avvinti in un consapevole gioco di rimandi e richiami che
struttura e denota la complementarit fra il momento demistificante [] e quel-
lo della mistificazione11.

E sar proprio negli anni Trenta che egli produrr la maggior parte di que-
gli scritti poi catalogati come autarchici, articoli per lo pi di carattere tecni-
co e divulgativo.
Ma andiamo per ordine: nel 1926, tornato oramai in patria, riprende la sua
produzione su giornali e riviste, proprio ripartendo dalla nuova edizione della
medesima recensione pubblicata in Argentina tre anni addietro. Fino al 1930
la produzione periodica gaddiana si limita essenzialmente a recensioni lettera-
rie, scritti di carattere teorico-letterario e prime prove narrative. Ma dal 1931
torna lesigenza di scrivere per mestiere e nellennesimo tentativo di liberarsi
degli oneri ingegnereschi inizia la sua carriera di pubblicista principalmente
orientata in due direzioni: il reportage di viaggio e il giornalismo tecnico-scien-
tifico-divulgativo. Proprio nel settembre del 1931, a conferma di quanto ferrea
fosse la sua volont di votarsi alla scrittura in entrambe le sue forma artistico e
giornalistica, riempiendo [] un formulario dellesercito, si dichiar di pro-
fessione Pubblicista-scrittore12; e nello stesso settembre aveva scritto al cugi-
no: ma adesso mi propongo di dare un tale colpo di timone che nessuno oser
pi chiamarmi ingegnere e competente, ma solo scribacchino fesso13.
Durante gli anni Trenta il Gadda giornalista collabora a numerose testa-
te: oltre alla terza pagina del quotidiano milanese LAmbrosiano14, alla pie-
montese Gazzetta del Popolo e alla fiorentina La Nazione, pubblica sulle
pagine del periodico Le Vie dItalia15, del quindicinale Nuova Antologia,

Cesare, Pupazzo, Rincoglionito Quirino, Scipione Affricano del due di coppe, Smargiasso
impestato, Somaro, Sovrano Seminatore, Stivaluto, Super Balano, Tauro zefreo, Testa di
Morto, Trebbiatore, Tritacco, Trombone e Naticone ottimo massimo, Truce, Tuberone, Verbo
sterile, Vigile dei destini [] Il torrenziale vituperio maschera appena una personale crisi di
coscienza; come Bottai, anche Gadda parla di Mussolini da innamorato deluso. Il suo il
dramma del moralista che ha creduto nel fascismo.
11
C. E. Gadda, I Littoriali del Lavoro e altri scritti giornalistici 1932-1941, per cura di M.
Bertone, ETS, Pisa 2005, p. 37.
12
G.C. Roscioni, Una inesistita giovinezza, in Il Duca di SantAquila, infanzia e giovi-
nezza di Gadda, Mondadori, Milano 1997, p. 293.
13
P. Gadda Conti, Le confessioni di Carlo Emilio Gadda, Pan, Milano 1974, p. 21, lettera
del settembre 1931.
14
Il quotidiano milanese, apertamente vicino al Regime, pubblic dal dicembre 1922 al
gennaio 1944.
15
Rivista periodica mensile del Touring Club Italiano.
288 Ida De Michelis

e perfino, inopinatamente, del vaticano Osservatore Romano con un arti-


colo tecnico su La nuova centrale termoelettrica della citt del Vaticano 16.
La sua produzione letteraria vedeva invece la luce prevalentemente sulle
pagine di Solaria e La Fiera letteraria, ma anche su Il Tevere, LIndice-
Almanacco critico della letteratura italiana, LItalia letteraria e Lettera-
tura.
Insomma con gli anni Trenta si inaugura propriamente la scrittura gior-
nalistica gaddiana. E gi si manifesta la difficolt di definizione precisa del
confine tra scrittura giornalistica e scrittura letteraria. A questo stesso decen-
nio appartengono gli esordi in volume del Gadda narratore con La Madonna
dei Filosofi del 1931 17 e Il Castello di Udine del 1934 18: ma la contempora-
neit della produzione maggiore con la produzione giornalistica arriva tal-
volta a farsi sovrapposizione di genere, promiscuit di scrittura, tanto che del
secondo volume narrativo fanno parte gli articoli del viaggio nel Mediter-
raneo di cui aveva pubblicato il reportage su LAmbrosiano. A questo pro-
blema Enrico Falqui dedica, qualche anno pi tardi (1938), il testo intitola-
to Capitoli: in questa antologia compare anche Gadda proprio con la prosa
Approdo alle zattere da Il Castello di Udine. Falqui dichiara subito la sua fede
[] nelloriginalit poetica raggiunta dalla prosa darte italiana contempora-
nea19 e sottolineando gli stretti rapporti che intercorrono tra larticolo, lel-
zeviro e la prosa darte, rintraccia, in linea con le intenzioni de La Ronda
di Cardarelli, nelle Operette morali di Leopardi e nei Petits pomes en prose di
Baudelaire i modelli, gli antenati, i monumenti di stile per questo genere
letterario.
Le collaborazioni giornalistiche erano state intense tra il 1931 e il 1932;
avevano poi subito uninterruzione fino al 1934, quando Gadda, licenzian-
dosi dal suo incarico da Ingegnere presso la Sezione tecnologica del Vaticano,
indotto ad intensificare la sua attivit giornalistica20, come testimoniato
ancora una volta da una lettera al cugino: ho ripreso qualche contatto con
LAmbrosiano, ma ci mi ha valso pi fatica che guadagno [] a lire cento
luno, e ci vogliono due tre giorni a scriverli e ricopiarli21.

16
Questa collaborazione tecnico-giornalistica si spiega col fatto che Gadda lavor come
Ingegnere presso la Citt del Vaticano tra il 1932 e il 1934.
17
La prima raccolta narrativa di Gadda, La Madonna dei Filosofi raccoglie in unedizione
Solaria, appunto, testi quasi tutti solariani.
18
Il Castello di Udine raccoglie brani pubblicati sulle riviste Italia Letteraria e
LAmbrosiano, e il solo testo Tendo al mio fine era stato pubblicato sulle pagine di Solaria.
Parziale ripresa del testo fu larticolo Tendo a una brutale deformazione dei temi, in
Almanacco letterario Bompiani 1942, Bompiani, Milano 1941, p. 124.
19
E. Falqui, Il capitolo e la prosa darte, in Novecento letterario, Vallecchi, Firenze 1960,
p. 188, gi in Capitoli, Panorama, Milano 1938.
20
Si veda in proposito la nota di L. Orlando a Le Meraviglie dItalia, in C.E. Gadda, Opere,
in V volumi, Garzanti, Milano 1988-1993.
21
P. Gadda Conti, Le confessioni di Carlo Emilio Gadda, cit., p. 40. Lettera del 25 agosto 1934.
Il terzo mestiere: Gadda giornalista 289

Dagli appunti di viaggio e dagli articoli tecnici di quegli anni nasce il suo
terzo volume, Le Meraviglie dItalia, del 1939: un volume questa volta tutto
dichiaratamente giornalistico che offre un esempio molto significativo del
procedimento di trasformazione testuale da articolo di giornale a brano in
volume. Gli interventi sono per lo pi aggiuntivi come nel caso delle note
esplicative o sostitutivi, ma i pi interessanti risultano essere gli interventi
riduttivi, e talvolta propriamente censori operati dallautore. Eliminati gli
occhielli, i sommari, i titoli interni dei paragrafi caratterizzanti larticolo di
giornale22, che sempre deve garantire facile accessibilit di testo e contenuti,
Gadda procede con un attento lavoro di autocensura di frasi e lemmi cele-
brativi nei confronti del Regime, rispetto al quale evidentemente non solo si
sentiva ormai in netto contrasto e disaccordo, ma voleva anche prendere con
discrezione le distanze di fronte al mondo intellettuale. Di certo tali atten-
zioni sono dovute alla consapevolezza da parte dellautore che

passando dal pubblico del giornale al lettore del libro, [] [muta] anche il desti-
natario del messaggio: non pi un pubblico generico con una componente di let-
tori specializzati e tecnicamente competenti, ma un pubblico circoscritto di let-
terati, che considerano la pagina da un loro punto di vista tutto particolare, e per
i quali lo scrittore sente di dover fornire alcune spiegazioni sulla materia trattata
(che divengono esse stesse talora vere perle letterarie)23.

Piuttosto il livello letterario del testo deve restare immune dalla contami-
nazione del contingente, dellideologia, dal coinvolgimento diretto e troppo
immediato con la storia: Lestetica spinge la pratica, se ne difende, se ne
distingue24.
Ma sembra che dietro a tale attenzione stilistica si celi anche il primo
passo di risoluzione interiore che solo pi tardi si sapr fare pubblica, di quel-
lambiguit o contraddittoriet di base che stata sopra menzionata, rispetto
al legame di Gadda col Fascismo: insomma altro il tono e lopportunit in
sede di giornali e riviste allineate, che possono essere lette e viste come non
solo informative ma formative in senso organico al Regime, propagandistiche
nella loro diffusione ad ampio raggio, altro il tono, pi libero e disinteressa-
to, pi alto, dellArte fine a se stessa. Ecco allora scomparire per intero il
seguente passo encomiastico della prosa Carraria, poi definitivamente esclu-
sa nella riedizione del 1964 di Le Meraviglie dItalia Gli Anni per i Super-
coralli di Einaudi:

22
Si veda in proposito la nota di L. Orlando a Le Meraviglie dItalia, cit.
23
L. Greco, Lautocensura di Gadda: Gli scritti tecnico-autarchici, in Censura e scrittura, Il
Saggiatore, Milano 1983, pp. 51-98, pp. 89-93.
24
Ivi, p. 93.
290 Ida De Michelis

Il Duce dedica allindustria marmifera apuana un interessamento continuo, e i


cavatori apuani attendono fiduciosi dalla sua alta saggezza, dal suo illuminato
consiglio, un sollievo alle presenti difficolt 25.

Nella revisione delle Meraviglie dItalia dalla prima alla seconda edizione
si passa inoltre da 27 a 30 brani, di cui solo 16 appartenevano alla prima edi-
zione, con lulteriore esclusione proprio dei brani pi evidentemente ideolo-
gici ed encomiastici26.
Il passaggio agli anni Quaranta avviene tuttavia nel segno di questa ambi-
guit ideologica ancora irrisolta: se le sue attenzioni maggiori sono chiara-
mente riservate al nascente romanzo La cognizione del dolore, che aveva ini-
ziato ad uscire per tratti su Letteratura a partire dal numero di luglio-set-
tembre 1938, sempre di quellanno sono gli articoli filo-regime La donna si
prepara ai suoi doveri coloniali 27, Le funivie Savona-San Giuseppe di Cairo e la
loro funzione autarchica nelleconomia nazionale 28, mentre risalgono al 1941
gli articoli I nuovi borghi della Sicilia rurale, La colonizzazione del latifondo
siciliano, I Littoriali del lavoro 29.
Ancora una volta lepistolario privato fornisce elementi utili alla ricostru-
zione del quadro delle sue collaborazioni: scrive il 3 maggio 1940 a Leone
Traverso:

Ora tutti mi sono addosso e, per soddisfare tutti, dovrei scrivere un articolo al
giorno, io che sono il vero tipo adatto per scriverne uno al mese. Eccoti la lista
degli inviti pressanti, reiterati, minacciosi: Prospettive di Malaparte, Primato di
Bottai, Civilt di Federzoni-Cecchi, Nuova Antologia di Federzoni, Gazzettino di
Venezia Cantalamessa, Messaggero di Roma Malgri, Lettura di Simoni-Pio-
vene, La Ruota di Petroni, La Sera di Damiano ed Emmanuelli, ecc. ecc.: Pano-
rama ha gi avuto mia prosa, e ha pagato. Dar dei magri acconti a tutti e poi li
mander in collera con le mie carenze, assenze, inadempienze e promesse da
marinaio.

25
C.E. Gadda, Carraria, in Le Meraviglie dItalia, in Opere III, cit., p. 179. Si tratta della
prosa pi antica della silloge, uscita su LAmbrosiano con il titolo Carrara nellagosto del
1934.
26
A tal proposito interessante la nota a Verso la Certosa a c. di L. Orlando, in C.E. Gadda,
Opere III, cit., pp. 1289-90.
27
In Le Vie dItalia, a. XLIV, n. 10, ottobre 1938, pp. 1248-1251, poi in C.E. Gadda,
I Littoriali del Lavoro e altri scritti giornalistici, 1932-1941, cit.
28
In Le Vie dItalia, a. XLIV, n. 12, dicembre 1938, pp. 1477-1484, poi in C.E. Gadda,
Azoto e altri scritti di divulgazione scientifica raccolti da Gianni Scheiwiller e presentati da
Andrea Silvestri, Libri Scheiwiller, Milano 1986.
29
In Nuova Antologia, a. 76, vol. CDXIII, f. 1653, 1 febbraio 1941, pp. 281-286; in
Le Vie dItalia, a. XLVII, n. 3, marzo 1941, pp. 335-343; in Nuova Antologia, a. 76, vol.
CDXVIII, f. 1658, 16 aprile 1941, pp. 389-395; ora tutti in C.E. Gadda, I Littoriali del
Lavoro e altri scritti giornalistici, 1932-1941, cit.
Il terzo mestiere: Gadda giornalista 291

Proprio nel 1940 iniziano le collaborazioni a Panorama, con tre artico-


li illustrati30:

si affermava infatti in quegli anni nella stampa italiana una cultura fotografica,
della quale antesignano era stato Longanesi con il suo Omnibus, una cultura che
era anche indubbiamente figlia del nuovo procedimento tipografico, il rotocalco.
Il servizio fotografico su alcuni periodici finiva col sostituirsi allarticolo o meglio
il testo scritto diventava semplicemente un commento se non una didascalia delle
immagini. Il periodico allora pi avanzato su questa linea era il settimanale
Tempo (sul quale Gadda pubblica Montale, o luomo msico 31)32.

Quella degli scritti accompagnati da immagini viene cos a costituire una


nuova tipologia di scrittura giornalistica, prodromo della futura produzione
televisiva di cui anche Gadda sar partecipe con qualche contributo33. C qui
da aggiungere che linclinazione verso un linguaggio visivo era caratteristica
forte della prosa gaddiana: tanto di quella saggistica che di quella narrativa34.
I nuovi stimoli tecnologici andavano in tal senso incontro a una sua natura-
le preferenza per il visivo.
Ma le lamentele di Gadda per le sue fatiche giornalistiche continuano: di
poco pi tardi, del febbraio 1941, la lettera allamica Lucia Rodocanachi in
cui scrive:

30
Si tratta di: Fiera di Milano, Terra lombarda, Luomo e la macchina. Dei tre articoli di
Gadda pubblicati su Panorama ed illustrati abbondantemente con riproduzioni fotografiche a
tutta pagina o inframmezzate al testo, due, Fiera a Milano e Terra lombarda, sembrano essere
stati redatti sulla base delle fotografie che li accompagnano, tanto i testi aderiscono non solo
tematicamente, ma addirittura nella enumerazione e descrizione particolareggiata degli ogget-
ti dei paesaggi a quanto riprodotto nelle illustrazioni, in G. Ungarelli, Le occasioni del dolore,
in AA.VV., Le ragioni del dolore. Carlo Emilio Gadda 1893-1993, a c. di E. Manzotti, Cenobio,
Lugano 1993; anche in EJGS 5/2007.
31
Questo articolo esce nel 1943, in Il Tempo, a. VII, n. 196, 25 febbraio-4 marzo 1943,
pp. 33-34, poi nel postumo C.E. Gadda, Tempo e opere, Saggi, note e divagazioni, Adelphi,
Milano 1982.
32
G. Ungarelli, Le occasioni del dolore, cit.
33
Si pensa al teledocumentario Il Tevere in cui testo e immagini vanno di pari passo, anche,
sembra, nella loro nascita; la stesura del testo, come testimoniato da A. Zorzi, sovrintendente
alla produzione, molto lunga ed laboriosa. Il lavoro sembra sia nato nel 1956 per la Union
Europenne de Radiodiffusion sul tema I grandi fiumi dEuropa. Il documentario sarebbe
per andato in onda solo dopo la morte dellautore, dopo una revisione di semplificazione
testuale. Informazioni complete a riguardo si possono trovare in C.E. Gadda, Opere V, cit., in
particolare la Nota al testo de Il Tevere, a c. di D. Isella, pp. 1451-1459.
34
Il riferimento allattenzione tributata dallautore in particolare alluso dellipotiposi. Si
veda in proposito M. Kleinhans, Ipotiposi, in Enciclopedia gaddiana, EJGS 4/ 2004, M.
Kleinhans, Satura und pasticcio. Formen und Funktionen der Bildlichkeit im Werk Carlo
Emilio Gaddas, Max Niemeyer Verlag, Tbingen 2005, nonch I. De Michelis, Tra il quid e
il quod-Metamorfosi narrative di Carlo Emilio Gadda, parte I, ETS, Pisa 2009, pp. 11-18.
292 Ida De Michelis

per tirare avanti e per guadagnare qualcosa, ho accettato di sobbarcarmi a qual-


che fatica pamphletaire, tecnico-propagandistica, cavandone gloria nessuna,
denaro poco, e noia molta. La mia natura diligente e meticolosa ha reso inutil-
mente perfetta la fatica, e disastrosamente imperfetto il guiderdone 35,

ribadendo nuovamente il malcontento per la sua attivit giornalistica, mal-


contento che insoddisfazione economica ma anche, forse, imbarazzo ideo-
logico ed etico per alcune delle collaborazioni portate avanti ancora in que-
gli anni per un imperfetto guiderdone con gloria nessuna. Il movente
economico non bastava probabilmente pi a giustificare con se stesso certe
sue compiacenze nei confronti del potere, mentre nella pagina, anche quella
giornalistica, anche quella occasionale, perfino in quella autarchica, sempre
pi iniziava ad emergere il suo stile, i suoi lemmi, ad affiorare il suo sistema
di pensiero e valori. Oltre alla presenza, se non allinaugurazione, di lemmi e
immagini poi ripresi e sviluppati dal Gadda maggiore, si nota come egli ceda
inaspettatamente anche allinterno di articoli e tecnici e socio-politici e
talvolta finanche encomiastici (nei confronti del Fascismo, sintende!), al suo
dirompente stile: enumerazioni caotiche, ammiccamenti umoristici, strania-
menti linguistici e stilistici36. Un bellesempio si pu trovare nellarticolo del-
lAmbrosiano Divulgazione tecnica del 12 aprile 1932 in cui Gadda non si
risparmia una ironica critica al qualunquismo ignorante dei falsi informati:

giusto ed necess[a]rio che lo spirito delluomo moderno si elevi dallo stato


mitico, rapsodico ed entusiastico, pi proprio degli stregoni, dei dervisci e dei
coribandi, a uno stato chiaramente alfabetico e documentario [] il cittadino
amante del progresso e dellelettrificazione, prima di declamare al caff i suoi sette
entusiasmi, bene che sappia come si organizza e quanto costa una stazione fer-
roviaria o una centrale elettrica. Poi sogner la palingnesi elettrica delluma-
nit37.

Insomma la sua posizione se non proprio trasgressiva certo anticonformi-


stica inizia a manifestarsi con sempre maggiore dirompenza nei testi pi inso-
spettabili, anche se in forme criptiche, giacch se fosse stata pi esplicita
sarebbe stata inaccettabile in quegli anni, riconfermando quanto da lui stes-
so asserito in termini ontologici, si potrebbe dire, in un suo articolo-saggio
del 1929, Le belle lettere e i contributi espressivi delle tecniche e cio di come
sussista necessariamente una continuit e contiguit tra le due sfere letteraria
e tecnica, una omogeneit etica tra i vari sistemi conoscitivi e pertanto una

35
C. E. Gadda, Lettere ad una gentile Signora, a c. di G. Marcenaro, Adelphi, Milano
1983, p. 129, lettera del 26 febbraio 1941 a Lucia Rodocanachi.
36
M. Bertone, Introduzione a C.E. Gadda, I Littoriali del Lavoro e altri scritti giornalistici,
1932-1941, cit., pp. 27-29, vengono analizzati alcuni casi concreti del fenomeno qui descritto.
37
Ivi, pp. 42-43.
Il terzo mestiere: Gadda giornalista 293

coerenza tra le varie sfere di pensiero, azione e produzione di un medesimo


individuo:

se lattivit estetica sia realmente prescissa, come da taluni nobilmente stato


affermato, dai momenti che sogliamo chiamare prammatici dellessere nostro o
se nel fondo cupo dogni rappresentazione sia ritrovabile ancora quello stesso ger-
mine euristico che la sintesi operatrice del reale38.

Come gi notato39, insomma, il Gadda-giornalista tecnico anni Trenta


sembra divenuto via via sempre pi esplosivo nelle commistioni, nelle incur-
sioni, nei salti del linguaggio, liberando la propria verit, e forse almeno in
parte salvandosi da quella ambiguit che lo leg al Regime:

sempre legittimo distinguere il narratore dal pubblicista. Se una distinzione tec-


nica riuscir a salvare anche il Gadda tecnico, divulgatore autarchico, ben venga,
e sar a suo modo una resa di giustizia, da prestatore di servizi a prestatore di ser-
vizi, da essere umano ad essere umano. Qui per valga, a riavviare il dibattito, la
schizofrenica unit dellesperienza, dove lorrore vero quello della coesivit della
coesistenza pi assurda40.

Dal 1942 cessano praticamente le collaborazioni di tipo tecnico-divulga-


tivo; molte sono le recensioni e le anticipazioni su rivista di suoi racconti: per
lo pi di pezzi poi riuniti in LAdalgisa-Disegni milanesi 41.
Tra il 1944 e il 1945 Gadda approda a Roma: lanno 1945 vede uscire
articoli praticamente solo sul neonato Il Mondo fiorentino di Bonsanti,
Loria, Montale e sono invece del 1946 le prime puntate su Letteratura del
romanzo tutto romano che decreter il suo successo quando, nel 1957, uscir
in volume: Quer pasticciaccio brutto de via Merulana.
Al 1947 risale la prima collaborazione di Gadda alla Radio: una conver-
sazione trasmessa nel maggio allApprodo sulla mostra dei dipinti di Adria-
na Pincherle alla galleria Vigna Nuova. Ma sar con gli anni Cinquanta che
Gadda si aprir allesperienza della collaborazione scritta e parlata con la Rai:
nella primavera 1950 attua la registrazione dellIntervista con se stesso 42 e il
primo ottobre dello stesso anno, grazie allinteressamento di Giovan Battista

38
C.E. Gadda, Le belle lettere e il contributo espressivo delle tecniche, i I viaggi la morte, in
Opere III, cit., p. 488.
39
L. Greco, Lautocensura di Gadda: Gli scritti tecnico-autarchici, in Censura e scrittura, cit.,
p. 27.
40
F. G. Pedriali, O Gadda, curati!, in EJGS, 3/2003.
41
La princeps del volume uscir nel difficile anno 1944, a Firenze per Le Monnier.
Quellanno del resto Gadda non pubblica nientaltro.
42
Intervista al microfono. Confessioni di scrittori (Interviste con se stessi), con Prefazione di L.
Piccioni, ERI, Torino 1951, pp. 51-55.
294 Ida De Michelis

Angioletti, uno dei fondatori del Terzo Programma, firma il contratto a tempo
determinato presso lazienda statale, contratto che diverr a tempo indetermi-
nato soltanto lanno successivo43. Da questo momento in poi, con leccezione
del lavoro su Galileo Ferraris44, Gadda non comporr pi articoli di argomento
tecnico-scientifico ma si dedicher tutto al mondo umanistico: le sue collabo-
razioni verteranno su temi di cultura sociale e letteraria, talvolta di costume.
Dal 1951 al 1953 dirige le rubriche settimanali del Terzo programma, Los-
servatore dello spettacolo e Losservatore delle lettere e delle arti. Sono questi gli
anni in cui molto di suo esce sul Radiocorriere e su Epoca, oltre che su
LApprodo45 e qualche altra testata in modo pi o meno occasionale.
Il 1953 risulta essere un anno cruciale: in quellanno infatti escono due
contributi particolarmente significativi per la storia delle sue collaborazioni
giornalistiche, luno rivolto al genere scritto dellarticolo di terza pagina, ed
il testo prefativo allInchiesta sulla terza pagina curata da Enrico Falqui, e lal-
tro rivolto invece alle modalit di composizione di un testo orale per la radio.
In questo testo, intitolato Norme per la redazione di un testo radiofonico, edito
dai tipi Rai della ERI, Gadda dimostra di avere grande consapevolezza e
rispetto di due elementi fondamentali per lefficacia di ogni atto comunicati-
vo: il canale e il contatto sono varianti fondamentali che condizionando il
rapporto tra mittente e destinatario, e quindi anche il contesto comunicati-
vo, richiedono conseguentemente determinate scelte del registro del codice
da usare.

Inderogabili norme e cautele devono osservarsi da chi parla al microfono o pre-


dispone, scrivendolo, un testo per la Radio. La mancata osservanza di dette
norme e cautele, pu rendere intrasmissibile uno scritto anche se per altri aspet-
ti eccellente. [] Per il radioascolto i termini sono: accessibilit fisica, cio acu-
stica e intellettiva della radiotrasmissione, chiarezza, limpidit del dettato, grade-
vole ritmo. [] La sopportabilit massima del parlato-unito, in Italia, di quin-
dici minuti. La voce unica e fusa erogata dal graticcio del radioapparecchio, in
quanto non soccorsa dalla presenza fisica, dalla gestizione o dallatteggiamento di
chi parla, annoia lascoltatore italiano dopo quindici minuti, quali che siano la
forma o il contenuto dellallocuzione. [] [Bisogna] dar corpo di pi concrete

43
Lassunzione a tempo indeterminato presso la Direzione generale-servizi amministrativi
e generali quale praticante giornalista addetto alla segreteria dei servizi parlati culturali avvie-
ne il 1 luglio 1951.
44
Galileo Ferraris e gli scienziati piemontesi, in Radiocorriere, a. 28, n. 5, 28 gennaio-3
febbraio 1951, p. 13: di tecnico-scientifico, per la Rai Gadda tuttavia cura soltanto la tra-
smissione dedicata a Galileo Ferraris, ingegnere e fisico, scopritore del campo magnetico ruo-
tante, in G. Ungarelli, a c. di, Gadda al microfono-Lingegnere e la Rai 1950-1955, Nuova ERI,
Torino 1993, p. 19.
45
Nel comitato direttivo LApprodo Gadda rester poi ancora dal 1967 al 1972, anno
precedente quello della sua scomparsa. La trasmissione era nata nel 1945 e dal 1952 aveva
avuto anche una versione stampata trimestrale, LApprodo letterario.
Il terzo mestiere: Gadda giornalista 295

ed evidenti immagini allesposto tecnico, alla silloge astratta. Il microfono mal


sopporta unallocuzione di origine mentale e di timbro didattico, domanda
piuttosto una recensione informativa [] redatta in forma chiara, spedita, ele-
gante. [] Il pubblico che ascolta una conversazione un pubblico per modo di
dire. In realt si tratta di persone singole, di mnadi ovvero unit, separate le
une dalle altre. Ogni ascoltatore solo: nella pi soave delle ipotesi in compa-
gnia di pochi intimi. [] Leguale deve parlare alleguale, il libero cittadino al
libero cittadino, il cervello opinante al cervello opinante. Il radiocollaboratore
non deve presentarsi al radioascoltatore in qualit di maestro [] ma [] di
amico. [] Si dovr quindi evitare [] il cosiddetto complesso di inferiorit
culturale cio quello stato dansia, di irritazione, di dispetto che coglie chiunque
si senta condannare come ignorante dalla consapevolezza, dalla finezza, dalla
sapienza altrui. [] Ad ovviare la quale calamit radiofonica in particolare con-
sigliabile:
a) in ogni evenienza astenersi dalluso della prima persona singolare io []
b) astenersi da parole o da locuzioni straniere quando se ne possa praticare le-
quivalente italiano []
c) evitare gli sterili elenchi di nomi [] meglio omettere dei nomi da manua-
le, che infastidire lascoltatore citando nomi destinati a spegnersi appena pro-
nunziati, come faville lasciate addietro per un attimo dalla corsa di una locomo-
tiva;
d) operare analogamente con le date []
e) astenersi dal presupporre nel radioabbonato conoscenze che egli, il qualun-
que, non pu avere e non ha []
f ) entrare subito o pressoch subito in medias res []

Anche in lettere in cui invitava a collaborazioni radiofoniche Gadda era


apparso molto consapevole e compreso a riguardo delle cautele linguistiche e
formali da avere di fronte alla composizione di testi per la radio: in una lette-
ra inedita a Onofrio Martinella invitava ad essere ad esempio: molto chiaro,
molto pulito, informativo e critico con garbo, non rarefatto, non difficile,
non prezioso46, e perfino in una lettera allo stimatissimo Gianfranco Conti-
ni si era sentito in dovere di precisare un unico vincolo: quello di una sicura
accessibilit dellesposto da parte dellascoltatore-tipo (molto tipo). Il testo
radiofonico non si pu rilegger; fugge davanti agli orecchi di chi ascolta47.
Eppure, nota Ungarelli, malgrado tutte le premesse e le buone intenzio-
ni, era destino che il Gadda redattore radiofonico non potesse ovviamente
cancellare del tutto il Gadda scrittore48, cos come era daltronde sempre

46
Lettera inedita a Onofrio Martinella del 31 ottobre 1950 in cui gli proponeva un pro-
gramma su Cezanne, conservata nellArchivio Adriana Pincherle, Firenze, in G. Ungarelli, a c.
di, Gadda al microfono-Lingegnere e la Rai 1950-1955, cit., p. 15.
47
C.E. Gadda, Lettere a Gianfranco Contini, Garzanti, Milano 1988, p. 74, lettera del 2
febbraio 1951.
48
G. Ungarelli, a c. di, Gadda al microfono-Lingegnere e la Rai 1950-1955, cit., pp. 16-17.
296 Ida De Michelis

stato: di fronte agli argomenti pi tecnici, di fronte agli elzeviri pi noiosi, di


fronte al doveroso encomio al Regime fascista. Si pensi alla costruzione arcai-
ca delle stesse Norme sopra citate, alla scelta di termini marcati ironicamente
quali quelli riferiti al radioabbonato, egli, il qualunque che potrebbe sof-
frire di complesso di inferiorit culturale: nonch alla preferenza attribuita
al visivo come norma di chiarezza, che talvolta invece nel Gadda maggiore
diviene ipotiposi complessa e peregrina, o piuttosto alla sottolineatura della
necessit di astenersi dalluso del pronome io, particella per la quale Gadda
nutriva specifica antipatia ideologica, fino ad arrivare a dedicarle ne La cogni-
zione del dolore unintera requisitoria contro in quanto pidocchio del pen-
siero49, nonch articoli quali Emilio e Narciso e Legoista 50.
Il Gadda maggiore emerge quindi, sempre e ancora, e a livello tematico e
a livello formale, anche nella produzione giornalistica, studiando la quale,
pur nella sua specificit tecnica e informativa, si possono rintracciare elemen-
ti utili ad una comprensione pi completa del suo aggrovigliato profilo.
Nel 1954 firma infatti un articolo Carlo E. Gadda ingegnere e prosato-
re51, riunendo sotto un doppio titolo il suo nome di scrittore e di uomo.
Alla fine del marzo 1955 si conclude per Gadda la stagione della Rai:
decide finalmente di liberarsi, di licenziarsi, firmando la lettera delle sue
dimissioni e riappropriandosi di tutto il proprio tempo, ormai ultrasessan-
tenne, tempo che dedicher alla pubblicazione in volume dei suoi due
romanzi che gli diedero il successo, dei suoi racconti, delle sue bizze e perfi-
no dei suoi fin qui taciuti diari di guerra e prigionia. E anche, nei volumi di
raccolta, di parte dei suoi scritti di saggista e giornalista52.

49
C.E. Gadda, La cognizione del dolore, in Opere I, cit., pp. 638-639.
50
Entrambi gli articoli-saggio entrano a far parte della silloge I viaggi la morte del 1958; il
primo risale al 1950, ed era uscito su Ca bal, Firenze, a. I, giugno 1950, pp. 5-6 e n. 2,
luglio 1950, pp. 6-8, con il titolo Meditazione 1: sulla rosta o ruota del tacchino; il secondo in
Botteghe oscure, quaderno XIV, 1954, pp. 335-50.
51
C.E. Gadda, Matematica e prosa, in Opere V, cit., pp. 1154-1157, gi Ingegneria e prosa,
in Mak p greco 100 numero unico della Scuola Ingegneri di Roma, 1954.
52
Nel 1958 I viaggi la morte; nel 1961 Verso la Certosa; nel 1964 Le Meraviglie dItalia
Gli Anni e I Luigi di Francia; nel 1967 Il guerriero, lamazzone, lo spirito della poesia nel verso
immortale del Foscolo Conversazione a tre voci.
ELEONORA CARDINALE

Il secondo mestiere di Eugenio Montale:


Il giornalismo sta alla letteratura come
la riproduzione sta allamore

Montale tra riviste e giornali

Quanti sono gli scrittori che riescono a vivere col frutto della loro arte,
senza dover ricorrere a un altro mestiere?1 il poeta degli Ossi di seppia, de
Le occasioni, de La bufera e altro a porsi nel 1959 questa domanda. Montale,
infatti, crede che

negli Stati dove vige una relativa libert di pensiero e di opinione [] un nume-
ro imprecisato di uomini di lettere riesce a sbarcare il lunario, talora assai bril-
lantemente, con lavori che si fanno con carta penna e calamaio e con limpiego
della macchina da scrivere: e saranno collaborazioni a giornali, sceneggiature di
film, riduzioni di romanzi altrui a commedie o a pellicole, oppure opere di varia
divulgazione; ma resta da dimostrare che questi uomini vivano del frutto della
loro arte (ammesso che ne abbiano davvero una). La verit che anchessi, in
quanto poeti, hanno un secondo mestiere: quello delluomo di penna2.

Cos capita che quando vediamo negli scaffali le opere complete di un


autore famoso, noi distinguiamo a colpo docchio le poche che appartengo-
no alla sua arte dalle molte che sono di pertinenza del suo secondo mestiere:
quello del produttore di parole stampate3. Sono parole tratte dallarticolo
montaliano Il secondo mestiere, pubblicato il 27 gennaio 1959 sul Corriere
della Sera, giornale nel quale il poeta da anni lavorava come redattore. Anche
Montale, quindi, dovuto ricorrere a un secondo mestiere, oltre alla sua atti-
vit poetica, un destino ormai comune alla maggior parte degli scrittori A

1
E. Montale, Il secondo mestiere [1959], in Id., Auto da f, Il secondo mestiere. Arte, musi-
ca, societ, a cura di G. Zampa, Mondadori, Milano 1996, p. 128. Gli articoli di Montale,
pubblicati su riviste e giornali, si possono leggere nei volumi Il secondo mestiere. Arte, musica,
societ, cit., e Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, a cura di G. Zampa, Mondadori, Milano
1996.
2
Ibidem.
3
Ibidem.
298 Eleonora Cardinale

tutti, a quasi tutti gli scrittori, simpone il secondo mestiere4 , ma si tenga


ben presente quanto il poeta precisa subito dopo: E non detto che i mestie-
ri apparentemente intellettuali (insegnamento, giornalismo, cinema, ecc.)
siano i pi conciliabili con quelle vacanze dello spirito che sono il vero terre-
no da cui sorge larte5.
indubbio che la poesia non frutti quattrini ma, al tempo stesso, con
molta probabilit la costituzionale inettitudine della poesia a fruttar quattri-
ni ai poeti significa chessa ha una sua particolare dignit alla quale le altre
arti non sempre possono aspirare6. Dopo questa considerazione Montale,
consapevole che la poesia non stata ancora ridotta a merce, conclude larti-
colo con un auspicio: Se a tale grado di dignit si pu giungere solo prati-
cando un secondo mestiere, ebbene, ben vengano i secondi e terzi mestieri7.
Non stupisce, allora, quanto il poeta ligure dichiar a Silvio Bertoldi in unin-
tervista del 1966 apparsa su Oggi: Io mi sono sempre qualificato giorna-
lista e basta. Quando vado negli alberghi, o quando firmo dei documenti,
allindicazione professione scrivo giornalista. Cosa dovrei mettere, poeta?
Professione, poeta. Farebbe ridere8. Dunque giornalista, definirsi poeta
susciterebbe solo riso.
Sebbene soltanto con lassunzione nel 1948 al Corriere della Sera inizi
per Montale il vero e proprio secondo mestiere, pur vero per che da tempo
ormai il poeta vestiva i panni del giornalista. In realt le sue prime collabora-
zioni a riviste e giornali risalgono a molti anni prima, agli anni genovesi. Gi
nel 1916 il 28 aprile lo scrittore, in qualit di critico musicale, manife-
stando quindi fin dalla sua giovinezza la passione per il genere operistico,
scrisse sul corriere genovese Il Piccolo, a firma di Vittorio Guerriero, larti-
colo La prima del Mameli di Leoncavallo al Carlo Felice di Genova 9. Solo pi

4
Ivi, p. 129.
5
Ibidem.
6
Ivi, p. 132. In un articolo dal titolo Senza quattrini niente capolavori, pubblicato sul
Corriere dInformazione il 19-20 gennaio 1951, Montale esordisce con queste parole: La
poesia non d quattrini; lhanno detto gli antichi e lo conferma il tempo moderno, per poi
chiamare in causa il secondo mestiere: Chierico o canonico, diplomatico o poeta di corte,
apprendista o maestro di bottega, lartista antico pare a noi (forse pare soltanto) ben fortuna-
to in confronto al moderno artista costretto a dividersi tra larte e un mestiere capace di dar-
gli da vivere, in attesa che larte sua, una volta che sia riconosciuta (campa cavallo!), cominci
a rendere qualcosa (E. Montale, Senza quattrini niente capolavori [1951], in Id., Il secondo
mestiere. Prose 1920-1979, cit., pp. 1145-1146).
7
E. Montale, Il secondo mestiere, cit., p. 132.
8
S. Bertoldi, Forse il suo sogno segreto ancora di debuttare da baritono, in Oggi, 27 otto-
bre 1966, p. 39.
9
Riguardo alla probabile collaborazione di Montale, in qualit di critico musicale, al quo-
tidiano genovese Il Secolo XIX si rimanda a S. Verdino, Montale tra giornali e riviste geno-
vesi, in F. Contorbia, L. Surdich (a cura di), La Liguria di Montale, Sabatelli, Savona 1996,
pp. 67-87.
Il secondo mestiere di Eugenio Montale 299

tardi verr svelato un curioso retroscena, infatti in unintervista del 1966, rila-
sciata a Leone Piccioni, Montale dichiarer di aver scritto larticolo senza assi-
stere allopera, essendo rimasto nel caff del teatro:

Quando a Genova si dette il Mameli di Ruggero Leoncavallo (quindi 30-40 anni


fa) io incontrai una sera Vittorio Guerriero, [] mi disse: Io non mi intendo
affatto di opera, non so perch mi abbiano fatto critico musicale. Tu devi scrive-
re un articolo su questopera. Ma io non lho mai sentita Si stava svolgendo
lopera, noi eravamo nei sotterranei del teatro, nel caff del teatro. Insomma,
scrissi larticolo senza aver sentito questo Mameli; larticolo fu pubblicato e poi,
dopo, conobbi Leoncavallo, il quale dichiar che mai, nessun critico, lo aveva
compreso cos profondamente10.

Allesordio come critico musicale segue quello come critico letterario;


Montale il 10 novembre 1920 scrisse sul quotidiano genovese LAzione la
recensione al volume dellamico Camillo Sbarbaro, Trucioli, edito da
Vallecchi in quello stesso anno. Quello sullautore di Trucioli non che il
primo dei numerosissimi interventi militanti di Montale, il quale dedica
fino allultimo unattenzione quasi esclusiva alla poesia, alla narrativa e agli
scritti critici del suo secolo, il Novecento. Questo viene immediatamente
confermato dalle sue prime collaborazioni giornalistiche, iniziate non solo su
testate genovesi quali Il Cittadino11, Il Lavoro12 e La Rassegna, ma
anche sulle riviste torinesi Primo Tempo e Il Baretti, oltre a quelle mila-
nesi Il Convegno, LEsame e Il Quindicinale. Ecco allora la recensione
a Pesci rossi dello stimatissimo Emilio Cecchi, unico articolo pubblicato nel
1923 sul mensile letterario Primo Tempo13, diretto da Felice Gonella e

10
Cinquantanni di poesia [1966], in E. Montale, Il secondo mestiere. Arte, musica, societ,
cit., pp. 1656-1657.
11
Il Cittadino, quotidiano cattolico genovese, fu fondato nel 1873; Montale vi collabor
nel 1924, quando il direttore era Achille Pelizzari, scrivendo quattro articoli: Conversazioni
artistiche. Unora con Edoardo de Albertis, Libri darte. Masaccio di E. Somar, Il Convegno
di Milano e il suo teatro, Il Delirama di Bruno Barilli. Si incontrano, dunque, per la prima
volta degli articoli montaliani dedicati allarte.
12
Su Il Lavoro, quotidiano genovese nato nel 1903 e diretto da Giuseppe Canepa,
Montale scrisse tra il marzo del 1925 e il settembre del 1926 otto articoli, tra i quali Lisola
di Riccardo Artuffo e Scapigliatura piemontese. probabile, inoltre, una collaborazione monta-
liana al Giornale di Genova, in base a quanto scrisse Adriano Grande ad Angelo Barile l11
giugno 1924: Montale ha cominciato a collaborare al Giornale di Genova come critico lette-
rario. Non so di preciso quali obblighi gli abbiano imposto. Le posso dire che per il solo,
che pubblicher settimanalmente dei trafiletti sotto uno pseudonimo oltre ad articoli di terza
pagina. Dei trafiletti ne deve anzi gi essere uscito uno questa settimana (G. Farris (a cura di),
Angelo Barile e Adriano Grande, in Il Letimbro, 14 settembre 1984, p. 3); cfr. S. Verdino,
Montale tra giornali e riviste genovesi, cit..
13
E. Montale, Chiose. Emilio Cecchi, in Primo Tempo, n. 9-10, anno II, 1923, pp. 301-
306.
300 Eleonora Cardinale

Giacomo Debenedetti, dove lanno precedente uscirono le prime poesie


montaliane. E ancora la recensione a Il Volto Santo di Enrico Pea14 o quella al
Porto dellamore di Giovanni Comisso15. Non vi , per, alcun dubbio sul
fatto che lintervento critico pi importante di quegli anni Montale lo abbia
dedicato allamico Italo Svevo, conosciuto grazie a Bobi Bazlen. In realt il
poeta ligure stato il primo a rompere il silenzio sullo scrittore triestino,
infatti nel 1925 firm sulle pagine de LEsame, rivista di cultura e darte
fondata nel 1922 da Enrico Somar, un ampio articolo dal titolo Omaggio a
Italo Svevo, nel quale permette al lettore di entrare in rapporto con i tre
romanzi dello scrittore, riconoscendo in lui una delle figure dartista pi
concrete e significative del nostro tempo. Significativo, lo Svevo, in quanto
riflette al pari di pochissimi altri gli impulsi e gli sbandamenti dellanima
contemporanea: ma questi moti, ed ormai sorpresa il constatarlo, rispecchia
genuinamente in quanto effettivo risultato darte, e non gi in rapporto a
velleit profetiche o polemiche16. Lattenzione che Montale rivolge allo scrit-
tore triestino non si conclude certamente con questo scritto, anzi continua
negli anni a tal punto da essere dedicati allamico altri undici articoli, lulti-
mo dei quali risale al 1976. Tuttavia, in relazione a quegli anni, accanto a
Svevo laltro nome che va fatto certamente quello di Umberto Saba: Al pari
di Italo Svevo e di Arturo Fittke troppo presto scomparso Umberto Saba
(abbiamo cos nominati i tre maggiori, e tanto diversi, artisti triestini),
insieme luomo di una reale citt e luomo di una pi vasta e metaforica civi-
tas che poco sopporta interpretazioni restrittive, fatte di colore locale, di
generalit e di varia retorica17. Sono parole tratte dallampia recensione
montaliana del 1926 al volume del poeta triestino Figure e Canti 18.
, senza dubbio, il 1925 lanno in cui Montale inizia a intensificare le sue
collaborazioni giornalistiche, lo stesso anno della pubblicazione degli Ossi di
seppia presso leditore Gobetti. Non sar, allora, un caso se proprio al 1925
risale uno degli scritti montaliani pi significativi del periodo, si tratta di Stile
e tradizione, apparso nel primo numero de Il Baretti, la rivista torinese fon-
data nel 1924 da Piero Gobetti. Il poeta ligure registra la situazione di
profonda crisi culturale che caratterizza il suo tempo Se i poeti hanno per-
duto la fiducia nelle parole, i critici che non vogliono essere da meno si rac-

14
Id., [Il Volto Santo di Enrico Pea], in LEsame, n. 4, anno IV, 1925, pp. 387-390. Nel
1925 Montale recens sulla rivista milanese anche La corsa del tempo di Silvio Benco.
15
Id., Il porto dellamore, in Il Quindicinale, n. 5, anno I, 1926, p. 9. Su Il
Quindicinale, rivista di arti e letterature moderne fondata nel 1926 e diretta da Cesare Vico
Lodovici, Montale nel 1926 scrisse in tutto cinque articoli.
16
Id., Omaggio a Italo Svevo [1925], in Id., Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, cit., pp.
72-73.
17
Id., Umberto Saba [1926], in Id., Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, cit., p. 128.
18
La recensione usc nel numero10 de Il Quindicinale. A Saba Montale dedicher nel
corso degli anni altri tre articoli, lultimo dei quali risale al 1964.
Il secondo mestiere di Eugenio Montale 301

comandano quando alla provvidenza, quando a Freud e alla contingenza;


in tutti un gran disprezzo dellarte e un palese desiderio di pescare nel torbi-
do19 , tuttavia auspica la creazione di un centro di risonanza che permet-
ta alla poesia di tornare ancora a costituire il decoro e il vanto del nostro
Paese, e non pi una solitaria vergogna individuale20. Dopo pochi mesi,
sempre sulle pagine de Il Baretti, usc un articolo dedicato a Valery
Larbaud, dove Montale sottolinea come lopera dello scrittore francese sia
illuminata dal mito delluomo europeo21. E certo non stupisce che il
Montale di quegli anni insista proprio sulluomo europeo, a tal punto da
scrivere allo stesso Larbaud in una lettera del 5 marzo 1926: Je vois en Vous
lun des prcurseurs de cet homme uropeen quil sagit de construire, si lon
ne veut sabmer22. Il 1925 segna cos linizio degli interventi critici monta-
liani sulla letteratura straniera, con una netta preferenza per quella francese,
un interesse costante che contraddistinguer appieno le sue collaborazioni
future. Se, allora, nello stesso anno su La Rassegna si incontra il Notiziario.
Letterature straniere 23, nel 1926 si possono leggere ne Il Quindicinale le
montaliane Note di letteratura francese 24, per arrivare alle recensioni di
Letteratura francese del 1927 su Il Convegno, la rivista milanese di lettera-
tura e arte fondata e diretta da Enzo Ferrieri25.
Proprio con un articolo dedicato alla letteratura straniera Dubliners di
James Joyce Montale inizi a collaborare nel 1926 con La Fiera Letteraria,
la rivista fondata nel 1925 a Milano da Umberto Fracchia26. A riprova di

19
E. Montale, Stile e tradizione [1925], in Id., Auto da f, cit., p. 10.
20
Ivi, p. 11.
21
E. Montale, Valery Larbaud [1925], in Id., Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, cit., p.
34. Si tratta della recensione allopera di Larbaud Amants, heureux amants. Di Larbaud
Montale recens nel 1927 su Il Convegno Fermina Mrquez e Jaune, Bleu, Blanc, mentre ne
scrisse il necrologio il 3 febbraio 1957 sul Corriere della Sera.
22
Id., Caro Maestro e Amico. Carteggio con Valery Larbaud (1926-1937), a cura di M.
Sonzogni, Archinto, Milano 2003, p. 21.
23
Sulla rivista fondata a Pisa ma edita allinizio a Genova da Francesco Perrella, sotto il
titolo di Notiziario. Letterature straniere, furono pubblicate tra il 1925 e il 1926 tre recensio-
ni: M. de Unamuno, La sfinge senza Edipo; L. Pellegrini, Dramatis personae e altri poemi di R.
Browning; G. Duhamel, C. Vildrac, Notes sur la technique potique.
24
E. Montale, Note di letteratura francese, in Il Quindicinale, n. 11-12, anno I, 1926,
pp. 5-6. Gli autori presi in considerazione sono Andr Gide, Georges Duhamel e Adrienne
Monnier.
25
Tra le opere recensite si segnalano: J. Supervielle, Le voleur denfants; R. Bizet, Anne en
sabots; A. Malraux, La tentation de lOccident; E. Jaloux, O toi que jeusse aime. A proposito
della sua collaborazione a Il Convegno, Montale il 4 marzo 1927 scrisse a Larbaud: Le
Convegno, qui je donne mes notules franaises, est probablement la meilleure revue italienne
et jespre que mon modeste travail pourra trouver de la bienveillance chez vos amis (Id., Caro
Maestro e Amico, cit., p. 73).
26
Montale collabor a La Fiera Letteraria dal 1926 al 1928. Nel 1929 la rivista fu tra-
sferita a Roma, intitolandosi LItalia Letteraria, settimanale di lettere, scienze ed arti. Il poeta
302 Eleonora Cardinale

quanto spesso gli interventi critici montaliani nascano da scopi puramente


economici, sul settimanale milanese il poeta tenne dal novembre del 1927 al
dicembre del 1928 una rubrica dal titolo Libri di poesia 27. Per un intero anno,
dunque, Montale si trova a scrivere un gran numero di recensioni il pi delle
volte a opere di scarso valore poetico. E un gran numero di recensioni il poeta
continu a scriverle tra la fine degli anni Venti e la prima parte degli anni
Trenta, quando ormai si era definitivamente trasferito a Firenze. Gli interes-
si montaliani sembrano, dunque, rivolgersi esclusivamente, tranne rarissime
eccezioni28, alla poesia, alla narrativa e agli scritti critici, italiani e stranieri.
Nel ricco fervore intellettuale fiorentino, al quale lo scrittore ligure pren-
de parte attivamente si pensi solo alle sue frequentazioni del caff delle
Giubbe Rosse nasce una delle riviste pi significative della cultura lettera-
ria del tempo, Solaria, fondata nel 1926 da Alberto Carocci. Montale, con
alle spalle gli articoli barettiani, di certo non pu rimanere indifferente a
quellapertura europea tanto ricercata e proposta dalla rivista, infatti fa senti-
re il suo peso sulle pagine di Solaria, recensendo numerose opere dal 1927
al 1931 29. Il poeta punta di nuovo su Svevo, mentre manifesta apertamente
le sue riserve su Verga, scrittore non molto attuale: Il Verga pi segreto e pi
caro quello della Duchessa di Leyra, romanzo non scritto; lo scrittore che
non pot condurre a termine il suo ciclo narrativo, e che sogn, senza riu-
scirvi del tutto, di immettere lopera sua nel grande alveo del romanzo euro-
peo30. Le doti critiche montaliane si affinano ancora di pi con la collabo-
razione alle due riviste fiorentine fondate da Ugo Ojetti rispettivamente nel
1929 e nel 1933, Pgaso e Pan, dove il poeta focalizza lattenzione soprat-
tutto su narratori quali Bonsanti, Loria, Soldati, Angioletti, riservando uno
spazio anche alla poesia. Recens, infatti, Acque e terre di Quasimodo, Isola di
Gatto, Liriche e idilli di Giotti, Primasera dellamico Angelo Barile, animato-

continu la collaborazione scrivendo tra il 1930 e il 1933 quattro articoli. Nel 1936 LItalia
Letteraria fu costretta dal regime a interrompere la pubblicazione, per poi uscire di nuovo nel
1946, tornando a intitolarsi La Fiera Letteraria. Montale dal 1946 riprese a scrivervi qual-
che articolo.
27
Sicuramente le stesse ragioni muovono Montale a tenere dal 1928 al 1930 la rubrica
Scrittrici di Francia sullAlmanacco della donna italiana, edito da Bemporad.
28
Dal 1927 al 1935 si incontrano solo due articoli dedicati alla musica Meditazioni e
petardi su LAmbrosiano e Il paese del melodramma di Bruno Barilli su Solaria e uno,
sempre sulla rivista fiorentina, dedicato al cinema: Espresso sul cinema. Montale collabor con
LAmbrosiano, quotidiano milanese della sera fondato nel 1922, dal gennaio del 1927 al
maggio del 1928, scrivendovi otto articoli.
29
Il poeta recens opere di Linati, Supervielle, Angioletti, Praz, Momigliano, Mignosi,
Stuparich, Marzot. Montale dedic, inoltre, un articolo a Saba dal titolo Ragioni di Umberto
Saba e uno a Svevo dal titolo Leggenda e verit di Svevo.
30
E. Montale, Zibaldone [Larte del Verga di Giulio Marzot, 1931], in Id., Il secondo mestie-
re. Prose 1920-1979, cit., p. 432.
Il secondo mestiere di Eugenio Montale 303

re in quegli anni di Circoli, rivista genovese fondata nel 1931, nella quale
si incontra anche la firma dello stesso Montale 31.
A un periodo di cos intensa attivit critica ne segue uno, fino al 1943, di
quasi completo silenzio montaliano sul versante giornalistico32. Un comple-
to silenzio si ha solo nel 1938, anno in cui il poeta venne esonerato dalla cari-
ca di direttore del Gabinetto Vieusseux, non essendo iscritto al Partito nazio-
nale fascista. Dal buio di quegli anni si esce solo con il 1944, quando forti
sono gli entusiasmi, la volont di ricominciare, la speranza di un rinnova-
mento. Pochi giorni dopo la liberazione di Firenze Montale pronto a ripren-
dere la penna in mano per le pagine del quotidiano La Nazione del Popolo,
sul quale esord il 19-20 settembre 1944 con queste parole:

un augurio, non un manifesto, o forse un invito. Vorremmo che larte e la


scienza italiane, nei loro limiti particolari e assai variabili, abbandonando ogni
sospetto agnosticismo dimettessero infine labitudine di legare il cane dove vuole
il padrone del momento e tornassero a servire liberamente quelle insopprimibili
forze morali e materiali, economiche ed etiche, che dovranno pur fare, prima o
poi, del nostro continente ununione federale di liberi Stati di liberi lavoratori33.

Augurio il titolo del primo articolo montaliano pubblicato ne La


Nazione del Popolo. Le recensioni letterarie, scritte in abbondanza negli
anni di Solaria, Pgaso e Pan, non sembrano per ora interessare il poeta,
a tal punto da non incontrarne neppure una durante la sua collaborazione al
giornale fiorentino. il momento di un impegno attivo, politico:

Non dobbiamo attendere a braccia incrociate la fine di questa battaglia, non dob-
biamo illuderci di esserne usciti fuori solo perch dai confini geografici di una
menzogna ufficiale siamo passati a quelli di unopposta ipotesi o verit. [] la
battaglia ha da continuare in noi, la luce devessere fatta fino allultimo se
quellItalia ch degna di sopravvivere deve restare in piedi e insegnare ancora

31
Su Circoli Montale pubblic nel 1933 un Omaggio a T.S. Eliot, poeta al quale dedic
in seguito numerosi articoli. Paolo Senna ha rintracciato, inoltre, sulla rivista due stelloni, fir-
mati con le iniziali del poeta, non segnalati nei volumi mondadoriani: Drammi di Giuseppe
Lanza e Agnolotti, apparsi nel numero 3 del 1931 (cfr. P. Senna, Nota per Montale circolista.
Con due testi montaliani, in Testo, n. 49, anno XXVI, 2005, pp. 113-121).
32
Nel 1936 Montale scrisse un unico articolo la recensione a I due compagni di Giovanni
Comisso sul settimanale romano Quadrivio; lo stesso discorso vale per lanno successivo,
infatti il poeta recens solo Songs of Tokimarne di Henry Furst sul settimanale Ominibus. Il
lungo silenzio del 1938 venne rotto nel 1939 con la recensione al volume di Giuditta ed
Emilio Cecchi, Emily Dickinson, apparsa sul settimanale Oggi, dove nel 1941 il poeta scris-
se un altro articolo dal titolo La poesia come arte. Montale pubblic poi tra il 1940 e il 1943
cinque articoli sul Tempo, tra i quali la recensione a Il ricordo della Basca di Antonio Delfini.
Da ricordare, inoltre, lampio saggio Sulla poesia di Campana, apparso nel 1942 su LItalia che
scrive.
33
E. Montale, Augurio [1944], in Id., Auto da f, cit., p. 65.
304 Eleonora Cardinale

qualcosa al mondo, come ha saputo fare tante volte, anche nei tempi peggiori
della sua travagliatissima storia34.

Tra il 1945 e il 1946 limpegno divent per Montale davvero attivo, anche
se per un breve periodo, con la sua iscrizione al Partito dAzione e la sua parte-
cipazione al Comitato per la cultura e larte del Comitato di Liberazione
Nazionale35. Ma soprattutto il poeta decise di far parte, insieme ad Alessandro
Bonsanti, Arturo Loria e Luigi Scaravelli, del comitato direttivo de Il Mondo,
quindicinale fiorentino di lettere, arti, musica, scienze, fondato nel 1945. La
sua firma appare per la prima volta in un articolo dal significativo titolo Il fasci-
smo e la letteratura, presa datto della mancata creazione da parte del fascismo
di una vera e propria letteratura di regime: Nessuna traccia positiva, nessuna
opera o figura degna di rilievo lascia il fascismo alle nostre lettere, anche se qual-
che cosa, anzi molto, ha tentato di fare o di distruggere36. Il poeta, inoltre, nel-
larticolo intitolato Cronache di una disfatta, pubblicato il 2 giugno 1945, sente
il bisogno di mettere in guardia i lettori dal pericolo di un fascismo di domani:
Finch il sistema che ha reso possibile il fascismo esister ancora, sar sempre
possibile il ritorno della malattia. Il germe del male sempre vivo in noi37. Ma
si ponga attenzione soprattutto a queste parole montaliane:

Un nuovo fascismo, cio un nuovo movimento antidemocratico e liberticida sar


sempre possibile in un Paese moderno dove il Primo ministro sia di rigore anche
ministro degli Interni e disponga pienamente dellaiuto dei prefetti e della poli-
zia: un nuovo fascismo sar, pi che possibile, facile e inevitabile in un Paese cos
fatto, se in esso esister un sovrano che per una ragione o per laltra sia malsicu-
ro della propria regale corona o che abbisogni, comunque, di diversivi.
Accentramento di tipo napoleonico, prefetture poliziesche, alla periferia, man-
canza di vere garanzie costituzionali, mancanza di un organo che come la Corte
Suprema degli Stati Uniti possa bocciare persino le leggi delle due camere quan-
do esse violino lo spirito della costituzione, miseria e ineducazione politica38

Montale, dopo anni di sole recensioni letterarie, esce allo scoperto, affron-
tando nei suoi scritti questioni di primaria importanza per lItalia appena

34
Id., Voci alte e fioche [1944], in Id., Auto da f, cit., p. 76. Larticolo fu pubblicato l8
novembre 1944. Tra il 1944 e il 1945 Montale scrisse sempre su La Nazione del Popolo La
ruota della fortuna, Comprendersi, Un processo che non si far, tutti articoli che rivelano un suo
diretto impegno politico. Dal novembre del 1945 al gennaio del 1946 il poeta tenne la rubri-
ca teatrale del giornale, scrivendo le cronache teatrali della Pergola.
35
Montale abbandon ogni militanza nel 1946 dopo lo scioglimento del Movimento della
Democrazia Repubblicana, a cui aveva preso parte.
36
E. Montale, Il fascismo e la letteratura [1945], in Id., Auto da f, cit., p. 15. Larticolo fu
pubblicato il 7 aprile 1945.
37
Id., Cronache di una disfatta [1945], in Id., Auto da f, cit., p. 30.
38
Ibidem.
Il secondo mestiere di Eugenio Montale 305

uscita dalla guerra. Si parte anche in questo caso da una recensione, quella al
libro Marcia su Roma e dintorni di Emilio Lussu, e in realt quasi tutti gli arti-
coli pubblicati su Il Mondo nascono con lo scopo di recensire un volume
da poco uscito, ma vanno oltre la semplice recensione, affrontando problemi
centrali dellItalia del tempo. Oltre a Cronache di una disfatta, il caso di
LItalia rinunzia?, Sicilia, Una Tragedia italiana39. Eppure gli entusiasmi
montaliani sono destinati a durare un breve periodo, seguono immediata-
mente delusioni e ripensamenti. Pur svolgendo lattivit di traduttore e por-
tando avanti le collaborazioni con i giornali, il poeta, ormai cinquantenne,
vive con estrema difficolt la mancanza di un lavoro stabile: In Italia scris-
se Montale a monsignor Giovanni Fallani il 31 dicembre 1947 non ho
finora trovato alcuna decente sistemazione, n nel giornalismo n altrove, il
tempo passa e ogni anno perduto un secolo per me40. Il lavoro stabile pres-
so un giornale, non pi da libero collaboratore, alla fine arriva e si tratta del
pi importante quotidiano italiano, il Corriere della Sera, con il conse-
guente, sofferto trasferimento nel 1948 da Firenze a Milano:

Il Corriere della Sera scrisse Montale sempre a monsignor Giovanni Fallani il


7 febbraio 1948 mi ha offerto di trasferirmi a Milano, in redazione, con uno
stipendio notevole, che tuttavia andrebbe in gran parte assorbito dalle spese di
pigione e dalle maggiori spese che certo incontrerei l. Dato che, oltre allopera
redazionale, dovrei fornire ben 5 articoli al mese ci significherebbe limpossibi-
lit assoluta di attendere a qualsiasi lavoro letterario mio personale; la rinunzia ad
ogni indipendenza e libert personale; un abbassamento notevole del mio tenore
di vita []. Questi i lati negativi; quelli positivi (dato il grande prestigio del gior-
nale) pu valutarli Lei41.

A partire dal 1948 inizi, quindi, per Montale il vero e proprio secondo
mestiere, un lavoro giornaliero nella redazione del quotidiano, allora diretto
da Guglielmo Emanuel, con lobbligo di consegnare cinque articoli al mese.
Ecco, infatti, come Gaetano Afeltra ricorda il poeta al Corriere della Sera:

Il suo incarico al Corriere era quello di curare come redattore la terza pagina,
suggerendo nomi di collaboratori, e di giudicarne gli articoli prima della pubbli-
cazione. [] Al giornale veniva regolarmente tutti i pomeriggi e poi di nuovo la
sera con lo stesso impegno e disciplina che metteva nelle altre sue attivit. [...]

39
Si tratta rispettivamente delle recensioni a LItalia rinunzia? di Corrado Alvaro, Cos
questa Sicilia di Sebastiano Aglian e Qui non riposano di Indro Montanelli. Risale, inoltre, al
1946 limportante scritto montaliano Intenzioni (Intervista immaginaria), pubblicato su La
Rassegna dItalia, dove nello stesso anno usc un altro articolo di estremo interesse: Paradosso
della cattiva musica.
40
G. Zampa, Introduzione, in E. Montale, Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, cit., p.
XLIII.
41
Ivi, pp. XLIII-XLIV.
306 Eleonora Cardinale

Cominci da allora la sua collaborazione regolare, non solo come elzevirista, ma


anche come un qualsiasi giornalista anonimo, che spaziava nei campi pi diver-
si, talvolta molto lontani dai suoi principali interessi letterari42.

Montale, che aveva iniziato a collaborare gi dal 1946 al Corriere


dInformazione e poi al Corriere della Sera, si deve render disponibile a
vestire diversi panni in base alle varie esigenze del giornale. Nella sua lunga
attivit risale al 1979 lultimo articolo sul Corriere della Sera43 il poeta,
da vero e proprio cronista, ha dovuto scrivere resoconti di convegni, confe-
renze, un numero notevole di necrologi, oltre a fare interviste e a firmare arti-
coli per ricorrenze varie. Alloccorrenza ha vestito i panni dellinviato specia-
le come quando nel 1950 and a Strasburgo per riferire sulle sedute del
Consiglio dEuropa oppure nel 1964 segu Papa Paolo VI nel viaggio in
Terrasanta44. Si incontrano pagine leggere, ironiche, il caso infatti dellarti-
colo Largo ai turisti!, nel quale il poeta ligure dispensa consigli ai turisti ingle-
si in vacanza nella capitale, invitandoli in particolare a controllare bene il
menu prima di scegliere un ristorante, cos da evitare spiacevoli sorprese: Alla
sera potrete largheggiare un po, ma occhio al menu. Gli italiani stessi lo con-
sultano prima di entrare in un locale, e non v proprio nulla di male45.
Dalla pagina pi leggera si passa per a quella pi riflessiva, impegnata, dove

42
G. Afeltra, Montale al Corriere, in Nuova Antologia, n. 2198, anno 131, 1996, p.
82. Interessante, inoltre, risulta il ricordo di Afeltra sul primo articolo montaliano pubblicato
in prima pagina: Oltre che in qualit di redattore, Montale collabor al Corriere con i suoi
articoli magistrali, in terza e poi anche in prima pagina. A questa arriv dimprovviso, nel
1948, quasi per caso, quando giunse di notte la notizia della morte di Gandhi. Io ero redat-
tore capo di turno e gli chiesi di controllare il pezzo giacente in archivio, gi pronto per loc-
casione e di rivederlo, sistemarlo e aggiornarlo con le ultime notizie. Egli invece lo rifece com-
pletamente, scritto di getto, con considerazioni umane, politiche e sociali che ne fecero uno
dei migliori commenti apparsi in quelloccasione sulla stampa italiana. Era cos bello che lo
pubblicai come fondo di prima pagina, un fondo scritto per la prima volta da un poeta (ivi,
p. 83). Larticolo dal titolo Missione interrotta usc sul Corriere della Sera il 31 gennaio 1948,
due giorni dopo lassunzione di Montale come redattore del quotidiano.
43
Si tratta dellarticolo intitolato Gli inquilini di via Bigli, apparso il 10 marzo 1979. Pur
continuando a collaborare al quotidiano fino al 1979, Montale concluse nel novembre del
1973 la sua attivit di redattore. Scrisse, invece, sul Corriere dInformazione fino al 1967.
44
I 21 giorni di lavoro del Consiglio dEuropa vengono descritti da un Montale vero e
proprio cronista in diciotto articoli apparsi sul Corriere della Sera tra il 4 e il 29 agosto 1950;
gli articoli si possono leggere nel volume Il secondo mestiere. Prose 1920-1979. Del viaggio in
Terrasanta rimangono due articoli Da Gerusalemme divisa e Noterelle di uno dei Mille ,
apparsi sul quotidiano rispettivamente il 6 e il 7 gennaio 1964, successivamente inclusi in
Fuori di casa. Il volume Fuori di casa, uscito nel 1969 da Ricciardi, raccoglie, tranne due ecce-
zioni, articoli scritti da Montale durante i suoi viaggi allestero, in alcuni casi in qualit di
inviato del Corriere della Sera.
45
E. Montale, Largo ai turisti! [1948], in Id., Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, cit., p.
741. Larticolo fu pubblicato il 7-8 luglio 1948 sul Corriere dInformazione.
Il secondo mestiere di Eugenio Montale 307

Montale affronta nodi centrali della societ italiana e della vita del paese.
Ecco allora una sua riflessione sulle contestazioni studentesche, apparsa l8
settembre 1968 sul Corriere della Sera:

Il mondo muore di noia, limpiego del tempo letteralmente spaventoso. I gio-


vani che si agitano un po dovunque non se ne rendono forse conto, ma il loro
vero problema non n sociale n economico. A loro non interessa pi nulla,
ecco il fatto. Immetteteli in una societ pi giusta, meglio pianificata, riempiteli
di lauree e di diplomi, trovate per tutti un buon impiego e molto tempo libero,
e il risultato sar sempre lo stesso: una noia sempre crescente senza nemmeno pi
il conforto-sconforto dellangoscia. Abbiamo provveduto noi anziani, noi balor-
di aruspici dei vari futuribili, a svuotarli di tutto. Non ci possono ringraziare,
questo certo. Le attuali agitazioni e contestazioni appartengono dunque a quel-
la che si definisce come eterogenesi dei fini e come tali sono inevitabili46.

Eppure, nella mole gigantesca di articoli che Montale riuscito a produr-


re per il Corriere della Sera, linteresse primario rimane sempre quello let-
terario, soprattutto a partire dal 1950. Gli interventi di altro genere sembra-
no quasi sparire se messi a confronto con lingente numero di quelli dedica-
ti alla letteratura. la terza pagina il luogo dove Montale riesce a dare il
meglio di s, quella terza pagina bella e utile tradizione del giornale italiano.
Speriamo non si perda, come si perdono tante altre tradizioni. bella perch
rende il giornale pi completo e pi vario, ricordando ai lettori che non esi-
stono solo gli affari e la cronaca ma anche le lettere e le arti. utile perch d
(parzialmente e modestamente) da vivere a molti scrittori che altrimenti
morirebbero di fame47. Cos per dieci anni, dal 1952 al 1962, il poeta ligu-
re tenne sul Corriere della Sera, alternandosi con Emilio Cecchi, la rubrica
Letture, nella quale vengono recensite, tranne rare eccezioni, opere della let-
teratura contemporanea. Montale destina gli interventi pi estesi alle riviste,
si pensi al saggio Gozzano, dopo trentanni, apparso nel 1951 su Lo Sme-
raldo. Da un taglio saggistico si passa inevitabilmente, con la collaborazione
a un quotidiano, a una maggiore brevit degli articoli, dal carattere informa-

46
Id., Trentadue variazioni, 6 [1968], in Id., Prose e racconti, a cura di M. Forti,
Mondadori, Milano 1995, p. 564. Le Trentadue variazioni uscirono in otto elzeviri del
Corriere della Sera tra il 10 agosto 1968 e il 30 gennaio 1971, furono poi edite per la prima
volta dal tipografo Giorgio Lucini nel 1973. Montale, inoltre, pubblic sul Corriere della
Sera e sul Corriere dInformazione numerose prose narrative, alcune di esse sono state rac-
colte dallo stesso poeta nel volume Farfalle di Dinard, pubblicato per la prima volta nel 1956.
Nel volume Prose e racconti si possono leggere, sotto il titolo di Prose varie di fantasia e din-
venzione, prose montaliane pubblicate tra il 1945 e il 1974 su periodici e quotidiani, in pre-
valenza sul Corriere della Sera e sul Corriere dInformazione.
47
Id., La terza pagina [1953], in Id., Il secondo mestiere. Arte, musica, societ, cit., p. 1538.
Si tratta di uninchiesta a cura di Enrico Falqui, pubblicata nel 1953 sui Quaderni della
Radio.
308 Eleonora Cardinale

tivo, rivolti in particolare alle novit librarie del momento. Tuttavia, secondo
quanto il poeta dichiar in unintervista del 1971 rilasciata a Raffaello
Baldini, il suo modo di scrivere sembra essere rimasto invariato: Io sono
entrato in giornalismo nel 48. Nessuno mi ha detto: signore, lei deve modi-
ficare il suo stile, semplificarsi, rendersi pi attraente. Nessuno mi ha detto
nulla. E io ho limpressione di aver continuato a scrivere come prima48.
Senza dubbio le sue scelte in campo letterario, e non solo, a volte si dimo-
strano scelte obbligate, imposte dal giornale stesso; collaborare a un presti-
gioso quotidiano quale il Corriere della Sera significa anche doverne segui-
re la linea49. Ecco, infatti, che cosa il poeta scrisse a Luigi Russo il 5 gennaio
1957: Oggi sono un sotto occupato perch debbo scrivere per lo pi di
cose che non mi interessano50.
Critico letterario da una parte, ma dallaltra critico musicale, anzi croni-
sta musicale come Montale si definisce 51, una passione, quella verso la musi-
ca, in particolare verso il melodramma, mai venuta meno. Infatti dal 1954 al
1967 al poeta fu affidata la critica musicale del Corriere dInformazione.
Singolare, senza dubbio, risulta linizio del suo incarico, in base a quanto egli
stesso rifer in unintervista del 1962 rilasciata a Bruno Rossi:

Mi trovavo a Venezia, sei o sette anni fa, mentre si dava la prima della Carriera
dun libertino di Stravinski. Non cera nessuno del Corriere e allora chiesi se
potevo mandare una noterella. Mi dissero di s. Feci un articolo abbastanza lungo
che piacque a Missiroli e volle affibbiarmi anche la critica musicale per
lInformazione. Non so se labbiano fatto per economia, per risparmiare lo sti-
pendio dun critico o per altro. Poi venne fuori che, almeno per lopera, io ero
pi competente degli altri52.

Montale, quindi, scrisse un numero notevole di recensioni agli spettacoli


a cui assisteva, soprattutto alla Scala e alla Piccola Scala53. Tuttavia il poeta

48
La poesia e il resto [1971], in E. Montale, Il secondo mestiere. Arte, musica, societ, cit.,
p. 1704.
49
Al proposito si rimanda al saggio di Umberto Carpi I primi anni di collaborazione al
Corriere della Sera, nel quale il critico mette in evidenza la presa di coscienza anticomunista
di Montale sulle pagine del quotidiano (cfr. U. Carpi, I primi anni di collaborazione al
Corriere della Sera, in Id., Montale dopo il fascismo dalla Bufera a Satura, Liviana Editrice,
Padova 1971, pp. 21-71).
50
G. Zampa, Introduzione, cit., p. XXXII. Nella lettera Montale riferisce a Luigi Russo
sulla sua attivit di critico letterario con lo scopo di esser proposto per il premio nazionale di
Critica dellArte e della Poesia dellAccademia dei Lincei, premio che non gli venne conferito.
51
La poesia e il resto, cit., p. 1705.
52
Queste le ragioni del mio lungo silenzio [1962], in E. Montale, Il secondo mestiere. Arte,
musica, societ, cit., p. 1626.
53
Il volume del 1981, Prime alla Scala, organizzato da Montale stesso e curato da
Gianfranca Lavezzi, offre una raccolta antologica dellattivit montaliana come critico musi-
Il secondo mestiere di Eugenio Montale 309

vuol far credere di muoversi sempre nei panni di un dilettante, di un dilet-


tante di grande classe54, come quando dichiara: Non sono un critico darte
e nemmeno un pittore55. Nella gran mole di articoli scritti per il Corriere
della Sera e per il Corriere dInformazione di certo ridotto il numero di
quelli dedicati alle arti figurative: recensioni a mostre, a volumi sullarte,
ritratti, visite agli studi di noti artisti56.
Montale, dunque, dilettante anche nelle vesti di critico letterario? Il poeta
si definisce un outsider57, non si sente un critico di mestiere, eppure dimo-
stra in tutta la sua attivit una notevole capacit di giudizio critico, com-
prendendo a volte prima degli altri la rilevanza di alcuni scrittori e la pecu-
liarit della loro opera. Montale, senza dubbio, non ama le scuole, le corren-
ti, gli ismi, le mode del momento: Sono portato a cercare nellopera darte
scrisse a Luigi Russo i caratteri che la rendono nuova, originale, ma non
confondo, come faceva Tilgher, lo Spirito del tempo, lo Zeitgeist, con los-
sequio servile alle varie mode. In definitiva credo che il vero artista sempre
attuale, sempre originale, sempre engag anche se non sa di esserlo58. Segue,
in primis, con attenzione e con scrupolo, dimostrandosi un lettore acuto, la
letteratura italiana contemporanea, poi quella francese, rivolgendo al tempo
stesso uno sguardo anche a quella inglese e americana59. Si tratta di una lun-
ghissima attivit che accompagna Montale per tutta la vita e che procede di
pari passo con la scrittura poetica. A volte grazie ai suoi interventi critici si
potuta gettare nuova luce sulla sua poesia, ma non si deve rivolgere attenzio-
ne ai suoi scritti solamente con questo fine, come spesso avvenuto. Una
volta riuscito a muoversi nella quantit sterminata di articoli montaliani, il

cale, articolandosi in cinque sezioni: Sulla musica, Ritratti, I festival di Spoleto e di Venezia, Le
prime alla Scala e alla Piccola Scala, e in altri teatri. Ne Il secondo mestiere. Arte, musica,
societ, sotto il titolo di Altri scritti musicali, vengono raccolte ulteriori cronache e recensioni
montaliane.
54
E. Montale, Stile e tradizione, cit., p. 13.
55
Id., [1937-1967: 30 anni di pittura di Piero Martina], in Id., Scritti sullarte, Il secondo
mestiere. Arte, musica, societ, cit., p. 1448.
56
Gli Scritti sullarte si possono leggere nel volume Il secondo mestiere. Arte, musica, societ.
57
G. Zampa, Introduzione, cit., p. XXX. Montale cos si definisce nella gi citata lettera a
Luigi Russo.
58
Ivi, p. XXXI.
59
Nella gi citata lettera a Luigi Russo Montale descrive in questo modo la sua attivit di
critico letterario: Temi trattati: in prevalenza la letteratura italiana contemporanea, quella
francese e, pi raramente, quella inglese e americana. Autori da me presentati: quasi tutti quel-
li che hanno scritto opere cos dette creative dal 1922 ad oggi, con poche casuali eccezioni.
[] Scrittori stranieri: ho parlato per primo (in Italia) di Valery Larbaud, dei Dubliners di
Joyce, di Jean Pellerin, di Supervielle, di Malraux, di inediti di Constant e di Proust, di alcu-
ni libri di Valry, della Dickinson, di Camus, di Marcel Raymond, di Emmanuel Berl, ecc.
ecc. (ivi, pp. XXX-XXXI). Nel 1976 fu edito il volume Sulla poesia, una raccolta degli scritti
critici montaliani dedicati alla poesia, a cura di Giorgio Zampa. Era previsto anche il volume
Sulla prosa, mai pubblicato.
310 Eleonora Cardinale

lettore a un tratto si accorge di aver attraversato con gli occhi di un poeta, di


uno scrittore, di un intellettuale tout court, quasi un intero secolo, il Nove-
cento, con le sue evidenti contraddizioni, ma anche con le sue infinite sorpre-
se. Tuttavia bisogna sempre tener presente che cosa abbia significato il gior-
nalismo per Montale. Alla domanda di Enrico Roda Secondo lei la lettera-
tura limita o favorisce il mestiere del giornalista? In altre parole, qual il rap-
porto tra questultimo e la prima?, il poeta ligure d una secca risposta: Il
giornalismo sta alla letteratura come la riproduzione sta allamore. In qualche
caso i due fatti possono coincidere60.

Tenere gli occhi aperti: alcune considerazioni montaliane

Linizio della collaborazione di Montale al Corriere della Sera coincide


con gli anni del dopoguerra, un periodo problematico, di forti cambiamenti
per lItalia. Il poeta , dunque, costretto a confrontarsi con la nuova realt che
lo circonda, a porsi delle domande, a capire quale destino spetta alluomo
contemporaneo. Montale si sente di vivere nella condizione di un sopravvis-
suto:

Nella tregua pesante scrive il poeta nellarticolo La politica del dott. Rieux in
cui noi tutti viviamo oggi (una sosta, unaccalma nella bufera che non illudeva
pi nessuno, anche prima che il cannone tuonasse in Corea) gli uomini della mia
generazione debbono combattere la tentazione di credersi dei sopravvissuti.
Mentre un ordine di cose che era il nostro, in mezzo al quale ci muovevamo con
innata, anche se relativa, sicurezza, ci appare per sempre perduto, sulla terra deso-
lata che ci propongono di andare ad abitare intravediamo solo vaghi, incerti
punti di riferimento. Ci sentiamo sempre pi inermi di fronte a forze che sem-
brano essersi affrancate dalla volont delluomo per congiurare solo alla sua
distruzione. Gli inviti alla resa vengono da diverse parti, pieni di lusinghe o di
minacce, ma concordi nel chiedere unabdicazione incondizionata da parte di
quella che, almeno fino a ieri, si chiamava la dignit umana61.

Diventa necessario lo scontro con la nuova civilt che sta pian piano
prendendo forma. Nel 1948, in qualit di inviato speciale del Corriere della
Sera, il poeta si trovava a Londra; proprio la citt inglese a rivelargli, pi di
altre, il volto della civilt delluomo meccanico, quella Londra che si pre-

60
Quarantuno domande a Eugenio Montale [1955], in E. Montale, Il secondo mestiere. Arte,
musica, societ, cit., p. 1597. Lintervista fu pubblicata il 17 novembre 1955 sul Tempo.
61
E. Montale, La politica del dott. Rieux [1950], in Id., Il secondo mestiere. Prose 1920-
1979, cit., pp. 1099-1100. Si tratta di una recensione, apparsa il 17 novembre 1950 sul
Corriere della Sera, al volume di Albert Camus Actuelles.
Il secondo mestiere di Eugenio Montale 311

senta come un immenso accentramento di uomini e di macchine62, dove il


traffico intenso in ogni luogo:

Qui, pi che altrove in Europa, scrisse Montale il 23 giugno 1948 sul Corriere
della Sera la civilt delluomo meccanico mostra il suo volto pauroso. Guai se
qualcosa dovesse spezzarsi in un simile ingranaggio di ruote e di leve; guai se luo-
mo, chiamate alla vita le macchine, non riuscisse a mantenersi padrone dei mostri
da lui scatenati! Oggi il pericolo non sembra probabile in Inghilterra, ma doma-
ni, quando il mondo intero sar un immenso alveare di ordegni aerei e terrestri,
potr esistere ancora luomo della strada, luomo umano, luomo che il sale e il
pepe di ogni civilt?63

Il poeta coglie la minaccia della meccanizzazione nel 1948 in una citt


come Londra, apprezzata quale garante della libert personale di ogni indivi-
duo. Eppure proprio in Inghilterra Montale si deve confrontare con un
apparecchio indiscreto la televisione , grazie al quale si potr frugare libe-
ramente nella vita privata di ognuno. Un forte attacco alla privacy delle per-
sone: questa la prima reazione montaliana di fronte al nuovo strumento,
con la constatazione che il maggiore attentato a una delle pi grandi libert
individuali (la libert di non sapere e non vedere) abbia trovato qui in Inghil-
terra, fin dal 1936, la sua pi moderna e razionale organizzazione64.
Da quel 1948 bastano appena dieci anni a Montale per vedere milioni di
persone pietrificarsi dinanzi a schermi di vetro sui quali appaiono gli iname-
ni giullari, i tetri fantasmi che unindustria specializzata, vendendoci a caro
prezzo il modo di passare il tempo, sa suscitare a getto continuo65. E
ammettendo, allaltezza del 1959, come nel mondo ci sia molta comunica-
zione, precisa per che si tratta, in realt, della comunicazione dellarmento
immobilizzato per ore e ore di fronte a uno schermo, per assistere allagonia
di un malcapitato che deve rispondere ad assurde domande preparate da
comitati di sedicenti esperti66. La televisione rientra tra quei mezzi che la
civilt meccanica ha scoperto. Montale si trova di fronte a un mondo che vive
con lossessione di uccidere il tempo, un mondo dominato dalla velocit, si
trova di fronte a gente che deve sempre fare qualcosa per riempire il proprio
vuoto, gente che in una villa morirebbe di noia, in uno di questi orti non

62
Id., Metamorfosi di Katia [1948], in Id., Fuori di casa, Prose e racconti, cit., p. 274.
Larticolo usc il 17 luglio 1948 sul Corriere della Sera.
63
Id., Paradiso delle donne e degli snob [1948], in Id., Fuori di casa, cit., pp. 265-266.
64
Id., I primi anni della TV [1948], in Id., Fuori di casa, cit., p. 270. Larticolo usc il 30
giugno 1948 sul Corriere della Sera.
65
Id., Odradek [1959], in Id., Auto da f, cit., p. 124. Si tratta della recensione, apparsa il
7 agosto 1959 sul Corriere della Sera, al volume di Elmire Zolle Eclissi dellintellettuale.
66
Id., Le magnifiche sorti [1959], in Id., Auto da f, cit., p. 230. Larticolo fu pubblicato il
9 maggio 1959 sul Corriere della Sera.
312 Eleonora Cardinale

saprebbe accorgersi del lavoro che i ragni, i beccafichi e le cetonie compiono


sulla pi zuccherina frutta del mondo, sulla pesca noce, sulluva erbarola e sui
grappoli dellaleatico. Sono estivants, gente che cerca la citt e fa citt
dovunque arriva67. Luniformarsi dei costumi sembra la strada maggiormen-
te percorribile, infatti luomo del tempo reagisce ai cambiamenti della societ
in un unico modo, facendosi massa, massificandosi68.
Per un intellettuale qual Montale diventa, dunque, di primaria impor-
tanza interrogarsi sul significato della comunicazione di massa e sugli effetti
prodotti da essa, in particolare nel campo culturale. Per capire il suo punto
di vista basta ununica definizione, quella che egli stesso d dei mass media: il
mostro dalle cento teste, titolo dellarticolo pubblicato il 29 agosto 1962 sul
Corriere della Sera. Ecco, allora, la domanda da porsi:

Il problema sorto dai mass media, e che io mi guardo bene dal negare, aperto e
sar uno dei problemi massimi del futuro. Oggi esso si pone cos: dato che non
si pu eliminare questo mostro dalle cento teste (pubblicit, bourrage des crnes,
automatismo di uomini che si credono liberi, sostituzione del segno al linguag-
gio, fabbricazione intensiva di nuovi bisogni sempre pi inutili, avvelenamento
progressivo per mezzo di stupefacenti pseudo-culturali che si assorbono senza
rendersene conto) sar possibile disintossicare il mostro rendendolo meno offen-
sivo?69

La risposta, a oggi, non pu che essere negativa. Che cosa quindi accade
alle arti? Anchesse inevitabilmente subiscono un processo di industrializza-
zione, lopera darte diviene merce, un oggetto che deve essere venduto, con-
sumato in breve tempo, per poi passare rapidamente a un nuovo oggetto:
Quando la cultura di massa avr raggiunto le sue mete ogni prodotto darte
assumer definitivamente la natura delloggetto duso che si consuma e si
butta via70. Queste considerazioni montaliane di Niente paura ma, artico-
lo apparso sul Corriere della Sera il 25 luglio 1961, si incontrano di nuovo
nello stesso anno nellarticolo dal titolo Salvarsi da soli, dove il poeta punta il
dito contro la cos detta fatticit di ogni arte71, destinata ormai alla ven-
dita, quindi anchessa soggetta alle leggi del marketing. Tutta unindustria cul-
turale si muove alle spalle dellarte, manovra il gusto del pubblico, del letto-
re, unindustria che sostiene unarte quale oggetto duso, standard, destina-
ta a tutti. vincente la cultura ridotta a gettone di juke-box72. Limmediata

67
Id., Gente in fuga [1953], in Id., Auto da f, cit., p. 152. Larticolo usc il 26 agosto 1953
sul Corriere della Sera. Cfr. anche Id., Soliloquio, in Corriere della Sera, 15 dicembre 1961,
poi raccolto in Auto da f.
68
Id., Le magnifiche sorti, cit., p. 226.
69
Id., Il mostro dalle cento teste [1962], in Id., Auto da f, cit., pp. 263-264.
70
Id., Niente paura ma[1961], in Id., Auto da f, cit., p. 245.
71
Id., Salvarsi da soli [1961], in Id., Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, cit., p. 2409.
72
Id., Le magnifiche sorti, cit., p. 230.
Il secondo mestiere di Eugenio Montale 313

conseguenza? Un continuo proliferare di ogni forma artistica, la continua


pubblicazione di nuove opere nella maggior parte dei casi di scarsa qualit
di scrittori che sono tenuti a rispondere alle diverse esigenze del mercato,
tutto ci con un unico scopo, quello di tenere sempre attivo, occupato, luo-
mo: Guai scrive Montale nellarticolo Luomo alienato se luomo si con-
tentasse di una sola automobile, di una sola donna, di un solo colore di capel-
li, danima, di opinioni; guai se la gente lasciasse invenduti i dischi di canzo-
nette, e vuoti gli stadi del foot-ball; guai se tutti decidessero di andar meno
al cinema, di lasciar chiusa la TV e di non comperare il libro di cui si parla:
sarebbe il segno di una catastrofe da cui lindustria culturale andrebbe tra-
volta73.
Una volta preso atto delle evidenti trasformazioni avvenute nella societ,
una domanda sorge spontanea: quale posto, allora, spetta allintellettuale
allinterno di essa? lo stesso poeta a porsi questo interrogativo, tentando in
pi occasioni di dare una risposta. Nelle considerazioni montaliane espresse
nellarticolo Odradek sembrerebbe che nella societ moderna non ci sia pi
spazio per lintellettuale. Se infatti si definisce intellettuale chiunque abbia
una educazione che gli consenta di esprimere la sua personalit entro il suo
particolare lavoro, lintellettuale allora non potr che essere respinto ai mar-
gini della societ, non essendoci pi bisogno di lui nel mondo del marketing
e delle human relations74. Ma il poeta pone anche unaltra questione:

Chi potr distinguere lintellettuale vero dal falso quando dilaga il fenomeno che
fu gi definito come anticonformismo di massa? Che larte e la letteratura da-
vanguardia formino oggi unindustria sempre meglio organizzata non ha pi
bisogno di dimostrazioni; daltra parte, come certi partiti politici ne finanziano
altri, avversi, per non essere scoperti a destra o a sinistra, cos lindustria cul-
turale dovr mantenere in piedi, oltrech lavanguardia, anche la retroguardia. E
da un lato o dallaltro chi fa professione di artista o di scrittore non potr sfuggi-
re dal vedersi considerato come un fornitore di merce75.

Montale non vuole vestire i panni di un conservatore che non accetta le


nuove realt del suo tempo, sente infatti la necessit di ribadirlo pi volte.
Nellarticolo Le magnifiche sorti egli manifesta chiaramente di non voler tor-
nare indietro, sarebbe senza dubbio una pazzia rinunciare alle nuove possibi-
lit del momento, tuttavia mette in guardia il lettore dal filisteismo del falso
moderno76. E di nuovo il poeta sente il bisogno di dichiarare lamore per
let in cui nato nelle parti conclusive dei due articoli Niente paura ma e

73
Id., Luomo alienato [1962], in Id., Auto da f, cit., p. 252. Larticolo usc sul Corriere
della Sera il 29 aprile 1962.
74
Id., Odradek, cit., p. 125.
75
Ivi, p. 126.
76
E. Montale, Le magnifiche sorti, cit., p. 229.
314 Eleonora Cardinale

Sul filo della corrente, apparso sul Corriere della Sera il 19 febbraio 1963.
Ancora pi incisivo risulta il ritratto che Montale lascia di s in Soliloquio,
dove si pone la domanda: Perch dovrei essere infelice di vivere in un tempo
che ha ucciso tante stolte superstizioni e che ancora (non so fino a quando)
mi permette di scrivere senza ricevere ordini dallalto, o dal basso? Ma anche
in questo caso egli sottolinea la necessit di uccidere le nuove superstizioni,
non meno funeste delle antiche77.
Montale, dunque, getta uno sguardo critico sulla societ degli anni
Cinquanta e Sessanta, comprendendo subito, con chiarezza, i radicali cam-
biamenti che si sono verificati in essa, nel mondo culturale di quegli anni.
Ecco, allora, come il poeta concluder larticolo Odradek: Vivere il proprio
tempo restando sullallarme tutto quello che pu fare oggi chi si fregi e
insieme si vergogni com giusto della screditata e controversa qualifica di
intellettuale78. Lintellettuale chiamato a rivestire un ruolo ben preciso,
non solo quindi deve restare sullallarme ma deve anche continuare a tenere
gli occhi aperti. Quello di tenere gli occhi aperti , in realt, un motivo ricor-
rente in questi scritti montaliani, linvito principale rivolto dal poeta agli
uomini del suo tempo e un monito continuo per gli uomini del futuro:
Vorrei solo scrive Montale in Niente paura ma non andasse del tutto
estinta la rara sottospecie degli uomini che tengono gli occhi aperti. Nella
nuova civilt visiva sono i pi minacciati79. Spetta proprio a lui, in primis,
tenere gli occhi aperti, non a caso infatti ha ben chiaro quale sia lo scopo della
sua scrittura come egli stesso rivela nellarticolo del 1963 dal titolo Terzo set-
tore: Scrivo sperando che qualcuno apra gli occhi. Sar unillusione mia, ma
penso che uno scrittore doggi non possa rinunziarvi senza tradire se stesso80.
Il poeta ligure, dunque, ha preso atto dei notevoli cambiamenti che sono
avvenuti in un paese come lItalia dal dopoguerra agli anni Sessanta, riflet-
tendo sulla civilt meccanica, sui mass media, sullarte ridotta a merce, e
soprattutto su quale ruolo lintellettuale deve ricoprire allinterno della
societ. Non un caso che la maggior parte degli articoli presi in esame siano
quelli che lo stesso poeta ha incluso in Auto da f, volume edito nel 1966 dalla
casa editrice Il Saggiatore a cavallo, quindi, tra La bufera e altro e Satura ,
il quale d una chiara immagine del pensiero montaliano, delle sue opinioni
sul mondo che lo circonda, non solo culturale. Si comprende, allora, meglio
come il Montale giornalista del Corriere della Sera non sia stato solo lau-

77
Id., Soliloquio, in Id., Auto da f, cit., p. 158.
78
Id., Odradek, cit., p. 127.
79
Id., Niente paura ma, cit., p. 248. Ne Le magnifiche sorti Montale scrive: Ci che in-
teressa, per ora, che non vada perduto il seme degli uomini che restano a occhi aperti e non
si lasciano schiacciare nella massicciata collettiva (Id., Le magnifiche sorti, cit., pp. 230-231).
80
Id., Terzo settore [1963], in Id., Auto da f, cit., p. 305.
Il secondo mestiere di Eugenio Montale 315

tore di innumerevoli recensioni, ma abbia anche gettato, qualche volta, il suo


vigile sguardo sulla realt circostante, tenendo sempre presente fino alla fine
che, se lo sguardo fruga dintorno, la mente indaga accorda disunisce81.

81
Id., I limoni, vv. 30-31, in Id., Ossi di seppia, Tutte le poesie, a cura di G. Zampa,
Mondadori, Milano 1984, p. 12.
DANIELA MANGIONE

Credi, i giornalisti rovinano tutto.


Mario Moretti elzevirista

Elzeviri e scrittura

Se unaria o unatmosfera lecito intravedere nella produzione di scritti o


gruppi di scritti di un autore, laura che Marino Moretti reca con e tra le righe
delle sue scritture su giornale , in generale, straordinariamente (eccessiva-
mente) mite e rarefatta nel senso di leggera, sottile. Un po imbarazzata,
anche. Ricorda laria compta e discreta di un Mastroianni: e non un caso
che entrambi abbiano trovato nella Francia un ambito di particolare acco-
glienza una Francia pronta, nel caso di Moretti, a cogliere e riconoscere,
quasi pi della patria dorigine, nella misura e precisione di una scrittura la
forma di una presenza forte1. Di questa sottile e malinconica aria Moretti
aveva riempito le pagine di un testo del 1937 che raccoglieva elzeviri usciti
sul Corriere della Sera, Scrivere non necessario. Umori e segreti di un uomo
qualunque 2, che il francese Paul Hazard aveva recensito su Les Nouvelles
Littraires3 e del quale aveva ringraziato, rassicurandolo, lo scrittore roma-

1
Sui rapporti tra Marino Moretti e la Francia si veda il numero monografico Itinerari
europei di Marino Moretti (1885-1979) della Revue des tudes Italiennes, 48, n. 1-2, 2002.
Vi figurano due sezioni, una dedicata a Moretti e la Francia e una a Il Belgio e lOlanda. In par-
ticolare: P. Pacini, Marino Moretti a Montparnasse. Dalla Closerie des Lilas al Caf de Flore, pp.
27-40; M. Ricci, Marino Moretti e Juliette Bertrand amica e traduttrice. Prime indagini da un
carteggio (1923-1973), pp. 59-90 (per lelenco delle opere di Moretti tradotte in Francia si
veda ivi, p. 60, nota 2); R. Campagnoli, A-t-on jamais entendu parler de Miss Kathleen
Mowrer?: la ricezione di Moretti in Francia fino al 1930, pp. 49-58. Si veda eventualmente
anche D. Mangione, La scrittura estesa di Marino Moretti, in Atlante dei movimenti culturali
dellEmilia Romagna dallOttocento al Contemporaneo, tomo I, DallUnit alla Grande guerra, a
cura di P. Pieri e L. Weber, Clueb, Bologna 2010, pp. 237-252, note 10 e 12.
2
M. Moretti, Scrivere non necessario. Umori e segreti di un uomo qualunque, Mondadori,
Milano 1937, le cui prose erano precedentemente apparse nel Corriere della Sera, senza
regolarit: cfr. C. Toscani, Bibliografia in M. Moretti, In verso e in prosa, a cura di G.
Pampaloni, Mondadori, Milano 1979, p. 751.
3
Les Nouvelles Littraires, 7 maggio 1938: se ne legga la traduzione in P. Hazard, Les
Nouvelles Littraires del 1938. Umori e segreti duno scrittore, in La Fiera letteraria per Marino
Moretti, a cura di M. Ricci, con un saggio di G. Lopez, presentazione di R. Cremante, Clueb,
Bologna 2002, pp. 106-108.
318 Daniela Mangione

gnolo: Votre livre est dliceux! Je nose pas me lancer dans des formules
admiratives, parce que lobservateur perspicace et maliceux qui est en vous
me mettrait sur les rangs du gentile lettore. Mais laissez-moi vous dire au
moin une chose: la petite mlancolie qui perce dans vos pages est parfaite-
ment injustifie. Vous faites un beau mtier, et vous le faites au premier
rang4. La malinconia ingiustificata che Hazard coglieva era costitutiva
della scrittura di Moretti e si accompagnava ad un riserbo estremo e senza
compromessi.
Questi stessi tratti abitavano dunque gi da quasi un quindicennio la
Terza pagina del nostro maggior quotidiano5. Dal 1923 al 1953 regolari
comparvero gli elzeviri morettiani sul Corriere della Sera: lo abitarono gar-
batamente per poi migrare, dalla met degli anni Cinquanta in poi, verso
Il Resto del Carlino6.

La prosa giornalistica di Marino Moretti ha rappresentato7 uno stile di


scrittura su quotidiano8 capace di muoversi in una sobria e riservata lettera-
riet (non priva, vedremo, di un fastidio non di forma) oggi dimenticate e
quasi senza possibilit di ascolto e desistenza. Proprio per questo tale moda-
lit testimone storica di un incrocio tra letteratura e giornalismo che ha

4
Uno scrittore nel secolo. Marino Moretti. I libri e i manoscritti; i luoghi e gli amici. Catalogo
della mostra a cura di S. Santucci con un profilo critico-biografico a cura di M. Biondi,
Maggioli, Rimini 1983, p. 103.
5
Cfr. M. Moretti, La prima cartella (considerazioni duno scrittore invitato a collaborare al
nostro maggior quotidiano), in Tutti i ricordi, Mondadori, Milano 1962, p. 589.
6
Con Il Resto del Carlino Moretti collaborer con una certa assiduit dal 1955 ai primi
anni Settanta: cfr. anche M. Moretti-M. Valgimigli, Cartolinette oneste e modeste: corrispon-
denza (1935-1965), a cura di R. Greggi, S. Santucci; introduzione di R. Cremante, Ptron,
Bologna 2000, p. 261, nota 2. Le prose apparse su questo quotidiano non sono state tuttavia
raccolte in volume.
7
Preferiamo dire ha rappresentato, anzich dire che la prosa giornalistica di Moretti
rappresenta, a sottolineare sia lassenza di una letteratura che testimoni esaustivamente gli
interventi di Moretti sulle testate giornalistiche sia la relativa assenza di studi al proposito.
Difficile dire, dunque, che la scrittura giornalistica di Moretti possa oggi aiutare a ripercorre-
re un clima che pure ci fu e fu ben saldo, se non appunto in richiami di letteratura seconda-
ria, giacch risulta impossibile oggi leggere il complesso degli elzeviri dello scrittore. La rac-
colta di tutti gli articoli originali pubblicati dallo scrittore resta disponibile presso lArchivio
di Casa Moretti. Particolarmente complesso rintracciare la storia dei suoi soli articoli gior-
nalistici, data anche la prassi dellautore di pubblicare uno stesso pezzo con titoli diversi in dif-
ferenti testate (cfr. per esempio qui la nota 27 nel caso di La piada). Occorrerebbe dunque uno
spoglio attento degli elzeviri e la scrittura di una storia documentata e precisa al proposito.
Segnalo la tesi di laurea di Laura Ferrero, Marino Moretti e il Corriere della Sera (1923-
1954), a. a. 2003-2004, relatore prof. Franco Contorbia, segnalatami dalla dott.ssa Manuela
Ricci, custode attenta di Casa Moretti e che ringrazio.
8
Ci riferiamo qui, tra la mole abbondantissima della scrittura di Moretti, a quella per i
quotidiani, scartando ovviamente quella pubblicata su riviste.
Credi, i giornalisti rovinano tutto. Mario Moretti elzevirista 319

potuto per anni esistere in una certa Italia e l costituire scenari culturali sta-
bili della prima met del Novecento.
Fu nel 1923, dunque, che Marino Moretti, nellangolo della sua provin-
cia, nella sua defilata Cesenatico, ricevette la lettera di Luigi Albertini, diret-
tore del Corriere della Sera, che lo invitava a partecipare alla Terza pagina
del quotidiano milanese. Una lettera che Moretti orgoglioso consider come
una specie di diploma della vita9. Con lettera datata 21 luglio, scriveva il
direttore:

Gentilissimo Moretti, il Corriere della Sera avrebbe intenzione di riprendere la


pubblicazione di novelle, come faceva prima della guerra. Conta di rivolgersi,
almeno per ora, a pochi autori, e non occorre che Le dica come sia nostro desi-
derio di contare Lei tra i nostri collaboratori per novelle. Posso sperarci?
Prima della guerra avevamo stabilito per la lunghezza delle novelle un limite mas-
simo di tre colonne. Ora i tempi sono mutati e dovremmo ridurre ancora questo
limite a un massimo di due colonne. Ma lideale sarebbe di restare nella misura
di una colonna e mezza, come fanno molti giornali francesi []. Ci rendiamo
conto dello sforzo che costa la brevit e siamo anzi disposti a compensare meglio
le novelle che non superassero la colonna e mezzo in confronto alle altre [].
Ella ha qualche esempio gi pronto? Potrebbe mandarmi qualche cosa? Le sar
molto grato se vorr rispondermi con cortese sollecitudine, indicandomi nello
stesso tempo il compenso che ella chiederebbe per novelle lunghe e novelle brevi,
restando inteso che queste ultime potrebbero essere compensate meglio []10.

La richiesta di Albertini non giungeva supportata da conoscenza persona-


le: Moretti era semplicemente reduce in quellanno da un grande successo di
pubblico ottenuto grazie al romanzo I puri di cuore 11. N, in seguito, fu il
rapporto personale a mantenere viva la collaborazione, se vero che ancora
nel 1925, quando lo stesso Albertini invitava lo scrittore allora a Parigi a fir-
mare il Manifesto degli intellettuali antifascisti, Moretti non lo aveva mai visto
di persona12. Una (altra) Italia, dunque, dal punto di vista intellettuale, in cui
pur chiaro lo sbilanciarsi crescente verso la necessit della pagina giornalisti-
ca era salvata in parte la dignit dello scrittore, riconosciuta la difficolt o la
spesa in termini di forzatura creativa nel ridurre la novella dalle canoniche tre
a due colonne e, preferibilmente, una e mezza.

9
C. Toscani, Cronologia, in M. Moretti, In verso e in prosa, cit., p. XLIII.
10
Cfr. A. Baldini-M. Moretti, Carteggio, 1915-1962, a cura di E. Colombo, Edizioni di
Storia e Letteratura, Roma 1997, p. 14.
11
M. Moretti, I puri di cuore, Mondadori, Milano 1923.
12
Era il maggio 1925; io mi trovavo per la prima volta a Parigi. Luigi Albertini, che non
conoscevo di persona, doveva sapere come la pensavo se mi chiedeva con urgenza di apporre
la firma a quel manifesto proponendomi, per non perdere tempo in caso di adesione, il s per
il telegramma. E io scrissi su un modulo: s: E.R. Papa, Storia di due manifesti. Il fascismo e la
cultura italiana, Feltrinelli, Milano 1958, pp. 117-18.
320 Daniela Mangione

Laccordo riguard poi non solo novelle ma anche commenti, prose, elze-
viri, saggi, articoli e considerazioni13, con un compenso tra le 500 e le 600
lire per pezzo, che sarebbe aumentato se le due colonne di rito si fossero
ridotte a una colonna e mezza14. Dal 1923 al 1953, dunque, Moretti entr
a fare parte della squadra del quotidiano milanese.
Non senza resistenza, tuttavia. Del 28 febbraio 1926 sono quattro faccia-
te di una lettera da Cesenatico ad Arnoldo Mondadori, dove Moretti rifiuta
di collaborare al Secolo perch intellettualmente stanco:

Voi siete troppo buono con me come con gli altri autori italiani; ma siete anche
troppo incalzante. Vorreste che gli autori lavorassero almeno come voi. E io inve-
ce, come vi dicevo nella lettera del 12, non avrei che una voglia: di smettere. E
finir davvero con lo smettere almeno di scrivere novelle per i quotidiani, fatica
barbara che consuma cervelli anche meno stanchi del mio. Per questo, caro
Arnoldo, io non firmerei un contratto che mi obbligasse a dare a un giornale
periodicamente la mia povera prosa. Io do solo quello che posso dare non senza
sforzo senza impegni. E do poco: da parecchio tempo riesco appena a pubbli-
care sul Corriere la solita novellina magra mensile e temo che in seguito dovr sal-
tar qualche mese. [] Ma, caro amico, lasciate che mi meravigli ancora una volta
dellaccanimento con cui mostrate di voler da me proprio ci che non mi riesce
di far bene: la novella giornalistica. Guardate: nel volume che vi ho consegnato
recentemente, Le capinere15, su diciassette novelle solo quattro o cinque sono
tolte dal Corriere, frutto duna cernita rigorosa; le altre son tutte di largo svilup-
po e furono pubblicate su riviste, comprese le vostre, che non lesinaron lo spa-
zio16.

Emerge un misto di ritrosa, naturale componente dellidole di Moretti, e


di protesta contro quella che viene definita con una sfumatura di desolazio-
ne la novella giornalistica. Lo spazio lesinato, da autolesinare, per esigenze
di giornale, costituisce una pesante, fastidiosa limitazione che induce stan-
chezza intellettuale.

Memorie e fantasie dOlanda

Rappresentano cos una variante della sua ispirazione gli scritti che
Moretti invia al Corriere tra il 1928 e il 1930 dai suoi soggiorni fiammin-

13
C. Toscani, Cronologia, cit., p. XLIII.
14
Ibidem.
15
Le capinere. Novelle, Mondadori, Milano 1926, che raccoglie novelle gi pubblicate sul
Corriere e altre riviste (Il Secolo XX, Novella e Lettura): cfr. Uno scrittore nel secolo.
Marino Moretti. I libri e i manoscritti; i luoghi e gli amici, cit., pp. 87-88.
16
Uno scrittore nel secolo. Marino Moretti. I libri e i manoscritti; i luoghi e gli amici, cit.,
pp. 87-88.
Credi, i giornalisti rovinano tutto. Mario Moretti elzevirista 321

ghi17. Sergio Romagnoli riconosce in questi elzeviri lintento di offrire una


prosa eccentrica rispetto a quella del giornalismo dogni giorno18: certo che
quella sorta di gioco al ribasso che caratterizza il tono umile di Moretti, e che
una sua cifra stilistica esistenziale, riesce a manifestarsi qui con le varianti
offerte dal mescolarsi delle funzioni di inviato e scrittore ruoli che lo tra-
sformano in una sorta di viandante fra strade straniere con speciali permessi
di fantasia.
Nel narrare il passaggio di frontiera tra il Belgio e lOlanda Moretti scan-
sa il magnifico e promettente Stella del Nord, il treno rapido che pubblicizza
colazione a Parigi e pranzo ad Amsterdam, per entrare invece per la scala di
servizio, con un tram a vapore di nessuna importanza19. Cauta ma costan-
te procede la storpiatura delle visioni: la Schelda diventa un fiume dun color
di caff e latte cattivo, di quello che rifiutavamo in collegio; e la regolarit
mediocre di paesaggi e persone incontrate non smette di stupire perch
quello calpestato e descritto da Moretti uno di quei luoghi della terra in
cui per non saperne quasi nulla, e quel poco solo dai quadri, specie quelli di
certe modeste salette del Louvre, il sogno della produzione di felicit20 rie-
sce a rimanere inalterato nel confronto con il reale.
Sarebbe inesatto dire che non escano, dalle prose di viaggio di Moretti, i
paesaggi reali. Escono; ma animati internamente da una sensibilit volta a
indagare come la geografia si confronti con i modelli di paesaggio elaborati
dallimmaginazione. Anche La passerella una sorta di rverie che si apre con
la Dentellire di Vermeer vista al Louvre nella solita saletta appartata e ritro-
vata per caso e con allegria pazza in una fanciulla intravista una domenica
in Olanda, guardando un interno domestico attraverso un quadratino di
vetrata. Non protegge la rverie, Moretti, non pu compiacersene del tutto:
e cos la fanciulla, quando egli tenta di allungare la mano per sentir se sia
abbastanza grassoccia come laveva voluta Vermeer, giacch Vermeer era
morto nel 1675 e questa fanciulla era dunque pi nostra che sua21, fugge,
irridendo la maschera del pittore indossata per la fantasiosa occasione dallo
scrittore. Fantasie, appunto, queste olandesi mandate al Corriere; identit
di pittore, di studente, di fidanzato assunte giocando in poche colonne
di giornale fra elzeviro e novella, ambiguamente.

17
Gli elzeviri confluiranno poi in Fantasie olandesi, Treves, Milano 1932. Nel 1962 con lo
stesso titolo compariranno come sezione in Tutti i ricordi. Queste ultime Fantasie olandesi,
per, saranno dimezzate: da 22 capitoli a 11: cfr. S. Romagnoli, Marino Moretti pellegrino nelle
Fiandre, in Atti del Convegno su Marino Moretti, a cura di G. Calisesi, Il Saggiatore, Milano
1977, pp. 76-88.
18
S. Romagnoli, Marino Moretti pellegrino nelle Fiandre, cit., p. 78.
19
M. Moretti, Passaggio della Schelda, in Id., Tutti i ricordi, cit., p. 479.
20
Ivi, pp. 479-482.
21
Id., La passerella, ivi, pp. 483-87.
322 Daniela Mangione

Il Cardozz

Non sono i panni dellintellettuale engag quelli adatti a Moretti; ed egli in-
terpreta cos lelzeviro in maniera cristallina, tutta e solo letteraria. Le sue scrit-
ture non mancano tuttavia a volte di suscitare reazioni loro malgrado. Un arti-
colo uscito il 13 settembre 1929 sul Corriere della Sera intitolato Carducci,
anzi Cardozz, suscita le reazioni vivaci dellapparato fascista. Non si perdon a
Moretti di avere sottolineato lanticlericalismo di Carducci: ma anche, forse, di
avere contribuito a demolire uno dei monumenti dellItalia del tempo, e di
averlo fatto con un candore e una leggerezza prive di qualsiasi cura dei miti na-
zionali, compiendo una sorta di impudico atto di disvelamento delleroe, cadu-
to, anzi decadentemente disfattosi, a terra: limmagine oscena di un Cardozz
leone ammansito, con un po di criniera dolorosa che esce tra gli scialli:

Io son nato e cresciuto quando lastro carducciano era poco meno che il sole o
era il sole e pi del sole, perch rimasto per non so quanto tempo allo zenit.
Pareva allora che questo fosse lultimo grande poeta e non ce ne dovessero essere
pi. Se qualcuno avesse osato fare il nome degli altri due che gli venivano dietro,
apriti cielo! []
Il Carducci lo avevo visto due volte, a quindici e a sedici anni, e non mi aveva
fatto una grande impressione []. La prima volta io avevo visto il poeta al mio
paese seduto al tavolino dun caffeuccio, chera anche spaccio di Sali e Tabacchi,
chera sotto sotto bottega di generi diversi, e da allora si chiam Bar Carducci.
[] Gli avevano offerto vini robusti, come piacciono a noi, come forse piaceva-
no a lui. Gli avevano offerto il brodetto, la famosa zuppa di pesce che non si pu
mangiar che da noi, perch noi siamo orgogliosi del nostro pesce, e ci rifiutiamo
di credere che ci sia altrove uno sgombro, una seppia, una triglia col nostro sapo-
re. Credo che il tosco-romagnolo Carducci, anzi Cardozz, fosse di questo parere
e che i miei concittadini gliene fossero grati come dellinno a Satana []
Rividi il Carducci uno o due anni dopo a Cesena. Come pareva ammansito allora il
leone! Come usciva misero e quasi doloroso di tra gli scialli quel po di criniera!
Abbandonato sui cuscini dellautomobile di unospitale contessa, pareva non avesse
pi conoscenza e si lasciasse scarrozzare dalla dama in quel nuovo veicolo senza nulla
sapere e vedere di queste prime novit del secolo. Lautomobile sera fermata dinanzi
a un caff che aveva i soliti tavolini affollati sul marciapiede, nuova folla richiamava la
macchina ferma, ragazzi e donnette rispondevano alla parola dordine: Cardozz. []
Confuso in quella piccola folla che stava godendosi non si sa quale spettacolo io tene-
vo gli occhi fissi su quel vecchino immobile, su quellavanzo duna creatura umana
che aveva tanto vissuto, sofferto, amato, odiato e cantato il suo odio e il suo amore, e
non potevo credere che la vita fosse cos crudele coi grandi. Non potevo credere che
ci fosse tramonto senza gloria per tutti: anche per questi Dei vulnerabili.

Poi ecco la posizione anticlericale di Carducci messa nero su bianco e data


come ovvia:
Credi, i giornalisti rovinano tutto. Mario Moretti elzevirista 323

Due cose avevano allontanato da quella grandezza questo sconsiderato ragazzo:


lanticlericalismo e la scuola. Mi spiaceva che del gran nome Cardozz i miei con-
terranei avessero fatto una specie di simbolo massonico e demagogico, secondo la
moda dei tempi, ma ne incolpavo anche il poeta ch nella sua opera il peggior
scalmanato poteva trovare tutto quel che voleva. Poesie bellissime mi parevan
deturpate da un finale in maniche di camicia chesaltava certi energumeni e spia-
ceva a noi delicati. [] Quellinvocazione a Satana re del convito, quella sghi-
gnazzata al prete perch si liberi dellaspersorio e delle funebri salmodie, quella
ignominiosa caduta di San Michele Arcangelo spennato, quelladunata di ribelli
di tutti i tempi e di tutti i paesi [].
Quando il prete sonava le campane per una delle sue funzioni a cui assistevano
solo poche donnette, cera sempre lo scamiciato che minacciava il campanile in
nome di lui, di Cardozz [].
E nelle case pi signorili i teneri bimbi, le tenere bambine declamavan alternati-
vamente linno a Satana e la Vispa Teresa, e quella gentil farfalletta pareva pro-
prio uninnocente farfalla da acchiapparsi sotto larco di Tito dellereticit. []
Le donne si facevano il segno della croce. I pi ragionevoli dicevano che infine
Satana non era Satana, ma era la civilt, era il progresso.
[] Poi cerano i ricordi e i rancori scolastici che mi avevano allontanato da lui,
credevo allora, per sempre. Troppe poesie carducciane avevo dovuto imparare a
memoria22.

Lo scandalo fu tale che lo stesso Corriere della Sera dovette rettificare,


alcuni giorni dopo, riportando le lamentele del Corriere padano al propo-
sito. Vi si leggeva infatti al fondo estremo della Terza pagina:

Traendo lo spunto da un articolo di Marino Moretti, pubblicato giorni fa sul


nostro giornale, il Corriere padano ritorna sul tema, gi largamente discusso, della
religiosit del Carducci negli ultimi anni della sua vita. Bisogna chiederne qual-
che cosa in proposito, scrive il giornale di Ferrara al buon parroco di Polenta,
don Augusto Bassi, il quale custodisce gelosamente i ricordi del poeta e conserva
ancora qualche lettera, che ha accenni non dubbi. Quando il Carducci, accom-
pagnato dalla contessa Pasolini, saliva ogni anno, negli ultimi suoi tempi, alla
Chiesa di Polenta, chiedeva sempre al Parroco di fargli udire la voce del campa-
nile risorto. Allora il vecchio poeta si inteneriva fino alle lacrime ed aveva parole
ed accenni alla grande lotta che gli ferveva dentro lo spirito. Entrava anche, ogni
volta, nella piccola e misteriosa Chiesa e stava lungamente assorto come in una
meditazione, come in una preghiera23.

Uscirono anche alcuni articoli anonimi pubblicati sul foglio fascista La


Santa Milizia24. Vi si leggeva tra il resto: Si tratta del caso Moretti, di que-

22
Corriere della Sera, 13 settembre 1929.
23
Corriere della Sera, 25 settembre 1929.
24
Si veda P. Palmieri, Marino Moretti tra le Carte di Romagna, Studi e problemi di cri-
tica testuale, 24, 1982, pp. 335-340.
324 Daniela Mangione

sto parnassiano immelanconito, che versa goccia a goccia la sua minuscola


umanit sulle colonne dei giornali e sputa la sua ironia timidetta contro le
grandi figure della nostra letteratura e della vita nazionale25.

Si tratta ovviamente di reazioni mai cercate, da parte di Moretti, che non ama
affatto la militanza; n accetta di buon grado che la scrittura narrativa si adatti alla
richiesta del mondo. La novella fra quella colonna e mezzo continua a stare ine-
sorabilmente stretta, e suscita quasi il sarcasmo dellautore verso se stesso:

Una novella duna colonna e mezzo (si badi, non di pi!) cosa, mio Dio, di cos
poco momento che non varrebbe davvero la pena di sudarci sopra quattro cami-
cie dopo aver sudato addirittura sangue a raccoglierne il primo vagito. Una novel-
la, o esce armata dal cervello di Giove o facciamo a meno della novella, vero?26

La sua vena migliore situata tra la fantasia e la memoria; e il suo elzevi-


ro resta astratto e per lungo tempo ostinatamente slegato dalla contingenza.
Esemplari in questo senso sono elzeviri come La piada 27, memoria pascolia-
na che ripercorre e stabilisce lemblematicit letteraria del romagnolo pane
nazionale28; o, ancora, Scavezzo garzone dosteria 29, dove il ricordo si sporge
verso una rappresentazione del Ventaglio di Goldoni compiuta nella Firenze
del 1903, attori giovanissimi Moretti stesso nel ruolo del servo Scavezzo e
Aldo Palazzeschi30 nei panni del Barone del Cedro.

Le prose uscite sul Corriere fra il 1936 e il 1941 poi raccolte in parte in
Pane in desco, contenuto in Tutti i ricordi 31, iniziano a mettere gradualmente

25
La santa Milizia, 9 novembre 1929. Cfr. P. Palmieri, Marino Moretti tra le Carte di
Romagna, cit., p. 339.
26
M. Moretti, La prima cartella (considerazioni duno scrittore invitato a collaborare al nostro
maggior quotidiano), cit., p. 589.
27
M. Moretti, La piada, Corriere della Sera, 30 dicembre 1934, poi rielaborato in Il
Trebbo, giugno 1942, quindi diventato Merenda a San Mauro nel Corriere dinformazione,
16-17 febbraio 1948, e poi La piadina nel 1954 in Cinquanta novelle; e ancora parte di
Merenda a San Mauro in Il libro dei miei amici; infine in Tutti i ricordi, cit: cfr. A. Baldini-M.
Moretti, Carteggio, 1915-1962, cit., lettera del 7 aprile 1948, nota 1, pp. 223-24.
28
M. Moretti, Todos caballeros, in Id., I grilli di Pazzo Pazzi, Mondadori, Milano 1951, p. 110.
29
Id., Corriere della Sera, 15 settembre 1927; poi in Tutti i ricordi, cit., pp. 303-311.
Filippo De Pisis commenta il 17 settembre 1927 la prosa di memoria pubblicata nel
Corriere: Caro Marino Scavezzo hai scritto cosa mirabile, una gemma che dovrebbe far
risplendere il sudicio giornale di luce purissima: Uno scrittore nel secolo. Marino Moretti. I
libri e i manoscritti; i luoghi e gli amici, cit., p. 89.
30
Cfr. M. Moretti-A. Palazzeschi, Carteggio. III. 1940-1962, a cura di F. Serra, Edizioni di
Storia e Letteratura, Roma 2000, lettera del 6 novembre 1955, p. 127; Carteggio. IV, a cura di
L. Diafani, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2001, lettera del 18 gennaio 1966, p. 220.
31
M. Moretti, Pane in desco, in Tutti i ricordi, cit., pp. 705-801: questa raccolta unisce
scritti del libro omonimo uscito nel 1941 e di Lodore del pane, uscito lanno seguente per
Credi, i giornalisti rovinano tutto. Mario Moretti elzevirista 325

a fuoco la sua stessa immagine: i paesaggi mentali degli anni precedenti


divengono geografie sensibilmente pi connesse alla sua identit di scrittore
e a una percepibile inquietudine di scrittura (sono gli anni di Scrivere non
necessario). Ladriatica slava Zara depone la maschera di novella Citera per
rivelargli il senso della sua Cesenatico e con lei, paradossalmente, il senso di
una sorta di valore della militanza:

E un giorno mi bast vedere attaccato alla riva di levante, non lungi dal ponte
girevole, un barcone del mio paese, uno di quei barconi che partono a mezza-
notte col carico di sabbia, di fieno, di pomodori o danguria e ritornano con legna
e carbone, un trabccolo come ne ho sempre avuti davanti alla porta della mia
casa, perch il castello della finzione precipitasse con gran fracasso dentro di me.
Invecchiarsi per amor di quieto vivere, ritirarsi dalla lotta perch i tuoi rivali sono
pi giovani forti, animosi, adulati e incoraggiati di te, godere favori che non ti
spettano, anzi un intero eliso, ebbene, da vigliacchi. Non ti vergogni? Se non
sai fare altro mestiere (lo so che non sai nemmeno attaccare un bottone, battere
un chiodo) continua almeno a esercitare il tuo, con coraggio, finch ci sar qual-
cuno che, trascurando lingegno, ti lodi almeno per lonest, per esserti final-
mente deciso ad aprir la porta della tua casa e ad aprir tutte le porte: quella del
tuo cuore, quella del tuo intelletto, perfino quella che come un sipario da tea-
tro di burattini della vagheggiata, sottile ironia32.

Resta costantemente frequentato, nellambito delle diverse tipologie di


elzeviro, il ritratto letterario, soprattutto a partire dal 1938: molti dei ritratti
apparsi sul Corriere da quelli sulle figure pascoliane di Ida e Maria allo-
maggio a Sergio Corazzini33 o allelzeviro per celebrare un anno dalla morte
dellamico Alfredo Panzini34 confluiranno nel Libro dei miei amici a costi-
tuire, poi, una autonoma sequenza di memorie.

Prose di guerra

Dopo il 1945 la voce di Moretti si fa inevitabilmente pi asciutta: la fan-


tasticheria sempre meno praticata. Nascono a questa altezza elzeviri che pi
esplicitamente si connettono alla situazione del Paese. Alcuni di loro conflui-
ranno in I grilli di Pazzo Pazzi 35, del 1951, che ospiter scritti in cui il mode-

Marucelliana di Brescia. Quasi tutti gli scritti scelti dalle due operette uscirono come elzevi-
ri nel Corriere della sera dal 36 al 41: ivi, p. 1150.
32
Id., Ozio a Zara, in Tutti i ricordi, cit., p. 739.
33
Id., Alloro per Sergio, Corriere della Sera 19 dicembre 1942, poi in Tutti i ricordi, cit.,
pp. 1013-1020.
34
Id., Dieci aprile: Alfredo Panzini, Corriere della Sera, 10 aprile 1940, poi Il mio amico
Panzini in Lodore del pane, Morcelliana, Brescia 1942.
35
Id., I grilli di Pazzo Pazzi, Mondadori, Milano 1951.
326 Daniela Mangione

sto gioco di finzione-sdoppiamento in un alter ego permetter toni pi iro-


nici rispetto alla precedente produzione.
La realt storica tuttavia non entra di petto, sempre obliqua come in
Jeep 36, scritto del maggio 1945 ma pubblicato sul Corriere lanno successi-
vo, piccolo viaggio sgembo, attraverso licona della jeep americana e il capita-
no che la guida, in una Italia liberata; o la prosa del 7 agosto 1949, Tavolino
senza cassetti 37, dove il tavolino dello scrittore simbolo della sua attivit,
viene accantonato in un gioco ancora al ribasso che si mescola con la circo-
stanza: Il tavolino dello scrittore, allo stesso scrittore, non parve degno dal-
trettanto rispetto [] in quel momento, come dicevo, egli non si ricord dei
meriti del tavolino. E poi: La guerra fin come tutti ricordano: [...] e sulle
prime gli parve giusto, anzi bello, anzi bellissimo, che gli fosse venuto meno
lo storico tavolino che non valeva oggi un pacchetto di Chesterfield e tanto
meno una scatola di meat and vegetable stew o di quel pork meat di cui era
bisognava scusarlo assai ghiotto38.

Pur sempre miti e volutamente appartati, gli elzeviri non passano inav-
vertiti. Ricevono commenti di intellettuali e amici, sono materiali di scambio
e dialogo39. Le tagliatelle, apparso sul Corriere il 6 novembre 1948, vince il
Premio Bagutta-Agnesi nellanno successivo, e gli viene richiesto da
Prezzolini dagli Stati Uniti, che gli scrive dopo anni di silenzio: Caro
Moretti, non mi sono fatto vivo per anni, e ti scrivo per chiederti un favore!
unazione riprovevole, e che ho rimproverato ad altri []. Vorrei leggere
larticolo tuo premiato sulla Pasta Asciutta40. Loccasione varr a riaprire la
corrispondenza fra i due: ti ringrazio per il fastidio che ti sei preso invian-
domi larticolo sulle tagliatelle []. Inoltre son contento che ci sia stata loc-
casione di riavvicinarci per lettera41. Le tagliatelle costituisce un esempio
di amalgama che, con la celebrazione della quotidianit italica (aspetto che
tuttavia meno interessava Moretti, che giudic il titolo dato allelzeviro vero

36
Id., Jeep, Corriere della Sera, 16 marzo 1946, poi in Tutti i ricordi, cit., pp. 805-809.
37
M. Moretti, Tavolino senza cassetti, Corriere della sera, 7 agosto 1948, poi con il tito-
lo variato senza cassetto in I grilli di Pazzo Pazzi, cit., pp. 68-72.
38
M. Moretti, Tavolino senza cassetto, in I grilli di Pazzo Pazzi, cit., pp. 68-69.
39
Si veda anche lo scambio epistolare iniziato con Don Giuseppe De Luca, fondatore delle
Edizioni di Storia e Letteratura, in occasione delluscita di un elzeviro morettiano, Incontro col
penitenziere, Corriere della Sera dei primi di dicembre 1938, al quale De Luca con pseudo-
nimo di Don Petronio aveva replicato su LAvvenire pochi giorni dopo, il 10 dicembre: cfr.
G. De Luca, Lettere a Marino Moretti, Nuova Antologia, aprile 1964, pp. 471-494 e A.
Baldini-M. Moretti, Carteggio, 1915-1962, cit., pp. 107-08, nota 1.
40
M. Moretti-G. Prezzolini, Carteggio, 1920-1977, a cura di M. Ferrario, Edizioni di
Storia e Letteratura, Roma-Lugano 1995, lettera del 18 febbraio 1949, p. 37.
41
Ivi, lettera del 9 aprile 1949, p. 38.
Credi, i giornalisti rovinano tutto. Mario Moretti elzevirista 327

titolo corrieresco42), unisce la domestica memoria di guerra a motivi ricor-


renti della sua narrativa e della sua poesia. Primo fra questi, la cucina:

La cucina aveva ormai una storia. Gente strana di tutti i continenti era passata di
qui, qui aveva dormito, qui sera sentita a casa sua, qui aveva sorriso e punzec-
chiato le donne del luogo []. In un primo tempo qui avevano dormito sette
soldati canadesi [] Poi eran venuti gli altri, sempre con sigarette, sempre con
roba da tenere in bocca []. La porta di strada era aperta a tutte le ore del gior-
no e della notte o, per dir meglio, non cera. Si diceva lavessero presa i tedeschi
per far saltare il ponte vicino. [] Non sempre erano bene accetti, ma almeno
nessuno dessi recava scritto sulla piastra del cinturone: Dio con noi. []
Restava il tagliere. [] E cos pare che quando c il tagliere, c tutto. Questo
almeno pensa la donna che, senza muoversi dal natio loco, ha fatto conoscere le
sue taiadli (tagliatelle) al nuovo mondo, allaltra met della terra. []
Dunque, nella nostra cucina fu preparato questo buon cibo che noi ci ostiniamo
ancora a chiamare minestra; fu preparato per la prima volta dopo la guerra per
un fanciullone di canadese o daustraliano e di neozelandese alto, mettiamo, due
metri. Non sapeva di che si trattasse. [] E cos luomo dellaltro capo del
mondo stava a vedere come si faceva il buco nel mucchio di fior di farina quasi a
simulare una valletta fra monti di neve, e come vi si versavano dentro le uova
rotte luno col guscio dellaltro, e come a poco a poco la materia collosa si rasso-
dava, e come le mani vigorose impastassero con laccortezza via via delle pause
nelle quali il coltelluccio raschiava il tagliere []. E lo straniero alto due metri e
che pareva un selvaggio seguiva sbigottito la rapida preparazione del pasto di noi
selvaggi e poi guardava alla sua destra la collinetta di parmigiano grattato e da
questaltra parte il tegame dellintingolo sfrigolava, e si chiedeva corrucciato che
imbroglio di piatto nazionale era mai quello [].
E cos, forse, da quella volta, da quando cio era stato divorato nella mia cucina
un gran piatto di tagliatelle, si udivano nel corridoio a tutte le ore voci e passi
candidamente militareschi []43.

Ai Canti della cucina era dedicata una sezione del Giardino dei frutti 44,
raccolta poetica del 1916, e La cucina loda mia madre vi compariva come liri-
ca in cui le stoviglie parlavano, alter ego in versi di questo tagliere che qui
determina e vivacizza il destino e la destinazione di questa stanza alla fine
della guerra.
Fra i tratti pi marcati dellelzeviro morettiano , del resto, proprio la con-
tinuit stretta con la sua scrittura poetica e narrativa larla dei Puri di
cuore, le cucine dei suoi romanzi, la piada e il testo 45 delle sue poesie sono gli

42
M. Moretti-M. Valgimigli, Cartolinette oneste e modeste, cit., lettera del 2 maggio 1952,
p. 26.
43
M. Moretti, Le tagliatelle, in Id., I grilli di Pazzo Pazzi, cit., pp. 33-37.
44
Id., Il giardino dei frutti, Ricciardi, Napoli 1916.
45
Anche un televisore, / il testo della piada / limmagine pi rozza del patrono, / e un
miagolo / e infine anchio ci sono. Strano, ci sono anchio (M. Moretti, La casa dove sono
328 Daniela Mangione

stessi che vengono offerti, declinati, al lettore del quotidiano. E a testimo-


niare senza dubbio la continuit sta anche la scelta di ripubblicare gli elzevi-
ri come semplici prose: senza data, dunque, e spesso rimaneggiati, a creare,
come visto per Il libro dei miei amici, Scrivere non necessario e Pane in desco,
autonomi percorsi di frammenti.

Fra gli interventi pi militanti e datati sono le righe di LEdera 46 pub-


blicate sul Corriere del 15 giugno 1946, pensate e scritte in occasione del
Referendum istituzionale del 2 giugno di quellanno, che avrebbe poi dato
allItalia lo statuto di Repubblica. Questa una delle rare volte scriver
Moretti commentandosi nel 1962 che un poeta solitario ha detto mode-
stamente la sua per un importante fatto politico, e per lelzeviro vien ripro-
dotto integralmente, senza varianti47:

Io vedevo dunque la foglietta stampigliata in verde sui muri e il modesto mnito che
la seguiva Votate ledera in contrasto con le tonitruanti espressioni duna propa-
ganda che aveva laria di prendere per il colletto il povero elettore e portarlo in cabi-
na come nella camera della tortura a suon di megafono [] Ma s, edera, ti voter,
ti voter, molto volentieri ti voter, mia cara ederella. Croci, falci, martelli, spighe di
grano, libercoli, stelle, alabarde son certo bellissimi simboli, ma si ricollegano allidea
del martirio, della potenza, della sapienza, della fatica umana del travaglio delluomo
e della terra, mentre tu, mite ederella, non puoi esprimere che la persistenza del sen-
timento, la relativa stabilit dellamore, della fede promessa, del patto giurato. []
Ma s, edera, ti voter, ti voter: molto volentieri ti voter, mia cara ederella. E non
solo perch il Pascoli ti ha cantato e perch mio padre ti ha portato allocchiello e per-
ch di tutti i simboli che ci offrono oggi manifesti e fogli volanti sei il pi gentile e il
pi puro, ma anche perch rechi in tanta incertezza qualche speranza, qualche pro-
messa, qualche insegnamento per la realt di domani48.

Lapparire di una parola come realt nella scrittura morettiana segna


tempi e situazione storica.

Viva lelzeviro! Lo dico per te, non per me

In pieno Novecento lelzeviro diviene, per Moretti e per gli intellettuali a


lui vicini, una sorta di elemento metaforico, che raccoglie dolori di scrittura,

nato, da Diario senza le date, in Id., In versi e in prosa, cit., p. 191). Il testo una superficie piat-
ta per la cottura, la teglia rotonda di terra su cui si cuoce il pane che si fa da soli, la piada
(M. Moretti, Merenda a San Mauro, in Il libro dei miei amici, cit., p. 19): una volta in terra-
cotta, ora di metallo.
46
Id., Corriere della Sera, 15 giugno 1946, poi in Tutti i ricordi, cit., p. 1151.
47
Id., Note, in Tutti i ricordi, cit., p. 1151.
48
Id., Ledera, in Tutti i ricordi, cit., p. 1140.
Credi, i giornalisti rovinano tutto. Mario Moretti elzevirista 329

lo sgomento legato ai rapporti interpersonali, gli sforzi quotidiani: Dovrei


[] fare un elzeviro per te solo, un piccolo capolavoro che resterebbe inedi-
to fra le tue carte49 scrive Moretti nel 1957 allamico Manara Valgimigli
per manifestargli il proprio affetto. Con lui di elzeviri spesso discute: nel
1954, poich Valgimigli era in procinto di pubblicarne per il Corriere,
aveva osservato: Viva lelzeviro! Lo dico per te, non per me che non ho pi
voglia di farne. Il gran Mario me ne ha fatto passare la voglia. Era, in verit,
il momento buono50.
E in effetti quando, dal 1952 al 1961, a dirigere il Corriere Mario
Missiroli, ex compagno di scuola e anzi di banco di Moretti al liceo ginnasio
Vittorino da Feltre di Bologna, si consuma un distacco dal quotidiano
milanese. Moretti riserva a Missiroli una sorta di atteggiamento duplice, con-
siderandolo con bonomia e distanza, uomo di mondo e al contempo e per
questo discosto da lui, ma senza acrimonia. Quando, nel 1957, il Carlino
trasferisce una propria redazione a Padova e Valgimigli vuole lasciare la colla-
borazione con il Corriere per lavorare di nuovo con il Carlino, egli ne
scrive a Moretti, e questi nota che Missiroli mai avrebbe potuto accettare il
passaggio, n comprenderlo: Il Mario un uomo concreto, e a Milano lo
anche di pi. Osserver ancora Valgimigli: Quello un matto. Come se
scrivere fosse fare la pip51. Gli risponde Moretti lapidario e lucido: Quello
non un matto e lo scrivere proprio fare la pip52.
Lo scetticismo rispetto al mondo del giornalismo inizia a farsi pi defini-
to. Era stato tuttavia gi anticipato anni prima: Credi, i giornalisti rovinano
tutto, anche se offrono la chiave dellascensore53, aveva scritto sempre a
Valgimigli nel 1948. Prima disagio lieve, poi costante pur muta, la lotta con
la pagina di giornale diventa fastidio pi aperto nel secondo dopoguerra.

Moretti non abbandoner tuttavia mai le Terze pagine, pur giudicando di


avere forse scritto troppo per la stampa quotidiana:

Mi disse una volta Marino Moretti, che era entrato al Corriere della sera con
Albertini, e cera restato come elzevirista una trentina danni, dando al giornale
tantissime pagine tra narrativa e memorialistica, e con regolarissima scansione, da
cui uscirono libri importanti: Forse anchio per il Corriere ho scritto troppo;
che voleva significare: mi sono in qualche modo frantumato e disperso54.

49
M. Moretti-M. Valgimigli, Cartolinette oneste e modeste, cit., lettera del 18 maggio 1957,
p. 148.
50
Ivi, lettera del 22 maggio 1954, p. 69.
51
Ivi, lettera del 18 dicembre 1957, p. 165.
52
Ivi, lettera del 20 dicembre 1957, p. 166.
53
Ivi, lettera del 24 aprile 1948, p. 182.
54
C. Marabini, Letteratura bastarda. Giornalismo, narrativa e terza pagina, Milano,
Camunia, 1995, p. 143. Osserva poi Marabini riflettendo sui contraddittori rapporti fra scrit-
330 Daniela Mangione

Richiesto da un establishment che egli non si era mai affrettato a corteg-


giare, lui che rifiutava disdegnava gli ingaggi55 e che non leggeva i giornali,
nemmeno quelli a cui collaborava56, Marino Moretti, pur elzevirista mai
entusiasta, fu testimone di una cultura che ascoltava e comprendeva una
levit dimenticata e che lo ha fatto poi dimenticare.
Cos, il senso delle sue scritture su quotidiano non si impone, appartata
com la sua mano e scarse come sono le edizioni degli ultimi ventanni a suo
riguardo57. Presente lungamente nella vita giornalistica della Terza del
Corriere e poi del Resto del Carlino fino agli anni Settanta, la sua oggi
editorialmente soprattutto unassenza, contraddetta solo da qualche guizzo
culturale: magari evocato da Umberto Eco, che in occasione di una giornata
di studi su letteratura e giornalismo del 2004 sventol una copia del
Corriere della Sera del 28 luglio 1943 58 che recava due colonne a firma di
Marino Moretti. Il fascismo era appena caduto, Chiara volont di ripresa del
popolo italiano recitava il titolo di prima a tutta pagina, lItalia era in piena
emergenza e nel secondo dei due soli fogli che costituivano il quotidiano
era lo spazio per un racconto di Moretti intitolato La mucca nera. Un don
Astorre colpevole di ritardare una messa per la velleit di volere comprare una
mucca nera di quelle olandesi produce un piccolo sconvolgimento paesano
nelle donne che lo aspettano, defraudate del loro diritto, ch il loro diritto
resta pure quello dascoltare la messa tutte le mattine alla stessa ora. Le donne
rinunciano alla messa quel giorno, tranne una vecchina, decisa ad aspettare
fino allora di mettere in tavola. Arriva un vescovo in visita, che scopre la
chiesa vuota e la vecchina che aspetta; e il vescovo celebra messa. A una
indulgente e sfiorita sorella Virginia affidata la rivelazione:

Virginia ancora una volta ha capito: [] che cio un solenne console di Pietro
preferisce talora la povert di una chiesa di campagna allo stesso suo trono e una
sola vecchina a unimmensa folla di fedeli che si pigia tra le navate duna grande
basilica, in travolgenti ondate di musica palestriniana, nel rapimento della litur-
gia donde loro e le gemme traggono i riflessi della loro pi sfavillante sommis-
sione alla gloria di Dio59.

tori e Terza pagina: Comisso si ribella, Moravia stabilisce campi separati, Buzzati sta nel gior-
nale come un pesce nella sua acqua, Moretti recrimina con qualche malinconia: ivi, p. 143.
55
Cfr. E. Panunzio, I grilli di Pazzo Pazzi, in La Fiera letteraria per Marino Moretti, a
cura di M. Ricci, cit., p. 49.
56
Cfr. O. Vergani, Moretti sconosciuto, ivi, p. 120.
57
Per note sulla situazione editoriale mi permetto di rimandare anche a D. Mangione, La
scrittura estesa di Marino Moretti, cit., pp. 237-38.
58
J. Meletti, Ai giornali serve la cultura per interpretare la cronaca, Repubblica, 13 mag-
gio 2004, p. 7.
59
M. Moretti, La mucca nera, Corriere della Sera, 28 luglio 1943.
Credi, i giornalisti rovinano tutto. Mario Moretti elzevirista 331

Ma il finale offre una crepa di pertinente incertezza, con il sorriso dal


vescovo elargito alla sfiorita sorella non senza unintenzione di furberia,
incrinatura della suprema indulgenza60. Un piccolo, trasparente ritratto
dunItalia provinciale stretta fra motorie bafroccini.

60
Ibidem.
MARIA RIZZARELLI

Parole solo per avventura quotidiane.


Vittorini pubblicista

Facevano finta di scrivere per i giornali, ma la loro arri-


re-pense era di fare libri mettendo insieme articoli,
ritrovare lunit che sembrava perduta, cercare la scrittu-
ra durevole sotto la scrittura che passa.
Alfonso Berardinelli

Pagine di un diario in pubblico

Per definire i tratti del complesso, dinamico e lungo rapporto che Vittorini
ha intrattenuto col mondo dei giornali si offrono oggi due strade diverse, due
orizzonti opposti e complementari costituiti da un lato dal Diario in pubblico,
silloge dautore licenziata nel 1957, e dallaltro dai volumi Letteratura arte
societ, che raccolgono gli articoli e gli interventi pubblicati dallo scrittore nel-
larco del quarantennio della sua attivit (1926-1965)1. A prescindere dalla via
che si scelga di percorre ammesso che sia necessaria una scelta , entrambe le
raccolte appaiono indispensabili per comprendere il rapporto dialettico che
Vittorini ha intessuto con le pagine di periodici e quotidiani. Con Diario in
pubblico lo scrittore dimostrava, sin dallAvvertenza, di voler sganciare i suoi
articoli dal loro passato, e dunque dal contesto storico e culturale nel quale
erano nati, per farne unopera nuova e per offrirne una lettura tutta protesa sul
presente, dimostrando in tal modo lappartenenza solo contingente di quei testi
alluniverso effimero del giornale. Ad apertura del percorso costruito attraverso
il puzzle dei frammenti dispersi sulla stampa quotidiana, per precisare la
sovrapposizione di prospettive diacroniche differenti o forse ancora una volta
per porre laccento su una diversa quotidianit della scrittura presente che rileg-
ge e ricostruisce quella passata, Vittorini afferma:

1
Il primo volume (E. Vittorini, Letteratura arte societ. Articoli e interventi 1926-1937, a
cura di R. Rodondi, Einaudi, Torino 1997) stato ripubblicato sempre da Einaudi nel 2008
insieme alla prima edizione del secondo (Letteratura arte societ. Articoli e interventi 1938-
1965).
334 Maria Rizzarelli

Questo libro stato scritto tra lottobre del 1929 e il maggio del 1957; giorno per
giorno si pu dire, anche se a intermittenze spesso di mesi e talora di anni; com-
posto per tre quarti di testi apparsi su riviste e giornali, e per circa un quarto di
inediti coi quali ho voluto intervenire una seconda volta su taluni degli argomenti
trattati. Ma il libro ha preso la fisionomia che ha solo a partire dallautunno del
55, e cio da quando mi sono applicato a compilarlo, e a raccogliere tutti gli
scritti di occasione intellettuale che ho pubblicato in questi trentanni, a sce-
gliere tra essi quelli che ancora mi interessavano da quelli che (cos almeno come
sono) non mi interessavano pi, a scegliere infine in essi i passaggi che m parso
restassero in qualche modo attuali e potessero perci completarsi lun laltro,
lungo il filo delle date, sino a trovare una loro ragione dinsieme e una loro unit2.

Dellopera di selezione e montaggio che presiede alla strutturazione del


Diario, per la quale Vittorini non si limita a discriminare leffimero dal
duraturo ma mira a promuovere una diversa ricomposizione del passato3,
ci che sembra interessante sottolineare limplicita valorizzazione della pro-
duzione giornalistica e la contemporanea negazione della sua strutturale
appartenenza alla contingenza dellattualit della cronaca. Nel rifiuto vittori-
niano della forma del diario intimo e nella opzione a favore di unautobio-
grafia in pubblico, che ci offre, nellintersezione dei diversi segmenti, un pro-
getto di figura intellettuale che gradatamente si costruisce e si chiarifica attra-
verso una pluralit di esperienze4, possibile leggere il riconoscimento del
valore della produzione pubblicistica e al tempo stesso la propria considera-
zione di quella attivit, in cui la cronaca per inseguire la verit da dire ha
un bisogno continuo di farsi racconto5.
Se dunque nel Diario lo scrittore rilegge articoli e interventi in unottica
radicalmente attualizzante, allopposto i volumi che raccolgono lintera pro-
duzione saggistica di Vittorini perseguono un intento storicistico teso a recu-
perare e ricostruire lappartenenza di ciascuna parola al contesto in cui era
stata mandata in stampa. Il recto e il verso della medaglia che tutte e due le
sillogi costituiscono, pur nella profonda diversit di strutturazione e prospet-
tive, offrono per loccasione per riflettere su un dato fondamentale relativo

2
E. Vittorini, Avvertenza a Diario in pubblico (1957), Bompiani, Milano 1999, p. 2.
3
R. Rodondi, Il presente vince sempre. Tre studi su Vittorini, Sellerio, Palermo 1985, p. 233.
In questa sede non possibile seguire loperazione di selezione e ricomposizione messa in atto
da Vittorini nel Diario in pubblico, per la quale si rimanda allaccurata analisi della Rodondi,
ivi, pp. 233-336. Sulla dimensione creativa del Diario cfr. anche G. Vittori, Vittorini et la cra-
tion dans Diario in pubblico, in Elio Vittorini la mcanique des ides, la force de la posie, etu-
des runies par D. Ferraris et V. DOrlando, numro spcial di Chroniques italiennes, a.
XXIII, nn. 79-80, 2007, pp. 137-168.
4
Ivi, p. 301.
5
Perch scelta, montaggio, coordinamento una vera operazione di regia fan s che il
passato acquisisca i modi del presente (A. Panicali, Elio Vittorini. La narrativa, la saggistica, le
traduzioni, le riviste, lattivit editoriale, Mursia, Milano 1994, p. 304).
Parole solo per avventura quotidiane. Vittorini pubblicista 335

al legame intenzionale e consapevole della parola vittoriniana con il proprio


tempo, che si amplifica e si evidenzia nel rapporto con luniverso della comu-
nicazione giornalistica che ontologicamente legato alla contingenza del pre-
sente e alle urgenze dellattualit e per tenta di continuo un loro supera-
mento6. solo dal confronto delle due prospettive che possibile cogliere
fino in fondo la portata dellesperienza giornalistica di Vittorini, con le sue
tappe e i suoi snodi fondamentali.
Invano si cercherebbero nel Diario le motivazioni che spingono lo scrit-
tore a cercare le prime collaborazioni con quotidiani e riviste, perch la
ragione letteraria, sintesi estremamente contratta e censurata della prima sta-
gione giornalistica7, forse preceduta dalla ragione fascista (che convive
insieme alla pressante ragione economica).
Lesordio dellavventura pubblicistica vittoriniana avviene con larticolo
Lordine nostro, pubblicato il 15 dicembre 1926 su La Conquista dello
Stato8, rivista diretta da Curzio Malaparte. E proprio sotto legida morale e
materiale dellautore dellItalia barbara si consuma lapprendistato del giova-
ne siracusano9. In una lettera inviata dallo scrittore a Enrico Falqui, egli rac-
conta appunto le circostanze di questo esordio e le motivazioni che lo spin-
sero a mettersi in contatto con Malaparte:

Confesso ancora che pubblicato il mio primo articolo o scritto che si dica
sul numero dello scorso dicembre della Conquista dello Stato che non mai
tentato di pubblicare altro nella mia vita scorsa fino ad oggi che mai tenter di
altro pubblicare se non sulla Fiera o la Conquista appunto. Una volta tentai
s di fare un giornale qui a Siracusa ma non trovando in tutta la Sicilia un col-
laboratore che mi garbasse e non sorridendomi limmagine di avere a scrivere
io solo lintero giornale numero per numero, cos rinunziai alla gloria e mi chiu-
si in casa per tre mesi. Fu allora che mi presentai per lettera a Malaparte e che
ritornai alla luce consolato per via di costui10.

