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Callimaco

Per la molteplicità degli interessi letterari, per la reinvenzione delle forme e dei
generi tradizionali e soprattutto per la simbiosi tra erudizione e invenzione Cal-
limaco divenne ben presto per i suoi stessi contemporanei, e poi per i poeti latini
(da Catullo a Properzio), un essenziale punto di riferimento. Egli fu inoltre un
grande artista che nel suo inesauribile sperimentalismo può ancor oggi suscitare,
con i frutti superstiti del suo laboratorio giocoso, emozioni e sorprese di acuta
modernità.

Vita e opere
Nobile decaduto?
C allimaco (Καλλίμαχος) nacque a Cirene verso il 320 a.C. da famiglia illustre
(forse discendente di Batto, l’antico fondatore della città) ma non ricca, e
una tradizione biografica – non si sa fino a che punto attendibile – ci dice che fu
costretto a esercitare la professione di maestro di scuola al livello più basso ad
Eleusi, un sobborgo di Alessandria.

Bibliofilo Entrò presto, fin da fanciullo, secondo una tradizione in contrasto con quella
e compilatore precedente, a far parte della corte alessandrina e vi rimase durante i regni di To-
dei Pínakes
lomeo II Filadelfo (285-246) e poi di Tolomeo III Evergete.
Ebbe con ogni probabilità qualche incarico nella Biblioteca del neofondato Mu-
seo, ma dal papiro che contiene la lista dei primi «direttori» e che abbiamo già
ricordato nel capitolo introduttivo sulla civiltà ellenistica, parrebbe non aver
mai ricoperto questo incarico; tuttavia solo nell’ambito di una collaborazione
alla Biblioteca si può spiegare l’opera Tavole (Πίνακες, dal nome del suppor-
Callimaco

to scrittorio: sorta quindi di «schede» o «indici») di coloro che si distinsero in


tutte le forme della cultura, e dei loro scritti (Πίνακες τῶν ἐν πάσῃ παιδείᾳ
διαλαμψάντων καὶ ὧν συνέγραψαν), un catalogo in 120 volumi di cui resta
solo una ventina di brevi frammenti, dove gli autori della letteratura arcaica e
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classica furono per la prima volta sistematicamente ordinati per generi letterari:
ciascun autore era accompagnato da brevi notizie biografiche e ogni opera dal
titolo, da indicazioni sticometriche e dalla citazione dell’incipit (eventualmente
anche da annotazioni sull’autenticità).
I Pínakes divennero un punto di riferimento per tutti i lavori storico-letterari suc-
cessivi (e Aristofane di Bisanzio scrisse un volume Sui Pínakes di Callimaco).

Repertori, cataloghi A quest’opera complessiva Callimaco affiancò anche pínakes settoriali: l’Indice
e indici e registro dei poeti drammatici in ordine cronologico e dagli inizi (che presup-
poneva le indagini di Aristotele e della sua scuola culminate nelle Didascalie)
e l’Indice delle glosse e degli scritti di Democrito; inoltre opere di argomento
etnico-antiquario, come i Costumi di popoli stranieri e le Denominazioni etniche
diverse, e di argomento storico-geografico, come le Fondazioni di isole e città e
mutamenti dei nomi e Sui fiumi del mondo, nonché una Raccolta di meraviglie di
tutta la terra secondo le località.

Poeta di corte I legami di Callimaco con la corte sono documentati specialmente dalla compo-
sizione, forse intorno al 280, dell’Inno a Zeus (che ai vv. 85 ss. contiene l’elogio
di un sovrano identificabile col Filadelfo, divenuto regnante unico nel 283), e nel
270 o poco dopo dell’Apoteosi di Arsinoe, in onore della moglie del re morta di
recente. Del resto la sua posizione si rafforzò ulteriormente quando, scomparso il
Filadelfo nel 246 e salito al trono Tolomeo III Evergete, Callimaco poté contare
sulla protezione della nuova regina, la sua concittadina Berenice II, in onore della

Una poetica innovativa e quasi moderna


Callimaco è stato, a quanto sappiamo, il primo poeta a essere Il venir meno del legame con l’occasione portò il poeta a ela-
anche editore della propria opera. Questa, che può sembrare borare il proprio prodotto con maggiore libertà, addirittura con
un’innovazione di poco conto, nasce dall’esigenza di costruzio- arbitrio: era vincolato, sì, al rispetto di un codice, ma era un
ne attenta dell’opera, all’interno della quale l’ordinamento dei codice che lui stesso si creava, liberandosi dalle leggi dei generi
singoli componimenti è attentamente studiato in base ad ana- letterari tradizionali. Il genere letterario, che determinava for-
logie, contrasti ed esigenza di variazione (come si può vedere me e contenuti in rapporto alla destinazione dell’opera, diven-
ad esempio nei Giambi). L’esempio dato da Callimaco in seguito tò così una struttura aperta a infinite possibilità di innovazione
costituì la base di ogni liber poetico, anche al di fuori della e di sperimentazione; e le leggi dei generi tradizionali, accura-
Grecia: Catullo, con il suo libellus accuratamente costruito e tamente studiate per analizzare e classificare la letteratura del
ordinato, è stato il suo migliore allievo. passato, costituirono anche il punto di partenza per esplicite
Questa nuova importanza del libro, cui Callimaco legò inscin- infrazioni.
dibilmente la propria opera, fu la conseguenza dei nuovi pre- Ogni composizione diventò un nuovo spazio letterario all’in-
supposti storico-culturali. L’avvento dei regni ellenistici aveva terno del quale potevano coesistere e contrapporsi, ciascuno
infranto definitivamente la figura dell’intellettuale integrato con la sua individualità, diversi registri, che rinviavano a generi
nella polis (di cui Atene era stato l’esempio più illustre), che diversi. Callimaco teorizzò esplicitamente i suoi nuovi metodi
componeva e pubblicava le sue opere in relazione a occasioni con dovizia di particolari: lo fece negli Inni, negli Aitia, nei
ben precise (la festa religiosa, il simposio ecc.); il venir me- Giambi. Nessun altro poeta greco si concesse tanta metalette-
Callimaco

no delle occasioni da un lato e l’affermazione definitiva della ratura come lui: molte sono le composizioni e le sezioni pro-
scrittura dall’altro staccarono l’opera dall’occasione esterna e grammatiche.
dall’auralità. Il libro, in quanto supporto strutturabile, divenne [L. E. Rossi, Letteratura greca, Firenze, Le Monnier 1995,
il canale privilegiato per la pubblicazione dei prodotti letterari; 586 s.]
e l’opera letteraria diventò libro.
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quale compose la Chioma di Berenice (nel 245) e un Epinicio (nel 244), ambedue
inglobati nella seconda edizione degli Aitia. Morì intorno al 240.

La variegata Ricca e varia si presenta la produzione poetica di Callimaco: compose gli Aitia,
produzione poetica… gli Inni, i Giambi, l’epillio Ecale, epigrammi e carmi minori come la Vittoria di
Sosibio e l’Ibis; la Suda menziona anche tragedie, commedie e drammi satire-
schi, di cui nulla sappiamo.

…in buona Di tutto ciò la tradizione manoscritta medioevale ci ha conservato, all’interno


parte perduta del corpus di inni di varia epoca che inizia con quelli attribuiti ad Omero, sei
dalla tradizione
medioevale Inni e, 63 epigrammi all’interno dell’Antologia Palatina, tranne due, riportati
uno da Strabone e l’altro da Ateneo; di altri dieci abbiamo solo frammenti o te-
stimonianze. Attraverso i papiri e le citazioni possediamo anche brani, talora di
notevole estensione, delle altre opere.

la ricerca di strade nuove


Contro la tradizionale
ripartizione
per generi
L a grande novità che caratterizza la produzione e la riflessione poetica di Cal-
limaco è il rifiuto della ripartizione tradizionale della poesia in generi, rigida-
mente strutturati secondo metro, stile e contenuti (esametro e registro aulico per
la poesia epica; metro giambico associato al tono colloquiale e alla quotidianità,
o alla comicità dell’argomento, ecc.). La scelta di rifiutare tali distinzioni e di
contaminare i vari generi è elemento unificante e strutturante della sua esperien-
za poetica e ne abbiamo la più esplicita teorizzazione nel Giambo XIII 30-33
Pfeiffer:
Chi disse […]
tu devi comporre pentametri (cioè elegie), tu esametri (cioè poesia epica),
e tu dagli dei hai ottenuto di comporre tragedie?
Nessuno, credo.

L’intento polemico è rivolto contro quella concezione che troviamo teorizzata


nello Ione platonico (534c), secondo cui «ciascuno è capace di comporre con
successo solamente nel genere verso il quale la Musa lo spinge: è così che uno
eccelle nei ditirambi, un altro negli encomi, un altro ancora negli iporchemi; è
così che uno sa comporre poemi epici e un altro giambi».

πολυείδεια Nel rifiutare questa prospettiva, auspicando la πολυείδεια «mistione dei generi»
e ποικιλία e la ποικιλία «varietà delle forme», Callimaco afferma la necessità di individua-
Callimaco

T. 1 re nuove strade e percorrere «sentieri non calcati dai carri» (fr. 1, 25-26 Pfeiffer),
T. 2 discostandosi dalla tradizione (ep. 28, 1 Pfeiffer «odio il poema ciclico») e per-
seguendo un’arte raffinata ed esclusiva, che si contrappone ai gusti della molti-
tudine (ep. 28, 4 Pfeiffer «ho ribrezzo di tutto ciò che è di pubblico dominio»).
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λεπτότης La nuova poesia che Callimaco concepisce è caratterizzata dalla λεπτότης «sot-
tigliezza»: come raccomanda Apollo stesso, nella scena di iniziazione, il poeta
T. 1 deve allevare una «Musa sottile (λεπταλέην)» (fr. 1, 23-24 Pfeiffer).
Come emerge chiaramente nel frammento programmatico più importante (1
T. 1 Pfeiffer), l’«esilità» (λεπτότης) della poesia è conseguito attraverso la brevità,
che consente di coltivare una poesia elegante e curata nella forma, e attraverso il
rifiuto della tradizione, in particolare del canone aristotelico che prevede l’«unità
di un carme ininterrotto» (fr. 1, 3 Pfeiffer: ἓν ἄεισμα διηνεκές). Non più un’uni-
ca lunga trattazione, ma brevi racconti, talora raccordati da una cornice (come
avveniva nella prima edizione degli Aitia).

Aspetti inediti Al pari della forma, il rinnovamento riguarda anche i contenuti, non più incen-
o reconditi dell’umile trati sulle gesta degli eroi o dei re, ma orientati verso nuovi temi, che si innesta-
quotidianità
no nella tradizione (οὐδὲν ἀμάρτυρον ἀείδω proclama Callimaco: «non canto
nulla che non sia testimoniato») per focalizzarne aspetti inediti o reconditi, come
dimostra l’epillio Ecale, che ambienta l’impresa eroica della cattura del toro di
Maratona da parte di Teseo entro una nuova cornice. Sono infatti valorizzati gli
aspetti della quotidianità e i valori umili, lasciando nello sfondo l’impresa eroi-
ca, che viene trattata solo di scorcio. Protagonista è una vecchietta, Ecale, che
accoglie nella propria capanna il giovane Teseo sorpreso da una tempesta e lo
ospita per la notte: in primo piano è il valore dell’ospitalità, non l’aretè dell’eroe,
che anzi è inquadrato nel momento della difficoltà, lasciando sullo sfondo la sua
natura di eroe tradizionale.

Gli Aitia: struttura e contenuti


E spressione esemplare della nuova cultura, gli Aitia, costituiti da componimenti
in distici elegiaci ripartiti in quattro libri, intendono narrare episodi mitici, in
genere poco noti, connessi all’«origine» (αἴτιον) di una festa, di un rito, di un
toponimo e introdotti o in prima persona dal poeta stesso o, nei primi due libri,
nell’ambito di un dialogo fra il poeta e le Muse.

T. 1 Nel I libro, dopo il nuovo prologo dedicato a una polemica letteraria con i suoi detrat-
trama

tori, compariva la narrazione di un sogno in cui il giovane Callimaco aveva ricevuto


dalle Muse, come Esiodo nella Teogonia, l’investitura poetica. I temi propriamente
eziologici del I libro riguardavano, fra l’altro, l’origine di un culto senza flauti e corone
delle Cariti a Paro, i riti per Apollo ad Anafe e per Eracle a Lindo, le vicissitudini di
Lino e Corebo, le feste di Artemide Leucadia, le offerte espiatorie per il sacrilegio di
Aiace.
Callimaco

Il II libro si apriva con l’origine del culto di Peleo a Ico, esposta da un certo Teogene
ad Alessandria nel corso di un convito in casa dell’ateniese Pollis, e verteva soprattutto
su aitia relativi alla fondazione di città siciliane (oltre a due brani gemelli incentrati
sulla mancanza di ospitalità dei tiranni Busiride e Falaride).
LA RICERCA DI STRADE NUOVE 203
Nel III libro, aperto – come si è detto – dalla Vittoria di Berenice (che a sua volta
conteneva l’aition relativo alla fondazione degli agoni nemei), si trattava fra l’altro
delle Tesmoforie, del sepolcro di Simonide, delle fonti argive, della storia d’amore di
T. 4 Aconzio e Cidippe, dei riti nuziali elei, del culto di Artemide Ilitia, della leggenda di
Frigio e Pieria e di quella dell’olimpionico Euticle di Locri.

