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L’origine delle letteratura latina è posta tradizionalmente nell’anno 240 a.C., quando Livio
Andronico fece rappresentare un suo testo scenico, forse una tragedia. Le origini della letteratura non
coincidono con quelle delle “forme comunicative” in cui una cultura trova espressione. I Romani
avevano presente, come guida per conoscere il proprio passato, il riferimento alle origini della
letteratura greca. Il teatro greco del V sec. deve aver avuto una preistoria le opere letterarie di
Andronico, che i Romani usano come soglia della cronologia letteraria, son testi “di riporto” che
nascono dalla traduzione di un genere letterario già maturo, la tragedia greca di età classica ed
ellenistica.
Fin dall’antichità glia abitanti del Lazio che parlavano latino affidavano alla scrittura messaggi
semplici legati alla vita pratica e quotidiana. La presenza di iscrizioni di tipo “strumentale”, su
oggetti di uno quotidiano e domestico, ci fa capire che già nella Roma arcaica una certa capacità di
scrivere era diffusa anche tra persone di media condizione. Tuttavia la scrittura era più diffusa nei
ceti superiori, trai sacerdoti e tra chi aveva accesso alle cariche pubbliche. In questa fase non è
attestata nessuna circolazione libraria. I più antichi libri sono i libri Sibillini, testi religiosi scritti in
greco. Nella Roma medio-repubblicana l’alfabetizzazione si presenta più ampia. Nel III sec. viene
riconosciuta una corporazione di scrivani, gli scribae.
Sono forme pre-letterarie infatti l’uso del latino come lingua ufficiale (leggi, trattati, formulario
religiose, iscrizioni pubbliche) produsse un impulso per lo sviluppo della lingua latina e della cultura
letteraria.
Nella storia romana c’è sempre stato un influsso greco grazie a contatti commerciali. Anche nella
letteratura c’è una contrapposizione tra il formulario etico e rigoroso romano e la sinuosità delle
forme greche. Perfino il verso più antico romano, il saturnio, sembra essere toccato da antichi contatti
con la grecità.
Leggi e trattati
L’uso della scrittura fu legato fin dall’inizio alla necessità di avere registrazioni ufficiali: trattati, patti
internazionali, leggi, che esercitarono un forte influsso sulle origini della prosa latina. Dei trattati
abbiamo solo testimonianze indirette. Importati furono le leges regiae, che risalgono alla fase
monarchica e avevano un’impostazione sacrale. Le prime vere leggi scritte furono le leggi delle XXII
tavole, emanate tra il 451 – 450 a.C., con le quali i plebei ottennero i loro diritti.
I fasti e gli annales
I cemmentarii
Indicano appunti, memorie, osservazioni a carattere privato. Cesare una questo termine per indicare
le sue narrazioni della guerra gallica e della guerra contro Pompeo: sono opere di attenta cura
letteraria e impostazione politica, si tratta di una rievocazione condotta di prima mano. Silla aveva
scritto 22 libri di memorie. I Commentarii sono quindi opere non professionali, caratterizzate da
informazioni e memorie personali. L’origine di questa accezione risale alla pratica dei magistrati di
raccogliere in una sorta di diario personale i vari provvedimenti presi.
Prima della grecizzazione a Roma era più importante saper parlare: i Romani consideravano l’abilità
oratoria come forma di potere e fonte di successo. L’oratoria era considerata l’unica attività
intellettuale degna di un cittadino di elevata condizione, era un affare di nobili cittadini. La capacità
di convincere era necessaria per una carriera politica. Mentre la letteratura rientra negli otia, nel
tempo libero, l’oratoria è considerata parte integrante della vita attiva. Appio Claudio Cieco fu
console nel 307 e nel 296, censore nel 312 e dittatore. Combatté contro Etruschi e Sabini, fu il
vincitore del Sanniti nella terza guerra sannitica, permise l’ingresso dei plebei in senato. Viene
ricordato per la sua abilità oratoria, fu esperto di diritto e di questioni linguistiche. Scrive una
raccolta di massime (Sententiae) a carattere moraleggiante e filosofeggiante.
Le forme comunicative con finalità pratica hanno comunque portato un contributo alla formazione
del latino letterario. Le leggi, così come le preghiere e le formule rituali erano testi autorevoli e
avevano uno stile solenne, con l’uso di alcune formule fisse così da rendere più facile la
memorizzazione.
Il significato più usuale di carmen (da cano, “cantare, suonare”) è poesia; Ennio lo traduce con la
parola greca poema per due motivi: vuole marcare la sua predisposizione a poetare “alla greca”, e
vuole sottolineare così il rifiuto di una tradizione antichissima. A Roma carmen era un vocabolo
indifferenziato, indicava diverse cose; non era tale per in suo contenuto o il suo uso, per individuarlo
dobbiamo guardare la sua forma. La prosa romana antica è caratterizzata da una forte stilizzazione,
ha una tessitura ritmica segnata e percettibile; la poesia invece ha una struttura metrica debole in
quanto sottostante a norme non rigide. Per questo motivo versi e prosa sembrano avvicinarsi
reciprocamente.
La tradizione stilistica dei carmina unisce il periodo delle origini alla storia letteraria di Roma, è un
modo di scrivere che non pratica nette distinzioni tra versi e prosa.
Le più antiche forme di carmina sono a carattere religioso e rituale. Le più importanti testimonianze
riguardano due importati carmina rituali, il Saliare e l’Arvale. Il primo era il canto di un collegio
sacerdotale, i Salii, che sarebbe stato istituito da re Numa Pompilio. Erano 12 sacerdoti del dio
Marte, che ogni anno, nel mese di marzo, recavano in precessione i 12 scudi sacri, gli ancilia; uno
degli scudi era quello caduto dal cielo come pegno della protezione divina su Roma. I Salii
proferivano una serie di carmina diversi, avanzando in un balletto rituale scandito in 3 tempi
(tripudium perché battevano 3 volte il piede a terra), e invocavano tutte le potenze divine. Il carmen
Arvale era cantato ne mese di maggio dai Fratres Arvales, un collegio di 12 sacerdoti promosso da
Romolo. Essi levavano un inno di purificazione dei campi, implorando protezione da Marte e dai
Lares, gli antenati. Del testo abbiamo una riproduzione abbastanza attendibile, anch’esso ha un ritmo
ternario.
Poesia popolare
Canti eroici
Poesie a funzione celebrativa eseguite in riunioni private. Questi canti eroici potrebbero avere
influenzarono lo sviluppo di un’epica latina autoctona, e sarebbero stati i veicoli per tramandare miti
e leggende. Questa ricostruzione è solo ipotetica perché c’è scarsa rilevanza dei canti eroici nella
Roma arcaica. Catone e Cicerone sono i nostri principali testimoni sulla diffusione di questi canti.
Catone però cita solo per tradizione indiretta. Noi non abbiamo indizi di una circolazione scritta di
queste poesie.
Le testimonianze più antiche della poesia romana sono composte con un particolare verso, il
saturnio. In saturni sono composti i due primi testi epici romani: la versione dell’Odissea di Livio
Andronico e il Bellum Poenicum di Nevio; ci sono inoltre elogi funebri degli Scipioni. I due
componimenti più antichi si riferiscono a Lucio Cornelio Scipione, console nel 259, e suo padre,
console nel 298. Sono testi di notevole fattura letteraria con familiarità alla cultura greca.
L’etimologia del saturnio fa pensare a qualcosa di puramente italico, ma tutte le attestazioni ci
parlano di un influsso greco. Gli epitaffi degli Scipioni e il carmen Arvale presuppongono influssi
greci. Andronico e Nevio non compongono solo in saturni, ma anche con una metrica tipica della
poesia scenica greca. Tuttavia la sua struttura metrica non si lascia ricondurre a nessun verso
canonico della poesia greca. Il saturnio però non si può collocare completamente fuori dall’unità
culturale greco-latina. Si può vedere nel saturnio la trasformazione di certi cola: unità metriche
rintracciabili anche in filoni della poesia greca. È proprio la sua irregolarità rispetto ai versi canonici
greci che finì per decretarne la scomparsa. Esistono altre forme metriche che, pur riconducibili a un
1. La scena
Nel secolo che intercorre tra il 240 a.C. e l’età dei Gracchi la cultura romana conosce la fioritura di
opere sceniche e di rappresentazioni teatrali. Tutti i principali generi teatrali romani sono, in origine,
prodotti di importazione. Di origine greca sono infatti il principale genere comico, la palliata (il
pallio era il tipico abbigliamento dei greci; autori di questo genere sono Plauto, Stazio e Terenzio), e
il principale genere tragico, la cothurnata (coturni erano i calzati degli attori tragici greci). Gli autori
di palliate e coturnate presentano le loro opere ambientate in Grecia e derivate da precisi e conosciuti
modelli greci. Si sviluppano quindi una palliata e una coturnata romana che si chiameranno
rispettivamente togata (da toga) e praetexta (dall’abbigliamento dei magistrati romani). Queste usano
gli stessi canoni drammatici e hanno le stesse tendenze stilistiche. Anche i termini tecnici della
drammaturgia sono tutti di origine greca o etrusca Tito Livio, in un passo, precisa che l’origini degli
spettacoli romani è etrusca.
L’occasione di cui parla Livio è contrassegnata da pubbliche cerimonie religiose: la sede regolare del
teatro latino sarà rappresentata dal ricorrere di feste religiose. La più antica ricorrenza teatrale è
legata alla celebrazione dei ludi Romani in onore di Giove Ottimo Massimo. Durante l’età di Plauto
e Terenzio 4 erano le ricorrenze destinate alle rappresentazioni teatrali: ludi Romani (settembre), i
ludi Megalenses, in onore della Magna Mater (aprile), i ludi Apollinares (luglio), i ludi plebeii,
dedicati a Giove Ottimo Massimo (novembre). I committenti delle opere teatrali si identificavano con
le autorità; in un’epoca in cui le cariche pubbliche sono rette dalla nobiltà era forte l’importanza dei
clan nobiliari nel favorire lo sviluppo del teatro. La natura della committenza spiega anche la scelta
degli argomenti (esaltazione di imprese eroiche o di antenati illustri). La praetexta avrà non solo una
tematica nazionale e nazionalista, ma anche un riferimento a singole figure politicamente influenti.
Inoltre la commedia latina non esercita forme di critica sociale o di costume, non sono consentiti
attacchi personali o prese di posizione politiche. La commedia può essere realistica, ma non ha punti
di contatto con l’attualità politica.
Un’altra data importante per il teatro romano è il 207, quando fu fondata la “confraternita degli autori
e degli attori”, ma il riconoscimento fu limitato. L’assunzione del termine greco poeta indicherà il
crescere di una più elevata autocoscienza. Il riconoscimento sociale crebbe con il consolidarsi di
legami tra autori e aristocrazia: figure chiave di questa ascesa furono Ennio per la letteratura “seria”,
e Terenzio per il teatro comico. Gli oneri finanziari erano dello stato, rappresentato dai magistrati
organizzatori, i quali dovevano trattare con gli autori e con il “capocomico” che dirigeva la
compagnia.
Il primo teatro di pietra risale al 55 a.C., prima erano in legno. L’azione si svolgeva sempre in esterni,
di fronte a due o tre case collocate su una strada che portava da una parte al centro della città,
dall’altra all’esterno. Fondamentale era l’uso delle maschere. Queste erano fisse per determinati tipi
di personaggi (vecchio, giovane innamorato, matrona, cortigiana, schiavo, parassita, soldato).
Avevano la funzione di far riconoscere subito quale tipo di personaggio fosse. L’uso delle maschere
ebbe un forte influsso sulla poetica dei commediografi latini; aveva inoltre una funzione pratica: uno
stesso attore, cambiando la maschera poteva interpretare più ruoli.
L’autore di palliate più conosciuto è Plauto che scrive commedie: non divise in atti e composte da
parti recitate e cantate. Il teatro plautino comprendeva 3 modi di esecuzione di formazione metrica: le
parti recitate senza accompagnamenti musicali (in senari giambici), le parti recitative con
accompagnamento musicale (in settenari trocaici), le parti cantate, composte in molte varietà di
metri. Tutti questi tipi di verso trovano corrispondenza in versi greci, con alcuni adattamenti. La
struttura metrica della palliata offre quindi un’impressione di ricchezza e musicalità. Le commedie
erano generalmente divise in atti e composte solo da parti recitate e recitative.
La struttura della tragedia attica prevedeva un alternarsi di parti dialogate, recitate o recitative, e di
parte liriche; queste ultime avevano l’aspetto di grandi costruzioni strofiche: i cori, che prevedevano
una fusione fra il testo e la “coreografia”. La funzione delle parti corali era il commento all’azione. I
tragediografi latini non disponessero delle strutture necessarie a riproporre nel teatro romano le
inserzioni corali del teatro attico. La scomparsa della lirica corale apriva nelle tragedie come un
“vuoto” di stile e di immagini. I tragici latini ovviarono a questo vuoto alzando il livello stilistico dei
loro drammi.
LIVIO ANDRONICO
Data di nascita e morte ignote. Era un greco originario della colonia di Taranto, nella Magna Grecia.
Giunse a Roma nel 272 a.C. alla fine della guerra tra Roma e Taranto, al seguito del nobile romano
Livio Salinatore (da cui prese il praenomen), di cui fu liberto. A Roma fu grammaticus = prof di
latino e greco; scriveva testi drammatici, tragedie, commedie. Nel 240 a.C. rappresenta ai ludi una
sua opera. Nel 207 a.C. gli venne commissionato un partenio (“canto di fanciulle”) in onore di
Giunone, destinato all’esecuzione in pubblico nel corso di cerimonie religiose. Ebbe pubblici onori e
la sua “associazione professionale” venne insediata in un edificio pubblico, il tempio di Minerva
sull’Aventino.
TRAGEDIE: Legate al ciclo della guerra di Troia Achilles, Aiax mastigòphorus, tratto dall’Aiace di
Sofocle, l’Equos Troianus, e l’Aegisthus. Rielabora modelli greci = Sofocle ed Euripide.
COMMEDIE: Titolo sicuro Gladiolus (“Sciaboletta”) con protagonista predecessore del Miles
gloriosus di Plauto.
OPERA PIÙ SIGNIFICATIVA traduzione, nel tradizionale verso latino, il saturnio, dell’Odissea di
Omero = Odusia. Ce ne sono giunti 36 frammenti.
Le informazioni sulla sua vita si basano su Cicerone e Livio. Cicerone testimonia un’antica
controversia sulla biografia di Livio: Accio (poeta tragico e filologo del II sec. a.C.) fissa il 209, anno
della presa di Taranto, come arrivo di Livio a Roma. Ipotesi non probabile perché sarebbe
contemporanea a Plauto e Ennio.
I grandi classici romani del I sec. a.C. lo considerano l’iniziatore della letteratura latina.
L’operazione di traduzione di Livio ebbe finalità letterarie e culturali. Traducendo Omero rese
disponibile ai Romani un testo fondamentale della cultura greca, ebbe fortuna soprattutto come testo
scolastico.
Concepì la traduzione come un’operazione artistica: propone un testo che affianchi l’originale che sia
fruibile come opera autonoma ma che conservi anche la qualità artistica originale.
NEVIO
Cittadino romano, campano. Combatte nella prima guerra punica (264-241). Era plebeo di nascita,
antinobiliare: attacca in poesia la famiglia dei Metelli. Morì, forse in esilio, a Utica (in Africa) nel
204 o 201.
TRAGEDIE: conosciamo 7 titoli di argomento greco. Tragedie di argomento romano Romulus =
drammatica storia della fondazione di Roma, e Clastidium = celebrazione della vittoria di Casteggio
contro i Galli (222 a.C.). Scrive anche tragedie mitologiche: Hector proficiscens e Lycurgus
COMMEDIE: conosciamo 28 titoli. Tarentilla = “La ragazza di Taranto”. Precede Plauto.
OPERA PRINCIPALE: Bellum Poenicum, in saturni. Omaggio alla poetica ellenistica, si estendeva
per 4000-5000 versi, ne restano 60ina. Il Bellum Poenicum è concepito come un carmen continuum,
un testo poetico continuativo, senza divisioni; verrà poi diviso in 7 libri da un contemporaneo di
Accio.
Non si limitò a trattare in poesia della guerra ma nella prima parte dell’opera (o excursus), con un
salto cronologico, il suo racconto toccava le origini leggendarie di Roma, ricollegandola alla caduta
di Troia (storia di Enea che da Troia giunge al Lazio).
Nel Miles Gloriosus di Plauto si allude al fatto che forse venne incarcerato da avversari. Autentiche
sono le notizie degli attacchi di Nevio contro la famiglia dei Metelli.