6
Su un primo giovanile progetto di silloge dei testi critici pubblicati sulle riviste ci infor-
ma la Rodondi nellIntroduzione a E. Vittorini, Letteratura arte societ. Articoli e interventi
1926-1937, cit., pp. XVII e ss.. A tal proposito risulta interessante anche la lettera di Vittorini
ad Einaudi del 3 luglio 1945, che propone alleditore, prima ancora delluscita del primo
numero del Politecnico, la pubblicazione periodica di un bollettino che raccolga i migliori
articoli apparsi sul settimanale (E. Vittorini, Gli anni del Politecnico. Lettere 1945-1951, a
cura di C. Minoia, Einaudi, Torino 1977, p. 8).
7
Sul senso e la dimensione quantitativa dellautocensura vittorinina cfr. R. Rodondi, Il
presente vince sempre, cit., p. 229.
8
Ora in E. Vittorini, Letteratura arte societ. Articoli e interventi 1926-1937, cit., pp. 3-7.
9
Sulla formazione malapartiana e rondesca del giovane Vittorini cfr. A. Panicali, Il primo
Vittorini, Celuc, Milano 1974, pp. 3-52.
10
La lettera riportata dalla Rodondi nella nota allarticolo Lordine nostro, in E. Vittorini,
Letteratura arte societ. Articoli e interventi 1926-1937, cit., p. 6.
336 Maria Rizzarelli

Sul finire degli anni Venti, grazie allaiuto di Malaparte, Vittorini rinun-
zia per il momento allidea di fare un giornale e, nellimpossibilit di
scriverne uno da solo numero per numero, avvia la collaborazione con
diversi periodici. Come lettore di professione11 frequenta la terza pagina de
Il Mattino e La Stampa (nel 1928 Malaparte era diventato caporedattore
del primo e del secondo, nel 1929 direttore). E sempre per via malapartiana
gli interventi dello scrittore approdano su La Fiera Letteraria (divenuta dal
numero del 7 aprile 1929 LItalia letteraria) di Falqui, su LItaliano di
Longanesi e su Il Resto del Carlino. Lautore di Conversazione in Sicilia
compie il proprio tirocinio come recensore di libri, di costume, di storia e di
politica12 in sostanziale sintonia con una parte importante dellintellighentia
del regime13. E in quel delicato passaggio di anni dal 1929 al 1931 sul piano
stilistico e formale si compie la conversione vittorinana dalla prosa rondesca
a quella solariana14. Con il trasferimento a Firenze Vittorini ha modo di fre-
quentare non soltanto le pagine ma anche le redazioni di riviste e quotidiani,
e quindi di fare esperienza della prassi del mondo della stampa periodica: nel
1929 diviene, infatti, segretario di redazione di Solaria e nel 1930 viene
assunto come correttore di bozze alla Nazione. Ma nellanno successivo
che si avvia la collaborazione che avr pi lungo corso, ovvero quella con Il
Bargello, il settimanale della Federazione provinciale fascista fiorentina, nelle
cui pagine Vittorini trova modo di esprimere il travaglio e le inquietudini
della propria passione politica e culturale, riservando invece a Solaria sol-
tanto racconti e articoli letterari15. Analizzando attentamente (come ha
fatto Raffaella Rodondi) lingente produzione pubblicistica vittoriniana
apparsa sulla testata del capoluogo toscano possibile seguire levoluzione
ideologica del giovane scrittore compiuta nellarco cronologico compreso fra
laprile del 1931 e il maggio del 1937. Da una prima fase, segnata da artico-
li e rubriche che pongono unattenzione privilegiata al territorio della lettera-
tura e ai linguaggi confinanti (Settimanale dei libri e Settimanale dei films) e
da rari interventi extraletterari che mostrano la massima fiducia nellessenza
rivoluzionaria (anticapitalista e antiborghese) del regime16, si passa a un
periodo (1934-1936) in cui si registra un forte incremento dei testi a valen-

11
A. Panicali, Elio Vittorini, cit., p. 35.
12
Ivi, p. 41.
13
Cfr. a tal proposito anche A. Andreini, La ragione letteraria. Saggio sul giovane Vittorini,
Nistri Lischi, Pisa 1929, p. 23.
14
Cfr. A. Panicali, Elio Vittorini, cit. pp. 51-71. A tal proposito cfr. anche E. Catalano, La
forma della coscienza. Lideologia letteraria del primo Vittorini, Dedalo, Bari 1977, pp. 7-24 e A.
Di Grado, Il silenzio delle Madri. Vittorini da Conversazione in Sicilia al Sempione, Prisma,
Catania 1980, pp. 9-24.
15
Ivi, p. 53.
16
R. Rodondi, Introduzione, cit., p. XXVIII.
Parole solo per avventura quotidiane. Vittorini pubblicista 337

za ideologico politica17 e una maggiore frequentazione di rubriche come


Corpo di guardia e Letteratura militare (che sostituisce il Settimanale dei libri).
Si giunge fino ai pezzi firmati con pseudonimo, che offrono il ritratto di un
Vittorini che, di fronte alla mutata situazione storica e alla scoperta
dellinganno fascista, cerca faticosamente di riorganizzare il suo impegno e
di trasferire su nuovi e non ben precisati obiettivi la tensione morale che in
precedenza si alimentava ai miti della Rivoluzione Corporativa18.
Conclusa lesperienza bargelliana, lattivit pubblicistica di Vittorini muta
profondamente e nel giro di pochi anni contrae e riformula intenti e direzio-
ni. Dal 1938 al 1941, grazie al lavoro editoriale e traduttorio con Mondadori
e Bompiani, Vittorini riesce a congedarsi pian piano dal fronte della stam-
pa periodica che gli aveva offerto fino a quel momento lunica fonte di red-
dito e riesce a limitare i suoi interventi a quelle tessere critiche che, momen-
taneamente affidate alle pagine di Omnibus, Tempo e Oggi, costitui-
ranno i corsivi di Americana. Dal dopoguerra in poi la maggior parte dellat-
tivit giornalistica vittoriniana si compie nella direzione di riviste da lui fon-
date, quali Il Politecnico e Il Menab, sulle cui pagine appaiono ancora
alcuni suoi pezzi. Oltre alla breve collaborazione con lUnit (allindomani
della Liberazione) e agli articoli firmati sulla Nuova Stampa nei primi anni
Cinquanta, gli interventi vittoriniani sulle testate dei giornali sono estrema-
mente sporadici e riguardano tematiche e occasioni diverse, ma disegnano
comunque, pur nella loro eterogeneit, i lineamenti di un Vittorini liberal-
radicale (in senso largo), difensore e promotore delle libert civili e della lai-
cit dello Stato, attento agli avvenimenti internazionali non meno che quelli
italiani, pronto a denunciare i rischi di fascistizzazione, provengano essi da
destra o da sinistra; di uno scrittore che rifiuta la mobilitazione perenne e
ritiene di dover intervenire anzitutto col proprio lavoro, ma non esita, ove
necessario, a stilare appelli, proporre iniziative, spendersi generosamente in
prima persona19.

Scadenza a mezzanotte

Per entrare nel merito delle esperienze fondamentali che segnano la pro-
duzione pubblicistica vittoriniana, bene indugiare ancora sullo snodo fon-
damentale della fine degli anni Trenta e dei primi anni Quaranta, perch
nella sovrapposizione della riflessione teorica (consegnata ad articoli pubbli-
cati nellultimo anno di collaborazione sul Bargello) e dellesperienza prati-

17
Ivi, p. XXIX.
18
Ivi, p. XXXII.
19
Id., Nota al testo (con qualche osservazione sui testi), in E. Vittorini, Letteratura arte
societ. Articoli e interventi 1938-1965, cit., p. XIX.
338 Maria Rizzarelli

ca nella redazione dellUnit che si trovano le tracce del mutamento di pro-


spettiva e del suo significato.
In un articolo apparso sul Bargello il 24 gennaio 1937, cha appartiene
ad una serie di interventi che rientrano sotto letichetta complessiva di
Polemica per la cultura, Vittorini affronta il problema della indispensabile
conciliazione fra dimensione creativa e divulgativa che la battaglia per una
elevazione popolare deve necessariamente ricercare. Nelladditare i guasti
della prevalente dimensione divulgativa, individua proprio in una precisa
concezione del giornalismo ogni responsabilit:

Primi e maggiori colpevoli, certi giornalisti che la curiosit culturale delluomo,


per la presunzione di un malinteso attivismo, riducono a una curiosit di gior-
nata presentando ogni cosa anche se cosa di Dio sotto specie di fatto di cronaca
con scadenza alla mezzanotte, disabituando la gente ad ogni continuit di pen-
siero, soddisfacendo con frettolosi bocconi una fame che invece potrebbe durare
viva ed efficace nei mesi, distogliendo dallamore delle organiche letture.
Giornalisti peggiori e pi dannosi di quelli dei quotidiani, certi manipolatori di
periodici arrivano a pretendere di far da Bibbia delle scienze, delle lettere, delle
arti, della politica e della filosofia coi loro lampi di magnesio20.

La complessit della posizione vittoriniana nei confronti del mondo della


stampa periodica sta proprio in questa riflessione e nella critica di una scrit-
tura con scadenza alla mezzanotte, che soddisfa con frettolosi bocconi una
fame che invece potrebbe durare viva ed efficace nei mesi. Alla luce di tale
considerazione la sua futura attivit pubblicistica sembra orientarsi a cercare
di alimentare una curiosit non pi di giornata. Egli, infatti, pur condivi-
dendo con gli altri scrittori il disagio per la parola quotidiana21 (disagio che
nasce proprio come ha notato Alfonso Berardinelli dalla ambiguit del
patto fra giornalismo e letteratura, intrinsecamente connaturato al conflitto
sui tempi di durata, sui modi e i tempi di produzione e di consumo dei testi
scritti)22, tenta di superare tale ambiguit. Emblematica a tal proposito risul-
ta la lettura di un altro intervento bargelliano, di pochi mesi successivo a
quello appena citato, in cui lo scrittore torna ad affrontare i guasti del gior-
nalismo per proporne un radicale cambiamento. Polemizzando con Questo

20
E. Vittorini, Cultura e divulgazioni anticulturali, in Il Bargello, 24 gennaio 1937, ora
in Id., Letteratura arte societ. Articoli e interventi 1926-1937, cit., p. 1032. Il precedente arti-
colo della serie Polemica per la cultura era apparso il 17 gennaio, a cui faranno seguito gli inter-
venti del 31 gennaio, del 14 febbraio e del 7 marzo.
21
Ci piace citare il titolo di un convegno tenutosi a Catania nel 2002, che ha costituito
una significativa occasione di riflessione sui rapporti fra letteratura e giornalismo: cfr. F.
Gioviale (a cura di), La parola quotidiana: itinerari di confine tra letteratura e giornalismo, Atti
del Convegno, Catania 6-8 maggio 2002, Firenze, Olschki, 2004.
22
A. Berardinelli, Il mito della realt. Giornalismo e letteratura, in Id., Leroe che pensa.
Disavventure dellimpegno, Einaudi, Torino 1997, p. 63.
Parole solo per avventura quotidiane. Vittorini pubblicista 339

nostro giornalismo, delineato da Giovanni Ansaldo sulle colonne del Meri-


diano di Roma il 7 marzo 1937, Vittorini torna a contestare limpostazione
di un discorso a breve scadenza, intrinsecamente legato allesaltazione delle
doti del perfetto reporter dotato di sensibilit verso lavvenimento e verso
il pubblico, ma che sembrerebbe deliberatamente sprovvisto di alcuna pro-
gettualit culturale:

Asservito a questi due imponderabili il giornalista agisce nel contingente per il


contingente; sollevarsi a guardare luniversale negli avvenimenti, sforzarsi di sol-
levare il pubblico a una considerazione in senso universale degli avvenimenti
non sarebbe da giornalista23.

E perch, si chiede Vittorini, si dovrebbe accettare questa funzione anti-


culturale che indubbiamente appartiene al giornalismo contemporaneo?
Che le parole di Ansaldo abbiano un valore di verit di fatto non significa che
non sia possibile superare e trasformare il modello da esse tratteggiato. Il
giornalismo deve spogliarsi della sua mentalit giornalistica. Ad esso, oggi pi
che mai sono legate le sorti della cultura che in senso lato azione, civilt,
politica, storia24: le conclusioni di questo discorso possono essere intese
come i prodromi della futura attivit di direzione e progettazione svolta da
Vittorini almeno dal Politecnico in poi. Ma fra queste riflessioni e la nasci-
ta del settimanale einaudiano si situa la frenetica attivit dello scrittore nella
redazione dellUnit, stampata clandestinamente a Milano negli ultimi
mesi prima della Liberazione, dove egli sperimenta anche praticamente i
tempi e le scadenze della scrittura quotidiana. Il 25 aprile del 1935, come
caporedattore delledizione locale, Vittorini partecipa alla stesura del primo
numero libero dellUnit e, stando alla testimonianza di Gian Carlo
Pajetta, si getta in quellesperienza con entusiasmo e appassionata ingenuit,
ma senza rinunciare al suo ruolo di scrittore, del quale sembra invece sentire
tutte le responsabilit:

Nessuno di noi sapeva allora bene che cosa fosse e che cosa dovesse fare un redat-
tore capo. Non certo Vittorini, a cui non venne in mente di poter dire di no,
anche se non poteva lavorare di notte ed essere al bancone quando un redattore
capo ci sta. Ma erano tempi quelli [] nei quali se avessimo detto a Vittorini che
bisognava condurre un tram, la cosa gli sarebbe sembrata quasi naturale, comun-
que gli sarebbe parso impossibile [] non farlo. [] Ricordo come allora
lUnit di Milano uscisse in una vecchia tipografia dalle macchine logore che
facevano s che limmagine posta vicino alla testata vivesse quasi soltanto della
didascalia. Il giorno che pubblicammo la fotografia del matrimonio di un gappi-

23
E. Vittorini, Diagnosi del giornalismo, in Il Bargello, 14 marzo 1937, ora in Id.,
Letteratura arte societ. Articoli e interventi 1926-1937, cit., p. 1068.
24
Ivi, p. 1070.
340 Maria Rizzarelli

sta, ne usc una macchia nera, quasi simile alla fotografia del giorno prima o del
giorno dopo che voleva rappresentare una fucilazione. Vittorini doveva scrivere
quelle didascalie. Quasi tutta la sua giornata era tormentata da quel pensiero, era
come se ricercasse un verso che qualche volta non riusciva a piacergli. E non tro-
vava strano (o forse lo trovava, ma non poteva farne a meno) di lasciarci, quasi
fuggendo la sera, con un biglietto in cui stava scritto aggiustatelo voi, io non ho
trovato le parole. E poi il giorno dopo a spiegarmi che per lui una didascalia non
era come per un altro giornalista, come per uno di noi che non era neppure gior-
nalista: soltanto un paio di righe, sotto unimmagine spesso incomprensibile 25.

Nel tentativo di nobilitare i lampi al magnesio che, neri sul nero della
cronaca del quotidiano affogano nella contingenza dellattualit, Vittorini
si scontra con limpossibilit di star dietro alle urgenze di una parola che
scade alla mezzanotte. questa probabilmente la motivazione per cui le-
sperienza alla redazione dellUnit pu dirsi esaurita nel giro di pochi mesi.
Lo stesso scrittore, raccontando anni dopo quel periodo in una lettera a
Hemingway, confesser il disagio e lincapacit di adeguarsi alle condizioni di
scrittura del giornale:

Si voleva [] utilizzarmi a scrivere per la stampa clandestina, ma non potevo


scrivere come a loro occorreva, e dopo alcuni tentativi mi fu concesso di occu-
parmi della stampa solo tecnicamente, cio trovare tipografie e lavorarvi a mette-
re in pagina (mise en page). Questo fu in periodi vari: dal 42 al 43; poi alcuni
mesi del 44; poi alcuni mesi del 45 fino alla liberazione di Milano, e, non pi
clandestinamente, dal 25 aprile 45 a giugno 45 quando dei veri giornalisti arri-
varono da Roma e mi permisero di tornare al mio lavoro privato di scrittore26.

Le affermazioni di Vittorini in questa lettera sono per da assumere con


le dovute cautele, poich nel giugno del 1945, lungi dal ritirarsi al proprio
lavoro privato di scrittore, egli sta per intraprendere lesaltante e intensa
avventura della direzione del Politecnico.

Le parole sono fatti

In realt probabilmente bisogna intendere il progetto della rivista come


loccasione per tentare la via di un giornalismo antigiornalistico, capace
cio di conciliare le urgenze dellattualit con una linea culturale di lunga

25
G.C. Pajetta, Anche un militante, in Il Ponte, a. XXIX, nn. 7-8, luglio-agosto 1973,
ora riportato in una nota dalla Rodondi in E. Vittorini, Letteratura arte societ. Articoli e inter-
venti 1938-1965, cit., p. 209.
26
E. Vittorini, Lettera a Ernest Hemingway (8 marzo 1949), in Id., Gli anni del
Politecnico, cit., p. 227.
Parole solo per avventura quotidiane. Vittorini pubblicista 341

durata. Quel che certo che non pu definirsi in alcun modo unesperien-
za di scrittura privata perch, almeno per quel che riguarda la fase settimana-
le, Il Politecnico rappresenta uno straordinario esperimento di lavoro di
squadra. E sin dal primo numero27, e con una certa gradualit in quelli suc-
cessivi28, alla redazione formata da Franco Calamandrei, Franco Fortini, Vito
Pandolfi (e per la grafica e limpaginazione Albe Steiner), Vittorini vorrebbe
affiancare una rete di collaboratori non professionisti costituita dal pubblico
dei lettori. Nelleditoriale del quinto numero (27 ottobre 1945), provando a
dare attuazione al progetto di Una nuova cultura (delineato nel famoso pezzo
programmatico della rivista) che sappia farsi societ, nella consapevolezza che
occuparsi del pane e del lavoro ancora occuparsi dellanima29, si legge:

Si scelto il compito speciale di fare da legame tra lavoratori manuali, lavoratori


intellettuali e uomini di cultura veri e propri. Tutti i nostri lettori debbono pren-
der parte alladempimento di questo compito che il POLITECNICO si scelto.
Cos il POLITECNICO dice loro, ripete loro: Io non sono una rivista vera e
propria, sono soltanto un raccoglitore di materiale e di argomenti per una rivista,
la rivista vera e propria dovete farla voi. In qual modo? Nel secondo numero
abbiamo invitato i lettori a scegliere tra il materiale pubblicato ogni settimana sul
POLITECNICO tutti quegli articoli che essi ritengono degni di figurare su una
rivista mensile del POLITECNICO. Oggi li invitiamo a segnalarci tra gli argo-
menti trattati dal POLITECNICO tutti quegli argomenti che essi desiderano
veder trattati in modo pi ampio e particolareggiato sulla rivista mensile del
POLITECNICO []. I lettori le cui indicazioni concorderanno con le indica-
zioni della maggioranza, per TUTTE LE SETTIMANE di un mese, saranno
considerati redattori eletti per quel determinato mese.

In realt il mensile del Il Politecnico si realizzer il 1 maggio del 1946,


non certo in aggiunta al settimanale, ma in sostituzione di esso e modificher
cos la propria periodicit a partire dal numero 29. Ma ci che conta sottoli-
neare qui la volont di scommettersi nellutopia dellapertura quantitativa e
sociale quanto pi ampia possibile della redazione, nella convinzione che le
pagine da essa composte possano costituire un contributo allopera di rinno-
vamento culturale del paese. In altri termini la partecipazione collettiva al
lavoro redazionale fa parte del programma di militanza culturale, per cui Il

27
Nel primo numero, pubblicato il 29 settembre 1945, si legge un appello ai lettori, che
verr riproposto e modificato gradualmente nei numeri successivi: Abbiamo bisogno della tua
opinione. Hai letto questo numero del POLITECNICO, ed ora ti chiediamo. Quale arti-
colo ti piaciuto di pi? Quale di meno? Quale argomento vorresti veder trattato? Quale arti-
colo ti parso poco chiaro? Perch? Quali idee, suggerimenti, proposte, consigli hai da darci?
Scrivici: Viale Tunisia 29 Milano. Le tue idee ci sono necessarie.
28
A. Panicali, Elio Vittorini, cit., p. 208.
29
E. Vittorini, Una nuova cultura, in Il Politecnico, 29 settembre 1945, ora in Id.,
Letteratura arte societ. Articoli e interventi 1938-1965, cit., p. 236.
342 Maria Rizzarelli

Politecnico lesito di un lavoro di gruppo, al punto che anche la propriet


della scrittura spesso, nel settimanale, sembra svanire: note presentazioni,
articoli brevi sono senza firma, cos come senza firma sono gran parte delle
didascalie che corredano le immagini30. anche vero, per, che Vittorini,
pur non figurando troppo frequentemente come autore dei singoli pezzi,
passa al vaglio e interviene su ogni aspetto della composizione delle pagine.
In una lettera al padre in cui chiede un contributo sulla Sicilia da inserire in
quella mappa del paese che sta assemblando attraverso i vari servizi sulle
regioni italiane, sente il bisogno di precisare:

Non ho voluto chiedertelo prima perch debbo anche chiederti di lasciarmelo


ritoccare a modo mio. Ma firmer, si capisce, col tuo nome. Rivedo, ritocco tutto
quel che il giornale pubblica31.

Rivedendo e ritoccando tutto, Vittorini interviene pure sulla mise en


page di ogni numero, perch capisce che anche nella strutturazione del
menab risulta implicita la novit del linguaggio attraverso cui passa la scom-
messa del progetto del Politecnico. Cos in una lettera ad Albe Steiner, il
creatore della originale e inconfondibile grafica bicromatica della rivista, lo
scrittore non esita a proporre indicazioni circa la strutturazione delle pagine:

Caro Steiner
vedi di fare un cambiamento alla 2a e alla 4a per fare entrare tutta la Corsica
(magari con qualche taglio) e non trascinarcela dietro un altro numero.
Proporrei: 1) di abbassare un po laltezza del romanzo di Hemingway, 2) ripor-
tare larticolo sul giornalismo su due colonne soltanto []; 5) far continuare la
Corsica, dalla 2a pagina alla 4a cos: []32.

A questa nota segue un disegno che illustra lo schema della pagina e la


precisa collocazione degli articoli e delle illustrazioni. In realt, lattenzione e
la cura meticolosa dellediting serve ad arrivare ad un unico discorso conti-
nuo, che attraversi e riconnetta i diversi settori del sapere al progetto unico
di una realt sociale ridefinita33. In altri termini Vittorini non scrive pi
molti articoli, ma scrive lintero giornale, opera cio sul discorso polifoni-
co costituito dai singoli numerosi collaboratori come un regista che taglia e
incolla la pellicola di un film. Il montaggio a cui presiede con scrupolo e con-
vinzione finalizzato alla ricerca di ununit che superi lintrinseca fram-
mentariet della scrittura periodica, di una continuit che si opponga alla

30
A. Panicali, Elio Vittorini, cit., p. 209.
31
E. Vittorini, Lettera al padre (26 ottobre 1945), in Id., Gli anni del Politecnico, cit.,
p. 28.
32
Id., Lettera a Albe Steiner (dicembre 1945), ivi p. 37.
33
M. Zancan, Il progetto Politecnico, Marsilio, Venezia 1984, p. 201.
Parole solo per avventura quotidiane. Vittorini pubblicista 343

contingenza dei discorsi giornalieri (o settimanali che siano). Non a caso si fa


riferimento al linguaggio del cinema, perch lo stesso che Vittorini utiliz-
zer per descrivere le modalit di composizione delledizione illustrata di
Conversazione in Sicilia 34, realizzata appunto con le stesse tecniche di acco-
stamento delle fotografie gi sperimentate nel Politecnico e prima ancora
con le illustrazioni di Americana.

A me non importava nulla del valore estetico o illustrativo che la fotografia pote-
va avere singolarmente, ciascuna di per s. [] Il valore, il tipo, la qualit inten-
devo determinarli per mio conto, ricostruendoli in rapporto al testo che illustra-
vo considerato unitariamente, tutto intero il libro lAmericana e numero per
numero, con un continuo ammicco allinsieme dei numeri, il Politecnico.
Per quali vie cercavo di determinarli? Per delle vie affini a quelle seguite dal regi-
sta nel cinematografo. Era nellaccostamento tra le foto anche le pi disparate chio
riottenevo o tentavo di riottenere un valore pi o meno estetico [] nellacco-
stamento tra le foto; nel riverbero di cui una foto si illuminava da unaltra (modi-
ficando perci il proprio senso e il senso dellaltra, delle altre); nelle frasi narrati-
ve cui giungevo (bene o male) con ogni gruppo di foto, in correlazione sempre al
testo35.

Unaltra delle innovazioni formali del settimanale , infatti, affidata allu-


so delle immagini: assumendo una posizione avanzata nellambito della pub-
blicistica illustrata, Il Politecnico contribuisce a diffondere una formula gi
sperimentata in Italia soltanto sul finire degli anni Trenta (con Omnibus e
Tempo)36. Vittorini, insieme a Steiner, disegna le pagine mettendo in atto
uno straordinario interplay fra il linguaggio fotografico (e visivo in genere) e
quello verbale; gli apparati illustrativi, dunque, anzich essere subordinati e
complementari al discorso, risultano a loro volta organizzati in sequenze nar-
rative37. Proprio sul terreno della passione del racconto per immagini lo
scrittore incontra il fotografo Luigi Crocenzi a cui affider il compito di rea-
lizzare le fotografie per illustrare Conversazione. E proprio sul settimanale il
giovane fotoreporter ai suoi esordi pubblica alcuni foto-racconti, per i quali
certamente Vittorini compone le didascalie38. Del resto titoli di testa, occhiel-

34
Su questo ci si permette di rimandare a M. Rizzarelli, Postfazione alla ristampa anastati-
ca di E. Vittorini, Conversazione in Sicilia (Milano, Bompiani, 1953), Milano, Rizzoli, 2007,
pp. V-XIX.
35
E. Vittorini, La foto strizza locchio alla pagina, in Cinema nuovo, a. III, n. 33, 15 apri-
le 1954, ora in Id., Letteratura arte societ. Articoli e interventi 1938-1965, cit., pp. 701-702.
36
Cfr. C. Bertelli, La fedelt incostante, in Storia dItalia. Annali 2. Limmagine fotografica
1845-1945, a cura di C. Bertelli e G. Bollati, tomo I, Einaudi, Torino 1979, pp. 186-192.
37
M. Zancan, Elio Vittorini: il progetto narrativo da Il Politecnico a I Gettoni, in Il bel-
paese, n. 6, 1987, p. 349.
38
Si tratta dei foto-racconti Italia senza tempo, in Il Politecnico, n. 28, 6 aprile 1946;
Occhio su Milano, ivi, n. 29, 1 maggio 1946; Andiamo in processione, ivi, n. 35, gennaio-marzo
344 Maria Rizzarelli

li e didascalie sono per la maggior parte scritti dalla penna del direttore, che
sceglie con cura ogni parola, come aveva tentato di fare da redattore capo
dellUnit, anche per quelle immagini solo per avventura fotografiche
che illustravano le pagine del giornale clandestino.

Nel dialogo che si instaura fra immagine e testo viene rovesciato luso tradizio-
nale dellillustrazione, giacch n la foto n lo scritto spiegano, delimitano o
hanno un aspetto semplicemente decorativo. Piuttosto luno e laltro, vicende-
volmente, interpretano e portano alla luce ragioni in pi, rispetto a quelle della
sola scrittura o della sola fotografia39.

in questottica che si comprende il senso di una giornata passata alla


ricerca dellespressione giusta di una didascalia. Le parole in essa contenute
fungono da elementi di raccordo fra le parti, segnano lo stile del montaggio,
permettono alla cronaca di farsi racconto, alle immagini di superare il loro
valore puramente documentario (legato allavvenimento) per farsi film,
narrazione, discorso unico e continuo.
Certo che dentro questa logica il concetto di autorialit viene un po
troppo sacrificato, sicuramente per quel che concerne le immagini, ma anche
per quanto riguarda gli articoli. E se questa motivazione non pu spiegare da
sola (e non vuole) le complesse ragioni che portano allesaurirsi dellavventu-
ra del Politecnico, pian piano, specialmente dopo la trasformazione in
mensile, per Vittorini diventa sempre pi difficile trovare collaborazione e
partecipazione e si fa avanti la consapevolezza che la rivista di molti40 si
progressivamente trasformata nel giornale che temeva di dover scrivere tutto
da solo allinizio della sua carriera.
Il silenzioso isolamento, che segue alla chiusura del Politecnico, viene
rotto nel campo della produzione pubblicistica, oltre che da qualche spora-
dico intervento, dallavventura di una nuova rivista: questa volta per lat-
tenzione indirizzata esclusivamente al campo della produzione letteraria,
anche se intesa in relazione alle sollecitazioni culturali della contemporaneit.
Eppure, malgrado lapparente mutamento di prospettiva, Il Menab (il
titolo risulta estremamente significativo in questo senso) ripropone su un

1947; Kafka City, ivi, n. 37, ottobre 1947. Per il rapporto fra Vittorini e Crocenzi sul
Politecnico cfr. A. Giusa, Elio Vittorini e Luigi Crocenzi, Il Politecnico e il racconto foto-
grafico, in M. Rizzarelli (a cura di), Elio Vittorini. Conversazione illustrata. Catalogo della
mostra, Siracusa, Ex Convento del Ritiro 30 giugno 10 luglio 2006/Catania, Ex monastero
dei Benedettini 7-14 maggio 2007, Bonanno, Acireale-Roma 2007, pp. 75-86.
39
A. Panicali, Elio Vittorini, cit., p. 211.
40
E. Vittorini, Lettera a Giacomo Debenedetti (5 novembre 1947), Id., Gli anni del
Politecnico, cit., p. 142. Cfr. anche le altre lettere precedenti inviate a vari destinatari tutte
segnate dalla preoccupazione di trovare collaborazioni, articoli, lettori per far continuare a
vivere la rivista (ivi, pp. 84-144).
Parole solo per avventura quotidiane. Vittorini pubblicista 345

piano diverso e attraverso elementi linguisticamente pi omogenei lo stesso


stile vittoriniano di montaggio strutturalmente finalizzato al raggiungimento
di un discorso unico e continuo. Se nel Politecnico lappello al rinnova-
mento culturale veniva formulato attraverso una tecnica di assemblaggio di
contributi multidisciplinari e multimediali (parole, immagini pittoriche,
fotografiche e cinematografiche), adesso il discorso che questa rivista-collana
(diretta da Vittorini almeno formalmente insieme a Calvino, dal 1959 al
1966) vuol costruire nasce dal dialogo fra la parte creativa e quella critica, che
di numero in numero si incontrano nelle sue pagine. I testi dei vari scrittori
chiamati a costruire di volta in volta Il Menab instaurano con i saggi uno
scambio altrettanto stretto quanto quello dei vari tasselli che componevano
Il Politecnico, perch lintelligenza critica o inventiva chiamata ad inter-
venire su un identico problema, su unidentica questione41. La sostituzione
della militanza per una nuova cultura con la battaglia per una nuova lette-
ratura non deve sembrare un restringimento di campo, ma semmai una
riformulazione dellimpegno dello scrittore che deve uscire fuori dalle riser-
ve42 e cercare risposte alle sollecitazioni provenienti dai profondi mutamen-
ti sociali e culturali del mondo contemporaneo.
Quel che Vittorini aveva dichiarato gi allindomani delluscita delle
Occasioni di Montale pu offrire unimmagine e unargomentazione che ben
si addice a questultima fase:

La gente non crede che un piccolo libro di niente, non utile, non pratico, non di
guida a qualcosa, ma di pure parole, di versi, possa anche essere un fatto umano
grandissimo e contare molto, moltissimo nel tempo. Si pu dirlo e dirlo loro.
Ehi, voi! Vedete questo libercolo? Cento pagine, cinquanta poesie, alcune
migliaia di parole. Conta pi di tanti fatti che vi sono stati raccontati sui giorna-
li da un anno, da due anni, da molti anni a questa parte [].
Ecco come le cose stanno. Un fatto conta quando, in qualche modo, nuovo per
la coscienza delluomo. Solo in tal caso un fatto un vero fatto: se la coscienza
arricchisce, se alla lunga catena di significati della quale essa composta aggiun-
ge un significato nuovo. [] Una parola pu dare a un fatto non nuovo un signi-
ficato nuovo. Anche de per se stessa una parola pu essere significato. La parola
pu essere fatto 43.

Se vero che Vittorini rimane sempre convinto dellintima politicit della


letteratura e della vocazione dello scrittore allengagement 44, non manca di

41
A. Panicali, Elio Vittorini, cit., p. 324.
42
Cfr. E. Vittorini, Siamo indiani nelle riserve, in Il Giorno, 28 ottobre 1964, ora in Id.,
Letteratura arte societ. Articoli e interventi 1938-1965, cit., p. 1069.
43
Id., La parole come fatti, in Tempo, 25 gennaio 1940, ora ivi, p. 83.
44
Il rapporto fra letteratura e politica, oggetto di una vastissima bibliografia, percorre lin-
tera riflessione vittoriniana. A titolo esemplificativo delle contraddizioni e delle difficolt che
346 Maria Rizzarelli

intervenire su fatti e avvenimenti politici e cede alla tentazione di dire la sua


in occasione dei periodi caldi. Nel 1956 il XX Congresso del PCUS e i fatti
dUngheria non lo lasciano indifferente, e cos progetta un pezzo su Stalin per
LEspresso e una risposta a uninchiesta sullo stalinismo avviata da Nuovi
Argomenti. Ma in realt non riesce a concludere nelluno nellaltra e scrive
a Carocci che chiede il suo intervento:

Tu hai ragione per largomento, riconoscerai, fluido, muta, per via dei fatti
e delle opinioni che lo toccano, quasi ogni giorno e io non posso far finta che
invece sia fermo45.

La vera risposta a questi eventi sar Diario in pubblico 46, cos come di
fronte alla guerra dAlgeria le parole di Vittorini non saranno consegnate a un
articolo, ma ancora una volta a una rivista. O meglio a un progetto di rivista
internazionale attorno al quale lavorano dal 1960 al 1966 tre gruppi di intel-
lettuali: uno italiano, uno tedesco e uno francese47. Ma Gulliver questo
doveva essere il titolo non vedr mai la luce, se non in un numero zero
esposto nella vetrina del Menab del 1964 dopo il fallito tentativo di far
uscire la prima puntata. Leditoriale firmato da Vittorini, dopo una analisi
delle ragioni del fallimento (ovvero lincapacit di superare le divergenze fra
i gruppi e allinterno di essi), mette un punto fermo sulla volont di trovare
anche faticosamente unit oltre le differenze, perch attraverso tale unit,
raggiunta nella rinuncia alla certezza tranquillizzante delle affinit e alla
vecchia struttura di gruppo nazionale48, potrebbe passare lappello allusci-
ta dallisolamento, che lobiettivo principale della rivista e limplicita solle-
citazione degli eventi da cui nato il progetto.

nascono dal confronto fra le due sfere ci piace citare lultimo intervento pubblico dello scrit-
tore: Oggi tutti rifiutiamo il concetto velleitario di impegno qual stato divulgato da Jean-
Paul Sartre. Per resta il fatto che un opera sempre oggettivamente impegnata, e cio ha sem-
pre un significato politico e una funzione chessa prende di per s stessa, indipendentemente
dalla volont dello scrittore. E allora resta augurabile che lo scrittore cerchi di controllare le
forze che condizionano il senso del suo lavoro []. Questo a mio giudizio il solo impegno
soggettivo possibile: paradossalmente una specie di contro-impegno (Id., Perch si scrive,
intervista radiofonica per LApprodo, registrata il 15 e trasmessa il 22 giugno 1965, ora ivi,
pp. 112-1113).
45
Lettera riportata dalla Rodondi nella nota a E. Vittorini, Per la libert degli ungheresi,
LEspresso, 18 novembre 1956, ivi, p. 761.
46
Cfr. R. Rodondi, Il presente vince sempre, cit., pp. 303-318.
47
Fra gli scrittori italiani oltre a Vittorini collaborano alle varie fasi di progettazione anche
Leonetti, Pasolini e Moravia, tra quelli francesi Blanchot e Barthes, fra quelli tedeschi
Enzensberger, Johnson e la Bachmann. Non avendo lo spazio per ulteriori precisazioni e per
ogni dettaglio relativo a questultima avventura pubblicistica vittoriniana si rimanda a A.
Panicali (a cura di), Gulliver. Progetto di una rivista internazionale, in Riga, n. 21, 2003.
48
E. Vittorini, Premessa a Il Menab, n. 7, 1964, ora in Id., Letteratura arte societ.
Articoli e interventi 1938-1965, cit., p. 209.
Parole solo per avventura quotidiane. Vittorini pubblicista 347

Qui il segno fermo; non ovvio pur se con fondi gi noti, gi risaputi; oscuro e
leggibile a un tempo; incerto e tuttavia nitido; figura di unimprefigurabile comu-
nanza necessaria; preambolo a ogni metarivista futura49.

Col miraggio di una metarivista futura, con lutopia di una redazione


internazionale che sia figura dellimprefigurabile comunanza necessaria,
con limmagine di una rivista che nel suo numero-canguro50 porta in grem-
bo il sogno di unaltra rivista, si chiude la lunga avventura vittoriniana nel
mondo della parola quotidiana.

49
Ibidem.
50
Id., Credo nelle novit formali, in Il Giorno, 4 marzo 1964, ora ivi, p. 1035.
CLELIA MARTIGNONI

Guido Piovene:
il complicato laboratorio del giornalismo

La complessa figura e la tormentata esperienza di Guido Piovene (1907-


1974) hanno di recente suscitato nuova attenzione anche per la concomi-
tanza con il centenario della nascita (2007), ricordato da pi convegni e ini-
ziative1. Eppure Piovene, scomparso nel 1974, non certo tra gli scrittori
del Novecento che si possano considerare pi presenti ai lettori, al di l di
circuiti, spesso locali, di fedeli e appassionati, e al di l della resistenza e vita-
lit critica, pure significative. Il mutamento veloce e radicale delle tenden-
ze e dei costumi culturali, e in primis i nuovi assetti della comunicazione
vertiginosamente rinnovati negli ultimi decenni dopo la svolta epocale degli
anni Settanta e Ottanta, hanno modificato modalit e orizzonti della lettu-
ra. Per gli studiosi, dunque, si noter che in Piovene continuano a interes-
sare non pochi elementi rappresentativi della cultura e della societ lettera-
ria del suo tempo: lambiguo e funesto lungo viaggio attraverso il fasci-
smo2 (che coinvolse tra non poche contraddizioni e cambi di rotte molti
intellettuali italiani); la correlata e spinosa questione del rapporto intellet-
tuali-potere politico; sul piano letterario, la ricerca continua, mai semplice,
non sempre gratificante, di narrazione e romanzo, pur tra diversioni e spin-
te molteplici e pur con la messa in cantiere di diverse tipologie formali, talo-
ra persino pi fortunate e felici (il saggismo, la scrittura di viaggio); la sem-

1
Cfr. gli Atti del convegno vicentino del maggio 2007, Guido Piovene nel centenario della
nascita, a cura di Fernando Bandini, Accademia Olimpica, Vicenza 2009; e gli Atti del conve-
gno di Venezia e Padova (gennaio 2008) Viaggi e paesaggi di Guido Piovene, a cura di Enza Del
Tedesco e Alberto Zava, Fabrizio Serra editore, Pisa-Roma 2009.
2
Per usare la nota formula di Ruggero Zangrandi, posta a titolo del suo libro, edito da
Feltrinelli nel 1962 (una prima, ben pi esigua, edizione era uscita nel 1947 per Einaudi, tito-
lo Il lungo viaggio). Zangrandi, amico e sodale in giovinezza di Vittorio Mussolini, era un espo-
nente del fascismo di sinistra spostatosi gradualmente su aperte posizioni di dissenso, con la
creazione nel 1939 di un Partito socialista rivoluzionario, con larresto (1942) e il carcere tra
Roma e Berlino (1942-1945). Nel 1962 il libro di Zangrandi (allora commentatore politico
di Paese Sera) suon come un pesante atto daccusa contro le responsabilit anche educati-
ve di molti intellettuali compromessi con il fascismo. Cfr. infra, n. 6, per la bibliografia in
merito.
350 Clelia Martignoni

pre intensa partecipazione a quotidiani e riviste, tipici luoghi di aggregazione


culturale e civile della modernit e contemporaneit, utili a garantire non
solo riconoscimento, appartenenza e visibilit, ma anche molto spesso il
necessario guadagno.
La carriera giornalistica di Piovene di fatto ininterrotta e procede linear-
mente per grandi passaggi attraverso la collaborazione stabile ad alcune tra le
maggiori testate nazionali, con frequenti e significative incursioni altrove:
tanto che il vero primo mestiere dellaristocratico e contraddittorio vicenti-
no appare proprio quello del giornalista.
Sui giornali Piovene esordisce infatti giovanissimo, quando era ambizioso
e brillante studente alla Regia Universit di Milano (la futura Statale, che
aveva appena assorbito lAccademia Scientifico-letteraria), dal 1925, allievo
dellaustero Pietro Martinetti e del seduttivo Giuseppe Antonio Borgese (la
laurea, in Estetica, relatore Borgese, su argomento vichiano, del 1929).
Come dicono i dati censiti per la prima volta nel Meridiano a mia cura,
e in particolare nella Cronologia (il Meridiano fu allestito poco dopo la
morte dello scrittore, 1976)3; e come recentemente appare dalla pur parziale
e perfettibile bibliografia di Simona Mazzer (1999)4, e ora dagli spogli ben
pi ampi e precisi di Giovanni Maccari (2009)5 (limitati per ai soli testi let-
terari), Piovene entra in campo giornalistico dal 1926, con le prime segnala-
zioni e i primi interventi sul bollettino Treves I libri del giorno, e sul men-
sile librario pure milanese La parola e il libro. Dal 1927 collabora al
Convegno di Enzo Ferrieri, dal 1929 alla Libra novarese dei giovani
Soldati, Bonfantini, Emanuelli, e al fiorentino Pegaso di Ojetti; tra 1930 e
1931 a Solaria; dal 1933 a Pan, pure ojettiano, dove caporedattore al
fianco di Giuseppe De Robertis. Anche pi importante per la continuit e
per il mestiere, la frequentissima collaborazione (1930-1934) allAmbro-
siano, il quotidiano milanese apertamente filo-fascista di Umberto Notari,
in vita dal 1922 al 1944, che accolse letterati e artisti di grande qualit (Gad-
da, Carr, Tessa, Linati, Gatto), e dove Piovene pubblic non solo recensio-
ni, riflessioni critiche di qualche respiro (ragionando in particolare, non senza
contraddizioni e fatica, su ci che gli stava pi a cuore: la fisionomia della
narrazione novecentesca), ma anche cronache varie, quadri di costume, boz-
zetti narrativi, corrispondenze giornalistiche dalla Germania. Inoltre, condi-
zionato forse dallesperienza tedesca, vi pubblic nel 1931 (in tempi decisa-
mente precoci per le polemiche antisemite almeno in Italia) alcuni pezzi di

3
G. Piovene, Opere narrative, a cura di C. Martignoni, Prefazione di E. Bettiza,
Mondadori, Milano 1976, voll. 2.
4
S. Mazzer, Guido Piovene, una biografia letteraria, Metauro Edizioni, Fossombrone 1999,
pp. 122-173.
5
G. Piovene, Il lettore controverso. Scritti di letteratura, a cura di G. Maccari, Aragno,
Torino 2009 (con ricca antologia di testi 1926-1974).
Guido Piovene: il complicato laboratorio del giornalismo 351

subdola inclinazione antisemita, che provocarono uninevitabile rottura con


lamico e compagno di studi Eugenio Colorni6.
Nel 1935, per citare Sandro Gerbi (che del rapporto Piovene-Colorni e
delle vicende parallele e antitetiche dei due si fatto acuto indagatore e sto-
rico: cfr. n. 6), lambizioso Piovene compie finalmente il grande balzo pro-
fessionale (ed economico) della sua carriera, con lassunzione come prati-
cante al Corriere della Sera, raccomandato da Ugo Ojetti7. Qualche dato
dei primi anni al Corriere: Piovene inviato in Inghilterra (1935-1937), da
dove manda corrispondenze alimentate da zelante polemica anti-britannica e
anti-democratica8; dallautunno 1937 al settembre 1938, volontario tra le
camicie nere, segue con accanimento anti-comunista la guerra civile di
Spagna9. Il 1938, famigerato anno dei provvedimenti razziali, quando viene
arrestato Colorni a Trieste, Piovene recensisce con totale consenso lodioso
libello antisemita di Interlandi Contra Judaeos 10.

Ecco dunque che con lavvento al Corriere si apre laccesso alla prima
testata di grande peso nazionale. Di qui il cammino di Piovene sicuro e
tranquillo: sino al 1952 sul Corriere; dal 1953 al maggio 1974 sulla
Stampa; nel 1974, lanno della morte, al fianco di Montanelli, Bettiza e
altri, tra i fondatori del Giornale che esce in giugno (a Piovene assegnata
la responsabilit della parte letteraria-artistica).

6
La vicenda complessa, e in qualche passaggio ancora misteriosa, del rapporto con
Colorni stata ricostruita con lucida intelligenza e con documentazione inedita da Sandro
Gerbi in Tempi di malafede. Una storia italiana tra fascismo e dopoguerra. Guido Piovene ed
Eugenio Colorni, Einaudi, Torino 1999. I tre pezzetti del 1931, di capzioso antisemitismo
(Risposta agli antisemiti, 12 maggio, in margine a opere di Moravia, Loria, Grego; Europeismo
e semitismo, I giugno; Conclusione sugli ebrei, 9 giugno) sono analizzati da Gerbi alle pp. 69-
78, insieme con altri malevoli ritrattini anti-ebraici contenuti nella rubrica Biglietto del matti-
no (ib., pp. 79-81), e pi in generale con la condiscendenza al fascismo mostrata negli scritti
dellAmbrosiano (pp. 82-87; pp. 102-109). La serie Biglietti del mattino ora riproposta da
Sandro Gerbi (Aragno, Torino 2010). Sul rapporto con Colorni, cfr. gi Renato Camurri, Il
lungo viaggio di Guido Piovene nellItalia fascista, in Guido Piovene tra idoli e ragione, Atti di
un convegno vicentino del 1993, a cura di S. Strazzabosco, Marsilio, Venezia 1996.
7
Tempi di malafede, cit., p. 109. Risale ad allora la tessera del partito, su interessamento
del direttore Aldo Borelli.
8
Cfr. Tempi di malafede, cit., pp. 110-115.
9
Ivi, pp. 118-121.
10
Ivi, pp. 122-131. Il testo di Piovene opportunamente riportato alle pp. 291-293.
Segnalo anche qui, come gi in un mio precedente lavoro (I cinquantanni del Viaggio in Ita-
lia di Guido Piovene, La Modernit letteraria, I, 2008, pp. 175-187, cui rimando), che la
recensione di Piovene si legge ora nellantologia curata da Franco Contorbia, Giornalismo ita-
liano 1901-1939, vol. II, pp. 1672-1675 (Mondadori, Milano 2007). Nella Prefazione (p.
XXXII), Contorbia la considera uno degli episodi pi francamente abietti della stampa del
regime.
352 Clelia Martignoni

Importanti e di rilievo, come si anticipava, altre collaborazioni a riviste


particolarmente significative per il livello ideologico o la risonanza culturale:
come ad esempio tra il 1940 e il 1942 alleclettico e multi-accogliente
Primato di Bottai; poi nei movimentati anni romani di guerra a Mercurio
di Alba de Cspedes, con un inatteso resoconto della sua breve esperienza
clandestina intervenuta dal 1943 a fianco della nuova compagna Flora
Volpini. E ancora: nel vivace periodo parigino (1947-1958) alla cattolica
Table ronde e al militante, sociale, battagliero Temps modernes di Sartre.
Ma si ricordi anche, di fianco alla Stampa, la folta partecipazione al roto-
calco mondadoriano Epoca, dove stende in veste di raffinato e colto opi-
nionista la rubrica Specchio dellEpoca (dal dicembre 1958 al febbraio 1960,
con acute notazioni di costume e di ideologia), e dove assume la brevissima
direzione del relativo supplemento letterario Epoca Lettere, mai decollato
ma ingegnosamente innovativo. Da rilevare anche, tra il 1960 e il 1962
(prima della spinosa uscita della Coda di paglia, dicembre 1962, che pi che
sedare accende la polemica sui trascorsi fascisti e antisemiti, polemica gi
latente da qualche tempo per le accuse di alcuni esponenti della cultura ebrea,
soprattutto di Guido Ludovico Luzzatto)11, la collaborazione allEspresso di
Arrigo Benedetti (e allEspresso Mese) con la rubrica di opinioni Le idee e
i sentimenti. Prima della rovente bagarre (che culmina come noto con la
sconfitta delle Furie al Premio Viareggio, agosto 63)12, erano i tempi delle
simpatie di Piovene per posizioni politiche vicine alla sinistra, tali da farlo
soprannominare il conte rosso.
Ma i pilastri del lavoro giornalistico di Piovene, che consentono di seguir-
ne litinerario nella sua intrecciata complessit, tra letteratura, arte, racconto
di viaggio, riflessione di morale o osservazione di costume, narrazione, cro-
naca, politica, ideologia, e sempre con lombra oscura e ritornante dei fanta-
smi di un passato pesante (le Furie?) vanno riconosciuti nelle collaborazioni

11
Anche qui, cfr. Tempi di malafede, pp. 230 e sgg. (ma anche p. 126 e p. 78).
Aggiungiamo per completezza che la linea di autodifesa, ingegnosa e sottile, ma sin troppo
capziosa, adottata nella Coda di paglia in poche parole la seguente: Piovene si sottrae allac-
cusa di fede delusa (nel fascismo), ma sostiene, lui esperto da sempre delle logiche gesuiti-
che della dissimulazione e della diplomazia interiore, la complicata partita dello sdoppia-
mento e della divisione delle parti: al consenso ideologico-politico adottato sui giornali,
pedaggio da pagare per la sopravvivenza, si oppone la parte pulita dellattivit narrativa e
inventiva, carica infatti di mostri e ossessioni (cfr. su ci, lo scritto di Camurri, in Guido
Piovene tra idoli e ragione, cit, pp. 148-153; e il mio Per un profilo del Piovene narratore. Il siste-
ma dellambiguit, in Guido Piovene. Tra realt e visione, a cura di M. Rizzante, Universit di
Trento, 2002 (Atti della giornata di studi di Trento del maggio 1999), pp. 73-88.
12
Per cui si rinvia ancora al libro di Gerbi (cfr. n. 6); ma anche, per una disamina del
problema correlato alla fisionomia del narratore Piovene, alle nostre osservazioni nellappena
cit. Per un profilo di Piovene narratore. Il sistema dellambiguit, in Guido Piovene. Tra realt e
visione.
Guido Piovene: il complicato laboratorio del giornalismo 353

circa ventennali ai due grandi giornali suddetti (con il seguito esiguo, poich
troncato dalla morte, del Giornale).

Quali le linee di lavoro del Piovene giornalista?


Non distanti da quelle dello scrittore tout court, di cui si pu dire senza
forzature che seguano le orme. Infatti Piovene, da subito del resto, fa coabi-
tare nella produzione giornalistica tutti i suoi generi di scrittura: alternando
racconti (o presunti tali, che poi si rivelano non di rado cartoni parziali o
prove sparse di narrazioni in corso)13, pagine saggistiche e riflessive di vario
tipo: note di costume, moralit, cronache, descrizioni, resoconti e immagini
di viaggio anche in cospicue serie (ci torner), memorie, divagazioni, recen-
sioni, note critiche di dissimile impegno. Del resto, occorre anche considera-
re i caratteri della stampa quotidiana del tempo, con il suo culto della terza
pagina, ancora abbastanza pacificamente incentrata su egemonia letteraria e
su primato umanistico. Inoltre per un narratore tenace ma instabile come
Piovene, soggetto a non pochi dubbi e ripensamenti sulla propria tortuosa e
ossessiva narrativa e ad alcune stasi nella scrittura di romanzi (una particolar-
mente lunga tra il 1949 e il 1963, nel periodo elaborativo delle Furie), la col-
laborazione giornalistica con i suoi molteplici generi sempre graditi al pub-
blico si interpone felicemente a sanare inquietanti vuoti e lacune del narra-
tore.
Una questione critica di fondo: dove sta il Piovene pi alto? Nelle arro-
vellate, talora tortuose, pagine del narratore? O nelle pi nitide e asciutte, ma
dense, e sempre rigorosamente lontane da ogni minimo sospetto di banalit,
pagine del saggista e del viaggiatore, considerando che queste ultime, di viag-
gio, hanno un atout in pi: mescolano saggismo e moralit alla efficace, non
di rado incantevole, descrizione paesistica? Se da un lato quasi ovvio e fin
troppo facile rispondere a favore della seconda ipotesi, non vanno sottovalu-
tate le profonde e intime connessioni tra i due registri: il secondo Piovene,
che viene fuori a fatica dalla lunga crisi narrativa suddetta, il Piovene cio che
arriva alle Furie (1963), libro composito, difforme, persino a tratti sgradevo-
le, quasi rabbiosamente non finito, e infine al testamentario Le stelle fredde
(1970), distante, lunare, metafisico, esso pure difforme e talora stridente, si
nel frattempo rischiarato e alleviato grazie anche al prezioso e liberatorio
ricambio di energie garantito dallesercizio giornalistico e saggistico.

Mi sembra opportuno specificare ora sia pure brevemente una serie di dati
ed elementi, anche attingendo (e rinviando) a miei lavori precedenti, per ten-
tare di avvicinarmi in qualche modo al cuore del problema.

13
Come illustrano analiticamente le Note introduttive alle varie opere narrative incluse nel
Meridiano del 1976. Gli anticipi in giornale di stralci dai romanzi riguardano quasi tutte le
opere, ma in particolare Le Furie, per la protratta e problematica elaborazione.
354 Clelia Martignoni

In sintesi, sul narratore. Dallanno del primo e forse maggiore e pi intri-


gante successo, 1941, con il suggestivo e gessoso-arcaizzante romanzo episto-
lare Lettere di una novizia (Bompiani), seguto ai deliziosi e lievi racconti del-
lesordio, La vedova allegra (1931, Buratti), sino al 1949, che vedeva luscita
(ancora per Bompiani) della pi pesante delle sue narrazioni, I falsi redento-
ri, Piovene aveva sviluppato una narrativa singolare, immersa nello scavo psi-
cologico ed esistenziale, ma sempre pi tetra e soffocante, impegnata a repli-
care, sullindelebile fondale veneto della sua infanzia tra spinte quasi coatte,
fosche vicende familiari e coniugali, grovigli affettivi e psicologici, non di
rado culminanti in misteriose uccisioni.
Proprio in quegli anni, dopo il 1949, Piovene conosce la lunga e tormen-
tosa stasi narrativa che si diceva, chiaramente generata da problemi di satu-
razione e di eccesso.
Il silenzio pubblico del narratore appare produttivamente compensato
dalla parallela, fitta applicazione alla scrittura saggistica e in particolare alla
scrittura di viaggio: cospicua e notevole produzione comparsa prima in gior-
nale (o presentata al pubblico della radio) a puntate e in cicli, poi oculata-
mente raccolta in volume.
Quali gli oggetti? Un lungo viaggio americano viene offerto ai lettori del
Corriere della Sera tra lottobre 1950 e il novembre 1951, e poco dopo sar
radunato nel libro De America del 1953 14; e cos il pi esteso resoconto di un
paziente e millimetrico viaggio italiano, compiuto per conto della RAI (che
lo trasmette tra il 1954 e il 1957), sar in parte anticipato sulla mondadoria-
na Epoca e poi riunito nel celebre Viaggio in Italia (Milano, Mondadori,
1957)15.
Entrambi gli impegni giornalistici e radiofonici sono di parecchio rilievo
culturale e sociale: il viaggio americano, compiuto nei duri anni del primo
dopoguerra, allepoca della guerra fredda, prima che si affermasse il benesse-
re economico italiano, e che poteva essere ben percepito come ancora pio-
nieristico; come poteva parere quasi unavventura la lenta escursione attra-
verso unItalia in parte ignota a s stessa, che presto avrebbe festeggiato il
primo centenario dellunit.
Appaiono inoltre molto consentanei con lassetto socio-culturale e comu-
nicativo del tempo. Infatti, ancora RAI e grandi giornali potevano promuo-
vere per delega il viaggio e il rendiconto del viaggio dellintellettuale e dello
scrittore affermato, riconoscendogli lautorit e tutta la capacit legislativa,
decifratrice, interpretante, fabulatrice, in luogo di coloro che da casa docil-

14
Milano, Garzanti. Sullopera, cfr. I. Crotti, De America: la visione rifratta, in Guido
Piovene. Tra realt e visione, cit., pp. 107-139. Della Crotti, si veda anche Piovene viaggiatore
della scrittura: Viaggio in Italia, in Guido Piovene tra idoli e ragione, cit., pp. 269-287.
15
Sul Viaggio in Italia, per ogni dato e approfondimento, rimando al mio recente saggio
sulla Modernit letteraria, 2008, cit.
Guido Piovene: il complicato laboratorio del giornalismo 355

mente ne ascoltavano, o leggevano, il resoconto. I nuovi argomenti di lavoro


(e lutilizzo di nuovi media) mettono Piovene a contatto con una materia
oggettiva ed esterna, anche se ovviamente sempre orientata dalla sua visione
personale. La concentrazione su aspetti della vita sociale, culturale, civile,
produce nellattento osservatore Piovene benefiche forme di liberazione dai
miti personali che sin qui avevano alimentato, ma anche assediato e accer-
chiato, la sua fantasia di narratore, portandola a una transitoria crisi. Non a
caso proprio in tali pagine di viaggio Piovene conquista quel decisivo illim-
pidimento dello stile che sembra derivare proprio dal contenimento delle-
motivit personale pi fosca e aggrovigliata.
Piovene ritorna alla narrazione romanzesca soltanto con Le Furie, in volume
nel 1963, ma avviato dagli anni Cinquanta, e interrotto e ripreso pi volte16: non
caso, il testo sceglie di presentarsi ai lettori sotto le seducenti, avventurose e rifles-
sive forme meta-letterarie (ben aggiornate ai tempi) del romanzo esploso. Nel
nostro discorso di oggi (che, seguendo il filo complicato e vario della carriera gior-
nalistica di Piovene, non pu non indagare lintreccio e linterscambio tra saggi-
stica e narrazione, tra pagine di giornale e libri)17, ora fondamentale prelevare
qualche frammento significativo dalle intense pagine introduttive delle Furie 18,
dove, congiungendo dati reali e reinvenzione, lio narrante racconta la laboriosa
ricerca durata ben quattordici anni di un immenso romanzo, () unopera
unica che comprendeva tutta lesperienza della mia vita.
Del resoconto fa anche parte laffermazione seguente, che appare vistosa-
mente (e ingiustamente) riduttiva del valore della scrittura di viaggio: Mi
sfuggivo, a intervalli, in viaggi e in libri di viaggi che mi rimanevano estra-
nei (p. 276), affermazione rafforzata, poco oltre, da questa intrigante ed
estrema confidenza: non ho mai viaggiato, ma un mio commesso viaggiato-
re che scriveva articoli (p. 278).
Parole che, come abbiamo gi detto altrove, non intenderei come incre-
dibile sconfessione e limitazione dellesperienza in senso lato saggistica (Le
Furie stesse si pongono del resto come romanzo-saggio); ma che vanno lette
nel contesto tirannico ma provvisorio delle ragioni inventive del romanzo, e
cio sottoposte alle leggi delluniverso finzionale delle Furie, sottraendole a
ogni ingannevole sovrapposizione io narrante/autore.

Tornando alle pagine del Viaggio in Italia, a proposito del confronto con
la nuova realt post-bellica e con i nuovi strumenti di comunicazione cultu-

16
Cfr. a proposito la ricostruzione avantestuale fornita nella Nota introduttiva a Le Furie
(in Opere narrative, cit., t. II, pp. 245-251).
17
Sul rapporto narrazione-saggismo, rinvio alle considerazioni complessive di R. Ricorda
in Guido Piovene tra narrativa e saggistica, in Guido Piovene. Tra realt e visione, cit., Trento,
2002.
18
Opere narrative, cit., pp. 275-281.
356 Clelia Martignoni

rale, mi piace aggiungere per affinit che poco dopo, tra il 1961 e il 1962,
Piovene con il vecchio amico e per alcuni versi affine Mario Soldati (entram-
bi narratori ma anche viaggiatori e giornalisti; entrambi colti e raffinati;
entrambi cattolici di educazione gesuitica; entrambi dotati di qualit specia-
li, persino tortuose, per linvestigazione morale) si ciment in una originale
pubblicazione a dispense distribuite in edicola e nate in margine al grande
evento nazionale che fu Italia 61, la celebrazione del centenario dellunit.
Oggetto dellopera: un panorama del costume contemporaneo; titolo: Chi
siamo. Album di famiglia degli italiani. Molti elementi avvicinano loperazio-
ne alle fortunate trasmissioni-inchieste televisive di Soldati stesso, come il
Viaggio nella valle del Po alla ricerca di cibi genuini (1956-1957) e il successi-
vo Chi legge (1960). Lopera del 1957 con il suo rivolgersi agli ascoltatori Rai
e ai lettori dei giornali, le dispense del 1961-1962 (al fianco del vulcanico ed
estroso Soldati, anche uomo di cinema), con la ricerca di un nuovo pubblico
e di una nuova distribuzione, attestano la sensibilit mediatica e comunicati-
va e il gusto del rischio di Piovene. Viene da pensare che Piovene non si sareb-
be sottratto a maggiori e pi innovativi contatti con il pubblico e ad altre
sfide se non fossero intervenuti nel suo percorso complessivo le scottanti rive-
lazioni antisemite e le spinose polemiche del 1962-1963.

Alla scrittura di viaggio, ampio e fluido scomparto della produzione gior-


nalistica di Piovene, che, come vedremo, si compone di molti ingredienti, il
nostro scrittore istintivamente propenso per le eccellenti doti di analista, di
moralista spregiudicato e inquisitivo e di grande osservatore, con tutti i doppi
fondi di problematicit, interrogativit, sottigliezza mentale e psicologica,
che emergono senza dubbio dalle sue stesse pagine narrative.
E, ragionando sia sulle pagine americane, sia su quelle italiane (a tuttog-
gi interessantissime, anche per differenza, come ottimo documento di costu-
me), conviene interrogarsi su che viaggiatore sia Piovene.
Lucido, intelligente, sottile, tendenzialmente molto fedele al dato, ma
anche incline ad abbandonarsi al fantastico, se gli si apre davanti la possibi-
lit cui raramente si sottrae di inoltrarsi in un racconto, o descrizione, o nei
prediletti confronti-comparazioni (torner su questo punto). Ma lapertura
fantastica sempre gestita con secca sobriet; nonostante la morbidezza e
ambiguit veneta di fondo (parole-chiave davvero per il nostro autore!) si
predilige un fantastico secco, e si capisce come Piovene amasse tanto Calvino
e tanto Borges, pur con lovvia distanza. Anche nelle notazioni di viaggio
dunque Piovene si conferma felicemente un visionario di cose vere (come
lui stesso am definirsi nelle Furie).
Grande osservatore (anche nellanalisi dei suoi personaggi, nonostante
lintreccio risulti invece spesso macchinoso e contorto), il viaggiatore Piovene
usa molto lo sguardo: uno sguardo multiplo, sagace, molto mobile, focaliz-
zato su pi livelli. Tra i numerosi livelli in gioco, da un lato (e penso soprat-
Guido Piovene: il complicato laboratorio del giornalismo 357

tutto al Viaggio in Italia, forse il pi acuto e compatto dei suoi libri di viag-
gio), Piovene assegna per ragioni di educazione e per istinto il ruolo prima-
rio alla ricerca del fascino estetico dei luoghi, tra la resa dei paesaggi (di cui
straordinario ritrattista) e il rilievo degli aspetti artistici, aggiungendo inoltre
le sue capacit di sintesi e lettura urbanistica, gi sottolineate da Renato
Cevese19. Piovene scrupoloso anche nel registrare e commentare i caratteri
socio-economici dei paesi che visita, e aspetti cruciali come lo sviluppo indu-
striale, le potenzialit, le risorse, i rischi.
Nellinsieme, da questa convergenza di fattori, si disegna la diagnosi com-
plessiva del luogo: il genius loci, dove si combinano, in mescolanze oculate e
varie tanti elementi: storia, cultura, indagine psicologica, arte, paesaggio,
consapevolezza sociale e delle risorse umane. Piovene si interroga molto sulla
natura morfologica e storico-culturale del paese; e altrettanto sullindole
profonda e sulle inclinazioni, sui temperamenti, sulle attitudini, sulla storia
dei suoi abitanti, rintracciando differenze, somiglianze, connessioni, opposi-
zioni.
Come si anticipava, e come si desidera sottolineare con chiarezza, lintel-
ligenza dello scrittore lavora soprattutto sulle comparazioni, esplicite o impli-
cite, che agiscono per affinit o per contrasto.

Al catalogo dei libri ricavati dalle pagine giornalistiche, occorre aggiun-


gerne non pochi altri. Tra cui, nel settore delle prose di viaggio e dei ritratti
di paese, spicca il molto bello Madame la France, in volume solo nel 1966,
con forte selezione che, tra le notazioni sparse con abbondanza sui giornali
(fondamentalmente il Corriere dal 1947 al 1952; poi, dal 1953, La
Stampa, ma anche Epoca), presceglie nettamente i materiali saggistici e let-
terari rispetto a quelli di cronaca. Un paese amato e una cultura amatissima
(come traspare anche dal regale titolo-omaggio): del resto si sa che Piovene
risiedette lungamente a Parigi con la seconda moglie, Mimy Pavia, dal 1947
al 1958 (salvo naturalmente i lunghi intervalli dedicati ai frequenti viaggi20,
incrementati nel secondo dopoguerra, anche per la solida unione con Mimy,
compagna assidua e attiva di ogni viaggio). Le prime note francesi compaio-
no sul Corriere della Sera dal maggio 1947 21 e sono spesso dedicate a noti-

19
Cfr. R. Cevese, Il viaggio in Italia: architettura, urbanistica, deturpazioni, in Guido
Piovene tra idoli e ragione, cit, Venezia, 1996, pp. 173-156.
20
Primo tra tutti, il gi citato viaggio americano del 1950-1951; poi il triennio di quello
italiano (1953-1956).
21
Non si pu tacere della comparsa anche a titolo della miracolosa primavera dei mughet-
ti (simbolo dellamore con Mimy, candido, e vittorioso contro lassedio degli antichi fantasmi,
come si racconter con parole bellissime nelle Furie): Molti mughetti, poco pane, questa prima-
vera a Parigi, 11 maggio 1947.
358 Clelia Martignoni

zie e analisi di carattere politico. Il prodotto finale del libro si proporr come
(cito dalla Prefazione) una cronaca della vita francese durante la Quarta
Repubblica tra i problemi e le speranze della ricostruzione post-bellica, guar-
data dal punto di vista privilegiato della borghesia, con la consueta compre-
senza di pi livelli: dalla letteratura allarte alla vita teatrale alla mondanit
alle sapienti descrizioni naturali, ambientali, paesistiche, allanalisi politica e
alla riflessione di costume e di stile di vita 22.
Percorrendo la nostra Cronologia costruita sulla base degli spogli giornali-
stici, risulta che il viaggiatore Piovene in alcune pause del viaggio italiano fu
in Brasile (ottobre 1954) e a Londra (estate 1955). Tra dicembre 1965 e feb-
braio 1966 si colloca una permanenza nellAmerica del Sud, testimoniata
dalle corrispondenze della Stampa recentemente rimesse in circolazione da
Sandro Gerbi23; cos come nella primavera del 1966 un itinerario nel vicino
Oriente (Istanbul, Gerusalemme, Petra, Damasco, Beirut) fruttifica reporta-
ges sulla Stampa, e nello stesso anno il libro mondadoriano dal bel titolo
dantesco La gente che perd Ierusalemme. I viaggi europei dellestate 1969 e
1970, insieme con altri materiali, producono nel 1973 LEuropa semilibera.
Ma se le prose di viaggio costituiscono senzaltro nel loro intrecciato
dosaggio di elementi una zona particolarmente risolta del talento giornalisti-
co di Piovene, non minore sia la qualit formale sia la densit di contenuti
che si sprigionano da altre pagine nate sui giornali e finite in volumi eccel-
lenti: come la silloge Idoli e ragione, uscita postuma (1975) ma pensata e
organizzata dallautore. Gi il titolo esprime la conflittualit permanente che
connota Piovene. Il libro costruito sobriamente per ordine cronologico
(1953-1973), evocando la misura del diario, con mobile avvicendarsi di
memorie e riflessioni personali e culturali, di paesaggi, di analisi di luoghi e
figure familiari, di letture e incontri. Nonostante la natura evidentemente
frammentaria legata al genere, gli esiti sono molto alti, e la scrittura tersa e
sottile, apparentabile a quella delle esperienze maggiori (per ampi tratti, gli
ultimi due romanzi, e molte delle pagine di viaggio, a partire dal Viaggio in
Italia). Al diario, Piovene si riferisce esplicitamente nella Premessa che nel giro
di poche affilate pagine, commentando la struttura e le ragioni del libro
(fogli di diario che si susseguono e si incalzano, uno vicino allaltro senza
nemmeno cambiar pagina, uniti dallautore ma non da altra affinit), riaf-
fronta per lultima volta (la Premessa datata ottobre 1974, e la morte soprav-
viene a Londra il 12 novembre) anche il nodo cruciale dellambiguit e
delle ineliminabili, profonde, contraddizioni di colui che scrive.

22
Su Madame la France, cfr. il recente intervento di G. Romanelli, I paesaggi di Madame
la France di Guido Piovene, in Viaggi e paesaggi di Guido Piovene, cit. pp. 205-218.
23
Cfr. G. Piovene, In Argentina e Per. 1965-1966, Il Mulino, Bologna 2001.
BARBARA SILVIA ANGLANI

Achille Campanile giornalista

Noto al grande pubblico dapprima come commediografo arguto e speri-


mentale, in seguito come romanziere e freddurista, infine come godibilissimo
recensore televisivo, Achille Campanile stato in effetti, prima di ogni altra
cosa, attivo e prolifico giornalista. Figlio a sua volta di un giornalista,
Gaetano, caporedattore presso La Tribuna, Campanile viene avviato giova-
nissimo al praticantato nello stesso quotidiano dove lavora il padre. Nel corso
della sua lunga esistenza, ha collaborato con i principali quotidiani e perio-
dici italiani1; complessivamente, ha pubblicato sulla stampa a partire dal
1922 fino agli anni Settanta, poco prima della sua scomparsa. Si pu quindi
dire che la professione giornalistica rappresenti per lui loccupazione princi-
pale; inoltre, il giornalismo ha rappresentato la sua principale fonte di sosten-
tamento.
La sua lunga carriera di giornalista attraversa la stampa a seconda delle
epoche storiche del nostro Paese. Troviamo Campanile nelle testate umoristi-
che dei primi anni Venti; nelle rubriche di quotidiani allineati con il fascismo
durante il Ventennio; in esperimenti di conduzione coordinata con altri
umoristi (Zavattini, nellesperienza del Settebello); dopo la Liberazione, in
quotidiani e periodici di sinistra; negli anni Sessanta, su settimanali
(LEuropeo, per esempio) particolarmente attenti ai mutamenti sociali. In
ogni epoca e in ogni contesto sociale, Campanile ha portato una ventata di
leggerezza e di acume; si dimostrato in grado, attraverso un mestiere solido
e uninventiva fertile, di collaborare con le personalit pi diverse e di adat-
tarsi alle pubblicazioni pi disparate.
Si pu pensare, con questo curriculum, che egli sia un giornalista-scritto-
re in un certo qual modo mimetico, camaleontico, con lattitudine di
adattarsi ai vari contesti in cui si trovato, modificando radicalmente stile e

1
Un elenco non esaustivo delle testate sulle quali Campanile ha scritto comprende: 900,
LAmbrosiano, Il Corriere italiano, Il Corriere lombardo, Ecco, LEuropeo, La Fiera
Letteraria, La Gazzetta del Popolo, Il Giornale di Roma, LIdea nazionale,
LIllustrazione del popolo, La Lettura, Il Milione, La Nuova Antologia, Milano-Sera,
Orlando Paladino, Il Resto del Carlino, Ridotto, Il Sereno, Sipario, La Stampa, Il
Tempo, Il Travaso delle idee, La Tribuna, Video.
360 Barbara Silvia Anglani

tematiche per adeguarle alla testata con cui in quel momento si trovava a col-
laborare. E, in effetti, questo in parte vero; ma anche vero, daltro canto,
che in ogni testata, in ogni rubrica, Campanile porta la sua cifra personalis-
sima, consistente in una misura e in una eleganza senza tempo che lo hanno
reso amatissimo dagli affezionati lettori durante un arco di quasi cin-
quantanni.
impossibile, in questo contributo, analizzare compiutamente le colla-
borazioni di Campanile alle varie testate. Del resto, molte pagine vengono
alla luce soltanto in anni recenti, in seguito ad accurate indagini e a spogli
certosini di vecchie testate, poich il nostro autore spesso e volentieri si trin-
cer dietro pseudonimi o pubblic anonimamente, specialmente fino a
prima della Seconda Guerra Mondiale; e soltanto lo studio pi approfondito
della stampa degli anni Venti e Trenta consentir di individuare, magari
anche in luoghi dove la presenza di Campanile non stata ancora censita,
articoli nuovi a lui attribuibili. Ci limiteremo, perci, a una rassegna genera-
le delle principali testate e allindividuazione di alcuni tratti comuni che
Campanile conserva, qualsiasi siano i suoi committenti e i suoi lettori.

Abile creatore della sua histoire de vie, Campanile ha spesso raccontato il


suo apprendistato al giornale, partito dalla mansione di correttore di bozze,
sia nel romanzo autobiografico Benigno (mai portato a termine2), sia in alcu-
ne interviste3:

Benigno doveva perfino mangiare correggendo bozze, che nelle ore di punta sac-
cumulavano sul tavolo in tipografia. Man mano che le bozze umide coi relativi
originali piovevano sul tavolo con ritmo sempre pi febbrile, fra i tre correttori
cera una muta e segreta lotta a schivare i grossi malloppi, i lunghi articoli barbosi
in caratteri piccoli, le statistiche. Quando ne pioveva uno sul tavolo, tutti e tre i
correttori simmergevano nella lettura della propria bozza, ognuno deciso a non
licenziarla se prima qualcuno dei due colleghi non prendeva il malloppo4.

Gli esordi giornalistici avvengono in anni durante i quali lItalia attraver-


sa momenti politicamente complessi e densi di cambiamenti. Sono i primi
anni Venti; le redazioni giornalistiche oscillano fra i tentativi di resistenza alle
direttive durissime che il regime fascista, da poco insediato e in via di raffor-
zamento, emana, e lacquiescenza al nuovo clima che avanza a passo di mar-
cia. Entrato alla Tribuna nel 1918, appena diciannovenne, come corretto-

2
Stralci dello scritto comparvero sulla Nuova Antologia il 1 giugno 1942.
3
Si cita fra tutte Autoritratto, commedia autobiografica trasmessa alla Radio italiana il 6
novembre 1960 e pubblicata su Ridotto il 3 marzo 1984.
4
Citazione tratta dal dattiloscritto custodito dalla famiglia Campanile nellarchivio dello
scrittore, a Velletri.
Achille Campanile giornalista 361

re di bozze, Campanile transit poi allIdea nazionale di Enrico Corradini


con le mansioni, a lui poco consone, di segretario di redazione; nello stesso
giornale divenne poi redattore nel 1920. Ripreso poi alla Tribuna come
redattore, Campanile passa in seguito alla Stampa, allAmbrosiano di
Milano, al Resto del Carlino e, per un sodalizio che si riveler lunghissimo,
alla Gazzetta del Popolo.
Nel 1922 inizia una fruttuosa e importante collaborazione, quella con il
Travaso delle idee. Storico giornale satirico, il settimanale romano si trova
a vivere lincipiente fascismo da una posizione particolare: quella di chi abi-
tuato a fare umorismo, a irridere i potenti, seppure da una posizione qua-
lunquistica e priva di connotazioni politiche particolari. Diretto dapprima da
Pio Vanzi, gi direttore del Sereno (sul quale viene pubblicato a puntate
quello che poi sar il primo romanzo in volume di Campanile, Ma che cos
questamore?), successivamente da Guglielmo Guasta5, Il Travaso inizial-
mente sottovaluta le direttive fasciste, per poi pagare duramente i primi ten-
tativi di resistenza. Costretto a uscire ripetutamente con diverse pagine bian-
che in seguito ai tagli della censura, finir, nel 1926, per allinearsi alle leggi
fascistissime, tramutando la propria satira politica in satira di costume,
innocua e dunque pubblicabile senza danni6; Guglielmo Guasta sar costret-
to ad abbandonare la direzione, affidata a Filiberto Scarpelli, sar radiato
dallOrdine dei giornalisti e costretto a pubblicare sotto pseudonimo per
tutta la durata della dittatura.
sul Travaso che, non firmati o firmati con pseudonimo, compaiono
numerosi contributi di Campanile in diverse rubriche; la collaborazione al
settimanale viene pubblicizzata da una nota redazionale che reclamizza i sup-
plementi per gli abbonati, e non doveva trattarsi di una collaborazione sal-
tuaria, vista la frequenza con la quale si annunciano i suoi brani. Sono con
ogni probabilit di mano campaniliana le rubriche Memorie di Casanova, I
sorci verdi, Il romanzo di un giovane povero e altri articoli sparsi.
Lesperienza del Travaso rimane fondamentale per Campanile, anche se
nessuno dei suoi capolavori vide la luce su questa testata. infatti qui che,
con ogni probabilit, lo scrittore perfeziona la sua capacit di muoversi fra
teatro, letteratura, societ e giornalismo che poi determiner tanta felice scrit-
tura; qui che, altrettanto probabilmente, si costruir il suo apprendistato di
autentico ritrattista della societ italiana degli anni Venti.
Con il passaggio, da parte della testata, da una critica di stampo politi-
co, resa ormai impossibile, a una critica di stampo sociale, Campanile trova

5
Per una raccolta di articoli e vignette, si pu consultare La Roma del Travaso, a cura di
Guglielmo Guasta, Editalia, Roma 1973. Nel 1922 la testata poteva contare su una tiratura
settimanale di centomila copie.
6
La collaborazione di Achille Campanile al Travaso analizzata da Caterina De Caprio
nel volume Achille Campanile e lalea della scrittura, Liguori, Napoli 1989.
362 Barbara Silvia Anglani

la sua dimensione migliore, quella di notista ironico e leggero; ma trova con-


temporaneamente un tempo e un luogo sociali ai quali rimarr ancorato
per decenni, anche quando la societ e la situazione storica saranno di gran
lunga mutati. Se ci si fa caso, infatti, anche negli scritti pi tardi, degli anni
Sessanta, sempre la societ dei primi del Novecento che Campanile predi-
lige, ed in essa che ambienta le proprie fulminanti scenette. la societ
nella quale le famiglie per la prima volta hanno del tempo libero, possono
trascorrere vacanze al mare (si pensi a quanti dei romanzi di Campanile sono
ambientati nella villeggiatura); nella quale le donne non contano ancora
quanto gli uomini, ma non sono neanche personaggi particolarmente remis-
sivi; in cui ci sono ancora le domestiche negli appartamenti borghesi, che
vivono con i padroni, ma che li osservano con un distacco e una dignit in
precedenza assenti o rari.
Anche quando i tempi saranno profondamente mutati, a questo schema
familiare e sociale che Campanile rimarr legato, perch in questo contesto
che le sue battute e i suoi intrecci funzionano alla perfezione.
Tutto il mestiere di Campanile nasce anche dalla facilit con la quale
egli trasforma, riusa e riadatta i materiali gi utilizzati in altri contenitori
testuali7. Si gi analizzato come battute delle commedie transitino nei
romanzi; lo stesso accade fra articoli e romanzi o racconti, con brani interi
ripresi e inseriti in opere completamente diverse. Questo apre una riflessione
su che cosa abbia voluto dire, per Campanile, praticare effettivamente il gior-
nalista.
Il giornalismo ha rappresentato per Campanile la prima possibilit di
remunerazione e la pi regolare in assoluto. Attraverso il mestiere di giorna-
lista, egli ha potuto dare sfogo alla propria creativit, esprimere il suo talen-
to, guadagnare8. Ma anche, e non poco, avere una sorta di spazio franco, di
palestra o di laboratorio, nel quale testare la riuscita o meno delle proprie
invenzioni. Le rubriche sul Travaso, anonime o pseudonime, possono
diventare il luogo nel quale il giovane scrittore propone al pubblico battute e
ambientazioni che, se apprezzate, possono poi essere riproposte in opere di
pi ampio respiro. La massima di qualsiasi buon giornalista, non si butta via
niente (per dire che qualsiasi materiale pu essere riscritto e riutilizzato),
evidente dallesame delle carte darchivio conservate presso la famiglia

7
Sul riuso, da parte di Campanile, di brani che transitano dal teatro al romanzo allarti-
colo di giornale, si veda in particolare C. Paletta, Ma che cos questo topic? Strategie del comico
in Achille Campanile, Versus, settembre-dicembre 1982.
8
Il giornalismo politico italiano ignoro quel che avvenga in questo campo allestero
lunica forma di mecenatismo che ancora esiste per gli scrittori. Mecenatismo nel senso
migliore: far lavorare gli artisti, mettendoli in grado di trarre dal proprio lavoro i mezzi di vita,
scriver Campanile nella prefazione al suo Battista al Giro dItalia, raccolto in volume nel 1932
per i tipi di Treves-Treccani-Tuminelli.
Achille Campanile giornalista 363

Campanile: decine di migliaia di appunti, con i quali il nostro autore talvol-


ta costruiva, come un collage, nuove combinazioni destinate a nuovi lettori.
Se tutto ci pu far pensare a un tipo di creativit un po astratto, lonta-
no dal tempo, si per lontani dal vero. Continuiamo, allora, a seguire le
orme di Campanile giornalista per vedere che fine fa la capacit combinato-
ria del nostro autore con il mutare dei tempi e delle situazioni sociali e poli-
tiche.

Lapprodo, nel 1932, alla Gazzetta del Popolo un passo importante per
lo scrittore. Il quotidiano torinese, diretto da Ermanno Amicucci, ha tiratu-
re altissime; allineato sulla politica mussoliniana, si propone come cassa di
risonanza delle presunte conquiste del regime. La collaborazione di
Campanile, non sempre firmata, si avverte in numerose pagine, a partire dalla
rubrica Fuorisacco (compilata evidentemente da mani di volta in volta diver-
se, tra le quali anche quelle del nostro autore) per giungere alla cronaca mon-
dana o a quella sportiva.
La collaborazione diventa pi assidua in primavera, in occasione del Giro
dItalia: evento popolarissimo, che Campanile segue quale reporter deccezio-
ne per la Gazzetta del Popolo. Le sue cronache non sostituiscono, ma si
affiancano a quelle ufficiali dei giornalisti non umoristi; e Campanile
costretto a inventare nuove situazioni nelle quali dare spazio allumorismo
nellambito di una cornice, la competizione ciclistica, di per s non facile.
Non sono infatti numerosissime le situazioni che potrebbero, in teoria, dar
luogo alla comicit (cadute, scivoloni, brutte figure) avendo come protago-
nisti personaggi non impegnati in dialoghi ma esclusivamente in azioni ripe-
titive (pedalare e pedalare). Campanile ricorre quindi a uno schema collau-
dato, quello del viaggiatore e dellinserviente che lo accompagna facendogli
da spalla: parzialmente ricalcando il Phileas Phogg del Giro del mondo in
ottanta giorni accompagnato dal fido Passepartout9, concede molto spazio alla
figura del suo cameriere, Battista, a tal punto che, quando decider di racco-
gliere in volume il rportage, lo intitoler significativamente Battista al Giro
dItalia 10.

9
Campanile stesso, in uno scritto molto pi tardo, a proposito della sua cronaca del 1932
ricorda la figura delleroe di Verne: Del Giro dItalia e di quello di Francia, da noi, durante la
prima fase, non soccupavano che pochi fanatici. Erano i tempi eroici, forse i pi belli, di que-
ste due memorabili competizioni. I corridori, nelle grevi maglie accollate con maniche lunghe,
mutandoni al polpaccio, calzettoni, occhialoni che nascondevano tutto il viso e berretto alla
Phileas Fogg, erano una cosa di mezzo tra Fantomas e gli esploratori polari (A. Campanile,
Al Giro come al Tour sempre fuori tempo massimo, LEuropeo, 16 luglio 1961).
10
Su questa raccolta, cfr in particolare L. Ciferri, Premessa a A. Campanile, Battista al Giro
dItalia, Edizioni La vita felice, Milano 1996, pp. 2-10. Secondo Ciferri, Battista lalter ego
del narratore, cui spetterebbero le battute di comicit involontaria e macchiettistica, mentre
lio narrante, corrispondente allautore, si ricaverebbe uno spazio per battute colte costruite
sulla cultura classica o sul nonsense.
364 Barbara Silvia Anglani

Se la raccolta in volume preceduta da una imbarazzante (oggi) dedica a


Ermanno Amicucci, non imbarazzante, neanche oggi, leggere il Giro
dItalia raccontato da Campanile direttamente sulle pagine della Gazzetta.
La raccolta in volume infatti perde, rispetto al quotidiano, il contesto in cui
la cronaca trova spazio: accolta a fianco della cronaca ufficiale della gara, la
rubrica umoristica costruita come un controcanto antieroico delle gesta
degli atleti, esaltate opportunamente da una stampa allineata con le direttive
di regime. Per Mussolini, lo sport era un aspetto importante di propaganda;
egli stesso amava ritrarsi quale autore di imprese spericolate, dedito a varie
attivit ginniche pi o meno ardite. Limmagine del forzuto italiano che vince
una competizione viene fatta corrispondere a quella dei successi che la nazio-
ne proletaria, lItalia, miete nei confronti delle nazioni plutocratiche
(Francia e Inghilterra in particolare). Il 1932 lanno in cui, in Germania, si
affermer il nazismo e la polemica contro le democrazie plutocratiche
ancora di l da venire; ma la cronaca ufficiale del Giro non manca di regi-
strare lammirazione per lo spirito italico di sacrificio e per le vittorie conse-
guite dagli atleti italiani.
I toni celebrativi non sono i pi idonei per Campanile. Egli preferisce gio-
care al dcalage, costruendo un suo personale Giro che ha per protagonisti
i componenti del gruppo Sempreincoda. Sar soprattutto di questi perso-
naggi, perdenti e simpatici, che egli si occuper, svincolandosi dal ruolo di
cantore delle glorie ginniche della nazione.
Campanile non ha, scrivendo la rubrica del Giro, volont neanche lonta-
namente eversive. Suo obiettivo non affatto quello di delegittimare la reto-
rica di regime, ma esclusivamente quello di divertire i lettori. Tuttavia, lef-
fetto di straniamento raggiunto dalla sua prosa tale da inficiare anche la let-
tura dei rportages ufficiali:

Sono le sette del mattino. Milano si sveglia piena di fervore nel pulviscolo doro
del sole, ma gi alla Fiaschetteria Toscana di Via Vettor Pisani la giornata piut-
tosto avanti: giganteschi ossi scarnificati, costole spezzate, femori sanguinolenti e
tibie infrante giacciono nei piatti, davanti a vigorosi giovani dalle maglie a vivaci
colori e dalle gambe nude11.

La descrizione, tra rabelesiano e pulp, del pasto degli atleti si chiude con
il fulmen in clausula che annulla lequivoco: non si tratta di una scena di bat-
taglia, ma della colazione dei campioni. Allinsegna di questo controcanto,
di questo stupore straniante, Campanile seguir tutte le tappe del Giro, tal-
volta concedendosi dei fuori pista come gite nei dintorni, racconti che
intercalano la cronaca, riflessioni che intessono la narrazione. In ogni tappa,

11
A. Campanile, Battista al Giro dItalia, in Id., Opere. Romanzi e scritti stravaganti 1932-
1974, Bompiani, Milano 1989, p. 11.
Achille Campanile giornalista 365

comunque, il focus sar dedicato allirrisione delle virt atletiche tanto soste-
nute e ricercate dal regime: conseguendo lo scopo di consegnare ai lettori
della Gazzetta una versione altra, diversa e smitizzante, dellevento spor-
tivo. Labilit di Campanile consiste nellutilizzare, per questo lavoro, il lessi-
co sportivo, depauperandolo delle mine superomistiche; ecco i cronisti, allog-
giati tutti in una pensione con un unico bagno al piano, impegnati in una
loro personalissima competizione:

Il gruppo si lancia di nuovo al primo piano. Scandone fugge veloce, in testa a


tutti, lasciandosi dietro le pantofole, ma la bivio del corridoio, non essendo pra-
tico del percorso, ha un attimo desitazione che gli fatale. La veloce veste da
camera a fiorami rosso-blu di Cottarelli passa frusciando davanti al pigiama bian-
co-celeste ed occupa il primo posto, che gli vediamo aspramente conteso dai
membri del Comitato organizzatore12.

Padroneggiare il linguaggio per piegarlo ai propri scopi, con leggerezza,


sottilmente: ecco quanto riesce a Campanile con la sua cronaca del Giro ed
ecco quanto, invece, gli risulter pi difficile anni dopo, sempre sulle colon-
ne della Gazzetta del Popolo.
Il quotidiano lo vede infatti collaboratore per tutti gli anni Trenta e
Quaranta13, quasi senza soluzione di continuit. Alcuni di questi contributi
non sono, da allora, pi stati ristampati: e se ne pu capire il motivo. Se,
infatti, generalmente la posizione di Campanile quella di un umorista dagli
esiti stranianti14, con il conseguente effetto di distanziamento dalla retorica
di regime, questo non un dato assoluto. Fra il 1936 e il 1937, mentre il regi-
me fascista va rafforzandosi e avvicinandosi sempre pi allalleato tedesco,
Campanile compie numerosissimi viaggi. Si reca anche, su invito del Mini-
stero degli Esteri, in Sudamerica per una serie di conferenze che avevano per
obiettivo la sensibilizzazione dellopinione pubblica, soprattutto dei tantissi-
mi emigrati italiani, contro le inique sanzioni che la Societ delle Nazioni
aveva inflitto allItalia allindomani della conquista dellEtiopia. La posizione
di Campanile non pu che riflettere quella del suo tempo: lottica assoluta-
mente europeo-centrica, la superiorit della civilt nord-occidentale non in

12
Ivi, p. 62.
13
Soltanto per segnalare i contributi pi regolari, segnaliamo che nel 1934 Campanile
corrispondente mondano da Venezia per la Mostra del Cinema; fra il 1936 e il 1937 invia-
to in Sudamerica (come vediamo pi avanti); nel 1937 segue, sempre per la Gazzetta, il Giro
di Francia; nel 1940 estensore di alcune delle rubriche della serie Dove vissero, dedicata alle
dimore di grandi italiani del passato. Numerosissimi sono tuttavia anche gli articoli sparsi. Per
un loro parziale censimento, mi permetto di rinviare a B.S. Anglani, Giri di parole. Le Italie
del giornalista Achille Campanile (1922-1948), Manni, Lecce 2000.
14
Sulla tecnica di straniamento, cfr. in particolare U. Eco, Campanile: il comico come stra-
niamento, in Id., Tra menzogna e ironia, Bompiani, Milano 1998, pp. 53-97.
366 Barbara Silvia Anglani

discussione; anzi, si pu tranquillamente affermare che il razzismo sia forte-


mente radicato in queste pagine:

Per molto tempo avevo creduto che i negri non possedessero un vero linguaggio,
ma si limitassero a emettere suoni gutturali senza alcun significato e si capissero
pi che altro a gesti. Daltronde, di che volete che parlino? Io credo che potreb-
bero fare benissimo a meno dun linguaggio15.
Sbarcano dal tunnel negri col colletto inamidato, la paglietta e il vestito blu.
Passano seri, composti. Vanno per affari. Qualcuno ha perfino una borsa davvo-
cato (ma voglio sperare che non sia avvocato). Rincasano. Quanta strada ha fatto
lo zio Tom, dal tempo della sua capanna! Questi hanno una casa, un impiego,
una famiglia. Tutti neri come loro. Perfino i ragazzini. Tra poco siederanno a
tavola, leggeranno il giornale (pensate un po), si faranno saltare sulle ginocchia
dei marmocchi fuligginosi come loro. Che strano! Un appartamento pieno di
bianco degli occhi16.

Il mecenatismo del giornalismo politico obbliga quindi perfino il pi


aereo ed elegante degli umoristi a venire a patti con lottica di regime. Le
pagine della Gazzetta del Popolo regaleranno ai lettori unaltra rubrica che
a sua volta generatrice di un volume: Il diario di un uomo amareggiato, suc-
cessivamente Il diario di Gino Cornab. La rubrica ebbe un successo di tale
risonanza che Gino Cornab stato a lungo scambiato, addirittura, per il
vero nome di Achille Campanile, ritenuto a torto uno pseudonimo. Un desti-
no strano per una rubrica che, in effetti, mostra laltra faccia, quella amara,
incattivita, a tratti perfino desolata, del giornalista. In queste pagine,
Campanile non verga pi il ritratto di personaggi a loro agio a qualsiasi lati-
tudine, eleganti in ogni frangente, con la battuta pronta in tutti i contesti.
Gino Cornab infatti un emarginato, un deluso dalla nuova societ di
massa che Campanile sa leggere cos bene.
La rubrica inizia nel 1934 e prosegue, con alcuni salti, fino al 1940;
Rizzoli ne pubblica una raccolta in volume nel 1942. Si finge che sia un dia-
rio autentico, steso da un cittadino alle prese con notizie e avvenimenti che
non fanno che ingenerare in lui risentimento e disillusioni. Cornab un
uomo che ha studiato; ha ambizioni letterarie; non ha, per, una vera pro-
fessione. Un intellettuale inutile, secondo il regime, animato da rancori che
avrebbero la loro origine autentica esclusivamente nellincapacit di vivere il
proprio tempo, di adeguarsi alla cultura dominante.
cos che Cornab trascorre le sue giornate alle prese con una indigenza
alla quale tuttavia non pronto, appartenendo a una classe sociale borghese.
Ha una domestica, che non paga e che lo tiranneggia; sogna avventure eroti-

15
A. Campanile, Sosta a Dakar, Gazzetta del Popolo, 1 settembre 1936.
16
Id., Rio de Janeiro, Gazzetta del Popolo, 24 ottobre 1936.
Achille Campanile giornalista 367

che di stampo dannunziano, ma si ritrova a insidiare le domestiche in libera


uscita; coltiva la passione della scrittura, esclusivamente per vedersi rifiutati
gli scritti da editori e giornali. Potremmo insomma definirlo lanti-
Campanile, invelenito tanto quanto il nostro bonariamente sorridente.
Quali sono le profonde ragioni che rendono insoddisfatto Cornab? Una
sola, in effetti: il percepirsi inadeguato allavvento di una societ nella quale
la notoriet gestita e costruita da mezzi di comunicazione non pi domi-
nabili. Quotidianamente, Cornab spoglia i giornali alla ricerca di notizie
irrilevanti alle quali, secondo lui, viene dedicato uno spazio immeritato:

Notizia pubblicata da un importante quotidiano. La trascrivo perch la posterit


veda di che si occupano i giornali, i quali, tra parentesi, mi ignorano sistematica-
mente, e ne resti edificata: Una zucca del peso di 50 chili e della forma di una
grossa bombarda stata raccolta nel suo podere, sito nelle vicinanze di Grignasco
(Valsesia), dallagricoltore Luigi M.17.

La modernit di Gino Cornab consiste nel comprendere che, senza il


proprio quarto dora di notoriet, nella societ della comunicazione non si
pi nulla. Cornab rappresenta, sulle pagine della Gazzetta del Popolo, il
cittadino che non si adatta al cosiddetto progresso; che rimane escluso dalle
dinamiche dominanti: Visita di Hitler. Feste a destra, feste a sinistra, ricevi-
menti, tripudio, e io dimenticato18, scrive nel 1938. Si potrebbe pensare a
un meccanismo di alleggerimento, con il quale Campanile risolve la pro-
pria ansia, la necessit stringente di essere sempre sulla cresta dellonda, sem-
pre popolare, sempre apprezzato e quindi sempre sotto contratto per editori
e direttori di giornale. Questa vena lamentosa e problematica non produce,
da un punto di vista letterario, i risultati migliori, perch troppo schiaccia-
ta su toni aggressivi: per lunica volta Campanile fa ricorso talvolta al turpi-
loquio, si abbandona allinsulto esplicito, lascia che un suo personaggio si illi-
vidisca oltre misura. Ma i tempi sono quello che sono: i terribili anni Trenta,
durante i quali lItalia vive un isolamento internazionale e un incupimento
della vita pubblica che, evidentemente, fanno capolino perfino tra le righe di
un umorista sopraffino.

Finita la guerra, troviamo Campanile nuovamente impegnato nella cro-


naca di un Giro dItalia, quello del 1949, per conto di una testata completa-
mente diversa. Segue lavvenimento sportivo per Milano-Sera, quotidiano
collocato decisamente a sinistra, con connotazioni anticlericali e antiameri-
cane. Lanno precedente, per la stessa testata, Campanile ingaggiato per un
altro, interessante rportage: Il giro dei miracoli. Si tratta di uninchiesta nel-

17
Id., Il diario di Gino Cornab, Rizzoli, Milano 1942, p. 123.
18
Ivi, p. 153.
368 Barbara Silvia Anglani

lItalia delle madonne piangenti, alla ricerca di manifestazioni della fede popola-
re nei confronti di apparizioni, statue dai presunti poteri magici, sintomi (presun-
ti) del divino. Campanile viaggia e registra: questa volta non si dota di alcun alter
ego, ma decide di assumersi direttamente la responsabilit di quanto narra. Una
responsabilit che egli porta avanti fino a un certo punto. Locchio di Campanile
si ferma a descrivere momenti quotidiani di vita, i segni dellesistenza di tanti che,
in un Paese appena rifondato, ne costituiscono la ancora precaria identit:

dir di passaggio, bench questo non abbia niente a che fare coi miracoli, che il
trenino elettrico pareva unuccelliera di bambini i quali ogni giorno, per andare
a scuola a Voghera, fanno unora di viaggio allandata e unora al ritorno; e che
il trenino essendo in coincidenza con le ferrovie ma non con gli orari delle scuo-
le debbono partire alle 6 del mattino e a Voghera debbono aspettare unora
prima che comincino le lezioni19.

Per quanto riguarda i fenomeni soprannaturali, con il consueto stru-


mento della razionalit disincantata che Campanile vi si accosta; qui, la lin-
gua rimane in limine, descrivendo ci che si vede senza calcare la mano sui
paradossi ma senza neanche nascondere un velo di scetticismo:

Angela Volpini una bambina qualunque di otto anni. [] tutti sono concordi
anche la maestra, sebbene gli studi della bimba, da che ella vede la Madonna,
vadano a rotoli, nel dire che molto intelligente e svelta. []
Come ha capito che era la Madonna? ho chiesto.
Domanda ingenua. Ma il padre si affretta a spiegare:
Lha riconosciuta: ci sono le statue nelle chiese, no? []
La visione s ripetuta dieci volte, a ogni 4 del mese e sempre alla stessa ora (le
14, che con lora legale diventano le 15)20.

Del viaggio, quello che gli interessa soprattutto sono le condizioni sociali
di unItalia appena uscita dalla guerra, con i segni delle bombe ancora vivi.
evidente, soprattutto quando si reca in Calabria e in Sicilia, che Campanile
scrive per un giornale del Nord, per lettori del Nord, e che offre loro locca-
sione di gettare uno sguardo sugli esotici paesaggi meridionali, popolati di
poveri, di mendicanti, di strade in pessimo stato quando non di mulattiere:
La mattina Mileto si sveglia prestissimo. Alle 5 gi tutta in piedi, uomini
e bestie, e sembra un villaggio africano21.
Se si considera che vide la luce sulla stampa prima che in volume, tra gli
altri, anche Cantilena allangolo della strada 22 (dove si raccolgono in volume

19
Id., Il giro dei miracoli, Milano, Milano-Sera editrice, 1949, p. 30.
20
Ivi, pp. 30-32.
21
Ivi, p. 140.
22
Id., Cantilena allangolo della strada, Treves-Treccani-Tumminelli, Milano-Roma 1933.
Achille Campanile giornalista 369

articoli apparsi nel corso del 1926 sulla Tribuna e sulla Stampa), caratte-
rizzato da una vena meditativa e malinconica, ci si rende conto di come il
mezzo giornalistico sia adoperato da Campanile per gli esperimenti pi diver-
si. Tratti di riflessione pessimistica non mancano, a partire dagli anni Venti,
in tutta la produzione campaniliana; anzi, si pu dire che essi si rarefacciano
con landar degli anni, quando il consumato mestiere di umorista in qualche
modo si interpone fra lespressione pi autentica della personalit campani-
liana e la pagina scritta.
Non bisogna dimenticare poi lesperienza di direttore del periodico satiri-
co Il Settebello, condotta (senza molta fortuna) in collaborazione con
Cesare Zavattini nel corso del 1938; un periodico allineato alla politica di
regime, anche se non espressamente politico, dove non si rinuncia a interve-
nire sullattualit (il 1938 lanno delle leggi razziali, della visita di Hitler in
Italia e di una alleanza sempre pi stretta fra Italia e Germania). Gi prima di
assumerne la direzione, Campanile figurava tra i collaboratori del
Settebello, avendovi pubblicato regolarmente brani pi tardi confluiti nel
postumo Vite degli uomini illustri 23 oppure nel Trattato delle barzellette 24.

Gli ultimi contributi giornalistici di Campanile costituiscono un filone a


s stante. Si tratta infatti delle recensioni televisive pubblicate sullEuropeo
e su Video dalla fine degli anni Cinquanta alla fine degli anni Sessanta25.
SullEuropeo Campanile tenne una rubrica fissa settimanale; su Video
vedevano la luce talvolta gli stessi pezzi scritti per LEuropeo, talvolta pezzi
scritti appositamente per questa testata. In tutti i casi, Campanile trova il
modo di assumere unottica ironica e straniante nei confronti del nuovo
mezzo di comunicazione, che aveva fatto irruzione in modo cos invasivo
nelle case e nelle vite degli italiani. sempre da una prospettiva disincantata
che egli scrive i suoi garbatissimi commenti, che sembrano scaturire da quel
medio cittadino gi protagonista di tanti suoi romanzi. Un cittadino che,
novello Candido, si pone davanti allo schermo senza pregiudizi, dispensando
lodi quando ritiene che il programma o gli interpreti lo meritino, ma non
lesinando salaci osservazioni quando vi sia qualche appiglio per produrne. Le
considerazioni di Campanile sulla televisione si possono considerare di una
modernit sconcertante: Uno strumento che ha la forza espansiva della TV
comporta responsabilit molto gravi, che finora non pare che i dirigenti ten-
gano nella dovuta considerazione. La TV pu fare del nostro un mondo

23
Id., Vite degli uomini illustri, Rizzoli, Milano 1975.
24
Id., Trattato delle barzellette, in collaborazione con G. Bellavita, Rizzoli, Milano 1961.
25
Una raccolta degli articoli ora consultabile in A. Campanile, La televisione spiegata al
popolo, a cura di A. Grasso, con una nota di O. Del Buono, prefazione di I. Montanelli,
Bompiani, Milano 1989.
370 Barbara Silvia Anglani

dimbecilli26. Per non parlare delle affinit che rivela, sorprendentemente, la


televisione degli anni Cinquanta con quella dei nostri tempi (facciamo uno
solo dei tantissimi esempi, a proposito dello sceneggiato Caleidoscopio):

Dal principio alla fine, nelle corsie di un ospedale; malate a letto, bacinelle, broc-
che, bende, recipienti vari, sala operatoria, medici e infermieri con la mascherina
bianca, carrelli, barelle, narcosi. Un personaggio era indicato semplicemente con
lappellativo il tumore al cervello. Spigolando fra le battute: mi fa un po male
la tibia, le mie costole vanno meglio [], lavarsi, sempre lavarsi, unaltra
bombola dossigeno, per favore! []. La scena madre s avuta nella sala opera-
toria: operazione di tumore al cervello, resa con la minuzia e il realismo dun
documentario. Qui battute molto pi incisive: bisturi!, pinze!, forbici!, col-
tello!, trapano!. C stata una trapanazione del cranio debitamente sonorizza-
ta, da far rimpiangere il dentista []. Episodi come questo fanno passare la
voglia di farsi trapanare il cranio e asportare pezzi dencefalo27.

Seguire le orme di Campanile giornalista consente di entrare nellofficina


dello scrittore per analizzarne dallinterno i meccanismi. Leggere i suoi scrit-
ti, anzich nelle raccolte in volume, direttamente sulle pagine dei quotidiani
o dei periodici per i quali essi furono inizialmente redatti consente, daltro
canto, di leggerli in una luce diversa: accostati alle altre notizie, agli altri arti-
coli, essi assumono uno spessore e una prospettiva che la raccolta in volume
inevitabilmente perde.

26
A. Campanile, Il milione di abbonati e le mosche cocchiere, LEuropeo, 21 dicembre
1958, ora in Id., La televisione spiegata al popolo, cit., pp. 30-33.
27
A. Campanile, Attenzione al tele defunto con questi cervelli affettati, LEuropeo, 1 giu-
gno 1958, ora in Id., La televisione spiegata al popolo, cit., pp. 13-16.
ORETTA GUIDI

Primo Levi giornalista

Primo Levi (Torino 1919-1987) appartiene di diritto ai classici del nostro


Novecento: la sua voce ferma ed alta ha testimoniato e narrato in modo defi-
nitivo gli orrori del nazismo e la tragedia dellolocausto, vissuti sulla propria
pelle; come pochi ha dato voce allesigenza di ricordare la tragedia del lager
per le generazioni future, affinch non si ripetesse nella storia quanto era
accaduto in Germania, in Europa. Ormai per tutti noi egli lo scrittore
testimone, colui che ha vissuto in modo totale, estremamente problematico,
il complesso rapporto tra sopravvissuto e narratore-testimone: sulla centralit
della memoria ha investito lintera esistenza e intorno alla pi umana e sog-
gettiva delle qualit ha riflettuto e meditato con sofferta moralit. Com
noto, egli ha ripetuto e confermato in vari momenti dellesistenza e in diver-
se opere di ritenersi un ibrido, un centauro, un essere perennemente scisso tra
due mondi e due attivit, quella di chimico-tecnico-scienziato e quella di
scrittore, come venuta alla luce e scoperta prepotentemente dopo le dram-
matiche vicende di Auschwitz: tornato a casa, lesigenza pi impellente era
raccontare, parlare a tutti, far sapere. E per questo scrivere stato per Levi un
atto vitale, un modo per sopravvivere, una necessit. Lo scrittore, inserendo-
si opportunamente in una polemica fra intellettuali in voga fin dagli anni
Sessanta, ovvero la presenza di due culture, la scientifica e lumanistica, spes-
so divise e quasi in opposizione, sostiene al contrario lunicit della cultura,
il superamento di schematiche divisioni. Ebbene, nessuno meglio di lui, a
dispetto del suo conclamato ibridismo, ha dimostrato quanto lo scrivere
abbia in comune con il rigore e la precisione della chimica e quanto la scien-
za, per essere innovativa, abbia bisogno di fantasia, di immaginazione.
Nellesperienza di lavoro, dunque, fosse risolvere un problema di tipo tecni-
co legato al suo lavoro in una fabbrica di Settimo Torinese o fosse trovare
laggettivo pi pertinente ed espressivo per tratteggiare un personaggio, Levi
agisce con senso unitario, superando ogni divisione. Egli, riflettendo sul suo
essere scrittore, amava, forse con una punta di ironia, definirsi scrittore per
caso, a causa degli eventi traumatici che lo avevano costretto a prendere la
penna: insomma anche lui, come tutti i critici, dichiara di essere diventato
scrittore per eventi esterni alla sua volont e di essere debitore al suo mestie-
re di chimico della chiarezza, della capacit analitica, del rigore linguistico,
372 Oretta Guidi

che rappresentano il segno distintivo della sua operosit di scrittore. Per


quanto mi riguarda, mi sia concesso contraddire non solo i critici, ma lo stes-
so Levi: la scrittura nel suo patrimonio genetico, la capacit di narrare gli
connaturata, le qualit acutissime di analisi e di osservazione, il senso etico e
la naturale disposizione sociologica e antropologica sono talmente forti che,
qualunque avvenimento, anche al di fuori di quelli tristemente noti, lo
avrebbe spinto alla narrazione, alla comunicazione con gli altri. Quindi non
scrittore dilettante, come amava definirsi, non scrittore per caso, bens auto-
re consapevole, che in ogni caso avrebbe trovato la via della parola illumi-
nante, chiarificatrice. E delle parole fu, in effetti, un sottile indagatore, per-
ch amava studiarne letimologia, la storia, i mutamenti semantici, cos come
amava tutte le lingue; e analogamente nel corso della vita, in modo costante,
non si limit a scrivere o riscrivere lo stesso libro, ma si ciment in generi
diversi, dai libri di memoria e testimonianza, quali Se questo un uomo
(1958), La tregua (1963), popolarissimi e giustamente noti al grande pubbli-
co, non solo italiano, ma ormai internazionale, agli scritti fantascientifici
Storie naturali (1966), Vizio di forma (1971), dai ventuno racconti di natura
autobiografica sul mestiere di chimico Il sistema periodico (1975), allepopea
del lavoro con La chiave a stella (1978), dal saggio letterario al breve articolo
giornalistico. Per la conoscenza del Levi intimo, sotterraneo, meritano un
posto a parte due singolari opere: La ricerca delle radici (1981) unantologia
nella quale sono raccolti brani di autori che hanno segnato la vita culturale e
la formazione spirituale dello scrittore (ecco lelenco degli autori che sono
stati fonte di ispirazione, di suggestione: il libro di Giobbe, Omero, Ch.
Darwin, W. Bragg, J. H. Rosny, G.Parini, J. Swift, J. Conrad, L.
Gattermann, F. Rabelais, Th. Mann, R. Vercel, H. Melville, A. de Saint-
Exupry, Marco Polo, T. Lucrezio Caro, I. Babel, S. Alechm, G.G. Belli,
B.Russel, F. Brown, S. DArrigo, A.C. Clarke, Th.S. Eliot, P. Celan, M.
Rigoni Stern, H. Langhein, K.S. Thorne), e Laltrui mestiere, volume pubbli-
cato nel 1985, nato dagli elzeviri comparsi su La Stampa fra il 1976 e il
1984, vera enciclopedia dei multiformi interessi leviani. Lo stesso Levi, poi,
in interviste e conversazioni ha approfondito la sua personale storia1.
Inoltre da ricordare lattivit di Levi traduttore, nella quale, dopo qual-
che esitazione, egli trasfuse lentusiasmo e la seriet che ben conosciamo.
Esemplare, a questo riguardo, rimasta la traduzione di Il processo di Franz
Kafka: nata da unidea di Giulio Einaudi, la traduzione esce come primo
volume della collana Scrittori tradotti da scrittori2.
Probabilmente lattivit meno indagata dello scrittore quella di giorna-
lista che in massima parte ha trovato ospitalit nel quotidiano torinese La

1
P. Levi, Conversazioni e interviste, 1963-1987, a cura di M. Belpoliti, Einaudi, Torino
1997.
2
Id., Opere II, a c. di M. Belpoliti, intr. di D. Del Giudice, Einaudi, Torino 1997, p. 1586.
Primo Levi giornalista 373

Stampa, occasionalmente prima del 1975, con maggior assiduit dopo que-
sta data.
La maggior parte degli articoli e dei saggi destinati a giornali o riviste
raccolta nei due volumi comprendenti pressoch lintera opera leviana, a cura
di Marco Belpoliti, pubblicati dalleditore Einaudi3. Come lo stesso curatore
afferma questa non si pu considerare una edizione filologica delle opere di
Primo Levi, per la quale sar necessario se lo si riterr opportuno proce-
dere un giorno allo studio dei manoscritti e dei dattiloscritti, che per ora,
salvo alcune eccezioni di cui si d qui conto, non sono disponibili agli stu-
diosi4. Ebbene, si far riferimento a questa edizione, facilmente consultabi-
le: nel primo volume sono raccolti sotto il titolo di Pagine sparse articoli,
saggi, elzeviri, ecc dal 1946 al 1980 (pp. 1109-1336); nel secondo volume
sotto il titolo di Pagine sparse sono raccolti gli scritti dal 1981 al 1987, lan-
no della morte (pp. 1157-1356), e sempre nel secondo volume troviamo
Laltrui mestiere, che, come si accennato, raggruppa saggi nati, come la pi
parte dei suoi interventi giornalistici, dalla collaborazione con il quotidiano
torinese La Stampa (pp. 631-853), frutto di un vagabondaggio culturale in
bilico tra curiosit scientifica e meditazione antropologica, con incursioni
originalissime nel campo della critica letteraria. I Racconti e saggi (vol. II. pp.
863-993) provengono anche essi, come ci dice Levi nella Premessa a pagina
859, dalla quasi assoluta fedelt alla Stampa, e si situano in un arco di
tempo che sfiora il quarto di secolo (allincirca gli ultimi venticinque anni
di vita): come gli scritti precedenti seguono in modo libero e dispersivo gli
interessi variegati di un uomo passato attraverso tante esperienze e, forse, in
modo pi netto mettono in risalto le qualit e gli umori di un moralista
misurato ed equilibrato. Lattualit, se pure in qualche misura si avverte,
rimane in ombra, per lasciare spazio ad un approccio che investe temi pi
intimi. Ununica raccomandazione ci viene dallautore: leggere, senza preten-
dere di cercare messaggi. Ma, in realt, senza toni oracolari, e sempre con iro-
nia, egli offre pagine di grande saggistica, tanto da essere definito un
Montaigne del Novecento (Ernesto Ferrero).
Com noto, La Stampa ci riporta alla dinastia degli Agnelli, e per la sua
storia e per linfluenza che ha esercitato nel campo giornalistico, politico ed
economico, stato, negli anni Sessanta, il secondo quotidiano italiano, dopo
il Corriere della sera. Il 25 gennaio 1948 muore il direttore Filippo Burzio
e Giulio De Benedetti diventa il nuovo direttore dal 1948 al 1968: con lui il
quotidiano torinese assume un carattere popolare, dedicando fra laltro atten-
zione alla politica estera occidentale e virando, in politica interna, verso il

3
Id., Opere I, a c. di Marco Belpoliti, Einaudi, Torino 1997; Id., Opere II, a c. di M.
Belpoliti, Einaudi, Torino 1997. Le citazioni da articoli e saggi, salvo diversa indicazione,
fanno riferimento a questi due testi.
4
Id., Opere I, cit, p. LXX.
374 Oretta Guidi

centro-sinistra. Tra gli obiettivi che Vittorio Valletta pose a De Benedetti fon-
damentale era recuperare come lettori gli operai della Fiat, in gran parte
abbonati allUnit. Aumenta la schiera dei commentatori liberali e radica-
li, con firme di spicco quali Paolo Monelli, Corrado Alvaro, Virgilio Lilli,
Giovanni Artieri, Panfilo Gentile. Con lavvento di Gianni Agnelli alla presi-
denza Fiat il giornale oltrepass i limiti di diffusione del Nord-Ovest per
diventare testata nazionale, e continu ad avvalersi di celebri firme giornali-
stiche: Carlo Casalegno, Alessandro Galante Garrone, Luigi Firpo, Norberto
Bobbio; e con il direttore Ronchey collaborarono letterati di fama come Pio-
vene, Ceronetti, Arpino. Il processo di sprovincializzazione iniziato con De
Benedetti continu con i direttori che gli succedettero: Alberto Ronchey dal
1968 al 1973, Arrigo Levi dal 1973 al 1978, Giorgio Fattori dal 1978 al
1986, Gaetano Scardocchia dal 1986 al 1990. Dopo le polemiche e le incer-
tezze legate alla fine del fascismo, il quotidiano torinese recuper le proprie
tradizioni liberali e laiche, e continu a rappresentare gli interessi culturali ed
economici della borghesia piemontese, comprendente in senso lato i profes-
sionisti e gli operai specializzati della Fiat.
Linteresse nei confronti del Levi giornalista nasce da varie motivazioni:
innanzi tutto la capacit di analisi e di sintesi, che egli dimostra anche nel
limitato spazio dellarticolo breve, la chiarezza democratica della prosa, di
alto livello, curatissima, di impianto classico, attenta alla parola unica, preci-
sa, con una aggettivazione a dir poco fulminante, lironia sottile e penetran-
te con la quale alleggerisce anche i temi pi scottanti e drammatici, il rispet-
to verso il lettore, sempre chiamato in causa, perch Levi espone in modo
problematico le sue posizioni, dando la possibilit di arrivare alle conclusio-
ni, senza forzature di nessun genere. Da vero illuminista, da convinto razio-
nalista cerca sempre le cause ultime, profonde dei fatti, dei moti umani:
esemplare, a tal proposito, la sua posizione nei confronti del male incarnato
dal nazismo. Egli, di fronte allorrore e alla tragicit di violenze senza prece-
denti, ha cercato spiegazioni, motivazioni, ha guardato al fenomeno di cui era
stato testimone con curiosit, con lucidit intellettuale, con acutezza di
antropologo per tentare di scandagliare un abisso senza fine. Ha rifiutato la
risposta del male metafisico, consapevole che in tal modo si sarebbe accetta-
to come inevitabile quanto era accaduto in Germania: al contrario lo scopo
dellesistenza stato sviscerare, scrivere, rendere edotti i giovani del rischio
che tutto ci che avvenuto una volta si potrebbe ripetere, ma si pu e deve
evitare.
Lasciamo ora parlare lautore che nellarticolo Perch si scrive? 5, rispon-
dendo ad un ipotetico lettore, elenca i motivi che inducono alla scrittura: 1)
Perch se ne sente limpulso o il bisogno 2) Per divertire o per divertirsi 3)

5
Id., Opere II, pp. 659-662.
Primo Levi giornalista 375

Per insegnare qualcosa a qualcuno 4) Per migliorare il mondo 5) Per far cono-
scere le proprie idee 6) Per liberarsi da unangoscia 7) Per diventare famosi 8)
Per diventare ricchi 9) Per abitudine.
In Almanacco dei cronisti del Piemonte e Valle dAosta, 1984 6, pub-
blicato larticolo Omaggio al cronista ignoto, che, come il precedente, ha un
valore programmatico. Dopo avere tracciato il ritratto del cronista tipico con
divagazioni divertite e umoristiche e dopo avere ammesso che chiediamo
troppo al povero cronista, si concede, a titolo personale, qualche raccoman-
dazione. Sono consigli sempre validi e non solo per il semplice cronista, con-
sigli a cui, lui, Levi, ha tenuto fede per tutta la vita. Vediamo questo catalo-
go, che il caso di citare, almeno in parte:

Non dimentichi mai il potere che ha nelle mani: a differenza di quanto avveniva
in tempo fascista (quando il regime vietava di dar notizia dei suicidi e degli abor-
ti), il cronista doggi ha facolt discrezionali; poich non gli possibile racconta-
re tutto, scelga lessenziale, la notizia non effimera, non futile. Non lusinghi la
morbosit del lettore; lo tratti come un adulto responsabile, anche se non sempre
lo . Eviti le stramberie di stagione, dubbie e subito dimenticate. Non finga di
aver capito quello che non ha capito: inutile virgolettare i termini di cui non
conosce il significato, il lettore non ne ricaver che unimpressione di confusione
e di estraniamento. Se lo spazio glielo consente, non trascuri il risultato delle
puntate precedenti, specialmente per quanto riguarda la cronaca politica: non
tutti i lettori leggono il quotidiano quotidianamente, e non tutti hanno una
buona memoria. E soprattutto ricordi che per quasi tutti i cittadini venire sul
giornale sgradevole, nocivo o tragico: quanto scrivere pu ledere interessi legit-
timi, violare privatezze e ferire sensibilit; ma pu anche raddrizzare torti, con-
centrare lattenzione sulle questioni pi attuali. Dobbiamo in buona parte al cro-
nista ignoto se, a partire da una decina danni, lopinione pubblica si evoluta, e
se il cittadino percepisce oggi come suoi, in tutta la loro complessit ed articola-
zione, i problemi della droga, della degradazione urbana, della delinquenza orga-
nizzata. Una cronaca civile e matura ad un tempo specchio e fondamento di
una societ civile e matura7.

Sulla leggibilit, sulla chiarezza, da non confondere con semplificazione o


genericit, sulla trasparenza e precisione Levi ha fondato la sua opera, e in
verit non si stancato di ribadire siffatta tesi in tanti interventi giornalisti-
ci. Mentre nei romanzi, pur nella tendenza verso una lingua media, presente
un alto tasso di letterariet, e una inclinazione a termini dotti ricavati dal
greco o dal latino, o, come in La chiave a stella, un indulgere verso forme dia-
lettali e regionali legate al mondo del lavoro, nel versante della pubblicistica
si nota una prosa pi sciolta, in qualche modo pi vicina alloralit. Anche

6
Ivi, pp. 1249-1250.
7
Ivi, p. 1250.
376 Oretta Guidi

quando abbandon il lavoro di chimico per dedicarsi completamente alla


scrittura (1975), continu a ricordare quale immenso patrimonio di metafo-
re lo scrittore pu ricavare dalla chimica e quanto fosse debitore al suo vec-
chio mestiere di chimico della chiarezza, della capacit di analisi. A proposi-
to di chiarezza e trasparenza di linguaggio sembra opportuno riferire una gar-
bata polemica nella quale fu coinvolto dallesuberante, oscuro (linguistica-
mente, ovvio) Giorgio Manganelli.
Primo Levi aveva pubblicato nel quotidiano torinese larticolo Dello scri-
vere oscuro (11 dicembre 1976) che provoc la risposta polemica di Giorgio
Manganelli con Elogio dello scrivere oscuro (Corriere della sera, 3 gennaio
1977): a questo Levi replic con una lettera pubblicata nel Corriere della
sera. Alleccessivo e pungente Manganelli Levi risponde con ironia e paca-
tezza, rivendicando il diritto di Manganelli di essere oscuro, mentre lui ha il
dovere di essere chiaro. Con la consueta obiettivit Levi ammette di avere
sbagliato identificando chiaro con razionalee continua dicendo: ma a
mio parere meglio essere chiari comunque, se non altro perch un messag-
gio oscuro si presta ad essere violentato (come successo a Nietzsche), e per-
ch loscurit dei politici una piaga nazionale.
Tuttavia, e Levi ne convinto, nessun scrittore in grado di decifrare fino
in fondo lessenza della propria opera perch rimane una zona dombra, qual-
cosa di inespresso, di ambiguo per lo stesso autore: ne dimostrazione che
egli, sostenitore della chiarezza e della prosa, ha poi composto dolenti poesie,
non prive di un alone di indefinito, di vago, di malessere esistenziale, di sicu-
ra impronta leopardiana8. Che poi lo scrittore torinese fosse molto aperto a
qualunque autore complesso e oscuro, purch grande, che fosse pronto a
mettersi in gioco e ad entrare negli abissi inquietanti delloscurit lo rivela
nellamore e nellammirazione senza condizioni per Kafka, cos diverso da lui,
eppure cos vicino nellinterpretare la tragedia insondabile di una impossibi-
le giustizia, nel mistero di un mondo non illuminato da nessuna presenza
divina. Tradurre Kafka stato per Levi precipitare nellincubo dellincono-
scibile, nellossessione di persecuzioni di presenze estranee, nella sofferenza:
eppure nella traduzione stato in grado di tenere una via interessante, media-
na, ovvero non rendere comprensibile lincomprensibile (come avviene nella
traduzione di Alberto Spaini), n attenersi ad una traduzione filologicamen-
te rigorosa, rispettosa ad oltranza, fino alla punteggiatura di Giorgio Zampa,
(traduzione che a parere di Levi non aiuta il lettore, non gli spiana la strada,
conserva coraggiosamente la densit sintattica del tedesco), bens si pre-
murato di salvare la snellezza del linguaggio, eliminando qualche avverbio
limitativo, alleggerendo la punteggiatura, insomma ha tentato di contempe-

8
Id., Ad ora incerta, (pp. 519-601), in Opere II, cit.; Altre poesie, settembre 1982-gennaio
1987, (pp. 605-628), in Opere II, cit.
Primo Levi giornalista 377

rare la fedelt al testo con la fluidit del linguaggio. Come al solito, ha avuto
piet del povero lettore9.
Leggendo la Piccola cosmogonia portatile di Queneau, ancora una volta, il
Levi difensore della chiarezza si vede costretto a cambiare idea di fronte ad
una storia delluniverso difficile, intraducibile, ricca di gergalismi, di bisticci
verbali, di bizzarrie di ogni tipo, eppure divertente e apprezzabile, perch
Queneau utilizza mirabilmente scienza e poesia, insomma fonde in un con-
tinuum omogeneo le troppo discusse due culture. Allora lui, Levi, conti-
nuer a scrivere in modo chiaro, mentre lo scrittore francese fa bene ad esse-
re oscuro.
Nella collaborazione di Primo Levi alla testata giornalistica La Stampa,
a Tuttolibri-Stampa, a Ha Keillah (rivista di cultura ebraica), pur nella
variet di temi legati allevento del giorno, o al dibattito in corso nel momen-
to, si nota la persistenza di alcuni argomenti, che sono stati al centro della sua
riflessione e meditazione, della sua ossessione personale; innanzi tutto egli ha
voluto: 1) testimoniare e ricordare alle nuove generazioni, anche alla luce di
nuove acquisizioni scritti, documenti le tragiche vicende dellolocausto 2)
chiarire, anche a se stesso, il senso del suo essere ebreo 3) combattere con fer-
mezza i pericolosi germi del negazionismo 4) opporsi ad ogni revisionismo
storico 5) mettere in guardia luomo dal rischio di un non controllato uso
della scienza e della tecnica. E poi numerose sono le pagine dedicate alle
memorie familiari, alle recensioni di romanzi e di film (spesso collegati ai suoi
interessi fantabiologici), alle prefazioni di romanzi o di traduzioni, ai saggi di
natura scientifica, spesso apologhi o fiabe con presenze di animali: insomma
accanto allattivit di scrittore corre parallela, di tono pi intimo, ma non
inferiore, quella di acuto osservatore della realt contemporanea. Per i lettori
il Levi giornalista stato un amico discreto, fermo, in grado di rendere acces-
sibili i grandi problemi dellumanit.
Stranamente, tuttavia, non troviamo trattati in modo diretto temi di
grande impatto morale e sociale, che negli anni Settanta e Ottanta divideva-
no e infiammavano lopinione pubblica: il divorzio, laborto, la questione
femminile. Comunque non difficile capire da che parte militasse lo scritto-
re: non parla apertamente della contestazione sessantottesca, ma esalta la fine
del principio di autorit, difende fermamente la dignit della donna, da laico
convinto e da socialista esalta la libert dello stato e si oppone ad ogni fana-
tismo religioso e ideologico.
Alcuni cenni, sia pure generici, per esemplificare limpegno civile del Levi
giornalista. In Torino, XXXI, n. 4, aprile 1955, numero speciale dedicato
al decennale della Liberazione, pp. 53-54 10 appare larticolo Deportati, anni-

9
Nota al Processo di F.Kafka, in Opere II, cit., pp. 1208-1210.
10
P. Levi, Opere I, pp. 1113-1115.
378 Oretta Guidi

versario: di fronte al silenzio del mondo civile, di fronte al silenzio della cul-
tura, che a dieci anni dalla Liberazione dei Lager tace vergognosamente, Levi
con durezza estrema analizza le cause di quel silenzio, frutto di coscienza
malsicura, o addirittura di cattiva coscienza, di quanti, chiamati ad espri-
mere un giudizio, deviano la discussione chiamando in causa varie violenze (i
bombardamenti indiscriminati, i campi di lavoro sovietici, ecc..), come se le
colpe degli altri potessero giustificare i delitti fascisti, i quali per modo e
misura, costituiscono un monumento di ferocia tale che in tutta la storia del-
lumanit non dato trovare riscontro. E neppure possiamo chiamare glo-
riosa la morte delle vittime, morte inerme e nuda, ignominiosa e immon-
da, n stata onorevole la schiavit nei lager: ci fu chi seppe subirla inden-
ne, eccezione da considerarsi con riverente stupore; ma essa una condizio-
ne essenzialmente ignobile, fonte di quasi irresistibile degradazione e di nau-
fragio morale. Da queste angosciose affermazioni possiamo intuire il dram-
ma che ha lacerato la vita dello scrittore, che in quanto uomo come i suoi
carnefici si sentito coinvolto nellinfezione che ha travolto la civilissima
Europa: Ci sentiamo anche noi cittadini di Sodoma e Gomorra. Proprio
per queste ragioni pi orrenda, pi grave la colpa dei fascisti e dei nazisti, e
sia chiaro che non dobbiamo mai accomunare vittime e assassini. Parole da
meditare, proprio in anni in cui politici e sedicenti storici tentano di mini-
mizzare o addirittura di negare il passato. Gi negli anni Settanta e Ottanta
Levi assisteva incredulo alla nascita del fenomeno del negazionismo, contro i
cui sostenitori ha scagliato parole di sdegno.
In La Stampa, 18 luglio 1959 (pp. 1116-1119) pubblicato larticolo
Monumento ad Auschwitz, in occasione della gara per la scelta del progetto di
un monumento che sorger sul luogo stesso che vide in atto la maggior stra-
ge della storia umana. Per Levi levento riveste grande importanza perch il
monumento sar testimonianza tangibile che potr parlare oggi e domani, e
fra secoli, con linguaggio chiaro, a chiunque lo visiti. Ripercorre, nel corso
di poche pagine, i luttuosi fatti che hanno funestato e ottenebrato la recente
storia europea, senza mai abbassare la tensione morale, senza mai scadere
nello scontato, anzi ogni occasione buona per scavare nella memoria, al fine
di portare alla luce nuovi personaggi, particolari, brandelli del passato atti a
confermare la veridicit del suo raccontare, e ogni scritto un modo per coin-
volgere il lettore in riflessioni sulla natura umana, sul senso della storia. Ci
che per lui suona inquietante lapparente normalit di sadici assassini che,
come testimoniato dal diario di Hoess (gi comandante del campo di
Auschwitz), parlano del loro terribile lavoro con tranquillit, e trovano nel-
lobbedienza agli ordini superiori alibi e appagamento. Secondo Levi, la fol-
lia di pochi, e lo stolto e vile consenso di molti hanno reso possibile la stra-
ge nazista. Nessuno sconto si pu fare al popolo tedesco perch per fortuna
in tutti i paesi esiste capacit di indignazione, una concordia di giudizio di
fronte a simili atrocit.
Primo Levi giornalista 379

Complesso e difficile da decifrare il suo rapporto con la Germania, con


la cultura tedesca, con gli stessi conoscenti con i quali si trov a collaborare
(si veda, per esempio, il rapporto con il traduttore tedesco di Se questo un
uomo): anche con loro si sforz di dialogare, di capire che cosa pensassero
degli eventi passati, che cosa in realt sapessero, in qual misura fossero coin-
volti nella miseria morale del paese.
Nella prefazione alledizione tedesca del suo primo libro11, rivolgendosi al
traduttore, tra laltro, dice: Per mezzo Suo posso parlare ai tedeschi, ram-
mentare loro quello che hanno fatto, e dire loro sono vivo, e vorrei capirvi
per giudicarvi.
In Il Giorno, 31 marzo 1965, Levi riferisce nellarticolo Diario di un
giovane patologo 12 la polemica nata durante la presentazione del diario di
Renzo Tomatis, edito da Einaudi sotto il titolo Il Laboratorio. Nel libro i rap-
presentanti del mondo medico universitario hanno ravvisato un attacco
allambiente medico italiano. In realt per noi, come per Levi, linteresse e
lattualit non risiedono tanto nella polemica contro lincomprensione e li-
gnavia dei colleghi dItalia e dAmerica quanto nella capacit di penetrare
fino al cuore del moderno conflitto fra le due culture. Evidentemente lo
scrittore vede riflesso nel rigore morale del giovane universitario il suo stesso
senso etico; apprezza la profonda onest del giovane ricercatore, la cui ambi-
zione esposta alle tentazioni pi violente, la cui coscienza deve resistere alle
indulgenze pi facili. Spesso lonest viene frustrata, nonostante questo la
ricerca scientifica deve appellarsi alla pi assoluta intransigenza, deve essere
mossa da una lucida perpetua ossessione, nobile in s, premio e fine a se stes-
sa, radicata nellessenza delluomo. Nella tradizione letteraria italiana non
sono certo mancati fulgidi esempi di scrittori-scienziati, e Galileo il rappre-
sentante massimo della eccezionale fusione di scienza e scrittura e del supe-
ramento di ogni divisione fra le due culture, lumanistica e la scientifica. La
sua prosa un unicum inimitabile, mezzo di altissima divulgazione: non a
caso Calvino e Levi lo avevano scelto come maestro di lingua, di prosa. La
prosa di Galileo per lucidit e originalit non ha avuto seguaci, ma stata
costante punto di riferimento. E lo stesso Levi appartiene a quellaustera tra-
dizione letteraria che pone in secondo piano retorica ed esercitazioni di bello
stile per privilegiare la verit dei fatti, delle cose, del mondo.
Tra le prefazioni di Levi o ai suoi libri o a libri altrui, una segnalazione
merita Prefazione alled. scolastica di La tregua 13, da La tregua, collana
Letture per la scuola media, Einaudi, Torino, 1965, pp. 5-10.
Lo scrittore ripercorre il passato e su tanti ricordi domina la gioia di esse-
re diventato scrittore, con la prima travagliatissima opera Se questo un uomo,

11
Ivi, pp 1136-1137.
12
Ivi, pp. 1138-1140.
13
Ivi, pp. 1141-1145.
380 Oretta Guidi

scaturita di getto, da una necessit impellente, come se si fosse scritta da sola


(nel 1946 il testo era compiuto, nel 1948 su lUnit Calvino lo recensiva
positivamente, ma solo nel 1958 giunger il successo e la fama con luscita
delledizione einaudiana); eppure la consapevolezza di essere un vero scritto-
re nasce soltanto con la composizione della seconda opera La tregua, pubbli-
cata da Einaudi nel 1963. Secondo molti critici, primo tra tutti uno dei mas-
simi interpreti dellopera leviana, Pier Vincenzo Mengaldo (insieme a Cesare
Cases), probabilmente La tregua il capolavoro leviano14.
Nel concludere la prefazione lo scrittore confessa il debito nei confronti
del primo mestiere che lo ha educato alla concretezza e alla precisione, alla-
bitudine di pesare ogni parola con lo scrupolo, di chi esegue unanalisi quan-
titativa, soprattutto lo ha abituato a quello stato danimo che suole chia-
marsi obiettivit.
Egli spesso si cimenta in recensioni di opere di cultura ebraica o di memo-
rie di sopravvissuti allolocausto: ci che si apprezza, a parte la consueta capa-
cit dialogica e argomentativa e il carattere fortemente discorsivo e razioci-
nante della scrittura, il continuo arrovellarsi di un animo che cerca di
approdare ad un giudizio storico che non potr mai essere definitivo, perch
i nessi di causa ed effetto, essenziali per le scienze, mostrano la loro inutilit
per fenomeni storici, sociali ed umani. Il determinismo nella sue forme ele-
mentari e meccaniche una tentazione da evitare e non solo per interpreta-
zioni storiche: ebbene, lo scrittore, che amava passare dalloscurit alla chia-
rezza, lo scrittore che cercava la verit, nellinterpretazione della storia rima-
ne in uno stato di sospensione di giudizio. Conserva la stessa sospensione di
giudizio quando riflette su se stesso, sulla sua formazione, sui rapporti che
regolano la vita umana: si stupisce che, dovendo riferire in La ricerca delle
radici sugli autori che pi hanno condizionato il suo iter, gli autori magici
prevalgono sui moralisti e questi sui logici: rileggere lantologia dei suoi
autori, di quelli cio che lo hanno influenzato, sia pure inconsapevolmen-
te, riserva non poche sorprese: ci sono affinit sotterranee che impossibile
decifrare. Tra laltro afferma: Con buona pace degli psicosociologi, nei con-
tatti umani non c legge: non parlo solo del rapporto autore-lettore, ma di
tutti. Io chimico, gi esperto nelle affinit fra gli elementi, mi trovo sprovve-
duto davanti alle affinit fra gli individui; qui veramente tutto possibile,
basta pensare a certi matrimoni improbabili e duraturi, a certe amicizie asim-
metriche e feconde15. Eppure scrive per cercare ordine, scrive per trovare la
logica dei fatti. In fin dei conti, un pragmatico, un darwiniano, perenne-

14
P.V. Mengaldo, La tradizione del Novecento, Einaudi, Torino, 1991, p. 310: La tregua,
che anchio ritengo il capolavoro di Levi, e in assoluto uno dei libri pi belli di questo dopo-
guerra.
15
P. Levi, La ricerca delle radici, in OpereII, cit., p. 1363.
Primo Levi giornalista 381

mente insoddisfatto di risposte che sente parziali: mai pago, continua ad


appellarsi alla ragione, in un processo di avvicinamento alla verit senza fine.
Assiste, nel corso dellesistenza, alla fine delle ideologie, ma non condivi-
de latteggiamento catastrofico di quelli che spargono lacrime sulla fine delle
ideologie, perch sa a quali eccessi abbia portato ladesione radicale e totale
ad esse. Nessun estremismo, quindi, nessuna fiducia in idee astratte che si
ammantano di nobili nomi come Patria e Dovere. Respinge ogni forma di
radicalit, perch sa che fonte di male, anche se si rende conto che si trat-
ta di unesigenza innata. In ugual misura connaturato alluomo il bisogno
di modelli, possibilmente attinti da luoghi lontani perch un modello per-
fetto per definizione e solo ci che lontano pu illuderci. Nel passato luo-
mo ha avuto lEden, il Catai, lEldorado, in tempi recenti abbiamo scelto
a modello (anche qui non senza ragione) le grandi democrazie; poi, a secon-
da del momento e delle nostre tendenze, lUnione Sovietica, la Cina, Cuba,
il Vietnam, la Svezia. La delusione storica ci ha immunizzato. Ormai non
crediamo pi ai profeti. Il domani dobbiamo costruircelo noi, alla cieca, a
tentoni; costruirlo alle radici, senza cedere alla tentazione di ricomporre i
cocci degli idoli frantumati, e senza costruircene di nuovi16. La stessa scien-
za mostra il suo volto oscuro, indecifrabile, la scienza a cui chiediamo pro-
gresso e liberazione spesso causa di tragedie e ingiustizie; la scienza, come ci
hanno ricordato i grandi scienziati, a cominciare da Ettore Majorana e da
Albert Einstein, deve essere utilizzata dai politici con rigore morale e profon-
do rispetto per luomo, affinch non diventi strumento di sopraffazione e
violenza dei popoli forti sui deboli. Eppure, e Levi ne convinto, il progres-
so non si pu fermare, e di fronte alle innovazioni tecniche il suo atteggia-
mento non n trionfalistico n pessimistico; non animato da nessuna uto-
pia negativa. A differenza di tanti autori di fantascienza non condivide il cata-
strofismo dei profeti di sventure. Il suo un forte richiamo alla vigilanza, alla
solidariet, alla vita come impegno morale. Nel breve articolo comparso in
Corriere della sera, 20 gennaio 1974 (Tecnografi e tecnocrati) lo scrittore, di
fronte ai problemi suscitati dalla grave crisi energetica che ha messo in evi-
denza gli errori assurdi della civilt tecnologica, fa ammenda di tante profe-
zie di romanzieri di fantascienza: se avevano sbagliato gli esaltatori delle
magnifiche sorti e progressive, quelli che auspicavano radiose anticipazioni
dellAnno Duemila, si erano sbagliati anche i cantori di catastrofi titani-
che. E tra questi cera anche lui. Ora corregge il tiro, e dice che non siamo
alla fine, ma se ne intravede la possibilit. Levi possiede larte di conclude-
re in maniera icastica i suoi interventi e di tenere avvinto il lettore: dopo avere
esplicato in modo discorsivo e raziocinante la tesi, conclude rapidamente,
con un ammonimento molto attuale: Non resta, a noi profeti tecnografi,

16
Id., Eclissi dei profeti, in Altrui mestiere, Opere II, pp. 853-856.
382 Oretta Guidi

che fare ammenda; ai nostri maestri, ai tecnocrati di tutti i paesi, resta il com-
pito urgente di frenare la loro folle corsa verso il profitto immediato, e di uti-
lizzare il colossale patrimonio di conoscenze che si accumulato in questi
ultimi decenni per fare dono allumanit di un destino meno precario e meno
doloroso17. Da buon giornalista sa quanto sia importante un titolo breve e
chiaro, un inizio esplicativo, ma soprattutto riassumere lessenziale dei con-
cetti alla fine dellarticolo.
Quanto sia delicato e pericoloso linquinamento nucleare si visto con il
disastro di Cernobil, e ancora una volta Levi condanna aspramente la censu-
ra in auge nei paesi totalitari, e luso spregiudicato di smentite, di silenzi
assurdi: se la stampa sovietica sbaglia perch scheletrica e lenta nellinfor-
mare, la stampa occidentale frettolosa e sensazionale. Larticolo La peste
non ha frontiere, in La Stampa, 3 maggio 1986 18, ci ricorda che di fronte ai
grandi pericoli derivati dalla civilt tecnologica e industriale tutti i paesi sono
a rischio e solo una giusta informazione e una collaborazione attiva possono
salvare lumanit. I politici innanzi tutto sono chiamati alla sincerit e alla
responsabilit: Gorbaciov di fronte agli errori umani che hanno reso possibi-
le la peste di Cernobil ha fatto male a tacere ed ha fatto bene a chiedere
aiuto. Da un uomo nuovo qual egli si mostrato si richiede un nuovo lin-
guaggio. Levi distingue la notizia dal commento: solo quando sicuro di
avere fornito al lettore i dati necessari per giudicare, offre la sua interpreta-
zione, il suo giudizio, il commento dei fatti.
Se Levi ci mette in guardia dal pericolo nucleare e dallutilizzazione spre-
giudicata della scienza, nello stesso tempo si esalta e ci coinvolge nella cele-
brazione della grandezza delluomo che si impegna per sfidare i segreti della
natura, che desidera superare i limiti e i confini della conoscenza, come ha
dimostrato con le imprese lunari: sciocco quindi porsi la domanda banalis-
sima se i soldi siano stati spesi bene. Quando lessere umano agisce mosso da
curiosit, per allargare il proprio confine, per esprimersi, per misurarsi
dobbiamo rallegrarci, perch laudacia da cui scaturita limpresa lunare
copernicana, machiavellica. Ma pi grandi imprese ci attendono egli
sostiene imprese necessarie alla nostra sopravvivenza, imprese contro la
fame, la miseria, il dolore19. Lalto senso di moralit dello scrittore ha il so-
pravvento su altre pur profonde considerazioni: a lui sta a cuore il futuro di
tutti gli uomini, la dignit di ogni essere umano, al di l della singola azione
eroica. Non solo lintelligenza del singolo, leroismo del supereroe che lo
affascina, bens lo attanaglia il futuro di tutti noi, in quanto uomini. Da Levi
ci venuta una grande lezione di civilt, di democrazia.

17
Id., Opere I, p. 1183.
18
Id., Opere II, pp. 1301-1303.
19
Id., La luna e luomo, Opere II, pp. 926-928.
Primo Levi giornalista 383

In Gli incontri nei Kibbutz, pubblicato in Resistenza. Giustizia e Liber-


t, XXII, n. 4 aprile 1968, in occasione di un viaggio nello stato di Israele,
Levi con commozione, non disgiunta tuttavia dal consueto senso critico,
comunica impressioni, e osservazioni su quel giovane paese cresciuto in
mezzo a spaventosi problemi, interni e esterni; con mano sicura, da vero
giornalista, riassume i problemi della gente, traccia note di colore, e soprat-
tutto, da osservatore obiettivo, non tralascia di dire che Israele talvolta ha
sbagliato, forse sta ancora sbagliando. Lamore per il mondo ebraico non gli
fa velo: lo scrittore ha spesso criticato con forza e con il dolore disilluso di chi
crede nella giustizia la politica di sopraffazione dei falchi, di quegli uomini
che usano le armi della violenza contro i palestinesi, quella violenza che essi
stessi, gli ebrei, avevano subito recentemente nei lager. Comunque in questo
articolo del 1968 aleggia ancora la gioia nel vedere i lavoratori nei Kibbutz,
che rappresentano unaristocrazia intellettuale, tecnica e spirituale a un
tempo. E Levi pu concludere il suo intervento con parole di condivisione e
di approvazione: Si respira il microcosmo e lutopia: ma unutopia, forse
lunica, che si realizzata, si nutre di se stessa da ormai molti decenni, ha por-
tato frutto e non ha provocato vittime20.
Da l a poco lutopia di una societ giusta, di un paese in pace allinterno
e con i vicini palestinesi mostrer gravi limiti; lo scrittore confermando doti
di giornalista lucido, disinteressato, amante della verit, afferma che Israele
frutto di un errore storico, e nel 1982 prende una posizione fortemente cri-
tica, di sdegno e vergogna, nelludire la notizia dellinvasione del Libano e dei
massacri nei campi palestinesi di Sabra e Chatila: in La Stampa, 24 giugno
1982, pubblica Chi ha coraggio a Gerusalemme? 21, dove si mescolano senti-
menti contrastanti, da una parte angoscia e vergogna per lindegna politica di
Begin, che fa di tutto per far assimilare i generali israeliani ai nazisti, e dal-
laltra amore e lacerazione per un Paese che egli vede come seconda patria,
amore per un Paese che egli vorrebbe diverso da ogni alto paese. Il proble-
ma palestinese sotto gli occhi di tutti, ma se sbaglia grandemente Begin,
non si pu, secondo Levi, risolvere il problema come vorrebbe Arafat, cio
negando ad Israele il diritto di esistere. Grande in lui il rimpianto per la
politica moderata di Sadat.
La sua partecipazione alla vita culturale, malgrado il naturale riserbo, fu
costante e viva, come testimoniano gli scambi di opinione con scrittori e in-
tellettuali coetanei (privilegiato il rapporto con Calvino che egli ammirava e
amava profondamente sia per vicinanza di sensibilit sia per il comune inte-
resse per problematiche scientifiche: Calvino era affamato di scienza, rispet-
toso con Pavese, ma non approfondito per la timidezza di entrambi; amiche-

20
Id. Opere II, p. 1174.
21
Ivi, pp. 1171-1172.
384 Oretta Guidi

vole con Bobbio, cordiale con Giulio Einaudi che ebbe con lui un colloquio
per future collaborazioni anche due giorni prima della tragica fine, di com-
plicit con gli scrittori sopravvissuti, come lui, al lager,) e come si evince dal-
lattenzione rivolta alle novit letterarie e al cinema. A questo proposito, nel-
lattivit di recensore cinematografico, infastidito dalla volgare mercificazio-
ne del corpo femminile, utilizzato a piene mani in film di argomento nazista,
si chiede fino a quando si dovr sopportare un fenomeno che non accenna ad
esaurirsi: in Film e svastiche, in La Stampa, 8 settembre 1977 22, Levi consi-
dera un manufatto di discreto livello Il portiere di notte, artigianato equi-
voco Salon Kitty, e condanna in blocco la falange di film porno-nazisti. Sa
benissimo, peraltro, che la censura sarebbe inutile, in quanto metterebbe in
moto un meccanismo pericoloso, boicottando i film intelligenti e lasciando
via libera a prodotti osceni, purch idioti e inoffensivi. Lunica difesa sarebbe
una sana educazione sessuale scolastica, ma per questa ci vuole tempo.
Lincontro a Venezia con Mario Soldati fornisce loccasione per uno scam-
bio di osservazioni fra i due scrittori dopo la visione del film Incontri ravvi-
cinati del terzo tipo. Levi si rivela spettatore e critico sottile, in grado di sman-
tellare trucchi e ingenuit: in fondo il film gli sembrato opera pi dastu-
zia e di ricerca di mercato che di ispirazione profonda; insomma lo spettato-
re tipo a cui si rivolge piuttosto americano che europeo. Invece Odissea
nello spazio, a suo parere, si rivolgeva ad uno spettatore pi smaliziato.
Analitica e interessante la recensione del libro Olocausto di Gerald Green,
da cui stato tratto il filmato televisivo Olocausto, a puntate23. A parte altre
considerazioni, allo scrittore interessa la massiccia divulgazione operata dal
filmato televisivo, positivo e rispondente a realt, ma non si nasconde lallar-
me di fronte ad un paese in cui la televisione fosse voce esclusiva dello stato,
non sottoposta a controlli democratici n accessibile alle critiche degli spet-
tatori. Se intravede i pericoli insiti nel mezzo televisivo, se usato in modo
non democratico e non controllato, non si nasconde la potenza delle imma-
gini, consapevole che ormai il pubblico, soprattutto quello giovanile, sem-
pre meno propenso a fruire dellinformazione scritta, anche perch in certi
casi le parole da sole non bastano. Per questo anche la fotografia occupa un
posto essenziale per sensibilizzare lopinione pubblica, e lo scrittore in occa-
sione di una mostra fotografica sui Lager ne ha una riprova24. Sempre in tema
di recensioni filmiche 25 Levi, dopo avere letto il romanzo di J. Rosny La
guerra del fuoco, si precipita a vedere il film e rimane deluso dal modo ridi-
colo e goffo con cui sono rappresentati i nostri progenitori; critica i due con-

22
Id., Opere I, pp. 1217-1218.
23
In La Stampa, 20 maggio 1979, Opere I, pp. 1268-1271.
24
Perch rivedere queste immagini, in Triangolo Rosso, n. 3-4, marzo-aprile 1985, Opere II.
25
Non erano animali i primi antenati, in La Stampa 14 marzo 1982, Opere II, pp. 1168-
1170.
Primo Levi giornalista 385

sulenti Antony Burgess e Desmond Morris, accusando luno di superficialit


e sciatteria, laltro di ambiguit. La libert di giudizio dello scrittore non si
smentisce in nessuna circostanza: sia che parli di scienza sia che affronti argo-
menti vicini al grande pubblico sia che analizzi un testo letterario o prenda
in esame problemi politici mostra notevoli capacit di analisi, una prepara-
zione specifica sullargomento, prontezza nello smantellare il luoghi comuni
(Leccezione non conferma la regola, ma confonde le idee), vivacizzando la
scrittura con osservazioni leggere ed umoristiche. La seriet dei problemi che
egli tratta viene in ogni caso stemperata dalle qualit di garbato affabulatore,
di narratore di cose vissute, osservate con attenzione. Si muove con disinvol-
tura tra problemi di carattere scientifico e di riflessione filosofica, senza
dimenticare che sta parlando ad un pubblico di non addetti ai lavori e riesce
ad essere divertente, chiaro, esauriente; stigmatizza paure e superstizioni, da
buon illuminista, ironico verso le mode (si veda per es. la mania di inter-
pretare tutto alla luce della psicanalisi), prende garbatamente in giro gli eco-
logisti oltranzisti, ricordando che la natura non n amica n nemica, ma che
ancora pu insegnarci tanto. Il fantascientifico Levi, cos amante dello speri-
mentalismo linguistico, in realt nei confronti di sperimentazioni nei con-
fronti della natura si rivela cauto, prudente perch sa quale potere immenso
essa possieda, e sa a quali rischi morali esponga luomo. Soprattutto sulleu-
genetica rivolge un invito alla cautela, anche se non ha obiezioni di princi-
pio contro leugenetica, nel caso in cui essa riuscisse ad ottenere unumanit
pi intelligente, pi robusta, mentre scettico sullutilit dellesperimento
effettuato a Napoli per predeterminare il sesso: modificare il naturale equili-
brio fra sessi stupido e nocivo, e se prendesse piede potrebbe creare un
artificiale problema demografico26.
Quando tocca argomenti nevralgici per la vita del Paese duro, secco,
implacabile: sulla Resistenza non ha dubbi, sicuro che gli italiani tendano a
dimenticare, convinto che la Resistenza sia un processo non concluso, non
metabolizzato. Altrettanto perentorio il giudizio sulle Brigate rosse: non
sono eredi del movimento operaio, non hanno nulla a che vedere con que-
sto. In Tutti capiscano chi sono le BR, (in La Stampa 10 maggio 1978) Levi
commenta la tragedia di Aldo Moro, (senza mai nominarlo) rapito il 16
marzo del 1978; in una paginetta stringata, concitata, veemente riassunto
lo sconforto di un paese; condanna senza mezzi termini linefficienza, linsi-
pienza con cui si fatto fronte alla folle eppure lucida protervia delle Brigate
rosse. Le colpe sono delle istituzioni e di tutti i cittadini: Levi non fa sconti
a nessuno, perch tutti siamo chiamati a vigilare, a controllare dal basso, ad
esercitare il diritto a non chiudere gli occhi di fronte alle trasgressioni.
Ammonisce fermamente quei pochi che li credevano compagni di strada.