Nel IV libro subentravano, fra gli altri, miti relativi alle Dafneforie delfiche, a Melicerte, al
simulacro ligneo di Era a Samo, all’ancora della nave Argo ecc., finché l’opera si chiudeva
con la Chioma di Berenice, di cui possediamo una parte dell’originale e la versione inte-
grale di Catullo nel carme LXVI: in essa, con
raffinato gesto cortigiano, si immagina l’identi-
ficazione di una ciocca di capelli che la regina
si era recisa in onore degli dèi con la costella-
zione appena scoperta dall’astronomo Conone
di Samo e da lui battezzata «Chioma di Bereni-
ce»; l’«io» narrante si identifica con la chioma
T. 5 stessa. Nell’epilogo del libro il poeta, dopo aver
apostrofato forse la sua patria Cirene, dichiara-
va, con quello che parrebbe un vero e proprio
raccordo editoriale d’autore fra Aitia e Giambi,
di voler fare il suo ingresso nel «pascolo pede-
stre delle Muse» (Μουσέων πεζὸν̣ … νομόν).

Per saperne di più Un papiro che riporta una pagina degli Aitia (fr. 178
Pfeiffer = P.Oxy. XI 1362 fr. 1 col. I), risalente al I sec. d.C.
Gli Aitia: n’impegnativa ricostruzione filologica
Riesce oggi assai arduo ricostruire la genesi e la composizio- (Suppl. Hell., nr. 254-268c). Si può immaginare, con Peter
ne dell’opera, di cui possediamo più di 200 frammenti, anche Parsons, che in gioventù Callimaco componesse due libri di
se abbiamo resti, conservati da un papiro pubblicato nel 1934 Aitia, introdotti e connessi dalla conversazione con le Muse,
(P. Mil. Vogliano I 18), di διηγήσεις («narrazioni») – si trat- e in età avanzata ne pubblicasse altri due, ricavati almeno in
ta di sunti dei libri III e IV compilati da un grammatico del I parte da componimenti già resi noti in precedenza, rinun-
o del II secolo d.C. –, e anche se più di recente alcuni papiri, ciando all’artificio del dialogo con le Muse a favore di una
fra cui specialmente P. Lille 76 (pubblicato nel 1977), hanno cornice segnata da due brani dedicati alla figura della sua pa-
permesso di ricostruire in buona parte una sezione dell’ope- trona Berenice (la Vittoria e la Chioma) e, in più, apponendo
ra relativa alla vittoria col carro di Berenice II negli agoni all’intera opera un nuovo prologo (fr. 1 Pfeiffer) e un nuovo
nemei, con la storia di Eracle, Molorco e il leone di Nemea epilogo (fr. 112 Pfeiffer).

Il prologo Abbiamo accennato al fatto che il prologo degli Aitia dovette essere premesso da
contro i Telchini Callimaco in età avanzata, non prima del 245, alla nuova edizione (in quattro e
T. 1 non più in soli due libri) dell’opera. È dunque ben comprensibile che egli, ormai
osannato ma anche osteggiato. principe delle lettere, getti qui uno sguardo retro-
spettivo alle proprie scelte di poetica Il suo attacco è diretto ai detrattori, che sono
definiti Telchini dal nome di folletti maligni, esperti nella metallurgia, dimoranti
in isole come Rodi e Ceo: costoro rimproveravano al poeta soprattutto di non aver
Callimaco

saputo o voluto comporre un ampio carme continuo, privilegiando invece il poe-


metto o l’elegia di breve respiro. La dettagliata risposta di Callimaco (fr. 1, 1-38
Pfeiffer) costituisce uno dei più significativi documenti di riflessione sulla poesia
elaborato nel mondo antico (v. dossier: «Un nuovo modo di intendere la poesia»).
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La cornice: Abbiamo già detto che i libri I-II degli Aitia, a differenza dei libri III-IV, furono orga-
il poeta e le Muse nizzati secondo una cornice entro la quale i vari racconti eziologici si prospettavano co-
me risposte offerte dalle Muse alle domande del poeta, che immaginava di essere stato
trasportato in Beozia, sul monte Elicona, dove un giorno esse erano apparse ad Esiodo.
Tuttavia «l’effetto di questa strutturazione – ha osservato G.O. Hutchinson – non
era univocamente solenne. Certamente i poeti arcaici pregano le Muse di istruirli
su questioni fattuali. Quando le Muse incontrano Esiodo sull’Elicona (il modello di
questo incontro) esse sembrano avergli ispirato competenza non meno che abilità.
Ma questi poeti devono tutto all’insegnamento delle Muse. Quando Esiodo le in-
contra (Teogonia 22 ss.), o quando Omero le invoca, mettendo in contrasto la loro
sapienza come divinità con l’ignoranza degli uomini, noi sentiamo intensamente la
venerazione, e l’inferiorità, dei mortali al cospetto del divino (Omero, Iliade II 485
s.). Invece Callimaco appare come uno studioso carico di erudizione che cerca da
un’autorità superiore la soluzione ad alcuni reconditi problemi relativi ad anomalie
e curiosità. In questo incontro fra dèi e mortali vediamo (in ciò che è conservato)
solo volubile dottrina da parte del mortale e una professionale concentrazione sui
fatti da parte delle divinità. Nella prima sequenza dell’opera Callimaco stabiliva
tre genealogie in conflitto per le Cariti e chiedeva alle Muse la versione autentica
(Scolii Fiorentini, 32-5: fr. 3 Pfeiffer). Nel libro II, poco dopo un’eloquente riven-
dicazione del valore che l’apprendimento ha per lui (fr. 43, 12-17 Pfeiffer), Calli-
maco chiede alle Muse perché il fondatore di Zancle [Messina] è invocato senza un
nome. Chiedendo questo, egli precisa di conoscere i fondatori di tutte le altre città
in Sicilia, e li riferisce per filo e per segno indefessamente, sottolineando la propria
dottrina. La Musa, come in altri casi, dà la sua spiegazione senza preambolo».
Vediamo dunque la richiesta alle Muse avanzata dal poeta (fr. 43, 12-17 Pfeiffer):
Κα|ὶ γὰρ ἐγὼ τὰ μὲν ὅσσα καρήατι τῆμος ἔδωκα
ξα|νθὰ σὺν εὐόδμοις ἁβρὰ λίπη στεφάνοις,
ἄπνο|α πάντ’ ἐγένοντο παρὰ χρέος, ὅσσα τ’ ὀδόντων
15 ἔνδο|θι νείαιράν τ’ εἰς ἀχάριστον ἔδυ,
καὶ τῶν |οὐδὲν ἔμεινεν ἐς αὔριον· ὅσσα δ’ ἀκουαῖς
εἰσεθέ|μην, ἔτι μοι μοῦνα πάρεστι τάδε.
E infatti tutti i fulvi lussuosi profumi che allora mi cosparsi
sul capo insieme con le ghirlande odorose
quelli in breve rimasero privi di aroma, e le vivande
15 che oltrepassarono i denti e discesero fino al basso ventre ingrato,
anche di quelle nulla rimase fino all’indomani: ma le storie
che posi nelle mie orecchie, queste soltanto ancora mi restano.

Ecco il passo con la risposta della Musa (fr. 43, 56-84 Pfeiffer):
Così dissi. E Clio la seconda volta diede inizio al racconto
Callimaco

poggiando la mano sulla spalla della sorella:


«Popolo di Cuma e di Calcide, che Periere

56 la seconda volta: dopo il primo aition del I libro.


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guidò e l’audacia del gran Cratamene,
60 in Trinacria sbarcarono, e costruirono la città
senza guardarsi dall’uccello hárpasos,
il più ostile a chi fondi città, [se non] segue l’airone:
perché porta malocchio alla torre [che si innalza],
e quando gli agrimensori tendono in lungo le funi,
65 per tracciare stretti passaggi e vie larghe.
Le ali dello sparviero e [dell’avvoltoio (?)] per me ti proteggano,
se in terra straniera tu guidi mai genti in colonie.
Ma allora, quando le torri di legno da bastioni [protette]
i fondatori posero intorno alla falce [di Crono],
70 – lì infatti il falcetto con cui quegli recise il membro del padre
è nascosto in una tana sotterranea –
(litigarono) per la città: l’uno v[oleva] (che avesse il suo nome)
(...), l’altro aveva [opinione] discorde e contraria,
e vennero a contesa. [Anda]ti da Apollo
75 chiesero di chi dovesse dirsi la [nuova] colonia.
Ed egli disse che non di Periere era quella città,
né era Cratamene il suo protettore.
Disse il dio: quelli, uditolo, andarono via. E da quel tempo [ancora]
la terra non chiama il fondatore per nome,
80 ma così al sacrificio i sacerdoti lo chiamano:
“Propizio, chiunque edificò (...) la nostra
venga al banchetto, e può portarne anche due
e più: non poco sangue di buoi è versato”».
Così quella finì il racconto...
[Tr. di G.B. D’Alessio]

60 in Trinacria sbarcarono: cfr. Tucidide 65 stretti passaggi e vie larghe: dopo aver da Tucidide (VI 4, 5), il quale per altro lo spie-
VI 4, 5, dove si riferisce, a proposito della fissato il tracciato delle mura intorno al peri- ga in base alla forma a falce del sito.
fondazione di Zancle, che ad un gruppo di metro della città si passa all’operazione, forte-
predoni provenienti da Cuma in Campania mente connotata di toni sacrali, di suddividere 74-77 «La disputa degli eroi fondatori
si aggiunsero numerosi coloni dalla madre- lo spazio urbano. è tipologicamente comune (basti pensare
patria calcidese, e che i due gruppi furono al celebre caso di Roma): in particolare
rispettivamente guidati da Periere e Crata- 67 Le ali … genti in colonie: l’interpreta- questo episodio richiama molto da vicino
mene. zione più probabile di questo problematico di- quello della fondazione di Turii presso
stico è che la Musa si auguri che il poeta possa l’antica Sibari ad opera di Ateniesi e Pe-
62 l’airone: l’hárpasos è un non meglio condurre l’operazione sotto buoni auspici, se loponnesiaci che vennero a contesa su chi
precisato uccello rapace; l’airone era in- mai procederà a fondare una colonia. fosse da considerarne il fondatore: si rivol-
vece di buon augurio: nella successione sero all’oracolo di Delfi che stabilì che il
hárpasos-airone doveva prevalere il se- 72 falcetto … tana sotterranea: il nome dio stesso sarebbe stato il fondatore della
condo. Zancle è connesso a ζάγκλον («falcetto») già città» (G.B. D’Alessio).

analisi del testo


Qui non solo, come di consueto nei primi due libri, la spiegazione proprio interno una cornice minore segnata da «egli disse» a prin-
di un aition rituale (quello per cui l’eroe ecista di Zancle/Messina cipio del v. 76 e «disse il dio» a principio del v. 78. È un espedien-
è invocato nei sacrifici non per nome ma con una formula gene- te compositivo che si ricollega a un tratto generale della poetica
rica) viene posta in bocca a una Musa (che può dispiegare la sua degli Aitia: il poeta intendeva rivendicare alla sua poesia dotta una
Callimaco

competenza in tema di aligeri forieri di vaticini), ma al centro del “verità” garantita dalla parola divina: «Callimaco vuole instaurare
racconto, con una tecnica ad incastro, viene posto il responso reso uno stretto parallelo fra la poesia esiodea e la sua poesia, intesa
da Apollo ai colonizzatori in contesa. In questo modo una cornice anch’essa come poesia di verità, e, nello specifico degli Aitia, come
più ampia – marcata da «Clio la seconda volta diede inizio al rac- ricerca delle vere origini degli usi, costumi, feste, nomi, ecc., che
conto» del v. 56 e «così quella finì il racconto» del v. 84 – chiude al costituivano l’oggetto delle diverse elegie» (R. Pretagostini).
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L’elegia È inoltre probabile che il II libro cominciasse, come abbiamo già accennato, con
che apre il Libro II l’elegia a cui appartiene il fr. 178 Pfeiffer, dove Callimaco racconta di un sim-
posio in cui ha incontrato un personaggio (Pollis) in grado di offrirgli peregrine
informazioni cultuali, e che egli raccontasse di questo banchetto alle Muse per
aggiornarle su ciò che aveva sentito, dunque operando una sorta di ribaltamento
del rapporto tradizionale fra il poeta e le sue ispiratrici, che in tal modo quasi si
trasformavano in controfigure del suo pubblico di intenditori.