Egli è il primo letterato latino di nazionalità romana, era inserito nelle vicende contemporanee e
partecipe ad eventi storici e politici. Il forte impegno nella vita politica traspare nei caratteri delle sue
opere: il Bellum Poenicum (primo testo epico latino che ha argomento ramano), le tragedie di
argomento romano.
Nevio doveva dare spazio anche all’intervento divino: il tradizionale apparato divino assumeva una
missione storica, e sanzionava la fondazione di Roma. Questa saldatura tra mito e storia innestava
l’ascesa di Roma in una sorta di visuale cosmica.
Non sappiamo come avvenisse il passaggio dalla narrazione mitica al racconto della guerra vs
Cartagine, certo è il fatto che erano due blocchi distinti. L’unico collegamento con il moto forse è
l’incontro di Enea con Didone, che avrebbe saldati i destini dei due popoli.
Nevio era conoscitore di poesia greca: Campania era zona di lingua e cultura ellenica. Il Bellum
Poenicum presuppone Omero e anche la tradizione ellenistica del poema storico-celebrativo. È una
storia di viaggi (Odissea) e di guerra (Iliade).
STILE: anche qui c’è mescolanza della cultura ellenistica e di quella nazionale varietà di tono e
impasto lessicale, importanza delle figure di suono. La sperimentazione di un nuovo linguaggio
poetico si sviluppò in due direzioni. Nella sezione mitica crea composti nuovi e nuove combinazioni
sintattiche per rispondere alla varietà delle forme greche. Nella sezione storica adatta il suo stile
poetico a una lunga narrazione continua.
È un testo caratterizzato da forte sperimentalismo.
PLAUTO
Nome completo: TITO MACCIO (da nome di un personaggio tipico dell’atellana, la farsa popolare
italica legame con personalità e attività di Plauto, nei tria nomina c’è l’allusione al suo mestiere di
‘commediante’) PLAUTO (“dalle grandi orecchie”/”dai piedi piatti”).
Era nativo di Sarsina, cittadina dell’Umbria, non era di origine romana, era un cittadino libero.
Muore nel 184 a.C.; la data di nascita si ricava indirettamente da Cicerone, secondo cui Plauto scrisse
da vecchio la sua commedia Pseudolus, che risulta rappresentato nel 191, e la vecchiaia per i romani
cominciava a 60 anni. Probabile è una nascita tra il 255 e 250 a.C.
Autore di grande successo, immediato e postumo e di grande prolificità. Nel II sec. sembra che
circolassero 130 commedie, vennero inoltre prodotte vere ‘edizioni’ ispirate ai criteri della filologia
alessandrina.
Varrone nel De comoediis Plautinis ritagliò nel corpus un certo numero di COMMEDIE = 21 quelle
giunte fino a noi: Amphitruo; Asinaria (commedia degli asini); Aulularia (“Commedia della
pentola”); Bàcchides; Captivi (“I Prigionieri”); Càsina (“La ragazza dal profumo di cannella” - 186);
Cistellaria (“Commedia della cesta”); Curculio (“Il gorgoglione” - commedia più breve); Epìdicus;
Mostellaria (“Commedia del fantasma”); Menaechmi; Miles gloriosus (“Il soldato vanaglorioso” –
commedia più lunga); Mercator (“Il mercante”); Psèudolus (in scena nel 191); Poenulus (“Il
cartaginese”); Persa (“Il persiano”); Rudens (“La gòmena”) Stichus (in scena nel 200);
Trinummus (“Le 3 monete”); Truculentus (“Lo zotico”); Vidularia (“Commedia del baule” – solo
frammenti).
La forza di Plauto sta nel comico che nasce dalle singole situazioni e dalla creatività verbale.
Amphitruo: “tragicommedia”; protagonisti eroi e divinità, l’unica con soggetto mitologico: il dio
Giove, invaghitosi di Alcmena, sposa del condottiero tebano Anfitrione, assume le sembianze del
marito, per entrare nel letto della moglie ignara, e Mercurio quelle del servo Sosia. Quanto tornano i
veri Anfitrione e Sosia, ritornati da guerra, Giove si manifesta per giustificare l’involontario adulterio
di Alcmena, la quale avrà due figli, uno concepito da Anfitrione e uno da Giove.
Asinaria: macchinazioni di un giovane per riscattare la sua donna, una cortigiana. L’impresa ha
successo grazie all’aiuto di furbi servitori e del padre dell’innamorato. Nasce poi una rivalità
amorosa tra padre e figlio che si risolve con il prevalere del giovane.
Aulularia: la pentola piena d’oro è stata nascosta dal vecchio Euclione. La pentola sparisce; sarà
usata dal giovane amoroso, con l’aiuto dello schiavo, per ottenere le nozze con l’amata, che è la figlia
di Euclione.
Bacchides: protagoniste due gemelle, cortigiane, la cui conquista da parte di due innamorati dà vita
a trama raddoppiata e movimentata da dubbi su identità delle due donne. Il modello era il Dis
exapaton (Il doppio inganno) di Menandro.
Casina: un giovane vorrebbe sposare una fanciulla illegittima. La fanciulla viene vinta dal ragazzo e
il padre troverà a letto un giovane travestito da donna. Alla fine si scoprirà la regolarità identità della
ragazza che porterà a giuste nozze.
Mercator: in rivalità amorosa sono un giovane e il padre. Il giovane sconfiggerà le mire del vecchio.
Miles gloriosus: rapimento di una giovane cortigiana per opera di Pirgopolinìce, soldato vanitoso e
fanfarone, nelle cui mani cade anche Palestrione, il fedele servo dell’amante della giovane. Il servo li
raggiunge e li libera.
Mostellaria: giovane approfitta del viaggio del padre e dissipa il suo patrimonio. Il ritorno
improvviso del padre costringe il servo del giovane a escogitare inganni per nascondere la
dissolutezza del figlio (fa credere che ci sia un fantasma). Sarà con l’intervento di un amico del
padroncino a sottrarlo alle ire del padre.
Persa: beffa ai danni di un lenone, l’innamorato è lui stesso un servo. Il servo impersona un persiano,
l’inganno ha successo. Protagonisti sono due schiavi, Tòssilo e Sagaristiòne impegnati a sottrarre a
un lenone, ruffiano, la ragazza amata da Tossilo. I due non riescono nell’intento ma ingannano lenone
convincendolo ad acquistare una schiava che si rivelerà essere una donna di libera condizione.
Poenulus: riconoscimento del protagonista, giovane cartaginese, della sua amata e cugina: il tutto a
spese di un lenone. La scena si svolge in Grecia.
Pseudolus: lo schiavo Pseudolo riesce ad ingannare il lenone Ballione, portandogli via la ragazza
amata dal padroncino.
Rudens: (rudens = fune); nel prologo la stella Arturo preannuncia il naufragio del lenone Labrace.
Egli porta con se una fanciulla nata libera. Il Caso vuole che i naufraghi arrivino sulla spiaggia dove
ci sono il padre e l’innamorato della fanciulla rapita, tutto si risolve a danno del lenone.
Trinummus: un giovane in assenza del padre sperpera il patrimonio familiare, privando la sorella
della dote. La situazione viene risolta da amico del padre.
Truculentus: protagonista è la cortigiana Fronesio che è parte attiva dell’azione: è una creatrice di
inganni, raggira i suoi 3 amanti.
Plauto desidera porre nelle sue opere una certa prevedibilità degli intrecci e dei “tipi umani” incarnati
dai personaggi, non particolare interesse per l'etica o la psicologia. Plauto tende a usare dei prologhi
espositivi che forniscono informazioni essenziali allo sviluppo della trama, non pone nessun colpo di
scena.
I personaggi in azione sono: servo astuto, vecchio, giovane amatore, lenone, parassita, soldato
vantone si insiste su termini psicologici come senex, adulescens).
La Prevedibilità degli intrecci si può risolvere come una lotta fra due antagonisti per il possesso di un
‘bene’: generalmente donna e/o somma di denaro per accaparrarsela. Il Vincitore è un giovane, e il
perdente ha delle giustificazioni (vecchio, sposato, o un lenone, un ricco trafficante di schiave) la
vittoria finale trova piena rispondenze nei codici culturali che il pubblico possiede.
Non vuole porre interrogativi problematici sul carattere dei personaggi o interesse per etica e
psicologia.
La forma preferita e la “COMMEDIA DEL SERVO” l’azione di conquista del bene è delegata dal
giovane a un servo ingegnoso, i servi creano inganni e persino li teorizzano.
Al centro dell’azione, nelle opere più mature, sta un vero demiurgo: artista della frode, poeta che
sotto gli occhi di tutti sceneggia la vicenda.
La COPPIA ‘GIOVANE DESIDERANTE – SERVO RAGGIRATORE’ è una costante tematica nel
teatro di Plauto.
ben definita è anche la scansione temporale, che prevede 3 fasi: il Servo medita inganno, agisce e alla
fine trionfa.
Un elemento importante della scena e la FORTUNA: forza onnipresente, la Tyche che è regina
incontrastata nel teatro ellenistico. Servo ha bisogno di alleato e di un antagonista alla sua altezza. E
la Trama comica ha bisogno di uno scatto irrazionale, quoziente imprevedibile che contrasta
messinscena e realtà. Grazie alla Fortuna scopriamo che esiste una realtà più autentica e sincera della
realtà ‘iniziale’ centro di equilibrio per “commedie del servo” e “commedie della Tyche”.
Plauto afferma un’altra sua preferenza: quella per la “COMMEDIA DEL RICONOSCIMENTO”, che
ruotano attorno ad un riconoscimento, identità prima nascosta o mentita, o perduta, e poi rivelata a
tutti che scioglie difficoltà. Queste commedie possono passare per fasi di errori e confusioni di
persona = “COMMEDIA DEGLI EQUIVOCI”; oppure identità salta fuori nel finale.
In molte di queste commedie c’è una sciavo furbo al lavoro, il suo lavoro è falsificare e cambiare
connotati.
2. I modelli greci
La maestria ritmica, i numeri innumeri di Plauto (“gl’infiniti metri” secondo definizione di Varrone e
Gellio) sono parte integrante della sua arte anche se noi ne ricaviamo una traccia inaridita. Plauto si
distacca dai modelli greci, anzi ha una predilezione per forme ‘cantate’.
Plauto si preoccupa molto poco di comunicare il nome e la paternità della commedia greca su cui si
è orientato. Il suo teatro non presuppone un pubblico così ellenizzato da gustare minutamente il
3. Il “lirismo comico”
Nel caso di Plauto i modelli sono perduti, l’interpretazione è soggetta a un movimento circolare.
L’originalità e l’autenticità di Plauto come artista autonomo, sta nel senso del comico, schietto e
popolaresco.
Analisi comparative dimostrano che P trasforma i suoi modelli secondo tendenze e preferenze
coerenti, tende a trascurare la severa coerenza dell’azione drammatica e le sfumature nel carattere dei
personaggi.
I difetti che la critica riconosce a Plauto sono da inquadrare come “sacrifici”: Plauto rinuncia a certe
virtù dei suoi modelli greci per spostare l’accento su altri interessi.
Personaggio della Commedia Nuova che riprende è il servo, ribaldo, amorale, creatore di inganni e
risolutore di situazioni che in P prende uno spazio del tutto eccezionale è lo schiavo furbo a gestire
lo sviluppo dell’intreccio e controlla, influenza, commenta con ironia e lucidità lo sviluppo degli
avvenimenti.
La posizione del servo astuto, che regge le fila dell'intreccio, ne fa un equivalente del poeta
drammatico “METATEATRO” = servo con battute, metafore, doppi sensi è il più vero portavoce
dell’originale creatività verbale di P. ed è la figura centrale.
Plauto usa quindi intrecci dei suoi modelli come materia, già dotata di significato, ma disponibile a
significati nuovi e imprevedibili.
L’innamorato o il vecchio signore sono sé stessi, ma possono anche partecipare della natura
imprevedibile del servo. Il comico originale di Plauto sta nel contatto tra materia dell’intreccio
(ripresa da Greci) e l’aprirsi di ‘occasioni’ in cui l’azione si fa libero gioco creativo = “lirismo
comico”.
1. Commedie ricopiate per tutto il Medioevo, ma lettura diretta di P rimane un fatto eccezionale.
Dante e contemporanei ignorano Plauto, mentre ha grande fortuna Terenzio
2. Dalla generazione di Petrarca le prime 8 commedie (da Amphitruo a Epidicus) cominciano ad
avere una buona diffusione.
3. Dal 1429, presso umanisti italiani circolano altre 12 commedie varroniane. Comincia lavoro
filologico sul testo di Plauto e rinasce la passione per l’autore come fatto teatrale. La
commedia umanistica vive di adattamenti e libere trasformazione dei modelli plautini = si
sviluppa un teatro in latino (la Chrysis di Piccolomini) e nel 1500 = teatro comico di Ariosto
e Mandragola di Machiavelli.
4. Tra 500-600 c’è lo sviluppo del teatro comico europeo: Shakespeare, Calderòn, Corneille,
Molière… sono collegati da traccia di tradizione plautina, variamente rivissuta.
5. Nell’età moderna e contemporanea le rappresentazioni di P continuano a essere una viva
presenza scenica: È IL PIÙ RAPPRESENTATO DI TUTTI I POETI SCENICI LATINI.
Plauto rimase estraneo alla tradizione dell’insegnamento lingua, stile e metrica di Plauto sono troppo
difficili e richiedono strumenti di comprensione, in più l’insegnamento normativo di grammatica e lo
stile latino si basava su Cicerone e Terenzio; inoltre temi e trame si prestavano male per
l’insegnamento rivolto a fornire esempi di moralità e serietà.
STAZIO
Era un libero di origine straniera. La sua produzione si colloca intorno al 180, è verosimile che sia
stato portato a Roma dopo la battaglia di Clastidium del 222. La data di nascita potrebbe essere tra il
230 e il 220. L’attività letteraria lo colloca come contemporaneo di Plauto e di Ennio. Di lui ci
restano una quarantina di titoli, tutte commedie palliate. La commedia più conosciuta è il Plocium
1. L’oratoria
Nel Brutus Cicerone sottolinea il legame che intercorre fra oratoria e vita politica. L’oratoria è frutto
intellettuale della classe dirigente: essa esprime la propria interpretazione della storia e dell’attualità.
Gli oratori più importanti dell'età arcaica sono uomini politici di rilievo: ciò la differenzia con
l'annalistica e la storiografia, le quali sono elaborate da membri della classe dirigente, ma non da
personaggi di primissimo piano. A detta di Cicerone, il primo romano la cui eloquenza fosse
testimoniata con sicurezza, era arco Cornelio Cetego (console nel 204). Tra i contemporanei di
Catone, spiccavano come oratori Scipione l'Africano Maggiore;, Quinto Fabio Massimo Cunctatot,
Lucio Emilio Paolo. Siamo informati sull'oratoria di Catone, il più grande oratore del II secolo.
Catone è il più notevole anche fra gli storici dell’epoca arcaica: a lui si deve la storiografia in lingua
latina. In precedenza vi era stata un’annalistica in greco composta dalla classe dirigente romana.
L’uso del greco significò una rottura con la tradizione della cronaca pontificale. Ad introdurlo fu
Fabio Pittore, e l’innovazione rispose alla necessità di raggiungere anche un pubblico non latino.
Quinto Fabio Pittore apparteneva alla gens Fabia, una delle più nobili casate romane: senatore e
magistrato, aveva combattuto contro i Galli Insubri (225-222). La sua opera storica andava dalla
fondazione di Roma alla fine della seconda guerra punica. Egli introduceva anche elementi
autobiografici. Largo spazio nella sua opera aveva la passione antiquaria: egli ricerca le origini di
istituzioni e cerimonie. Si occupo anche del più grande problema politico contemporaneo, lo scontro
tra Roma e Cartagine, assumendo una posizione filo-romana.
Non fu un personaggio politico di primo piano. Combatté nella seconda guerra punica, poté
conoscere personalmente Annibale. Compose in greco e secondo il metodo annalistico, una storia di
Roma, a partire dalle sue origini.
Di poco successivi sono altri due annalisti, che continuano a scrivere in greco, Gaio Acilio e Aulo
Postumio Albino. Il primo, senatore, fece da interprete in senato all’ambasceria dei 3 filosofi greci.
Albino scrive in greco e nel proemio si scusa degli eventuali errori.
Il poeta Lucilio faceva parte del circolo; è il primo letterato proveniente dall’aristocrazia, ed è il
primo aristocratico che rifiuta i negotia e l’attività pubblica, rifiuta i meccanismi di ascesa sociale.