26
Io lo proibirei, in La Stampa, 2 dicembre 1986, Opere II, p. 1309.
386 Oretta Guidi

Anche in questo breve intervento si conferma, nel titolo, contrariamente ad


una consolidata abitudine giornalistica alla forma nominale, pi breve, la
preferenza per la frase completa di verbo, proprio per offrire immediata com-
prensione del testo.
Ogni forma di lassismo colpita duramente, e in particolar modo lo ama-
reggia ci che sta accadendo in Francia, dove si permette addirittura ad un
professore universitario, tal Robert Faurisson, di affermare che fascismo e
nazismo sono stati denigrati, che tutto stato una montatura messa in atto
dagli ebrei. Che qualche pazzo in malafede neghi la storia orribile, pi anco-
ra che lautorit scolastica e lautorit giudiziaria non levino la mano per pro-
testare. Ritornano frequentemente i nomi tristemente noti di negazionisti
francesi, in particolare di Louis Darquier de Pellepoix gi commissario
addetto alle questioni ebraiche preso il governo di Vichy, e del professore
Robert Faurisson: Levi analizza il senso di colpa di unintera generazione ed
osserva che la colpa fastidiosa, ed raro che induca allespiazione. Tuttavia
la colpa pi pesante in Francia ricade su Le Monde, che insiste a pubblica-
re la spazzatura di Faurisson, e a ben vedere dietro queste manovre si occulta
la Francia antidemocratica, lanima della Francia che ha spedito Dreyfus alla
Guaina, ha accettato Hitler e seguito Ptain27. La Francia e la Germania
sono i paesi europei che pi lo preoccupano per i rigurgiti di connivenza con
il passato nazista. Per lui il pericolo si annida nel razzismo strisciante che
intuisce sopito, ma non spento: non saremo al sicuro finch non avremo
debellato i germi di questo male. Gli italiani, dopo lesperienza fascista, a suo
parere, dovrebbero ormai essere immunizzati da tentazioni reazionarie, pro-
prio in virt del naturale scetticismo e della mancanza di fanatismo di un
popolo che, nato dallincrocio di tante razze, crocevia di tante culture, do-
vrebbe essere estraneo allintolleranza razziale.
Come si precedentemente detto, appare difficile considerare solo gior-
nalismo i saggi leviani: si tratta di meditazioni profonde che vanno dalle
memorie personali e familiari a testi riguardanti osservazioni scientifiche, cri-
tica letteraria ecc In Laltrui mestiere possibile verificare la variet degli
interessi di Levi: passa da una rilettura delle opere dellamato Huxley al lin-
guaggio degli odori, da unoriginale pagina critica sulla errata gestualit del
Renzo manzoniano (Il pugno di Renzo) alle ataviche paure nei confronti degli
animali (pipistrelli, ragni, topi) che da sempre sono presenti nelluomo, da
consigli di lettura e scrittura ad un giovane lettore a riflessioni linguistiche e
sociologiche suggerite da un viaggio a New York (Tra le vette di Manhattan).
Ci che ci rimane dopo la lettura di tante pagine lo stupore di Levi di fron-
te al mistero della natura, il desiderio di novit e la capacit di anticipare i
problemi del futuro, la curiosit intellettuale di chi sa apprezzare il microco-

27
In La Stampa 19 gennaio 1979, Opere I, pp. 1253-1257.
Primo Levi giornalista 387

smo e il macrocosmo, senza mai dimenticare che luomo misura di tutte le


cose. Ci ha lasciato uneredit cospicua non solo per mole, per profondit e
ricchezza tematica, ma, ricordandoci con le parole di Rabelais che la condi-
zione umana sospesa tra il fango e il cielo, tra il nulla e linfinito ci ha invi-
tato allequilibrio, alla misura, allimpegno civile.
MARIAGIOVANNA ITALIA

Lintelligenza del mondo e lagonia delluomo


negli scritti giornalistici di Mario Luzi

La stampa troppo spesso uno specchio deformante in cui


gli uomini e gli avvenimenti ci appaiono ingranditi o
rimpiccioliti a seconda dei casi. E poi [] tutto quello che
c sotto quasi sempre ci sfugge.
Marguerite Yourcenar1

Cercando la continuit delle cose del mondo. Cronologia di unattivit giorna-


listica che attraversa un intero secolo

Dovendo rispondere ad una sollecitazione del giornalista Doriano Fasoli


sul valore dei giornali, Mario Luzi (Firenze 1914-2005), instancabile poeta
che ha attraversato con la sua opera quasi per intero il secolo scorso, svela di
non leggere assiduamente alcun quotidiano o rivista, ma, posandovi lo sguar-
do con frequenza, limpressione che ne ricava che la Yourcenar abbia ragio-
ne: in genere prevale limpressione di una arbitraria attribuzione o sottra-
zione di valore alle cose, agli accadimenti, mentre viene trascurata una pi
profonda visione della successione e della continuit delle cose del mondo2.
dunque per analizzare e restituire la personale lettura di tale continuit
che Luzi decide, sin dai suoi primi anni di attivit poetica, di collaborare a
quotidiani e riviste, per quanto operando pi da intellettuale che da giorna-
lista. Porre in rilievo codesta distinzione utile non tanto per ridurre a una
qualche categoria il carattere degli oltre trecento interventi del poeta, quanto
per rintracciare in questi le connessioni tra il mezzo despressione della scrit-
tura giornalistica e la temperie culturale che lha generata.
I primi interventi giornalistici di Luzi in settimanali o quindicinali risal-
gono agli anni Trenta. Il primo articolo compare nel 1933 nella pagina cul-

1
M. Yourcenar, Ad occhi aperti. Conversazioni con Mathieu Galey, Bompiani, Milano
1989, p. 107.
2
M. Luzi, Spazio stelle voce. Il colore della poesia, Leonardo, Milano 1991, p. 47.
390 Mariagiovanna Italia

turale del settimanale pistoiese Il Ferruccio3 dove pubblicavano, tra gli


altri, i giovanissimi Bigongiari e Macr e indaga il rapporto tra il paesaggio
e lo stato danimo in Chateaubriand4. A quellaltezza, Luzi aveva composto
soltanto una delle liriche che poi sarebbero comparse nella sua prima raccol-
ta di poesie, La barca 5, pubblicata nel 1935. Se la vera destinazione di una
rivista [] al pari di un giornale , come sostiene Benjamin, rendere
noto lo spirito della sua epoca6, risulta alquanto interessante illustrare la
natura dei periodici, quasi tutti fiorentini, su cui Luzi pubblica nel periodo
che va dal 1933 fino alla fine della seconda guerra mondiale. I primi articoli
non compaiono infatti soltanto su periodici come Il Ferruccio e Il
Bargello7, entrambi settimanali creati dalle federazioni fasciste toscane, che
avranno vita fino al 1943 e su cui Luzi pubblicher rispettivamente cinque
articoli dal 1933 al 1935 e altri cinque negli anni 1937-1938, o Il Ventuno.
Domani8, bisettimanale romano che prendeva le mosse da una rivista del
GUF veneto pubblicato nel 1941, su cui appariranno due articoli; bens, e
soprattutto, su riviste che non tarderanno a manifestare la loro ideologia anti-
fascista, come Campo di Marte9 e il milanese Corrente di Vita giovani-
le10, passato allantifascismo grazie alla direzione di Banfi, entrambi quindi-
cinali sorti nel 1938 e soppressi dal regime fascista un anno dopo; o ancora
le riviste a carattere pi strettamente letterario come Letteratura11, la quale

3
Il Ferruccio, settimanale della Federazione pistoiese dei Fasci di combattimento, Pistoia
1932-1943, diretto da Braccio Agnoletti.
4
M. Luzi, Paesaggio di poeta, Il Ferruccio, 22 luglio 1933, p. 3. In verit, larticolo era
gi comparso precedentemente su La Rivista Universitara. Ora consultabile in Id., Prima
semina. Articoli, saggi e studi (1933-1946), Mursia, Milano 1999, pp. 25-26; la raccolta, a cura
di Marco Zulberti, presenta unesaustiva bibliografia dellopera saggistica di Luzi che ha il
merito di includere anche i titoli degli articoli su riviste e quotidiani fino al 1995 (a differen-
za della bibliografia stilata da Stefano Verdino in appendice a M. Luzi, Lopera poetica,
Mondadori, Milano 1998) e a cui questo saggio debitore.
5
Id., La barca, Guanda, Modena 1935. Successivamente, grazie al ritrovamento nel 2001
degli autografi de La barca, il curatore Stefano Verdino ha portato alle stampe 31 poesie ine-
dite risalenti agli anni 1933-35 (Id., Poesie ritrovate, Garzanti, Milano 2003).
6
W. Benjamin, Annuncio della rivista: Angelus novus [1922], in Id., Il concetto di critica
nel romanticismo tedesco. Scritti 1919-1922, Einaudi, Torino 1982, p. 173.
7
Il Bargello, settimanale della Federazione Provinciale Fasci Fiorentini, Firenze 1929-1943.
8
Il Ventuno. Domani, bisettimanale, Roma 1941, prosecuzione de Il Ventuno,
Bellini, Venezia 1934-1941.
9
Campo di Marte, quindicinale di azione letteraria e artistica, Vallecchi, Firenze 1938-
1939, diretto nominalmente da Enrico Vallecchi, in realt dai redattori Alfonso Gatto e Vasco
Pratolini.
10
Corrente di Vita Giovanile, quindicinale di letteratura, arte, politica, Moneta, Milano
1938-1939, fondato da Ernesto Treccani.
11
Letteratura, trimestrale di letteratura contemporanea, Firenze 1937-1947, divenuto
poi, dopo una lunga pausa, bimestrale di lettere e di arte contemporanea, De Luca, Firenze-
Roma 1953-1968.
Lintelligenza del mondo e lagonia delluomo negli scritti giornalistici di Mario Luzi 391

raccoglieva leredit di Solaria, e il romano La Ruota12 degli anni Quaran-


ta, che da mensile di politica e letteratura, fondato dal fascista Meschini nel
1937, diviene un mensile di letteratura e arte di stampo antifascista a partire
dal 1940.
La contrapposizione ideologica che caratterizza i periodici su cui per un
decennio Luzi pubblica pi di quaranta contributi (si aggiungano, per com-
pletezza del quadro, il mensile Il Frontespizio13, di area cattolica, il quindi-
cinale Incontro14 e il mensile Prospettive15) non da immaginare come
elemento indifferente al poeta, ma anzi comprensibile se si tiene conto di
due ragioni. La prima che Luzi, come confessa egli stesso in molteplici
interviste, in questo clima politico in cui il fascismo prendeva sempre pi vio-
lentemente piede, dapprima si ritenne distante dallideologia fascista, ma non
del tutto avverso, anzi in parte incuriosito, perlomeno fino a quando il regi-
me italiano non si nazific16, cos come accadde a partire dalla guerra di
Spagna. La seconda che quelli erano gli anni in cui il poeta, come altri intel-
lettuali a lui coetanei, pi che assumere con forza su di s il rovello politico,
si sentiva investito dallurgenza di cercare di battere ragioni forti, valevoli a
giustificare unattivit che sentiv[a] inevitabile17, ovvero lattivit del lettera-
to, del poeta. Non a caso gli articoli e i saggi prodotti in questi anni sono
caratterizzati quasi esclusivamente da temi legati alla natura della poesia e a
ritratti di poeti e scrittori (Campana, Bilenchi, Rilke, Serra, Valry, DAn-
nunzio, Gide, Bontempelli, Maulnier).
A partire dal 1945, nel pieno clima del dopoguerra, Luzi, in parte, soprat-
tutto allinterno della rivista Paragone18, continua a pubblicare note dedi-

12
La Ruota, mensile di politica e letteratura, Superstampa, Roma 1937-1940, poi men-
sile di letteratura e arte, 1940-1943. Nasce sotto legida del fascismo per volont del fondato-
re Mario Alberto Meschini, ma si trasforma in una rivista di carattere decisamente antifascista
con la comparsa nel comitato redazionale di Mario Alicata, Carlo Muscetta, Antonello
Trombadori, Giuliano Briganti e Guglielmo Petroni.
13
Il Frontespizio, mensile, Lindustria tipografica, Firenze 1928-1940. Fino al 1937 era
un bollettino bibliografico mensile della Libreria Fiorentina Editrice.
14
Incontro, quindicinale, Vallecchi, Firenze 1940.
15
Prospettive, mensile di cultura e arte, Firenze 1936-1943, fondata da Curzio
Malaparte.
16
M. Luzi-M. Specchio, Luzi, leggere e scrivere, Nardi, Firenze 1993, p. 14, poi in M. Luzi,
Colloquio. Un dialogo con Mario Specchio, Garzanti, Milano 1999, p. 17: io non posso dire di
essere stato un antagonista rigoroso fin dallinizio; avevo una posizione piuttosto scettica, per
ero molto incuriosito anche per il consenso che aveva allora il regime da parte del popolo che
sembrava in gran parte aderire, aspettare qualcosa. []. Poi le cose cambiarono perch il fasci-
smo si nazific. Cfr. anche p. 27.
17
Id., Presentazione, in Id., Prima semina, cit., p. VII.
18
Paragone, rivista mensile di arte figurativa e letteratura, Sansoni, Firenze 1950, fon-
data da Roberto Longhi e tuttora in vita suddivisa in Paragone. Arte e Paragone. Lettera-
tura.
392 Mariagiovanna Italia

cate ad autori italiani e stranieri (sar la volta di Nievo, luard, Bertolucci,


Dickinson, Stendhal, Lab), in parte d vita ad unanalisi delluomo moder-
no del Novecento nelle pagine di Societ19 e Il Mondo20, con articoli e
saggi che risentono sia della sua riflessione politica sulla distanza che nel
mondo contemporaneo separa la cultura dalla vita, sia di elementi analitici e
filosofici che delineeranno i tratti della sua futura poetica e che, non a caso,
andranno a confluire in raccolte successive, significative per comprendere lo
sviluppo del pensiero e della poesia dellautore fiorentino21.
Al biennio 1954-1955 appartengono poi una serie di interventi sul men-
sile La Chimera22 che manifestano la piena aderenza di Luzi alle polemiche
letterarie e culturali in scena nellItalia antecedente al trambusto che lanno
successivo avrebbe causato crisi di carattere politico ed etico in molti scritto-
ri di sinistra23. Sono gli anni in cui acceso il dibattito intorno alla questio-
ne del realismo, ritornato con forza nella letteratura italiana attraverso la
scrittura neorealista, portato alla ribalta anche dalla diatriba consumatasi tra
le pagine del Politecnico tra Vittorini e Togliatti sul rapporto della cultura
con la politica e che avrebbe di l a poco acceso i riflettori intorno al roman-
zo Metello di Pratolini fino a cedere il posto alle nuove questioni politico-
sociali e letterarie degli anni Sessanta. Luzi interverr con poco meno di una
decina di articoli anche questi confluiti successivamente nella raccolta di
saggi Tutto in questione 24 in un polemico e serrato dialogo con Gianni
Scalia, che gli risponde dalle pagine di Officina25. Qui Luzi chiarir come
il suo concetto di realt, trasfigurata nella poesia attraverso la memoria,
secondo la declinazione fattane da Leopardi e rielaborata mediante Mallarm,
finisca per coincidere con la verit della natura e non con il concetto razio-
nale di realt letto in seno al realismo: per Luzi la realt non coincide con
i dati, i particolari viventi del mondo, bens nella natura percepita con
purezza, nella sua voce profonda e continua che informa i linguaggi degli
uomini26.

19
Societ, trimestrale comunista, Marzocco, Firenze 1945-1949, poi Einaudi, Torino
1950-1956 e infine Parenti, Milano 1957-1961.
20
Il Mondo, quindicinale di lettere, scienze, arte, musica, Firenze 1945-1946.
21
In particolare si fa qui riferimento alle raccolte di saggi M. Luzi, Linferno e il limbo,
Marzocco, Firenze 1949, Id., Vicissitudine e forma, Rizzoli, Milano, 1974 e Id., Naturalezza
del poeta. Saggi critici, Garzanti, Milano 1995.
22
La Chimera, mensile darte e di letteratura, Vallecchi, Firenze, 1954-1955.
23
Si fa qui riferimento al XX Congresso del PCUS, al rapporto segreto di Krusciov e alle
crisi in Ungheria e in Polonia che caratterizzarono lanno 1956 e allo smarrimento e alla delu-
sione che tutto ci provoc tra gli intellettuali italiani.
24
Id., Tutto in questione, Vallecchi, Firenze 1965.
25
Per il dibattito tra Luzi e Scalia su Officina, cfr. M. Merlin, Il peccato originale di Luzi,
in Atelier, II, 8, dicembre 1997, pp. 20-25.
26
M. Luzi, Dubbi sul realismo poetico, in La Chimera, I, 4, luglio 1954, p. 4.
Lintelligenza del mondo e lagonia delluomo negli scritti giornalistici di Mario Luzi 393

Negli ultimi mesi del 1955 inizier una nuova fase giornalistica di Luzi, il
quale si trover a misurarsi per la prima volta con lincarico affidatogli da
Giuseppe De Robertis di gestire una rubrica mensile nel settimanale mila-
nese Tempo27. La rubrica si intitola Il libro straniero e diventa sede pri-
vilegiata per il Luzi critico della letteratura straniera; difatti, mentre De
Robertis si occupa della produzione letteraria italiana, al poeta fiorentino
viene assegnato il compito di occuparsi della letteratura doltralpe europea
e, in qualche sparuto caso, extraeuropea e di prestare attenzione alle novit
editoriali. Questa operazione, durata ben dieci anni (1955-1965) e comple-
tata, pi che intervallata, da qualche articolo comparso su Letteratura e
Paragone28, riveler il volto del critico teso a scandagliare i percorsi interio-
ri di uno scrittore e a lasciarsi guidare dalla lettura dei testi senza imporre
alcuna teoria della letteratura, ma indagando piuttosto lelemento originario
che permette ad un autore di trovare, a una certa temperatura vicina allin-
candescenza, la sua propria poesia, e dunque il suo proprio linguaggio29.
I due articoli comparsi su Tempo nel febbraio del 1958, Storia poetica
del Sud America 30, recensione dellantologia Poesia ispanoamericana del 900,
curata da Francesco Tentori, e nel marzo del 1960, Una fantasia pitagorica 31,
dedicato alla comparsa in Italia della traduzione dellAleph di Borges, sem-
brano spia di quella che sar una nuova importante fase dellattivit giornali-
stica di Luzi, caratterizzata per la prima volta dalla collaborazione con i quo-
tidiani. Difatti, a partire dal 1967, il poeta sar impegnato in una ricogni-
zione letteraria del continente latinoamericano attraverso un assiduo lavoro
che va oltre la recensione e che presenta per la prima volta in Italia, e in
maniera pi esaustiva di quanto abbia fatto ogni altro lettore e critico del
tempo, il fenomeno della letteratura ispanofona e lusofona dellAmerica del
Sud. Dal 1967 al 1974 sul Corriere della Sera e dal 1973 fino al 1987, sep-
pur con una frequenza pi rada, sul Giornale, Luzi, con pi di sessanta arti-
coli, introduce i lettori italiani a ben 29 scrittori e poeti latinoamericani; lo-
perazione che compie, protrattasi per circa un ventennio32, non si risolve sol-

27
Tempo, settimanale, Milano 1955-1977, diretto da Arturo Tofanelli. I novanta arti-
coli comparsi nellarco di dieci anni (1955-1965) sulla rivista sono adesso raccolti in Id., Le
scintille del Tempo. Dieci anni di critica luziana, Le Lettere, Firenze 2003.
28
Si tratter in tutto di nove articoli in dieci anni, ai quali vanno aggiunti due articoli su
LEuropa letteraria (bimestrale, Roma 1960-1965) e uno su LApprodo letterario (trime-
strale di lettere e arti, Roma 1958-1977).
29
Id., Linguaggio tragico, in Tempo, 20 ottobre 1965. Per un profilo di Luzi critico let-
terario sulle pagine del Tempo, cfr. E. Moretti, Luoghi di una critica dellanima, in M. Luzi,
Le scintille del Tempo, cit., pp. 5-13.
30
M. Luzi, Storia poetica del Sud America, in Tempo, 20 marzo 1958.
31
Id., Una fantasia pitagorica, in Tempo, 1 marzo 1960.
32
Fuori da questi quotidiani, Luzi scriver fino al 1987 soltanto altri dodici articoli di cui
tre su La Nazione (uno dei quali dedicato a Borges), due su Il Bimestre, uno su Opera
394 Mariagiovanna Italia

tanto in una presentazione dei testi e dei loro autori, bens, attraverso la let-
tura e la riproposizione critica dei temi e degli stilemi di ogni singolo autore,
in una ricerca affannosa e temeraria dei tratti di universalit in grado di
assum[ere] legittimamente il contegno di una Weltliteratur33.
Infine, gli ultimi ventanni di vita di Luzi sono stati caratterizzati da una
produzione giornalistica pi sporadica che, sulle pagine di vari quotidiani
(La Nazione, LUnione Sarda, Il Gazzettino, Il Resto del Carlino, Il
Mattino, Avvenire, La Voce del Campo, Il Sole-24 ore, lUnit) e di
alcune riviste (Critica dArte, Nuova Antologia, Rivista di ascetica e
mistica Maieutica, Dialogica, Studi Romani, Letture), ritornata ad
occuparsi quasi esclusivamente di riflessione sulla poetica, con qualche arti-
colo di presentazione di mostre e con sempre pi frequenti articoli di com-
memorazione di poeti ed intellettuali amici o vicini che il vegliardo poeta
della terrestrit vedeva lentamente andar via.

La poetica dellazione e la ricerca dellumano

Cos recitano alcuni versi di una lirica composta da Luzi nel 1935 e che
sarebbe poi confluita nella sua primeva raccolta La barca: Amici dalla barca
si vede il mondo / e in lui una verit che procede / intrepida, un sospiro
profondo / dalle foci alle sorgenti34. E in una precedente stesura autografa si
ritrovano questi versi poi espunti: Amici, battete con mano fida e pudibon-
da / alle porte tranquille dellessere, amate la terra, / navigate i suoi fiumi
entusiasti35. Laggiunta del motivo della barca nella versione finale della liri-
ca, sostitutivo di quello del sogno presente nella prima, come se aggiunges-
se una distanza visiva e prudente dal mondo, o, per meglio dire, un punto di
vista privilegiato per guardare in faccia la verit intrepida del mondo. In
fondo, da quei primi anni di apprendistato poetico ed intellettuale fino agli
ultimi giorni di vita, altro il poeta non ha fatto se non occuparsi delle cose
del mondo e gran parte della sua produzione giornalistica ne d riprova,
anche quando oggetto del suo dibattere un testo o uno scrittore. possibi-
le per rintracciare in maniera pi precisa il filo attraverso cui Luzi affida alle
pagine dei giornali la sua riflessione vigile sinopia del grande affresco della

aperta, uno su LApprodo letterario, uno su Critica darte, uno su Paragone, uno su Il
Messaggero, uno su Rinascita e uno sul Giornale di Sicilia.
33
Id., La letteratura latinoamericana: una Weltliteratur, in F. Mogni (a cura di),
Latinoamericana. 75 narratori, Vallecchi, Firenze 1974. Gli articoli che in questi anni Luzi
dedica alla letteratura del Sud America sono stati raccolti, con la curatela di S. Verdino, in Id.,
Cronache dellaltro mondo, Marietti, Genova 1989.
34
Id., La barca, cit., pp. 31-32, vv. 13-16.
35
Lintero autografo riportato in S. Verdino, Apparato critico, in M. Luzi, Lopera poeti-
ca, cit., p. 1331.
Lintelligenza del mondo e lagonia delluomo negli scritti giornalistici di Mario Luzi 395

sua opera poetica intorno al mondo contemporaneo e alluomo del Nove-


cento, costretto a vivere la divaricazione tra lagire politico e il sentire cultu-
rale.
Gi nel 1935 ben tre articoli vanno esplicitamente in questa direzione. Il
primo, pubblicato su Il Ferruccio porta il programmatico titolo Caratteri
delle rivoluzioni 36 ed unappassionata disamina delle forme rivoluzionarie,
di quelle perpetue, appartenenti al divenire della storia, e di quelle deter-
minate da un preciso momento storico; di quelle che rispondono ad una
forza storica e di quelle che sorgono per volont di un singolo individuo; di
quelle costruttiv[e]: quindi programmatic[he]; quindi densamente dottrina-
ri[e] e di quelle che si risolvono in pura e vana sommossa; di quelle poten-
ziali e di quelle attuali; giungendo alla conclusione che possibile distin-
guere le rivoluzioni (e giudicarne lefficacia) non soltanto in base al loro
movente o al loro fine, ma soprattutto in base al mezzo utilizzato. Si profila
dunque quella che chiameremo qui la teoria dellazione di Luzi: in tutti i suoi
scritti spira una netta volont di invitare luomo contemporaneo ad agire, ma
assumendo il chiaro compito di indicare il binario su cui lazione deve viag-
giare per giungere con efficacia al suo scopo.
Qualche mese dopo, con due articoli pubblicati su Il Frontespizio, con-
tinua lesortazione di Luzi. Nel Sangue bianco 37 Luzi denuncia la societ
moderna occidentale la cui coscienza ritiene malata e lazione atrofica, poi-
ch priva della suscettibilit derivante dalla passione. Luzi lamenta non
tanto la poca partecipazione, quanto una partecipazione priva di sentimento
agonico: agli uomini incapaci di scendere al fondo di una passione [che] non
cercheranno nel mondo le cose [], non manca lazione, ma il sentimento
dellazione: quello che deriva direttamente da una fede accolta e nutrita con
calore. Ancora una volta, per Luzi dunque il problema posto sul modo e
sulla via su cui corre lazione: se questa non delimitata da una reale passio-
ne, che sentire e patire insieme, non sortir alcun reale e significativo effet-
to. Lincapacit a soffrire ed a credere secondo una direzione sicura impedi-
sce di stabilire dei margini al proprio spirito. E uno spirito, mancando di
limiti, manca di potenza. Laccusa luziana diventa ancora pi forte e pi
direzionata ne Lintelligenza laica 38, pubblicato due mesi dopo, dove lattacco
a chi si occupa dellArte e della Politica, con rispettiva lettera maiuscola,
sostituendo alla partecipazione lindifferenza e immaginando che lazione sia
governata da leggi estrinseche alla natura e dellarte e dellagire politico: via
via che decresceva la forza e la larghezza delle esigenze che ogni individuo e
la societ nel suo insieme sentivano nellagire, acquistava un valore sempre
pi importante il tono la linea secondo cui le azioni si svolgevano. signi-

36
M. Luzi, Caratteri delle rivoluzioni, in Il Ferruccio, 16 febbraio 1935, p. 1.
37
Id., Il sangue bianco, in Il Frontespizio, agosto 1935, 8, p. 11.
38
Id., Lintelligenza laica, in Il Frontespizio, ottobre 1935, 10, p. 11.
396 Mariagiovanna Italia

ficativo che Luzi ritenga questo stato di cose come proprio di unepoca che
non esita a definire delle accademie; cos come continuer ad affermare pi
di sessantanni dopo in unintervista immaginaria a Leopardi39, pubblicata su
MicroMega e successivamente sul Corriere della Sera, scomparsa la forza
di esser violentemente qualcosa, se ne coltiva leffetto (come le foglie senza il
tronco) raffinandolo, complicandolo finch occorrer essere iniziati alla sua
comprensione40.
Linvito per luomo moderno a ritrovare la forza di esser violentemente
qualcosa verr reiterato dieci anni dopo nella direzione di un nuovo uma-
nesimo in grado di fronteggiare le vecchie ideologie imprigionate sul piano
dellastrazione. Nel 1945, dopo essersi consumato le atrocit drammatiche
della seconda guerra mondiale, Luzi pubblica due scritti: Il Novecento e luo-
mo moderno 41 su Il Mondo e Linferno e il limbo 42 su Societ; questulti-
mo, assieme al coevo Del progresso spirituale e al saggio del 1946 Luomo
moderno e la noia, confluiranno qualche anno dopo in una omonima raccol-
ta43. Il mondo osservato dalla barca del poeta si modificato; Luzi non esita
a riconoscere lazione degli uomini dettata da passione ideologica e, pur
tuttavia, o forse a ragione di ci, tale azione non pu essere giudicata positi-
va. Il motivo dellinfausto esito dato dalla separazione dicotomica avvenu-
ta tra lideologia astratta e la realt empirica: le ideologie (vecchie e nuove),
nel loro vagheggiare un uomo nuovo e futuro, appaiono dimentiche della vita
presente e viva delluomo contemporaneo e dellessenziale continuit della
sua parte perenne44. Per Luzi, luomo moderno si troverebbe dunque inca-
strato da ideologie astratte che si autodefiniscono moderne, anzich ricono-
scere che la sua modernit consiste nel rivolgere lo sguardo alla naturale com-
ponente umana del vivere, agli uomini e non allidea degli uomini, e agire in
conseguenza. Questo nucleo del pensiero luziano informer di s anche gli
scritti di critica letteraria coevi, cosicch Goethe e Dante acquisiscono un alto
valore civile proprio perch allideale astratto dove risiede il principio, essi
sono pervenuti risalendo lentamente linterminabile e violento fiume degli
effetti, che il commercio umano, la vita naturale45 degli uomini, quel-
la realt che necessita della speranza umana per spingere luomo allazione.
Diventa cos comprensibile la bipartizione che Luzi ci presenta ne Linferno e

39
Id., Leopardi: Non abusate delle parole, in Corriere della Sera, 30 marzo 1998, p. 27.
40
Id., Lintelligenza laica, cit.
41
Id., Il Novecento e luomo moderno, in Il Mondo, 5 maggio 1945, 3, p. 15.
42
Id., Linferno e il limbo, in Societ, 5, 1945, pp. 25-32.
43
Id., Linferno e il limbo, Marzocco, Firenze 1949, ripubblicata successivamente col tito-
lo Linferno e il limbo con lappendice di altri saggi, Il Saggiatore, Milano 1964.
44
Id., Il Novecento e luomo moderno, cit. Per una lettura critica dellarticolo, cfr. M.
Zulberti, Luomo moderno. Un saggio del 45 di Mario Luzi, in Quaderni del Centro Studi
Mario Luzi, VIII, 2007, pp. 31-36.
45
M. Luzi, Del progresso spirituale, in Linferno e il limbo, cit., p. 9.
Lintelligenza del mondo e lagonia delluomo negli scritti giornalistici di Mario Luzi 397

il limbo. La metafora dellinferno e del limbo serve a Luzi per poter distin-
guere due modalit di stare al mondo, di vivere, prima ancora che di far poe-
sia, legate ad una visione ancipite della realt. Esiste una forma del sentire che
attraversa la pania del dolore umano non soltanto restandone invischiata, bens,
al pari di una falena intorno al barbaglio di una lampada, con la coscienza di
non trovare una via duscita e con la disperazione di chi sa di essere votato ine-
luttabilmente a ritornare al punto di partenza e, si badi, non come un novello
Sisifo, piuttosto con larrendevolezza di chi non possiede la speranza di un esito.
Al dolore di chi sente in tal maniera e compone versi, sulle orme del lirismo di
Petrarca, confacenti al suo sentire, manca difatti essenzialmente la speranza di
chi, sebbene non conoscendo le esatte possibilit di approdo, pur sincammina
verso la meta. Luomo del limbo non ha una meta dinanzi a s, ossia non
intravede una via per uscire dal dolore o una possibilit anche remota di appro-
dare alla felicit, e quindi, in quanto tale, non possiede la spinta per guardare
dinanzi a s. Il polo magnetico che ne orienta il viaggio fino al compimento del
desiderio piuttosto si volge allindietro, perch il desiderio non rivolto verso
il futuro, ma semmai verso un tempo e un luogo appartenenti al passato. La
felicit non esister, gi esistita, ed da collocare nella memoria verso un idea-
le punto felice che gi stato nel passato della vita di un uomo o dei popoli;
rimpianto e non speranza. Va da s che, in quanto combattuto con larma del
rimpianto, non vi argine al dolore umano. Anzi, luomo moderno non cono-
sce neppure la circolarit della speranza posta al fondo del rimpianto: per lui
non esiste pi il ritorno al paese da cui uscito per evoluzione o stato scac-
ciato per colpa []. avvenuto che il fantasma della felicit ha trovato posto
solo nellirreparabile46. A questa condizione, Luzi oppone limmagine
dellinferno, laddove luomo si leva [], richiamato al principio di verit e
di lotta47, lontano dal limbo, dove il dolore saggira lusingato dalle sue illu-
sioni48. Anche linferno esiste a partire dal dolore umano, il quale per per
Luzi, sulla scia delle parole dellAbbesse de Soulesme riportate a incipit del suo
saggio49, un mezzo per raggiungere altro; un dolore che ha davanti a s la
prospettiva della felicit, che avvertito come temporaneo, perch la speranza
di uscire dallinferno lo spinge a costruirsi una via teleologica. Luomo e il poeta
dellinferno, sulla scia di Dante, non cedono alla disperazione, ma desidera-
no la salvezza fondata sulla qualit del dolore, in quanto la speranza a ten-
dervi lunica munita duna forza capace di vincere la disperazione e nello
stesso tempo di non tradirla50.

46
Id., Linferno e il limbo, cit., p. 26.
47
Ivi, p. 29.
48
Ibidem.
49
Ivi, p. 25: La sofferenza ha solo una bont relativa e presa in prestito; un mezzo e
non un fine.
50
A. Noferi, Le poetiche critiche novecentesche sub specie Petrarchae, in Le poetiche critiche
novecentesche [1970], La Finestra, Trento 2004, p. 274.
398 Mariagiovanna Italia

Lanno successivo Luzi ribadir il valore di ricerca dellumano per per-


mettere alluomo moderno di uscire dallo stato di crisi in cui vive, nel saggio
Luomo moderno e la noia 51: esistito un tempo in cui lazione stava al pen-
siero come una necessit attuale, per cui luomo appunto volgeva ai fatti fatal-
mente determinato a realizzarsi ed a compiersi; e [] esiste unepoca in cui
lazione un parallelo metodico del pensiero dove lenergia delluomo tende
piuttosto ad applicarsi che a compiersi. E pi avanti: le nostre azioni tra-
ducono indefinitivamente, senza mai esaurirlo e senza compierlo, uno stato
interiore che noioso perch inappagato, perch continuamente irreale.
[] Lo spirito [] agisce, se ancora questa la parola, in uno stato di
sospensione e di perpetuo distacco; [] non mai nella cosa, ma nellauto-
matica necessit di compierla. Ancora una volta, dunque, per Luzi, viene
meno la passione, elemento imprescindibile dellagire, lontano da ogni astrat-
ta ideologia.
La riflessione civile di Luzi accompagner tutta la produzione giornalisti-
ca degli anni successivi, seppur disseminata in letture critiche, recensioni o
analisi poetiche. Un esempio di ci rinvenibile tra le pieghe del lavoro intel-
lettuale di scoperta e riproposizione delle opere letterarie sudamericane. Alla
luce di quanto detto finora, appare plausibile che il poeta volga la sua atten-
zione ad una letteratura che, scevra dalla stanchezza che caratterizzava la mo-
dernit europea, si faceva custode da una parte della novella coscienza degli
uomini dinanzi alle tragedie sociali e politiche, dallaltra, dellumanit insita
nella realt e nel mito dei popoli indios; lazione degli scrittori e dei poeti lati-
noamericani era improntata allintegrit non corrosa dei sentimenti delluo-
mo52, nellAmerica Latina un nuovo umanesimo, sotto legida dellunit
cabalistica del reale53, non solo era possibile, ma si stava avverando.
Se, allinizio del nuovo millennio, Luzi continuer a parlare di separazio-
ne della vita culturale da quella politica come fedele riflesso di una realt poco
umana vissuta ancora dalluomo contemporaneo54, in un articolo del 2004,
un anno prima della morte, il poeta, pur ribadendo la brutalit dei tempi,

51
M. Luzi, Luomo moderno e la noia, in Id., Linferno e il limbo, cit., pp. 23-27.
52
Id., Raccattacadaveri, in Corriere della Sera, 9 novembre 1969.
53
Id., Loro delle tigri, in Corriere della Sera, 8 ottobre 1974. Cfr. Id., La letteratura lati-
noamericana: una Weltliteratur, cit.: Si sono registrati due fatti imprevedibili in Europa o
altrove. Limpegno su una realt politica precisa ha messo a portata dello scrittore qualcosa di
ben diverso dal quadro sociale definito su cui si modellano il realismo classico e quello socia-
lista: la nozione di realt include per luomo dalle ascendenze indie o maya pi cose di quan-
te la nostra normale classificazione dialettica e sociologica potrebbe suggerire. Da parte sua la
fantasia dello scrittore latino-americano [] ha spontaneamente rifiutato ogni disciplina
riduttiva allo schema e ha creduto al potere di rivelazione dellimmaginoso, del luminoso, del-
larchetipico soggiacenti allazione o inazione quotidiana.
54
Id., Una riflessione sul linguaggio della politica. Per uno stato pi umano, in Nuova
Antologia, aprile-giugno 2000.
Lintelligenza del mondo e lagonia delluomo negli scritti giornalistici di Mario Luzi 399

riconosce con fiducia e incrollabile speranza che la poesia pu assolvere la


funzione di rintracciare il nuovo umanesimo che serve per rendere gli uomi-
ni attivi e partecipi alla vita civile: la poesia sempre e dovunque nella
potenzialit delluomo. C come riferimento indefinibile e magari come
vago rimorso anche in una societ destituita dei propri valori e, si direbbe,
della propria ragione come quella in cui viviamo. Avvilita, dimenticata nelle
segrete dellincuria e dellindifferenza o ridicolizzata da fasti e imponenze
fasulle, occupa in un certo qual modo il pensiero o il retropensiero del citta-
dino paradossale che il nostro contemporaneo, che siamo noi55. La para-
bola transeunte delluomo e del poeta si chiude dunque con un invito a fare
unaltra lettura del mondo, a rinvenire una nuova Weltanschauung mediata
dalla parola poetica, consapevole che il male resta male, ma il privilegio di
essere detto lo rende forse pi umano56. Ma la poesia da sola non suffi-
ciente; per raggiungere lo scopo che si prefigge, per essere realmente unazio-
ne che muove verso la ricognizione dellumano, deve essere riverbero di una
coscienza agguerrita, pi che messa in pace. Ritorna cos a campeggiare il
giovanile valore dellagonia57, intesa come passione teleologica che dirige le
azioni degli uomini e che fa esclamare a un Leopardi immaginato da Luzi:
Ho pensato che la poesia come canto e come contemplazione liberasse luo-
mo nelluomo soggetto a tutte quelle convenzionali limitazioni imposte e
volontarie. [] Santo cielo, lagonia, vale a dire il combattimento, agisce
ancora in pochi dal cuore franco e esigente58.

Breve postilla di chiusura: nuclei e riverberi lirici

Quanto vive e trasuda dalle pagine degli articoli e dei saggi di Luzi impre-
gna anche e forse ancor prima la sua produzione poetica. La ricerca del-
lumanit che riscatti luomo moderno e che lo induca a cercare e compren-
dere le cose del mondo si insinua nelle sue liriche prima ancora di indurre
il poeta ad interrogarsi sul valore che larte stessa, e la poesia, abbiano nella
rappresentazione del mondo, della sua bellezza e del suo dolore. Di seguito,

55
Id., Unaltra lettura del mondo, in Corriere della Sera, 15 febbraio 2004, p. 31.
56
Ibidem.
57
Cfr. M. Luzi-M. Specchio, Luzi, leggere e scrivere, cit., p. 138, a proposito della sezione
di liriche Muore ignominiosamente la repubblica, contenuta in Al fuoco della controversia: Si
instaura qui quella che nella storia, nella lessicografia cristiana si chiama agonia, cio quel con-
flitto in cui sembra di doversi riscattare giorno per giorno, ora per ora, dalla condizione in cui
luso e labuso delle cose umane ci configgono. [] Questa agonia cristiana diventa anche una
specie di indignazione morale e politica di fronte a certe realt della repubblica moderna, dello
stato moderno, della societ moderna (corsivi miei).
58
Id., Leopardi: Non abusate delle parole, cit. (corsivo mio).
400 Mariagiovanna Italia

si vogliono indicare brevemente alcuni loci che possano fungere da testimoni


della presenza lirica del nucleo del pensiero civile del poeta sopra indagato.
Volgendosi al Luzi che esorta gli uomini a partecipare attivamente alla vita
sociale e politica, non si pu non andare col pensiero a Presso il Bisenzio, poe-
sia civile del 1963, che apre la raccolta Nel magma 59. come se qui il poeta
rendesse pi chiaro cosa intende quando parla di azione agonica e passiona-
le non asservita ad unideologia astratta: alla domanda che un giovane com-
pagno rivolge a Luzi per interrogarlo del perch non abbia partecipato al
fuoco della lotta, il poeta risponde: [] difficile spiegarti. Ma sappi che
il cammino / per me era pi lungo che per voi / e passava da altre parti. Il
giovane replica: [] / Tu dici di puntare alto, di l dalle apparenze, / e non
senti che troppo. Troppo, intendo, / per noi che siamo dopo tutto i tuoi
compagni, / giovani ma logorati dalla lotta e pi che dalla lotta, dalla sua
mancanza umiliante. E il poeta a lui: triste, ma il nostro destino: con-
vivere in uno stesso tempo e luogo / e farci guerra per amore. Intendo la tua
angoscia, / ma sono io che pago tutto il debito. E ho accettato questa
sorte60. Per il poeta come se non fosse palese agli uomini che il tentativo
di liberarsi da quella che pensano sia la necessit apparente li lascia in verit
schiavi di una necessit reale; cos alla fine degli anni Settanta si esprime par-
lando della mente umana: O un senso pi elementare la sgomina / come
quando a un crollo del sonno / o a una caduta dellazione simbatte / lei, dico
la mente, in blocchi di forza consumata / o ancora chiusa in s, non inner-
vata nel mondo / n sa se le si oppongono quelle pietre le sa / solo impon-
derabili e buie se non che / lei vi sente dormire la potenza morta o futura
dei leoni, / lampiezza di volo delle aquile e questo / con pi vertigine se
stessa nelle radici delle sue radici / o, chi sa mai, nel tralcio di fuoco, alto,
della conoscenza possibile61.
La questione posta dunque duplice: da una parte, il poeta interroga la
sua epoca sterile svelando la vacuit dellazione degli uomini: C un
futuro per luomo? non mancano / di domandargli i reporters. E incalzano
/ pi esperti galoppini del problema, sociologi, ideologi, / preti faccendieri
insofferenti del verbo. / Pronto, indefinitamente futuribile lui sempre / pen-
nella una qualche esauriente non risposta / [] / Via, poi, volatilizzati dun

59
Id., Nel magma, AllInsegna del Pesce dOro, Milano 1963, ora in Id., Lopera poetica,
cit., pp. 311-352. Forse non un caso che il termine azione compare per la prima volta in
questa opera: C stato poco tempo per pregare / Poco tempo infatti. Ma ho fiducia che
lazione / sia preghiera anchessa pel futuro / ed espiazione del passato dice e arrossisce a sua
volta (p. 323, vv. 47-50).
60
Id., Presso il Bisenzio, in Id., Lopera poetica, cit., pp. 318-319, vv. 26-28, 57-60, 72-74.
61
Id., O un senso pi elementare la sgomina, in Id., Lopera poetica, cit., p. 463, vv. 1-11. La
lirica contenuta nella raccolta Al fuoco della controversia (prima edizione: Garzanti, Milano
1978).
Lintelligenza del mondo e lagonia delluomo negli scritti giornalistici di Mario Luzi 401

tratto / e dietro essi il risucchio / dellet sterile e inesplosa / che si torce su


se medesima / e affretta il tempo della paralisi e del coma62: un tempo che
non scongiurabile fino a quando permane questa vacanza / di umanit nel-
luomo, / questo orribile interregno63, paragonato a un deserto civile ed
etico.
Dallaltra parte, Luzi, in quanto poeta, indaga la responsabilit che ha nei
confronti dellintelligenza delle cose del mondo. Nel gi citato articolo
del 2004 per il Corriere della Sera, Luzi riconosce che il divorzio con il
mondo e con la storia che allorigine della modernit della poesia non
sanato da nessun altro vero sposalizio64 e per tale ragione rinnova linvito a
tutti gli uomini poeti e lettori a recuperare il movente e il giusto mezzo
dellazione attingendo alle fonti della vita la quale confermata la protago-
nista assoluta e la indiscussa sovrana dei pensieri e delle passioni umane65.
Questa indicazione che il poeta elargisce non prevede per per lartista, oltre
che per luomo, un cammino semplice e piano. In un poemetto pubblicato
nel 1971, dal programmatico titolo Il pensiero fluttuante della felicit, con-
tenuto linvito a trarre dal mondo stesso gli strumenti della sua conoscenza:
[] il mondo per inattesa grazia / ti parla dai suoi seppellimenti e dai suoi
parti, / ti svela il suo costrutto nei suoi boia e nelle sue vittime, / vive nei suoi
animali e nei suoi ciottoli, / nelle sue opere di scienza e darte efficaci o logo-
re / in te e di te che ne sei parte dal cominciamento e giudice66; ma gi in
un altro poemetto della stessa sezione il poeta avverte che il mondo non pos-
seduto non ci possied[e] / e neppure ci esclud[e] dal [suo] tormento67. E
molto pi tardi, ad unaltra altezza della sua riflessione poetica e intellettuale
sullarte, Luzi sveler tutta le contraddizioni presenti nel carpire il mondo
attraverso la poesia: O arte che mi illumini il mondo / e me lo rubi / e mi
tantalizzi, / abbi misericordia di me, mi raccomando68, dove lhapax tanta-
lizzare sembra fare il verso a due pi antichi articoli apparsi nel Corriere
della sera e nel Giornale in merito alle opere dellargentino Roberto Arlt69,
in cui Luzi decreta la vita come quel luogo privilegiato in cui la felicit gioca

62
Id., Il gorgo di salute e malattia, in Id., Lopera poetica, cit., pp. 393-394, vv. 38-43, 50-
54. La lirica contenuta nella raccolta Su fondamenti invisibili (prima edizione: Rizzoli,
Milano 1971).
63
Id., Deserto quale deserto? Questo, in Id., Lopera poetica, cit., p. 603, vv. 2-4.
64
Id., Leopardi: Non abusate delle parole, cit.
65
Ibidem.
66
Id., Il pensiero fluttuante della felicit, in Id., Lopera poetica, cit., pp. 368-369, vv. 111-
116. La lirica contenuta nella raccolta Su fondamenti invisibili, cit.
67
Id., Il gorgo di salute e malattia, cit., p. 392, vv. 14-15.
68
Id., Si ordina (Sistina), in Id., Lopera poetica, cit., p. 941, vv. 57-60. La lirica conte-
nuta nella raccolta Frasi e incisi di un canto salutare (prima edizione: Garzanti, Milano 1990).
69
Si fa qui riferimento a Id., I sette pazzi, in Corriere della Sera, 30 maggio 1971, e Id.,
I lanciafiamme, in il Giornale, 20 febbraio 1975.
402 Mariagiovanna Italia

con luomo come il pomo e lacqua con Tantalo70, e, ciononostante, questa


vita, se colma di passione e di azione, segue la vita / con la fedelt che ha
lombra // mentre scorre il fiume, / mentre il filo derba trema / tra pala e pala
della falciatrice // e luomo appena uscito dalla prova / integro o privato del
suo bene / solleva il capo fino al nuovo colpo71.

70
Id., I sette pazzi, cit.
71
Id., Colpi, in Id., Lopera poetica, cit., p. 271, vv. 14-21. La lirica contenuta nella rac-
colta Dal fondo delle campagne (prima edizione: Einaudi, Torino 1965).
GABRIELLA PALLI BARONI

Attilio Bertolucci poeta giornalista

Accanto alla poesia Attilio Bertolucci ha svolto un intenso e continuo


esercizio giornalistico sin dalla giovinezza e per gran parte della sua vita. Fu
un giornalista dalla militanza particolare, sottolinea Enzo Golino, che condi-
vise con lui molte iniziative per la pagina culturale della Repubblica: non
il cronista che deve azzannare la notizia per servirla in pasto ai lettori; non il
cireneo del desk []. La militanza giornalistica di Bertolucci era innanzitut-
to il veicolo della sua cultura1. Una cultura precoce e via via sempre pi
vasta, aperta ai campi pi diversi, accompagnata da viva sensibilit artistica,
da grande intelligenza critica mai esibita, ma profonda, da linguaggio traspa-
rente e affabile, da modernit di sguardo su persone ed eventi, raccontati tal-
volta con ironia, con lieve aneddotica, con molta verit umana.
Fu Zavattini ad avvicinare Bertolucci al giornalismo: dapprima, in qualit
di supplente della terza ginnasiale presso il collegio Maria Luigia di Parma,
offrendo in lettura riviste come Il Baretti e Rivoluzione Liberale; in segui-
to, divenuto nel 1927 redattore della Gazzetta di Parma, ospitando in terza
pagina traduzioni da Lautramont 2 e coinvolgendolo insieme ad altri amici
nella preparazione del quotidiano3. Fu sempre Zavattini, lasciata la Gazzet-
ta, a pubblicare le prime poesie e una traduzione A teatro da Proust nella
Voce di Parma4.

1
Enzo Golino, Attilio Bertolucci poeta e giornalista, in Antologia Vieusseux, N.S., a. VI,
n. 18, settembre-dicembre 2000, pp. 102-105.
2
Cfr. i vari ricordi di Bertolucci e in particolare quelli affidati a Gli anni favolosi della
Gazzetta in Gazzetta di Parma, 29 settembre 1973. Ma importanti sono S. Cherin, I gior-
ni di un poeta, la salamandra, Milano 1980 e P. Lagazzi-A. Bertolucci, Allimprovviso ricordan-
do, Guanda, Parma 1997.
3
Cfr. A. Bertolucci-C. Zavattini, Unamicizia lunga una vita. Carteggio 1929-1984, a cura
di G. Conti e M. Cacchioli, MUP, Parma 2004. Lamicizia di Zavattini e la sua opera di guida
nei confronti dei giovanissimi parmigiani largamente testimoniata nel carteggio a partire dal
1929, anno in cui Za lasci Parma per il servizio militare a Firenze. Al cenacolo oltre a
Bertolucci appartennero Pietro Bianchi, Gino Saviotti, Erberto Carboni, Ugo Betti, Alessan-
dro Minardi. Questultimo si fece editore in Parma della prima raccolta poetica di Attilio,
Sirio, nel 1929.
4
Bertolucci pubblica in data 11 febbraio 1929 Vento e Frammento, raccolte poi in Sirio,
cit. La seconda corrisponde a quella intitolata Cavalla. Sirio e le altre opere poetiche si leggo-
404 Gabriella Palli Baroni

Ma allapprendistato di Bertolucci appartiene anche il progetto di un


giornale culturale dal titolo La Certosa di Parma. Ne parla nel 1929 a
Zavattini, che da Firenze, durante il servizio militare, scrive ora chiedendo
notizie ora informando daver gi sollecitato collaborazioni nellambiente fio-
rentino di Solaria ora dubitando del risultato e insistendo nel suggerire: O
bella o niente5. certamente Bertolucci (chiamato familiarmente Bertoldo)
a volere e a pianificare la Certosa6. La prima lettera di Attilio presente nel
carteggio e risalente alla fine di marzo 1930 consente infatti di conoscere la
scaletta della testata:

Per la Certosa, o bella o niente, come ha detto lei. Ogni numero ci sar un arti-
colo di fondo anonimo, polemico, didee; forse un disegno polemico (Latino
Barilli a insegnargli, dovrebbe far bene); di tanto in tanto un articolo piuttosto
lungo, esauriente su qualche scrittore italiano o straniero doggi, ma solo i miglio-
ri (lei, Moravia, Betti ecc.), rivedere certe posizioni di scrittori celebri e vedere
come resistono (Bontempelli Moretti Pirandello ecc.), riesumare qualche vecchio
scrittore: se possibile farne una piccola antologia (Alberto Cantoni, Rovani,
Barilli, ecc.) presentare qualche straniero nuovo importante e sconosciuto, o vec-
chio e poco conosciuto, parlare di cinema di pittura di tutto insomma. Brizzolara
Petrolini io daremo cose creative ecc ecc. Bianchi, se ne avesse voglia, potrebbe
far una bella inchiesta sul giornalismo italiano. E ancora tante cose. []7

La Certosa resta un giornale fantasma8, come temeva Zavattini, ma la


capacit di pensare e organizzare un periodico, torner, come vedremo, quan-
do Bertolucci sar chiamato a dirigere il mensile dellEni Il Gatto selvatico
e quando contribuir alla parmigiana Palatina curata da Roberto Tassi nel
periodo settembre 1957 gennaio 1966. Continuer infatti nel tempo la viva
attenzione, critica e costruttiva, nei confronti del giornalismo letterario, sia
italiano (Corrente, La Fiera Letteraria, Termini, Il Tempo)9 sia euro-

no ora in A. Bertolucci, Opere, a cura di P. Lagazzi e G. Palli Baroni, I Meridiani, Mondadori,


Milano 19971.
5
Della Certosa si parla nelle lettere di Zavattini ai giovani Bertolucci, Minardi e Bianchi
a partire dal 30 giugno 1928, ma linteresse si manifesta particolarmente nei mesi novembre e
dicembre 1929, come emerge dal Carteggio sopra ricordato. comunque Bertolucci, le cui let-
tere mancano, il principale interlocutore a proposito del giornale in preparazione.
6
Nella lettera di Zavattini da Firenze del 16-XII-1929 indirizzata Caro Sandro. Caro
Bertoldo (Unamicizia lunga una vita, cit., p. 105) si legge: la tua diletta Certosa.
7
Ivi, pp. 118-119.
8
Lettera di Zavattini datata 28-12-29 e indirizzata agli amici parmigiani. Tra questi
Sebastiano Timpanaro al quale scrive: Non consumarti per la Certosa di Parma. La nostra
originalit consiste nellessere redattori concordi e solerti di un giornale fantasma. I certosini!
Quelli che non hanno scritto il pi bel giornale dItalia.
9
sempre il carteggio Zavattini a restituire particolari del rapporto di Bertolucci con il
mondo dei giornali letterari. Za traccia un fulmineo ritratto Tu con il tuo piccolo tram e con
Attilio Bertolucci poeta giornalista 405

peo (Les Nouvelles Littraires, NRF, Horizon), che lo porter nel 1941
a condividere con Bruno Romani la decisione delleditore Guanda di pub-
blicare una rivista Il Contemporaneo che, essendo di un editore, sar pi
eclettica pi di tendenza, ma con giudizio10.
Bertolucci severo nei suoi giudizi sul giornalismo culturale, anche sulle
iniziative di Zavattini11, il quale, a sua volta, mentre d consigli sulla nuova
poesia di Attilio, segue con la cura del maestro le prove degli allievi, lodando
o rimproverando per scritti che non approva e accettando con piacere per
Cinema Illustrazione, da lui diretta, qualche pezzo bertolucciano, forse un
Bing Crosby, un James Cagney, un Billie e Jean. Anche su Piccola accoglie un
Jean Muir 12.
In particolare Za si sofferma sulla Fiamma (molto talentosa)13, orga-
no del GUF di Parma, cui collaborano sia Bertolucci sia Bianchi, e sul
Ducato ( tutto in granata, ma quel benedetto centro non lo vedo, 7
agosto 1932), testata subito soppressa dal Governo fascista. Sulla Fiamma
del 3 aprile del 1933 legge con soddisfazione una lunga recensione di Berto-
lucci al suo Parliamo tanto di me, recensione elogiativa in cui spicca la defini-
zione di Zavattini scrittore minor appartenente alla schiera di autori come
Sterne e Renard, definizione che sar attribuita allo stesso Bertolucci da Gar-
boli14 e che il poeta far in pi occasioni propria con manifesto compiaci-
mento. Pi innanzi nel tempo, nel 1950, Bertolucci seguir liniziativa di
Mondadori di varare, con lintervento di Zavattini, Epoca sul modello del-
lamericana Life, ma senza riserve giudicher negativamente limpresa:

[] Italia domanda la miglior sezione di Epoca, direi, purtroppo lunica. Il


resto: rimasticature di cose nostre o straniere; la tua rubrica: nuova, interessante
o almeno curiosa, sempre.

i tuoi giornali e i tuoi dischi (lettera dellottobre 1939, ivi, p. 250). Ma molto altro si desu-
me dal carteggio con Vittorio Sereni Una lunga amicizia. Lettere 1938-1982, a cura di G. Palli
Baroni, Prefazione di G.Raboni, Garzanti, Milano 1994.
10
La rivista, che doveva uscire una volta lanno, fu pubblicata nel 45 e chiusa dopo 14
mesi (Cfr. D.Barilli, Profilo di una casa editrice, in Palazzo Sanvitale, n. 9, 2003).
11
Nelle lettere degli anni Trenta Bertolucci commenta per Za LItaliano di Longanesi
(intelligente), Solaria (dignitosissima, ma asfissia); ancora LItaliano ( bello, ma un
po un giornale umoristico), La Fiera Letteraria (La Fiera grigia e polverosa. Ha quella
vecchiaia triste e precoce di certe villette di due o tre anni fa. Tutto odiosamente letteratura
di 2 ordine). Le lettere sono rispettivamente del 5 aprile 1931 e della primavera del 33 (A.
Bertolucci G. Zavattini, Unamicizia lunga una vita, cit., p. 137 e p. 182).
12
Le notizie si leggono a p. 208 del carteggio, dove si osserva che non stato possibile rin-
tracciare le pubblicazioni di Bertolucci sui giornali diretti da Zavattini.
13
Lettera della fine del 1931 (Ivi, p. 150).
14
Cesare Garboli scrive: Di questa poesia minore (e si veda quanto suprema),
Bertolucci ritiene di possedere lui solo il codice (C. Garboli, Accesa solitudine, in Il Mondo,
11 luglio 1971, p. 27; ora in Falbalas: immagini del Novecento, Milano, Garzanti 1990, pp. 50-
55 col titolo Atilius.
406 Gabriella Palli Baroni

Tutti hanno comprato Epoca e Mondadori moralmente obbligato a miglio-


rarla, e tecnicamente vi riuscir senzaltro. Ma con uno staff cos eterogeneo e pol-
veroso, ho i miei bravi dubbi. Lunico, per il pubblico, elemento positivo: il
numero delle pagine.[] Ma poi perch pubblicare una tipica ragazza anglosas-
sone, malvestita e chiamarla Liliana, ragazza italiana, con quella rima orrenda.
Altro che Life C per fortuna, ripeto, It. dom., che fa pensare che cosa
sarebbe Epoca diretta da Za, col quale e per il quale mi sentirei di correre il for-
tissimo rischio di fare un po di giornalismo. Perch sono sicuro che mi aiutere-
sti a non perdermi15.

Tuttavia, malgrado i timori di una strada difficile, il giornalismo resta


nelle corde del poeta, che proprio nel periodo 1950-1951 sta per staccarsi dai
luoghi del suo dolce mito per affrontare un mondo estraneo, duro e fertile
di promesse16.

Gli scritti in prosa di Bertolucci si fanno pi frequenti nei primi anni qua-
ranta, dopo la pubblicazione della seconda raccolta di versi Fuochi in novem-
bre, e rivelano una tastiera pi articolata tra arte e letteratura. Cos, se nella
rubrica Le Arti della Fiamma, si leggono, a firma Don Pilone, suoi articoli
che vanno dalle Sculture sullAppennino (le Maest contadine) alla Pittura
popolare delle decorazioni artigiane, a mostre (Mattioli a Bergamo e Una
mostra a Parma), su Prospettive si apprezza una recensione a Croquignole di
Charles-Louis Philippe17. Pochi interventi questi, legati principalmente a
quella Storia dellArte che il poeta aveva coltivato seguendo le lezioni bolo-
gnesi di Roberto Longhi e che aveva cominciato ad insegnare a Parma dopo
essersi laureato nel 1938.
Ma fu dal settembre 1945 che, pur non tralasciando larte figurativa e la
letteratura, linteresse per il cinema prevalse, quel cinema scoperto tra il 1925
e il 1930 al tempo del muto con Pietrino Bianchi, coltivato con passione
leggendo gli articoli del critico Alexandre Arnoux su Les Nouvelles Littrai-
res e in lunghe conversazioni nei caff di Parma. Anche Zavattini, noto,
sinfiamm davanti a Charlot in compagnia dei suoi giovanissimi amici,
aprendosi alla sua arte futura18.
Bertolucci aveva scoperto, innanzitutto come spettatore, la decima Musa:
unarte universale, capace di esprimere anche lapparentemente inesprimi-

15
La lettera inviata da Baccanelli, Parma il 14 ottobre 1950. Si legge in Unamicizia
lunga una vita, cit., p. 307.
16
Rimandiamo per il tema dellautoesilio romano a G. Palli Baroni, La patria poetica di
Attilio Bertolucci, in Nuovi Argomenti, N. S. n. 14, aprile-giugno 2001, pp. 354-363.
17
Gli articoli apparvero rispettivamente sulla Fiamma, I, n. 3; n. 5; n. 7; II, n. 8. In
Prospettive, VI, 15 novembre-15 dicembre. Il libro di Philippe fu pubblicato da Ugo
Guanda editore a Parma (s. d.), con Prefazione di G. Prezzolini.
18
Su Bertolucci critico cinematografico cfr. A. Bertolucci, Riflessi da un paradiso. Scritti
sul cinema, a cura di G. Palli Baroni, Moretti&Vitali, Bergamo 2009.
Attilio Bertolucci poeta giornalista 407

bile senza bisogno di didascalie; aveva scoperto con i primi grandi autori, Gan-
ce, Dreyer, Feyder, Lang, Hawks, Clair, Chaplin, la luce tempo di Murnau:
Aurora fu per lui vero cinema, capace di suscitare vere epifanie nel senso del
Joyce scoperto negli stessi anni, di suggerire la novit poetica delle immagini in
movimento, la funzione del silenzio e della macchina da presa, dellinquadra-
tura e del montaggio, la forza del chiaroscuro drammatico.
Per questo quando nel 1945 accetta limpegno di cronista cinematografi-
co presso la Gazzetta di Parma pu nutrire la sua critica della competenza
di stile e di tecnica, che si era costruito con il cinema muto, affrontando il
sonoro, pur con qualche riserva, ma rivelando nelle sue spesso brevi talvolta
brevissime (stroncature di grande ironia ed effetto!) cronache, uno sguardo
acuto ed essenziale, aperto allimpegno civile e intellettuale, consapevole del
fatto che i film debbano restituire lo spirito del tempo e lumana verit.
Su questi due fattori Bertolucci insiste, mentre sottolinea limportanza della
forza narrativa e coniuga le ragioni dellesistenza con le emozioni, le inven-
zioni fantastiche e la poesia. Lontano dal calligrafismo e da ideologie, da film
a tesi o di cassetta, ostile a censure, sente i valori di necessit e di libert che
devono guidare il regista verso la poesia del vero. Sostiene, animato da quel-
lo spirito didattico che lo accompagner sempre, che il cinema debba essere
arte popolare e debba attingere nei temi e nelle forme allosservazione del
reale. Per questo il suo consenso sar pieno verso il neorealismo di Rossellini
e De Sica, di cui riconosce come pregi il realismo quasi documentaristico,
linterpretazione efficace e il ritmo serrato che quasi toglie il respiro, il
significato morale e la nobilt del racconto (Roma citt aperta), lintensit
poetica cecoviana delle immagini e delle notazioni psicologiche e liriche di
Ladri di biciclette.
E non mancher mai di rivolgere il suo interesse alla contemporaneit dei
temi, a quegli aspetti che sono parte dei film quali la produzione, la distri-
buzione, il pubblico, la scarsa diffusione di pellicole degne al posto di film di
serie B o si impegner intorno ad argomenti di politica culturale, dalle com-
mistioni tra ideologia e arte alla necessit di un cinema europeo alla oppor-
tunit di educare anche attraverso la scuola. Far questo a partire dal 1948 in
una rubrica di Terza pagina intitolata Lanterna magica, firmata Il
Portoghese, vera palestra di attualit e di scrittura, animata, diretta, con
sprezzatura di forte ironia, mai conformista.
E quando potr distendere il suo discorso in pi lunghi interventi sul
periodico Gioved diretto da Giancarlo Vigorelli tra il 1952 e il 1953, tor-
nando a trattare di quellarte intessuta di sogni e di finzioni, che lo aveva cat-
turato da ragazzo aprendolo alla modernit del secolo, ne sottolineer lau-
tentica sostanza umana, trasferendo nelle sue pagine, eleganti, chiare e piace-
voli, (interessante, piacevole e utile deve essere la scrittura del critico), quel-
la ricchezza di conoscenze e di memorie, di pensiero e di civilt che rendono
i suoi testi specchio desperienza, di cultura, dimmaginazione e di vita.
408 Gabriella Palli Baroni

Scrittore raffinato, dal periodare ampio, nobile, che si compiace della


divagazione, della quale fu suo supremo maestro Proust, ma limpida e natu-
rale, trasparente, Bertolucci era convinto che critica e creazione poetica pos-
sano intrecciarsi, alimentandosi e nutrendosi vicendevolmente nello stile. La
naturalezza e la trasparenza erano quella della pagina di Emilio Cecchi, essay-
st della misura ed equilibrio degli inglesi, di Addison, Steele, Lamb o di
Virginia Woolf. Anche Bertolucci si fece essayst in linea con il giornalismo di
stampo inglese, fondato sulloccasionalit pi che su un disegno sistematico
di ricerca e caratterizzato da uno stile riconoscibile per fluidit, musicalit e
intarsi di memorie private, corrispondenze del cuore, epifanie e gusto della
rappresentazione. Sprezzature ironiche, lievi arguzie, spunti polemici si
accompagnano a illuminazioni su un volto, un ambiente, un interno o un
esterno, dipinti con il gusto dellartista e dellesperto dei valori plastici e colo-
ristici, o impreziositi da qualche frammento poetico: un verso mandato a
memoria e improvvisamente riaffiorante, un lampo di luce o di buio che rie-
merge da un dipinto. La sua prosa, che altrove abbiamo detto alata, una
prosa che ha la libert e les ailes della poesia19 ed una prosa che reinven-
ta lesperienza, calandosi nella lingua 20.
Gi a partire dalle cronache cinematografiche Bertolucci mette in luce lo
straordinario valore del suo essere spettatore e lettore non oggettivo, egoi-
sta, frammentario e frammentante, edonista21. La memoria involontaria
presiede al suo dire critico, memoria intermittente e aritmica che conserva
emozioni e scandisce i momenti salienti di unopera, li fa emergere visiva-
mente e nuovamente dinanzi a chi guarda, dona il piacere di un passaggio, di
un flash back, di un primo piano, di quella particolare interpretazione di un
attore o di unattrice sommamente cari perch veri, di quella camera che scru-
ta e ferma per sempre.
Dalla memoria epifanica nasce anche il particolare tessuto evocativo di
versi amati, di brevi ritmi ballabili o jazzistici, di colori o luci dai pittori a
lungo studiati. Vi sono infine piccoli inserti autobiografici, una qualit que-
sta che sar parte importante delle sue pagine giornalistiche, cui affider pre-
ziose testimonianze dincontri, letture, presenze della vita.
Le stesse caratteristiche riconosciamo nella sua prosa di critica darte, di
teatro o di letteratura. Persino quando preparer per Il Giorno i reportage

19
Citiamo dalla postfazione Le ali della prosa in A. Bertolucci, Ho rubato due versi a
Baudelaire. Prose e divagazioni, cit., p. 433.
20
Cfr. P. Lagazzi, Rverie e destino, Garzanti,Milano 1993, p. 10. Sulla prosa di Bertolucci
si vedano di C. Indini, Viaggio nella prosa di Attilio Bertolucci, Pensa MultiMedia, Lecce 2000
e Appunti su Attilio Bertolucci prosatore, in In un concerto di voci amiche. Studi di Letteratura
Italiana dellOtto e Novecento in onore di Renato Valli, tomo II, a cura di L. Giannone, Congedo
Editore, 2008, pp. 569-584.
21
Cfr. Marcel, berretti e mantelli, Aritmie, cit., pp. 94-96; ora in Opere, cit., pp. 1053-
1056.
Attilio Bertolucci poeta giornalista 409

Viaggio fra gli antiquari 22 e quando scriver per LEspresso i brevi pezzi Viag-
gio a 23, mostrer in sommo grado queste virt descrittive e narrative, gui-
dando il lettore a esperienze di conoscenza e darte di grande efficacia e bel-
lezza. Aveva ragione Zavattini quando gli ricordava in una lettera dell8 gen-
naio 1960: La letteratura non solo letteratura e se non sembrasse un para-
dosso, si pu credere che essa prende forza da quanto non letterario. Infatti
sei riuscito ad avere e a conservare un tono, una cadenza, una filigrana che
deriva da fiumi, colline, difetti, aria giallo ducale, ecc., malgrado lenorme
peso delle tue ammirazioni libresche. Hai compiuto un piccolo miracolo ita-
liano, tremendamente difficile in Italia24. Lamico si riferiva alla poesia di
Attilio, ma piace riferire queste righe anche alla sua prosa giornalistica, che,
pur nascendo dalla penna di un coltissimo letterato, non mai letteraria, anzi
prende forza da quanto non letterario, da quel serbatoio di realt, di natu-
ra e di umanit che aveva raccolto nel suo cammino.

Bertolucci aveva continuato ad affiancare alle recensioni cinematografiche


altri interventi, di letteratura (Bancarella si intitol una rubrica che tenne, a
firma Barbabl, sempre sulla Terza pagina della Gazzetta di Parma, alter-
nandola a Lanterna magica e a Le belle arti firmata Cennino) a partire dal
luglio 1948. in questo stesso anno che si avvia la grande stagione della
prosa culturale di Bertolucci. Sono dapprima testi di critica darte, passeg-
giate al modo di Virginia Woolf, ma con lo sguardo del grande conoscitore
alla Longhi, testi inviati dalla Biennale di Venezia del 1948 e del 1950. Sono
cronache che non nascondono lentusiasmo del corrispondente della
Gazzetta di Parma davanti alla prima esposizione, la quale, dopo quello che
egli chiam noioso oscuramento fascista, si apriva alla moderna arte euro-
pea, ai Turner, agli amati Impressionisti, ai Manet, Renoir, Czanne, Degas,
Picasso, Braque, Rouault, ai metafisici italiani e allincantevole Morandi;
nella seconda Biennale il rosso dei Fauves a entusiasmarlo, sono la felicit
e il calore di Bonnard a commuoverlo, perch in essi trova gli stessi temi
della vita quotidiana che erano suoi e dei racconti della Mansfield: le stesse
ombre colorate, la stessa felicit non grossa, ma consapevole, seppur non sem-
bri, della propria fugacit.
Non richiameremo per intero litinerario veneziano, le risonanze lievi e
toccanti della sua poetica e della sua poesia 25. Certo il suo dire sapiente nel

22
Costituisce lultima sezione di A. Bertolucci, Ho rubato due versi a Baudelaire. Prose e
divagazioni, cit., pp. 341-429.
23
Si leggono in A. Bertolucci, Cartoline illustrate, a cura di G. Palli Baroni, Universit
degli Studi di Parma, Facolt di Architettura, MUP, Parma 2006.
24
Cfr. Unamicizia lunga una vita, cit., p. 339.
25
Si rimanda a A. Bertolucci, Ho rubato due versi a Baudelaire, cit., in cui sono raccolti,
tutti i testi citati, e alla postfazione Le ali della prosa della scrivente.
410 Gabriella Palli Baroni

rilevare i valori compositivi e cromatici, spaziali e plastici di unopera, nel


cogliere i rapporti tra visione naturale e invenzione pittorica, tra tradizione e
nuovo, ma sempre il vero a colpirlo, sono i colori purissimi, mai fred-
di, e la coerenza di un Morandi a rivelare la fragilit delle cose e larte che le
sottrae allo sperpero. Altre sparse pagine sullarte, che conservano la stessa
impronta elegante ed essenziale, erano state pubblicate sulla Gazzetta tra il
1949 e il 1950 su Giovanni Bellini26 e su una Rassegna significativa di arte
contemporanea 27.
Dal 1951 la presenza del poeta interprete darte figurativa si allarga ad al-
tre testate, a Paragone, di cui diviene redattore e su cui pubblica un Picas-
so 28 accanto ad altre prose di cinema o di letteratura, allIllustrazione Italia-
na, su cui propone testi tra arte e costume e recensioni teatrali29, al Gio-
ved, di cui s detto, alla Fiera Letteraria. Su questultima scrive con con-
tinuit di arte firmando la rubrica Mostre romane dal 4 novembre 1956 al 16
giugno 1957 30. Sono recensioni che rivelano ancora una volta il modo per-
sonale di Bertolucci nellesercitare, con frequenza quasi settimanale, il
mestiere di critico: gli itinerari nella Roma delle gallerie, il passo lento del
visitatore, un incontro (memorabile quello con Penna), un colloquio con un
amico, unintermittenza del cuore nella sosta in una libreria antiquaria che
riporta improvviso un profumo danni Venti e di versi amati, un moto di
commozione per il tempo andato, laffiorare delle visioni dei pittori su cui si
form la sua adolescenza, Correggio e Parmigianino. Ma, se questo racconto,
intarsiato di echi del cuore, rende preziosa la prosa di Bertolucci, altrettanto
importante il suo saper tracciare il panorama della ricca stagione darte roma-
na con lo stesso rigore e la stessa acutezza interpretativa del suo maestro
Longhi, lo stesso racconto disteso, la stessa capacit di far rivivere dallinter-
no unopera, coniugando descrizione e ricreazione.

Bertolucci scrive ora, come si osserva, da Roma, dove si trasferito con


molte speranze, ma anche con dolore per labbandono, se pur volontario, dei

26
I tre articoli apparsi, in margine ad una mostra di Giovanni Bellini, sulla Gazzetta di
Parma dal 19 aprile al 27 luglio 1949 furono poi condensati col titolo Alla scoperta di
Giovanni Bellini in Aritmie, cit., pp. 252-259. Si leggono ora in Opere, cit. pp. 1245-1254.
27
In Gazzetta di Parma, 9 marzo 1950.
28
Picasso, in Paragone, A. II, n. 19, luglio 1951.
29
La collaborazione dur sino alla fine del 1962, quando Bertolucci pass a scrivere sul
Giorno. Alcuni dei testi dellIllustrazione Italiana sono entrati in Aritmie, cit. e successiva-
mente in Opere, cit.. Si ricordano in particolare La casa del futurista, in LIllustrazione Ita-
liana, gennaio 1958, pp. 58-62; ora in Opere, cit., pp. 1156-1160; Gli olandesi di Via Mar-
gutta, in LIllustrazione Italiana, febbraio 1959, pp. 53-58; ora in Opere, cit., pp. 1230-1235.
30
Cfr. G. Palli Baroni, Attilio Bertolucci critico darte della Fiera Letteraria, in I segni
incrociati. Letteratura Italiana del 900 e arte figurativa, a cura di M. Ciccuto e A. Zingone,
Mauro Baroni Editore, Viareggio 2002, pp. 193-212.
Attilio Bertolucci poeta giornalista 411

suoi luoghi, della sua Parma. uno sradicamento che influisce anche sulle
sue pagine giornalistiche, che iniziano a delineare quellautobiografia lette-
raria che caratterizza la sua prima raccolta in prosa, Aritmie, suddivisa in tre
tempi Poetica dellextrasistole, Persone, In cerca dimmagini, ma caratterizza, in
fondo, anche la seconda raccolta Ho rubato due versi a Baudelaire, che resti-
tuisce, alla luce di una giornata evidente nelle intitolazioni delle parti (Mat-
tini a Venezia e altrove, Pomeriggi al cinema, Sere a teatro, Letture accanto al
fuoco, Viaggio fra gli antiquari) il fluire del tempo nelle cui pieghe sono nati
gli incontri, le scelte, lopera del critico e la musica feriale del racconto.
Alcune di queste prose, apparse in un primo tempo su Paragone (Poetica
dellextrasistole) e sulla Gazzetta Una penna al Tritone 31, sono narrazioni
che, rivisitando i luoghi, le letture e i momenti della vita, fondano quella
poetica nelle aritmie in cui si identificano le intermittenze del cuore della
poesia epifanica e disegnano un ritratto, variato ma sempre ricco e signifi-
cativo di quegli artisti, musicisti come Verdi, romanzieri come Proust o la
Woolf, Lawrence o Gadda o Evelyn Waugh, poeti come Baudelaire e
Hopkins, sui quali si costru la sua cultura o ai quali, come Ungaretti, Mon-
tale, Sereni e Pasolini, fu legato da stima e da vivi rapporti damicizia. Cos
le sue letture critiche portano in primo piano le sue predilezioni, la sua fede
nellarte vera, che sa rinnovare la tradizione con linvenzione e procedere
su un cammino che, non dimenticando il passato, crea nuovi linguaggi poe-
tici e nuove avventure narrative. Di pi il suo accento poggia spesso su quei
passaggi che raccontano la magia delle ore e il sentimento dellesistenza,
sulle strutture che, come in Ritratto di Signora di James, sorreggono il peso
del tempo, sulle biografie infine, di cui era lettore profondo e in cui rin-
tracciava umanit e destino e talvolta quella consonanza che riteneva essere
propria dellartista.
La parte pi cospicua delle prose di Bertolucci, appartiene agli anni di col-
laborazione al Giorno32 e a la Repubblica, cio agli anni 1963-1999. Il
panorama degli autori su cui si sofferma molto vasto, ma negli ultimi anni
della sua vita gli interventi si fanno meno frequenti e paiono voler richiama-
re quelle voci darte che fin da ragazzo lo avevano reso poeta, Proust innan-
zitutto, con Baudelaire, mentre sempre pi fa emergere memoria involon-
taria forse velata di rimpianto quei paesaggi danima che aveva abbandona-

31
Una penna al Tritone, in Gazzetta di Parma, 15 aprile 1951; ora in Aritmie, Opere, cit.,
pp. 995-997.
32
Sul Giorno Bertolucci firma una rubrica Transistor, brevi interventi sulla cultura e
sulla vita contemporanea pubblicati dal 64 al 67. Ricorderemo lattenzione a giornali stra-
nieri come il Times Literary Supplement di cui rifiuta il team work in Scrivere con gli altri?
No!, 4 marzo 1964, o il compiaciuto sguardo verso i rotocalchi che si aprono alla letteratura e
allarte, non pi confinate a striminzite rubrichette verso la fine del giornale, s che questa
vendetta allegra della cultura sulla cronaca una delle cose pi consolanti degli ultimi
tempi(Lallegra vendetta, 15 aprile 1964).
412 Gabriella Palli Baroni

to. Bastino alcuni rintocchi nei titoli Le mattine dei nostri anni perduti o Le
nostre mattine dozio e passeggiate per cogliere questo ritorno alle intermitten-
ces du coeur, che, sole, potevano rendere presenti gli anni perduti e i volti,
i paesaggi della vita. Per questo la raccolta Ho rubato due versi a Baudelaire
porta il segno alato e grande del suo addio e del suo presente, perch, gli
aveva confidato Zavattini nel lontano 1939, solo quello che si scrive sulla
carta esiste33.
Lio dello scrittore in prosa, raffinato, arguto e conversevole si colloca in
primo piano, ma con Golino, non mai ingombrante, non prevarica il let-
tore, non lo soffoca con linurbanit dellesibizionista, del narciso interiore.
Crea subito una affettuosa e calorosa identificazione con chi legge, avendo
dismesso ogni egotismo autoriale [] Quellio scritto diventa plurale, diven-
ta il noi di una storia comune, di una cultura, di una civilt. E incide il pro-
prio segno nel nostro Novecento []34.

Nel 1955 si apre la pi impegnativa e originale esperienza giornalistica di


Bertolucci, in cui pu mettere a frutto come direttore responsabile quanto negli
anni trascorsi aveva appreso nel campo della carta stampata e soprattutto realiz-
zare un giornale che fosse, sul modello inglese, vivace, vario, ben stampato. Di
periodici letterari aveva parlato pi volte anche con Vittorio Sereni. Nel 1949, ad
esempio, al momento del passaggio della Rassegna dItalia dalla direzione di
Francesco Flora a quella di Solmi, con la collaborazione di Anceschi, Ferrata, Bo,
Paci e Sereni aveva, invitato a collaborare, delineato un programma che pare anti-
cipare, con finalit diverse, la struttura della rivista dellEni:

Allora, senti: io potrei fare, regolarmente, una paginetta vivace dinformazioni


sulle cose letterarie britanniche, un po come faceva De Robertis su Pan per le let-
tere italiane, e credo che sarebbe utile. Dico anzi che fossi in te ne affiderei una
simile a Bo per la francese, a Macr per la spagnola e via. Non firmate, ma impor-
tanti impegnate rubriche danno il tono a una rivista. Che non siano brodetti, ma
succhi dinformazioni, con punte polemiche. E messe tipograficamente in evi-
denza. Darei le arti figurative a Momi Arcangeli. Delicato il settore Italiano, che
dividerei in Poesia e Prosa pi Letteratura antica e vecchia (Contini) e classica. Ma
capisci, Vittorio, farne il punto pi vivo della Rassegna: sei, otto facciate a due
colonne che io metterei fra la parte antologica e le recensioni ai libri. Senti anche
gli altri: e direi che alcuni di voi, anche tu Ferrata Anceschi, dovrebbe prendersi
prosa e poesia italiana e filosofia (Paci). Se mai si potrebbe anche firmarle o siglar-
le. Se sei, e siete daccordo, mi metto subito al lavoro: materiale ce nho ]]35.

33
Cfr. Unamicizia lunga una vita, cit., p. 246. La lettera da Milano senza data, ma pre-
sumibilmente del 39.
34
E. Golino, Attilio Bertolucci poeta e giornalista, cit.
35
A. Bertolucci V. Sereni, Una lunga amicizia. Lettere 1938-1982, a cura di G. Palli
Baroni, Prefazione di G. Raboni, Milano, Garzanti 1994, pp. 163-164.
Attilio Bertolucci poeta giornalista 413

Siamo negli anni della grande espansione dellEni e Mattei pensa a un


periodico, sullesempio delle testate industriali quali Comunit di Olivetti
fondata nel 1946, Pirelli diretta dal 1948 da Leonardo Sinisgalli e Civilt
delle macchine fondata dallo stesso Sinisgalli nel 1953. Non solo: la
Standard Oil aveva una rivista in lucida carta patinata e un semplice e mode-
sto notiziario per i dipendenti. Al contrario per la grande famiglia dellEni
Mattei desiderava un moderno rotocalco di ottima fattura e qualit, che testi-
moniasse il grande momento espansivo della compagnia petrolifera e costi-
tuisse il legame democratico tra uomini e donne, che, pur operando con
compiti diversi e in spazi lontani, si sentissero uniti da una comune apparte-
nenza. Il periodico sintitol Il Gatto selvatico, titolo, disegnato da Mino
Maccari, estroso e apparentemente enigmatico36, perch wild cat indicava,
oltre a un piccolo felino, il pozzo esplorativo, ossia il trabocchetto che luo-
mo, scavando nelle viscere della terra, tende al petrolio e agli altri idrocarbu-
ri; ma indicava anche i perforatori e i cercatori di petrolio, uomini avventu-
rosi e avventurieri, capaci di fondare le loro attivit sul coraggio e sulla crea-
tivit. Il poeta racconta che, grazie anche allamico Tito De Stefano dellUf-
ficio Stampa dellEni, fu prescelto come uno nuovo, dotato di grande
curiosit per infinite cose, esperto di giornalismo senza essere giornalista in
senso stretto. Pot cos realizzare quella variet tra informazione, specializ-
zazione e divulgazione, tra documentazione e intrattenimento utile e piace-
vole, che la caratteristica originale del giornale. Bertolucci cos ne ricorda
la struttura:

Dunque, affidatomi il compito, io ho cominciato subito a fare il giornale. Per


entrare nel concreto: limpostazione stabilita prevedeva che il giornale avesse un
buon numero di pagine dedicate allattivit dellEni, sia alle ricerche sia a pi
minute notizie aziendali. Poi, una buona parte di cultura e di divulgazione cul-
turale cos da risultare piacevole e istruttivo. Sempre la prima pagina era dedica-
ta a qualche attivit aziendale: ad uninaugurazione, ad un evento del Gruppo.
Nellultima e questa stata un po una mia trovata, visto che era disponibile il
colore iniziata uninterminabile storia dellarte divisa per generi e scuole, che
ha avuto molto successo.[] Ad un certo punto, negli anni, il rapporto con i
dipendenti si anche allargato: cerano delle specie di non dico concorsi ma di
inviti ad inviare poesie, pitture, cose di questo genere, anche di carattere perso-
nale sul loro lavoro. Questo andava nelle prime pagine.

36
Le notizie sono tratte da conversazioni della scrivente col poeta, poi raccolte in G. Palli
Baroni, Il Gatto Selvatico. Attilio Bertolucci dirige il mensile aziendale dellENI, in Letteratura
e industria, Atti del XV Congresso AISLLI, Torino, 15-19 maggio 1994, a cura di G. Brberi
Squarotti e C. Ossola, Firenze, Leo S. Olschki Editore 1997, pp. 929-934. Della stessa si veda
anche Caro lettore, in Ecos, ottobre-novembre 1994 e Un poeta davvero super, in Gazzetta
di Parma, 27 dicembre 2007. Si ricorda anche Attilio Bertolucci racconta Il Gatto
SelvaticoallArchivio storico Eni 28 gennaio 1989, in Inedita Energia, Roma, settembre 2008.
414 Gabriella Palli Baroni

House organ di una grande Compagnia Il Gatto Selvatico fu documento


degli sviluppi industriali, delle novit tecniche, della penetrazione in paesi stra-
nieri, in Marocco oppure in Iran, dove si recavano inviati speciali, ma fu altre-
s veicolo di sobria informazione sugli avvenimenti del tempo e soprattutto di
crescita culturale. Il periodico, i cui propositi sono delineati sin dal primo
numero del luglio 1955 e che usc con scadenza mensile, si arricch nella dire-
zione di un sempre maggior coinvolgimento dei lettori, ai quali, oltre alla rubri-
ca Le lettere di p. 2, si dedicarono spazi autonomi, pensati con cura ed equili-
brio al fine di evitare contributi inutili e sovrabbondanti e al fine di mantene-
re vivo linteresse dei dipendenti, sia nei confronti dellazienda sia attraverso ini-
ziative dintrattenimento, dal concorso fotografico al quiz su temi artistici allo
spazio poetico e narrativo intitolato Una pagina per noi. Le contro copertine
furono invece illustrate da una riproduzione darte commentata da Bertolucci,
che tracci in questo modo una storia della disciplina, raccontata con grande
competenza e molta affabilit per il vasto pubblico dei suoi lettori.
I temi trattati erano vari. Vi era innanzitutto la letteratura in prosa (rac-
conti o pagine di viaggio, di critica o sul mondo della tecnica) e in poesia con
collaboratori illustri da Gadda a Comisso, da Giorgio Bassani a Alfonso
Gatto, da Giorgio Caproni a Manganelli a Enzo Siciliano. Non mancavano
gli interventi sullarte, di Marco Valsecchi, di Roberto Tassi o, come si
detto, dello stesso Bertolucci. E ancora il cinema, affidato a Pietro Bianchi; i
Libri recensiti da critici illustri da Squarcia a Giacinto Spagnoletti; lo sport,
con articoli di Alberto Bevilacqua; la buona educazione di Giulio Cattaneo;
le ricette di cucina di Caterina e i raffinati articoli sulla moda di Etty Viola;
i consigli per la vita domestica nella sezione La nostra casa; le note linguisti-
che e grammaticali di Mario Medici; la Buona educazione, note di galateo di
Giulio Cattaneo. E, si osservi, in campo letterario lentamente, comment
Bertolucci, si sal di tono, proponendo grandi autori moderni e presentan-
do, per citare solo qualche nome, Proust, Joyce, Apollinaire, Prevert, Eliot.
Facendo infine nostro il giudizio di Ubaldo Bertoli, collaboratore della
rivista e molto vicino a Bertolucci, pensiamo che Il Gatto Selvatico sia stato

senzaltro il periodico aziendale pi intelligente di quegli anni, diretto con una


certa nonchalance da Attilio Bertolucci il quale lo curava a distanza ma con molta
attenzione e riusciva a farvi collaborare scrittori di alto nome 37.

Durante lesperienza del Gatto Selvatico Bertolucci resta molto legato


alla sua citt e a quegli intellettuali ai quali si sentiva vicino per interessi arti-

37
In V. Gandolfi, Intervista a Ubaldo Bertoli, Parma, 20 maggio 1990, in Archivio Storico
dellEni, Fondo Interviste n. 31. Segnaliamo la tesi di laurea di A. Mezzasalma, Il Gatto
Selvatico.Lhouse organ nellEni di Mattei, Universit degli Studi di Milano, A. A. 2006-2007
e la tesi di S. De Bernardin Gole, Le riviste del petrolio. Arte, letteratura e industria in Esso
Rivista (1949-1983) e Il Gatto Selvatico (1955-1964), Milano, Universit Cattolica del
Sacro Cuore, A. A. 2007-2008.
Attilio Bertolucci poeta giornalista 415

stici e civili. Lo dimostra il fatto che molti collaboratori del giornale dellEni
siano stati parmensi, da Pietro Bianchi a Francesco Squarcia ad Alberto Be-
vilacqua, per ricordarne solo alcuni. Non si sottrasse tuttavia allinizio, mal-
grado molti impegni, a dare il proprio contributo ad una nuova rivista tri-
mestrale di lettere e arti ideata a Parma e pubblicata a partire da gennaio 1957
col glorioso nome della biblioteca ducale Palatina. Il comitato di redazione
fu formato dallo stesso Bertolucci, da Gian Carlo Artoni, Giorgio Cusatelli,
Francesco Squarcia, Angelo Tonna e Roberto Tassi, che funse da direttore.
Pi tardi si aggiunsero Gian Carlo Conti e Mario Lavagetto e il periodico
continu ad uscire fino al gennaio 1966. Oltre a saggi e testi letterari, la rivi-
sta accolse scritti dedicati a Parma nella sezione centrale Gli anni e interven-
ti di critica militante nellultima parte.
Determinante fu il ruolo del poeta nellispirazione della rivista, le cui linee
guida furono da lui indicate in Perch Palatina 38. In questo editoriale, pur
non nascondendo lesigenza di un impegno e di una visione oltre regionale,
si ravvisa il desiderio di un ritorno, dallottica della grande Roma in cui si tro-
vava ormai a vivere, alla provincia come luogo dove era ancora possibile ritro-
vare umanesimo, una cultura non massificata e una produzione non in serie.
Nostalgia di Parma e del mondo in cui si era formato alla letteratura e al gior-
nalismo39? Sembra pensarlo Squarcia nel numero seguente40, rifiutando il
mito sentimentale e il valore assoluto della provincia propri della propo-
sta bertolucciana:

Quello spazio lui lo vede con un affetto un po carnale, seppure raddolcito dai
passaggi di stagione e dalla conversazione con gli amici. Esaltato e disilluso dalla
Grande-Citt ha bisogno di questarea certa e misurabile per capire e per capirsi,
e anche per il gusto di ripartirne.

In verit, pur pubblicando pochi interventi (gli anni fino al 1963 coinci-
dono con limpegno del Gatto Selvatico, della Fiera Letteraria e dellIllu-
strazione Italiana e lavviarsi della collaborazione al Giorno), Bertolucci
segu la rivista partecipando a distanza attraverso uno scambio epistolare con
Tassi ancora inedito. Gi a partire dal dicembre 1956 Bertolucci appare infa-
stidito dal ritardo nella preparazione del periodico41, che Tassi giustifica con
un disorientamento della redazione parmigiana dopo lentusiasmo iniziale,
annunciando peraltro una scaletta dinterventi e chiedendo se sia possibile

38
A. Bertolucci, Perch Palatina, in Palatina, a. I, n. 1, gennaio-marzo 1957, pp. 3-4.
39
Mutuiamo dal titolo di un articolo di Bertolucci Nostalgia di Parma apparso in LAp-
prodo letterario, gennaio-marzo 1952; ristampato in Aurea Parma, a. XXXVI, fasc. II, apri-
le-giugno 1952.
40
Cfr. F. Squarcia, Dialogo, in Palatina, a. I, n. 2, aprile-giugno 1957.
41
Bertolucci aveva scritto ad Artoni di non aver saputo niente di concreto sulla rivista in
preparazione. Ricaviamo la notizia dalla lettera del 12/12/56 di Tassi da Parma.
416 Gabriella Palli Baroni

presentare sul primo numero poesia dello stesso Bertolucci, del quale, tutti si
sentivano figli. Sul n. 1 del gennaio-marzo 1957 si lessero infatti le poesie
Una lettera a Franco Giovannelli, Ringraziamento per un quadro, Leggendo
Waldemar Bonsels a G. 42 ed certo che il breve dissidio43 fu presto ricompo-
sto se nei primi tre numeri apparvero, per intervento di Bertolucci, gli Accop-
piamenti giudiziosi di Carlo Emilio Gadda accompagnati sul n. 3 dalla bella
pagina bertolucciana Conoscete lingegner Gadda?, esempio di quello stile gior-
nalistico che, muovendo dalla conoscenza delluomo, della sua saeva indi-
gnatio da gran borghese lombardo sradicato a Roma, delle vicende della sua
vita giunge allinterpretazione della sua opera degna di un romanziere vero,
di un Dickens che possegga lestro di uno Sterne44. Oltre a poesie45 altri
interventi giornalistici si lessero negli anni seguenti, Per un Carmignani sul n.
6 dellaprile-giugno 1958, Ancora Parma e dintorni sul n. 13 del gennaio-
marzo 1960, ma si dovette certamente allinfluenza di Bertolucci lattenzio-
ne per la poesia contemporanea (Sereni e Orelli, Caproni e Sbarbaro,
Giovanelli e Gaetano Arcangeli, Volponi), per le traduzioni poetiche e per gli
scrittori in prosa come Delfini, Colombi Guidotti o DArzo, di cui nel 1960
si pubblic un illuminante scritto su Stevenson46. Anche il dibattito cultura-
le che si instaur con limpegno sperimentale di Officina e con i collabora-
tori di questa, ospitati anche su Palatina (basti ricordare la Nota su Spitzer
di Pasolini)47 testimonia lapertura culturale della rivista, alla quale non fu
estraneo Bertolucci. Daltra parte, se torniamo alleditoriale di Bertolucci di
cui si detto, appare evidente che, pur elogiando la petite capitale dau-
trefois, il poeta non intendeva rinchiudere la cultura di Palatina nella tra-
dizione e nel passato, pur aristocratico, ma sapeva perfettamente, in linea con
tutta la sua storia di scrittore, il valore dellinnovazione. Concludeva infatti:

Ci vogliamo con questo inibire, chiudere? Non nelle nostre intenzioni. Palati-
na, per dorato che suoni il suo nome e aristocratico, aperta alle pi azzardate
avventure artistiche. Pur che non si tratti di presuntuose velleit.

42
Le poesie furono poi pubblicate in Viaggio dinverno, Garzanti, Milano 1971 e, succes-
sivamente, in Le poesie, Garzanti, Milano 1990 e in Opere, cit.
43
Nella lettera di Tassi in data 11/1/57 si manifesta il dispiacere per la decisione di
Bertolucci di abbandonare la rivista.
44
Conoscete lingegner Gadda?, in Palatina, a. I, n. 3, luglio-settembre 1957, pp. 22-26;
ora in Aritmie, Opere, cit., pp. 1109-1115.
45
La teleferica, in Palatina, a. III, n. 9, gennaio-marzo 1959; La consolazione della pittu-
ra, in Palatina, a IV, n. 13, gennaio-marzo 1960; Unesortazione ai poeti della mia citt, in
Palatina, a. V, n. 20, ottobre-dicembre 1961; Discendendo il colle e La strada della Spezia, in
Palatina, a. IX, n. 29, gennaio-marzo 1965. Tutte apparvero successivamente in Viaggio din-
verno, cit., in Le Poesie, cit. e in Opere, cit.
46
Una morte pi bella di un poema, in Palatina, a. IV, n. 13, gennaio-marzo 1960.
47
In Palatina, a. III, n. 10, aprile-giugno 1959.
Attilio Bertolucci poeta giornalista 417

Anni pi tardi sar Lavagetto a tornare criticamente sulla dichiarazione


programmatica di Bertolucci ([] da lasciare, oggi, sbalorditi cos gelo-
samente ancorata a un ambito provinciale)48, riconoscendo limiti alla forza
del progetto e alla sua realizzazione, pur generosa di contatti intellettuali e di
passione artistica. Ma accanto, ecco la voce consenziente di Lagazzi, che rico-
nobbe a Bertolucci e a Palatina daver fatto scuola, in grigi tempi derme-
tismo conformistico, di franchezza e di realismo; daver letto gli italiani in
profondit, se necessario con cautela; daver esortato a frequentare i grandi
stranieri; daver diffuso idee e privilegiato i valori dellarte49.
Si deve probabilmente allincoraggiamento di Bertolucci lantologia poe-
tica Stile nuovo e tradizione uscita a cura di Mario Lavagetto ed Enzo Siciliano
sul primo numero (n. 17) del 1961, antologia che comprendeva, accanto a
Zanzotto, Erba e DArrigo, il gruppo dei poeti di Officina (Pasolini,
Roversi, Volponi, Leonetti) e i poeti del laboratorio parmigiano, Artoni,
Conti, Ponzini e Bernardo Bertolucci. Ad Attilio andava il riconoscimento di
un ruolo di guida di tanti scrittori, anche dei poeti di Officina che aveva-
no seguito la strada del poemetto. Alberto Bertoni indica proprio in questo
scorcio del 1961 linizio della crisi della rivista50 (sullo stesso numero 17 era
apparsa una forte stroncatura dei poeti Novissimi per penna di Cusatelli), che,
pur continuando per alcuni anni, grazie alla passione per larte figurativa di
Tassi e Arcangeli e allamore per la poesia e per il cinema di altri, perse slan-
cio e funzione nel dibattito letterario e artistico del tempo. Basti ricordare un
passo di Tassi51 che, scrivendo a Bertolucci annota con evidente amarezza:

So che arrivi gioved e allora non apro un discorso su Palatina, che si far meglio
a voce. Solo posso dire che, in fondo, sempre pi Palatina mi sembra una cosa
del passato. E forse il discorso gi tutto fatto.

Quanto al poeta il suo distacco matur probabilmente intorno a questo


periodo, quando fu chiamato a dirigere proprio nel 1966 e per il 1967 la
rubrica televisiva lApprodo, trasmissione varia in cui si alternavano punta-
te antologiche a special, come quello intitolato Alla ricerca di Marcel Proust 52.
Lho fatto, raccont a Lagazzi, cucendo delle riprese a Illiers (realizzate con

48
Cfr. M. Lavagetto, Appunti per una storia delle riviste emiliane (Officina, Palatina,
Rendiconti) in Quaderni modenesi, n. s., n. 13, ottobre 1979.
49
Le citazioni sono tratte dalla Premessa di Lagazzi a Officina Parmigiana. La cultura let-
teraria a Parma nel 900, a c. di P. Lagazzi, Ugo Guanda Editore, Parma 1994, pp. 7-10.
50
A. Bertoni, Dal Raccoglitore al Nuovo Raccoglitore: Periodici e vita letteraria a Parma
nel secondo dopoguerra, in Officina parmigiana. La cultura letteraria a Parma nel 900, cit., pp.
209-212.
51
La lettera porta la data del 21 febbraio 1967.
52
Lo special trasmesso il 26 maggio 1966 stato riprodotto in A. Bertolucci, Alla ricerca
di Marcel Proust, a cura di G. Ungarelli, Nuova Eri, Torino 1955, pp. 51-107.
418 Gabriella Palli Baroni

una piccola troupe a mia disposizione) e delle interviste straordinarie a


Mauriac, a Cocteau, alla governante Celeste che avevamo comprato53. In-
terviste a Montale sullattico del Pirellone a Milano, a Comisso nella sua casa
di campagna, e ancora special, come quello dedicato al centenario di Bene-
detto Croce, con interventi di autori illustri, da Roland Barthes a Borges, a
Theodor Adorno, dicono lalta qualit letteraria del suo impegno, coniugato
con lantica esperienza di esperto cinematografico trasferita nel nuovo mezzo
televisivo.
Unultima condirezione vede nuovamente Bertolucci impegnato in
unimportante rivista letteraria romana Nuovi Argomenti. Ucciso tragica-
mente ad Ostia Pasolini, direttore del periodico con Moravia e Siciliano,
Bertolucci a sostituirlo e a firmare nel numero doppio 47/48, settembre-otto-
bre 1975 leditoriale. Leditore di Nuovi Argomenti dal 1965 Garzanti,
cui il poeta legato da tanti anni; ma fu certamente la sua vicinanza elettiva
al poeta defunto e a Siciliano a spingerlo ad accettare lincarico, che conser-
ver sino alla chiusura della seconda serie col primo numero del gennaio-feb-
braio 1980. NellEditoriale, ricordando commosso il tremendo trauma della
morte del poeta pi tormentato e pi libero, la vitale presenza di Pasolini
nella societ civile, la sua autorit di critico infallibile di poesia, esprime il
proprio debito di fedelt alla linea della rivista, sottolinea programmatica-
mente la necessit di non abbandonare la vigilanza contro i conformismi
morali e culturali, magari pericolosamente ammantati di variegate maschera-
ture fintamente anticonformistiche.
Ancora una volta la voce di Bertolucci si manifesta come segnale di verit
e di libert, una libert che, coniugandosi con la raffinatezza della sua cultu-
ra poetica, contribuir a creare uno spazio importante nella rivista per molti
poeti, giovani e meno giovani, da Toti Scialoia a Paolo Bertolani, da Sandro
Florio a Elio Pecora, da Dario Bellezza a Maurizio Cucchi a Valerio Magrelli,
da Bruna DellAgnese a Biancamaria Frabotta, da Beppe Salvia a Giorgio
Manacorda a Franco Cordelli ad Amelia Rosselli (ma molti nomi che vor-
remmo ricordare restano nella penna). Anche sul piano della saggistica il suo
contributo appare rilevante nellaccogliere scritti che si riferissero criticamen-
te ad autori da lui amati, a Baudelaire (Francesco Orlando), a Dylan Thomas
(Davide Bracaglia), a Silvio DArzo (Lagazzi) o ai contemporanei con i quali
aveva intrecciato relazioni e amicizie nel segno della poesia: tra i molti, Ca-
proni (Giraldi), Montale (Ranieri), Fortini (P. V. Mengaldo), Bassani (Anna
Dolfi), Anna Banti (Leonelli) e Pasolini, al quale si dedicarono lOmaggio di
gran parte del numero 49 del gennaio-marzo 1976 e altri interventi (Magrini
e Tellini su La Guinea).

53
Il passo, tratto da A. Bertolucci P. Lagazzi, Allimprovviso ricordando, cit., riportato in
Opere, cit., p. LXXXIII.
Attilio Bertolucci poeta giornalista 419

Concordiamo con Lagazzi nel ritenere che Bertolucci abbia collaborato a


Nuovi Argomenti senza mai tradire limprinting pasoliniano ma spostan-
dolo a modo suo: inclinandone lo spirito di ricerca, lapertura e il coraggio
verso un terreno dincontri umani, di sollecitazioni e di scoperte puntuali,
fuori da ogni strettoia ideologica54. Aprendo, certamente di concerto con
Siciliano, il cammino a voci nuove sia nella poesia sia nella critica e nella nar-
rativa, si fece, ancora una volta, con lunderstatement a lui consueto, con la
ricchezza della sua straordinaria cultura, con la sua abilit di lettore finissimo
e di scrittore dalta civilt, ispiratore e maestro di giornalismo.

54
Cfr. P. Lagazzi, Bertolucci in campo, in Nuovi Argomenti, Quinta serie, n. 11, luglio-
settembre 2000, p. 107.
STEFANIA RIMINI

Inseguendo una vita di ricambio:


Flaiano recensore cinematografico

E i giornalisti? Chi ci salver da questi cuochi della


realt?
E. Flaiano

Poco mimporta la menzogna


ma detesto linesattezza
S. Butler

4 novembre. Da Fellini, aria di naufragio. Ma io mi diverto solo quando le cose


non vanno a gonfie vele. Il disastro rivela gli uomini. I topi scappano e hanno
anche loro ragione, perch della nave non gli interessa che la regolare navigazio-
ne, la routine. Poi, al cinema. Melenso film con Clark Gable e Doris Day. Regia
di G. Seaton. Tipica moralit americana sulle arti e sui mestieri. Emerson li ha
rovinati, facendo tutto facile. Il giornalismo deve essere di formazione o di infor-
mazione?: ecco il dilemma. Finisce che si mettono daccordo. Formare e infor-
mare. Io penso invece che il giornalismo e in genere la rapidit di diffusione delle
notizie inutili e mostruose il danno maggiore che lumanit sopporta in questo
secolo. Si sa tutto di tutto. Che noia. E che tristezza1.

La densit di questo appunto rivela immediatamente la cifra peculiare


della scrittura flaianea, ovvero lestraneit ad ogni logica di consumo e mer-
cificazione dellintelligenza, il gusto per il paradosso, la disinvoltura acroba-
tica di una penna continuamente in bilico tra cronaca e finzione, edito e ine-
dito, tempo e memoria. La destrezza con cui Flaiano mette in fila Fellini,
Clark Gable, Emerson e un radicale dilemma giornalistico (tale da far quasi
impallidire i fedelissimi del Principe di Danimarca) il frutto maturo di un
eclettismo eccentrico, capace di alternare senza soluzione di continuit nar-
rativa, giornalismo, drammaturgia e cinema in una dilagante produzione

1
E. Flaiano, Diario degli errori, a cura di E. Giammattei, Rizzoli, Milano 1976, ora in Id.,
Opere. Scritti postumi, a cura di M. Corti e A. Longoni, Bompiani, Milano 2001, p. 324.
422 Stefania Rimini

artistica, restituita in gran parte postuma. Lorigine di questa smisurata catte-


drale di carta un lungo apprendistato, durante il quale il nostro autore a
partire da uninnata ossessione verso la pagina bianca2 ha faticosamente tra-
scritto ogni oscillazione della coscienza, senza mai tralasciare il commercio
con gli altri uomini e gli affari del mondo. Precipitato dentro gli ingranaggi
di una macchina sociale variegata e instabile, prima stritolata dalle maglie del
regime e poi illusa dal miraggio di un benessere fittizio3, Flaiano sceso a
patti con la propria indolenza riuscendo a registrare umori, passioni, frustra-
zioni di un paese di porci e mascalzoni4. Pur votandosi a una consapevole
marginalit, ha attraversato la marea montante della storia italiana con coe-
renza e gaia spietatezza, grazie anche a una forma mentis singolarmente pro-
tesa verso atmosfere di aurea mediocritas, condite sempre in salsa allegorica e
grottesca5. La misurata armonia della prosa flaianea sembra davvero il retag-
gio di unaltra epoca, per la precisione delle stoccate e il garbo dello stile, seb-

2
Le mie cose sono cose cui sono abbastanza attaccato ma che al tempo stesso mi respin-
gono, mentre io adoro lo scrittore felice, goethiano, che ama la pagina bianca. A me la pagina
bianca fa paura. Sono portato alla nota, allo schizzo giornaliero, alle cose che dopo forme-
ranno un volume. Ma di questo non mi curo, lessenziale che ti abbiano fatto soffrire in vita
(E. Flaiano, Gli italiani non sanno ridere, intervista rilasciata a G. Rosati, Il Mondo, 14 apri-
le 1972, ora in Id., Opere. Scritti postumi, cit., p. 1203).
3
Noi oggi siamo in contatto col mondo attraverso i mass media: i giornali principal-
mente, la radio, la televisione. La maggior parte delle notizie che il mondo ci offre sono pes-
sime notizie: non abbastanza confortate da quello che gruppi di uomini, societ, nazioni,
fanno perch questa fede non perisca del tutto. Sentiamo che qualche cosa si va lacerando nel
tessuto divino dellumano. Qualcosa si va perdendo, qualcosa si va sciupando irrimediabil-
mente per ladorazione del vitello doro, per ladorazione del successo, per ladorazione di quel-
lo che noi crediamo di essere, cio animali sessuali; mentre non siamo animali sessuali, siamo
animali pensanti, ragionanti (E. Flaiano, intervista rilasciata a G. Villa Santa, in Id., Opere.
Scritti postumi, cit., p. 1234).
4
E. Flaiano, Diario degli errori, cit., p. 390: Il paese delle mistificazioni alimentari, della
fede utilitaria (lattesa del miracolo a tutti i livelli) della mancanza di senso civico (le citt
distrutte, la speculazione edilizia portata al limite) della protesta teppistica, un paese di ladri e
bagnini (che aspettano lestate) un paese che vive per le lotterie e il giuoco del calcio, per le
canzoni e per le ferie pagate. Un paese che conserva tutti i suoi escrementi. Si tratta di una
vera e propria invettiva contro lItalia, trascritta in forma di breve nota nel 1969 e confluita
poi nella raccolta Diario degli errori; i toni sono aspri, le accuse puntuali e poco divertite, il
ritratto complessivamente impietoso, e per di pi drammaticamente attuale.
5
Il tono sentenziante di molti scritti flaianei sembra alimentare lequivoco di una latinit
genetica, di una separatezza malinconica dovuta a una effettiva estraneit al suo tempo; ad ali-
mentare il mito della sua inattualit ci ha pensato pi volte lo stesso Flaiano, come emerge
da questo stralcio dellultima intervista rilasciata prima della morte: Io forse non ero di que-
stepoca, non sono di questepoca. Forse appartengo a un altro mondo: io mi sento pi in
armonia quando leggo Giovenale, Marziale, Catullo. probabile chio sia un antico romano
che sta qui ancora, dimenticato dalla storia, a scrivere cose che gli altri hanno scritto molto
meglio di me: cio, ripeto, Catullo, Marziale, Giovenale (E. Flaiano, intervista rilasciata a G.
Villa Santa, cit., p. 1237).
Inseguendo una vita di ricambio: Flaiano recensore cinematografico 423

bene non manchino poi affondi nichilistici e tirate di rara violenza contro i
vizi dellitaliano medio (ma non solo). C comunque un dato, fra gli altri,
che stupisce (tanto pi se si pensa al pericoloso qualunquismo dei nostri gior-
ni): lequidistanza dello scrittore da ogni schieramento o ideologia politica,
fatta salva la perentoria stigmatizzazione di qualsiasi dittatura6. proprio tale
moderazione che gli ha consentito di osservare la geografia umana del suo
tempo con svagata pensosit, senza condizionamenti o inibizioni, nonostan-
te le cesoie del regime prima e le trappole di una democrazia zoppicante
dopo. A guidarlo nella corsa a ostacoli della storia italiana stata lassoluta
devozione allidea di libert, lunico errore giovanile che non abbia mai
rifiutato7, oltre allinsana passione per il mestiere di scrivere.

Fresco di stampa

La spossante quotidianit della scrittura viene fin da subito ancorata da


Flaiano ai ritmi del giornale, per motivi innanzitutto economici, anche se
negli anni le ragioni dellopportunit lasceranno il posto a una singolarissima
fedelt al genere e a una mole davvero impressionante di articoli8. Lesordio
nella carta stampata risale agli anni 1931-1933: la rivista Oggi, diretta da
Mario Pannunzio, a segnare il suo ingresso in redazione con la pubblicazio-
ne dellarticolo sul romanzo I nostri simili di Quarantotti Gambini. Negli
anni 1933-1934 Flaiano figura come collaboratore della rivista Occidente,
diretta da Armando Gherlandini; qui pubblica tra gennaio e giugno del 1933
recensioni su Marine Ferro, Aldous Huxley, Sherwood Anderson e David

6
Si leggano al riguardo le nette prese di posizione contro il fascismo ovvero le tante diva-
gazioni polemiche nei confronti del comunismo e delle sue degenerazioni disseminate qua e
l nel Diario degli errori, nella Solitudine del satiro, e perfino nelle opere pi coerentemente
narrative: ne vien fuori il ritratto di uno scrittore eminentemente politico, ma mai condizio-
nato da appartenenze e logiche di partito.
7
Cfr. a questo proposito E. Flaiano, Diario notturno, Il Mondo, a. VIII, n. 45, 6 novem-
bre 1956, ora in Id., La solitudine del satiro, in Opere. Scritti postumi, cit., pp. 464-465:
Questamore per la parola Libert non sopportava aggettivi n associazioni: io non volevo una
libert sorvegliata, difesa, personale, intellettuale; n gradivo che le si accoppiassero concetti,
altrettanto nobili, come Giustizia e Democrazia, parendomi che la libert li contenesse tutti,
anzi li proteggesse.
8
Per uno spoglio degli articoli cfr. M. Ferrario, D. Ruesch, Bibliografia degli scritti di
Flaiano, rivista e integrata da A. Longoni, Scheiwiller, Milano 1988; la lista delle testate in cui
comparvero gli scritti giornalistici di Flaiano si trova invece in L. Sergiacomo, Invito alla let-
tura di Ennio Flaiano, Mursia, Milano 1996; altri strumenti utili per una puntuale ricostru-
zione dellattivit giornalistica di Flaiano si trovano in E. Flaiano, Opere. Scritti postumi, cit.,
pp. 1359-1405 e L. Buccella, Ennio Flaiano e la critica. Ricognizioni bibliografiche (1946-
1992), Ediars, Pescara 1993.
424 Stefania Rimini

Herbert Lawrence9. Nel novembre dello stesso anno, poi, viene pubblicato il
suo primo articolo sullItalia letteraria. Tra gennaio e febbraio del 1935
compare sulla rivista settimanale Quadrivio, diretta da Telesio Interlandi,
una sua rubrica dal titolo A&B, interrotta pochi mesi dopo a causa della par-
tenza per la guerra dEtiopia. La parentesi africana, lungi dal fiaccare la voca-
zione letteraria di Flaiano, esalta il suo bisogno di restare inchiodato al respi-
ro della pagina, per non venire travolto dallorrore e dallinutilit dellazione
sul campo. La redazione del diario Aethiopia. Appunti per una canzonetta
(pubblicato postumo sul settimanale Il Mondo nel 1973) contribuisce a
sviluppare lintuito per il particolare, ad affinare la capacit di trasferire sul
piano dellironia le pi desolate considerazioni sullesistenza, e cos gi da
queste note si intravede la verve dello scrittore a venire.
Il rientro in Italia segnato dalla ripresa di unintensa attivit giornalisti-
ca, difficile da rubricare per la consistenza e la variet delle collaborazioni. Tra
le tante esperienze vissute al riparo delle rotative corre lobbligo di segnalare
non tanto lesordio come critico cinematografico (di cui diremo meglio tra
breve) quanto il consolidarsi del rapporto con Pannunzio intorno al nuovo
Oggi (siamo allaltezza del 1939-1940), e soprattutto intorno al quotidia-
no romano Il Risorgimento liberale (a partire dal 1944). Presso lorgano del
Partito Liberale, diretto da Pannunzio con la consulenza di Benedetto Croce,
Flaiano si occupa di cronaca di costume e di critica teatrale, tenendovi le
rubriche Carta bianca, Album romano, Spettacoli e Scena illustrata. Si tratta
per lo scrittore abruzzese dellapprodo a una nuovo codice dinformazione;
pur mantenendo i toni di una colloquiale ironia, il suo occhiale indiscreto
orientato infatti verso la denuncia della drammatica situazione italiana nel
tentativo di far riemergere, tra le rovine del secondo conflitto mondiale, gli
ideali liberali di pace sociale e giustizia tanto mortificati dal fascismo. Nel rie-
vocare gli anni di questa breve ma significativa esperienza, Flaiano sottolinea
con forza la responsabilit politica di quelle pagine, solo apparentemente
evasive rispetto allurgenza della storia italiana.

Mario Pannunzio e Leo Longanesi ebbero unimportanza decisiva perch mi for-


nirono i mezzi per mettermi a scrivere. Aggiunger, di cose di cui non sapevo
assolutamente niente. Ma lunica protesta contro il fascismo era quella di non
parlare mai delle cose ma sempre di altre cose. Il critico cinematografico era uno
che non capiva niente di cinema ma andava al cinema e faceva il pezzo di cine-
ma parlando daltro. Era lunico modo di protestare contro il fascismo10.

9
possibile rileggere questi scritti, per la verit ancora acerbi ma gi orientati verso la pre-
ferenza per una letteratura antiretorica e a suo modo satirica, grazie alla cura di Maria Corti e
Anna Longoni: cfr. Note ai testi, in E. Flaiano, Opere. Scritti postumi, cit., pp. 1318-1326.
10
E. Flaiano, Gli italiani non sanno ridere, cit., p. 1202; come vedremo pi avanti lo spes-
sore della critica cinematografica del nostro, fin dagli esordi, ben pi consistente del dilet-
tantismo cui si allude in questa dichiarazione.
Inseguendo una vita di ricambio: Flaiano recensore cinematografico 425

La protesta implicita contro il fascismo certamente il fil rouge del primo


lungo arco dellavventura giornalistica di Flaiano, che prosegue dal 1945 in
avanti con alterne fortune, ma sempre sotto il segno di una convinto e coe-
rente apprendistato. Conclusa nel 1945 la collaborazione con Risorgimento
liberale, in seguito alla fuoriuscita di Pannunzio, Flaiano oltre a saltuari
rapporti con Domenica e La citt libera tiene per il Secolo XX la
rubrica Locchiale indiscreto, spesso firmata con lo pseudonimo Pickwick11. La
penna dello scrittore ormai scaltra nel censire e castigare le metamorfosi del
costume, mentre limpronta satirica dello stile sempre pi marcata.
Il dopoguerra un periodo di attivit febbrile, in cui si vanno precisando
i molteplici interessi dellautore, non pi concentrati soltanto sulla stampa
quotidiana; lattivit giornalistica costituisce un binario parallelo rispetto alla
produzione teatrale (il 10 maggio del 1946 debutta il dramma La guerra spie-
gata ai poveri), e narrativa ( del 1947 ledizione del romanzo Tempo ducci-
dere), mentre si intensificano i contatti con il mondo del cinema. Al di l di
occasionali collaborazioni con testate, riviste e settimanali (Il Corriere Lom-
bardo, Il Corriere di Milano, La Voce Repubblicana, Risorgimento, Il
Giornale di Sicilia, LEuropeo, Bis, solo per citarne alcuni), ancora una
volta a fianco di Pannunzio che il giornalismo di Flaiano conosce una svolta
per certi aspetti decisiva. Lofficina editoriale de Il Mondo, fondata nel
1949 sotto lacuta direzione dellintellettuale lucchese, punta sul carisma di
collaboratori eccellenti (del calibro di Mino Vaccari, Sandro De Feo, Vitalia-
no Brancati) e assegna a Flaiano il duplice incarico di redattore-capo e recen-
sore cinematografico. Per la verit i concomitanti impegni di sceneggiatore12,
sempre pi pressanti grazie al sodalizio con Monicelli, Fellini e Blasetti, lo
costringono a interrompere lattivit di critico nel 1952 e nel 1953, mentre
dal novembre del 1954 sino alla fine del 1957 il nostro tiene la famosa rubri-
ca di cronaca, costume e racconti Diario notturno, ripresa poi per poco nel
1960 13. Sono anni, questi, di intenso sperimentalismo, in cui lautore rag-
giunge una piena maturit espressiva, laboriosamente testata sulle colonne
della rivista. A un certo punto, per, lonesto artigianato de Il Mondo

11
Cfr. E. Flaiano, Locchiale indiscreto, Bompiani, Milano 1995.
12
Sulle dinamiche, il rilievo e le frustrazioni del Flaiano sceneggiatore cfr. soprattutto F.
Natalini, Ennio Flaiano. Una vita nel cinema, Artemide, Firenze 2005; G.P. Brunetta, Flaiano
sceneggiatore, in AA.VV., Flaiano ventanni dopo, Ediars, Pescara 1992, pp. 44-49.
13
Nel 1956 presso leditore Bompiani Flaiano pubblica una silloge intitolata proprio
Diario notturno, che raccoglie articoli pubblicati negli anni 1943-49 in varie sedi e pezzi appar-
si tra il 1954 e il 1956 nella omonima rubrica del Mondo. Si tratta di materiali variamente
rielaborati e riorganizzati dallautore, che testimoniano per la centralit della scrittura gior-
nalistica come fonte di ispirazione letteraria. Per un attento profilo filologico della raccolta cfr.
Note ai testi, in E. Flaiano, Opere 1947-1972, a cura di M. Corti e A. Longoni, Bompiani,
Milano 1990, pp. 1415-1431.
426 Stefania Rimini

diventa un orizzonte troppo stretto per lo sguardo avido di cose reali di


Flaiano e cos lobiettivo si sposta nettamente sulle ombre del cinematografo.
Prima di interrogarci sulle smanie di mangiatore di film di Flaiano, ci
piace indugiare ancora un po sulle considerazioni raccolte da Aldo Rosselli
in merito allultima avventura con Pannunzio, perch spiegano il progressivo
allentarsi del rapporto tra lo scrittore e la carta stampata.

Di quellambiente, comunque, ho un ricordo dolcissimo, perch lo posso dire


era frequentato da persone di unonest intellettuale e morale che poi ho rara-
mente ritrovato, come Antoni e altri crociani che venivano alle sette per la con-
versazione serale. Giornale semplice, artigianale, fatto con due redattori e una
segretaria. Lo sforzo, lo snobismo di Pannunzio era di fare un giornale che respin-
gesse lattualit. Io dicevo che stavamo sempre facendo il numero precedente []
Poi a poco a poco, fuori dal giornale, cominci la mia collaborazione con Fellini,
nasceva il neorealismo, mentre Il Mondo era ancora neo-surrealista14.

Lappartenenza della rivista pannunziana a una sorta di retroguardia cul-


turale di stampo neo-surrealista il segno di una precisa coerenza editoria-
le, capace di farsi portavoce degli intellettuali italiani, che si riconoscono con
le loro audacie e le loro sordit, il loro narcisismo e le loro malinconie15.
Flaiano, che pure dentro la redazione de Il Mondo ha maturato unespe-
rienza eccezionale per stimoli e linguaggio, sceglie di non andare fino in
fondo e lascia il gruppo, che invece resiste fino al 1966. La rinuncia alla col-
laborazione col Mondo non decreta, per, la fine dellattivit giornalistica
di Flaiano; dal 1956, infatti, aveva cominciato a scrivere per il Corriere della
Sera e tale consuetudine dura fino alla morte, contribuendo a dar corpo
allultimo libro pubblicato in vita, quelle Ombre bianche che raccolgono una
serie di narrazioni surreali e satiriche apparse prevalentemente sulla rubrica
Taccuino notturno 16. A quella con il Corriere si un poi dal 1962 al 1969 la
collaborazione con LEuropeo come recensore teatrale, altra declinazione
impareggiabile di umorismo, intelligenza e intuito critico17. Nel biennio
1970-1972, infine, Flaiano si congeda dal mondo dei giornali con gli artico-
li di costume pubblicati su LEspresso.
Gi degli anni Sessanta, comunque, per Flaiano non pi possibile
respingere lattualit: occorre fare i conti con i fantasmi del presente, con le
aspettative e i capricci del pubblico, con gli ingorghi del pensiero.

14
E. Flaiano, Aspettando Canzonissima, intervista rilasciata ad A. Rosselli, Aut, a. I, n.
19, 26 luglio-1 agosto 1972, ora in Id., Opere. Scritti postumi, cit., p. 1214.
15
N. Ajello, Il settimanale di attualit, in V. Castronuovo, N. Tranfaglia (a cura di), La
stampa italiana del neocapitalismo, Laterza, Roma-Bari, 20012, p. 212.
16
Cfr. E. Flaiano, Le ombre bianche, Rizzoli, Milano 1972.
17
Cfr. S. Rimini, Ennio Flaiano: i dormiveglia di un satiro a teatro, in AA.VV., La parola
quotidiana: itinerari di confine tra letteratura e giornalismo, Atti del Convegno (Catania 6-8
maggio 2002), a cura di F. Gioviale, Olschki, Firenze 2004, pp. 307-322.
Inseguendo una vita di ricambio: Flaiano recensore cinematografico 427

Difficolt di scrivere elzeviri. Non so che cosa scrivere, n per chi. Come intavo-
lare una conversazione a un cocktail. La gente avida di cose vere, non sa pi
che farsene dello pseudo letterato di professione, che giudica e interpreta gli avve-
nimenti o la sua stessa vita. Ci vogliono notizie. Il pubblico segue la vita dei suoi
eroi o simboli quotidianamente, scaricandosi di ogni responsabilit o soltanto
della fatica di fare le cose che loro fanno e che egli vorrebbe fare, ma non osa18.

Di fronte a un tale impasse identitario e ideologico lo schermo sembra


essere la giusta via di fuga perch tutti vedono le cose del mondo meglio del
cinema. Ma il vantaggio del cinema che fa vedere ancora le cose del
mondo19.

Il cinema toccato a noi

Uno dei primi articoli dedicati allarte della celluloide si intitola felice-
mente Lettere damore al cinema e registra entusiasmi, clamori e aspettative
nei confronti della decima musa.

Ogni epoca ha le sue passioni, il cinema toccato a noi; la maggior parte delle
ragazze e dei giovani, oggi, non pensa che ad entrare in cinematografo. La vita
dello schermo affascina con lidea del suo ingranaggio facile e redditizio. Tutto
appare semplificato, se si appena convinti di avere un bel viso e soprattutto se
si stanchi di stare in famiglia. La vita quotidiana non mai attraente. []
Allora si vede che sullo schermo tutto fatto per la gioia a domicilio. Le signori-
ne dei film dormono generalmente fino alle undici col cagnetto sul piumino,
fanno colazione a letto, vanno in automobile e passano il tempo a farsi amare
[] Chi non vorrebbe anche a costo di sacrifici fare una vita simile? 20.

Il pezzo prosegue per ben quattro pagine, condite da esilaranti e forse


improbabili stralci di corrispondenza e argute considerazioni dellautore (Il
cinema potrebbe renderci migliori e invece spesso ci rende peggiori o scon-
tenti il che la stessa cosa21), fino alla conclusione che il cinema oggi rim-
piazza un po troppo levasione che un tempo era fornita soltanto dalle lettu-
re amene22, alimentando cos il sentimento della vita facile e dalla gioia ad
ogni costo. semplice intuire da queste premesse che il mittente delle missi-
ve amorose non Flaiano, ma un eterogeneo stuolo di aspiranti attori e attri-

18
Ivi, p. 316.
19
E. Flaiano, Diario degli errori, cit. 398.
20
E. Flaiano, Lettere damore al cinema, Documento, a. I, n. 3, marzo 1941, ora in Id.,
Lettere damore al cinema, a cura di C. Bragaglia, Rizzoli, Milano 1978, p. 7.
21
Ivi, p. 9.
22
Ivi, p. 11.
428 Stefania Rimini

ci, smaniosi di comparire sullo schermo per accarezzare finalmente le ali del
sogno23. Non poteva essere altrimenti, comunque, perch la travagliata rela-
zione tra Flaiano e il cinema, nonostante lusinghe, sensuali corpo a corpo, e
qualche promessa di eterna fedelt, si trascinata per oltre trentanni scavan-
do un risentimento che alla fine ha indotto lo scrittore non proprio a un
abbandono definitivo ma a tenere il broncio24.
Per gli amanti del gossip e degli scandali al sole, ci sforziamo di riferire la
risposta data da Flaiano alla perentoria domanda di Carlo Mazzarella:

Non lo ami? [il cinema]


Lo rispetto, me ne servo, ne sono anche un po schiavo, come di tutti i comforts
moderni, telefono, ascensore, termosifone, servizi pubblici, automobile, eccetera.
Ma il cinema non arte, anche nel migliore dei casi. Nessun film mi ha mai com-
mosso e potr seguitare a commuovermi per tutta la vita (faccio i grandi nomi,
tanto per capirci) come una sonata di Bach, due versi di Leopardi o di Catullo,
un ritratto di Raffaello, un capitolo di Tolstoj o di Manzoni. Il film migliore mi
commuove per un anno, tre, dieci, poi scopre i suoi limiti, rivela la sua natura, le
spurie necessit che lo hanno prodotto, la permanenza nelle sue immagini di una
realt non trasfigurata che il tempo rende goffa o incomprensibile addirittura.
Il film migliore sfida appena la generazione seguente a quella che lha prodotto,
poi diventa documento25.

Stando a questa affermazione la tanto sbandierata relazione tra lo scritto-


re abruzzese e la decima musa si ridurrebbe a una funzionale schiavit elet-
trodomestica, rapida come una telefonata, caotica come un tram a mezzo-
giorno nel centro di Roma, languida come un calorifero, e per di pi del
tutto priva del sacro fuoco dellarte. I bene informati, per, (tra i quali pro-
ditoriamente osiamo confonderci) sanno che le cose andarono diversamente:

23
Per sano spirito di campanilismo, tra la fitta corrispondenza briosamente contrappun-
tata da Flaiano, ci piace ricordare la chiosa di Francesca P. di Catania: Scusatemi se mi per-
metto di scherzare in momenti in cui necessario soltanto credere, obbedire, combattere. Ma
io debbo credere in quanto devo avere fiducia in voi, obbedire in quanto debbo essere stru-
mento della vostra volont, combattere in quanto debbo sfidare tutti i pericoli e le disavven-
ture della vita e poscia scendere le pi alte vette della celebrit. Sono alta un metro e 55, so
nuotare e sono bella (ivi, p. 8).
24
E. Flaiano, intervista rilasciata a Carlo Mazzarella per la televisione, in Id. Opere. Scritti
postumi, cit., p. 1193.
25
Ivi, p. 1194. La presunta data di scadenza di un film (uno, tre, dieci anni) viene smen-
tita da unaltra dichiarazione dellautore: Certo avrei potuto trasformare i miei soggetti in
altrettanti racconti o romanzi. Ma stato meglio cos, perch nel cinema hanno avuto una
dimensione pi totale. Infatti degli anni Cinquanta non si leggono pi i libri, mentre si vedo-
no ancora i film (E. Flaiano, Aspettando Canzonissima, intervista rilasciata ad A. Rosselli, cit.,
p. 1215). A oltre ventanni di distanza (lintervista risale infatti al 1972), Flaiano ribadisce la
vitalit dei film di met secolo, che sembrano quindi invecchiare senza troppe smagliature da
documento.
Inseguendo una vita di ricambio: Flaiano recensore cinematografico 429

il rapporto tra i due, per quanto conflittuale e litigioso, valso almeno un


paio di capolavori (i felliniani Le notti di Cabiria e La dolce vita, ma anche La
notte di Antonioni), sessanta film realizzati (senza contare i soggetti rimasti
incompiuti)26, una mole consistente di recensioni, che valgono senzaltro a
riscattare dichiarazioni di tal genere. Occorre considerare, inoltre, il gusto
tutto flaianeo per la provocazione, quel puro spirito di contraddizione che ne
ha fatto un intellettuale arguto e un satiro indiscreto, capace di cambiare
umore mantenendo intatta la dignit e la coerenza dello stile. Il feeling col
cinema risente immancabilmente delle intermittenze emotive dellautore,
tanto che sarebbe assurdo (oltre che fuorviante) provare a ridurre un rappor-
to cos complesso e denso di implicazioni a una storia semplice. Basta con-
frontare queste riflessioni per intuire le tante sfumature che lorizzonte dello
schermo assume nellimmaginario di Flaiano.

Signore e signori, quel po di morale che maiuta a vivere lho distillata dalle
immagini. Il cinematografo mi ha fornito un aiuto prezioso. nelle pellicole che
ho visto trionfare la giustizia e sprofondare liniquit, premiare il buono e pro-
teggere la vedova; ma questo sarebbe assai poco se non vi avessi visto anche la vita
assumere un ordine formale, strettamente imbrigliato dalle leggi della visione.
dunque sugli schermi (e nei quadri), che la vera vita si svolge, e azioni e reazioni
si condensano in ombre e luci, e le filosofie vengono illuminate dalle composi-
zioni, e tutto si svolge come in un sogno prestabilito. La vita quotidiana cos
affidata al caso chio non solo ne ho paura ma anche ribrezzo27.
Ricordarsi che un film unopera darte (ma non necessariamente), che vive solo
nella quarta dimensione, il tempo. Unopera darte alta tre centimetri e lunga per-
lomeno due chilometri e mezzo. La velocit del percorso fissa: milleseicento-
quarantacinque metri lora28.
Io odio il cinema. Il cinema sta prevaricando sulla realt e d false informazioni
sulla vita. Questo per il cinema corrente. Quello sperimentale d false informa-
zioni sui sogni29.

Lambivalenza affettiva verso la settima arte il sintomo di una reciprocit


imperfetta ma duratura, complicata dalle logiche a volte scellerate della pro-

26
Cfr. G. Gambetti, Flaiano e il cinema, in AA.VV., Ennio Flaiano, luomo e lopera, Atti
del convegno (Pescara, 19-20 ottobre 1982), Associazione culturale Flaiano, Pescara, 1982,
pp. 105-111; pp. 44-49; D. Resch, Flaiano e il cinema nei documenti di Lugano, in AA.VV.,
Flaiano ventanni dopo, cit., pp. 59-65; L. Palestini, P. Smoglica, I film firmati da Flaiano, ivi,
pp. 66-88; G. Fofi, Ennio Flaiano e il cinema, in AA.VV., Ennio Flaiano, Quaderni
dellAssociazione Carlo Cattaneo, Lugano 1992, pp. 85-92.
27
E. Flaiano, Autobiografia del Blu di Prussia, in Id. Opere. Scritti postumi, cit., p. 8.
28
E. Flaiano, Melampus, in Il gioco e il massacro, Rizzoli, Milano 1970, ora in Id., Opere
1947-1972, cit., p. 741.
29
Ivi, p. 781.
430 Stefania Rimini

duzione industriale, ma indispensabile allautore per tentare di dar corpo e


voce ai fantasmi della sua coscienza. A rendere poi ancor pi intricata, qua-
lora ce ne fosse bisogno, la liason tra Flaiano e il cinema ci pensa la diversit
degli approcci del Nostro al mondo dello schermo: i rapporti vanno, infatti,
dalla ordinaria disposizione di spettatore, allaudacia della scrittura di sogget-
ti e sceneggiature, fino alla perversa inclinazione del critico. In verit, come
lui stesso ribadisce in un articolo apparso su Il Mondo (in data 2 aprile
1957) e confluito poi ne La solitudine del satiro, non si tratterebbe di una
anomalia, ma di una consuetudine diffusa.

Piccola posta. Caro Benedetti, nella breve nota biografica che mi riguarda pub-
blicata sul tuo Espresso n. 12, c uninesattezza: che io sia, oltre che soggettista
e sceneggiatore, anche regista cinematografico. Non lo sono. Mi sembra pruden-
te aggiungere che non sono nemmeno attore, operatore, musicista e produttore.
Di solito sono spettatore, molti anni fa sono stato critico e ho smesso perch mi
sembrava strano scrivere per il cinema e giudicare nello stesso tempo i film degli
altri (ma si fa, normalmente)30.

Contro la diffusa promiscuit italiana, Flaiano sente il bisogno di sottoli-


neare il ritegno che lo ha spinto a dismettere i panni del critico, a causa del-
limbarazzo provato a esercitare un doppio mandato nei confronti del cine-
ma. Lonest intellettuale mostrata in questa circostanza avvalora ancor di pi
il senso della sua avventura di recensore, finita forse troppo presto per un
eccesso di prudenza ma gi ampiamente consolidata per quantit e qualit dei
pezzi editi31.
Lesordio come cronista cinematografico risale agli anni del fascismo (pre-
cisamente a partire dal 20 gennaio 1939) e risponde alla volont di smasche-
rare gli orrori del regime parlando daltro; il settimanale Cinema ad
ospitare le prime critiche di uno dei tanti letterati al cinema, in un clima di
dissenso via via sfumato a causa del rigore della censura. Dal 1941 ha inizio
la collaborazione a Documento, un periodico che vanta il contributo di
uomini del calibro di Adriano Tilgher, Alberto Savinio, Alberto Moravia,
Ercole Patti, e Renato Guttuso per i disegni. Nel 1944 il settimanale Star
diretto proprio da Ercole Patti a richiedere lintervento di Flaiano come
recensore. Si tratta di riviste con una precisa linea editoriale, capace di alter-
nare foto di pin-up, notizie di gossip sui divi, ed articoli di illustri esponenti

30
E. Flaiano, La solitudine del satiro, cit., p. 514.
31
Il riscontro editoriale di tale produzione notevole, se si pensa che sono tre i volumi
dedicati alla raccolta delle recensioni; lunico rammarico che si tratta di testi per lo pi intro-
vabili in commercio, e dunque di difficile consultazione. Cfr. E. Flaiano, Lettere damore al
cinema, cit.; Id, Un film alla settimana, a cura di T. Kezich, con la collaborazione di C.
Romani, Bulzoni, Roma 1988; Id., Nuove lettere damore al cinema, a cura di G. Fink, Rizzoli,
Milano 1990.
Inseguendo una vita di ricambio: Flaiano recensore cinematografico 431

della cultura cinematografica italiana. Nel dopoguerra si aggiungono altre


testate allapprendistato filmico di Flaiano: Domenica (fondata a Roma
dopo la liberazione e contraddistinta da unapertura europeistica e da una
linea politica liberal-progressista), Bis (nata sotto la direzione di Salvo
Cappelli e Giuseppe Marotta con la collaborazione tra gli altri di Corrado
Alvaro, Dino Buzzati, Carlo Bo), Cinelandia (diretta addirittura dallo stes-
so autore ma sopravvissuta solo per pochi numeri), fino allapprodo al Mon-
do, che senzaltro ha rappresentato il culmine della sua carriera critica32.
Distante dalle smanie del cinefilo e dalla incuria di certi giornalisti, lo
scrittore mette a punto una formula davvero interessante, n oracolare n
engage, bens sociologica, in cui gioca un ruolo importante lironia dissa-
cratrice di una certa sottocultura o retorica nazionale33. La sua attenzione si
sposta continuamente al di qua e al di l dello schermo, nel tentativo di met-
tere a fuoco non solo loggetto specifico della cronaca (cio il film) ma anche
i colori del mondo. Le tinte con cui ritrae la societ dello spettacolo dagli
anni Trenta agli anni Sessanta inoltrati sono spesso caustiche, come avvie-
ne a proposito della secca stroncatura de La vita meravigliosa di Frank Ca-
pra: Uscendo dal cinema si pensa che quella che fornisce Capra la com-
mozione abusiva del violino tzigano, il singhiozzo impudico del tenore. Si
resiste pertanto al desiderio di suicidarsi, ma non si resiste al bisogno di un
correttivo, di uno spicchio di limone. Noi veneriamo la bont, ma al cinema
ci andiamo per altri motivi34. Quali siano tali motivi lo scrittore lo dichiara
in unaltra occasione, ma non siamo certi di poter prendere per buona la con-
fessione, data labituale spinta al sarcasmo della sua penna: I film inutili deb-
bono essere almeno divertenti. Amo i film divertenti e, al contrario di Um-
berto Barbaro che va al cinema soltanto per istruirsi, io preferisco andarci per
dimenticare quel poco che so. Allo schermo non chiedo che comprensione
per i miei guai e molta discrezione35. Capita anche, per, di sorprendere il
nostro in rari momenti di indulgenza, in cui pare allentarsi la morsa della
satira e farsi largo un timido segnale di resa alle intermittenze dellarte.

Tutte queste considerazioni che forse il lettore trover amare o forse trover
ovvie mi sono parse inevitabili mentre le ombre di quel brutto e inutile film ita-
liano si agitavano sullo schermo e mentre le voci degli attori mi ricordavano che

32
Per un dettagliato resoconto delle collaborazioni di Flaiano in veste di critico cinema-
tografico cfr. C. Bragalia, Tempo di cinema, in E. Flaiano, Lettere damore al cinema, cit.,
pp. 237-239.
33
C. Bragaglia, Tempo di cinema, cit., p. 238.
34
E. Flaiano, Capra o la macchina dei nodi alla gola, Bis, n. 3, 30 marzo 1948, ora in Id.,
Lettere damore al cinema, cit., p. 89.
35
E. Flaiano, Sfregiatissima Assunta, Bis, n. 4, 6 aprile 1948, ora in Id., Lettere damore
al cinema, cit., p. 90. Il film recensito Assunta Spina (1948), diretto da Mario Mattoli e sce-
neggiato da Eduardo De Filippo.
432 Stefania Rimini

avrei dovuto scrivere qualcosa di divertente per i lettori di Bis. un vero pecca-
to che stavolta mi sia lasciato prendere da questi problemi. Un giornalista che si
interessa di cinema, in questo straordinario paese, dovrebbe mettersi nella condi-
zione di non aspettarsi mai nulla. E tenersi pago se ogni tanto la mediocre vol-
garit della produzione interrotta da qualche opera darte. Non si pu preten-
dere larte ogni giorno. Si rischia di assomigliare a quel simpatico personaggio di
Labiche che, per sembrare elegante, voleva i tartufi dappertutto, anche nel brodo.
E invece i film, come i tartufi, hanno la loro stagione36.

Gli ammiccamenti al lettore e le provocazioni si prolungano quasi allin-


finito allinterno del fitto corpus di recensioni cinematografiche di Flaiano,
contribuendo ad alimentare uno straordinario gioco al massacro, che coin-
volge attori, registi e spettatori in uno scintillante caleidoscopio di trovate e
intuizioni.
Nonostante, dunque, cominci a scrivere ad appena trentanni di cose di
cui non sapeva assolutamente niente, le sue riflessioni mostrano subito una
precisa coerenza ideologica nello stile (la litote, lantifrasi), nello sguardo (il
doppio), nella contrapposizione fra chi guarda e le cose che vede (la tecnica
del cinema)37. La cifra peculiare del Flaiano maturo, ovvero quel mix inarri-
vabile di arguzia, sapienza e umor nero, compare gi tra le righe degli artico-
li dedicati allarte della celluloide. Lesercizio di una contraddizione perma-
nente rende le sue note un catalogo appassionato di definizioni, sempre in
bilico tra fascino e demolizione, entusiasmo e raccapriccio, per cui il cinema
non difficile, ma assurdo38. A complicare il giudizio (e il piacere) della set-
tima arte ci pensa poi la risoluzione del problema della rassomiglianza39,
cio la perturbante declinazione del doppio, che sullo schermo raggiunge
livelli di impressionante verit. La divaricazione dello sguardo fra la realt e
limmaginario cinematografico uno dei temi dominanti della scrittura di
Flaiano, non solo giornalistica, e richiama la centralit del motivo dello spec-
chio come metafora dellalienazione delluomo (Allinterno di un cubo fatto
di specchi egli non poteva ormai evitare di vedersi e di trovarsi deforme e
riprodotto allinfinito, in ogni direzione40). Prima che si giunga a tali stati di

36
E. Flaiano, A madunnella, Bis, n. 8, 4 maggio 1948, ora in Id., Lettere damore al cine-
ma, cit., pp. 97-98. Il film recensito nellarticolo Madunnella di Ernesto Grassi.
37
F. Di Giammatteo, C. Bragaglia, Ennio Flaiano critico cinematografico. Il gioco e il mas-
sacro, in AA. VV., Ennio Flaiano ventanni dopo, cit., p. 50.
38
E. Flaiano, Diario notturno, Rizzoli, Milano 1967, ora in Id., Opere 1947-1972, cit.,
p. 405.
39
E. Flaiano, Dora Nelson, Cine illustrato, 3 gennaio 1940 (firmato Patrizio Rossi), ora
in Id., Un film alla settimana, cit., p. 28.
40
E. Flaiano, Oh, Bombay!, in Il gioco e il massacro, Rizzoli, Milano 1970, ora in Id., Opere
1947-1972, cit., p. 723. Poco prima lepifania dellimmagine riflessa nello specchio determi-
na una brusca svolta nella autopercezione del soggetto: Mentre scendeva vide da quella secon-
da scala venir gi un uomo avanti negli anni, affaticato e dal volto bianco. Quando tocc il
Inseguendo una vita di ricambio: Flaiano recensore cinematografico 433

allucinazione, il cinema serve a proiettare lindividuo nel confortevole spazio


dellillusione, e allora il pubblico va a chiedere allo schermo una vita di scor-
ta, di ricambio che nella realt rifiuterebbe. Questa vita di ricambio la vec-
chia, cara evasione41.
probabile che le frenetiche scorribande notturne dentro cinema di peri-
feria abbiano contato per Flaiano come istanti di pura evasione, come distrat-
te parentesi dal sogno ad occhi aperti della vita. O almeno ci piace crederlo.
Per questo lasciamo come titoli di coda lintermezzo de La conversazione con-
tinuamente interrotta, che ci pare racchiudere il fascino ancora intatto delle
immagini in movimento:

C un limite al dolore
in quel limite un caro conforto
unimprovvisa rinunzia al dolore.
Il pianista cerca un fiore nel buio
e lo trova, un fiore che non si vede
e ne canta la certezza.
Il gioco questo: cercare nel buio
qualcosa che non c, e trovarlo42.

pianerottolo scopr che tutta la parete di fronte alla scala che lui aveva disceso era un grande
specchio, e che egli aveva visto dunque discendere se stesso, e ne prov uno spavento che lo
costrinse a sedere sugli ultimi scalini, tentando di frenare laffanno del cuore. Ne dedusse che
tutto lorrore nellesserci, nellesistere realmente e nel saperlo di colpo, per esempio scen-
dendo le scale di un albergo sconosciuto (ivi, p. 721).
41
E. Flaiano, Diario degli errori, cit., p. 403.
42
E. Flaiano, La conversazione continuamente interrotta, in Un marziano a Roma e altre
farse, Einaudi, Torino 1971, ora in Id., Opere 1947-72, cit., p. 1142.
KATIA CAPPELLINI

Giorgio Manganelli: le eterne, fatali, inutili partite*

Dentro le maglie della lingua

Sulle pagine di Libration del 22 marzo 1985 Manganelli rispondeva


allinchiesta promossa dal quotidiano francese, proponendo il suo Perch io
scrivo? e cos argomentando: [...] perch lo scrittore un signore che fa cose
di dubbia moralit, e le fa in modo sistematico, per professione1 e [...] per-
ch lo scrittore appunto come lalchimista o lastrologo, un tale che imbro-
glia fabbricando macchine mentali che nessuno pu giudicare2. E molto
scrisse Manganelli, ricattato dalle parole; rapito dallambiguit di queste, lo
scrittore, notturno, colui cio che non espelle il sogno che la societ reprime
ma che al contrario lo accoglie, si fa trascinare nei labirinti tessuti dalla paro-
la e ne maneggia le strutture producendo, tra laltro, corsivi, argutissimi, di
costume dai quali emerge la particolarit del carattere italico modellato dalla
Grande Madre di cui parlava Berhard3. Pur prendendo talvolta le mosse da
un evento di attualit (come per il primo dei corsivi pubblicati, Obiezioni al
divorzio, comparso sulle pagine di Quindici4), losservazione del caratte-
re nazionale che lo interessa; ne deriva il quadro di un Paese, lItalia, dove
[...] sport e televisione rappresentano quel che ad Atene, imperante Pericle,
erano filosofia e lettere, [...]5. Per cui anche i fatti di cronaca vengono ana-

*
Ringrazio Lietta Manganelli per laiuto, prezioso, e la disponibilit dimostratami.
1
Si cita dalloriginale italiano proposto da P. Italia in G. Manganelli, Il rumore sottile della
prosa, da lei curato per le edizioni Adelphi, Milano1994, p. 23.
2
Ivi, p. 24.
3
Cfr. E. Bernhard, Il complesso della Grande Madre. Problemi e possibilit della psicologia
analitica in Italia, in Tempo Presente, 6, n. 12, dicembre 1961, pp. 885-890, ripubblicato
in Id., Mitobiografia (a cura di H. Erba-Tissot), Adelphi, Milano 1969, pp. 168-174.
4
E pi precisamente sul numero 1 della rivista del giugno 1967, poi riproposto nella terza par-
te di G. Manganelli, Lunario dellorfano sannita, [Einaudi, Torino 1973] Adelphi, Milano 1991.
5
G. Manganelli, Modesta proposta per alcuni gesti impopolari, in LEspresso, 20 agosto
1978; ora col titolo Pertini in Id., Mammifero italiano (a cura di M. Belpoliti), Adelphi,
Milano 2007, pp. 78-79. Si legga pure quanto Manganelli sarcasticamente scrive a conclusio-
ne dellarticolo Omaggio allatleta apparso su Quindici, n. 13, novembre 1968 (con lo stes-
so titolo nel Lunario dellorfano sannita, cit., p. 192: [...] non posso non esaltarmi, ricono-
scendo come il destino di questo pianeta, attorno al quale ruotano perplessi dischi volanti pro-
436 Katia Cappellini

lizzati col fine di trarne un quadro morale: la figura dellitaliano che ne


viene fuori, non il fatto in s, ma il comportamento di fronte allaccadimen-
to che diventa paradigmatico di un atteggiamento comune; si delinea
lInconscio di un popolo, fil rouge che tiene insieme i numerosi articoli del
Manganelli corsivista. Oltre laborto (affrontato anche sulle pagine del
Corriere della Sera in polemica con Pasolini6), si occuper del caso Tortora,
della condanna a priori, avanzata da giornali e opinione pubblica, della col-
pevolezza del giornalista e presentatore accusato nel giugno del 1983 di asso-
ciazione per delinquere di stampo camorristico, commentando: [...] litalia-
no ha una paura, che difficile giudicare infondata, per la macchina della
giustizia; ma quando vede una persona in qualche modo nota finire stritola-
ta in quellingranaggio, prova una sorta di torbida letizia, un gilito sinistro7
e concludendo: Quellaggressione ad un uomo non ancora giudicato non
stata unaggressione a noi stessi? chiaro: se la presunzione di innocenza
non ben salda e fondata qualcosa daltro ne prender il posto: una presun-
zione di colpa da cui impossibile difendersi8. Lo si legge su LEspresso
nel prendere le parti della collega Camilla Cederna che, sullo stesso settima-
nale, aveva denunciato il commissario Luigi Calabresi come torturatore e
principale responsabile della morte dellanarchico Giuseppe Pinelli (fermato
nellambito delle indagini sulla strage di Piazza Fontana); sempre la Cederna
aveva promosso su LEspresso lappello che nel 1971 ebbe 757 sottoscrizio-
ni a sostegno della sua posizione9. Manganelli, nel suo intervento, che si apre
come una lettera, si scaglia, ma sempre a suo modo, e cio restando sulle
parole, contro gli anonimi delle pagine del Borghese deridendone la scar-
sa abilit nelluso della lingua, segno di stoltezza dei veri uomini di lettere,
quali essi sono:

Lo si capisce subito, che siete la Coscienza. Ad esempio, fra i molti che, per mali-
zia anarco-comunista, di Pinelli suicida diffidano, voi avete scelto la signora
Cederna la quale, come noto, una donna. Ora, la Coscienza italiana sa che
essere donne non una professione raccomandabile: , diciamolo pure, il primo
e inevitabile passo per diventare una puttana. La gamma di invettiva che si pu

venienti dagli spazi gelidi e inospiti, si riassuma nellemblema geometrico e duro dello Stadio,
sul quale si affrontano i valorosi atleti, minuziosamente preparati, magri al punto giusto, ses-
sualmente astinenti, i figli migliori, i Nostri.).
6
Cfr. G. Manganelli, Risposta a Pasolini, in Corriere della Sera, 22 gennaio 1975; ora
con il titolo Aborto, in Id., Mammifero italiano, cit., pp. 11-17.
7
G. Manganelli, Manganelli: la presunzione di colpa, in Corriere della Sera, 7 agosto
1983; ora col titolo Tortora, in Id., Mammifero italiano, cit., p. 110.
8
Ivi, pp. 113-114.
9
In quellanno esce per Feltrinelli anche il libro frutto delle sue indagini, Pinelli. Una fine-
stra sulla strage.
Giorgio Manganelli: le eterne, fatali, inutili partite 437

dedicare a una donna pi ricca, pi eccitante e gustosa. Ma ecco una prima


obiezione: perch solo quegli epiteti classici e frusti?10.