I libri III e IV: Venendo meno l’artificio della conversazione con le Muse e riducendosi la for-
raccolta di elegie ma esterna alla dislocazione a principio del III e alla fine del IV libro di com-
ponimenti in onore di Berenice il III e il IV libro dovevano assumere assai più
dei primi due l’aspetto di una raccolta di elegie separate, cucite insieme solo dal
comune orientamento eziologico.
Fra le elegie meglio conservate la storia d’amore, nel III libro, tra Aconzio e Ci-
dippe (frr. 67-75 Pfeiffer) è uno dei brani più sintomatici per cogliere la poetica
T. 5 callimachea nelle sue effettive potenzialità espressive.

i Giambi e i carmi melici


Berenice II, la regina celebrata
dall’elegia callimachea, in una
moneta dell’epoca di Tolomeo
III, suo marito (246-221
N ell’edizione progettata dallo stesso poeta i
Giambi seguivano immediatamente agli Aitia
e, come abbiamo visto, erano definiti (fr. 112, 9
a.C.). Pfeiffer) come «il pascolo pedestre delle Mu-
Metropolitan Museum of
Art. se», in contrapposizione con i pascoli montani
(dell’Elicona, emblema della poesia elegiaca).
Si tratta di una raccolta di 13 carmi, composti
in diversi metri giambici o trocaici.

Per saperne di più


annotazione metrica
Nel libro dei Giambi troviamo precisamente coliambi (I-IV dimetro giambico; VI, VII: trimetro giambico + itifallico; XI:
e XIII), trimetri giambici non scazonti (VIII, IX, X), trimetri pentemimere giambico + ipodocmio [?] seguiti da un colon in-
trocaici catalettici (XII), strutture epodiche (V: coliambo + verificabile).

Ipponatteo I temi trattati, benché disparati, appaiono accomunati in certa misura dalla
ma non ad personam figura di Ipponatte, protagonista del primo componimento e ricordato anche
nell’ultimo.
Ma, rispetto al modello ipponatteo, Callimaco tende a ridurre drasticamente
Callimaco

l’elemento dell’invettiva e dell’attacco personale e valorizza la più duttile cate-


goria del serio-comico, grazie alla commistione o all’alternanza (che anticipano
la satira romana di Lucilio) di aneddoti, favole, tirate moraleggianti, raccoman-
dazioni, digressioni artistiche e di poetica, spunti eziologici.
LA RICERCA DI STRADE NUOVE 207
Le diegeseis Di alcuni dei componimenti siamo in grado di ricostruire il contenuto grazie al
ritrovate papiro milanese delle diegeseis già ricordato per gli Aitia, contenenti il verso
iniziale e un breve riassunto dei singoli componimenti.

Nel Giambo I (ne restano una novantina di versi, talora mutili) Ipponatte, reduce

trama
dall’Ade, si presenta ai saggi riuniti nel Serapeo di Alessandria non per portar loro
«il giambo che canta la rissa con Bupalo» (vv. 3 s.), ma per invitarli alla modestia
raccontando la storia della coppa che il ricco Baticle aveva affidato, morendo, al
figlio Anfalce perché la donasse al più valente fra i Sette Sapienti. Così Anfalce
fa dono della coppa a Talete, il quale a sua volta la offre a Biante, che la invia a
Periandro, e così via, finché il prezioso cimelio torna nelle mani di Talete, che lo
consacra ad Apollo nel suo tempio di Didima presso Mileto.

Il Giambo II (ne possediamo 17 versi) è una favola esopica: un tempo gli animali
erano dotati di parola al pari degli uomini, ma le velleità del cigno (che aveva gui-
dato un’ambasceria per chiedere la liberazione dalla vecchiaia) e le proteste della
volpe (che aveva contestato l’ingiusto governo di Zeus) indussero il capo degli
dèi a trasferire le loro voci agli uomini: ecco perché Eudemo ha la voce di cane e
Filtone quella di un asino!

Il Giambo III (ben conservati solo pochi versi) è una tirata contro la corruzione del
presente, in cui la ricchezza conta più della virtù.

Un «contrasto» fra piante con significativi paralleli nella tradizione mesopotamica


è il Giambo IV (ne resta un centinaio di versi quasi integri), con la contesa fra il
superbo alloro e l’umile ulivo; la vittoria è assegnata a quest’ultimo, ma l’alloro
non si rassegna e protesta nonostante l’intervento di un vecchio rovo, che esorta i
litiganti a cessare dall’aggredirsi se non vogliono lasciarsi sopraffare dai comuni
nemici.

Nel Giambo V (una quindicina di versi effettivamente leggibili) il poeta esortava


un maestro di scuola a emendarsi per il proprio indegno comportamento.

Il Giambo VI (poco più di dieci versi leggibili) era un’ekphrasis della statua di
Zeus a Olimpia, opera di Fidia.

Miseri resti abbiamo dei Giambi VII-XI: il VII ricordava l’origine di un culto
tracio di Ermes; l’VIII spiegava l’origine di una gara di corsa (istituita dagli Ar-
gonauti sbarcati a Egina) con un’anfora colma d’acqua, il IX aveva nuovamente
carattere satirico-moraleggiante; il X riguardava il sacrificio di un porco all’Afro-
dite di Aspendo, in Panfilia, secondo un uso inaugurato da Mopso; l’XI trattava
dell’origine di un proverbio.

Nel Giambo XII (ci resta più di una trentina di versi leggibili) il poeta rievoca, per
Callimaco

celebrare il settimo giorno della figlioletta di un amico, la gara fra gli dèi nell’of-
frire doni a Ebe neonata.

Al Giambo XIII (più di una ventina di versi leggibili) abbiamo accennato sopra a
proposito dei testi più significativi della poetica callimachea.
208 CALLIMACO

I quattro carmi melici Ai Giambi seguivano, nell’edizione alessandrina, quattro carmi melici (frr. 226-
dell’edizione 229 Pfeiffer) di cui non possiamo dire con certezza se facessero parte, a mo’ di
appendice, della stessa raccolta dei Giambi o se costituissero, come parrebbe me-
no probabile data l’esiguità del numero di componimenti, una silloge a sé stante.

trama Il I, di cui ci resta un solo verso (un endecasillabo falecio), ruotava intorno al prover-
biale «delitto di Lemno»: gli uomini di Lemno avrebbero provocato l’ira di Afrodite
trascurando le legittime mogli, o – secondo una diversa variante – la dea, irata per ina-
dempienze rituali, avrebbe reso maleodoranti le donne, e quindi sgradite agli uomini.
Le donne per vendetta uccisero tutti gli uomini con l’eccezione del re Toante, rispar-
miato dalla figlia Ipsipile.

Del II, la Festa notturna (Παννυχίς), ci restano otto versi “euripidei” (l’euripideo è un
verso costituito da dimetro giambico + itifallico) con un canto conviviale in onore dei
Dioscuri e con lodi rivolte anche ad Elena.

Del III, l’Apoteosi di Arsinoe, abbiamo 75 archebulei (l’archebuleo è un verso lirico


di controversa interpretazione) per lo più assai mutili, relativi alla morte della moglie
del Filadelfo.

Il IV, Branco, rievocava in pentametri coriambici catalettici (di cui 23 parzialmente


superstiti) l’arrivo di Apollo da Delo a quel bosco sacro dove avrebbe concesso a un
pastore, appunto Branco, il dono della profezia (dunque l’aition di fondazione del cele-
bre santuario oracolare presso Mileto).

Composizioni A parte stavano altre composizioni di cui abbiamo frammenti, come l’epinicio
a margine in distici elegiaci Per la vittoria di Sosibio, o solo notizie, come l’Ibis, in cui
Callimaco si scagliava contro un avversario che talora gli antichi identificavano
con Apollonio Rodio e che costituirà il modello dell’omonimo carme di Ovidio.

l’Ecale: l’esemplificazione della nuova epica


Il perfezionamento
dell’epilio L ’alternativa positiva di Callimaco al disprezzato poema tradizionale di vasto
respiro e di stile formulare fu l’invenzione o piuttosto, dopo gli esperimenti
di Fileta, il perfezionamento di un nuovo genere letterario, l’epillio (ἐπύλλιον)
o «piccolo epos», come abbiamo visto, «piccolo» o «minore» non solo per le
dimensioni ma per il respiro narrativo e la scelta stessa del tema mitico: di qui la
composizione dell’Ècale (Ἑκάλη), che raggiungeva originariamente un migliaio
di esametri e di cui ci restano circa 150 frammenti.

Rifacendosi alla tradizione epica tardo-arcaica, ma anche alle ricerche erudite dell’at-
trama
Callimaco

tidografo Filocoro, il poeta narrava come Teseo, dopo essere sfuggito alle insidie di
Medea che era divenuta moglie di suo padre Egeo a seguito della fuga da Corinto (vedi
Medea di Euripide, vol. II, pp. 424 ss.), si sottraesse alla stretta sorveglianza del padre
che temeva per la sua incolumità e si allontanasse da casa di nascosto, per andare alla
ventura.
LA RICERCA DI STRADE NUOVE 209
Per dimostrare il proprio valore, il giovane si avvia alla volta di Maratona per affrontare
il toro che infestava la regione: il mito di Teseo si salda con quello di Eracle, poiché il
mostro che il giovane ateniese si ripropone di catturare altro non è che il toro di Creta,
catturato da Eracle in una delle sue fatiche e poi sfuggito all’eroe (o da lui liberato) una
volta tornato in Grecia. Da quel momento il toro si era insediato nella pianura di Mara-
tona, costituendo motivo di terrore per la popolazione dell’Attica.
A sera l’eroe è sorpreso durante il cammino da un improvviso temporale che lo costrin-
ge a cercare rifugio nella casupola di una vecchia contadina (Ecale), che lo accoglie
ospitalmente, offrendogli il meglio delle sue povere provviste e intrattenendolo in af-
fettuose conversazioni. All’alba l’eroe riparte e dopo una strenua lotta riesce a catturare
e domare il toro, ma quando torna al casolare di Ecale per ricompensarla dell’ospitalità
ricevuta trova che la vecchia è spirata. Allora decide di dare alla zona il nome di lei e di
istituire il culto di Zeus Ecaleio: una conclusione eziologica che possiamo confrontare
con gli onori resi da Eracle al contadino Molorco, nel III libro degli Aitia, per l’ospita-
lità offertagli in occasione della sua impresa contro il leone della piana di Nemea.

Caratteri dell’opera: Possediamo l’incipit del poemetto, che si apriva nel tono di una fiaba focalizzan-
tono fiabesco… do su Ecale la prima attenzione del lettore.
T. 6

…senso Subito dopo veniva sottolineato il suo senso di ospitalità, uno dei temi-guida di
dell’ospitalità… tutto il componimento.
T. 8

…paesaggismo Caratteristica della tecnica callimachea è l’indugio, allorché Teseo lascia Atene
verso sera ma è sorpreso da un temporale, su tratti paesistici e meteorologici, che
rallentano la narrazione ma offrono l’occasione per una panoramica del territorio
T. 7 attico.

L’accoglienza Dobbiamo i resti più ampi del poemetto a una tavola lignea del IV-V secolo d.C.,
tributata a Teseo che riporta quattro colonne di scrittura (la seconda e la terza in precario stato di
conservazione) relative a una zona di testo successiva al trionfo dell’eroe nella lotta
con il toro. Possiamo così vedere, in primo luogo, l’accoglienza festosa che, supe-
T. 9 rato il panico iniziale, viene tributata a Teseo vincitore dagli abitanti della contrada.

Il dialogo Il gusto del particolare trova la sua espressione più singolare in un altro brano,
tra una cornacchia collocato nel momento in cui Teseo non ha ancora appreso la notizia della morte
e un uccello
di Ecale: la situazione offre al poeta l’occasione per inscenare un dialogo fra una
vecchia cornacchia e un altro uccello non identificato (si è pensato a una civetta o
a una giovane cornacchia) sul rischio che comporta l’annuncio di cattive notizie.
Ma all’interno di questo dialogo viene a sua volta incapsulata la predizione della
metamorfosi che il corvo subirà da candido in nero, e infine l’assopimento dei
due volatili è seguito da un nuovo spostamento di obiettivo, fino alla descrizione
di un risveglio cittadino che trasferisce il lettore dallo scenario agreste in cui è
Callimaco

T. 10 ambientata la vicenda alle vie rumorose di una metropoli ellenistica.

Non una «Teseide»… Come si può evidentemente notare, Callimaco innova il genere epico rifiutando
il «carme unico e ininterrotto» (ἓν ἄεισμα διηνεκές), che avrebbe portato alla
210 CALLIMACO
celebrazione delle imprese di Teseo in un poema dalle ampie dimensioni: la scel-
ta del poeta di Cirene è invece quella di isolare un singolo episodio della saga
dell’eroe, concentrando l’attenzione su una sola impresa, oltretutto secondaria,
che si conclude con un αἴτιον, che spiega l’origine del culto di Zeus Ecaleio,
praticato nella pianura di Maratona e nelle zone rurali dell’Attica.

… ma la celebrazione Protagonista non è Teseo e la sua impresa eroica, ma Ecale, l’umile personaggio
dell’umile Ecale di una vecchietta che offre ospitalità all’eroe colto in un momento di difficoltà.
In primo piano è quindi il lato umano dell’eroe, rappresentato nella sua debolez-
za, mentre il valore celebrato non è quello dell’ἀρετή, ma quello della ξενία,
dell’«ospitalità», in un clima di familiarità quotidiana, che evidenzia l’affetto
e la dimestichezza che si instaura fra due personaggi così lontani quali Ecale e
Teseo. In questo contesto, alla grande impresa (la lotta contro il toro) e alla virtù
tradizionale dell’eroe è riservato solamente lo spazio marginale di una rappre-
sentazione di scorcio.