ENNIO
Nacque nel 239 a.C. a Rudiae, in Puglia. Svetonio definisce Ennio un semigraecus, un italo-greco, il
poeta stesso amava sottolineare la sua natura trilingue (Latino, Greco, Osco). Si è formato a Taranto,
giunse a Roma in età matura, nel 204 a.C., venne portato a Roma, secondo la tradizione, da Catone.
A Roma svolse attività di insegnante, ma presto si afferma come autore scenico. Nel 189-187
accompagna il generale romano Marco Fulvio Nobiliare in Grecia, con l'incombenza di Illustrare nei
suoi versi la campagna militare che culmina nella battaglia di Ambracia operazione propagandistica.
Morì nel 169, nell'ultima parte della sua vita si dedicò agli Annales, il suo poema epico più
importante.
Ennio è il più in vista dei poeti arcaici. Probabile è il fatto che molte notizie siano autobiografiche è
sicuro che Ennio, nelle sue opere, facesse sentire una voce personale.
1. Il teatro
Fu poeta di teatro, l’ultimo a coltivare insieme tragedia e commedia, ma fu soprattutto poeta tragico.
Il modello preferito è Euripide, di cui Ennio tradusse molte tragedie. Da Eschili, il primo dei grandi
tragici ateniesi, derivò le Eumènides e forse gli Hectoris lutra (“il riscatto di Ettore”). Ennio doveva
essere un moderno, un uomo di teatro attento alle preferenze del pubblico. Il rapporto con i modelli
greci, così come il suo modo di tradurre, non è puramente emulativo, ma è l’impegno di un teatro
“vivo”. È caratterizzato da un’intensificazione patetica e da una retorica della commozione
grandiosa. La scelta di un'espressione patetica e spesso enfatica corrisponde anche ad un'esigenza
teatrale ben precisa: quella di produrre interesse nel pubblico, di coinvolgerlo emotivamente. Per
questo in Ennio, poteva comparire ancora il coro; un coro come virtuali cittadini.
È una delle pochissime opere poetiche di età medio-repubblicana. La funzione celebrativa doveva
essere fondamentale per tutta l’opera di Ennio poema Scipio in lode di Scipione L’Africano e la
tragedia Ambracia per ricordare la vittoria di Fulvio Nobiliore. L’età ellenistica aveva visto un
formidabile sviluppo della poesia di corte: presso la regge dei sovrani ellenici risiedevano poeti che
celebravano le gesta dei sovrani. Ennio avendo partecipato alla campagna di Nobiliore come ‘poeta
al seguito’ ripropose a Roma questo modello. Ennio doveva vedere la sua poesia come celebrazione
di gesta eroiche, rifacendosi ad Omero e alla recente tradizione dell’epica ellenistica di argomento
1-3 proemio (1), venuta di Enea in Italia, storia fondazione di Roma con avventure di Romolo e
Remo, periodo dei re; rivelazione delle ragioni della poesia; invocazione Muse e sogno in cui gli era
apparsa l’ombra di Omero, il capofila di tutti i poeti epici che gli rivelava di essersi reincarnato in lui:
VIVENTE ‘SOSTITUTO’ DEL PIÙ GRANDE POETA DI TUTTI I TEMPI
4-6 guerre vs popoli italici e contro Pirro;
7-10 guerre puniche (attenzione su II); più spazio alle divinità della poesia, le Muse (le stesse dei
grandi poeti greci).
10-12 campagne in Grecia;
13-16 campagne in Siria (15 trionfo di Marco Fulvio Nobiliore su Etoli);
16-18 campagne militari recenti, forse fino alla data di morte del poeta (169 a.C.)
Il titolo voleva richiamarsi alle raccolte degli Annales Maximi dei pontefici massimi, le pubbliche
registrazioni di eventi condotte anno per anno. Ennio predilige gli eventi bellici, si occupa
pochissimo di politica interna. Egli utilizza molte fonti storiografiche, ma l’unica dedizione sicura è
che Ennio abbia conosciuto l’opera di Fabio Pittore.
Sembra che Ennio avesse pianificato una narrazione in 15 libri, con la conclusione del trionfo di
Nobiliore. Ennio aggiunse 3 libri al piano originario. La sua opera è caratterizzata da due proemi
(libro I e VII). Nel primo proemio il poeta raccontava di un suo sogno - il motivo deriva dai proemi
alla Teogonia di Esiodo e agli Aitia di Callimaco. Nel sogno appariva l'ombra di Omero, il capofila
tutti i poeti epici; e non solo faceva a Ennio delle rivelazioni, ma gli garantiva di essersi reincarnato
in lui.
Nel secondo proemio Ennio dava più spazio alle divinità simboliche di tutta la sua poesia, le muse.
Fu il primo grande poeta DICTI STUDIOSUS = filologo, cultore della parola il primo che poteva
pretendere di stare alla pari con i contemporanei poeti greci (alessandrini) che praticavano arte
raffinatissima.
Ennio fu un poeta molto sperimentale. Accolse nel suo testo epico numerosi grecismi, come anche
desinenze greche. Introduce l’allitterazione e la distribuzione dei suoni nel verso di origine greca.
Riprende l’esametro greco e lavorò per adattare la lingua latina all’esametro e l’esametro alla lingua
latina. Elaborò regole precise per la collocazione delle parole nel verso. Dopo Ennio l’allitterazione
ebbe un uso più selettivo e misurato.
CATONE
Nacque ne 234 a.C. a Tusculum da una famiglia plebea di agricoltori benestanti; combatté nella
guerra contro Annibale, e nel 214 fu tribuno militare il Sicilia. Nel 204 fu questore, nel 195 console
insieme a Valerio Flacco. Si oppose alle revoca della Lex Oppia, una legge che limitava le spese delle
donne appartenenti a famiglie ricche; gli fu affidata la Spagna. Nel 191 combatté alle Termopoli e
svolse un’importante missine diplomatica ad Atene. Nel 184 è censore insieme a Valerio Flacco.
Catone esaltava la ricchezza e la potenza dello stato, ma è contro il lusso dei privati. Nel 155 parlò
contro i 3 filosofi che Atene aveva inviato a Roma come ambasciatori, ottenendone l’espulsione.
Catone so convinse che la potenza di Roma era legata alla distruzione della sua antica rivale si fece
promotore delle terza guerra punica, ma muore ne 149.
OPERE:
• Orazioni
• Origines: opera storica in 7 libri, composta in vecchiaia
• De agri cultura: trattato in prosa latina. Consta di una prefazione e di 170 brevi capitoli
• Serie si opere indirizzate al figlio Marco
• Carmen de moribus
• Apophthegmata: raccolta di detti memorabili o aneddoti.
FONTI: Plutarco, Vita di Catone; Cornelio Nepote, Vita di Catone; Cicerone, Cato maior de
senectute; Livio.
Catone scrisse le Origínes in vecchiaia, dando inizio alla storiografia latina. La storiografia romana
era elaborata da membri della élite senatoria quello di Catone era un caso particolare. L’elaborazione
ad opera di membri della classe dirigente conferisce alla storiografia romana un vigoroso impegno
politico: nell’opera storica di Catone avevano spazio le sue preoccupazioni per la corruzione dei
costumi, e la rievocazione delle battaglie personali condotte, in nome della saldezza dello stato, e
contro al “culto della personalità”. Catone quindi inserisce nelle Origines le proprie polemiche
politiche.
Il I libro era dedicato alla fondazione di Roma, il II e il III alle origini delle città italiche. Il IV
narrava la prima guerra punica, il V la seconda, il VI e il VII gli avvenimenti fino alla pretura di
Servio.
Catone elaborò una concezione della storia di Roma che insisteva sulla lenta formazione dello stato,
che era vista come opera collettiva del popolo romano stretto intorno alla classe dirigente senatoria.
Non cita nomi di personaggi importanti, ma solo quelli più oscuri, meritevoli di essere presi come
esempio di eroismo collettivo. Egli valorizza in particolar modo gli italici e gli stranieri.
2. Il trattato sull’agricoltura
Lo stile oratorio di Catone era vivace e ricco di movimento, meno sostenuto e arcaizzante di quello
del trattato sull’agricoltura. Le sue idee in fatto di retorica si fondano sul rifiuto ideologico dell’arte
e della tecnica retorica di matrice greca. Ciò spiega la polemica contro la penetrazione a Roma del
costume e della cultura greca. Nonostante questo il De agricoltura si avvale delle acquisizioni della
scienza agricola greca. Catone combatte per lo più certi aspetti “illuministici” della cultura greca, che
potevano esercitare un’azione corrosiva sulle basi etico-politiche della res publica e del regime
aristocratico. Catone si propose il compito di elaborare una cultura che sapesse accogliere gli apporti
greci, senza farne aperta propaganda. Catone era amico di Scipione l’Emiliano, e attraverso la sua
cerchia la cultura greca penetra a Roma, entro i limiti della conservazione politico-sociale.
L’appellativo di Catone il Censore lo rende simbolo del custode della tradizione, del simbolo delle
virtù di Roma del passato.
TERENZIO
Originario di Cartagine, forse nato nel 185/184. Sarebbe giunto a Roma come schiavo di un senatore
Terenzio Lucano. Ebbe stretti rapporti con Scipione Emiliano e Lelio. Terenzio sarebbe morto nel
159, nel corso di un viaggio in Grecia intrapreso per scopi culturali.
La cronologia delle opere è attestata con precisione. Si tratta di 6 commedie. (PAG. 79)
Andria (“la ragazza di Andro”) = giovane Panfilo ♥ Glicerio, ragazza giunta da Andro (isola Egeo),
ma il padre vuole dargli in sposa Filumena, figlia di Creméte. Gli sforzi dello schiavo di P, Davo, non
riescono a guastare i progetti del matrimonio finchè non si scopre che Glicerio è figlia di Creméte,
salvata in un naufragio presso Andro. Messa in scena nel 166 a.C.
Hecyra (“La suocera”) = Panfilo ♥ cortigiana Bacchide , ma obbedisce al padre sposando Filumena
che a poco a poco riesce a conquistare il cuore del giovane. Durante un viaggio di affari del giovane
Filumena torna a casa della madre: si crede che la causa di questo abbandono sia la suocera Sòstrata,
ma in realtà la giovane sposa è incinta, ma il bambino non può essere di P perché le nozze avvennero
da poco. L’intrigo si scioglie grazie a Bacchide che riesce a dimostrare, con un anello regalatogli da
Una delle fonti principali è Svetonio: Vita Terenti, contenuta nel De viris illustribus.
La sua data di nascita è dubbia in quanto il 184 è anche l’anno di morte di Plauto.
1. Lo sfondo storico
Terenzio è inserito al centro dell’età degli Scipioni. Il debutto teatrale di Terenzio si colloca due anni
dopo la battaglia di Pidna (vittoria sui Macedoni). Da qui per circa 20 anni si ha un periodo di pace.
La battaglia di Pidna (168) è uno spartiacque il trionfo di Lucio Emilio Paolo fu simbolo
dell’appropriazione di un mondo. In seguito alla vittoria furono deportati a Roma mille ostaggi
Achei, tra cui Polibio, il quale svilupperà una riflessione sulle cause del successo di Roma come
potenza egemone. La casata degli Scipioni diventò un centro di elaborazione di cultura grecizzante.
Il nuovo indirizzo portò, con Terenzio, a innovazioni nella poesia scenica
PLAUTO Genere comico con Plauto era stato un grande momento di intrattenimento popolare,
divertiva e non sottoponeva il pubblico a sforzi di apprendimento e meditazione.
TERENZIO Dominante di Terenzio è l’interesse per i significati: per la sostanza umana messa in
gioco dagli intrecci della commedia. Genere fondamentalmente popolare che comunica sensibilità e
interessi nuovi, maturati in un’élite sociale e culturale.
Una delle commedie, l’Hècyra, ebbe sorte infelice: nel 165 il pubblico le preferì uno spettacolo di
funamboli; nel 160 il pubblicò se ne andò quando scopri che contemporaneamente c’era uno
spettacolo di gladiatori; solo alla terza rappresentazione (160) la recita si concluse.
Le vicende delle commedie terenziane sono sintomatiche del DECLINO DEL TEATRO POPOLARE
LATINO e del PROGRESSIVO DIVARICARSI DEI GUSTI DEL PUBBLICO DI MASSA ED
ELITE COLTA, NUTRITA DI CULTURA GRECA. Il teatro di Terenzio mette in scena gli ideali di
L’interesse per i contenuti morali non va a scapito della tecnica drammaturgica, e modelli letterari
erano Menandro e la Commedia Nuova attica. Terenzio cura di più la coerenza e l’impermeabilità
dell’illusione scenica; lo sviluppo dell’azione non prevede mai sviluppi “metateatrali” non ci sono
spiegazioni al pubblico, o spazio per autocoscienza. I momenti di riflessione vengono concentrati
tutti del prologo.
Nella tradizione risalente alla Commedia Nuova il prologo era uno spazio espositivo, di informazione
preliminare alla comprensione della trama. I prologhi di Terenzio, invece, sono prese personali di
posizione dell’autore: chiarisce il rapporto con i modelli greci utilizzati, e risponde a critiche degli
avversari su questioni politiche si presuppone un pubblico più avanzato, attento a problemi di gusto
e di tecnica, più ristretto e selezionato. Egli si avvicina così all’ideale del “poeta-filologo”. Terenzio
tende a sottolineare il suo distacco dalla ‘vecchia’ generazione letteraria (Plauto e Cecilio Stazio).
Nel prologo dell’Andria ribatte l’accusa di contaminare fabulas = rovinare i modelli greci creando
inopportune mescolanze, ibridi di testi diversi e sottolinea che anche i rispettati Nevio, Plauto, Ennio
non fecero diversamente con i loro modelli greci. Il concetto ritorna nel prologo
dell’Heautontimorùmenos, dove Terenzio contrappone un tipo di commedia “statica”(stataria) a una
commedia piena di azione movimentata (motoria), tipica plautina. Terenzio opponeva a questo stile
un ideale di arte più riflessiva e attenta alle sfumature, anche più verosimile.
Terenzio sacrifica la ricchezza dell' inventiva verbale e delle trovate comiche estemporanee. Viene
invece approfondito il carattere dei personaggi. La palliata latina era stata ancorata alle situazioni
familiari, ma in Terenzio questi rapporti diventano umani, sentiti con maggiore serietà
problematica adesione al modello di Menandro + circolazione di ideali ‘umanistici’ di origine greca.
Sappiamo poco della Commedia Nuova di Filèmone, Difilo e Menandro, che viene ripresa dagli
autori latini. Si può pensare alla Commedia Nuova come un insieme di testi greci e testi latini, come
una Commedia bilingue, greca e latina. La Commedia Nuova ha le sue prime manifestazioni
nell’ultimo Euripide, nei drammi a lieto fine dove ricorrono elementi comici dell’intrigo. Nella
Commedia il gioco parodico sembra voler tradire un’aspirazione patetica. Alle occasioni di riso e al
tono sublime, la Commedia Nuova preferisce la parodia di se stessa. La commedia assume
personaggi né troppo buoni né troppo cattivi, per un effetto catartico, di identificazione dello
spettatore nei personaggi. La rappresentazione drammatica chiede la partecipazione emotiva dello
spettatore, la rappresentazione del reale diventa così essa stessa realtà.
La Commedia Nuova, se è vero che intende essere rappresentazione della “vita reale”, è anche
consapevolezza di una forma convenzionale. I più interessanti sono i personaggi minori. Personaggi
tipici, caratteri fissi; parlano di sé come alludendo alla propria convenzionalità, alla ripetitività delle
situazioni. È il personaggio stesso che sembra divenire cosciente della propria vita di finzione.
La Commedia Nuova, è fatta di un gioco sottile che complica l’apparente realismo psicologico dei
drammi. Essa sta a metà tra realismo mitologico della tragedia e l’ostentata finzione della commedia,
è tra il realismo psicologico e la coscienza della convenzionalità. L’effetto metateatrale non va oltre
la sottile autoironia dei personaggi. Forse è il teatro plautino a rendere evidenti i caratteri della
Commedia Nuova. Nel teatro di Menandro e Terenzio non sono gli attoria parlare del proprio ruolo,
ma sono i personaggi che si mostrano per quello che sono. Plauto rompe con l’illusione scenica
attraverso un intervento del comico.
Figlio di una sorella di Ennio, nacque nel 220 a.C. a Brindisi; cittadino di nascita libera. Era noto
anche come pittore. Fu in contatto con personaggi dell’ambiente scipionico. Morì a Taranto nel 130.