Ci sono poi tematiche ricorrenti; pi volte Manganelli tocca il tema del


vilipendio, che d la possibilit di evidenziare il contraddittorio rapporto del-
litaliano con le istituzioni; per cui, se da un lato limitatore Noschese viene
denunciato, spiega Manganelli, [...] essendosi divertito, in quel suo modo
semplice e ideologicamente affettuoso, a far ridere taluni innocenti imitando
il presidente Leone e il Santo Padre, [...]11 e, per rimediare, repentinamente
Fece alcune dichiarazioni sacrificali e a scopo propiziatorio: in breve, disse
Amo la Patria e sono cattolico12, dallaltro ci si imbatte nel cittadino di
Udine che, multato, maledice la Repubblica italiana a gran voce e minaccia
il deretano dei deputati sul quale induce la penna sferzante del Nostro, il
quale, prosciolto laccusato, pu ironizzare:

[...] il signore di Udine, [] ha aiutato il Parlamento a dichiarare che il culo,


genericamente inteso come parte depressa dellorganismo umano, rientra s nel
concetto di Patria, ma non in quello di deputato; e se gli spetta la generale pro-
tezione che tocca a tutto ci che Patria, non pu vantare la specifica tutela che
va ai rappresentanti della nazione13.

E ancora scrive di tasse Manganelli, di universit e dellinutilit delle tesi


di laurea (resta saldo nella sua idea pur riconoscendo, allindomani della pub-
blicazione per Bompiani di Come si fa una tesi di laurea, che il libro di Eco
[...] estremamente gradevole, divertente, lucido; un po manageriale, da
manager giovane e aggressivo, cui piacciono le cose ben fatte14); di scuola e
del suo arcaico ectoplasma gerarchico: il signor preside15 e quindi di latino:

10
G. Manganelli, Lanonimo italiano, in LEspresso, 9 luglio 1972; ora in Id., Lunario
dellorfano sannita, cit., p. 75.
11
G. Manganelli, Patria, in Id., Mammifero italiano, cit., p. 72.
12
Ibidem.
13
Ivi, p. 77. Lassurdit del reato di vilipendio, nonch lepisodio del cittadino di Udine si
trovano espressi pure in un articolo del 27 febbraio 1975 comparso su Il Mondo, Il potere
sacro, riproposto col titolo Vilipendio, in Id., Mammifero italiano, cit., pp. 121-126, ove si
legge: Chiaramente consapevoli di essere detestati da una parte non indifferente di cittadini,
oscuramente sospettosi di essere ritenuti spregevoli ed infimi nella pratica quotidiana o nella
dimensione della storia, tacitamente persuasi che il suddito avrebbe molti e validi motivi per
vilipendere, e che anzi lo desidera e pregusta, gli uomini dello Stato si proteggono dietro ad
una corazza di divieti che, ovviamente, non possono che renderli ancora pi detestabili.
pacifico che il reato di vilipendio rende degno di vilipendio colui che se ne serve., ivi, p. 122.
14
G. Manganelli, Basta con le tesi di laurea, in Corriere della Sera, 10 settembre 1977;
ora col titolo Tesi di laurea II, in Id., Mammifero italiano, cit., p. 106.
15
G. Manganelli, Come la vedono i presidi, in LEspresso, 23 novembre 1970; ora col
titolo Preside, in Id., Lunario dellorfano sannita, cit., p. 17.
438 Katia Cappellini

[...] il latino e non litaliano; il suo fascino ironico, stremante, esaspe-


rante. un modello di possibilit linguistiche, e insieme di impossibilit. La
pregnanza, la modulazione, e insieme lo sgarbo, la drammatica dinamica di
cui capace il latino scuotono alle basi la nostra fede in un italiano como-
do16. Senza accondiscendere al facile eloquio, Manganelli propone dalle
pagine di quotidiani, settimanali, riviste losservazione dei tanti io del
popolo italiano e ne scandaglia pure le nuove abitudini come le vacanze, che
da spasso da padroni sono passate ad essere di massa, anzi un disturbo
mentale di massa17. Per esse si escogitato un nuovo mestiere, il fabbrica-
tore e venditore di vacanze18: Ahim, volevate fuggire dal mondo dei super-
mercati e siete finiti in un supermercato che vende la libert dai supermerca-
ti. Volevate lesotico e il lontano, laltrove, e ora sapete che il lontano costa
semplicemente un po di pi del vicino, ma assomiglia molto al vicino19. In
realt, nota Manganelli, la vacanza, come il tempo libero, non che un segno
del nostro malessere, dato che il rancore a muoverla20. E sulla vacanza, su
questo nome pinocchiesco21, pu inoltre asserire che: La vacanza quel
momento taciturno, notturno, segreto, in cui colui che ha delegato la propria
libert trova un appunto, un indizio, un suggerimento, un segnale, qualcosa
da nascondere, qualcosa di vietato e comunque di non sociale, []22 sic-
ch cosa da Pinocchio o non 23. E il tono notturno, nellaccezione propria
manganelliana, caratterizzer i suoi di viaggi, raccontati nei reportage realiz-
zati nel corso della sua attivit sulla carta stampata. Osserva i negozi Manga-
nelli, ora aperti la domenica24, luso italiano del telefono (con cimice per spia-
re25), la televisione, che tutti debbono avere, ma che lui non ha mai acceso26

16
G. Manganelli, Formativo quel latino? Via, soltanto un fantasma, in Corriere della
Sera, 21 maggio 1977; ora col titolo Latino in Id., Mammifero italiano, cit., pp. 65-66.
17
G. Manganelli, Improvvisi per macchina da scrivere, Adelphi, Milano 2003, p. 85.
18
G. Manganelli, Le vacanze del nostro malessere, in La Stampa, 1 luglio 1979; ora col
titolo Vacanze, in Id., Mammifero italiano, cit., p. 118.
19
Ivi, p. 119.
20
Cfr. ivi, p. 118.
21
Ivi, p. 115.
22
Ivi, p. 119.
23
Cfr. ivi, p. 120. Manganelli si era dedicato a questo tema anche in un articolo compar-
so su LEspresso (San Ponte, 11 giugno 1972) in cui analizzava quella che chiama levolu-
zione dalla fase della festa a quella della vacanza, cfr. G. Manganelli, Ponte, in Id., Lunario
dellorfano sannita, cit., p. 58.
24
Cfr. G. Manganelli, Scusi, ma lei lavorerebbe la domenica?, in Corriere della Sera, 8
marzo 1981; ora col titolo Domenica, in Id., Mammifero italiano, cit., pp. 38-41.
25
Cfr. G. Manganelli, Telefoni? Anche questa una gloria dItalia, in Il Giorno, 3 giugno
1973; poi col titolo Telefoni, in Id., Lunario dellorfano sannita, cit., pp. 154-155.
26
Cfr. G. Manganelli, Cronaca di una vita senza tv, in LEuropeo, 7 dicembre 1985; poi
in Id., Improvvisi per macchina da scrivere, cit., pp. 143-145. Ci non gli impedisce di scrive-
re su Rischiatutto, quiz condotto da Mike Bongiorno tra gli anni 1970 e 1974, e i suoi cam-
Giorgio Manganelli: le eterne, fatali, inutili partite 439

o esperienze comuni come il trasloco27. Il quadro sociale che si profila quel-


lo di un Paese diviso, come detto, tra sport e televisione, falsi miti come la
Patria, stretto il cittadino tra ricatti, voglia di vilipendio e serena rassegnazio-
ne. Un po meschino, in verit, e talvolta ridicolo. Come un osservatore si
pone Manganelli, un osservatore senza giudizio per. Infatti, nel discorso tira
in ballo la prima persona, la sua, offrendosi come parte di questo insieme. E
se il carattere italiano ad interessarlo, non potr prescindere dalla famiglia,
istituzione sulla quale Manganelli interverr a diverse altezze, riconoscendo-
vi il luogo dellangheria e della frustrazione28.
Diversi sono gli articoli dedicati alla letteratura (recensioni o interventi
teorici sullarte dello scrivere e del leggere, nonch lanticipazione di prefa-
zioni a testi in uscita), alla musica, allarte. Pubblica racconti e reportage di
viaggio, nei quali esibisce luoghi lontani, ma anche modi nuovi di guardare
a citt note del Bel Paese. il caso, per citarne solo alcune, di Roma, Milano,
ma anche Firenze, Pescara e Torino, [...] una citt nordica spinta troppo a
sud dallultima glaciazione, un nobile regalo ad una nazione inguaribilmente
meridionale29.
Si cimenta, Manganelli, non solo con lo spazio bianco della pagina, ma
anche e soprattutto, per quanto riguarda questa produzione, col limite impo-
sto dal corsivo, ossia la [...] riduzione dellinfinito linguistico negli spazi ine-
sorabili di una misura breve e rigorosa, obbediente solo alla tirannia del
ritmo30. Ma una sfida che Manganelli non pu non accettare, avendo gi
optato per lavanguardia letteraria, cio una letteratura dartificio, che predi-

pioni: impossibile considerare quelle tre immagini come meri esseri umani: sono
Personaggi. Come tutti i Personaggi, sono travolti e illuminati da un ideale copione, una
immagine di s, cui debbono essere fedeli. Il loro cognome quello di una dramatis persona,
ciascuno interpreta se stesso, si anzi imparato a memoria. Questi supercampioni sono tali in
virt della loro inaudita memoria, ma nessuna memoria mi incanta pi di questa, grazie alla
quale essi custodiscono se stessi, si recitano davanti ad una penisola, un sabato sera., G.
Manganelli, A che serve questa memoria, in LEspresso, 28 maggio 1972; poi col titolo
Rischiatutto, in Id., Lunario dellorfano sannita, cit., pp. 46-51. Si cita dalle pp. 46-47. E di
intervenire anche a proposito di Carosello, trasmissione in onda dal 1957 al 1977 dove la
promozione pubblicitaria sposa lo sketch leggero, cfr. G. Manganelli, Duro colpo per la teolo-
gia se sopprimessero Carosello, in Il Mondo, 14 agosto 1975; poi col titolo Carosello, in Id.,
Mammifero italiano, cit., pp. 28-30.
27
E nella nuova casa: Il mio inconscio, tutto sottosopra, si muove come un gigantesco,
oscuro felino, si gonfia e si allunga, penetra nelle stanze, cerca di decidere dove metter i
Grandi Ricordi, ed ha per le mani due o tre Archetipi che non sa dove infilare; [], G.
Manganelli, Caotici angeli del trasloco, in Il Giorno, 10 dicembre 1972; poi col titolo
Trasloco, in Id., Lunario dellorfano sannita, cit., pp. 139-143. La citazione dalle pp. 141-142.
28
Cfr., ad esempio, G. Manganelli, Pensierini sullamore domestico, in LEuropeo, 21 set-
tembre 1981; poi col titolo Famiglia II, in Id., Mammifero italiano, cit., pp. 51-53.
29
G. Manganelli, Torino: il patriottismo un motore di grossa cilindrata, in LEspresso, 27
agosto 1972; poi col titolo Torino, in Id., Lunario dellorfano sannita, cit., (pp. 60-64) p. 61.
30
G. Pulce, Bibliografia degli scritti di Giorgio Manganelli, Titivillus, Firenze 1996, p. 6.
440 Katia Cappellini

lige le [...] combinazioni improbabili, la scelta e la coltivazione di sintassi


ostiche, ardue, inospiti; insomma, la scelta delle strutture, di strutture arbi-
trarie e rigorose31. La letteratura pratica asociale per Manganelli e la scrit-
tura, in generale, una azione solitaria; anche quando c lumorismo dei cor-
sivi, il rapporto col lettore rimane il medesimo, non c concessione al collo-
quio. Una chiacchiera particolare la sua, che non ammicca al gergo quotidia-
no, ma allopposto usa termini letterari, quando non scientifici, e gioca sul-
lambiguit della parola piegandola al proprio impianto retorico ed eludendo
per le aspettative del lettore medio, perch il suo di lettore, nato e gi
morto, e gi stato o ha da venire, come scriver pi volte. Impone a quel
provvisorio destinatario che il pubblico32 la ricerca di un contatto anche
quando fa del giornalismo Manganelli, anche quando dovrebbe rispondere
alle domande33. Perch, in realt, suggerisce un punto di vista, illustra in pri-
mis a se stesso quello che gli si apre intorno, riconoscendo emblemi quando
non archetipi, e non sentenzia. Una realt percepibile nel disporsi del lin-
guaggio, pertanto non storico sar il suo approccio, poich, precisa
Manganelli, lo scrittore contemporaneo di chi con lui convive e condivide
un linguaggio; condizione non storica appunto, ma metafisica34. Il discorso
sulle pagine del giornale non deve essere semplice o accattivante. Mantiene il
suo stile Manganelli, fatto di una costruzione della frase ricca di incisi, di
parole desuete e di una certa ironia al limite del paradosso ravvisabile pure
nelle pagine dei suoi libri. E permane, nel Manganelli giornalista, lo stesso
atteggiamento di provocazione. Comunicare, per Manganelli, unoperazio-
ne non banale e comunque non innocua: mai pu consumarsi la parola in un
unico significato. Le sceglie quindi Manganelli le parole nei suoi corsivi, ma,
sembra sussurrarci, non le esaurisce. Lidea o un umore lo guida in un
labirinto inestinguibile che lui ripropone selezionando una parte di esso.
Comincia un discorso Manganelli e lo continua seguendo le parole e la trama
da loro ordita. Ne risulta la malia di una parola che non comunica verit, ma
ribadisce larbitrariet di un discorso e di un modus vivendi che in quelle
parole vorrebbe riconoscersi e raccontarsi. Il mondo enunciato ne esce insta-
bile e instabile pure lidentit di chi scrivendo non pu percepirsi in un uni-
cum, un individuo, n tantomeno tracciare un confine. Non pu esimersi,
tuttavia, dal disporre i suoi tasselli su un campo da gioco, la pagina, dove la

31
G. Manganelli, Avanguardia letteraria, in Id., Il rumore sottile della prosa, cit., p. 72.
32
Cfr. G. Manganelli, La letteratura come menzogna, nellomonimo volume, [Feltrinelli,
Milano 1967] Adelphi, Milano 1985, p. 219.
33
Si veda quanto Manganelli scrive in Avanguardia letteraria, cit., p. 74: Si finge che la
letteratura sia una filosofia con le figure, e infine la stessa opera letteraria, degradata e defor-
mata, tenta limpresa per eccellenza empia, rovinosa, incestuosa: tenta di rispondere alle
domande del lettore. Ma ormai a quella povera cosa non spetter pi il nome di letteratura:
ma sar vario giornalismo, sebbene elegantemente rilegato. (corsivo mio).
34
Cfr. G. Manganelli, La letteratura come menzogna, cit., pp. 215-223; in part. p. 220.
Giorgio Manganelli: le eterne, fatali, inutili partite 441

partita, mai definitiva perch mai lultima parola data, va condotta per far
manifestare, nella luce di una struttura notturna, il represso, seppur fatale.

Le riviste

Colui che si defin, come ricorda amorevolmente la figlia Lietta, non un


intellettuale, ma uno scrivendolo, approd alla carta stampata per necessit.
Scrivere era vivere per Manganelli, vincere la paura dellangoscia, tenere a bada
la nevrosi e, in pi, i corsivi unoccasione di guadagno per chi voleva, abban-
donata la natia Milano, continuare a farcela da s. La dipartita da Milano fu,
infatti, una vera e propria fuga, dallamore di Alda Merini osteggiato dal padre
di lei, dalla presenza ingombrante della madre Amelia. Nella capitale se la cava,
ma con magri guadagni, dapprima facendo la guida turistica per poi tornare
allinsegnamento. Tornare poich Manganelli aveva gi insegnato, nel 1947, a
Milano presso un Istituto Tecnico femminile. A Roma, fu, tra laltro, al liceo
Giulio Cesare e allIstituto Magistrale Margherita di Savoia. Nel 1953 diviene
assistente di Gabriele Baldini, docente di Letteratura Inglese presso la Facolt
di Magistero dellUniversit degli Studi di Roma La Sapienza, incarico dal
quale si dimetter nel 1972 35. Evitare la folla ed esercitare la scrittura in soli-
taria resta lintento di Manganelli, che prosegue lattivit di recensore, attesta-
ta gi nel 1948 per la Gazzetta di Parma e per alcune riviste come La fiera
letteraria (1949) e Paragone. Fondata questultima da Roberto Longhi nel
1950, articolata in due serie con uscita mensile, una dedicata alle arti figura-
tive e laltra alla letteratura; qui Manganelli recensisce autori della letteratura
inglese adottando un taglio prossimo a quello che si ritrover nei corsivi degli
anni a venire. Il primo contributo su Paragone del 1950 su Orwell; ne
seguiranno altri nel 1954 e nel 1963. Lo ritroviamo su Letterature moderne
con un intervento dedicato a Whitman nel n. 4 del luglio-agosto 1951. A que-
ste prime esperienze risalgono anche le collaborazioni con La Parrucca36;
come ricorda la figlia Lietta: La Parrucca era una rivista letteraria degli anni
Cinquanta di Milano, diretta da uno stravagante signore: Alessandro Mossotti.
Mio padre, raccomandato da Luciano Anceschi, pubblicher sulla rivista una
volta sola, nel 1955, la traduzione di una poesia di Ezra Pound, ma si rifiuter
di scrivere anche un saggio, in quanto, come afferma: Non ne so abbastanza
per non fare una cosa banale.

35
Come racconter qualche anno dopo nellarticolo Questa universit di scandali e bugie
(La Stampa, 22 agosto 1979) e come ricorda Graziella Pulce nel suo Giorgio Manganelli: lin-
segnamento come problema, in F. Calitti (a cura di), Scrittori in cattedra. La forma della lezio-
ne dalle Origini al Novecento, in Semestrale di Studi (e testi) italiani, n. 9, Bulzoni, Roma
2002, p. 255.
36
La rivista uscir dal 1953 al 1965.
442 Katia Cappellini

Sono gi del periodo romano, invece, le sue recensioni per LIllustrazione


italiana, sulle cui pagine, nel biennio 1961-62, si rintracciano interventi su
Thomas, Salinger, Bassani, Mastronardi, Beckett, per elencarne alcuni. Scritti
sporadici (uno o due articoli) si leggono ne LItalia che scrive (nel 1954), Il
Mulino (1955-56), Il Gatto Selvatico (due contributi nel 1956 sulla rivista
diretta da Attilio Bertolucci), Il punto (tre articoli nellanno 1957 e due
recensioni nel 1964), Studi americani (1958), Radiocorriere TV (1959),
LEuropa letteraria (1960), Ulisse (1960). Al contrario assidua la collabo-
razione con Tempo Presente, rivista nata dalliniziativa di Ignazio Silone e
Nicola Chiaromonte nellaprile del 1956 con lobiettivo di informare e dibat-
tere di cultura senza alcun condizionamento di natura politica; nel biennio
1956-57 Manganelli vi propone, oltre alle recensioni, sue traduzioni.
Il primo tentativo manganelliano, in questambito, pu ricondursi,
per, agli anni del liceo, quando insieme ad Oreste Del Buono e Domenico
Porzio mette in piedi la rivista La Giostra, sulle pagine della quale, nel
1940, pubblica il racconto Una casa bianca, dove in nuce pu gi cogliersi il
modus operandi del Manganelli maturo.
Lincoraggiamento a proseguire nella scrittura, ad assecondare laudacia
della propria esplorazione, si deve ad uno dei suoi professori, anzi al suo
maestro, Vittorio Beonio-Brocchieri, docente di Storia delle dottrine politi-
che allUniversit di Pavia, col quale discusse, allindomani della conclusione
della guerra vissuta in prima linea, la tesi Contributo critico allo studio delle
dottrine politiche del 600 italiano. Tesi particolare, piuttosto snella, con poche
note e pressoch priva di bibliografia, ma forte dello stile di scrittura manga-
nelliano e di un taglio saggistico personalissimo. Brocchieri (oltre che profes-
sore era aviatore, viaggiatore, scrittore e giornalista) ne apprezz loriginalit
e a lui, col quale rimase in contatto dopo gli studi, Manganelli fece leggere
alcune delle sue poesie.
Riprendendo il discorso sulle riviste, legata alle tendenze della neoavan-
guardia e alla nascita del Gruppo 63 al cui convegno fondativo a Palermo
Manganelli prese attivamente parte la sua esperienza come redattore di
Grammatica (dal 1964) insieme ad Alfredo Giuliani, Gastone Novelli e
Achille Perilli; vi rester fino al 1967, quando con Giuliani lascia la redazio-
ne. Sono anni, per quanto riguarda laspetto economico, immediatamente
successivi al boom del Cinquanta, durante i quali tra crisi e ripresa si avverte
la necessit di fare i conti con una mutata condizione innanzitutto sociale.
Cresciuta la piccola borghesia e laccesso di questultima allinformazione,
grazie anche alla diffusione dei mezzi di comunicazione di massa e di un con-
tatto, maggiore, con la lingua italiana che si assesta cos a un livello medio.
In seno al Gruppo 63 si prende atto del variato assetto contestando una certa
corrente conservatrice nelle lettere; si opera per una ricerca sul e nel linguag-
gio, con un orientamento multidisciplinare che non soltanto tiene in consi-
derazione i linguaggi nuovi, ma presta attenzione anche alle formulazioni di
Giorgio Manganelli: le eterne, fatali, inutili partite 443

pensiero e al dibattito fuori dai confini nazionali. La redazione di Gramma-


tica decide di proporre sul primo numero della rivista la trascrizione del di-
battito intercorso tra Balestrini, Giuliani, lo stesso Manganelli, Novelli, Pa-
gliarani, Perilli, con il titolo La carne luomo che crede al rapido consumo; si
tratta di uno scritto programmatico in cui si presenta il progetto della rivista
e si discutono i temi portanti della neoavanguardia. Il secondo numero, usci-
to nel gennaio del 1967 e dedicato al teatro, presenta nella seconda sezione
(la prima riservata ai saggi teorici) alcuni testi, tra cui il Monodialogo di
Manganelli. Nel frattempo, nel 1965, sul n. 8 de Il Menab, era stato pub-
blicato il Discorso sulla difficolt di comunicare coi morti, che, insieme ai rac-
conti inediti Un re, Simulazioni, Alcune ipotesi sulle mie precedenti reincarna-
zioni, Dal disonore, Un amore impossibile, comporr il testo de Agli di ulte-
riori (1972).
Riguardo agli anni di Grammatica, importanti, in unottica umana,
sono le amicizie strette in questo periodo con gli artisti Achille Perilli,
Gastone Novelli e in seguito con Toti Scialoja. Diffidente rimarr Manganelli
nei confronti del mondo letterario e degli intellettuali in genere. Unica ecce-
zione Augusto Frassineti, lamico di una vita, incontrato negli ambienti lega-
ti alla rivista letteraria Il Caff, fondata a Roma da Giambattista Vicari nel
marzo del 1953 e da lui diretta, assieme a Giorgio Capuano, fino al 1977;
Manganelli vi fu redattore a partire dal 1967. Lintenzione di Vicari era
rispondere ad uneditoria che difficilmente sosteneva le riviste letterarie, per-
ch scarsamente remunerative, e dare eco al dibattito che si teneva ai tavoli
dei bar Canova e Rosati con gli amici intellettuali, per riaffermare il valore
delle idee nelluomo di cultura svincolato dalle gabbie indotte dai gestori del
potere e da un certo, diffuso, servilismo. Si voleva riproporre quello scambio
di vedute che si animava nei caff, vagliando il panorama culturale italiano,
ma anche quello straniero. Ebbero spazio sulla rivista di Vicari testi di Gadda,
Delfini, Palazzeschi, Buzzati, Queneau e anche la riproposta di testi del pas-
sato come quelli di Carroll, Swift, Dossi, Rabelais. Sul n. 161 de Il Caff
del marzo 1980 apparvero le Altre centurie, venti per lesattezza, che conflui-
ranno, insieme ad undici inedite, nelledizione Adelphi (1995) di Centuria,
cento piccoli romanzi fiume, apparso per la prima volta nel 1979 per le edi-
zioni Rizzoli. Vicari, pur mantenendosi scettico nei confronti della neoavan-
guardia (liquidandola come interessata essenzialmente ad assicurarsi un posto
nellempireo del potere), pubblic sulla sua rivista interventi dei membri del
Gruppo 63 e organizz insieme ad Anceschi convegni in materia di avan-
guardia e linguaggio. Sulla rivista di questultimo, con cui rimase in contatto
nellarco della sua intera esistenza, e cio il Il Verri, Manganelli pubblic
nel 1967 Cerimonia e artificio, il suo manifesto sul teatro37. Suoi interventi si

37
Scrive Manganelli: Vorrei definire il teatro: occupazione verbale, gestuale e visiva di
uno spazio privilegiato. Privilegiato significa che il pubblico fuori. Proibiti gli applausi,
444 Katia Cappellini

erano gi letti sulla rivista di Anceschi nel 1960 (Poesie di R.S. Thomas, con
un congruo numero di poesie tradotte), nel 1962 (Tre + quattro domande
urgenti sulla poesia, con Alfredo Giuliani), nel 1963 (La verit sul caso Smith
e Ivy Compton-Burnett). Racconta Lietta Manganelli: Mio padre amava mol-
tissimo Il Verri, ma il problema era sempre lo stesso: si trattava di una rivi-
sta di grande prestigio e di pochissima pecunia38.
Nel biennio 1967-68 Manganelli lavora per Quindici, rivista mensile
voluta da alcuni esponenti del Gruppo 63 e legata allintento di innovazione
formale e stilistica proprio della neoavanguardia. Si aggiunge a ci lattenzio-
ne alla sfera politica sentita ora come urgente. Sono gli anni, ricordiamolo, in
cui il conflitto sociale tra limpresa da una parte (e il suo modello organizza-
tivo) e la forza lavoro dallaltra (il cui livello culturale andato rapidamente
crescendo, insieme con la capacit di organizzazione) si fa pi evidente. Il
boom ormai alle spalle. Il primo direttore del periodico nato a Roma nel
1967 Alfredo Giuliani sostituito da Nanni Balestrini, quando linteresse per
il discorso culturale e letterario verr in qualche modo scalzato da quello per
gli accadimenti politici e non soltanto italiani (ci si occuper, ad esempio, di
Vietnam e America Latina). Linconciliabilit tra le opposte posizioni (da un
lato la volont di un approccio culturale e letterario in senso stretto tacciato
per di disimpegno e da qui le dimissioni di Giuliani e, dallaltro le spin-
te pi radicali) portano, constatata limpossibilit di una linea culturale con-
divisa, alla chiusura di Quindici nel 1969. Manganelli vi redige articoli che
traggono spunto dallattualit come Obiezioni al divorzio (n. 1, giugno 1967)
e Alcune ragioni per non firmare gli appelli (n. 2, luglio 1967), una recensio-
ne su La nube purpurea di Schiel39, un intervento dal titolo La letteratura
come mafia (n. 9, 15 marzo-15 aprile 1968) a proposito dei libri leggibili e
quelli illeggibili in risposta a una critica mossagli da Moravia sulle pagine

sconsigliato lingresso. Lattore ammesso ad operarvi nella misura in cui esibisce indubitabi-
li indizi di inconsistenza e deperibilit: e sa di essere uno strumento, una cosa nobile e vile,
un segno, una nota, uno sfregio nello spazio. Talora, un appendiparole, un portagesti, un
menacolori. Altre volte, un segno attorno al quale i suoni tendono a conglomerarsi. []
Occorre mortificare lattore. II linguaggio teatrale vuole una voce cauta, cerebrale, leggera, la
parola teatrale un luogo plastico, oggettivo, non psicologico, non serve a costruire un perso-
naggio, a raccontare un amore, a deplorare lineffettualit metafisica di un rapporto sessuale;
ma a costruire un oggetto astratto, inafferrabile, mentitore.. E oltre: Il pubblico ha un suo
destino di attiva passivit. Suo compito, nel caso che si ostini a entrare in sala, di indicare il
punto in cui comincia il fuori, lo spazio dove non si pu verificare il prodigio dei gesti, delle
parole e degli oggetti strutturati. Oltre quella linea, che passa in mezzo al pubblico, dentro cia-
scuno di noi, comincia ci che Artaud chiamava escremento della realt., G. Manganelli,
Cerimonia e artificio, in Il Verri, 25, marzo 1967, pp. 80-81.
38
Su questo aspetto si veda anche quanto Manganelli afferma in una lettera inviata alla
famiglia nel 1949, raccolta in G. Manganelli, Circolazione a pi cuori. Lettere familiari,
Aragno, Torino 2008, p. 143.
39
G. Manganelli, Nerone e Adamo, in Quindici, n. 4, 15 settembre-15 ottobre 1967, p. 2.
Giorgio Manganelli: le eterne, fatali, inutili partite 445

di Nuovi Argomenti, senza mai citarlo, sottolinea Manganelli, e accennan-


do, invece, a [...] una proposizione che mi accadde di scrivere, alcuni mesi
or sono, a chiusa di una recensione40. Val la pena riportare un brano dellar-
ticolo, poich vi si trova un credo che Manganelli applicher nel corso della
sua scrittura, sia essa destinata al comporre storie per i romanzi o corsivi per
i suoi articoli. Ebbene:

Da una parte, la letteratura che il Moravia definisce leggibile e giudica valida; una
letteratura che si suppone, ahim, non senza ragione umanistica, che trae ispira-
zione dalla vita, che teorizza la propria affabilit e non di rado simmagina o si
propone di dar opera al miglioramento dellumanit. Caratteristica minima della
letteratura leggibile in questa interpretazione la pi radicale, e forse lievemente
patologica mancanza di ironia. Daltro canto, esistono scrittori che non coltiva-
no una programmatica affidabilit; non lusingano il lettore, anzi non senza pro-
tervia aspirano a inventarselo da s: provocarlo, irretirlo, sfuggirgli; ma insieme
costringerlo ad avvertire, o a sospettare, che in quelle pagine oscure, velleitarie,
acerbe, in quei libri faticosi, sbagliati, si nasconde una esperienza intellettuale ine-
dita, il trauma notturno e immedicabile di una nascita. Il loro lavoro letterario si
concentra su di una tematica linguistica e strutturale; domina la coscienza del-
latto artificiale, anche innaturale della letteratura; e si celebra la fastosa libert,
loltraggiosa anarchia dellinvenzione di inaudite strutture linguistiche.
Discontinue schegge di retorica, coaguli linguistici inadoperabili per compiti di
socievole sopravvivenza, infine, carattere supremamente distintivo, una lingua
letteraria improbabile, fitta di citazioni, anche maniacale: una lingua morta41.

Lultimo suo contributo per Quindici, Omaggio allatleta, appare sul n.


13 (novembre 1968).
Pezzi di Manganelli, a met strada tra saggio e recensione, compaiono su
Libri nuovi (1969, 70, 72, 73, 74, 76) e su Mondo operaio (n. 4, apri-
le 1969). Ancora troviamo suoi interventi su Lo spettatore musicale (nel
1971 e nel 1972), la Rivista di psicologia analitica (nellagosto del 1973 un
contributo dal titolo Jung e la letteratura) e sul primo numero di Aut del
marzo 1972 un corsivo dal titolo Feluche di marmo, nel quale, con pungente
umorismo, e muovendo da un intervento di Armando Plebe pubblicato su
Lo specchio, si dichiara contrario allidea di istituire lalbo dei pensatori;
mette Manganelli in luce lassurdit di un permesso al pensare e cos ironiz-
za sulle posizioni del noto personaggio: [...] il professor Plebe si sar certa-
mente reso conto di quanto sia ostinata, maliziosa, capricciosa la smania della
gente di pensare; capisco, ci non tollerabile, fa parte di quel lato immora-
le, quella turpitudine gnostica, come direbbe Nabokov, che la gente si porta

40
G. Manganelli, La letteratura come mafia, in Quindici, n. 9, 15 marzo-15 aprile 1968;
poi in Id., Il rumore sottile della prosa, cit., (97-102) p. 97.
41
Ivi, p. 101.
446 Katia Cappellini

dietro assieme allinveterato bagaglio del peccato originale; [...]42. In Lingua


avvelenata, poi, sul n. 4 dellaprile dello stesso anno, possibile ravvisare un
approccio che proprio di Manganelli in questo tipo di scritti; introducen-
do cio i I gerghi della malavita dal Cinquecento ad oggi di Ernesto Ferrero,
Manganelli approfondisce ci che pi lo interessa e lo fa alla sua maniera,
proponendo figure emblematiche che, costanti, ritroveremo nelle varie tappe
del suo percorso di scrittore:

[...] la delinquenza esiste; non esiste societ senza angiporti, labirinti, casbah,
vicoli e chiassetti, per i quali si aggira una folla di ombre dal nome incerto, spes-
so mutevole, dalla vita furtiva e enigmatica, non protette se non dalla reciproca
omert, gente inseguita, diffidata, non assistita da alcun codice collettivo ma
costretta ad elaborare clandestini rituali, convenzioni effimere; abitano una zona
che potremmo definire linconscio della societ; e dunque si imparenteranno ai
sogni, frantumati ed afasicamente allusivi, agli incubi, ai sudori notturni, i versi
degli animali che disegnano sul buio angosciosi emblemi fonici. Sono immagini
che tendono a mimetizzarsi ai limiti del nulla, taciturni e fugaci; e si chiamano
lun laltro, questi esseri dal nome precario, con una bizzarra fosforescenza,
discontinui dialoghi indiretti, che fanno pensare a certe ittiche luci dabisso, a
lucidi guizzi dinsetti nottambuli. Dovunque giunga un segno, una immagine
viva, l giunge il linguaggio: e dunque quegli angiporti umbratili saranno affolla-
ti di parole; e chiunque ami la vita ambigua e criptica delle parole, vorr inse-
guirle e, se non comprenderle sempre in tutta la densit torva e fastosa, almeno
sfiorarne il passaggio, quel loro transito losco e sghembo43.

quel mondo notturno che lo affascina, quello asociale dei sogni, tessu-
to dalla trama polisemica di ambigue parole. Intanto, nella prima parte, aveva
trovato posto losservazione, reperibile nei corsivi per i vari quotidiani o rivi-
ste, di certo costume italico, in questo caso sollecitato di fronte alla questio-
ne delinquenza. Come dire che Manganelli coglie i rumours della societ
che attorno a lui, appartato, si muove, e li traduce nel suo labirinto renden-
doli osservabili e non giudicandoli mai, pur proponendoli attraverso la lente
di un umorismo che , tuttavia, partecipe e che non lo pone dunque in atteg-
giamento di superiorit rispetto al gruppo di cui si parla. Affiora dai corsivi
manganelliani, quello che lui stesso definisce linconscio collettivo italia-
no44; dalla disamina del quale, mediocrit e colpevolezza risultano essere
tratti caratterizzanti ed essenziali di un cittadino colto in seno ad una societ
in uno strano equilibrio tra oppressori e oppressi, potenti e vili: ingranaggio
di un meccanismo perenne e inarrestabile.

42
Riproposto col titolo Plebe, in G. Manganelli, Lunario dellorfano sannita, cit., (158-
164) pp. 159-160.
43
Riproposto col titolo Malavita, ivi, (pp. 165-171) p. 167.
44
G. Manganelli, Del piacere di pagare le tasse, in Il Messaggero, 29 maggio 1986; poi
col titolo Tasse I, in Id., Mammifero italiano, cit., (pp. 93-95) p. 94.
Giorgio Manganelli: le eterne, fatali, inutili partite 447

Nel 1974 cominciano ad apparire suoi scritti su Playboy (gli altri nel
75, 76 e infine nel 1980). Vi si rintraccia quel sistema di immagini che
Manganelli andato costruendo, immagini insondabili e ripetute, trame che
non portano ad una conclusione, ma allinizio di un nuovo labirinto oppure
allo stesso reiterato. Il gioco degli eroi (brevi corsivi su Garibaldi, Cesare, Riva,
Casanova), pubblicato sul numero di gennaio della rivista, prende le mosse
dai disegni di Martyn Van Der Jagt. Sullo stesso numero Errori, dove chiari-
sce che: Lerrore nasce in primo luogo dalla furia di mettere assieme idee che
non appartengono al medesimo mondo, dalla sensibilit allesistenza di un
altro mondo, che non ha parole sui nostri dizionari. Ancora una volta, par-
lando di Un libretto recente Fiori di banco di Ada Trer Ciani, Bompiani
[che] raccoglie un florilegio di errori di allievi delle elementari, introduce
il suo mondo Manganelli chiosando: [...] e si vedr subito quanto poco ele-
mentari siano codesti errori. Difatti, scorrendo le righe si legge che gli erro-
ri hanno una eleganza tragica di cose terribili quanto fragili. E pi avanti:
Diciamo che con le palafritte nasce la letteratura, nasce il paesaggio, che,
dice un altro errore, venne costruito dalluomo, assieme alle gallerie e ai
ponti: dove si gode la parzialit per quelle gallerie, di oscura destinazione, ma
che danno un prestigio notturno a quel paesaggio. Gli errori contano, per-
ch testimoniano Un sentimento della dubbia utilit della storia, e del suo
lato ilare e provvisorio, [...]45; posizione che torner in altri suoi scritti.
Errori pure il titolo di un corsivo presente sul numero di febbraio del 1974
e che, nuovamente, trae principio da una pubblicazione: [...] La mala Italia,
a cura di Ernesto Ferrero (Rizzoli), svagato gentiluomo piemontese che ha un
debole per la delinquenza, [...]46. Lironico commento allude agli interessi
dellautore di cui aveva gi parlato in Aut. Negli articoli di Manganelli, di
diverso taglio, compare spesso, come in questi, il riferimento allistituzione
familiare e alla sua abnormit come pure frequente il concetto di nulla.
Negli articoli per Playboy, in particolare, si rimane rapiti nellordito di
uninvenzione dilagante durante la quale ci si chiede dove condurr la trama.
Da unimmagine si avvia la storia, storia che spesso si sviluppa dalla descri-
zione di un personaggio. Nel tessuto linguistico, si recuperano inoltre stilemi
e topoi tipicamente manganelliani: leroe alle prese con gli di, angeli e mondi
ulteriori. E il nulla, appunto. Al fondo si ha a che fare con scritti dal caratte-
re letterario, carattere che pare rimandare a cosa lo scrittore : un lusus, un
errore. Un errare, senza fine, senza arrestarsi nella stupida ricerca di senso.
Data la natura ambigua della parola tale ricerca continuamente disattesa.
Per rammentare un altro dei corsivi, lultimo per Playboy, pubblicato sul
numero di dicembre del 1980, menzioneremo il gustosissimo, il caso di

45
G. Manganelli, Errori, in Playboy, gennaio 1974, pp. 116-117.
46
G. Manganelli, Errori, in Playboy, febbraio 1974, p. 16.
448 Katia Cappellini

dirlo, pezzo dedicato al cibo dal chiaro titolo Il gusto e diviso in paragrafi che
vanno dallatto del mangiare ai commensali, dalle pietanze alla proposta di
una psicofagia; nel dettaglio: Del mangiare in generale, Del ritmo dei cibi,
Del mangiare in compagnia, Del mangiare da soli, Psiciofagia, Del peccato di
gola. In compagnia si delinea il profilo del mangiare laltro: [...] il cenino
tutto cannibalesco, e lunico piatto il dirimpettaio, come atto di condivi-
sione, di amore estremo che era pure di Artaud. E mette del s Manganelli
aprendo una delicata parentesi sulle nevrosi e il cibo o i cibi che pi vi si addi-
cono. Il cibo analizzato come sostentamento, nellaccezione pi ampia.
Nel 1975 era uscito sul trimestrale romano Prospettive settanta (1, apri-
le-giugno) La riga bianca raccolto, in seguito, con altri interventi sulla scrit-
tura e sulla lettura, ne Il rumore sottile della prosa. Vi si esalta la non-riga, il
non-spazio e conseguentemente la possibilit di librarsi [...] in una condi-
zione temporale e spaziale abnorme ed esaltante47 tra regole imposte dalla
pubblicazione e le non regole che permette certa scrittura. Dimostra
Manganelli la reversibilit di ogni asserzione data per vera48, giocando con la
legittimit dello sfruttamento dello spazio, di tutto lo spazio della pagina,
compreso quello apparentemente vuoto del nulla.
Due suoi scritti vengono pubblicati su Alfabeta, mensile che nasce a
Milano nel 1979 (per cessare le pubblicazioni nel 1988) per iniziativa di
Nanni Balestrini e il cui interesse spazia dalla letteratura alla critica culturale
in generale e politica, dalla psicologia allarte. E di arte si occupa Manganelli
nel numero di maggio del 1982 con il Dialogo sugli spazi (con Lea Vergine),
mentre nel settembre 1983 scrive Nel manicomio tutto sacro 49, presentando
il volume di Alda Merini, Diario di una diversa, brano che verr pubblicato
come prefazione nelledizione Scheiwiller del volume nel 1986.
Manganelli anche autore di scritti critici darte sulla rivista FMR, alcu-
ni raccolti nel volume Salons (pubblicato dapprima, nel 1987, per le edizio-
ni FMR; poi da Adelphi nel 2000); trattasi di prose nate dallo spoglio di cata-
loghi di mostre darte. La stesura del pezzo parte dallesame di unimmagine,
cos come era accaduto anche per alcuni degli interventi su Playboy. Il
primo degli scritti per FMR dal titolo Arte per Acqua pubblicato sul n. 3
del maggio 1982 (p. 102); del giugno 1984 Le reliquie della fenice 50. Il nu-
mero dei contributi maggiore per lanno 1985 (tra i quali Tu sei Pietra, su
FMR n. 36, ottobre 1985, pp. 118-122; ristampato lanno dopo su Re-
porter51, e pi precisamente l11 gennaio 1986 col titolo Le pietre di Luni).

47
G. Manganelli, La riga bianca, in Id., Il rumore sottile della prosa, cit., p. 26.
48
Cfr. ivi, p. 27.
49
In Alfabeta, 52, settembre 1983, p. 11.
50
In FMR, n. 24, giugno 1984, pp. 110-116.
51
Quotidiano nato nella met degli anni Ottanta e diretto da Adriano Sofri ed Enrico
Deaglio.
Giorgio Manganelli: le eterne, fatali, inutili partite 449

FMR un mensile di arte e cultura dellimmagine, come recita il sottoti-


tolo, diretto da Franco Maria Ricci, che inizia le pubblicazioni proprio nel
1982. Sulla rivista, oltre alle illustrazioni e a scatti di importanti fotografi,
trovano ospitalit anche i contributi di diversi intellettuali. Ricci, amando la
penna di Manganelli, gli fa recapitare fotografie e cataloghi, a proposito dei
quali il Nostro tesse i suoi abili labirinti visitando mostre senza spostarsi dal
suo studio solitario.

La felicit dei suoi scritti di critica darte induce Franco Maria Ricci ad allestire
(tra febbraio e ottobre dell86) uno spazio speciale nella sua rivista FMR, il
salon, templum dai limiti rigorosi allinterno del quale il grande sacerdote della
retorica possa celebrare sfrenatamente i suoi riti sfogliando i cataloghi delle
mostre darte52.

Loggetto diventa un pretesto affinch le strutture retorico-linguistiche


manganelliane possano dipanarsi. Scrive Pietro Citati a proposito di queste
prose:

Ogni mese i lettori trovavano un articolo firmato da Ottawa, Buenos Aires,


Parigi, Pietroburgo, Pisa, Berlino, Bergamo, Il Cairo, Nuova Delhi, Wellington,
Pechino. Tutti immaginavano che Manganelli corresse da un aereo allaltro. In
realt, stava chiuso in casa, ascoltando dischi di musica classica. Leditore gli man-
dava cataloghi da tutto il mondo; e ogni mese Manganelli parlava di due mostre
di arte minore: tabacchiere, ventagli, gessi, vetri intarsiati, armi, gioielli, orecchi-
ni. [] Ha composto un meraviglioso e meticoloso repertorio, che descrive e
reinventa luniverso in ogni forma, possibilit e inverosimiglianza. [] Qui, in
queste leggere e incantevoli prose che parlano di ventagli, di tabacchiere e di fiori,
non c traccia di angoscia. Manganelli si allontan dalla sua anima, giocando per
amore del gioco. Non saprei dire per quale ragione la luce vinse questa volta in
modo cos assoluto sullombra. Forse la pura intelligenza: forse il desiderio di
esplorare tutte le forme del mondo: forse una sontuosa retorica placarono la sua
tenebra furibonda. Anche la realt sensibile, col suo peso e le sue limitazioni,
scomparsa: resta solo il pi spirituale dei sensi lolfatto. [] Tutto ci che vede-
va e sentiva passava attraverso la mente: non aveva sensazioni o sentimenti, ma
intensissime idee di sensazioni e di sentimenti. La sua mente assumeva ogni
forma: si volgeva verso ogni parte, cercando sempre nuove incarnazioni. []
Aveva una intensissima immaginazione mitica. Sapeva che il mito non vive sol-
tanto negli dei dOccidente e dOriente: ma in tutte le cose, anche le pi misera-
bili e deteriorate. Quando leggiamo queste bellissime prose, davanti a un venta-
glio, una spada, una tabacchiera, un orecchio, il mito scintilla e ci illumina, col
suo splendore senzombra53.

52
G. Pulce, Bibliografia degli scritti di Giorgio Manganelli, cit., p. 5.
53
P. Citati, Le invenzioni di Manganelli, in La Repubblica, 2 gennaio 2001, p. 36.
450 Katia Cappellini

Numerosi, dunque, i contributi nel 1986 per la rubrica Salon di


FMR, anno in cui esce anche uno scritto su Nuovi Argomenti, Che cosa
non un racconto (n. 18, aprile-giugno 1986, pp. 5-7; poi raccolto ne Il
rumore sottile della prosa)54, risposta allinchiesta (approccio tipico del trime-
strale in questione) lanciata dalla rivista fondata a Roma nel 1953 da Alberto
Carocci e Alberto Moravia e diretta, negli anni che ci interessano, da Enzo
Siciliano; un altro elaborato vi figura nel 1987 55. Nel primo citato
Manganelli si diletta con il refuso: Non sono cos sciocco da cancellare il
mio refuso il refuso, cos raro, il meglio di qualsiasi scrivente, [...]56.
Occasionali possono dirsi gli articoli per Annabella (Scusi, lei crede
allAstrologo?, 31 dicembre 1976), la Rivista illustrata della comunicazione
((Pseudonimia), n. 1, luglio-ottobre 1979), Notiziario Einaudi (Poesia
irlandese, luglio 1982), Il piacere (Il vento. Un tenero fantasma, 1, maggio
1984; presentato come inedito col titolo Quante facce ha lamico vento sul
Corriere della Sera del 27 maggio 1991), LAstronomia (Forse i pesanti
dinosauri erano sottili intellettuali, 41, febbraio 1985; gi proposto dal Cor-
riere della Sera del 17 settembre 1984). Due racconti compaiono sulle pagi-
ne de Il Moderno, ossia Linferno in Montenapoleone (1, n. 4, luglio 1985),
ripubblicato nel settembre col titolo Manganelli risponde al Diavolo malizio-
so sabotatore di parole (1, n. 5, settembre 1985).

I settimanali

Manganelli partecipa a quello che un periodo di fermento culturale per


la capitale, vivacit attestata anche da un settimanale quale Il Mondo, fon-
dato nel 1949 da Mario Pannunzio e da lui diretto fino al 1966. Qui:

[] la collaborazione degli scrittori era meno ideologicamente prefigurata e il


genio e le inclinazioni dei singoli emergevano in maniera pi autonoma. La divi-
sione non fu strettamente politica [] ma piuttosto di gusto, di tradizione e di
scelte ideali. [] Tra gli scrittori i collaboratori pi assidui, [oltre a Ennio Flaiano
e Corrado Alvaro] furono Giovanni Comisso, Mario Tobino, Tommaso Landolfi,
Ignazio Silone, e, tra i pi giovani, Vitalino Brancati, Carlo Cassola, Giovanni
Arpino, Alberto Arbasino, Giorgio Manganelli, Enzo Siciliano57.

54
Cfr. G. Manganelli, Il rumore sottile della prosa, cit., pp. 31-35.
55
Siena? Quale Siena?, in Nuovi Argomenti, s. 3, 23, luglio-settembre 1987, pp. 46-47.
56
G. Manganelli, Il rumore sottile della prosa, cit., p. 35.
57
A. Asor Rosa-A. Cicchetti, Dalla letteratura come vita alla letteratura come morale, in
A. Asor Rosa (diretta da), Letteratura italiana. Let contemporanea. La storia e gli autori, vol.
11, Einaudi, Torino 2007, pp. 226-227.
Giorgio Manganelli: le eterne, fatali, inutili partite 451

Manganelli vi inizia a collaborare nel 1965, quando gli articoli si inter-


vallano con quelli scritti per il Corriere della Sera; suoi contributi sono su
Il Mondo nel 1974 e nel 1975, anno in cui, sul numero del 16 ottobre, si
legge Un tale che va in India, posto ad apertura del volumetto che raccoglier
le corrispondenze dallIndia della rubrica Foglietti di viaggio (undici arti-
coli apparsi dal 27 novembre 1975 al 19 febbraio 1976), stampato nel 1992
col titolo Esperimento con lIndia e curato da Ebe Flamini. Parecchi sono, in
generale, gli interventi pubblicati sul periodico nel 1976. Suoi scritti usciro-
no su LEspresso58 a partire dal 1966 fino al 1979, per riprendere nel 1983
(anche con la rubrica Non ci sto!) ed arrivare al 1986; su LEuropeo59 nel
1977 e poi nel 1979. Svariati gli articoli nel 1980. Vi scrive anche nel bien-
nio 1981-82 e, di nuovo, nell85. Gli ultimi articoli per questo settimanale,
in vita Manganelli, risalgono al 1986 e al 1987. presente anche su
Panorama60 (1979, 1983) e su Epoca61 (1985, 1987, 1988, 1990).

I quotidiani

Molti sono i quotidiani (che, insieme ai settimanali, assicurano unentra-


ta economica indispensabile a Manganelli per vivere) con i quali lavora; su Il
Giorno62 i suoi articoli sono rintracciabili a partire dal 1960 e per lanno
successivo. Torna a scrivervi nellaprile del 1967 e nel 1968. Nel 1972 e preci-
samente il 29 ottobre ci si imbatte nel primo reportage dalla Cina. Questo e
altri articoli comparsi sulla testata fino al 26 novembre verranno raccolti nel
volume Cina e altri Orienti, edito da Bompiani nel 1974. Altri articoli esco-
no nel 1973, 74 e 75. Dal 1965 al 1985 si trovano suoi interventi sul
Corriere della Sera. Inizia cio a inviarvi63 contributi nel 1965 e di nuovo
nel 1968. Riprende nel 1973 le pubblicazioni col Corriere, le quali si inten-
sificano nei quattro anni a seguire per decrescere nel 1978 quando Manga-
nelli incomincia a operare pure su La Stampa. Sul Corriere dInfor-

58
Eugenio Scalfari alla direzione del settimanale fino al 68; dal 1968 al 1970 direttore
Gianni Corbi. Suo successore Livio Zanetti fino al 1984; dopo di lui Giovanni Valentini.
59
Diretto, per lasse temporale che ci interessa, da Lamberto Sechi (fino al 1983), Claudio
Rinaldi (1983-1985), Salvatore Giannella (1985-1986), Lanfranco Vaccari dall86.
60
Dal 79 all85 direttore Carlo Rognoni.
61
Direttore Carlo Rognoni che nel 1985 lascia Panorama per passare ad Epoca.
62
Direttore dal 1960 al 1971 Italo Pietra con il quale il giornale vive una fulgida sta-
gione. Tra i collaboratori di questi anni ci sono, oltre a Manganelli, Arbasino, Bianciardi,
Citati, Eco, Pasolini, Cassola, Ottiero Ottieri, Soldati. Nel giugno del 1971 succede a Pietra
Gaetano Afeltra (fino al 1980).
63
Manganelli non far mai vera e propria vita da redazione. Scrive gli articoli nel suo stu-
dio e li invia mediante corriere.
452 Katia Cappellini

mazione, edizione pomeridiana del Corriere, nel numero del 15 settembre


1975, si pu leggere Marco Polo vivo a Bangkok, anticipazione di un brano
di A e B pubblicato poi da Rizzoli (1975). Copiosi i pezzi per il Corriere
della Sera nel 1980; sul numero del 25 maggio viene pubblicata lanticipa-
zione della prefazione a Il Milione di Marco Polo, curato per la Editori
Riuniti di Roma da Antonio Lanza e uscito quellanno. Sempre nel 1980,
sulle pagine di Paese Sera del 28 dicembre per linchiesta Il libro dellanno 64.
Tornando al Corriere, presente nellanno successivo sui fogli del quoti-
diano milanese nel settembre vi propone anche gli articoli frutto del viag-
gio in Finlandia e nel 1982, quando, tra gli altri, troviamo gli scritti dedi-
cati alla citt di Firenze, cinque interventi tradotti e riproposti da Marianne
Schneider in Manganelli furioso 65. Nel 1983 racconta i viaggi nel Nord
Europa: Nel cuore gotico di Copenhagen il primo articolo, del 9 ottobre; lul-
timo, del 18 novembre, Liverpool e la sua bellezza clandestina; in questa serie
rientra pure il reportage dalle Isole Fror (poi in Lisola pianeta e altri setten-
trioni, Adelphi 2006). Ancora lo si legge sul Corriere nel 1984, nel 1985
(del 1 maggio Vi scrivo dallInferno, anticipazione di DallInferno, pubblica-
to in quellanno da Rizzoli; tra settembre e ottobre escono gli articoli del viag-
gio in Germania) e nel 1986, anno in cui lascia la testata non sentendosi pi
libero di scrivere secondo volont e con lo scopo di portarsi fuori da giochi
politici che mai lo hanno interessato. Scrivere per Manganelli ci che conta,
scrivere ci sente, accettando solo il ricatto, ineludibile, della parola. Suoi
scritti si rinvengono anche nel 1980 e nel 1981 sul Corriere della sera illu-
strato, supplemento al quotidiano66. Sono anni in cui Manganelli collabora
con La Stampa67. Il primo articolo datato 1977; numerosi saranno gli
interventi nellanno successivo. Nel 1978 Manganelli tiene, tra laltro, una
rubrica dal titolo LAlmanacco, ispirata agli accadimenti del giorno. Il 26
settembre 1978 vi pubblica il primo degli articoli dedicati allIslanda
(Pellegrino in Islanda) e il 29 ottobre Sulla strada Grande di Oslo (raccolti nel

64
Consiglia: M. Rojas, Figlio di ladro, Feltrinelli, Milano 1980; M. Puig, Pube Angelicale,
Einaudi, Torino 1980; P. Citati, Vita breve di Katherine Mansfield, Rizzoli, Milano 1980.
65
G. Manganelli, Manganelli furioso. Ein Handbuch fr unntze Leidenschaften von
Giorgio Manganelli, Aus dem Italienisch von M. Schneider, Wagenbach, Berlin 1985.
66
Quando Manganelli incomincia a collaborare con il Corriere della Sera, direttore
Alfio Russo (lo sar fino al 1968). Gli succede fino al marzo 1972 Giovanni Spadolini. Dal
1972 al 1977 alla guida del quotidiano vi Piero Ottone; suo successore Di Bella fino all81,
dimissionario a seguito della vicenda P2: nella lista della Loggia sono presenti i nomi di Di
Bella, delleditore di maggioranza Angelo Rizzoli e del direttore generale Bruno Tassan Din.
Leredit del giornale affidata a Alberto Cavallari, direttore con un mandato triennale (1981-
84). A Cavallari sarebbe dovuto succedere Gino Palumbo, il quale, per motivi di salute, fu
costretto a rinunciare. Il 18 giugno 1984 il nuovo direttore Piero Ostellino, in carica fino al
1987.
67
Direttori sono Arrigo Levi (dal 1973 al 1978) e, in seguito, fino al febbraio del 1986,
Giorgio Fattori.
Giorgio Manganelli: le eterne, fatali, inutili partite 453

gi citato Lisola pianeta). Del maggio dellanno dopo sono i resoconti dal
Pakistan (ne Linfinita trama di Allah. Viaggi nellIslam, 1973-1987, Quiritta
2002). Lo ritroviamo sulle pagine de La Stampa nellagosto 1988, quando
vi viene presentata, con larticolo Manganelli: il cosmo e i suoi pettegolezzi, lo-
pera teatrale che Manganelli porta al Festival di Todi nel settembre di quel-
lanno: Ho voglia di qualche minuto di teatro. Del 1975 il primo contribu-
to per Tuttolibri, il supplemento culturale a cadenza settimanale de La
Stampa, Gli ex voto 68, a cui seguir un impegno costante nel 1976 (sul
numero del 9 ottobre Contenitori per defunti, anticipazione di un brano com-
preso in Sconclusione, edito da Rizzoli sempre nel 1976) e nel 1977; e si leg-
geranno suoi scritti negli anni 1978, 1979 e nel 1981, vale a dire recensioni
o interventi sulla lettura in generale, ma sempre col piglio proprio di
Manganelli; sar possibile scorgerlo nelle vesti del Censore di Addis Abeba
il quale dichiara: Con pazienza, con calma, con fermezza, debbo impedire la
lettura di libri illegibili da parte di gente che non sa leggere69, esplicitando
la propria funzione: In breve, il mio compito si riduce a questo: approvare o
disapprovare qualsiasi parola che, in qualsiasi lingua, venne scritta o pronun-
ciata. Poich le parole sono inintellegibili, o sono perdute, o irraggiungibili,
[...]70 oppure nel mettere in ridicolo (E Sallustio non va bene?, 2 dicembre
1978) la smania di regalare libri a Natale da parte dei non lettori che gli chie-
dono consiglio, interrogandolo sui libri pi strani o speciali rispetto a
quelli da lui proposti. E linterrogato, che pensa a classici o autori destinati a
diventarlo, anche se minori come A. Kavan, chiude la telefonata con S, ho
letto anche dellaltro. Ma non voglio essere beffato, e con la scusa che sto scri-
vendo I Promessi Sposi, riattacco il telefono71.
Lascia il Corriere ( laprile del 1986) ed inizia a collaborare con Il
Messaggero72 fino al 1990, anno della morte. Tralasciando le interviste al
Nostro (di S. Taverna, Ai tempi miei, 24 luglio 1981; di S. Petrignani, Im-
mobile e tiranna, sul numero del 25 febbraio 1985 e Saggi tempestosi del 6 no-
vembre), pezzi di Manganelli erano gi apparsi sulla testata romana: nel
1979, sul numero del 16 gennaio, vi si legge Un esempio di ironia teologica,
estratto della prefazione che Manganelli aveva scritto per Lironia teologica di
Lucio Fontana. Progetti per una porta del Duomo di Milano, volume uscito per
le edizioni Multipla di Milano lanno prima; nel 1985, Il lord in maschera (3

68
Larticolo, del 13 dicembre 1975, lanticipazione di Ex voto. Storie di miracoli e di mira-
colati. Testo di G. Manganelli, antologia e note di G. Guadalupi, F. M. Ricci, Parma 1975.
69
G. Manganelli, Vi proibisco lAmleto, in Tuttolibri, 29 aprile 1978; poi in Id., Il
rumore sottile della prosa, cit., (pp. 149-152) p. 151.
70
Ibidem.
71
G. Manganelli, E Sallustio non va bene?, in Tuttolibri, 2 dicembre 1978; poi in Id., Il
rumore sottile della prosa, cit., (pp. 213-216) p. 216.
72
Direttore dal 1980 al 1987 Vittorio Emiliani; dal 1987 al 1993 Mario Pendinelli.
454 Katia Cappellini

dicembre) anticipazione della prefazione al volume di G. G. Byron, Lettere


italiane, licenziato quellanno dalle edizioni Guida di Napoli. La collabora-
zione vera e propria incomincia nel 1986 e moltissimi sono gli articoli che
Manganelli scrive, di letteratura, costume e ancora una volta di viaggio.
Nellagosto del 1986 sar la Cina a venire descritta, nel giugno-luglio del-
lanno dopo lAbruzzo e in dicembre, sempre del 1987, Baghdad; tra aprile e
maggio del 1988 Taiwan, in agosto Firenze e a settembre lArgentina. Nel set-
tembre del 1989 propone articoli del viaggio in Norvegia. Ovviamente lo si
trova anche su un supplemento del quotidiano come Il Messaggero Pi,
con diversi articoli nel 1989 73 e sullinserto Lire il 30 novembre del mede-
simo anno con Il flacone maltese (sullolio doliva).

A mo di (s)conclusione

Manganelli dimostra che la realt pu essere commentata anche con paro-


le altre, parole meno abusate, parole che dicono il quotidiano ma che si leg-
gono nei libri e che si vorrebbero, perci, relegate in quel mostro chiamato
letteratura. Parole letterarie, dunque, in labirinti che di letteratura sanno, di
Carroll e di Swift, che dicono di una frequentazione di mondi altri e che ben
si adattano per a dire questo di mondo, forse perch questo mondo laltro
e laltro questo o forse perch entrambi ulteriori. Ed grazie a questa voca-
zione al sogno che Manganelli pu realizzare una sorta di indagine nelle pie-
ghe dellinconscio e la sua traduzione in uninvenzione linguistica infinita, la
quale esprime, oltre ad una personale osservazione del dato reale, la non pas-
sibile accettazione di esso. Vi riconosce lalone di buio attorno, Manganelli,
opponendo alla verit la pi vera menzogna. Uno sguardo partecipe il suo,
ma critico. Perch partecipazione, pare dirci, non assuefazione, ma decifra-
zione. Scrivere per Manganelli azione necessaria per rendere il vuoto nulla,
e cio attivo. Emblematico, in tal senso, il viaggio in un Paese come lIndia
che, annota, [...] mi si apre di fronte come un abisso accogliente, qualcosa
in cui si pu precipitare senza ferirsi, un abisso di carne, un abisso madre, un
precipizio dombra, un imbuto infinito che d su un Niente attivo, qualcosa
che , ed il nulla74. Laddove loccidentale pu vantare solo la [...] povera
libert e follia delle malattie psicosomatiche75, lIndia insegna al viaggiatore
Manganelli a lasciar riposare la maschera difensiva dellumorismo, per far

73
Del 23 marzo Privilegio di un frammento su Gastone Novelli oppure il 7 aprile I colori
delle tenebre su Emil Nolde o Geometrie musicali, su Fausto Melotti, il 14 aprile; del 4 agosto,
Quello splendido mostro, dedicato al Colosseo, e il 24 novembre Gogol e il suo cappotto; l11 ago-
sto Le superbe menzogne del genio su Caravaggio.
74
G. Manganelli, Esperimento con lIndia (a cura di E. Flamini), Adelphi, Milano 1992, p. 20.
75
Ivi, p. 91.
Giorgio Manganelli: le eterne, fatali, inutili partite 455

spazio a una nuda devozione, una dimensione pi autentica in cui divino ed


umano possano giocare insieme 76. Un riso nuovo insegner a Manganelli
questa terra: [...] mi muovo a disagio sulla mia poltrona, e mi dico, mi con-
fesso che io vengo da un continente dove da tempo di Assoluto non se ne
produce pi, e dove esiste un riso secco e tormentoso che forse ha definitiva-
mente disegnato i nostri volti77, quei volti che Manganelli ha interpretato in
alcuni dei suoi articoli. Attenzione andr posta ai termini scelti, in questo
caso al verbo, produrre, in cui si coglie il punto di vista delloccidentale;
riferisce un mondo altro con il suo vocabolario Manganelli, a testimoniare di
come sia parte anche lui, e lo riconosce, dellOccidente.
In ossimorica danza Manganelli consegna alla pagina stampata, alla lettu-
ra rapida di un giorno, di qualche ora, il valore di una parola da cui ci si
lasciati penetrare e che a questo punto solo pu esser detta con il riso felino,
che corrompe la bocca, mentre lo sguardo resta vigile 78.

76
Scrive Manganelli: Dei e uomini giocano un unico gioco, che li apparenta e li svela
reciprocamente., ivi, p. 90.
77
Ivi, p. 18.
78
Molti sono gli interventi raccolti in volume: articoli apparsi su LEspresso (1972-73),
su Il Giorno (1972), su Aut e su Quindici (1967-68) si trovano nel Lunario dellorfano
sannita (Einaudi, Torino 1973; Adelphi, Milano 1991); anni dopo gli articoli pubblicati dal
1973 al 1988 per La Stampa, Il Corriere della Sera, Il Mondo, Epoca, LEspresso,
LEuropeo e Il Messaggero confluiscono nellopera dal titolo Improvvisi per macchina da
scrivere (Leonardo, Milano 1989; Adelphi, Milano 2003). Segue, postumo, Il rumore sottile
della prosa, volume che [] riunisce 60 articoli, pubblicati da Manganelli tra il 1966 e il
1990 su diversi quotidiani e riviste, riguardanti i temi del leggere, dello scrivere e del recensi-
re libri. Non si tratta di una mera silloge redazionale, ma di un corpus omogeneo, pensato e
organicamente strutturato dallo scrittore: una vera e propria raccolta dautore. (dalla Nota
al testo di Paola Italia, in G. Manganelli, Il rumore sottile della prosa, Adelphi, Milano 1994, p.
257). Postumo esce anche Mammifero italiano, curato da Marco Belpoliti (Adelphi, Milano
2007), volumetto composto dai corsivi redatti per differenti testate fra il 1972 e il 1989. I cor-
sivi dedicati al viaggio si leggono in: Cina e altri orienti (Bompiani, Milano 1974), Esperimento
con lIndia (a cura di E. Flamini, Adelphi, Milano 1992), Linfinita trama di Allah. Viaggi
nellIslam 1973-1987 (a cura di G. Pulce, Quiritta, Roma 2002), La favola pitagorica (a cura
di A. Cortellessa, Adelphi, Milano 2005), Lisola pianeta e altri settentrioni (a cura di A.
Cortellessa, Adelphi, Milano 2006). Interventi vari riguardanti limmaginario tecnologico
sono in Ufo e altri oggetti non identificati 1972-1990 (a cura di G. Pulce, postfazione di R.
Manica, Quiritta, Roma 2003). Scritti di Manganelli sono proposti sul numero monografico
di Riga (a cura di M. Belpoliti e A. Cortellessa), n. 25, Marcos y Marcos, Milano 2006.
CARLO SERAFINI

Reportage su Calvino

Sopra una scrivania in una delle ultime abitazioni di Calvino stato tro-
vato un elenco autografo di ventisette titoli di libri da realizzare, elenco scrit-
to su di una cartolina datata marzo 1978 1. Tra i titoli non poi divenuti libri,
appare anche Articoli politici (Let del ferro 1945-57), ed almeno altri due
sono relativi allattivit giornalistica dello scrittore: Categorie italiane e
Cronache italiane cronache planetarie (articoli sul Corriere della sera 1975-
1979). Occorre per subito fare alcune precisazioni: in Calvino non certo
una novit lattivit di selezione e organizzazione della propria opera, ma il
titolo (Let del ferro) e il periodo delimitato (1945-1957) lasciano intuire un
preciso progetto relativo ad un periodo di Calvino che lo vede agire indub-
biamente sotto legida dellimpegno, soprattutto politico, come il titolo in
elenco recita. Va detto per anche che limpegno di Calvino lo ha sempre
visto attivo a tutto campo: politico in primis (restando in questo periodo) ma
anche culturale e sociale, nel senso che il primo Calvino giornalista (quello
che scrive fino alla fine, circa, degli anni Cinquanta) va collegato al contesto
costituito da tutti gli altri interventi (politici, di costume, di letteratura, e
anche narrativi) dello stesso periodo, nonch alle pagine (sempre riferite al
periodo in questione) che Calvino dedica a se stesso anche molti anni dopo
in scritti o interviste rilasciate. Nellintroduzione al Meridiano dei saggi di
Calvino, Barenghi sottolinea come la non-fiction calviniana sia infatti carat-
terizzata da una dominante saggistica, nel senso di esperimento, prova di
s, come si conviene ad uno scrittore animato da una consapevolezza assai
viva delle responsabilit etiche e intellettuali che in quanto tale gli compete-
vano, e daltra parte restio a identificarsi compiutamente in un ruolo, a dare
veste istituzionale alla propria attivit2. C da dire inoltre che gran parte
dei progetti di Calvino restano allo stato potenziale o al solo livello di abboz-
zo, n noi possiamo sapere con certezza cosa il titolo avrebbe incluso come
(con la stessa importanza) escluso; molto probabilmente avrebbe cercato di

1
Cfr. C. Milanini, Introduzione a I. Calvino, Romanzi e Racconti, vol. III, I Meridiani,
Mondadori, Milano 1991, pp. XIII-XIV.
2
Cfr. M. Barenghi, introduzione a I. Calvino, Saggi, 2 voll., I Meridiani, Mondadori,
Milano 1995, vol. I, p. IX.
458 Carlo Serafini

costruire libri dotati duna propria logica interna, cio di raccontare attra-
verso il montaggio dei testi [] Ma al curatore postumo non spetta di indi-
viduare come si sarebbe comportato lautore in un ipotetico futuro, quanto
di dar conto, nel modo pi chiaro possibile, del lavoro che egli ha effettiva-
mente svolto3. E, infine, va notato che se il Calvino giornalista-saggista ini-
zia la sua attivit contemporaneamente al narratore, gli scritti non narrativi
saranno ordinati solo molti anni dopo, cio a partire dal 1980, quando esce
Una pietra sopra, che esclude per tutti gli interventi precedenti al 1955.
Anche gli scritti raccolti in Collezione di sabbia (1984) sono stati composti
per gran parte negli anni Ottanta salvo qualche rara eccezione, la pi antica
delle quali risale al 1974, mentre Palomar (1983) nasce da una accurata sele-
zione delle collaborazioni al Corriere della sera (1974-1979) e a Repubbli-
ca (1979-1985).
Ma tornando nellet del ferro (cos come cronologicamente intesa da
Calvino stesso nel titolo) due sono le questioni intorno alle quali occorre por-
tare lattenzione per capire limpegno: lesperienza della Resistenza e il rap-
porto con il Partito comunista, con la fine del quale sembra chiudersi lepo-
ca in questione. Nella pagine dellAutobiografia politica giovanile 4, Calvino
ricorda come fu che entr nel Partito comunista: La mia scelta del comuni-
smo non fu affatto sostenuta da motivazioni ideologiche. Sentivo la necessit
di partire da una tabula rasa e perci mi ero definito anarchico. Verso
lUnione Sovietica avevo avuto tutto larmamentario di diffidenze e obiezio-
ni che si avevano di solito, ma risentivo pure del fatto che i miei genitori
erano sempre stati inalteratamente filosovietici. Ma soprattutto sentivo che in
quel momento quello che contava era lazione, e i comunisti erano la forza
pi attiva e organizzata. Quando seppi che il primo capo partigiano della
nostra zona, il giovane medico Felice Cascione, comunista, era caduto com-
battendo contro i tedeschi a Monte Alto nel febbraio 1944, chiesi ad un
amico comunista di entrare nel partito5. Da qui il suo ingresso nella lotta
partigiana, rispetto alla quale lo scrittore confessa di avere sempre avuto dif-
ficolt nel raccontare in prima persona i ricordi di quei venti mesi6. Rispetto
invece alla propria idea politica al tempo della Resistenza, Calvino precisa:

3
Ivi, p. XI.
4
Oggi in I. Calvino, Saggi, cit., vol. II, pp. 2733-2768. Questo testo venne scritto nel
1960 in risposta ad uninchiesta (intitolata La generazione degli anni difficili) realizzata da Il
Paradosso, rivista di cultura giovanile tra persone della politica e della letteratura che aveva-
no vissuto il Fascismo e la Resistenza per portare ai pi giovani lesempio della propria espe-
rienza. La prima parte dello scritto di Calvino apparve sul numero 23-24, anno V, settembre-
dicembre 1960; la seconda nel volume collettivo La generazione degli anni difficili, Laterza,
Bari 1962.
5
I. Calvino, Saggi, cit., vol. II, p. 2745.
6
Ibidem.
Reportage su Calvino 459

distinguerei due atteggiamenti che erano compresenti in me e nella realt intor-


no a me: uno di Resistenza come fatto altamente legalitario, contro la sovversio-
ne e la violenza fascista; laltro di Resistenza come fatto rivoluzionario ed eversi-
vo, come identificazione appassionata con la ribellione degli oppressi e degli esle-
gi di sempre. Io ero alternativamente sensibile alluno o allaltro atteggiamento, a
seconda degli avvenimenti nei quali mi trovavo coinvolto e delle asprezze della
lotta, e a seconda delle persone cui mi trovavo vicino: gli amici del mio solito
ambiente borghese antifascista oppure tutto un nuovo strato, pi che operaio sot-
toproletario, che era la mia scoperta umana pi nuova, perch prima dallora
avevo pensato sempre allantifascismo come a una tendenza di lites colte, non di
masse povere.
Anche il comunismo era questi due atteggiamenti insieme: a seconda della situa-
zione psicologica in cui mi trovavo, la linea unitaria e legalitaria del partito, i di-
scorsi di Togliatti che maccadeva di leggere in fogli ciclostilati mi parevano ora la
sola parola di calma saggezza nel generale estremismo, ora qualcosa di incompren-
sibile e lontano, fuori della realt del sangue e furore in cui ci siamo immersi7.

La Liberazione, con la fine della lotta partigiana, segn per Calvino, pro-
prio in forza dellesperienza fatta, lingresso nella politica attiva: se la missio-
ne era stata quella di sconfiggere il fascismo, ora era quella di concretizzare gli
ideali che quella lotta avevano sostenuto, e concretizzarli in una Italia nuova
che non corresse pi il rischio di errori come il fascismo e che portasse la cul-
tura allinterno non solo della politica stessa ma anche allinterno delle dina-
miche del vivere sociale ed economico. La lotta continua non pi con le armi
ma con la cultura, e quindi limpegno politico di Calvino va visto come il
logico e naturale prosieguo della Resistenza. E in ragione di questo Calvino
riconferma la sua adesione al Partito comunista:

Per noi che vi aderimmo allora, il comunismo non era soltanto un nodo di aspi-
razioni politiche: era anche la fusione di queste con le nostre aspirazioni cultura-
li e letterarie. Ricordo quando, nella mia citt di provincia, arrivarono le prime
copie dellUnit, dopo il 25 aprile. Apro lUnit di Milano: vice direttore era
Elio Vittorini. Apro lUnit di Torino: in terza pagina scriveva Cesare Pavese.
Manco a farlo apposta erano i due scrittori italiani miei preferiti, di cui nulla
conoscevo fino allora se non due loro libri e qualche loro traduzione. E ora sco-
privo che erano nel campo che anche io avevo scelto: pensavo che non poteva
essere altrimenti. E cos a scoprire che anche il pittore Guttuso era comunista!
Che era comunista anche Picasso! Quellideale di una cultura che fosse tuttuno
con la lotta politica ci si delineava in quei giorni come una realt naturale (Invece
non era affatto cos: coi rapporti tra politica e cultura dovevamo romperci la testa
per quindici anni, e non ancora finita)8.

7
Ivi, pp. 2746-2747.
8
Ivi, pp. 2752-2753.
460 Carlo Serafini

Per Calvino contava lazione, che certo non mancata se consideriamo


che tra il 1946 e il 1957 scrisse 157 articoli per lUnit come cronista,
inviato, titolare di rubriche, commentatore, recensore di letteratura, cinema,
teatro; ma lattivit di pubblicista dello scrittore comincia nel 1945 sui perio-
dici resistenziali della Liguria come La voce della democrazia (organo del
CLN San Remo), La nostra lotta (organo della sezione sanremese del PCI),
Il Garibaldino (organo della divisione Felice Cascione), e altri interventi su
Rinascita, Societ, Il Contemporaneo9, Cultura e realt, Pattuglia,
Agor, nonch sempre nel 1945 linizio della collaborazione con Il
Politecnico di Elio Vittorini.
Si rimanda allaccurato studio sul Calvino giornalista di Ferretti10 per
individuare alcune linee principali nel lavoro di questi anni dello scrittore
sanremese (il senso storico, una nuova epica nazionale, la narrativa operaia11,
lo scrittore spietato) ma preme sottolineare come gli scritti di questo decen-
nio facciano poi sempre capo al rapporto che lintellettuale instaura con cul-
tura e societ, cosa gi evidente in uno dei primi articoli di Calvino sul quo-
tidiano di Gramsci, Umanesimo e marxismo 12, che parte dalla polemica tra
Massimo Mila e Filippo Burzio sulla liberalit o meno allinterno della
Democrazia Cristiana. invalso luso da un po di tempo in qua scrive
Calvino di usare il termine umanistico in contrapposto al termine marxista,
quasi avessero significati antitetici [] Se noi consideriamo lumanesimo
come tendenza a potenziare al massimo la persona umana, a fare delluomo
[] sempre il fine e mai un mezzo, quale concezione pi umanistica del
marxismo, che propone un affrancamento non individualistico o dlite ma
di tutta la societ? [] Ecco che abbiamo messo il dito sulla piaga: tutto un
atteggiamento della nostra recente cultura che si richiama ai valori umanisti-
ci e che contribuiva a dare della storia e dei fatti sociali un aspetto falsato ed
irrazionale13.
Calvino usc dal Partito comunista nel 1957 con la famosa lettera di
dimissioni del 1 agosto al Comitato Federale di Torino, poi pubblicata su
lUnit del 7 agosto: La mia decisione di abbandonare la qualifica di mem-
bro del Partito maturata solo quando ho compreso che il mio dissenso col
Partito era divenuto un ostacolo ad ogni mia partecipazione politica. Come
scrittore indipendente potr in determinate circostanze prendere posizione al

9
Sul Contemporaneo Calvino, tra le altre cose, tenne tra il 1955 e il 1956 la rubrica di
politica e costume La armi e gli amori.
10
Cfr. G. Ferretti, Le capre di bikini. Calvino giornalista e saggista, Editori Riuniti, Roma
1989.
11
Forse non c nellItalia degli anni Cinquanta un altro scrittore di quel livello che si sia
occupato come lui delloperaio quale figura sociale concreta. Cfr. P. Spriano, Le passioni di un
decennio 1946-56, Garzanti, Milano 1996, p. 27.
12
lUnit, 22 giugno 1946, oggi in I. Calvino, Saggi, cit., vol. I, pp. 1469-1472.
13
Ivi, pp. 1469-1470.
Reportage su Calvino 461

vostro fianco senza riserve interiori, come potr lealmente [] rivolgervi


delle critiche. [] non intendo affatto abbandonare la mia posizione di intel-
lettuale militante, n rinnegare nulla del mio passato. Ma credo che nel
momento presente quel particolare tipo di partecipazione alla vita democra-
tica che pu dare uno scrittore e un uomo dopinione non direttamente
impegnato nellattivit politica, sia pi efficace fuori dal Partito che dentro.
[] non ho mai creduto (neanche nel primo zelo del neofita) che la lettera-
tura fosse quella triste cosa che molti nel Partito predicavano, e proprio la
povert della letteratura ufficiale del comunismo m stata di sprone a cerca-
re di dare al mio lavoro di scrittore il segno della felicit creativa; credo di
esser sempre riuscito ad essere, dentro il Partito, un uomo libero14. Torner
in pi di una occasione sulla questione, mai rinnegando la sua convinzione
della necessit delluscita dal partito e in coerenza con ci che lui ha sempre
ritenuto la guida della sua missione politica. Cos nel 1960:

Da alcuni anni non sono pi nel Partito comunista, n sono entrato in alcun
altro partito. Vedo la politica pi nelle linee generali, e ho meno il senso desser-
vi coinvolto e corresponsabile. un bene o un male? Capisco tante cose che
prima non capivo, guardandole con una prospettiva meno immediata; ma daltra
parte so che possiamo comprendere a fondo solo quello che facciamo in pratica,
con unassidua applicazione quotidiana. [] Almeno due cose in cui ho creduto
lungo il mio cammino e continuo a credere, vorrei segnare qui. Una la passio-
ne per la cultura globale, il rifiuto della incomunicabilit specialistica per tener
viva unimmagine di cultura come un tutto unitario, di cui fa parte ogni aspetto
del conoscere e del fare, e in cui i vari discorsi dogni specifica ricerca e produ-
zione fanno parte di quel discorso generale che la storia degli uomini, quale
dobbiamo riuscire a padroneggiare e sviluppare in senso finalmente umano. (E la
letteratura dovrebbe appunto stare in mezzo ai linguaggi diversi e tener viva la
comunicazione tra essi).
Unaltra mia passione quella per una lotta politica e una cultura (e letteratura)
come formazione di una nuova classe dirigente. [] Ho sempre lavorato e lavo-
ro con questo in mente: vedere prender forma la classe dirigente nuova, e contri-
buire a dare ad essa un segno, unimpronta15.

Ma forse la testimonianza pi autentica quella che emerge dallintervi-


sta ad Eugenio Scalfari, di venti anni successiva, dove Calvino afferma: Noi
comunisti italiani eravamo schizofrenici. S, credo proprio che questo sia il
termine esatto. Con una parte di noi eravamo e volevamo essere i testimoni
della verit, i vendicatori dei torti subiti dai deboli e dagli oppressi, i difen-
sori della giustizia contro ogni sopraffazione. Con unaltra parte di noi giu-

14
La lettera pubblicata su lUnit del 7 agosto 1957, oggi in I.Calvino, Saggi, cit., vol.
II, pp. 2188-2191.
15
I.Calvino, Saggi, cit., vol. II, pp. 2758-2759.
462 Carlo Serafini

stificavamo i torti, le sopraffazioni, la tirannide del partito, Stalin, in nome


della Causa. Schizofrenici. Dissociati. Ricordo benissimo che quando mi
capitava di andare in viaggio in qualche paese del socialismo, mi sentivo
profondamente a disagio, estraneo, ostile. Ma quando il treno mi riportava
in Italia, quando ripassavo il confine, mi domandavo: ma qui, in Italia, in
questa Italia, che cosaltro potrei essere se non comunista?16. Oltre a raffor-
zare quanto gi affermato sul Partito comunista, che, occorre ricordare, perse
dopo i fatti di Ungheria ladesione di tanti intellettuali, le dichiarazioni di
Calvino ci riportano al discorso dei viaggi che grande spazio ed importanza
hanno avuto nellattivit giornalistica di questo primo periodo. Ci si soffer-
mer in maniera particolare sui reportage liguri del Politecnico, sui servizi
da Praga e da Budapest, sul Taccuino di viaggio in Unione Sovietica che appar-
tengono in maniera specifica al periodo impegnato di Calvino; oltre questi
un breve excursus merita il viaggio in America, che vede gi Calvino negli
anni Sessanta indirizzarsi verso quella forma di lettura della societ non anco-
ra distaccata, ma certamente pi razionale.

Nellarticolo programmatico di apertura del primo numero del


Politecnico (29 settembre 1945) Vittorini avverte della necessit di una cul-
tura che non sia pi consolatoria, bens tesa a combattere ed eliminare la sof-
ferenza; se la cultura che stata Cristo, Platone ecc. non ha evitato che si arri-
vasse al fascismo, o ai massacri del nazismo, vuol dire che qualcosa non ha
funzionato Su questo presupposto polemico con la cultura dellanteguer-
ra, nasce la rivista che Elio Vittorini fond a Milano nel settembre 1945 e che
nel panorama degli articoli politici, culturali, economici e letterari che vi
apparirono ha rappresentato il momento pi clamoroso e vivo, pi infervo-
rato e instabile17. Va comunque riconosciuto che i redattori del Politecnico
affrontarono il lavoro animati soprattutto dal sacro fuoco della riscoperta
democratica in tutti i settori della vita [] ma inteso e vissuto nella sola
dimensione di un comunismo acritico e sentimentale [] non da militanti
attivi e osservanti18, e questo mise la rivista in polemica sia con le forze cat-
toliche che con lo stesso PCI. Il Politecnico svolse una funzione prevalen-
temente divulgativa, cosa che venne riconosciuta come un limite da Vittorini
stesso che nellautocritica premessa al primo numero mensile della rivista
(aprile 1946) dichiarer di non aver svolto una funzione creativa. Tuttavia la
linea della rivista era molto vicina alle problematiche attuali, nellottica di
portarle alla visione e comprensione di tutti; e su questa strada va inquadra-
ta la grande attenzione che la rivista diede al discorso delle realt pi povere,

16
Cfr. Calvino: Quel giorno i carri uccisero le nostre speranze, intervista ad Eugenio Scalfari,
la Repubblica, 13 dicembre 1980.
17
Cfr. M. Forti e S. Pautasso, Il Politecnico, Lerici, Milano 1960, p. 11.
18
Ivi, p. 12.
Reportage su Calvino 463

dove dilagano sottosviluppo e miseria, un elemento, questo, che allinea


Politecnico ad unottica politica ed economica del tempo, genericamente
progressista; [] daltra parte, la lettura dei servizi indica il settimanale come
soggetto di una denuncia sociale, portatore di una volont di documentare (a
sua volta propria del tempo) pi che di una proposta politico-economica19.
In questottica vanno letti i reportage di Calvino dalla Liguria 20 apparsi
sulla rivista, a partire da Liguria magra e ossuta 21, nel quale lo scrittore ricor-
da come accanto alla Liguria dei cartelloni turistici, dei grandi alberghi, delle
case da gioco esista anche la Liguria dei contadini, con la loro storia di sfrut-
tamento e fatica. Sfruttamento ad opera di tasse onerose, sfruttamento ad
opera della concorrenza tanto dei sistemi capitalistici terrieri delle regioni pi
ricche quanto di quelli industriali che controllano i prezzi delle merci. I con-
tadini liguri, calmi e tenaci, chiusi e individualisti, spesso egoisti hanno
dimostrato nella guerra partigiana un entusiasmo, uno spirito combattivo,
una solidariet, un disinteresse che sfata ogni superficiale definizione del loro
carattere22. Valga per tutti lesempio di Castelvittorio, eroico paese della resi-
stenza, dove i vecchi cacciatori son soliti raccontare accanto al numero dei
cinghiali uccisi anche quello dei tedeschi. E la resistenza dei liguri fu anche
quella contro linteresse francese di creare una zona franca tra i due stati dopo
la guerra. Il contadino sa di aver vinto la guerra contro loppressione fascista
tedesca, ed oggi aspetta che la libert porti i meritati benefici. Calvino insiste
sulleconomia della regione, sul contrasto di ricchezza e povert in unottica
di anelito alla giustizia e alla comprensione. Stessa visione che si ha nel repor-
tage dellanno successivo (1946) Riviera di Ponente e nellarticolo Sanremo
citt delloro 23. Levidente contrasto tra ricchezza e povert in questo caso
interno alla stessa citt, dove la povert si concentra nel borgo medioevale
della Pigna, centro della manodopera immigrata per lavorare nellindustria
turistica, borgo arroccato, costruito sulle sue stesse rovine, senza fogne n
acqua nelle case. Il contrasto con la Sanremo del Casin, aperto nel 1903,
fatto fiorire sotto il fascismo, ora simbolo di una citt ricca e di un certo tipo

19
Cfr. M. Zancan, Il progetto Politecnico, Marsilio, Venezia 1984, p. 138.
20
Oltre i due reportage per il Politecnico di cui si parler, Calvino compose altri scritti
sulla Liguria, oggi pubblicati tutti nel Meridiano dei saggi (I. Calvino, Saggi, cit., vol. II, pp.
2376-2406). Nello specifico: Liguria (Testo scritto per un lungometraggio di Folco Quilici,
apparso in Italo Calvino Folco Quilici, Liguria, a cura dellUfficio Pubbliche relazioni della
Esso Italiana, Silvana (Amilcare Pizzi), Cinisello Balsamo 1973, pp. 9-14); Savona: storia e
natura (Ferro rosso terra verde, Italsider, Genova 1974, pp. 7-34); Il terzo lato il mare (Genova,
Piazza Caricamento) (Monumenti dItalia. Le piazze, a cura di Franco Borsi e Geno Pampaloni,
Istituto Geografico De Agostini, Novara 1975, pp. 84-86).
21
Il Politecnico, 10, 1 dicembre 1945; oggi in I. Calvino, Saggi, cit., vol. II, pp. 2363-
2370.
22
Ivi, p. 2364.
23
Entrami pubblicati su Il Politecnico, 21, 16 febbraio 1946.
464 Carlo Serafini

di popolazione che o lo frequenta o vi gravita intorno. Calvino mescola in


questi scritti elementi giornalistici con altri pi propriamente narrativi, forse
anche in ragione di non chiarissime direttive editoriali. Di l a poco sarebbe
approdato alla collaborazione con LUnit.
Nel 1947 fu a Praga, come inviato per seguire Il Festival della Giovent.
Emerge da questi primi sei articoli di reportage un tono divertito e una con-
vinta e spontanea adesione alla manifestazione cui assiste: Praga immen-
sa, ma non una metropoli vertiginosa: il suo ritmo, la sua atmosfera sono
riposanti e paciosi; azzardo e avventura sembra restino librati a mezzaria
nella fantasia dei cornicioni e delle guglie, che rifioriscono di gotico in
barocco allaltezza di ogni tetto: una citt per studiare, per sognare, ma
anche per lavorare sodo. Vertiginoso il Festival: scoppietta e si propaga
ogni giorno come lingue dun incendio attraverso questa citt incantata24.
Il discorso cambia per i servizi da Budapest due anni dopo, da dove Calvino
invia nove articoli25 nei quali sembra scemare il tono leggero in ragione di
una adesione ideologica maggiore, motivata dallinasprirsi della guerra
fredda nel mondo e particolarmente in Italia dopo le elezioni del 1948.
Calvino stesso mette in evidenza le differenze con la manifestazione di due
anni prima a Praga: Se si confronta questo Festival della Giovent di
Budapest con quello di Praga del 47, si vede subito che ci son passati di
mezzo due duri anni. A Praga era ancora la festa della pace raggiunta, []
pure a Budapest la pace stata al centro della manifestazione, ma una
pace minacciata, una pace che va difesa a tutti i costi26. Ma se queste
prime esperienze possono rappresentare per Calvino quasi una forma di
apprendistato27, dove maggiormente emerge la capacit di lettura dei paesi
dello scrittore nei due grandi reportage che realizza dallUnione Sovietica
e dallAmerica28.

24
Dai balletti di protesta alla strana danza di Lella, lUnit, 20 agosto 1947.
25
Tutti gli articoli furono pubblicati su lUnit di Torino da agosto a settembre 1949,
tranne 3 teste di giovani su un grande mappamondo, pubblicato sulledizione di Genova il 7 set-
tembre.
26
Giro del mondo alla Mostra di Budapest, lUnit 18 agosto 1949.
27
In una intervista a Felice Froio, Calvino parla del dover fare il colore quando si anda-
va ad un congresso o una manifestazione come di uno degli aspetti negativi dellapprendi-
stato di giornalista. Nella stessa intervista ricorda anche che gli episodi che pi lo colpirono
come cronista furono: loccupazione della FIAT nel luglio del 1948, la repressione sindaca-
le e gli scioperi nelle risaie del vercellese. Cfr. F. Froio, Dietro il successo, Sugarco, Milano
1984.
28
Va detto per completezza che questi non furono gli unici reportage realizzati da Calvino.
Oltre quelli cui si accenner oltre contenuti in Collezione di sabbia, Calvino invi una serie di
corrispondenze per i Giochi Olimpici da Helsinki pubblicate poi sulle quattro edizioni de
lUnit.
Reportage su Calvino 465

Gli articoli29 che Calvino scrisse dallUnione Sovietica30 vennero pubbli-


cati con evidenti varianti tra il febbraio e il marzo del 1952 sulle quattro reda-
zioni de lUnit: Roma (ed. nazionale), Genova, Milano e Torino. Solo il
pezzo Una giornata nel Caucaso usc su Rinascita (IX, 3) nel marzo del
1952.
Il 12 gennaio1952, nella lettera che indirizza a Michele Rago31, Calvino
racconta dei benefici che ha tratto dal viaggio in Unione Sovietica, dove,
ricordiamo, si rec nellottobre del 1951: Ti dir che anche dellUrss che
unesperienza che mha fatto molto bene, perch ti trovi davanti a un senso
di spontaneit, di naturalit nuova, distantissima da questa nostra conti-
nua necessit di tensioni volontaristiche a caldo e a freddo. Gi dal treno che
lo sta portando a Mosca32, Calvino sente la spontaneit dellaccoglienza pro-
pria del popolo sovietico, sottolineando come il primo benvenuto labbia
ricevuto alla stazione di Lvov (lantica Leopoli) da un centinaio di ragazze che
erano l ad aspettare e che hanno riempito poi il treno con numerosi mazzi
di fiori. Poco prima lo scrittore si era fermato ad osservare la folla in seconda
classe, suo primo tuffo nellumanit sovietica dove lui ritrova la Russia letta
e conosciuta sui libri, quel caldo senso dumanit scoperto leggendo Tolstoj
e Dostojeskij. Ma accanto alla Russia storica, Calvino vede anche la nuova
Russia, quella dellazienda, quel popolo che una volta non cera e che adesso
necessario capire in cosa sia differente. Inoltre la donna emancipata a col-
pire Calvino: La donna che dirige il vagone ristorante un bel tipo di russa.
Alta, castana, con una faccia bella e fiera, un corpo in cui il petto grande e i
fianchi stretti accentuano laria risoluta [] Ho idea che qui siano le donne
a comandare tutto. Nel nostro vagone, la ferroviera, quella donnetta nera,
che comanda; il ferroviere ha solo mansioni subalterne33. Anche le guide, i

29
Per lanalisi di questi articoli ci si basati sulla ripubblicazione in I. Calvino, Saggi, cit.,
vol. II, pp. 2405-2496. Si rimanda anche allapparto finale del volume Note e notizie sui testi
(vol. II, pp. 3019-3025) per tutte le informazioni relative alla storia e alla pubblicazione di
questi articoli.
30
Non fu un caso isolato nel dopoguerra il viaggio di Calvino in Unione Sovietica: nume-
rosi furono infatti gli intellettuali e gli scrittori italiani di sinistra inviati per resoconti di viag-
gio in URSS. Unico precedente prebellico fu Corrado Alvaro (critico tra laltro nei confronti
dellUnione Sovietica). Cfr. sul tema L. Di Nucci, I pellegrinaggi politici degli intellettuali ita-
liani, in appendice a P. Hollander, Pellegrinaggi politici. Intellettuali occidentali in Unione
Sovietica, Cina e Cuba, Il Mulino, Bologna 1988, pp. 621 sgg. Numerosi furono sulle pagine
de lUnit gli interventi di intellettuali e dirigenti del PCI che precedettero Calvino nel visi-
tare lUnione Sovietica: Giorgio Soria con uninchiesta sulla vita sovietica di tutti i giorni
(1948), i reportage di Libero Bigiaretti (1949) e Renata Vigan (1950), il Taccuino di viaggio
in URSS di Egisto Cappellini (1950), Giancarlo Pajetta con Diecimila chilometri attraverso
lURSS (1950), Velio Spano con Impressioni di viaggio nellUnione Sovietica (1951), Mario
Alicata, Dalla capitale sovietica allAsia centrale (1951).
31
Oggi in I.Calvino, I libri degli altri, Einaudi, Torino 1991, p. 61.
32
Cfr. Id., Le ragazze di Lvov, in Id., Saggi, cit., vol. II, pp. 2409-2414.
33
Ivi, p. 2412.
466 Carlo Serafini

ciceroni, che accompagnano i turisti in giro per Mosca sono quasi sempre
donne. Calvino nella capitale sovietica pi attratto dai grattacieli che non
dalla Piazza Rossa. Ma la guida pronta a correggere, non si dice grattacie-
li in russo, ma case a molti piani, e Calvino non pu non notare il para-
dosso americano a contrasto con lassennata tranquillit dei sovietici34.
Proseguendo per le strade della capitale lattenzione di Calvino si rivolge ai
cartelloni del cinema che reclamizzano in sala In nome della legge di Germi.
Ad ogni angolo troneggia il volto di Girotti col cappello calato sugli occhi, e
poi ancora le tante luci dei grandi magazzini, i cappotti dei ragazzi, i tanti
stranieri per la citt. Gli aspetti minimi tornano anche nei successivi articoli:
in Dalla collina dei passeri 35, ribattezzata monti Lenin Calvino osserva le
casette di legno a un piano accanto ai grandi quartieri di palazzi nuovi, la
grande scacchiera di vecchio e nuovo, di alto e basso, di costruzione e
demolizione, per evidenziare comunque una Russia attaccata e amante delle
proprie tradizioni, un paese conservatore in senso positivo, che se guarda
avanti non insensatamente distruggitore. In Una serata moscovita 36,
Calvino si perde nellosservazione dei giovani tra il pubblico del Bolscii,
ragazzi e ragazze dallaria per nulla bigotta, noiosa o provinciale: sono tipi
svegli e attentissimi, sguardi trepidi e pur semplici; unaria da studentesse
daltri tempi; unaria insieme intellettuale e campagnola; e, naturalmente,
unaria russa. In Bambine e conigli 37 la descrizione dello scrittore si sposta
sulla natura38; dopo una giornata tra fiori, bambini, serre di pomodori e infi-
ne trebbiatura del grano vista al cinema, cos conclude larticolo: Qui la-

34
Ivi, p. 2415.
35
Ivi, pp. 2417-2420.
36
Ivi, pp. 2420-2423.
37
Ivi, pp. 2423-2428.
38
A tal proposito interessante notare quanto sostiene Di Nucci: A stimolare la sua fan-
tasia erano quella spontaneit agricola, quella semplicit rurale, quel forte legame che i russi
avevano con la terra [] Alla base di questo atteggiamento, che psicologico prima che cul-
turale, ci sono due spiegazioni: 1) una generale, e quasi istintiva predisposizione degli intellet-
tuali occidentali a preferire, alla realt della vita complessa nelle societ urbano industriali []
situazioni sociali semplificate e tranquille il pi possibile. Allinterno delle quali, cio, non []
viene mai messa in discussione lappartenenza degli intellettuali alllite. 2) Lesistenza di una
vera e propria tradizione culturale, tra gli intellettuali italiani, che li porta a sentirsi a loro agio
in quei posti che sembrano essere organizzati su una filosofia minimalista della vita, con una
morale della povert, e unetica del pane. Cfr. L. Di Nucci, cit., pp. 636-637. Sulla questio-
ne torna anche Domenico Scarpa: Calvino affronta questa trasferta come un rito diniziazio-
ne laica in cui egli, giovane intellettuale problematico, brucia sullaltare del socialismo le sco-
rie della propria perplessit, vestito del saio di ci che Vittorini sul Politecnico aveva defini-
to vergogna di essere borghesi [] LUrss diventa forse il luogo in cui Calvino ripara alla
scissione tra lio borghese (la famiglia benestante di scienziati progressisti antifascisti liberi pen-
satori) e il mondo (la Liguria magra e ossuta del suo primo articolo, proprio su Il
Politecnico)? Cfr. D. Scarpa, Come Calvino viaggi in Urss senza vedere Stalin, Linea dom-
bra, VIII, n. 52, settembre 1990, pp. 20-22.
Reportage su Calvino 467

more per la natura non un mito esaltato e confuso (n un mito devasione,


n un mito di religione paganeggiante, n un mito astrattamente scientifico),
un amore nitido, minuto, quasi da pari a pari, e pur goduto in tutta la sua
multi forme pienezza. La natura sapre come il campo dogni azione umana,
come lintegrazione delluomo, il suo specchio ideale. E limmagine della
natura non ci raggiunge attraverso le trasfigurazioni stilistiche a noi consue-
te, ma per una via che forse ha pi dellentusiasmo scientifico (nel cinema,
nel nuovo folklore dei pionieri), attraverso (nei doni) la laboriosa soddisfa-
zione artigiana. Anche nei successivi articoli il tono sembra cambiare di
poco, ammirazione e curiosit. Solo lasciando Mosca per il Caucaso torna ad
emergere il fattore del progresso civile e industriale che ha portato alla rivo-
luzione, un progresso ben integrato con le radici rurali della civilt russa. Qui
Calvino incontra il tenore Bul-Bul, cio Rosignolo dellAzerbaigian che pu
dire Qui non cera nulla; era un paese arretrato, incolto. Ora abbiamo tutto,
industrie, scuole, universit, teatri, conservatori, accademie39. Ne La repub-
blica del petrolio 40 abbondano le informazioni sullestrazione petrolifera, vera
ricchezza di Baku. Gli operai che vi lavorano studiano tutti per migliorare la
propria qualifica, tutti i tecnici sono ex operai. Ma la ricchezza portata dal
petrolio non solo economica: Le case della cultura (come le case dei pionie-
ri) sono una delle chiavi della vita sovietica; se si vuol capire questo fervore cul-
turale di massa del popolo sovietico, questo continuo elevarsi doperai e diri-
genti, questo fatto cos comune qui di passare dal lavoro manuale a quello intel-
lettuale, bisogna vedere queste case della cultura affollate ogni sera, capire come
queste nuove abitudini siano entrate nel costume sovietico [] La studentessa
Firuseh Hadjiva proviene dalla campagna. Da giovinetta ha portato la riandr,
il velo che ricopre il viso delle donne musulmane. Ora labbiamo incontrata
mentre faceva esperimenti nel laboratorio di fisica.
Ma forse in Una giornata nel Caucaso 41 che Calvino si lascia sfuggire
limmagine che si fatto del paese. La visita al colcos (le grandi aziende socia-
li) Ogionikize d loccasione per leggere lintera Russia. Nel colcos prima
non cera neppure una tubatura per lacqua: In questa regione ci dicono
prima della collettivizzazione una catena interminabile di vendette e faide
familiari dissanguava i paesi [] Ora il sangue delle faide sembra antico di
secoli; nel colcos vivono 240 famiglie ognuna nella sua casetta, e ogni anno
coi guadagni collettivi si costruiscono qualcosa: la scuola, il club, la centrale
idroelettrica [] Cos si pu osservare, nel microcosmo del colcos, il proces-
so che, in grande, si verifica in tutta lURSS: i cittadini vedono che il lavoro
collettivo migliora continuamente le loro condizioni di vita, e sappassiona-
no sempre di pi ad esso e alla vita socialista.

39
Cfr. I. Calvino, Il tenore Bul Bul, in Saggi, cit., vol. II, p. 2459.
40
Id, Saggi, vol. II, pp. 2460-2465.
41
Ivi, pp. 2465-2472.
468 Carlo Serafini

Tornato a Mosca Calvino crede di aver idealizzato tutto, lincontro con


il piccolo eroe coreano (protagonista dellomonimo articolo42, un ragazzo di
diciotto anni alto un metro e mezzo che ha abbattuto 11 aerei americani in
20 giorni) a riportarlo alla realt. Il viaggio prosegue con la visita a Leningra-
do dellincrociatore Aurora43, da cui partirono le cannonate contro il Palazzo
dInverno nel 1917 e lincontro con il vecchio marinaio che su quella nave ha
trascorso lintera vita; o visite ai quartieri operai44 ma giunto il tempo di
partire, e Calvino si chiede in aereo come germiner il seme della nostra
comune storia nelle terre che lattendono.
Il reportage di Calvino, come abbiamo potuto osservare, inizia da subito
allinsegna della non ufficialit, del colloquiale, degli episodi minimi, degli
accadimenti della realt quotidiana. Nota Ajello come il reportage russo di
Calvino sia fatto di concerti popolari, sale da ballo, partite di foot-ball,
musei di burattini, spettacoli di pupazzi, circhi equestri; e intorno un pub-
blico di piccola gente: bambini coi genitori, scolari, belle ragazze, coppie gio-
vani a spasso, colcosiani in giro per negozi. Anche liconografia del regime
assume, nelle corrispondenze di Calvino, unaria meno ufficiale del consue-
to45. Ma non bisogna farci ingannare dallapparente serenit delle descrizio-
ni di Calvino. Lo stesso scrittore, molti anni dopo, nel dicembre del 1979
nellarticolo Sono stato stalinista anchio? evidenzia cosa celasse il suo punto di
vista sullUnione Sovietica: Proiettavo sulla realt la semplificazione rudi-
mentale della mia concezione politica, per la quale lo scopo finale era di tro-
vare [] un equilibrio naturale al di l della storia, al di l della lotta di clas-
se, al di l dellideologia []. Per questo nel Diario di viaggio in URSS, che
pubblicai nel 52 sullUnit, annotavo quasi esclusivamente osservazioni
minime di vita quotidiana, aspetti rasserenanti, tranquillizzanti, atemporali,
apolitici. Questo modo non monumentale di presentare lURSS mi pareva il
meno conformista. Invece la mia vera colpa di stalinismo stata proprio que-
sto: per difendermi da una realt che non conoscevo, ma in qualche modo
presentivo e a cui non volevo dare un nome, collaboravo col mio linguaggio
non ufficiale che allipocrisia ufficiale presentava come sereno e sorridente ci
che era dramma tensione e strazio46. La vera inconsapevole propaganda
quindi quella di presentare i lati positivi della realt. Se pensiamo allimma-
gine che Calvino ci d dei colcos, non possiamo non riflettere leggendo quan-
to invece dice, a proposito, Spriano: Esaltavamo la mobilit del lavoro, igno-

42
Ivi, pp. 2472-2475.
43
Ivi, pp. 2475-2478.
44
Ivi, pp. 2489-2492.
45
Cfr. N. Ajello, Intellettuali e PCI, Laterza, Bari 1979, p. 303.
46
Sono stato stalinista anchio? venne pubblicato su la Repubblica del 16-17 dicembre
1979, contributo a un inserto dedicato a Stalin nel centenario della nascita. Oggi in I. Calvino,
Saggi, cit., vol. II, pp. 2835-2842.
Reportage su Calvino 469

ravamo che i contadini dovevano avere il passaporto per abbandonare il col-


cos [] Quando si visitava un colcos ben selezionato, e avvertito alluopo
pareva trionfarvi labbondanza, la gioia di vivere [] E quando intorno si
intravedevano povert, ristrettezze, erano gli occhi dellavvenire a consen-
tirci di trasfigurarle47. Ora Calvino si rende conto di tutto questo forse in
ritardo, ma ha lonest intellettuale di dirlo. In uno scritto del 1957 relativo
a Caduta di Berlino, film al quale Calvino ha assistito nel 1951 a Mosca, lo
scrittore, contrariamente ai compagni che avevano visto il film, afferma di
aver gradito quel film nel quale vedeva un esempio di stile popolare ricco
di invenzione poetica, in opposizione al grigiore del realismo socialista. /
Ripensandoci ora cosho da aggiungere a queste mie opinioni? Sul film la
penso ancora come prima (per quel che posso dire basandomi sui ricordi),
per con la piccola differenza che lo credo un film fondamentalmente rea-
zionario, e reazionario credo il suo linguaggio, in quanto ispirato ad un
mondo intellettualistico, paternalistico e folkloristico di considerare il gusto
popolare. stato proprio questo tipo di stilizzazione, forse, il vero corri-
spondente stilistico dello stalinismo, la vera rivoluzione della letteratura e
dellarte progressista non solo in Urss ma in tutta Europa: una rappresenta-
zione volutamente ingenua, come se tutto fosse visto attraverso gli occhi di
anime semplici, pastorali, che vedono truculento il male e idillico il bene48.
La Russia che incontra Calvino la Russia rurale dei grandi romanzi tol-
stoiani e la Russia del rinnovamento, della modernizzazione, contempora-
neamente la Russia delloppressione stalinista e che si appresta ad affronta-
re il dramma della guerra fredda. Quando Calvino si reca in Russia era anco-
ra allineato con il Partito comunista ed quindi lecito per lui credere nel mito
della Russia, notare quindi, ad esempio, lemancipazione delle donne, lassi-
stenza e la socializzazione. Calvino si render conto dopo di aver ben capito
lo spirito del popolo russo e non forse la Russia, e di aver letto a posteriori,
come abbiamo visto nelle testimonianze riportate, come nellanima del popo-
lo emergesse lo spettro dello stalinismo. E quando vede tutto questo saltare
per aria nei fatti ungheresi del 1956, la sua decisione, in seguito alla delusio-
ne del sentirsi tradito, irrevocabile.

Italo Calvino si rec in America nei primi di novembre del 1959 grazie ad
una borsa di studio della Ford Foundation e vi rimase per sei mesi viaggian-
do moltissimo. Nellestate del 1960 sulle pagine dellEuropeo, parlando
con Carlo Bo, racconta di come quel viaggio abbia lasciato un segno impor-
tante nella sua personalit e nel modo di vivere il viaggio:

47
Cfr. P. Spriano, cit., pp. 167-171.
48
Cfr. I. Calvino, Sciolti dal giuramento, in Cinema nuovo, VI, 120-121, 15 dicembre
1957, pp. 333-334; oggi in Id., Saggi, cit., vol. II, pp. 1912-1914.
470 Carlo Serafini

Partendo per gli Stati Uniti, e anche durante il viaggio, spergiuravo che non avrei
scritto un libro sullAmerica (ce n gi tanti!). Invece ora ho cambiato idea. I libri
di viaggio sono un modo utile, modesto eppure completo di fare letteratura.
Sono libri che servono praticamente, anche se, o proprio perch, i paesi cambia-
no di anno in anno e fissandoli come li si visti se ne registra la mutevole essen-
za; e si pu in essi esprimere qualcosa che va al di l della descrizione [], un
processo di conoscenza. [] fino a ieri credevo invece che sulla sostanza del mio
lavoro il viaggiatore potesse avere uninfluenza solo indiretta. Qui centra laver
avuto per maestro Pavese, gran nemico del viaggiare. La poesia nasce da un germe
che ci si porta dietro per anni, magari per sempre, diceva lui, pressa poco; cosa
pu contare su questa maturazione tanto lenta e segreta lessere stato qualche
giorno o qualche settimana qui o di l? [] Comunque, a me viaggiare sempre
piaciuto, al di fuori della letteratura. E a questo modo ho compiuto pure il mio
recente viaggio americano; perch mi interessavano gli Stati Uniti, come sono
fatti realmente, non, che so io, per un pellegrinaggio letterario o perch volessi
trarne ispirazione. / Per negli Stati Uniti sono stato preso da un desiderio di
conoscenza e di possesso totale di una realt multiforme e complessa e altra da
me, come non mi era mai capitato. successo qualcosa di simile ad un inna-
moramento. [] mi butto avido e geloso su ogni cosa che sento o leggo di quel
paese che pretendo dessere solo io a capire. Visto che qui sono stato preso dalla
musica delle cose [] bene che mi affretti a cercar di portarla sulla pagina49.

Calvino scriver quel libro, ma il libro non arriver mai alle stampe per
volont dello stesso autore 50. Del libro vedr la luce solo Diario americano

49
Cfr. lEuropeo, 28 agosto 1960.
50
Sulla questione del rifiuto da parte di Calvino del libro sullAmerica gi in bozza si
discusso molto. Cesare Cases in un necrologio subito dopo la morte dello scrittore, scrive:
Quando temeva di non poter uscire dal dilettantismo, non esitava a far marcia indietro. Verso
il 1960, dopo un viaggio negli Stati Uniti seguito a un altro in unione Sovietica caso allora
assai raro, non essendo ancora cominciata la grande ridda degli scrittori giramondo scrive un
libro sullesperienza americana in cui tra laltro metteva a confronto le due civilt, insistendo
(mi disse qualcuno che lo aveva letto e apprezzato) sullimportanza della geografia e rispetti-
vamente della storia nella loro formazione. O che questa chiave gli sembrasse troppo frivola,
o che qualche specialista gli avesse sconsigliato la pubblicazione, fatto sta che il libro di cui
mi pare che fosse gi apparsa qualche anticipazione in una rivista fu ritirato quando era gi
in bozze, e linesorabile Calvino fece distruggere i flani perch nessuno potesse ristamparlo.
Quella volta ci mise davvero una pietra sopra (Cfr. C. Cases, Ricordo di Calvino (1985), in
Patrie lettere, Einaudi, Torino 1987, pp. 172-175). Luca Baranelli pubblica in un suo articolo
una lettera di Renato Panzieri, dal 1959 consulente della Einaudi, a Daniele Ponchiroli sul
volume di Calvino che si sarebbe dovuto intitolare Un ottimista in America: Ho letto in bozze
il libro di Calvino sullAmerica e mi piaciuto moltissimo. Mi pare che se riesce a togliere
qualche residuo vezzo letterario e soprattutto il gusto discutibile di far capolino ogni tanto
come personaggio letterario risulta uno dei migliori, pi intelligenti libri di viaggio che ho
letto [] Ho sentito che non lo si farebbe pi. Non capisco perch: questo libro rappresente-
rebbe un Calvino molto pi interessante dei suoi stanchi cavalieri e sono sicuro che sarebbe
per lui un punto di partenza importante a mezzo del cammin [...] (Cfr. L. Baranelli, Raniero
Reportage su Calvino 471

1960 che Calvino stesso ammise essere lultima parte del libro non pubblica-
to51. Per il resto le corrispondenze dallAmerica52 vanno a costituire cinque re-
portage: Cartoline dallAmerica 53, I classici al Motel 54, Quaderno americano 55,
Diario dellultimo venuto 56 e il gi citato Diario americano 1960 57.
Troppo lungo sarebbe ripercorrere in questa sede i tanti temi affrontati e
raccontati da Calvino nelle Cartoline dallAmerica, dalla passione per New
York alla difficolt nel corteggiamento delle ragazze americane, dalla curiosit
delle fiere del bestiame in Texas agli spogliarelli, dalle bevute nei locali delle
citt della Louisiana al positivo giudizio su Las Vegas. Il reportage ha comun-
que carattere leggero e disimpegnato, salvo larticolo Alberghi dei vecchi 58,
forte e toccante, unica nota giustamente malinconica. Offrendo largo spazio
agli aspetti esteriori della societ americana, senza mai scadere nella banalit
turistica, Calvino imposta tutto il suo reportage di conoscenza dellAmerica
sulle relazioni umane: attraverso gli incontri, attraverso il paesaggio
umano, lo stile di vita, che si viene delineando la caratteristica prima del-
lapproccio di Calvino al nuovo mondo, approccio finalizzato a disegnare una
mappa sociologica degli Stati Uniti. Ma su due temi occorre spendere qual-
che parola in pi.
Il primo tema il razzismo. Calvino rimane molto scosso dal razzismo che
trova in America, e dedica al tema ben otto articoli. Assiste in prima persona
agli scontri sociali che avvengono a Montgomery, capitale dellAlabama, nel

Panieri e la casa editrice Einaudi. Lettere e documenti 1959-63, in Linea dombra n. 12,
novembre 1985). Lo stesso Calvino in una lettera del 1 febbraio 1985 riportata nel gi cita-
to articolo, cos scrive: Caro Luca [Baranelli], la lettera di Raniero del 1961, e quasi sicura-
mente del mese di marzo, dopo la mia decisione di non pubblicare un mio libro gi in bozze
[...] Avevo deciso di non pubblicare il libro perch rileggendolo in bozze lavevo sentito trop-
po modesto come opera letteraria e non abbastanza originale come reportage giornalistico. Ho
fatto bene? Mah! Pubblicato allora, il libro sarebbe stato comunque un documento dellepo-
ca, e di una fase del mio itinerario, come Raniero aveva visto. / Con me, pur nellabituale sar-
casmo polemico della conversazione, Raniero si guardava bene dal farmi prediche ideologiche
[...]; mi incitava invece a esprimere me stesso fino in fondo, a rappresentare il mondo come lo
vedevo. Ancora lo stesso Calvino in una lettera del 26 aprile 1961 ad Armanda Guiducci
(oggi in I. Calvino, I libri degli altri, cit., p. 365), lascia trapelare la propria insicurezza: Il mio
libro di viaggio americano invece dopo averci lavorato per mesi e mesi e averlo portato a ter-
mine di tutto punto lho distrutto. Pi vado avanti con gli anni, meno sono sicuro delle
cose.
51
Lo afferma Calvino nella lettera a Luca Baranelli del 1 febbraio 1985. Vedi nota pre-
cedente.
52
Oggi sono tutte ripubblicate in I. Calvino, Saggi, vol. II, pp. 2497-2679.
53
Pubblicato su ABC, giugno-settembre 1960.
54
Pubblicato su LIllustrazione italiana, 88, 1 gennaio 1961, pp. 46-51 e 95-96.
55
Pubblicato su LEuropa letteraria, II, 8 aprile 1961, pp. 59-68.
56
Pubblicato su Tempo presente, Vi, 6 giugno 1961, pp. 411-418.
57
Pubblicato in Nuovi argomenti, n. 53-54, novembre 1961-febbraio 1962, pp. 164-188.
58
Cfr. I. Calvino, Saggi, cit., vol. II, pp. 2559-2561.
472 Carlo Serafini

marzo del 1960 e qui la capacit dello scrittore si sofferma con grande effi-
cacia sul clima di tensione che si respira nel profondo sud. I neri, raduna-
tisi per svolgere una manifestazione pacifista sulla scalinata del Campidoglio
della citt, vengono aggrediti nella Chiesa battista dai razzisti bianchi, e dalla
stessa polizia che interviene per farli sfollare dalla chiesa. E pur nella difficolt
di rimanere neutrale di fronte ad un simile spettacolo, Calvino riesce a coglie-
re lelemento essenziale della problematica: Allora comincia la parte pi
penosa da vedere. I negri sconfitti escono a gruppetti dalla chiesa, scendono
per i marciapiedi. [] A ogni insulto o spiritosaggine lanciata da un bianco,
gli altri bianchi, uomini e donne, scoppiano a ridere, talora con uninsisten-
za quasi isterica, ma talora anche cos, bonariamente. E questi sono per me i
pi terribili, questassoluto razzismo nella bonariet. Psicologicamente, non
difficile capire il fanatismo del poor white che non riuscendo a sollevarsi
dalla cronica miseria del Sud concepisce come unico orgoglio quello davere
la pelle bianca, dappartenere alla razza dei dominatori, ed tanto pi furio-
so quanto pi vede i negri cercare di raggiungere un livello sociale pi alto (e
qui erano di fronte, appunto, a negri studenti). Ma gli altri, quelli che non
sono fanatici, ma solo dileggiatori quasi indifferenti? Ogni tanto mi par di
vedere tra i bianchi un volto che non n feroce n allegro: forse penso
uno venuto qui come me solo per rendersi conto, per sapere. Ma ecco che
un mascalzone bianco lancia una battuta oscena, infligge unumiliazione a un
negro: e la faccia dello sconosciuto sillumina, una risata sale, turpe, alle sue
labbra. / Ora mi vergogno dessere bianco. Ma devo restare fino in fondo59.
Ne Il movimento negro approfondisce la conoscenza della mobilitazione dei
neri guidati da Martin Luther King, inserendola in una prospettiva storico-
sociale: Il movimento dei negri non ha alcuna particolare idea politica o
sociale, tranne luguaglianza dei diritti. Mi domando se c il pericolo che
anche i negri del Sud una volta conquistata la uguaglianza (ma questo gior-
no ancora ben lontano) diventeranno conservatori ad oltranza, come suc-
cede regolarmente in America alle minoranze ex povere (irlandesi, italiani),
appena dispongono di qualche leva di potere [] Una delle pi sostanziali
spinte democratiche dellAmerica, lascesa di nuovi gruppi sociali, non rap-
presenta quasi mai, sul terreno dei poteri rappresentativi, un accrescimento
di democrazia60. Calvino assiste con grande attenzione (unico bianco pre-
sente) ad unassemblea dove parlano King e il suo ministro a Montgomery,
Abernathy: Leit-motiv dogni discorso, insieme al Vangelo, il richiamo alla
Dichiarazione dei Diritti, la fiducia in una democraticit di fondo della
nazione americana, al di l delle pi clamorose smentite. Asserragliati in que-
sto lembo di terra riottosa e nemica, questi giovani sono quelli per cui anco-

59
Cfr. Id., Incontro col sud, in Saggi, cit., vol. II, pp. 2515-2516.
60
Id., Saggi, cit., vol. II, pp. 2517-2518.
Reportage su Calvino 473

ra la democrazia degli Stati Uniti una realt vivente. Vivente, come sempre
vive ci che ancora si sta conquistando61.
Calvino sente entrambe la campane, secondo il miglior stile giornalistico:
Naturalmente, sono venuto qui con presentazioni non solo per il movimen-
to antisegregazionista, ma anche per lalta societ ultrarazzista e ultrareazio-
naria, e, spinto dal piacere di complicare le cose alterno appuntamenti nel-
luno e nellaltro campo. Questo vuol dire dividere le mie giornate con spo-
stamenti acrobatici, per nascondere a questa parte dei miei ospiti persone
per altro gentilissime le mie dmarches pi compromettenti. [...]. La Do-
menica pomeriggio, dopo aver assistito alle scene che vi ho raccontate della
folla che dileggiava i negri in Dexter Avenue, ho appuntamento con una
signora duna delle pi ricche e famose famiglie della citt. Per la prima volta
mi pare che la mia elasticit datteggiamenti prima dote del viaggiatore che
vuole inglobare in breve tempo il massimo di conoscenze possibili non mi
soccorrer pi. Dei fatti del pomeriggio, io non parlo; n la signora vi fa
accenno. [] Davanti alla chiesa battista, finalmente, la signora rompe il
silenzio: Lei non sa, questoggi, giornata brutta questi negri.., ma pensi
un po, i poverini!... si sono messi in testa... ah, ah... di avere uguali diritti!
[] Che devo dire? Taccio62.
Il secondo tema di notevole interesse nelle corrispondenze di Calvino il
rapporto America Unione Sovietica, che lo scrittore affronta nellultima
cartolina americana Le icone di New York e i grattacieli di Mosca 63. LAmerica,
secondo Calvino, paga la guerra fredda in termini di conoscenza e compren-
sione di ci che accade nel mondo. Lo stesso grande antagonista rimane
oggetto di una conoscenza esterna, marginale: La forma mentis americana
non portata a ragionare in termini storici n a identificare momenti-chiave
della storia dellumanit in paesi o regioni o uomini. Quello che la rivoluzio-
ne sovietica pu rappresentare come apertura di prospettive storiche agli
occhi di milioni di uomini, si pu dire che sia incomprensibile agli america-
ni64. Eppure Calvino ragiona in termini di avvicinamento, ci che conta per
lui capire cosa possono imparare i due paesi uno dallaltro. Raggiungere il
livello di vita americano indubbiamente lobiettivo dei sovietici: sempre
esistito ed esiste, per i russi come per noi e certo per molti altri popoli, unu-
topia americana, o meglio unAmerica di utopia che funziona come mito atti-
vo dun livello di vita da raggiungere. Ma lideologia americana non sa pro-
porre agli altri popoli vie per raggiungere quel livello. LAmerica propone solo
se stessa, una via di soluzione geografica anzich una via di soluzione storica,
aprendosi alle masse di emigranti dei paesi poveri. [...] La forza dellUnione

61
Ivi, p. 2521.
62
Ivi, pp. 2521-2523.
63
Ivi, pp. 2600-2606.
64
Ivi, p. 2601.
474 Carlo Serafini

Sovietica dindicare ai popoli poveri la via di soluzione storica dei loro pro-
blemi []65. Se Calvino fiducioso su un avvicinamento sul piano della
struttura civile ed economica, pi difficile sar colmare il divario circa la
forma mentis nei due paesi: Gli Stati Uniti sono sempre stati e restano un
paese duna praticit brutale fino al cinismo; ma questa loro sincerit di
fondo una ricchezza morale inestimabile, che tutte le nostre ipocrisie euro-
pee non valgono a controbilanciare. [] LUnione Sovietica una civilt
nata dal bisogno e dalla violenza []; sente quindi in maniera acuta la neces-
sit di porre in primo piano gli elementi ideali, l educazione dei sentimenti
[]66. Calvino sa perfettamente di muoversi con due paesi molto differen-
ti: La sgradevole sensazione di muoversi in un mondo di zucchero candito
emana da molte manifestazioni della vita sovietica []; ma si sente che, al di
l dogni ingenuit finta o vera, al di l della patina di provincia cechoviana,
esiste nelle persone una tensione morale, una giovinezza ideale, uno slancio
extraindividuale che non ha riscontro in occidente. in questo terreno che
una compenetrazione tra i due atteggiamenti quello americano di spregiu-
dicata sincerit e quello russo ancora capace di passioni disinteressate sareb-
be pi necessaria, ma il punto dincontro pi difficile da trovare67. Tuttavia
lo scrittore ottimista: Solo quando si potr concepire unazione combina-
ta U.S.A.-U.R.S.S. per un razionale sviluppo dei paesi pi arretrati, si potr
intravedere per il mondo un futuro non catastrofico. / Lasciatemi chiudere
queste mie note damore per la realt del mondo e dellAmerica in particola-
re, con questo sconfinamento nellUtopia68. Alle stesse conclusioni Calvino
arriver al termine della gi citata intervista con Carlo Bo: Forse non ho
molto il senso dellattualit, ma io mi considero un cittadino ideale dun
mondo basato sullintesa tra America e Russia. Naturalmente questo vuol
dire auspicare che molte cose cambino da una parte e dallaltra, vuol dire con-
tare negli uomini nuovi da una parte e dallaltra che certo stanno venendo su.
E la Cina? Se America e Russia potranno risolvere insieme i problemi del
mondo sottosviluppato, saranno evitate le vie pi dolorose. Dolore ce n gi
stato tanto. E lItalia? e lEuropa? Mah, se sapranno pensare in termini non
paesani ma mondiali ( il minimo che si pu chiedere, nellera interplaneta-
ria) potremo essere non passive pedine del futuro ma i suoi veri inventori69.
E occorre citare anche un altro colloquio di Calvino con Spriano, riportato
in un articolo su lUnit, colloquio avuto con lo scrittore allindomani del
suo ritorno, ove si riferisce della stessa previsione di una prossima collabora-
zione russo-americana e di un ruolo attivo che potrebbero svolgere lItalia e

65
Ivi, pp. 2602-2603.
66
Ivi, pp. 2604-2605.
67
Ivi, p. 2605.
68
Ivi, p. 2606.
69
Cfr. lEuropeo, 28 agosto 1960.
Reportage su Calvino 475

lEuropa: Bisogna avere fiducia in questa spinta che parte dalle cose. C una
spinta che viene dalla stessa societ americana, dal suo calderone di popoli
che si sforzano di raggiungere un maggiore benessere, da una democraticit
di fondo che si pu sentire anche nella filosofia del consumo [...], dalla
forza contrattuale dei sindacati, dalla struttura e vastit degli istituti deduca-
zione, e anche da quella sua cultura di massa che ingiustamente un certo
antiamericanismo che corre nellEuropa letteraria aristocratica fa il bersaglio
delle critiche pi aspre70. Occorre certamente fare la tara con la passione
ancora calda di Calvino di ritorno dal viaggio, ma resta di certo una buona
dose di ottimismo sul futuro.
Il rapporto Stati Uniti verso Unione Sovietica torna ancora in alcuni degli
scritti raccolti in I classici al Motel, reportage che rimane anchesso su un tono
divulgativo pur se lo scrittore si concentra sugli aspetti sociali, sui costumi,
magari pi inediti della societ americana, in un tono che va per verso una
pi cauta accettazione. Se lo scrittore nota durante le prove di una comme-
dia sul tema razziale una insopportabile inclinazione paternalistica, che mette
a confronto invece con la concezione pedagogico-sentimentale, un po da tea-
trino di oratorio, vista in Russia, alle stazioni di rifornimento della auto-
strade che si sorprende nel trovare in vendita i classici della letteratura: In
fondo le cose da vedere da qui a un po nel mondo sono due. Quel che sal-
ter fuori dallUnione Sovietica, da questo paese senza distrazioni, dove la
gente [] legge e rilegge i classici anche in tram. E quel che salter fuori dagli
Stati Uniti, questo paese tutto distrazioni, dove [] le macchine tipografiche
pur di non star ferme sono capaci anche di stampare opere di cultura, e i let-
tori, pur di avere qualcosa sotto gli occhi come chewing-gum sotto i denti,
sono capaci anche di leggerle71.
Gli scritti di Quaderno americano risentono invece dellelevato impegno
culturale, soprattutto in ambito europeo, della rivista LEuropa letteraria: il
reportage di Calvino evidenzia quindi un livello culturale e un impegno criti-
co indubbiamente maggiore. Torna qui Calvino su di un tema che aveva gi
affrontato nelle Cartoline, la polemica cio intorno alla cultura di massa.
Conferma la posizione precedentemente presa: non farsi irretire nella pole-
mica: Se si comincia a dire che lumanit votata allidiozia per via della
televisione, della pubblicit, degli elettrodomestici, si finir per concludere
che lumanit era pi vicina alla saggezza e alla grazia quando al posto della
televisione cera il parroco del villaggio, al posto della pubblicit la supersti-
zione, al posto degli elettrodomestici il vaso da notte72. Per Calvino occorre
capire le potenzialit della cultura di massa, cosa si pu trarre da essa. E il

70
Cfr. P. Spriano, Calvino punta sullavvenire, lUnit, 21 ottobre 1960.
71
Cfr. I. Calvino, Saggi, cit., vol. II, pp. 2625-2626.
72
Ivi, p. 2616.
476 Carlo Serafini

tema torna anche nel Diario dellultimo venuto, che pubblicato su Tempo
presente sente anchesso del taglio saggistico; prevale infatti un tono di rifles-
sione pi approfondito e gli episodi di cronaca sono spunti per considerazio-
ni di carattere generale. Chiude la serie il Diario americano 1960, il pi
approfondito dellautore, vera e propria raccolta di mini-saggi dove predo-
mina lottica storico-geografica sullapproccio sociologico. Interessante nota-
re come alcuni articoli di questa raccolta siano scritti sulla base dei primi
reportage, con interventi di riscrittura che evidenziano una nota di scetticismo
verso la societ americana; Calvino va verso una neutrale equidistanza di giu-
dizio che geografica oltre che morale, ossia il punto di osservazione torna
ad essere lEuropa, come viene chiarito nellultimo articolo, intitolato appun-
to Europa.

Ecco che ritrovo lEuropa, con il lungo filo ininterrotto della sua logica, lEuropa
con il suo tradurre instancabile in concetti il mondo delle cose, col suo sporger-
si avanti nella storia, lEuropa con la sua insoddisfazione o i suoi entusiasmi, cos
diversi dallinsoddisfazione e gli entusiasmi dellAmerica. Maccorgo che per mesi
ogni mio ragionamento ha dovuto articolarsi in altri termini, in un altro sistema
di ideogrammi e geroglifici, per cercare di spiegare una realt diversa e una diver-
sa logica. Ora riprende a scorrere accanto a me un discorso dove tutto certo, e
complicato, e improbabile. E l, lontanissima, lAmerica, lAmerica piena di cose
senza parole, di banalit difficili da dire, lAmerica che non sa pensare al futuro
eppure ha in s tanta parte del futuro di tutti, lAmerica73.

Solo alcune brevi considerazioni finali sul secondo Calvino giornalista e


saggista. Tutto il periodo precedente il 1955 stato escluso, come detto, dagli
scritti raccolti in Una pietra sopra. Tuttavia era nella mente dello scrittore il
progetto di porre mano ad unaltra raccolta che questi scritti includesse: in
una lettera a Franco De Felice del 21 febbraio 1979, Calvino dice infatti
Uno dei lavori che ho in mente di fare nei prossimi anni raccogliere in
volume le mie collaborazioni e interventi di quegli anni. Questo per dirti
come mi sta a cuore quellepoca storica (e biografica)74.
Per quanto riguarda limpegno e latteggiamento politico di Calvino non
solo nel giornalismo, ma anche in generale, successivo al 1957, Barenghi sot-
tolinea come questo risenta delluscita dal Partito comunista: Luscita dal
Partito segna una svolta nella vita di Calvino, seconda per importanza solo
allesperienza partigiana: da qual momento viene infatti meno, oltre allim-
pegno militante, unidea totalizzante della politica, vista insieme come minie-
ra inesauribile e come misura ultima di valori umani75. Lo scrittore parteci-

73
Ivi, p. 2679.
74
Si cita da M. Barenghi, Introduzione a I.Calvino, Saggi, cit., vol. I, pp. LXI-LXII.
75
Ivi, p. LXI.
Reportage su Calvino 477

pa in maniera molto meno entusiastica alla vita collettiva, tornando dopo


parecchi anni allattivit giornalistica, ad intervenire sui fatti con cadenza
regolare a spingerlo il senso del dovere civile, non la passione politica: lin-
tellettuale militante, animato da una fervida passione utopica, ha lasciato il
posto a un osservatore appartato e pensoso, disilluso, lucido, alieno da ogni
esibizionismo, che interviene quasi con riluttanza, senzalcun gusto per la
polemica o la provocazione76. Al primo giornalismo di Calvino, quindi, a
queste prime collaborazioni giornalistiche sulle quali ci si fermati possono
essere affiancate come pendant le collaborazioni 1974-85 al Corriere della
sera e alla Repubblica, per unanaloga assiduit e regolarit di interventi e
rispettiva omogeneit problematica, ma anche (di contro) per la costruzione,
attraverso di essi, di un discorso saggistico e narrativo gi quasi compiuto e
pronto per quelle che sarebbero state le ultime opere in volume da lui pub-
blicate, Collezione di sabbia e Palomar77.
Dalluscita dal Partito comunista (1957) allinizio della collaborazione al
Corriere della sera (1974), Calvino non ha collaborazioni continue con
quotidiani. Ma i suoi interventi critici, saggistici, anche se esclusivamente let-
terari, hanno sempre per destinatario, magari riflesso, la societ. Nel 1959
Vittorini fonda Il Menab; con la consueta energia porta avanti il preciso
intento di rinnovare la letteratura italiana di fronte agli sconvolgimenti pro-
vocati dal boom economico. Il tutto con un occhio vigile alla letteratura
internazionale. Calvino chiamato come condirettore e il suo contributo
verte in maniera particolare allintroduzione dellelemento critico quale
primo fattore di lettura della societ. Nei saggi che viene pubblicando78, lo
scrittore non propone chiavi risolutive o ideologie determinate da seguire,
per uscire dal labirinto occorre pi che altro una forma mentis che la lettera-
tura ancora in grado di dare. La letteratura deve essere aperta ai vari lin-
guaggi, alle varie interpretazioni, non deve offrire strade, ma formare atteg-
giamenti che aiutino a districarsi nella confusione che sta attanagliando il
mondo. Oggi cominciamo a richiedere dalla letteratura qualcosa di pi di
una conoscenza dellepoca o duna mimesi degli aspetti esterni degli oggetti
o di quelli interni dellanimo umano. Vogliamo dalla letteratura unimmagi-
ne cosmica [], cio al livello dei piani di conoscenza che lo sviluppo stori-
co ha messo in gioco79.
Dal 1974 in poi la collaborazione al Corriere della sera porta lo scritto-
re, impegnato quotidianamente, a limitare i saggi autodefinitori, le teorizza-
zioni e i programmi in ragione di articoli di fondo e interventi, elzeviri e note

76
Ivi, p. LXII.
77
Cfr. G. Ferretti, cit., p. 12.
78
Su Il Menab Calvino pubblica, tra le altre cose, tre saggi di fondamentale importan-
za: Il mare delloggettivit (2,1959), La sfida al labirinto (5, 1962), Lantitesi operaia (7, 1967).
79
Cfr. I. Calvino, La sfida al labirinto, Il Menab, 5, 1962.
478 Carlo Serafini

che spaziano dalla crisi italiana alla bomba N, dalle scadenze elettorali al ter-
rorismo, da Gadda a Montale, da Queneau a Carlo Levi. Fatta eccezione per
le avventure del signor Palomar, gli interventi sullattualit politica, sociale
e scientifica in prima pagina sono pi numerosi degli articoli e dei racconti
di terza. Sottolinea Spriano: Su tutto, dal terrorismo alla P2, dagli scandali
ai risultati elettorali, aveva sempre unidea sua, secca, paradossale, intrecciata
con i due motori fondamentali della sua coscienza civile: uninformazione
minuziosa, rigorosa, in cui andava a cercare i retroscena, li creava semmai a
incastro come se fossero un suo racconto, e un senso della storia acquisito con
la naturalezza dellepoca che lo aveva nutrito di passione80. Per quel che con-
cerne invece gli anni a la Repubblica sono stati per Calvino forse gli anni
della pi articolata produzione giornalistica: la collaborazione al quotidiano
di Scalfari inizia nel 1979 e durer fino alla morte dello scrittore. Ma il
Calvino giornalista anni Ottanta un autore disilluso, basti pensare allarti-
colo relativo alla questione morale (pubblicato su LEspresso81), nel quale
afferma che il popolo italiano ha saputo fino ad oggi fare a meno dello Stato,
sostituendolo con aggregazioni personali di tipo familiare, parrocchiale o
mafioso, o che in Italia nulla pu essere deciso se non in ragione di fitte reti
di interessi estranee ai cittadini. Il potere in Italia non serve a nulla se non a
fini disonesti, e linteresse particolare, anche del singolo cittadino nel suo pic-
colo, sar sempre vincente su quello generale del popolo. E nonostante la sua
riflessione nellarticolo sembri perentoria: La realt per inutile nascon-
dercela: non ci sono possibilit che le cose possano cambiare se non in peg-
gio82, Calvino invoca ancora come possibile salvezza un civilismo interio-
rizzato, forte solo della sua logica interna83. Anche dalla pagine della
Repubblica lautore dimostra un distacco nei confronti della politica; altro
articolo emblematico Apologo dellonest nel paese dei corrotti del 15 marzo
1980. Quello che mi preme sottolineare ora che le trasformazioni vere
della societ si preparano in altre sedi da quelle della politica: nella concezio-
ne del mondo, nel costume, nei rapporti diretti tra le persone, nella pratica
economica e tecnica, nella disponibilit di beni, nelle immagini e nelle paro-
le con cui si pensano le proprie vite. La politica, anche le cosiddette rivolu-
zioni, vengono dopo, a sancire, o a mistificare, quello che gi in atto. LItalia
negli ultimi dieci o quindici anni ha vissuto sia pur disordinatamente una
delle rivoluzioni pi profonde della sua storia. Da paese agricolo diventato
un paese metropolitano, da paese cattolico un paese laico. E questi cambia-
menti sono irreversibili perch riguardano la mentalit delle persone84.

80
Cfr. P. Spriano, Le mutazioni di Calvino, Corriere della sera, 24 febbraio 1987.
81
Cfr. I. Calvino, Ma abbiamo anche qualche virt, LEspresso, 21 dicembre 1980, p. 92,
oggi in Id., Saggi, cit., vol. II, pp. 2357-2359 con il titolo La questione morale.
82
Ivi, p. 2358.
83
Ibidem.
84
Cfr. intervista a Ludovica Ripa di Meana, sullEuropeo, 17 novembre 1980.
Reportage su Calvino 479

Come detto, inoltre, gli anni Ottanta vedono la pubblicazione dei volu-
mi nei quali Calvino seleziona e raccoglie parte della sua produzione saggi-
stico-giornalistica: nel 1980 esce Una pietra sopra, e poi segue Collezione di
sabbia (1984). E accanto a questi, su dinamica diversa, pu essere citato
anche Palomar (1983). Il primo volume, che porta per sottotitolo Discorsi
di letteratura e societ raccoglie, oltre a scritti gi apparsi su riviste e quoti-
diani, anche conferenze e relazioni lette in varie citt italiane e straniere,
risposte a questionari, ecc. Il secondo contiene articoli scritti in varie riprese85
con intenti non artistici per giornali e riviste: si spazia dalle mostre alle sta-
tue, dalle colonne ai libri, dalla morte di Roland Barthes, al Giappone,
allIran, al Messico. Filo conduttore potrebbe essere la lontananza dallagone
politico militante, losservazione delle cose nel loro vergine manifestarsi pi
che lermeneutica sulle cose stesse. La realt per Calvino si sfaldata, frantu-
mata fino ad essere una molteplicit incontrollabile che non lascia possibilit
di ordine n di stabilit. La pietra esplosa in milioni di componenti che
sono appunto sabbia, cos Calvino si interroga su cosa c scritto in quella
sabbia di parole scritte che ho messo in fila nella mia vita, quella sabbia che
adesso mi appare tanto lontana dalle spiagge e dai deserti del vivere. Forse fis-
sando la sabbia come sabbia, le parole come parole, potremmo avvicinarci a
capire come e in che misura il mondo triturato ed eroso possa ancora trovar-
vi fondamento e modello86. Va ancora ricordato che il primo volume racco-
glie scritti del decennio 1955-1965, mentre nel secondo confluiscono mate-
riali quasi esclusivamente degli anni Ottanta.
Sottolinea Barenghi la diversit dei due volumi: Allintellettuale attivo
sul duplice fronte della cultura letteraria e della storia politico-sociale suben-
tra una figura alquanto pi solitaria e defilata. Un letterato, senza dubbio, che
per di letteratura non parla quasi mai; un uomo di cultura, che tuttavia si
tiene alla larga dalle diatribe degli addetti ai lavori e anzi preferisce occupar-
si di argomenti sui quali non vanta alcuna competenza specialistica []
Deposta la presunzione di situarsi nel bel mezzo dellagone dove si sta
costruendo la societ futura, accantonate le prerogative di chi si muove allin-
terno del proprio campo, Calvino opta per una soluzione alternativa: sottrarsi
alla gabbia degli specialisti e delle funzioni predeterminate, e indossare i
panni del dilettante [] a Una pietra sopra sottost il modello narrativo del-
lautobiografia e sia pure unautobiografia intellettuale, non intimista, osti-

85
Il volume si divide in quattro parti. Gli scritti contenuti nelle prime tre sono stati tutti
pubblicati su la Repubblica tra il 1980 e il 1984, a eccezione di: Collezione di sabbia
(Corriere della sera, 25 giugno 1974), Comera nuovo il Nuovo Mondo (Rai-Tv, dicembre
1976), Lenciclopedia di un visionario (FMR, n. 1, marzo 1982). La parte quarta comprende
pagine sul Giappone e sul Messico del 1976 pubblicate sul Corriere della sera e pagine
sullIran, prima inedite, del 1975.
86
I. Calvino, Collezione di sabbia, in Id., Saggi, cit., vol. I, p. 416.
480 Carlo Serafini

le alla psicologia Collezione di sabbia tiene piuttosto [] del diario87. Si


deve recentemente ad Andrea Cortellessa un interessante studio sui due volu-
mi in relazione anche alla precedente produzione di Calvino:

[] Erosione e sbriciolamento sono i fenomeni che dalla pietra dnno luogo alla
sabbia []. I due libri, ideologicamente e formalmente cos agli antipodi, dialo-
gano in modo sottile e sistematico. Il pezzo iniziale ed eponimo di Collezione di
sabbia, che viene scritto del resto sei anni prima delluscita di Una pietra sopra,
enuncia il progetto di indagare la sostanza sabbiosa di tutte le cose sino a toc-
care la struttura silicea dellesistenza. []
Ed lorigine triturata ed erosa cio giornalistica dei pezzi raccolti in
Collezione di sabbia (cos come di quelli che dnno vita a Palomar) a segnare la
distanza dalla maniera di questo Calvino da quello dei saggi degli anni Cinquanta
e Sessanta, ossatura di Una pietra sopra. Anche se gi nel 1980, in un altro abboz-
zo di prefazione a questultimo libro, Calvino si mostra disilluso dalle residue
potenzialit politiche delle proprie collaborazioni giornalistiche. Parlando di s in
terza persona scrive: Gli anni Settanta ci hanno abituato a una visione della
societ come fallimento dogni progetto politico. [] A questa assuefazione
allambiente, la risposta duna letteratura che non sia mimetica, a rimorchio del-
lesistere, non si vede ancora quale potr essere. Tutto avviene per i giornali e sui
giornali: nasce in Italia un nuovo giornalismo degli scrittori e anche il nostro A.
vi partecipa (negli anni tra il 1975 e il 1978 anche in prima pagina, sul Corriere
della Sera) senza alcuna soddisfazione particolare perch il linguaggio della
volont di morte invade tutto e assorbe anche il linguaggio di ci che resta della
volont di ragione, ormai costretto a ripetere le recriminazioni e le prediche dopo
ogni fattaccio.
Ma da molto prima di questa sua pi visibile e istituzionale stagione giorna-
listica, in effetti, che Calvino spinto a una scrittura modulare, discreta
(Nel modo in cui la cultura doggi vede il mondo, si legge nel cruciale saggio
Cibernetica e fantasmi, esso viene visto sempre pi come discreto e non come con-
tinuo. Impiego il termine discreto nel senso che ha in matematica: quantit
discreta cio che si compone di parti separate). []
Dobbiamo a Francesca Serra la pi acuta lettura del sistema seriale che Calvino
adotta con regolarit a partire dagli anni Sessanta di Cosmicomiche, ma che gi nel
decennio precedente era stato sperimentato coi racconti della serie di Marcovaldo,
raccolti in volume nel 63. La relativa serie di uscite sullUnit e poi su altre
testate, a partire dal 52, anticipa la modalit con la quale verr data vita, pi di
ventanni dopo, alla serie di Palomar. Nonch, pi immediatamente, quella delle
Cosmicomiche (varata sul Caff di Vicari ma proseguita sul Giorno e altrove).
In tutte e tre rubrica [] la parola chiave: la sede, appunto giornalistica, dove
mettere a punto racconti con il filo rosso di uno stesso personaggio.
Ed questa passione per la discontinuit di Calvino a far s che nei confronti
della rivoluzione informatica egli ci appaia ha scritto una volta proprio Belpoliti
il solo scrittore della nostra letteratura che ha cominciato a immaginare luni-

87
Cfr. M.Barenghi, cit., p. XXXI.
Reportage su Calvino 481

verso in cui noi oggi viviamo: il mondo delle testualit diffuse, delle enciclope-
die esplose, dellinterconnessione globale. lui, insomma, lo scrittore che prefi-
gura (praticandola) la logica ipertestuale e telematica prima ancora che queste
divengano concrete ipotesi tecnologiche (non a caso centrale, nella riflessione
che verr ricapitolata dalle Lezioni americane, il concetto di rete: per Belpoliti
metafora [] centrale in tutto il suo lavoro, che a Calvino consente di supe-
rare lo smarrimento, il labirinto delle immagini e dei pensieri in cui si trova
intrappolato a partire dalla met degli anni 50). E si pu dire, allora, che lin-
segna materiale sotto la quale raccogliere la scrittura non solo saggistica del
secondo Calvino se egli stesso pensava al primo decennio della sua produzio-
ne critica come a unEt del ferro dovrebbe essere proprio quella dellEt del sili-
cio: emblema duna logica non solo discontinua ma, anche, non lineare. Cio
appunto ipertestuale. Uno sguardo rivolto al futuro (come sar nel sottotitolo
delle Lezioni americane: Six memos for the next millennium), insomma; contrap-
posto infatti allet della pietra, sede archeologica delle ere passate, stratificate e
concluse88.

Infine un breve accenno a Palomar 89, il volume pubblicato nel 1983, frut-
to di una accurata selezione di scritti gi pubblicati sul Corriere della sera e
su Repubblica a partire dallagosto del 1975. Il personaggio di Palomar
prima di approdare al libro, quindi, nasce sui giornali, e nasce allinsegna
della ricerca, della domanda, dellinterrogazione, della classificazione impos-
sibile. Registrare, interpretare, decifrare in un insieme complesso di ragione e
scienze esatte, fino allo stallo, sebbene vitale, del personaggio. Palomar il
silenzio di chi ascolta e ragiona sul frastuono, limpossibilit di ordinare il
caos, ma soprattutto il punto di osservazione esterno dellintellettuale in
crisi. quindi una scelta attiva, sebbene discutibile, di chi Palomar rappre-
senta, cio Calvino stesso, che evidenzia con lucida razionalit e precisione
assoluta lunica alternativa possibile: il distacco da se stessi, la necessit di sen-
tirsi morto allinterno della mancanza di centro degli anni Ottanta. Forse
per questo si visto nel libro il suo inconsapevole testamento.

88
Andrea Cortellessa si sofferma a lungo sul Calvino saggista in tre capitoli del suo volu-
me Libri segreti. Autori-critici nel Novecento italiano (Le lettere, Firenze 2008). In particolare ai
due volumi Una pietra sopra e Collezioni di sabbia dedica le pagine 86-94 dalle quali tratta
la citazione.
89
Per una completa ricostruzione della storia del personaggio Palomar e del libro stesso,
cfr. F. Serra, Calvino e il pulviscolo di Palomar, Le lettere, Firenze 1996.
GIANLUIGI SIMONETTI

Il circuito della prosa.


Letteratura e giornalismo in Goffredo Parise

1. Le prime corrispondenze dallestero di Goffredo Parise appaiono sul


Corriere dInformazione alla met degli anni Cinquanta (22-23 febbraio
1955, La camera n. 7 di uno strano Grand Hotel, seguito il 25-26 febbraio da
Ma guarda chi si incontra! Pancho Villa redivivo, e da altri nove pezzi)1. Nel
decennio successivo Parise pubblica per diversi quotidiani note di viaggio da
Israele, da Berlino, dallEuropa dellEst. Una svolta arriva alla seconda met
degli anni Sessanta, quando scrive per il Corriere della sera un lungo repor-
tage a puntate sulla Cina maoista, raccolto pochi mesi dopo e pubblicato in
volume, secondo uno schema destinato a ripetersi (Cara Cina, 1966). Da
allora in poi la corrispondenza dallestero, il diario di guerra e il reportage
contrappuntano la carriera di Parise, scandendo in particolare la fine degli
anni Sessanta Due, tre cose sul Vietnam del 1967, Biafra del 1968 e i
primi anni Settanta Laos nel 1970; Cile nel 1973. Dal gennaio 1974 fino
alla met del 1975 una rubrica di corrispondenza con i lettori intitolata Parise
risponde inaugurata sulle pagine del Corriere della sera, quotidiano cui
lautore collabora dal 1963; poi ancora un reportage, New York, nel 1976.
Infine, una corrispondenza dal Giappone, nei primi anni Ottanta (Leleganza
frigida, 1982), quattro anni prima della morte.