Per saperne di più


annotazione metrica
L’esametro callimacheo presenta una stilizzazione molto do longum, una parola che inizi nel primo metro (in genere
severa e rigorosa, che sarà ripresa assai più tardi da Nonno con la seconda breve del primo dattilo) si estende fino alla
di Panopoli: in particolare, il ponte di Hermann (per cui vie- cesura maschile o femminile (la formulazione è di Hermann
ne evitata fine di parola, già quasi sempre in Omero, dopo Fränkel sulla base di precedenti osservazioni).
la prima breve del quarto biceps, cioè dopo il quarto «tro- Callimaco tende inoltre ad evitare di porre una parola di
cheo») è osservato senza eccezioni; non si ammette fine di forma giambica ( ) davanti alla cesura maschile (seconda
parola dopo il quarto metro se spondaico (legge di Naeke) legge di Meyer), in altri termini evita di porre fine di pa-
e dopo il secondo metro se spondaico (legge di Hilberg). rola dopo il secondo trocheo in coincidenza con la cesura
Qualora non si verifichi fine di parola prima o dopo il secon- maschile.

Gli Inni
L a raccolta degli Inni comprende sei componimenti di varia forma ed estensio-
ne: i primi quattro sono in lingua «omerica» e, come anche il VI, in esametri
epici; il V e il VI presentano una patina dorizzante; il V è in distici elegiaci. Que-
sta è la loro successione: I. A Zeus; II. Ad Apollo; III. Ad Artemide; IV. A Delo;
V. Per i lavacri di Pallade; VI. A Demetra.

L’Inno I (A Zeus), databile intorno al 280, è ad un tempo elogio di Zeus (del dio
Callimaco

L’Inno a Zeus,
encomio si narra soprattutto in relazione alla sua nascita nei boschi d’Arcadia) in quanto
di Tolomeo Filadelfo
sovrano degli dèi e protettore dei sovrani, ed elogio di Tolomeo Filadelfo, sovra-
no terreno e protettore di Callimaco, che era salito al trono sebbene più giovane
T. 12 del fratellastro Tolomeo Cerauno.
LA RICERCA DI STRADE NUOVE 211

la cornice metasimposiale
La scelta di iniziare la raccolta con Zeus è un richiamo allusi- cisamente posizione per la seconda ipotesi sulla base della con-
vo (cfr. v. 1 παρὰ σπονδῇσι «al momento delle libagioni») siderazione che i Cretesi sono notoriamente mentitori, come
all’uso di iniziare il simposio con l’invocazione al padre degli del resto è confermato dal fatto che, a dispetto dell’immortalità
dèi: «La cornice di riferimento è dunque quella di un simposio di Zeus, sulla loro isola gli hanno costruito perfino una tomba;
di amici, poeti ed eruditi, [...] ma all’interno di questo impian- ai vv. 57-67 gli “antichi aedi” vengono aspramente criticati e
to tradizionale Callimaco inserisce due passaggi che risultano censurati come non degni di fede perché avevano cantato che
particolarmente rivelatori del nuovo atteggiamento critico del fu grazie ad un sorteggio che Zeus, pur essendo il più giovane
poeta alessandrino rispetto a problemi e rispetto a soluzioni dei fratelli, aveva ottenuto la sede più ambita, l’Olimpo; come
che la tradizione poetica precedente aveva o a lungo dibattuti o lo si potrebbe credere? In realtà Zeus divenne il re dei Celesti
pacificamente accolte: ai vv. 5-10 il poeta, dopo aver accennato perché era il più forte»
alla disputa se Zeus fosse nato a Creta o in Arcadia, prende de- (R. Pretagostini)

Inno a Delo, altro Evidenti finalità encomiastiche manifesta anche l’Inno IV (A Delo), che racconta
encomio a Tolomeo le peregrinazioni di Leto incinta di Apollo e perseguitata da Era, nonché la scelta
finale di Delo come luogo natale di Apollo, donde l’importanza sacrale dell’isola
e delle sue numerose feste. L’inno può essere datato con sicurezza a un’epoca
intorno al 275, poiché celebra la vittoria di Tolomeo II sui Galati guidati da
Brenno che nel 278 avevano invaso la Grecia spingendosi fino a Delfi (vv. 171
ss.); l’adulazione per Tolomeo tocca il suo vertice ai vv. 162 ss., quando Apollo
dal ventre di Leto avverte la madre che non può andare a partorirlo a Cos, poiché
all’isola il destino aveva assegnato di essere luogo natale di un altro dio, appunto
di Tolomeo.

Ad Artemide, L’Inno III (Ad Artemide) è quello più vicino nel taglio narrativo e nei motivi alla
tra tradizione tradizione degli inni detti omerici, anche se il lungo elenco delle isole, dei por-
ed erudizione
ti, delle città e delle ninfe più cari alla dea (vv. 183 ss.) tradisce il nuovo gusto
erudito.

Inni II, V-VI: Gli Inni II (Ad Apollo) e V-VI si distinguono dagli altri di Callimaco e dagli inni
messa in scena omerici. Descrivono infatti feste religiose che l’autore non «racconta» ma «mette
delle cerimonie
religiose in scena», immaginando di dirigerle in prima persona come una sorta di maestro
di cerimonia che dà il segnale per l’avvio del canto e guida l’azione rituale di un
gruppo di donne o di giovani fedeli addetti al culto. D’altra parte V e VI Inno
(scritti entrambi, ed essi soli, con una forte patina dialettale dorica) si distinguo-
no dal II per il costante rilievo che la cornice rituale conserva in essi: una cornice
che a tal punto subordina a sé i racconti mitici da far apparire la “messa in scena”
della cerimonia, non la celebrazione di un dio, come la funzione centrale del
carme.
Callimaco

Nell’Inno VI (A Demetra) un gruppo di donne invoca Demetra attendendo il ritorno al


trama

punto di partenza, dopo la conclusione della processione, del canestro sacro. La parte
mediana della composizione è occupata dal mito di Erisittone, che Demetra punisce per
un sacrilegio con una fame insaziabile che lo riduce a “mangiarsi” tutte le sue sostanze
ed infine a mendicare gli avanzi per le strade.
212 CALLIMACO
L’occasione dell’Inno V (Per i lavacri di Pallade) è invece una festa argiva in onore di
T. 13 Atena culminante in una immersione rituale dell’idolo della dea. «La cerimonia, riser-
vata alle donne, sta per cominciare; la voce che apostrofa le celebranti non è mai identi-
ficata, ma l’io che parla [...] è presumibilmente una officiante o sacerdotessa. Maggiori
dettagli emergono ben presto: la scena è collocata ad Argo e la statua di Atena sta per
essere trasportata in processione al fiume Inaco, immersa nell’acqua e ricondotta in
città. Solo donne possono attendere al bagno rituale, e con l’uscita della statua cultuale
(presumibilmente dal suo tempio) si ha un’epifania divina; per la celebrazione il Pal-
ladio è Atena e come tale è apostrofato, i cavalli e la carrozza che trasportano la statua
sono identificati con i veri cavalli e il vero carro di Atena, e l’armamentario cultuale
è precisamente quello impiegato da Atena. Così diventiamo testimoni, o partecipanti,
alla scena della festa e il testo ricrea il religioso entusiasmo dell’occasione» (si può
osservare una nitida partizione dell’inno in quattro sezioni: vv. 1-32: preparazione;
vv. 33-56: invocazione alla dea; vv. 57-136: vicenda esemplare; vv. 137-142: istruzioni
finali).

Funzione dell’inno L’inno è la ricreazione mimetica di un rito che d’altronde non presuppone affatto,
come pure si è talora ipotizzato, una cerimonia reale, quanto piuttosto rispecchia
un atteggiamento tutto letterario, un gusto «post-classico» ben individuato da P.
Friedländer quando sottolineava che «la poesia ellenistica si è liberata dai condi-
zionamenti – cultuali, politici, sociali – nel cui ambito si era sviluppata la poesia
arcaica e classica. Ma essa deve cercare di rifondare intorno a sé un’atmosfera
comunitaria e deve riprodurre attraverso l’arte il contesto vissuto che non esiste
più. [...] Callimaco non colloca la sua composizione in uno spazio preesistente:
deve crearle quello spazio con la sua parola».

Lo svincolamento Rispetto alla tradizione innografica tradizionale, gli Inni callimachei sono svin-
dall’«occasione» colati da una specifica occasione cultuale, il che permette al poeta la libertà di
cultuale
inserire elementi estranei alla tradizione dell’inno, secondo quel procedimento di
πολυείδεια già osservato a proposito del Giambo XIII: disquisizioni mitologi-
che erudite alla maniera degli Aitia si alternano a scenette di vita quotidiana, con
passaggi addirittura eroicomici (nell’Inno III 142-161, con toni che adatti alla
commedia, vengono proposte le gesta a tavola di Eracle ghiottone).

Gli epigrammi
A ttraverso l’Antologia Palatina ci è pervenuta di Callimaco anche una sessan-
tina di epigrammi di varia tematica e intonazione, generalmente in distici e in
dialetto ionico ma non senza lo sporadico ricorso a metri lirici e a forme dialettali
doriche.
Callimaco

Epigrammi funerari Fra i numerosi epigrammi funerari (nrr. 2-3; 9-23; 26; 35-36; 58; 60-62 Pfeiffer),
reali o fittizi, spicca per l’incontro fra autenticità patetica ed eleganza letteraria
quello dedicato all’amico Eraclito, ep. 2 Pfeiffer.
LA FORTUNA 213
T. 15 E molto felice è la sinteticissima definizione dell’essenza di tutta la propria at-
tività come alternanza fra la composizione articolata e impegnata (l’ἀοιδή) e il
lieve scherzo simposiale (παίγνιον), di tipo appunto epigrammatico, in ep. 35
Pfeiffer:
Βαττιάδεω παρὰ σῆμα φέρεις πόδας εὖ μὲν ἀοιδήν
εἰδότος, εὖ δ’ οἴνῳ καίρια συγγελάσαι.
Tu passi accanto alla tomba del figlio Battiade, che bene il canto
sapeva, e bene in modo opportuno mescere al vino le risa.
[Tr. di G.B. D’Alessio]

Epigrammi erotici Negli epigrammi erotici la relazione amorosa si configura in genere, come in
molta produzione ellenistica, in chiave di gioco galante, disincantata iterazione
di un’esperienza legata più al codice di un saper vivere sociale che alle pulsioni
immediate del desiderio. Specificamente callimachea è l’arguzia lieve (non certo
il sonante aprosdóketon) che risolve la situazione patetica in un sorriso divertito
T. 14 o malizioso, come nell’ep. 25 Pfeiffer, o nell’ep. 43 Pfeiffer:
Ἕλκος ἔχων ὁ ξεῖνος ἐλάνθανεν· ὡς ἀνιηρόν
πνεῦμα διὰ στηθέων (εἶδες;) ἀνηγάγετο,
τὸ τρίτον ἡνίκ’ ἔπινε, τὰ δὲ ῥόδα φυλλοβολεῦντα
τὠνδρὸς ἀπὸ στεφάνων πάντ’ ἐγένοντο χαμαί·
ὤπτηται μέγα δή τι· μὰ δαίμονας οὐκ ἀπὸ ῥυσμοῦ
εἰκάζω, φωρὸς δ’ ἴχνια φὼρ ἔμαθον.
Lo straniero aveva una piaga nascosta: hai visto come
con pena traeva il sospiro dal petto,
quando ha bevuto la terza volta, e come in cascata di petali
le rose dalla sua corona tutte scivolarono a terra?
È davvero ben cotto. Per gli dèi, non lo indovino
a casaccio: da buon ladro riconosco le tracce di un ladro.
[Tr. di G.B. D’Alessio]

la fortuna
Una lezione
ancora controversa
tra i contemporanei…
L a poetica di Callimaco rappresenta sicuramente una tappa fondamentale, di
portata «rivoluzionaria», nella storia della letteratura e della cultura del mon-
do antico.
L’accettazione della sua concezione innovativa non fu però unanime né genera-
lizzata. In un panorama nel quale si assisté al confronto serrato con i fautori di
Callimaco

un modo tradizionale di far poesia, queste voci dovettero essere maggioritarie,


per quanto a noi di questa «opposizione» non sia pervenuta che una debole eco,
come ha brillantemente dimostrato K. Ziegler in uno studio fondamentale, di cui
proponiamo qualche pagina.
214 CALLIMACO