2. Accio
Nato a Pesaro nel 170 a.C. da genitori liberi, si affermò a Roma come autore tragico a partire dal 140.
Intorno al 135 compì un viaggio di istruzione in Asia, a Pergamo. Dal 120 è una figura eminente del
collegio dei poeti. Morì tra il 90 e l’80.
È il più prolifico tragediografo latino, ci restano più di 40 titoli di cothurnate; inoltre risultano due
preteste: il Brutus narrava la storia di Giunio Bruto, capo della rivolta anti tirannica contro i Tarquini,
storia che aveva un legame celebrativo col presente; c’è poi l’Aeneadae, che sottolinea la
discendenza dei Romani da Enea.
Egli fu anche poeta-filologo. I Didascalica, in almeno 9 libri, erano composto in un misto di prosa e
versi.
La lezione di Ennio tragico venne ripresa da Pacuvio e Accio. La fioritura dei due si colloca nel
periodo scipionico, e nell’età dei Gracchi e di Mario. I titoli delle tragedie ci confermano che la
tragedia romana ha sempre dei modelli greci; ma è chiaro che Pacuvio e Accio rielaborano il modello
prescelto in piena autonomia. Questi autori vivono in una società ricca di contrasti e i
vecchi miti della tragedia attica offrono nuove possibilità e assumono anche significati attuali. Ad
esempio tornano ad essere attuali il tema della tirannide e i temi religiosi e filosofici.
Alla ricchezza dei contenuti ideali si affianca un crescente gusto per elemento patetico e per il
romanzesco che contribuiva al successo popolare. Le trame delle tragedie indugiano spesso su
episodi da romanzo, esibendo un gusto particolare per il pittoresco e l’orrido, un gusto spettacolare.
La retorica assume sempre più peso. L’eloquenza romana in questo periodo si sviluppa molto. La
scuola retorica “asiana”, in particolare, assume sempre più importanza. Le tragedie sono intessute da
discorsi, volti a commuovere e persuadere.
A livello stilistico sia Pacuvio che Accio sono caratterizzati da un certo sperimentalismo che continua
la tradizione enniana, attraverso innovazioni linguistiche. Con Pacuvio e Accio la tragedia salì di
classe e di tono; il tragediografo fu protagonista di un’elevazione sociale. Nell’età di Catullo si
assiste alla decadenza del genere tragico: si preferiscono generi poetici più intimi e personali.
La produzione epica che va dall’età degli Scipioni a quella di Cesare ci appare dominata
dall’esemplarità di Ennio. Dopo Ennio il saturnio è ormai definitivamente superato, ma c’è
comunque una certa sopravvivenza del genere epico. Molti autori intitolano una propria opera Annale
indica un tipo di epica storica che celebrava avvenimenti militari.
LUCILIO
La data di morte (102 a.C.) è sicura, quella di nascita pone qualche problema. Per S. Girolamo
Lucilio muore a 46 anni, ma è improbabile. Probabilmente Girolamo si confonde con un altro
console e che abbia confuso in 180 con il 148. Per altri è nato nel 168/167 a.C.
Lucilio nasce da una florida famiglia della Campania settentrionale: la sua biografia giovanile è
legata all’ambiente scipionico. È il primo letterato di buona famiglia.
30 libri di satire l’edizione di Lucilio del I sec. comprendeva: i libri 1-21, in esametri dattilici; 22-25
forse in distici elegiaci; 26-30 in metri giambici e trocaici. L’ordine era dato da un criterio metrico.
Lucilio si orienta verso l’esametro, che diventerà da Orazio l’unico verso prescelto per la satira.
Orazio definisce l’opera di Lucilio Satura, per designare quel genere di poesia inaugurato dallo
stesso Lucilio; egli le chiama invece Poemata e Sermones.
Lucilio e la satira
L’opera di Lucilio si colloca nello sfondo culturale che era stato di Terenzio; i personaggi del partito
scipionico furono i suoi protettori. La sua appartenenza all’aristocrazia provinciale, e il suo
inserimento nell’ambiente scipionico gli consentivano anche di muovere attacchi contro gli uomini
più in vista nella Roma contemporanea. Le origine del genere chiamato satura sono incerte. La
connessione del termine con il greco sàtyros, “satiro”, è falsa: la satira non sembra avere a che fare
con i satiri, né con il teatro comico greco. È sicuro che satura lanx indicasse un piatto misto di
primizie che venivano offerte agli dei; e un tipo di procedimento giuridico detto lex per saturam,
quando si riunivano stralci di vari argomenti in un singolo provvedimento legislativo. questo impulso
si può forse riconoscere, come la ricerca di un genere letterario disponibile ad esprimere una voce
personale del poeta in nessuno dei generi canonici di poesia prevedeva uno spazio di espressione
diretta, dove il poeta potesse rispecchiare il suo rapporto con se stesso. Callimaco rimescola l’assetto
originario dei generi letterari e cerca una forma poetica sempre più raffinata e limata.
Le satire di Ennio sarebbero 4 o 6 libri, formati da metri e argomenti vari. Questa forma di poesia
varia e personale si offrì a Lucilio come un ideale mezzo espressivo da perfezionare. L’importanza di
Lucilio sta proprio nell’essersi concentrato solo sul genere della satira. Lo sviluppo della satira
significa anche la crescita di un nuovo pubblico, interessato alla poesia scritta. Lucilio affrontò uno
spettro ampio di argomenti. Il I libro conteneva un’ampia composizione nota come Concilium
deorum, dove Lucilio prendeva di mira Lentulo Lupo, e gli dei decidono di farlo morire per
indigestione.
Il III libro conteneva la colorita descrizione di un viaggio in Sicilia. Nel XXX libro si descrive un
sordido banchetto. Il libro XVI pare fosse dedicato alla donna amata Lucilio antesignano della
poesia d’amore.
Sono poi attestate disquisizioni su problemi letterari.
Il periodo che va dalle agitazioni graccane alla dominazione di Silla segna l’inizio della crisi che
porterà al tracollo la repubblica romana. Nel 133, l’anno della presa di Numanzia ad opera di
Scipione Emiliano, Tiberio Gracco presentò una nuova legge agraria. Gli intenti di Tiberio erano
conservatori: egli si proponeva, mediante nuove distribuzioni di terre, di ricostruire un ceto di piccoli
proprietari terrieri. L’aristocrazia senatoria ostacolò Tiberio, fino alla morte. La vicenda si ripeté nel
123, quando il fratello Gaio ripropose una legge simile. La questione agraria era destinata a restare al
centro della vicenda politica e sociale della tarda repubblica. L’importanza di eserciti ormai divenuti
quasi personali emerse nei conflitti tra mariani e sillani, che seguirono la vicenda della guerra
sociale. Dopo il duplice bagno di sangue della guerra sociale e dei conflitti civili, Silla assume la
dittatura nell’82 per deporla nel 79; aveva varato una riforma costituzionale per eliminare le cause
istituzionali della debolezza dell’aristocrazia.
In quest’epoca l’oratoria era destinata ad una rigogliosa fioritura. A Cicerone si deve il tentativo di
delineare l’evoluzione della eloquenza romana. La resistenza ai progetti graccani fu uno dei tratti
determinanti dell’azione di Scipione Emiliano e di tutto il suo circolo. All’oratoria di Scipione
Cicerone riconosceva una gravitas (“solennità”) che contrapponeva alla lenitas, lo stile pacato, di
Lelio.
Dei discorsi dei Gracchi ci rimane poco, entrambi avevano avuto una solida educazione da maestri
greci. Di Gaio, Cicerone ricorda la ubertas, l’esuberanza dello stile.
La generazione successiva ebbe i più importanti oratori in Marco Antonio e Lucio Licinio Crasso;
Cicerone ne fece i protagonisti del De oratore. Entrambi appartenevano al partito aristocratico: il
primo morì vittima dei mariani nell’87, il secondo morì di morte naturale. L’oratoria di Antonio
faceva appello alle emozioni, quella di Crasso era più varia e sapeva graduare tonalità. Crasso ed
Enobarbo, ottenuta la censura, fecero chiudere la scuola di retorica aperta a Roma da Plozio Gallo.
La scuola aveva tendenze democratiche, filograccane.
Asianesimo e atticismo
Nella generazione rima di Cicerone si delinea il conflitti di gusti di stile tra asiani e attici.
L’eloquenza asiana era nata a Pergamo in Asia Minore tra la fin del IV e inizio III sec., ricercava il
pathos e la musicalità, con uno stile fiorito e ridondante. Cicerone distingueva 2 tipi di asianesimo: il
primo ricercava una sequenza ininterrotta di frasi sofisticate; il secondo era caratterizzato da una
sovrabbondanza di parole colorite. La combinazione di questi due stili era stata realizzata dal retore
Egesia di Magnesia. Asiani sono Gaio Gracco, Publio Sulpicio Rufo, Quinto Ortensio Ortalo.
Più tarda è l’affermazione della corrente atticista, come reazione di un gruppo che si schiera contro
Cicerone. Privilegiavano lo stile semplice, discorsivo e scarno. Ricercavano l’ideale di un periodare
nitido e conciso. Sono attici Marco Bruto, Gaio Licinio Calvo.
Nell’età dei Gracchi acquisisce importanza la storiografia, come mezzo di analisi politica, non
praticata da personaggi di primissimo piano (Sempronio Asellione, Celio Antripatro). Rispetto alla
storiografia arcaica viene adottato un metodo razionalistico (influenzato dallo storico greco Polibio),
che prescriveva di non riportare aventi anno per anno, piuttosto di parlare degli eventi vissuti con un
approccio volto ad indagarne le cause e le intenzioni. L’autore più noto è Cornelio Sisenna, che
scrive l’Historiae, parlando di vicende contemporanee e immerso in un’atmosfera romanzesca (aveva
scritto anche le Fabulae Milesiae).
PAG. 107- 108,109
Nell’età di Cesare la commedia di ambiente greco, la palliata, comincia ad essere superata, perché
ritenuta antica e difficile; il pubblico richiede generi più farseschi rispondenti a esigenze di realismo.
Sopraggiunge la commedia Togata, che è molto simile, ma ambientata in realtà italiche e romane. Il
realismo stava nella rappresentazione di un mondo di personaggi umili meno tipizzato. Tuttavia il
genere non ebbe un grande successo, perché i toni comici spesso erano smorzati rispetto alla palliata
che, avendo un’ambientazione greca, poteva permettersi di ridicolizzare maggiormente.
Nel I sec. invece torna alla ribalta il genere di farsa popolare e sub-letteraria dell’ATELLANA, che se
un tempo veniva impiegata come exodium (“comica finale”) nella conclusione di un dramma,
acquisiva una sua indipendenza. L’autore di atellane più noto è Lucio Pomponio, che lascia titoli
modellati sul repertorio delle maschere, altri sono invece parodie della tragedia e del miti.
Progressivamente l’atellana verrà superata dal MIMO, un genere non più dedicato ala scena, bensì ai
circoli letterari. Il mimo comprende una varietà di spettacoli diversi, i più famosi sono comunque i
ludi Florales, il mimo muto. La maschera non viene più usata, spesso recitano anche le donne, il
finale è brusco e a sorpresa. Il mimografo più antico era Publio Siro.
LA TARDA REPUBBLICA
IL PERIODO CESARIANO (78-44 a.C.)
L’ultimo periodo della repubblica ha caratteristiche bel marcate. Come punti di demarcazione
cronologica si usano le date di morte di Silla (78 a.C.) e di Cesare (48 a.C.). essi si legano allo
sviluppo di due grandi esperimenti politici sia la dittatura di Silla che il principato di Cesare sono
momenti chiave per la crisi delle istituzioni repubblicane.
La figura dominante nella vita culturale di questa generazione, Cicerone, comincia la sua attività
pubblica sotto Silla, e la protrae fino a pochi mesi dopo la morte di Cesare.
In questo periodo si ha lo sviluppo della poesia neoterica, che giunse a maturazione con Catullo,
Partenio e il circolo dei POETAE NOVI. Al cavallo del 44-43 ci furono i debutti letterari di Cornelio
Gallo e Virgilio; inoltre fiorisce l’epicureismo lucreziano. Questo periodo vede i grandi dibattici
teorici, politici e ideologici, testimoniati dall’opera di Cicerone; la massima fioritura dell’oratoria
giudiziaria; l’impulso del pensiero filosofico romano, la crescita dell’antiquaria, della linguistica,
della biografia. Per la storiografia importante fi Sallustio.
In questo periodo inoltre grande è l’importanza assunta dal pensiero filosofico-politico. Le riflessioni
filosofiche si nutrono sempre più del pensiero greco classico. Roma conosce così lo sviluppo di una
vera filosofia “moderna”, che si pone a fianco del pensiero greco. I grandi pensatori non sono solo
autori di lingua greca Cicerone, Varrone, Nigidio Figulo. La cultura romana interpreta e interroga i
testi del pensiero greco con riferimento ai bisogni del presente. Si dibatte il ruolo della religione, si
POETAE NOVI è la definizione usata da Cicerone per indicare le tendenze innovatrici che si
affermano nel I secolo. Il fastidio di Cicerone per i poeti moderni si capisce anche da un’altra
espressione usata per indicare il loro rifiuto della tradizione, rappresentata da Ennio, per seguire un
ideale poetico d’avanguardia: CANTORES EUPHORIONIS. Il processo di rinnovamento del gusto
letterario promosso dai Poeti Nuovi è un aspetto del fenomeno di ellenizzazione dei costumi. Questo
fenomeno di civilizzazione si manifesta anche nel campo specificatamente letterario attraverso un
indebolimento dei valori e delle forme della tradizione, e l’emerge di esigenze nuove. Queste istanze
di rinnovamento avevano trovato espressione soprattutto nella cerchia scipionica, attraverso
l’elaborazione di nuove forme poetiche. Una manifestazione più vistosa dell'attenzione rivolta alla
cultura greca per soddisfare le esigenze di un gusto più raffinato è nella comparsa di un nuovo tipo di
poesia destinata al consumo privato e dedicata all’espressione dei sentimenti personali. I latini le
chiamavano NUGAE (“bagatelle”) per indicarne la natura disimpegnata. La nascita a Roma di questo
tipo di poesia nugatoria è un preludio della rivoluzione neoterica: essa è infatti frutto dell’otium.
(Lutazio Catulo)
La poesia neoterica segna il culmine del crescente disinteresse per la vita attiva spesa al servizio
dello stato. La rivoluzione del gusto letterario è accompagnata quindi da una rivolta di carattere etico,
e mostra la crisi dei valori del mos maiorum. Il rifiuto della vita impegnata si riflette nel diffondersi
dell’epicureismo. Per gli epicurei il fine della vita è il piacere senza turbamenti, e l’eros è una
malattia insidiosa; per i Poeti Nuovi, invece, l’amore è il sentimento centrale della vita. Esso diventa
anche il tema centrale della loro poesia e da forma ad un nuovo stile di vita, ispirato al culto delle
passione e della poesia.
L'affinità di gusto che accomuna i vari poeti si traduce in un’attività critico-filologica. Lo stile della
nuova poesia è fatto di brevitas e ars. Si formano anche nuovi generi letterari, quelli brevi:
l’epigramma o l’epillio (poema mitologico in miniatura).
1. I poeti “preneoterici”
Una figura di spicco nel panorama culturale è Quinto Lutazio Catulo. Nato attorno al 150, di famiglia
nobile fu console collega di Mario nel 102, cadde vittima dei marani e fu costretto al suicidio nell’87.
Oltre che autore di opere storiche e autobiografiche, fu oratore. Fu soprattutto poeta, e introdusse
nella poesia latina epigrammi di stampo greco. Attorno a lui si riunirono letterati accumunati dal
gusto per la poesia leggera, di intrattenimento “circolo di Lutazio Catulo”. Ne dovevano far parte i
poeti Valerio Edìtuo e Porcio Lìcinio. Di Valerio Edìtuo abbiamo due epigrammi d’amore, uno ce ne
2. I poeti neoterici
La poesia di Levio segna un progresso alla prima poesia neuterica ancora legata ai modelli ellenistici:
egli elabora i suoi modelli, privilegiando quei soggetti erotico-mitologici che avranno ampia fortuna
nella letteratura latina. Caposcuola delle nuove tendenze poetiche è Valerio Catone. Proviene dalla
Gallia Cisalpina, nato all’inizio del I sec., venne a Roma come grammatico e maestro di poesia. Egli
rinnova a Roma la tradizione dei critici-filologi alessandrini.
A Valerio Catone fu vicino Furio Bibaculo; scrive alla maniera neoterica aspri epigrammi contro
Augusto, e ironici su Valerio Catone.