Questo rapido elenco che non tiene conto di singoli interventi estem-
poranei, a cominciare da quelli degli esordi presso quotidiani locali Alto
Adige, Giornale di Vicenza e che soprattutto prescinde dai numerosi
elzeviri e dagli scritti di carattere narrativo o memorialistico che lautore man-
dava in stampa con una certa regolarit questo elenco traccia il diagramma

1
Cfr. I. Crotti, 1955: Goffredo Parise reporter a Parigi. Con due racconti, Il Poligrafo,
Padova 2002. Le citazioni dalle opere parisiane sono tratte da G. Parise, Opere, a cura di B.
Callegher e M. Portello, Mondadori, Milano 1989, due tomi (dora in avanti rispettivamente
OP1 e OP2); per la rubrica Parise risponde cito da G. Parise, Verba volant. Profezie civili di un
anticonformista, a cura di S. Perrella, Liberal Libri, Firenze 1998 (dora in avanti PRIS); per
Lodore del sangue, scritto nel 1979 e pubblicato nel 1997, cfr. G. Parise, Lodore del sangue, a
cura di C. Garboli e G. Magrini, Rizzoli, Milano 2004 (dora in avanti ODS).
484 Gianluigi Simonetti

di quella che stata, per Parise, solo la parte pi significativa di una intensa
attivit giornalistica, svolta su quotidiani, settimanali o periodici di vario
tipo. Ma sufficiente a mostrare quanto importante sia la vena del reporter
e del critico di costume in rapporto allultimo tempo della letteratura pari-
siana; quanto strettamente intrecciate siano, nellopera della maturit di que-
sto autore, la voce che affabula e che inventa e la voce che riporta fatti veri, e
li discute criticamente, in tempo reale, per il pubblico della grande stampa.
Il Sillabario n. 1 nasce tra il 1971 e il 1972, ovvero tra Laos e Cile; il Sillabario
n. 2 si sviluppa dal 1973 al 1980, ossia tra Cile e lesperienza giapponese; la
stesura dellOdore del sangue inizia nel 1979, dopo lesperienza di Parise
risponde, e subito prima del viaggio in Oriente da cui avr origine Leleganza
frigida. Opera questa davvero esemplare nel suo collegare i due poli che ci
interessano, letteratura e giornalismo; nelloscillare tra le scadenze del diario
di viaggio e le pulsioni oniriche della prosa darte (la presenza di un alter ego
che racconta, le numerose derive visionarie); esemplare, infine, per il suo
inatteso rovesciare, mimando il reportage, laffidabilit e il rigore della cro-
naca giornalistica, scavalcata dallestasi della forma e da una funebre volont
di dissolvimento: Non c pi molto da riportare. Viaggiare, o transfert,
o non pi nulla2.
Oggi la critica tende a valorizzare il secondo mestiere di Parise, a stu-
diarne i legami con i romanzi e le novelle, a esaltarne la perspicacia e lener-
gia3; ma la centralit del lavoro giornalistico, e in particolare della corrispon-
denza, Parise stesso non lha mai nascosta, consapevole della radice al fondo
narrativa dei suoi interessi da reporter. La scelta espressiva di dare spessore di
realt al racconto letterario convive spontaneamente con la tendenza del gior-
nalista a mettere in situazione, come in un romanzo, i nudi fatti della cro-
naca:

Un viaggio, uninchiesta in un certo Paese, mi interessa come un romanzo.


Laffronto con lo stesso animo, altrimenti preferisco non farne nulla (...). Per me
reportage e romanzo nascono nello stesso modo, da unidea, che da principio
molto semplice, magari una piccola notizia letta su un giornale. Il reportage un
romanzo, con una situazione in cui lo scrittore il protagonista4.

2
A. Pellegrino, Verso Oriente. Viaggi e letteratura degli scrittori italiani nei paesi orientali
(1912-1982), Istituto dellEnciclopedia Treccani, Roma 1985, p. 177.
3
Il racconto di viaggio o di osservazione, il reportage, non per niente un aspetto secon-
dario dellopera di Parise, come qualcuno crede o ha creduto fino ad oggi. Parlando della sua
necessit di spostarsi nello spazio, del suo modo di farlo, della quantit e qualit di pagine che
ci sono rimaste, ci si pu avvicinare al centro propulsore della sua energia poetica e quindi
conoscitiva. S. Perrella, Fino a Salgarda. La scrittura nomade di Goffredo Parise, Rizzoli
Milano 2003, p. 75.
4
M. Cancogni, Lodore casto e gentile della povert. Conversazione con Goffredo Parise, La
fiera letteraria, 34, 22 agosto 1968, pp. 16-17.
Il circuito della prosa. Letteratura e giornalismo in Goffredo Parise 485

Anche sul piano teorico, quindi, il referto giornalistico risulta perfetta-


mente legittimato agli occhi del narratore; nel sistema dei generi di Parise
non affatto detto che il reportage occupi un posto inferiore al racconto.
Anzi: Gli americani a Vicenza ci spiega lautore nellAvvertenza al testo del-
ledizione Scheiwiller voleva essere un reportage, ma non riuscito a
diventarlo5; rimane pertanto uno schizzo e quasi una prefigurazione casalin-
ga di quegli Stati Uniti che Parise vede da vicino qualche anno pi tardi, nel
viaggio americano con Pierluigi Polidoro brevemente rievocato allinizio di
New York: stavolta un reportage autentico. Parliamo di un testo, Gli ameri-
cani a Vicenza, pubblicato in volume nel 1966, sulla scia di Cara Cina, ma
scritto dieci anni prima, e apparso in rivista nel 1958: il primo vero tentati-
vo parisiano di misurarsi con la corrispondenza costretto a ritrarsi nella
dimensione del racconto, dellintuizione figurativa6, non senza sedimenta-
re una traccia di rimpianto. Col passare del tempo sar invece lesperienza del
reporter a dare il tono alla voce del narratore e spesso ad anticiparla: per que-
sto, tra laltro, lopera di Parise, specie nella sua fase avanzata, soffre pi di
altre la disarticolazione in generi e sottogeneri, e resiste a una separazione
netta tra ambito letterario, o di invenzione, e ambito giornalistico, dal vero.
Una lettura stilistica che segua attentamente lordine cronologico dei testi
conferma lintreccio inestricabile dei registri, e ci dice quanto sia problemati-
co distinguere rigidamente, nel corpus di un autore anticonformista come
Parise, un livello fictional da un altro puramente referenziale7. Pi precisa-
mente sembra volerci segnalare che proprio dallesercizio regolare e impuro
del diario di viaggio dal 1965 al 1970 pu nascere una narrativa pi tersa,
pi precisa, e pi leggera di quanto non fosse quella del Padrone o del
Crematorio di Vienna, elaborata nei primi anni Sessanta, in una fase di crisi
personale ed espressiva. Il che naturalmente non esclude ulteriori assesta-
menti, e magari contraccolpi nel senso opposto: dalla concentrazione neces-
saria alla forma-sillabario, nata per stare sulle colonne del quotidiano, pu
arrivare quella luce intemporale e quasi astratta che impregna gli ultimi
reportage di Parise.
Una prova concreta della osmosi formale fra corrispondenza e racconto la
si rinviene sfogliando il secondo tomo dei Meridiani delle opere complete di
Parise (che accosta i diari di viaggio ad alcune prose narrative): ci si imbatte
in certe pagine, spesso incipitarie, capaci di far perdere al lettore il senso del-
lorientamento stilistico, inducendolo a chiedersi che opera di Parise stia leg-
gendo. Il rilievo dei personaggi, la sensualit, lincertezza conoscitiva fanno
pensare alla narrativa di Parise; il folto di dati, lesattezza dei cronotopi, la

5
G. Parise, Avvertenza, in Id., Gli americani a Vicenza, Scheiwiller, Milano 1966, p. 7.
6
Ibidem.
7
I. Crotti, Goffredo Parise e la letteratura di viaggio, in Ead., Tre voci sospette. Buzzati,
Piovene, Parise, Mursia, Milano 1994, p. 151.
486 Gianluigi Simonetti

scansione dettagliata dello spazio e del tempo inclinano alla ricchezza deitti-
ca del reportage. Ma la stessa ricchezza propria anche dei Sillabari 8; la sola
discriminante luso della prima persona:

Cile, settembre 1973


Una notte il terremoto, un forte terremoto che fu segnalato da tutti gli osservatori
europei, mi sorprese al 17 piano dellHotel Carrera Sheraton di Santiago del Cile.
Ebbi molta paura, pi che in guerra, pi che in qualunque altro luogo del mondo.
Scendendo con lascensore il lift sorrideva della mia paura come di quella di molti
altri. Oltre al lift altre due persone non avevano paura: erano due giovani, un ragaz-
zo e una ragazza, biondi, abbronzati, felici e bellissimi: erano molto pi che bellis-
simi, erano semplicemente: la giovent. Erano due concorrenti a certe gare di sci
che si svolgevano a Portillo, nota stazione invernale nei pressi di Santiago. Non
sapevano quasi nulla di quanto era accaduto in Cile in quei giorni, e che si amas-
sero non cerano dubbi. Non so dire, oggi, cosera pi provocante in loro: se la gio-
vent, la bellezza, lignoranza politica, lamore o lassenza di paura. Eppure non
erano cileni (forse svedesi o russi?) e non avevano mai udito o visto un terremoto
nella loro vita. Ancora oggi non so dire cosera pi provocante. certo che non
erano tutte queste cose messe insieme, ma una, soltanto una9.

Limpressione che a partire dalla met degli anni Sessanta Parise abbia
provato a elaborare, senza teorizzarla esplicitamente, una precisa strategia
espressiva, il cui sbocco principale la letteratura, ma il cui laboratorio si
trova proprio nella stampa periodica. Viene da l lo stile misto che segna
tutta lultima parte della sua opera; una scrittura narrativa aperta al contri-
buto di una prosa giornalistica di alto livello; un timbro felicemente sospeso
fra scritto e parlato, tra espressione e comunicazione. Un esperimento gi
tentato altrove, ad esempio nella cultura anglofona, che non a caso ha offer-
to a Parise alcuni punti di riferimento formali Greene, Hemingway, lo stes-
so Maugham (sempre mi sono irritato e ho trovato ingiusto che nella defi-
nizione di very readable vi fosse una sfumatura di declassazione, per non par-
lare di chi lo definisce second rate writer)10; in Italia, invece, uno sforzo iso-
lato e ben poco ortodosso, almeno finch nostra la prosa narrativa ha guar-
dato a soluzioni linguistiche di tipo quasi esclusivamente letterario, anche
solo per sperimentare e distanziarsene11. Parise sfugge alle opzioni collaudate

8
Ivi, pp. 167-168; ma cfr. anche C. Martignoni, I Sillabari: la magia del cristallo, in Con
Goffredo Parise. Atti del convegno in occasione della IX edizione del Premio Giovani Comisso, a
cura di N. Naldini, Zoppelli, Dosson (TV) 1988, pp. 22-25.
9
G. Parise, Guerre politiche (1976), OP2, p. 969.
10
Id., Maugham, il pregio della banalit (1982), in OP2, p. 1475. Per Parise il gemello
italiano di Maugham Giovanni Comisso, altro suo importante maestro di stile, come vedre-
mo pi avanti: cfr. Id., Snob, ricco e mascherato (1980), OP2, p. 1451.
11
P.V. Mengaldo, Il linguaggio dei mezzi di comunicazione di massa, in Id., Storia della lin-
gua italiana. Il Novecento, Il Mulino, Bologna 1994, p. 65.
Il circuito della prosa. Letteratura e giornalismo in Goffredo Parise 487

che la tradizione italiana metteva a disposizione dellinviato speciale: il suo


lavoro si distanzia tanto dalla impostazione partecipativa, aneddotica e
accademica, alla Monelli, quanto dallo stile Malaparte disponibile a deri-
ve surrealiste, e certo pi disposto a conciliare le esigenze dellarte e quelle del
referto di cronaca12. Piuttosto Parise sembra aver messo a punto, nella secon-
da parte della sua carriera, una specie di circuito della prosa, in cui conver-
gono letteratura, saggismo e giornalismo alto: tutti i suoi scritti della matu-
rit non si limitano a comunicare con lesterno con i dati della realt e con
i modelli letterari ma si confrontano intensamente tra loro, in modo non
gerarchico, pi di quanto non avvenga in altri autori, scambiandosi recipro-
camente informazioni stilistiche, suggestioni formali, implicazioni struttura-
li. La riflessione sullo stile del reportage e dello scritto di costume un tas-
sello decisivo di questo circuito: esso consente a Parise di situarsi ai margini
dei sentieri pi battuti dalla stampa nazionale, in una casella tutta sua ma
soprattutto lo colloca in posizione ambivalente rispetto a entrambe le istitu-
zioni in cui coinvolto: quella giornalistica e quella della letteraria tout court.
Del resto Parise appartiene a una generazione ibrida di letterati, trasversale
per destino e per scelta: la stessa di Calvino, la stessa, soprattutto, di Pasolini
(che vedremo essere uno dei modelli latenti dello sforzo transgenerico di
Parise). Lultima generazione di intellettuali italiani che si sia formata nel
culto umanistico della parola scritta, della parola letteraria; la prima a con-
frontarsi davvero con le innovazioni semiotiche della comunicazione di
massa13.

2. A rendere possibile losmosi formale tra reportage e racconto vale per


prima cosa la configurazione naturale della prosa di Parise, bene identifica-
ta da un interprete solidale come Zanzotto: una lingua chiara, leggibile, ma
anche viva e mossa, cio costantemente lontana dalla piattezza prefabbricata
e dallopacit cui tende di solito linformazione14. In seguito, e in particolare

12
Parise ha saputo sempre restare alla larga da questi due tipi di slittamento, ha reso la
realt che stava descrivendo funzionale ad un impeto poetico che voleva essere tale in piena
autonomia e pure in perfetta fruibilit giornalistica. A. Zanzotto, Linviato speciale, in Nuovi
argomenti, 9, ottobre-dicembre 1996, p. 16.
13
I libri di Parise reporter si collocano in un punto cruciale degli scritti di viaggio in lin-
gua italiana, e il parlarne sollecita qualche domanda. La prima come si possa far parte di una
tradizione anche parzialmente ignorando questa tradizione. Cfr. R. Manica, Premesse a Parise
viaggiatore, in Nuovi argomenti, 9, ottobre-dicembre 1996, p. 19. Sulla generazione ibri-
da, e sul rapporto con la precedente, o Last generation, cfr. G. Parise, Era un italiano non
italiano (1974), OP2, p. 1392.
14
Troviamo nel Parise veicolare, quello che parla dalle pagine dei giornali e si rivolge ad
un pubblico su problemi ben precisi, le ricchezze di un linguaggio sempre mosso ed attivo, che
sfugge le piattezze della mera informazione ed equilibra con eccezionale perizia le due moda-
488 Gianluigi Simonetti

dalla met degli anni Sessanta in poi, la pratica del reportage accompagna
una prudente ma progressiva semplificazione di quello strumento gi dutti-
le; una sua chiarificazione razionale, di una ragione alimentata per dai sensi;
una curiosit visiva e tattile che progressivamente corregge la tendenza
visionaria e pi artificiosa degli esordi Il ragazzo morto e le comete sentita
invece come spontanea, antropologica, veneta dal momento che i veneti
fanno difficolt a comprendere lessenziale e si sentono inclini al fantastico,
allimmaginoso, spesso al pasticciato15. Limmagine di autore che Parise offre
di s, alla fine degli anni Settanta, quella di un uomo solo che si affaccia sul
mondo e lo contempla, fuori da qualsiasi schema precostituito:

Quali sono dunque, a questo punto, gli strumenti conoscitivi a cui questuomo
occidentale costretto ad affidarsi, perduto nella vertigine e vagante tra estreme
possibilit ed estreme impossibilit? Ancora una volta la ragione logica e i propri
individuali sensi. quello che faccio anchio per cominciare a rispondere alle
prime domande. Mi affaccio alla grotta e guardo16.

Non solo scrupolo classicistico, o una questione di gusto, pi o meno


buono, per la bella pagina; la misura, la grazia, la nudit tanto scrupolosa-
mente ricercate valgono soprattutto come segno formale della volont di raf-
freddare e illimpidire la testimonianza, e di permettere la contemplazione
serena di una materia violenta, spesso brutale e disumana: quella ad esempio
di Guerre politiche. La semplificazione retorica riveste pertanto una precisa
connotazione etica17. Ed significativo che tale sintesi culmini nellultimo
reportage, quello giapponese, che ne fa un tema esplicito del racconto: lap-
prodo di Leleganza frigida il sogno di una forma elegante e funzionale, di
un ipotetico stile senza letteratura, puro come le cose stesse. Marco pensa-
va che era dovuto andare andare a finire nel lontano Giappone per scoprire
ancora oggi lo stile nella letteratura che non vuol dire la letteratura18.

lit di cui sopra si detto: informazione e creazione, prosa e poesia. Cfr. A. Zanzotto, Goffredo
Parise giornalista e critico, in Con Goffredo Parise, cit., p. 42.
15
G. Parise, La bellezza di Capri, (1957), OP1, p. 1433.
16
Id., Guerre politiche, cit., OP2, p. 924.
17
La tastiera dei Sillabari e i reportages portano alla stessa conclusione: Parise un mora-
lista nel quale del tutto assente lo stile predicatorio; e, pi che uno stile morale, conta per lui
una moralizzazione dello stile. R. Manica, Come leggeva Parise, in Les illuminations dun cri-
vain. Influences er recrations dans loeuvre de Goffredo Parise. Actes du colloque international de
luniversit de Caen (14-15 mai 1999), publis sous la direction de P. Grossi, Presses
Universitaires de Caen, Caen 2000, p. 71.
18
G. Parise, Leleganza frigida, (1982), OP2, p. 1131. Lelogio parisiano della espressivit
giapponese ha il sapore del manifesto di poetica: Ci volle poco a Marco per capire che la
comunicazione occidentale, in confronto a quella giapponese, era diretta s ma rozza, logica
ma inelegante, rapida ma senza sfumature, analitica ma totalmente priva di senso estetico. Al
contrario il modo di comunicare dei giapponesi era prudente ma sfumato, lento ma pi
Il circuito della prosa. Letteratura e giornalismo in Goffredo Parise 489

3. Ma cosa ha implicato, nel corpo concreto del testo, la ricerca di essen-


zialit, nitore geometrico e icasticit del dettaglio che attraverso i reportage
raggiunge tutta lopera di Parise19? Sono almeno tre le lezioni che lesercizio
giornalistico ha specificamente impartito, nel corso degli anni, al progetto
narrativo.

a. La prima lezione figurale, e riguarda la descrizione. In tutte le opere


narrative della maturit Parise punta a ricreare quellintensit percettiva che
regala alle sue corrispondenze di viaggio, fin dallinizio, la forma caratteristi-
ca di un terremoto sensoriale20. Al posto del giudizio, e prima della rifles-
sione, lo spazio concesso ai paesaggi, agli interni, ai ritratti di singole crea-
ture:

Ai piedi dei monti che fanno da corona allaltipiano, grandi fasce di orti recinta-
ti contro le malefatte dei bufali, in cui le donne curve zappano. Frotte di porcel-
lini cicciuti, pi simili a cani bassotti che a maiali, galoppano sulle minime zampe
e si tuffano nei cespugli al passaggio di vecchissime guardiane doche munite di
lunga canna, che parlano con le oche luniversalmente noto linguaggio per oche.
Bambini strillano. Cani bruttissimi, del colore della terra e di una pigrizia meta-
fisica, stanno sdraiati e confusi nella terra come morti e muovono un occhio e poi
lo richiudono. Gruppi di soldati giovanissimi con mitra e zappa e un sacco di riso
sul collo torto attraversano al ritmo di maratoneti un tratto di valle e scompaio-
no nella foresta.
Questo catalogo o itinerario dello sguardo mi fa sentire via via meno isolato e
meno estraneo di prima 21.

Dalla letteratura al reportage, dal reportage alla letteratura: allorigine


degli accumuli descrittivi dei diari di viaggio che fruttificheranno poi nei
Sillabari, ci sono forse le descrizioni di Comisso sempre bellissime, spie-
gava Pasolini, perch sempre funzionali e necessarie, eseguite con la cura che
i pittori avevano nel dipingere negli anni Dieci e Venti e Trenta; rapide
impressioni quasi ad acquarello, oppure olii pazientemente fatti lievitare pen-

profondo, sintetico ma pi sensibile per non dire sensuale e che in ogni caso mai veniva con-
siderato soltanto comunicazione ma prima di tutto espressione. Ivi, p. 1077. Rivelatore un
passaggio del ricordo (empatico) di Piovene: Guido Piovene sapeva benissimo tutto questo
ma, come Montale e Moravia e al contrario di noi, aveva vissuto un certo numero di anni in
cui la parola scritta fu espressione molto prima che comunicazione: G. Parise, Era un italia-
no non italiano, cit., p. 1392.
19
A. Balduino, I miti antiamericani di Parise, in Goffredo Parise. Atti del convegno promosso
dallIstituto per le Lettere, il teatri e il melodramma della Fondazione Giorgio Cini (Venezia 24-
25 maggio 1995), a cura di I. Crotti, Olschki, Firenze 1997, p. 93.
20
La formula di S. Perrella, Fino a Salgarda, cit., p. 73.
21
G. Parise, Guerre politiche, cit., OP2, p. 925.
490 Gianluigi Simonetti

nellata su pennellata22. Certo sono pittoricamente ispirate la miniaturizza-


zione, la sottrazione, lintensificazione dei dettagli significativi che nei repor-
tage si ritrovano specialmente nelle descrizioni, appunto, e nelle interviste, e
che nella narrativa sfociano nei ritrattini e nelle microstorie23. Lo stesso
Parise accosta implicitamente il proprio sforzo di depauperazione semiotica
al minimalismo che attraversa alcune correnti delle arti visive coeve; lo ritro-
va ad esempio nel processo di riduzione monosillabica delle cose di cui
artefice uno scultore leggero e discreto come Joel Shapiro, o un pittore come
Tuttle (e prima di loro un maestro dellintensificazione come Morandi). Se il
merito di Tuttle quello di stare ai confini tra lesserci e il non esserci24,
quello di Giosetta Fioroni Parise sceglie un suo smalto per la copertina del
primo Sillabario sta nel modo pudico e necessario di vedere la realt: di
sfuggita, per accenni, rapidissimi istinti25. Come i pittori, Parise lavora
soprattutto con i sensi; come i pittori, cerca di essere veloce e diretto, artista
e non letterato:

I pittori sono pi ignoranti e manifestano la loro qualit artistica in modo molto


pi diretto. Un letterato generalmente non un artista, quasi sempre semplice-
mente un letterato. Cio si rif sulla letteratura degli altri e non sulla vita. Un pit-
tore non ha mai questo alibi. Un pittore deve guardare la realt e fare uscire diret-
tamente dal proprio io, dal proprio subconscio lespressione artistica. Il letterato

22
Pasolini analizza lo stile descrittivo di Comisso in una appassionata recensione a I due
compagni che non deve essere sfuggita a Parise. Il testo, apparso sul Tempo nel dicembre del
1973, interessante anche perch contiene una chiara anticipazione del doppio protagonista
di Petrolio (che Pasolini sta scrivendo in quei mesi): La seconda grande trovata del libro stata
quella di fare dei due personaggi, in realt, due aspetti di personaggio unico, spaccato classi-
camente da un conflitto interiore. Le cronache dicono che effettivamente dietro Giulio Drigo
si nasconde Comisso stesso (combinato con Arturo Martini), mentre dietro Marco Sberga c
il pittore Gino Rossi (morto infatti in manicomio). Ma sarebbe possibile sostenere anche che
tanto Giulio Drigo che Marco Sberga sono lo stesso autore, Comisso, dissociato dal dilemma
di una scelta artistica, di un diverso modo di essere in rapporto col reale. In tal senso, oggi, I
due compagni di una modernit emozionante. P.P. Pasolini, Giovanni Comisso: I due com-
pagni, (1972), in Id., Saggi sulla politica e sulla societ, a cura di W. Siti e S. De Laude,
Mondadori, Milano 1999, pp. 449-454. ancora Pasolini ad accostare stilisticamente Parise
a Comisso nella sua recensione ai Sillabari del 1973, poi raccolta in Descrizioni di descrizioni:
Alberto Arbasino, Il principe costante, Goffredo Parise, Sillabario n. 1, (1973), in Id., Scritti
sulla letteratura e sullarte, t. secondo, a cura di W. Siti e S. De Laude, Mondadori, Milano
1999, pp. 1705-1711. Il debito verso Comisso peraltro riconosciuto dello stesso Parise: Ho
avuto due rapporti fondamentali. Magistrali. S, magistrali... [...]. Quello con Alberto Moravia
e quello con Giovanni Comisso. Comisso mi ha insegnato larte. Moravia la vita. In O. Del
Buono, Goffredo Parise. Le ultime sillabe. Un colloquio dell82, aspettando la dialisi, in La stam-
pa, suppl. Tuttolibri, 5 marzo 1994.
23
I. Crotti, Goffredo Parise e la letteratura di viaggio, cit., p. 166.
24
G. Parise, New York (1977), OP2, p. 1045.
25
Id., Pop-art italiana (1965), OP2, p. 1184.
Il circuito della prosa. Letteratura e giornalismo in Goffredo Parise 491

indiretto e un pittore diretto con il proprio oggetto. Ci sono anche dei lette-
rati, cio degli uomini di lettere che scrivono, che sono artisti allo stesso modo
dei pittori. Ma sono sempre stati estremamente rari26.

b. La seconda lezione del giornalismo strutturale, e insegna a cavarsela


con le forme brevi. Dopo Il Padrone, Parise ha utilizzato soprattutto due sche-
mi per i suoi testi: da un lato il reportage, nel modulo messo a punto da
Guerre politiche; dallaltro brevi prose narrative, spesso incastrate in sequenze
seriali, alla maniera dei Sillabari 27. Due strumenti diversi, forgiati, sulla pagi-
na dei quotidiani, ispirati da un comune ideale di brevitas e di leggerezza: gli
ultimi libri pubblicati da Parise sono opere piene di spazio, composte di
sotto-strutture lineari concise, aeree, prosciugate28. Un modo frantumato di
costruire il racconto che non certo isolato nella scena del romanzo italiano
degli anni Settanta:

I romanzi lunghi scritti oggi forse sono un controsenso: la dimensione del tempo
andata in frantumi, non possiamo vivere o pensare se non spezzoni di tempo
che si allontanano ognuno lungo una sua traiettoria e subito spariscono. La con-
tinuit del tempo possiamo ritrovarla solo nei romanzi di quellepoca in cui il
tempo appariva come fermo e non ancora come esploso, unepoca che durata
su per gi centanni, e poi basta29.

Ma mentre le strutture labirintiche di Calvino hanno segnato soprattutto


gli anni Ottanta, imprimendo alla narrativa di allora una torsione geometri-
ca e combinatoria, sono oggi i Sillabari, pi di altre opere coeve, a rappre-
sentare per molti scrittori un modello convincente di narrazione breve. Si
affacciano negli anni Novanta e si diffondono a partire dal Duemila ipotesi
narrative puntiformi e discontinue, che se da un lato devono molto alla reto-
rica desultoria dei mass media (come soprattutto il caso di molti scrittori
cosiddetti cannibali), dallaltro sembrano rifarsi alla velocit, alla concen-
trazione, alla modularit piana dei Sillabari: si sente Parise nellultimo
Pontiggia, nei romanzi di Pintor, in molti degli ultimi libri di La Capria30.
Oggi qualcosa dellambizione formale dei Sillabari si ritrova ad esempio nei

26
Da una intervista raccolta da E. Parlato per la terza rete radiofonica della RAI, in
Eidos, 1, 1987, pp. 48-55, con il titolo Natura dartista. Cit. in M. Portello, Goffredo Parise,
un pensiero in pi, in Les illuminations dun crivain, cit., p. 117.
27
V. Perrella, In viaggio con Parise, in Nuovi argomenti, 9, ottobre-dicembre 1996, p. 27.
28
I. Crotti, Goffredo Parise e la letteratura di viaggio, cit., p. 153.
29
I. Calvino, Se una notte dinverno un viaggiatore, Einaudi, Torino 1979, p. 9.
30
G. Pontiggia, Vite di uomini non illustri (1993) e Nati due volte (2000), in Id., Opere, a
cura e con un saggio introduttivo di D. Marcheschi, Mondadori, Milano 2004; L. Pintor,
Servabo, Bollati Boringhieri, Torino 1991; La signora Kirchgessner, Bollati Boringhieri, Torino
1998; Il nespolo, Bollati Boringhieri, Torino 2001; R. La Capria, Le mosche nella bottiglia.
Elogio del senso comune, Rizzoli, Milano 1996; Lo stile dellanatra, Mondadori, Milano 2001.
492 Gianluigi Simonetti

libri di Mozzi, di Pascale, di Trevi, a loro volta sospesi tra narrativa e presa
diretta della realt, tra romanzo e reportage. Cos la poetica dei Sillabari
col suo sguardo diretto sul mondo, la sua concentrazione, la sua narrazione
istantanea sembra aver precocemente delineato una proposta di velocit,
intensit e realismo che trova applicazioni interessanti in molta letteratura ita-
liana recente, a suo agio tra generi diversi, e in territori di frontiera31.

c. La terza lezione filosofica, e riguarda la rinuncia al giudizio. Viaggiare


non serve a capire. Innanzitutto perch la ricerca dellaltrove pu facilmente
risolversi in un consumo turistico, in una evasione esotica, ovvero in una
malattia che poi la seconda pelle della civilt industriale32. Mentre inve-
ce laltrove esaurito, lalternativa che si offr al pittore e al poeta (Gauguin,
Rimbaud) ci preclusa per sempre, la scelta delle alternative, al tavolo di una
agenzia di viaggi, essendo praticamente infinita non sconvolge n rovescia la
vita33: la comunicazione globale ha reso piccolo il mondo. Parise stesso col-
tiva un suo personale esotismo: il gusto di scoprire nel nuovo il familiare,
ritrovando in una chiesa di Pechino la forma di una pieve lombarda, in una
barca cinese il profilo delle gondole, spezzoni di calli veneziane a Manhattan,
in una baia giapponese la luce della sua laguna:

Tra mille inchini si separarono e corsero in tass fino a quella piccola baia di
Kamakura, con qualche sparuto bagnante e molte piccole vele colorate al vento.
Il sole tramontava dallaltro lato della montagna, il mare era liscio come una
lastra doro tra due promontori e a Marco subito si strinse il cuore perch gli par-
ve di essere ritornato di colpo nella sua laguna in vista di Chioggia34.

Viaggiare non serve a capire in secondo luogo perch il viaggiatore soffre


di ansia di possesso, tende a pensare che la conoscenza sia un fenomeno
quantitativo. Quando ho occasione di viaggiare in luoghi che non ho mai
conosciuto non mi documento mai, scrive Parise in La bellezza di Capri 35;
non solo allinizio, anche alla fine di un viaggio quello che conta non sono
certo le informazioni:

Dopo aver visto e guardato parti dellAsia per anni successivi e sempre, come
dicono gli asiatici, trop press, dopo aver percorso la loro terra con le mie gambe,
dopo aver toccato gli alberi e il riso, dopo aver guardato i loro occhi e le loro mani

31
G. Simonetti, I nuovi assetti della narrativa italiana (1996-2006), in Allegoria, 57,
2008, p. 107 e sgg.
32
G. Parise, New York, cit., OP2, p. 1018.
33
Ivi, pp. 1018-1019.
34
Id., Leleganza frigida, cit., p. 1126. Un confronto prolungato tra Venezia e Manhattan
in New York, cit., OP2, pp. 1006-1007.
35
Id., La bellezza di Capri, cit., OP1, p. 1432.
Il circuito della prosa. Letteratura e giornalismo in Goffredo Parise 493

e il loro modo di apparire e di sparire sia nella realt che nel ricordo, ho impara-
to che, alla fine di un viaggio, non sono i dati, le informazioni, o la ragione
analitica che contano, bens sempre e soltanto il sentimento che si prova verso gli
uomini e le cose che loccasione, e ancora pi il caso, ci ha fatto incontrare.
Il resto, tutto il resto, su cui scorrono vani e presuntuosissimi fiumi di inchiostro,
non conta nulla36.

La conoscenza vera accetta la sua parte di incomunicabilit e dombra,


filtrata dai sentimenti umani, dipende in gran parte dal caso; sfugge alle
norme sclerotizzate perch sa che non ci sono regole: Altri ancora dubitava-
no, perch le cose felici non si ripetono (e invece si ripetono e non si ripeto-
no, non c una regola)37. Siamo naturalmente nei dintorni dei Sillabari,
anzi alla fonte della loro ragione intima:

Vedevo intorno a me molti adulti ridotti a bambini, pensai che essi avevano scor-
dato che lerba verde, che i sentimenti delluomo sono eterni e che le ideologie
passano. Gli uomini doggi secondo me hanno pi bisogno di sentimenti che di
ideologie. Ecco la ragione intima del sillabario38.

Ma accanto ai Sillabari sono i reportage, e in particolare quello dal Laos,


a rivelare quanto leternit, cio lessenza delluomo, sia racchiusa nella per-
cezione febbrile di pochi attimi: la fissit che traluce dal movimento inces-
sante. I dati, le informazioni, le indagini analitiche e perfino la cono-
scenza della lingua passano col passare delle convenzioni e contingenze di
quel segmento storico39; gli attimi, invece, non passano:

Lattimo di un bambino che non ha mai visto un occidentale e va dritto a sbat-


tere contro un alberello e fa finta di niente; lattimo in cui un vecchio vietmihn
in pensione smarrisce lo sguardo calmo negli alberi in riflessioni che noi non
conosceremo mai; o quello in cui una vecchia che dorme sulla stuoia si leva
allapparire dello straniero e accenna, soltanto accenna con un tocco, a riassestar-
si i capelli e subito dopo intreccia le dita non sapendo fare altro che presentarsi,
ormai, cos com; o quello in cui il perentorio e icastico commissario politico
mostra la schiena curva e gi vecchia e si concentra a non scivolare sulle rocce
umide: tutti questi attimi, la somma di questi attimi, sono lessenza del paese40.

Simmetricamente, il tributo di Parise allo stile giornalistico di Piovene


una grande e autentica passione moderna, in opposizione alle polverose
discriminanti accademiche41 culmina in un elogio del dettaglio che asso-

36
G.Parise, Guerre politiche, cit., OP2, p. 962.
37
G. Parise, Amicizia, in Id., Sillabario n. 1 (1972), OP2, p. 215.
38
Id., La bellezza di Capri, cit., OP1, p. 1432.
39
Id., Guerre politiche, cit., OP2, p. 963.
40
Ivi, p. 962.
41
Id., Era un italiano non italiano, cit., OP2, p. 1392.
494 Gianluigi Simonetti

miglia a una dichiarazione di poetica:


Nessun inclusive tour a meno che non si fornisca di uno chaperon di eccezione
quale fu Piovene per i suoi lettori di giornale, avr mai il potere di scoprire les-
senza del particolare e certamente nemmeno il particolare tout court: e cos mol-
tissimi uomini viaggeranno il mondo in lungo e in largo, guardando (senza vede-
re), fotografando, camminando (troppo), visitando templi o deserti, comprando
stracci su stracci senza mai vedere n il mondo n le sue parti42.

La forma breve pagina di giornale o microracconto trova in questa


visione istantanea e irrelata del mondo la sua matrice pi profonda, e il suo
contenuto delezione; essa si rivela la pi adatta a raccogliere il catalogo delle
cose e quello degli istanti che contano specialmente se questi frammenti
non hanno bisogno di essere spiegati, perch trovano in se stessi, nella pro-
pria abbacinante evidenza sensoriale e soprattutto visiva il loro senso com-
piuto. Non c niente da capire, basta guardare, sostiene Parise nellOdore del
sangue; ma nei reportage che si forma dapprima lidea che osservare e descri-
vere pu bastare, e che giudicare non serve. Da questa persuasione di Parise
viaggiatore nasce lequilibrio conseguito dai Sillabari: perfette storie zen,
che illuminano senza spiegare nulla43.

4. Se lesercizio del reportage fornisce materiale soprattutto ai Sillabari, a


cosa porta lesperienza di Parise nel giornalismo di costume, e in particolare
in quel genere specifico che la corrispondenza con i lettori? A leggere con
attenzione le pagine di Parise risponde, scritte con regolarit dal gennaio 1974
fino alla met del 1975, quel che colpisce soprattutto ladesione di Parise a
molte delle idee che Pasolini espone nel corso degli anni Settanta nei suoi
articoli per il Mondo, il Tempo e il Corriere della sera lo stesso quo-

42
Ivi, p. 1393.
43
R. Manica, Premesse a Parise viaggiatore, cit., p. 21; M. Belpoliti, La pietra e il cuore, in
Id. Settanta, Einaudi, Torino 2001, p. 212.
44
La compresenza sulle pagine del Corriere delle voci di Pasolini e Parise (e di altri let-
terati come Natalia Ginzburg e Luigi Compagnone) si deve come noto alla politica degli
autori decisa da Piero Ottone, direttore dal 1972 al 1977. Quanto alla formula del dialogo
coi lettori, proprio Pasolini laveva interpretata con originalit negli anni Sessanta, allepoca
della sua collaborazione con Vie nuove; il passaggio al Tempo, nel 1968, se da un lato si
ricollega allesperienza precedente, anche per la presenza sporadica di risposte ai lettori, dal-
laltro segna per temi e forme espressive un pi deciso avvicinamento verso la stagione cosid-
detta corsara degli anni Settanta: ossia verso una presenza giornalistica intesa soprattutto
come testimonianza, pedagogia e polemica, che culmina appunto nella collaborazione al
Corriere della sera, a partire dal 1973 (sulle tappe della carriera giornalistica di Pasolini cfr.
G. C. Ferretti, Lapprendistato del corsaro, Prefazione a P.P. Pasolini, I dialoghi, Editori riuniti,
Roma 1992, pp. XXXV-XXXVII). soprattutto (ma non esclusivamente) questa ultima sta-
gione di interventi ed articoli, poi confluiti in Scritti corsari e in Lettere luterane, che sembra
Il circuito della prosa. Letteratura e giornalismo in Goffredo Parise 495

tidiano che ospita Parise risponde 44. Sintonia stupefacente, voglio dire, se si
pensa alle differenze culturali, ideologiche e psicologiche tra Parise e Pasolini,
allo scarto tonale che contraddistingue i rispettivi stili, perfino alla scarsa sim-
patia che a quanto pare i due si sono a lungo dimostrati in vita45. Certo, li
unisce lattenzione al presente, il mito della vitalit, una tendenza innata a
viaggiare, a provare ogni esperienza sulla propria pelle; senza contare che il
legame alla cronaca del 1974 e del 1975, e allattualit del dibattito cultura-
le, giustificano la presenza di temi e riferimenti comuni. Ma tutto questo non
spiega la sistematicit con cui Parise, in particolare, sembra riprendere alcuni
spunti di Pasolini: talvolta correggendoli, talvolta smussandoli, spesso sem-
plicemente ricalcandoli, in un prolungato dialogo a distanza.

a. Con un pezzo intitolato Il borghese ideale Parise inaugura il tredici gen-


naio 1974 una serie di interventi dedicati a un paradossale elogio della
povert, intesa come antidoto alla nevrosi del consumo che lo sviluppo eco-
nomico degli anni Sessanta ha diffuso in Italia. Lundici gennaio dello stesso
anno Pasolini aveva iniziato la sua recensione a un libro di Buttitta propo-
nendo un analogo concetto anchesso provocatoriamente anticonsumistico,
in tempi di austerity:

Ormai da molto tempo andavo ripetendo di provare una grande nostalgia per la
povert, mia e altrui, e che ci eravamo sbagliati a credere che la povert fosse un
male. (...) Dico povert, non miseria 46.

Povert non miseria, come credono i miei obiettori di sinistra. Povert


non comunismo, come credono i miei rozzi obiettori di destra, scrive

influenzare Parise. Vale la pena di ricordare che una copia di Scritti corsari risulta presente nella
biblioteca di Parise a Ponte di Piave (cfr. Archivio Parise. Le carte di una vita, a cura di M.
Brunetta, Canova, Treviso 1998).
45
Al riguardo cfr. M. Belpoliti, La fine dellArcadia cristiana, in Settanta, cit. pp. 61-65.
C chi ha individuato nel personaggio dalla voce dolcina schizzato in Antipatia una carica-
tura di Pasolini: Era una persona che molti in quegli anni ritenevano importante, o meglio,
che molti giudicavano segno della propria importanza ritenere importante. Ma aveva una
brutta faccia ossuta a forma di pugno, una bocca dentro un incavo osseo come certi sdentati
e soprattutto aveva occhi mobilissimi che non si fermavano mai negli occhi della persona con
cui parlava; G. Parise, Antipatia, in Id., Sillabario n. 1, cit., OP2, pp. 227-228. Sul rapporto
personale tra Parise e Pasolini cfr. gli interventi di Raffaele Manica e Raffaele La Capria in I
Sillabari di Goffredo Parise, atti del convegno I Sillabari di Goffredo Parise (Napoli, Istituto
Suor Orsola Benincasa, 4-5 novembre 1992), a cura di R. La Capria e S. Perrella, Guida,
Napoli 1994; e la testimonianza di Nico Naldini (N Naldini, Il solo fratello. Ritratto di Goffredo
Parise, Archinto, Milano 1989).
46
P. P. Pasolini, Ignazio Buttitta: Io faccio il poeta (1974) in Id., Saggi sulla politica e sulla
societ, cit., p. 458.
47
G. Parise, Il rimedio la povert, (1974), PRIS, p. 75 (corsivo mio).
496 Gianluigi Simonetti

Parise due giorni dopo47. Se la privazione materiale aveva un suo fascino filo-
sofico gi nel 1967, allepoca del viaggio in Vietnam non possedere nulla
non soltanto essenziale, ma d immediatamente diritto a tutto48 sembra
direttamente pasoliniana la contrapposizione tra un presente senza memoria
e senza cultura e un passato preindustriale da tempo defunto, o sopravvissu-
to a stento nel Terzo Mondo e nella riserva sottoproletaria della borgata:

In realt, chi viveva in queste riserve era povero ma assolutamente libero49.


Gli uomini di questo universo (...) erano cio consumatori di beni estremamen-
te necessari. Ed era questo, forse, che rendeva estremamente necessaria la loro
povera e precaria vita. Mentre chiaro che i beni superflui rendono superflua la
vita50.

Tutto il nostro Paese, che fu agricolo e artigiano (cio colto), non sa pi


distinguere nulla, non ha educazione elementare delle cose, perch non ha
pi povert, sostiene Parise; il nostro Paese solo grande mercato di nevro-
tici tutti uguali, poveri e ricchi, che comprano senza conoscere nulla, e poi
buttano via e poi ricomprano; la povert, infine, si cominci a impararlo,
un segno distintivo infinitamente pi ricco, oggi, della ricchezza51. Povert
come espressione di se stessi, dunque (e come prova tangibile di salute fisi-
ca52: altra associazione inconfondibilmente pasoliniana); mentre il benesse-
re importa alienazione, spossessamento, bruttezza soprattutto in quella gio-
vent dei primi anni Settanta che gli Scritti corsari descrivono come nevroti-
ca, laida, ottusa. Limmagine dei giovani infelici, che aprir nel 1976 Lettere
luterane ma che ha radici pi antiche nella saggistica pasoliniana si mesco-
la al sentimento di una degenerazione fisica e morale che coinvolge tutti gli
italiani, anche quelli di sinistra, anche gli antifascisti; e come tale risuona in
diverse pagine di Parise risponde:

Esiste, nel nauseante mercato del superfluo, anche lo snobismo ideologico e poli-
tico (...), i gruppuscoli (...). Oggi i pi snob tra questi sono dei criminali indiffe-
renziati, poveri e disperati figli del consumo53.

Il modello borghese ha annullato le differenze. Parise insiste a distinguere


tra la nebbiosa classe media, di recente stampo economico e professionale,

48
Id., Guerre politiche, cit., OP2 p. 789.
49
P. P. Pasolini, Esperienze di una ricerca sulle tossicomanie giovanili in Italia, a cura di Luigi
Cancrini (1973), in Id., Saggi sulla politica e sulla societ, cit., p. 441.
50
Id., 8 luglio 1974. Limitatezza della storia e immensit del mondo contadino, (1974), in
Id., Saggi sulla politica e sulla societ, cit., p. 321.
51
G. Parise, Il rimedio la povert, cit., PRIS, pp. 76-77 e 79.
52
Ivi, pp. 78-79.
53
Ibidem.
Il circuito della prosa. Letteratura e giornalismo in Goffredo Parise 497

cocktail di materialismo, consumismo, cultura televisiva, ira e vanit italia-


ne, e una borghesia liberale di matrice ancora ottocentesca, di cui invece
sente il fascino, da bravo figlio di poveri: cultura umanistica (in progress),
realismo, humour, ottima educazione interiore54. Per Pasolini la borghesia
resta invece un blocco unico, una proiezione e un fantasma: non tanto una
classe sociale, quanto una vera e propria malattia, una malattia molto con-
tagiosa55.

b. Ai giovani neoborghesi infelici e potenzialmente criminali, sia pure di


sinistra, si possono preferire gli italiani popolani e arcaici, reali o mitici che
siano. Il nove marzo 1975 Parise pubblica un appassionato Elogio dei poli-
ziotti, in risposta alla lettera spedita in redazione da un agente di pubblica
sicurezza. Parise rievoca i giorni del marzo del 1968, i moti studenteschi, gli
scontri di Valle Giulia:

Non posso fare a meno di pensare ai poliziotti e agli operai (e non agli studenti)
come parti reali, reali porzioni attive e popolari di uno Stato italiano. Molte sono
le ragioni di questo sentimento: prima fra tutte luguaglianza di classe (stessa
estrazione familiare e popolare e agricola) fra i poliziotti e gli operai. Stessi tipi
fisici. (...) Sentivo che i poliziotti e gli operai erano poveri e gli studenti ricchi. Al
tempo stesso vedevo che proprio l dove stava la debolezza (i poliziotti che per-
devano la partita) l stava anche il sogno dello Stato italiano. (...) Chi vinceva,
dobbligo, per diplomazia dobbligo, quei match, erano invece gli studenti. Che
rappresentavano, fisicamente, fisiognomicamente, non un qualsivoglia Stato ita-
liano ma la borghesia industriale italiana, cio quello che sarebbe stato, e che
infatti oggi , il vero Stato italiano56.

Le circostanze citate, gli argomenti, la stessa matrice semiotica (e perfino


fisiognomica) dellanalisi di Parise non possono non far pensare a Il PCI ai
giovani!!, la famosa poesia di Pasolini apparsa nel giugno 1969 (in versione
ridotta sullEspresso, poi integralmente e con autocommento in Nuovi
argomenti). Un testo che Parise conosceva bene, avendolo commentato pro-
prio sullEspresso, nel pieno del clamore suscitato da quei versi, allinterno
di un forum Le ceneri di Pasolini che raccoglie tra laltro le opinioni di
Montale, Piovene, Moravia e Butor:

Invitato a dire la mia opinione su una vicenda di cronaca (e non di poesia), dir
subito che la poesia (e non la cronaca) di Pasolini bella. S, bella. (...) la ricca
e colta espressione-sfogo di un ex povero, al tempo stesso confusa ed emozionante

54
G. Parise, Il borghese ideale, (1974), PRIS, p. 3.
55
P.P. Pasolini, Da Il caos sul Tempo (1968), in Id., Saggi sulla politica e sulla societ,
cit., p. 1097.
56
Id., Elogio dei poliziotti (1975), in PRIS, p. 197 e 199.
57
Id., Un artista rabbioso e decadente (1968), PRIS, p. 1363.
498 Gianluigi Simonetti

(confusa, appunto, dunque bella)57.


Parise mostra di apprezzare soprattutto lottica di classe con cui la poesia
stata composta, la carne di povero58 da cui proviene la voce che parla nel testo:
E poi, guardateli come si vestono: come pagliacci,/ con quella stoffa ruvida che
puzza di rancio/ fureria e popolo (...) / separati/ esclusi (in una esclusione che non
ha uguali);/ umiliati dalla perdita della qualit di uomini/ per quella di poliziotti
(lessere odiati fa odiare)/ (...) I ragazzi poliziotti/ che voi per sacro teppismo (di
eletta tradizione/ risorgimentale)/ di figli di pap, avete bastonato,/ appartengo-
no allaltra classe sociale./ A Valle Giulia, ieri, si cos avuto un frammento/ di
lotta di classe: e voi, amici (bench dalla parte/ della ragione) eravate i ricchi, /
mentre i poliziotti (che erano dalla parte/ del torto) erano i poveri59. Immagini
che ritornano anni dopo nellelogio parisiano dei poliziotti, specialmente nel rife-
rimento allabbigliamento degli agenti, che ne rivela la marginalit sociale:

Sentivo che i poliziotti e gli operai erano poveri e gli studenti ricchi.(...) Li vede-
vo infagottati in certe divise di grosso panno, con palt troppo lunghi, ripararsi
dietro patetici scudi di plastica trasparente, dietro certe visiere supplementari,
come chi perde60.

Nel rievocare i giorni di Valle Giulia il Parise del 1975 sembra da un lato
rimuovere, clamorosamente, il precedente famoso del PCI ai giovani!! (Tutti
ricordano come fosse odiata in quegli anni la polizia, solo Di Vittorio, mi
pare, parl in fraterna difesa di quei cafoni); dallaltro non si limita a riper-
correre le metafore pasoliniane gli agenti vittime di una esclusione sociale
operata dalla borghesia, come i poveri o i diversi ma forse anticipa, quan-
do difende il pudore e la superiore dignit degli agenti, certe osservazioni cui
Pasolini stesso arriver qualche mese pi tardi: Poliziotti o militari sono gli
unici, appunto, visibilmente, a conservare una certa grazia italiana antica61.

c. La difesa dei poliziotti, in Parise come in Pasolini, parte di un senti-

58
Pasolini poeta un artista-cervello con carne di povero ed ecco perch la sua poesia
bella. Mi ha fatto pensare a Franz Fanon, quando parla dei poliziotti italiani (o di s).
Personalmente credo che i poliziotti italiani, a differenza di quelli francesi, tutti citoyens,
tutti monsieurs, siano la stessa cosa dei colonizzati nordafricani di Fanon e i borghesi che li
chiamano terroni, i coloni. Ivi, p. 1364. Lintervento di Parise su Il PCI ai giovani!!, che alcu-
ni considerano decisamente polemico (M. Belpoliti, La fine dellArcadia cristiana, in
Settanta, cit., p. 62), mi pare in realt intriso di ambivalenza: solo la figura pubblica e politi-
ca di Pasolini viene duramente attaccata (non senza un sospetto di invidia per la capacit
pasolinana di fare notizia, esercitare sempre una pedagogia).
59
P.P. Pasolini, Il PCI ai giovani!!, in Id., Scritti sulla letteratura e sullarte, cit., pp. 1441-
1446.
60
G. Parise, Elogio dei poliziotti, cit., PRIS, p. 199.
61
P.P. Pasolini, Soggetto per un film su una guardia di PS (1975), in Id., Saggi sulla politi-
ca e sulla societ, cit., pp. 625-626.
Il circuito della prosa. Letteratura e giornalismo in Goffredo Parise 499

mento pi grande e complesso: il comune rifiuto della protesta sessantottina,


interpretata da entrambi, razionalmente, come fase della modernizzazione
capitalista e borghese, solo apparentemente rivoluzionaria, in realt consu-
mistica e omologante; inconsciamente vissuta come momento di conflitto
con figli poco amati, diversi, incomprensibili. Non solo dissenso, quindi, ma
qualcosa di pi viscerale, tra la condanna e laggressione: Molti conoscono,
credo, la mia profonda avversione per quelli che vennero chiamati gli anni
della contestazione; Lagire non pu consistere in altro che nellaggredire
il figlio, per poter restare appunto alla fine stesi nella polvere62. Se Pasolini
insiste sul degrado fisico dei giovani, Parise stigmatizza piuttosto lamerica-
nizzazione del loro stile di vita; rifiuta ad esempio il ricorso di massa ai blue-
jeans, omologante e antispirituale: Se non compri contestazione non sei
nella storia (come se non compri i jeans non sei nella storia)63. Ma prima
di lui proprio Pasolini aveva impiegato licona dei blue-jeans (e dei capelli
lunghi) per alimentare una violenta polemica contro il cinismo, il laicismo
tecnocratico, la sottocultura della contestazione. Pasolini, soprattutto, che
consegna a Parise lo schema di una possibile semiologia in diretta del costu-
me italiano, capace di interpretare il linguaggio della presenza fisica capel-
li, abbigliamento, espressioni del viso e di confrontarlo col linguaggio del
comportamento, magari attraverso leffetto di moltiplica dellesperienza pri-
vata (e della risonanza mediatica)64. Una lezione che Parise applica fedel-
mente in occasione di un intervento dellagosto 1974, quando alla vigilia del
referendum sul divorzio i volti e le parole di alcuni uomini politici Fanfani,
Almirante e Berlinguer vengono colte in una tribuna elettorale televisiva e
sottoposte ad analisi strutturale65.

d. Si sa che la polemica contro la televisione e i mass media rappresenta


uno dei pilastri del mito Pasolini; abbozzata nei suoi argomenti fondamen-
tali gi nella met degli anni Sessanta, essa culmina negli articoli dellottobre

62
G. Parise, Ancora su padri e figli (1974), PRIS, p. 115; P. P. Pasolini, Fuori dal Palazzo,
(1975), in Id., Saggi sulla politica e sulla societ, cit., p. 623.
63
G. Parise, Ancora su padri e figli, cit., PRIS, p. 115; Id., Nuovo potere e nuova cultura
(1976), OP2, p. 1408.
64
Cfr. P. P. Pasolini, 7 gennaio 1973. Il discorso dei capelli (1973); 15 maggio 1973.
Analisi linguistica di uno slogan (1973); Andrea Valcarenghi: Underground: a pugno chiuso
(1973), in Id., Saggi sulla politica e sulla societ, cit.
65
G. Parise, Le facce dei politici (1974), PRIS, pp. 99-104.Qualcosa di molto simile far
Pasolini qualche mese pi tardi, prendendo spunto dalla prima pagina di un quotidiano con
le foto di Moro, Fanfani, Piccoli, Colombo e Andreotti.Era una pagina anche tipografica-
mente particolare, simmetrica e squadrata come il blocco di scrittura di un manifesto, e, al
centro, ununica immagine anchessa perfettamente regolare, formata dai riquadri uniti di
quattro fotografie di quattro potenti democristiani. P. P. Pasolini, Bisognerebbe processare i
gerarchi DC, (1975), p. 632.
500 Gianluigi Simonetti

1975, interessanti anche perch saldano la protesta contro lautoritarismo


morbido del mezzo televisivo, gi pi volte denunciato in passato, al rifiuto
di una scuola dellobbligo descritta come iniziazione coatta e normalizzatrice
ai valori della borghesia66. Bisogna abolire immediatamente scuola e televi-
sione, la loro funzione altro non essendo che creare, col loro insieme, un pic-
colo-borghese schiavo al posto di un proletario e di un sottoproletario libe-
ro. A essere contestato non solo il contenuto repressivo dellinsegnamento
impartito, ma anche la forma carismatica della pedagogia televisiva, pi sub-
dola e dunque pi pericolosa di quella scolastica, tradizionalmente autorita-
ria (anche quando falsamente democratica):

Quanto alla televisione non voglio spendere ulteriori parole: ci che ho detto a
proposito della scuola dellobbligo va moltiplicato allinfinito, dato che si tratta
non di un insegnamento ma di un esempio: i modelli cio, attraverso la tele-
visione, non vengono parlati, ma rappresentati. E se i modelli son quelli, come si
pu pretendere che la giovent pi esposta e indifesa non sia criminaloide o cri-
minale? stata la televisione che ha, praticamente, (essa non che un mezzo)
concluso lera della piet, e iniziato lera delledon 67.

Un anno prima era stato Parise a confrontare le due scuole nazionali


il liceo e la televisione concludendo che esse non si integrano affatto. La
scuola per cos dire classica, tradizionale, nasce lontano e si sviluppa in societ
che non avevano previsto il consumo di tutto, la televisione nasce invece pro-
prio come scuola di consumo di tutto. Da questa frattura tra cultura uma-
nistica e cultura di massa si sviluppa allora una pericolosa dissociazione:

I ragazzi sentono che la scuola di Stato nel suo complesso umanistico parla una
lingua che non si parla pi. Automaticamente questo sentimento fa s che lau-
torit che fu della scuola di Stato passi nelle mani della televisione68.

La sfuriata parisiana contro il Carosello, che insegna limitazione, anti-


cipa cos di qualche mese lanaloga invettiva di Pasolini contro la rclame con-
sumistica, col suo edonismo perfettamente irreligioso (macch sacrificio,
macch fede, macch ascetismo, macch buoni sentimenti, macch rispar-
mio, macch severit dei consumi)69. Ma in Italia Pasolini prima di tutti

66
P.P. Pasolini, Due modeste proposte per eliminare la criminalit in Italia (1975) e Le mie
proposte su scuola e tv (1975), in Id., Saggi sulla politica e sulla societ, cit., pp. 687-699. Un
precedente significativo linvettiva Contro la televisione (1966), Ivi, pp. 128-143.
67
Id., Due modeste proposte per eliminare la criminalit in Italia, cit., pp. 691-692.
68
G. Parise, Scuola e tv (1974), PRIS, pp. 95-96.
69
Ibidem, p. 95; P. P. Pasolini, 22 settembre 1974. Lo storico discorsetto di Castelgandolfo
(1974), in Id., Saggi sulla politica e sulla societ, cit., p. 354.
Il circuito della prosa. Letteratura e giornalismo in Goffredo Parise 501

aveva denunciato le responsabilit della televisione nellelaborare (e non solo


divulgare) messaggi autoritari e deformanti, nel cambiare nel profondo li-
dentit, la psiche, le categorie percettive della nazione:

Non c dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repres-
siva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le
scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) lara-
tro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non stato sostanzialmen-
te in grado di scalfire lanima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i
nuovi mezzi di comunicazione e di informazione, non solo lha scalfita, ma lha
lacerata, violata, bruttata per sempre...70

e. Quella di nuovo fascismo appunto una categoria che Parise deduce


da Pasolini. Nellottobre del 1974 entrambi partecipano alla tavola rotonda
che Panorama dedica a Fascista, il film di Nico Naldini basato su vecchi
brani di cinegiornali Luce; ed entrambi ne scrivono, a pi riprese, sui gior-
nali. Per Pasolini il fascismo mussoliniano, storico e contadino, appare nel
film come un fenomeno morto e sepolto; per Parise risulta clamorosa-
mente, scandalosamente ridicolo, devitalizzato, arcaico. Comune risulta la
liquidazione del soggetto Mussolini, ormai irreale per Parise, archeolo-
gico per Pasolini 71:

Il fascismo durato al potere ventanni. Sono trentanni che caduto. Dovrebbe


dunque essere gi dimenticato, o almeno sbiadito, passato di moda, impopolare.
In sostanza cos. Un fascismo come quello del 1922-1944 non potrebbe pi
andare al potere in Italia72.

Lidea della continuit tra potere fascista e potere democristiano, neutra-


lizzati entrambi dal nuovo universo dei consumi, notoriamente la rampa di

70
Id., 9 dicembre 1973. Acculturazione e acculturazione (1973), in Saggi sulla politica e sulla
societ, cit., p. 293.
71
Id., Fascista (1974), in Saggi sulla politica e sulla societ, cit., p. 519; G. Parise, Le lette-
re dei fascisti,(1974), PRIS, p. 148. La stessa categoria di irrealt, che Parise usa spesso negli
articoli sul Corriere e in particolare nelle sue analisi sul fascismo, sulla televisione, sulla
droga viene probabilmente da Pasolini, il quale la usa spesso, specialmente per designare la
sottocultura dei massmedia e quindi della comunicazione di massa (P.P. Pasolini, Abiura
dalla Trilogia della vita (1975), in Id., Saggi sulla politica e sulla societ, cit., pp. 599-60). Ma
lo stesso Pasolini laveva presa in prestito dalla Morante: La parola irrealt, per indicare
quellimmagine del mondo che filtrata dai falsi valori, nasce da lei (della pseudo-cultura o,
come dice pi esplicitamente la mia amica Elsa Morante, dellirrealt), ma progressivamente
Pasolini se la annette (Che Elsa Morante e io chiamiamo irrealt). W. Siti, Elsa Morante nel-
lopera di Pier Paolo Pasolini, in Studi novecenteschi, XXI, 47-48, giugno-dicembre 1994,
pp. 135-136.
72
P.P. Pasolini, 28 marzo 1974. Previsione della vittoria al referendum, (1974), in Id., Saggi
sulla politica e sulla societ, cit., p. 297.
502 Gianluigi Simonetti

lancio della teoria pasolinana della mutazione antropologica, realizzata in


Occidente da un nuovo, attuale e pi sottile fascismo, quello del benessere
(Io credo, lo credo profondamente, che il vero fascismo sia quel che i socio-
logi hanno troppo bonariamente chiamato la societ dei consumi); Parise
approva senza riserve, e per una volta apertis verbis (Ha ragione Pasolini
quando parla di nuovo fascismo senza storia)73.

f. Nel rapporto a distanza sulle pagine del Corriere accade di rado che
Parise chiami in causa Pasolini per dissentire dalle sue idee (sebbene non
manchino prese di posizione diverse su temi scottanti di attualit, come ad
esempio il referendum sullaborto): succede per quando propone provoca-
toriamente il ripristino del potere temporale della Chiesa, replicando pole-
micamente allidea pasoliniana, altrettanto provocatoria ma diametralmente
opposta, di chiedere al Papa una definitiva rinuncia a ogni potere, e di vive-
re in mezzo ai poveri:

Se facendo una donazione della grande scenografia (folcloristica) dellattuale


sede vaticana allo Stato italiano, e regalando il ciarpame (folcloristico) di stole e
gabbane, di flabelli e sedie gestatorie agli operai di Cinecitt il Papa andasse a
sistemarsi in clergyman, coi suoi collaboratori, in qualche scantinato di
Tormarancio o del Tuscolano, non lontano dalle catacombe di San Damiano o di
Santa Priscilla la Chiesa cesserebbe forse di essere Chiesa?74
Labdicazione definitiva dellautorit temporale (il Papa a Tormarancio) auspica-
ta da Pasolini, o al contrario, il ripristino del potere temporale (parte diretta del-
lamministrazione del nostro Paese) auspicata da me hanno infinitamente pi
autorit spirituale che il compromesso commerciale con i tempi75.

Si tratta di un dissidio solo apparente, che nasconde e forse vuole


nascondere una identit di vedute latente: le due soluzioni opposte nasco-

73
P.P. Pasolini, Fascista, cit., p. 519; G. Parise, Il rimedio la povert, cit., PRIS, p. 78. Un
altra battaglia comune quella per la libert omosessuale, come si vede in occasione delle-
splodere del caso Schneider: stavolta la polemica di Pasolini verso la reazione canagliesca e
fascista della stampa alla rivelazione della omosessualit dellattrice segue quella di Parise il
quale osservando una fotografia di Maria Schneider e Joan Tawnsend (candore ed eccentricit
da dandysmo vittoriano opposti a una Italia realista e famigliare) esprime commozione,
invidia e ammirazione per il loro amore. G. Parise, Maria e Joan, (1975), PRIS, p. 192; P.P.
Pasolini, Cuore (1975), in Id., Saggi sulla politica e sulla societ, cit., p. 400. Il senso della
mutazione spiegato nello Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia (1974), in Id., Saggi
sulla politica e sulla societ, cit., pp. 307-312.
74
P. P. Pasolini, 6 ottobre 1974. Nuove prospettive storiche; la Chiesa inutile al potere
(1974), in Id., Saggi sulla politica e sulla societ, cit., p. 361.
75
G. Parise, Un Ges commerciale (1974), PRIS, pp. 145-146. Belpoliti parla di provo-
cazione opposta e simmetrica a quella di Pasolini. M. Belpoliti, La fine dellArcadia cristiana,
in Settanta, cit., p. 77.
Il circuito della prosa. Letteratura e giornalismo in Goffredo Parise 503

no infatti da unanalisi condivisa dello scacco della fede tradizionale. Secondo


Pasolini il disfacimento dellItalia contadina richiede che il cattolicesimo
istintivo del popolo italiano ceda il passo, magari inconsciamente, a qual-
cosa di peggio della religione76: alla mistica del consumo. Una soluzione
provvisoria quella di rendere consumisticamente appetibile anche la fede;
ma una volta ridotto a merce, il divino non pu che perdere di prestigio, e
con esso la Chiesa: la religione sta deperendo come autorit e forma di pote-
re, e sopravvive in quanto ancora prodotto naturale di enorme consumo e
forma folcloristica ancora sfruttabile. Anche per Parise la lesione si produ-
ce proprio l dove maggiore , oggi, la debolezza della Chiesa: nella sua auto-
rit (il suo fascino)77. Nel maggio del 1973 Pasolini aveva preso spunto dal
folle slogan dei jeans Jesus (Non avrai altri jeans allinfuori di me) per
riflettere sulla obsolescenza dei valori cristiani nella societ dei consumi; nel
novembre del 1974 Parise si sofferma sulla immagine di un Ges attualizza-
to sulla copertina di Famiglia mese per rilevare laffermazione del potere
carismatico della pubblicit commerciale su tutto, anche sulla religione: la
Chiesa cattolica, e la figura del cristo o dovrebbe essere a punta pi alta del
suo fascino, riconosce le leggi commerciali e potentissime del consumo mate-
riale come leggi utili a cui obbedire o, quanto meno, di cui servirsi78.

g. Anche per Parise lItalia rurale finita per sempre; senza citare Pasolini, e
proponendo una periodizzazione leggermente diversa rispetto quella dellarti-
colo delle lucciole, Parise ammette che lItalia non vuole pi essere lItalia:
della nazione umanistica, autoctona, locale non rimangono che frammenti
(Questi frantumi non si trovano n si apprendono nelle scuole classiche, bens
stanno nascosti in una specie di sacca culturale, pre-storica e pre-politica, che
ci portiamo dietro dal nostro passato agricolo, popolare, paesano e cattolico)79.
Il corpo del Paese si presenta scisso, plasticamente, fisicamente:

Da una parte le testimonianze e le immagini di un vecchissimo passato (lItalia


monumentale, storica e agricola), dallaltra una no mans land senza storia: lItalia
della speculazione edilizia, delle piccole e grandi industrie, delle autostrade alla-
mericana, dei motel, degli snack80.

Ma per Parise questa ferita non implica alcuna vera mutazione; sussiste

76
P.P. Pasolini, Marzo 1974. Altra previsione della vittoria al referendum (1974), in Id.,
Saggi sulla politica e sulla societ, cit., p. 361.
77
Id., Analisi linguistica di uno slogan, cit., p. 282; G. Parise, Un Ges commerciale, (1974),
PRIS, p. 145. I corsivi sono miei.
78
Id., Analisi linguistica di uno slogan, cit., p. 279; G. Parise, Un Ges commerciale, cit.,
PRIS, p. 145.
79
Id., Le facce dei politici, cit., PRIS, pp. 99-100.
80
Id., Scuola e tv, cit., PRIS, p. 97.
504 Gianluigi Simonetti

semmai una continuit antropologica, una persistente tradizione particolari-


stica, anarchica e individualista che fa dellItalia da sempre un lotto, un
corpo eternamente separato81. Soprattutto, accanto al senso di un sacrilegio
in atto, agisce il rifiuto del rimpianto e della nostalgia; un tratto, questo,
potentemente antipasoliniano:

N ricordo pi lItalia di venti-trentanni fa. E la colpa non mia, ma della forza


delle cose (la storia) che ha mutato profondamente il volto del nostro paese.Non
ricordo e non voglio ricordare, per molte ragioni, conscie e subconscie. Prima fra
tutte perch lItalia di trentanni fa lontana, lontanissima, in tutti i suoi aspet-
ti, politici, culturali, linguistici, fonici, agricoli, non soltanto paesaggistici; poi
non la ricordo pi perch non voglio ricordare la mia giovinezza, perch essa non
c pi, scomparsa in tutti quegli aspetti detti or ora; poi non la voglio ricordare
(se non in letteratura, per testimonianza) perch, la realt del nostro Paese essen-
do profondamente mutata, sento la necessit di vivere oggi e non ieri; ancora non
la voglio ricordare perch la conservazione del ricordo (come la conservazione
delle cose) un dato al tempo stesso statico e regressivo che, in modo assoluta-
mente certo, viene travolto dalla realt contingente di oggi, quella in cui, lo
vogliamo o no, siamo ancora impegnati a vivere82.

Due anni dopo la morte di Pasolini, lintroduzione a New York accetta di


parlare di rivoluzione, riconosce che un passaggio epocale si consumato,
insomma rende definitivo omaggio alla intuizione luterana e corsara di un
dopostoria consumistico che cancella il passato e omologa il mondo sulla
base di un modello borghese. Nel mettersi finalmente dalla parte di Pasolini,
e cio dalla parte della vecchia cultura in via di estinzione, Parise sottolinea la
differenza tra quel destino esemplare di vittima e il proprio ostinato guarda-
re avanti; due modi diversi di attraversare il cambiamento:

Linvasione consumistica, se cos si pu chiamare, avvenne dopo e coincise con


il miracolo economico italiano. Allora cominci lamericanizzazione dellEuropa,
specialmente dellItalia. Cosa avvenne? Avvenne semplicemente, con un silenzio
e una mancanza di informazione tipica dei processi biologici, che il modo di vive-
re italiano cominci a scomparire per lasciare il posto al modo di vivere america-
no. Scomparve dallItalia la povert, la vera povert, nacque il benessere, ma
scomparve anche la vecchia cultura, quella di cui ho fin troppo parlato in alcuni
contrastati articoli sul Corriere della sera nellestate scorsa. (...). Di questo avve-
nimento fondamentale per il nostro paese (ma non soltanto per il nostro paese)
furono in pochissimi ad accorgersi, pochissimi conobbero e toccarono con mano,
con la mente e il cuore, cio proprio con la propria stessa vita, la grande rivolu-
zione. Alcuni, come Pasolini, con disperazione e fino allannientamento della
propria persona fisica. Altri, come me, con uno stato danimo dapprima altret-

81
Id., LItalia dei lotti (1975), PRIS, pp. 186-187.
82
Ibidem.
Il circuito della prosa. Letteratura e giornalismo in Goffredo Parise 505

tanto disperato, poi, con lenergia che d sempre la cultura, ogni giorno di pi
interlocutorio. Personalmente sentivo e sento che nella grande rivoluzione della
nuova cultura, di cui al tempo stesso artefice e vittima la grande massa del
popolo italiano, c una enorme carica di energia, la brutale energia dello spreco,
che ha fatto, fa e senza dubbio far molte vittime. Una di queste appunto Pa-
solini83.

5. La critica ha notato che dopo il 1975, cio dopo il delitto di Ostia, gli
articoli di Parise sul Corriere sembrano far propri, in maniera sempre pi
esplicita, temi e questioni pasoliniani84. Nel 1976 Parise comincia a parlare
di nuovo potere e nuova cultura, di palazzo e di sessualit omologata; si
sofferma sul pestaggio consumistico e permissivo nato dal miracolo eco-
nomico italiano, e colloca nella met degli anni Sessanta alla maniera di
Pasolini la fine della cultura classica; discute della mancanza, tutta italia-
na, di una fase intermedia, di decompressione consumistica, come vi stata
negli Stati uniti e in Francia85. La presenza di Pasolini resta forte fino alme-
no al 1978. Nel 1979 comincia la stesura dellOdore del sangue.

Possiamo finalmente rispondere alla domanda che apriva il paragrafo pre-


cedente. Non vero che il Parise polemista possa oggi tornarci pi utile di
certe pur geniali intuizioni luterane, n che i suoi scritti di costume siano
addirittura superiori a quelli di Pasolini anzi appare evidente che piut-
tosto questultimo a influire su Parise, e quasi mai il contrario86. Va detto
invece che il dialogo implicito con Pasolini sulle colonne del Corriere for-
nisce un fondamentale contributo alla genesi dellOdore del sangue, e a quel-
la di alcuni sillabari ad esso certamente correlati (Sesso e Roma, ad esempio)87.
Anche in questo caso la rielaborazione di un materiale in origine critico e
giornalistico a determinare lassetto del progetto letterario e a condurre lau-
tore in uno spazio narrativo per lui nuovo. Personaggi e situazioni dellOdore
del sangue sembrano desunti in parte da una materia scottantemente auto-
biografica88, in parte da una miscela di fatti di cronaca e riflessioni sociologi-

83
G. Parise, New York, cit., OP2, p. 999-1000.
84
M. Belpoliti, La fine dellArcadia cristiana, in Settanta, cit., p. 82.
85
G. Parise, Nuovo potere e nuova cultura, cit., OP2, pp. 1400-1411. Cfr. anche M.
Belpoliti, La fine dellarcadia cristiana e La pietra e il cuore, in Settanta, cit., rispettivamente p.
82 e p. 224.
86
Cfr. rispettivamente S. Perrella, Introduzione, PRIS, cit, p. XXI; A. Zanzotto,
Introduzione, OP1, p. XXXIII; M. Belpoliti, Settanta, cit., p. 282.
87
Considerazioni sulle risonanze pasoliniane e moraviane dellOdore del sangue in M.
Giancotti, Fascismo, fascino. Tentazioni di un reporter: Lodore del sangue di Parise, in Studi
novecenteschi, 69, 2005, pp. 209-231.
88
Chi di dovere, la critica, ha messo le mani avanti dicendo che il centro del libro pura
invenzione, mentre la cornice autobiografica. Io rovescio il discorso; il centro la realt (pure
506 Gianluigi Simonetti

che sulla societ italiana dei tardi anni Settanta. Ed qui che agisce linflus-
so di Pasolini, qui che si sente il lungo confronto con gli articoli luterani:
nella parte pi a tesi dellOdore del sangue. Dalla categoria luterana di
nuovo fascismo, pervasivo e criminogeno, viene certamente lidea di fare
dellamante di Silvia un giovane militante di estrema destra, forse di Ordine
Nuovo, e al tempo stesso un ragazzo alla moda che veste jeans, giubbot-
to di cuoio e scarpe da ginnastica, va in palestra e beve Coca-cola:

Un ragazzo qualunque del generone romano, circondato di parenti romani, bac-


chettoni e papalini, smarrito (...). Un ragazzo, certamente nevrotico come mille
altri, dei Parioli, di Piazza del Popolo, del Pantheon, ma anche delle borgate, del
sottoproletariato, uno delle centinaia di migliaia di ragazzi di cui impossibile
riconoscere lorigine sociale. (Frutto) di quel mutamento, di quella omologazio-
ne antropologica di cui parlava Pasolini89.

Dalle pagine pasolinane sulla rivoluzione antropologica, sul degrado con-


sumistico, sulla confusione tra borghesia e borgata discendono alcuni pae-
saggi metropolitani del romanzo:

Erano non so pi se le tre o le quattro, e Roma mostrava il suo volto notturno


fatto sostanzialmente di spazzatura vagante, di qualche pantera della polizia,
urlante, di ragazzi in giubbotti di cuoio che sfrecciavano rombando in motoci-
cletta. Eccoli, erano loro, i giustizieri della notte, quelli che avevano assassinato
Pasolini, quelli che avevano stuprato le ragazze del Circeo, quelli che avevano
bruciato un somalo dormiente su un letto di cartoni, per scherzo. Intravedevo
le loro facce, anche nella velocit della corsa. Parevano facce americane, alcune
bionde e butterate, altre nere dai capelli ricci, di arabi americanizzati. Erano, nella
loro anonima e meccanica criminalit, le facce di Roma. Dei figli della borghesia
o delle borgate di Roma, la stessa cosa: entrambi vestiti allo stesso modo, entram-
bi con fattezze di tipo americano e criminoide con appena una punta di quella
vanit e brutalit mediterranea e romana che si vede appunto a Roma90.

Facce pronte a chiedere perdono in ginocchio come a minacciare a ricat-


tare, con la prepotenza e la violenza di quella loro stessa naturalezza: lap-
pendice al romanzo accantonata dallautore forse proprio perch troppo
pasoliniana91 sembra rifarsi direttamente ai Giovani infelici:

con le deformazioni che ogni trascrizione comporta), e la cornice inventata. Anzi, per me la
cornice non c neanche (N. Naldini, Quel libro non deve stupire, in Corriere del Veneto-
Corriere della sera, 21 marzo 2004, cit. in M. Giancotti, Fascismo, fascino, cit., p. 228.
89
G. Parise, ODS, pp. 229-230. Sulla mescolanza di ingredienti ideologici ed edonisti
nella costruzione del personaggio del ragazzo dellOdore del sangue cfr. M. Giancotti, Fascismo,
fascino, cit., p. 216.
90
Ivi, pp. 90-91.
91
Ivi, p. 233; G. Magrini, Nota al testo, ODS, p. XXIV.
Il circuito della prosa. Letteratura e giornalismo in Goffredo Parise 507

Non c gruppo di ragazzi, incontrato per strada, che non potrebbe essere un
gruppo di criminali. Essi non hanno nessuna luce negli occhi: i lineamenti sono
lineamenti contraffatti di automi, senza che niente di personale li caratterizzi da
dentro. La stereotipia li rende infidi. Il loro silenzio pu precedere una trepida
domanda di aiuto (che aiuto?) o pu precedere una coltellata92.

Infine, la vita stessa di Pasolini, e soprattutto la sua morte violenta, ad


avere con tutta probabilit ispirato il nucleo narrativo dellOdore del sangue:
il corpo martoriato del poeta dietro il cadavere straziato di Silvia allobitorio
(Il suo corpo, reso verdastro dalla morte, portava i segni delle lamette, intor-
no al pube e intorno ai seni. I suoi occhi erano chiusi, le belle e gonfie lab-
bra di un tempo di un colore violaceo e leggermente contorte, come la smor-
fia ripugnata e ripugnante di sensualit che conoscevo cos bene93); la fisio-
nomia di Pino Pelosi lassassino di Pasolini dietro quella dei ragazzi di
Parise:

La Roma della putrefazione politica, sopratutto la Roma della violenza schizofre-


nica e consumistica. Strane facce, le osservai a lungo. Anchessi, di tanto in tanto,
mi gettavano unocchiata, ma non era lora, quella, del linciaggio. Il linciaggio era
gi stato compiuto forse da qualche parte durante la notte. La spedizione puniti-
va di quelle facce aveva itinerari casuali che nascevano sempre come scherzi, come
occasione di fare qualche risata e sopratutto di esprimere se stessi. Il pestaggio di
un omosessuale, per esempio, lassassinio e la fuga, come topi nelle fogne 94.

Se i Sillabari dialogano soprattutto con i reportage, Lodore del sangue


chiude la partita con Pasolini che Parise risponde aveva aperto cinque anni
prima, e che gli articoli per il Corriere avevano contribuito ad alimentare.
I due libri forse pi belli di Parise certamente i suoi pi ricchi di futuro
scaturiscono da una materia anche e soprattutto giornalistica: dalla ricchezza
interna al circuito della prosa.

92
P. P. Pasolini, I giovani infelici (1976), in Id., Saggi sulla politica e sulla societ, cit., p.
544. Si ricordi il finale di Roma: Appoggiato allo stipite della nicchia un giovane alto con dei
gran capelli crespi, di cui si vedeva chiaramente il sorriso mezzo invitante, mezzo disgustato,
biancheggiare nel viola. [...] Gli parve di udire il nome di Al mentre osservava il vestito luci-
do e stretto delletiope che fece come un balzo: tale era la passivit della luce viola nel cielo
notturno e la persistente sordit da analgesico, che luomo non si rese immediatamente conto
che letiope laveva colpito con un coltello. G. Parise, Roma, in Id., Sillabario n. 2 (1982),
OP2, p. 490.
93
Id., ODS, p. 228.
94
Ivi, pp. 232-233. Il giovane fascista che uccide Silvia, la moglie della voce narrante
dellOdore del sangue, possiede le fattezze fisiche dei ragazzi amati da Pasolini (M. Belpoliti,
La fine dellArcadia cristiana, in Settanta, cit., p. 82). Nella copia di Scritti corsari che apparte-
neva a Parise conservato un ritaglio di giornale con unintervista allassassino di Pasolini
(Pelosi: ho ucciso un granduomo. Studio per scrivere un libro, Corriere della sera, 5 giugno
1976). Cfr. M. Giancotti, Fascismo, fascino, cit., p. 214, n.
VALERIA MEROLA

La commedia umana di Alberto Moravia

Nel Diario Europeo, che raccoglie gli interventi giornalistici apparsi sul
Corriere della sera tra il 1984 e il 1990, Alberto Moravia sostiene la teoria
di un parallelismo integrale e non intuitivo tra letteratura e realt, per cui non
solo luniverso letterario risente dellinfluenza del reale, ma anche la vita sem-
bra dialogare ampiamente con limmaginario libresco, riproponendone situa-
zioni e personaggi. Le numerose analogie tra realt e letteratura1 dimostra-
no lesistenza di un legame intimo, che autorizza sia una scrittura impronta-
ta sul verosimile, se non addirittura sul vero, sia un intervento sul reale che
dei modi letterari riprende non solo lo stile, ma anche lo sguardo e latteg-
giamento.
Del realismo adottato come cifra distintiva dallo scrittore di romanzi e
racconti si molto parlato, insistendo sul gusto moraviano per la ricostru-
zione fedele di interni borghesi e personaggi popolari e sullispirazione di
matrice marxista ed esistenzialista. Ma linteresse per il reale non solo un
ingrediente della fiction e va oltre le pagine narrative, fino allintervento in
prima persona sulle colonne delle principali testate giornalistiche. Del resto
il lavoro giornalistico non pu essere considerato un momento accessorio
rispetto al complesso della produzione moraviana, quasi concepita in rap-
porto a un ideale di poligrafismo tuttaltro che estraneo dalla nostra tradizio-
ne. Al contrario, gli articoli sulla stampa periodica costituiscono un elemen-
to di continuit in tutto e per tutto paragonabile alla narrativa, non a caso
praticata spesso nella forma breve destinata alla pubblicazione sui giornali. Si
pensi che i suoi primi articoli sono coevi rispetto agli esordi narrativi e

1
Alberto Moravia, Diario Europeo. Pensieri, persone, fatti, libri, 1984-1990, Bompiani,
Milano 1993, p. 57. Nella sua Introduzione a Impegno controvoglia, Simone Casini parla di
forte intenzionalit realistica nellopera narrativa di Moravia, nella quale sono infatti evi-
denti molti spunti di analisi critica, di riflessione ideologica, di tensione utopica, di ribellione
a un ordine fittizio. Secondo Casini, la critica del mondo borghese e la richiesta di ragioni
valide per una partecipazione attiva alla realt contemporanea non sono per Moravia il porta-
to di unattivit intellettuale e politicamente impegnata, ma il frutto e il senso stesso della sua
ricerca letteraria: Simone Casini, Lo scrittore e lintellettuale, in Alberto Moravia, Impegno con-
trovoglia. Saggi, articoli, interviste: trentacinque anni di scritti politici, a c. di Renzo Paris,
Bompiani, Milano 2008, pp. V-XXXIII.
510 Valeria Merola

accompagnano la scrittura creativa fino allultimo momento (dagli articoli


per La Stampa e la Gazzetta del Popolo negli anni Trenta alla collabora-
zione con il Corriere della sera a partire dagli anni Settanta).
Gli interventi giornalistici pi immediatamente vicini alla sua attivit let-
teraria sono naturalmente i numerosissimi reportage di viaggio, che Moravia
realizz per lo pi su commissione. Le ricche pagine apparse su riviste e quo-
tidiani (tra le altre soprattutto il Corriere della sera e LEspresso) rappre-
sentano una parte cospicua nel corpus dellopera moraviana, di per s attratta
dal motivo del viaggio. Le corrispondenze hanno mostrato gli aspetti singo-
lari, particolarmente cari alla curiosit dellautore, di interi continenti, primo
fra tutti quello africano. La cifra dellesotico, in combinazione con un natu-
rale atteggiamento di pluralismo culturale, ha caratterizzato laspetto pi visi-
bile di questa produzione (Un mese in URSS, 1958; Unidea dellIndia, 1962;
La rivoluzione culturale in Cina, 1968; A quale trib appartieni?, 1972; Lettere
dal Sahara, 1981; Passeggiate africane 1987; fino al volume postumo dei
Viaggi, in cui Enzo Siciliano ha raccolto in ordine cronologico limmensa
mole degli articoli inediti in volume2).
Se la parte pi cospicua e professionalmente rilevante dellattivit giorna-
listica moraviana quella dedicata al cinema (sullEspresso Moravia tenne
una rubrica settimanale di recensioni cinematografiche, dalla fondazione
della rivista fino alla sua morte, poi confluita nel volume Al cinema del 1975),
un risalto non meno importante ebbero gli scritti pi specificamente giorna-
listici, incentrati su tematiche politiche e sociali. Lampia mole di tali scritti
ha trovato una parziale organizzazione sistematica per iniziativa dello stesso
autore in vari volumi, dallImpegno controvoglia, del 1980, in cui sono riuni-
ti gli articoli politici e sociali, allInverno nucleare, con cui nel 1986 d una
collocazione editoriale allinchiesta sulla bomba atomica, fino al Diario
Europeo, pubblicato postumo nel 1993, con gli interventi usciti nella omoni-
ma rubrica del Corriere della sera tenuta dallautore negli ultimi anni della
sua vita, dopo lincarico politico al Parlamento Europeo.
Come si evince dal titolo della sua pi conosciuta raccolta di scritti gior-
nalistici, latteggiamento moraviano di fronte alla partecipazione intellettua-
le alla vita politica e sociale decisamente controvoglia, nel senso di una
militanza che non mai totale e che non investe n linsieme della sua opera,
n lo specifico del suo fare letterario3. NellIntervista sullo scrittore scomodo,
che concede a Nello Ajello nel 1978 4, Moravia distingue con nettezza la figu-
ra dellintellettuale da quella dellartista, sottolineando come un intellettua-

2
A. Moravia, Viaggi. Articoli 1930-1990, a c. di Enzo Siciliano, Bompiani, Milano 1994.
3
Casini scrive che il Moravia intellettuale controvoglia nasce probabilmente dalla cri-
tica e dal superamento narrativo del modello dellintellettuale organico, Casini, Lo scrittore
e lintellettuale, cit., p. XVI.
4
A. Moravia, Intervista sullo scrittore scomodo, a c. di Nello Ajello, Laterza, Roma-Bari
2008 (I edizione 1978).
La commedia umana di Alberto Moravia 511

le non sia mai, o di rado un artista5. La separazione definita in funzione


del diverso rapporto che i due intrattengono con la societ, essendo lartista
fondamentalmente antisociale. Per Moravia allarte non spetta alcun ruolo
sociale, perch essa esaurisce la sua presenza in societ nel non essere utile a
nessuno6. Lartista agisce nella collettivit come il sogno nellindividuo,
come una valvola di sfogo del represso, che influisce nel tessuto sociale senza
intervenire in esso. Al contrario, lintellettuale un dispensatore di pensie-
ri, capace di organizzare la realt7 e quindi di proporre il proprio punto di
vista. Limprobabilit che i due ruoli si fondano nella stessa figura giustifica
la necessaria separazione dellarte dalla militanza nel mondo reale. Moravia
pone in questa prospettiva la sua teoria del disimpegno della letteratura, inte-
so come spazio di autonomia della pagina narrativa, che non deve assumersi
responsabilit che esulino dalle competenze dellarte.
la stessa tradizione ad autorizzare una tale scissione tra i due orizzonti,
perch lesempio dei grandi poeti del passato dimostra lindipendenza della
letteratura, che pu non assumere posizioni politiche. Al contrario, secondo
Moravia,

la letteratura ha una natura tale da escludere limpegno. Un intellettuale che


voglia sentirsi impegnato dispone di altri modi per manifestare questa vocazione:
larticolo di giornale, il pamphlet, il discorso di piazza. Perch scomodare il
romanzo o la poesia? Per me un romanzo impegnato un cattivo romanzo come
opera darte e una cattiva propaganda come opera politica8.

Di tale natura appunto sono le riserve di Moravia nei confronti del capo-
lavoro manzoniano, come risultano nel saggio sullIpotesi di un realismo cat-
tolico 9. Limpegno concepibile solo nei luoghi ad esso deputati e non nello
spazio dellarte. Alla letteratura spetta il compito di elaborare una memoria
comune, in un diario collettivo, che filtri lesperienza. Lintellettuale che
voglia dire la verit trover modo di dar voce ai suoi pensieri tramite i mass
media, che sono mezzi che consentono a uno scrittore di non tacere10. in
questo senso che Moravia intende limpegno, come possibilit di intervenire
nel dibattito culturale e sociale servendosi dei giornali, senza per questo met-
tersi a sua volta al servizio della carta stampata.

Penso che il moralismo una gran bella cosa, ma la personalit pi importan-


te della morale. A un certo livello di personalit non lo dico per vanit, non

5
Ivi, p. 69.
6
Ivi, p. 70.
7
Ibidem.
8
Ivi, p. 33.
9
A. Moravia, Alessandro Manzoni o lipotesi di un realismo cattolico, in Id., Luomo come
fine, Bompiani, Milano 1964, pp. 167-205.
10
Id., Intervista sullo scrittore scomodo, cit., p. 63.
512 Valeria Merola

parlo solo per me ci si pu permettere di scrivere anche sui giornali non del
tutto omogenei a se stessi. Sui giornali che ci sono. Bisogna essere abbastanza
forti, insomma, per servirsi dei giornali e non servirli11.

Rispondendo ad una domanda di Nello Ajello che gli chiede come uno
scrittore, che si professa di sinistra, possa scrivere su testate allineate con il
potere costituito, Moravia insiste sulla forza comunicativa dellintellettua-
le, che trascende i limiti contingenti della pagina senza esaurirsi in essa. Ep-
pure, nonostante il suo impellente bisogno di non tacere, egli si discosta
dallimpegno politico attivo12, rifiutando di prendere anche solo la tessera di
un partito perch larte vuole la ricerca dellassoluto13 , fino al 1985,
quando viene eletto al parlamento europeo come indipendente nelle liste del
PCI.
Sempre nella stessa intervista Moravia definisce i termini del suo impegno
intellettuale, inserendolo nel complesso della sua attivit, come naturale esito
di un modo di porsi nei confronti del mondo. Risalendo agli esordi della sua
carriera di scrittore, egli ricostruisce la propria incapacit iniziale di separarsi
dal punto di vista borghese di origine e linfluenza enorme esercitata su di lui
dalle suggestioni letterarie.

Tuttavia, esisteva in me un elemento che inconsciamente stava diventando poli-


tica: ed era il mio moralismo, qualcosa che si sviluppava prepotente e istintivo
come un bisogno fisiologico. Linteresse politico nacque in me su questa base
morale, e non come dire? tecnica. [...] La mia rivolta era individuale, solita-
ria e perci, forse, pi violenta14.

Filtro per metabolizzare lesperienza politica, il moralismo si presenta


come perno su cui poggia tutto il sistema di pensiero moraviano, che in esso
trova un punto di saldatura. nella prospettiva morale che si incontrano
infatti la scrittura narrativa e quella giornalistica, ugualmente orientate verso
lelaborazione di un codice pratico.
Negli scritti giornalistici egli adotta un metodo analogo a quello dei
romanzi, procedendo con tesi e argomentazioni. Proprio come nella sua nar-

11
Ivi, p. 64.
12
Sento che fra lartista e le masse il rapporto veramente sgradevole, penoso. un rap-
porto basato su un malinteso, sulladulterazione, sulla demagogia. So che mi annoierei profon-
damente, ivi, p. 35.
13
A. Moravia, Moravia intervista Moravia candidato, in Idem, Linverno nucleare,
Bompiani, Milano 1986, pp. 83-88, p. 83; intervista apparsa sul Corriere della sera del 9
maggio 1984: lartista, per sua natura, non fatto per fare politica. Larte, anche quella del-
lartista pi modesto, vuole la ricerca dellassoluto: la politica, anche quella delluomo politico
di genio, la ricerca del possibile, del relativo, del contingente. Sul tema dellimpegno politico
moraviano si veda la Prefazione di Enzo Siciliano al Diario Europeo.
14
Id., Intervista sullo scrittore scomodo, cit., pp. 3-4.
La commedia umana di Alberto Moravia 513

rativa, Moravia elabora teoremi e propone ragionamenti per deduzione, senza


tuttavia mai abbandonare laspetto empirico. In ambito sia letterario sia gior-
nalistico, lo scrittore si vanta di essere un osservatore e di accompagnare alla
riflessione teorica una diretta ricerca sul campo. in questa prospettiva che
si colloca il rapporto con il mondo reale, che entra nella pagina come neces-
sario riferimento.
Ma non solo la narrativa a risentire del confronto con il reale e ad
uniformarsi ad esso. Negli interventi giornalistici Moravia dimostra come sia
vero anche il contrario e cio che il suo approccio al racconto e al giudizio sul
mondo spesso ricalcato su un modello letterario. Sono molti gli articoli in
cui limmaginario letterario si fonde con il reale, presentandosi come utile
bagaglio di esperienze cui lautore attinge per commentare gli eventi di cui si
trova a parlare.
per nel segno del moralismo che le due ispirazioni della scrittura
moraviana sembrano trovare uneffettiva saldatura, nellelaborazione di un
ideale sistema di comportamento pratico. Prendendo in considerazione alme-
no gli articoli raccolti nei tre volumi precedentemente citati, possibile infat-
ti tracciare una mappatura del discorso morale moraviano che si sofferma su
temi come il divorzio, il suicidio, la vita, la morte, il male, la libert, lamo-
re, lomosessualit, la vecchiaia, ma anche la comunicazione, la televisione e
la societ dello spettacolo15.
Spesso legati alla contingenza degli accadimenti che si trova a descrivere e
commentare, gli interventi di Moravia si allargano dal caso particolare verso
una universalit cui fa da garante, ancora una volta, lesempio della letteratu-
ra. Eppure, con lo sguardo dello scrittore, ogni osservazione sembra conver-
gere sullesperienza personale di quello che Ajello definisce un acuto repor-
ter [...] di se stesso16.
Apparso sul Popolo di Roma del 25 agosto 1943, larticolo che apre la
raccolta dellImpegno controvoglia dedicato al concetto di folla. Di fronte
alle manifestazioni di piazza Venezia, Moravia si sofferma a riflettere sulla
demagogia. Dopo aver sottolineato la propria ripugnanza per le adunate e gli
assembramenti di massa, lautore nota come il fastidio gli sia provocato da
ogni genere di folla, considerata una specie di poltiglia nella quale la mol-
titudine di individui pensanti si dissolve17.
Allo stesso modo, Moravia esprime la propria disapprovazione nei con-
fronti di una politica, come quella fascista, che si basi sul consenso della folla,

15
Per uno sguardo complessivo sulla scrittura giornalistica di argomento politico di
Moravia, rimando al saggio di Simone Casini che introduce la nuova edizione dellImpegno
controvoglia; cfr. S. Casini, Lo scrittore e lintellettuale, cit.
16
Nello Ajello, Ed ecco che, a parlargli di vita e di letteratura, il romanziere si conferma-
va prima dogni altra cosa un giornalista: un acuto reporter, potrei dire, di se stesso.
17
A. Moravia, Folla e demagoghi, in Id., Impegno controvoglia, cit., p. 4.
514 Valeria Merola

perch la ragione cosa severa e fredda, e non chiede di essere applaudita ma


soltanto capita18. La politica che cerca lapprovazione delle masse mute fa
leva su un misticismo pericoloso, perch pu sfociare nella deificazione di
un uomo, come accadde in epoca fascista. Secondo Moravia, un simile
atteggiamento comporta la messa a tacere dei cittadini divenuti folla, che si
liberano della fatica di pensare, delegandola ad un singolo.
Nelle pagine dei giornali, Moravia affronta questioni sulle quali si inter-
roga ripetutamente nella sua opera. Particolarmente interessante, da questo
punto di vista, quello che scrive a proposito dellalienazione. In risposta a
un articolo di Arrigo Benedetti, apparso in una rubrica dellEspresso,
Moravia recupera la teoria marxista della separazione delluomo da se stesso,
fino al non riconoscimento. Analogamente a quanto sostenuto nel saggio
Luomo come fine 19, egli individua la causa di questo fenomeno nel frainten-
dimento per cui luomo adoperato come mezzo per raggiungere un fine
che non luomo stesso bens qualche feticcio che pu essere via via il dena-
ro, il successo, il potere, lefficienza, la produttivit e via dicendo20. in que-
sta prospettiva, osserva Moravia, che si giustifica lindustria culturale, per cui
la cultura si piega alle esigenze del mercato e della societ di massa.
Lalienazione dunque, da questo punto di vista, il senso di smarrimento
che prova chi percepisce lo scollamento tra il mezzo e il fine, per cui entra in
crisi il rapporto con la realt. insomma la corruzione profonda della
societ dei consumi, contro la quale si muove la contestazione sessantottina.
Analizzando le proteste studentesche e le loro ragioni, Moravia distingue la
contestazione dalla rivoluzione, considerate rispettivamente, secondo il lessi-
co marxista in voga, rivolta contro le sovrastrutture e contro le strutture21
nel segno del moralismo. La contestazione studentesca nasce da un atteggia-
mento moralista di fondo, che insorge di fronte alla societ dei consumi,
allostentazione della ricchezza e a gli ideali filistei del benessere piccolo-bor-
ghese22. Non solo il consumismo materiale a corrompere le masse, ma a
questo fenomeno contribuisce la persuasione della classe intellettuale che

18
Ibidem: Il demagogo parla in piazza. Come il ciarlatano che vende i suoi ritrovati con
le solite cantafavole, egli non apre la bocca se non quando la piazza piena. E quando parla,
non per dire la verit, non per illuminare quei centomila disgraziati che tale verit da lui
aspettano, bens per raggiungere certi effetti, diciamo cos, corali. In altre parole egli ottiene il
consenso della folla unicamente lusingandone i pi bassi istinti, le pi vane aspirazioni. E
come potrebbe essere altrimenti? La ragione cosa severa e fredda, e non chiede di essere
applaudita ma soltanto capita.
19
A. Moravia, Luomo come fine, in Id., Luomo come fine, cit., pp. 95-150.
20
Idem, I miei problemi, in Id., Impegno controvoglia, cit., pp. 66-70, p. 67.
21
Idem, La contestazione studentesca, ivi, pp. 127-136, p. 130; articolo apparso su Nuovi
Argomenti, n. 12, ottobre-dicembre 1968.
22
Ibidem.
La commedia umana di Alberto Moravia 515

impone con sofismi culturali ladorazione di feticci del benessere razio-


nale e tollerante23.
in rapporto allavversione contro il consumismo che Moravia individua
la separazione degli studenti dagli operai, i quali ultimi mai avrebbero pro-
testato contro lindustria culturale perch mai si sarebbero ribellati al
benessere24. La rivoluzione operaia, che mirava al controllo delle strutture,
allorigine del consumismo che gli studenti contestano, perch, estendendo-
si alle sovrastrutture, ha comportato la morte dellarte e della cultura, tra-
smutate in prodotti industriali25.
Moravia nota come la portata del contrasto ulteriore tra studenti e intel-
lettuali si misuri nella differente concezione della cultura, che deve essere
utile per gli studenti e viva per gli intellettuali:

Alla fine del ragionamento degli studenti, c lazione come unico banco di prova;
alla fine del ragionamento degli intellettuali la contemplazione. Ma qui non si
tratta di dar ragione a luno o allaltro, bens di scegliere secondo la propria voca-
zione26.

Gli studenti, osserva Moravia, sono preoccupati solo della rivoluzione a


partire dalle sovrastrutture e contestano agli intellettuali di non aver agito,
senza rendersi conto che i tempi sono cambiati e che mentre la rivoluzione a
partire dalle strutture definitiva e impermanente perch il passaggio dei
mezzi di produzione dal capitalismo al proletariato irreversibile, la rivolu-
zione a partire dalle sovrastrutture provvisoria e permanente: va conti-
nuamente riaggiornata, a seconda dei cambiamenti delle sovrastrutture stes-
se e della cultura di cui sono unemanazione.
Lintellettuale che partecipa in questi termini al dibattito culturale dalle
colonne dei giornali, dispensando un sapere la page al quale concede trop-
po credito e del quale tributario anche come narratore, spesso coinvolto
in temi dattualit, dalle questioni ecologiche al terrorismo, dalla cronaca
nera alla politica estera. a tal proposito particolarmente significativa la let-
tura del dialogo che Moravia intrattiene con Guido Piovene sul divorzio,
affrontando un tema sul quale torner pi volte. Convinto dellutilit del
divorzio, anche come deterrente per ladulterio, e quindi indirettamente
garante dellunione coniugale, Moravia arriva a sostenere il paradosso per cui
il divorzio aggiunge seriet allistituto familiare, perch lo perfeziona dan-
dogli un aspetto serio, in quanto libero27. Nella libert di scegliere consenti-

23
Ivi, p. 131.
24
Ivi, p. 132.
25
Ivi, p. 133.
26
Ivi, pp. 133-134.
27
A. Moravia, Liberi di stare insieme, in Id., Impegno controvoglia, cit., pp. 58-65, p. 61;
articolo apparso sullEspresso del 30 aprile 1961.
516 Valeria Merola

ta dal divorzio, la coppia si rinsalda, perch i coniugi possono costantemen-


te decidere di stare insieme, senza che nessun legame sia percepito come
indissolubile. Moravia individua nellangoscia della scelta la garanzia per la
fedelt, mentre nellassenza del divorzio vede la creazione di un vero e pro-
prio istituto delladulterio28. A Piovene che gli fa notare come listituzione
del divorzio rappresenti lallargamento del senso comune verso una diversa
sfumatura di moralit, pi difficile, pi ricca di dignit, pi ricca di scelta,
pi ricca di creazione quotidiana29, Moravia risponde proponendo la sua
teoria della perdita di centralit della famiglia nel sistema sociale. La societ
deve riuscire a creare una cultura alternativa, che tenga presente del fatto che
la funzione della famiglia come perno culturale ormai in secondo piano o
addirittura annullata dalla sua identit di nucleo naturale, ci che fa rasso-
migliare di pi luomo agli animali30.
Allimporsi della componente naturale, legata allaffettivit, corrisponde
la diminuzione del ruolo sociale della famiglia, che non pi in grado, secon-
do Moravia, di porsi come modello, se non di associazione di tipo quasi ani-
malesco. in questa prospettiva che egli giustifica la necessit di destituire li-
stituzione familiare dal suo ruolo egemonico, anteponendole lo stile di vita e
la cultura della citt.
Alla libert di stare insieme assicurata dal divorzio, che, mentre la nega, si
fa garante dellindissolubilit del matrimonio, non concorrono obblighi
morali o dogmi religiosi. Sulle pagine del Corriere della sera del 15 maggio
1974, Moravia identifica la permissivit che alla base del divorzio con
lesercizio della ragione31. Commentando la vittoria del no al referendum
per labrogazione della legge sul divorzio, lo scrittore saluta con soddisfazio-
ne il risveglio del popolo italiano da quel sonno della ragione iniziato con
la strage di piazza Fontana e con la repressione da essa innescata32. La stra-
tegia della tensione aveva coinvolto anche il sanfedismo antidivorzista nel
segno della paura, perch mirata a colpire ogni forma di libert dagli schemi
precostituiti della societ.

28
Ibidem.
29
Ivi, p. 62.
30
Ivi, p. 63.
31
A. Moravia, Il referendum di tutti, in Id., Impegno controvoglia, cit., pp. 252-254, p. 253;
articolo apparso sul Corriere della sera del 15 maggio 1974.
32
Ivi, p. 252: Persino coloro che hanno votato s, in fondo hanno contribuito a rende-
re il no pi vocale, sentito, vibrante. Insomma la prima volta dal 12 dicembre 1969, che il
popolo italiano riesce a far sentire la sua voce, riesce a parlare, riesce a dire qualcosa che lo
riguarda davvero. Lattentato di piazza Fontana aveva infatti provocato, comera lintenzione,
appunto, dei provocatori che lavevano messo in atto, quel sonno della ragione a cui allude
Goya in una celebre stampa, in cui si vede un turbine di schifosi mostri volanti roteare sulla
testa china e vinta di un uomo assopito o meglio caduto in un involontario e irresistibile letar-
go. I mostri che si inseguivano sulla testa stramazzata della nazione italiana, dopo lattentato
di piazza Fontana, erano legione; ma avevano un nome comune: repressione.
La commedia umana di Alberto Moravia 517

Quello che importava agli antidivorzisti era di rendere tab tutti o quasi gli aspet-
ti della nostra vita civile. Il rispetto che senza bisogno di una legge coercitiva la
ragione consiglia di nutrire per tutto ci che rispettabile, sarebbe stato imposto
anche per tutto quello che non deve essere rispettato, proprio perch va dibat-
tuto e criticato, in piena libert e senza rispetto alcuno33.

Mentre annuncia la vittoria del laicismo e della razionalit contro gli spet-
tri della repressione e del terrore, Moravia osserva come limporsi del fronte
del s avrebbe sancito la vittoria dellistinto di morte contro listinto di
vita34. in questottica razionalistica, contro loscurantismo della paura, che
lo scrittore mette in parallelo la legge sul divorzio con quella sullaborto. Pur
dichiarandosi scisso tra una tendenza naturale allabolizione di ogni control-
lo delle nascite per restituire il mondo alla natura e una razionale favorevo-
le allaborto, Moravia sostiene lesigenza di una legislazione che consideri
luomo non pi come dovrebbe essere ma come in realt 35. La ragion pra-
tica moraviana si allontana sia dallistinto naturale sia dallidealismo, per
misurarsi sullesperienza e sulla conoscenza delluomo.
Alluso sofisticato della ragione che fa Pasolini, mentre conduce la sua
battaglia antiabortista identificando la coppia favorevole allaborto con un
atteggiamento edonista figlio del consumismo dilagante36, Moravia contrap-
pone la sua concezione del rapporto sessuale come strumento di conoscen-
za37. Non credendo alla possibilit di ununione esclusivamente procreativa,
lautore, che allerotismo come rapporto umano, cio simbolico38 dedica
tante delle sue pagine narrative, sostiene che la ricerca del piacere nellamo-
re propriamente ci che distingue luomo dagli altri animali39. Per questo
non concepibile un atteggiamento come quello cattolico, che considera
luomo come dovrebbe essere e non come nella realt.
Loccasione del conflitto israelo-palestinese offre a Moravia lo spunto per
alcune importanti riflessioni sul concetto di pace, che si presenta allautore
come il solo mezzo di cui disponiamo per cambiare il mondo40. La que-

33
Ivi, p. 253.
34
Ivi, p. 254: In termini psicologici e esistenziali, i pi importanti oggi, la vittoria di
tutto ci che libero, allegro, sano, razionale, chiaro, su tutto ci che timoroso, tetro, mal-
sano, folle, oscuro. Il s, secondo lultimo e pi sociale e storico Freud, sarebbe stata la vit-
toria dellistinto di morte contro listinto di vita.
35
A. Moravia, Lo scandalo Pasolini, in Id., Impegno controvoglia, cit., pp. 268-270, p. 270;
articolo apparso sul Corriere della sera del 21 gennaio 1975.
36
Il riferimento allarticolo di Pier Paolo Pasolini intitolato Sono contro laborto, apparso
sul Corriere della sera del 19 gennaio 1975.
37
A. Moravia, Lo scandalo Pasolini, cit., p. 269.
38
Id., Diario europeo, cit., p. 113, 27 agosto 1987.
39
Id., Lo scandalo Pasolini, cit., p. 269.
40
Id., La pace da inventare, in Id., Impegno controvoglia, cit., pp. 242-244, p. 243; artico-
lo apparso sul Corriere della sera del 23 ottobre 1973.
518 Valeria Merola

stione mediorientale e la guerra da essa innescata distruttiva, perch con-


tribuisce soltanto ad un maggiore inquinamento politico e ideologico41 e
non porta nessun cambiamento, n progresso. Soltanto la pace, secondo lau-
tore, potrebbe determinare un salto di qualit per la societ: una trasmuta-
zione di tutti i valori, che superi la creazione dello scacchiere geo-politico, le
questioni internazionali, le identit dei popoli.
Moravia parla di pace ricorrendo a immagini ecologiste, quasi volendo
stabilire un nesso tra le problematiche ambientali e quelle di politica inter-
nazionale. Ed infatti in questo senso che si pu leggere il gruppo di inter-
venti giornalistici dedicati allimpegno contro la bomba atomica. Come
Dodo, il protagonista de Luomo che guarda, ossessionato dalla nube in
forma di fungo42, lo scrittore considera quello nucleare come un problema
metafisico: il suicidio dellumanit43.

Se si vuole che il mondo non perisca nella catastrofe nucleare, bisogna che il paci-
fismo, nella considerazione delle masse, diventi una forza. E che invece lo spirito
che potrebbe portare al conflitto atomico appaia, con il suo miscuglio di confu-
sione, di paura, di superstizione, di ipocrisia e di automatismo, come una debo-
lezza cio come una cosa negativa. In altre parole, il pacifismo dovrebbe diventa-
re una forza politica con la quale fare i conti, meglio e pi del disperato bellici-
smo di questi anni atomici al quale si contrappone44.

Nellintervista a se stesso che pubblica sulle pagine dellEspresso in con-


comitanza con la candidatura al Parlamento Europeo, Moravia spiega lorigi-
ne della sua ossessione nucleare, percepita come un problema che lo riguar-
dava direttamente, in prima persona, come membro di una specie destinata
[...] ad estinguersi al pi presto45. da questa consapevolezza che deriva la
pulsione allimpegno, prima giornalistico con approfondite inchieste che si
sono avvalse di interviste a intellettuali, scrittori, religiosi, militari, politici
e poi politico, con la battaglia contro gli armamenti nucleari. Lesigenza di
sensibilizzare alla conservazione della specie, proteggendola dalla minaccia

41
Ibidem.
42
A. Moravia, Luomo che guarda, Bompiani, Milano 200610(I ed. 1985), p. 46.
43
Id., Linverno nucleare, cit., p. VIII.
44
Id., La pace sia con noi, ivi, pp. 27-31, p. 28; articolo apparso su LEspresso del 12
dicembre 1982.
45
Id., Lettera da Hiroshima, in Id., Linverno nucleare, cit., pp. 3-14, p. 3; articolo appar-
so su LEspresso del 21 novembre 1982: questa verit mi folgorata in mente mentre mi
chinavo, riverente, per deporre un mazzo di fiori davanti al cenotafio delle duecentomila vit-
time della bomba atomica. In quel preciso momento, il monumento eretto in memoria del
giorno pi infausto di tutta la storia dellumanit, ha agito dentro di me. Ad un tratto, ho
capito che il monumento esigeva da me che mi riconoscessi non pi cittadino di una deter-
minata nazione, appartenente a una determinata cultura, bens, in qualche modo zoologica-
mente ma anche religiosamente, membro, come ho detto, della specie.
La commedia umana di Alberto Moravia 519

insita nella guerra nucleare, si impone come necessit espressiva46. Gli


uomini devono prendere coscienza della propria appartenenza alla specie nel
momento in cui il rischio dellestinzione diviene sempre pi concreto, met-
tendo in dubbio, attraverso luso della bomba, lidea, assolutamente indi-
spensabile allumanit, dellimmortalit della specie47.
La fine del mondo, nellimmaginario moraviano, assume le sembianze di
un suicidio collettivo, il tentativo dellumanit di sbarazzarsi della storia, per
estrema stanchezza, suicidandosi48. Unica possibilit per sfuggire allinevita-
bile deriva la presa di coscienza del rischio: lumanit deve avere il corag-
gio di pensare larma nucleare, per sopprimerla dentro di s49.

Tutti coloro che dimostrano indifferenza o fastidio per il discorso atomico non
hanno voglia di parlarne perch, magari inconsapevolmente, considerano la cara-
strofe nucleare come qualcosa di ovvio, di scontato e, appunto, di connaturato
alla nostra civilt. Sarebbe un poco come se qualcuno andasse attorno informan-
do la gente che dobbiamo tutti morire [...]. Semmai si potrebbe osservare che c
qualche differenza tra la morte dellindividuo e quella della specie. Se non altro
perch possiamo certamente evitareche la specie finisca, il caso di dirlo, prema-
turamente. Se riusciremo a farlo, avremo la riconoscenza delle generazioni futu-
re per secoli e secoli50.

La guerra con la bomba atomica non avrebbe vincitori n vinti, perch


sarebbe un suicidio collettivo. In essa Moravia non vede solo una questione
politica e militare, ma soprattutto un problema culturale, che allorigine
della guerra nucleare, ovvero la tentazione della morte51, radicata nella cul-
tura occidentale.
Commentando il discorso di Ronald Reagan al Parlamento Europeo di
Strasburgo, Moravia si stupisce di fronte allatteggiamento di normalit
manifestato nei confronti della questione atomica. A colpirlo soprattutto la
concezione della bomba come garanzia di pace, nella quale i grandi potenti
non vedono il paradosso di minacciare la fine del mondo per evitare la fine
del mondo52: la costruzione di una provvisoria sopravvivenza53.

46
Id., Moravia intervista Moravia candidato, cit., p. 84: La questione che il problema
nucleare da qualche tempo si installato nella mia mente con gli stessi caratteri di necessit
espressiva che sono propri dei problemi artistici. [...] In parole poverissime: da qualche tempo
io sono ossessionato dal problema nucleare.
47
Id., Lettera da Hiroshima, cit., p. 6.
48
Ivi, p. 8.
49
Id., Linverno nucleare, cit., p. IX.
50
Id., Diario Europeo, cit., pp. 26-27, 9 settembre 1984.
51
Ivi, p. 149; 22 dicembre 1987.
52
Ivi, p. 43; 17 maggio 1985.
53
Ivi, p. 117; 27 agosto 1987.
520 Valeria Merola

La minaccia si fa concreta dopo Chernobyl, quando i cieli europei si riem-


piono della nube atomica fuoriuscita dalla centrale nucleare. Il rischio fino a
quel momento solo paventato diviene realt: lo spettro dellapocalissi si affac-
cia dietro il disastro ecologico. Moravia lo interpreta nel segno della paura,
per cui anche le azioni pi naturali, come respirare, perdono spontaneit.
Respireremo con diffidenza, con sospetto, con paura osserva nel suo Diario
europeo, mentre inserisce lincidente di Chernobyl nella serie dei disastri
umani54, con cui luomo ha manipolato il pianeta.
La pulsione di morte del resto un istinto contraddittorio per Moravia,
che, dopo aver appreso la notizia del suicidio di Bruno Bettelheim, si inter-
roga sulle ragioni che spingono luomo a togliersi la vita. La morte per asfis-
sia del noto psicoanalista si presenta alla sensibilit dello scrittore nella sua
contraddittoriet, non essendo giustificabile che un esperto della mente e dei
suoi turbamenti possa aver ceduto ad uno stato depressivo. Nel tentativo di
cogliere il paradosso, Moravia si lascia andare ad una serie di considerazioni
sul suicidio in generale, analizzando le diverse tipologie di quella che consi-
dera una morte annunziata55. Di qualsiasi genere sia il suicidio per forza
maggiore, per malattia o esaurimento fisico , secondo Moravia colui che
si d la morte cerca sopratutto la morte del corpo. Nel gesto del suicida per
disperazione, che vuole la propria morte spirituale, lo scrittore coglie una
condizione paradossale:

Bruno Bettelheim era senza dubbio un uomo di grande coraggio. Come mai,
avendo il coraggio di uccidersi, non ha avuto il coraggio, certo minore, di accet-
tare di vivere?56

Senza chiamare in causa linconscio, che a partire dalla psicoanalisi


sempre conoscibile57, Moravia individua la forza cieca che spinge luomo al
suicidio in un motivo congenito, naturale, di pulsione di morte parallela a
quella di vita, con la quale egli giustifica la coesistenza di tanti moti della-
nimo contraddittori, ora gioiosi e ora deprimenti, che senza alcuna ragione
apparente si alternano nella nostra esistenza quotidiana58.
Ad un simile sdoppiamento rimanda la visione della vecchiaia, scissa in
interna relativa alla percezione che il vecchio ha di se stesso ed ester-
na intesa in una pi ampia dimensione sociale 59. Quasi un personaggio

54
Ivi, p. 63; 18 maggio 1986.
55
Ivi, p. 312; 23 marzo 1990: ci possono essere almeno tre generi di suicidio: il suicidio,
diciamo, per forza maggiore, il suicidio per malattia o esaurimento fisico e il suicidio per dispe-
razione.
56
Ivi, p. 313.
57
Ivi, p. 314.
58
Ivi, p. 315.
59
Ivi, p. 185; 3 maggio 1988.
La commedia umana di Alberto Moravia 521

della commedia dellarte, il vecchio per Moravia un individuo caratteriz-


zato dalla sola et60, socialmente stereotipato, come il bambino, fissato in
una tipologia rigida. Lo scollamento tra la propria convinzione di essere un
individuo come tutti gli altri e la realt di una malattia chiamata vecchiaia
determina una condizione tragicomica. Rievocando i grandi vecchi della sto-
ria e della letteratura da Don Chisciotte al padre dei Karamazov, passando per
Re Lear, Moravia costruisce limmagine del vecchio condannato ad essere un
commediante61.
Continuamente impegnato nella recitazione della propria parte, il vecchio
mette in scena una finzione che sia frustrante, se egli, che si sente giova-
ne, si adegua allimmagine che la societ gli impone, sia mortificante, quan-
do si comporta come se avesse meno anni di quelli che effettivamente ha. In
entrambi i casi, la condizione teatrale del vecchio sulla scena del mondo
pirandellianamente tragica, soprattutto quando il protagonista inizia a crede-
re alla propria commedia62.
Il ricorso allimmagine del teatro si rivela denso di significati in un auto-
re che, anche in ambito letterario, alla metafora scenica sembra pensare fre-
quentemente. Lo scrittore di tragedie in forma di romanzo filtra il reale in
termini di teatralit, elaborando un codice del comportamento umano rical-
cato sullimmaginario scenico. Si pu leggere a questo proposito anche lin-
terpretazione del fare politico come recitazione, che Moravia propone a pro-
posito di quella che chiama politica pubblica televisiva63. Commentando la
fortunata carriera politica di Ronald Reagan, Moravia ne individua le ragio-
ni nellimmenso potere mediatico del presidente, che, sfruttando la propria
esperienza di attore cinematografico, si avvalso dellarte della recitazione. Lo
scrittore sottolinea il doppio inganno sotteso a questa operazione, perch alla
finzione teatrale si aggiunge il fraintendimento di una politica giocata su
regole ed esigenze che dobbiamo pure chiamare estetiche64. Nelle appari-
zioni televisive del presidente, la parte creativa tende sempre pi a invadere
quella informativa65 e la logica dellaudience finisce per sostituirsi a quella del
consenso, pi specificamente politica.

60
Ivi, p. 187.
61
Ivi, p. 186.
62
Ibidem: Purtroppo, accade spesso che il vecchio crede alla propria commedia, e allora
abbiamo il vecchio che, senza rendersene conto, fa la caricatura del vecchio, esagerando suo
malgrado i ben noti caratteri propri dellet; oppure il vecchio che, anche lui senza accorger-
sene, fa lo sbarazzino, il dongiovanni, lo sportivo e via dicendo. Bisogna per notare che, in
questultimo caso, interviene a sospendere la sempre vigile coscienza del vecchio linvecchia-
mento, che cosa diversa dalla vecchiaia intesa come et. Comunque il vecchio vittima di
un malinteso a causa della differenza tra ci che pensa di se stesso e ci che ne pensano gli
altri.
63
Ivi, p. 202; 19 giugno 1988.
64
Ibidem.
65
Ivi, p. 203.
522 Valeria Merola

Della societ dello spettacolo di debordiana memoria66, Moravia critica la


dinamica dellapplauso che non serve per approvare, perch non contempla
lalternativa della disapprovazione. Osservando lo scrosciare di applausi alla
fine delle trasmissioni televisive, egli contesta la filosofia per cui chiunque
sia lanimatore e qualsiasi cosa dica e faccia [...] quel pubblico [...] invariabil-
mente applaude67. Lapplauso televisivo non una dimostrazione di gradi-
mento, perch non pu non esserci, un atto dovuto alla stessa legge della
comunicazione, una condizione di esistenza dello spettacolo mediatico. Lo
stesso pubblico che a teatro, osserva Moravia, sarebbe capace di fischiare,
nello studio televisivo applaude di fronte al nulla. Le ragioni di un simile
comportamento sono da rintracciare nel pubblico che, invece di cercare lo
spettacolo, applaude la televisione, padrona di casa ospitale, tecnologica ed
astratta, che ha permesso agli spettatori di stare insieme68. Ma la televisione
anche capace di generare affetto verso i suoi personaggi, perch limmagi-
ne televisiva appare nel tempio dedicato agli affetti pi gelosi e pi privati:
la famiglia69. E nella famiglia, osserva lo scrittore, non necessario conqui-
stare lapprovazione, perch il consenso immotivato e sentimentale.
Daltra parte, osserva Moravia, la cultura stessa ad essere intesa in ter-
mini di successo. Mentre, ai tempi delluscita degli Indifferenti, il successo era
unesperienza non quantificabile, negli anni Ottanta divenuto uno scopo,
che si misura in diritti dautore, in copie vendute, in tirature ripetute70.
Allinteresse per la qualit delle opere si sostituito il problema di esistere
come prodotto, come consumo, come merce71, condizione che, secondo
Moravia, rende lo scrittore sempre pi simile alluomo politico, che dallac-
clamazione nella scena del mondo deriva il proprio sostegno. Nella societ
dominata dallindustria culturale, anche per lo scrittore diventa necessario
avere e curare la propria immagine, ovvero qualcosa che va oltre il concet-
to di fama e di notoriet, per assomigliare piuttosto alla condizione dellatto-
re sulla ribalta del palcoscenico.

Tutti sanno che lui non ha nulla a che fare con il personaggio che impersona nello
spettacolo; e che la sua esistenza pubblica sta tutta nella recita e soltanto nella
recita; e tuttavia nessuno vuole sapere che cosa si nasconda dietro limmagine72.

66
Il riferimento al saggio di Guy Debord, La societ dello spettacolo, uscito nel 1967.
67
A. Moravia, Diario Europeo, cit., p. 156; 10 gennaio 1988.
68
Ivi, pp. 156-157.
69
Ivi, p. 78; 20 agosto 1986: Ad ogni modo, il record di questa mia dissociazione televi-
siva in pura immagine e in scrittore lho registrato giorni fa a Verona. Nella piazza principale,
una ragazza mi corsa incontro gridando: Come sono felice di conoscerla: chi lei? Dove
la frase stava ad indicare che mi aveva gi visto sul video e di conseguenza mi amava; ma non
sapeva chi ero.
70
Ivi, p. 101; 28 luglio 1987.
71
Ivi, p. 102.
72
Ivi, p. 103.
La commedia umana di Alberto Moravia 523

Lo scrittore che si offre, con la sua opera, a questa societ dello spettaco-
lo parte integrante di quel sistema usa e getta, figlio della rivoluzione
industriale contemporanea73 che fa del prodotto culturale un elemento con-
sumistico, gettato in pasto a quella specie di poltiglia che la folla.

73
Ivi, p. 135; 30 ottobre 1987.
FLORIANA CALITTI

...se mettessimo questo Pasolini in prima pagina?

Il compito davvero pi difficile nel ripercorrere la carriera giornalistica di


Pasolini e nel rileggere, fuori contesto, i numerosi scritti, interventi, dibatti-
ti, rubriche, quello di evitare due rischi, almeno due: quello di leggere
quanto ha scritto allora pensando alloggi, e quello di leggere gli ultimi arti-
coli pensando alla morte che sarebbe avvenuta di l a pochi giorni, se non
addirittura ore.
Davvero molto arduo come compito perch una tentazione che quasi
salta fuori come una necessit, una urgenza, e con una forza che sembrano
prescindere dalla volont personale. Ci limiteremo quindi a non fare com-
menti sul profetismo, sulle mille ipotesi di attualizzazione e a illustrare, in
breve, una storia degli articoli giornalistici. Una storia che comincia, in realt,
molto tempo prima rispetto allinizio della collaborazione con il Corriere
della Sera, da cui il titolo di questo saggio1.
Gi nel 1941 Pasolini, Luciano Serra, Francesco Leonetti e Roberto
Roversi hanno intenzione di fondare una rivista alla quale hanno anche dato
un titolo, Eredi, proprio per discutere, pur nella continuit, il lascito della
tradizione letteraria che li ha preceduti, ma che non uscir per i tagli mini-
steriali sulluso della carta. Per quellestate e quel progetto, malgrado la dif-
ficolt del momento storico e politico, rimarranno fondamentali nella vita di

1
Da Giornalismo italiano, vol. IV 1968-2001, a cura e con un saggio introduttivo di F.
Contorbia, Mondadori, Milano 2009, la frase citata nel titolo di Gaspare Barbiellini Amidei
a colloquio con Piero Ottone che cos ricordava lesordio di Pasolini al Corriere della Sera
(cfr. P. Ottone, Pasolini giornalista. La cultura in prima pagina, in Il potere delle parole. Come si
diventa giornalisti, introduzione di G. Sampaolesi, La Citt del Sole, Roma 1984, pp. 53-54),
p. XX: Una domenica in cui non erano successe cose molto importanti, Gaspare Barbiellini
Amidei, uno dei miei collaboratori pi diretti, uno dei vice-direttori del Corriere in quel
periodo, venne da me e mi disse: Domani abbiamo un giornale piuttosto fiacco, se mettessi-
mo questo Pasolini in prima pagina?. Io dissi di s, mettiamolo, e fu proprio un caso di cuci-
na giornalistica, di ordinaria amministrazione, senonch larticolo, il giorno dopo, subito fece
scalpore, con telefonate, commenti, osservazioni. In realt come precisa Franco Contorbia, p.
LVIII, la pagina la seconda, perch nella rubrica Tribuna aperta ed il 7 gennaio del
1973, una domenica e non un luned. Tra laltro Ottone tornato a parlarne ancora
nellIntroduzione premessa a una edizione degli Scritti corsari di Pier Paolo Pasolini allegata
al numero di Epoca del 20 giugno 1988.
526 Floriana Calitti

Pasolini perch gli svelano, con tutta evidenza, quanto sia necessario usare un
mezzo di divulgazione, per arrivare a molti, a tutti, tant vero che Eredi
sar sempre considerata il primo embrione della grande esperienza bologne-
se di Officina del 1955.
Nel frattempo tra lagosto del 1942 e il marzo del 1943, proprio nel
momento pi delicato della svolta della guerra, Pasolini scrive su alcune rivi-
stine di partito come Il Setaccio, pubblicazione con ambizioni frondiste,
almeno nel campo culturale, della Giovent Italiana del Littorio (GIL), uni-
versitaria, che ospitava traduzioni di Giovanna Bemporad e versi friulani del
poeta (con una provocatoria presa di posizione sul dialetto rispetto al regime
che enfatizzava, invece, una lingua nazionale) e Architrave, rivista del
Gruppo Universitario Fascista (GUF) con velleit, anche in questo caso, forse
troppo ingenue, ma chiaramente antifasciste.
In questi articoli gi netta lindipendenza intellettuale e una scrittura,
seppure ancora acerba, assolutamente lontana da quella della politica, a
Pasolini non potr mai essere rimproverato un politichese e, inoltre, la pre-
senza di una spiccata e originale capacit ricettiva che lo porter, ad esempio,
a scrivere, di ritorno da un raduno universitario di italiani, spagnoli, tedeschi,
ungheresi, un pezzo di grande sensibilit giornalistica, gi non un semplice
reportage ma una scrittura interpretativa. Nellarticolo dal titolo Cultura
italiana e cultura europea a Weimar 2, uscito nellagosto del 1942 su Architra-
ve, Pasolini individua, al di l dellatmosfera propagandistica e celebrativa,
una possibilit reale di dialogo della contemporanea cultura europea:

Le condizioni di una cultura non sono misurabili nel vortice di una manifesta-
zione che ha chiaramente un significato propagandistico, quale stato lincontro
Weimar-Firenze. Lass a Weimar, tuttavia, non in senso ufficiale, ma attraverso
unassidua attivit privata, abbiamo potuto circuire il sistema o la barriera della
cerimonia, giungendo quasi di soppiatto, alle spalle, a scandagliare nella sua pro-
babile entit lodierna cultura europea. E dico subito che questa stata la prima
cosa a farsi indovinare, e cio che lodierna cultura europea si venuta automati-
camente maturando, al di fuori di qualsiasi finalit politica, quasi a dimostrazio-
ne della libert della creazione poetica e dellamore alla poesia, non legata a nes-
suna ancora propagandistica; eppure straordinariamente viva e stretta ai contem-
poranei movimenti politici, sociali, economici.

Anche I giovani e lattesa uscito su Il Setaccio nel novembre dello stesso


anno ha una analoga apertura intellettuale, come quelli che seguono, di cui

2
Larticolo viene ripubblicato in Il Setaccio nel gennaio del 1943 e si legge in P.P.
Pasolini, Saggi sulla politica e sulla societ, a cura di W. Siti e S. De Laude, con un saggio di P.
Bellocchio, cronologia a cura di N. Naldini, Mondadori, Milano 1999, pp. 5-9, p. 5 la cita-
zione che segue. Cfr. anche Pasolini e Il Setaccio (1942-1943), a cura di M. Ricci, Cappelli,
Bologna 1977.
...se mettessimo questo Pasolini in prima pagina? 527

basta citare i titoli Filologia e morale, Ragionamento sul dolore civile, Ultimo
discorso sugli intellettuali, In margine allesistenzialismo e ricordare che Pasolini
ha appena ventanni. Sono immediatamente successivi alla guerra, invece, le
collaborazioni giornalistiche con testate come Libert (quotidiano del
Comitato di liberazione di Udine) o Il Mattino del Popolo di Venezia, in
cui discute delle aspirazioni autonomiste del Friuli e non solo3.
Sono, infatti, gli anni della scoperta di Marx, delle letture di Gramsci,
delle lotte dei braccianti contro i latifondisti, della maturazione di un impe-
gno civile che si riveler sempre meno ortodosso rispetto alle codificazioni
partitiche e, soprattutto, susciter sempre molta diffidenza, anche dopo la sua
iscrizione, nel Partito comunista italiano. La riflessione di Pasolini sulle dif-
ferenze tra le classi sociali lo porta a distinguersi da chi puntava sul riscatto
delle classi proletarie per preferire, invece, di quelle stesse classi, la forza alter-
nativa e di contrapposizione alla borghesia, della quale, in particolare, abor-
rir sempre, la tendenza allomologazione4. Il 1948 lanno delle elezioni e
limpegno di Pasolini senza sosta, gli interventi sui giornali aumentano cos
come i comizi, i dibattiti e addirittura i giornali murali, esposti con grande
entusiasmo e prescelti ancora una volta per arrivare presto e a un pubblico il
pi vasto possibile.
Dopo il trasferimento a Roma, come noto, accetta di fare la comparsa a
Cinecitt, di correggere bozze, di pubblicare brevi racconti e recensioni su
giornali cattolici e di estrema destra come Il Quotidiano, Il Popolo di
Roma, La Libert dItalia, alle volte anche firmandosi con lo pseudonimo
di Paolo Amari; scrive su Favole della dittatura di Sciascia, su Penna, e poi ini-
ziano anche le collaborazioni per Il Mondo, La Fiera letteraria, Il
Gioved, rotocalco diretto da Giancarlo Vigorelli, e Paragone, la rivista
diretta da Roberto Longhi, suo professore allateneo bolognese e Anna Banti
per la sezione letteraria, in cui pubblica nel 51 il racconto Ferrobed che sar
poi la prima parte di Ragazzi di vita.
Ma lesperienza pi significativa di quel decennio senza dubbio quella di
Officina, il 28 ottobre del 1954 Francesco Leonetti, lamico bolognese di
sempre, gli scrive: Dopo undici anni, e anche questo tempo trascorso , in
parte, indice della mia spaventosa seriet (ma intanto oggi son ridiventato
uomo di mondo) dico: ecco il punto in cui si ha da fare una rivista. La rivi-
sta, fascicolo bimestrale di poesia come recita il sottotitolo, che andr avan-
ti fino allaprile del 1958 (con una ripresa di soli due numeri pubblicati da

3
Cfr. P.P. Pasolini, Saggi sulla politica e sulla societ, cit., pp. 10-80.
4
Si veda, ad esempio, larticolo I due proletari, uscito il 12 maggio del 1948 su Il Mattino
del Popolo nel quale risponde ad Aldo Capitini, oppure sempre sullo stesso giornale il 23
maggio dello stesso anno Le due condizioni scritto dopo quello in cui Aurelio Cantoni lo accu-
sava di una semplificazione rozza e di un errore di prospettiva nel dividere il popolo (quindi
anche il proletariato) dal ceto medio, cfr. ivi, pp. 69-74.
528 Floriana Calitti

Bompiani nel 1959), ospiter Fortini, Calvino, Gadda che vi pubblica con il
titolo di Il libro delle furie i primi capitoli del romanzo Eros e Priapo, Caproni,
Bertolucci, Luzi, Sereni, Bassani, Volponi. Dibattiti e polemiche sono allor-
dine del giorno, ad ogni uscita: contro Carlo Salinari e Gaetano Trombatore
de Il Contemporaneo, modelli della critica marxista che aveva giudicato
aspramente Ragazzi di vita, e poi nel tempo la querelle, anche questa molto
dura, contro la neoavanguardia (sul numero 5 del febbraio 1956, il discorso
sul neo-sperimentalismo e, poi, La libert stilistica sul n. 9-10 del giugno
1957), peraltro inizialmente presente in Officina, a partire dallo stesso
Edoardo Sanguineti, uno degli esponenti di spicco, che pubblicher, in rispo-
sta alla presa di distanza pasoliniana, la risentita Una polemica in prosa. inu-
tile sottolineare limportanza della rivista e della sua militanza e impegno cri-
tico5, al quale Pasolini non si sottrarr mai, come non si sottrarr mai alla
scrittura giornalistica sullattualit6 ma, continuamente, come sua caratteri-
stica, contaminando i generi, non osservando mai nessun tipo di divisione
precettistica della scrittura.
, infatti, del 1956 la rubrica di critica di poesia sul settimanale Il Punto
e del 1957 luscita del poemetto Le ceneri di Gramsci accolto come un gran-
de esperimento innovativo, pur inserendosi nel solco della tradizione alta, e
poi dal 28 maggio del 1960 linizio della collaborazione dello scrittore a Vie
nuove, in particolare a quel dialogo con i lettori, voluto dalla direttrice del
settimanale, Maria Antonietta Macciocchi che ha saputo cogliere in Pasolini
quella tendenza a confrontarsi il pi possibile, e il pi direttamente possibi-
le, con il pubblico che , daltra parte, la cifra senza dubbio pi caratteristica
della sua scrittura giornalistica, da intendere quasi come un dolce dovere.
E cos ne scrive la Macciocchi: Oltre la rubrica settimanale, scriveva gli arti-
coli che gli chiedevo sui soggetti pi disparati come per esempio le Olimpiadi
di Roma. Trovava sempre il modo di ribaltare i tab, di star lontano dalle
banalit, dalle idee correnti7 e, ancora, in una nota che anticipava lesordio

5
Una ristampa anastatica della rivista uscita a Bologna per le edizioni Pendragon nel
1993 e una scelta antologica in G.C. Ferretti, Officina. Cultura, letteratura, antologia della
rivista, testi inediti e apparati, Einaudi, Torino 1975.
6
Su questa tematica si veda S. Giovannuzzi, passato il tuo tempo di poeta: Pasolini e la
modernit e F. Calitti, Letture poetiche di Pier Paolo Pasolini, in Lacuto del presente. Poesie e poe-
tiche a met del Novecento, a cura di C. Sandrin, Edizioni dellOrso, Alessandria 2009, pp. 103-
120 e 121-134.
7
Cfr. N. Naldini, Pasolini, una vita, Einaudi, Torino 1989, p. 229, e dello stesso si veda
anche la Cronologia in P.P. Pasolini, Saggi sulla politica e sulla societ, cit., pp. LXXXIII-XCIII.
Una scelta dei dialoghi con i lettori di Vie nuove stata raccolta in Le belle bandiere
Dialoghi 1960-1965, a cura di G.C. Ferretti, Editori Riuniti, Roma 1977 e poi completa in
P.P. Pasolini, I dialoghi, prefazione di G.C. Ferretti, a cura di G. Falaschi, Editori Riuniti,
Roma 1992.
...se mettessimo questo Pasolini in prima pagina? 529

della rubrica, sottolineava oltre al prestigio del collaboratore, la sua funzio-


ne: [] dovr aiutare i nostri lettori contro lo stregonismo culturale, con-
tro la superstizione, contro i diversivi ipocriti, i pregiudizi e le convenziona-
lit false, a uscire dal vecchio guscio culturale in cui la morale clericale e il
fascismo hanno racchiuso tanta parte delle coscienze e delle menti, e misura-
re i fatti e i problemi con un metro nuovo8.
Il compito assegnato riesce pienamente, prima di tutto perch quello gior-
nalistico sar stato pure un impegno marginale rispetto al resto dellattivit
letteraria in senso stretto, o cinematografica o saggistica, o critica, ma sempre
portato avanti da Pasolini con molto rispetto e interesse per il mezzo di
comunicazione e, inoltre, per la passione che nutre verso i lettori e latten-
zione per la scrittura, per la lingua. Unattenzione questa che centrale nella
riflessione sulla letteratura e sul fare letteratura o cinema, o critica, ecc.: la lin-
gua scritta e il rapporto con il parlato, luso del dialetto, la lingua come siste-
ma di segni (Pasolini molto attento allo strutturalismo, allantropologia, alla
semiotica, e anche se non vi sar mai una piena adesione, si misura con que-
sti nuovi territori, incontra e legge Barthes con grande interesse), la lingua
iperspecialistica, la lingua del neocapitalismo, sono tra i temi pi discussi e
dibattuti, soprattutto in questi anni.
Il linguaggio calcistico, ad esempio, come noto, sotto la sua lente di
osservazione. Il 14 luglio del 1963 escono su Il Giorno le famose pagine sul
gioco del calcio, in una forma ibrida di racconto-intervista, dal titolo Repor-
tage sul Dio9 ed del 3 gennaio 1971, sempre sullo stesso quotidiano, larti-
colo con il titolo Il calcio un linguaggio con i suoi poeti e prosatori:

Nel dibattito in corso sui problemi linguistici che artificialmente dividono lette-
rati da giornalisti e giornalisti da calciatori []. Il gioco del football un siste-
ma di segni, , cio, una lingua, sia pure non verbale []. Il giornalismo non
che un ramo minore della lingua letteraria: per comprenderlo noi ci valiamo di
una specie di sotto-codice. In parole povere, i giornalisti altro non sono che degli
scrittori, che, per volgarizzare e semplificare concetti e rappresentazioni, si valgo-
no di un codice letterario, diciamo per restare in campo sportivo di serie B.
Anche il linguaggio di Brera di serie B rispetto al linguaggio di Carlo Emilio
Gadda e di Gianfranco Contini.
E quello di Brera forse il caso pi dignitosamente qualificato del giornalismo
sportivo italiano.

8
Da P.P. Pasolini, Saggi sulla politica e sulla societ, cit., Note e notizie sui testi, p. 1082.
9
Reportage sul Dio esce di nuovo in Paragone il 15 agosto del 1964 e ora si legge tra i
Racconti, sopralluoghi e pagine autobiografiche di P.P. Pasolini, Romanzi e racconti (1962-
1975), a cura di W. Siti e S. De Laude, vol. II, Mondadori, Milano 1998, pp. 1852-1863. Si
veda anche Album Pasolini, Mondadori, Milano 2005, con immagini di Pasolini tifoso del
Bologna e giocatore appassionato della Nazionale calcio attori.
530 Floriana Calitti

Non esiste dunque conflitto reale tra scrittura letteraria e scrittura giornalisti-
ca: questa seconda, che, ancillare com sempre stata, esaltata ora dal suo impie-
go nella cultura di massa (che non popolare!!), accampa pretese un po superbe,
da parvenu [].
Rivera gioca un calcio in prosa: ma la sua una prosa poetica, da elzeviro.
Anche Mazzola un elzevirista, che potrebbe scrivere sul Corriere della Sera:
ma pi poeta di Rivera, ogni tanto egli interrompe la prosa, e inventa l per l
due versi folgoranti10.

del 1964 la conferenza, poi articolo, dal titolo Nuove questioni lingui-
stiche nella quale affronta la lingua, vitale solo in apparenza, delle avan-
guardie, la lingua della critica letteraria, della televisione, della politica, il
nuovo asse linguistico Torino-Milano, vincente perch tecnologico, indu-
striale e, ancora, la lingua burocratica, pseudoscientifica, sociologica, preve-
dibile e rassicurante del linguaggio giornalistico da cui bandita ogni forma
di espressionismo, di espressivit, come scrive Pasolini:

In questi ultimi tempi attraverso una iniziale e quantitativamente irrilevante


regolamentazione snobistica di calco sul francese o sullinglese (dovuta alla stam-
pa borghese radicale-illuministica), non c dubbio che il linguaggio giornalisti-
co italiano ha assunto dei veri e propri caratteri specialistici. Lo regola e lo fissa
un tipo speciale di comunicativit, presupponente una societ completamente
rappresentata dalla sua opinione pubblica, a un certo livello pseudo-razionalisti-
co. Cos che un giornalista pu inventare solo dentro un sistema ristrettissimo, e
ogni sua invenzione non deve essere per scandalizzante: deve essere collaudata e
comunque prefigurata secondo una statistica ancora dilettantesca e pseudo-
scientifica della richiesta della massa. Ma comunque da questa determinata. Un
articolo giornalistico caratterizzato da espressivit viene cestinato perch il letto-
re medio provvederebbe da s a ignorarlo11.

Queste meditazioni linguistiche, come le chiama Pasolini, scatenano un


dibattito che dura per mesi e impegna settimanali, quotidiani, riviste (soprat-
tutto Il Giorno, Paese Sera, LEspresso e Il Corriere della Sera con in-
terventi di Arbasino, Andrea Barbato, Ottiero Ottieri, Citati, Calvino, Mario
Pomilio), un numero monografico de Il Contemporaneo (dove scrivono, tra
gli altri, Vittorini, Sereni, Fortini, Calvino), un questionario della Fiera lette-

10
Cfr. P.P. Pasolini, Saggi sulla letteratura e sullarte, a cura di W. Siti e S. De Laude, tomo
II, Mondadori, Milano 1999, pp. 2545-2548. Gli articoli e gli scritti sul calcio sono tra i pi
richiesti e tradotti allestero.
11
il testo di una conferenza torinese del 64 pubblicata su Rinascita il 26 dicembre
dello stesso anno. Poi inclusa nella raccolta Empirismo eretico (1964-1971) che esce per
Garzanti nellaprile 1972 e in giugno viene presentata alla libreria Croce di Roma da Enzo
Siciliano, Gian Carlo Ferretti e Giorgio Napolitano. Si cita da P.P. Pasolini, Empirismo eretico,
prefazione di G. Fink, Garzanti, Milano 1991, pp. 15-16.
...se mettessimo questo Pasolini in prima pagina? 531

raria con risposte di Avalle, Sciascia, Isella, Guglielmi, Sanguineti, Corti,


Segre, Emanuelli, Migliorini, Pampaloni, Piovene, Crovi, Ferrata ecc., e si
concludono, diciamo cos, a quasi un anno di distanza con un intervento di
Cesare Segre dal titolo La nuova questione della lingua 12.
Una ulteriore dimostrazione dellimportanza del mezzo giornalistico per
Pasolini (c da sottolineare che, in quegli anni, molti letterati consideravano
normale un ruolo anche giornalistico del loro mestiere, si pensi, ad esempio,
alla fortuna della forma del reportage 13) e anche della variet degli argomenti
che deve affrontare. Non si sottrae, infatti, alle domande dei lettori di Vie
nuove che lo incalzano su questioni legate al partito, il Pci, e alle accuse di
conformismo che Pasolini spesso gli rivolge, oppure a De Gaulle e Tambroni,
ai film di Antonioni, alla crisi di Cuba, ai cattolici e ai comunisti, al Terzo
Mondo, al neocapitalismo, alla costruzione di un albergo della catena Hilton
a Monte Mario a Roma (su cui avrebbe voluto scrivere dei versi, dichiara al
suo interlocutore, sugli atti sacrileghi degli sventramenti paesaggistici, sulle
lotte di Italia Nostra per la difesa del patrimonio artistico, sulle posizioni di
Bassani e su quelle di Volponi), alle polemiche con Salinari, considerato la
voce ufficiale del Pci in ambito letterario, o al tentativo di suicidio di Brigitte
Bardot su cui a chi gli scriveva: Possibile che una ragazza simile, che dalla
vita ha avuto tutto, volesse davvero morire?, risponde:

Io non lo penso []. So quanto loperazione giornalistica sia falsa: prende, della
realt, dei brani isolati, appariscenti, il cui significato sia immediatamente acce-
pibile, diventi subito una specie di formula: e poi li ricucisce insieme malamen-
te attraverso un tono moralistico che al puro e semplice servizio del lettore.
Non pensa, il giornalista borghese, nemmeno per un istante, a servire la verit: a
essere in qualche modo onesto: cio personale. Egli si spersonalizza totalmente,
per far parlare al suo posto un ipotetico pubblico, che egli naturalmente consi-
dera benpensante ma idiota, normale ma feroce, incensurato ma vile []. Ecco
che cos il successo: una vita mistificata dagli altri, che torna mistificata a te, e
finisce col trasformarti veramente []. una specie di gioco, le cui regole ven-
gono accettate da ambo le parti: da un lato gli sfruttatori, produttori, editori,
direttori di rotocalchi borghesi che siano dallaltro lo sfruttato ossia la persona
che ha avuto la disgrazia di avere successo. Regole disumane. Non hanno senso,
in esse, le parole rispetto, gratitudine, seriet, piet. questo certamente uno dei
lati pi clamorosamente immorali della societ capitalistica. Io, che in modo
certo cos limitato, rispetto alla B. B., ho avuto in questi anni un po di successo,
so cosa questo vuol dire: e capisco benissimo i propositi suicidi di quella ragazza.

12
In La Battana, nn. 7-8, maggio 1966.
13
Molti sono gli scrittori che prediligono questo genere e lo stesso Pasolini scrive per Il
Giorno, nel 61, una serie di articoli che poi confluiranno nel volume Lodore dellIndia, sul
viaggio in India in compagnia di Moravia e di Elsa Morante.
532 Floriana Calitti

So cosa significa essere guardati come bestie rare, essere dati in pasto senza discri-
minazione allodio (e assai pi raramente alla simpatia), essere continuamente,
sistematicamente falsificati, adoprati brutalmente a fare notizia []. In realt io
conosco molte di queste ragazze, portate alla ribalta dalla celebrit (anche se non
proprio come la B. B.) e leggo in loro i sintomi di una specie di nevrosi, dissociati-
va, che si potrebbe dire nevrosi del successo: e che i medici non hanno ancora
individuato, immagino, se non incasellandola blandamente nella voce esaurimen-
to. La sua azione dissociatrice del resto chiara, se si pensa che oggettivamente la
personalit viene spaccata in due: quella umilmente quotidiana, la vera, e quella fal-
sata, spesso atrocemente, che costituisce il mito dei boom giornalistici14.

Si sente che Pasolini ha gi dovuto difendersi dalle accuse di chi gli rim-
provera di frequentare troppo la vita mondana, e quindi borghese roma-
na, a lui rivolte da Cassola e poi riprese dai lettori di Vie nuove15, ha gi
dovuto affrontare le polemiche nate dopo la serata di presentazione dei fina-
listi del premio Strega del 27 giugno in cui ha letto i versi, che tanto scalpo-
re hanno suscitato, poi pubblicati nella raccolta La religione del mio tempo con
il titolo di In morte del realismo (una invettiva contro Cassola colpevole di
aver assassinato il realismo) ma, soprattutto, ha dovuto subire, il 30 giugno,
la denuncia per favoreggiamento da parte della polizia, per aver dato un pas-
saggio in macchina a dei ragazzi coinvolti in una rissa a Trastevere.
Il rapporto cos continuativo con il pubblico svela sempre di pi i tratti
variegati di una personalit complessa che reagisce a un destinatario di
massa, a un destinatario che spesso tende a trattarlo oramai come un per-
sonaggio e quindi di volta in volta molto amato o molto odiato, intellettua-
le venerato o intellettuale scomodo, al di l dei contenuti e dellestrema ete-
reogeneit dei problemi, dei temi posti alla sua attenzione. Il successo de Le
ceneri di Gramsci, di Ragazzi di vita, e di Una vita violenta, un successo
ampio, di pubblico, lingresso nel mondo del cinema, la caccia ai dettagli
scandalistici della sua vita privata che si accentua sempre di pi, i giornali che
si accaniscono in questa ricerca e sfruttano qualsiasi notizia, proprio quei
giornali che Pasolini cerca di usare perch strumento invincibile per arrivare
al largo pubblico, tutto fa s che si compia quel che temeva: Non voglio esse-
re un caso letterario. Non voglio essere ridotto a un oggetto di pura attualit,
di superficialit giornalistica16.