l’epos ellenistico. Un capitolo dimenticato della poesia greca


i Callimaco, l’autore di più acuto ingegno e di personalità più
Quando si parla di «poesia ellenistica» si pensa subito a Callima- marcata, ben consapevole del volere e degli obiettivi comuni.
co, al suo circolo e al suo stile, le cui esigenze e leggi egli stesso Le storie della letteratura non tacciono che nell’ età ellenistica
ha rielaborato in formule e immagini celebri creandone, contem- fiorirono anche opere poetiche di altro tipo. Ma poiché esse,
poraneamente, i noti modelli. I caratteri distintivi di questo stile tranne il solo Apollonio Rodio, sono andate praticamente del
sono universalmente noti: il rifiuto della forma grandiosa, del tutto perdute (a parte la produzione semidrammatica o dram-
παχὺ γράμμα, del μέγα βιβλίον, dell’ampio fiume che trascina matica), è dunque del tutto naturale che anche la loro tratta-
con sé molto fango in favore della fonte piccola ma pura; colle- zione occupi uno spazio molto più ridotto. Sorge dunque l’im-
gata a ciò la rinuncia alla presentazione minuziosa ed esauriente pressione che la poesia non callimachea di età ellenistica sia
di una trama piuttosto ricca per limitarsi a un dettaglio, ad un stata fin da principio trascurabile, di second’ordine, effimera, e
soggetto particolare che viene plasmato ed ornato con ogni arte cosi si può leggere in Christ - Schmid II6, p. 139:
di raffinata rappresentazione; il rivolgersi non ad un grosso pub- Accanto ai precursori del nuovo stile e al suo perfezionato-
blico con l’intenzione di avvincerlo e affascinarlo, entusiasmarlo re Callimaco perdurò inoltre l’antico genere di poesia epica.
ed edificarlo, ma piuttosto a una cerchia ristretta di letterati di L’encomio epico, che si sviluppa già alla fine del V secolo,
raffinata cultura, i quali sappiano godere l’incanto di un’arte pie- trova al tempo della monarchia, com’ è comprensibile, pa-
na di spirito che aborrisca da temi risaputi e ritriti alla ricerca di trocinio presso le corti, ma i poemi epici di Cherilo di Iaso
ciò che è raro, pregiato, ignoto, sappiano comprendere e apprez- per Alessandro Magno, di Simonide di Magnesia per Antioco
zarne con buon gusto l’erudita ricchezza di riferimenti; in non Soter ... non si diffusero tra il popolo e sono scomparsi senza
piccola parte, l’art pour l’art: una maniera denominata, da quel lasciare traccia.
suo primo apparire nella letteratura mondiale (ma con significa-
to molto ristretto), «alessandrinismo», quale suole svilupparsi Vengono quindi registrate con tono alquanto dispregiativo le
in uno stadio determinato della maturità o della decadenza di composizioni epiche del tempo per municipi o per intere regio-
una società chiusa di cultura raffinata. Caratteristica esteriore ni. Il resoconto sulle perdute opere epico-mitologiche del tem-
delle opere di questo stile è la loro breve estensione. Esse si li- po si apre con le testuali parole: «Ma alcuni poeti, nonostante
mitano a un unico libro, comprendono non migliaia, ma centi- l’avvertimento di Callimaco, si avventurarono anche in cicli di
naia di versi, non sono poemi epici ma – con un’espressione che leggende piuttosto estesi». Per quanto ne so Christ-Schmid ri-
tuttavia viene coniata soltanto in età moderna – epilli; oppure, produce con questa valutazione la communis opinio dei dotti
se talvolta un’opera comprende più libri, si tratta allora di una che va all’incirca nella direzione seguente: poiché l’epica non
composizione a cornice, che include molte poesie, ciascuna delle callimachea del periodo ellenistico (tranne Apollonio Rodio) è
quali costituisce un’unità a sé stante. Per l’aspetto sotto il quale andata così completamente perduta, non può aver costituito
consideriamo qui le cose non importa molto se il verso usato in sé niente di notevole, un criterio che pure ci si guarda bene
sia il semplice esametro o il distico elegiaco – a parte le sottili dall’adoperare riguardo alla lirica greca arcaica. La questione
differenze stilistiche a ciò naturalmente collegate. Si aggiunga
inoltre che questa poesia trae la materia dall’esperienza amoro-
sa ed in generale dagli ambiti privati dell’esistenza umana; essa
elimina, o semmai lascia balenare da lontano, stato, società e
grandi vicende delle collettività e dei loro capi, o anche le tratta
in un certo senso privatizzandole (la Chioma di Berenice). È detto
così a grossi tratti l’essenziale, poiché le qualità particolari delle
singole personalità poetiche che noi possiamo distinguere devo-
no, salvo aggiunte, rimanere in questo quadro.
In ogni storia della letteratura greca la trattazione di Callimaco
e dei callimachei (nel senso più ampio, che comprenda anche i
predecessori di Callimaco e il genere della poesia didascalica,
meno curato dal maestro stesso) occupa nel capitolo «Poesia
ellenistica» lo spazio maggiore: a buon diritto, poiché ciò che
noi sappiamo della poesia ellenistica riguarda appunto pre-
valentemente i poeti e le opere che si raggruppano intorno a
Callimaco

Teseo e il toro di Maratona, facciata a di un cratere a calice a figure


rosse attribuito al Gruppo di Polignoto (440-430 a.C.). è probabile
che la figura femminile antistante, con brocca d’acqua e piatto possa
essere identificata con Ecale. New York, Metropolitam Museum of Arts.
LA FORTUNA 215
che dovrà essere esaminata in queste pagine è se con ciò si nali1; pure, questo è un particolare di scarso rilievo: è persino
valuta giustamente il significato effettivo di queste opere per- inutile ricordare come per il resto sugli Annali, in generale e
dute, nel loro tempo e con la loro influenza sulle epoche suc- nei dettagli, abbiano influito modelli completamente diversi da
cessive, se è inoltre giustificato lo sbarazzarsene facendo più Callimaco. Wilamowitz, Hellenistische Dichtung in der Zeit des
o meno coincidere la «poesia ellenistica» con «Callìmaco e i Kallimachos I, p. 228, dice, precisamente, «che i Romani ven-
callimachei». nero sempre a contatto innanzitutto con la letteratura greca
Da dove propriamente ha origine il giudizio tradizionale che di volta in volta loro contemporanea» e passa in rassegna in
ratifica questa assimilazione e ignora volutamente l’intera questo senso i modelli degli antichi poeti e prosatori latini.
produzione non callimachea? Esso stesso è – come la maggior Anche se lo stesso Wilamowitz, a causa del suo diverso pun-
parte dei giudizi stilistici correnti sulle opere dell’antichità – to di vista, non lo formula cosi, il risultato è che dal 200 a.C.
molto antico, tramandato a noi fin dall’età antica. Esso provie- circa fino all’età sillana Callimaco e i callimachei non facevano
ne innanzitutto dallo stesso Callimaco e dai suoi amici, quindi parte dei «contemporanei», ma assolutamente neanche già dei
dal gruppo di poeti e critici che in età sillana introdussero in «classici» (…).
Roma Callimaco e i suoi seguaci come i soli veri modelli di arte A favore della tesi che lo stile callimacheo costituisse un epi-
autentica e li resero per un po’ di tempo familiari: i cantores Eu- sodio limitato nel tempo parla inoltre il dato di fatto che noi
phorionis, Catullo e i suoi amici e quei poeti che, anche quando siamo al corrente soltanto di una piccola schiera di poeti che
i cantores Euphorionis propriamente detti erano scomparsi (nel hanno adoperato questo stile: Filita, Callimaco, Teocrito, Eufo-
26 muore Cornelio Gallo) o si erano rivolti, come Virgilio, ad rione, tutti appartenenti al III secolo a.c. Del II secolo cono-
altri ideali stilistici, continuarono almeno in un determinato sciamo degli epigoni teocritei solo Mosco e Bione e possediamo
settore ad onorare soltanto l’Europa e la Megara. Riguardo all’ardente entusiasmo
Callimachi Manes et Coi sacra Philetae, cioè gli elegiaci romani. con il quale dunque i neoteroi hanno proclamato questa come
A causa loro si è creduto fino ad oggi che Callimaco e il suo cir- l’unica autentica poesia con la medesima pretesa di esclusività
colo fossero i principali rappresentanti della poesia ellenistica, che lo stesso Callimaco con i suoi aveva avanzato, non si deve
e di conseguenza anche Apollonio Rodio, rivale di Callimaco e supporre che ci sia stato ancora molto di rilevante nel gene-
(come apparve ai contemporanei) ai suoi antipodi dal punto re, del quale a noi non sarebbe giunta nemmeno una notizia
di vista artistico, nonostante il vasto e durevole successo del qualsiasi. Ci si deve dunque accontentare, a quanto sembra,
suo capolavoro, dal tempo dei cantores Euphorionis fino ad oggi di una mezza dozzina di callimachei più antichi e di un nume-
non ha affatto goduto del favore della critica. ro limitato di opere in questo stile – se si prescinde dalla più
fitta schiera che, con la rinascita callimachea greco-latina ad
ii opera della cerchia di Partenio e di Catullo, si raccolse intorno
Il giudizio tradizionale è distorto ed errato. Per i quasi tre seco- a questa insegna.
li di «ellenismo» lo stile di Callimaco è tutt’altro che rappresen-
tativo: lo è piuttosto per una parentesi relativamente breve, o iii
meglio, tale stile stette in primo piano solo per qualche tempo Naturalmente questa non è la produzione epica dell’ellenismo,
con la pretesa di essere lo stile giusto, l’unico al passo coi tem- ma solo una sua piccola parte. O supponiamo dunque che il
pi, e da questa posizione fu presto sbalzato da altri indirizzi campo dell’epica rimase incoltivato per tutto un secolo, oppure
stilistici, senza d’altra parte scomparire per questo. Emerse qualcuno ha composto opere anche di altro genere. Noi sappia-
anzi nuovamente in posizione di rilievo al verificarsi di condi- mo che le cose stanno secondo quest’ultima ipotesi e conoscia-
zioni sicuramente favorevoli, sperimentò una nuova, vigorosa mo – malgrado l’immensa perdita che si è verificata per motivi
rinascita e fece valere la sua antica pretesa in modo cosi effi- che si discuteranno più oltre – un numero notevolmente mag-
cace che da allora prese piede il giudizio, o meglio pregiudizio, giore di poeti e composizioni epiche ellenistiche di stile non
tradizionale. callimacheo rispetto a quelle di stile callimacheo – nonostante
Che le cose stiano cosi risulta però già dal dato di fatto che per il maggiore favore dell’età posteriore.
la poesia latina Callimaco fu, per così dire, scoperto soltanto [K. Ziegler, L’epos ellenistico. Un capitolo dimenticato della po-
nel primo secolo a.C. Certo, Ennio deve averlo conosciuto, come esia greca, a c. di F. De Martino con premesse di M. Fantuzzi,
mostra l’imitazione del proemio degli Aitia in quello degli An- Levante Editori, Bari 1988, 7-15

1. Tale è l’ipotesi comunemente accettata. Su che deboli basi poggi lo mostrano le caute esposizioni di
Erich Reitzestein («Festschrift fur Richard Reitzestein», 1931, 57 ss.), quando anch’egli, vittima della
solita sopravvalutazione dell’effetto di Callimaco, in contrasto con le proprie esitazioni, dà per scontata
Callimaco

la dipendenza di Ennio da Callimaco. Noi conosciamo (in modo frammentario!) il proemio degli Aitia
e quello degli Annali, ed essi hanno qualcosa in comune. Bisogna prudentemente lasciare in sospeso se
per questo Ennio sia stato influenzato proprio dal proemio degli Aitia o da uno dei molti altri poemi epici
e delle composizioni di altro genere che egli conosceva e noi no. Certamente ci sono state variazioni
del motivo proemiale della consacrazione poetica – creato, a quanto ci consta, da Esiodo – molto più
numerose e disparate delle due che conosciamo per caso.
216 CALLIMACO

…trionfante Notevolissimo fu invece l’influsso esercitato da Callimaco nella cultura latina,


tra i latini… già a partire da Ennio, che da Callimaco ricava il motivo del sogno, nella scena
di investitura poetica proposta nel proemio degli Annales. Ancor più evidente la
ripresa della poetica del poeta di Cirene da parte dei poetae novi (si pensi al car-
me I di Catullo: lepidum, novum libellum … expolitum e più avanti il riferimento
ai libri docti e laboriosi dell’amico Nepote), poi dai poeti della generazione au-
gustea, presso i quali i canone della brevitas, della subtilitas e la prassi del labor
limae diventano cifre stilistiche peculiari, al punto che Properzio si proclamò ad-
dirittura il «Callimaco romano», per l’opzione di una poesia elegante e raffinata.

…e nei secoli Grazie al grande favore riscontrato nel mondo latino la poetica callimachea poté
successivi imporsi e improntare di sé la tradizione letteraria dei secoli successivi.
Callimaco
Callimaco

Dossier

Un nuovo modo di intendere la poesia


T. 1 L’iniziazione Ecco il frammento in cui Callimaco, attaccando i suoi detrattori chiamandoli Tel-
poetica chini, ci istruisce indirettamente sulle sue scelte poetiche.

Aitia I fr. 1, πάντοθ]ι μοι Τελχῖνες ἐπιτρύζουσιν ἀοιδῇ,


1-38 Pfeiffer νήιδες οἳ Μούσης οὐκ ἐγένοντο φίλοι,
εἵνεκεν οὐχ ἓν ἄεισμα διηνεκὲς ἢ βασιλ[

DoSSiER: UN NUoVo moDo Di iNTENDERE la PoESia


......]ας ἐν πολλαῖς ἤνυσα χιλιάσιν
5 ἢ προτέ]ρ̣ους ἥρωας, ἔπος δ’ ἐπὶ τυτθὸν ἑλ[ίσσω
παῖς ἅτε, τῶν δ’ ἐτέων ἡ δεκὰς οὐκ ὀλίγη.
......].[.]και Τε[λ]χῖσιν ἐγὼ τόδε· «φῦλον α[

[Da ogni dove (?)] i Telchini mormorano contro il mio canto,


ignari della Musa, cui non nacquero cari,
perché non un unico poema continuo ho concluso
o i re in molte migliaia di versi [celebrando (?)]
5 [o gli antichi (?)] eroi, ma per breve tratto [volgo] il mio carme,
come un bambino, e ho non pochi decenni.
Ma ai Telchini questo io [rispondo]: «Razza (...)