Analogo a Bibaculo fu Varrone Atacino. Egli continuò la poesia di stampo enniano, componendo un
poema storico, il Bellum Sequanicum (sualla campagna di Cesare contro Ariovisto). Ma aderì al
nuovo gusto poetico in un'opera intitolata Leucadia poesia erotica latina. Sappiamo di una sua
Chorogràphìa, opera geografica. Ma di lui va soprattutto ricordato il poema epico Argonautae, libera
traduzione in esametri latini delle Argonautiche di Apollonio Rodio.
Due altri poeti di rilievo della cerchia neoterica, a noi noti soprattutto grazie alla poesia di Catullo,
sono Cinna e Calvo. Cinna aderisce ai principi neoterici del LABOR LIMAE E DELLA BREVITAS.
Calvo fu un oratore famoso, fa parte dell’indirizzo atticista, scrive epigrammi componimenti a
soggetto amoroso.
3. Catullo
Nasce a Verona da famiglia agiata. Girolamo fissa la data di nascita nell’87 e quella di morte nel 57,
ma era ancora vivo nel 55 84-54. A Roma conobbe personaggi di spicco dell’ambiente politico e
letterario.
I carmi brevi
Il nome e la poesia di Catullo sono legati alla rivoluzione neoterica. Rivoluzione del gusto letterario
e del carattere etico: l’otium individuale diventa l’alternativa alla vita collettiva e l’attività letteraria
si rivolge alla poesia personale, adatta ad esprimere le vicende della vita personale.
I carmina docta
Catullo altre a definire i caratteri materiali ed esteriori del libellus, ne definisce anche quelli interni, i
criteri di una nuova poetica. Questa poetica rivela la sua ascendenza alessandrina, soprattutto in
quella sorta di manifesto del nuovo gusto che è il c. 95.
I carmi sono detti dotti perché evidenti sono la dottrina e l’impegno stilistico.
1. Due epitalami = componimento nuziale (c 61) e contrasto tra giovani e fanciulle su tema del
matrimonio (c 62)
2. Due epilli (carmi epico- narrativi) = uno sul giovane frigio Attis che si evira per farsi sacerdote di
Cibele (c 63) e l’altro sulle nozze di Peleo e Teti in cui si trova incastonato il mito di Teseo e Arianna
(c 64)
3. la dedica a Ortalo (c 65) di una traduzione della Chioma di Berenice di Callimaco (c 66)
4. un dialogo con una porta di una casa veronese che custodisce i segreti di chi l’ha abitata (c 67).
5. CARME 68: la prima grande elegia a noi giunta, in cui Catullo rivisita le principali situazioni
poetiche del canzoniere collegando l’accorato compianto in morte del fratello con la storia d’amore
con Lesbia.
LUCREZIO
La notizia biografica più ampia su Lucrezio compare nella traduzione del Chronicon di Eusebio fatta
da S. Girolamo. Nacque negli anni 90 e morì verso la metà degli anni 50 ma le date più verosimili
sono 98-55. L’accusa di essere pazzo nasce nell’ambiente cristiano nel IV secolo al fine di screditare
la polemica antireligiosa di Lucrezio. Non si è sicuri se sia nato a Napoli o a Roma. Qualche notizia
Autore di un poema in esametri, De rerum natura, in 6 libri (7415 esametri) forse non finito o
mancante dell’ultima revisione. È dedicato all’aristocratico Memmio, amico e patrono di Catullo e
Cinna. Fu realizzato dopo il 59; Girolamo ci dice che l’opera, dopo la morte dl poeta, venne rivisto e
pubblicato da Cicerone. Il testo è conservato integralmente da due codici del 9 secolo (Oblungus e
Quadratus) a Leida; alcune parti si leggono in schedae (fogli di codice) conservate a Copenaghen e a
Vienna; e alcuni codici umanistici riproducono testo tratto dal codice trovato da Poggio Bracciolini
nel 1418 in Germania.
La classe dirigente romana aveva operato un filtraggio attento del pensiero greco, per eliminare
elementi potenzialmente pericolosi per l’assetto istituzionale della res publica e corrosivi per il mos
maiorum. L’EPICUREISMO è visto come dissolutore della morale tradizione perché predicando
piacere come bene e suggerendo ricerca della tranquillità distoglie cittadini dall’impegno politico.
Inoltre negava che gli dei intervenissero negli affari umani ciò comportava problemi alla classe
dirigente che usava la religione come strumento di potere. Nonostante questo nel I sec. l’epicureismo
era riuscito a diffondersi negli strati elevati della società romana. Calpurnio Pisone Cesonio si
presentava come protettore di filosofi epicurei: nella sua villa ad Ercolano teneva lezioni Filodemo di
Gàdara.
Meno sappiamo sulla diffusione dell’Epicureismo nelle classi inferiori Cicerone, nelle Tusculanae
disputationes, ci dice che divulgazioni dell’epicureismo, in cattiva prosa latina, circolavano anche
presso la plebe. Lo stesso Epicuro raccomandava l’estrema chiarezza e semplicità dell’espressione, il
messaggio epicureo intendeva rivolgersi non ad una élite selezionata, ma a persone di ogni rango
sociale.
Lucrezio per divulgare a Roma l’epicureismo scelse la forma del poema epico-didascalico Epicuro
aveva condannato la poesia, legata troppo al mito e allontanava dalla comprensione razionale della
realtà.
Lucrezio, con questa scelta, desiderava raggiungere gli strati superiori della società: vuole
“cospargere col miele delle Muse” una dottrina apparentemente amara.
2. Il poema didascalico
Il titolo del poema traduce fedelmente quello dell’opera più importante di Epicuro, il perduto Perì
physeos (“Sulla natura”) in 37 libri. Il poema comprende 6 libri, riuniti a coppie (diadi):
• 1-2 principi dottrina atomistica (fisica)
• 3-4 antropologia
• 5-6 cosmologia e fenomeni naturali
Libro 1 invocazione a Venere (personificazione forza generatrice della natura) e dedica a Gaio
Memmio, dopo elogio di Epicuro illustra la fisica con la teoria degli atomi = principi primi
indistruttibili e indivisibili, dal cui incontro nascono tutte le cose, anche se il loro movimento
presuppone un altro principio: il vuoto. Nascita e morte sono costituite da una continua aggregazione
e disgregazione. Infine critica dottrine di altri naturalisti: Eraclito, Empedocle e Anassagora.
Prima del De rerum natura la letteratura latina non aveva prodotto opere di poesia didascalica di
grande impegno: Ennio scrisse in settenari l’Epicharmus (Euhemerus in prosa); la letteratura
ellenistica aveva impiegato l’esametro. LUCREZIO si differenzia in quanto ambisce a descrivere, a
spiegare ogni aspetto importante della vita del mondo e dell’uomo e a convincere il lettore della
validità della dottrina epicurea. Indaga le cause dei fenomeni e propone al lettore una verità, una
ratio sulla quale è obbligato a esprimere un chiaro giudizio di consenso o rifiuto.
La consapevolezza dell’importanza della materia determina il tipo di rapporto che Lucrezio instaura
con il lettore-discepolo, il quale viene continuamente esortato affinché segua con diligenza il
percorso educativo che l’autore gli propone.
L’ethos del genere didascalico ellenistico era encomiastico, l’oggetto della descrizione era di per se
meraviglioso. In Lucrezio invece il fenomeno non è meraviglioso, perché connesso necessariamente
a una regola oggettiva. Alla “retorica del mirabile” Lucrezio sostituisce la “retorica del necessario”. Il
destinatario diventa quindi consapevole della propria grandezza intellettuale.
Quello di Lucrezio è un stile sublime. Il sublime non è una forma stilistica, ma anche una forma di
percezione delle cose. Il sublime è pensato per spronare ed esortare il lettore. Tutto il De rerum
Natura si configura quindi come un insegnamento che contiene anche un drammatico consiglio: la
mente del lettore deve diventare specchio della sublimità universale, il lettore deve diventare “lettore
sublime”, deve emozionarsi per natura e trovare in sé la forza dell’adeguamento.
Il genere stesso diventa una forma problematica: il testo prevede un lettore agonistico in grado di fare
di se un contenuto del poema. La nuova forma del genere didascalico in Lucrezio, trova il suo
corrispettivo nella creazione di un destinatario che sappia adeguarsi alla forza sublime di
un’esperienza sconvolgente.
La forma sublime del testo e la forma sublime del destinatario sono quindi i segni della
trasformazione che il genere didascalico ha dovuto accettare per comunicare un iter morale.
Da questo discendono alcune della caratteristiche del poema, come la rigorosa struttura
argomentativa. Lucrezio utilizza in particolare il sillogismo (dimostra per assurdo la falsità di tesi) e
l’analogia.
Dopo il proemio con l’invocazione a Venere, Lucrezio si rivolge al lettore invitandolo a non
considerare empia la dottrina che tratta, ma a riflettere su quanto crudele ed empia fosse la religio
tradizionale, che aveva imposto ad Agamennone il sacrificio della figlia Ifigenia per assicurare la
partenza della flotta greca per Troia. La religione opprime la vita degli uomini.
Lucrezio descrive il nesso tra superstizione religiosa, timore della morte, e necessità di speculazione
scientifica. Egli resta fedele alle teorie di Epicuro in materia di religione. Epicuro può essere
venerato come un dio, perché ha liberato gli uomini da enormi sofferenze: i libri dell’opera si aprono
con una celebrazione dei meriti di Epicuro. Egli credeva che gli dei fossero figure dotate di vita
eterna, incuranti delle vicende della terra e dell’uomo. Nel V libro una sezione della storia
dell’umanità è dedicata alla nascita del timore religioso, che sorge spontaneo per ignoranza delle
leggi meccaniche. Lucrezio ricostruisce le cause del fenomeno per poterlo eliminare, il suo
obbiettivo è di evitare che, per mancanza di spiegazioni razionali, l’uomo si affidi a superstizioni.
Lucrezio dedica un’ampia parte dell’opera alla storia del mondo (natura mortale, aggregazione di
atomi e destinato alla distruzione). Tutta la seconda metà del libro V tratta invece dell’origine della
vita sulla terra e della storia dell’uomo, generato dal terreno umido e dal calore.
Fra le tappe del progresso umano che Lucrezio tratta, quelle positive sono alternate ad altre di segno
negativo. Caso e bisogno sono i fattori di avanzamento della società.
Il progresso materiale è valutato positivamente; Lucrezio si concentra sull’aspetto di decadenza
morale che il progresso ha provocato: il sorgere di bisogni innaturali, della guerra, della ambizioni
personali ha corrotto la vita dell’uomo. A questi problemi l’epicureismo è in grado di fornire una
risposta invitando a scoprire che la natura del corpo ha bisogno di poche cose.
5. L’interpretazione dell’opera
La voce narrante nel De rerum natura è diversa dal personaggio di Lucrezio. Per il francese Patin c’è
un Lucrezio ufficiale, che cerca di persuadere un “antilucrezio” scettico. La tensione dell’autore è
sempre rivolta a conseguire il convincimento razionale del suo lettore. Egli confuta la tesi stoica di
una natura provvidenziale, sostenendo che la natura è incurante delle esigenze dell’uomo.
Alla fine del IV libro, condanna le passioni amoroso, in quanto il saggio epicureo deve stare lontano
da una passione irrazionale che non trova giustificazioni in natura si contrappone ai Poeti Novi.
Il pessimismo di Lucrezio occupa una parte centrale della critica. Egli invita all’accettazione
consapevole di ogni cosa in quanto esistente esaltazione della ratio.
L’organizzazione complessiva della materia e lo stile devono piegarsi al fine di persuadere il lettore:
Frequenti ripetizioni; Formule di passaggio per invitare l’attenzione, uso di termini tecnici della
fisica epicurea e nessi logici di grande uso e fissi per familiarizzare il lettore con un linguaggio non
facile; Tecnicismi = perifrasi nuove, anche coniazioni da greco per esprimere certi concetti filosofici;
Arcaismi = vocaboli poetici che la tradizione arcaica (enniana) gli fornisce nel campo degli aggettivi
composti, crea soprattutto nuovi avverbi e perifrasi, uso di assonanze, allitterazioni, costrutti arcaici.
Sillogismo = strumento principe dell’argomentazione fisica per dimostrare per assurdo le falsità di
tesi o possibili obiezioni avversarie; Analogia, grazie alla quale si tenta di ricondurre al noto, ciò che
è troppo lontano o piccolo per essere osservato attentamente; Verso composto di due parti
equivalenti, uso enjambement (pathos); Vasta conoscenza della letteratura greca (Omero, Platone,
Eschilo, Euripide) e dei poeti ellenistici più raffinati (Callimaco, Antipatro); scelta di uno stile
grande e sublime, di uno stile severo, capace di durezze ed eleganze.
CICERONE
Nasce nel 106 a.C. ad Arpino, da agiata famiglia equestre, compie studi di retorica e filosofia a
Roma, frequenta il foro sotto la guida di Lucio Licinio Crasso e di Scevola l’Augure e Scevola il
Pontefice. Fu amico di Attico. Si Schiera con Pompeo, ma ottiene il perdono di Cesare. APPUNTI
QUADERNO
Scrive orazioni, opere retoriche, opere politiche, opere filosofiche, l’Epistolario, opere poetiche e
opere in prosa perdute.
Pro Roscio Amerino (In difesa di Sesto Roscio da Amelia - 80) = debutto nel foro come avvocato, è
la
prima causa importante, negli anni della dittatura di Lucio Silla. Cicerone si espone personalmente
accettando di difendere Sesto Roscio, accusato di parricidio. Il padre era stato ucciso su mandato da
Verrinae. Dopo il successo della prima orazione, si allontanò da Roma per un paio di anni (79-77)
viaggiando in Grecia e in Asia minore, perfezionandosi in scuole di retorica. Rientrato a Roma,
ricoprì la questura in Sicilia. I siciliani gli proposero di sostenere l’accusa nel processo contro l’ex
governatore Verre, il quel aveva sfruttato la provincia. Raccolse le prove in breve tempo. Durante il
processo poté pronunciare solo la prima parte del discorso in verrem actio prima. Pubblica poi la
actio secunda in Verrem, divisa in 5 libri: è un documento storico di primaria importanza per
conoscere metodi di cui si serviva l’amministrazione romana nelle province; (mai pronunciato poiché
Verre, schiacciato dalle accuse, fuggì dall’Italia).
Lo stile è già pienamente maturo: il periodare è armonioso e complesso ma sintassi duttile. La
narrazione è semplice e piana, racconto ricco di colore, dall’ironia arguta al pathos tragico.
De imperio Gnaei Pompei/Pro lege Manilia (Sul comando di Gneo Pompeo/sulla legge Manilia) =
entrato
in senato dopo la questura, nel 66 parlò in favore del progetto di legge presentato dal tribuno Manilio,
che prevedeva la concessione a Pompeo di poteri straordinari su tutto l’Oriente per affrontare in
modo efficace la minaccia costituita dal re del Ponto, Mitridate, che disturbava gli interessi
economici di Roma nei territori orientali. Cicerone insistette soprattutto sull’importanza dei
vectigalia (tributi) che affluivano dalle province orientali. Questa orazione è il suo punto di massimo
avvicinamento alla politica dei populares, indirizzata a gratificare e corrompere le masse cittadine
con elargizioni e a prevaricare sull’autorità del senato. Più che gli interessi del popolo, Cicerone
difende quelli dei pubblicani. Era contrario a qualsiasi progetto di redistribuzione delle terre
pubbliche e di sgravio dai debiti.
De lege agraria/Contra Rullum (Sulla legge agraria/Contro Rullo) = console nel 63 tenne di fronte
al
senato e al popolo 4 orazioni (ne rimangono 3) in cui si oppose al progetto di legge agraria presentato
dal tribuno Rullo.
Pro Rabirio perduellionis reo (In difesa di Gaio Rabirio, colpevole di alto tradimento) = prese
posizione
contro i “popolari” nella difesa di Rabirio, un anziano cavaliere contro il quale venivano rivangati
fatti di 37 anni prima, relativi all’uccisione del tribuno Saturnino.