14
Cfr. P.P. Pasolini, I dialoghi, cit., n. 41 di Vie nuove del 15 ottobre 1960.
15
Vie nuove n. 28, 9 luglio 1960, a scrivergli Roberto Salvadori da Firenze. La lirica
larticoletto sotto forma di epistola come scrive a Giacinto Spagnoletti (cfr. P. P. Pasolini,
Lettere 1955-1975, a cura di N. Naldini, Einaudi, Torino 1988, p. 474) lo stesso Pasolini il 23
aprile del 60, uscir su Paese Sera il 29 giugno dello stesso anno, con il titolo Per la morte
del realismo. Orazione alla maniera di Antonio, con una chiara allusione al dramma di
Shakespeare Giulio Cesare. Pasolini presenta alla Strega, Il cavaliere inesistente di Calvino, men-
tre Spagnoletti La ragazza di Bube di Cassola.
16
Cfr. N. Naldini, Pasolini, una vita, cit., p. 224.
...se mettessimo questo Pasolini in prima pagina? 533

del 30 settembre 1965, dopo varie pause e riprese, il congedo a Vie


nuove con una lettera e alcune considerazioni sulla figura dello scrittore (che
non pi quello degli anni Cinquanta, il custode del fuoco sacro); ma il suo
dialogo con i lettori non cessa del tutto, si sposta sul settimanale Tempo (lo
avevano preceduto Bontempelli, Malaparte e Quasimodo), in una rubrica inti-
tolata Il caos che dovr affrontare, dallagosto 1968 al gennaio del 1970, pic-
cole battaglie quotidiane, in cui c gi tutto il Pasolini corsaro e luterano
pi famoso, quello che tuoner tra non molto dalle pagine del Corriere della
Sera17. Anche qui i temi affrontati sono tanti e tra i pi diversi, ma i toni si
radicalizzano e un filo, quasi un tarlo, latente ma pronto a esplodere li acco-
muna quasi tutti: la condanna allomologazione, alla cultura di massa.
Dal settimanale il 1 novembre 1969 parte la battaglia contro il medium
televisivo, il pi pericoloso, quello che impone i modelli pi consumistici,
quello che annienta un passato povero ma con una cultura da difendere, per
sposare, invece, il degrado dellassimilazione agli pseudo-ideali della borghe-
sia trionfante. Lanno precedente Flaiano si era espresso su Sanremo e nel
1974, con analogie evidenti a quanto leggeremo ora, sar Parise a condanna-
re uno dei simboli della televisione, cio Carosello (daltra parte Parise e
Pasolini diventano colleghi al Corriere della Sera)18:

incredibile quello che hanno visto ieri sera i miei occhi, per non pi di cinque
minuti, fin troppo esaurienti, alla televisione. In quei cinque minuti stavo cenando in
fretta, e i miei occhi non potevano non cadere sul video acceso, proprio davanti alla
tavola (mia madre e mia zia sono tra i dannati che vedono la televisione tutte le sere).
Il mio sguardo era acre, sintende. Infatti, per tutta la mezzora precedente la cena,
avevo corretto delle bozze, e la voce sciocca e futile, piena di insopportabile otti-
mismo, della televisione, mi aveva tormentato.
Acri, erano dunque i miei occhi, ma tutto sommato abbastanza distratti e lontani.
Ho realizzato solo dopo un po quello che stavo vedendo: due donne molto simili
una allaltra, stavano facendo delle evoluzioni, duna assoluta facilit, come due
automi caricati a molle, che sanno fare solo quei due o tre gesti, capaci di dare una
inalterabile e iterativa soddisfazione al bambino che li osserva. Due o tre mossucce
idiote, incastonate in un ritmo, che voleva essere gioioso e invece era soltanto faci-
le [] unallegria collegiale e orgiastica, in cui la donna appariva come una scema,
con dei pennacchi umilianti addosso, un vestituccio indecente che nascondeva e
insieme metteva in risalto le rotondit del corpo, cos come se le immagina, se le
sogna, le vuole un vecchio commendatore sporcaccione e bigotto.

17
Cfr. G.C. Ferretti, Lapprendistato del corsaro. Prefazione a P.P. Pasolini, I dialoghi, cit,
pp. V-XXXVII.
18
Cfr. rispettivamente G. Parise, Scuola e tv (1974), in Verba volant.Profezie civili di un
anticonformista, a cura di S. Perrella, Liberal Libri, Firenze 1998, p. 95. Ma per i rapporti tra
Parise e Pasolini si veda qui il saggio di Gianluigi Simonetti e, inoltre, M. Belpoliti, La fine
dellArcadia cristiana, in Settanta, Einaudi, Torino 2001, pp. 61-65; E. Flaiano, Diario degli
errori, Adelphi, Milano 2002, pp. 107-108.
534 Floriana Calitti

E poi la sentenza semplice e lapidaria che potremmo sottoscrivere ad ogni


parola anche noi, ma che evitiamo di fare per non derogare allimpegno preso
di non attualizzare costantemente gli articoli di Pasolini: Tutto ci, che si
presentava come leggero, era invece pesantemente volgare. E ancora: La
disparit dei sessi era sbandierata spudoratamente come una legge fatale e
prepotente di un sentimento comune. (Si lotta per il divorzio, e poi si con-
tinua a volere e vedere la donna come una buffona, vestita e agghindata come
per un mercatino delle schiave?).
Il punto, scrive Pasolini, che non si tratta di una polemica su Canzonis-
sima (Gi il titolo insopportabilmente cretino scriver, comunque, anco-
ra su Paese Sera nel 1972 19), alla quale negli stessi giorni, ad esempio, Il
Giorno dedicava unintera pagina, perch altrimenti la polemica avrebbe
dovuto estendersi a tutta la televisione; e neppure si trattava di una scelta tra
bellezza e bruttezza, ma di volgarit. La volgarit che scaturiva certo non solo
da una notazione estetica ma da una spietata analisi della sotto-cultura che gli
stava dietro. Perch, continua Pasolini, non vero che la televisione sostitui-
sce la tombola delle serate in famiglia, nella tombola cera ancora unespres-
sione che poteva anche essere giudicata come infima ma era lespressione di
una civilt, quella contadina: []. Oggi il riferimento di quelle belle sera-
te in famiglia davanti al video non locale, concreto modesto ma profon-
do alla realt di una piccola patria, ma alla realt produttiva di una intera
nazione, che altera il significato della famiglia, e ne fa non pi un nucleo di
innocenti conservatori, ma un nucleo di ansiosi consumatori20.
Questo articolo non rimane isolato, anzi pi volte Pasolini torner a riflet-
tere amaramente sui guasti della televisione fino allarticolo che il 9 dicembre
1973 esce sul Corriere della Sera, con il titolo Sfida ai dirigenti della televi-
sione, nel quale parla del nuovo fascismo, tanto pi devastante del vecchio:
prima il cattolicesimo era lunico fenomeno culturale che omologava gli ita-
liani, ora ledonismo di massa:

Non c infatti niente di religioso nel modello del Giovane Uomo e della Giovane
Donna proposti e imposti dalla televisione. Essi sono due Persone che avvalora-
no la vita solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, sintende, vanno ancora a
messa la domenica: in macchina). Gli italiani hanno accettato con entusiasmo
questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della
Produzione creatrice di benessere (o meglio di salvezza dalla miseria). Lo hanno
accettato ma sono davvero in grado di realizzarlo? []. Non c dubbio (lo si
vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun

19
In risposta a uninchiesta su Canzonissima, Paese Sera, 8 ottobre 1972, in P.P. Pasolini,
Saggi sulla politica e sulla societ, cit., pp. 838-839.
20
Da P.P. Pasolini, I dialoghi, cit., il volume raccoglie oltre a tutti i dialoghi su Vie nuove
anche quelli usciti su Tempo nella rubrica di risposte ai lettori Il caos, cfr. anche P.P.
Pasolini, Saggi sulla politica e sulla societ, cit., pp. 1260-1262.
...se mettessimo questo Pasolini in prima pagina? 535

mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di


slogans mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) laratro rispetto a un trat-
tore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non stato sostanzialmente in grado nemme-
no di scalfire lanima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi
mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non
solo lha scalfita, ma lha lacerata, violata, bruttata per sempre []21.

Si pensi, ad esempio, allarticolo del 18 ottobre 1975 uscito sul Corriere


della Sera con il titolo Aboliamo la Tv e la scuola dellobbligo 22, nel quale
compare la famosa ripresa della proposta swiftiana (Una modesta proposta,
1729) di risolvere i problemi della scarsa alimentazione della popolazione
inglese in sovrappi, cucinando e mangiando i bambini dei contadini, con
quella di, se non propriamente mangiare, almeno sospendere, mettere sotto
cassa integrazione, gli insegnanti e gli impiegati della televisione, per evita-
re che ogni giorno che passa sia fatale sia agli scolari che ai telespettatori, in
attesa di una radicale riforma della scuola e della televisione.
Anche i moti studenteschi del 68 erano stati fonte di dibattiti aspri e di
polemiche dolorose, la pi dolorosa quella con Fortini che non pot essere
mai pi sanata23, perch per Pasolini quella del Sessantotto, era e rimarr una
falsa rivoluzione in cui gli studenti sono vittime ma, nello stesso tempo,
anche i colpevoli, gli artefici, di un colossale equivoco. Scrive Il Pci ai giova-
ni!! (Appunti in versi per una poesia in prosa seguiti da una Apologia) 24, una
poesia destinata a Nuovi Argomenti e che, invece, esce senza autorizzazio-
ne e parzialmente, a met giugno, su LEspresso, con un titolo redazionale
Vi odio, cari studenti, e con commenti che tendono a fuorviarne il senso.

21
Con il titolo di Acculturazione e acculturazione in P.P. Pasolini, Scritti corsari, con una
prefazione di A. Berardinelli, Garzanti, Milano 2000, pp. 23-25 e anche si veda Id., Lo stori-
co discorsetto di Castelgandolfo uscito sul Corriere della Sera il 22 settembre 1974 con il tito-
lo I dilemmi di un Papa, oggi, pp. 77-81, sui rapporti tra Chiesa e la televisione.
22
Poi in P.P. Pasolini, Lettere luterane, prefazione di G. Crainz, Garzanti, Milano 2009, con
il titolo di Due proposte per eliminare la criminalit in Italia, p. 194.
23
Cfr. la rievocazione dei loro rapporti e scambi epistolari fatta da Franco Fortini stesso in At-
traverso Pasolini, Einaudi, Torino 1993 e E. Golino, Tra lucciole e e Palazzo. Il mito Pasolini dentro la
realt, Sellerio, Palermo 2005 IIa edizione, in particolare le pp. 91-113 Fortini, lamico-nemico.
24
Pubblicata per intero su Nuovi Argomenti, n. 10, aprile-giugno 1968, poi in P.P.
Pasolini, Empirismo eretico, da cui si cita, pp. 151-159, e poi Pasolini torna ancora a parlarne nella
rubrica Il caos del 17 maggio 1969, con una nota dal titolo I cappelli goliardici, cfr. P.P. Pasolini,
Saggi sulla politica e sulla societ, cit., pp. 1209-1211: Non sto a raccontare al lettore di quali
ricatti sono stato fatto segno in seguito alla cattiva lettura (lettura di cultura di massa) di questa
mia poesia: perfino lettori che se lavesser letta su Nuovi Argomenti lavrebbero capita, leggen-
dola sullEspresso sono stati vittime del processo fatale che ho descritto. Ricorder Occhetto
(su Rinascita) che oltre a limitare la sua critica a quei primi due versi, e non alla dozzina che
seguiva (se ne sta occupando forse adesso, che il problema della polizia esploso, e lUnit pub-
blica lettere di poliziotti che confermano quello che io dicevo!), aveva trasformato la mia espres-
sione simpatizzavo con lespressione, da lui inventata, tenevo per [...] pp. 1210-1211.
536 Floriana Calitti

un pamphlet in versi sulla manifestazione di un mese prima alla Facolt di


Architettura a Valle Giulia a Roma e sugli scontri tra il movimento degli stu-
denti e la polizia. Pasolini vuole mettere a nudo, smascherare gli intenti misti-
ficatori del movimento che strumentalizza gli studenti per una falsa rivolu-
zione, appunto, e per falsi e ingannevoli miti.

triste. La polemica contro


Il Pci andava fatta nella prima met
del decennio passato. Siete in ritardo, figli.

Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi
quelli delle televisioni)
vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio
delle universit) il culo. Io no, amici.
Avete facce di figli di pap

Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti!

Hanno ventanni, la vostra et, cari e care.
Siamo ovviamente daccordo contro listituzione della polizia.
Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete!
I ragazzi poliziotti
che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione
risorgimentale)
di figli di pap, avete bastonato,
appartengono allaltra classe sociale.
A Valle Giulia, ieri, si cos avuto un frammento
di lotta di classe: e voi, amici (bench dalla parte
della ragione) eravate i ricchi,
mentre i poliziotti (che erano dalla parte
del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque,
la vostra!
(vv. 1-3; 5-9; 16-18; 43-56)

La scelta dei versi ha cercato di essere il pi rispettosa possibile dei pas-


saggi cruciali dellinvettiva che, come ha pi volte poi ribadito Pasolini stes-
so, voleva essere sin dallincipit una boutade, una provocazione, una captatio
malevolentiae: Sia dunque chiaro che questi brutti versi io li ho scritti su
pi registri contemporaneamente: e quindi sono tutti sdoppiati cio ironi-
ci e autoironici. Tutto detto tra virgolette. Il pezzo sui poliziotti un pezzo
di ars retorica, che un notaio bolognese impazzito potrebbe definire, nella fat-
tispecie, una captatio malevolentiae; le virgolette sono perci quelle della
provocazione. E sul perch, su quali siano state le ragioni di tanta vis pole-
...se mettessimo questo Pasolini in prima pagina? 537

mica nei confronti degli studenti, Pasolini molto chiaro nello spiegare che i
giovani di questo movimento non possono pi guardare la borghesia oggetti-
vamente attraverso lo sguardo di unaltra classe sociale, perch la borghesia
oramai trionfante e quindi sta permeando anche le altre classi sociali: attra-
verso il neocapitalismo, la borghesia sta diventanto la condizione umana.
Quindi lunica possibilit di comunicare con loro, con i giovani, come extrema
ratio, rimane, appunto, la provocazione, e la loro salvezza pu stare solo oltre
le convenzioni, oltre il conformismo, anche quello della sinistra, del Pci: que-
sta s potrebbe essere la vera rivoluzione. E quando nel 71 torner a scrivere
de Il Pci ai giovani!! parlando della sua ultima raccolta poetica Trasumanar e
organizzar, nel ricredersi sulla bruttezza autodichiarata di quei versi, sottoli-
nea e motiva questo giudizio proprio in quella mescolanza di scritture diverse
che, abbiamo gi detto, senza dubbio la cifra pi caratteristica del giornalismo
pasoliniano e anche della sua poesia: Brutta, invece, non , con quellimpasto
espressionistico di prosa giornalistica e luoghi comuni []25.
Daltra parte, sempre nel 1968, Pasolini decide di ritirarsi dallo Strega e scri-
ve su Il Giorno del 24 giugno quali le motivazioni che lo hanno spinto a un
gesto certamente eclatante, alla seconda votazione per di pi: semplicemente e
drammaticamente essere contro lidea che il libro sia un prodotto di puro con-
sumo e, quindi, accettare che la cultura sia sottoposta a una industria neocapi-
talistica26. Il che comporterebbe arrendersi irreparabilmente allidea che tutto
perduto, tutto finito, non c pi nemmeno una zona franca, e constatare, dun-
que, come far di l a poco, che quella in atto una vera e propria mutazione
antropologica, causata da un boom economico che in Italia ha avuto modalit
diverse dagli altri paesi europei, stato pi rapido, non assimilato gradualmente,
una seconda rivoluzione industriale senza la prima.
Ancora oggi desta meraviglia e stupore, possiamo confessarlo, la collabo-
razione del perturbatore Pasolini al Corriere della Sera, la sua rubrica su
Tempo intanto, il 20 gennaio 1970, era stata sospesa perch lo scrittore vi
affrontava temi troppo politici. Frutto di una trattativa che non stata
certo n rapida n immediata Enzo Siciliano racconta come si sono svolti i
fatti e il ruolo che hanno giocato Gaspare Barbiellini Amidei e Nico Naldini
che conosceva bene lambiente editoriale milanese27 lentrata dello scritto-

25
Cfr. P.P. Pasolini, Pasolini recensisce Pasolini, uscito su Il Giorno, 3 giugno 1971 e poi
pubblicato in Id., Saggi sulla letteratura e sullarte, cit., p. 2577.
26
Id., In nome della cultura mi ritiro dal Premio Strega, in Saggi sulla politica e sulla societ,
cit., p. 154.
27
E. Siciliano, P.P.P., una lucciola al Corriere, in Pasolini e il Corriere, supplemento dell8
ottobre 1986 dal titolo Corriere della Sera (1876-1986). Dieci anni e un secolo: La difficolt
da superare non era di poco conto. Nonostante la nuova direzione, il Corriere della Sera era
pur sempre immagine di quel conservatorismo contro il quale Pasolini non si era fatto scru-
polo di accuse cocenti. In particolare si trattava di spiegare a Pasolini che la cornice di Tribuna
aperta costituiva unassicurazione di libert reciproca, e per il collaboratore e per il giornale.
Naldini ci riusc e la cosa and in porto, p. 4.
538 Floriana Calitti

re corsaro si inscrive nella politica di svecchiamento del nuovo direttore


Piero Ottone che aveva un obiettivo senza dubbio, oltre che innovativo,
coraggioso: mirava a portare nel giornale in quella Tribuna aperta, istituita
per loccasione, una serie di firme di scrittori e intellettuali che potessero con-
traddistinguere quello come un giornalismo dautore. Tra gli altri: Moravia,
Calvino, Sciascia, Fortini, Natalia Ginzburg.
Quel Corriere della Sera, proprio il giornale padronale, il giornale
della borghesia milanese, contro cui si era scagliato gi pi volte e contro cui
aveva lanciato i versi de Il Pci ai giovani!!:

[] In questi casi,
ai poliziotti si danno i fiori, amici.
Popolo e Corriere della Sera, Newsweek e Monde
vi leccano il culo. Siete i loro figli [] (vv. 56-59).

E poi ancora:

Occupate le universit
ma dite che la stessa idea venga
a dei giovani operai.
E allora:
Corriere della Sera e Popolo, Newsweek e Monde
avranno tanta sollecitudine
nel cercar di comprendere i loro problemi? (vv. 100-106)28.

E proprio contro quel direttore, Piero Ottone, subentrato da poco a


Spadolini, Pasolini scrive una lettera, esplicitamente offensiva, datata 30 apri-
le 1972, di cui diamo solo la prima parte:

Caro ineffabile Ottone,


sarebbe ora ti vergognassi per quello che fai scrivere ai tuoi disonesti redattori
sul Vietnam! un atto vergognoso che solo i servi e quelli che come te non pos-
siedono alcuna dignit morale hanno limpudenza di compiere. Perch non sei
ignorante tu, dal momento che una volta almeno il testo del Trattato di Ginevra
si deve presumere che lhai letto; sei solo in malafede, tu come il tuo galoppino
Sormani che scrive i suoi sudici e cinici articoli dal Vietnam perch i lettori ben-
pensanti leggano sul tuo giornale tanto serio e autorevole quello che saspetta-
no da una stampa padrona in casa e serva e servile fuori. Non poi un caso che
non ti salterebbe mai in testa, n a te n a nessuno della tua immorale falange, di
pubblicare per esteso un documento che parla cos chiaro come il testo di quel
trattato, che la tua e la vostra vocazione allillibert e la tua e la vostra mancanza
di coraggio morale offendono quotidianamente. E allora, direttore, con che

28
Da P.P. Pasolini, Empirismo eretico, cit., pp. 152-153.
...se mettessimo questo Pasolini in prima pagina? 539

animo tu, voi avete la spudoratezza di cogliere ogni occasione per parlare di
libert di stampa, quando tu e voi di questa libert fate volgare mercimonio irri-
dendo ai suoi valori con linconfessato e inconfessabile scopo di concimare li-
gnoranza e diffondere linganno? Dunque, caro Ottone, se tinsegno a chiamare
ogni cosa col nome che gli conviene, vorrai non avertene come uomo (come
direttore sarebbe pretendere limpossibile) se ti dico che sei una triviale e laida
puttana. A Cesare quel che di Cesare, alle puttane... E ora seguita pure a ven-
derti per comprare gli altri. Lascia pure lo spazio della tua rubrica alla lettera della
gentile signorina Cesira che essendosi fratturata la caviglia sciando a Cortina si
interessa tanto ad un nuovo metodo per aggiustarsela (vivaddio, visto che non ci
hanno regalato la riforma sanitaria pur sempre qualcosa che vi interessiate alme-
no voi di qualche questione spicciola, davvero!)29.

Il primo articolo corsaro esce il 7 gennaio del 1973, con il titolo Contro i
capelli lunghi 30: una analisi del linguaggio del corpo, un linguaggio non verbale,
legato, in questo caso, alla contestatoria esibizione dei capelli lunghi da parte dei
giovani. Questa esibizione avrebbe dovuto sottointendere una protesta contro il
potere precostituito, contro il tradizionalismo borghese, avrebbe dovuto creare
uno scandalo, ma, in realt, secondo Pasolini, era solo e miseramente una sotto-
cultura di protesta che si opponeva a una sottocultura di potere, niente di pi:

La prima volta che ho visto i capelloni, stato a Praga. Nella hall dellalbergo
dove alloggiavo sono entrati due giovani stranieri, con i capelli lunghi fino alle
spalle. Sono passati attraverso la hall, hanno raggiunto un angolo un po appar-
tato e si sono seduti a un tavolo. Sono rimasti l seduti per una mezzoretta, osser-
vati dai clienti, tra cui io; poi se ne sono andati. Sia passando attraverso la gente
ammassata nella hall, sia stando seduti nel loro angolo appartato, i due non
hanno detto parola (forse bench non lo ricordi si sono bisbigliati qualcosa
tra loro: ma, suppongo, qualcosa di strettamente pratico, inespressivo) []. Ci
che sostituiva il tradizionale linguaggio verbale, rendendolo superfluo e tro-
vando del resto immediata collocazione nellampio dominio dei segni, nellam-
bito cio della semiologia era il linguaggio dei loro capelli []. Qual era il senso
del loro messaggio silenzioso ed esclusivamente fisico?
Era questo: Noi siamo due Capelloni. Apparteniamo a una nuova categoria
umana che sta facendo la comparsa nel mondo in questi giorni, che ha il suo cen-
tro in America e che, in provincia (come per esempio anzi, soprattutto qui a
Praga) ignorata. Noi siamo dunque per voi una Apparizione. Esercitiamo il
nostro Apostolato, gi pieni di un sapere che ci colma e ci esaurisce totalmente.
Non abbiamo nulla da aggiungre oralmente e razionalmente a ci che fisicamen-
te e ontologicamente dicono i nostri capelli [...].

29
Questa lettera stata pubblicata sul Corriere della Sera il 1 novembre del 2000 con il
titolo di Voi, diffusori dellinganno, ma senza indicazione precisa della fonte originaria, proba-
bilmente gli archivi del giornale.
30
Con il titolo Il Discorso dei capelli apre Scritti corsari che Pasolini pubblica nel 1975
per Garzanti, cfr. P.P. Pasolini, Scritti corsari, cit., pp. 5-11.
540 Floriana Calitti

Pur prendendo le loro parti Pasolini aveva il sospetto che quel discorso
silenzioso contenesse il rischio di esprimere qualcosa di equivoco:

Il linguaggio di quei capelli, anche se ineffabilmente, esprimeva cose di Sinistra.


[].
Venne il 1968. I capelloni furono assorbiti dal Movimento Studentesco; svento-
lavano con le bandiere rosse sulle barricate. Il loro linguaggio esprimeva sempre
pi cose di Sinistra (Che Guevara era capellone ecc.).
Nel 1969 con la strage di Milano, la Mafia, gli emissari dei colonnelli greci, la
complicit dei Ministri, la trama nera, i provocatori i capelloni si erano enor-
memente diffusi: bench non fossero ancora numericamente la maggioranza, lo
erano per per il peso ideologico che essi avevano assunto. Ora i capelloni non
erano pi silenziosi: non delegavano al sistema segnico dei loro capelli la loro
intera capacit comunicativa ed espressiva
Cosa dicevano, essi, ora? Dicevano: S, vero, diciamo cose di Sinistra; il nostro
senso bench puramente fiancheggiatore del senso dei messaggi verbali un
senso di SinistraMaMa.

A quei Ma risponde Pasolini nella conclusione dellarticolo:

Nessuno mai al mondo potrebbe distinguere dalla presenza fisica un rivoluziona-


rio da un provocatore. Destra e Sinistra si sono fisicamente fuse.
Siamo al 1972.
Ero, questo settembre, nella cittadina di Isfahan, nel cuore della Persia. Paese sot-
tosviluppato, come orrendamente si dice, ma, come altrettanto orrendamente si
dice, in pieno decolloEd ecco che una sera, camminando per la strada princi-
pale, vidi, tra tutti quei ragazzi antichi, bellissimi e pieni dellantica dignit
umana, due esseri mostruosi: non erano proprio dei capelloni, ma i loro capelli
erano tagliati alleuropea, lunghi di dietro, corti sulla fronte, resi stopposi dal
tiraggio, appiccicati artificialmente intorno al viso con due laidi ciuffetti sopra le
orecchie.
Che cosa dicevano questi loro capelli? DicevanoNoi siamo impiegati di banca,
studenti, figli di gente arricchita che lavora nelle societ petrolifere; conosciamo
lEuropa, abbiamo letto. Noi siamo dei borghesi: ed ecco qui i nostri capelli lun-
ghi che testimoniano la nostra modernit internazionale di privilegiati!.
Quei capelli lunghi alludevano dunque a cose di Destra.
Il ciclo si compiuto.

Scrive ancora Pasolini che questi giovani si sono isolati, peggio sono regre-
diti, sono andati pi indietro dei loro padri, hanno resuscitato il conformi-
smo, sono una massa inarticolata in cui destra e sinistra si confondono
drammaticamente: Ora cos i capelli lunghi dicono, nel loro inarticolato e
ossesso linguaggio di segni non verbali, nella loro teppistica iconicit, le co-
se della televisione o delle rclames dei prodotti, dove ormai assolutamen-
te inconcepibile prevedere un giovane che non abbia i capelli lunghi: fatto
...se mettessimo questo Pasolini in prima pagina? 541

che, oggi, sarebbe scandaloso per il potere. una finta libert, una finta
contestazione quella dei giovani che sono entrati in un ghetto fatto di ansia
colpevole di attenersi allordine degradante dellorda. Una contestazione che
non riconoscibile, non dice la verit, sta in quellatroce penombra dove
destra e sinistra si confondono31.
Dal punto di vista stilistico interessante notare come la scrittura giorna-
listica di Pasolini sia davvero molto personale ed efficace: bandito qualsiasi
tecnicismo e quando lo usa lo sottolinea come una mostruosit, una defor-
mazione del linguaggio: si parte dal racconto di un fatto, dalla descrizione di
una situazione, da un piccolo evento autobiografico e si passa a una riflessio-
ne su questioni generali e via via, come per tesi che si sviluppano, si arriva a
conclusioni che sono sempre nette e chiare, e per questo sempre considerate
o semplicemente provocatorie o addirittura scandalose.
Il secondo articolo sul Corriere della Sera esce il 17 maggio dello stesso
1973, con il titolo Il folle slogan dei jeans Jesus e prende spunto da uno slogan
pubblicitario di grande successo Non avrai altri jeans allinfuori di me.
Larticolo dopo una prima parte sul linguaggio della pubblicit, sulla falsa
espressivit della lingua degli slogan, una lingua stereotipata, denuncia un
rapporto tra la Chiesa che reagisce blandamente sulle pagine dellOsservato-
re romano e il consumismo. Quello che interessa sottolineare a Pasolini
che solo la possibilit di concepire questa trovata pubblicitaria lemblema
che la mercificazione si compiuta.
Quando poco pi di un anno dopo, il 10 giugno 1974, Pasolini scriver
larticolo simbolo della sua condanna alla mutazione antropologica degli
italiani, Gli Italiani non sono pi quelli, in sostanza riprende questa riflessio-
ne: questuomo non ha pi radici, una creatura mostruosa del sistema; lo
ritengo capace di tutto. Dopo il referendum sul divorzio, infatti, tutte le
entusiastiche dichiarazioni sulla raggiunta maturit della nazione italiana e
sulla vittoria della laicit sembrano a Pasolini delle falsit che nascondono
una verit, seppur crudele e scomoda, una verit: la vittoria del no indub-
biamente una vittoria ma, se andiamo ad analizzare la qualit di quella vitto-
ria, dobbiamo ammettere, scrive Pasolini, che si deve piuttosto alla vittoria
del consumismo, alla diffusione di un edonismo neocapitalistico, a un senti-
mento pi egoista, pratico, in buona sostanza, pi comodo che profonda-
mente laico, quello di matrice americana. Le reazioni sono immediate, gli ri-
spondono Calvino, Maurizio Ferrara, in rappresentanza della sinistra, e il so-
ciologo Franco Ferrarotti. Lo accusano di essere un nostalgico, di voler ricrea-
re unet delloro che non c pi, unArcadia, immagine di un irrazionalismo

31
In una lettera del 24 settembre 1975 a Giovanni Ventura, imputato per la strage del
1969 della Banca dellAgricoltura a Milano, in carcere a Bari, cfr. P.P. Pasolini, Lettere (1955-
1975), cit., p. 741.
542 Floriana Calitti

estetico, che non pu tornare. Pasolini scrive una lettera aperta a Calvino su
Paese Sera: Io rimpiangere lItalietta? Ma allora tu non hai letto un solo
verso delle Ceneri di Gramsci o di Caldern, non hai letto una sola riga dei
miei romanzi, non hai visto una sola inquadratura dei miei films, non sai
niente di me! [...]. LItalietta piccolo-borghese, fascista, democristiana,
provinciale e ai margini della storia; la sua cultura un umanesimo scolasti-
co formale e volgare. Vuoi che rimpianga tutto questo?32. Ancora repliche,
oltre a Calvino, Moravia, Fortini, Eco, Bocca e la Ginzburg.
La collaborazione con il Corriere della Sera continua, anzi si intensifica
e i contenuti si radicalizzano, in due anni Pasolini scrive articoli memorabili.
Quello sulle lucciole: la loro scomparsa diventa il metro metaforico della
scansione temporale tra un prima e un dopo; la scomparsa delle lucciole a
causa dellinquinamento equivale alla scomparsa delle culture locali contadi-
ne, a causa, per analogia, della societ dei consumi che ne ha inquinato, con-
taminato il mondo. Il tutto in un vuoto di potere, la cui responsabilit, con-
divisa tra la Chiesa e la Dc: nellestate del 75 in una serie di interventi cor-
rosivi Pasolini chiede una nuova Norimberga contro i dirigenti della
Democrazia cristiana. Il 24 agosto 1975 sul Corriere della Sera larticolo dal
titolo Il Processo e poi il 28 agosto su Il Mondo Bisognerebbe processare i
gerarchi Dc (insieme andranno a far parte di Lettere luterane 33) e una lettera
aperta al Presidente della Repubblica italiana, Giovanni Leone, sempre su Il
Mondo dell11 settembre. Gli articoli sul Palazzo e il Potere, sul divorzio,
sullaborto (che gli mette tutti contro), sul massacro del Circeo sul quale
polemizza violentemente con Moravia e, soprattutto, con Calvino (fino alla
Lettera luterana a Italo Calvino uscita su Il Mondo del 30 ottobre 1975 34).
Non solo. Nel 1974 tra la propriet del Corriere e Pasolini si progetta
una rubrica fissa di critica letteraria dal titolo Che dire? che avrebbe dovu-
to partire alla fine del 1975.
Ha detto Contini nel suo ricordo, nel suo epicedio per lamico de lohn,
proprio sugli anni protestanti, quelli di denuncia sul Corriere della Sera:

Entrato con tutti gli onori nelle fila della societ detta affluente, Pasolini si
avvalse degli stessi strumenti di cui essa gli faceva copia per fustigarla in piena fac-
cia. La societ affluente sorrideva o anzi applaudiva sotto le percosse, lieta che

32
Su Paese Sera, 8 luglio 1974 con il titolo Lettera aperta a Italo Calvino: Pasolini: quel-
lo che rimpiango. Poi in P.P. Pasolini, Scritti corsari, cit., pp. 51-55 con il titolo 8 luglio 1974.
Limitatezza della storia e immensit del mondo contadino.
33
Lettere luterane escono postume nel 1976 per Einaudi ma con tutti i materiali che
Pasolini aveva predisposto per la pubblicazione: gli articoli usciti sul Corriere della Sera e sul
Mondo tra gennaio e ottobre del 1975 oltre al trattatello pedagogico Gennariello. Scritti
corsari raccolgono invece gli articoli del Corriere della Sera e de Il Mondo dal 1973 al
1975.
34
Cfr. P.P. Pasolini, Lettere luterane, cit., pp. 197-203.
...se mettessimo questo Pasolini in prima pagina? 543

la sua liberalit si ornasse di un tanto eretico accarezzato, scambiandolo certo per


un esibizionista compiaciuto di paradossi. Pasolini invece combatteva seriamen-
te (bench, da temere, con la tattica meno efficace, posto il ruolo di contrad-
dittore che gli era ufficialmente assegnato) contro il cosiddetto consumismo e i
dogmi di comportamento che esso importava35.

vero, Pasolini combatteva seriamente, soprattutto contro la mistifica-


zione e lapparenza, come quella della finta libert che insegue il progresso
industriale, in cambio della perdita irreversibile della campagna, della cultu-
ra contadina: un disastroso punto di non ritorno sul quale, come aveva fatto
notare a Calvino, aveva gi detto, da tempo. La minaccia della scomparsa
delle lucciole, del notissimo articolo del 1 febbraio 1975 gi dentro le
Ceneri di Gramsci, uscite nel 1957:

il mondo. Piange ci che ha


fine e ricomincia. Ci che era
area erbosa, aperto spiazzo, e si fa
cortile, bianco come cera,
chiuso in un decoro ch rancore;
ci che era quasi una vecchia fiera
di freschi intonachi sghembi al sole,
e si fa nuovo isolato, brulicante
in un ordine ch spento dolore36. (Il pianto della scavatrice, VI, vv. 40-48)

Cos come la scrittura giornalistica, lattenzione pressante allattualit


presente, la cronaca forma e contenuto, della raccolta poetica del 1971
Trasumanar e organizzar, un diario intimo con delle forme talmente pubbli-
che da emulare quelle delle agenzie di stampa. Il linguaggio della poesia sem-
bra mutuato dal modello dei comunicati-stampa: il poeta venne sempre pi
affidando ai versi il ruolo di braccio secolare della sua aspra contestazione al
presente37. Solo per fare qualche esempio: il componimento Panagulis nasce
espressamente su commissione della rivista Tempo (Alexandros Panagulis
aveva fondato nel 1967 il movimento Resistenza Ellenica contro la dittatura
dei colonnelli)38, quello intitolato Il mondo salvato dai ragazzini poi una

35
G. Contini, Testimonianza per Pier Paolo Pasolini, in Il Ponte, 30 aprile 1980, poi in
Id., Ultimi eserciz ed elzeviri (1968-1987), Einaudi, Torino 1988, pp. 389-396, p. 393 da cui
si cita.
36
Le ceneri di Gramsci escono presso Garzanti nel 1957, si cita dalledizione sempre
Garzanti (Milano 1976), p. 112.
37
P.V. Mengaldo, Poeti italiani del Novecento, Mondadori, Milano 1978, p. 799.
38
Pasolini pi volte scrisse su Panagulis che dopo aver avuto laministia sulla condanna a mor-
te per lattentato al primo ministro Papadopoulos del 1968 era venuto a vivere in esilio in Italia, cfr.
Il caos, in Dialoghi, cit. e in P.P. Pasolini, Saggi sulla politica e sulla societ, cit., pp. 1151-1156, e
544 Floriana Calitti

sorta di recensione in versi del libro di Elsa Morante. E, ancora, i vari comu-
nicati: Comunicato allAnsa (Propositi) Ho bevuto un bicchiere dacqua alle
tre di notte/mentre Arezzo aveva laria di essere assolutamente/[indipenden-
te; Comunicato allAnsa (Scelta stilistica), Comunicazione allAnsa (Ninetto),
Comunicato allAnsa (Un cane) e nellAppendice, Comunicato allAnsa (Dove
sono?), Comunicato allAnsa (Il mondo visto da una clinica) con questo incipit:
Notizie trapelate a tarda sera; Comunicato allAnsa (Nazional-popolare),
Comunicato allAnsa (Futuro).
Dopo laccoglienza fredda se non proprio ostile nei confronti di
Trasumanar e organizzar, Pasolini decide di intervenire direttamente in prima
persona e sceglie di scrivere una sorta di autorecensione che, infatti, intitola
Pasolini recensisce Pasolini e fa uscire sulle pagine de Il Giorno (3 giugno
1971). davvero un caso di eccezionale padronanza della scrittura giornali-
stica in tutta la gamma delle possibilit, compresa questa scrittura in terza
persona sulla propria opera, in uno sdoppiamento esplicito e in pi punti in
scoperta antitesi al ruolo di critico letterario che sta interpretando:

Questopera di Pier Paolo Pasolini che rischia di passare meno osservata del giu-
sto perch non strumentalizzabile da nessuno (come orribilmente si dice), in
realt costituita almeno da tre libri. Il primo un diario privato, in cui Pasolini
parla delle sue giornate, per lo pi nere, mescolando alle angosce ma anche ai
piaceri, andiamo! i problemi metalinguistici e sociali del fare poesia: Piccoli
Poemi Politici e Personali (P.P.P.P.) []. Nellinsieme, limpasto tra situazioni
quotidiane particolari e problemi generali, riesce misteriosamente, proprio per lo
sfacciato ricorso allabilit letteraria39.

E, a proposito di abilit letteraria, va senza dubbio sottolineata quella del


registro giornalistico che man mano Pasolini affina. Ad esempio, come stato
notato, tendendo ad asciugare molto: Semplifica. E ripete40; sceglie, infat-
ti, tra le figure retoriche da privilegiare quella della ripetizione. E cos si
mostra in tutta la sua efficacia luso dellanafora negli scritti giornalistici degli
ultimi due anni. Nellarticolo del 14 novembre 1974 sul Corriere della
Sera, Il romanzo delle stragi: Io so, Io so i nomi che si ripete per
nove capoversi, Io so tutti questi nomi, Io so. Ma non ho le prove.
Oppure nellarticolo Il mio voto al Pci su lUnit del 6 giugno 1975: Voto
comunista perch, e Ricordo e so che, So dunque, So inol-

un articolo sullUnit del 29 giugno 1972 (Il simbolo Panagulis, ivi, pp. 232-236. Nel 1975
e nellanno successivo Andrea Zanzotto collabora intensamente al Corriere della Sera con
recensioni e interventi tra cui uno su Panagulis.
39
In P.P. Pasolini, Pasolini recensisce Pasolini, in Id., Saggi sulla letteratura e sullarte, cit., p.
2575.
40
Cfr. P. Bellocchio, Introduzione a P.P. Pasolini, Saggi sulla politica e sulla societ, cit., pp.
XXXVI-XXXVII.
...se mettessimo questo Pasolini in prima pagina? 545

tre..., Ma infine so che e lultimo capoverso che riprende quello inizia-


le a chiudere il cerchio: Voto comunista perch. O, ancora in Perch il
processo uscito sul Corriere della Sera, 28 settembre 1975: I cittadini ita-
liani vogliono consapevolmente sapere perch, Gli italiani vogliono
ancora sapere e altri capoversi con piccole varianti. Infine quello della
Lettera luterana a Calvino uscita su Il Mondo il 30 settembre del 1975: sette
capoversi che iniziano con Tu dici. Una riprova ulteriore del fatto che
mai la scrittura giornalistica per Pasolini stata secondaria, o relegata in una
categoria minore.
La falsa idea di poter operare una suddivisione dei ruoli delleclettico
Pasolini che via via, di volta in volta, di stagione in stagione, poeta, roman-
ziere, critico, regista, saggista, giornalista, si diffusa largamente, forse anche
per la difficolt reale, negli studiosi, di governare tutti i generi, condanna-
ta al fallimento. Pasolini ribadisce, in continuazione e nei fatti, la fertilit
creativa di queste invasioni di campo41.
Anche nellultima opera, la sua summa postuma, Petrolio, nella lettera a
Moravia, torna ancora, e diventa un suggello, lambizione utopica di unope-
ra aperta e di una scrittura che travalichi i confini, che contamini, che mesco-
li i generi: Caro Alberto, ti mando questo manoscritto perch tu mi dia
un consiglio. un romanzo, ma non scritto come sono scritti i romanzi
veri: la sua lingua quella che si adopera per la saggistica, per certi articoli
giornalistici, per le recensioni, per le lettere private o anche per la poesia42.

41
Ivi, p. XIII.
42
P.P. Pasolini, Petrolio, Einaudi, Torino 1992, p. 544.
GIUSEPPE PALAZZOLO

Franco Fortini, ospite ingrato di quotidiani e riviste

Premessa

Nella prefazione alla raccolta degli interventi di Fortini su il manifesto,


Rossana Rossanda ricorda come lautore di Poesia ed errore si sentisse ospite
ingrato delle pagine del quotidiano comunista, come in fondo lo era sempre
stato dei giornali e delle riviste a cui aveva collaborato1. Per uno scrittore
come Fortini che declinava la sua missione di intellettuale nei termini di una
stretta vicinanza alla compagnia degli uomini, la presenza su quotidiani e
riviste non un vezzo o una posa, ma una necessit. Ma gli stessi luoghi di
questa infaticabile azione non restavano immuni alla critica del presente che
per Fortini costituiva il compito dellintellettuale. Fortini dunque fu sempre
ospite ingrato, come recita il titolo di quella raccolta di epigrammi e di note
di raziocinio o di ideologia pubblicata nel 1966.

Il laboratorio del Politecnico

Se escludiamo alcune pubblicazioni giovanili su fogli fascisti la


Gazzetta, quotidiano fascista della Calabria e della Sicilia, Goliardia
Fascista, Il Bo la prima collaborazione significativa del giovane Fortini
allanagrafe Franco Lattes, nato a Firenze il 10 settembre 1917 in una fami-
glia della piccola borghesia toscana da padre ebreo con la rivista La rifor-
ma letteraria, fondata da Giacomo Noventa nel 1936. Il magistero di
Noventa nutre lo spirito polemico di Fortini, che si esercita contro lermeti-
smo e la societ letteraria in generale. Negli stessi anni, la frequentazione
degli ambienti protestanti fiorentini contribuisce a maturare una crisi reli-
giosa che porta lo scrittore al battesimo valdese nel maggio del 1939, proprio
allindomani dellemanazione leggi razziali. La conversione alla confessione
valdese non salva Fortini dal servizio militare prima, e dalla fuga in Svizzera
dopo l8 settembre, ma rappresenta il viatico per ladesione al Partito sociali-

1
Cfr. R. Rossanda, Prefazione a F. Fortini, Disobbedienze I. Gli anni dei movimenti (1972-
1985), manifestolibri, Roma 1997, pp. 9-17.
548 Giuseppe Palazzolo

sta. Ed dalla Svizzera che Fortini anticipa la sua riflessione sulla nuova figu-
ra di intellettuale che dovr nascere dalle ceneri della guerra e del fascismo:
in un importante scritto pubblicato tra aprile e maggio del 1944 sulla
Rivista della Svizzera Italiana, egli rilegge la storia dItalia e vi rintraccia la
necessit della ricerca: la ricerca di una lingua comune, che faccia tesoro dei
dialetti contadini e cittadini, e della lingua dei libri, per essere lingua di
comunicazione; la ricerca di una nuova figura di intellettuale, che superi
quella tradizionale delluomo di lettere che quando non quella del pedan-
te, del servo dei prncipi e dei potenti della terra, del retore, dellarcade o
dello scioperato2; la ricerca di un pubblico reale, fatto di persone concrete,
a cui rivolgersi non con demagogia o populismo, ma con umilt, onest e
rigore.

I poeti e gli scrittori dItalia hanno di dovere il primo posto tra le rovine del loro
paese, primo posto di ricostruzione. C anche, come lo sgombero delle macerie
nelle citt bombardate, tutta una prosa giornalistica di informazione, di polemi-
ca e di critica da snellire, da semplificare; tutto un lessico da definire nuovamen-
te, una terminologia netta, genuina, onesta da sostituire agli Ersatz della propa-
ganda e della moda, costumi giornalistici da sanare come quartieri infetti. Tutta
una media stampa dattualit e di volgarizzamenti da liberare dal malgusto, un
teatro da risvegliare nel senso della qualit, da elevare a strumento di edificazio-
ne collettiva. Tutto ci ed altro ancora esige un rigore e uno scrupolo del
quale gli intellettuali non debbono farsi orgogliosi o fanatici difensori di fronte
alla citt, pi di quello che non siano orgogliosi o difensori della propria probit
tecnica gli artigiani e gli operai3.

Alla fine della guerra le collaborazioni su giornali si infittiscono: nel 1945


infatti scrive sullAvanti!, su La lettura e Italia liberale, redattore pra-
ticante di Milano sera, diretto prima da Bonfantini, poi da Vittorini e suc-
cessivamente da Alfonso Gatto. Ed con Vittorini ed Albe Steiner che
Fortini si imbarca nel progetto de Il Politecnico: il lavoro intenso, Franco
impegnato non solo nella scrittura quasi ogni settimana di articoli, ma
anche nella lettura e nella correzione dei contributi dei collaboratori, nella
revisione delle traduzioni, nellelaborazione dellimpaginazione. Il nuovo
foglio allinizio settimanale, poi a maggio del 1947 mensile nasce con lo-
biettivo di raccontare il mutamento della realt al fine di contribuire, con
linformazione, al riscatto della povert materiale e spirituale in cui versano
soprattutto le classi subalterne. Il Politecnico si propone dunque come rivi-
sta militante che vuole abbattere il conformismo crociano per fondere infor-

2
F. Fortini, Il silenzio dItalia, in Rivista della Svizzera Italiana, n. 29, anno IV, aprile
1944, pp. 163-8 e ivi, n. 30-31, anno IV, maggio 1944, pp. 234-7, ora in Id., Saggi ed epi-
grammi, (a cura di) L. Lenzini, Mondadori, Milano 2003, pp. 1211-24.
3
Ivi, pp. 1222-3.
Franco Fortini, ospite ingrato di quotidiani e riviste 549

mazione e letteratura, divulgazione scientifica e analisi economica, in modo


da sottrarre lintellettuale allisolamento a cui lo snobismo e il regime fascista
lo avevano condannato. Questo interesse per le tecniche, questa tensione
intellettuale ad assumere a proprio tema lintera realt sociale e culturale, si
traducono nella sperimentazione di un linguaggio rinnovato anche nella gra-
fica della rivista, affidata ad Albe Steiner. Il contributo di Fortini notevole:
pubblica oltre 50 scritti fra interventi polemici, voci di enciclopedia, dida-
scalie, testi divulgativi, poesie, saggi critici, interviste, pagine autobiografiche,
costituendo cos un campionario delle maniere del proprio servizio intellet-
tuale, presente e futuro: lattivit critico divulgativa, che si svilupper da
Ventiquattro voci per un dizionario di lettere (1967), fino alle numerose voci
redatte per le enciclopedie edite da Einaudi e da Garzanti negli anni Settanta,
quella militante che dar luogo alle maggiori raccolte, da Dieci inverni (1957)
a Insistenze (1985), senza trascurare il filone autobiografico rappresentato da
I cani del Sinai (1967).
Da questa eterogenei di contributi emergono alcune tensioni di fondo,
che si concentrano sulla critica del sapere borghese e sulla conseguente pro-
posta alternativa di una cultura nuova, che marchi la discontinuit rispetto
allidealismo crociano e allermetismo, anche richiamandosi ad autori e a
momenti della tradizione letteraria e culturale precedente. Lesigenza di que-
sta rottura appare evidente se si presta attenzione a che cosa era stato lintel-
lettuale durante il fascismo: un soggetto separato dalla societ, sia per la spe-
cializzazione delle competenze, sia per la primazia data al sapere umanistico,
sia per la necessaria apoliticit. Allindomani della fine del regime e dopo le-
sperienza della Resistenza, si rende urgente guadagnare per il ceto intellettuale
un nuovo ruolo e una nuova funzione: una posizione non pi separata, ma
immersa nel presente, e unattitudine a concepire la cultura non pi come una
piramide di saperi con al vertice le discipline umanistiche, ma come un insie-
me interconnesso di attivit umane analizzate come forme di produzione. la
concezione di cultura da cui prende le mosse leditoriale scritto ma non pub-
blicato di risposta a quello di Vittorini sul primo numero del settimanale:

Quando si pronuncia la parola cultura, viene fatto di pensare ai libri e allo stu-
dio; perch per i pi, infatti, cultura equivale a sistema pi o meno organizzato
di conoscenze intellettuali. Per altri, e per noi, cultura invece il modo nel quale
gli uomini producono quanto necessario alla loro esistenza, la particolare
maniera, mutevole per il mutare dei mezzi di produzione, con la quale essi entra-
no in rapporto con gli altri uomini e con le cose4.

Solo una concezione unitaria e dialettica della cultura pu superare il dua-


lismo fra cultura intellettuale e cultura tecnica generato nella societ moder-

4
Id., Una nuova cultura, in Id., Saggi ed epigrammi, cit., p. 1232.
550 Giuseppe Palazzolo

na dalla grande industria e dal capitalismo. La recensione alledizione conti-


niana delle Rime di Dante diventa cos loccasione per una critica radicale allo
specialismo e allo storicismo hegeliano; contro la fede in un indefinito e
assoluto progresso, un vedere se stessi dominare il monte dei secoli, uno scor-
gere la storia spingere tutte le sue onde fino ai nostri piedi, senza scavalcarci
mai5, Fortini propone la difficile ma necessaria arte della traduzione, consa-
pevole del limite che il tempo e la parola oppongono a ogni attivit erme-
neutica. In questa prospettiva la poesia viene sottratta al dominio dellesteti-
co6, per essere riportata alla sua consistenza ideologica e politica, senza natu-
ralmente trascurare gli aspetti formali e tecnici: larticolo La poesia libert 7
offre un magistrale condensato di riflessioni sulla lirica, sul suo pubblico e sul
suo lessico, nonch importanti esempi della necessaria fatica della lettura
della poesia. Questa integrazione fra politica ed estetica, che significativa-
mente si celebra sotto le insegne della poesia, conduce naturalmente Fortini
in rotta di collisione con limpostazione ideologica che Togliatti aveva dato al
rapporto tra intelletuali e Partito Comunista e contro cui si era scontrato, da
posizioni diverse, Vittorini. Fortini stigmatizza il tentativo di mitizzazione
del partito e dellideologia che serve a sottrarre alla responsabilit degli intel-
lettuali cio di tutti gli uomini coscienti lanalisi delle condizioni mate-
riali in cui incarnare la prassi della lotta quotidiana8. Pi avanti, Fortini si tro-
ver a meditare a freddo sul senso dellesperienza del Politecnico e sulla sua
fine, e lo far con il saggio Che cosa stato il Politecnico?, pubblicato nel 1953
sul primo numero di Nuovi Argomenti e poi in Dieci inverni, itinerario di
meditazione e di rielaborazione della stagione della guerra fredda. Come da
pi parti stato rilevato, da Rossanda9 a Lenzini10 e Balicco11, lesperienza del
Politecnico fondativa per Fortini, nel senso che allinterno di quel labo-
ratorio lautore di Verifica dei poteri sviluppa la propria scrittura saggistica,
impara a ricostruire e ad analizzare i rapporti di potere che innervano la
societ, continua ad interrogarsi sulla relazione tra intellettuali e politica non
solo proponendo costruzioni teoriche, ma sperimentando sulla propria per-

5
Id., A proposito delle Rime di Dante, in Il Politecnico, n. 31-32, anno II, luglio-ago-
sto 1946, pp. 54-8, ora in F. Fortini, Saggi ed epigrammi, cit., pp. 1246-59: 1249.
6
Vedi Id., La leggenda di Recanati, in Il Politecnico, n. 33-34, anno II, settembre-dicem-
bre 1946, pp. 34-38.
7
Id., La poesia libert, in Il Politecnico, n. 8, anno I, 17 novembre 1945, p. 2 e n. 9,
anno I, 24 novembre 1945, p. 2.
8
Vedi Id., Capoversi su Kafka, in Il Politecnico, n. 37, anno II, ottobre 1947, pp. 14-19.
9
R. Rossanda, Note sul rapporto tra letteratura e politica, in A. Asor Rosa (a cura di),
Letteratura italiana del Novecento. Bilancio di un secolo, Torino, Einaudi 2000, p. 240.
10
L. Lenzini, Le parole della promessa, in F. Fortini, Saggi ed epigrammi, cit., pp. XLIII-
XLIV.
11
D. Balicco, Non parlo a tutti. Franco Fortini intellettuale politico, Roma, manifestolibri
2006, in particolare pp. 61-92.
Franco Fortini, ospite ingrato di quotidiani e riviste 551

sona il difficile confronto con la concezione egemonica della politica cultu-


rale del Partito Comunista. Non riepilogo la vicenda del Politecnico, per-
ch troppo nota e perch altrove si affronta con il giusto rilievo. Noto sol-
tanto che dagli scritti del Politecnico non si pu prescindere per compren-
dere loriginale interpretazione fortiniana del messaggio di Marx e Gramsci,
riletti per in chiave sicuramente eccentrica rispetto alle versioni nazional-
popolare, idealistica dominanti.

Visto come erede morale di Leopardi, il Gramsci scoperto e ammirato da Fortini


la figura titanica che esercita la propria energia critica sullaspetto tolemai-
co della sociologia marxista, lintellettuale che si aguzza contro le semplifica-
zioni grossolane del materialismo dialettico (Gramsci e Marx, oggi; 1947) e
soprattutto il critico affilato della cultura contemporanea. Quanto poi al Marx
chiamato in causa nel saggio del Politecnico, non per caso lautore della
Judenfrage, che come le altre opere di maggior influsso su Fortini, ad esempio i
Manoscritti economico-filosofici del 1844 e la Ideologia tedesca, rientra nellalveo di
quella che Bloch chiam la corrente calda del marxismo. Al centro di essa non
la spiegazione economico-scientifica del capitalismo e la sua sovrapposi-
zione (il termine sempre di Bloch) teleologica alla storia ma il tema delle-
mancipazione, la questione dellalienazione e del suo rovesciamento utopico;
ovvero, con le parole di una recensione di Fortini ad Adler del 47, il nesso neces-
sario e fondante tra rivoluzione e conversione alla propria illimitata responsa-
bilit di uomini (Rivoluzione e conversione, Il Politecnico, 39, dicembre 1947).
Proprio per questo, per essere condivisibile da un nucleo morale ed esistenziale,
il marxismo di Fortini non pu essere messo tra parentesi (n venir da lui rinne-
gato)12.

Ma il marxismo di Fortini diventa anche ulteriore pietra di scandalo


nella polemica che il mensile stava affrontando con Togliatti e la dirigenza del
Partito comunista. Uso a ragione questa espressione evangelica, perch tutta
la produzione fortiniana e quella delle origini in particolare percorsa
febbrilmente da una tensione religiosa, protestante e tragica al tempo stesso,
che orienta anche e soprattutto la sua concezione del comunismo13. Questa
coscienza religiosa la radice da cui muove la critica alla sacralizzazione del
partito e dellideologia e la denuncia della conseguente rimozione del negati-
vo, del limite. Nel saggio Che cos stato il Politecnico? Fortini lamenta che

12
L. Lenzini, Le parole della promessa, cit., p. XLIII.
13
Su questa direzione si muove la ricerca di Davide Dalmas, che anche nella produzione
giornalistica, oltre che saggistica e poetica, rintraccia le forme e i contenuti della protesta for-
tiniana, cio la sua attitudine ad essere ospite ingrato, coscienza critica; la testimonianza,
sapienziale ed evangelica, della verit dei limiti dellesistenza umana (la malattia, la vecchiaia,
la morte); la rivendicazione della dimensione materialista della religione e al tempo stesso le-
sigenza costante di mettere a confronto lattesa ebraico-cristiana della liberazione con lutopia
del socialismo: D. Dalmas, La protesta di Fortini, Stylos, Aosta 2006.
552 Giuseppe Palazzolo

nella polemica fra gli intellettuali e il Partito si evitato di portare la discus-


sione su un terreno storico-politico e la vicenda non stata inserita allinter-
no della storia [...] dei rapporti fra gli intellettuali e i partiti operai, in tutto
il mondo nellultimo mezzo secolo14. Dallaltro lato Fortini non condivide
limpostazione di Vittorini, secondo il quale per riguadagnare uno spazio di
autonomia si deve separare il momento della riflessione intellettuale da quel-
lo dellagire politico: paradossalmente la richiesta corporativa della libert
della letteratura finiva per riproporre la separazione tra le due figurazioni,
[...] del chierico assorto negli eterni veri e quella del pratico dalle mani impa-
state e grossolane [...] ambedue volgari figurazioni, figure duomini volgari,
di cattivi chierici e di pessimi pratici15, mentre per Fortini cultura e politi-
ca sono la medesima cosa, espressa con mezzi diversi16. Senza voler esaspe-
rare la concordia discors 17 dei due attori del Politecnico, la lezione che For-
tini ricava da quellesperienza e con cui apre la sua riflessione sul tempo del-
lattesa della guerra fredda (Dieci inverni) conferma la sua costante attenzio-
ne alle condizioni materiali del lavoro intellettuale e nello stesso tempo spe-
rimenta quelle forme di riflessione anche critica nei confronti del PCI che
saranno caratteristiche della stagione successiva di Discussioni e
Ragionamenti. Ma leredit forse pi duratura che questo laboratorio con-
segna allo scrittore lidea che un giornale in primo luogo dei suoi lettori:

Ricordo una sera, verso Piazzale Corvetto, una specie di hangar mal illuminato,
pieno di operai, di donne con i bambini sulle ginocchia, e ascoltavano parlare del

14
F. Fortini, Che cos stato il Politecnico?, in Id., Dieci inverni. 1947-1957. Contributi a un
discorso socialista, Feltrinelli, Milano 1957, p. 51. Non possibile, in questa sede, seguire le
interpretazioni che, nel corso degli anni, Fortini ha dato della fine dellesperienza del
Politecnico e delle ragioni di Togliatti. Riporto solo alcuni stralci di unintervista del 1975:
Adesso mi rendo conto che aveva ragione Togliatti. Allora sentivo il 45 come un grande avve-
nimento di libert. Non potevamo capire quello che maturava nellUnione Sovietica, col nome
di zdanovismo, vedevamo solo alcune cose visibili del gusto sovietico, ma nella guerra fredda
noi ci siamo entrati a poco a poco, per arrivare cio a capire che si stava preparando laggres-
sione allUnione Sovietica, il suo isolamento, la minaccia atomica, linizio delle persecuzioni ai
partigiani. Ci abbiamo messo del tempo per capire, mentre Togliatti, evidentemente, aveva
tutti gli strumenti per poterlo fare. Tutto quello che veniva messo in evidenza sul Politecnico
riguardava gli anni 20 nellUrss, non gli anni 30. Scopo di Togliatti era garantire, in un perio-
do che cominciava ad essere di guerra fredda, un certo tipo di compattezza. Occorreva preser-
vare il partito dal pericolo che potessero nascere dei gruppi politici alla sua sinistra, facendo
riferimento a un certo tipo di informazioni pi che agli uomini del Politecnico che certo non
erano allaltezza di far questo. C. Stajano (a cura di), Il Politecnico, un discorso aperto, in
Libri Nuovi, n. 1, anno VIII, gennaio 1975, pp. 1-2.
15
Ivi, p. 52.
16
Ivi, p. 53.
17
Il tema del rapporto tra il fondatore della rivista e il suo pi instancabile collaboratore
stato variamente analizzato; ricordo soltanto M. Tancredi, Il Politecnico di Fortini, in
Ideologie, n. 7, 1969, pp. 17-30.
Franco Fortini, ospite ingrato di quotidiani e riviste 553

Politecnico come di una cosa loro, come se si trattasse del loro lavoro e della
loro salute, e interrogavano, volevano sapere18.

Lattraversamento dei Dieci inverni

Ancora prima della chiusura del Politecnico, Fortini viene assunto alla
Olivetti; comincia a scrivere sulla rivista Comunit, presso cui pubblica il
diario di viaggio in Germania compiuto nel 1949 (Diario tedesco, 1950).
Continua la collaborazione con lAvanti!, dove pubblica il 29 agosto del
1950 larticolo Pavese si ucciso, mentre si avvicina al gruppo di giovani che
stampavano in proprio, sotto forma di bollettino, una piccola rivista intito-
lata Discussioni e distribuita a un centinaio di abbonati e conoscenti. Dir
successivamente Fortini19 che la rivista nasceva dal bisogno di riempire il
vuoto lasciato dal Politecnico e reso pi acuto dalla sconfitta della sinistra
alle elezioni del 1948, dallavvento della guerra fredda, dalla minaccia dello
zdanovismo: la rivista si occupa soprattutto di economia e filosofia, e Fortini
vi scorge la capacit di anticipare argomenti come la politica dellUnione
Sovietica, il significato della guerra in Spagna, i problemi teorici connessi con
luso della violenza proletaria, che saranno centrali nel decennio successivo.
Con alcuni dei membri di questo gruppo, Fortini nel 1955 continua la rifles-
sione critica sui maggiori temi del pensiero marxista contemporaneo pubbli-
cando la rivista Ragionamenti, edita in tiratura limitata e sostenuta soltan-
to dai redattori e da un centinaio di abbonamenti. La rivista si rivolge quasi
esclusivamente ai quadri dirigenti del Partito Comunista e vede la pubblica-
zione, nel settembre del 1956, delle Proposte per unorganizzazione della cul-
tura marxista italiana. La riflessione di Fortini sul ruolo e sulla funzione del-
lintellettuale giunge alla critica radicale della condizione separata del ceto
intellettuale comunista integrato nel Partito, mentre propone la rimodula-
zione degli intellettuali come lavoratori specialisti autonomi, da un punto di
vista politico e pratico, perch direttamente coinvolti nel processo economi-
co. Non pi burocrazia di partito, ma lavoratori tra i lavoratori, gli intellet-
tuali avrebbero elaborato dal basso le proprie proposte politiche. I fatti di
Ungheria, se da un lato confermano le ragioni di Fortini, dallaltro lato ren-
dono evidente linattuabilit della proposta politica.
Sono anni intensi. Anni di viaggi: Fortini in Cina con una delegazione
composta da Carlo Cassola, Piero Calamandrei, Norberto Bobbio ed altri, e
dallesperienza ricava il reportage Asia Maggiore (1956). Anni di nuove colla-
borazioni: nel 1955, su invito di Pasolini, comincia a scrivere su Officina e

18
F. Fortini, Che cos stato il Politecnico?, cit., p. 65.
19
Id., Da Politecnico a Ragionamenti 1954-1957, in S. Chemotti (a cura di), Gli in-
tellettuali in trincea. Politica e cultura nellItalia del dopoguerra, Cleup, Padova 1977, pp. 13-8.
554 Giuseppe Palazzolo

da l ha inizio anche il confronto, a volte aspro, con il poeta e scrittore bolo-


gnese; nello stesso anno entra nella redazione di Opinione, insieme con
Guiducci, Gianni Scalia, Pietro Bonfiglioli e altri. Anni di polemiche, natu-
ralmente, come quella sul metellismo. Anni di distacchi e di ritorni: dopo
la svolta operata da Nenni al XXXII congresso del PSI (febbraio 1957)
Fortini esce dal Partito Socialista, rifiutando limpostazione politica nei ter-
mini dellalternativa tra socialdemocrazia e stalinismo; lanno successivo
rompe i rapporti con Ragionamenti e lAvanti!; il 31 maggio del 1959,
dopo che un suo saggio su Lukcs era stato tagliato e corretto senza avviso,
Fortini abbandona Officina, mentre a luglio riprende a collaborare con
lAvanti! con una serie di recensioni e di spunti di riflessione che vanno
sotto il titolo di Cronache dalla vita breve. Della vigorosa produzione di que-
sta stagione possiamo isolare la recensione del libro di Lucien Goldmann Le
Dieu cach, pubblicato alla fine del 1956 su Ragionamenti20. Fortini svi-
luppa la tesi di fondo del sociologo, che individuava nella visione tragica di
Pascal e Racine unassoluta contraddizione tra soggetto e mondo, che il
marxismo avrebbe conservato e superato. Fortini nota come in realt lo stu-
dioso francese, nel presentare la fede in un avvenire spinto ai confini della
storia, fede amministrata dal volto bifronte dellorganismo mediatore e
demiurgo, il Partito, finisca per riproporre la scommessa pascaliana.
Ritornano i temi fortiniani della critica alla sacralizzazione del Partito e della
necessit di individuare delle verifiche dei risultati in base alle quali giudicare
il percorso politico:

la politica marxista oscilla tra una obnubilazione del futuro, quando fonda gli
istituti della solidariet di classe, e un appello a quel medesimo futuro, quando le
difficolt del presente possono essere superate solo da un supplemento di fede.
[...] Il discorso di Goldmann insomma importante nonostante la sua inevitabi-
le mancanza di sviluppo, proprio perch ripropone, nellatto stesso di negarli, gli
interrogativi di unetica marxista21.

un movimento caratteristico della scrittura fortiniana: il testo recensito


non un pretesto, ma il tassello da cui lautore parte per costruire il suo
mosaico di argomentazioni. Dalle considerazioni di Goldmann sul gianseni-
smo tragico si sviluppa la critica a una visione fideistica del comunismo,
quindi si torna allanalisi della Fedra di Racine, per concludere in maniera
epigrammatica: mai la totalit diviene cos evidente e perentoria come
quando la realt appare spezzata in uno specchio spezzato22.

20
Con il titolo Goldmann: visions du monde e marxismo; poi il saggio sar incluso nella
prima edizione di Verifica dei poteri con il titolo Deus absconditus.
21
F. Fortini, Verifica dei poteri, in Id., Saggi ed epigrammi, cit., p. 228.
22
Ivi, p. 233.
Franco Fortini, ospite ingrato di quotidiani e riviste 555

Il Sessantotto e oltre

Impossibile seguire sinteticamente la fitta trama di relazioni e di dissidi


degli anni Sessanta. Sul secondo numero del Menab, la rivista letteraria
condiretta da Vittorini e Calvino, Fortini pubblica un ampio saggio su Le
poesie italiane di questi anni, Rinascita il teatro di una polemica a propo-
sito di Brecht, mentre Il Verri, la rivista di Anceschi, lo vede impegnato in
un aspro confronto con Fauto Curi. In questo periodo definito di occulta-
mento politico, Fortini entra in contatto con gruppi eterogenei di giovani
intellettuali, come Grazia Cherchi e Piergiorgio Bellocchio a Piacenza, che
daranno vita a Quaderni piacentini, e con il gruppo a Torino e a Milano
dei Quaderni rossi: su questultima rivista pubblica una sua lettera a Re-
nato Panzieri dal titolo Il socialismo non inevitabile. Continua lattivit di re-
censore e saggista anche su Questo e altro, rivista diretta da Vittorio Sere-
ni, Geno Pampaloni, Dante Isella e Nicol Gallo, dove continua la serie del-
le Cronache della vita breve. Ospitano sue poesie e note critiche anche riviste
come Paragone, Letteratura, Rendiconti, mentre nel 1965 Fortini pub-
blica Verifica dei poteri e lantologia Profezie e realt del nostro secolo, due ope-
re considerate anticipatrici del Sessantotto, come afferma lo stesso autore:

Mi sembra miracoloso, un privilegio non meritato, che parole e manoscritti infi-


lati in una bottiglia tanti anni fa abbiano trovato dei destinatari. E invece non c
nulla di miracoloso, le cose succedono cos e naturalmente si pensa a quelli che
avrebbero dovuto essere con noi qui a vedere23.

Nel saggio Il dissenso e lautorit, da cui tratto il brano citato, Fortini si


rivolge al movimento studentesco con il consueto rigore argomentativo ma
con la passione del padre 24 che sente il tragico peso delle parole inderogabili
che rivolge ai giovani in piazza, nelle universit, nelle fabbriche. Egli, che ha
ormai elaborato la necessit di distruggere il ruolo sacerdotale o mandarino
degli intellettuali25 per conservare la funzione intellettuale, la esercita nel
saggio distinguendo tra autorit e autoritarismo: salvando la prima e com-
battendo il secondo, Fortini salva la possibilit di accettare una gerarchia di
valori comunicabili, attraverso la parola e la testimonianza e nello stesso
tempo mette in guardia il movimento dalla tentazione del giovanilismo, dal

23
F. Fortini, Il dissenso e lautorit, in Quaderni piacentini, n. 34, anno VII, maggio
1968, pp. 91-100, ora in Id., Saggi ed epigrammi, cit., pp. 1408-1425: 1424.
24
Di paternalismo, ma anche di tensione pedagogica, parla F. Rappazzo nel suo Fortini e
la cultura del Sessantotto, in Allegoria, n. 21-22, anno VIII, n.s., 1996, pp. 142-161; il sag-
gio illustra, in maniera puntuale, distanze e prossimit di Fortini rispetto al movimento del
68, mettendo in luce linsorgenza degli spettri del Negativo.
25
Come dir in Intellettuali, ruolo e funzione [1971], in Id., Questioni di frontiera, Einaudi,
Torino 1977, p. 71.
556 Giuseppe Palazzolo

rischio di un surrealismo di massa. Si tratta di una nota che percorre la


riflessione fortiniana per tutto il decennio, fino a salire di tono di fronte al
movimento del 77 e alla sua riscoperta di Nietzsche: la preoccupazione che
si annidi e cresca il culto irrazionalistico del soggettivismo recitato, dellim-
mediatezza rivendicata, del bisogno26.
Unaltra rottura si sta preparando, quella con Pasolini: covava da tempo,
ma sono gli scontri del periodo tra studenti e polizia a farla maturare. In occa-
sione degli scontri a Valle Giulia Pasolini scrive la famosa poesia intitolata Il
Pci ai giovani!, in cui si schiera dalla parte dei poliziotti, figli di poveri, con-
tro gli studenti, figli di pap. Si tratta di una provocazione, come confes-
ser lo stesso autore, che attraverso una pluralit di registri anche ironici e
autoironici ha lobiettivo di suscitare una reazione e, quindi, un contatto.
La poesia, destinata a Nuovi Argomenti, viene anticipata, in parte e pro-
ditoriamente, da LEspresso con un titolo redazionale utile ad infiammare
la polemica (Vi odio cari studenti!). La stessa rivista organizza una tavola
rotonda a cui Fortini assiste ma non partecipa, in segno di protesta per la pre-
senza di un funzionario del PCI che aveva definito delirante un suo inter-
vento sul Vietnam dellanno precedente. Il dissenso di Fortini radicale:
legge a Pasolini in privato lintervento che aveva preparato, prova a persua-
derlo a non continuare nella campagna orchestrata dallEspresso. Il suo
appello, pubblicato solo nel 1977, due anni dopo la morte di Pasolini, inse-
rito in quella sorta di resa di conti in pubblico e in absentia intitolata Attra-
verso Pasolini:

Questo articolo della Pravda scritto da Amendola e firmato da Pasolini non mi


ha stupito. Nel corso degli ultimi dieci anni non mi ero fatte troppe illusioni sulla
tua capacit di intendimento politico. Per te la lotta di classe quasi sempre stata
soltanto la lotta dei poveri contro i ricchi e i rapporti fra borghesia e proletariato
soltanto un consueto conflitto di razionalit e irrazionalit. Quando il sottosvi-
luppo italiano illudeva ancora, la tua poesia stata la poesia di quella illusione.
Poi quando la realt ha preso a sfuggirti e tu la inseguivi come un aereo che vuol
spostarsi con la velocit della terra per rimaner sempre nel sole, hai preso a cer-
care il proletariato, anzi i poveri e la loro bellezza, fuori dEuropa, in Asia e Africa;
e anche in America, purch inorganica negativa floreale. Da quando loppressio-
ne ha assunto nuove forme, non hai capito pi. Hai ancora diritto allelegia. Hai
perso il diritto al ragionamento, perch non ne hai mai veramente riconosciuto
il dovere. [...] Come si fa a discutere col tutto e col nulla? In nome della aristo-
cratica libert di contraddizione, queste pagine disdicono e dicono, parlano di
dualismo fanatico e di ambiguit. Chiamano a gran voce degli snob e dei
complici in ascolto27.

26
F. Rappazzo, Fortini e la cultura del Sessantotto, cit., p. 156.
27
F. Fortini, Contro gli studenti, in Id., Attraverso Pasolini, Einaudi, Torino 1993, pp. 38-39.
Franco Fortini, ospite ingrato di quotidiani e riviste 557

La durissima critica di Fortini attacca Pasolini sul merito e sul metodo.


Gli rimprovera lasservimento a una definizione meccanica di borghese e pic-
colo-borghese, lincapacit di leggere i mutamenti intervenuti nella societ e
nella politica. Ma le accuse maggiori sono rivolte al metodo dello scrittore,
che attraverso la provocazione e linsulto cerca di irretire, affascinare, con-
quistare i giovani:

Qui si deve discutere invece di una carta scritta da uno dei maggiori scrittori del
nostro paese. Il mio giudizio di tristezza e di rifiuto. Le ritrattazioni e le civet-
terie di cui ami disseminare i tuoi testi e questultimo in particolare sono la prova
di un tuo profondo disprezzo per un lettore non-borghese. Tu desideri conqui-
stare, insultandoli, proprio quei giovani borghesi intellettuali, proprio quegli scal-
dasedie di sedie ermetiche, proprio quei giovani che dopo il 1962, a Roma, ti leg-
gevano su Vie Nuove come un teorico del nuovo comunismo. Perch solo
costoro sono capaci di apprezzare la recitazione, i mea culpa, lo strazio eccete-
ra. [...] Sei confortato dal Pci e dai preti, sei ormai nella ormai certa Grosse
Koalition, nella Santa Alleanza nazionale e internazionale. E sai perch? Perch
hai peccato di presunzione. Hai creduto di poter cavalcare una dopo laltra tutte
le tigri del potere comunicativo. Non ti bastava essere DAnnunzio, hai voluto
essere anche Malaparte. Con limpeto della tua genialit si possono fare molte e
bellissime cose. Ma non si pu fare quella sola che permette di uscire dallesteti-
smo verso la storia e la politica: la rinuncia reale, non verbale, al monologo e ai
piaceri del narcisismo28.

Il dissidio insanabile. Invitato dalla redazione, in un breve scritto pub-


blicato su LEspresso in risposta alla polemica, Fortini riprende il confron-
to con DAnnunzio e Malaparte, propone unimpostazione della questione su
ben altri toni, e conclude riconoscendo limpianto pubblicitario dellintera
polemica: Se come critico letterario o ideologo posso sbagliarmi, ventanni
di esperienza di copywriting, cio di testi pubblicitari, massicurano che code-
sta del Pasolini, come advertising copy, ottima. una riuscita carta
acchiappamosche. Le mosche sono venute. Ora bisogna buttar via le mosche
e la carta29. Non mancheranno ulteriori occasioni, sempre a distanza, per
intervenire nella vicenda e per tornare sulla posizione di Pasolini: Attraverso
Pasolini ne rappresenta la summa e nello stesso tempo il tentativo dellultima
rielaborazione, da parte di Fortini, un anno prima della morte. Nellintrodu-
zione Fortini riassume le due posizioni: aveva torto e non avevo ragione. In
un dodecasillabo racchiude il suo scontro con Pasolini, che Garboli30 ha ica-
sticamente raffigurato come lo scontro tra due agonismi, di chi vuole sempre
vincere, sopraffare lavversario (Pasolini), e di chi, nella lotta, preferisce spie-

28
Ivi, pp. 40-41.
29
Id., Una conclusione, in Id., Attraverso Pasolini, cit., p. 44.
30
Vd. C. Garboli, Ospite ingrato, in Id., Falbalas, Garzanti, Milano 1990, pp. 93-96.
558 Giuseppe Palazzolo

gare allavversario le regole del gioco (Fortini). Il lettore lavversario, da irreti-


re o coinvolgere: al di l delle ragioni e degli (auto)inganni, anche nella pole-
mica con Pasolini appare chiaro che Fortini segua il filo rosso del proprio impe-
gno intellettuale. Pasolini la rappresentazione di quel rischio narcisistico gi
richiamato a proposito del movimento studentesco che incombe sullo scrit-
tore e lo distoglie dalla sua funzione di vigilanza critica, rendendolo cos stru-
mento nelle mani di altri poteri. Lagonismo di Fortini invece non risparmia
nessuno, neppure s stesso. Comincia la sua collaborazione con il supplemen-
to domenicale de Il Sole 24 Ore con una critica allindustria culturale nel suo
complesso, che non risparmia recensori di riviste di alta cultura, articolisti let-
terari, redattori di manuali, docenti e ricercatori universitari impegnati a colle-
zionare pubblicazioni, consapevole di parlare di ruoli che egli, in qualche misu-
ra, aveva ricoperto31. Ancora pi esplicitamente, su il manifesto sente il biso-
gno di spiegare scelte e modalit della propria scrittura pubblicistica: rifiuta,
come imbroglio ideologico, la capacit giornalistica che consiste nel correg-
gere il linguaggio settoriale con linguaggio colloquiale e comunicativo medio
e rivendica la scelta della non chiarezza:

Questa chiarezza la so usare ma non voglio usarla. Non parlo a tutti. Parlo a chi ha
una certa idea del mondo e della vita e un certo lavoro in esso e in s; pu non esse-
re identica alla mia ma egli deve poterla capire. Quella certa idea, lavoro e lotta sono
la musica sulla quale ognuno canta entro di s le parole che riceve. O credete che chi
di notte, in Emilia e Romagna, ancora oggi, canta le romanze verdiane capisca tutto
quel che vogliono dire quelle parole arciletterarie e stravecchie? Eppure la musica le
rende chiare e chi canta sa benissimo che cosa canta. I miei articoli non sono musica.
La musica la mettono i lettori. Ma i miei articoli sono meno difficili delle parole di
Va pensiero. [...] La difficolt nei passaggi da una proposizione alla seguente; nei
salti della sintassi. in quel che non detto, che dato per sottinteso. Fino a un certo
punto quei vuoti reggono la comunicazione. La fanno respirare. Ad esempio, nella
polemica. Oltre un certo limite, la comunicazione sparisce inghiottita da uno di quei
vuoti. Pu essere mancanza di logica o di pazienza in chi scrive. Pu essere mancan-
za di accompagnamento ossia di musica in chi legge. [...] C altro. E cio, che la
verit banale non scrive chiaro chi non ha le idee chiare va tranquillamente ripe-
tuta. vero. Ma allora bisogna sapere che cosa sono e di dove vengono le idee chia-
re. E, soprattutto, quando e perch non ci sono32.

La riflessione sullo scrivere chiaro si dispiega in tre tempi33, tre capitoli


di una dichiarazione di non chiarezza che non la ricerca dellobscuritas, ma

31
F. Fortini, Critico, critica te stesso, in Il Sole 24 Ore, 28 giugno 1992.
32
Id., Scrivere chiaro (I), in il manifesto, 8 gennaio 1974, ora in Id., Disobbedienze I. Gli
anni dei movimenti (1972-1985), cit., pp. 55-56.
33
Id., Scrivere chiaro (II), in il manifesto, 11 gennaio 1974, e Scrivere chiaro (III), in il
manifesto, 18 gennaio 1974 ora in Id., Disobbedienze I. Gli anni dei movimenti (1972-1985),
cit., pp. 58-60 e 61-63.
Franco Fortini, ospite ingrato di quotidiani e riviste 559

la volont di evitare le scorciatoie dei linguaggi settoriali, gli inganni del lin-
guaggio politico, gli infingementi di quanti, dietro lapparente chiarezza,
nascondono un vuoto di analisi. Di fronte alla crescita della quantit dispo-
nibile delle informazioni il 1974, Internet ancora lontano e al dimui-
re della capacit di interpretarle Fortini propone di fornire (prima o altrove)
gli strumenti perch la selezione sia compiuta in modo autonomo anche
mediante la scelta delle fonti e indipendentemente, di fornire criteri gene-
rali, ossia politici, di interpretazione, criteri per selezionare le informazioni e
per commentarle34. Fortini dice di essere un mediocre giornalista perch
rivendica la libert di essere un buon scrittore, cio uno che ha bisogno di
manovrare in un certo modo non questa o quella parola o frase ma una o pi
pagine, uno o pi saggi o libri35. Rivendicava la libert di essere ingrato
anche a s e a i suoi lettori, per ospitare fino in fondo le verit che, nellulti-
mo suo verso, preg di proteggere:

Rivolgo col bastone le foglie dei viali.


Quei ragazzi scalciano una bottiglia.
Proteggete le nostre verit 36.

34
Id., La cultura e il giornale, in il manifesto, 6 novembre 1974, ora in Id., Disobbedienze
I. Gli anni dei movimenti (1972-1985), cit., p. 75.
35
Id., Sbaglio perch non sono un buon giornalista, in il manifesto, 5 ottobre 1975, ora in
Id., Disobbedienze I. Gli anni dei movimenti (1972-1985), cit., p. 98.
36
Sono i versi che concludono lultima raccolta pubblicata da Fortini, Composita salvau-
tur (Einaudi, Torino 1994): la poesia si intitola E questo il sonno... (pp. 62-3).
LUCA MASTRANTONIO

Luciano Bianciardi: lanarco-rubrichista.


Sport, sesso e televisione

Luciano Bianciardi (Grosseto, 14 dicembre 1922 Milano, 14 novembre


1971) stato un romanziere di successo e un giornalista sui generis.
Intellettuale irregolare, anarchico darea comunista, disorganico, accumulava
e riproduceva le sue ossessioni, personali e sociali, politiche e culturali, nelle
centinaia di collaborazioni che ha avuto nel corso della sua carriera (che per
Bianciardi era uninvenzione). In una continua osmosi tra i vari lavori cultu-
rali svolti: il professore di scuola, il direttore di biblioteca, lorganizzatore di
cineclub, il redattore editoriale, il traduttore, il giornalista, lo scrittore.
Da apocalittico di provincia (Grosseto) diventa un integrato di citt
(Milano), in quanto arrabbiato di professione, che sublima in letteratura
(La vita agra) i propositi dinamitardi per vendicare i minatori morti in una
miniera della Maremma (a Ribolla). Giornalista prima e dopo essere scritto-
re, si specializzato sin da subito in una critica di costume che ha praticato
dalla periferia fino al cuore della contemporaneit. Bozzetti corrosivi, spacca-
ti irriverenti, ricchi di dialoghi che hanno poi trovato maggior spazio e svi-
luppo nelle opere letterarie.
Larchetipo di Bianciardi la critica a tutto campo che si pratica nei bar,
nel barsport, luogo dove ognuno parla a sproposito di tutto, mescolando
politica, calcio, sesso e tv. Bianciardi pratica miniere e grandi citt, ma il
mondo narrativo un grande bar sport. Bianciardi ascolta, registra e monta
come in un montaggio televisivo, che pure deprecava i dialoghi che sente,
i pezzi di realt che carpisce.
un modello che nasce con i primi Incontri provinciali, sul Gaz-
zettino di Livorno, e dura fino allappuntamento fisso Cos se vi pare
voluta da Gianni Brera sul Guerin sportivo, dove alla fine curava la rubri-
ca delle lettere. Alcune, forse, inventate da s. La forma del dialogo domina,
nella sua realistica e umoristica sapidit, tutta la produzione giornalistica.
Intrisa di letteratura, come la letteratura che ha prodotto intrisa di questa
attivit. Con le dovute differenze, di stile e respiro, ovviamente. Ma non di
umore, colore e tenore, n di flora e fauna sociali (personaggi e contesti).
Come giornalista, in senso stretto, ha precorso il ruolo del critico televisi-
vo ufficiale. Scrive anche di cinema, fuori dagli schemi, e precorre gli opi-
562 Luca Mastrantonio

nionisti di calcio & derivati, anche se il calcio, come il sesso, spesso un prete-
sto per palare daltro. Come al bar sport. Ma con la tv che emergono alcune
delle sue grandi intuizioni. Tra cui lanalisi di Mike Buongiorno, una sua osses-
sione. Parlando dellex partigiano eroe catodico, elogiandone la mediocrit,
anticipa sia la fenomenologia di Eco, sia la formula pop del quarto dora di
celebrit che Andy Warhol avrebbe lanciato anni dopo.
Come gusti, prediligeva prodotti alti, ma cap subito limportanza dellin-
trattenimento in televisione; contrario ad ogni forma di censura, apprezza i
personaggi originali (lesordiente Paolo Villaggio) e sa intravedere le storture
di altri (annuncia il Celentano pansofico).
Nonostante alcuni tratti luddisti, nelle critiche alle nuove tecniche di regi-
strazione, futuristica la tv che sogna. Sembra quella digitale di oggi, in par-
ticolar modo quella sportiva, con il calcio in diretta simultanea. Apprezza
anche la finzione delle trasmissioni voyeuristiche, quelle che oggi vengono
chiamate reality e allepoca era la Candid camera di Nanni Loi.
Le sue collaborazioni giornalistiche nascono per rapporti di fiducia personali
e sono motivate, fino alla fine, anzi, con un crescendo significativo, dalla paura di
vivere in miseria. Il ricordo della vita agra. Si concludono, spesso, per incidenti
diplomatici, che dimostrano lirriducibilit di Luciano Bianciardi al canone cor-
rente, politico o culturale, e il suo rapporto dialettico, se non antagonista, con le
strutture del lavoro culturale. In redazione, daltronde, ha lavorato poco, come
nella casa editrice Feltrinelli, a Milano, dove fu licenziato per scarso rendimento
e un atteggiamento irriverente nei confronti di Giangiacomo. Perse il lavoro a
Cinema nuovo perch fu visto a Roma, mentre si era dato malato a Milano.
Celebre laneddoto di quando, sentendo dire al Giangiacomo Giaguaro, in una
latteria di Milano, che per un comunista non c la propriet privata, Bianciardi
annu, prese il cappotto, fece il verso alleditore e se ne usc.
Anche lattivit giornalistica di inviato dura poco, sebbene importanti
siano molte sue inchieste: una su tutte, quella sui minatori morti alla minie-
ra della Ribolla, in Maremma. Bianciardi essenzialmente un rubrichista,
forse il primo scrittore che di professione, sui giornali, svolge questo ruolo:
produrre testi dove lo stile e la riflessione sono pi importanti della notizia.
Scrittore laureato (Bianciardi alla Normale di Pisa) viene impiegato come
giornalista esterno, scrivendo testi per spazi che sono appuntamenti fissi.
dai tempi di DAnnunzio che le cronache dautore (bizantine o meno)
imperversano nei giornali, ed antica la pratica degli elzeviristi, ma il profi-
lo delle rubriche di Bianciardi, la sua pratica, pi moderna: iper-specia-
lizzato, da critico televisivo per esempio passa ore e ore davanti alla tv e ne
studia anche gli aspetti tecnici, a tratti tautologico, cio opinionista at large,
divagando su argomenti che spesso con la tv o con lo sport non hanno
legami, come il divorzio o la letteratura.
In un ventennio, dal 1952 al 1971, lanno della scomparsa, Luciano Bian-
ciardi pubblica un migliaio di articoli sparsi su una trentina di testate di varia
Luciano Bianciardi: lanarco-rubrichista. Sport, sesso e televisione 563

natura, cos come molto varia la natura dei suoi articoli1. Di fatto un free
lance, un precario di lusso. Nella sua condizione di irregolare, negli anni del
boom, anche editoriale, precorre la condizione odierna del terziario intellet-
tuale. un giornalista collaboratore indipendente che si muove sul mercato
appoggiandosi spesso a giornali darea di sinistra , prediligendo comunque
riviste giudicate sconvenienti, come quelle erotiche, e argomenti popolari, tv
e sport, rispetto a giornali che hanno una linea politica in cui non si ricono-
sce.
Clamoroso, in questo senso, il rifiuto a Indro Montanelli che, dopo uno
sperticato articolo di elogio del romanzo La Vita agra lo voleva come colla-
boratore al Corriere della sera. No per un rigurgito antiborghese, per moti-
vi politici: il Corriere no, gli dicono i suoi amici, la grande borghesia
sfruttatrice che quando la sinistra sar al potere verr spazzato via.
Dopo il successo del romanzo, Bianciardi era diventato quello che sem-
brava odiare: una firma. lidea-feticcio, creata dallindustria culturale dei
mezzi di comunicazione, che di un testo vale soprattutto lautore. Il marchio,
pi del prodotto. Il personaggio, pi dellautore. Fenomeno che Bianciardi
dunque stigmatizzava e allo stesso tempo viveva sulla sua pelle.
Del lavoro redazionale aveva unopinione distruttiva. Come emerge da un
articolo dellAvanti! del 23 febbraio, dove denuncia lalienazione quasi for-
dista del giornalista di redazione.

Cos chi entri in un giornale [] sar rapidamente ridotto a lavorare per la pagi-
na, per lelzeviro, per il taglio, per il controspalla. Bader a evitare che due titoli
battano, che un pezzo giri, che un perch abbia laccento grave. (E al perch
metter le virgolette, come in questo caso, evitando che il lettore debba far la fati-
ca di rileggere la frase per capirne il significato). Tre mesi di giornale bastano a far
dimenticare anche al pi generoso fra gli uomini lesistenza del lettore. Per il
giornalista, per la segretaria, per la moglie, insomma per tutti quelli che hanno
parte nella vita dei tempi moderni, conta la funzione, e basta. Ai giovani quindi,
che si apprestano a entrare nella vita moderna, non si pu dare altro consiglio:
prima di una religione, prima duna vocazione, prima dun partito, prima dun
mestiere sceglietevi una funzione; sceglietevela complessa, esclusiva, rara, scavate-
vici dentro una nicchia, non ne parlate mai con nessuno. E funzionate2.

1
Principalmente, scrisse su giornali di partito: La Gazzetta (1952-54), del Pci a Livorno,
Avanti! (1952-63), LUnit (1955-56). Giornali di mercato e riviste di attualit, Il
Giorno (1963-65), Guerin Sportivo (1970-71) e il settimanale ABC (1965-70). Giornali
e riviste popolari, erotiche. Le Ore (1963-65) a Kent (1968-69), Executive (1968-70) e
Playmen (1969-71). Occasionalmente, su Belfagor (1952-61) LAutomobile (1953-54)
Il Mondo (1953) Comunit (1954) Il Contemporaneo (1954-57) Cinema Nuovo
(1954-56) Cultura Moderna (1956), Vie Nuove (1956-63) Critica Sociale (1959) Le
Vie dItalia (1960) Notizie Letterarie (1963-66) Domus (1963) La Donna (1964) Il
Delatore (1964) LEuropeo (1966) Annabella (1967).
2
La funzione, Avanti!, 23 febbraio 1970.
564 Luca Mastrantonio

Esordi tra cineclub e barsport

Tutto inizia grazie ad un incontro fortuito, con Adalberto Minucci, gio-


vanissimo collaboratore della Gazzetta di Livorno, incrociato nel palazzo
dove Luciano Bianciardi lavora in biblioteca, come direttore, e come profes-
sore di storia e filosofia al liceo (oltre a organizzare il cineclub cittadino). Ma
tu sei parente di quel Minucci che scrive sulla Gazzetta? fa Bianciardi allo
studente, No, veramente sono proprio io, Allora passa alla biblioteca dopo
che ti voglio parlare3. Pochi mesi dopo, nel 1952, inizia la collaborazione
con la Gazzetta, finanziata dal Pci (il primo articolo, Il fucile di Agnolin
del 3 maggio 1952). Gli viene affidata una rubrica, Incontri provinciali
che, nei primi sette articoli, presenta temi e stilemi della sua produzione
giornalistica successiva e, di riflesso, del lavoro culturale. Lo studio dei luo-
ghi comuni, tra politica e societ, in un paese che costruisce la sua identit
su pregiudizi e travestimenti (Bugie sociali e I luoghi comuni contro la politi-
ca: strumenti di controllo sullopinione pubblica); la questione politica della lin-
gua italiana (Dizionari della nostalgia); la massificazione della cultura
(Cultura e gran pubblico); il calcio come arte (Il balletto moderno); la guerra
come esperienza dimpreparazione (Il fucile di Agnolin); Garibaldi e il
Risorgimento tradito (La diversione Zambianchi).
Questi Incontri provinciali, commissionati dal direttore Umberto Comi,
sono uno spaccato della vita di provincia grossetana, resa in maniera molto vivi-
da da Bianciardi, nonostante una patina ancora accademica, dovuta forse alla
laurea, alla Normale di Pisa, di cui era fresco. Sono elzeviri, pubblicati nella
terza pagina, con cadenza settimanale e ritraggono, spesso dissimulando solo
lievemente i nomi, dialoghi, racconti e incontri che Bianciardi registra o inven-
ta verosimilmente, in luoghi pubblici come un bar o un salotto.
Nei due anni di pubblicazione, compongono una commedia umana della
provincia che far da modello, narrativo bozzetto sarcastico, formula dialo-
gica, io narrante finto autobiografico, realismo immaginifico ai primi libri,
come Il lavoro culturale (1957). Ad esempio, lidea di Grosseto-Kansas City,
nata sulle pagine della Gazzetta, nel 27 ottobre 1953, con Vitelloni anche
loro, dove ovviamente il riferimento ai Vitelloni di Fellini non casuale. Con
il cineclub, Bianciardi sviluppa grande attenzione verso il cinema neorealista,
gli autori italiani emergenti e i registi dellest che vengono imposti dal cano-
ne comunista. Bianciardi conosce bene i giovanotti di provincia, fermi in un
limbo psicologico, storico e sociale, raccontati da Fellini. Ma il film una
rivelazione. Fellini ce li ha rivelati, ha creato la categoria. Voglio dire kan-
tianamente, la categoria, sostiene un giornalista in un caff, dove si parla di
Alberto, vitellone interpretato da Alberto Sordi.

3
L.Bianciardi, Lantimeridiano. Opere complete, vol. II, Isbn, Milano 2008, a cura di A.
Piccinini e M.Coppola, Introduzione, p. XIII.
Luciano Bianciardi: lanarco-rubrichista. Sport, sesso e televisione 565

E Alberto Sordi anche il protagonista di Un giorno in pretura, dove inter-


preta Moriconi Nando, che vuole scappare a Kansas City e finisce col fare un
americano a Roma. Il film esce nelle sale nel 1953, e Bianciardi introietta il
mito di questa citt costruita sul nulla. Fa dire al suo giornalista, commen-
tando la costruzione di una nuova strada nel grossetano: La citt si espande,
conquista la campagna. Questa la frontiera, lAmerica, Kansas City. Poi,
alla fine, sempre il giornalista, pensa con amarezza al bisogno di partire per
Roma, Milano o Kansas City, purch finisse, una volta per sempre, questa
tristezza sciatta di vita provinciale. Nel Lavoro culturale 4 diventa la nostra
citt era bella cos e la dovevano lasciar stare, e vivere, e crescere con il suo
carattere genuino, una citt di sterrati, di spazi aperti, al vento e ai forestieri,
come Kansas City. Pi avanti, racconta lutopia dei benpensanti: Questo
era lideale dei benpensanti, perdo, trasformare la nostra bella citt in una
specie di anonima copia di Montecatini, in una sorta di enorme cacatoio
pubblico5. Benpensanti che erano I localisti 6: Il tacito programma del loca-
lista la montecatinizzazione dellItalia, il suo scopo la bella figura di fron-
te al forestiero, leliminazione dello sconcio che deve finire. Naturale, quin-
di, che il localista sia contrario ai film neorealisti, che, secondo lui, ci fanno
fare brutta figura allestero, presentando lItalia sotto un aspetto negativo
come se fosse un paese tutto composto di morti di fame e di ladri di bici-
clette. Il riferimento alla Montecatini unallusione alla Montedison padro-
na della miniera di Ribolla, che lo scrittore frequenta in quel periodo con
Carlo Cassola, scrittore cui ha dedicato uno dei primi incontri provinciali
sulla Gazzetta.
Bianciardi immerso nellimmaginario popolare anche se non c anco-
ra la pop art, abbiamo visto come la visione-recensione di un film ispiri un
bozzetto giornalistico che poi si sviluppa nel libro del cinema neorealista e
allo stesso tempo ha ben salde le radici nella realt, come dimostra linchie-
sta sui minatori della Ribolla. Come il caso dei Vitelloni per dimostra,
intenso il rapporto tra cinema, giornalismo e letteratura.
A completare il quadro del primo Bianciardi, ci sono i Gazzettini lette-
rari, brevissime cronache e notizie culturali sempre per la Gazzetta, non
firmate. Ne scrive a decine. Mentre firma le corrispondenze dal premio lette-
rario Viareggio che viene assegnato a Gadda, nella 24ma edizione, a partire
dal 18 agosto 1953. Anche questa esperienza confluir prima in un racconto
Un amico autorevole, pubblicato sulla rivista Contemporaneo il 2 ottobre
1954, e poi, di riflesso, nel Lavoro culturale. Iniziano a comparire anche arti-
coli di calcio, sotto la testata Per quelli che non se ne intendono.

4
L.Bianciardi, Il lavoro culturale in Lantimeridiano. vol. I, Isbn, Milano 2005, p. 206.
5
Ibidem.
6
I localisti (rubrica Incontri provinciali, in La Gazzetta, 13 settembre 1952).
566 Luca Mastrantonio

Questo primo Bianciardi, legato alla provincia, non ancora disilluso, svi-
luppa una tecnica che Coppola e Piccinini definiscono giustamente della
mosca sul muro a fly on the wall che registra senza essere osservata. Anche
se poi la mosca, spesso, raccontando fatti e nomi facilmente individuabili, ha
avuto molti problemi, anche con gente che lo aspettava sotto casa per prote-
stare dessere finita in un articolo (succer lo stesso con il romanzo La vita
agra, con alcune denunce per diffamazione da parte di personaggi che vi si
riconoscevano). Lo schema losservazione in presa diretta, la predilezione
per ambienti di socializzazione pubblica, i dialoghi, i personaggi che imper-
sona vari punti di vista, il mescolare lalto e il basso. Come negli Europeisti
(negli Incontri provinciali, Gazzetta, 9 maggio 1952), dove il dialogo in
presa diretta, come se ci fosse stato un microfono, permette di registrare il
volo pindarico del discorso culturale in provincia, dove quattro professori
seduti al caff del centro mescolano Hegel, il Benelux, il Cynar, la partita
di calcio Italia-Belgio e la presenza dei giocatori stranieri nel nostro campio-
nato. Sono ritratti dialogici di tipo satirico, Bianciardi decostruisce amene
conversazioni di un ceto sociale che si gode i suoi piccoli privilegi culturali.
Rappresentandolo cos bene una parodia fedele pi rispettosa di una apo-
logia infedele in fondo la rende godibile.

Milano, successo agrodolce

Nel 1954 chiude La Gazzetta e lo scrittore viene invitato dalleditore


Feltrinelli, il giaguaro, a lavorare presso la casa editrice e dunque a trasfe-
rirsi a Milano. La citt dove risiedeva la grande industria, quella che sfrut-
tando i minatori in Maremma ne aveva causato la drammatica morte.
Bianciardi, nel suo viaggio a Milano, pensava di infiltrarsi tra le linee del
nemico. Il primo incarico, giornalistico, a Milano, per il Contemporaneo,
settimanale di politica e cultura del Pci, diretto da Antonello Trombadori,
una copertura giornalistica di un sciopero alla Breda di Sesto San Giovanni.
per il Contemporaneo, durante la prima collaborazione (1952-1953) che
Bianciardi fa il reporter con il taccuino, da giornalista vero. Poi, tra il novem-
bre 1953 e il giugno 1954, pubblica, principalmente sullAvanti!, unin-
chiesta in dieci puntate sulle condizioni di vita in Maremma, in particolare
sulle miniere della Montecatini. Leditore Vito Laterza le legge e ne vuole fare
un libro, che esce a doppia firma, Bianciardi-Cassola.
Il primo articolo pubblicato sul quotidiano socialista ancora su Gros-
seto Kansas City, La periferia di Grosseto avanza verso la pianura (25 novem-
bre 1952), che diventer poi un brano del Lavoro culturale. A spiegare la
continuit del suo lavoro, tra una testata e laltra, la presenza di ossessioni
ma anche la necessit di moltiplicare i pani e i pesci di ogni povero Cristo
che lavori nelleditoria giornalistica. Lavorando per pi testate si deve anche
Luciano Bianciardi: lanarco-rubrichista. Sport, sesso e televisione 567

riciclare. In fondo, Bianciardi da free lance ante litteram un precario, un


lavoratore intellettuale che vive senza tutele nellItalia del boom di cui,
non a caso, tocca con mano anche le ferite che lo scoppio consumistico pro-
duce.
Per Trombadori, visita la nuova citt di Metanopoli, racconta lindustria
dolciaria milanese (Il monopolio dolce) e il fenomeno dellimmigrazione cala-
brese a Curmayeur. A Grosseto ha lasciato moglie e figli, vive con una nuova
compagna, la giornalista e militante comunista Maria Jatosti. Bianciardi no.
Non un comunista militante, un intellettuale darea, come si diceva, di
formazione socialdemocratica, essenzialmente anarchico, irregolare, cultural-
mente eversivo. In questa fase della sua produzione, crede nel valore pedago-
gico della cultura, si considera un intellettuale azionista e crede che possa
mettere proficuamente il suo sapere al servizio delle classi deboli, proletarie,
badilanti e minatori. Nel 1952, daltronde, su Belfagor, aveva pubblica-
to una sorta di manifesto politico, Nascita di uomini democratici, riflessione a
puntate poi ripresa dalla Gazzetta di Livorno.

Io sono con loro, i badilanti e i minatori della mia terra, e ne sono orgoglioso; se
in qualche modo la mia poca cultura pu giovare al loro lavoro, alla loro esisten-
za, stimer buona questa cultura, perch mi permette di restituire, almeno in
parte, il lavoro che stato speso anche per me: non mimporta pi quando mi
dicono che questa cultura engag7.

In realt il disincanto per Milano e per quello che a Milano un intellet-


tuale impegnato nella lotta per gli umiliati e gli offesi della sua terra pu fare
arriver ben presto. Innanzitutto sul piano personale-professionale, poi sul
piano politico-culturale. Prima di lavorare direttamente per Feltrinelli, Bian-
ciardi lavora per una rivista feltrinelliana, Cinema nuovo, diretta da Guido
Aristarco. Lavora in redazione, per la prima e ultima volta in vita sua, perch
linsofferenza per il lavoro semi-impiegatizio porta ad un incidente diploma-
tico con cui termina bruscamente la collaborazione interna. Un giorno che si
era dato malato viene visto da un conoscente di Aristarco a Roma, dove era
andato per incontrare Maria Jatosti (che lo raggiunger a Milano nel febbraio
1955). Bianciardi chiude il rapporto bollando Aristarco con il soprannome
di Arcisterco. Comunque, la collaborazione di Bianciardi era stata eccentrica
rispetto alla solita critica, perch i pezzi riguardavano spesso la cornice dello
schermo, come un pezzo sui film inglesi tradotti in italiano, o leterno tema
della miniera di Ribolla, raccontando i cinegiornali sullevento.
Sul numero di gennaio 1955 del Contemporaneo, c un primo bilan-
cio assai negativo della sua esperienza milanese, dove visto che anche intel-

7
Nascita di uomini democratici, in Belfagor, 31 luglio 1952.
568 Luca Mastrantonio

lettuali impegnati strappati alla provincia, poi finiscono per servire lindustria
culturale dei padroni.
Nellarticolo Le penne della Edison (1 gennaio 55), recensisce con ironia
un numero della rivista Colloqui, diretta da Enzo Biangi azionista, futu-
ro mostra sacro del giornalismo , caratterizzata da una specie di omert sugli
interessi delleditore, la Edison, sublimando in una specie di rivista dintrat-
tenimento una politica culturale che vuole coinvolgere giornalisti e scrittori:
Un abbozzo di politica culturale, di tipo chiaramente riformistico, e un
magnificent hobby: i nuovi principi che non possono pi comprarsi un bla-
sone, comprano una squadra di calcio, o un mazzetto di intellettuali, per far-
sene una corte. I nomi che ricorrono son piuttosto grossi, sicuri, com-
menta Bianciardi prima di annotarli: Corrado Alvaro, Achille Campanile,
Alba De Cespedes, e, fra i giovani, Michele Prisco, Vittorio Pozzo e Bruno
Roghi hanno lo sport, Domenico Meccoli il cinema, Eligio Possenti il teatro.
Gli articoli di cronaca portano firme come quelle di Titta Rosa, Orio Vergani,
Giovanni Comisso, Filippo Sacchi, Giorgio Vecchietti, Enrico Emanuelli e,
naturalmente, Indro Montanelli.
La delusione maggiore verso quella sinistra che fa della lotta di classe una
posizione di ideologica rendita di potere. Esperienza che Bianciardi ha vissu-
to alla corte di Giangiacomo Feltrinelli, il giaguaro. Una delusione che emer-
ge rabbiosamente, politica e personale, professionale e sociale, in un brano
del Contemporaneo, nel 1955.

Lintellettuale diventa un pezzo dellapparato burocratico commerciale, diventa


un ragioniere. Fate il conto di quanti scrittori, giornalisti, pittori, fotografi, lavo-
rano per la pubblicit di qualcosa. Quella pubblicit, guardate bene, che insegna
che si ha successo nella vita, e negli affari, usando quel lucido da scarpe e quel
rasoio elettrico, comparendo bene, presentandosi bene.[] E questo male.
male perch, se le cose continuano cos, l dalle mie parti i badilanti continue-
ranno a vivere di pane e cipolla, i minatori a morire di silicosi o di grisou8.

Nel 1995 arriva una nuova proposta dallUnit, dove a Torino, capo
della terza pagina delledizione cittadina, c Adalberto Minucci, che gli chie-
de di collaborare. I due sinventano la rubrica Lo specchio degli altri che
per stile e munizioni ricorda molto gli incontri della Gazzetta, anche se
ovviamente si va a caccia di tipi diversi, metropolitani, non provinciali, pi
acculturati, spesso terziario culturale, giornalisti, segretarie (La segretaria
milanese), pubblicitari, intellettuali (Scrittori giovani), ritratti in luoghi topici
come il tram (Polemica sul trentotto) e il salotto, iniziando a decostruire i tic
della sinistra e, soprattutto, a mettere in gioco lindustria culturale (Marilyn
ieri e oggi) e limpegno politico. Nel Problema (28 marzo 1956) viene rap-

8
Lettera da Milano, in Il Contemporaneo, 5 febbraio 1955.
Luciano Bianciardi: lanarco-rubrichista. Sport, sesso e televisione 569

presentata tutta la vuota retorica assembleare, culturale, della sinistra. Il cui


lessico pura inattivit, sovrastruttura.

Da allora (sono passati diversi anni) incredibile la quantit di problemi nuovi


che si sono presentati e che noi ci siamo posti. Quasi ogni settimana, si pu dire,
noi analizzavamo gli aspetti della nuova situazione, aprivamo un dibattito il pi
possibile ampio, richiamavamo lattenzione di tutti sui problemi che ci eravamo
posti, o che avevamo impostato, e lanciavamo nuove iniziative. La maggior parte
erano problemi dei rapporti con. stato un lavoro lungo e duro. Forse noi
abbiamo avuto il merito di essere stati tra i primi a richiamare lattenzione su que-
sti problemi che oggi sono allordine del giorno. Ma abbiamo anche la coscienza
di non aver fatto abbastanza, soprattutto di non aver ancora analizzato bene tutti
gli aspetti della nuova situazione. Laltra sera ci fu uno che perse le staffe: Perch
non piantiamo tutto e non andiamo a dissodare le argille di Matera?.Ma Felice
sorrise, accese una sigaretta, scosse il capo e poi spieg: Vedi, caro mio, il pro-
blema un altro...9.

Comincia a interessarsi alla televisione, con Chiese Escatocollo e nessuno


raddoppi, del 12 febbraio 1956, Bianciardi inizia ad analizzare lepidemia,
febbre da gioco erudito, di Mike Bongiorno, cui poi dedicher altri articoli,
in particolare uno, sullAvanti!, che seminer quello che poi Umberto Eco
raccoglier con la celebre fenomenologia. Lincipit dellarticolo una sorta di
preterizione, seguita da una discussione sulla decadenza di un paese in preda
al sapere neobizantino dei quiz, dove per alla fine vincer chi pu ambire a
partecipare alla trasmissione del sabato sera, perch pi preparato.

Certo, noi non siamo cos barbagianni da farci prendere da questa bongiornite
che ha addormentato il pubblico; noi non passiamo la serata a discutere se la
domanda sul controfagotto era legittima o no, o a magnificare la bravura del bal-
lerino che sa perfino dove si trova lisola della solitudine, che piccola da matti.
Noi non siamo davvero cos sprovveduti da scambiare per cultura questa specie
di gran premio dellerudizione dilettantesca.

Lo specchio degli altri far da laboratorio per la scrittura de Lintegra-


zione (1960) e La vita agra (1962) e ha una caratteristica particolare: spesso,
lincipit lo stesso. Recita, allincirca, questa simulata captatio benevolentiae:
Di una citt come Milano uno pu dire tutto il male che vuole, ma bisogna
pure che ne riconosca certi aspetti positivi. La simulazione consiste nel fatto
che in realt si parla male di Milano, ma con il tono dellelogio. Bianciardi
rimane colpito da questa tendenza, milanese, da capitalismo vincitore, di sin-
tetizzare la propria tesi e la propria antitesi. Lo specchio, per le allodole,

9
Lantimeridiano, vol. II, cit, p. 779.
570 Luca Mastrantonio

comunque, si rompe alla fine del 1956, per un altro incidente diplomatico,
questa volta pi politico. In La promessa (6 febbraio 1956), Bianciardi pren-
de in giro Franco Ferri, direttore della Biblioteca Feltrinelli e poi dellistituto
Gramsci, perch si racconta della sua incredibile fama di intellettuale ricava-
ta da unopera immensa che non ha ancora terminato, e che quindi gli vale
un encomio a priori. Ha dunque fatto carriera senza meriti se non quello di
essere un ottimo giocatore di biliardino, che infatti al centro del suo studio.
Il direttore Luciano Barca cancella la rubrica per evitare altri incidenti, al
limite dello scontro fisico.
Dopo la cacciata dallUnit lattivit giornalistica di Bianciardi si ridu-
ce di molto, quasi si sospende, per tre anni. Anche perch aumenta il lavoro
di traduttore e iniziano ad uscire i primi libri: Il lavoro culturale (una satira
contro la propria attivit nei cineclub di Grosseto dove si proiettavano anche
film imposti dal Pci, film ungheresi e altre zdanovate) nel 1957 e
Lintegrazione del 1960. Il critico cinematografico dellAvanti!, Corrado
Terzi, lo chiama a collaborare di nuovo al quotidiano socialista. Lamicizia era
nata ai tempi della rivista Cinema Nuovo. Con luscita del romanzo La vita
agra nel 1962 completa la trilogia della rabbia.
Sul Corriere della Sera, il 2 ottobre 1962, Bianciardi riceve una recen-
sione entusiastica di Indro Montanelli, allora direttore del giornale di Via
Solferino, nellarticolo Un anarchico a Milano.

La vita agra uno dei libri pi vivi, pi stupefacenti, pi pittoreschi che abbia
letto in questi ultimi anni [] Io non conosco personalmente Bianciardi. So ch
di Grosseto, che ha una quarantina danni [] Quel tipo di anarchico toscano
che, credendosi comunista, parte con la dinamite in tasca alla distruzione della
societ e poi scopre che lunica realt sono luoom e i suoi valori morali, mi
familiare e congeniale come pochi altri. Ma devo dire che mai lo avevo visto
incarnato cos compiutamente come in Bianciardi e rappresentato con tanta
disperazione e poesia, intercalati da blasfemi sghignazzi alla Cecco Angiolieri.
Fortuna che quella veemenza si sfogata in letteratura. Si fosse tradotta davvero
in gris, a Milano non sarebbe rimasta ritta neanche la Madonnina.

Montanelli non si limita a incensarlo. Lo vuole come collaboratore. Lo


chiama a casa e gli offre, pare, 300mila lire per due articoli al mese, per col-
laborare. Levento conferma la tesi della Vita agra, il boom economico italia-
no vuole coinvolgere anche chi si oppone, funzionale alla rappresentazione
della societ italiana, come specchio impietoso del vincitore. Tutto finzio-
ne, basta che funzioni. Bianciardi ormai ha addosso, volente o nolente, la
maschera dellarrabbiato di professione, di maledetto intellettuale anarchico
che viene dalla provincia, laureato, svolto il servizio militare, vive di scrittura
e mantiene la sua prole, con moglie, lasciata in Toscana, per vivere con unal-
tra donna. Rifiuta lallettante e rischiosa offerta del Corriere della Sera. Le
motivazioni possono essere molteplici. Sarebbe stato passare dalla parte della
Luciano Bianciardi: lanarco-rubrichista. Sport, sesso e televisione 571

grande borghesia e, allo stesso tempo, rinunciare al proprio ruolo di arrab-


biato, con la vita, agra. Maria Jatosti, compagna nella doppia accezione
ricorda cos il rifiuto.
Il no al Corriere diventa un s a Il Giorno, che nasce nel 1956 a
Milano con lidea di innovare il mercato editoriale. Viene chiamato a colla-
borare dal 15 marzo 1963 con la rubrica Parliamo di Milano, sullonda del
successo di La vita agra. Ma ormai nel Giorno, sebbene in una grafica
nuova, con box accattivanti, la bestia addomesticata, Bianciardi non graffia
pi come prima, se non allinterno di uno schema che prevede la sua aggres-
sivit, la sua corrosivit.
I temi si alleggeriscono, sono di costume e societ, al limite del gossip,
visto che le occasioni sono i tic verbali, linaugurazione di locali alla moda
quanto sono distanti le latterie che frequentava ai tempi in cui lavorava per
Feltrinelli la moda del sushi gi allepoca Milano gettava i semi del suo
processo di auto fagocitazione a crudo10. Sono lontani i tempi dei bonari
elzeviri pubblicati di spalla sulla Gazzetta di Livorno, qui la satira di
Bianciardi un animale esotico, la pantera nera nel salotto buono: lui deni-
gra Milano nel giornale che vuole celebrarla.
Il milanese illuminato, il gran borghese o il piccolo che vuole apparir gran-
de , vede nellantagonista culturale, nel raffinato denigratore, quellaltro, quel-
lantitesi che avvalora la sua tesi, la sua vittoria, il suo stile di vita. Vale ladagio di
Oscar Wilde, anzi, vale per due terzi: (bene o) male, purch se ne parli.
Nel 1962, con il successo della Vita agra, Bianciardi una firma giornali-
stica, un personaggio, richiestissimo e disponibilissimo a chiunque gli
proponga di collaborare. Come anarchico, molto integrato. Il giornalista
diventa un mestiere, una professione, esattamente come quella del tradutto-
re. Committenze, consegne, compensi. Biancardi non diventato un agget-
tivo, come felliniano Fellini aveva sempre sognato di fare da grande lag-
gettivo! , ma laggettivo del suo romanzo un marchio che gli vale royalties.

Laggettivo agro sta diventando di moda, lo usano giornalisti e architetti di fama


nazionale. Finir che mi daranno lo stipendio mensile solo per far la parte del-
larrabbiato italiano. [] Anzich mandarmi via da Milano a calci nel culo, come
meritavo, mi invitano a casa loro11.

Tele-guardone di professione

Bianciardi un intellettuale scomodo, disorganico, ma accettato e anzi


idolatrato dalla nuova societ dei consumi culturali. Un apocalittico per

10
M. Coppola e A. Piccinini, Introduzione a Lantimeridiano, vol. II, cit, p. XXI.
11
Milano, Lettera a Mario Terrosi, 30 dicembre 1962.
572 Luca Mastrantonio

usare un aggettivo caro a Umberto Eco nella celebre dicotomia ma inte-


grato. La sua personale apocalisse si integrata nellindustria con il romanzo
La vita agra, diventato anche film per volont di Ugo Tognazzi che se ne
innamora e compra i diritti regia di Carlo Lizzani.
Per questo intellettuale colto e irrisolto, che si sente antitetico alla societ
dei consumi che lo sta consumando, miccia pazza che non riesce a sabotare
il boom, un approdo naturale, pur nella sua familiare artificiosit, la televi-
sione. Luogo dove i contrari si armonizzano, i picchi si livellano, lalto diven-
ta basso e il basso seleva, il falso sinvera nel finto.
SullAvanti! Bianciardi diventer, praticamente, il primo critico televisi-
vo italiano. Di tv aveva gi scritto, ma quando nel 1962 gli viene proposto di
collaborare, di nuovo, al giornale socialista, diventa a tutti gli effetti un criti-
co televisivo, come Achille Campanile, Sergio Saviane, Enzo Tortora. Il 18
gennaio 1962 parte Telebianciardi, sulledizione milanese dellAvanti!,
fino al 21 febbraio 1963: ma poi la rubrica si ripresenta in varie forme in altre
testate, a volte con lo stesso nome altre volte con un nome nuovo. Nel setti-
manale Le Ore, si apre gi il 24 gennaio 1963 la rubrica Televisione, per
chiudersi il 23 settembre 1965. A partire dal 10 ottobre 1965 si apre una
rubrica Telebianciardi sul settimanale ABC (che dura fino al 30 giugno
1968), mentre dal novembre 1963 allaprile 1966, Bianciardi tiene sul men-
sile Notizie letterarie la rubrica Rai-tv. Una rubrica Televisione appare
infine in Playmen dal marzo 1969 al novembre 1971.
Una delle ossessioni di Bianciardi Mike Bongiorno. Nel 1959, sul-
lAvanti!, aveva scritto un illuminante pezzo sul conduttore di Lascia o Rad-
doppia, in cui anticipa la lettura di Umberto Eco (che successivamente am-
metter il debito per la sua Fenomenologia di Mike Bongiorno) e anticipa an-
che la celebre frase di Andy Warhol del quarto dora di celebrit cui tutti han-
no diritto.

Laltro gioved, annunciando la fine della sua trasmissione, Mike Bongiorno


aveva gli occhi appesantiti e la voce rotta dalla commozione. A guardarlo cinica-
mente poteva anche far ridere, con quella faccia pi pecorile del solito, ma sareb-
be stato ingiusto farsi beffa di un uomo cos onestamente mediocre. Bisogna dire
che Mike Bongiorno meritava il successo che ha avuto proprio in virt del suo
schietto, lampante grigiore. Quella sera parl abbastanza a lungo di s e afferm
di aver conosciuto, prima del successo, giorni duri e difficili. Non c motivo per
non credergli. Mike Bongiorno in questo non si distingueva per nulla dalle cen-
tinaia di concorrenti che gli son sfilati accanto, sulla pedana del teatro della Fiera:
anche loro han conosciuto, prima del successo, giorni duri e difficili, anche loro
hanno saputo, da buoni italiani degli anni cinquanta, aspettare il quarto dora di
celebrit e di fortuna. [] I nostri presentatori della televisione avevano succes-
so, e lo hanno, in quanto riassumono ed esprimono certi difetti, certe tare nazio-
nali. Mike Bongiorno ne riassumeva pi di tutti, ed ecco perch lo possiamo sti-
Luciano Bianciardi: lanarco-rubrichista. Sport, sesso e televisione 573

mare il pi mediocre, quindi il pi bravo. Meritevole del successo e della fortu-


na, anche economica, che gli toccata12.

Poi, verso la conclusione del pezzo, ritrae alcuni amici e compagni politi-
cizzati, anche loro ipnotizzati da Mike. Come gi in precedenza aveva rac-
contato, la televisione azzera struttura e sovrastruttura, lotta di classe e ruoli,
nellopaca ma ottimistica mediocrit di Bongiorno che lanima del mondo,
visto in tv, e non a cavallo, come il Napoleone di Hegel.

Cerano dissidenti, profughi, ribelli, eretici di due o tre partiti, ma soprattutto


cerano anarchici. [] il presidente, interrompendo loratore di turno, annunzi:
Entra in aula la delegazione perugina, con alla testa il compagno Bistoni, noto
vincitore a Lascia o raddoppia per la storia dei longobardi. stato un convegno
bellissimo: i lavori son terminati al canto di Addio Lugano bella, mentre alcuni si
affollavano attorno al Bistoni, per chiedergli comera, vista da vicino, la signora
Edy Buffon nata Campagnoli.

Bistoni, anarchico nelle schiere dei comunisti, come Bianciardi, ne incar-


na la parabola. I suoi meriti sono catodici e soprattutto pi che un merito
culturale, c quello erotico di essere stato vicino alla valletta di Mike
Bongiorno. Bianciardi, molto attento a quello che si svolge dentro e fuori,
attorno e dopo levento televisivo, aveva intravisto la persistenza della cele-
brit catodica, la sua invasivit, la sua carica erotica, magnetica. Del suo ruolo
di intellettuale impegnato resta una verve moraleggiante che per lungi dal
credere ancora nelleducazione delle masse, predilige, quando pu, program-
mi culturali come Non mai troppo tardi del maestro Manzi, come gli espe-
rimenti di cultura alta, documentari e la serie Poeti nel tempo. Ma Bianciardi
ha capito che la tv soprattutto intrattenimento.
Ce lha, soprattutto, con la tv democristiana, la censura, verso Jannacci e
Dario Fo, le ipocrisie, i tg anestetizzanti (LItalia vista al telegiornale il
paese pi pacioso e tranquillo del mondo, sostiene). La televisione il
megafono del miracolo economico. Aspetto ben presente nellarticolo desor-
dio come critico fisso di tv sullAvanti!. Dada-umpa, il 18 gennaio 1962.

Io dico che c sotto il miracolo italiano. Forse senza saperlo, il pubblico che fino
a sabato scorso guardava Studio Uno era indotto ad approvare appunto perch
in quella serie di spettacoli si riassumevano, in simbolo, tutti gli elementi del con-
clamato prodigio.

La valutazione sulla tv disincantata. Bianciardi sa che la democrazia


demagogia, che al basso costo della tv corrisponde una cultura molto bassa.

12
Mike: elogio della mediocrit, in Avanti!, 28 luglio 1959.
574 Luca Mastrantonio

Perch la televisione pur sempre lo spettacolo meno costoso. Fra acquisto del-
lapparecchio e abbonamento, la spesa si aggira sulle 25mila lire annue per fami-
glia: il costo di venticinque posti a sedere a teatro, di sessanta al cinema13.

La televisione diventata levoluzione, industriale, seriale, massificata,


della vita privata, quella colorata e improvvisata della bohme che Bianciardi
ha ben conosciuto. Dal cabaret tra amici alla tv.

Si sa come fatta Milano: tutto diventa professione, viene subito lidea di rifar-
le, queste serate fra amici, a pagamento, allargando magari il salotto perch ci
entri pi gente14.

Il ritratto che ci fornisce Maria Jatosti del Bianciardi critico televisivo un


misto di umilt e ipocrisia: solo, davanti alla tv come il ragionier Fantozzi
davanti alle partite (per Bianciardi lintellettuale era ridotto a ragioniere dal-
lindustria culturale). La casa non pi quella di Milano, ma quella di
Rapallo, dove si autorecluso. Ma cambia qualcosa? Non sembra.

Luciano era piuttosto casalingo. La sera si stava quasi sempre in casa e si guarda-
va la televisione. Scriverne era quasi un modo di crearsi un alibi. Ma poi, si diver-
tiva. Aveva una cultura vasta, raffinata, classica, ma gli piaceva sporcarsi, per cos
dire, le mani con cose pi popolari15.

Bianciardi litaliano medio, fruitore di campioni di mediocrit, assiso


davanti alla tv, di cui scrive spesso. Gli amici, confessa, lo chiamano tele-
guardone.
Apprezza le figure meno scontate, come Paolo Villaggio, nel cui rapporto
dissacrante con il pubblico forse si riconosce. Cos scrive il 17 marzo 1968
recensendo Quelli della domenica.

Ma il personaggio vero , stavolta, il presentatore: un tracagnotto con la faccia


dispettosa che risponde al nome di Paolo Villaggio. Si sa come agiscono di solito
questi presentatori: alcuni blandiscono il pubblico, altri tentano qualche ironia
(di solito pesantina, come fa per esempio Corrado). Paolo Villaggio no: lui insul-
ta esplicitamente. [] Dicono che nella vita privata sia fatto in quel modo,
aggressivo, impunito e anche un poco cattivello. Meglio cos: i baciamani, i sala-
melecchi, i complimenti reciproci cominciavano a stufare un po tutti. Il pubbli-
co dapprima rimasto un poco esterrefatto, ora comincia a capire.
I bambini delle elementari gi gli fanno il verso.

13
Telebianciardi, in LAvanti!, 10 luglio 1962.
14
Le nostre serate, Telebianciardi, in ABC, 30 gennaio 1966.
15
A.Piccinini, M.Coppola, Introduzione a Lantimeridiano, Vol. II, cit, p. XXV.
Luciano Bianciardi: lanarco-rubrichista. Sport, sesso e televisione 575

Del cantante-predicatore Adriano Celentano, che vinceva al Cantagiro,


intravede gi la deriva filosofeggiante.

Risultato giusto, ma pericoloso nelle prospettive, perch il giovane Adriano, assai


pi solido e avveduto nella realt di quanto non paia a vederlo agitarsi davanti al
microfono, presto lancer, oltre ai dischi e alle canzoni urlate, una sua poetica,
anzi una sua filosofia totale, scriver libri e interverr nei dibattiti sullalienazio-
ne e sullincomunicabilit, come ogni intellettuale accreditato16.

Di Tot elogia lirriducibilit intellettualoide. Soprattutto, come gi per


Paolo Villaggio di cui i bambini fanno limitazione, sperimenta la tenuta sul
futuro confrontandosi con un pubblico giovane.

Forse non amava neanche limmagine di s riflessa nello specchio [] Ma era


una faccia tutta napoletana, stenta e arguta, antica e mobilissima. Quasi per una
ironica vendetta, si serv di quel corpo e di quella faccia per far ridere la gente, e
divenne (ma soltanto ora che morto siamo disposti ad ammetterlo) il pi gran-
de attore del nostro secolo.
Ebbe, senza rendersene conto, una grossa fortuna: non fu scoperto che molto
tardi dagli intellettuali. [] Abbiamo voluto far la prova di guardarlo in compa-
gnia di un bambino, cui fosse completamente sconosciuto lattore. Ebbene, lesi-
to stato straordinario, le risate puntuali e immancabili17.

Come gusti, Bianciardi molto avanti rispetto alla televisione del suo
tempo. Anche il televisore come elettrodomestico che sogna, futuribile.

[...] a cinquecento canali, in funzione tutto il giorno, che trasmettesse soltanto un


giornale continuato, da ogni angolino di mondo. Accendi il canale primo e vedi
uno scontro di pattuglie in riva al Giordano, famoso fiume dissacrato dalla per-
fidia degli uomini. Apri il secondo, ed eccoti le nozze di un re, oppure di un
armatore greco che io per la verit non amo. Infatti, passo sul terzo, e assisto a un
incontro di pugilato, che sta avvenendo ieri in un atollo del Pacifico, oppure
domani in qualche cantuccio del nostro globo. Sul quarto canale danno latten-
tato al presidente Nixon; sul quinto compare un cardinale mentre gli danno le-
strema unzione; sul sesto una coppia si sta appunto accoppiando, gratis; sul set-
timo, certi uomini in brachette stanno correndo in groppa a un arnese di metal-
lo chiamato bicicletta; sullottavo, muore il papa, e cos via18.

Oggi, si potrebbe azzardare, guarderebbe i reality o trasmissioni in stile


Iene, magari moraleggiando. Adora Candid Camera di Nanni Loy.

16
Il Piave non centra, in LAvanti!, 1 luglio 1962.
17
Tot il giovane, in LAvanti!, 21 maggio 1967.
18
Nientaltro che la verit, Televisione, in Playmen, maggio 1969.
576 Luca Mastrantonio

Il regista, munito di teleprese e microfoni ben nascosti, oltre a rubare pezzi di


verit agli ignari, inventa una situazione paradossale, ai confini dellassurdo, e sta
a vedere come gli altri reagiscono. [] Insomma, questo specchio deformato,
ma non deformante, di Nanni Loy, ci d di noi stessi una immagine piuttosto
lusinghiera, o per lo meno diversa dallabusato clich dellitaliano (gallo, superfi-
ciale, indifferente, furbo)19.

Commentando la Domenica sportiva, traccia un format che molto simi-


le a quelli adottati da Sky con Diretta gol.

Qualcuno mi chiede: Ma tu, questa domenica sportiva, come la faresti? e io,


testardo, rispondo: La farei tutta dal vero, in contemporanea. Farei vedere le par-
tite, tutte quante, mentre succedono. Darei, sempre in diretta, anche la cronaca
sonora di quello che succede in campo20.

Molto calcio, siamo italiani

Il calcio, assieme al sesso e alla televisione, spesso mescolati (sesso e sport


sullastinenza nei ritiri, calcio e tv con le dirette), la passione costante di
Bianciardi. Passione di rifugio, perch non riesce mai a prenderla diretta-
mente, o meglio non si limita al soggetto, al testo, ma ne studia il contesto,
il circuito, lo prende come pretesto. Come se, recensendo la tv, parlando di
calcio o di divorzio e pillola contraccettiva, si fosse ancora in un bar sport,
nella provincia degli incontri grossetani, a parlare della moglie del dottore che
ha abortito, della partita di calcio etc e ovviamente anche di Hegel e maga-
ri Husserl.
Il calcio per Bianciardi una passione giovanile, daltronde il primo arti-
colo per La Gazzetta proprio un elogio estetico del calcio come opera
darte collettiva, balletto appunto. Il giocatore di calcio non corre, e neppu-
re cammina, ha una sua inimitabile andatura, che somiglia piuttosto ad un
passo di danza.
Ma lattivit di giornalista sportivo resta incompiuta, anche quando
Gianni Brera lo vuole al Guerin Sportivo, per contrastare quanti criticava-
no il giornalismo sportivo di maniera. Dopo la sbornia del mondiale messi-
cano vinto, che ha trasformato il tifo in un fenomeno di massa, Ennio
Flaiano e Giorgio Bocca hanno attaccato la critica sportiva e lalienazione del
tifo calcistico. Brera allora per la terza pagina del Guerin sportivo arruola
scrittori agguerriti come Domenico Rea, Luigi Compagnone, Mario Pomilio,
Folo Portinari, Giancarlo Fusco ma anche Luca Goldoni, Camilla Cederna,

19
Litaliano provocato, in LAvanti!, 3 dicembre 1964.
20
Se Atene ride Sparta non piange, Televisione, in Playmen, dicembre 1970, p. 1628.
Luciano Bianciardi: lanarco-rubrichista. Sport, sesso e televisione 577

Peter Kolosimo e Luciano Bianciardi. Non bisogna stupirsi di una tale


risposta alla chiamata elle armi di Brera, Bianciardi, nel 1971, sul Secolo
XIX, ricorder, il 4 aprile, che i letterati si sono spesso occupati di sport.
(Mia cara Fiorentina)
Nel 1969 parte la rubrica Cos se vi pare. Lamicizia con Brera era
maturata al Giorno, dove Brera era la prima firma della sezione sportiva e
si era sviluppata nella tribuna stampa di San Siro, frequentata da intellettua-
li e scrittori, oltre che dai giornalisti, come Oreste Del Buono e Arpino.
Dichiara di mettere voti fasulli (Dubito che Pesaola sia matto! Guerin
Sportivo, 4 gennaio 1971) e quando viene inviato in Russia racconta pi del
viaggio che della partita. La cornice, i riti, il contesto, larchitettura degli stadi
e dei quartieri limitrofi, il pubblico.
Cos gli viene presto affidata la rubrica dei lettori, dove Bianciardi pu
dare sfogo ai suoi umori civili e fare sfoggio della sua cultura, parlando di bat-
taglie come il divorzio, la privazione sessuale dei ritiri, letteratura, musica.
Arrivano anche lettere di Carmelo Bene, Milva e altri protagonisti della cul-
tura di quel tempo, alcune forse sono scritte dallo stesso Bianciardi. Non che
le lettere mancassero, ma Bianciardi resta pur sempre uno scrittore, un poeta,
che finge quello che di vero ha visto. Emblematica, daltronde, lintervista a
mister Scopigno, allenatore liberale anche per quanto riguarda lattivit ses-
suale dei suoi giocatori nel pre-partita del Cagliari vincitore dello scudetto.
Inviato dal Guerin, fa dire a Scopigno concetti che aveva precedentemente
scritto, di suo pugno, con la tesi che se i giocatori devono astenersi dal sesso
allora al Mondiale bisognerebbe mandare una squadra di frati trappisti.
Bianciardi trova nella tv e nello sport, nella loro nazionalpopolarit, una
tregua nella battaglia contro il mondo, una comunit dove pu anarchica-
mente criticare un potere che, daltronde, accetta entro certi limiti anche
il proprio contrario, il proprio antagonista.
Il sesso la popolare frontiera oppositiva dove in parodia riversa le sue
battaglie storiche, sfumate in una dimensione liberale ma essenzialmente
ludica. Come le riviste cui, tra il 1968 e il 1971 collabora Bianciardi, riviste
per uomini. Da Kent a Executive a Playmen che, sullonda di Play-
boy, americano, vogliono innalzare con firme autorevoli la forma del loro
contenuto erotico se non pornografico. Collabora anche a giornali pi impe-
gnati come Le Ore, Epoca e lEuropeo, anche se linchiesta sulla con-
dizione della donna la scrive per ABC e appare su AZ, nella rubrica
Locchio giusto, un articolo che dice qualcosa di nuovo rispetto alle sue soli-
te battaglie (divorzio, contraccezione etc..) ed un pezzo dove commenta la
vittoria di Zingara a Sanremo, dove gli zingari sono i fratelli minori, orfani,
dei badilanti e degli operai che ha lasciato in Maremma, che non n riuscito
ad aiutare o rivendicare come voleva. Nella loro marginalit extrasociale,
forse, nella canzone televisiva che ne canta lunicit, Bianciardi si riconosce.
578 Luca Mastrantonio

Finita la stagione dei cavalli e dei paioli (viaggiano su certe Cadillac fortemente
scassate, che non valgono neanche la benzina consumata) gli zingari chiedono la
questua. Ogni tanto in Italia c qualche benedetta assistente sociale che si pro-
pone il compito di inserire gli zingari nel nostro contesto sociale. Vuole man-
dare i ragazzini a scuola e trovare un posto agli adulti. Lo stesso scopo che si
proponeva Himmler. E la gente ragiona proprio come Himmler. Basta sentirli se,
alla stazione della metropolitana, una zingara si avvicina a chiedere lelemosina.
Bisognerebbe ammazzarli tutti questi fannulloni. Sporchi, luridi, analfabeti21.

A spingerlo verso questa bulimia pubblicistica la paura di restare al


verde, di tornare a mangiare mezze porzioni in latteraria, anche perch la cosa
pi costosa che aveva, un cappotto cammello, laveva sottratto a Giangiaco-
mo Feltrinelli un giorno che il miliardario comunista editore disse che quel-
lo che suo di tutti. Ma la vita agra per Bianciardi comunque finita. In
un servizio Rai di Carlo Mazzarella, nello speciale Gli amici di Milano, viene
chiesto a Bianciardi se sia finita la Vita agra, e lui risponde che s, finita, ma
c di peggio, c il supermercato, e si vede una massaia (nel Dvd di Coppola-
Piccini Bianciardi!) che compra il libro La vita agra assieme alla carne. Nel
1971, poco prima di morire, Bianciardi riceve nella rubrica del Guerin una
lettera del centometrista Livio Berruti che pure gli chiede se la vita oggi sia
pi o meno agra di dieci anni prima. La risposta, a dieci anni di distanza,
cambiata.

Ora la vita sicuramente meno agra. Non si stenta ad arrivare alla fine mese, non
si saltano pi cene, ci possiamo permettere di bere un bicchiere buono. Per, se
la vita oggi meno agra, anche molto pi confusa. I valori si confondono, le
persone cambiano faccia, e ci si sente male. In un modo diverso, ma forse pi di
prima22.

Appunti per il nuovo millennio

Negli ultimi anni si risvegliato un forte interesse per Luciano Bianciardi.


Si sono pubblicati quasi tutti i suoi scritti e vari volumi hanno affrontato la
sua parabola biografica. Un quadro completo, ma ancora troppo complesso
per essere esaurito. Nel 1993, dalla milanese Baldini & Castoldi uscito Vita
agra di un anarchico. Luciano Bianciardi a Milano, del giornalista Pino Cor-
rias. Il libro si concentra soprattutto sugli intrecci tra vita e letteratura, sof-
fermandosi non poco sulla sua attivit di giornalista. Aspetto trattato in La
morte irridente di Gian Carlo Ferretti, un Ritratto critico di Luciano Bianciar-

21
Il cuore uno zingaro, rubrica Locchio giusto, in AZ, 5 aprile 1971.
22
Abolita la castit nella Roma di H.H., rubrica Cos se vi pare, in Guerin Sportivo, 27
settembre 1971, p. 1723.
Luciano Bianciardi: lanarco-rubrichista. Sport, sesso e televisione 579

di uomo, giornalista, traduttore, scrittore, recita il sottotitolo del volume, edito


da Piero Manni, nel 2000, anno in cui esce da ExCogita Lalibi del progresso,
che raccoglie Scritti giornalisti ed elzeviri (con una prefazione di Dario Fo);
sempre ExCogita pubblica nel 2007 Il convitato di vetro, che raccoglie le
rubriche televisive di Bianciardi, che definiva appunto la televisione un piat-
to e vitreo convitato di pietra, in un misto di familiarit e straniamento, pre-
senza e assenza.
Isbn ha pubblicato due Antimeridiani, il primo di opere letterarie il secon-
do di articoli giornalistici, dove c il corpus totale dei testi per giornali e rivi-
ste, ordinato per testate, in ordine cronologico. stato curato dalla figlia,
Luciana, da Alberto Piccinini, critico sportivo del manifesto e Massimo
Coppola, noto vj di Mtv, con un dottorato in filosofia. Per la stesura di que-
sto profilo, ci si affidati spesso allottima ricostruzione cronologica dellIn-
troduzione di Piccinini e Coppola.
Stampa Alternativa ha pubblicato nel 2008 Non leggete i libri, fateveli rac-
contare, che raccoglie le sei lezioni scritte per ABC, un manuale per diven-
tare un intellettuale, dedicate in particolare ai giovani privi di talento; e Il
fuorigioco mi sta antipatico (2009), raccolta di articoli per il Guerin sporti-
vo. Le lezioni per ABC sono il suo testamento intellettuale, autoironico,
ma non solo. Lezioni ottime per il nuovo millennio, le cui condizioni di pre-
cariato intellettuale Bianciardi ha precorso con decenni di anticipo. Sono
lezioni figlie del disincantato, ma pur sempre argute e pragmatiche. Uscirono
nel 1967, dedicate in particolare ai giovani privi di talento. Ma anche, a
quelli di talento.
Si parte dalla necessit di essere assolutamente vaghi per definire cos un
intellettuale (prima lezione). Cos c spazio per tutti, anche e soprattutto per
i senza talento. Sullestrazione sociale Bianciardi sostiene che il giovane aspi-
rante deve venire dal ceto medio, perch superata lidea dello scrittore ope-
raio, e chi nasce nella bambagia culturale non dar mai grandi frutti.

Si abitua sin dalle fasce a vedere per casa scrittori, artisti, canzonettisti, insomma
firme della scena culturale del suo paese () Dar del tu a Pasolini (...) Il guaio
che le cose gli sono andate troppo bene durante linfanzia e ladolescenza, quasi
sicuramente tirer innanzi per la strada pi facile, vivr delle rendite paterne, a
trentanni sar vecchio e stanco23.

La seconda lezione su cosa studiare e dove andare in vacanza. Branciardi


consiglia studi lontani dalle discipline umanistiche, per fare le mosche bian-
che, gli intellettuali dalla formazione eccentrica rispetto alla tradizione let-
teraria: Benissimo la Svezia, ma non parlate delle svedesi, suggerisce. La terza
lezione quella centrale: la cultura vuole informazione, non formazione. I

23
L.Bianciardi, Lantimeridiano, vol. II, cit, p. 1275.
580 Luca Mastrantonio

libri, dunque, meglio non leggerli, ma farseli raccontare. I critici letterari per
lo pi parlano di s, non del libro, e lintellettuale deve raccogliere impres-
sioni di altri sul libro del momento, per rivendersi dettagli, trama, il senso,
citazioni... Deve dare limpressione di avere sempre qualcosa da dire. Altri-
menti, usare la pipa. Un ottimo riparo. Quando manca la battuta, o si vuole
prendere tempo.
La quarta lezione riguarda La tecnica matrimoniale di Lady Chatterley.
Bianciardi sconsiglia a ogni intellettuale di mettersi con persone di pari
grado o inferiori, collaterali, come lufficio stampa, la segretaria o la dattilo-
grafa. Evitare anche la figlia del padrone, perch il padre si sentir poi di
dover mostrarsi imparziale, in azienda. Meglio puntare a una donna pi vec-
chia e ricca, magari vedova, cio zitella. Bianciardi la chiama lipergamia
maschile.
Lalternativa trovarsi un neopadrone (5, Brevi cenni di bossologia).
Sconsiglia un padrone allinterno di un ente pubblico o di una societ ano-
nima. Men che meno un ministero, dove la carriera lenta. Meglio punta-
re dritto a quelle imprese culturali dove il padrone visibile, incarnato, tan-
gibile. E ci sono due ipotesi: Il padrone un bel vecchio vegeto e arzillo
deciso a non morire perch conosce i suoi eredi, e si pu frequentare, oppu-
re un gran simpaticone ma meglio tenersi alla larga.
Infine, la scelta basica del modulo di gioco (sesta lezione). Marcature? A
uomo, anzi, a donna. Bisogna puntare sulle segretarie, infatti, vere e proprie
colonne di ogni azienda: Comincia dalla segretaria lo schema di marcature.
Suggerisce, in realt, una zona mista. Se in azienda bisogna marcare segreta-
rie e il padrone, anzi, il neopadrone, cio un padrone redditizio anche per il
dipendente, la critica va marcata in salotto, a casa propria, la zona dove
conta il fattore campo. Palla al centro, che il match abbia inizio. Poi con-
cludeva Bianciardi nellintroduzione vinca il migliore, e fuori i secondi.
CARLO SERAFINI

I corsivi morali di Giovanni Testori

Potrebbero apparire a prima vista una voce fuori dal coro gli articoli che
Giovanni Testori ha pubblicato dalla fine degli anni Settanta sul Corriere
della sera e su Il Sabato: parlare di fede, di carit, di famiglia, di giustizia,
di amore, di perdono e di speranza in anni nei quali lItalia era sotto la morsa
del terrorismo e laccelerazione tecnologico industriale sembrava lasciare sem-
pre meno spazio alla riflessione, pu sembrare una seconda sfida di Davide a
Golia, e questa volta una sfida ben pi impossibile della prima. In effetti
forse, a trenta anni di distanza, vista la situazione che appare oggi sotto gli
occhi di tutti, non possiamo certo dire che la fiondata di Davide abbia atter-
rato il gigante per la seconda volta. Ma non possiamo nemmeno parlare di
sconfitta, dato che lobiettivo del Davide-Testori non era tanto quello di
sconfiggere il gigante-societ, quanto quello di invitarlo a riflettere.
Personaggio complesso, spesso in bilico tra mondanit e solitudine, tra
culto dellaffetto familiare ed impossibilit di mettere radici, tra naturale pro-
pensione allo scandalo1 e valore della tradizione, Testori, scomparso nel 1993,
ha lasciato un segno forte nella cultura del secondo Novecento. Scrittore,
drammaturgo, storico e critico darte, ha sempre vissuto lopera artistica, in
tutte le sue manifestazioni, come un qualcosa di assoluto, di totalmente coin-
volgente. La fisicit, la passione, la visceralit, la vita e il sentimento, i segni
del corpo riscontrabili in ogni sua opera, siano i quadri come le tragedie, i
saggi come gli articoli e i romanzi, offrono lo specchio di unartista che pone
luomo, nel suo mistero tanto fisico che spirituale, al centro delluniverso, e
ne indaga le infinite possibilit espressive che si rifanno poi essenzialmente
sempre alla parola. Per Testori luomo parola, essenzialmente parola,
anche quando ad esprimersi unicamente il corpo, ed in questo lintera espe-
rienza umana di Testori non ha mai tradito il suo pubblico come i suoi amici
pi stretti o la propria famiglia, vero nucleo affettivo intorno al quale trova
certezza lerrabonda ricerca espressiva dellartista Lui stesso confessa che

1
Testori stesso disse di essersi sentito felice al tempo dello scandalo dellArialda; disse di
aver vissuto ci che si sempre augurato e di aver sofferto, anni dopo, della nostalgia per gli
scandali al punto da desiderare di farne volontariamente degli altri. Cfr. L. Doninelli,
Conversazioni con Testori, Guanda, Milano 1993, p. 49.
582 Carlo Serafini

quello che mi ha sempre aiutato a vivere, e, di pi, ad accettare la vita anche


nella sua maledizione, sempre stato il ritorno a casa. Si fanno queste pun-
tate verso lesterno che possono anche essere violente, distruttive , ma poi
il ritorno a casa d allesperienza stessa di quelluscita un calore indicibile.
Perch ritornare non vuol dire affatto dimenticare, non vuol dire scrollarsi di
dosso la violenza e la distruzione. Vuol dire solo entrare in un luogo che acco-
glie, che riceve quel dolore e quella cattiveria, dando loro un senso2. La
solidit affettiva, pur nelle contraddizioni che caratterizzano il personaggio,
come lammirazione per la severa educazione ricevuta dal padre, laffetto per
la madre e le sorelle, lo spendersi totalmente per le amicizie, i ricordi dellin-
fanzia e delleducazione cristiana, limportanza delluomo in s sono solo
alcuni dei primi postulati da tener presente per la lettura dei suoi articoli di
giornale, non a caso definiti corsivi morali3. Ma non questo lunico punto
fermo: il Testori giornalista porta nel quotidiano una summa di esperienza
maggiore, arricchita dalla sua intera vicenda artistica, che vede nel teatro mas-
simamente, ma anche nella critica darte, i luoghi di maggiore espressione.
So, per, una cosa: dice Testori che sempre, qualunque sia largomento
trattato, saggio, romanzo o testo teatrale vero e proprio, io sento che la paro-
la che scrivo ha bisogno di essere detta, pronunciata. come se, messa cos,
sul libro, non avesse ancora detto tutto quel che ha da dire. Solo il teatro la
libera completamente. [] Esistono parole che godono dellessere scritte.
[] Ce ne sono altre destinate fatalmente, e fetalmente, a rilevare nellessere
dette qualcosa in pi rispetto alla scrittura. [] La parola ci in cui luo-
mo si presenta, prima di qualsiasi gesto e oltre ogni gesto. I pianti, i lamenti,
le gioie di un bambino appena nato sono parole, in esse si esprime quella
creatura. Il verbo che si fa carne, la parola incarnata la prima, fondamenta-
le espressione delluomo. Per questo posso immaginare un mondo senza
romanzi e senza poesie, ma non un mondo senza teatro4. Quindi torna la
parola come fulcro dellessere e come centro del teatro; logico quindi che
Testori fosse critico nei confronti del teatro a lui contemporaneo che viveva
soprattutto di regia, di scenografia, di interpretazione attoriale, di replica
rispetto quellunicit che il teatro, in quanto opera darte, dovrebbe avere.
E anche rispetto alla critica darte o al rapporto con la pittura il punto di
partenza di Testori cambia poco. Fondamentale nella sua formazione stato
lincontro con Roberto Longhi, forse il maggiore critico darte del Novecen-
to, per il quale, sottolinea Testori, larte era una questione di vita o di morte.
Il rapporto con Longhi, che invit Testori a scrivere su Paragone, la rivista
che il grande critico fond nel 1950 e diresse fino alla morte, fu molto stret-
to e duraturo, rafforzando nel giovane Testori la convinzione della totalit

2
Cfr. L. Doninelli, cit., p. 91.
3
Cfr. A. Cascetta, Invito alla lettura di Testori, Mursia, Milano 1983, p. 39.
4
Cfr. L. Doninelli, cit., pp. 51-52.
I corsivi morali di Giovanni Testori 583

dellesperienza artistica anche allinterno dellesercizio critico. Secondo Testo-


ri infatti: Un grande critico, avvicinandosi al quadro, subisce come un risuc-
chio, viene aspirato dentro il quadro, fino a lasciare sul quadro, sul pittore,
sul momento storico, la sua impronta. [] Il fatto che io sono sempre stato
abituato, vuoi per natura, vuoi perch sono stato (seppur tardivamente) allie-
vo di Longhi, a considerare la critica darte come una questione di vita o di
morte. E non solo io. N prova il fatto che i vecchi numeri di Paragone
non venivano attesi con ansia e acquistati solo da critici, ma anche dagli arti-
sti. [] Se ho cominciato a fare il critico, perch non solo amavo moltissi-
mo la pittura, ma me ne sentivo invaso fisicamente, fisiologicamente: solo
allora mi era chiaro che potevo leggerla in modo da lasciare s diciamolo
pure una traccia sul corpo dellopera e del pittore, un segno5.
La personalit di Testori imprescindibile da questa sua passione verso le
arti figurative; ci che Testori ricava dalla lettura di un quadro non differi-
sce da ci che lui sente di poter dire o far dire in teatro, e la sua stessa pittu-
ra, con lossessione delle forme del corpo, del nudo, della lacerante e manife-
sta fisicit delle forme, della sessualit esorcizzata sulla tela, ne unaltra testi-
monianza diretta. Testori non teorizza mai larte in maniera astratta, entra nel
corpo di quellopera o di quel pittore, come nel corpo del proprio quadro
consumando tonnellate di colore6; il suo lavoro consiste nello scoprire il qua-
dro, nel sentire la vita che capace di contenere. Ricorda Luca Doninelli: A
me che non mi commuovevo mai per nulla, insegn che larte, come la vita,
un problema di commozione, e che non si pu dire bello di qualcosa se
questo giudizio non comporta limpegno di ogni nostra fibra, fisica, morale
e umorale oltrech intellettuale7.
E ancora stesso discorso pu essere fatto per la letteratura, per la poesia,
per i romanzi: una questione di vita, di totale partecipazione emotiva, di tota-
le messa in gioco delluomo come essere e della sua partecipazione allespe-
rienza quotidiana. Come precedentemente accennato da questi punti che
occorre partire per capire chi il Testori giornalista, cosa mette in pi sulla
pagina del quotidiano, dove trova origine la sua chiave di lettura del mondo
o, come negli articoli che scrisse tra il 78 e l81 sul Corriere della sera e su
Il Sabato, lettura della societ, dei fatti che quotidianamente ci raggiungo-
no attraverso la televisione, i giornali, la radio, il sentito dire. Perch Testori
venne chiamato a scrivere sulla prima pagina del Corriere come commen-
tatore morale o di costume, come interprete della societ italiana in anni di

5
Ivi., pp. 102-105.
6
A Giovanni Testori bastava molto per vivere. Anche quando, negli anni 70 dipingeva i
suoi famosi quadri, la quantit di colore era cos copiosa da rendere quella tela pesante come
una porta di quercia. Giorgio Soavi, 1993. Si cita da Giovanni Testori. Una vita appassionata.
Associazione Giovanni Testori. Silvana Editoriale, Milano 2003.
7
Cfr. L. Doninelli, cit., p. 13.
584 Carlo Serafini

forte scombussolamento politico e sociale? Perch uno scrittore, un dramma-


turgo, un poeta, un esperto di arte, invece che un politico, un antropologo,
un sociologo, un filosofo?
La risposta alle domande poste estremamente complessa, ed necessa-
rio, seppur non volendo in alcun modo entrare in analisi psicologiche sul-
lautore, valutare il peso che la vicenda umana e quindi artistica di Testori ha
giocato nella sua formazione spirituale. Testori unartista difficilmente col-
locabile, sfugge alle regole e alle classificazioni, spaziando non solo, come
visto, tra vari generi, dalla letteratura alla pittura, dalla poesia al teatro, dalla
sceneggiatura alla critica darte, dal commento morale allessere lui stesso
attore dei suoi scritti. Testori viaggia ancora dalla equilibrata misura del vin-
colo con la tradizione alle forme dello sperimentalismo linguistico-stilistico.
Unartista la cui costante la fuga e il ritorno, ma pur sempre, e questa
potrebbe essere la sua vera costante, il suo punto fermo, allinterno del ciclo
naturale di nascita, vita e morte. Questo il tema fondamentale e dominan-
te in Testori. E lesperienza della vita, delluomo, che interessa Testori, espe-
rienza che passa necessariamente attraverso il dolore e lamore, quali motori
dellesistenza. cos che la vicenda umana e artistica di Testori porta dalla
dimensione tragica alla riflessione sulla vita di stampo religioso in nome del-
lamore, in nome della speranza e del senso dellesistenza rintracciabile sol-
tanto in una dimensione ulteriore, fuori dalla natura, fuori dallesistenza. Alla
domanda su cosa lo spinga a scrivere, Testori risponde La disperazione.
Sempre, io d il meglio o il meno peggio di me nella disperazione e nel-
lamore. Ossia: nella disperazione che si fa amore, e viceversa. Ci deve essere
sempre qualcosa, per, che suscita amore e disperazione, o che mi riporti a
questo stato8. In queste poche parole Testori ha riassunto la sua intera vicen-
da artistica, il passaggio dal dolore della vita alla gioia dellamore, dalla scot-
tante lacerazione dellesistenza al senso dellesistenza stessa. per questo forse
che per Testori non tanto giusto parlare di una conversione sulla via di
Damasco, quanto di un processo che porta dalla vita allamore, cio dalla vita
a Dio, quale necessit delluomo, senso dellesperienza umana. Nei racconti
che Testori fa del suo rapporto con Longhi, c un episodio particolarmente
significativo, e riguarda una notte in cui Longhi si sent male e chiam al
telefono alla casa di Novate, in piena notte, verso le tre, lamico Testori chie-
dendogli di raggiungerlo subito a Milano, cosa che Testori prontamente fece.
E cos cominciammo a camminare lungo i portici e sotto la Galleria, andan-
do su e gi, su e gi fino alle otto. Fu come la notte dellInnominato, con la
differenza che non manifest tanto il rimorso, quanto, piuttosto, langoscia
del poi. Vidi apparire in lui, allora, una fede mai coltivata, mai esibita, ma
che tuttavia aveva, e in misura ben pi profonda del non possiamo non dirci

8
Ivi, p. 70.
I corsivi morali di Giovanni Testori 585

cristiani di Croce. Ricordo quella notte, quellandare su e gi, le campane


che segnavano le ore, e lui, con questa sua sigaretta appoggiata sulle labbra,
che ritornava sempre sullo stesso argomento, nonostante i miei tentativi di
farglielo cambiare. E lo faceva perch sapeva bene che io, sia pure in modo
demenziale, ero cristiano9. Testori vede Dio allinterno delluomo, indipen-
dentemente dal credo delluomo stesso10.
Ma cosa offre questa visione del mondo al Testori giornalista? La sua capa-
cit di lettura della societ pu fare affidamento su una visione della vita che
trascende il singolo avvenimento collocandolo in una dimensione pi alta, in
un senso generale dellesistenza che luomo sembra aver dimenticato in nome
della tecnologia e dellapparenza, del benessere e del materiale, dellaver reso
tutto oggetto e nulla anima. La famiglia, la vita, lamore, la solidariet, la
piet vanno lette allinterno di un mondo che offre solo disgregazione, vio-
lenza, morte, solitudine, egoismo, mancanza di valori, follia e ottusit. Di chi
la colpa? Cosa possibile fare? Testori non punta mai il dito, ma offre oriz-
zonti di comprensione enormi allinterno dei quali i singoli fatti dai quali trae
lo spunto per la riflessione si riempiono di significato o smascherano il dram-
matico vuoto esistenziale che li ha generati. I corsivi morali di Testrori sono
un giornalismo di riflessione, non di accusa n di giudizio, sono spazi dove il
tempo dellanalisi e della critica prende il sopravvento sul tempo della noti-
zia. E in questo Testori non tradisce il giornalismo vero e proprio, la velocit
del giornalismo vero e proprio, perch il suo commento morale riapre il caso.
Leggendo ci che lui scrive dopo pochi giorni11 o dopo un anno sulla strage
di Bologna12, o dopo un mese sul caso del ragazzo che ha ucciso la madre13,
noi ci rendiamo conto che aver abbandonato quel caso al tempo della crona-
ca un errore che pagheremo la prossima volta che una notizia simile si ripre-
senter sul giornale o, peggio, nella nostra vita. Gli esempi che riportiamo di
seguito, chiariscono bene cosa intendesse Testori:

Susa dire che riprendere un avvenimento dopo un mese e mezzo, quando su di


esso sembra essersi stesa la dura nebbia dellindifferenza e del silenzio, non sia
buona regola giornalistica. Il tempismo; cos ci hanno insegnato. A costo di ruba-
re, e in mali modi, la notizia. A costo di storcerla e, dunque, tradirla.