1 πάντοθ]ι: «da ogni dove» è integra- solo canto ininterrotto»: la prima critica dei gomento del canto e il rifiuto di seguire la
zione proposta da Pfeiffer; in alternativa Telchini a Callimaco riguarda la mancanza tradizione di esaltare i re (βασιλ[η: il v. 3
πολλάκ]ι «spesso» di Lobel. - Τελχῖνες: di interezza (ἕν) e di continuità (διηνεκές) è incompleto, ma la successione βασιλ non
erano una mitica stirpe di genietti della la- della sua poesia. lascia dubbi sulla presenza dei «re») e gli
vorazione dei metalli, che vivevano in vari eroi del mito (προτέ]ρους ἥρωας).
luoghi dell’Egeo, proverbialmente noti co- 3-5 βασιλ[η … ἥρωας: la cattiva con-
me gelosi della propria arte e in grado di servazione del testo non impedisce di co- 4 ἐν πολλαῖς … χιλιάσιν: «in molte
esercitare il malocchio. glierne il senso generale (si è accolta e.g. miriadi (di versi)»: la terza critica mossa
l’integrazione προτέρους di Wilamowitz): dai Telchini riguarda il rifiuto delle ampie
3 οὐχ ἓν ἄεισμα διηνεκές: «non un il secondo motivo di critica riguarda l’ar- proporzioni del canto.
218 DOSSIER: UN NUOVO MODO DI INTENDERE LA POESIA
μοῦνον ἑὸν] τήκ[ειν] ἧπαρ ἐπιστάμενον,
......].. ρ̣εην̣ [ὀλ]ιγόστιχος· ἀλλὰ καθέλκει
10 Δρῦν] πολὺ τὴν μακρὴν ὄμπνια Θεσμοφόρο[ς·
τοῖν δὲ] δ̣υ̣οῖν Μίμνερμος ὅτι γλυκύς, αἱ κατὰ λεπτόν
ῥήσιες] ἡ μεγάλη δ’ οὐκ ἐδίδαξε γυνή.
Μακρ]ὸ̣ν ἐπὶ Θρήϊκας ἀπ’ Αἰγύπτοιο [πέτοιτο
αἵματ]ι̣ Π̣υ̣γ̣μαίων ἡδο̣μ̣έ̣νη [γ]έρα[νος,
15 Μασσαγ̣έ̣τ̣αι καὶ μακρὸν ὀϊστεύοιεν ἐπ’ ἄνδρα
Μῆδον]· ἀ̣[ηδονίδες] δ̣’ ὧδε μελιχρ[ό]τεραι.
Ἔλλετε Βασκανίης ὀλοὸν γένος· αὖθι δὲ τέχνῃ

che sa rodere [solo il suo] fegato!


(...) era (?) di pochi versi. Ma fa scendere di molto
10 il piatto della grossa [quercia (?)] la Legislatrice ferace.
[E] de[i] due, che Mimnermo sia dolce, le sottili
[poesiole], ma non la grande donna lo insegna.
[Per grande tratto] in Tracia d’Egitto [voli pure]
la gru, che gode [del sangue] pigmeo,
15 e a gran distanza i Massageti saettino l’uomo
[di Media]: i [piccoli usignoli] sono più dolci così.
Andate in malora, progenie di Malocchio funesta: da ora con l’arte

8 τήκ[ειν] ἧπαρ: «rodere il fegato»: ne della pesatura di due opere poetiche, per amata dal poeta (v. vol. I, p. 326).
è immagine tradizionale che l’invidioso si saggiarne il valore (come avviene anche
logori della sua stessa invidia. L’integra- nelle Rane di Aristofane): secondo l’in- 14-16 Le immagini proposte risultano
zione a inizio verso è di Housman. terpretazione più probabile, su di un piatto piuttosto oscure: con ogni probabilità si
della bilancia c’è la «Quercia» (?), sull’al- tratta della ricusatio da parte di Callima-
9-12 Versi molto tormentati, sia per il tro la «Demetra», ossia due opere di Filita co di una poesia incentrata sugli argomenti
cattivo stato del testo, sia per la ricercatez- di Cos: da una parte un poema di ampie consueti dell’epos: quello mitologico (ri-
za dei riferimenti: per la loro corretta inter- dimensioni (Quercia), dall’altra una rac- ferimento erudito al mito peregrino della
pretazione sono preziose le indicazioni che colta di componimenti brevi (Demetra). La guerra fra gru e Pigmei) e storico (guerra
deriviamo dagli scoli fiorentini. Callimaco Quercia fa abbassare il piatto della bilancia fra Massageti e Medi). In entrambi i casi
prende in esame la produzione di un poe- a indicare, secondo il modello omerico del- l’aggettivo avverbiale μακρόν (al v. 13 è
ta «moderno», Filita di Cos e quella di un la pesatura del destino (Iliade VIII 68-74 e però congettura di Pfeiffer) allude alla va-
poeta «antico», Mimnermo di Colofone e XXII 209-213), la parte perdente. stità di estensione, che costituisce ulteriore
osserva come, in entrambi i casi, i compo- elemento di rifiuto da parte del poeta.
nimenti di pochi versi sono superiori ai po- 10 Δρῦν: «Quercia» integrazione di
emi di lunga estensione: nella produzione Housman, con riferimento a un’opera di 14 [γ]έρα[νος: alla guerra fra gru
di Filita la Demetra è superiore alla Quer- Filita, di mole maggiore rispetto alla De- e Pigmei allude Iliade III 3 ss. «Il lun-
cia (?), mentre fra le opere di Mimnermo le metra. - ὄμπνια Θεσμοφόρο[ς: «ferace go, ininterrotto volo degli uccelli migra-
«poesiole sottili» (αἱ κατὰ λεπτόν/ [ῥή- Legislatrice» è Demetra, e tale era anche il tori dall’Egitto alla Tracia è paradigma
σιες]) sono più significative della «grande titolo di un componimento elegiaco di Fili- dell’aborrito poema epico-ciclico, immen-
donna» (μεγάλη … γυνή, forse con riferi- ta (v. p. 000). sa arcata di poesia senza soluzione di con-
mento alla Smirneide). tinuità» (E. Savino).
12 ἡ μεγάλη … γυνή: probabile ri-
9 [ὀλ]ιγόστιχος: «dai pochi versi»: ferimento alla Smirneide di Mimnermo, 16 ἀ̣[ηδονίδες]: gli usignoli sono sim-
l’inizio del verso non è comprensibile e poema mitologico ed eziologico di ampie bolo di dolcezza poetica anche in epigr. II.
DoSSiER

poco chiaro è il contesto in cui è usato l’ag- dimensioni contrapposto alle «poesiole
gettivo, che comunque fa riferimento al va- sottili» (αἱ κατὰ λεπτόν/ [ῥήσιες]: l’in- 17 Βασκανίης: i Telchini vengono
lore della brevitas, peculiare della poetica tegrazione è di Rostagni), ossia le elegie indicati come «funesta progenie del Ma-
callimachea. - καθέλκει: «fa scendere» il erotico-simposiali comprese nella raccolta locchio»: Βασκανίη era dea dei maghi e
piatto della bilancia. È proposta l’immagi- intitolata Nannò, dal nome della flautista delle fattucchiere.
L’INIZIAZIONE POETICA 219
κρίνετε,]μὴ σχοίνῳ Περσίδι τὴν σοφίην·
μηδ’ ἀπ’ ἐμεῦ διφᾶτε μέγα ψοφέουσαν ἀοιδήν
20 τίκτεσθαι· βροντᾶν οὐκ ἐμόν, ἀλλὰ Διός».
Καὶ γὰρ ὅτε πρώτιστον ἐμοῖς ἐπὶ δέλτον ἔθηκα
γούνασιν, Ἀ[πό]λλων εἶπεν ὅ μοι Λύκιος·
«Φίλ]τ̣α̣τ̣᾽ ἀοιδέ, τὸ μὲν θύος ὅττι πάχιστον
θρέψαι, τὴ]ν̣ Μοῦσαν δ’ ὠγαθὲ λεπταλέην·
25 πρὸς δέ σε] καὶ τόδ’ ἄνωγα, τὰ μὴ πατέουσιν ἅμαξαι
τὰ στείβειν, ἑτέρων ἴχνια μὴ καθ’ ὁμά
δίφρον ἐλ]ᾶ̣ν μηδ’ οἷμον ἀνὰ πλατύν, ἀλλὰ κελεύθους
ἀτρίπτο]υ̣ς, εἰ καὶ στειν̣οτέρην ἐλάσεις».
Τῷ πιθόμη]ν· ἐνὶ τοῖς γὰρ ἀείδομεν οἳ λιγὺν ἦχον
30 τέττιγος, θ]όρυβον δ’ οὐκ ἐφίλησαν ὄνων.
Θηρὶ μὲν οὐατόεντι πανείκελον ὀγκήσαιτο
ἄλλος, ἐγ]ὼ δ’ εἴην οὑλ̣[α]χύς, ὁ πτερόεις,

la poesia [giudicate], e non con lo scheno persiano.


E non chiedete a me che un canto di grande fragore
20 produca. Tuonare non è compito mio, ma di Zeus!
Perché quando in principio la tavoletta posai
sulle ginocchia, così a me disse Apollo Licio:
«Cantore [amatissimo], quanto più pingue la vittima

DoSSiER: UN NUoVo moDo Di iNTENDERE la PoESia


[alleva], ma, o amico, la Musa sottile.
[Ed inoltre] anche questo [ti] ordino, dove non passano i carri pesanti
26 là cammina: che non dietro le impronte degli altri
[tu spinga il tuo cocchio,] né per la via larga, ma per sentieri
[non calpestat]i, pur se guiderai per strada più angusta».
[A lui ho ubbidito]: tra quelli cantiamo che il suono acuto
30 [della cicala] amano e non degli asini il grido.
Proprio come la bestia orecchiuta ragli pure
[un altro]: possa [i]o essere la lieve, l’alata,

18 σχοίνῳ: lo «scheno» persiano era prima pagina, il coro dall’Elicona/ io prego non calpestato, che avrà larga fortuna an-
un’unità di misura per le lunghe distanze che giunga al mio cuore per il canto,/ che che nella poesia latina, doveva essere per
(circa 10 km). proprio ora ho annotato sulle tavolette po- Callimaco un passo lacunoso e problema-
ste sulle mie ginocchia». tico del Peana VIIb di Pindaro (vv. 7-12),
21 δέλτον: «la tavoletta» cerata sul- dove compariva anche un riferimento alla
la quale il poeta si appresta a scrivere. È 23-34 ὅττι πάχιστον … λεπταλέην: «carreggiata di Omero» (v. 11 Ὁμήρου …
notevole osservare come la scena di ini- la contrapposizione fra παχύς «pingue, κατ᾽ ἀμαξιτόν). - στειν̣οτέρην: «più
ziazione poetica, sigillata dall’autorità di grossolano» e λεπτός «esile, leggero» stretta»: riprende il topos secondo cui la
Apollo, avvenga all’insegna della produ- propone parametri di valutazione letteraria strada della virtù (individuata nella scelta
zione scritta del testo, proposta con consa- (si ricordi il giudizio poco lusinghiero nei di privilegiare l’originalità, non percorren-
pevole naturalezza; cfr. Batracomiomachia confronti dell’opera di Antimaco, definita do il sentiero battuto da altri) è più stretta
1-3 Ἀρχόμενος πρώτης σελίδος χορὸν ἐξ παχὺ γράμμα). e disagevole di quella del vizio (cfr. Esio-
Ἑλικῶνος/ ἐλθεῖν εἰς ἐμὸν ἦτορ ἐπεύχο- do, Erga 290-292; si veda anche il mito di
μαι εἵνεκ’ ἀοιδῆς,/ ἣν νέον ἐν δέλτοισιν 27-28 κελεύθους … ἀτρίπτο]υ̣ ς : Eracle al bivio, Senofonte, Memorabili II
ἐμοῖς ἐπὶ γούνασι θῆκα «Cominciando la modello diretto per il motivo del sentiero 1, 21-34).
220 DOSSIER: UN NUOVO MODO DI INTENDERE LA POESIA
ἆ πάντως, ἵνα γῆρας ἵνα δρόσον ἣν μὲν ἀείδω
πρώκιον ἐκ δίης ἠέρος εἶδαρ ἔδων,
35 αὖθι τὸ̣ δ̣’ ἐκδύοιμι, τό μοι βάρος ὅσσον ἔπεστι
τριγλ̣ώ̣χιν̣ ὀλοῷ νῆσος ἐπ’ Ἐγκελάδῳ.
.......Μοῦσαι γὰρ ὅσους ἴδον ὄθματι παῖδας
μὴ λοξῷ, πολιοὺς οὐκ ἀπέθεντο φίλους.