Catilinariae (63) = le più celebri fra le orazioni ‘consiliari’ sono le 4 Catilinariae, con le quali egli
svelò le trame sovversive che il nobile decaduto aveva ordito una volta sconfitto nella competizione
elettorale, lo costrinse a fuggire da Roma e giustificò la propria decisione di far giustiziare i suoi
complici senza processo. Sul piano artistico spicca la I nella quale Cicerone attaccò Catilina di fronte
Pro Murena (A favore di Murena, 63) = fra la I e la II Catilinaria difese da un’accusa di corruzione
elettorale Lucio Licinio Murena, console designato per l’anno successivo, mossa da Servio Sulpicio
Rufo e sorretta da Catone il Giovane (l’Uticense). In Murena Cicerone sperava di trovare un
continuatore della propria politica di resistenza all’aversione, quella politica che alleava l’ordine
senatorio e l’ordine equestre. Cicerone usò l’ironia e lo scherzo, sostenendo le glorie militari di
Murena. Questa è una delle orazioni più divertenti. Canzona Servio e Catone con toni da satira lieve
e arguta. Prendendo posizione nei confronti di Catone, Cicerone elabora un modello etico in cui il
rispetto per il mos maiorum sia addolcito dai costumi.
Cicerone non cessò di esaltare la funzione storica del proprio consolato, si ritenne un “padre della
patria” e quasi un secondo fondatore di Roma. Ma la formazione del I triumvirato tra Cesare,
Pompeo e Crasso segnò il declino delle sue fortune politiche. Un tribuno popolare, Clodio, che aveva
verso Cicerone anche rancori personali, presentò nel 58 una legge in base alla quale doveva essere
condannato all’esilio chi avesse fatto mettere a morte dei cittadini romani senza processo.
Richiamato dall’esilio nel 57, trovò Roma in preda all’anarchia, si fronteggiavano le opposte bande
di Clodio e Milone. Fu in questo clima che si trovò a difendere Sestio.
Pro Sestio (56) = tribuno accusato da Clodio di atti di violenza. Cicerone espose una nuova versione
della propria teoria sulla concordia dei ceti abbienti ne dilata il concetto in quello di consensus
omnium bonorum = concordia attiva di tutte le persone agiate e possidenti, amanti dell’ordine
politico e sociale, pronte all’adempimento dei propri doveri nei confronti della patria e della famiglia.
I boni = principali destinatari della predicazione etico-politica di Cicerone, il loro dovere sarà fornire
sostegno attivo agli uomini politici che rappresentano la loro causa. Il senato e i boni dovranno
affidarsi alla guida di personaggi eminenti (teoria approfondita nel De re publica). Cicerone infatti si
avvicina ai triumviri perché vuole far loro da guida.
Pro Caelio (56) = orazione ‘anticlodiana’, in difesa di Marco Celio Rufo, amante di Clodia, sorella
di Clodio (la
Lesbia di Catullo). Contro di lui erano state accumulate una serie di accuse, fra cui quella di un
tentativo di avvelenamento nei confronti di Clodia. Attaccando la donna, in cui indicò l’unica regista
di tutte le manovre contro Celio, Cicerone sfogò il suo astio anche nei confronti del fratello; la donna
è dipinta come volgare meretrice e accusata anche di rapporti incestuosi. Rievocando le tappe della
vita di Celio, dipinge uno spaccato della società romana del suo tempo, e si sforza di giustificare agli
occhi dei giudici i nuovi costumi della gioventù che possono destare scandalo solo agli occhi di
moralisti troppo attaccati al passato.
Pro Milone (52) = nel 52 morì Clodio e dovette difendere Milone. L’orazione è uno dei suoi
capolavori, per equilibrio delle parti e l’abilità delle argomentazioni, basate su tesi della legittima
difesa ed esaltazione del tirannicidio. La forma in cui si è conservata, è una rielaborazione compiuta
in tempi successivi al processo. Cicerone non convinse i giudici e Milone fu costretto a fuggire.
Nel 49, allo scoppio della guerra civile, Cicerone aderì alla causa di Pompeo, ma quando vinse
Cesare fu costretto a chiedere perdono al senato: per rendere il regime meno autoritario, ricercò
Dopo l’uccisione di Cesare, Cicerone tornò ad essere un uomo politico di primo piano. Il più stretto
collaboratore di Cesare, Antonio, mirava ad assumerne il ruolo mentre sulla scena politica romana si
affacciava anche il giovane Ottaviano, erede di Cesare. Cicerone voleva staccare Ottaviano da
Antonio e riportare il primo sotto le ali protettrici del senato. Per indurre il senato a dichiarare guerra
ad Antonio pronunciò contro di lui le Philippiche.
Philippche (44-43) = orazioni contro Marco Antonio, pronunciate in senato. 18 ma ne restano 14.
Alcuni scrittori le chiamano Antonianae, mentre il nome Filippiche venne usato da Cicerone nella
sua corrispondenza privata, in senso scherzoso – allude alle requisitorie di Demostene contro Filippo
di Macedonia). Veemenza dell’attacco e toni di indignata denuncia è soprattutto la II (unica mai
pronunciata ma fatta circolare scritta): orazione che spira odio, Antonio presentato come un tiranno,
ladro, ubriacone.
La manovra di Cicerone era destinata al fallimento: Ottaviano si sottrasse alla tutela del senato, e
strinse un accordo con Antonio e Lupido II triumvirato. Antonio pretese ed ottenne la testa di
Cicerone, che venne inserito nelle liste di proscrizione.
La carriera politica di Cicerone seguì un filo coerente, volto ad un riavvicinamento tra senato ed
equites. Il progetto di concordia dei ceti abbienti significò un tentativo di superare la lotta di gruppi e
di fazioni. Il fallimento del progetto ebbe molteplici motivi: a Cicerone mancò il seguito clientelare,
sottovalutò il peso degli eserciti personali, e si fece illusioni sui boni.
Quasi tutte le sue opere retoriche sono state scritte dal 55. Esse nascono dal bisogno di una risposta
politica e culturale alla crisi.
De inventione (84) = trattatello di retorica, inventio = reperimento dei materiali da parte dell’oratore.
Attinto alla Rhetorica ad Herennium. Nel proemio il giovane avvocato si pronuncia a favore di una
tesi di eloquenza e sapientia (cultura filosofica, necessaria alla formazione della coscienza morale
dell’oratore: eloquenza senza sapientia ha portato gli stati alla rovina).
De oratore (55) = in forma di dialogo platonico, ambientato nel 91, al tempo dell’adolescenza di
Cicerone e l’anno della morte di Crasso, precede di poco la guerra sociale e i conflitti civili tra Mario
e Silla. Vi prendono parte i più insigni oratori dell’epoca, tra i quali Marco Antonio e Lucio Licinio
Crasso (portavoce di Cicerone). Nel I libro Crasso sostiene, per l’oratore, la necessità di una vasta
formazione culturale; Antonio gli contrappone l’idea di un oratore ‘istintivo’, ’autodidatta’, la cui
arte si fondi sulla fiducia delle proprie doti naturali, pratica nel foro e riprende esempi di oratori
precedenti. Nel II a trattazioni più analitiche e Antonio espone problemi concernenti la inventio, la
dispositio e la memoria. Compare anche Cesare Strabone che compie una digressione sulle arguzie e
motti di spirito. Nel III Crasso discute questioni relative all’elocutio e alla pronuntiatio, cioè in
genere all’actio (recitazione) dell’oratore, anche se la vasta cultura e la formazione filosofica sono
necessarie.
Orator (46) = riprese tematiche del De oratore in un trattato più esile, aggiungendo una sezione sui
caratteri della prosa ritmica. Sottolinea i 3 fini dell’arte oratoria = probare (prospettare tesi con
argomenti validi), delectare (produrre con parole una piacevole impressione estetica), flectere
(muovere emozioni attraverso il pathos). Ai 3 fini corrispondono 3 registi stilistici che l’oratore dovrà
saper alternare: umile, medio e elevato/patetico.
La rivendicazione della capacità dell’oratore di muovere gli affetti nasce dalla polemica nei confronti
della tendenza ”atticistica”; Cicerone era accusato di non essersi allontanato abbastanza
dall’”asianesimo”. Gli avversari di Cicerone privilegiavano uno stile semplice, asciutto e scarno,
come modelli avevano gli oratori attici.
Brutus (46) = dove Cicerone prende posizione, è dedicato a Marco Bruto, uno dei principali
esponenti dell’atticismo.
Si assume il ruolo di principale interlocutore (gli altri due cono Bruto e Attico) e disegna una
storia dell’eloquenza greca e romana, dimostrando doti di storico della cultura e di fine critico
letterario. La storia dell’eloquenza culmina in una rievocazione delle tappe della carriera oratoria di
Cicerone, dal ripudio dell’asianesimo giovanile al raggiungimento della piena maturità dopo la
questura in Sicilia. L’ottica in cui guarda al passato dell’oratoria è quella di una rottura degli schemi
tradizionali che contrapponevano i generi di stile cui asiani e atticisti erano attaccati. La rottura
rispecchia una tendenza di fondo della pratica oratoria di Cicerone: le varie esigenze, diverse
situazioni richiedono il ricorso all’alternanza di registri diversi e il successo dell’oratore davanti
all’uditorio è il criterio fondamentale con cui valutare la riuscita stilistica. Gli atticisti sono criticati
per il carattere troppo freddo ed intellettualistico: essi ignorano l’arte di trascinare gli ascoltatori. La
grande oratoria ha il suo modello in Demostene.
De optimo genere oratorum (52) = breve opera di argomento retorico, doveva costituire l’intro alla
versione latina di due celebri orazioni contrapposte Sulla corona di Demostene e Contro Ctesifonte
di Eschine, pronunciate nel corso di uno stesso processo, tenutosi ad Atene nel 330.
Topica (44) = ultima sua opera di teoria retorica, ispirata all’opera omonima di Aristotele, i quali
trattano dei tòpoi = luoghi comuni ai quali può fare ricorso l’oratore alla ricerca di argomenti da
sviluppare nel discorso. Sono utilizzabili non solo nella retorica ma anche nella filosofia, storia,
giustizia.
4. Un progetto di stato
De re publica (54-51) = ritorno con maggiore evidenza del modello del dialogo platonico. Cicerone
si proiettò nel passato per identificare la migliore forma di stato nella costituzione romana del tempo
degli Scipioni.
De legibus = completamento dialogo sullo stato, non pubblicato durante sua vita. Conservati primi 3
libri e frammenti del 4-5. L’azione è posta nel presente, gli interlocutori sono Cicerone, il fratello
Quinto e l’amico Attico. Ambientazione nella villa di Cicerone ad Arpino e nei boschi e campagne
circostanti (locus amoenus). Personaggi caratterizzati con naturalezza e realismo: Quinto come
ottimate estremista, Cicerone come conservatore moderato e Attico come epicureo.
Libro 1 Cicerone espone tesi secondo la quale la legge si basa su ragione innata in tutti gli uomini
ed è data da dio.
Libro 2 esposizione delle leggi che dovrebbero essere in vigore negli stati, che si basa sulla
tradizionale legislazione romana.
Libro 3 Cicerone presenta il testo delle leggi riguardanti magistrati e le loro competenze.
Il De officiis (44) è un trattato dedicato al figlio Marco. Cicerone cerca nella filosofia i fondamenti di
un progetto di vasto respiro, indirizzato alla formulazione di una morale della vita quotidiana che
permetta all’aristocrazia romana di riacquistare il controllo sulla società. La base filosofica è lo
stoicismo moderato di Panezio che forniva la casistica necessaria a regolare i comportamenti
quotidiani dei membri dei gruppi dirigenti. Cicerone si rivolge ai giovani (funzione pedagogica). La
Cultura romana era tradizionalmente avversa al pensiero filosofico e speculativo, Cicerone mostra
come l’assolvimento di doveri verso lo stato e la collettività non fosse possibile senza aver assorbito
e meditato la riflessione filosofica dei Greci.
I 3 libri trattano rispettivamente dell’honestum, dell’utile e del conflitto fra di essi. Per i primi 2 libri
la fonte è il trattato Sul Conveniente di Panezio di Rodi, mentre i III ha fonti diverse. Panezio faceva
parte del “circolo di Scipione Emiliano”, e aveva impresso allo stoicismo una svolta in senso
aristocratico. La dottrina di Panezio aveva un giudizio più positivo sugli istinti.
La virtù fondamentale per Panezio era la socialità, in cui alla giustizia si affiancava la beneficenza
che ha il compito di collaborare positivamente al benessere della comunità, e corrispondeva allo stile
di vita degli aristocratici romani che sapevano procurarsi un seguito politico capace di innalzarli alle
più alte cariche dello stato questa poteva però procurare la largitio (corruzione). La beneficenza non
deve quindi essere posta al servizio delle ambizioni personali. Alla virtù cardinale della fortezza
Panezio aveva sostituito la magnanimità (grandezza d’animo) che scaturisce dal naturale istinto a
primeggiare sugli altri. A fondamento della magnitudo animi il De officiis pone disprezzo ascetico
per i beni terreni, in quanto è una virtù che può divenire una passione della tirannide. L’esempio della
magnitudo animi mostra il rapporto che lega il logos (la ragione) agli istinti naturali. Il compito della
ragione è di controllare gli istinti e di trasformarli in virtù. Se non li trasforma si ha la tirannide e
l’anarchia.
Nel sistema etico del De officiis, il regolatore degli istinti e delle virtù è costituito dall’ultima virtù, la
temperanza che all’esterno si manifesta in apparenza di appropriata armonia dei pensieri, gesti,
parole, = decorum ideale di aequabilitas, uniformità, possibile a chi ha sottomesso i suoi istinti al
controllo della ragione. L’autocontrollo porta all’approvazione degli altri.
Il concetto di decorum permette di fondare una pluralità di atteggiamenti e di scelte di vita che
partono dalle qualità personali.
Cicerone ha elaborato terminologia letteraria adeguata per ‘rendere’ la terminologia filosofica dei
greci. L’operazione si Cicerone era “Purista”: evitare il grecismo, sperimentazione
lessicale, introduzione di parole nuove. L’attenta scelta delle parole era di importante per il
raggiungimento della chiarezza espressiva. Cicerone crea un tipo di periodo complesso e armonioso,
fondato su un perfetto equilibrio e rispondenza delle parti (modelli Isocrate e Demostene). Sostituisce
la paratassi (coordinazione) con l'ipotassi (subordinazione). Si caratterizza anche per la varietà dei
toni e dei registri stilistici = 3 gradazioni di stile a seconda delle esigenze discorsive corrispondenti
(probare, delectare, movere). Le disposizione verbale è sempre tale da formare il numerus, che è un
sistema di regole metriche adatte alla prosa. La sede specializzata per questi effetti metrico-ritmici è
la clausola = parte finale del periodo in cui l’orecchio dell’ascoltatore deve sentirsi impressionato da
effetti suggeriti da successione di piedi.
7. Le opere poetiche
8. L’epistolario
Per la conoscenza della sua personalità disponiamo di una cospicua quantità di lettere che scrisse ad
amici e conoscenti, con anche lettere di risposta. L’epistolario si compone di 16 libri Ad familiares
(parenti e amici, lettere dal 62 al 43), 16 libri Ad Atticum (al migliore amico, dal 68 al 44), 3 libri Ad
Quintum fratrem (60-54) e 2 libri Ad Marcum Brutum (lettere del 43) = 900 lettere. Furono
pubblicate dopo la sua morte. Epistolario ricco e vario: da bigliettini a resoconti politici a lettere
elaborati come trattati. Varietà dei contenuti, occasioni, destinatari si rispecchia in quelli dei toni.
Sono lettere ‘vere’, non furono scritte per la pubblicazione: si rivelano debolezze, dubbi, incertezze,
esitazioni. Periodare ellittico, gergale, con grecismi e colloquialismi; sintassi con paratassi, lessico
con parole pittoresche come diminutivi e ibridi greco-latini = rispecchia il sermo cotidianus delle
classi elevate di Roma. Permette anche di seguire l’evolversi degli avvenimenti politici.
Vive tra il 110 e il 32 a.C. Si era allontanato da Roma ed aveva soggiornato ad Atene per 20 anni.
Cavaliere romano, amico si Cicerone, la sua casa sul Quirinale è luogo di incontro per i
rappresentanti della ricerca antiquaria; aderisce alla filosofia epicurea e conduce una vita appartata,
rifiutando l’impegno politico. Si occupò della divulgazione delle opere di Cicerone. Scrisse un
prontuario storico, il Liber annalis, che tratta della storia romana fino al 49. Fu raccoglitore di
memorabilia: ovvero di imprese e gesta memorabili delle genti romane, che spingano all’imitazione
i posteri.
3. Varrone
Nato a Rieti nel 116 a.C., fu allievo di Stilone e Antioco; fu questore, tribuno della plebe e pretore.
Combatté in Dalmazia con Pompeo. Nel 46 Cesare gli affidò l’incarico di allestire una biblioteca a
Roma. Morì nel 27.
Scrisse molte opere. Opere conservate: De lingua latina, De re Rustica. Opere in versi: Saturae
Menippeae.