9
Ivi, p. 108.
10
Testori ha sempre creduto che in ogni uomo si nasconda, anche se apparentemente nega-
to, il desiderio di un credo. Cos dice: Quando leggo le opere dei grandi scrittori o dei grandi
pensatori che si sono dichiarati o che si dichiarano atei, trovo sempre il momento della caduta,
la piccola frana, dove risulta evidente che la loro posizione non risponde del tutto a verit. Pensa
a Giorgio Caproni, che il pi grande poeta italiano dal dopoguerra a oggi, e al suo no, che
tutto segnato dal bisogno del s dalla realt del s. Cfr. in L. Doninelli, cit., p. 134.
11
Il turpe gioco sulle bare, Il Sabato, 16 agosto 1980.
12
Non cancelliamo quei morti, Il Sabato, 1 agosto 1981.
13
Una roccia che resista a tutti i venti, Il Sabato, 21 giugno 1980.
586 Carlo Serafini

Ora noi crediamo che i tempi dellinformazione vadano rispettati e che, anzi,
siano propriamente interni allinformazione medesima. Ma crediamo altres che
esistano altri tempi: quelli che nascono dalla meditazione su di un avvenimento.
E sono proprio questi ultimi che a noi sembra giusto portare in primo piano,
soprattutto in una cognizione del giornalismo come quella che ci preme: un gior-
nalismo che sia ragione di ascolto e di intervento nel profondo delluomo; un
giornalismo che aiuti a restituire allinteriorit delluomo il suo essere mezzo di
notizia e mezzo di comunicazione. Questo non vieta che il giornalismo debba
essere anche dassalto, ma sempre avendo come fine quellinteriorit e quel
profondo. Lassalto sar il primo atto; latto che, talvolta, dovr lacerare uno stato
dinerzia o di menzogne; lacerarlo e indicarlo. Ma, poi, si dovranno pur sempre
riprendere i tempi meditati e lunghi che la nostra societ ama cos poco, ma che
cos tanto appartengono alla natura e alle reali necessit delluomo14.
Mai come in questi giorni, leggendo i quotidiani, abbiamo avuto la dura perce-
zione del terribile obbligo alla velocit, dei terribili limiti e delle terribili trappo-
le proprie di chi lega il suo lavoro ai tempi e ai modi del giornalismo. Lo stesso
discorso vale, crediamo, tanto per la radio, quanto per la televisione. E mentre,
da una parte abbiamo tratto unulteriore conferma circa la transitoriet che a tale
obbligo sembra connessa e circa il peso che nella formazione delle conoscenze e
delle coscienze pubbliche tale transitoriet finisce pur sempre per esercitare; dal-
laltra, ci siamo nuovamente persuasi di quanto sia indispensabile che, in chi assu-
me tale onere e tale responsabilit, si formi una sorta di permanente capacit di
riflessione, di meditazione e, dunque, dumilt nei confronti di cos luomo; nei
confronti della sua enorme, religiosa, abissale dignit; del suo enorme, religioso,
abissale mistero; s da permettere al momento in cui lavvenimento imprevisto e
tragico laceri il ritmo quotidiano, una lettura il pi possibile vicina alle comples-
se ragioni di quella dignit e di quel mistero; pi vicini a ci, che non a un qua-
lunque disegno ideologico o politico.
Attese le difficolt segnalate allinizio, non ci sentiamo di rimproverare nulla a
nessuno, sapendo, tra laltro, come noi stessi in altre occasioni possiamo esserci
sentiti impreparati proprio per difetto di riflessione e dumilt15.
probabile che una delle colpe pi gravi della nostra societ per ci che concer-
ne la possibilit di creare dentro il presente un futuro umanamente reale, abiti
nella fretta con cui tutto fa per dimenticare e, insieme, rimuovere i segni pi
profondi, estremi e drammatici che la colpiscono ed investono. La panacea delle
festaiolit (che giusto il contrario della festivit), il ritmo precipitoso con cui
gli avvenimenti vengono illustrati considerati, e dimessi (quasi che anche qui
vigesse la demenziale legge del prendere, consumare e gettar via), stanno a indi-
carci, ben pi che il bisogno dandare avanti, la fretta ansiosa e cieca di procede-
re per continue sostituzioni affinch luomo non abbia il tempo di fermarsi e
misurare cos il punto in cui si trova e, se esiste, il punto verso cui tende16.

14
Una roccia che resista a tutti i venti, Il Sabato, 21 giugno 1980.
15
Il turpe gioco sulle bare, Il Sabato, 16 agosto 1980.
16
Non rimuoviamo il sangue di quel giorno, Il Sabato, 14 novembre 1981.
I corsivi morali di Giovanni Testori 587

Alla luce di questo spazio di riflessione e di questo senso della vita


possibile tracciare delle differenze con loperato al Corriere di Pasolini, al
quale Testori viene spesso affiancato se non altro per continuit cronologica
sul quotidiano, al quale, si ripete, Testori arriva dopo pochissimi anni dalla
tragica fine dellautore corsaro. Se indubbio che tanto Pasolini quanto
Testori facciano ricorso pi o meno volontariamente alla loro capacit o stra-
tegia artistica, attingendo spesso al repertorio di immagini, di rimandi, di
metafore mitico-letterarie, e se altrettanto indubbio che i loro scritti abbia-
no come tema centrale la perdita dei valori e i pericoli che la societ capitali-
stico borghese corre, spesso in maniera ignara e cieca, vittima di giochi ben
pi grandi di lei, ci che tra i due artisti profondamente diverso lapproc-
cio al problema: sociale e politico per Pasolini, esistenziale per Testori.
Pasolini attacca senza mezzi termini e in chiave tutta politica il Potere, il
Palazzo, le Istituzioni, la Chiesa, fa Processi ai grandi nomi che chiama in
causa per nome e cognome, puntando il dito contro di loro e trascinandoli
di forza allinterno degli avvenimenti; Testori invece chiama in causa luomo,
la sua natura umana e spirituale, la sua visione religiosa e altra che evidenzia
tutti i limiti e le sragioni umane dellottica politica, colpevole dellaver elimi-
nato la natura umana dalla sua riflessione. Piuttosto che attaccare i grandi,
Testori preferisce portare lesempio dei grandi, siano grandi perch conosciu-
ti, come i Papi17 o Madre Teresa18, o siano grandi perch fanno grandi cose,
come lanonima donna di servizio che lavora tutta lestate senza mai fare va-
canze per accudire marito e figlia e per assistere una donna anziana malata19.
Dalla disperazione allamore, si diceva prima, il percorso che Testori offre
nei suoi scritti giornalistici, cogliendo nella realt quotidiana avvenimenti che
vive con una partecipazione personale tanto sentita da essere vera e propria

17
Testori dedica numerosi articoli alla figura e al magistero dei Pontefici a lui contempo-
ranei. Cfr. Una pagina bianca per questo dolore, Corriere della sera, 9 agosto 1978 (in occa-
sione della morte di Paolo VI); La Madonna entrata nella Trinit, Corriere della sera, 14
settembre 1978 (sulla Messa dellinvestitura di Giovanni Paolo I); Questa morte una luce,
Corriere della sera, 30 settembre 1978 (in occasione della morte di Giovanni Paolo I); Un
abbraccio nel nome della Madre, Corriere della sera, 16 ottobre 1978 (in occasione dellele-
zione di Giovanni Paolo II); La redenzione delluomo nel dramma della storia, Corriere della
sera, 17 marzo 1979 (sullenciclica Redemptor hominis); Wojtyla: luomo, la donna, lamore,
Corriere della sera, 20 gennaio 1980 (commento allanalisi di Giovanni Paolo II su un passo
della Genesi); Perch la scienza non porti al disastro, Corriere della sera, 4 giugno 1980 (sul
discorso di Giovanni Paolo II allassemblea dellUnesco); C piuttosto qualcosa di rivoluziona-
rio nelle parole di Papa Wojtyla sulladulterio, Corriere della sera, 11 ottobre 1980 (su un
discorso di Giovanni Paolo II sul rispetto allinterno del vincolo matrimoniale); Il martirio del
Papa nel cuore del mondo, Il Sabato, 16 maggio 1981 (sullattentato a Giovanni Paolo II in
Piazza San Pietro); Non rimuoviamo il sangue di quel giorno, Il Sabato, 14 novembre 1981
(ancora sullattentato a Giovanni Paolo II).
18
Nellamore per la vita la vera pace, Corriere della sera, 5 dicembre 1979.
19
Le vacanze dedicate agli altri, Corriere della sera, 22 luglio 1979.
588 Carlo Serafini

sofferenza. Cosa che colpisce Testori al punto da prendere lavvenimento


(un fatto di cronaca, una lettera, un avvenimento internazionale) e farlo a tal
punto proprio, ossia delluomo, da renderlo universale? Forse occorre qui ri-
portare due avvenimenti dellinfanzia dello scrittore, particolarmente signifi-
cativi, e la cui importanza ampliata anche dalla memoria che Testori ne ha.

Un giorno destate, nel tardo pomeriggio, me ne tornavo con la mamma dal


paese, dove eravamo stati per la spesa, quando vidi scendere dallalto della strada
un uomo con le mani illucchettate in mezzo a due carabinieri. I tre ci incrocia-
rono proprio mentre stavo per mettere il piede sul primo gradino di casa, e io,
che non avevo idea di cosa si trattasse, mi girai in direzione di quelluomo, che si
gir a sua volta verso di me, e mi disse qualcosa, non saprei dire con precisione
cosa, ma ho sempre pensato che avesse detto ciao. , anzi, probabile che mi
avesse salutato, perch la sua faccia non mi era nuova: lo vedevo spesso in paese,
o su certi campi dove andavo a giocare, detti Nandn, Il Nandone, dal nome del
proprietario. Questo fatto dovette imprimersi in me con violenza, perch subito
mi sentii male, malissimo, e tutto angosciato domandai a mia mamma dove por-
tavano quelluomo. Lei rispose che lo portavano in prigione perch aveva rubato
una mucca. Anche i giorni successivi, a tavola, non feci che chiedere di lui, se
aveva anche lui una mamma, un pap, eccetera. Mi pareva che tutto si fosse lace-
rato, che la vita stessa si fosse spaccata. Credo che la mia ribellione istintiva ogni
volta che vedo qualcuno a cui viene tolta la libert, e lodio un po demente che
nutro verso tutte le polizie, i carabinieri, gli statuti e gli ordini costituiti derivi da
l. un ron ron continuo, e, ripeto, non c giorno in cui anche tre, quattro,
cinque volte non mi venga fatto di tornare a quel caso20.
Ricordo sempre la lezione che mi impart [mio padre] quando avevo cinque anni.
Era il giorno di Santo Stefano. La fabbrica di mio padre aveva una portineria,
dove gli operai passavano per timbrare il cartellino. Il portinaio aveva due figli, di
cui il maggiore, di nome Peppino, aveva pressa poco la mia et. A questo ragaz-
zo, che sarebbe morto giovane, in seguito mi affezionai moltissimo; ma in quel-
loccasione prevalse la mia tendenza mai abbandonata, devo dire a fare il
bullo. Ci trovavamo in giardino a giocare con la neve, che quellanno era caduta
in abbondanza, quando gli chiesi di farmi vedere i regali che aveva ricevuto per
Natale. Cos mi fece entrare in casa sua e me li mostr. Poi venne il mio turno:
tutto orgoglioso, lo portai a casa mia e gli mostrai i miei regali, che, naturalmen-
te, erano molto pi belli dei suoi. Allora mi venne fatto di dirgli, in dialetto: I
miei sono pi belli perch io sono il figlio del padrone. Lui rimase l di sasso,
poi usc e si mise a piangere. Mio pap lo vide e venne a chiedermi cosera suc-
cesso. Quella sera, alle cinque, allora di uscita degli operai, mio padre mi prese,
mi mise in ginocchio proprio l dove timbravano il cartellino, e mentre timbra-
vano, tac tac tac, lui cominci a schiaffeggiarmi, davanti a tutti. Un operaio
prov a intervenire in mio favore, ma mio padre gli rispose duramente: lei faccia
il suo lavoro, ch io faccio il mio. []

20
Testimonianza di Giovanni Testori tratta da L. Doninelli, cit., p. 28.
I corsivi morali di Giovanni Testori 589

Per quello che riguarda me ti dir che ho imparato lorrore dellingiustizia, anche
sociale, molto pi da quellepisodio che non da tutte le letture e da tutte le pre-
diche degli anni successivi21.

Ora non difficile immaginare limpressione per un bambino nel vedere


un uomo privato della libert, legato e trascinato in carcere. Ma il dettaglio
che Testori racconta, legato allincomprensione delle parole delluomo in
manette, alla sua disperata volont di capire e alla forza con la quale questo
episodio ha trovato posto nella sua memoria, autorizzano a pensare come il
tema della libert sia per Testori una sorta di vera e propria ossessione. Ma
anche qui subentra luomo in tutta la sua natura, ossia la libert cui aspira
Testori non tanto la libert dal carcere (lui stesso definisce demente un
termine che usa spesso negli articoli di giornale per indicare lillogicit di un
qualcosa la sua avversione per le autorit), semmai la libert spirituale del-
luomo, cio la serenit delle proprie azioni, la fiducia nel valore dellesi-
stenza, la non dipendenza dai falsi miti della societ contemporanea. Luomo
libero quando in pace con se stesso, quando in equilibrio con gli altri,
quando pu esprimersi. E di compenso Testori mette in guardia sui pericoli
delle false libert: nellarticolo La libert un servizio Testori sottolinea come
sia probabile che il problema della libert formi una delle spine pi cru-
ciate e sanguinanti, insieme che una delle annessioni pi folli e abusive della
nostra civilt; ma dopo averlo proposto e proclamato come centro, senso e
fine della vita medesima, quel problema va mostrando, implacabile, il suo
terribile rovescio, e l dove pensavano che le catene si sarebbero spezzate, altre
e pi tremende ci si sono chiuse davanti [] Un esempio potrebbe essere
dato proprio dalla libert assoluta nel dominio della sessualit e dellerotismo,
cui cos consumisticamente e, dunque, subordinatamente e servilmente si fa
oggi ricorso; pronunciata hic et nunc come totalit, essa non libera affatto
n il sesso, n leros; li depaupera; li aliena; li riduce alla loro stessa masche-
ra; li colpisce a morte; e cos, appunto, li e si suicida. [] se la tensione che
linnerva si protende verso lillimite, nel suo vivere il cammino della storia, la
libert un atto dolorosamente condizionato e relativo22.
Ma per tornare alluomo arrestato del ricordo di Testori, possiamo notare
come lepisodio sia fortemente significativo di unaltra indole di Testori, ossia
la costante e ferma volont di capire, la costante e ferma volont di sapere e
di conoscere, di arrivare allessenza e alla natura delle cose e da l arrivare
ancora alla natura e allessenza delluomo. Se poi luomo ha preso una strada
che non pi in grado di gestire, se il suo politico stare insieme assume
sempre pi la logica della discriminante e della prevaricazione, allora larma
dellanalisi, dello studio e della cultura ha il dovere di intervenire, non come

21
Cfr. L. Doninelli, Conversazioni con Testori, cit., pp. 33-34.
22
La libert un servizio, Corriere della sera, 24 luglio 1978.
590 Carlo Serafini

arma di offesa ma come arma di analisi, di riflessione, di spazio per la critica


e la comprensione. Lingiustizia per Testori appunto lessere lontano dal giu-
sto, giusto come uomo che cammina nella fiducia dei propri valori, un giu-
sto cristiano che a prima vista non ha luogo nel marasma di prevaricazione,
velocit e violenza che appare. Ma l che la sua riflessione fa breccia, nella-
prire un varco di fioca luce che semini la volont di fare chiaro su tutto.
Volont di capire, libert e ingiustizia, soprattutto sociale: sono questi i
comuni denominatori degli articoli di Testori, i temi che vanno a colmare le
matrici vuote della sua sensibilit. La cecit e lincomprensibilit della vio-
lenza, del suicidio, della solitudine, il mistero della morte, lingiustizia della-
borto, del silenzio, della prevaricazione sociale, della corruzione, lingiustizia
di una cultura ferma, e a tutto questo opporre la libert dellamore, della
famiglia, del calore, dellesempio.
Si torna a ripetere come non si intenda voler entrare nella psicologia del-
lautore, semmai vedere come determinate esperienze della sua vita si siano
poi in qualche modo fatte strumenti critici per lanalisi della societ.
Prima di stringere lobiettivo sui corsivi morali, occorre precisare due
cose. Innanzitutto va ricordato che Testori sarebbe arrivato al Corriere ben
prima se non ci fosse stata lopposizione di Montale. Uno dei suoi opposi-
tori pi tenaci Eugenio Montale. Pi volte il poeta interviene per bloccare
articoli e recensioni, soprattutto sul teatro di Testori. Motivo di tanta avver-
sione? Il fatto che lo scrittore non fa mistero della sua omosessualit ( come
quella di Michelangelo dice). La rottura definitiva fra i due alla Scala.
Testori con un giovane francese. Incontrando Montale, glielo presenta. Il
poeta gira le spalle e si allontana23. Nel 1975 Piero Ottone lo chiama a col-
laborare come elzevirista, e la sua opera inizia come critico darte, a suggella-
re in maniera ancor pi ferma, qualora ce ne fosse bisogno, lo stretto legame
che per Testori ha lesperienza artistica con la totalit della vita. Ma il pieno
lavoro inizier nel 1977, sotto la direzione di Franco Di Bella, che intuisce
come Testori possa riempire il vuoto lasciato in prima pagina da Pier Paolo
Pasolini. Inoltre va ricordato, come stato giustamente notato24, che la forza
dei corsivi morali di Testori si manifesta in tutta la loro carica eversiva e
quindi comunicativa se letti in stretta relazione agli avvenimenti cui si riferi-
scono, ossia se letti a caldo. Oggi, raccolti in volume, la loro forza di invito
alla meditazione sembra autorizzata dalla distanza temporale con lavveni-

23
Da Sebastiano Grasso, Corriere della sera, 17 marzo 1993.
24
Le occasioni di intervento sono prelevate dalla cronaca di anni assai tesi della storia ita-
liana, e nel contesto della cronaca vanno appunto letti, allinterno dellintero menab della
pagina di giornale in cui sono apparsi, piuttosto che nella neutralizzazione letteraria del volu-
me in cui sono stati [] raccolti, nellurgenza insomma del loro nesso con la biografia mili-
tante, piuttosto che nel catalogo per generi delle opere dello scrittore. Cfr. A. Cascetta, cit.,
p. 39.
I corsivi morali di Giovanni Testori 591

mento. Ma ci che oggi ci sembra giustamente commento a gioco fermo,


allepoca era commento e riflessione a ferita aperta. Occorre quindi oggi capi-
re con uno sforzo di proiezione, cosa volesse dire leggere le parole di Testori
durante la strage di Bologna, durante linfuriare delle polemiche sullaborto,
durante la tragedia di Vernicino o nel mezzo del rapimento Moro.
Prendiamo ad esempio gli episodi di violenza sui quali si sofferma Testori.
Nellomicidio del commissario Antonio Esposito, crivellato di colpi su un
autobus da due giovani, la riflessione si sposta dalla vittima cadavere alle vit-
time esecutori: Testori infila una lunghissima serie di domande (questa sar
una costante di quasi tutti suoi articoli) che arrivano alle viscere dellepisodio
di violenza, arrivano alla natura del gesto, alla causa prima C stato, nella
mente degli esecutori, mentre preparavano il delitto, un attimo in cui il gesto
era ancora reversibile e un dubbio poteva ancora fermarli []? Li ha sfiorati
il pensiero che chi uccidevano era un uomo come loro, un uomo che con la
propria sposa e i propri figli componeva una famiglia eguale a quella da cui
loro stessi erano pur usciti []? E se questo attimo non c stato o, se c
stato, non ha avuto la forza darrestarli, quale ne fu la terribile causa, quale la
terribile ragione? [] in che misura anche noi siamo responsabili del terrore
e degli assassini che coprono di dolore e di morte le nostre strade e le nostre
case?25. E per restare in tema di delitti politici o ideologici, di fronte alla giu-
stizia fatta per la morte di Walter Tobagi, ucciso in nome di un rivoluziona-
rismo in nulla popolare e operaio, bens malamente borghese [] che, tra
vacanze, scuole dileggiate e distrutte, permissivismo idiota, bestemmie, rice-
vimenti e sinistrese ha giocato a cambiare il mondo senza conoscere, del
mondo che aveva dietro, attorno e davanti nulla di nulla26, Testori si chiede
che ideologia possa mai essere una ideologia che per affermarsi sente il biso-
gno di eliminare fisicamente il suo avversario. E ancora: veramente lideo-
logia che, in prima istanza, muove allassurda necessit daver ragione ucci-
dendo un uomo o non , invece, luccisione che lassassino ha compiuto
prima in se stesso del suo essere veramente e totalmente uomo?27. O anco-
ra: quale concezione della vita non impedisce a degli uomini il terribile atto
di sequestrare una donna incinta che porta dentro di s il dono di unaltra
vita28? Cosa sta accadendo alluomo se quattro ragazzi danno fuoco ad un
loro fratello di colore Sono ancora le cieche ragioni della razza, del colo-
re e del dominio legate ora alluna ora allaltra razza, ora alluno ora allaltro
colore, che agiscono sotto i falsi proclami delle false ideologie della libert,
del progresso, del disarmo, della giustizia e della pace?29. E gli esempi

25
Perch due giovani diventano killer sullautobus patibolo, Corriere della sera, 25 giugno 1978.
26
Dietro quelle mani, Corriere della sera, 12 ottobre 1980.
27
Dietro quelle mani, Corriere della sera, 12 ottobre 1980.
28
Hanno in mano due vite Corriere della sera, 11 ottobre 1978.
29
Com possibile che quattro ragazzi brucino un negro in una notte di primavera in Piazza
Navona, Corriere della sera, 23 maggio 1979.
592 Carlo Serafini

potrebbero continuare con la violenza sulle donne30, con chi massacra la pro-
pria famiglia31, la propria madre32, una bambina33 tutti episodi compiuti
da giovani o giovanissimi che hanno perso ogni punto di riferimento e di cer-
tezza. La corsa dei nostri giovani trova sulle sue strade cose e prodotti, affa-
scinamenti e seduzioni, modelletti e miti; ma non trova pi, o ben raramen-
te, la roccia della famiglia, la roccia della scuola, la roccia della cultura, e nep-
pure la roccia dun maestro che laiuti a riconoscere il senso e il nome della
propria irripetibile essenza; della propria irripetibile origine e nascita34. E lo
sguardo di Testori non tralascia mai di portare verso gli assassini, i criminali,
i delinquenti il tema della piet e del perdono, si vergogna per lorrore delle
carceri35, oppone la vita alla pena di morte e la riabilitazione allergastolo36,
richiama chi si prende la libert di definire belva chi ha ucciso i genitori37.
A tal proposito di particolare rilievo la riflessione che Testori compie sulle-
pisodio verificatosi in unaula di tribunale subito dopo la lettura di una sen-
tenza dergastolo:

C stato, tuttavia, in questepisodio un particolare su cui sembra a noi sia neces-


sario spendere qualche parola; infatti, alla lettura della sentenza, uno scroscio
dapplausi s alzato dallaula dove il processo sera svolto. Ora noi ci chiediamo:
che senso ha questo applauso? E che senso ha avuto riportarlo poi sui giornali
senza che si tentasse di metterne in rilievo, non diremo linopportunit ma, ancor
peggio, la gratuita disumanit? Ci chiediamo inoltre: questesternarsi dun accon-
sentimento, in s giusto, non va in direzione opposta ai principi della Giustizia
che il verdetto ha emesso?
Una societ ha probabilmente il diritto di pronunciare una sentenza di ergastolo,
tanto per ricomporre lequilibrio di cui s parlato, quanto per stabilire alcuni
fermi ed obbiettivi ammonimenti; ma la medesima societ ha, nello stesso
tempo, il dovere daccogliere quella sentenza, interiormente ed esteriormente, nel
pi assoluto silenzio; poich questo ci che la lucentezza e insieme la gravit del
diritto esercitato e lombra senza fine di dolore che sta dietro al delitto su cui quel
diritto s esercitato meritano ed esigono. Tutto ci che viene aggiunto, ha il tri-
ste sapore di una rivincita; e abbassa, per cos dire, leco che quella lucentezza
dovrebbe provocare. La legge vincita, non rivincita; e come tale ha da essere,
sempre, rispettata ed amata38.

30
Una legge per difendere le donne dalle violenze, Corriere della sera, 26 agosto1979.
31
Dietro lorrore non soffochiamo la piet, Corriere della sera, 23 marzo 1981.
32
Non dobbiamo negargli piet, Corriere della sera, 20 aprile 1980.
33
In memoria di una bambina sgozzata, Corriere della sera, 21 settembre 1980.
34
Un vento che va e va, Il Sabato, 3 maggio 1980.
35
La vergogna delle carceri, Il Sabato, 5 settembre 1981.
36
Giustizia e pena di morte, Corriere della sera, 22 febbraio 1981.
37
Dietro lorrore non soffochiamo la piet, Corriere della sera, 23 marzo 1981.
38
Lergastolo applaudito. La condanna degli uccisori di Olga Julia Calzoni, Corriere della
sera, 3 luglio 1978.
I corsivi morali di Giovanni Testori 593

Per Testori i criminali, gli assassini non sono coloro che non sanno quel-
lo che fanno, bens coloro che non sanno quello che si fanno39, ossia quel-
lo che fanno a loro stessi, alla loro natura di uomini, uomini non pi rico-
noscibili come tali. E la violenza assume caratteristiche ancor pi drammati-
che quando si sposa con lindifferenza40 e linerzia di chi la vede, verso chi,
vittima, viene abbandonato, viene strumentalizzato, mediaticamente esposto
e poi dimenticato, come le bare della strage di Bologna, o come le vittime del
terremoto41.
Testori si rivolge soprattutto ai giovani, vedendo in loro tanto la possibi-
lit del cambiamento quanto il massimo pericolo di esposizione al modello
traditore dei padri42 e della cultura dominante. Rientrata la rivoluzione del
68, nel senso che su tutto ci che aveva determinato si impone ora la rifles-
sione critica, i giovani si trovano a dover fare i conti con una realt (come
quella scolastica ad esempio) incapace di mettere a frutto le idee. La scuola,
per tornare allesempio fatto, proprio ora che si apre al pieno accesso delle
classi popolari, proprio ora viene distrutta; proprio ora il soggetto della scuo-
la, i giovani, viene relegato ad oggetto delle decisioni senza diritto di parteci-
pazione. Dobbiamo, dunque, pensare che c sempre qualcuno che ha con-
venienza ad avere giovani che indirizzano la loro forza, la loro speranza, il loro
dolore e la loro intelligenza, anzich a un fine di costruzione nuova, a un fine
di distruzione vecchia e reazionaria, ancorch ammantata di rivoluzionari-
smo? Il Paese a pezzi e la scuola a pezzi devono pur servire a qualcuno se cos
pervicacemente li si desidera, li si cerca e li si vuole43. Testori questo riven-
dica e denuncia, che i giovani sono tagliati fuori dalla possibilit di parteci-
pazione al loro futuro, e in massima parte i giovani con meno possibilit eco-
nomica, rappresentanti di classi sociali costrette a vivere sul modello delle
classi dominanti borghesi, modello che non potendo per ovvi motivi seguire
gli si rivolta contro di fatto uccidendoli. Come per altri aspetti della vita
apparentemente pi normali, anche per questi bisogna dire, e con ogni chia-
rezza, che i giovani, soprattutto quelli delle classi meno abbienti o addirittu-
ra popolari, vanno imitando o ripetendo il modello che le classi economica-
mente e culturalmente egemoni hanno loro fornito. Anche qui, come negli
altri aspetti, tra modello vissuto dallalto e modello ripetuto dal basso si apro-
no discrepanze incolmabili; tuttavia, nel nostro caso, le discrepanze diventa-

39
Testori usa pi di una volta questa espressione: cfr. Giustizia e pena di morte (Corriere
della sera, 22 febbraio 1981); Non sanno quello che si fanno (Il Sabato, 9 maggio 1981); Il
martirio del Papa nel cuore del mondo (Il Sabato, 16 maggio 1981).
40
Cfr. a tal proposito larticolo La violenza, volto doggi, Il Sabato, 23 maggio 1981.
41
Vergogna e colpa un po per tutti, Corriere della sera 26 novembre 1980; Soltanto nel
cuore di Cristo. Nel meridione ancora il terremoto, Il Sabato, 6 dicembre 1980.
42
I padri traditori e i figli traditi, Corriere della sera, 19 febbraio 1978.
43
Quellurna vuota degli studenti, Corriere della sera, 25 novembre 1979.
594 Carlo Serafini

no addirittura insostenibili, fino a confondersi col fiato stesso della morte.


Non a caso che i visi di quei giovani, ove ancora vivessero, saffaccerebbero
tutti dalle finestre delle case della modestia, della fatica, del non-lavoro e della
fame. Chi ha creato il modello s procurato anche i mezzi per reggere alla sua
degradazione. Ma chi il modello, per gli ingranaggi stessi della societ del
profitto e della materia, ha dovuto subire ne subir totalmente, come in effet-
ti ne subisce, la degradazione44.
E da qui nasce un altro dei grandi temi sul quale Testori si sofferma chia-
mando a servizio della scrittura tutta lumanit di cui capace e portatore: la
disgrazia umana del suicidio dei giovani, dramma dal quale neppure lui
stato immune come tentazione, nella sua vita45, e dramma che impone
immediata e assoluta la riflessione sul perch. La dissacrazione del valore
primo da cui tutti gli altri discendono e, nello stesso tempo, la connessa, fata-
le consacrazione idolatra del possesso, dellavere e della cosa, ha lacerato la
vita; e ha reso difficile, soprattutto tra le classi pi giovani nelle cui mani la
tragedia orribilmente deflagrata, la sopportabilit stessa. Cos il suicidio
parso spesso lunica conclusione possibile di ci che, essendo privato dal suo
primo senso, nessun senso secondario, o subalterno, dimostr di poter reg-
gere e far progredire sulla strada della pur tanto ricercata ed attesa giustizia46.
Perch Mauro, Marco, Alfredo47 si sono uccisi? Cosa si rotto o stato rotto
nel loro cuore per portarli ad un simile gesto? Che diritto hanno loro di
distruggere e distruggersi? Cosa mancato alle loro esistenze? Testori insiste
sulle domande per arrivare al senso della vita, mascherato, soffocato dalla
cosificazione dellesistenza che annulla la vita nella falsa convinzione della
disponibilit della vita stessa. Pi che il diritto di disporre della propria vita,
luomo ha il dovere di accettare la vita come dono, di proteggerla e rispettar-
la nel suo senso e significato finale. In uno dei suoi articoli pi forti e toc-
canti, Testori parla della speranza: ci sono giorni in cui sembra impossibile
trovare una parola, trovare il coraggio di andare avanti, giorni in cui lodio
sembra distruggere gli sguardi degli uomini, associando, come abbiamo visto,
lodio, il non amore, la violenza con il male dellindifferenza. Qui si sente,
dice lo scrittore, il bisogno della parola, il bisogno della speranza: La spe-
ranza. questa, proprio questa, una delle parole, forse la parola che pi pian-
ge sotto le nostre elusioni e le nostre abdicazioni. Essa ci aspetta come un

44
I giovani che implorano la morte cercano solo Dio, Corriere della sera, 24 aprile 1978.
45
Nel lungo dialogo-intervista con Doninelli, Testori confessa che in almeno due occa-
sioni nella vita si trov sul punto di uccidersi e quanto poi gli affetti pi cari e la famiglia
abbiano contribuito alla sua ripresa. Cfr. L. Doninelli, cit., pp. 31-32.
46
Una pagina bianca per questo dolore, Corriere della sera, 9 agosto 1978.
47
Sul tema del suicidio cfr. gli articoli: Il dovere di vivere, Corriere della sera, 20 gennaio
1979; Marco si ucciso. Quale amore cercava?, Il Sabato, 20 gennaio 1979; Alfredo morto.
Unaltra tomba della falsa libert, Il Sabato, 8 settembre 1979.
I corsivi morali di Giovanni Testori 595

povero filo derba, come un povero, breve filo di bava sulle labbra dun bambi-
no o su quelle di un morente. [] Ma, per essere assunta, la speranza doman-
da come primo gesto che venga distrutta lindifferenza; che venga distrutta la
superbia delle tenebre accettate; e che, insieme, venga distrutto lodio non
respinto ma attizzato e covato come un bene [] la speranza reclama non gi
facilit, ma fatica; reclama, ecco, la virt che sembra pi contraria ai nostri
tempi apparentemente cos rapidi e vivi: cio a dire, la pazienza48.
Ora sembra chiaro come per Testori la necessit primaria sia il ritorno alla
vita e al senso della vita, da lui identificato in una parola che, sottolinea sem-
pre lo scrittore, sembra impossibile poter anche semplicemente pronunciare
nella realt che abbiamo davanti, cio Dio, la parola Dio, cio amore, mani-
festazione suprema nella vita dellamore. Verso questo tende la riflessione di
Testori, sia esplicitamente riferita al tema, sia invece procedimento di lettura
e di comprensione di avvenimenti di per s insignificanti. Piccoli atti damo-
re sono la manifestazione di quella speranza, di quella pazienza, di quella-
more appunto, allinterno del quale la vita delluomo deve trovare il suo senso
per non morire nellindifferenza. Mario Gatto, necroforo del Comune di
Milano, scrive a Testori una lettera raccontando di come una vecchietta fosse
morta, avvolta in un lenzuolo, non vestita, posta in una bara gratuita del
Comune, non accompagnata da nessuno, non accompagnata nemmeno in
Chiesa (il portone era sbarrato), cos il solo sguardo del necroforo, presente
per dovere, per lavoro, che solleva il coperchio della bara per donare il pro-
prio sguardo, diventa lunico atto di umanit nei confronti di questa morte
silenziosa. Chi siamo e dove stiamo andando chiede il necroforo, in chiusu-
ra di lettera? Risponde Testori: Semplice, tenera e insieme agghiacciante,
straziata damore e di carit, tutta avvolta da un sentimento e da una consa-
pevolezza pagati, giorno per giorno, nella carne e nellanima, questa lettera
dovrebbe metterci tutti l, in ginocchio, a domandare perdono alluomo che
in ogni uomo dove abbiamo lasciato che luomo arrivasse. [] La risposta
che mi sollecita, non sono io che posso darla a lei; lei che lha data a me e
a tutti noi, col gesto che ha compiuto; sollevare il coperchio della bara e far
scendere, anzi come lei dice, donare alla povera vecchia il suo sguardo
miope, ma amoroso e fraterno. Il mondo, luomo e la speranza della loro sal-
vezza, in quel momento, li ha raccolti nelle sue braccia lei49.
La riflessione sulla morte anche al centro di un testo particolarmente
significativo di Testori, che rientra quasi in una dimensione di oratorio-tea-
trale, Conversazione con la morte (1978). Lopera nasce dallesperienza del-
lautore stesso della morte della mamma, e si presenta come il monologo di
un vecchio attore-autore, quasi cieco, che, persa la mamma e il suo discepo-

48
Il bisogno della speranza, Corriere della sera 26 marzo 1978.
49
Morire a Milano senza una lacrima, Corriere della sera, 1 marzo 1981.
596 Carlo Serafini

lo, rivede il suo passato di certezze e di glorie alla nuova luce del sentimento
della morte. Chi era il Testori di prima? Cosa vedeva nella morte? Era e vede-
va ci che e vede la societ odierna, o meglio ci che non vede, dal momen-
to che la morte rimossa, scacciata da ogni esperienza di vivere comune,
esorcizzata in ragione dellavere, dellapparire50 e del consumare. Ed para-
dossale come una societ che nega la morte viva poi di morte, morte dei suoi
uomini, morte dei suoi valori e dei suoi ideali. grazie alla figura della
mamma che le parole un tempo altere e altezzose dellautore-attore ripren-
dono la dimensione della vita, tornano alla semplicit infantile delluomo,
vedono nella morte non la fine dellessere ma il completamento dellessere.
Questa la visione della morte di Testori, che riporta nei suoi articoli51 e che
assume una forza e un tono particolare quando si tratta di morte della nasci-
ta. La nascita essendo atto di vita, atto damore, atto di Dio, atto della
madre52, della santit della famiglia, nucleo base ed essenziale della societ,
non a caso definito da Testori nel titolo di un suo articolo una roccia che
resista a tutti i venti53. Testori interviene sullaborto in occasione della cam-
pagna conclusasi poi con il referendum del maggio 1981, e proprio del 1981
il monologo, anchesso in stile oratorio-teatrale, Factum est, una sorta di via
crucis di un feto condannato a morte, opera della quale preme evidenziare il
valore universale e sacro del tema trattato. Non tanto una questione di lin-
gua, di stile, di drammatizzazione, quanto una questione di sacralit del tema
che Testori elabora in una forma capace di arrivare ancora una volta al cen-
tro della vita, al senso appunto della vita. E da qui partono anche le riflessio-
ni dei suoi testi giornalistici, dove precisa da subito che la campagna referen-
daria sullaborto un fatto politico solo in ultimissima istanza, poich, quel-
la del diritto alla vita, la verit prima e suprema, la verit di base che pre-
cede ogni umano atto e processo e che, anzi, tutti li ingloba e, tra laltro, li
rende possibili54. Testori si chiede quale societ del sociale, quale
societ del benessere o del consumismo pu nascere sulle fondamenta di vite
uccise, strozzate, assassinate? Tutto questo, anche nei modi torvi con cui si va
proponendo in questi giorni, ha il ghigno sinistro di chi chiama non vita,
non societ sociale, non benessere, ma maledizione e morte55. Pi o meno
stesse considerazioni che Testori fa sul caso Moro; pur nella profonda diver-

50
Cfr. sul tema larticolo Una carcassa chiamata uomo, Corriere della sera, 2 marzo 1980.
51
Sul tema della morte cfr. Il centro della vita, Il Sabato, 23 gennaio 1979; Il diritto di
vivere, Corriere della sera, 28 gennaio 1979; La terra ancora madre delluomo, Corriere
della sera, 4 aprile 1979; Luomo, la vita, la morte, Corriere della sera, 2 novembre 1979.
52
Sul tema della maternit, della nascita, della vita, interessanti legami ci sono con unal-
tra opera di oratorio teatrale di Testori, Interrogatorio a Maria del 1979, rappresentata anche a
Castel Gandolfo il 29 luglio 1980 alla presenza di Papa Giovanni Paolo II.
53
Una roccia che resista a tutti i venti, Il Sabato, 21 giugno 1980.
54
Nel s alla vita lunico vero amore per luomo, Il Sabato, 21 marzo 1981.
55
Non sanno quello che si fanno, Il Sabato, 9 maggio 1981.
I corsivi morali di Giovanni Testori 597

sit delle circostanze, lo scrittore rivendica la necessita di non leggere il caso


Moro in sola chiave politica dove pu mai giungere una societ che inten-
da spiegar tutto politicamente, tutto politicamente decifrare (senza per altro
riuscirvi) anche e proprio nel momento in cui il cumulo degli errori, delle
responsabilit, delle vergogne e dei tradimenti (e primo fra tutti il tradimen-
to dellanima) suona i suoi cupi e fatali rintocchi? [] la luce di cui, oggi,
luomo ha bisogno non primariamente di natura politica e sociale; una
luce che anche queste comprende e che, anzi, ne precisa e illumina i valori
reali e supremi, ma reali e supremi proprio perch riconosciuti relativi rispet-
to al suo proprio e primo Supremo56.
Allora quale era il vero obiettivo dei corsivi di Testori? un problema di
cultura. Il 4 settembre 1977 Testori pubblica in prima pagina sul Corriere
un articolo dal titolo La cultura marxista non ha il suo latino, in risposta
ad un intervento del senatore comunista Giorgio Napolitano. La risposta
della cultura ufficiale di sinistra non stenta certo ad arrivare ed in modo pi
che rumoroso. Testori appare subito un uomo contro, non allineato, un pro-
vocatore pericoloso perch dotato di sottile capacit critica e notevole prepa-
razione. Questo il suo attacco alla cultura marxista:

Mi chiedo perch [] la cultura marxista o, almeno, qualche intellettuale, non


abbia mai posto sul tappeto la seguente, reale, pesante e non ipotetica o rarefatta
questione. La questione questa: perch e come la cultura marxista e, in genere,
la cultura di sinistra si sia andata trasformando, almeno nei territori delleditoria,
del teatro e delle arti figurative, nel pi colossale affare economico (capitalisti-
co) che, a memoria duomo, in quei medesimi territori, si sia verificato.[]
Non si vergogna il Partito comunista daver protetto sotto il suo manto questa
trasformazione di atti rivoluzionari in atti bancari? O, come personalmente
credo, il meccanismo pi sottilmente diabolico e, contro il maligno, neppure
lui, neppure il PCI, mostra di poter fare alcunch? Chi ha cos ben oliato la mac-
china perch lincontro tra i due opposti sistemi avvenisse con tanta dovizia di
risultati pratici? La comune necessit di forza e di potere? Lattrazione e fascina-
zione dei contrari che sembra indispensabile agli abbracci fra amanti difficili? O,
invece, qualche gruppo di intellettuali, di quelli costantemente interessati al loro
proprio particolare, gli stessi ai quali si domanda oggi dulteriormente spor-
carsi?[]
Il fatto che alla cultura marxista, nei confronti della Chiesa, mancato, proprio
agli anni della sua fondazione, un piccolo, ma fondamentale particolare, sul
quale, per quel che so, nessuno ha mai messo laccento: non le riuscito, ecco, o
forse non ha voluto crearsi il suo proprio segno comune e universale; cio a
dire, la sua propria, comune e universale lingua; le mancato, per dir tutto e con
maggior chiarezza, il suo proprio latino. Non falla di poco conto. Anzi, a me

56
Realt senza Dio. Via Fani: il rapimento di Aldo Moro, Corriere della sera, 20 marzo
1978.
598 Carlo Serafini

pare gravissima; e tale da segnalare dietro di s, altre, infinite falle, altri, infiniti
vuoti57.

Pochi mesi dopo torna allattacco della cultura dominante con un altro
articolo sul Corriere dove la denuncia si fa ben pi esplicita e forte, a par-
tire gi dal titolo (Accuso e condanno la cultura):

Di fronte ai continui, tragici annientamenti, ai continui, tragici, seppur talvolta


silenziosi suicidi, siano essi diretti o siano invece indiretti, siano fisici o siano
invece morali, siano corpi che rotolano sulla povera terra ovvero menti che si
annebbiano e si chiudono per sempre; di fronte a questi rantoli e a queste ombre
di cui le case e le strade delle nostre citt e dei nostri paesi vanno riempiendosi
come se una nuova, inarrestabile peste andasse dilagando per ogni dove, la prima
domanda da porsi la seguente: chi ha fabbricato i modelli per questo desiderio
di cecit, di demenza e di morte?[]
In questo senso le responsabilit che la cultura s assunte risultano, di giorno in
giorno, pi pesanti e pi gravi: esaltazione del profitto e delloggetto come valo-
ri assoluti o, addirittura, religiosi; scatenamento meccanico e cieco del sesso,
prima divinizzato, poi mercificato, quindi deturpato e distrutto; sadica cavalcata
di violenze astratte e gratuite, dal fondo cupamente economico e perci senza via
alcuna duscita; destituzione dogni valore, dogni legge e dogni regola, come ele-
menti a priori illiberari e castranti. Davanti a tutto questo desidereremmo esau-
torare la cultura dogni suo peso, dogni sua autorit e dogni suo diritto. Tanto
pi ora che i mezzi di massa lo permettono di diffondere ovunque, anche l dove
meno sarebbero richiesti, i suoi colorati ma funesti balletti, quasi fossero la sola e
possibile spiegazione della vita; una spiegazione che non conduce a nessuno sboc-
co, visto che le immagini che essa riesce a sollecitare e a diffondere sono solo
immagini di cecit, di demenza e di morte58.

Testori torna ancora sul tema della cultura e della politica in altri articoli
evidenziando nuovamente, sulla stessa scia delle citazioni appena fatte, le
profonde responsabilit della cultura nei confronti di un popolo cui non
manca di certo storicamente la qualit della pazienza e della sopportazione e
della speranza. Ma cosaltro deve sopportare il popolo? E la cultura e chi ha
la responsabilit di esercitarla o promuoverla, non dovrebbe ripensare se stes-
sa? Magari non pi in ragione di un solo esercitare elitariamente le scienze in
nome della distruzione scolastica e del baronato universitario e culturale, ma
anche in ragione di un compiere atti, di un pronunciare parole e promuove-
re valori propri, storicamente, del nostro popolo. Lo scrittore si chiede per-
ch insistere con una cultura nata sulle spalle del popolo, pronta a soggio-
garlo e demolirlo; e non [] una cultura sorta dal suo corpo o, quantome-

57
La cultura marxista non ha il suo latino, Corriere della sera, 4 settembre 1977.
58
Accuso e condanno la cultura, Corriere della sera, 5 marzo 1978.
I corsivi morali di Giovanni Testori 599

no, dal tentativo di avvicinarsi alle ragioni di quella che stata e continua ad
essere la sua pazienza, la sua resistenza e la sua speranza59. Testori condanna
il tradimento della cultura nei confronti del suo popolo, una cultura che ha
perso identit in ragione del mercato, che ha perso valore in ragione del pro-
fitto, che non oppone alla infinita variet di immagini e di prodotti un pen-
siero che sia riconoscibile in quanto forte. La cultura dominante non ha un
principio forte, non ha un valore assoluto, totale al quale rifarsi, viaggia mer-
cenaria sullonda delle necessit del momento. Lintellettuale pecca di astrat-
tismo, non ha basi forti sulle quali fondare il suo dire. Se il gesto che lin-
tellettuale compie, e in misura massima quello delle pi dure indicazioni,
non determinato dalla fiducia e dalla speranza, che sono il sangue e il desti-
no delluomo, perde ogni senso; si rinchiude in s; arriva solo a creare sopra
la testa del popolo tensioni astratte di cui a soffrire non certo lintellettua-
le, salvato sempre dalla sua stessa posizione, ma, appunto, lui, il popolo. Al
quale in questo modo, viene continuamente procrastinata la possibilit di
costruirsi la propria voce reale; dunque, la propria reale cultura; quella che gli
corrisponde, che merita e che gli spetta60. Lintellettuale Testori61 chiede di

59
Questo popolo, Corriere della sera, 7 ottobre 1979.
60
Ma di quali italiani stiamo parlando?, Corriere della sera, 12 ottobre 1979.
61
Lamarezza che Testori dimostra nei confronti della cultura anche in ragione dellaver par-
tecipato, pi giovane, con profondo e sentito entusiasmo al fervore culturale degli anni Cinquanta
e Sessanta e di aver creduto fortemente nelle potenzialit della cultura stessa per la rinascita morale
e culturale del paese. In un articolo del 1977, Testori rievoca il clima della Milano di queglanni:
La grande, paterna ombra di Roberto Longhi che proprio in quegli anni regala a Milano le sue pi
memorabili mostre; la dolce, smemorante amarezza della poesia di Vittorio Sereni che da lacustre
si va, via via, facendo cittadina (e presaga); il primo, alfieriano inerpicarsi di Fortini verso le sue dif-
ficolt da sacerdote che vuol rifiutare ogni unzione, per essere (immagino) pi sacerdote ancora; il
riapparire in Borlotti, e proprio dentro lo scossone cubista, dellerbe, dei prati, dei muschi, delle
prode e dei deliri tramontizi, l, sopra lAdda; lamata topografia della Piazza nella rete ammonitri-
ce del romanzo di Alberico Sala (leggere, per credere, lavvio della parte seconda); il dio di Roserio
che mangia chilometri e chilometri in Brianza (esistette, seppur variato: non fu, vi prego di creder-
lo, invenzione dello scrivente; fa, ora, il muratore e ha messo su famiglia); la dura e insieme malin-
conica problematica di quella specie di Cerano del decennio che fu Francese; i trafelati intrighi in
forma di chiacchiera (o di lettere) dellArbasino prima-maniera, quello che faceva la spola tra
Voghera e Milano: lapparire dal fondo di Via Garibaldi, della generazione dei pi giovani; la tra-
fittura di spilli (se non proprio di coltelli) del primo Ferrosi, spilli giacomettiani su visi e impronte
baconiani; la fiera ansiet di Guerreschi, il pi vicino di tutti ai parigini de Le Ruche (ed pec-
cato che nessuno di questi giovani avesse avuto occhi per il grande, scontroso e solitario Grber; lui
avrebbe potuto aiutarli, meglio di chiunque altro, a chiarire le interrogazioni dei loro esistenziali
dolori); e, poi, Romagnoli, Banchieri, Vaglieri
Accanto a queste immagini i suoni (le loro memorie sfatte l, tra Scala, sale di teatro e
radio): la voce roca, da carnecrescente senza speranza, di Franco Parenti; la ironia sempre in
bilico tra massacro e dolore della Valeri; la slogata follia di Dario Fo; gli irripetibili voli sui pre-
cipizi del melodramma della Callas viscontiana.
E chi, dite, chi ripeter pi per noi il miracolo del Nos Milan strehleriano? In che modo
risentire altra volta, magari nellora in cui la malinconia pi ci punge e ci assedia, la voce della
600 Carlo Serafini

opporre la certezza di un latino, di una parola riconoscibile, di una parola che


rimandi ad una certezza cui luomo possa affidarsi e in cui possa credere. La
cultura dovrebbe andare verso laltro, verso il prossimo, dovrebbe farsi carit,
dice Testori62, ossia altruismo e realizzazione della vera natura delluomo. La
cultura di un popolo deve essere cultura di tutto il popolo non di una sola
parte, come deve essere cultura delluomo nella sua interezza. E se luomo
uno, uno nella sua natura umana e spirituale, alcun senso ha la divisione, la
separazione, prettamente sociologica, tra pubblico e privato, o tra privato e
politico, altro bersaglio contro cui si scaglia Testori. Unimmagine siffatta
dellesistenza, presuppone che nulla corra dentro la carne, dentro il sangue e
lanima delluomo; nulla che possa, sappia, e anzi, domandi e reclami lunifi-
cazioni di tutti gli istanti, di tutti i momenti, in un solo istante continuo, in
un solo continuo momento; in una parola, in un solo continuo presente63.
Alla luce di quanto fin qui detto, e per avviarci alle conclusioni, interes-
sante rileggere una testimonianza di Luca Doninelli:

Conobbi Giovanni Testori nel 1978. Alcuni amici erano andati da lui, nello stu-
dio di Via Brera, senza altro intento che di conoscere lautore di certi fondi che
il Corriere della sera pubblicava in prima pagina: articoli strani e ben presto
odiati, che parlavano della necessit del perdono dei colpevoli e dellurgenza della
carit come primo, imprescindibile bisogno del mondo in cui vivevamo. Il 78 fu
lanno di Aldo Moro, anno di piombo per eccellenza. In tempi simili, Testori si
scagliava contro la mala coscienza dei pubblici fustigatori, ricordando come il
peggior nemico delluomo non fossero le armi dei brigatisti, bens la negazione
della carne, della concretezza della vita, della pena, del dolore di ci che il
Battesimo aveva segnato e benedetto : in una parola, Testori temeva il potere
dellastrazione. Un potere astratto, che teorizza bisogni astratti a sua misura, non
potr che costruire complici la radio, la televisione, i giornali, e, perch no?
Anche la cultura alta un uomo astratto, incapace di provare miseria e dolore
di s, incapace di gioia vera, di allegria cordiale, di pena, di solidariet con laltro
uomo chiunque egli sia. Il suono di queste parole, in anni in cui esisteva una giu-
stizia di sinistra, una carit di sinistra, un bene di sinistra, una solidariet di sini-
stra, non poteva non risultare fortemente stonato. Su quel chiunque si applica-
rono le etichette di reazionario e di qualunquista. E per ogni reazionario cera,
allora, qualcun altro che metteva del cianuro nel proprio inchiostro; poi la prati-
ca passava ad altri uffici, meno culturali. Le liste nere erano di moda.
Anche oggi quegli articoli risulterebbero stonati. []. In ogni caso, Testori

Cortese, vera anima di nebbia vagante tra il Tivoli e le cucine Economiche? Risaliva quella
voce da tutta loscura dignit, da tutte le oscure rogne e gli oscuri magoni delle nostre madri,
donne offese eppure capaci di infinito amore Corriere della sera, 14 dicembre 1977 (si
cita da A. Cascetta, cit., pp. 29-30).
62
Carit e bellezza, Corriere della sera, 29 luglio 1979.
63
Una separazione abusiva, Il Sabato, 16 dicembre 1978; sul tema cfr. anche Qualcuno
vuole uccidere la maest delluomo, Corriere della sera, 26 febbraio 1979.
I corsivi morali di Giovanni Testori 601

apparve, a quel tempo, una mosca bianca. Chi manteneva, per fortuna o per gra-
zia di Dio, una certa passione non ideologica per luomo riceveva ossigeno dai
suoi articoli64.

Come detto in precedenza, Testori invita alla riflessione, invita a dare spa-
zio al tempo dellanalisi, invita a riportare il vivere a misura duomo, a ragio-
ne duomo, a dimensione duomo, a dare peso e forza alla dignit dellesi-
stenza umana, a quella che lui definisce la maest delluomo. Indipenden-
temente dal credo religioso, che pur notevole importanza riveste nei suoi
scritti, Testori offre un credo personale profondo, sul quale anche i non cre-
denti sentono di poter fare affidamento perch proprio delluomo, un credo
che innanzitutto umanit, andare incontro alluomo nella sua natura prima.
Non un caso che Testori sottolinei spesso come si debba cercare luomo
allinterno delluomo, lo spazio cio di umana comprensione che proprio
della natura umana e che troppo spesso per le pi svariate e illogiche moti-
vazioni luomo stesso maschera o soffoca. Anche la vita di Testori stato que-
sto, ricerca di comprensione, di dialogo umano e di amicizia. Un esempio
pu aiutare a chiarire bene questa sua necessit, lincontro con i giovani di
Comunione e Liberazione, cui accennava la testimonianza di Doninelli, con
i ragazzi che lo hanno cercato dopo aver letto i suoi articoli sul Corriere, i
ragazzi, apparentemente cos lontani dallautore scandaloso del teatro e dei
romanzi, dai quali Testori dir di non essersi mai sentito giudicato, ma solo
accolto in virt di un atto di carit che anche giustizia65. Come anche con
il fondatore del movimento Don Luigi Giussani: Lho conosciuto l da loro
[dice Testori] Avevo un po tremore e vergogna, perch mi presentavo, cos,
un povero peccatore Poi, un giorno, ci siamo visti a tavola, e lho trovato
un grande un grande un umile parroco, con una conoscenza teologica
sconfinata, ma anche con la coscienza dellesistere. E non predicava affatto:
mha ascoltato pi di quanto non mabbia detto lui. Ecco, francamente, una
cosa che mha stupito66. Dallumanit, dal non giudizio, dalla comprensio-
ne e dal dialogo nasce per Testori la cultura delluomo, la grandezza delle-
sperienza umana nella sua pi assoluta semplicit. Ed proprio per questo
che forse larticolo pi toccante, pi forte, pi commovente di Testori quel-
lo che riguarda linnocenza di un bambino, il povero Alfredino Rampi,
ingoiato nel ventre della madre terra, che costringe un intero paese a riflette-
re sulla vita offrendo lo straziante spettacolo della sua morte. Ma da quel
sacrificio che occorre ripartire per Testori, da quel sacrificio; da quellinno-

64
Cfr. L. Doninelli, cit., pp. 10-11.
65
Ivi, p. 127.
66
Parte di unintervista pubblicata sullEuropeo, 12 aprile 1986 (si cita da Davide Dal-
lOmbra Fabio Pierangeli, Giovanni Testori. Biografia per immagini, Gribaudo, Cavallermag-
giore 2000, p. 119.
602 Carlo Serafini

cenza non ancora corrotta che la nostra societ, demenzialmente e indiffe-


rentemente adulta, deve imparare; se vuol essere, non pi luogo di morte, ma
luogo di vita67.

67
Nel pozzo, Il Sabato, 20 giugno 1981; sulla tragedia di Vernicino cfr. anche Alfredo,
pi dei sentimenti, Il Sabato, 18 luglio 1981.
MASSIMILIANO BORELLI

Tra i linguaggi delle cose: Gianni Toti giornalista

Lattivit giornalistica di Gianni Toti si colloca al principio della sua for-


mazione di scrittore. Si possono vedere in essa almeno due direttrici stretta-
mente correlate: da una parte, nella tensione civile che contraddistingue la
sua penna, la prosecuzione dellesperienza politica resistenziale che lo vide
protagonista nei Gruppi di Azione Patriottica romani; dallaltra lappropria-
zione e il progressivo affinamento di una scrittura assai personale e caratte-
rizzata, che col passare degli anni si svincoler sempre pi dal tono militan-
te presente talora nelle prime prove, per arrivare a una caratura stilistica che
fa dellimprevedibilit inventiva del dettato la propria marca distintiva, e che
prelude al successivo impiego narrativo e poetico (oltre che, poi, cinemato-
grafico e videopoematico).
Toti passa per diverse redazioni della stampa comunista dellepoca: dal
settimanale della Federazione giovanile comunista Giovent Nuova, al-
lUnit, a Rinascita, quindi alla Voce della Sicilia, come direttore. Nel-
laprile 1951 inizia a lavorare per Lavoro, il settimanale della Cgil, di cui
prima vicedirettore, quindi, dallanno successivo, direttore. questa la prima
esperienza importante per Toti, sia per la responsabilit dellincarico che per
la sua durata. Condurr infatti il giornale fino allottobre del 1958. Dopodi-
ch si trasferir a Vie nuove, dove rester per tutti gli anni Sessanta.

Lavoro: organizzazione e innovazione

La direzione totiana dellorgano di stampa del maggiore sindacato italia-


no corrisponde a un momento di enorme trasformazione della societ italia-
na, che dalla guerra si avvia progressivamente verso la stagione del miracolo
economico. Un tragitto tuttavia molto contraddittorio, in cui alle tensioni
modernizzatrici si affiancano episodi pubblici e modalit governative che tal-
volta risentono per inerzia di strategie di controllo proprie del trascorso
Ventennio fascista. In particolare nella lotta, segreta e non, agli ambienti e
alle istituzioni comuniste e socialiste, in funzione di quella pi ampia caccia
alle streghe incentivata dal maccartismo statunitense e in generale dagli
assetti di potere della guerra fredda, sbilanciati in Italia dalla parte, uscita vit-
604 Massimiliano Borelli

toriosa, della Democrazia Cristiana. Una rete di rapporti prefettizi e intimi-


dazioni padronali contribuisce a mantenere il controllo sociale e a cementare
un sentire comune diffuso in strati e settori ampi della societ italiana fon-
dato sul consolidamento [...] di una cultura del non diritto1, che agita lo
spauracchio di una insurrezione antidemocratica comunista. Al contempo la
Cgil attraversa in quegli anni una crisi di adesioni e di successi, da cui si sol-
lever solo alla fine degli anni Cinquanta. Il caso pi clamoroso la sconfit-
ta del 55 alle elezioni interne alla Fiat, nelle quali viene superata dalla Cisl.
Licenziamenti e ambienti lavorativi opprimenti caratterizzano dunque il
retrobottega del boom, mentre lunit sindacale si rompe. Daltro canto la
sinistra deve affrontare il doppio trauma del rapporto di Chruscv sullo sta-
linismo, in occasione del XX congresso del Pcus, e del 56 ungherese.
in questo contesto che Toti si trova ad agire negli anni di Lavoro, sia
come giornalista attento a molti aspetti della cronaca che come organizzato-
re e coordinatore di diversi esperimenti giornalistici2. Per quanto riguarda il
primo versante, i temi affrontati sono in gran parte legati al mondo sindaca-
le: il lavoro in fabbrica, la riforma agraria, i rapporti con gli altri sindacati (in
particolare i bersagli polemici sono la Cisl di Pastore e le Acli), il Mezzogior-
no. Da rilevare limpegno a favore della giusta causa nei licenziamenti, che
verr accolta nella legislazione italiana solo con lo Statuto dei lavoratori del
1970; cos come lattenzione alle realt lavorative e sindacali straniere, alla
diffusione della stampa sindacale e dei giornali di fabbrica tra i lavoratori,
come strumento di conoscenza ed emancipazione. Toti compie lunghi viaggi
nellaltro mondo, quello socialista, per visitare fabbriche e incontrare colle-
ghi doltre cortina; approfondisce per esempio le esperienze di autogestione
dei consigli di fabbrica jugoslavi, per sottolineare in ultima istanza lesigenza
di una societ fondata s sul lavoro, ma non sul profitto: assioma costituzio-
nale che per ben presto ha dovuto scendere a compromessi con un modello
di sviluppo eletto per buono che ha posto il secondo termine davanti al
primo. Toti sperimenta anche le prime inchieste e i primi ampi reportages, che
diverranno duttili strumenti di conoscenza sulle pagine di Vie nuove. Tra
questi quello nel Polesine alluvionato, e quello, scandito in ben otto punta-
te, nellUngheria del 1958, a due anni dallinvasione sovietica. Toti riscontra
qui il percorso di rinnovamento e di consolidamento compiuto dagli appa-
rati ungheresi, confermando quel giudizio positivo espresso due anni prima
da Lavoro e dalla Cgil guidata da Di Vittorio sulla rivoluzione contro il
regime di Rkosi. Particolarmente interessanti le puntate conclusive, dedica-

1
G. Crainz, Storia del miracolo italiano. Culture, identit, trasformazioni fra anni cinquan-
ta e sessanta, Donzelli, Roma 20052, p. 9.
2
Per un esaustivo resoconto sulla parabola complessiva di Lavoro e sul ruolo di Gianni
Toti nel giornale cfr. lintroduzione di R. Rega al volume Lavoro 1948-1962. Il rotocalco
della Cgil, a cura di R. Rega, Ediesse, Roma 2008, pp. 11-62.
Tra i linguaggi delle cose: Gianni Toti giornalista 605

te alla politica culturale e al cinema, nelle quali allautocritica sulle rigidit


normative del recente passato seguono i racconti dei colleghi ungheresi sulla
rinascita artistica, fuori e al di l della mera propaganda di partito e della
autocelebrazione.
Come si vede Toti allarga la sfera dinteresse oltre il campo strettamente
sindacale, per occuparsi anche di cultura e tempo libero, momenti dellesi-
stenza sociale per lui non separabili, secondo unottica gramsciana, dal
mondo del lavoro e della produzione. Egli sa bene, per esempio, quanto il
cinema sia un campo essenziale di lotta ideologica nella societ moderna;
anche in questa prospettiva inaugura una rubrica di recensioni cinematogra-
fiche verso la fine del suo incarico presso Lavoro. Del resto la sua direzio-
ne incontrava il favore e gli auspici di un segretario aperto come Giuseppe Di
Vittorio che premeva per trasformare Lavoro da una rassegna sindacale per
addetti ai lavori in un vero e proprio rotocalco di massa, che si occupasse di
ogni aspetto della vita sociale, compresi i pi frivoli e apparentemente meno
importanti. Troviamo in queste pagine le prime riflessioni che saranno svi-
luppate ampiamente da Toti nel saggio del 1961 Il tempo libero, nel quale
viene teorizzato il tempo libero come forza produttiva, tempo di esercizio,
di sperimentazione, di libera creazione, piacere di pensiero creativo3; que-
sto il nodo concettuale e linteresse politico pi pressante, per Gianni Toti,
lungo tutta la sua attivit giornalistica. Il tempo libero il punto di connes-
sione tra la lotta per una condizione lavorativa migliore e una situazione
umana finalmente emancipata dalloppressione. Lapparentemente marginale
in realt il luogo della produzione propria dellessere umano nella societ:
la produzione intellettuale, limmaginazione, la creativit, il cambiamento. Il
tempo libero meglio detto, in questa prospettiva, tempo liberato, e Il
tempo liberato significa lo sviluppo pieno dellindividuo e questo la mas-
sima produttivit4; appagamento di bisogni altri, non solo di quelli pri-
mari, e marca di liberazione del fare umano dalla necessit, il passaggio da
questo fare come lavorare al fare come poiin5. Ecco lo scarto concettuale
decisivo nellimpostazione totiana, che determina linteresse per le espressio-
ni anche minime della vita delluomo contemporaneo, e che d fiducia alle
potenzialit di rivoluzione del modo di produzione della vita, del piema
della storia6. Secondo la medesima prospettiva, ma da unottica opposta e
complementare, Toti analizza acutamente, in una Lettera aperta al Calendario
del popolo, la situazione della cultura operaia, affermando la necessit di una
formazione tecnica del lavoratore, di un ampliamento delle conoscenze spe-
cifiche della classe operaia. Scrive al collega Trevisani: La realt oggi che in

3
G. Toti, Il tempo libero [1961], Editori Riuniti, Roma 1975, p. 344.
4
Ivi, p. 356.
5
Ivi, p. 362.
6
Ivi, p. 361.
606 Massimiliano Borelli

qualsiasi lavoro fisico, anche il pi meccanico, esiste un minimo di qualifica


tecnica, cio un minimo di attivit intellettuale creativa e da qui bisogna
quindi partire7. Il lavoro nel suo complesso considerato da Toti come stru-
mento di trasformazione di s e della realt: il lavoro, infatti, come attivit
pratica generale, che rinnova perpetuamente il mondo fisico e sociale e che
deve perci diventare il fondamento di una nuova e unitaria concezione del
mondo, cio di una nuova cultura8. Ne consegue la consapevolezza dellin-
separabilit delle attivit umane, la loro reciproca appartenenza al comune
orizzonte del lavoro sociale, al quale partecipano in modo omologo lavoro
materiale e lavoro immateriale, giacch nella tecnica vi immagazzinata una
quota di intellettualit, e lattivit intellettuale si fonda sulla ricombinazione
di elementi tutti materiali nella loro costituzione genetica e strutturale, e
nella loro determinazione storico-concreta. Siamo nei pressi della teoria
semiotica di Ferruccio Rossi-Landi, sviluppata a partire dagli stessi anni, sul-
lomologia delle produzioni linguistiche e materiali.
Laltro decisivo versante dellattivit di Toti nella redazione di Lavoro
quello direttivo. Il suo punto di vista e la sua azione sono infatti determinanti
nella trasformazione della rassegna sindacale in un rotocalco a grande tiratu-
ra capace di raggiungere una foliazione di trentadue pagine. E soprattutto
durante la sua direzione vengono sperimentati dei moduli giornalistici di
grande modernit, il cui modello strutturale sar poi rintracciabile, al micro-
scopio, anche negli articoli firmati anni dopo da Toti per Vie Nuove. Per
esempio le foto-inchieste, oppure lintroduzione di rubriche come Il setti-
manale dei settimanali, una rassegna stampa dei pi diffusi periodici di tutto
il mondo, che collezionava notizie provenienti dai paesi occidentali come da
quelli comunisti, in un collage di voci contrastanti; oppure come Coesisten-
za polemica, dove si confrontavano con articoli in antitesi reciproca il gior-
nale sindacale e lorgano di stampa della Confindustria, la Gazzetta per i
lavoratori; o anche Il vecchio e nuovo, affidata alla sezione economica
della Cgil, in cui si valutavano e spiegavano gli elementi di contraddizione
e di lotta tra il vecchio e il nuovo che maturano ogni giorno nella nostra
societ, cogliendoli nel vivo fermento della realt economica9. Lintenzione
che soggiace a questo tipo di iniziative di voler stimolare e non sopire il con-
flitto con le parti in causa nella realt collettiva, di volersi confrontare aper-
tamente con la controparte, e di mostrare pure il peso dellinterpretazione dei
fatti, delle strategie di racconto alternative. Vedremo come Toti far tesoro di
queste sperimentazioni strutturali nella costruzione dei suoi reportages, cos

7
G. Toti, Lettera aperta al Calendario del Popolo, Lavoro, n. 3, 1953; ora anche in Id.,
Planetario. Scritti giornalistici 1951-1969, a cura di M. Borelli e F. Muzzioli, Ediesse, Roma
2008, p. 28.
8
Ibidem.
9
Lavoro, n. 39, 1956.
Tra i linguaggi delle cose: Gianni Toti giornalista 607

come non smetter di occuparsi degli oggetti marginali della vita quotidiana,
come quelli trattati dalle rubriche di moda femminile (Parliamo tra noi,
La nostra moda e La donna moderna) o da quella pensata per lo svago dei
bambini, Il vicoletto.
Su Lavoro Toti inizia quindi a indagare, in proprio o come direttore,
quelle zone di conflittualit contemporanea che attraverser ancor pi diste-
samente negli anni seguenti, e a battere, come recita il titolo di una sua rubri-
ca fissa di politica, dove il dente duole, con modi formali innovativi ed effi-
caci.

Gli anni di Vie Nuove: giornalismo e avanguardia

Consegnate le dimissioni da Lavoro, Toti passa nel 1958 al settimanale


Vie Nuove, su cui scriver regolarmente fino al maggio del 1969, e dove
sar a lungo vicino di rubrica del Pasolini delle belle bandiere. Sono gli
anni in cui allattivit giornalistica si affianca quella letteraria, poetica, narra-
tiva e di traduzione, che si affermer poi come preponderante, insieme a
quella cinematografica e a quella critica.
A un affinamento della scrittura giornalistica, sempre pi duttile e capace
di giocare su unampia escursione di registri, dal polemico allironico, dal
documentario allenciclopedico, corrisponde unesplosione degli interessi e
degli argomenti toccati. Toti appare nelle pagine del settimanale con una fre-
quenza quasi continua, con reportages, inchieste, commenti inviati da ogni
parte del mondo, America Latina, Asia, Europa, quasi esaurendo i possibili
temi del giorno, come un vero e proprio cronista del cronico10 che raccatti
ogni particolare utile a tracciare un mappa planetaria della condizione con-
temporanea. Inviato speciale, commentatore, intervistatore, Toti dilata il pro-
prio orizzonte di intervento, tastando zone sensibili come le questioni politi-
che, estere e interne, le guerre e i movimenti pacifisti, il costume, il cinema,
la criminalit organizzata, lo scontro tra modello capitalista e modello socia-
lista, e cos via. Ma prima ancora di soffermarsi su alcuni nodi tematici par-
ticolarmente interessanti bene descrivere quegli accorgimenti tecnici che
caratterizzano la scrittura giornalistica totiana di questi anni. Sembra infatti
che, da un lato le precedenti iniziative sperimentate sul settimanale sindaca-
le, dallaltro la crescente affermazione della propria personalissima voce arti-
stica, diano modo a Toti di foggiare i propri articoli con strumenti espressivi
ed elementi strutturali riconducibili a una scrittura davanguardia. Il campo
occupato in seguito dallo scrittore e videoartista, cio quello della sperimen-

10
F. Muzzioli, Lart(icol)ista Toti, in G. Toti, Planetario. Scritti giornalistici 1951-1969, cit.,
p. 14.
608 Massimiliano Borelli

tazione estrema sui linguaggi e sulle forme, in queste pagine di cronaca


annunciato da segnali formali precisi, ancorch ovviamente declinati in un
contesto pi pianamente comunicativo, che hanno tutti la funzione di smi-
tologizzare, o demitificare o demistificare11, per usare parole dello stesso
Toti, quegli istituti ideologici che calcificano la societ contemporanea: il
potere, leconomia, la cultura, i consumi.
Vediamo per primo il ricorso al montaggio: in diversi casi il pezzo gior-
nalistico si compone, in alcune sue parti, di lacerti testuali altrui, posti a con-
tatto e in attrito con rifrazioni reciproche di significato. Come esempio pren-
diamo lincipit di un articolo del 1965 sulla situazione pakistana:

Una nube di avvoltoi oscura laria.... Come una fanciulla supremamente bella,
la cui quasi impersonale leggiadria trascende ogni desiderio umano, ecco il
Kashmir nello splendore dei suoi fiumi, delle sue valli, dei suoi laghi, dei suoi
alberi slanciati.... I rapaci aspettano che sia loro servito il festino di altri cadave-
ri.... Un giardino di eterna primavera, dove la rosa scarlatta, la violetta e il nar-
ciso crescono da soli sui campi di odoriferante smeraldo.... [...] Sulla sinistra
dello stradone, un mitragliere sikh stato fulminato dallesplosione di un obice.
Dietro a lui un grappolo di mujahedin morti dispensano ai fiori il fetore della loro
decomposizione...12.

Qui una corrispondenza di guerra inglese si intreccia con una evocativa


descrizione dellIndia scritta da Nehru, a marcare lo stravolgimento di un
ambiente indotto dalla distruzione bellica. Ma il metodo del montaggio viene
impiegato, come accade spesso nella rubrica fissa Planetario, tenuta da Toti
nella met degli anni Sessanta, anche per accumulare notizie brevi, spesso biz-
zarre e allarmanti nella loro assurdit, poste luna dopo laltra a dare il senso
di una dispersione complessiva delluomo contemporaneo, invaghito di gad-
get inutili forniti dallindustria del tempo libero, assuefatto a menzogne luc-
cicanti, terrorizzato dalla minaccia nucleare, perso in una fantastoria quoti-
diana sempre pi difficile da controllare. Il flusso di informazioni che allora
si avviava a travolgere lindividuo sociale viene setacciato e incanalato da Toti
in collages tendenziosi in grado di interpretare i grandi e i minuscoli segni
dei tempi intercettati. Come in un blob ante litteram, redatto con una
penna tanto sferzante e ironica quanto preoccupata per il corso presente delle
cose.
Al montaggio si affianca luso della citazione di parole e testi altrui.
Lattenzione data gi ai tempi di Lavoro alla stampa concorrente si confer-
ma ora con un ricorso sistematico alle altre fonti di informazione: giornali,

11
G. Toti, Di turismo non si muore, Vie Nuove, n. 33, 1963.
12
Id. Fioriscono i denti del drago, Vie Nuove, n. 38, 1965; ora anche in Id., Planetario.
Scritti giornalistici 1951-1969, cit., p. 69.
Tra i linguaggi delle cose: Gianni Toti giornalista 609

settimanali, monografie, ricerche scientifiche e sociologiche vengono inter-


pellate con intento polemico, oppure come controprova, o ancora come
testimonianza dellautodistruttiva ideologia dominante. Toti non si confron-
ta cos solo con i fatti, ma anche con le interpretazioni di essi, con i raccon-
ti che circolano nella semiosfera globale. Bisogna entrare e uscire continua-
mente dallaccaduto, dal fatto bruto, con distanziamenti in pi direzioni, che
lo colgano da prospettive in antitesi, per affermare quindi una verit perso-
nale che abbia per fatto i conti con il conflitto dei punti di vista, e con la
tendenziosit implicita di ogni messaggio. questo un passaggio centrale per
descrivere quel giornalismo di contraddizione che ha esercitato Gianni Toti.
Contraddizione che rilevabile anche in un altro strumento proprio del-
lavanguardia, preso in prestito dal giornalismo del Nostro: lo straniamento.
Avviene infatti spesso, soprattutto nelle interviste che Toti redige con espo-
nenti politici di molti paesi, ad esempio con le losche figure dellinternazio-
nale nera, confederazione di gruppi neofascisti europei, che le parole altrui
risuonino sulla pagina cariche di ridicolo, ovviamente essendo state pronun-
ciate con tuttaltra intenzione. A questo meccanismo di auto-straniamento si
associano ulteriori agenti stranianti: i sarcastici commenti e le laconiche
domande e controdomande di Toti. Diamo un esempio, uno stralcio dove a
parlare con Toti Paul Teichmann, medico ed esponente dellestrema Destra
belga:

[...] LAfrica sar divisa fra Bianchi e Neri con la B e la N cos, maiuscole
nella proporzione di un terzo di Bianchi e due terzi di Neri. Questi, se resteran-
no nei territori Bianchi, non godranno del diritto di voto n dei diritti civili. Lo
stesso per i Bianchi nei territori Neri. I governi e le nazioni con pi razze verran-
no smembrati, mescolati, separati, ricomposti, Neri da una parte, Bianchi dal-
laltra, Indiani da unaltra parte ancora e cos via... Se vede, non siamo razzisti.
Ah, no?
La superiorit della razza ariana era un non-senso. La superiorit della nostra
Europa unaltra cosa. Separeremo le razze, elimineremo i conflitti. Sar una
soluzione.
Definitiva? Una soluzione finale?13

Un altro mezzo di straniamento che in Toti ha una importanza decisiva,


anche e soprattutto nella successiva produzione letteraria, la formazione di
nuovi vocaboli, parole inedite e internamente multiple che, con funzione di
titolo o di sintetica ed epigrammatica didascalia, colgono una realt scissa e
polivalente: fulminei totemi, ha scritto Muzzioli, che risolvono con un
guizzo inventivo quei conti che loggettivazione polemica avesse lasciato

13
Id., Oggi il frher si chiama chef, Vie Nuove, n. 16, 1962; ora anche in Id., Planetario.
Scritti giornalistici 1951-1969, cit., p. 118.
610 Massimiliano Borelli

ancora in sospeso14. Le parole diventano qui il campo di mescidazione lin-


guistica di realt concrete, storiche, divaricate e rifuse dallabilit combinato-
ria (cui soggiace una forte carica critica) dello scrittore. Entrano cos nel
vocabolario giornalistico parole-valigia come Televasione, Sesseuropa,
Psiguerra, Pacifondaio e via di seguito.
Ancora, un altro strumento espressivo di cui fa uso Toti lelenco: quel
modo di esporre le cose, gli oggetti mitici del presente senza dar loro una
rassicurante sistemazione, che spieghi ed assorba la fantasmagoria dellaccu-
mulo. il caso, per esempio, di un pezzo del 1965 che presenta una sfilata
di gas tossici impiegati nel Vietnam dallesercito statunitense.

Dietro le quinte: inchiesta e conoscenza

Lattivit giornalistica di Toti presso Vie Nuove si manifesta al meglio


nelle lunghe inchieste condotte in Italia e, soprattutto, allestero. Linchiesta
in pi puntate, o anche i singoli reportages, si configurano come una sorta di
corpo a corpo tra linviato e la realt: vediamo infatti Toti entrare in contat-
to con i luoghi, cercare relazioni umane, indagare i segni che si offrono allo
sguardo, collegare conoscenze e pregiudizi con leffettualit delle cose. Il viag-
gio lo strumento della conoscenza, del rilevamento soggettivo della super-
ficie terrestre. E insieme loccasione dellincontro con laltro, oltre che dello
scontro con il nemico, ovvero con il nemico di classe, chiaramente indi-
viduato a partire da una posizione ideologica marcatamente affermata.
Laddove tale riconoscimento ideologico il riconoscimento della necessit di
assumersi la responsabilit della scelta di parte, la chiarezza di una prospetti-
va storica e politica nella riflessione sullo stato delle cose. La maestria dellin-
viato sta nel reperire e nel raccontare quei tratti di realt poco noti, sepolti
dal magma informativo o dalla melassa della mistificazione; giacch sono
tanti, infatti, i particolari che compongono il quadro che si offre al corri-
spondente, ma pochi sono i particolari-chiave, quelli in grado di rappresen-
tare per sineddoche lintero e di influire sulla reazione del pubblico15. que-
stultimo, messo in luce da Muzzioli, un dato fondamentale, nel giornalismo
militante di Toti: la presenza di una miccia, di un dispositivo sensibile alla
risposta del lettore, di una esortazione implicita alla presa di coscienza in fun-
zione di uno scarto concreto nella prassi quotidiana.
Toti sa bene che In un mondo dominato dai mass media [...], la disinfor-
mazione tale che risulta ancora preoccupante la vecchia frase di Anton
Pavlovic Cechov: I fatti pi importanti avvengono purtroppo dietro le quin-

14
F. Muzzioli, Lart(icol)ista Toti, cit., p. 15.
15
Ivi, p. 13.
Tra i linguaggi delle cose: Gianni Toti giornalista 611

te16. Al lavoro di raccolta dei fatti deve seguire il lavoro di estrazione del
contenuto di verit, per usare una formula benjaminiana, lorganizzazione
dei segni del tempo in un racconto che abbia una precisa strategia retorica
e un obiettivo ermeneuticamente orientato. Alluopo occorre tenere presente
la situazione umana in tutta la sua complicata complessit, facendo reagire
distanze spaziali e profondit temporali, in una dimensione planetaria che
metta in prospettiva gli elementi pi disparati e apparentemente irrelati.
Comprendiamo cos la pregnanza del titolo Planetario per la rubrica tenu-
ta settimanalmente nella met degli anni Sessanta, dove vengono accostate
notizie di varia natura, proprio a tracciare un mappa dei posizionamenti
sociali e a raccoglierli poi in costellazioni di senso reciproco. E apprezziamo
pure le digressioni storiche, i ragguagli su civilt lontane dal mondo occi-
dentale, le informazioni sulla produzione artistica e culturale di popoli mar-
ginali, le trascrizioni di modi di dire, di canti e canzoni, di slogan, di dialo-
ghi in moltissime lingue diverse: tutto per approfondire il campo e per dare
profondit allorizzonte informativo, per riempire di significato concreto quel
flusso di fantasmatiche notizie-merci che caratterizza lepoca contemporanea.

Un argomento ricorrente, che fa da sostrato a molti articoli, la guerra, o


meglio le guerre: affrontato sia in direzione quantitativa, con i plurimi fron-
ti accesi dallAsia allAmerica Latina, allAfrica (e si veda a proposito la tabel-
la di registrazione di Quaranta guerre e conflitti diversi in ventanni pre-
sente nel Planetario del n. 42 del 1965); sia con sondaggi qualitativi, tesi a
sviscerare le metamorfosi attuali di un evento antico quanto talvolta trattato
come naturale:

La guerra (quella con larticolo determinativo) avverte Toti si allontana forse


dallimmediato orizzonte, dal nostro futuro semplice, ma le guerre, quelle con gli
aggettivi le guerre speciali, quelle locali, periferiche, preventive, dissuasive, pro-
porzionali, massicce, flessibili, regionali, antiguerriglia, diversionistiche, psicolo-
giche, epidemiologiche, tossicologiche, spionistiche, ideologiche, di rappresaglia
limitata, scalari, ecc. queste guerre non solo sono possibili ma attuali17.

Accanto ai resoconti dettagliati di passaggi bellici, di cronache dal fronte,


proprio lattenzione di Toti alle diverse declinazioni della guerra a interes-
sare di pi, oggi. Vengono infatti minuziosamente descritte e decostruite le
strategie di giustificazione e di espansione dellattivit militare, nello scenario
manicheo e apocalittico proprio dellera atomica, e tenendo presente il
campo di conflitto e di mascheramento ideologico costituito dalla stampa e
dalla propaganda politica.

16
G. Toti, Ondata di suspense, Vie Nuove, n. 43, 1964.
17
Id., cominciata la psi-guerra, Vie Nuove, n. 42, 1965.
612 Massimiliano Borelli

Il Vietnam ha un peso centrale, com ovvio, in quegli anni. Nella lotta


dei Vietcong Toti riviveva probabilmente la Resistenza antifascista, vissuta in
prima persona ventanni prima. E nella barbarie del napalm, dei gas, delle
razzie, osservava lo stupro di un popolo raccolto intorno allaspirazione
allautodeterminazione che Toti leggeva nel poema nazionale vietnamita Kim
Van Kieu, di Nguyen-Du, (che poi avrebbe introdotto in Italia, nel 1968),
scoperto proprio nei lunghi soggiorni nel paese asiatico, a stretto contatto
con la popolazione locale. Ai racconti delle devastazioni della guerra reale si
affiancano le analisi delle non meno importanti strategie di controllo e di
mistificazione, messe in atto dalle forze dominanti. Le armi psicologiche
acquistano tutto il loro peso egemonico, di agenti del controllo sociale. Toti
scorre cos notizie e segnali della psicosi di massa sullincubo atomico, sul
feticcio della bomba nucleare e sulla corsa agli armamenti come uniche risor-
se di pace, denunciandone invece la natura tutta affaristica in seno allecosi-
stema capitalista, come nel reportage sulla teutonica dinastia dei Krupp, pro-
duttori di armi sin dal XVI secolo18, o come quando parla del giro daffari
intorno ai rifugi antiatomici, reclamizzati nei canali televisivi statunitensi di
fianco a schiume da barba e altri oggetti duso quotidiano. insomma il
nodo della speculazione sulla paura, oltre che di quella economico-finanzia-
ria, che Toti cerca di sciogliere, demistificando messaggi falsamente rassicu-
ranti sulle sorti delluomo nellet della bomba, e andando anche in cerca di
quei movimenti per la pace che hanno contribuito a tener desta la coscienza
collettiva, dallAmerica allEuropa.

Parallela e strettamente correlata allindagine sullindustria e sulla pratica


della guerra procede quella dedicata alla societ dello spettacolo: a quello
spettacolare diffuso, per citare il primo teorizzatore Guy Debord, che tra-
sforma ogni messaggio, ogni oggetto sociale in merce, in immagine alienan-
te e legittimante lo status quo. Tale versante viene affrontato con una costan-
te e lucida riflessione critica, innanzi tutto evidenziando la rete di specula-
zioni economiche che ruotano intorno al mondo dei divertimenti: il caso
de Le notti delle Olimpiadi, dove Toti attraversa un mondo notturno improv-
visato e incoltivato19, una Roma stravolta da locali di dubbio gusto tirati su
da frotte di impresari attratti dalle possibilit di guadagno offerte dallevento
sportivo del 1960 (night club e pub descritti salacemente, nel loro kitsch finto-
internazionale, anche da Arbasino, nel suo Fratelli dItalia). Viene quindi
descritto in tutta la sua estensione quel meccanismo di produzione del biso-
gno di consumo, funzionale alla perpetuazione del modello sociale domi-

18
Cfr. Id., I Kruppianer, Vie Nuove, n. 17, 1959; ora anche in Id., Planetario. Scritti
giornalistici 1951-1969, cit., pp. 157-164.
19
Id., Le notti delle Olimpiadi, Vie Nuove, n. 33, 1960; ora anche in Id., Planetario.
Scritti giornalistici 1951-1969, cit., p. 222.
Tra i linguaggi delle cose: Gianni Toti giornalista 613

nante nel mondo occidentale, in virt del quale, come ha scritto Anders, il
bisogno il prodotto del prodotto; e al tempo stesso il bisogno creato dal
prodotto assicura il continuo aumento della produzione del prodotto20. Falsi
bisogni spinti da una galassia di immagini pubblicitarie, di imperativi inviti
allacquisto di prodotti indifferenziati, giacch tutti ugualmente mera merce
da smistare (ai quali Toti oppone significativamente il consiglio, come dono
natalizio, di un antilibro, come quelli che scriver di l a qualche anno,
worstsellers, per dirla con Manganelli, che farebbero impallidire le uscite a
scadenza fissa dei nostri Natali). Toti racconta un mondo fornito a domici-
lio21 per usare ancora parole di Anders, o meglio ri-fornito, somministra-
to agli utenti consumatori secondo logiche di profitto dagli schermi televisi-
vi, o, pi propriamente, televasivi, dove si plasma il nuovo cittadino ideale
assuefatto e narcotizzato sotto una continua pioggia di immagini.
Lamericanizzazione della vita quotidiana, su scala planetaria, passa per i
nuovi oggetti che popolano il boom capitalistico, ninnoli per adulti che Toti
osserva con sospetto: Nella comunione del silenzio visivo, rigorosamente
quantificati, stanno unificandosi, adulti infantilizzati e infanti superinfanti-
lizzati, iperigienici e aerodinamici, nutriti con immense mlanges, tipo pure,
di parole, gags, panpanboums, nielsenizzati22. Uno sbocco del mezzo televisi-
vo regressivo tutto opposto a quello che, anni dopo, Toti raggiunger nelle
sperimentazioni di videoarte, dove limmagine liberer la sua capacit meta-
morfica e sar lobiettivo di una ricezione attiva e creativa dello spettatore.
Cos come molto distante dalla sua idea di tempo libero, che abbiamo gi
visto, quella che vede applicata nelle ferie degli italiani: brevi momenti di
concentrata euforia sui quali viene scaricata la tensione di un intero anno di
lavoro, secondo modalit, tuttavia, tutte prescritte e incentivate dallindustria
del turismo: Il benessere, come va strutturandosi oggi questultimo mito
capitalistico, si configura in ultima analisi come una organizzazione innatu-
rale del tempo libero e del tempo di lavoro e le vacanze-ossessione si trasfor-
mano in vacanze-cloroformio23. La libert offerta dalle automobili, sfornate
in quegli anni dagli stabilimenti Fiat, e lanciate in sorpassi sullautostrada
del sole, si rivela unafosa corazza agli occhi di Toti, qualora a essa non si as-
soci una vera liberazione delle capacit trasformatrici dellessere umano. Allo
stesso modo, Toti mostra lambiguit della rivoluzione sessuale: imbrigliata
nei canali dellindustria dellerotismo, sfruttata al fine di controllare le menti
garantendo uno sfogo ottuso e separato del corpo, corre il rischio di perdere

20
G. Anders, Luomo antiquato I. Considerazioni sullanima nellepoca della seconda rivo-
luzione industriale [1956], Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 167.
21
Ivi, p. 97.
22
G. Toti, Televasione, Vie Nuove, n. 12, 1964; ora anche in Id., Planetario. Scritti gior-
nalistici 1951-1969, cit., pp. 244-245.
23
Id., Lafosa corazza delle vacanze, Vie Nuove, n. 35, 1963.
614 Massimiliano Borelli

la propria potenzialit eversiva. Scrive, per esempio, in una corrispondenza da


Londra:

Il pericolo consiste proprio nella possibilit che possiede questa industria erotica
di deviare le nuove generazioni dalla via della lotta al pregiudizio sessuale quale
sostegno di altri pregiudizi sociali. Lesplosione erotica come camera di sfogo, e
non come rivendicazione del libero esercizio della naturale sessualit, proprio
una forma di direzione estraniante delle spinte ribellistiche ormai generalizzante-
si in tutta lEuropa24.

Questo oscuro oggetto del desiderio, piegato a prospettive al fondo con-


servatrici, si dimostra un valido alleato del feticcio militare: lesaltazione ero-
tica posta di fianco allesaltazione del sangue e della violenza; pornogra-
fia e guerra vengono collegate come convergenti strumenti di oppressione,
cerebrale e fisica: Troverete i revolver o i missili come simboli sessuali di una
potenzialit vitale deviata verso esplosioni di irrazionale violenza o, peggio, di
razionale difesa sanguinosa di privilegi e di strutture di classe25. E a questo
riguardo Toti affonder lanalisi attraversando il quartiere a luci rosse di
Amburgo, tra le donne in vetrina esposte al compratore, nelle cui strade
limmagine stessa del capitalismo che rende luomo estraneo a se stesso, che
trasforma luomo in merce, in cosa, in semplice oggetto di scambio26,
tableau vivant dellalienazione collettiva contemporanea.

Il nuovo antagonista storico, incarnato dal modello capitalistico-militari-


sta, non oscura del tutto, nellosservazione totiana, la presenza del vecchio: il
nazi-fascismo, proliferante in nuove tragicomiche formazioni in diversi Paesi.
Toti dedica una lunga inchiesta anche a questo fenomeno politico, incon-
trando e intervistando esponenti francesi, belgi, greci, spagnoli, senza trascu-
rare il conservatorismo imperialista statunitense, n il ribollire in Italia di
riflussi autoritari, tra prefetti e carabinieri da Piano Solo. A tali rigurgiti
regressivi si oppongono le vie sudamericane al socialismo, oggetto di una
altrettanto lunga inchiesta a puntate, scandita da viaggi nei principali Paesi
del continente latinoamericano. Qui Toti incontra esponenti della sinistra e
sindacalisti, entrando in contatto con realt contraddittorie, tra sviluppo e
povert, tra lo sfruttamento delle multinazionali e le spinte di liberazione.
Accosta il pensiero di Jos Carlos Mariategui, intellettuale peruviano coevo di
Gramsci, che analogamente a Gramsci fond nel 1928 il partito comunista

24
Id., Sesseuropa, Vie Nuove, n. 1, 1964; ora anche in Id., Planetario. Scritti giornalisti-
ci 1951-1969, cit., p. 240.
25
Ivi, p. 241.
26
Id., Le donne in vetrina, Vie Nuove, n. 19, 1959; ora anche in Id., Planetario. Scritti
giornalistici 1951-1969, cit., p. 168.
Tra i linguaggi delle cose: Gianni Toti giornalista 615

peruviano, e fu sostenitore, ancora come Gramsci, del pessimismo della


realt e dellottimismo dellideale27. Daltro canto visita Brasilia, citt arti-
ficiale in costruzione secondo le teorie di Le Corbusier, incontrandone lar-
chitetto ideatore Oscar Niemeyer. Qui si confronta con la concreta edifica-
zione di unutopia, di una citt ideale, scontrandosi per anche con le diffi-
colt realizzative di una palingenesi sociale che segua quella urbanistica, spe-
cie quando si inoltra nei quartieri periferici, favelas sorte caoticamente e abi-
tate dagli operai edili: La lebbra di legno e di fango delle baracche, che la
piaga sacramentale di tutte le metropoli sudamericane [...] era gi arrivata a
Brasilia, la citt del futuro, prima che questo futuro cominciasse28.
Bisogna citare anche linchiesta sulla mafia, della primavera del 1962,
nella quale Toti dipana i vecchi e i nuovi intrecci tra criminalit organizzata,
potere, economia, ricostruendone gli sviluppi storici e soffermandosi in par-
ticolare sul lessico mafioso, con la stesura di un dizionarietto che mostra
bene la capillarit del fenomeno, la sua capacit di costituirsi come un uni-
verso, anche linguistico, parallelo e al contempo in stretta relazione con la
vita legale.

Chiudiamo parlando dellinteresse di Toti per il cinema. Oltre che con


numerose recensioni cinematografiche sui film in uscita in quegli anni di
Truffaut, Bergman, Buuel, Kubrick, Tati e di tanti altri, preziose non solo
per lattenzione critica alla produzione dellimmaginario collettivo per cui
si veda quella alla spaziale odissea di Kubrick , ma anche per la forma stes-
sa dellapproccio che seziona il testo filmico secondo precise coordinate di let-
tura29, Toti si occupa del mondo cinematografico in inchieste ad ampio rag-
gio. Nel 1963, per esempio, verifica come il boom della produzione di pelli-
cole corrisponda in realt a un crack, laddove il pompaggio dei produttori si
indirizza in gran parte a film di bassa qualit, tutti volti a far cassetta, e non
a sviluppare le potenzialit proprie del mezzo cinematografico; si presenta
cos il tangibile rischio che il cinema si assesti su un livello meramente spet-
tacolistico, senza essere neppure riuscito a sperimentare le sue possibilit
artistiche, la sua grammatica visiva, la sintassi delle sue idee-immagini30. Si
pone per Toti un problema di organizzazione, in vista di una nuova cultu-
ra, per dirla con Gramsci31, di formazione di spazi di sperimentazione cine-

27
Cfr. Un mendicante seduto su una sedia doro, Vie Nuove, n. 26, 1960; ora anche in
Id., Planetario. Scritti giornalistici 1951-1969, cit., pp. 190-198.
28
Id., Le tre Brasilia, Vie Nuove, n. 17, 1960; ora anche in Id., Planetario. Scritti gior-
nalistici 1951-1969, cit., p. 187.
29
F. Muzzioli, Lart(icol)ista Toti, cit., p. 14.
30
G. Toti, Ci siamo: boom e crack, Vie Nuove, n. 13, 1963.
31
Ci riferiamo al celebre 6 Arte e cultura del Quaderno 23 (VI) del 1934; Quaderni del
carcere, a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 19772, 4 voll., vol. 3, pp. 2192-2193.
616 Massimiliano Borelli

matografica liberi da censure e veti di partito (di entrambi gli schieramenti),


in grado di contrastare la concentrazione industriale, la strage dei piccoli e
medi produttori, lostracismo al cinema indipendente e dautore, la guerra
alla libert creativa, lanticultura mistificata come intelligenza e spettacolo32.
Cos Toti impostava lanalisi del cinema da un punto di vista produttivo
prima ancora che dal punto di vista dei risultati, poich solo da questa pro-
spettiva strategica si poteva ragionare della settima arte come di uno stru-
mento espressivo autonomo, con capacit immaginative ancora neppure sfio-
rate dai kolossal fabbricati in quegli anni, ma non diversamente da come
avviene oggi, per soddisfare immediatamente e senza distinzioni le richieste
pi pigre del pubblico gi televisivizzato.

attraversando queste e tante altre stazioni di cui non si potuto tener


conto in questa sede che Toti, nella sua attivit giornalistica, ha passato a
contrappelo la storia contemporanea, in tutte le sue sfaccettature. A una
profondit diversa, ma con uguale corrosivit, proseguir a sollevare le boto-
le delle parole e delle immagini, oltre che della realt, nella successiva produ-
zione artistica.

32
G. Toti, Boom o crack?, Vie Nuove, n. 6, 1963.
MATTEO DI GES

Leonardo Sciascia, giornalista malgrado tutto

Sciascia, il giornalismo, i giornali

Tra le fotografie che Ferdinando Scianna ha scattato a Leonardo Sciascia,


ce n una in cui lo scrittore di Racalmuto, seduto a un tavolino allaperto di
un bar, legge un giornale. Dei suoi tanti ritratti fotografici, questo forse tra
quelli che meglio restituiscono il suo complesso profilo di intellettuale: la sua
entelechia, volendo utilizzare una suggestiva chiave interpretativa che lui stes-
so ha prospettato per larte fotografica. Non tanto, banalmente, perch lim-
magine rimanda alla sua pluriennale attivit di pubblicista, corsivista, recen-
sore, titolare di rubriche, autore di pubblicazioni apparse a puntate come
feuilleton sulla stampa1, perfino di reporter2 e di direttore responsabile3, per
quotidiani, periodici e riviste (vocazione del resto comune alla gran parte
degli scrittori della sua generazione4); quanto perch, nellattivit letteraria di
Sciascia, ma altres nel suo stesso definirsi e pensarsi scrittore, sarebbe fuor-
viante distinguere il romanziere dallelzevirista, il saggista dal polemista, il let-
terato dal commentatore. Se lintellettuale, secondo Sciascia, si colloca statu-
tariamente allopposizione, e se finanche linvenzione romanzesca va intesa e
praticata quale inchiesta sul potere, quale denuncia del potere stesso
quandanche sotto specie letteraria , i giornali sono allora la necessaria tri-
buna dalla quale far sentire la propria voce e la prosa giornalistica una forma
distinta ma non disgiunta da quella dinvenzione5. Non ci sono, insomma,

1
Sciascia pubblic a puntate su La Stampa La scomparsa di Majorana (1975) e I pugna-
latori (1976), sul Corriere della sera La strega e il capitano (1986).
2
Tra i suoi pi appassionati articoli in presa diretta, quello scritto per LOra il 16 gen-
naio 1968, a trentasei ore dal terremoto del Belice che rase al suolo il paese di Gibellina.
3
Sciascia fu dal 1954 direttore di Galleria, rivista letteraria delleditore suo omonimo di
Caltanissetta; la collezione dei Quaderni di Galleria annoverer, in quegli anni, autori come
Pasolini, Compagnone, Caproni, Bassani, Roversi, Leonetti.
4
Della copiosa bibliografia su letteratura e giornalismo, segnalo quantomeno E.
Paccagnini, Letteratura e giornalismo, in Storia della Letteratura Italiana, Il Novecento. Scenari
di fine secolo, a cura di N. Borsellino e L. Felici, vol. XI, Garzanti, Milano 2001, pp. 497-558
e, per un quadro pi generale, C. Bertoni, Letteratura e Giornalismo, Carocci, Roma 2009.
5
Lassunto per cui tutti i testi di Sciascia abbiano un fondamento polemico lo ha formu-
lato in maniera assai convincente, nella sua introduzione al secondo volume delle Opere,
618 Matteo Di Ges

uno Sciascia che scrive libri e uno Sciascia che interviene sui giornali. C semmai
uno scrittore che esercita, consapevolmente e programmaticamente, il proprio
mandato civile anche dalle colonne della stampa; e un giornalista6 che svolge il
suo secondo mestiere fondandolo sulle sue prerogative di scrittore. O, se si vuole,
c una scrittura letteraria che deve alcuni dei suoi tratti distintivi, come quella
sorta di evenemenzialit che contraddistingue alcune sue prove narrative, allassi-
dua indagine della realt (del contesto, per meglio dire); e c una scrittura giorna-
listica che interpreta la realt proprio prendendo labbrivio da una precisa conce-
zione della letteratura (la pi assoluta forma che la verit possa assumere, secon-
do Sciascia che a questa dottrina, allegorizzata mirabilmente nel Consiglio
dEgitto, sempre rimasto fedele, pur rettificando, nel corso del tempo, il modo
di darle forma e di metterla in atto). Al vaglio di una lente che quella offerta
dalla letteratura, i fatti, che forse sono meno ambigui mentre li si vive, diventano
quali veramente sono. Certamente pi oscuri e complessi: ma, in ogni senso,
pi veri7, ha osservato uno dei pi validi studiosi dellautore.
Giornali, giornalismo e giornalisti sono stati del resto temi assai frequen-
tati dallo Sciascia narratore8, quasi che egli avesse voluto, nel corso della sua

Claude Ambroise: Polemico, Sciascia non lo stato solo negli anni settanta e oltre, ma forse
sono gli anni che meglio rivelano la natura polemica di tutta la sua opera, C. Ambroise,
Polemos, saggio introduttivo a L. Sciascia. Opere 1971-1983, a c. di C. Ambroise, Bompiani,
Milano 1989, vol. II, p. XXIII; ne siano riprova, tra laltro, i riferimenti al modello dellama-
to pamphlettista e libellista dellet della Restaurazione Paul Louis Courier, emblematicamen-
te presenti sia negli esordi delle Parrocchie di Regalpetra (1956), che nel tardo Porte aperte
(1987). Sullo Sciascia polemista e sullosmosi tra scrittura dinvenzione e prosa giornalistica si
veda anche G. Traina, Con lemozione dellazzardo: appunti su Sciascia polemista, in F.
Gioviale (a cura di), La parola quotidiana. Itinerari di confine tra letteratura e giornalismo,
Olschki, Firenze 2004, pp. 71-89.
6
Sciascia fu assunto dal Giornale di Sicilia diretto da Roberto Ciuni; iscritto nellalbo
dei praticanti nel 1972, non si sottopose mai allesame per diventare professionista: Il prati-
cantato di Sciascia al Giornale di Sicilia purtroppo fin presto, ed esclusivamente per una sua
questione di sensibilit. Veniva in redazione un paio di volte la settimana portando gi pron-
to larticolo, vi si fermava poco, vedeva ragazzi che sgobbavano come si sgobba solo nei pic-
coli giornali. Mi disse che non gli sembrava giusto guadagnare quanto quei trafelatissimi col-
leghi lavorando un decimo. Non riuscii a convincerlo che i primi ad essere contenti di aver-
lo al giornale erano proprio loro, R. Ciuni, Luomo e il giornalista, in Egle Palazzolo (a cura
di), Sciascia. Il romanzo quotidiano, Kals, Palermo 2005, pp. 76-77.
7
M. Onofri, La cronaca sotto scacco: ipotesi su Sciascia giornalista, in Sciascia. Il romanzo
quotidiano, cit., p. 28. Sintetizza efficacemente questa duplice e univoca dimensione della
scrittura sciasciana Marcello Benfante, quando scrive: Per un verso tutta lopera di Sciascia
pu considerarsi in qualche modo giornalistica, ovviamente nellaccezione pi nobile del ter-
mine, in quanto centrata su una costante attenzione etica allattualit, sebbene rivisitata attra-
verso il filtro della memoria, chiave doro che dischiude o serra. Ma si pu anche dire che
tutta lopera di Sciascia, compresa la sua produzione specificamente destinata a quotidiani e
periodici, anti-giornalistica poich vocata, per intento e scelte stilistiche, alla lunga durata,
M. Benfante, Leonardo Sciascia. Appunti su uno scrittore eretico, Gaffi, Roma 2009, p. 109.
8
Ne d conto diffusamente G. Traina, Giornali e giornalisti nella narrativa di Sciascia, in
Egle Palazzolo (a cura di), Sciascia. Il romanzo quotidiano, cit., pp. 31-58.
Leonardo Sciascia, giornalista malgrado tutto 619

lunga attivit, disseminare i suoi testi dinvenzione di spunti e riflessioni utili


a far comprendere di che tenore fosse la sua opinione sul quarto potere in
Italia e, pi in generale, a segnalare di volta in volta il grado di fiducia che
riponeva sulla stampa come strumento laico e civile per perseguire la verit.
A cominciare dalla descrizione dellemeroteca del Circolo della concordia
nelle Parrocchie di Regalpetra, nelle cui testate moderate e conservatrici con
lunica eccezione de Il Ponte, letta dal socio Sciascia si rispecchiano i let-
tori borghesi della provincia siciliana (e italiana) degli anni Cinquanta9.
Convincimenti, tuttavia, che non sono rimasti immutati nel corso degli anni:
non c dubbio, ad esempio, che la maniera con la quale i maggiori quoti-
diani italiani, nella primavera del 1978, si occuparono del sequestro Moro,
modific drasticamente, in senso negativo, lopinione di Sciascia sulla loro
onest e credibilit10. Nel corso di quella drammatica vicenda, il tenore con
il quale giudicher il comportamento delle principali testate nazionali (e lo
far, quasi paradossalmente, dalle colonne di alcune di esse, il caso di riba-
dirlo, pure provando un riverbero di vergogna, continuando ad avere a che
fare con la carta stampata11) sar immancabilmente assai polemico:

La lettura dei giornali mi d neri pensieri. Neri pensieri sui giornali, appunto, sul
giornalismo. I giornali mi si parano davanti come un sipario. Pi esattamente
come un velario [...] Una indefinita paura sembra attanagliare i giornali. La paura
di avere una linea, di assumere i fatti in un giudizio preciso12.

Addirittura raggiunger talvolta i toni dellinvettiva:

I giornali italiani vengono fatti come se non dovessero essere letti e cio sul
dato, o sul pregiudizio, o sullinconscia credenza che il lettore non esista. Che
non esista con la sua capacit di giudizio, di discernimento, di critica. Il lettore
inesistente. Come il cavaliere inesistente di Calvino. Un lettore che ogni mattina
fa scomparire il giornale dentro la propria vuota armatura di lettore13.

Ma per il consolidarsi di questa drastica diffidenza, non meno determi-


nante dovette essere la scoperta allesplodere del caso, nel 1981 di aver

9
Cfr L. Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra [1956], in Opere 1956-1971, a c. di C.
Ambroise, Bompiani, Milano, vol. I, 1987.
10
Nello scritto daugurio che accompagnava il primo numero di Malgrado tutto, rivista
racalmutese, lo scrittore rievocava il caso Moro come il momento storico in cui la libert di
stampa venuta a mancare e la stampa italiana ha acquistato una uniformit, un conformi-
smo che ancora oggi continua (L. Sciascia, LUomo del sud? [1980] ora in Leonardo Sciascia e
Malgrado tutto. Scritti di Leonardo Sciascia sul giornale del suo paese, Editoriale Malgrado
Tutto, Racalmuto (Agrigento), 1991, p. 9.
11
L. Sciascia, Laffaire Moro [1978], in Opere 1971-1983, cit., p. 495.
12
L. Sciascia, Nero su nero [1979], in Opere 1971-1983, cit., p. 814.
13
Ivi, pp. 826-827.
620 Matteo Di Ges

scritto, inconsapevolmente, su un giornale, il Corriere della sera, controlla-


to dalla loggia massonica segreta P2, come ha giustamente osservato Traina14.
Disdegno che verso la stampa del nostro paese Sciascia mantenne negli anni
successivi, fino alla morte, pur continuando a collaborarvi (si pensi a certe
pagine di Una storia semplice, nelle quali i giornali vengono indistintamente
giudicati menzogneri, o alla feroce caratterizzazione del personaggio del
Grande Giornalista, sbeffeggiato dal Vice nel Cavaliere e la morte dietro al
quale si cela, nemmeno troppo velatamente, il fondatore de La Repubblica
Eugenio Scalfari, con il quale lautore aveva a pi riprese polemizzato, pro-
prio sin dallepoca della vicenda Moro), tanto da indurlo a formulare sfer-
zanti considerazioni di tale sorta:

Per ragioni di salute, in questi tempi ho letto pochissimo i giornali e i settimana-


li. Avevo gi sperimentato, e ora ne sono certo, che a non leggerli si sta forse un
po meglio e sicuramente non peggio. Ma il non leggerli non basta a tenerci lon-
tano dalle notizie: c sempre qualche samaritano che ce le porta15.

Sembrano davvero lontanissimi, insomma, allo Sciascia dei primi anni


Ottanta, i tempi della giovinezza, quando era ben spesa la lira settimanale
destinata allacquisto dellOmnibus di Longanesi, rinunciando al cinema16,
o del Corriere della sera, se ospitava un articolo di Emilio Cecchi17; e
comunque, trascorsi quegli eventi cruciali per la storia della Repubblica,
rimarr ormai irreparabilmente compromessa quella fiducia sullesistenza di
una carta stampata che non si abbassi e che non abbassi, che contenga un
che di durevole nelleffimero, che sia una scommessa col tempo18, per
riprendere ancora le sue parole a proposito del settimanale longanesiano.
Ci, beninteso, non lo indurr a diradare la sua presenza sulle colonne
della stampa, tantomeno a rinunciare a utilizzarle per intraprendere dispute
pubbliche tenaci, per condurre, spesso intestandosele personalmente, ostina-
te campagne civili. Tuttaltro: gli interventi dello scrittore nella vita pubblica
italiana saranno frequentissimi dalla fine degli anni Settanta e spesso suscite-
ranno un clamore tale da sopraffare, nel senso comune, la sua stessa limpida
voce di autore e narratore. Il caso Tortora, la polemica sui cosiddetti profes-

14
Cfr. G. Traina, Leonardo Sciascia, Bruno Mondadori, Milano 1999, p. 127.
15
Cfr. L. Sciascia, A futura memoria (se la memoria ha un futuro) [1989], in Opere 1984-
1989, a c. di C. Ambroise, Bompiani, Milano, 1991, vol. III, p. 808. Larticolo era origina-
riamente apparso su LEspresso del 20 febbraio 1983.
16
Cfr. L. Sciascia, Nero su nero, cit., p. 667.
17
Cfr. L. Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra, cit, p. 42. Allo stile di quel Cecchi letto in
giovent e alla lezione rondesca, tuttavia, Sciascia, non solo come elzevirista, continuer a ri-
manere fedele.
18
L. Sciascia, Fatti diversi di storia letteraria e civile [1989], in Opere 1984-1989, cit.,
p. 628.
Leonardo Sciascia, giornalista malgrado tutto 621

sionisti dellantimafia non solo sono vicende che, anche a distanza di decen-
ni, rimandano immediatamente al nome di Sciascia, ma hanno finito col far
lasciare in secondo piano lopera complessiva del racalmutese, o, se non altro,
ne hanno forse compromesso una adeguata e compiuta ricezione.
Per avere unidea di quanto cospicua sia stata la produzione variamente
giornalistica dellautore del Giorno della civetta, potrebbe bastare consultare
la sua bibliografia: in quella davvero monumentale curata da Antonio
Motta19, la sezione Saggi, recensioni e interventi in periodici occupa ben
settantaquattro pagine. Sempre nel repertorio di Motta, lindice delle testate
non meno indicativo per vastit e variet; se ne contano pi di cento per le
quali, nel corso della sua vita, ha scritto: dallesordio su Vita Siciliana, nel
1944, con una Nota a Quasimodo (ma il primo articolo su un quotidiano
apparve su LOra del 25 febbraio 1955: una nota letteraria sul poeta
Domenico Tempio), fino allultimo articolo licenziato per La Stampa,
Requiem per il cinema, il 27 agosto 1989, meno di tre mesi prima della sua
morte. Tuttavia Sciascia ha voluto raccogliere in volume solamente una mini-
ma parte della sua ingente produzione pubblicistica: dato, questo, tuttaltro
che trascurabile dovendo svolgere una disamina della sua attivit giornalisti-
ca, se vero che lautore stato un editore di se stesso assai meticoloso, tanto
da disporre un divieto di fatto per la pubblicazione postuma di sillogi o anto-
logie di suoi scritti che non avessero avuto il suo assenso. Se si escludono le
raccolte di saggi e interventi prevalentemente letterari destinati a volumi
comunque tuttaltro che eterogenei come La corda pazza e Cruciverba e le
prose varie rubricate sotto a due titoli emblematici quali Cronachette e Fatti
diversi di storia letteraria e civile, i soli volumi ricavati dallattivit pi pro-
priamente giornalistica di Sciascia sono Nero su nero, La palma va a nord 20, A
futura memoria, Quaderno 21, Sciascia in Puglia 22. Di questi solamente Nero
su nero e A futura memoria sono da considerarsi, a rigore, libri dello scrittore,
avendoli egli stesso progettati e licenziati; mentre La palma va a nord e
Quaderno sono raccolte curate da altri con il suo assenso. Pi precisamente
La palma va a nord una miscellanea di articoli (alcuni dei quali poi rifusi in
Nero su nero), interviste, interventi parlamentari, comunicazioni a congressi
apparsi tra il 1977 e il 1980, pubblicata originariamente nelle Edizioni
Quaderni Radicali. Pi che una antologia di articoli, dunque, un ottimo via-

19
Cfr. Antonio Motta, Bibliografia degli scritti di Leonardo Sciascia, Sellerio, Palermo
2009.
20
L. Sciascia, La palma va a nord [1980], a c. di V. Vecellio, Gammalibri, Milano 1982.
21
L. Sciascia, Quaderno, a c. di V. Nistic e M. Farinella, Nuova Editrice Meridionale,
Palermo 1991, supplemento a LOra.
22
G. Giacovazzo, Sciascia in Puglia, Edisud, Bari 2001, supplemento a La Gazzetta del
Mezzogiorno.
622 Matteo Di Ges

tico per conoscere lattivit dellonorevole Sciascia23 e, merc le numerose e


lunghe interviste, un prezioso documento sui rovelli civili di uno scrittore che
vorrebbe parlare di Chateaubriand ma sente lobbligo di discutere pubbli-
camente di mafia, terrorismo, politica. Sciascia in Puglia, infine, un libro
che lex giornalista e senatore Giuseppe Giacovazzo ha realizzato pubbli-
candolo sorprendentemente a proprio nome raccogliendo gli articoli che lo
scrittore pubblic tra il 1981 e il 1982, nella rubrica Langolo di Sciascia,
sulla Gazzetta del Mezzogiorno, quando la dirigeva lo stesso Giacovazzo,
insieme ad alcuni elzeviri del 1962.
Non sar improvvido, dunque, dar conto in questa sede solamente dei tre
testi concepiti o autorizzati da Sciascia, e pi diffusamente dei due inseriti nel
corpus delle Opere, pur tenendo presente lintera lattivit del giornalista
Leonardo Sciascia: essi cadenzano, oltretutto, e con buona approssimazione,
la sua presenza sulla carta stampata attraverso tre decenni, dagli anni Sessanta
agli anni Ottanta.

Il cuore della Sicilia (e della sua metafora): Quaderno

Quaderno ripropone in volume gli interventi apparsi tra il 1964 e il 1967


su LOra, nella rubrica omonima. La raccolta restituisce lo spirito felice-
mente divagante ed eclettico con il quale Sciascia redasse la sua rubrica per il
quotidiano palermitano: note letterarie, interventi polemici, corsivi, elzeviri,
recensioni, brevi scritti darte, note di viaggio (alla Spagna dedicato quasi
un piccolo dossier). Sovente il tema siciliano, ma non cos spesso da far rele-
gare Quaderno a una rubrica (e a un libro) regionale o regionalistica.
Semmai qui gi perfettamente calibrata la prospettiva con la quale lo scrit-
tore ha voluto e saputo guardare alle questioni nazionali, del resto gi speri-
mentata nelle precedenti prove narrative (dalle Parrocchie di Regalpetra fino
ad A ciascuno il suo): stabilendo cio, quale punto dosservazione eccentrico
quanto strategico sulle cose dellItalia e del mondo, la sua Sicilia; ovvero pro-
ponendosi di declinarla come metafora, per usare la formula eponima e quasi
antonomastica di un suo noto libro-intervista di alcuni anni dopo. A darne
testimonianza basti, in questa sede, rievocare la contesa che, dalle colonne de
LOra, lo vide opposto a chi, con fervidi entusiasmi che oggi con tutta
evidenza appaiono ingenuamente ottimistici, solo considerando la rovina
arrecata a quel territorio salutava nel mastodontico insediamento petrol-
chimico ENI del polo Gela-Siracusa-Priolo voluto da Enrico Mattei e appe-
na inaugurato (siamo nel 1965), loccasione per laffrancamento e la moder-

23
Sciascia fu deputato, eletto nelle liste del Partito Radicale, dal giugno 1979 al giugno
1983. Sul suo scrupoloso lavoro parlamentare cfr. A. Camilleri, Un onorevole siciliano. Le inter-
pellanza parlamentari di L. Sciascia, Bompiani, Milano 2009.
Leonardo Sciascia, giornalista malgrado tutto 623

nizzazione dellIsola e lavvento di unera di progresso e benessere. Lo spunto


per la controversia invero non premeditata lo forn, emblematicamente,
uno scritto a tema letterario: Sciascia, recensendo su Quaderno Con la fac-
cia per terra, un libro autobiografico di Piero Chiara in gran parte dedicato a
un suo viaggio in Sicilia, scriveva:

Lo stato danimo dello scrittore appunto quello di chi ha passato una linea di
demarcazione tra due mondi se non addirittura tra due razze. Tra loscura e irri-
mediabile condizione della Sicilia e il continente italiano ed europeo in cui vive
e di cui parte, c lo scarto di appena una generazione. [...] Con la faccia per
terra la Sicilia c gi24.

Dalle pagine de lAvanti!, organo del PSI, rispose Fidia Sassano, il quale,
rimproverandogli un fatalismo poco consono a uno scrittore di sinistra,
imputava al benedetto letterato velleit neo-separatiste da salotto progres-
sista. La replica di Sciascia (di uno Sciascia, bene ricordarlo, deluso dalla-
zione dei governi di centro-sinistra che, accogliendo per la prima volta nella
coalizione di governo i socialisti, avevano suscitato inizialmente caute spe-
ranze di rinnovamento politico) un compendio delle sue migliori qualit di
corsivista: arguzia, ironia, ma anche cristallino rigore nella logica del ragio-
namento, al quale corrisponde lesattezza di una lingua ferma e tersa, come
ebbe a definirla Pasolini. Sassano, scrive Sciascia, esclamando Questi bene-
detti letterati!, ignora

Che non soltanto i letterati sono oggi diversi da quelli dellArcadia, ma anche
che io, tra i letterati, sono uno dei pi lontani dallidea corrente di letteratura
cui certi elementi della classe politica sembrano ancora affezionati. [...] La Sicilia
se ne stia tranquilla, quando ci sono uomini come Sassano che per ore (badate,
per ore) ne dibattono i problemi. E i letterati si tengano fuori dai piedi, e lasci-
no il pensiero a chi tocca. Magari, in tempo di elezioni, saranno chiamati a fir-
mare un manifesto di consenso ai programmi del PSI: ma passata la festa eletto-
rale lascino lavorare i tecnici, i sindacalisti e i politici di varie sfumature25.

Oltre che per esemplificare come la sicilitudine sciasciana non si ridu-


cesse affatto a un vago e ineffabile sentimento bucolico26, la polemica signi-
ficativa anche perch attesta quale idea fosse a fondamento della militanza
intellettuale di Sciascia: la funzione civile dello scrittore non si limita alla
pubblica testimonianza, ma pu e deve contribuire alla ricerca della verit,
proprio per le sue prerogative di letterato (qualifica per altro, come si vedr,

24
L. Sciascia, Quaderno, cit., pp. 54-55.
25
Ivi, p. 62.
26
Cfr. Sicilia e sicilitudine, in La corda pazza [1970], in L. Sciascia, Opere 1956-1971, cit.,
pp. 961-967.
624 Matteo Di Ges

poco cara allautore): chiave interpretativa, questa, indispensabile per com-


prendere a fondo i presupposti che impronteranno la battagliera pubblicisti-
ca sciasciana anche negli anni a venire.
Nel secondo round dello scontro verbale con lesponente socialista, emer-
ge unaltra costante ricorrente dello Sciascia polemista: una sorta di lealt
verso lavversario; o meglio una condotta per cos dire deontologicamente
esemplare (se pensabile una deontologia per il polemista di professione) e
intellettualmente assai onesta, che prevede di tenere distinte le ragioni di un
dissenso anche aspro dalla rispettabilit civile e morale dellinterlocutore,
qualora, evidentemente, gli vada riconosciuta:

Riconosco di essere stato, nelle mie considerazioni, alquanto intemperante nei


suoi riguardi [di Sassano, nda]; e lo riconosco ricordando i dodici anni di carce-
re che Sassano si ebbe da un tribunale fascista e ritenendo che, quando un uomo
ha saputo pagare di persona per laffermazione della libert e della giustizia, un
discorso che tocca temi di libert e di giustizia [...] si pu fare, per diversi che
siano i punti di vista27.

Senza, con ci, indebolire le proprie argomentazioni o comprometterne il


senso e non rinunciando mai alla nettezza del proprio punto di vista discor-
dante:

Quel tanto di sangue e di sogno (e di nome) che c in me di arabo, mi fa senti-


re il tempo della Sicilia musulmana vita, poesia, cultura profondamente vici-
no: ma non al punto di barattare il Discorso del metodo col Corano. E se mi
attento a discutere i valori del Risorgimento, della Unit, della Costituzione
presumo di farlo dallinterno, per quello che tali valori contengono di sbagliato
nei riguardi della Sicilia e del Sud28.

Ma Quaderno, oltre a offrire un significativo compendio dellattivit pub-


blicistica di Sciascia nel corso degli anni Sessanta, anche un incunabolo di
saggi e libri a venire, nonch unanticipazione delle scelte editoriali che lau-
tore operer quale consulente e ispiratore della casa editrice Sellerio dal
1969: Scipio di Castro, Beccaria, Palmieri di Miccich, Stendhal, Manzoni,
Guastella, Pirandello Borgese e perfino gli anonimi autori dei disegni e dei
versi tracciati sulle pareti delle celle dellinquisizione, ricorrono negli articoli
della rubrica, rivelando le tracce di progetti editoriali futuri29.

27
L. Sciascia, Quaderno, cit., p. 72.
28
Ivi, p. 73.
29
Sulla collaborazione di Sciascia con il glorioso quotidiano palermitano si veda anche E.
Fidora, Un affilato impolitico dalla lunga vista, in Sciascia. Il romanzo quotidiano, cit., pp. 67-
73.
Leonardo Sciascia, giornalista malgrado tutto 625

La nera scrittura sulla nera pagina della realt: Nero su nero

La riprova del fatto che per Sciascia la pagina provvisoria di un quotidia-


no fosse una sede editoriale nientaffatto meno degna di quella di un volume,
la fornisce assai bene la vicenda editoriale di Nero su nero, certamente uno dei
libri pi importanti, e dei pi sciasciani, dello scrittore. Nero su nero nac-
que, sin dalla sua genesi, per diventare un libro, ma un libro che si andasse
facendo, nel corso del tempo, sulle pagine dei giornali: si tratta infatti di una
miscellanea di articoli (prevalentemente elzeviri) usciti sui giornali (Corriere
della sera, con il quale Sciascia collabora dal 1969, La Stampa, alla quale
approda nel 1972, e LOra) tra il 1969 e il 1979. Un diario in pubblico che
ha per modelli, come si legge sul risvolto di copertina autografo delledizio-
ne einaudiana, il Journal di Jules Renard; ma rileggendo mi accorgo di esse-
re andato vicino al Diario in pubblico di Vittorini. Pochi alla Sainte-Beuve
i veleni; al minimo le malignit; discrete le confessioni; molti gli appunti di
lettura o di rilettura; nessun ritratto (alla Saint-Simon o alla Retz). Un libro,
tutto sommato, molto italiano. Forse molto siciliano. Ai riferimenti vittori-
niani e renardiani dichiarati dallautore vanno affiancati Quasi una vita.
Giornale di uno scrittore (1950) e Ultimo diario di Alvaro, come ha rilevato
Massimo Onofri30, a mio giudizio il Flaiano del Diario notturno (1956), e,
massimamente, il Diario romano dellamato Brancati (1968)31, manifesta-
mente chiamato in correit in una delle note del testo:

Rileggo il Diario romano di Brancati.


Ho sempre amato questo scrittore e gli debbo molto. Certe sue pagine posso dire
di averle addirittura vissute: le lettere al direttore pubblicate nellOmnibus di
Longanesi, il racconto La noia nel 1937, tutte quelle notazioni, che sembrano
paradossali e sono invece acutissime, sulla vita a Caltanissetta negli anni appun-
to intorno al 37, gli anni dellimpero e della guerra di Spagna32.

E tocca ancora rimandare allautore di Don Giovanni in Sicilia, e pi pre-


cisamente alla prefazione al Diario romano che Sciascia scrisse per il secondo
volume Bompiani delle Opere, per avere contezza della consapevolezza con la
quale, in Nero su nero, lautore intendesse frequentare e a suo modo ricodifi-

30
M. Onofri, Storia di Sciascia [1994], Laterza, Bari 2004, p. 222.
31
Cfr. R. Ricorda, Sciascia e la forma diaristica, tra modelli francesi e italiani, in Non fac-
cio niente senza gioia. Leonardo Sciascia e la cultura francese, a c. di M. Simonetta, Quaderni
Leonardo Sciascia, 1, La vita felice, Milano 1969, pp. 53-64. A proposito delle fonti di Nero
su nero si veda anche P. De Marchi, Sciascia controluce. Maestri e modelli nei saggi e in Nero su
nero, in Sciascia, scrittore europeo, a c. di M. Picone, P. De Marchi e T. Crivelli, Atti del
Convegno internazionale di Ascona (1993), Birkhuser Verlag, Basel 1994, pp. 247-265.
32
L. Sciascia, Nero su nero, cit., p. 666.
626 Matteo Di Ges

care un genere desueto, e comunque scarsamente praticato nella tradizione


letteraria italiana, quale la memorialistica, tra autobiografismo e diarismo:

Non si pu dire che la letteratura italiana sia ricca di memorie, di autobiografie,


di diari. Si pu anzi senzaltro dire che ne povera: e, a misura di tale povert,
esiguo e discontinuo il corso di quelli che Pirandello chiamava scrittori di
cose, a fronte del corso sempre pieno e fluente degli scrittori di parole33.

Non vanno tuttavia trascurati, tra i palinsesti che Sciascia allestisce per il
suo journal, gli scrittori moralisti (Montaigne su tutti), ispiratori, daltro
canto, di un moralismo apertamente rivendicato:

Naturalmente il fatto che io trovi sublime la frase che chiude la lapide in memo-
ria di Tanucci [ministro del Regno di Napoli e Sicilia con Carlo III e Ferdinando
IV di Borbone, n.d.a.] lasciando di s quasi povert alla famiglia e molto nome
alla storia mi pone nel novero dei moralisti: esigua specie di sopravvissuti, for-
tunatamente sul punto della totale estinzione. Questo moralismo, mi disse un
giovane al quale mi ero azzardato a dire che, in tempi di confusione, bisognava
almeno cercare di far bene ciascuno il proprio lavoro. Bisogna farlo male. O addi-
rittura, e meglio, non farlo34.

Come stato evidenziato, oltre allelemento autobiografico (ma di un


autobiografismo intellettuale e politico, sar bene precisarlo, si deve parla-
re) presente in Nero su nero un discorso metaletterario tortuoso quanto esat-
to, seppure condotto digressivamente e aforisticamente, che prefigura gli esiti
successivi della produzione sciasciana: una riflessione che delinea una pecu-
liare concezione della letteratura che, come abbiamo visto, lo ha portato ad
abbandonare unopzione realista per una tutta da definire, ma che realista
certo non pi35. Lapprodo di tale percorso , gi in Nero su nero, una visio-
ne della letteratura totalizzante, addirittura platonica secondo Onofri, nella
quale la realt finisce con lessere una copia pi oscura e degradata dei suoi
archetipi letterari36. Cos, del resto si legge verso le ultime pagine del testo:

Che cosa la letteratura? Forse un sistema di oggetti eterni (e uso con imperti-
nenza questa espressione del professor Whitehead) che veramente, alternativa-
mente, imprevedibilmente splendono, si eclissano, tornano a splendere e ad eclis-
sarsi e cos via alla luce della verit. Come dire: un sistema solare37.

33
L. Sciascia, Prefazione a V. Brancati, Diario romano, in Id., Opere 1947-1954, a c. di L.
Sciascia, postfazione e apparati di D. Perrone, Bompiani, Milano 1992, vol. II, p. 309.
34
L. Sciascia, Nero su nero, cit., p. 651.
35
M. Onofri, Storia di Sciascia, cit., p. 224.
36
Ivi, p, 230.
37
L. Sciascia, Nero su nero, cit., p. 830.
Leonardo Sciascia, giornalista malgrado tutto 627

Il diario in pubblico sciasciano oltretutto, come e pi di quanto non sia


Quaderno, un libro fatto di centinaia libri: che lo presuppongono, ai quali
rimanda; di libri altrui, ovviamente, che discendono dalla sterminata biblio-
teca mentale dellautore: prediletti, ripensati, ripescati o appena pubblicati;
ma anche di libri di Sciascia stesso, che lautore aveva scritto e soprattutto che
andava scrivendo, nonch della ricezione che essi avevano avuto o delle que-
relle che avevano suscitato. Di Todo modo, ad esempio, viene minuziosamen-
te descritta la situazione che ne ha ispirato lambientazione:

Mi sono trovato una volta, destate, in un albergo di montagna dove ogni anno
si riuniscono, per gli esercizi spirituali, gli ex allievi di un convitto religioso; uno
di quei convitti che fanno classe, e perci vi si arrampicano anche quelli che
appena possono permettersi di pagarne la retta [...]. La meditazione, la preghie-
ra. Alla fine di ogni predica, dovevano ritirarsi ciascuno nella propria camera, a
meditare38.

LAffaire Moro prima quasi anticipato; poi, dopo la sua pubblicazione e


durante le polemiche che ne seguirono, inevitabilmente evocato e chiosato:

Per mia parte, a portare in luce la verit credo di avere contribuito, con questo
mio piccolo libro. Tutto quello che venuto fuori dal 24 agosto, in cui ho finito
di scriverlo, ad oggi, me ne d conferma. Rimpiango soltanto di non aver cono-
sciuto le pagine che vanno sotto il nome di memoriale: quelle pagine che le
Brigate Rosse hanno messo assieme montando cose dette e cose scritte da Moro
nella prigione del popolo. Ci sono cose di splendida verit: di quella verit cui
Moro, ormai tragicamente libero, era finalmente approdato39.

Ma molte altre sono le opere pi o meno cripticamente disseminate nel


testo (Candido, ad esempio, una di queste), tanto da legittimarne anche
uninterpretazione quale libro di Sciascia su Sciascia, ovvero quale saggio cri-
tico oltre che biografico dello scrittore su se stesso.
Tornando dunque alle questioni metaletterarie formulate in Nero su nero,
se si deve convenire con Onofri sul fatto che, allaltezza della pubblicazione
del suo diario in pubblico, Sciascia avesse gi profondamente mutato la sua
idea di letteratura, allora questo testo va letto anche come un compendio e
un documento, ora criptico e allusivo, ora manifesto e dichiarativo, di que-
sta sorta di rinegoziazione della nozione stessa di letteratura; nuova defini-
zione che, mentre va via via precisandosi, rimanda, puntualmente e sistema-
ticamente, al momento storico in cui tale ripensamento avviene (e vorrei dire
non pu non avvenire): ovvero a quella palude italiana della quale il Nostro
infaticabile quanto acutissimo perlustratore. Si potrebbe dire, apodittica-

38
Ivi, pp. 653-654.
39
Ivi, p. 836.
628 Matteo Di Ges

mente, che in Nero su nero Sciascia ripensi in pubblico la letteratura, delibe-


ratamente esponendola ed esponendo il suo stesso pensarla alla turbo-
lenta e drammatica attualit della vita nazionale. ben comprensibile, allo-
ra, la ragione per la quale questo capolavoro funzioni anche come una bus-
sola indispensabile sia per ricostruire le tracce pubbliche di Sciascia nellItalia
plumbea degli anni Settanta, della sua militanza di scrittore civile negli anni
del tracollo della Repubblica, sia per definire e comprende la sua figura di raf-
finatissimo letterato. Per quanto Sciascia fosse, a quellaltezza, ormai assai
sospettoso sui significati connotativi che si attribuiscono, capziosamente, a
questa parola e ai suoi sinonimi, allorquando essi vengono declinati

come gradi di allontanamento dalla realt, dalla verit; il letterato, lartista, come
cosa leggera, aerea e sacra; io scrittore, io artista, capace di affascinare, di com-
muovere, di convincere: ma soltanto per arte, per artefizio, altra cosa e diversa
essendo la verit effettuale delle cose40.

Lo aveva del resto anticipato alcune pagine prima, di non sentirsi un vero
letterato:

Sono sempre, facendo letteratura o parlandone, un maestro di scuola. Non riesco,


cio, ad amare tutta la letteratura; e anzi molta ne respingo, ne ignoro, ne voglio igno-
rare. Picasso diceva: Sono come gli ubriaconi, che amano qualsiasi vino: la pittura
mi piace tutta. E cos : a un vero pittore dovrebbe piacere tutta la pittura, a un vero
letterato tutta la letteratura. Non sono dunque (ma lo sapevo gi) un vero letterato41.

Si tratta insomma quantomeno di un doppio referto: quello del notomiz-


zatore della societ italiana e quello di un uomo di lettere che ragiona sul-
lattualit del fare letteratura, a partire da una riconsiderazione della sua stes-
sa nozione epistemica.
Probabilmente mai, fino ad allora, un genere giornalistico tradizional-
mente a bassa temperatura polemica come lelzeviro42, aveva conosciuto li-
pertermia (il calor bianco, come si usa dire in questi casi) delle polemiche
roventi scatenate da Sciascia e insieme un cos coerente e articolato discorso
sul fare letteratura nel tempo presente.

Polemiche per lavvenire: A futura memoria (se la memoria ha un futuro)


La questione che, a ben vedere, sottende tutta linchiesta letteraria di
Sciascia (comprendendo in questa formula inquirente lintera sua produzio-

40
Ivi, p. 834.
41
Ivi, p. pp. 763-764.
42
La storia di questo genere giornalistico ricostruita in B. Benvenuto, Elzeviro, Sellerio,
Palermo 2002.
Leonardo Sciascia, giornalista malgrado tutto 629

ne: narrativa, saggistica, giornalistica) e che, dalla met degli anni Settanta
fino a tutti gli Ottanta, sullo sfondo di unattualit politica, criminale e giu-
diziaria che in Italia si va facendo pi greve e fosca, diverr un vero rovello,
la giustizia. Se in Nero su nero il tema viene sviscerato prevalentemente ana-
lizzando i presupposti ideologici e le azioni del terrorismo brigatista, e con
essi le reazioni altrettanto ideologiche della classe dirigente e delle istituzioni
di uno Stato che improvvisamente sembra legittimato dalloffensiva sangui-
nosa e insensata delle BR, in A futura memoria (se la memoria ha un futuro)
lindagine sciasciana si focalizza sul fenomeno mafioso, mantenendo intatto
quello spirito garantista intransigente che aveva contraddistinto le sue ereti-
che posizioni sulleversione comunista43. Essendo stato tra i primi e tra i
pochissimi ad occuparsi dellassociazione criminale, gi dal dopoguerra, rac-
contandone e denunciandone con forza la pervasivit delittuosa e la inquie-
tante contiguit con i partiti di maggioranza e le istituzioni, da tempo lau-
tore era stato eletto dallopinione pubblica mafiologo suo malgrado:

Non c nulla che mi infastidisca quanto lessere considerato un esperto di mafia


o, come oggi si usa dire, un mafiologo. Sono semplicemente uno che nato,
vissuto e vive in un paese della Sicilia occidentale e ha sempre cercato di capire la
realt che lo circonda, gli avvenimenti, le persone. Sono un esperto di mafia come
lo sono in fatto di agricoltura, di emigrazione, di tradizioni popolari, di zolfara:
a livello delle cose viste e sentite, delle cose vissute e in parte sofferte44.

Dopo decine, forse centinaia di interventi su periodici e quotidiani dedi-


cati alla questione, sollecitato dalleditore Bompiani, Sciascia, ormai grave-
mente ammalato, decise dunque di mettere insieme, in un volume che sareb-
be uscito postumo, articoli apparsi su LEspresso, il Corriere della sera,
La Stampa, Panorama, Il Globo tra il 1979 e il 1988. Erano gli anni
della mattanza mafiosa a Palermo, metropoli insanguinata dagli omicidi
eccellenti di magistrati, uomini politici, prefetti, presidenti della Regione e
dilaniata da una spaventosa guerra di mafia. Ma erano anche gli anni della
prima vera reazione di massa della societ civile siciliana contro la mafia e,
soprattutto, erano gli anni in cui nel capoluogo siciliano andava in scena il
pi grande procedimento penale di sempre contro cosa nostra: il maxipro-

43
Non si pu qui ricostruire lassidua e acutissima attenzione verso la mafia che il saggi-
sta e il romanziere (ma anche lautore teatrale, ripensando a I mafiosi, la riscrittura che nel
1972 Sciascia propose della commedia dialettale I mafiusi della Vicaria di Rizzotto e Mosca)
hanno avuto nel corso dellintera carriera; sar sufficiente ricordare che a tuttoggi lautore di
A ciascuno il suo rimane, da scrittore, una delle pi preziose fonti per conoscere e comprende-
re la storia e lantropologia di cosa nostra, nonch le connivenze politiche, le complicit isti-
tuzionali, lhumus culturale che lhanno sostenuta e favorita dallUnit dItalia alla fine del
Novecento.
44
L. Sciascia, A futura memoria, cit., p. 797.
630 Matteo Di Ges

cesso istruito dai giudici Falcone e Borsellino e dallo straordinario pool di


magistrati della procura di Palermo guidato da Antonino Caponnetto, aper-
tosi nel 1986, al quale dar un contributo decisivo le deposizioni del penti-
to Tommaso Buscetta. Di quei delitti e del contesto che li generava Sciascia
fu un indagatore ingegnoso, prima ancora che un appassionato commenta-
tore, capace di mettere a frutto la sua vocazione per la ricerca della verit, la
sua passione per il diritto e la sua procedura coniugandole con la sua antica
conoscenza geoantropologica degli eventi e delle loro dinamiche: essendo,
per meglio dire, da siciliano, dei medesimi pensamenti, del medesimo sen-
tire dei suoi corregionali45.

In queste pagine lo scrittore si mostra lucido:

E con ci ho detto la mia opinione riguardo alle ragioni per cui sono stati uccisi:
Cesare Terranova stava occupandosi di qualcosa per cui qualcuno ha sentito in-
combente o immediato il pericolo. Non credo n alla vendetta freddamente pre-
parata per cose passate n al timore per il suo ritorno allattivit di magistrato46.

Abile a discernere il carattere di alcuni dei protagonisti di quelle vicende,


senza subirne il fascino (come accadde ad altri pubblicisti):

Buscetta parla con voce ferma, pacata. Quale che sia la domanda che gli si rivol-
ge, non si innervosisce, a momenti sembra anzi divertirsene. [...] Si sar benissi-
mo accorto, in questi giorni, di aver perduto la benevolenza della stampa: ma non
sembra darsene pensiero. [...] La stampa dovrebbe fare un po di autocritica sul
fatto di aver creduto e di aver fatto credere che Buscetta fosse langelo stermina-
tore incombente sullintera mafia siciliana e internazionale. Buscetta semplice-
mente un uomo che ha visto intorno a s cadere familiari ed amici, che sente in
pericolo la sua vita, e vuole dalla parte della legge trovare vendetta e riparo47.

45
la definizione di Pitr che Sciascia riprende nel suo saggio introduttivo al primo volume
delle opere di Brancati, per precisare e far propria lidea di Sicilia che viene fuori dalle pagine dello
scrittore catanese. Mi sembra importante tenere presente, per il nostro discorso, almeno questo pas-
saggio di quel testo sciasciano, essendo oltretutto coevo ai pi scabrosi articoli raccolti in A futura
memoria: Da questa credenza deriva, alla pagina di Brancati, un che di iniziatico, di segreto: una
sintassi, una cifra che possono essere interamente sciolte da coloro, direbbe il Pitr, che sono dei
medesimi pensamenti, del medesimo sentire di lui: e cio dai siciliani e da coloro che nella condi-
zione siciliana sanno immedesimarsi per simpatia, per conoscenza. Non si tratta soltanto di una diffi-
colt strumentale: dialetto, struttura dialettale della frase, riferimenti a tradizioni ed abitudini, a par-
ticolarit storiche; si tratta, soprattutto, di una difficolt sentimentale. Da ci un margine di intra-
ducibilit, che, paradossalmente, si riduce (o si pu ridurre) nelle traduzioni in altre lingue, ma si
allarga per il lettore italiano che non sia passato, con attenzione e affezione, da Verga a Pirandello,
L. Sciascia, Del dormire con un occhio solo, introduzione a V. Brancati, Opere 1932-1946, a c. di L.
Sciascia, Bompiani, Milano 1987, vol. II, pp. IX-X, corsivo mio.
46
L. Sciascia, A futura memoria, cit., p. 797.
47
Ivi, pp. 849-850.
Leonardo Sciascia, giornalista malgrado tutto 631

Talvolta capace di una freddezza che spiazza e innesca inevitabili contrad-


dittori:

Il generale Dalla Chiesa ha fatto i suoi errori, dunque: e lultimo, fatale, stato
quello di non aver stabilito un sistema di vigilanza e protezione intorno alla sua
persona. Dire che sarebbe stato inutile tanto pi insensato del dire che sarebbe
sicuramente servito.
Domandarsi perch non ha voluto creare intorno a s un tale sistema del tutto
naturale e legittimo. E la risposta che ci si pu dare potrebbe anche essere di un
qualche lume e servire. E dunque: perch? Come diceva Savinio, avverto gli
imbecilli che le loro eventuali reazioni a quanto sto per dire cadranno ai piedi
della mia gelida indifferenza. E la mia risposta questa: il fatto che il generale
Dalla Chiesa si fosse identificato nel capitano dei carabinieri del Giorno della
Civetta dimostrazione, piccola quanto si vuole, di quel che pensava di s e della
mafia48.

Pietoso nellindignazione:

E meraviglia ed indigna che in un manifesto affisso a Palermo, questi due uomi-


ni che hanno passato insieme, confidenti, quasi una vita e che insieme sono
morti, abbiano avuto separazione e distinzione tipografiche: a grossissime lettere
il nome di Cesare Terranova, a piccolissime quello di Lenin Mancuso49.

Non c dubbio, tuttavia, anche solo esaminando questi prelievi testuali,


che lo stile degli articoli di A futura memoria, appaia in parte difforme rispet-
to a quello degli interventi degli anni precedenti. Pur sempre elegantemente
asciutta e precisa, la lingua di Sciascia sembra come condizionata dallurgen-
za argomentativa: la ricerca del lemma apparentemente straniante e quasi
stemmatico, che altrove schiariva il senso di un ragionamento, qui tra-
scurata in favore di una impellenza polemica che richiede di mettere da parte
ogni leggerezza letteraria. Lironia ineffabile che ancora sorreggeva perfino
le pagine pi battagliere e drammatiche di Nero su nero, il loro andamento a
prima vista digressivo, in A futura memoria sovente lascia il posto a una con-
citata seriosit. Certo il genere giornalistico maggiormente frequentato dal-
lautore in questo periodo (e conseguentemente antologizzato in questo
libro) non pi lelzeviro ma quasi sempre il commento da prima pagi-
na, il che in parte spiegherebbe le ragioni di certi mutamenti della prosa
sciasciana. Tuttavia un editorialista stanco e assai disincantato, probabil-
mente segnato dalle tante dispute dialettiche degli anni precedenti e finan-
che dalla esposizione mediatica degli anni parlamentari, quello che intervie-
ne sui quotidiani negli anni Ottanta. Di certo ormai un polemista senza

48
Ivi, pp. 800-801.
49
Ivi, pp. 774-775.
632 Matteo Di Ges

gioia50. Per comprendere lo stato danimo che determina queste significati-


ve, quandanche lievi, modificazioni della forma della scrittura, si dovr forse
risalire ancora alla vicenda Moro e allelaborazione dellAffaire. Sciascia
stesso a fornire indizi sufficienti, in un articolo su cui torna a parlare del suo
pamphlet (ma che significativamente finisce, dopo ampia divagazione, con
quella definizione astronomica della letteratura citata in precedenza):

Ogni anno, qui in campagna, scrivere un libro un piccolo libro per me ripo-
so e divertimento: quale ne sia loggetto, la materia. Il riposo e divertimento della
scrittura, il piacere di fare un testo (e questo piacere , per un autore, la sola misu-
ra di quello che sar per il lettore e per il critico ma per il critico che riuscir a
non perdere la condizione di lettore il piacere del testo): Ma questo su Moro mi
ha dato una inquietudine che sconfinava nellossessione. E ne esco stanco: per
con limpaziente voglia di mettermi ad altra scrittura, ad altro testo51.