ah, veramente, perché la vecchiaia – perché la rugiada io canti


mangiando cibo stillante dall’aere splendente –
35 e poi di quella mi spogli, che così tanto mi grava
come l’isola tricorne su Encelado funesto.
(...) perché quanti le Muse guardarono fanciulli con sguardo
non torvo, non li respinsero, canuti, dal loro favore.
[Tr. di G.B. D’Alessio]

36 ἐπ’ Ἐγκελάδῳ: uno dei Giganti dell’Olimpo, Encelado fu inseguito da Ate- rimase sepolto).
che parteciparono alla rivolta contro gli dèi na, che gli scagliò addosso l’Etna (sotto cui

analisi del testo


i Telchini della tragedia attica egli trovava realizzate queste esigenze e
Chi sono, in concreto, i critici di Callimaco che si nascondono perciò li indicava come ineguagliabile modello di ogni futura
dietro i Telchini? Alcuni dei loro nomi ci sono noti da un papiro opera poetica. Anzi contrapponeva l’Iliade e l’Odissea alle varie
pubblicato nel 1935 (P. S. I. 1219), dove è detto (rr. 3-10) che Eracleidi e Teseidi che trattavano non di un’azione unica, ma di
«[il poeta replica] ai due Dionisii, (...) ad Asclepiade il Siceli- molteplici azioni, compiute sì dallo stesso personaggio, ma non
da, a Posidippo (...) e a Prassifane di Mitilene che lo biasima- connesse tra loro dal vincolo di necessità e causalità (cfr. Poetica
vano per l’esilità (τὸ κάτισχνον) dei suoi componimenti e per 1451a). Questi poemi, sempre secondo Aristotele, risultavano
il fatto che la loro estensione era insufficiente ...». mal congegnati e non raggiungevano quell’unità organica da cui
solo può scaturire l’opera d’arte. I Telchini del prologo degli Aitia
callimaco anti-aristotelico si rivelano dunque aristotelici. Essi criticavano la poesia di Calli-
«Il nome del peripatetico Prassifane – ha osservato in proposito maco, appunto perché non rispettava quelle esigenze prescritte
G. Serrao – ci garantisce la veridicità dell’antico commentato- da Aristotele per ogni opera d’arte. Callimaco si astiene dal con-
re. Di Callimaco conoscevamo già il titolo di un’opera in prosa futare le critiche dei “Telchini”, anzi si dichiara, ostentatamente,
Πρὸς Πραξιφάνην, ma esso era stato variamente interpretato “poeta di pochi versi”, ma rigetta i canoni aristotelici ed intro-
e qualche filologo aveva addirittura ipotizzato un discepolato di duce lo stesso Apollo a dettare una nuova precettistica dell’arte
Callimaco presso questo eminente peripatetico. La notizia del- poetica. Due sole sono le norme che il dio Apollo suggerisce al
lo scoliaste mostra che l’ambiguo Πρὸς Πραξιφάνην significa poeta ancora giovinetto: la λεπτότης e l’originalità ad ogni co-
Contro Prassifane e ci fornisce una preziosa testimonianza della sto. Nel corso del III secolo [...] il termine λεπτότης subisce
netta opposizione tra Callimaco e la scuola peripatetica. Infat- una strana trasformazione semantica, cambiando connotazione
ti nella critica letteraria le opinioni di Callimaco contrastavano da negativa in positiva. Per Callimaco in particolare questo ter-
totalmente con la teorica aristotelica. Per Aristotele l’unità, la mine sta ad indicare “l’estrema brevità nell’estremo splendore”»
continuità, la compiutezza e l’estensione erano gli elementi (non a caso è detta παχὺ γράμμα «uno scritto grosso» [fr. 398
fondamentali nella struttura di qualsiasi opera artistica: ogni Pfeiffer] la Lide di Antimaco di Colofone, che Callimaco disprez-
parte doveva avere una relazione ben definita con l’opera in- zava: παχύ è l’opposto di λεπτόν).
tera che doveva, a sua volta, essere mimesi di un’azione unica
in se stessa, compiuta e di una certa grandezza; tale, cioè, da Seduzione e τέχνη
DoSSiER

costituire un tutto organico con un principio, una parte centrale Brevità, originalità, eleganza: la polemica callimachea verte in
ed una conclusione indissolubilmente connessi tra loro secondo larga misura sulla dimensione dello stile, ma la questione es-
la legge della verosimiglianza o della necessità (Poetica 1450b, senziale, da cui discende ogni altra affermazione, concerne
1459a). Soltanto nei due poemi omerici e nelle migliori opere piuttosto la funzione della poesia in relazione al suo destinata-
OPZIONI ESCLUSIVE 221
rio, come rivela l’insistenza sul motivo della “dolcezza” nell’uso consistente nelle intenzioni, carente di valore morale. Callimaco,
dei termini γλυκύς (v. 11) e μελιχρότεραι (v. 16), nonché potevano aver detto, ha praticato non già la mimesi di un’azione
di μελιχρότατον nell’epigramma 27 Pfeiffer. «In questo – ha seria, ma un frivolo compiacimento per astruse eccentricità: “co-
puntualizzato R.O.A.M. Lyne – possiamo sospettare un proble- me un bambino” (v. 6) in effetti, per quanto precoce: insomma,
ma di fondo, un vero punto di divergenza. La radicata e perenne i suoi criteri poetici erano un completo fallimento. Callimaco si
ortodossia fra i Greci era stata che la funzione essenziale della burla dei suoi critici, li fraintende di proposito, ma pronuncia una
poesia fosse di carattere morale: migliorare, proporre modelli dichiarazione molto chiara sulla questione di sostanza: “gli usi-
esemplari, insegnare in qualche modo. Callimaco sembra schie- gnoli (le poesie) sono più dolci così; devi giudicare la poesia per
rarsi con le voci minori dell’eterodossia edonistica: la funzione, la la sua qualità artistica”. La sua idea della funzione della letteratu-
sola funzione della poesia è quella di dilettare. “Ogni poeta mira ra è anticonvenzionale, divergente e di fatto egli presuppone una
alla seduzione (ψυχαγωγία)” è la sintetica opinione attribuita a poetica più sottile, che va al di là di un mero edonismo. La pro-
Eratostene. Possiamo fare un passo avanti. È davvero improbabile va decisiva che attesta l’eccellenza poetica, dice Callimaco, non
che qualcuno potesse sostenere che la poesia andasse giudicata deve consistere nel valore morale (l’alternativa inespressa) ma
con lo “scheno” persiano. Credo che qui Callimaco travisi umo- nell’arte, nella τέχνη. Callimaco predica una poetica amorale,
risticamente il pensiero dei suoi oppositori – una consuetudine estetizzante piuttosto che edonistica; e in realtà la sua insistenza
nelle dispute fra studiosi o fra artisti. Questi oppositori potevano teoretica sulla perfezione formale, l’insistenza con cui pretende
certamente aver sottolineato che la sua poesia tendeva ad essere che una tale perfezione sia fonte di piacere e implicitamente de-
di breve respiro; ma la loro solida obiezione doveva essere che ride qualsiasi funzione edificante della poesia, ci richiama alla
questa poesia era esile nei contenuti e, più specificamente, in- mente i principî dell’arte per l’arte».

Accanto al prologo degli Aitia altri testi callimachei illustrano in termini analo-
ghi questa nuova concezione dell’arte: purtroppo decontestualizzato resta invece
il celebre motto μέγα βιβλίον, μέγα κακόν («grosso libro, grosso guaio»), tratto
forse da uno scritto perduto di argomento grammaticale.

T. 2 Opzioni Importante dichiarazione di poetica è proposta in un epigramma erotico, nel


esclusive quale il motivo letterario fa argutamente da termine di paragone al compor-
tamento degli amanti e dove l’opzione preferenziale è proposta «in negativo»,

DoSSiER: UN NUoVo moDo Di iNTENDERE la PoESia


attraverso la successione di elementi che il poeta detesta:

Epigramma 28 Ἐχθαίρω τὸ ποίημα τὸ κυκλικὸν οὐδὲ κελεύθῳ


Pfeiffer (Antologia χαίρω, τίς πολλοὺς ὧδε καὶ ὧδε φέρει·
Palatina XII 43)
μισῶ καὶ περίφοιτον ἐρώμενον οὐδ’ ἀπὸ κρήνης
πίνω· σικχαίνω πάντα τὰ δημόσια.
5 Λυσανίη, σὺ δὲ ναίχι καλὸς καλός· ἀλλὰ πρὶν εἰπεῖν
τοῦτο σαφῶς, Ἡχώ φησί τις· «ἄλλος ἔχει».

Odio il poema ciclico, né di una via


mi compiaccio che molti porti qui e lì.
Non sopporto un amante girovago, né dalla pubblica fonte
bevo: mi infastidisce ogni bene comune.
5 Lysanies, tu sei bello, più di ogni altro bello! Ma prima di poterlo
dire con chiarezza, dice un’eco: «è di un altro, quello».
[Tr. di G.B. D’Alessio]

6 ἄλλος ἔχει: poiché nella lingua par- bello bello»; la formula καλός + nome immagina riecheggiata (limitatamente alle
lata il dittongo αι era pronunciato come proprio era frequente, come vediamo dal- prime due parole e, stranamente, in ordine
una e aperta, ed ει non molto diversamente le iscrizioni vascolari, come dichiarazione inverso) da ἄλλος ἔχει («un altro lo ha»),
da i, la sequenza ναίχι καλὸς καλός («sì, d’amore), pronunciata nekikaloskalos, si pronunciato allosechi.
222 DOSSIER: UN NUOVO MODO DI INTENDERE LA POESIA

analisi del testo


Attraverso il riecheggiamento di un «contrasto» confluito nel- al cosiddetto «ciclo» epico, ma, come mostra anche la ripresa del
la silloge teognidea (vv. 579-583: «Odio l’uomo meschino [...] motivo in un epigramma di Polliano (A.P. XI 130), in quello del
Odio la donna vagabonda e l’uomo impudente, quello che brama poema ripetitivo, che non fa altro che riutilizzare passivamente
di arare il campo altrui»), la volgarità dell’amante girovago vie- lo stile formulare tradizionale. E, come nel prologo degli Aitia, la
ne equiparata alla volgarità del poema «ciclico»: non nel senso via prediletta dal poeta non è la carreggiata percorsa dai molti
– come talora si intende – del tipo di produzione appartenente ma il sentiero non calpestato su cui avviarsi in solitudine.

T. 3 Un calcio Nella chiusa dell’Inno ad Apollo leggiamo (vv. 105-112):


all’invidia
105 Ὁ Φθόνος Ἀπόλλωνος ἐπ’ οὔατα λάθριος εἶπεν·
«Οὐκ ἄγαμαι τὸν ἀοιδὸν ὃς οὐδ’ ὅσα πόντος ἀείδει».
Τὸν Φθόνον ὡπόλλων ποδί τ’ ἤλασεν ὧδέ τ’ ἔειπεν·
«Ἀσσυρίου ποταμοῖο μέγας ῥόος, ἀλλὰ τὰ πολλά
λύματα γῆς καὶ πολλὸν ἐφ’ ὕδατι συρφετὸν ἕλκει.
110 Δηοῖ δ’ οὐκ ἀπὸ παντὸς ὕδωρ φορέουσι μέλισσαι,
ἀλλ’ ἥτις καθαρή τε καὶ ἀχράαντος ἀνέρπει
πίδακος ἐξ ἱερῆς ὀλίγη λιβὰς ἄκρον ἄωτον».

105 L’Invidia furtiva nell’orecchio disse ad Apollo:


«Non apprezzo il poeta che non canta neanche quanto il mare».
L’Invidia Apollo col piede scacciò, e così disse
«Grande è il flutto del fiume di Assiria, ma in gran parte
sozzure di terra e molto fango sull’acqua trascina.
110 A Deò non da ogni fonte recano acqua le api,
ma quella che pura e incontaminata serpeggia
da sacra sorgiva, una piccola stilla, è l’offerta migliore».
[Tr. di G.B. D’Alessio]

1 μέλισσαι: l’ape è immagine dell’at- perché «non si accostano a nulla di sozzo, In questo caso probabilmente si allude a
tività poetica a partire fin da Pindaro, Piti- né si cibano di altro nutrimento che non un’offerta sacrificale, visto che «api» erano
ca X 54. Secono Aristotele, Hist. An. 596b contenga succhi dolci e con maggior piace- dette anche le sacerdotesse di Δηώ (Deme-
18, le api si distinguono dagli altri insetti re attingono all’acqua dove zampilli pura». tra).

analisi del testo


Come ricorda G.B. D’Alessio, la difesa della propria attività poetica valore programmatico non va sopravvalutato. I punti di riferimen-
contro possibili detrattori rappresentava «un motivo tradizionale to dell’immagine poetica sono il mare, il fiume lutulento e la pura
della lirica arcaica, soprattutto nel suo aspetto pubblico, con la sorgiva. L’identificazione della poesia con l’acqua pura è diffusa in
duplice funzione di affermare la superiorità di un poeta rispet- lirica arcaica e ricorre, in un contesto polemico, in Pindaro, Parte-
to a possibili concorrenti e di rafforzarne la sua immagine da un nio II 76-77 (cfr. anche fr. 274 Maehler). Che il mare rappresenti
punto di vista morale. Pindaro è anche in questo un punto di ri- l’epica omerica, il fiume i suoi pedissequi imitatori e la sorgente
DoSSiER

ferimento importante per Callimaco. Non è necessario, né sembra la poesia callimachea è possibile, ma più probabilmente i referenti
verosimile, immaginare che dietro la figura allegorica dell’Invidia dell’immagine sono più vaghi. Dell’argomento dell’Invidia Apollo
si nasconda una definita personalità di avversario. L’occasione dà seleziona solo l’opposizione grande/piccolo, e questo è certamen-
però certamente lo spunto per una dichiarazione di poetica, il cui te un punto fermo della poetica callimachea».
UN CALCIO ALL’INVIDIA 223
Nel lacunoso Giambo XIII, a chi lo criticava per aver composto i suoi carmi ora
in ionico, ora in dorico, ora in una lingua mista, e per non aver coltivato un unico
genere letterario, il poeta replicava adducendo il doppio esempio della poliedrica
attività di Ione di Chio e dell’artigiano che non si limita a costruire un solo uten-
sile: dunque ribadiva il diritto a praticare quel “gioco con le forme” che abbiamo
visto essere una caratteristica essenziale della nuova poetica ellenistica, segnata
da una ricerca di originalità che non si propone affatto come invenzione dal nulla
(anzi, Callimaco tiene a dichiarare nel fr. 465 Pfeiffer: ἀμάρτυρον οὐδὲν ἀείδω
«non canto nulla di inattestato»), ma come ri-creazione e metamorfosi della let-
teratura del passato, in una mistione di elementi desunti dai generi letterari più
vari. È il canone della πολυείδεια (varietà dei generi praticati), che caratterizza
la «contaminazione dei generi» (Kreuzung der Gattungen, secondo la felice de-
finizione di W. Kroll) tipicamente ellenistica.