Opere in prosa: si dividono in storia, geografia, antiquaria; lingua e storia letteraria; retorica e diritto;
filosofia e scienza.
Gli interessi filologici e antiquari accompagnarono Varrone fin dalla giovinezza: scrisse il De
antiquitate litterarum che affrontava problemi di storia dell’alfabeto latino, lo dedicò ad Accio e fu
pubblicato negli anni 80 a.C.
Le opere più impegnative furono composte dopo i 60 anni:
• Le Antiquitates: contengono il patrimonio mitico, rituale e istituzionale della civiltà latina.
Erano articolate in 2 parti, la prima dedicata alle Res humanae (divisa in 4 esadi, gruppo di 6
libri che trattavano degli uomini, dei luoghi, dei tempi, delle cose), la seconda alle Res
divinae (divisa in 5 triadi, gruppi di 3 libri, che mantenevano la stessa suddivisione della I
parte con aggiunta V sezione agli dei). È un’opera nota per frammenti, pervenuti dai cristiani,
che la citavano per la sua religione pagana, in difesa della civiltà cristiana. Varrone
distingueva 3 modi di concepire la divinità: una TEOLOGIA “FAVOLOSA”, comprendente i
racconti della mitologia; una TEOLOGIA “NATURALE”, l’insieme delle teorie dei filosofi
sulla divinità; e la TEOLOGIA “CIVILE”, che concepisce la divinità nel rispetto di
un’esigenza politica, ed è quindi utile allo stato.
La storia, concepita prima nelle Antiquitates, e poi nel De vita populi Romani (in 4 libri, redatto
attorno 43 a.C. e dedicato ad Attico), è la storia collettiva del popolo romano sentito come organismo
unitario in evoluzione, dove i singoli eroi della storia romana trovano il loro posto e hanno il diritto
alla memoria dei posteri.
Varrone si dedica anche a ricerche biografiche: compose una raccolta di Imagines (si articolava per 7
gruppi di imagines; scelta del numero 7 per influssi pitagorici).
Affiancò gli studi antiquari a quelli della filologia. Si occupò del teatro arcaico, in particolare di
Plauto, di cui trattò in due opere, le Quaestiones Plautinae (specie di commento linguistico-
grammaticale alle commedie plautine) e il De comoediis Plautinis (dove affronta il problema delle
Le Saturae Menippae sono composte da 150 libri tra 80-60 a.C. Con essi Varrone introduce nella
letteratura latina il genere letterario della satira menippea, così denominato dal filosofo Menippo di
Gadara. Satire caratterizzate dal prosimetrum e spoudogéloion (mescolanza di toni seri e toni faceti).
Modelli di Varrone furono le diàtribe, scritte in greco da Menippo, forma di letteraria filosofica
popolareggiante a scopo divulgativo. Dai titoli e frammenti rimasti emerge grande varietà di
argomenti e metri: le Eumenides erano indirizzate contro i filosofi alla moda; Marcipor era la
descrizione di un viaggio; Marcopolis era la descrizione di una città utopistica; Sexagesis era
l’avventura di un giovane che si addormentava in un sonno lunghissimo, durato 60 anni e al risveglio
trovava Roma in declino. Il tema della tristezza dei tempi e della decadenza dei costumi romani era
ampiamente diffuso in quest’opera. Oltre a Menippo, altri modelli furono le satire di Ennio e
Lucilio, e Plauto. Gli argomenti erano vari, e corrispondeva anche alla varietà degli stili e dei registri.
Divennero modello x Apokolokyntosis di Seneca e Satyricon di Petronio.
In prosa erano i Logistorici, che svolgevano argomenti morali attraverso esempi tratti dalla storia e
dal mito. I titoli erano doppi e indicavano il personaggio principale.
Con le Disciplinae Varrone organizzò tutto il sapere della scienza antica: prefigura la distinzione
delle arti liberali in Trivium (grammatica, dialettica, retorica) e in Quadrivium (geometria, aritmetica,
astronomia, musica).
Scritti nel 37, i Rerum rusticarum libri/ De rustica (unica opera conservataci intera) sono l’opera
della vecchiaia di Varrone; in 3 libri, hanno forma dialogica. 1. Dedicato a Fundania, sua moglie che
ha comprato un podere e ha chiesto al marito di guidarla nella conduzione di esso: tratta
dell’agricoltura in generale. 2. Dedicato ad un allevatore di bestiame, Turranio Nigro, tratta
dell’allevamento di bestiame (de re pecuaria). 3. Dedicato a un vicino di campagna, Quintinio
Pinnio, tratta dell’allevamento di animali da cortile, api e pesci (de villatica pastione). Varrone ha in
mente villae e latifondi di più vaste dimensioni (Catone), sfruttati con manodopera servile. Nella villa
si incontrano utilità e piacere (utilitas e voluptas) dell’agricoltura; è scritto per compiacere e
alimentare l’ideologia del ricco proprietario terriero, desideroso di veder realizzato il modello di vita
così dignitoso piuttosto che imparare tecniche necessarie a lavorare terra o allevare animali.
4. Nigidio Figulo
Una delle suo opere più importanti furono i Commentarii grammatici, composta da 29 libri, di
argomenti grammatici e antiquari. Aveva interessi filosofici, cosmologici, storico-naturali. Viene
classificato tra i filosofi neopitagorici.
È l’autore del De viris illustribus, una raccolta di biografie di personaggi famosi, composta di almeno
16 libri, divisi a seconda delle professioni (divisi a coppi, uno per gli stranieri, uno per i romani).
Nepote intendeva la biografia come veicolo di confronto tra la civiltà greca e quella romana, forse
per suggerire la superiorità di quest’ultima.
CESARE
Nacque a Roma nel 100 a.C. da una famiglia patrizia. Fu questore nel 68, edile nel 65, pontefice
massimo nel 63, pretore nel 62. Nel 60 stipulò il I triumvirato con Pompeo e Crasso. Rivestì per la
prima volta il consolato nel 59. Intraprese l’opera di sottomissione del mondo celtico, nel 49 fece il
colpo di stato in Italia. Nel 48 sconfigge Pompeo e ricopre la dittatura e il consolato. Il 15 marzo del
44 venne assassinato.
Opere conservate: Commentarii de bello Gallico, Commentarii de bello civili, e un epigramma su
Terenzio.
Opere perdute: diverse orazioni, un trattato su problemi di lingua e stile (De analogia); vari
componimenti poetici giovanili, e un poema sulla spedizione in Spagna nel 45.
Opere spurie: l’ottavo libro del De bello Gallico; Bellum Alexandrinum; Bellum Africum; Bellum
Hispaniense.
De bello gallico = opera raccolta in 7 libri, 8° aggiunto dal luogotenente di Cesare Aulo Irzio per
legarlo al De bello civili. Sono narrati eventi dal 58 al 52 a.C., in cui Cesare procedé alla
sottomissione della Galli.
Libro 1 descrive del territorio della Gallia Transalpina e gli avvenimenti del 58 con la campagna
contro gli Elvezi e quella contro il capo germanico Ariovisto;
Libro 2 rivolta delle tribù galliche;
Libro 3 campagna contro le popolazioni galliche della costa atlantica;
Libro 4 operazioni contro le infiltrazioni di popoli germanici che avevano oltrepassato il Reno e
contro i capi gallici ribelli, viene raccontato anche il primo sbarco di Cesare in Britannia;
Libro 5 seconda spedizione in Britannia e repressione di rivolte nella Gallia Celtica e Belgica;
Libro 6 digressione sulla cultura dei Galli;
Libro 7 insurrezione del 52 guidata dal re degli Arverni, Vercingetorige, repressa e culmina con
l’espugnazione di Alesia e la cattura del capo gallico;
Libro 8 spegnimento degli ultimi focolai di resistenza della Gallia.
De bello civili = in 3 libri, narra la guerra contro Pompeo (49 – 48 a.C.). L’opera appare incompiuta:
la narrazione lascia in sospeso l’esito della guerra di Alessandria. Composto 47-46 a.C.
I primi 2 libri narrano eventi del 49, il terzo quelli del 48.
Dall’opera affiorano le tendenze politiche di Cesare, ricorre alla satira sobria per colpire la vecchia
classe dirigente e svelare basse ambizioni e meschini intrighi dei suoi avversari. La rappresentazione
satirica culmina nel quadro del campo pompeiano prima della battaglia di Farsalo.
Nell’opera non si trovano punti precisi di un programma di rinnovamento politico dello stato
romano: cesare vuole dissolvere all’opinione pubblica l’immagine che di lui dava la propaganda
aristocratica, vuole mostrarsi come colui che si è sempre mantenuto nell’ambito delle leggi, che le ha
difese contro gli arbitrii dei suoi nemici. Il destinatario della sua propaganda è lo strato ‘medio’ e
‘benpensante’ dell’opinione pubblica romana e italica. Insiste sulla propria volontà di pace, e
clemenza verso i vinti contrapposta alla crudeltà degli avversari. Inoltre mette in atto un processo di
promozione sociale degli homines novi do provenienza militare.
Lo stile scarno, il rifiuto degli abbellimenti retorici tipici della historia vera e propria, la riduzione del
linguaggio valutativo, contribuiscono al tono apparentemente oggettivo e impassibile.
In entrambe le opere ci sono delle deformazioni, non sono falsificazioni vistose, ma omissioni più o
meno rilevanti uso di artifici abilissimi, dissimulati: dispone le argomentazioni per giustificare
eventuali insuccessi. Cesare spiega gli avvenimenti secondo cause naturali e umane, non fa mai
ricorso all’intervento divino.
5. I continuatori di Cesare
Il luogotenente di Cesare, AULO IRZIO, compose l’8° libro del De bello Gallico per congiungere la
narrazione con quella del De bello civili tramite il racconto degli avvenimenti degli anni 51-50.
Sempre a Irzio si deve probabilmente il Bellum Alexandrinum. Queste opere rispettano la tradizione
stilistica del commentario in modo più aderente di quelle di Cesare. Tuttavia questo genere non era
molto stabile nei continuatori di Cesare Il Bellum Africum si veste di patina arcaizzante; il Bellum
Hispaniense genera squilibri e discrepanze di tono, ricercatezze di stile su fondo linguistico
popolareggiante e colloquiale, l’autore forse è un homo militaris.
Cicerone nelle orazioni non usa troppi effetti retorici, ma non si riduce nemmeno ad essere atticista.
SALLUSTIO
Nacque ad Amiternum, nella Sabina, nell’86 a.C. Compì gli studi a Roma dove si interessò alla
politica. Fu questore nel 55 o 54, tribuno della plebe nel 52. Condusse una campagna contro
l’uccisore di Clodio, Milone e Cicerone. Nel 50 venne espulso dal senato per indegnità morale. Allo
scoppio della guerra civile combatté dalla parte di Cesare, che lo nominò governatore della provincia
di Africa nova. Egli però dette prova di malgoverno e si ritira dalla vita politica, dedicandosi alla
storiografia.
Autore di due monografie storiche: Bellum Catilinae e Bellum Iugurthinum; e di un’opera storica più
vasta, le Historiae, iniziata nel 39, copriva il periodo fra il 78 e il 67.
Opere spurie: due Epistulae ad Caesarem senem de re publica, e l’Invectiva in Ciceronem.
Alle monografie antepone proemi di una certa estensione, nei quali si sforza di giustificare il fatto di
essersi ritirato dalla vita politica, dedicandosi alla composizione di opere storiche: per Sallustio la
storiografia resta strettamente legata alla prassi politica, e la sua maggiore funzione è individuata nel
contributo alla formazione dell’uomo politico. I pochi cenni autobiografici contenuti nei poemi sono
volti a spiegare l’abbandono della vita politica con la crisi che ha corrotto le istituzioni e la società,
denuncia l’avidità di ricchezza e del potere come mali che avvelenano la vita politica romana. La
stessa storiografia sallustiana si configura come indagine sulla crisi. Ciò dà conto all’impianto
monografico delle prime due opere storiche, che serviva a delimitare e a mettere a fuoco un singolo
problema storico sullo sfondo della storia di Roma. Così il Bellum Catilinae illumina il punto più
ampio della crisi, il Bellum Iugurthinum affronta l’incapacità della nobilitas corrotta a difendere lo
stato, insiste sulla prima resistenza vittoriosa dei populares.
La scelta della monografia porta ad un nuovo stile storiografico.
Catilina, la cui congiura Cicerone aveva represso nel 63, voleva coalizzare una sorta di “blocco
sociale” contro il regime senatorio.
Bellum Catilinae = monografia storica, la cui stesura fu nel 43-40 a.C.
Libro 1-4 proemio in cui traccia una rapida storia dell’ascesa e decadenza di Roma, causata dalla
distruzione di Cartagine.
Libro 5 -18 ritratto di Catilina: la personalità corrotta è messa a fuoco sullo sfondo generale della
decadenza dei costumi romani, dovuta all’accrescersi della potenza dell’impero e al dilagare del
lusso e delle ricchezze. Approfittando della degradazione morale, Catilina raggruppa intorno a sé
personaggi che auspicano un cambiamento di regime.
Sallustio spiega che la guerra contro Giugurta (tra 111 e 105) fu la prima occasione dove si osò
andare contro la nobiltà, quest’opera è indirizzata a mettere il luce le responsabilità della classe
dirigente aristocratica nella crisi dello stato romano.
Giugurta, dopo essersi impadronito del regno di Numidia, aveva corrotto col gli esponenti dell’
aristocrazia romana inviati a combatterlo in Africa, ed era riuscito a concludere una pace
vantaggiosa. Metello, inviato in Africa, ottiene successi notevoli, ma non decisivi: Mario,
luogotenente di Metello, ottiene il permesso di recarsi a Roma per presentare la candidatura al
consolato. Eletto console nel 107, deve portare a termine la guerra in Africa. Egli arruola i capite
censi (proletari privi di averi). La guerra termina quando il re di Mauritania, Bocco, tradisce
Giugurta, suo precedente alleato, e lo consegna ai romani.
La Guerra contro l’usurpatore numida si pone sullo sfondo della rappresentazione della
degenerazione della vita politica: l’opposizione antinobiliare rivendicava il merito della politica di
espansione, della difesa del prestigio di Roma. Al centro dell’opera introduce un excursus che indica
nel “regime dei partiti” la causa prima della rovina della res publica, ma la condanna è più sfumata
che nel Bellum Catilinae. Bersaglio principale è la nobiltà: condanna solo gli eccessi nella politica
Le Historie indicano il passaggio dalla forma ristretta della monografia alla narrazione storica di
ampio respiro, trattava in 5 libri gli avvenimenti dalla morte di Silla (78) al 67, continuando l’opera
omonima di Cornelio Sisenna. Opera rimasta incompiuta per la morte dell’autore, a noi sono giunti
solo 4 discorsi e 2 lettere di Mitridate di Pompeo. Dalle parole del sovrano orientale Mitridate
affiorano i motivi delle proteste dei popoli soggiogati e dominati da Roma, la quale porta guerra alle
nazioni solo per la sete di ricchezze e potere. Nelle Historie la corruzione dei costumi dilaga senza
rimedio; a parte poche nobili eccezioni (Sertorio); sulla scena politica si affacciano avventurieri,
demagoghi e nobili corrotti. PESSIMISMO SALLUSTIANO dopo l’uccisione di Cesare lo storico
non ha più parte dalla quale schierarsi e non aspetta salvatore.
5. Lo stile di Sallustio
Sallustio elaborò uno stile fondato sull’inconcinnitas (contrario della ricerca ciceroniana di
simmetria, rifiuto discorso ampio e regolare), sull’uso frequente di antitesi, asimmetrie e variationes
di costrutto, con un effetto di gravitas austera. È caratterizzato inoltre da una ricca patina arcaizzante,
non solo per la scelta di parole desuete, ma anche per la ricerca di concatenazione delle frasi che è di
tipo paratattico i pensieri si giustappongono l’uno all’altro come blocchi autonomi di una
costruzione. Uso di asindeti, omissione di legami sintattici, allitterazione. Il discorso è condensato,
reso essenziale, con parole quasi ridondanti con effetto di intensità. L’andamento spezzato è
anticonvenzionale. Rinuncia degli effetti drammatici tipici della storiografia ‘tragica’.
L’ETA’ DI AUGISTO
43 a.C. – 17 d.C.: CARATTERI DI UN PERIODO
VIRGILIO
1. Le Bucoliche
Fino a questo momento Teocrito era tra i maggiori autori ellenistici. La sua poetica non si prestava a
“manifesti” innovatori e sperimentali. La poesia degli Idilli è tutta rivolta alla ricostruzione di un
mondo pastorale tradizionale. Gli scenari adatti erano la Sicilia e l’isola di Cos. Protagonisti delle
azioni erano i pastori. Virgilio si avvicina a questo tipo di letteratura.