Si pu dire che da quel fatidico 1978, Sciascia abbia dirottato quel barthe-
siano piacere di fare un testo prima solo a quei piccoli libri, quasi spigola-
ture storiche e letterarie, che licenzia nellarco di otto anni (da Dalle parti
degli infedeli, 1979 a 1912+1, 1986); quindi, tornando alla narrativa, a sotie
e romanzi brevi di luminosa leggerezza ma non certo ottimistici nei con-
tenuti come Il cavaliere e la morte (1988) e Una storia semplice (1989). Sono
venute ormai meno, per lo scrittore, le condizioni (sia intime che pubbliche,
si direbbe) per mantenere qualsivoglia diletto mentale che si riverberi anche
nelle forme della prosa giornalistica.
Anche di tutto ci si deve tener conto esaminando il celebre articolo I
professionisti dellantimafia, uscito con questo titolo redazionale sul Cor-
riere della sera del 10 gennaio 1987, e la polemica che esso scaten. In quel
lungo articolo Sciascia prendeva le mosse da un saggio dello storico Christo-
pher Duggan, dal quale desume lindicazione di come, in epoca fascista, lan-
timafia sia stata utilizzata anche come strumento di potere. Il che, e qui
lautore si sposta sul versante dellattualit, pu benissimo accadere anche in
un sistema democratico, retorica aiutando e spirito critico mancando. I casi
esemplari sono due: il primo quello di un sindaco che si proclama pubbli-
camente antimafioso (si tratta, con tutta evidenza, di Leoluca Orlando, allo-
ra primo cittadino democristiano di Palermo, a capo di una giunta che, rom-
pendo con la parte della DC pi compromessa con la mafia, era sostenuta da
una maggioranza che, tra laltro, comprendeva il Partito Comunista e alcuni

50
Naturalmente non si vuole intendere che, prima degli anni di A futura memoria, Sciascia
discettasse allegramente di accadimenti tragici. Si vuole evocare semmai quella gioia di ascen-
denza montaignana (non faccio niente senza gioia) quale condizione mentale che , per il
Nostro, presupposto della scrittura e della lettura: cfr. L. Sciascia, Del rileggere, in Cruciverba
[1983], in Opere 1971-1983, cit., pp. 1220-1224.
51
L. Sciascia, Nero su nero, cit., p. 827.
Leonardo Sciascia, giornalista malgrado tutto 633

consiglieri espressi da movimenti civici), ma si tratta ancora di un esempio


ipotetico. Laltro, attuale ed effettuale riguarda lassegnazione da parte del
Consiglio superiore della magistratura del posto di procuratore della repub-
blica a Marsala al giudice Paolo Borsellino motivata, eludendo il principio di
anzianit, dallesperienza maturata dal giudice nella lotta alla mafia. Sciascia
concludeva velenosamente: I lettori, comunque, prendano atto che nulla
vale pi, in Sicilia, per fare carriera nella magistratura, del prendere parte a
processi di stampo mafioso52.
Ribattendo alle accuse che gli vennero tempestivamente formulate (e
alcune, come il comunicato emesso del Coordinamento antimafia di Palermo
un consesso della societ civile politicamente impegnata , spiccavano per
violenza inquisitoria e incivilt) Sciascia ebbe modo di chiarire che nessun
risentimento o dissenso personale lo animava conto i soggetti tirati in ballo:

Non del fatto che fosse stato promosso il giudice Borsellino mi allarmavo, ma del
modo. [...] Spero che il sindaco di Palermo che, come ho gi detto, mi sim-
patico ne scenda al pi presto e si metta a camminare per la citt. Vedr le stes-
se cose che vedo io e, se sapr ascoltare la gente, sentir le stesse cose che sento
io. [...] Non solo non mi permetto di dare giudizio sulle persone che non cono-
sco, ma con molta cautela giudico quelle che conosco. [...] Reo, secondo i pro-
fessionisti dellantimafia, per avere attaccato il sindaco di Palermo, di pi grave
reit mi si carica per avere attaccato come carrierista il dottor Borsellino, pro-
curatore della repubblica a Marsala, cosa per niente vera ed evidentissima in quel
mio articolo. Ho attaccato invece il modo, e il principio che su quel modo veni-
va a stabilirsi, con cui il Consiglio superiore della magistratura ha proceduto alla
sua nomina. [...] Nel momento in cui ho scritto larticolo per cui tanto reo tempo
si volse e si volge, io nulla sapevo del dottor Borsellino53.

E trov loccasione, soprattutto, per precisare il senso profondo di quella


sua sortita e i presupposti etici, democratici che ne erano a fondamento:

Contro la mafia io difendevo il diritto e la dignit umana, come oggi contro le


storture dellantimafia. [...] Respingere quello che con disprezzo viene chiamato
garantismo e che poi un richiamo alle regole, al diritto, alla costituzione
come elemento debilitante nella lotta alla mafia, un errore di incalcolate conse-
guenze. [...] La democrazia non impotente a combattere la mafia. O meglio:
non c nulla nel suo sistema, nei suoi principi, che necessariamente la porti a
non poter combattere la mafia, a imporle una convivenza con la mafia. Ha anzi
tra le mani lo strumento che la tirannia non ha: il diritto, la legge uguale per tutti,
la bilancia della giustizia. Se al simbolo della bilancia si sostituisse quello delle

52
L. Sciascia, A futura memoria, cit., pp. 862-869.
53
Ivi, pp. 872-882 (con tagli).
634 Matteo Di Ges

manette come alcuni fanatici dellantimafia in cuor loro desiderano saremmo


perduti irrimediabilmente54.

A ben vedere, in quel famigerato articolo, Sciascia svolgeva meglio: riba-


diva una tesi tuttaltro che deprecabile: non bisogna deflettere, nel com-
battere la mafia, dai principi democratici dello stato di diritto e dalla costitu-
zione. Si pu forse imputare allo scrittore poca accortezza nello scegliere i
suoi esempi, ipotetici e fattuali che fossero (lassassinio di Paolo
Borsellino, cinque anni dopo, lo attesta tragicamente) o il suo anteporre il
proprio modello agonistico come stato definito della militanza intel-
lettuale a qualsiasi altra ragione dettata dalla cautela o dagli inevitabili rischi
delle strumentalizzazioni. Non era certo la prima volta che lo scrittore inter-
veniva sulle vicende della giustizia italiana e non sarebbe stata lultima: lo
aveva fatto in occasione dellarresto di Enzo Tortora per camorra, sostenendo
a gran voce la sua innocenza e lassurdit della sua detenzione, lo avrebbe
fatto per il caso Sofri, per le stesse ragioni. Resta il fatto che le strumentaliz-
zazioni politiche di quellarticolo, spesso del solo titolo redazionale, sono
state, sono tuttoggi, frequentissime quanto superficiali, tendenziose e volga-
ri. Ma soprattutto tocca in sorte, al Maestro di Regalpetra, essere ricordato,
nellopinione pubblica, quasi solamente per quel pezzo, se vero che, sulla
stampa nazionale, la ricorrenza ventennale di quella polemica, nel 2007, ha
avuto forse pi eco del secondo decennale della scomparsa dello scrittore, e
che ai professionisti dellantimafia sono stati dedicati ben due convegni nel-
larco di due decenni.
Davvero una ventura ingrata, anche soltanto per il giornalista Sciascia,
autore di quasi settecento articoli. Nonch per uno pei pi grandi scrittori
civili del Novecento italiano.

54
Ivi, pp. 874-877. Per una parziale ricostruzione delle polemiche che suscit quellarti-
colo, si veda M. Collura, Il Maestro di Regalpetra. Vita di Leonardo Sciascia, Longanesi, Milano
1996.
UGO PEROLINO

Arbasino e il caso Moro:


In questo Stato (1978-2008)

Dalla fine degli anni Settanta lattivit pubblicistica di Alberto Arbasino


cresce di intensit fino a sostituire le strutture della fiction1, in coincidenza
con la cesura storico-politica del caso Moro. Il corrosivo pamphlet In questo
Stato 2 esibisce una superficie frammentaria e composita, un montaggio di
demenze e deliri italiani registrati a caldo e a nudo, con lorecchio teso
al chiacchiericcio di seconda mano e di terzordine dei nouveaux philo-
sophes allitaliana (QS 31) e con occhi brechtiani (QS 7), lasciando depo-
sitare in patchwork di scrittura il volume gassoso della lingua parlata, anche
perch rimanga qualche cosa (conversazioni autentiche, giudizi autentici, fol-
lies autentiche, pezzetti di giornale che gi sembrano nonsense appena
poche settimane dopo) allinterno di una tradizione letteraria, quella italia-
na, che non mai molto ricca di queste testimonianze dal vivo... n di epi-
stolari e diari e memorie (individuali o collettive) che possano in qualunque
modo restituire il vero colore, la vera atmosfera di unepoca. Il caso Moro
rappresenta per Arbasino uno snodo essenziale lungo una linea di lettura
della societ italiana che da Fantasmi italiani 3 (Roma, Cooperativa Scrittori,
1977) scorre nellacido zibaldone di Un Paese Senza (Milano, Garzanti, 1980)
fino a Paesaggi italiani con zombi (Milano, Adelphi, 1998).

1
Non si deve per dimenticare lattivit di manutenzione e aggiornamento delle opere
edite, a partire dal romanzo Fratelli dItalia, che Arbasino continua a riscrivere fino a triplica-
re la originaria dimensione del testo.
2
Cfr. A. Arbasino, In questo Stato, Milano, Garzanti, 1978 (in seguito con la sigla QS
seguita dal numero di pagina). La prima edizione appare nel settembre 1978, la seconda nel
mese di ottobre. Poi ID., In questo Stato, Milano, Garzanti 2008 (successivamente con la sigla
NQS), con una nuova Postfazione (pp. 185-210) dal titolo Delitti & canzoni che sar di segui-
to indicata con la sigla NP.
3
In una nota su Fantasmi italiani Alfredo Giuliani definisce lo scrittore lombardo un
cabarettista della Kulturkritik. Alla scrittura arbasiniana, annota Giuliani, si deve riconosce-
re una grande idea strutturale che consiste, da un lato, nel trasferire metodicamente la
Kulturkritik [] dal teorizzare serioso e dottrinario al piano dellosservazione comune, e dal-
laltro nelladesione stilistica al piano della performance. Cfr. A. Giuliani, Cabaret di fanta-
smi italiani, in Id., Autunno del Novecento, Feltrinelli, Milano 1984, pp. 107-113 (le citaz. a
p. 107).
636 Ugo Perolino

Il confronto con una cronaca politica e criminale tra le pi tragiche e


complesse e difficili da spiegare (QS 26) impone la ricerca di inedite moda-
lit di racconto fondate sul ritmo di una performance fonica e gestuale.
Arbasino privilegia il collage di materiali in sospensione: conversazioni
autentiche, giudizi autentici pezzetti di giornale che gi sembrano non-
sense appena poche settimane dopo. La tecnica formalizza peraltro una pre-
cisa visione del lavoro culturale e della prospettiva politica in cui tale lavoro
destinato a innestarsi. Lo scrittore lombardo registra la transizione dal
romanzo storico o classico come Fratelli dItalia, un Bildungsroman e
Grand Tour di formazione e narrazione giovanile, con digressioni... picare-
sche e filosofiche e libertine (NP 188) oppure dal romanzo a frammenti
mobili come Super-Eliogabalo, composto nel 1968 e ristampato esattamen-
te dieci anni dopo ad una performance del tutto corale, aperta, spalanca-
ta, registrazione personale e politica rimescolata con gli infiniti paragoni
e rinvii che emergono spontanei e coatti dalla cultura, dalla letteratura, dai
precedenti storici, dalle analogie inevitabili, dalle conversazioni continue fra
la gente per questi due interi mesi (QS 7). Registrazione, montaggio,
collage: la descrizione metalinguistica include espliciti riferimenti (para-
goni, paralleli e analogie) al repertorio dellEspressionismo e della Nuova
Oggettivit, bilanciando lo straniamento4 indotto con il richiamo alle tona-
lit del libretto di conversazioni e al feuilleton, da intendersi esattamente
come appendice giornalistica dal momento che alcuni brani del libro vengo-
no pubblicati in prima accaldata stesura sul quotidiano La Repubblica5.

Nel trapasso italiano fra Moro e Andreotti e Craxi pareva pi opportuno


scrive Arbasino nella nuova postfazione del 2008 riflettere ancora []

4
Forse questo spaccato o montaggio di demenze e deliri italiani non mi sarebbe nean-
che venuto in mente, se avessi vissuto quella svolta in una situazione di indifferenza italiana
collettiva, e non di quello straniamento o stacco iniziale che mi ha fatto vedere per qual-
che giorno come con occhi brechtiani la nostra famosa incoscienza travestita da seriosit,
con la nostra irresponsabilit, la nostra leggerezza, e una certa vera ferocia; e diversi altri carat-
teri tradizionali italiani per lo pi camuffati o appiattati in attesa di dare i numeri nelle fasi
pi acute delle nostre crisi nazionali. (QS 6-7).
5
Alcuni tratti di questo libretto di conversazioni secondo la buona tradizione del
feuilleton sono apparsi in prima accaldata stesura sulla Repubblica[]. Ringrazio anche
le mostre della Repubblica di Weimar che in questa stessa primavera, a Roma, hanno offerto
una quantit di riferimenti, strumenti, paragoni, paralleli, analogie, a chi voleva approfittare
dellEspressionismo e della Nuova Oggettivit. (QS 8) E pi oltre, con maggiore pertinenza
rispetto ai codici della narrativit: Continuare a fare giorno per giorno il variet televisivo e il
concorso ippico e la tavola rotonda e la polemichetta letteraria e la mostra-mercato delle
vacanze, come se niente fosse e dando quindi prova di tenuta? [] O tentare di far senti-
re lorrore della sua condizione a chi non se ne rende magari conto, a costo di ripetere maga-
ri non solo che il re nudo, ma si messo nudo per niente, mentre continuano a capitare cose
gravissime, cose che una volta si affrontavano con gli strumenti dellEspressionismo, della
Nuova Oggettivit? (QS 87).
Arbasino e il caso Moro: In questo Stato (1978-2008) 637

sui declini e degradi e sbandi in questa nazione spessissimo analizzata inutil-


mente, giacch senza (appunto) memoria e storia nazionale, ma solo naturale
(NP 189). La percezione della fine delle grandi narrazioni6 (anche politiche)
nella fase acuta degli anni di piombo autorizza una riscrittura mimetica fonda-
ta sugli atti di parole quotidianamente eseguiti nei pi diversi contesti sociali e
mediatici (conversazioni, ritagli di giornale, brani estratti dalle lettere di Moro,
gossip, discorsi politici, gerghi giovanili, le lettere e i piccoli annunci a Lotta
continua7). Si tratta di unoperazione in linea con i caratteri del postmoderni-
smo, i cui tratti formali, secondo le pi aggiornate diagnosi, sono essenzial-
mente da ravvisare nel ricorso sistematico al double coding come ibridazione
di stili e tradizioni formali (eclettismo) o contaminazione di valori sociosim-
bolici (cult quando il basso si ricodifica nellalto, kitsch quando accade lop-
posto); nella pratica esorbitante della citazione e dellallusione; nel pastiche
(contaminazione di langues indipendenti) e nella parodia (relazione ironica
tra un ipertesto e un ipotesto, particolarmente diffusa nelle epoche di trasfor-
mazione dei codici letterari)8. Alla morfologia postmoderna deve essere anche
ricondotta lalternanza metanarrativa lintreccio del racconto della storia al
racconto del discorso attraverso cui si narra la storia9 responsabile di inestin-
guibili ambiguit cognitive. Linsistenza sulla fluidit della parola, inoltre, appa-
re in Arbasino icasticamente lessicalizzata in un inventario di termini dibat-
tito, discorso (anche ironicamente deformati), giornalese (QS 24), biri-
gnao stampato (QS 32), ideologia italiana, parlerie sistematica (QS 134),
bla-bla culturale (QS 137) rappresentativi della degradazione impressa nei
codici della comunicazione di massa (tutti quei collettivi di formichine socio-
semio-ideologiche, QS 140). Lambiguit si installa nella intercambiabilit dei
codici, per cui un linguaggio massicciamente oggettivo e referenziale messo al
servizio di una originalissima soggettivit stilistica; e ancora, erode le distinzio-
ni di campo, tra invenzione letteraria e interpretazioni politologiche (nella
quarta di copertina di QS si legge significativamente: Alberto Arbasino []
esercita la narrativa e pratica la critica, con libri e su giornali e secondo un dise-
gno di storiografia altra del nostro tempo).

In una corrispondenza sul Corriere della Sera dedicata alle reazioni fran-
cesi al caso Moro, Alberto Cavallari ha disegnato il ritratto tragico-grottesco

6
Arbasino registra con pi intensa drammaticit durante i giorni del caso Moro linade-
guatezza e lo scollamento della cosiddetta ideologia italiana davanti ai fatti che costante-
mente la sorpassano e la lasciano indietro; e la flebilit o linsulsaggine di parecchia nostra let-
teratura, specialmente narrativa, rispetto agli enormi drammi e alle colossali stronzaggini che
agitano tutta la nostra societ, topaia facinorosa o laboratorio conflittuale. (QS 115).
7
QS 136.
8
Sulla morfologia postmoderna si veda S. Calabrese, www.letteratura.global Il romanzo
dopo il postmoderno, Einaudi, Torino 2006, in partic. pp. 20 sgg. (le citaz. sono a p. 29).
9
Ivi, p. 30.
638 Ugo Perolino

di un paese che, visto da Parigi, sembra officiare con indifferenza i riti di un


immutabile psicodramma nazionale:

Ieri fummo lausterit, la crisi, immediatamente contraddetta dalle pi alte


importazioni di champagne. scrive Cavallari Ieri fummo piazza Fontana,
seguita dalla commedia di Catanzaro. Ieri fummo la difesa dello Stato, ma cir-
colavano in Francia fotografie di un presidente della Repubblica che, a Pisa, salu-
tava facendo le corna. Laffare Moro quindi il capitolo finale di una lunga sto-
ria fatta di rapimenti diventati costume, di carceri senza serratura, di crisi poli-
tiche che non diventano mai drammi, di processi senza sentenza, di bandiere
offese con folklore, secondo una celebre frase di Queneau. Da un lato, i riti
della classe politica. Dallaltro il comique-cruel di una societ indifferente10.

Dallarticolo di Cavallari deve aver tratto qualche suggestione anche


Sciascia: la cornice drammaturgica dellAffaire Moro, con la frenetica distri-
buzione di lettere al mondo politico e oltre, la metafora del monarca demen-
te che, parlando dalloltretomba, necessariamente sarebbe portatore di
verit; una stridente mescolanza di generi e linguaggi tragedia e grand gui-
gnol che accende la rappresentazione ubuesque legata al comique-cruel di
Jarry, come se un terrorista ventriloquo fosse entrato nel corpo di Moro.
LItalia, annota ancora Cavallari, che i francesi vedono tradizionalmente
attraverso una lente deformante, lo stereotipo della maschera di Arlecchino o
di Pirandello, un Paese che non ha pi margini per sembrare diverso:

Giunge dal nulla dove lo hanno sprofondato la voce di un morto-vivo. Aldo


Moro divenuto loracolo italiano, lo aruspice terrificante che dice la verit al suo
partito. Per una specie di psicosi di massa, gli italiani identificano quella voce con
la loro coscienza. Tutta la classe politica vive di ci, nessun commentatore rifiuta
questo gioco sinistro...

In Sciascia, ne Laffaire Moro, sono esattamente questi i termini metafori-


ci che condizionano il gioco variabile di realt e illusione, verit e menzogna,
e che attivano gli emblemi pasoliniani del Palazzo e del Processo, la lingua del
Potere e le stanze vuote del Palazzo, gi sgomberate per occuparne altre pi
sicure, dove Moro aveva continuato ad aggirarsi solo: In ritardo e solo:
aveva creduto di essere una guida. In ritardo e solo appunto perch pasoli-
nianamente il meno implicato di tutti11. Ma prima che lo assassinasse-
ro, scrive Sciascia, Moro stato costretto... a vivere per quasi due mesi un
atroce contrappasso... Un contrappasso diretto: ha dovuto tentare di dire col

10
Cfr. A. Cavallari, LItalia paga il tempo delle cicale. Come Parigi giudica i nostri tormenti,
in Corriere della Sera, 27 aprile 1978.
11
Cfr. L. Sciascia, LAffaire Moro, Id., Opere 1971-1983, a cura di Claude Ambroise,
Bompiani, Milano 2001, p. 469.
Arbasino e il caso Moro: In questo Stato (1978-2008) 639

linguaggio del nondire, di farsi capire adoperando gli stessi strumenti che
aveva adottato e sperimentato per non farsi capire12. Cavallari ha intuito un
clima e ne ha tradotto la cifra espressiva il comique-cruel, la rappresentazio-
ne ubuesque, la cattura del sovrano, la mistura folclorica di sacro e sacrilego.
Alla drammaturgia barocca di Sciascia Arbasino oppone intenzionalmente il
lato del grand-guignol: la pi vistosa caratteristica di queste lettere cos imba-
razzanti e sconfessate, scrive, sembra piuttosto che non rivelano unango-
scia primaria, una disperazione autentica immediata e pi che legittimata
dalle circostanze il salvatemi ad ogni costo! di chi sta annegando o sta
appeso al cornicione bens eminentemente meschinit, dispettosit, picci-
neria, cavillo, e ripicca (QS 80)13. Il giudizio sulle lettere del presidente della
Dc si intreccia alla critica del falso unanimismo del compromesso storico
che pretende di mettere insieme democristiani di destra e comunisti di sini-
stra pur di raggiungere il 99% italiano e romano, conciliare e sinodale (QS
12). Se lideologia italiana rivela il rigetto (cattolicissimo) della Realt (QS
52), libridazione degli stili e dei linguaggi visualizza la reversibilit della tra-
gedia fruita come feuilleton (QS 84)14. Come una lente deformante e incon-
scia, che deforma la pi urgente attualit politica trasformandola in uno
sconnesso spettacolo nazional-popolare: non per nulla si chiamava proprio
Big Carnival 15 quel film archetipo che mostrava la veloce degradazione di
unagonia straziante in uno sgangherato spettacolo corale, enorme pollaio di
sceriffi e speculatori e reporters, di comitive domenicali e di spacciatori di
ricordini (QS 68).

La parodia comico-crudele della realt italiana, destinata a depositarsi


sulla pagina sotto forma di patchwork, mosaico o labirinto di voci e citazio-
ni, opera una decostruzione chirurgica dellidentit nazionale16. Lo stupida-

12
Ivi, p. 471.
13
E poco oltre: E allora, siccome chiaro che a qualunque brigata di qualunque colore
interessa Moro vivo, che dice e scrive delle cose imbarazzanti, e non gi Moro morto, che
diventa martire e viene fatto santo. (QS 81).
14
Colpa della solita societ dello spettacolo dove la tragedia fa inevitabilmente parte
della rappresentazione quotidiana continua, insieme alla pubblicit dei prodotti stagionali e
alle previsioni del tempo per il week-end, consumate sul medesimo piano dagli utenti degli
schermetti?.... (QS 85).
15
The Big Carnival (in italiano: Lasso nella manica, 1951) il titolo di un film di Billy
Wilder con Kirk Douglas nel ruolo di un giornalista privo di scrupoli, Charles Chuck
Tatum, costretto a trasferirsi nella provincia americana dove attende unoccasione di rilancio.
La trova quando una frana intrappola un operaio allinterno di una miniera e Chuck si accor-
da con lo sceriffo per rallentare i soccorsi, trasformando levento in un grande carnevale
mediatico, finch loperaio intrappolato muore.
16
Per unanalisi delle articolazioni ideologiche del concetto di identit si rimanda a N.
DAntuono, Forme e significati in Alberto Arbasino, Millennium, Bologna 2007 (Nuova Ediz.),
in partic. pp. 227 sgg. Arbasino lavora sui fondali basici di una visione destorificata, lan-
640 Ugo Perolino

rio flaubertiano raccolto in Un Paese senza, forse il libro pi impegnativo di


Arbasino dopo Fratelli dItalia, mette a frutto le analisi di Sylos Labini sulla
stratificazione delle classi sociali, le previsioni sulla societ postindustriale di
Alain Touraine, i tratti del carattere italiano fissati da Giulio Bollati sulla scor-
ta di una tradizione letteraria che ha nel Leopardi del Saggio sopra i costumi
degli italiani un documento di attuale e lucida antropologia del quotidiano.
Nelle pagine sul caso Moro lo scrittore lombardo trascrive alcuni nuclei che
troveranno eccezionale espansione nei libri successivi: la critica al keynesi-
smo17; il sarcasmo verso la piccola borghesia che riempie tutto il paese e
impartisce modelli di gusto e savoir faire al proletariato pi benestante18 (PS
27); lantigiovanilismo19 appoggiato su alcuni tratti del Pasolini luterano, il
fastidio verso i riti e i luoghi della cultura di massa 20, la scuola e luniversit;
la visione negativa dellindustrialismo21 e il rifiuto del dogma della centralit
operaia22, che Arbasino identifica ironicamente nel mito della classe metal-
lica (QS 42). Lo stile polemicamente aggressivo di Un Paese Senza risulta in

tropologia annulla le differenze; resistono per immutati i caratteri etnici o antropologici,


le identit, le costanti, i patterns, che poi diventano stereotipi. Ivi, pp. 228-30.
17
Per quali alleanze si potrebbero aprire a un paese mediterraneo pieno di debiti, privo
di cibi propri, non vogliosissimo di lavorare, gremito di lamentele e risentimenti e conflitti, e
bisognoso di metalli altrui per dare una ragion dessere alle proprie fabbriche e ai propri ope-
rai, nonch ghiotto di milioni di impieghi un po finti per tutti i cittadini che si ritengono
intellettuali? (QS 13-14).
18
Come stato osservato Arbasino, con tutte le specificit e diversit, si colloca nel filo-
ne di condanna moralistica e nel giudizio incollerito e sprezzante della piccola borghesia da
parte dei letterati italiani novecenteschi. Cfr. N. DAntuono, Forme e significati in Alberto
Arbasino, cit., p. 234, nota 7.
19
Lostilit ai riti delle nuove generazioni un leitmotiv della pubblicistica arbasiniana. Si
legge in Un Paese Senza: La rivoluzione e leversione per ottenere non una liberazione da cate-
ne e una libert individuale, ma un posto inamovibile nella burocrazia del sistema (enti, ter-
ziario) e un amalgama protocollare ai conformismi del proprio gruppo (PS 24). Secondo
Arbasino la fuga dalla fabbrica si combina nellimmaginario giovanile con la fissazione fetici-
stica per il posto fisso impiegatizio con tutte le sue connotazioni burocratiche e previdenziali
e di rispettabilit piccolo-borghese (PS 47).
20
La peste del dibbattito. La dissenteria del discorzo. Limpossibilit sopravvenuta di avvi-
cinarsi a uno spettacolo, a un film, a una mostra, a qualunque episodio o fenomeno cultura-
le, senza che decine e centinaia di parassiti della cultura si posino sul corpo dei film, dei bal-
letti, dei libri, delle musiche, per sistemarvi i loro convegni, i loro collettivi, i loro seminari, i
narcio-feticismi che coincidono col piccolo cespite e col piccolo reddito. (PS 63).
21
Un paese irreale: fabbriche spropositate, con posti di lavoro che costano ciascuno come
parecchi vitalizi. (PS 55).
22
La tradizione onirica e retorica del marxo-machismo italiano per cui il cuore della vita
italiana sono i gloriosi pensionati dello Stato, cio gli operai delle grandi imprese passive.
Come gli Invalides delle campagne patriottiche e delle battaglie perdute, mantenuti dalla
Nazione intera, coi guadagni dei settori meno gloriosi e meno ideologici, che per salvano
dalla bancarotta, e permettono celebrazioni e autoindulgenze coi ricavati del sommerso e del
nero. (PS 56).
Arbasino e il caso Moro: In questo Stato (1978-2008) 641

sintonia con umori e mutamenti che attraversano la societ italiana tra la fine
degli anni Settanta e linizio degli anni Ottanta, dalla crisi della grande
impresa alla affermazione dei ceti sociali legati al terziario, allespansione
impetuosa di una piccola borghesia impiegatizia inscritta nella trama di
mediazioni e interessi dei ceti politici nazionali e locali 23. Questa puntuale
coincidenza di ragioni personali e quadri sociali e ideologici in trasformazio-
ne tende a farsi meno nitida e perdere di aderenza nel decennio successivo.
Con una suggestione di lungo periodo: la scoperta, sotto la vernice della tarda
modernit, di un fondo arcaico e folclorico che torna a ripetersi identico24.

La nuova edizione apparsa in occasione del trentennale del caso Moro (nel
2008) presenta numerose microvarianti locali (di cui si forniscono di seguito
e in nota alcuni esempi), minime integrazioni e aggiunte25, e alcuni interventi
di modifica sullarchitettura complessiva del libro, operanti su tre livelli: deci-
frabilit, espressivit (aggiornamento lessicale e stilistico), ridefinizione delle
coordinate ideologiche. Complessivamente la somma degli interventi di
aggiornamento non sembra smentire la fedelt al testo originale sotto il pro-
filo della coerenza stilistica e storico-letteraria. Se si guarda agli indici, i primi
due capitoli non presentano differenze sostanziali tra QS e NQS (Visitate
lItalia in primavera, che nelledizione 2008 perde lultimo paragrafo, e
Rapimento Moro); Tradimento Gutenberg diventa Variazioni Gutenberg;
seguono LIdeologia italiana, La rivincita di Maria Goretti e Grand Htel sul-
labisso. In NQS viene invece espunto il capitolo Su su per una narrativa,
discussione per frammenti sul romanzo alla luce di nuove ipotesi di realismo
(uno scrittore testimonio del suo tempo e non del suo tinello, QS 130). La
nuova edizione recupera spessore con linserimento del capitolo Family Day

23
Silvio Lanaro ha parlato di fabbricazione di un ceto medio artificiale come scelta stra-
tegica dei governi moderati per favorire la stabilizzazione di nuovi equilibri politici. Cfr. S.
Lanaro, Storia dellItalia repubblicana dalla fine della guerra agli anni Novanta, Marsilio,
Padova 1992.
24
[] allora il Bel Paese il laboratorio sperimentale della (post-)Modernit! Ma basta
controllar la vecchiezza dei vizi e dei vezzi e le metafore e il birignao del linguaggio giornale-
se falso-moderno []; basta collazionare i gerghi da bisca, boxe, stadio, ippodromo [] cor-
rentemente applicati alle avvilenti manovre di vegliardi ingordi di potere [] E della moder-
nit ecco soprattutto la caricatura, il ghigno, la smorfia, accompagnata dalla parodia del
Progresso. (QS 35).
25
I microinterventi di aggiunzione di brevi segmenti o frasi sono spesso localizzati in fine
di paragrafo: Ma a chi, allora, la famosa Egemonia? Ai camici bianchi e non alle tute blu?
E i neo-architetti epici di Valle Giulia? E i neo-industrialotti padani o del Nord-Est? E i tra-
dizionali avvocaticchi del Profondo Sud, con fiumane di voti sottoproletari? (NQS 47); il
cesso medesimo sporge l in alto in alto sopra un vertiginoso abisso, e bisognano aggrappi per
potersi sporgere e non venir risucchiati dai vortici? (NQS 92). Rare, e con valore di coloritura
lessicale, le inserzioni di brevi paragrafi: Radio-taxi. Alucinanteee! Sto calcio nun pi cre-
dibileee! Nun ce sta pi er pathos! (NQS 102).
642 Ugo Perolino

e del collage Mattinale, mentre Dagli Appennini alle Ande (QS) cambia tito-
lo e diventa Serve una ricevuta? (NQS). Per quanto attiene agli effetti della
decifrabilit e della espressivit, Arbasino sembra intervenire con minimi
ritocchi per chiarire (o eliminare) riferimenti a fatti e a personaggi che
potrebbero non essere pi conosciuti dal lettore attuale (es. 1, 2, 3, 4), modi-
ficando lintonazione, precisando e rinforzando laggettivazione (es. 5) o pro-
sciugandone il tasso di letterariet (es. 6); contrastando lerosione semantica
mediante la dilatazione di un singolo termine in serie analitiche ed elenchi
(es. 7); interpolando nuovi brani, prodotti di collage (es. 8 e 9) o trascrizio-
ni di ricordi personali (es. 10):

(1) In questo caso Marchais (QS 20) Allora, il capo comunista Marchais
(NQS 22);
(2) si vedr presto a chi giova, se alla rivoluzione o se a Strauss (QS 19) si
vedr presto a chi giova, se alla rivoluzione o se ai moderati (NQS 21);
(3) e non per nulla si chiamava proprio Big Carnival quel film archetipo che
mostrava la degradazione di unagonia straziante (QS 68) e non per
nulla si chiamava proprio Big Carnival quel film archetipo di Billy Wilder che
mostrava la degradazione di unagonia straziante (NQS 73);
(4) Il governo che fa sommessamente come dormendo impotente il proprio
mestiere (QS 86) Il governo Andreotti che fa sommessamente come dor-
mendo impotente il proprio mestiere (NQS 93);
(5) per poi rappresentare il volto nuovo o moderno del Bel Paese con i
Giscard e i Carter e i Sadat e i Gheddafi e i Juan Carlos E della modernit
ecco soprattutto la caricatura, il ghigno, la smorfia, accompagnata dalla
parodia del Progresso (QS 35) per poi rappresentare il volto nuovo o
moderno di un Bel Paese coetaneo di Jimmy Carter e Juan Carlos, Giscard e
Gheddafi e Sadat e Thatcher e Castro? E della modernit ecco soprattutto
la caricatura, il ghigno, la smorfia, accompagnata dalla parodia camorristica
del Progresso (NQS 38);
(6) le manifestazioni spicciole di un grande e sapiente e tenebroso disegno
polimorfo dove tutto torna e tutto si riconduce a un pi o meno sensato o
insensato Fine, a una Provvidenza sventata e gaffeuse (QS 23) le manife-
stazioni spicciole di un grande e sapiente e tenebroso disegno polimorfo
dove tutto torna e tutto si riconduce a un pi o meno sensato o sventato
Fine amerikano, a una Provvidenza imperscrutabile (NQS 25);
(7) E se penso che sono andato a Londra nel 54 in treno e senza soldi e ho cono-
sciuto T.S. Eliot, e sono andato in America nel 59 in nave e sempre senza soldi
e ho conosciuto Eleanor Roosvelt, allora aveva ragione Palazzeschi mi pare
di rievocare cose davvero pi remote dellImpero Romano (QS 161-62), E
se penso che sono andato a Londra nel 54 in treno e senza soldi e ho conosciuto
T.S. Eliot e Ivy Compton Burnett e E.M. Forster, e sono andato in America nel 59
in nave e sempre senza soldi e ho conosciuto Edmund Wilson e Mary McCarthy
ed Eleanor Roosvelt, e frattanto Cline e Cocteau e Mauriac a Parigi, e Adorno a
Francoforte, allora aveva ragione Palazzeschi mi pare di rievocare cose davve-
ro pi remote dellImpero Romano (NQS 134);
Arbasino e il caso Moro: In questo Stato (1978-2008) 643

(8) Cheap, cheap. Noi che abbiamo fatto il Sessantotto! E noi che abbiamo
fatto il Sessantanove! Finalmente stata detta, eravamo in ansia, direbbe
Tot. (NQS 152);
(9) Luterane, corsari, lucciole, porcile, eretico, della Chiesa Cattolica, atti
impuri, la religione, il palazzo, lusignolo, le ceneri, orgia, affabulazione,
passione, in forma di rosa, Gramsci, Sade, San Paolo, la divina, la nuova
Vogliano tutto, un po. (NQS 153);
(10) Roma 1961-1962. Dopo aver frequentato i suoi corsi di dottrine politiche
a Harvard, e le sue colazioni sul campus con Schlesinger, Riesman,
Galbraith, Allen Tate, sociologi e politologi, e addirittura Eleanor Roosevelt
con le sue borsone da massaia al mercato, come ex-allievi di Kissinger si
ricambiava invitandolo qui nei suoi giri europei estivi con Pannunzio,
Benedetti, La Malfa, Gorresio, e altri. Una sera arriv sconcertato. Aveva
chiesto (come studioso, ancora senza cariche) di incontrare Moro. Gli ave-
vano proposto Morlino. Is that a diminution? chiese con sospetto il futu-
ro Segretario di Stato (NQS 104).

Sul piano della ridefinizione delle coordinate ideologiche intervengono tra


QS e NQS alcune significative limature:

Ma se per opporsi al cattolicesimo di quel 99% l, si deve ricascare nellaltro cat-


tolicesimo identico degli unanimismi e degli integralismi e delle emergenze e
delle convergenze, sempre cacciando comunque cani e gatti dentro lo stesso
sacco del 99% forzoso e sempre regime ecco ancora una volta impossibile
che la Democrazia continuamente invocata riesca ad assumere le connotazioni
finalmente laiche di un bipartitismo fra interpartiti ormai tutto sommato simi-
li e affini come laburisti e conservatori in Inghilterra, o repubblicani e democra-
tici negli Stati Uniti. (E a che cosa si devono limpossibilit del bipartitismo, lor-
rore per ogni alternativa, e il regime del 99%? e che si consideri una jattura
il mancato 99% nelle elezioni parlamentari del Presidente, mentre in contesi pi
sani non pare affatto jattura lelezione popolare del medesimo col 51%? Anche
alle mediazioni del rapito, o no? E non sar anche poi tipico che il mediatore o
paciere finisca bastonato dalle due parti?). (QS 16)
Ma se per opporsi al cattolicesimo di quel 95% l, si deve ricascare nellaltro cat-
tolicesimo identico degli unanimismi e degli integralismi e delle emergenze e delle
convergenze, sempre cacciando comunque cani e gatti dentro lo stesso sacco del
95% forzoso e sempre regime ecco ancora una volta impossibile che la
Democrazia continuamente invocata riesca ad assumere le connotazioni finalmen-
te laiche di un bipartitismo fra interpartiti ormai tutto sommato simili e affini
come laburisti e conservatori in Inghilterra, o repubblicani e democratici negli Stati
Uniti, ma con tante piccole clientele decisive. (E a che cosa si devono limpossibi-
lit del bipartitismo, lorrore per ogni alternativa, e il regime del 95%? e che si
consideri una jattura il mancato 95% nelle elezioni parlamentari del Presidente,
mentre in contesi pi sani non pare affatto jattura lelezione popolare dl medesi-
mo col 55%? Anche nelle mediazioni per il rapito, o no? E non sar anche poi tipi-
co che il mediatore o paciere finisca bastonato dalle due parti?). (NQS 17-18)
644 Ugo Perolino

Al di l dei ritocchi formali, la modifica intervenuta in chiusura tra QS


(E a che cosa si devono limpossibilit del bipartitismo Anche alle media-
zioni del rapito) e NQS (E a che cosa si devono limpossibilit del biparti-
tismo Anche nelle mediazioni per il rapito) alleggerisce latteggiamento
verso la figura di Moro.

E voi non credete che in Germania o in Cecoslovacchia o in Israele o a Cuba, prima


sarebbe uscita la notizia di un tragico ammutinamento nelle principali carceri con
quaranta o cinquanta morti ammazzati, e molto pi tardi si sarebbe saputo di un
certo rapimento? (QS 18-19)
E voi non credete che a Cuba o in Cecoslovacchia o in Cina sarebbe prima uscito
un lancio dagenzia con parecchi morti in un tragico episodio, e molto dopo lo stre-
pitoso annuncio del rapimento di un Grande Capo locale nella capitale medesima,
tipo LAvana, Praga, Pechino, o anche Santiago, Bratislava, Shangai? (NQS 21)

La riscrittura del brano, pur lasciandone inalterata la forma retorica, atte-


nua il sottinteso e spregiudicato invito alla Realpolitik, confidente senza
ripensamenti nella linea della fermezza.
Nel complesso analoghi interventi tipologici, connotati da una ricerca di
semplificazione sintattica e da maggiore adesione al linguaggio parlato e col-
loquiale, sono evidenziati da Raffaele Manica nelle note alledizione
Mondadori26 dellAnonimo lombardo che riproduce il testo Adelphi del 96.
In chiusura, si segnala soprattutto qualche preziosa messa a punto, sottili
interventi di stile concentrati sulla grazia del linguaggio parlato27. Ma in
quella nuova scelta lessicale la grazia che trascrive e dissimula elementi
memoriali, si deve riconoscere un prestito pasoliniano, nel quadro di una
funzione-Pasolini la cui vitalit intride le pagine sul caso Moro per il rilievo
conferito ai temi corsari e luterani della mutazione antropologica, del falso
progresso, della cesura generazionale, che fanno da cornice alla rappresenta-
zione della comdie italienne.

26
Cfr. A. Arbasino, Romanzi e racconti, vol. I, a cura e con un saggio introduttivo di
Raffaele Manica, Cronologia scritta da Alberto Arbasino con Raffaele Manica, Mondadori (I
Meridiani), Milano 2009. La cit. a p. 1442 e si riferisce in particolare alle varianti intro-
dotte nella edizione adelphiana dellAnonimo lombardo (1996).
27
Per maggiori dettagli si rimanda alle note allAnonimo lombardo, ibid., pp. 1441 sgg.
Sulle divenire del testo di Fratelli dItalia cfr. La scrittura infinita di Alberto Arbasino,
Interlinea, Novara 1999, con studi di Clelia Martignoni, Cinzia Lucchelli, Elisabetta Camma-
rata.
LUIGI WEBER

Un salutare difetto ottico.


Edoardo Sanguineti pubblicista e recensore

Premessa
Questo libro racconta sette storie, sono storie di scrittori e di libri, e si svolgono
quasi tutte tra il 1964 e il 1980. [] Volevo raccontare la storia di una lunga
crisi, che coincide con quella della societ italiana nel corso di quel decennio
gli anni Settanta []. Se da questo percorso sono stati esclusi autori importanti
come Moravia, Volponi, Natalia Ginzburg, Edoardo Sanguineti, Elsa Morante,
[], perch ho voluto comportarmi alla stregua di un romanziere, che sceglie
di volta in volta in personaggi e le loro storie.

Cos Marco Belpoliti inaugura il suo Settanta 1, un libro meritorio per lo


sforzo di illustrare la simbiosi tra gli intellettuali e il loro contesto socio-poli-
tico. E se Belpoliti ha perfettamente ragione a riservarsi il privilegio di sele-
zionare i personaggi del suo racconto, mantenendo peraltro ben chiaro chi
siano gli esclusi e con quanti buoni motivi costoro avrebbero potuto essere
inclusi, non pu ingannarsi su di un fatto: ha lasciato aperto uno spiraglio a
chi si sentisse tentato di proseguire il suo lavoro, apocrifo eppure giustificato
dalla passione accesa dal tema, come Alonso Fernandez de Avellaneda con il
Don Chisciotte, e di scrivere qualcuno dei capitoli mancanti.
Questo, nella fattispecie, ci che vorremmo, sia pur in minore, speri-
mentare qui.

Sotto la Lanterna

Lattivit pubblicistica regolare2 di Edoardo Sanguineti si compie per gran

1
M. Belpoliti, Settanta, Einaudi, Torino 2001, p. IX.
2
Sanguineti collabor attivamente con numerosi fogli e riviste, in particolar modo lungo
larco degli anni Settanta. La produzione dal 1973 al 1982 stata raccolta a tuttoggi in cin-
que volumi: Giornalino 1973-1975, Einaudi, Torino 1976, Giornalino Secondo 1976-1977,
Einaudi, Torino 1979, Scribilli, Feltrinelli, Milano 1985 (contiene gli articoli del 1978 e del
gennaio-giugno 1979), Ghirigori, Marietti, Genova 1989 (da giugno 1979 a dicembre 1980),
646 Luigi Weber

parte, anche se non esclusivamente, in forma recensoria3. Inizia sulle pagine


romane di Paese Sera nel maggio del 1973, con una rubrica dal titolo
Giornalino, e fino al 1975, salvo alcune uscite estemporanee su LEspresso
e sul Giorno, a tali colonne si limita. Ma nel gennaio 1976, con uno scrit-
to molto importante e programmatico intitolato A partire dal pubblico 4, a
quella rubrica si affianca, sullUnit edizione ligure, Sotto la Lanterna,
deputata alla critica teatrale. Pi che evidente, inutile dirlo, il rimando alla
gramsciana Sotto la Mole. E le collaborazioni in breve si moltiplicano; sono
molte le testate quotidiani o settimanali che in quegli anni ospitano la
penna di Sanguineti: nellelenco troviamo Repubblica, Rinascita, Il Se-
colo XIX, Il Lavoro di Genova (dove la rubrica si trasfer col nome di Scri-
billi nel 1980), pi varie apparizioni in Tuttolibri, LApprodo, La Citt
Futura Civilt delle macchine, Il Giorno, LAstrolabio, Alfabeta.
La scelta, dunque, molto netta: nel vasto cosmo della stampa di sinistra,
in anni in cui lextraparlamentarismo era in costante crescita, e con alle spal-
le non troppo lontana unesperienza come quella di Quindici, la rivista che
spettacolarizz la fine del Gruppo 63 lacerandosi sotto la pressione della piaz-
za sessantottesca, Sanguineti opta per le voci pi istituzionali, pi vicine al
PCI, su tutte naturalmente LUnit e Paese Sera. Non solo: ricoprire, nel
quotidiano fondato da Gramsci, il ruolo del recensore teatrale, ossia il mede-
simo ruolo che sessantanni prima Gramsci stesso sulle colonne de LAvanti!
aveva interpretato con grande passione e finezza5, appare una mossa di poli-
tica culturale assai consapevole.
Gramsci e Sanguineti (cui va aggiunto il parallelo rapporto Sanguineti-
Brecht): ecco il cuore della questione6. In entrambi i casi Sanguineti si con-
duce, mettendo in campo appunto la propria competenza professionale di
specialista della lettura, di tecnico dellinterpretazione, come un intransigen-

Gazzettini, Editori Riuniti, Roma 1993 (le annate 1981-1982). La ristampa in volume del
Sanguineti pubblicista, malgrado la vasta fortuna editoriale che lopera sua tutta ha ricevuto
dal 2000 in avanti, , cos, ferma da ormai tre lustri. Ma tale attivit, certo diradatasi, non
venne meno dopo il 1982, specie su Rinascita. Restano ancora sparsi i non pochi scritti, che
potremmo definire di giornalismo dinvenzione, in forma di dialoghetti o di leopardiane
operette morali, ivi pubblicati almeno dal 1983 al 1987. I dodici testi pi rappresentativi di
questa serie, con il titolo autoriale di Taccuini, sono stati riproposti integralmente, a cura di
chi scrive, in Poetiche, a. 2007, n. 3, pp. 417-475.
3
Cfr. in proposito lampio ed esaustivo saggio di F. Vazzoler, Il critico in poltrona.
Sanguineti recensore, in Id., Il chierico e la scena. Cinque capitoli su Sanguineti e il teatro, il
melangolo, Genova 2009, pp. 61-106.
4
Articolo del 30 gennaio 1976, ora in Giornalino secondo, cit., pp. 11-13.
5
Le sue cronache sono raccolte in A. Gramsci, Sotto la Mole (1916-1920), Einaudi, Torino
1975.
6
A tal proposito ci sia permesso rimandare al nostro Dal Capitale ai Quaderni: per
una storia della critica sanguinetiana, in Poetiche, a. 2002, n. 2, pp. 219-249.
Un salutare difetto ottico. Edoardo Sanguineti pubblicista e recensore 647

te difensore dellortodossia testuale, da un lato contro le distorsioni subite dal


teatro di Brecht prima in patria ad opera del Berliner Ensemble gi irrigidi-
tosi in accademia, poi in Italia soprattutto tramite il filtro strehleriano7, e dal-
laltra contro le troppe semplificazioni anche deformanti patite dal pensiero
e dallopera di Gramsci. Non va dimenticato che in quello stesso torno di
tempo, per la precisione nel 1975, Valentino Gerratana aveva finalmente
compiuto ledizione critica dei Quaderni dal Carcere, e la figura del grande
intellettuale sardo era stata restituita al dibattito culturale nazionale e inter-
nazionale con inedita autorit. Tanto pi se si considera che per tutti gli anni
Cinquanta, in parte anche nei Sessanta, il profilo di Gramsci era invece rima-
sto prigioniero della vulgata togliattiana, e in ogni caso la sua statura pareva
pi affidata allaltezza del documento umano, eroico e talora recepito pateti-
camente delle Lettere, piuttosto che alla vasta riflessione dei Quaderni.
Sanguineti, nel decennio documentato dai cinque volumi di suoi scritti gior-
nalistici, affronta in non meno di cinquanta articoli questioni del pensiero
gramsciano o singoli passi, ma sintomatico notare con quale scansione tem-
porale ci avvenga: nessun articolo nel 1973, solo due fuggevoli accenni nel
1974, quattro nel 1975, gli ultimi due dei quali (ma i primi di un certo impe-
gno8) sono gi dichiaratamente post-Gerratana.
Il biennio seguente, poi, quello che vede la maggior presenza di Gramsci
nei Giornalini, tanto vero che i tre importanti saggi dedicatigli da
Sanguineti9, dieci e addirittura ventanni pi tardi, trovano la loro elabora-
zione, perfino in certi luoghi una sorta di palinsesto semidefinitivo, nella
gran messe di articoli stesi tra il 1976 e il 1977. I temi discussi sono i mede-
simi, e tutti stretti in una visione dinsieme: legemonia culturale, il rapporto
educativo tra adulti e giovani, la funzione organizzativa degli intellettuali, li-
dea di intellettuale collettivo, la questione della lingua e del dialetto, il rap-
porto campagna-citt, il tormentato nesso di nazionale e popolare, il con-
cetto di letteratura funzionale.
Se ha ragione Michael Walzer10, ci che qualifica lintellettuale latto di
porsi come soggetto che protesta allordine sociale costituito; viceversa, se ha
ragione Bauman o per meglio dire il Paul Radin che Bauman ricapitola

7
Cfr. Il paradosso dellautore (14 agosto 1976), ora in Giornalino secondo, cit., pp. 110-113,
e La bambola manipolata (24 dicembre 1976), ivi, pp. 146-148.
8
Romanzi storici e popolari (20 novembre 1975) e Unidea per i giovani (18 dicembre 1975)
ora in Giornalino 1973-1975, cit., pp. 222-225 e 231-234.
9
Letteratura e vita nazionale (1987), Gramsci, cronista teatrale (1987) e Il nostro Gramsci
(1997), ora riuniti in E. Sanguineti, Il chierico organico. Scritture e intellettuali, a cura di E.
Risso, Feltrinelli, Milano 2000, pp. 198-226.
10
Cfr. M. Walzer, The Company of Critics. Social Criticism and Political Commitment in
the Twentieth Century, Basic Books, New York 1988, trad. it. Lintellettuale militante. Critica
sociale e impegno politico nel Novecento, Il Mulino, Bologna 1991.
648 Luigi Weber

nella Eziologia degli intellettuali 11 , la funzione stessa dellintellettuale si


appoggia in origine su una gestione del sapere che funge da contraltare allin-
certezza nella quale le persone comuni vivono, dunque esso svolge (o svol-
gerebbe) un compito di stabilizzazione della societ. Maghi, stregoni e sacer-
doti sarebbero il primo passo verso i futuri philosophes destinati, secondo una
immagine ricorrente in Legislatori e interpreti, al ruolo di giardinieri, ossia
di insegnanti dellubbidienza, di repressori della cultura e degli istinti popo-
lari.
La figura di Sanguineti, come la si coglie nella sua pubblicistica, conta-
mina curiosamente queste due letture del tutto opposte. Egli certamente
un uomo che protesta eppure riconosce a s una funzione profondamente
costruttiva. Molti degli aspetti evidenziati da Bauman nel suo libro per quan-
to riguarda gli intellettuali legislatori sono ben riscontrabili nel pensiero di
Sanguineti, anche se non esattamente nel modo in cui Bauman li espone. Per
esempio, vero che in Sanguineti sono centrali il tema dellistruzione e il
mito illuministico (o post-freudiano, se si vuole) di un Io che deve espander-
si a scapito dellEs, ma in primo luogo per lui la pedagogia non deve funzio-
nare come gestione della crisi, come tentativo disperato di regolamentare
il non regolamentato12 e strumento di un controllo introiettato13. Quel che
vale per lEuropa dei secoli XVI e XVII, terrorizzata dal vagabondaggio degli
uomini senza signore14 e aggredita dal bisogno angoscioso di pi pervasivi
metodi di sorveglianza, non ha pi lo stesso senso in unottica marxista e
gramsciana, dove appare fondamentale proprio laffrancare gli uomini dai
loro signori e dotarli di una autocoscienza di classe che sia anche capacit cri-
tica. In secondo luogo, certamente vero che la Ragione come la Giustizia
sono dei miti di cui da sempre gli intellettuali come corporazione si servono,
ma anche vero che la metafora che contrappone le culture spontanee a quel-
le da giardino una metafora capziosa, poich nella storia umana non esiste
spontaneit, e il folklore e le feste popolari sono altrettanto sovradetermina-
te da un orizzonte sociale quanto qualsiasi Panopticon. La differenza, dunque,
non sta tra lo schierarsi per lo spontaneo o per limposto quanto, banalmen-
te, tra un potere o laltro, tra una classe e laltra, tra un ordine esistente e uno
da edificare. E qui ha ragione Walzer: la spinta propulsiva della critica prima
di tutto e sempre un fatto etico. Si sta dalla parte di ci che si ritiene giusto.

11
Cfr. il classico Z. Bauman, Legislators and Interpreters: On Modernity, Post-modernity and
Intellectuals, Cornell University Press, Ithaca 1987, trad. it. La decadenza degli intellettuali. Da
legislatori a interpreti, Bollati Boringhieri, Torino 1992, cap. I.
12
Ivi, pp. 84-86.
13
Si vedano le parole che M. Berman dedica a Weber, a Marcuse e a Foucault, nella
Introduzione al suo celebre All That Is Solid Melts Into Air: The Experience of Modernity, Simon
& Schuster, New York, 1982, trad. it. Lesperienza della modernit, Il Mulino, Bologna 1985,
pp. 38-49.
14
Z. Bauman, La decadenza degli intellettuali, cit., pp. 50-64.
Un salutare difetto ottico. Edoardo Sanguineti pubblicista e recensore 649

Lintellettuale critico, critico dellintellettuale

Sanguineti comp le sue esperienze in campo politico durante anni cru-


ciali della storia italiana recente: presentatosi nel 1968 alle elezioni legislative
a Torino come indipendente nelle liste del Partito Comunista, poco prima di
ricevere un incarico presso luniversit di Salerno, dove avrebbe vissuto la sta-
gione della contestazione, fu poi consigliere comunale a Genova nel 1978, e
dal 1979 al 1983 fu eletto in Parlamento, sempre come indipendente (non
ebbe mai la tessera del PCI)15. La lunga coerenza nella vicinanza al partito
uno dei tratti fondamentali della persona, e si manifest nella scelta di impe-
gnarsi direttamente in politica proprio a partire dal Sessantotto, che
Sanguineti vide (unica sua parziale convergenza di opinioni con Pasolini)
come un fenomeno fondamentalmente anticomunista, egemonizzato da una
base piccolo-borghese, di studenti che allora non rappresentavano affatto
luniversit di massa anzi manifestavano piuttosto il disagio di vedersi massi-
ficati16, un fenomeno nel quale per giunta circolava un clima di appello alla
violenza che era assolutamente inquietante17. Quella crisi, e poi gli anni di
piombo, spinsero Sanguineti sempre pi, per reazione, verso il PCI, cui egli
riconosceva il ruolo storico di salvare una linea di sinistra di fronte al rischio
che venisse definitivamente compromessa dalla follia del terrorismo18.
Questo lorizzonte psicologico e ideale nel quale occorre inserire la pubbli-
cistica sanguinetiana, mossa sempre dalla convinzione che uno dei compiti
dellintellettuale critico sia la critica dellintellettuale19.
Egli sapeva bene che in una tribuna pubblica quale quella del quotidiano
avrebbe dovuto rischiare meno possibile i fraintendimenti. Ne viene un misu-
rabile diradarsi del ricorso alle armi dellironia e del paradosso, pur ancora
presenti, rispetto per esempio alla produzione saggistica, e un connesso inten-
sificarsi di toni anche sorprendentemente aspri. Malgrado ci, il rapporto
instaurato da questo professore-poeta con la carta stampata si segnala per una
elaborazione linguistica del tutto fuori dal comune, in controtendenza con il
tenace (e spesso giustificato) clich che accusa i letterati di dedicarsi al gior-
nalismo deprimendo la loro inventiva verbale, producendo cos testi magari
di rilevante importanza ideologica o documentaria ma di scarsa qualit20.

15
In tempi molto pi recenti (febbraio 2007), Sanguineti si candid a sindaco di Genova
nelle primarie dellUnione.
16
Cos si legge in F. Gambaro, Colloquio con Edoardo Sanguineti, Anabasi, Milano 1993,
p. 114.
17
Ibidem.
18
Ivi, p. 137.
19
Ivi, p. 139.
20
Uno studio specifico dedicato allo stile dei Giornalini lo svelto ma efficace contributo
di M. Manfredini, Sanguinetiana minima, in Aa.Vv., Album Sanguineti, numero speciale de
LImmaginazione a cura di N. Lorenzini ed E. Risso, marzo 2002, pp. 119-122. Si veda
650 Luigi Weber

Sanguineti, pur senza interessarsi mai della bella pagina, e anzi scrivendo con
una rapidit tutta da stile orale, prodotto di una esplicita volont comunica-
tiva e quasi conativa, da persuasore dichiarato insomma, convoglia nei suoi
articoli un numero impressionante di neologismi, per lo pi avverbiali o
aggettivali, a volte sintetici di intere espressioni proverbiali o quotidiane, che
danno a quelle prose una pirotecnica vivacit polemica. una lingua carica-
turale ma non pedantesca, iperbolica e non biliosa, dalla sintassi telescopica,
con continui incisi che sprofondano gli uni dentro gli altri apparentemente
senza fine, intrisa di tutte le parole dordine, gli slogan, i tic, che attraversa-
no a folate il parlato di una comunit. In unepoca di rinnovamento lingui-
stico cos frenetico, soprattutto a causa dellinflusso dei mezzi di comunica-
zione di massa che dagli anni Sessanta avevano ormai cominciato a incide-
re vistosamente sullitaliano come sistema la capacit sanguinetiana di regi-
strare e mimare nei suoi corsivi tutti i registri in auge nel decennio in que-
stione, dal gergo della critica letteraria post-strutturalista a quello dei movi-
menti giovanili impegnati, dal politichese con le sue contorsioni e le sue
opacit allacredine corsara di pasoliniana memoria, risulta uno strumento di
notevole efficacia demistificante.
Dimmi come parli e ti dir chi sei, si potrebbe tradurre. Che poi unal-
tra applicazione del mille volte ribadito convincimento di cui si sostanzia
tutta lopera di Sanguineti, ovverosia lintrinseca dialetticit del nesso ideo-
logia e linguaggio. La proteiforme capacit di spendere le lingue altrui un
sistema per costringere le relative impostazioni ideologiche a palesarsi21. E in

anche Sanguinetianamente di G. Cavallini, ivi, pp. 27-35 che, pur essendo incentrato sulla sag-
gistica, sarebbe in tutto applicabile alla scrittura offerta ai quotidiani.
21
Anche nei Taccuini, che pure partecipano di un clima politico-culturale assai diverso
(risalgono infatti alla met degli anni Ottanta), la polifonicit mira esclusivamente a un
obiettivo critico e decostruttivo. I dodici dialoghetti, giusta la misura ridotta e il timbro
comico-satirico, fanno subito pensare al modello delle Operette morali. Impressione corrobo-
rata da titoli come Dialogo realistico di un viaggiatore esotico e di un aborigeno sedentario o
Dialoghetto del Vegliardo e del Garzoncello, ma per il giovane Sanguineti, allievo di Giovanni
Getto, un altro modello, occulto, era Giordano Bruno. Con alle spalle la fortunata esperienza
collettiva delle Interviste impossibili (Bompiani, Milano, 1975), il Sanguineti pubblicista torna
alla forma del dialoghetto rifacendo dapprima il Dialogo di un venditore di almanacchi e di
un passeggere come Dialogo di un venditore di diari scolastici e di uno studente (in Scuola e
societ del dicembre 1978, ora in Scribilli, cit., pp. 229-231), occasione per un illuminante
affondo sullistituzione scolastica. Scelta solo apparentemente facile: indirizzarsi verso la pi
celebre e riprodotta delle Operette una mossa strategica: la parodia lavora sempre su una
memoria condivisa e a portata di mano per istituire una distanza. Seguirono altri testi simili:
il Dialoghetto ufologico per lanno nuovo (LUnit, 24 dicembre 1978), Il vento e la pioggia
(LUnit, 7 gennaio 1979), Il vecchio e il nuovo (LUnit, 21 gennaio 1979), e finalmente
Lo spaccio delle bestie (LUnit, 4 febbraio 1979), dove limprinting bruniano aggallava alla
superficie gi dal titolo. Poi un lungo silenzio, e lapparente abbandono del genere, con solo
qualche sporadica riemersione (Elogio del cossighese secondo e supremo, LUnit, 21 aprile
1980), fino alla rubrica di Rinascita.
Un salutare difetto ottico. Edoardo Sanguineti pubblicista e recensore 651

unepoca di scontri politici cos fieri come gli anni Settanta, non abbiamo
bisogno di altro per intendere che secondo Sanguineti lo stile, ancora una
volta, luomo. Ecco perch uno dei filoni tematici ricorrenti che innerva il
complesso di questi cinque volumi una formidabile passione lessicologica.
Espressa tanto nella puntigliosa discussione di ogni volume del Grande
Dizionario della Lingua Italia Utet alla sua uscita22 quanto in una serie di pic-
cole monografie dedicate a letterati dal vocabolario specialmente fecondo di
particolarit lessicali, con un orecchio che non si esiterebbe a definire spitze-
riano23. E Sanguineti stesso cos si giustifica 24:

Lo so che corro il rischio di apparire, le tante volte, fatuamente dedito a un


maniacale collezionismo di parole, ma giudico superfluo rammentare al lettore
questovvia cosa: attraverso la storia delle innovazioni linguistiche (neologismi e
slittamenti semantici in testa, come indici e spie macroscopiche) si pu fare la
storia, non della moda o del costume, ma delle idee e delle ideologie stesse.

Di uno strumento linguistico tanto ricco e duttile non va taciuto un ulte-


riore aspetto, vale a dire la scelta delloggetto polemico contro il quale esso
viene imbracciato. Se vero, come vero, che una delle pi clamorose ambi-
guit nellatteggiamento degli intellettuali, dallIlluminismo fino a un passa-
to piuttosto recente, quella di dirsi progressisti, di proclamarsi benefattori
ed educatori del popolo, e intanto fuggire e disprezzare il volgo ignorante
come la peste, satireggiandone lottusit, la mutevolezza, la superstizione25,
andr a tutto vantaggio della coerenza di Sanguineti il non farsi mai attrarre
nella maramalderia di una vanit da erudito contrapposta allinsipienza
popolare. Infatti, nellagone giornaliero delle opinioni, il poeta genovese si
misura sempre e soltanto con i suoi pari, vale a dire con altri intellettuali,
siano essi letterati o filosofi, antropologi o registi, giornalisti o uomini politi-

22
In Luciniana minima (4 aprile 1974) si analizza il volume VIII, in Viaggio tra Elle e
Emme (4 aprile 1976) il IX, in Lettera Emme (1 marzo 1979) il X, infine in Passeggiata fra le
parole (22 aprile 1982) e in Lettera O (27 maggio 1982) lXI. Nel saggio Il complesso di Cratilo
(1986), ora in E. Sanguineti, La missione del critico, Marietti, Genova 1987, si parla invece del
XII volume. Approdo forse inevitabile, il Supplemento 2004 e il Supplemento 2009 del GDLI
di Salvatore Battaglia, rispettivamente Utet, Torino 2004 e 2008, sono stati realizzati proprio
sotto la direzione di Sanguineti.
23
Citiamo appena Le parole di Pareto (1 novembre 1973), Le parole di Valera (10 gennaio
1974), Le parole di Faldella (27 febbraio 1975), Le parole di Migliorini (26 giugno 1975), Le
parole di Mastriani (4 dicembre 1975), Le parole di DAnnunzio (24 giugno 1976), Le parole
del Manga (30 settembre 1976), Cos parl Mussolini (12 novembre 1978). Anche il libretto
Schede gramsciane, Utet, Torino, 2004, consiste di schedature e approfondimenti lessicali accu-
mulati negli anni a margine del testo dei Quaderni.
24
Articolo dell8 aprile 1980, ora in Ghirigori, cit., p. 107.
25
Si vedano le pagine esemplari di Z. Bauman ne La decadenza degli intellettuali, in par-
ticolar modo il cap. 5 Istruire il popolo.
652 Luigi Weber

ci. un chiaro riconoscimento dellesistenza di ci che Bourdieu avrebbe


chiamato il campo del sapere, e della necessit di posizionarvisi, che San-
guineti ha appreso, se non altrove, certo dai Quaderni, senza attendere n
Bourdieu n Said o altri moderni rivalutatori internazionali di Gramsci26. La
critica, spesso acerba, rivolta alle innumeri tentazioni reazionarie della
societ, specie di una societ del benessere che giorno dopo giorno sta per-
dendo di vista lo sfruttamento, sostituito dalla seduzione 27 del mercato e dei
consumi, non si rivolge mai contro i singoli individui, i quali possono essere
pigri ripetitori del senso comune, bens contro gli astuti loro manipolatori
che dietro di esso si dissimulano.
La vis polemica, in effetti, a Sanguineti non manca. Se andiamo a sfoglia-
re gli articoli inaugurali di Giornalino 1973-1975, osserviamo subito una
caratteristica che nel tempo rimarr intatta: ogni discussione, sebbene media-
ta da questioni in apparenza erudite o comunque strettamente marginali
(perfino in unottica letteraria), muove dallattualit pi urgente. Gi nel
primo scritto della raccolta, Manzoniana minima, prendendo causticamente
spunto da un corsivo di Guido Ceronetti, Sanguineti imbastisce un discorso
su scuola ed educazione, su censure perbeniste e luoghi comuni applicati ai
classici. E nel secondo, La voce del padrone, attacca in maniera frontale len-
nesima lamentazione strapaesana di Indro Montanelli, tenendosi per il terzo,
Chiamate il 113, una puntuta polemica con lex collega di Gruppo 63
Alberto Arbasino (il quale, insieme a Moravia e Manganelli, sar uno degli
interlocutori pi presenti nei primi anni di scribillamento). A tale articolo
conviene che ci fermiamo, perch subito vi si trova un argomento molto caro
a Sanguineti, una delle costanti di questo immenso zibaldone composto da
circa seicento pezzi:

Lastuto Arbasino lo ha scritto, sul Corriere del 13 maggio: non appena la


Letteratura protende il naso verso la Realt, scatta lArcadia. [] Quando con
questa storia degli Arcadi [] sarebbe tempo di finirla davvero []. Se hanno
fatto tanta rabbia, e sembra che la facciano ancora, non mica perch si davano
al bel tempo con il piacere disinteressato (al pi, farebbero invidia, se le cose stes-
sero cos), ma perch, proprio al contrario, militavano impegnatissimi per prin-
cipi e gentildonne, cardinali e altra nobile gente, sudando quel che sudavano per
le nozze del tale e per la mirabile vittoria del talaltro, guadagnandosi il pane con
linchiostro delle dedicatorie28.

26
Peraltro, nellarticolo Dove yes suona (22 agosto 1978, ora in Scribilli, cit., pp. 162-164),
Sanguineti precocemente recensisce la versione italiana di Campo del potere e campo intellet-
tuale, uscito quellanno per i tipi di Lerici, molto prima che il nome di Bourdieu cominciasse
a circolare nella cultura italiana.
27
Cfr. ancora Z. Bauman, che discute le tesi di Bourdieu nei capp. I sedotti e I repressi del
suo libro.
28
Chiamate il 113 (31 maggio 1973), ora in Giornalino 1973-1975, cit., pp. 9-12.
Un salutare difetto ottico. Edoardo Sanguineti pubblicista e recensore 653

Non sono il realismo come stile o come scuola qui ad essere in questione,
bens proprio il rapporto tra due enti che surrettiziamente vengono presenta-
ti come disgiunti e perfino contrapposti, vale a dire la produzione (o ri-pro-
duzione, elaborazione o critica) di un macro-significante, la Letteratura, e il
suo distante, incompatibile, perfino rifiutato referente, la Realt. Il mito
dellArcadia incarna proprio tale supposto divorzio, e come ogni mito non
affatto innocente. Sanguineti reagisce con insofferenza sottolineando che
ogni produzione di senso un lavoro, e ogni lavoro fa parte di quella com-
plessa struttura che, come spiega Jameson chiosando Althusser, il modo di
produzione stesso o il sistema sincronico di rapporti sociali nel suo insieme29.
Cio dotato di un valore immediatamente ancorch non sempre eviden-
te politico. E, semmai, nellostentata vacuit delle odi arcadiche si legge pi
chiaramente che altrove la necessit da parte del lavoro intellettuale di soddi-
sfare una committenza, dunque di inserirsi in un sistema.

In ultima istanza, direbbero i classici, la realt che determina il linguaggio.


Eppure, quando entro nella storia, entro in un sistema di codici: vivo la realt
come gi definita, non solo nel contesto empirico, ma anche nel sistema di segni
e di simboli attraverso cui essa mi giunge. Insomma, non ricevo la realt come
unentit pura e neutra. [] la prassi il vero principio: il linguaggio una
forma di pratica e io colgo la realt non per s, ma nel mio agire su di essa30.

Ma quelli in cui Sanguineti scrive sono tempi difficili per la letteratura,


aggirata a sinistra da quanti la ritengono una pratica sorpassata e reazionaria
allorch si parla di rivoluzione come di una prospettiva prossima e pratica-
bile, incanaglita da destra da quanti se ne fanno scudo contro un mondo in
radicale trasformazione socio-tecnologica, un mondo che non comprendono
pi e cui contrappongono nostalgie regressive. Svilita da chi, debitore di
gnosi negative e del mito semiotico-strutturalista dellassolutezza del testo, la
glorifica quale menzogna e auto-negazione, o da chi ne fa un raffinato ban-
chetto di scempiaggini post-flaubertiano. Sanguineti partecipa agli scontri
ideali in atto ogni giorno nella societ italiana senza cadere nella trappola del
senso di colpa del letterato di fronte alla povert e alla fame, anzi si riveste in
piena consapevolezza della sua precisa identit professionale: quella dellin-
tellettuale, appunto. Senza la vanit di sentirsi parte di una casta e senza nem-
meno la frustrazione di vedersi negata lazione, che erano (forse sono tutto-
ra) due delle pi diffuse patologie presso quanti lavorano con le idee. Salvo
in casi tutto sommato eccezionali lappello per le elezioni del 20 giugno

29
Cfr. F. Jameson, The Political Unconscious: Narrative as a Socially Simbolic Act, Cornell
University Press, Ithaca 1981, trad. it. Linconscio politico. Il testo narrativo come atto socialmente
simbolico, Garzanti, Milano 1990, p. 39.
30
Cfr. F. Gambaro, Colloquio con Edoardo Sanguineti, cit., pp. 149-150.
654 Luigi Weber

1976 31, linvocazione daiuto per lamico poeta Breyten Breytenbach a rischio
di pena capitale in Sudafrica32 o simili , non scrive direttamente di politica
e societ, e non si fa mai tentare da inflessioni demagogiche. Eppure nessun
argomento, sia unedizione delle opere di Folengo o di Marino, siano le
vignette satiriche dei giornali, risulta abbastanza specialistico o abbastanza
frivolo da non dire qualcosa sul presente.

Uno scambio di persona

Nella coppia di gazzettini dedicati al poligrafo settecentesco Georg


Christoph Lichtenberg (1742-1799), quasi al termine del decennio di ecce-
zionale prolificit scrittoria che costituisce la spina dorsale, e poco meno che
la totalit della sua esperienza di pubblicista, Edoardo Sanguineti palesa, in
una maniera talmente evidente da risultare di esemplificatoria utilit, lim-
portante trapasso di strategia comunicativa che si verifica tra la sua produ-
zione di poeta, o pi in generale di letterato, e quella messa in atto in sede
giornalistica.
Questa evidenza , in realt, consegnata nientemeno che a un dettaglio
grammaticale, e richiede per di pi un confronto intertestuale, il che come
ovvio la rende assai meno evidente, o invisibile affatto, al cosiddetto grande
pubblico. Tuttavia il compito del critico non si pu confondere con quello
del lettore comune, che peraltro non ha compito alcuno, se non quello di leg-
gere, se vuole e come vuole. Anzi, dovere del critico proprio quello di inter-
rogare i testi al di l del loro fenomenico guscio testuale, e mentre lutente del
quotidiano o della rivista procede solo in senso verticale, dalla prima allulti-
ma parola del testo, lo studioso continuamente costretto a operazioni di
allargamento in orizzontale e di sondaggio nelle direzioni pi disparate. Ci
non teoricamente irrilevante ai fini di uno studio sulla pubblicistica di un
letterato poich pi che in qualunque altro caso di analisi critica qui viene
a mutarsi in maniera profonda la modalit della ricezione. Insomma, il testo
per il lettore singolo e presente, connesso a livello genetico con la costituti-
va effimericit del quotidiano (o sia pure del settimanale), mentre per il cri-
tico rimane multiplo e articolato nel tempo, sfaccettato di gemellarit e lia-
sons forse dangereuses, genealogie e perfino incesti. Cio mentre lautore si
misura con uno spazio scrittorio assai diverso da quello del saggio o del
romanzo, ben conscio delle sue peculiari esigenze, e ad esse informa il suo
prodotto, lo studioso continua forzato a continuare a rivolgersi al testo

31
Un voto per la ragione (12 giugno 1976) e Cultura e libert (18 giugno 1976), in
Giornalino secondo, cit. 73-77.
32
Non per un poeta ma per un popolo (14 novembre 1975) e Un appello per Breytenbach (14
novembre 1975), in Giornalino 1973-1975, cit., pp. 218-222.
Un salutare difetto ottico. Edoardo Sanguineti pubblicista e recensore 655

nello stesso modo in cui si rivolgerebbe a qualsiasi altro lacerto di quel corpus
ideale che lautore medesimo. Ma ci lo pone automaticamente in una zona
di esclusione pi netta di ogni altra: egli ex-grege perch loggetto del suo
studio programmaticamente non stato scritto per lui. E ci spiega perch,
mentre gli epistolari, poniamo, sono s scritture private, ma vengono gioio-
samente saccheggiati in quanto fecondi di informazioni e suggerimenti che a
noi, felici orfani di certe ascesi strutturaliste, risultano imprescindibili, dopo
il tramonto dellelzeviro e delle terze pagine con il loro non del tutto inno-
cente ricorso alla prosa darte, la produzione giornalistica degli scrittori del
secondo Novecento, sebbene spesso quantitativamente e qualitativamente
notevole, sia stata affrontata di rado e con grami risultati.
Si diceva dellesplicita ammissione di un doppio registro comunicativo, e
della necessit di un confronto che la lumeggiasse. Ecco i due documenti in
questione (a partire dal testo poetico, ovvero la sezione 7 di Cataletto 33). La
seconda met, in particolare, ci interessa:

(eppure,
io dico, elle est simpliste, mi dico): (dico: sortir de soi: quindi entrer, mi va bene,
dans un(e) autre): (et foutre, mi dico, insomma: e dico):
qui la protasi una protesi
al sistema dei miei muscoli cardiotesticolari: (per non equivocarmi, prego, leggere
Lichtenberg): (Sudelbcher, F, tre-quattro-due): (e altro ancora): et supra, et infra:

Si tratta, allinizio, di una ironica rivisitazione del programma para-rim-


baudiano gi espresso da Sanguineti in altri due luoghi poetici relativamente
prossimi34. Lidea di uscire da s e di entrare in un altro, salutare presa di
distanza dalle secche ideologiche dellio, genera per nellautore una associa-
zione di idee niente affatto innocente, rinsaldata dalla somiglianza fonica tra
autre e foutre, e peraltro preparata dallalta temperatura erotica della prima
parte della poesia, qui sacrificata. I versi citati invece spiegano, con uno di
quei rimandi bibliografici espliciti cos peculiari del poeta genovese, come
tale concatenarsi di pensieri, che scivolano verso il doppio senso osceno,
debba esser letto correttamente, e operano la conversione del tutto imprevi-
sta fra erotismo ed erudizione, che come dire il trapasso simbolico usia-
mo volutamente due coppie antitetiche molto in voga negli anni Cinquanta
e Sessanta da natura a cultura, da passione a ideologia. La poesia risale
allottobre 1981, e in quello stesso mese Sanguineti scrive appunto due arti-
coli relativi allo scienziato-scrittore tedesco Georg Christoph Lichtenberg:
Rosario di sentenze e Risparmio ideale 35.

33
E. Sanguineti, Segnalibro. Poesie 1951-1981, 2 ed., Feltrinelli, Milano 1989, p. 339.
34
Cfr. Stracciafoglio 5 del dicembre 1977, ivi, p. 235 e Cinque risposte, presente solo nella
1 ed., Feltrinelli, Milano 1982.
35
E. Sanguineti, Gazzettini, cit., pp. 186-187 e 190-191.
656 Luigi Weber

Nel primo, apparso su Il Lavoro del 15 ottobre come svelta recensione


a un florilegio lichtenberghiano36, si offre un ritratto dellautore settecente-
sco. Nel secondo, del 22 ottobre il vero elemento di confronto , si ripor-
ta e commenta una massima di Lichtenberg:

Qui baster toccare due soli punti. Il primo [...] riguarda la sua arte di epigram-
mista antipatetico, pronto a diagnosticare il furor wertherinus, di cui facilmen-
te si periva ai suoi giorni, e a scrivere questa stupenda sentenza: Se unaltra gene-
razione dovesse ricostruire luomo in base ai nostri scritti sentimentali, lo vedr
come un cuore provvisto di testicoli. Un cuore con lo scroto. Che se folgoran-
te, per lepoca, non ha perso affatto la sua validit complessiva, con il tempo,
dalla cultura del romanzo e del romantico in gi, sino al fotoromanzo e al tele-
romanzo, e cio da quando [...] una generazione ha trasmesso allaltra, come una
fiaccola, massivamente [...] il codice della passione borghese [...] (E) penso alla
sua diffidenza, non per i soli furori cardiotesticolari, ma anche [...] per quelli
meramente intellettivi e discorsivi, [...] di sola testa.

Dal confronto diretto tra i due testi si evince, immediatamente, la pre-


senza di una sfasatura: i conti non tornano. Non nel senso di una contraddi-
zione, bens di uno slittamento. Per la precisione, dallegli allio. E tutto que-
sto in un minimo possessivo: ci che il Sanguineti scribillatore approva e sot-
toscrive, nella critica rivolta da Lichtenberg alla forma mentis protoborghese
dellamore-passione infelice37, ecco che il Sanguineti poeta lo attribuisce a se
stesso (il sistema dei miei muscoli cardiotesticolari). Mantiene perfino li-
ronico neologismo nel quale aveva condensato, gi nellarticolo, laltrui sen-
tenza.
In definitiva nellattivit di pubblicista, unico settore forse della sua mul-
tiforme produzione, il Sanguineti che dice io, a differenza di tutti gli altri
sosia38 letterari da lui consapevolmente edificati a fini stranianti per il pub-
blico, dice io per davvero. Si assume tutta la responsabilit della propria
enunciazione, come in un dibattito pubblico, dimostrando di intendere lat-
to della scrittura giornalistica perfettamente equivalente a un atto politico. E
per un autore che ha speculato come pochi altri sulle sclerotizzate abitudini

36
G.C. Lichtenberg, Libretto di consolazione, a cura di B. Scriba-Sethe, prefazione e note
di A. Verrecchia, Rizzoli, Milano 1981.
37
Lichtenberg la sintetizzava nella matrice goethiana del Werther per buoni motivi, giac-
ch il romanzo era uscito nel 1774, quando egli aveva trentadue anni, e aveva riscosso un
immenso successo (suscitando anche acuto allarme per londata di suicidi da imitazione) in
tutta Europa. Per alcune interessanti note storiche in merito cfr. W. Siti, Il romanzo sotto accu-
sa e S. Calabrese, Wertherfieber, bovarismo e altre patologie della lettura romanzesca in Aa.Vv., Il
romanzo, a cura di F. Moretti, vol. I La cultura del romanzo, Einaudi, Torino 2001.
38
Sul sosia resta insuperata la monografia di A. Pietropaoli, Unit e trinit di Edoardo
Sanguineti. Poesia e poetica, ESI, Napoli, 1991, in particolare il cap. III La costruzione del sosia
nella fase di mezzo, pp. 83-109.
Un salutare difetto ottico. Edoardo Sanguineti pubblicista e recensore 657

dei lettori, giocando a mettersi in scena nella propria individuata realt auto-
biografica senza avere come fine n confessioni assolutorie n autoflagellazio-
ni plateali, senza mai postulare insomma il miraggio dellautenticit, anzi
lavorando brechtianamente di Verfremdungseffekt, cosa assai rilevante.
Si tratta di una duplicit di atteggiamento istruttiva, poich molto spesso
non disponibile un riscontro testuale tanto probante. Ci che lintellettua-
le disapprova, perfino detesta, nel complesso della cultura borghese, non lo
stigmatizza in base a un astratto moraleggiare, e nemmeno attraverso una
serie di personaggi fittizi, ma direttamente in quellalter-ego letterario che
rappresenta, a tutti gli effetti, una parte reale delluomo Sanguineti. Una
parte reale, solo osservata come dallesterno, cio estraniata. Nella pagina del
quotidiano, invece, questo artificio letterario viene del tutto accantonato.

La sentinella e lo spazzino

Abbiamo cominciato con le parole di Belpoliti, rieccoci dalle sue parti.


Settanta si apre con un capitolo dedicato a Leonardo Sciascia e allAffaire
Moro 39. Sanguineti, va precisato, non parla quasi mai di Moro40, e mai espli-
citamente nei terribili cinquantacinque giorni della sua prigionia. Rare volte,
sebbene con molta fermezza, menziona anche le Brigate Rosse. Ma la sua
posizione tuttaltro che ambigua.
Il 26 giugno 1977, cio quasi un anno prima del sequestro dello statista,
in seguito a un articolo pubblicato sulla Stampa in cui Sciascia ribadiva i
motivi del suo polemico allontanamento dal Partito (linsofferenza per il
ruolo di confronto che il gruppo comunista aveva scelto in luogo di quello
dellopposizione), il poeta genovese scrive sullUnit una lettera aperta al
romanziere siciliano, avvalendosi di un esplicito tu. Una pagina che resta
tra le pi importanti dei Giornalini. Ma prima di ripercorrere queste righe,
ignorando ogni cronologia, andiamo avanti di circa nove mesi, a un articolo
dal titolo Il sogno di una cosa 41, dove si legge:

Non conosco che poche reazioni, e tutte negative, allintervento di Moravia sul
Corriere del 20 marzo, La storia ripete i suoi tragici errori. Ma lestraneit, le-
quidistanza moraviana tra terroristi e Stato, con limpressione di gi visto, sta
diventando, giorno dopo giorno, una parola dordine di massa, almeno nella
massa degli intellettuali. [] Si subito tentati di osservare che, da un intellet-

39
Si veda anche R. Candia, La lezione di Leonardo Sciascia sulluso culturale della parola, in
Aa.Vv., La sfida della letteratura. Scrittori e poteri nellItalia del Novecento, a cura di N. Novello,
Carocci, Roma 2004, pp. 231-246.
40
Unallusione alla vicenda si legge nellarticolo Folclore e fanatismo (8 giugno 1978), ora
in Scribilli, cit., pp. 108-110.
41
Paese Sera, 30 marzo 1978, in ivi, pp. 67-69.
658 Luigi Weber

tuale, si attende proprio unespressione di pensieri, non di sentimenti. []. In


quanto intellettuale [] un uomo pubblico. un uomo di ragione, un socia-
lizzatore di ragione. [] Come pubblico uomo di ragione, lintellettuale in
lotta contro il sentimento dellassurdo, in primo luogo.

Non passa molto tempo sono settimane straordinariamente tese e gravi


per lintera nazione e il 21 maggio Sanguineti su LUnit pubblica Lo
schermo e le ombre. Ancora una volta non si menziona Moro, il cui corpo era
stato ritrovato il 9, sebbene tutto il discorso ruoti intorno alla questione del-
lattacco terrorista allo Stato. Ancora una volta, il fuoco dellattenzione
rivolto agli intellettuali e alla loro funzione di edificatori del consenso o di
orientatori della visione del mondo nella collettivit di cui fanno parte:

una mezza generazione, e magari pi che mezza, si formata nel puro e sempli-
ce sentimento di terrore dinanzi alle istituzioni democratiche, mera copertura di
forze perversamente complottanti [] Non una buona pedagogia civile, sem-
bra, quella che sbatte la politica tutta lass lass, in alto in alto, criminosa, gol-
pesca, volpina, tutta un corpo separato, separatissimo, tutto un eterno Cile, tutta
una sudamericanizzazione, tutta una stabilissima destabilizzazione, tutta una fan-
tastoria contemporanea.

Nellottica di Sanguineti cerano soprattutto due scrittori, nellItalia degli


anni Settanta, con i quali questo ritratto collimasse perfettamente: uno,
scomparso ma quanto mai presente nellimmaginario collettivo, era Pier
Paolo Pasolini. Laltro era Leonardo Sciascia. Lo Sciascia pi cupo e ango-
scioso, quello di libri come Il contesto e Todo Modo 42, di labirinti senza spe-
ranza nei quali personaggi con le stimmate evidenti della giustizia e della
sconfitta saggirano stancamente come topi in trappola, sentendosi gravare
addosso da ogni parte la minaccia di un potere senza volto e senza controlli.
Ed a questo genere di persuasori apocalittici, di intellettuali che tradiscono
il loro ruolo di socializzatori di ragione e si fanno veicolo solo dello sgo-
mento, solo di un sentimento dassurdo, che si rivolge lultima, severissima,
accusa sanguinetiana al termine de Lo schermo e le ombre:

Perch i sogni dei terrorizzati, legge, partoriscono i mostri dei terroristi.

Molti anni pi tardi, nel libro-intervista realizzato da Fabio Gambaro, il


poeta genovese torner su tali questioni, e senza nessun ammorbidirsi nostal-
gico causato dalla distanza temporale. Addirittura, il teorico dellintellettuale

42
Cos Belpoliti: sono libri ingarbugliati, annodati, tortuosi, in cui la verit sembra sper-
dere la strada pi che ritrovarne una dritta e sicura, tanto da farci sospettare che lidea stessa
della verit sia per Sciascia niente affatto sinonimo di chiarezza e luce, bens di buio e oscu-
rit, cfr. Settanta, cit., p. 9.
Un salutare difetto ottico. Edoardo Sanguineti pubblicista e recensore 659

come socializzatore di ragione estremamente netto a condannare il facile


ribellismo giovanile e le tante derive libertarie dei giorni dellimmaginazione
al potere, giorni nei quali la fase eversiva della rivolta consumava tutte le
energie senza salvare alcunch per un successivo momento organizzativo e
organizzato, quella che avrebbe dovuto essere la rivoluzione. Latmosfera
magica e sognante del Settantasette che cos vividamente Belpoliti ricrea nel
capitolo Carnevale a Bologna 43, mostrando lascendente esercitato su tutta
una generazione dai corsi universitari di Celati, Ginzburg, Camporesi e
Scabia rappresenta a dire di Sanguineti leffetto di una strategia profonda-
mente sbagliata, non solo fallimentare. Una strategia che travolse la colorata
creativit della controcultura facendone emergere il lato pi oscuro.

I momenti organizzativi venivano scollandosi in nome di uno stare insieme


deprogrammato44. [] Purtroppo in quegli anni anche la sinistra teorizzava lef-
fimero come strumento di comunicazione culturale, invece di organizzare le
biblioteche e i musei. Cos, non solo non ha salvato le citt dal degrado cultura-
le, ma ha fatto emergere il gusto per il consumo della grande spazzatura appas-
sionante. [] In sostanza questa aggregazione effimera come forma della disgre-
gazione spiega anche la scelta disperata, violenta, spettacolare ed effimera di chi
ha impugnato le armi. Gli anni di piombo sono il volto tragico di quel volonta-
rismo ludico del movimento, che spesso poi sconfinava non a caso nel luddi-
smo45.

A Sciascia, che per lappunto si era dimesso, Sanguineti scrive ribadendo


la propria opposta scelta, di impegno a fianco del Partito, e perfino a fianco
del paese tutto, sotto forma di un molto trasparente apologo. Un apologo che
muove, come prevedibile, da Gramsci, da una nota nella quale si contrappo-
ne la sentinella annoiata alleroe della grande ora, e si osserva come spesso,
nella vita reale, le piccole cose vengano a sdegno, e si preferisca continuare
a sognare e rimandare lazione.
In quel tragico decennio, invece, Sanguineti insistette spesso, e impopo-
larmente, sul carattere ideologico (nel senso, questa volta, di frutto di falsa
coscienza) dellidea di impegno, in quanto essa presuppone una separatezza
per cos dire originaria o naturale del lavoro intellettuale che di fatto non esi-
ste, e che si confonde con la consapevolezza dellimpegno medesimo. Dun-

43
Cfr. M. Belpoliti, Settanta, cit., pp. 235-271. Si vedano ora, a tal proposito, anche i
molti e sfaccettati contributi presenti nei tre tomi dellAtlante dei movimenti culturali
dellEmilia-Romagna 1968-2007, I. Poesia II. Narrativa III. Arti comunicazione controculture, a
cura di P. Pieri e C. Cretella, Clueb, Bologna 2007.
44
Cfr. su questo argomento la poesia Le ceneri di Pasolini (1979), in E. Sanguineti,
Segnalibro. Poesie 1951-1981, Feltrinelli, Milano, 1982, e il connesso articolo Aggregazione e
organizzazione, del 12 agosto 1979, ora in Ghirigori, cit., pp. 29-31.
45
Cos Sanguineti in F. Gambaro, Colloquio con Edoardo Sanguineti, cit., p. 136.
660 Luigi Weber

que, il gesto dimissionario non riconduce il letterato o il cittadino sempli-


ce in un limbo astratto dalla storia, ma anzi ne fa un sostenitore in pi per lo
schieramento opposto. E il suo silenzio o ritiro simbolicamente pesa pi di
qualunque adesione.
Il poeta genovese tesse lelogio della propria antieroica attivit di deputa-
to, spesso esaurientesi nella routine di un gesto dassenso semplice quale unal-
zata di mano alle votazioni, e conclude:

Tu esorti non soltanto gli uomini di lettere, non soltanto gli intellettuali, ma
tutti i cittadini di questa Repubblica, non dico a non rischiare la pelle per questa
Repubblica medesima, ma a non alzare un dito, in suo favore. Li esorti a dimet-
tersi da cittadini. Perch la Repubblica fradicia. [] Tu hai paura della gran-
de pattumiera in cui si sta cercando di buttare il dissenso. Ma io ho una paura
infinitamente maggiore. Ho paura di coloro che da sempre, gattopardi o iene, ci
hanno ridotto questa nazione a grande pattumiera fradicia, ma si sono sempre
dimostrati capaci di garantire [] una qualche licenza di dissenso, e certo
molta licenza di dimissioni, agli uomini di lettere, purch puliti e tranquilli.
[] Se limmagine della sentinella non ti garba, ti propongo quella [] dello
spazzino. Quello che perde in bellicosit, ed perdita fortunata, guadagna in
igiene46.

Un salutare difetto ottico

Al Parlamento, Sanguineti partecipa alla Commissione Interni, e anche


qui si occupa dei problemi del teatro, del turismo e dello spettacolo, acco-
gliendo la proposta del Partito. Come recensore sulle colonne de LUnit,
per anni ha analizzato valutato e discusso dettagliatamente tutte le produzio-
ni sceniche italiane e internazionali pi importanti, e solo raccogliendo tali
scritti, spesso di folgorante perspicacia e dacerba severit, si comporrebbe un

46
A Sciascia, dal consiglio comunale di Genova (26 giugno 1977), ora in Giornalino secon-
do, cit., pp. 237-240. Si veda anche la poesia Postkarten 61, in Segnalibro, cit., p. 221, mentre
larticolo del 10 giugno 1980 (ora in Ghirigori, cit., p. 130-131) cita larghi estratti dellacceso
discorso elettorale tenuto da Sciascia a Palermo in favore del PCI prima delle elezioni del 20
giugno 1976. Un discorso rapidamente smentito, meno di un anno dopo, appunto dalle
dimissioni dello scrittore di Racalmuto. Anche R. Luperini ne Il Novecento: apparati ideolo-
gici, ceto intellettuale, sistemi formali nella letteratura italiana contemporanea, Loescher, Torino
1981, vol. II, scrive: in realt Sciascia si muove in unottica assai vicina a quella dei nouveaux
philosophes francesi e tende, soprattutto nellultima sua produzione, [] ai modi aggressivi, di
derivazione individual-liberale, dellintellettualit del dissenso, pronta alla denuncia e alla con-
testazione del potere ma restia a inserirsi nei meccanismi della lotta collettiva. Lontani, final-
mente, dalle chiusure e dalle aspre contrapposizioni dellepoca, e dunque pi equanimi,
appaiono invece i saggi compresi nel recente volume Sciascia e la giovane critica, a cura di G.
Traina, Fondazione Sciascia, Caltanissetta 2009.
Un salutare difetto ottico. Edoardo Sanguineti pubblicista e recensore 661

libro prezioso come storia del teatro negli anni Settanta47 e come metodolo-
gia di decifrazione del lavoro drammaturgico. Nellarticolo La critica in pol-
trona 48, Sanguineti espone, con una pregnante immagine su cui concludia-
mo, la sua personale concezione della prassi recensoria, che assurge imme-
diatamente a pi generale simbolo dellattivit intellettuale di un aspirante
materialista storico49.

Alla critica occorre, oggi pi che mai, un salutare difetto ottico. Abbiamo biso-
gno di critici cos miopi come presbiti (possibilmente, le due cose ad un tempo)
[]. Per un verso, il critico non-culinario colui che, non ipnotizzato dalla quar-
ta parete, riesce a vedere [] ci che si cela dietro le tre pareti scenograficamen-
te arredate []. In altre parole, egli vede lo spettacolo come il prodotto finale di
un lavoro. Scarsamente interessato alleffetto ultimo, , un po da presbite che
punta lontano, attratto soprattutto dai procedimenti che a quelleffetto condu-
cono. [] Uno dei suoi compiti essenziali cos quello di indurre chiunque
guardi a guardare pi in l, e anche pi indietro nel tempo, dotando di senso e
di responsabilit ideologica (di ideologia teatrale [] poich la ragione tecnica si
risolve, in ultima istanza, in ragione politica) ogni elemento dello spettacolo. []
Ma per altro verso miopissimo, anzi retroveggente [] il critico non-culinario,
anzich sentirsi solidale, nellottica come nello spirito, con i propri vicini fortui-
ti, in sala, [] guarda con locchio degli esclusi. [] Egli guarda dunque con
locchio di chi non c, e tiene docchio chi non c, cos facendo, e chi non ci
pu essere, di norma, perch socialmente non ha ancora avuto mai accesso a
quella, non diciamo platea, ma nemmeno balconata o loggione. Quella sua even-
tuale virt analitica [] poi al servizio di qualcuno che, l nella sala, non pre-
sente. Egli si sente, in certa maniera, come linviato speciale dei socialmente
esclusi. [] In fondo, egli scrive addirittura contro i propri vicini di fila.

Ci fa, per riprendere per lultima volta la terminologia di Bauman,


dellaspirante materialista storico, non pi un intellettuale legislatore,

47
Ricordiamo appena Ubu in bianco e nero (20 novembre 1977), sulla prima straordinaria
lettura di Jarry operata dal Teatro della Tosse nel giardino dellOspedale Psichiatrico di Quarto
dei Mille, il racconto del Cerchio di Gesso di Besson al Festival dellUnit di Genova (La dolle e
il fool, 9 settembre 1978), la lettura decisamente controcorrente di uno spettacolo oggi intoc-
cabile come il Mistero buffo di Dario Fo (Il giullare creaturale, 27 novembre 1977), e ancora la-
nalisi del lavoro di Leo De Berardinis, (Discorso sugli alberi, 13 giugno 1974; Lantiteatro di Leo
e Perla, 6 marzo 1976), di Jerzy Grotowski (Il romantico Grotowski, 30 gennaio 1979), di Robert
Wilson (Un altro Bob, 16 febbraio 1978), di Carmelo Bene (Thanatos negato, 16 aprile 1979),
del Goldoni di Squarzina (Una macchina comica, 4 ottobre 1977), del Molire secondo Garboli
e Cecchi (Lalienato Jourdain, 19 aprile 1977; Molire imbellettato, 18 febbraio 1978), del Cechov
di Missiroli (Cechov alla Feydeau, 27 ottobre 1978), degli Ibsen degli Schnitzler e degli
Hofmannsthal di Ronconi (Invecchiamento e modernit, 6 febbraio 1977; Teatro al cubo e teatro
di conversazione, 24 settembre 1978; Alla lanterna magica, 16 novembre 1978; Un Edipo post-
tragico, 23 aprile 1979), ma lelenco sarebbe assai pi cospicuo.
48
Rinascita, 3 marzo 1978, ora in Scribilli, cit., pp. 50-54.
49
Cos Sanguineti si definisce in Stracciafoglio 7, in Segnalibro, cit., p. 237.
662 Luigi Weber

bens un interprete. Inteso non come il mediatore-traduttore dei contenu-


ti di una cultura in unaltra, ma come colui che sottrae un determinato
insieme di conoscenze dalla classe che per s le ha codificate a fini egemoni-
ci, indirizzandole verso unaltra classe e riformulandole in base a esigenze e
modi di lettura differenti.
LUCA MASTRANTONIO

Umberto Eco: Accademico azionista

Di Umberto Eco (Alessadria, 1932) la produzione giornalistica raccolta


in volumi che vanno collocati in un ipotetico terzo scaffale. Il primo, per
importanza anche se secondo in ordine cronologico, riguarda la scrittura, lar-
te meccanica. Il secondo riguarda la saggistica, larte liberale, campo da pro-
fessore universitario, accademico. A differenza di altri intellettuali che scrivo-
no assiduamente sui giornali, per Eco non c una consistente e rilevate
osmosi tra questa attivit e quella di romanziere. Gli scritti giornalistici rap-
presentano piuttosto i trucioli dei suoi interessi saggistici, accademici, politi-
ci o goliardici. Sono taccuini di appunti, spunti, giochi, critica di costume,
soprattutto nella prima produzione; poi, a cavallo del 2001, sono finalizzati
a un maggiore impegno politico, una vera e propria militanza. Saldandosi, in
questo, con i poco noti inizi giornalistici di Eco sulla rivista giovanile
dellAzione cattolica, Giovent.
Eco ha collaborato con Il Giorno, La Stampa, il Corriere della sera,
ma con meno continuit rispetto ai due giornali del gruppo di Carlo De
Benedetti, lEspresso e la Repubblica con qualche incursione su Mi-
croMega. Gli scritti formano una specie di diario in pubblico. Eco, da pro-
fessore universitario affermatosi anche come romanziere, un accademico
interventista sul piano del dibattito culturale, sociale, politico. Attraverso una
guerriglia semiotica, ossia una pedagogica, per quanto raffinata, educazione
alla comprensione, ricezione e contestazione dei discorsi politici e di cultura
di massa della societ contemporanea. Pi varia nei temi, e strettamente gior-
nalistica nella forma, invece la prima produzione di Eco, dove fa interviste,
editoriali, riporta conversazioni, su Giovent.

Esordi cattolici militanti

Neanche a ventanni, siamo ai primi anni Cinquanta, Eco protagonista


del suo tempo, da dirigente dellAzione cattolica e talentuoso articolista di
Giovent, house organ da 200.000 copie della Giac, lassociazione dei gio-
vani cattolici. Nei suoi primissimi e ormai dispersi scritti, intrisi di vocazio-
ne cattolica, si legge a chiare lettere la pi duratura vocazione di pan-sofico
664 Luca Mastrantonio

scrittore di successo, studioso della cultura di massa, evangelizzatore di testi


(sacri e profani), organizzatore di cultura e custode della tradizione occiden-
tale. Mescola il valore dellotium latino-medioevale, che ha salvato gran parte
della cultura occidentale, con linterventismo culturale.
Eco e i suoi fratelli come ha scritto Marco Damilano nel suo Democri-
stiani immaginari, edito da Vallecchi (2006) con una graffiante prefazione
bestiale di Giampaolo Pansa la sera non andavano in via Veneto come
Eugenio Scalfari e non erano di casa allEinaudi di via Biancamano come
Italo Calvino. In quegli anni Cinquanta, Eco e i suoi fratelli andavano da un
pizzaiolo vicino alla Chiesa nuova, a Roma, che si chiamava Lavvelenatore,
con Bartolo Ciccardini, che allepoca stava tentando di mettere insieme
Gramsci e Gioberti, e quanto potesse riuscire bene loperazione lo si visto
dalla fine politica di Ciccardini, che non si sa pi cosa stato, come racconta
Eco nel libro intervista La giovent cattolica in cammino. Memorie e storia del
gruppo dirigente (1946-1954), curato da Francesco Piva, editore Franco An-
geli.
Di questa Giac, parrocchia palestra e gruppo-laboratorio di giovani talen-
ti, rimangono alcune sparse testimonianze, tra cui gli articoli del giovane
Umberto scritti su Giovent, tra i primi del 1951 e il 1954 (anno dello
strappo con Gedda, che voleva aprire a destra). Se ne ricava un diario tuttal-
tro che minimo del giovane Umberto, che faceva proselitismo un po ovun-
que, dalle feste dellamicizia della Ac alle spiagge, accogliendo gli amici
che sbagliano, gli svedesi protestanti e scorrazzando nei campi estivi. Dove,
tra scherzi adolescenziali, casti abbordaggi femminili, cuscini sventrati, com-
plicati e ingegnosi giochetti idraulici a base di porte, spago, sistole e diasto-
le, si sognava di cambiare il mondo: Il mondo ai campi-scuola non si rivo-
luziona scrive su Giovent del 30 agosto 1953 ma si pongono le pre-
messe per farlo un giorno, chiss, attraverso una rivoluzione cristiana, di
quelle senza ghigliottina, ma capaci di imporre una robusta sventola alla sto-
ria.
In altri testi di Giovent, veri e propri editoriali, Eco attacca i comuni-
sti che si auspicavano lavvento del Grande fratello (quello di Orwell, lorigi-
nale, non quello della Endemol, remake catodico). Altre volte lautore can-
zona lanalisi strutturale del Comintern, rincarando la dose contro i comuni-
sti anche in una filippica contro la beneficenza mondana. Sullamore, nel
cuore del giovane Umberto alberga un vago sentimento stilnovista, anche in
versione femminista, con articoli in cui inventa le lettere al direttore scritte
da muse famose come la Silvia leopardiana, e panegirici di giovani sorelle
sprovvedute che cercano gloria sugli scii, concludendo con i classici chiari di
luna (quelli che i futuristi volevano distruggere).
Ma Giovent anche e soprattutto lincunabolo dellUmberto Eco
prossimo venturo. Nelle recensioni di fumetti e letteratura di genere c gi
lEco studioso della cultura di massa di Apocalittici e integrati (Bompiani,
Umberto Eco: Accademico azionista 665

1964), cos come nellintercettare le lettere delle rubriche dei rotocalchi di


allora, per analizzare le strutture profonde del paese, dei Diari minimi. E
ancora, quando mette in scena nelle rubriche di Giovent personaggi let-
terari, combinando materiali eterogenei, c lEco parodistico iper-giocoso
che aderir allOpificio di letteratura potenziale. E infine, negli scritti sul
Medioevo e lelogio dei monasteri come baluardi della cultura occidentale,
nella lettura come giallo intellettuale ed esercizio dellanima, c gi lEco del
Nome della rosa (Bompiani, 1980).
Quello che potrebbe essere il primo articolo in assoluto di Eco su
Giovent, forse il primo articolo tout court, unintervista a un preside di un
liceo dAlessandria, inserita nello speciale Questione del giorno. il primo
luglio 1951, il giovane Umberto scrive: Mi sono recato al Liceo scientifico
di Alessandria per visitare la biblioteca per adulti. Dove per adulti non si
intende opere erotiche o conturbanti come quelle ricordate da Eco in La
misteriosa fiamma della regina Loana. Quella di Eco unintervista scolastica,
daltronde pedagogica la sua funzione.

Vede, mi dice si d troppa poca importanza alla biblioteca scolastica, mentre


essa potrebbe divenire, oltre che un mezzo di cultura, anche un mezzo di affiata-
mento. Entriamo nella saletta della biblioteca: scaffali bene ordinati, alcuni tavo-
li e parecchi alunni che stanno studiando: Ecco, mi dice il Preside, anzitutto
diamo la possibilit di consultare i volumi in loco, in modo che gli studenti si
possono trovar assieme per fare i compiti avendo a disposizione un buon nume-
ro di volumi: sono infatti 12.000 circa,e vengono continuamente aggiornati con
arrivi mensili; daltra parte facciamo arrivare anche un buon numero di riviste let-
terarie e scientifiche.

Niente fumetti, una libreria per adulti. E gli alunni si interessano atti-
vamente alle iniziative?, fa Eco. Per forza! risponde il preside prof.
Ferraris, che continua.

Infatti, sotto la guida di un professore bibliotecario, ogni giorno due alunni


diversi si occupano dellandamento della biblioteca; vede qui lelenco dei turni?
E fanno un buon lavoro:su 250 alunni questanno si sono gi effettuati 560 pre-
stiti. E maggior interesse dato pure dal fatto che su questo quaderno gli alunni
possono proporre i volumi che desiderano acquistare: i professori controfirmano
le proposte e io...
E lei compera
Certo: ma in questo modo ho destato linteresse di tutti, scolari ed insegnanti.
Ma non tutto qui: vede questi fascicoli? Sono relazioni che gli alunni compio-
no su di un dato argomento e che entrano a far parte della biblioteca.

Le biblioteche come antichi granai del sapere contro gli inverni dello spi-
rito o il logorio della vita moderna gestite per da presidi manager, come
666 Luca Mastrantonio

da recente riforma della scuola. Ma il vero elogio dei monasteri larticolo


contenuto in Sestante, una rubrica dove Eco traccia grazie alle stelle le rotte
antiche nel mare procelloso del tempo presente. Il 20 dicembre del 1953 fa
uno sperticato elogio del Medio Evo e del ruolo che hanno avuto i monaci
nella difesa dellOccidente.

I latini concepivano la cultura come otium. Riposo dalle fatiche guerresche per i
capitani che nelle soste romane divenivano mecenati; vita beata dallartista corti-
giano, del filosofo di palazzo, del pensatore dalto lignaggio che si poneva a col-
loquio con gli spiriti magni, leggendo Omero tra due schiave nubiane che gli
facevano dolcemente vento. Oggi da varie parti si parla della cultura come azio-
ne nella societ come impegno. Noi diremo: come servizio. Ci rendiamo conto
che latto dellapprendere non pu e non deve risolversi nel piacere egoistico di
chi si sente felice di possedere lo scibile e se lo contempla allungato sulla sedia a
sdraio, accarezzando il gatto accoccolato sulle ginocchia () Deve radicarsi in
noi la convinzione che esser uomo di cultura vuol dire essere qualcuno che lavo-
ra con lo sguardo rivolto agli altri. Latto dello studio, il progredire delle nostre
conoscenze, sono in funzione di un mondo che ci circonda: lunico modo per
inserirci nella societ, per non divenire dei rottami che ne vivono ai margini.
una meditazione che possiamo gi aver fatta: e ci saremo forse domandati cosa
voleva dire servire. Avremo forse pensato che stavamo a perdere le nostre ore su
di un libro, mentre urgevano necessit ben pi pressanti mentre dei fratelli ave-
vano bisogno della nostra opera attiva: ed ogni ora consacrata allo studio ci sar
parsa un gusto. Molte volte avremmo cercato forse ben altri risultati: non tanto
di servire quando di acquistare. E ci sar parso che il nostro studio durasse trop-
po, senza renderci nulla. Ci sar parso che in unepoca di ferro come la nostra,
lotium delluomo di cultura fosse una fuga. Avremo uguagliato lotium alla cul-
tura ed il servizio allazione immediata () Ebbene, un esempio ed un consiglio
ci pu venire da un altra epoca di ferro: il medioevo. I punti di contatto son forse
maggiori di quanto si creda: esisteva anche allora una societ il cui ritmo vitale
non permetteva soste: lotium era un lusso dannoso... se una certa tradizione ci
ha presentato il medioevo come unet di statico abbandono, disilludiamoci.
Recentemente uno storico elencando le invenzioni della societ medioevale par-
lava della pi profonda rivoluzione che si sia vista dopo let del fuoco e di cui
limportanza non si pu comparare che a quella della rivoluzione industriale, nata
dal vapore e dallelettricit.

Poi lomaggio ad Adalberone di Laon, che divideva in classi, funzionali e


sociali, la societ del Medio Evo: oratores, bellatores, laboratores. I monaci
hanno fatto della preghiera il loro lavoro e fatto coincidere otium e servizio.

Mentre una societ guerriera era intenta a cambiare volto allEuropa, una societ
artigiana e contadina operava mutamenti sostanziali nei modi di vita: per nulla
accennar alla scoperta del ferro da cavallo, del mulino a vento, del timone di tipo
moderno, tanto per citare tre esempi... () Tempi duri, in cui necessitava non
otium ma servizio... Solo che ci fu chi fece dellotium un servizio: e furono i
Umberto Eco: Accademico azionista 667

monaci, che rinunciavano alla famiglia, alla vita del mondo, alle comodit quo-
tidiane, per dedicare la loro giornata al Signore. E per abbellirla, la impiegavano
nel lavoro, e copiavano manoscritti, alluminavano pergamene, componevano
canti... Salvavano senza saperlo leredit culturale delloccidente. Si macchiarono,
vero, la coscienza di qualche palinsesto approntato con scarso rispetto per gran-
di dellantichit, ma tennero in dispensa i prelibati banchetti per i ricercatori
della Rinascenza.

Per Eco, bisogna attualizzare la lezione, applicare la morale della favola ai


nuovi sonni della ragione. E della fede cristiana, soprattutto.

Noi non abbiamo da salvare una cultura. Ma possiamo essere gli animatori della
nostra. Possiamo portare una testimonianza cristiana nel nostro mondo cultura-
le. Ci ci era stato richiesto quando fummo chiamati per varie vie ad essere stu-
denti. Per fare ci ci occorreranno dosate e amministrate le ore di otium: le
ore nelle quali ci sembrer di essere inutili, di non servire abbastanza. Allora non
avremo che da dedicare la nostra opera a Dio, e per Lui degli altri: e lotium
diventer servizio. I frutti elaborati nel silenzio entreranno in una circolazione
vitale, in virt di quella muta donazione che avremo pronunciato.

La rivoluzione, dunque, per Eco non parte dalle fabbriche, neanche dalla
Chiesa, ma dai nuovi monasteri, al chiuso e a cielo aperto, dinverno come
destate: scuole con biblioteche e campi-scuola dellAzione cattolica. In nome
di Dio ma soprattutto dellotium, ovviamente, che un suo strumento.
Nella rubrica Sestante, in un articolo di Giovent dell1 marzo del
53, finisce sotto accusa la carit mondana, ossia la carit formato Via Veneto.
Ispirandosi allo spirito pauperistico di Carretto, Eco fa un fal delle vanit
della nobilt romana, con unanalisi strutturale da formalista russo. La scena
non il tono, certo da Cafonal di Dagospia1, con una tirata antiroma-
na. Un articolo lungimirante, dunque. Anche se la sua attualit va piuttosto
a disdoro della societ odierna, dove le principesse, impegnate in opere di
carit, fanno pi spesso beneficenza a se stesse, in termini di immagine pub-
blica.

Un periodico in rotocalco riferiva in uno stelloncino dattualit (titolo della


rubrica: Via Veneto, un programma...) una notizia, breve, ipocrita, desolante.
La figlia del regista M. ha regalato tutti i suoi giocattoli ai bambini poveri di
Fregene. Perch parliamo di ipocrisia? (...) Nella maggiori citt, ogni anno, la
contessa X, il visconte Dodo Y, la principessa Luly W, si riuniscono per organiz-
zare una rivista, una commedia, una festa, alla quale, tra sfolgorio di gioielli e
spumare di ermellini intervengono tutti i pi bei nomi della nobilt romana o
milanese o di qualsiasi consorteria di provincia.

1
Sito di informazione, che mescola hard news, spesso non pubblicate dai giornali, e gossip.
668 Luca Mastrantonio

Segue autocritica, transitiva, per i cattolici praticanti. Ipocriti, seppure


buoni.

Conosco unottima ragazza della buona societ; per sei giorni alla settimana si
scarrozza in 1900 presa da obblighi mondani, ma il sabato va a far visita ai quar-
tieri poveri, lascia un buon sorriso, unelemosina, magari il giornale parroc-
chiale [qui siamo al metatesto, cio il giornale che parla del giornale] orribile
dictu, cattolica praticante [...] Poi ha finito, per tutta la settimana; ha aggiunto
una firma di frequenza al suo libretto per il Paradiso. E non si accorge che ha
ribadito la favola del principe che gioca a fare il povero, ma principe resta, per-
ch il mondo fatto di due schiatte, quella che chiede e quella che dona.

Dalla critica etica al costume del buonismo, Eco passa alla letteratura di
genere, gialla e di science-fiction soprattutto, in tempi non sospetti, lontani
anni luce dagli sdoganamenti recenti. Avverte persino una certa maniera e
una decadenza del genere. In particolare il giallo. Con toni a volte catonia-
ni. Il 17 gennaio del 1954 il giovane Umberto si produce in un lungo arti-
colo sul giallo e la sua evoluzione, o meglio, involuzione. In apertura c un
colonnino che spinge gli uomini a fare outing sul giallo. Genere consolato-
rio, ma non solo. Un peccato cognitivo. Ma un male necessario. Ombra
ludica e spiritualmente inquieta che accompagna ogni uomo.

Se andassimo indiscretamente a frugare nella biblioteca di un uomo celebre, uno


statista, uno scienziato, forse vi troveremmo una serie di libri gialli. Il giallo non
solo un peccato di giovent: una tentazione di sempre. E perch poi tenta-
zione? Riposo, forse, evasione: non si legge un giallo perch si abbiano istinti per-
versi, non si legge un giallo per cercar incremento a nefandezze inaudite. Lo si
legge come una fiaba.

Il tono si fa ossianico, foscoliano, tra resurrezione di Cristo e zombie: gli


squisiti cadaveri del giallo. Poi, il linguaggio vagamente liturgico lascer posto
allo spirito illuministico della sepoltura dei morti.

Muoiono per i nostri sogni. Muoiono per rischiararci unora di vita. Si annullano
in un problema come in un olocausto. Evviva il giallo, vorremmo dire, che ci do-
na ci che gli chiediamo, e non richiede riconoscenti elogi in linguaggio critico.

Il 31 gennaio 1954 Eco prende le difese della science-fiction, fornendo-


ne una lettura allegorica, in puro spirito medioevale, con esplicito omaggio
a Dante, precursore con la sua Divina commedia, grande science-fiction
dellepoca. Inizia con una difesa del genere, accusato di creare psicosi
quando invece, sostiene Eco, registra quelle gi esistenti nella societ. E le
esorcizza. Anche qui in maniera consolatoria e dunque non definitiva.
Umberto Eco: Accademico azionista 669

La fantascienza, come il giallo, un peccato necessario, una tentazione


spirituale. Il giallo perch mette in rapporto dialettico vita e morte e la fan-
tascienza perch afferma la necessit della speranza. In alto a destra, nella
pagina di Giovent, c un box emblematico.

La letteratura danticipazione sta prendendo voga sempre di pi. Ora i ragazzini


hanno abbandonato gli indiani di materia plastica per giocare coi marziani dai
caschi di vetro. I grandi leggono i romanzi Urania. E giocano. Giocano a nascon-
dersi. Da chi e da che cosa? Forse la science-fiction interrogata ce lo saprebbe
dire. La science-fiction, per Eco, una risposta a un bisogno spirituale. Che solo
la fede pu soddisfare, ovviamente. E ci accorgiamo che la science-fiction anzi-
tutto allegoria della speranza. La speranza delluomo di oggi, scontento di una
aridit personale, scontenti di strutture sociali che lo impoveriscono e lo oppri-
mono; speranza di una rinascita spirituale: speranza di un mondo nuovo. Solo
che il mondo nuovo occorre costruirselo e la rinascita spirituale costa rinunce.
Ma lo spirito conformistico pi forte di ogni speranza: e diverge la speranza, la
proietta negli spazi. La terra promessa prende alloggio su Marte, oppure su di una
Terra del due o tremila dopo cristo. Allora si sogna, ci si consola, si dimentica la
realt: tutto ci non costa fatica, mentre un atto di rivoluzione effettiva ci por-
rebbe in contrasto con la societ odierna. Roba da perdere il posto e lo stipendio.

Continuano le stoccatine verso il conformismo conservatore del genere.


Ma poi Eco si avvia verso unanalisi geo-politica della psicologia dei lettori di
fantascienza. Marziani e comunisti, maccartismo e ultracorpi.

In questi mostri invasori, in quei pericoli oscuri incombenti, possiamo ritrovare


la psicosi da guerra fredda. Il nervosismo di un popolo con i nervi tesi di fronte
al pericolo comunista. Ma un nervosismo che impedisce talvolta una onesta inda-
gine ed un concreto rilievo della situazione. Certo anticomunismo americano,
quello del senatore MacCarthy, tanto per intenderci, ha potuto essere definito
dagli americani stessi una caccia alle streghe, una difesa istintiva e irrazionale
tanto ridicola quanto antidemocratica che tende a fare, di quello che una realt
storica da studiare con chiarezza, un mostro da incubo che impedisce ogni rea-
zione meditata. Certa fantascienza pone le sue radici proprio in questo maccarti-
smo popolare, il quale non sempre solo americano.

Poi, la conclusione. Dante come Asimov.

Luomo ama proiettare nella visione di viaggi ultraterreni le sue preoccupazioni


pi vere. Nel medioevo non era la paura o la speranza quello che lo dominava;
era il senso teologico dellitinerario verso Dio. E la pi grande science-fiction del-
lepoca ci narr questo itinerario. E fu la Divina Commedia. Oggi luomo ci dice
che cerca nuovi rapporti e nuovi modi di convivenza, perch teme un mondo che
egli stesso ha creato e non sa pi controllare. Una nuova forma delleterna ricer-
ca di Dio. Posiamo il romanzo di Urania e mettiamoci a lavorare.
670 Luca Mastrantonio

Oltre al cortocircuito science-fiction e fede, c spesso quello tra science-


fiction e politica. Il 19 luglio del 1953 Eco firma un editoriale dal titolo
Amano il grande fratello, dove parla del Quarto festival mondiale della gio-
vent per la pace e lamicizia, che avr a luogo a Bucarest e il Terzo congres-
so mondiale degli studenti previsto a Varsavia. Ritrae i giovani comunisti
come vittime della cura del Grande Fratello per cui, con loro, bisogna cri-
stianamente dialogare, per salvarli. Linea dialogante, in aperto conflitto con
lavvicinamento alle destre voluto da Gedda. Questa divergenza spinger Eco
e il suo gruppo a lasciare la Giac nel 1954. Approdando ad altri, ancora pi
fortunati, lidi.

Rai, Bompiani, primi diari minimi

In quellanno si laurea in filosofia con una tesi sullestetica di Tommaso


dAquino e vince un concorso alla Rai per lassunzione di telecronisti e nuovi
funzionari, dove resta per un lustro e sviluppa gli interessi per la cultura tele-
visiva. Lasciata la Rai, entra in Bompiani, nel 1959, dove sar condirettore
fino al 1975; inizia a lavorare alluniversit e partecipa al movimento del
Gruppo 63 di Bologna (il saggio Opera aperta del 1962), dove nel 1975
ottiene la cattedra di semiotica (nel 2007, dopo svariati impegni ufficiali, ha
abbandonato linsegnamento per sopraggiunti limiti di et).
Dal 1959 scrive sul Verri diretto da Luciano Anceschi una rubrica dove
annota osservazioni di costume e parodie letterarie ispirate allattualit.
Verranno poi raccolti nel Diario minimo, nel 1963 (Bompiani come tutti i
suoi libri). Il tono diaristico che si andato attenuando, cos che i pezzi sono
diventati esercizi di falsificazione letteraria.
Uno di questi saggi Lelogio di Franti, analisi della sua risata celebre, del
ghigno: la Negazione, attraverso il Riso, smuove la melassa di buoni senti-
menti di Cuore. Cos a lui va tutta la nostra simpatia2. Franti motivo
metafisico della sociologia fasulla di Cuore, tutta baci e abbracci, e maestri-
ne brave, e buoni sentimenti. il principio dialettico, diabolico, di Enrico
Bottini spirito ribelle al re, come sar Gaetano Bresci. Del 1964 la Lettera
a mio figlio, in cui annuncia al figlio che gli regaler fucili, e soldatini, oltre
alle fiabe, perch impari a muoversi in modo critico nella realt.
Sulla rivista Pirelli, poi raccolta in Diario minimo, esce la Fenomeno-
logia di Mike Bongiorno, destinato a diventare un classico della semiologia,
della critica pop. Un format, quasi. Prendere modelli alti, categorie filosofi-
che (aristoteliche, vichiane, etc), e mescolarle con il basso, con lordinario.
Gi nella categoria di Superman c la riduzione fumettistica del superuomo

2
U. Eco, Diario minimo, Fabbri editore, Milano 1975, pag. 137.
Umberto Eco: Accademico azionista 671

di Nietzsche, a sua volta desunto, seguendo lintuizione di Gramsci, dai


romanzi dappendice, Il conte di Montecristo in particolare3.

Il caso pi vistoso di riduzione del superman alleveryman lo abbiamo in Italia


nella figura di Mike Bongiorno e nella storia della sua fortuna. Idolatrato da
milioni di persone, questuomo deve il suo successo al fatto che in ogni atto e in
ogni parola del personaggio cui d vita davanti alle telecamere traspare una
mediocrit assoluta unita (questa lunica virt che egli possiede in grado ecce-
dente) ad un fascino immediato e spontaneo spiegabile col fatto che in lui non si
avverte nessuna costruzione o finzione scenica: sembra quasi che egli si venda per
quello che e che quello che sia tale da non porre in stato di inferiorit nessu-
no spettatore, neppure il pi sprovveduto. Lo spettatore vede glorificato e insi-
gnito ufficialmente di autorit nazionale il ritratto dei propri limiti4.

Per capire questo potere di Mike Bongiorno, che Eco riconosce come
straordinario, nel senso neutro di fuori dallordinario, bisogna procedere ad
una analisi dei suoi comportamenti, ad una vera e propria Fenomenologia di
Mike Bongiorno, dove con questo nome indicato non luomo, ma il perso-
naggio, precisa infine.

Mike Bongiorno non si vergogna di essere ignorante e non prova il bisogno di


istruirsi. Entra a contatto con le pi vertiginose zone dello scibile e ne esce ver-
gine e intatto, confortando le altrui naturali tendenze allapatia e alla pigrizia
mentale. Pone gran cura nel non impressionare lo spettatore, non solo mostran-
dosi alloscuro dei fatti, ma altres decisamente intenzionato a non apprendere
nulla. [] Lammirazione per la cultura tuttavia sopraggiunge quando, in base
alla cultura, si viene a guadagnar denaro. Allora si scopre che la cultura serve a
qualcosa. Luomo mediocre rifiuta di imparare ma si propone di far studiare il
figlio5.

Cronache dal basso impero dei desideri

Nel 1973, esce la raccolta Il costume di casa. Sei anni dopo, nel 1977 esce
Dalla periferia dellimpero (tascabili Bompiani) che raccoglie testi apparsi
principalmente su LEspresso e Il Corriere della sera, ma anche su riviste
e pubblicazioni pi accademiche, in un arco che va dal 1973 e al 1976. Es-

3
In U.Eco, Il superuomo di massa, Bompiani, Milano 1976, lautore indica, sviluppando
lintuizione di Gramsci, come origine e modello di superumanit nicciana come origine e
modello dottrinale non Zarathustra, ma il Conte di Montecristo di A. Dumas, a sua volta
modellato sui misteri di Parigi di Sue; gi Dumas, sostiene Eco, trasformava la Vendetta in
Volont di Potenza e missione.
4
U. Eco, Diario minimo, cit., pp. 45-52.
5
Ibidem.
672 Luca Mastrantonio

senzialmente, un viaggio al cuore dellimpero, americano, dritto verso quel-


lo che Eco chiama un nuovo medioevo che ovviamente investe anche lItalia,
periferia dellimpero americano, regno vassallo come altri paesi barbari dela-
rea mediterranea, rinverdendo i misteri di Parigi e le crociate democristiane,
dal discorso di Paolo VI sulla pillola alla battaglia di Fanfani contro la por-
nografia. Questultimo pezzo sintitola La Vagina doro e racconta la crociata
contro la pornografia di Fanfani.

Diciamo subito che si deve evitare di discutere sui rapporti tra arte e pornogra-
fia, discorso millenario che non ci aiuta a cavare un ragno dal buco. E pertanto
dovremo occuparti della pornografia diretta, di quella cio che non si pone pro-
blemi estetici ma solo lonesto intento di stimolare reazioni fisiche e fantasie ero-
tiche nei propri consumatori6.

Secondo Eco le crociate non contrastano i pericoli di alienazione della


pornografia, anzi, li incentivano perch le rendono pi pruriginose. Per que-
sto vorrebbe dare la Vagina doro a Fanfani. Una specie di premio parodico.
Ironia e critica di costume costellano questa raccolta, impreziosita da analisi
semiologiche, linguistiche. Sugli ultras (I commandos dello stadio, su La
Stampa), sul cinema (Casablanca o la rinascita degli dei, su lEspresso).
Il cuore resta il viaggio negli Usa, frutto del viaggio reale di Eco in Cali-
fornia e Florida, e lo studio degli effetti della cultura di massa, cultura di un
nuovo medio evo dove il presente storicizzato e rivestito di autenticit,
anche in Italia.
Segue, cronologicamente, la raccolta Sette anni di desiderio, che raccoglie
articoli pubblicati tra il 1977 e il 1983 (nel 1992 alcuni di questi testi, pi
degli inediti, usciranno in un Secondo Diario minimo). Qui continua la
semiologia del quotidiano, di casa soprattutto sullEspresso, che abbiamo gi
visto in pratica nelle precedenti raccolte. Saccentua, per, lispirazione poli-
tica, nella critica semiologica dei costumi in Italia. Daltronde, questi sette
anni sono gli anni che vanno dalla ripresa delle occupazioni universitarie
allesplosione del terrorismo, dalla P38 alla P2 ricorda lestensore dellaletta
probabilmente Eco stesso dalla crisi dello spirito del Sessantotto al riflusso,
di cui parla la vignetta di Altan in copertina: Mi sorprende questo riflusso
moderato, mi devo essere perso il flusso progressista. La parola dominante
desiderio perch, secondo Eco, dopo autunni caldi e parole dordine politiche,
si sono imposti pulsioni e desideri, unorgia di morte e martirio, occulto,
divertimento. Per Eco la sconfitta della ragione. Nellintroduzione, Eco
spiega il senso di questa sempre pi corposa attivit giornalista. Siamo nel
1983, Eco ormai oltre che un accademico di fama internazionale anche
lautore di un best seller come Il nome della rosa (1980).

6
U Eco, Dalla periferia dellimpero, Bompiani, Milano 1977, pag. 81.
Umberto Eco: Accademico azionista 673

Ogni tanto raccolto in volume gli scritti occasionali, gli articoli, le polemiche, le
nugae, quelle osservazioni che un tempo si stendevano come pagine di diario pri-
vato. Oggi, con i mezzi di massa che non solo lo permettono, ma incoraggiano
la messa in pubblico delle proprie reazioni immediate agli eventi e ai problemi,
le pagine di diario escono a stampa, e a puntate. Hanno il vantaggio di non poter
esser riscritte ad uno dei posteri. Sono scritte per i propri contemporanei, posso-
no incorrere in contraddizioni, e nel reato di giudizio avventato. Sono, per chi
scrive di professione, il modo pi giusto (e in ogni caso il pi responsabile) di
impegnarsi politicamente. [] Mi pare che uno dei termini chiave di questo set-
tennio non fosse rivoluzione, lotta di classe, marxismo o nella misura in cui,
come era stato tipico degli anni precedenti. In questo settennio, contrassegnato
dalla scoperta o riscoperta del privato, dei bisogni, della libert delle pulsioni, si
parlato tanto, tantissimo, di desiderio. [] Al desiderio di riflusso, per reagire
alla crisi delle ideologie, fa seguito, o si accompagna, il desiderio (detto negli anni
scorso trasversale) di celebrare il desiderio mai come in questi anni si parla-
to di carnevalizzazione della vita7.

Se le prime quattro sezioni sono dedicate al desiderio, desiderio di morte


e di vita, di piacere e di religiosit, la penultima dedicata a un tema caro a
Eco, quello dei poteri e dei contropoteri, dei complotti, il grande racconto
dietrologico che Eco analizzer negli anni, fino allUndici settembre. Lultima
sezione un controcanto grottesco, una rivisitazione paradossale di fatti e
miti contemporanei. Tra i tanti articoli di spessore e di grande interesse
forse solo lEco di A passo di gambero avr tanta vis polemica utile, per
unanalisi meta-giornalistica, leggere larticolo in cui Eco analizza il linguag-
gio dellEspresso, il cui stile veniva criticato da molti. Cos fu chiesta a Eco
una perizia linguistica pubblicata sullEspresso l11 maggio 1980.

Trovo stimabile la decisione di tentare una analisi critica del linguaggio


dellEspresso, dopo che lEspresso ha criticato tanto il linguaggio degli altri. Trovo
meno esaltante lidea di affidare a me limpresa. Naturalmente la scelta ha una sua
logica: nessun pi di un collaboratore costantemente teso a individuare i difet-
ti del giornale su cui scrive, n la prima che uso le colonne dellEspresso per cri-
ticare LEspresso. Daltra parte su questo giornale continuo a scrivere, e ci signi-
fica evidentemente che le critiche sono temperate da atti di solidariet e da giu-
stificazioni non solo ideologiche. Questo fatto rende [] Il difetto dellEspresso:
[] rivista di prime donne che si affrontano esprimendo opinioni personali e
idiosincratiche, LEspresso pu demonizzare e canonizzare Toni Negri in due arti-
coli appositamente affiancati. O costruire conflitti interni a numeri alterni. []
Ma veramente cos? Lipotesi che cercher di sviluppare che questa splendida
dialettica in realt amalgamata attraverso alcune strategie comunicative che
indirettamente creano una Espresso-Waltanschauung abbastanza omogenea8.

7
Id., Sette anni di desiderio, Bompiani, Milano 1982, pp. 5-6.
8
Ivi, pp. 149-150.
674 Luca Mastrantonio

Dopo aver analizzato il lessico e il contenuto politici di alcuni articoli,


citando Vincenzo Visco, per leconomia, e poi Arbasino e Argan, Eco divide
i lettori in tre categorie.

Quello che sa cosa sono i plurimi punti di fuga, quello che non lo sa bene, ma
coglie loccasione per andare a sfogliare una storia dellarte, e quello infine che
non lo sa, non gli interessa gran che saperlo, ma ritiene che in questo educato e
frequentato ricevimento che LEspresso, alcuni ospiti vanno salutati con un cor-
tese cenno del capo, e con altri ci si intrattiene pi a lungo, lieti in ogni caso che
ci sia tanta bella gente. E questo lettore salter Zevi e andr a leggersi la rubrica
radiotelevisiva di Sergio Saviane dove anche mezzobusto un termine tecnico,
ma di un gergo con cui egli si sente a proprio agio. [] In poche parole,
LEspresso non ha scelto la strada del puro notiziario, ma della raccolta di sagget-
ti. Il lettore di questo giornale non ha da sapere quanti film si proiettino in set-
timana, n quante palle o quante stelle abbia ciascuno, ma divertirsi a seguire la
reazione di Moravia a un solo film. E se le opinioni di Moravia lo irritano, non
le lega. Nel rispetto di questa dialettica dei saggetti, la direzione premia la
variet e la conflittualit (supremo valore borghese) a scapito della coerenza e
della continuit. Il lettore invitato a misurarsi con opposti estremismi.
Naturalmente la proposta nasconde un ricatto: se non sei capace di sopportare
questa doccia scozzese, non sei dei nostri. Una volta accettato questo gioco, le dif-
ficolt di linguaggio non fa problema9.

Eco analizza le foto, i titoli, il rapporto titolo-articolo e il rapporto tra le


tre sezioni del settimanale: politica, cultura ed economia. Analizza la rubrica
delle lettere, studia le smentite che riguardano soprattutto la politica, poi le-
conomia e la cultura, e critica nellEspresso lomogeneit agli altri giornali
dove la politica la parte meno seria, pi scandalistica, pi qualunquistica,
leconomica viene presa per materia di fatto, mentre la cultura appare pi
aperta, persino sensuale, e tutto sommato meno compromettente. Eco ana-
lizza alcuni tratti dellEspresso delle origini, perduti. Il racconto diretto,
confidenziale, quasi voyeuristico. Poi cera la fase delle formule interrogative
cui seguiva, didascalica, la spiegazione del settimanale. Infine, si arrivati a
qualcosa che oggi si definirebbe autoreferenzialit, nellanalizzare il patto tra
giornale e lettore.

LEspresso ha laria di rivolgersi al suo lettore come se fosse un professore univer-


sitario, ma contemporaneamente gli dice sempre che il suo articolo lava pi bian-
co, come una massaia. Non un difetto del solo Espresso, ma trovo irritante quel-
laria continua di dire: finalmente noi siamo in grado per primi di rivelarvi tutto
su questa faccenda. Talora veramente cos [] Ma in quei casi i lettori se ne

9
Ivi, p. 152.
Umberto Eco: Accademico azionista 675

accorgevano benissimo, e nei casi in cui le rivelazioni non sono tali, dopo un
poco il lettore se ne accorge lo stesso10.

Dopo aver elencato altri difetti, Eco, come spesso fa in alcuni suo inter-
venti, e nella stessa introduzione alla raccolta, li riassume e assume su di s
palesemente in conclusione.

Ecco, lesperto vi ha detto chi, come, perch e quanto LEspresso ha dei di difetti.
Un inedito in esclusiva. La moda culturale dellanno Pero se arriverete a legge-
re questo articolo, capirete perch si continua a scrivere su questo giornale. Perch
si pu dire che irritante. E si pu perch lEspresso cos irritante da accettare
lautoflagellazione pur di convincere il proprio lettore che non irritante. Per
questo irritante11.

La bustina di Minerva

Nel 2000 esce la raccolta La bustina di Minerva, con le rubriche uscite


sullEspresso, settimanalmente, a partire dal 1985 (dal marzo 1985 diven-
tata quindicinale). In realt, come ricorda Eco nellintroduzione, una serie di
bustine caratterizzate da una satira di usi e costumi quotidiani sono state rac-
colte allinizio del 1992 ne Il secondo diario Minimo. Eco recupera molte che
erano rimaste fuori. Volendo fare una raccolta che copra lultimo decennio,
mi trovavo a scegliere tra quasi cinquecento Bustine. naturale che abbia
dovuto eliminarne circa due terzi.
Poi spiega, sempre nellintroduzione datata Milano, 5 gennaio 2000 ,
i criteri: ha lasciato i testi legati ad un evento di attualit cui rimandava in
maniera ellittica, io stesso rileggendomi anni dopo non riuscivo pi a coglie-
re i riferimenti. Questo mi ha forse imposto di non tener conto di interven-
ti su argomenti molto importanti ma, se gli argomenti erano veramente
importanti, li ho ripresi in altre sedi e con maggiore ampiezza, per esempio
in Cinque scritti morali (Bompiani 1997). In due casi ho deciso di inserire
articoli pubblicati altrove: questa spiega la presenta in questa raccolta della
versione ridotta di un articolo sul caso Sofri (Micromega 3, 1997) e di un
atro apparso su la Repubblica durante la guerra del Kosovo.
Escluse anche molte Bustine dedicate ai tanti amici scomparsi, cos come
quelle improntate ai puri giochi linguistici. Sussunte quelle ripetitive, dove lo
stesso argomento veniva ripreso pi volte. Anche se ha lasciato sopravvivere,
sostiene, alcuni tormentoni, perch in certi casi tornare sullo stesso tema
significa che alcuni fenomeni o alcune polemiche sono ricorsi con insistente

10
Ivi, p. 154.
11
Ivi, p. 157.
676 Luca Mastrantonio

monotonia nei media italiani. In questi casi giustifica Eco la ripetizione


testimonia di una coazione a ripetere che non era mia, bens della societ. Se
il testo vi appare ripetitivo, dunque, colpa del contesto.
Il titolo della rubrica si riferisce a quei piccoli contenitori cartonati di
fiammiferi Minerva, e al fatto che nel retro della loro copertina spesso si
annotavano indirizzi, liste della spesa o (come accade a me) appunti steno-
grafici su quello che ci viene in mente in treno, al bar, al ristorante, leggendo
un giornale, guardando una vetrina, frugando tra gli scaffali di una libreria.
Poi dicono che il fumo fa male. Le occasioni di riflessione, comunque, pote-
vano essere del tutto slegate dalla stretta attualit. La bustina un supporto
casuale per le riflessioni, comunque esse si presentino.
Infine, Eco specifica il moto che anima le bustine, il movente etico. Un
altro criterio che seguivo nel corso della rubrica che non vale la pena di scri-
vere un articolo per cos dire che male ammazzare la mamma, quando tutti
sono daccordo che si tratti di un comportamento ingiusto. Sarebbe solo esi-
bizione alquanto demagogica di buoni sentimenti. Caso mai vale la pena di
scrivere quando moltissimi ritengono che sia giusto ammazzare, con tutti i
crismi di stato, chi ha ammazzato la mamma. Idem per labuso sessuale sui
minori. Anche perch prevedevo che in quello stesso numero del settimana-
le sarebbe stato dato spazio adeguato a quegli sciagurati eventi, ed esprimen-
do una ovvia riprovazione.
Ma quando in diversi paesi le folle si sono radunate per marciare contro i
pedofili, scrive Eco, allora utile commentare la singoralit di questo feno-
meno. Per quanto giocose, le Bustine rispondono quasi sempre a un moto
dirritazione. Parlano pochissimo di quel che piace a Eco, piuttosto di quel-
lo che non gli mi piace. Eco ben consapevole del tipo di contributo a lui
richiesto e specifica la natura etico-morale della sua ispirazione.
La prima sezione, Il lato oscuro della galassia, affronta il tema delle migra-
zioni, dallAfrica soprattutto, mettendo a fuoco la nuova figura dellesiliato,
con Esilio, Rushdie e il Villaggio globale. Rispetto ai tempi di Dante, resta il
fascino malinconico dellesiliato, la cui natura per in un certo senso nega-
ta: Il caso Rushdie dimostra che, con il potere che hanno i mass media di
amplificare e diffondere per tutto il mondo un verdetto di condanna a morte,
su questo globo non esiste pi spazio per lesilio. Attenzione, il villaggio glo-
bale non crea uno spazio di solidariet totale. Anzi. Non globale perch ci
permette di illuderci che ciascuno sia prossimo nostro, ma globale perch
ovunque pu presentarsi il volto del nemico, che non ti prossimo.
C, poi, un altro effetto collaterale: Il villaggio dellesilio annullato
globale perch non puoi neppure tentare di lasciare il persecutore alle tue cal-
cagna, precedendolo disperatamente in linea retta. Rapidamente informato,
un altro sar pronto a circumnavigare verso di te. Ancora passaggi negli Usa,
in particolare New York, new York, what a beautiful town!, poi due articoli sui
rigurgiti antisemiti, il primo Sinagoga di Satana e Protocolli dei Savi di Sion.
Umberto Eco: Accademico azionista 677

Un tema costante, in Eco, diventa il linguaggio politically correct. In Poli-


ticamente corretti o intolleranti? Mette a nudo il fondamentalismo di un lin-
guaggio che pure vorrebbe opporsi a qualsiasi discriminazione razziale. Un
processo lampissimo articolo dedicato al caso Sofri.
Segue la sezione Amate sponde, cronache italiane, soprattutto su dibattiti
politici e culturali, dal revisionismo ai servizi segreti che devono restare
segreti ma funzionare meglio dei governi che li governano sempre da un
punto vista personale e culturale, come le proprie letture di libri di spionag-
gio o i temi che nellinfanzia aveva scritto sul tema, encomiastico, del Duce.
Rompe le righe tra gli arruolati a destra da Vittorio Feltri (basta che un auto-
re venga pubblicato da Einaudi e diventa di sinistra) in Ma da che parte sta
Corto Maltese?. Dedica due articoli, molto duri, a Bossi e la Lega, mentre si
occupa, con ironia, del ritorno dei Savoia.
La sezione forse pi interessante Sublime specchio di veraci detti, dedica-
to ai linguaggi e i comportamenti contemporanei. Piccoli gioielli di arguzia e
umorismo, derivato dal gioco tra alto e basso, totem e tab della nostra lin-
gua italiana. Il giudizio ovviamente di gusto, per cui si pu difendere luti-
lizzo di cazzeggio e stronzo rispetto allodiato attimino o fruitore
(Come difendere brutte parole in un attimino e Il pettegolezzo era una cosa
seria), si elogia la menzogna politica a fin di bene e si condanna la bugia lin-
guistica per cui per Clinton, la fellatio non era un atto sessuale, ma un rap-
porto extra-lavorativo (Ma in che parrocchia ha studiato Clinton?). Ancora,
riflessioni su privacy e linguaggi politicamente corretti.
Segue Quel che nelluniverso di squaderna, puntuali commenti a novit tec-
nologiche e linguistiche legate ai nuovi media, in particolare al Web, che tra-
ghetterebbe il libro nel mondo dellipertesto, cio un testo ulteriore cui si
accede a partire da un altro. Ai vecchi media, dedicato invece Bench il par-
lar sia indarno, con polemiche e interventi su temi legati allinformazione,
uninformazione dove i giornali sono diventati schiavi della tv, e la politica
dei sondaggi. Seguono due sezioni molto ludiche, Zanzaverata di peducci frit-
ti, composta da spigolature di lettere e arti, e il palazzeschiano Lasciatemi
divertire, ricco di raccontini, mentre nellultimo capitolo si torna su lin-
guaggi e media, per le leopardiane Le magnifiche sorti e progressive, cio anti-
cipazioni sul Terzo Millennio. Che si conclude con un Come prepararsi sere-
namente alla morte.

La storia a passo di gambero

Nel 2006 esce la raccolta pi politica, e polemica, di Umberto Eco, A


passo di gambero, che copre un arco di tempo che va dal 2000 al 2005. Gli
scritti sono tratti dallEspresso, dalla Repubblica, da Micromega e si
connotano per una forte opposizione a Berlusconi. La tesi del libro, che con
678 Luca Mastrantonio

una introduzione orienta il senso degli articoli, che il mondo, lAmerica,


lEuropa e lItalia stiano tornando indietro, come i gamberi. Finita la guerra
fredda, ecco la Guerra calda, come recita la prima parte del sottotitolo:
Guerre fredde e populismo mediatico. Il termine post-quem ovviamen-
te l11 settembre, lattacco alle Torri gemelle cui sono seguite le guerre in
Afghanistan e in Iraq. Mentre in Italia, abbiamo lapoteosi dellera berlusco-
niana.
Nellintroduzione, come per le altre raccolte, Eco si riallaccia a una rac-
colta precedente, La bustina di Minerva, al pezzo Il trionfo della tecnologia leg-
gera dove, sotto forma di falsa recensione di un libro attribuito a tale Crabe
Backwards, osservavo che negli ultimi tempi si erano verificati degli svilup-
pi tecnologici che rappresentavano dei veri e propri passi allindietro. Eco
sostiene di aver profetizzato il ritorno alla radio con lIpod, per esempio.
Scherzose o meno che fossero, queste osservazioni non erano del tutto azzar-
date sostiene Daltra parte che si stesse procedendo a ritroso era gi parso
chiaro dopo la caduta del muro di Berlino, quando la geografia politica
dellEuropa e dellAsia era radicalmente cambiata. Si tornati a confini ispi-
rati agli atlanti pubblicati prima del 1914, con la Serbia, il Montenegro, i
loro stati balcanici.
La storia dei passi indietro, sostiene Eco, non finisce qui. Dopo il cin-
quantennio di Guerra fredda, abbiamo avuto con lAfghanistan e lIraq il
ritorno trionfale della guerra guerreggiata o guerra calda, addirittura riesu-
mando i memorabili attacchi degli astuti afghani ottocenteschi al Kyber
Pass, una nuova stagione delle Crociate con lo scontro tra Islam e cristianit,
compresi gli Assassini suicidi del Veglio della Montagna, tornando ai fasti di
Lepanto.
Altri passi da gambero sono i ritorni della polemica antidarwiniana, il fan-
tasma del Pericolo Giallo, le nostre famiglie che ospitano servit di colore
come nel sud di Via col vento, le grandi migrazioni di popoli barbari, lanti-
semitismo con i Protocolli dei Savi di Sion (di cui per Eco si occupato
ampiamente gi in precedenza, quindi forse non un vero ritorno ma una
vena che non ha mai smesso di pulsare).
Eco ammette che, per esempio, in Europa qualcosa cambiato, lunione
storica del vecchio continente, ma la sua erudizione, e alcune costanti delle
dinamiche politiche mondiali, fanno agio alla sua tesi. E in Italia? Si sta tor-
nando la fascismo? Al regime? Eco, discettando su ur-fascismo e utilizzando
in chiave neutra la parola regime fa la mossa del cavallo: si sposta lateralmente
e avanza nella discussione. Riconosce che anche lItalia di Berlusconi ha qual-
cosa di nuovo, perch il suo populismo mediatico pi evoluto di quello del
Terzo Mondo.
C un regime e, dichiara nellintroduzione, ci sono i fascisti (per quan-
to molto post, ma alcuni sono ancora gli stessi) al governo. Daltra parte,
mentre correggo le bozze, un atleta allo stadio ha salutato romanamente la
Umberto Eco: Accademico azionista 679

folla plaudente, il riferimento a Paolo Di Canio, giocatore della Lazio, per


non dire della Devoluzione, che ci riporta ad unItalia pre-garibaldina. Si
riaperto il contenzioso post-cavouriano tra Chiesa e Stato e, per registrare
anche ritorni quasi di giro posta, sta tornando, in varie forme, la Dc.
Gli scritti, scrive Eco, sono nati dalla indignazione di questo Nuovo che
Avanza. Che levoluzione morale dellirritazione che animava gli scritti
della Bustina di Minerva. La seconda sezione aperta da un appello contro
Berlusconi scritto prima delle elezioni del 2001, un appello che molto
stato vituperato. Eco conclude, felice, che ormai non si trova nellimbaraz-
zo di essere accusato di voler riuscire simpatico a tutti i costi e si tiene ben
stretta lantipatia che sembrerebbe suscitare. Pubblico questi scritti allinse-
gna di quella antipatia positiva che rivendico. Poco prima spiegava: Ho sof-
ferto molte volte nel vedermi accusato di voler riuscire simpatico a tutti i
costi, cos che lo scoprirmi antipatico mi riempie di orgoglio e di virtuosa
soddisfazione. Perch? Un intellettuale onesto si attira pi antipaia che sim-
patia. Un giornalista bravo porta spesso cattive notizie, ma non cattivo di
suo. Lopinionista deve dire la sua, non deve allisciarsi il pelo del lettore
(anche se poi a volte fare il contropelo al nemico dei propri lettori solo un
modo per allisciare pi profondamente i propri lettori).

Se qualcuno si batte per una scelta politica, fatto salvo il diritto-dovere di essere
pronti a ricredersi un giorno, in quel momento deve ritenere di essere nel giusto
e denunciare energicamente lerrore di coloro che tendono a comportarsi diver-
samente. Non vedo dibattito elettorale che possa svolgersi allinsegna dellavete
ragione voi, ma votate per chi ha torto. E nel dibattito elettorale le critiche
allavversario devono essere severe, spietate, per potere convincere almeno lin-
certo. Inoltre molte delle critiche giudicate antipatiche sono critiche di costume.
E il critico di costume (che sovente nel vizio altrui fustiga anche il proprio, o le
proprie tentazioni) deve essere sferzante. Ovvero, e sempre per rifarsi ai grandi
esempi, se vuoi essere critico di costume, ti devi comportare come Orazio; se ti
comporti come Virgilio, allora scrivi un poema, magari bellissimo, in lode del
Divo regnante12.

Orazio, dunque, tornato. In mancanza di Virgilio, sintende. A volte, il


linguaggio di Dante, ma in prosa, con chiusa alla Hemingway, come
nellAppello 2001 per un referendum morale, intitolato Per chi suona la cam-
pana. Di fronte allElettorato Motivato e allElettorato Affascinato da Berlu-
sconi e il suo Polo, Eco esorta lElettorato Demotivato di sinistra, intesa nel
senso pi ampio del termine, dal vecchio laico repubblicano al rifondarolo,
sino al cattolico antipolitico.

12
U. Eco, A passo di Gambero, Bompiani, Milano 2006, p. 8.
680 Luca Mastrantonio

La responsabilit morale di costoro enorme, e la Storia domani non criticher i


drogati delle telenovelas, che avranno avuto la telenovela che volevano, ma colo-
ro che, pur leggendo libri e giornali non si sono ancora resi conto o cercano
disperatamente di ignorare che quello che ci attende tra qualche giorno non sono
elezioni normali, bens un Referendum Morale. Nella misura in cui rifiuteranno
questa presa di coscienza, sono destinati al girone degli ignavi13.

Eco invita gli incerti a sottoscrivere, votando per la parte avvera al Polo,
un appello Contro linstaurazione di un regime di fatto, contro lideologia
dello spettacolo, per salvaguardare nel nostro paese la molteplicit dellinfor-
mazione, consideriamo le prossime elezioni come un Referendum Morale a
cui nessuno ha diritto di sottrarsi. Perch nessun uomo unisola Non
mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te.
Il girone degli ignavi non ha fatto il tutto esaurito, perch Rutelli stava
quasi per farcela, e la vittoria di Berlusconi nel 2001 stata una vittoria di
Pirro (se non fosse che anche Prodi riesce a battere il Cavaliere ma non a
governare). Si resa palese, comunque, la dimensione militante, di propa-
ganda, di arruolamento politico entro cui opera Eco, intellettuale che scrive
sui giornali. Una dimensione che, in fondo, quella con cui ha iniziato a fare
il giornalista, per il movimento giovanile dellAzione cattolica.
Eco dunque tornato, o ha mostrato dessere quello che non ha mai smes-
so. Un credente, fervente, convinto della propria fede. Pi cristiano che cat-
tolico, medioevale e postmoderno pi che barocco e modernista, un intel-
lettuale azionista, interventista, al limite della propaganda. Eco un indefes-
so razionalista alle prese con lirrazionalit. Dalla fede passato al credo poli-
tico, persa la fiducia nei partiti diventato un tifoso importante nelle batta-
glie politiche italiane. Ma lanimano i moti di irritazione e indignazione.
tornato, nella convinzione quasi religiosa, di essere nel giusto a fare proseliti-
smo.

13
Ivi, p. 116.

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