Il titolo Bucolica, “canti dei pastori”, rievoca uno sfondo pastorale in cui i pastori sono messi in
scena come attori e creatori di poesia.
1. Dialogo tra due pastori, Tìtiro e Melibèo, quest’ultimo costretto a partire, Titiro può restare
grazie all’aiuto di un giovane di natura divina. Motivo autobiografico dell’esproprio del
podere mantovano dopo la battaglia di Filippi.
2. Lamento d’amore del pastore Coridone, che si strugge per il giovinetto Alessi.
3. Tenzone poetica tra due pastori, svolta in canti alternati detti amebèi. Sono Menalca e
Dameta.
4. Canto profetico per la nascita di un fanciullo che porterà nuova età dell’oro.
5. Lamento per la morte di Dafni, eroe pastorale, dopo che si è lasciato morire per amore, da
parte di due pastori.
6. Il satiro Sileno, catturato da due giovani, canta l’origine del mondo e altri miti.
7. Melibeo racconta la gara poetica di 2 pastori, gli arcadi Tirsi e Coridone, forma di canto
amebeo.
8. Dedicata ad Asinio Pollione, gara di canto sulla gelosia amorosa.
9. Pastori Meri e Licida, privati dei loro campi, si dirigono verso la città.
10. Virgilio canta dell’amore infelice dell’amico e poeta elegiaco Cornelio Gallo per Licòride,
collocando l’amico nell’Arcadia.
Il numero di 10 corrisponderebbe agli Idilli teocritei. Alcune egloghe sono costruite a coppie: I e IX
(riferimenti alla guerra civile in Italia); II e VIII (monologhi amorosi); III e VII (tenzoni poetiche);
IV e VI (componimenti meno pastorali del libro).
Il carattere miscellaneo di Teocrito aveva elaborato una certa varietà di temi: il nuovo Teocrito
doveva abbandonare qua e là i confini del mondo pastorale. Il luogo dove ambientare le egloghe era
il paesaggio italico, ma si fa riferimento anche ad un luogo ideale, l’Arcadia.
Nel 38 le Bucoliche sono già completate e Virgilio ha un nuovo protettore, Mecenate (prima era
Augusto).
L’influenza di Mecenate è evidente in nuove opere di Virgilio e anche di Orazio. La composizione
durò 10 anni. Nel 29 fu recitato al principe che tornava vittorioso dalle campagne contro Antonio e
Cleopatra.
Le Georgiche presuppongono una grande ricchezza di letture: poesia greca e romana, fonti tecniche
in prosa e trattati filosofici. Il lungo processo compositivo è provato anche dalle allusioni storiche
riportate nel testo. Il finale del I libro evoca un’Italia in preda alle guerre civili. La data di
pubblicazione dell’opera corrispondeva con il triplice trionfo di Ottaviano.
Virgilio avrebbe alterato il testo del poema sopprimendo una parte, e sostituendovi la storia di
Aristeo: la causa fu il suicidi di Gallo. La parte sostituita erano delle lodi a Gallo probabilmente
collegate a un brano che trattava dell’Egitto in rapporto con la bugonia.
3. Le Georgiche
Il modello è la poesia greca ellenistica con un messaggio d’insegnamento. Il messaggio dei poeti
ellenistici era specialistico, e il destinatario era solo una sopravvivenza formale. Nelle loro opere
prevaleva la forma sul contenuto, si preferiscono temi freddi. L’unità dell’opera è garantita
dall’uniforme controllo dello stile e dalla specializzazione monografica dell’argomento.
La tradizione didascalica si era spezzata e rivoluzionata con Lucrezio, con la ricerca formale e il
gusto letterario. Egli trasmette messaggi di salvazione attraverso il sapere.
Virgilio si sente più vicino a Lucrezio che agli alessandrini. Lucrezio riesce a trasformare in poesia
dettagli fisici e realtà minute. Virgilio allarga gli orizzonti della letteratura migliorando la percezione
e rielaborando in poesia realtà in apparenza trascurabili TENUI LABOR: programma poetico che
deve molto alla ricerca formale e alla poetica di Callimaco. L’impulso di fondo delle Georgiche è
partito da un dialogo con Lucrezio. Il messaggio di salvazione e di saggezza in Lucrezio non c’è, ma
si misura con esso. Virgilio accoglie la religiosità tradizionale. Lucrezio guarda alle cause naturali
Nelle Georgiche Ottaviano si profila come l’unico che può salvare il mondo civilizzato dalla
decadenza e dalla guerra civile: siamo nell’età della crisi prima di Azio. Il nuovo principe assicura
ricchezza e prosperità al mondo dei contadini. Le Georgiche sono il primo vero documento della
letteratura latina nell’età del principato. Nel primo proemio infatti appare la figura del principe quale
sovrano divinizzato. Il principe Augusto e il suo consigliere Mecenate tengono il ruolo di Epicuro e n
on quello di Memmio: ispiratori dell’insegnamento piuttosto che interlocutori. Il ruolo di destinatario
della comunicazione didattica è invece assegnato alla figura collettiva dell’agricoltura. Il destinatario
reale dell’opera è invece un pubblico che conosce la vita delle città e le sue crisi. Rivolto alla vita dei
campi, il poema affronta anche i problemi della vita urbana e i problemi del vivere.
L’economia rurale del poema non è quella reale dell’epoca (è idealizzata). L’eroe del poema è il
piccolo proprietario agricolo. Virgilio non accenna al lavoro servile. Con l’idealizzazione del
colonus, Virgilio converge con la propaganda ideologica augustea, ma è autonomo nel rielaborare le
idee.
I temi dei 4 libri sono il lavoro dei campi, l’arboricoltura, l’allevamento del bestiame, l’apicoltura.
L’ordine di questi lavori corrisponde alla fatica umana che diviene sempre meno accentuata. La
struttura del poema sembra orientata dal grande al piccolo: dalle leggi cosmiche del lavoro agricolo
fino al microcosmo degli alveari. Tutti il libri sono introdotti da un proemio e dotati di sezioni
digressive. Virgilio tende a indebolire le costruzioni logiche del pensiero, mentre l’architettura
formale del poema si fa più regolata e simmetrica.
Ogni libro è dotato di una digressione conclusiva: le guerre civili, la lode della vita agreste, la peste
degli animali di Norico, la storia di Aristeo e delle sue api. Importanti sono i proemi: due lungi (I,III)
e due brevi (II, IV). È caratterizzato da una forte polarità tra temi di morte e temi di vita. È un’opera
piena di contrasti.
La fatica dell'uomo è inviata dalla Provvidenza divina per una sorta di necessità cosmica; ma l'ideale
del contadino si richiama al mito dell'età dell'oro, quando il lavoro non era necessario. La vita
semplice e laboriosa del contadino italico ha portato alla grandezza di Roma: ma Roma è anche vista
come luogo di degenerazioni e di conflitti.
Digressione finale del IV libro: Aristeo ha perso le sua api per un’epidemia. Con l’aiuto della madre
Cirene, scopre l’origine del morbo: egli aveva causato la morte di Euridice, la sposa del cantore
Orfeo. Un veggente racconta ad Aristeo la triste storia di Orfeo. Con un sacrificio di Buoi viene
placata la maledizione, e dalle vittime del sacrificio si sviluppa la vita di nuove api.
Virgilio ha collegato tra loro due miti diversi grazie alla tradizione alessandrina e neoterica. I due
racconti sono collegati da sottili parallelismi narrativi. Aristeo e Orfeo affrontano entrambi una serie
di avventure: il primo è calato dentro un fiume sino all’origine delle acque; il secondo scende
nell’Oltretomba; entrambi, inoltre, lottano contro la morte. Tuttavia i due racconti sono opposti nella
conclusione: fallisce l’impresa di Orfeo, mentre a successo la missione di Aristeo.
Tutta la costruzione narrativa è chiusa nell’impianto del poema didascalico. I temi vengono nascosti
nella narrazione. La figura di Orfeo domina la natura, mentre quella di Aristeo lotta contro di essa.
5. L’Eneide
L’Eneide svolge la leggenda di Enea dall’ultimo giorni di Troia alla vittoria di Enea e alla fusione di
Troiani e Latini.
1. Enea, nobile troiano scampato con i compagni alla distruzione della sua città, viaggia per mare alla
ricerca di una nuova patria. Una violenta tempesta scatenata dalla dea Giunone distrugge parte della
flotta, i superstiti approdano in Libia. Grazie all’aiuto della dea Venere, madre di Enea, vengono
accolti da Didone, regina della città. L’eroe viene invitato dalla regina a narrare le vicende.
2. Enea inizia il racconto rievocando la distruzione di Troia da parte dei Greci con cavallo, escogitato
da Ulisse. Enea, destato dal fantasma di Ettore, fugge portando con se il padre Anchise e il figlio
Ascanio. 3. Salpato da costa troiana approda in Tracia: il sangue che sgorga da un cespuglio gli rivela
la fine di Polidoro, figlio di Priamo ucciso dal re di Tracia. Enea si reca a Delo dove l’oracolo Apollo
lo invita a cercare la terra d’origine dei Troiani.
Il poeta ha ristrutturato i dati tradizionali sulla venuta di Enea nel Lazio. La guerra è stata
rappresentata da Virgilio come scontro tra Troiani e Latini; i Latini coalizzati con popoli italici, i
Troiani con gli Etruschi. ‘Eneide non è quindi un poema storico, a causa della selezione
drammaturgica del materiale.
La novità dello stile virgiliano sta nel conciliare la massima libertà con il massimo di ordine. Virgilio
cambia la rigidità dell’esametro neoterico, e lo plasma come strumento di una narrazione lunga e
continua. Il ritmo del verso si basa ora su un ristretto numero di cesure. Il ritmo è definito dalla
diversa proporzione di dattili e spondei. È un’opera ricca di arcaismi e di poetismi che sono un
omaggio a Ennio.
La narrazione è graduale e piana. Caratteristica fondamentale dello stile di Virgilio è l’aumento di
soggettività: viene data maggiore iniziativa al lettore, ai personaggi e al narratore. La funzione
oggettiva è garantita dall’intervento del poeta. PAGINE 246, 247, 248
ORAZIO
La produzione giambica è legata alla fase giovanile della sua attività poetica. La produzione
‘giovanile’ è caratterizzata da asprezza polemiche, toni carichi, linguaggio poetico violento.
Modelli sono Archiloco e Callimaco. Orazio non vuole dire che gli Epodi non sono traduzioni e che
attinge a una realtà romana e personale, ma vuole anche segnalare peculiarità della sua ispirazione
archilochea: da Archiloco aveva mutuato i metri e l’ispirazione aggressiva, ma non i contenuti
(Orazio si rivolge contro bersagli ‘minori’).
Un esempio famoso è l’epodo 10, dove Orazio augura a Mevio di fare naufragio. Il modello è un
carme di Archiloco, ma Orazio rimane comunque lontano da lui, in quanto egli lascia in sordina il
carattere personale dell’invettiva (non viene detto chi sia e perchè ce l’ha con lui).
Anche per l’influsso dei Giambi di Callimaco, Orazio doveva sentire l’esigenza di una varietà:
molteplicità di temi, toni e livelli stilistici che la tradizione romana assegnava alla satira.
2. Le Satire
Orazio nella sua poesia satirica indica in Lucilio l’inventore del genere, a lui risaliva un elemento
fondante: la scelta dell’esametro come forma metrica della satira, inoltre rappresentava la società
contemporanea, soprattutto del ceto dirigente, includendo anche fatti, personaggi, osservazioni
connesse alla vita personale del poeta. Da Lucilio ereditava i due segni distintivi dell’aggressività e
dell’autobiografia.
C’erano però importanti differenza dal punto di vista della forma e del contenuto. In Lucilio non era
chiaro il rapporto tra diatriba e aggressività. In Orazio vi è invece un collegamento tra diatriba e
aggressività: l’attacco personale è sempre collegato con una intenzione di ricerca morale. Orazio
sostituisce l’esigenza di analizzare i vizi, vuole individuare una strada per pochi attraverso le sfortune
si una società in crisi. La satira oraziana è così collegata al circolo di poeti attorno a Mecenate.
Il meccanismo del genere satirico nella prima raccolta consisteva nel confronto tra un modello
positivo e tanti modelli negativi. La seconda raccolta mostra mutamenti sostanziali. C’è un brusco
regresso della componente rappresentativo-autobiografica. Nelle satire argomentative è dominante la
forma del dialogo, il ruolo dominante non spetta al poeta, ma all’interlocutore. Tutti gli interlocutori
sono depositari di una propria verità. L’equilibrio tra autosufficienza e moderazione è perduto.
La satira non è vera prosa perché non c’è ispirazione divina e nessun suono sublime. La satira è
quindi letteratura più vicino alla prosa; ma comunque Orazio mira ad una lingua disciplinata e
semplice, a differenza di Lucilio.
3. Le Odi
Per quanto riguarda la produzione lirica Orazio rivendica il titolo di Alceo romano, ma più che essere
un modello, si tratta di un rapporto di imitazione che porta all’obbedienza alla lex operis (le regole
che organizzano il genere letterario), e quindi rispetto del decorum letterario e creazione di un
coerente sistema di attese. Orazio è il primo a divulgare i modi di Alceo, a causa delle difficoltà
tecniche del trasferire da una lingua all’altra le strutture metriche. Richiamandosi ad Alceo, Orazio
approfitta dell’autorità del suo modello per avvalorare la coniugazione di componenti diverse:
attenzione a vicende comunitarie e private.
Alceo era stato anche poeta gnomico, per questo si tende a collegare a lui la forte componente morale
di Orazio. Una caratteristica di Orazio è la ripresa dello spunto iniziale di un componimento, per poi
svilupparsi in riflessioni gnomiche, per poi finire in un quadro di vita galante cittadina.
Differenze: i versi di Alceo erano espressioni degli amori e degli odi di un aristocratico, impegnato
nelle lotte politiche. I temi e il linguaggio di Alceo erano semplici. In Orazio l’interesse per la res
publica era vivace, per lui la poesia era un ristoro dall’impegno.
Altri modelli delle Odi: Saffo, Anacreonte, lirica corale e Pindaro (in particolare nel libro IV).
Il richiamarsi di Orazio alla lirica greca arcaica aveva le caratteristiche di una scelta programmatica
ad esprimere la volontà di distinguersi dall’alessandrinismo nel neoterici.
Orazio è poeta dell’equilibrio, il ruolo centrale nella lirica oraziana è svolto dalla meditazione e dalla
cultura filosofica. Il punto centrale è la coscienza della brevità della vita, che comporta la necessità di
vivere il momento 1,11 propone la massima del carpe diem. Il saggio affronterà gli eventi e saprà
accettarli: egli conta solo sul presente. L’invito al piacere non è separato dalla consapevolezza che
quello stesso piacere è caduco. Questa riflessione porta alla serenità, all’autàrkeia, la condizione del
saggio, che è libero dai tormenti ed è protetto dagli dei. La saggezza è raggiungibili da chi sa fuggire
tutti gli eccessi e adattarsi a tutte le fortune. Questa però si scontra la condizione dell’uomo nel
4. Le Epistole
Dopo la poesia lirica Orazio torna all’esametro della conversazione. Sono diverse dalle satire, che
hanno una vocazione mimico-drammatica. Orazio le chiama SERMOSE “conversazioni personali”.
Hanno un destinatario. La componente epistolare assicura un’intonazione personale. Il fattore che
differenzia di più le lettere dalle satire è una differenza spaziale le satire avevano come scenario
l’ambiente cittadino; le lettere invece la periferia rustica. I destinatari sono invitati a ripetere la scelta
di Orazio nell’angulus appartato e sono esortati alla sapienza. Orazio vuole riprendere Lucrezio, nel
rapporto con il lettore. Le Epistole sviluppano al loro interno un modello di educatore lucreziano che
insegna ai suoi discepoli l’amore di una vita ritirata. Ci sono però delle differenze con Lucrezio e le
satire: manca l’aggressività comica; la morale non procede attraverso la critica della società
contemporanea; manca l’equilibrio tra autosufficienza e moderazione.
La ricerca morale è animata dalla necessità della saggezza, in quanto si avvicina la vecchiaia, si
allontana da Roma e si raccoglie in campagna. Nell’epistola proemiale, dedicata a Mecenate,
giustifica la nuova forma poetica e ne spiega l’ispirazione morale. PAGINA 270,271,272