Sulla linea di callimaco


Fra gli epigrammi di Posidippo di Pella scoperti grazie al papiro di Milano (Pap. Mil. Vogl. VIII 309, pub-
blicato da G. Bastianini e C. Gallazzi nel 2001), uno in particolare merita di essere menzionato, perché
propone criteri di poetica che si integrano perfettamente con quelli esposti da Callimaco. La cosa risulta
quantomeno singolare, se si considera che Posidippo è individuato dagli scoli fiorentini proprio come uno
di quei malevoli Telchini dalle cui accuse Callimaco si difende in modo risentito.
L’epigramma fa parte della sezione degli ἀνδριαντοποιϊκά (epigrammi descrittivi di statue) e presenta
una statua in bronzo che raffigura Filita di Cos, opera di un certo Ecateo, scultore a noi già noto grazie
a una citazione di Plinio il Vecchio. La descrizione della statua è per Posidippo l’occasione per elogiare
i procedimenti artistici seguiti da Ecateo, il quale nel forgiare la statua di Filita ha utilizzato gli stessi

DoSSiER: UN NUoVo moDo Di iNTENDERE la PoESia


criteri stilistici attuati dal poeta di Cos nella sua poesia e che sono coincidenti con quelli professati da
Callimaco (che di Filita era stato ammiratore e seguace).

Posidippo, Ep. 63 Τ̣όνδε Φιλίτᾳ χ̣[αλ]κ̣ὸν̣ [ἴ]σ̣ο̣ν̣ κα̣τὰ πάν‹θ›᾽ Ἑκ̣[α]τ̣αῖος


Austin-Bastianini ἀ]κ̣[ρ]ι̣β̣ὴς ἄκρους̣ [ἔπλ]α̣σ̣ε̣ν εἰς ὄνυχας
καὶ με]γ̣έθει κα̣[ὶ σα]ρ̣κ̣ὶ τὸν ἀνθρωπιστὶ διώξας
γνώμο]ν᾽, ἀφ᾽ ἡρώων δ᾽ οὐδ̣ὲν ἔμε̣ιξ᾽ ἰδέης,
5 ἀ̣λλὰ τὸν ἀκρομέριμν̣ον ὅλ̣[ῃ κ]α̣τεμάξατο τέχ̣νῃ
πρ]έ̣σβυν, ἀληθείης ὀρ̣θὸν̣ [ἔχων] κ̣ανόνα·
αὐδήσ]οντι δ᾽ ἔοικε̣ν̣, ὅσῳ πο̣ι̣κ̣ί̣λ̣λεται ἤθει,
ἔψυχ]ο̣ς, καίπερ χάλκεος ἐὼν ὁ γέρων·
ἐκ Πτολε]μ̣αίου δ᾽ ὧδε θ̣εοῦ θ᾽ ἅμα καὶ βασιλ‹ῆ›ος
10 ἄγκειτ]α̣ι Μουσέων εἵνεκα Κῷος ἀνήρ.

Ecateo ha plasmato questo bronzo in tutto e per tutto simile a Filita,


con grande accuratezza, fin nei minimi particolari,
seguendo nella statura e nelle membra [la dimensione propria] dell’uomo,
e non vi ha infuso nulla dalla figura degli eroi;
5 anzi, con tutta la sua arte ha modellato l’anziano
perfezionista [tenendo] dritto il canone della verità.
Sembra uno che sta per parlare, tanto è il carattere con cui è rappresentato,
[tutto pieno di vita], anche se è di bronzo, il vecchio.
E qui, [per ordine di Tolo]meo, dio e insieme re,
10 [è posto] in grazia delle Muse l’uomo di Cos.
[Tr. di Austin-Bastianini]
224 DOSSIER: UN NUOVO MODO DI INTENDERE LA POESIA

I valori estetici affermati nel nostro epigramma, proposti nell’associazione programmatica di arte figura-
tiva e poesia, si possono così riassumere:
1. acribia, cioè estrema precisione rappresentativa e cura del dettaglio: ἀ]κ̣[ρ]ι̣β̣ής «preciso» e ἄκρους̣
… εἰς ὄνυχας (v. 2), lett. «fino alla punta delle unghie»; ὅλ̣[ῃ κ]α̣τεμάξατο τέχ̣νῃ̣ (v. 5), non
disgiunta da travaglio compositivo: ἀκρομέριμν̣ον (v. 5);
2. rappresentazione del quotidiano in chiave realistica, incentrato sull’uomo: τὸν ἀνθρωπιστὶ διώξας/
γνώμο]ν(α) «seguendo la dimensione propria dell’uomo» (vv. 3-4). In quest’ottica si colloca anche la
precisazione πρ]έ̣σβυν del v. 6 e ὁ γέρων del v. 8: la rappresentazione rifugge da qualsiasi forma di
idealizzazione, ritraendo le fattezze del soggetto in età avanzata, senza censura per quei particolari
che potrebbero sembrare disdicevoli;
3. rifiuto di qualsiasi atteggiamento eroico: ἀφ᾽ ἡρώων δ᾽ οὐδ̣ὲν ἔμε̣ιξ᾽ ἰδέης (v. 4);
4. criterio della verità: [ἴ]σ̣ο̣ν̣ κα̣τὰ πάν‹τ(α) «simile in tutto e per tutto» (v. 1), e, soprattutto,
ἀληθείης ὀρ̣θὸν̣ [ἔχων] κ̣ανόνα (v. 6).

Significativa l’espressione ἀφ᾽ ἡρώων δ᾽ οὐδ̣ὲν ἔμε̣ιξ᾽ ἰδέης «non vi ha infuso nulla dalla figura degli
eroi», che richiama i προτέ]ρ̣ους ἥρωας rifiutati da Callimaco (fr. 1, 5 Pf.) e si noti anche il riferimento
alla τέχνη, che richiama l’ammonimento di Callimaco (fr. 1, 17-18 Pf.) τέχνῃ κρίνετε «giudicate in
base all’arte» rivolto ai detrattori.
Come si può ben vedere, i principi affermati da Posidippo sono del tutto conformi ai nuovi canoni artistici
e sono emblematici di una temperie artistico-culturale comune a poeti e artisti.
L’accento marcato sul «giusto criterio di verità» (v. 6 ἀληθείης ὀρ̣θὸν̣ … κ̣ανόνα) richiama alla memo-
ria l’espressione con cui, in un importante passo programmatico delle Talisie di Teocrito, il capraio Licida
incorona poeta il suo interlocutore Simichida:

Teocrito, Idillio Ὁ δ’ αἰπόλος ἁδὺ γελάσσας,


VII 42-48 «Τάν τοι, ἔφα, κορύναν δωρύττομαι, οὕνεκεν ἐσσί
πᾶν ἐπ’ ἀλαθείᾳ πεπλασμένον ἐκ Διὸς ἔρνος.
45 Ὥς μοι καὶ τέκτων μέγ’ ἀπέχθεται ὅστις ἐρευνῇ
ἶσον ὄρευς κορυφᾷ τελέσαι δόμον Ὠρομέδοντος,
καὶ Μοισᾶν ὄρνιχες ὅσοι ποτὶ Χῖον ἀοιδόν
ἀντία κοκκύζοντες ἐτώσια μοχθίζοντι».

Il capraio, ridendo dolcemente,


«Il mio bastone» disse «voglio donarti perché sei
un virgulto di Zeus tutto forgiato sulla verità.
45 A me è fortemente odioso l’architetto che si sforzi di costruire
una casa alta come la cima dell’Oromedonte,
e i pollastri delle Muse, quanti di fronte all’aedo di Chio
schiamazzando si affannano invano».
[Tr. di B.M. Palumbo Stracca]

Si tratta di una vera e propria scena di iniziazione poetica, in cui Licida, caratterizzato con i tratti della
presenza divina offre a Simichida, forse da identificarsi con Teocrito stesso, il «bastone», emblema della
verità della poesia: la scena allude all’iniziazione poetica di Esiodo, nel proemio della Teogonia, il quale
riceve un ramo d’alloro dalle Muse, sulla base di un principio di verità di cui sono depositarie le Muse
stesse (v. vol. I, p. 272).
Per bocca di Licida, Teocrito riprende poi alcuni principi programmatici della poetica callimachea attra-
verso la modalità della recusatio: non si apprezza un architetto che costruisca edifici di grandezza esor-
bitante, così come si rifiuta una poesia che voglia scimmiottare il modello omerico.
Anche in Teocrito dunque sono ben riconoscibili i tratti specifici del gusto dell’alto ellenismo: realismo
DoSSiER

e ricerca della verità, rifiuto delle ampie dimensioni, ricerca della novità evitando di riproporre i modelli
della tradizione.
ACONZIO E CIDIPPE 225

Aitia
T. 4 Aconzio La straordinaria abilità espressiva di Callimaco ben si evince da questa elegia-
e Cidippe fiaba. Purtroppo il componimento è conservato, nella prima parte, per frammen-
ti: possiamo leggerlo senza soluzione di continuità solo per gli ultimi 77 versi
(fr. 75). Eppure questa love story legata a uno spunto magico-fiabesco che si
riconduce al potere vincolante della parola – alla base c’è infatti lo stratagemma
per cui Eros avrebbe lanciato nel tempio di Artemide una mela con incisa la scrit-
ta: «Lo giuro per Artemide: io sposerò Aconzio», e queste parole, una volta lette
ad alta voce da Cidippe, avrebbero operato come una sorta di blocco inibitorio
che provoca la malattia della fanciulla ogni volta che ella si appresti a sposare
un giovane diverso da Aconzio – non cessa di suonare “frammentaria” anche là
dove il testo riprende a correre senza soluzione di continuità. Infatti la tecni-
ca callimachea si presenta frammentaria (in quanto desultoria, disomogenea, a
tratti addirittura nervosa) sia nella mancanza di un centro verso cui tenda con
chiarezza la linea del racconto, sia nella conseguente carenza di una gerarchia
fra gli elementi e fra i momenti della storia, sia infine nella continua oscillazio-
ne fra orientamento narrativo e personali intrusioni (con apostrofi indirizzate a
differenti figure) e nei salti improvvisi di tono e di registro.

Aitia, frr. 67-75 fr. 67


Pfeiffer Αὐτὸς Ἔρως ἐδίδαξεν Ἀκόντιον, ὁππότε καλῇ
ᾔθετο Κυδίππῃ παῖς ἐπὶ παρθενικῇ,
τέχνην – οὐ γὰρ ὅγ’ ἔσκε πολύκροτος – ὄφρα λέγο..[
τοῦτο διὰ ζωῆς οὔνομα κουρίδιον.
5 ἦ γάρ, ἄναξ, ὁ μὲν ἦλθεν Ἰουλίδος ἡ δ’ ἀπὸ Νάξου,
Κύνθιε, τὴν Δήλῳ σὴν ἐπὶ βουφονίην,
αἷμα τὸ μὲν γενεῆς Εὐξαντίδος, ἡ δὲ Προμηθ?[ίς,
καλοὶ νησάων ἀστέρες ἀμφότεροι.

Amore stesso ad Aconzio, quando per la bella


vergine Cidippe ardeva il fanciullo, fu maestro dell’arte –
lui certo non era tipo da astuti discorsi – così che dicesse (?) (...)
per tutta la vita questo nome di legittimo sposo.
5 Perché, Signore, l’uno giunse da Iulis e l’altra da Nasso,
o Cinzio, a Delo, al tuo sacrificio di buoi,
lui sangue della stirpe di Euxanzio, lei discendente di Prometeo,
entrambi dell’isole splendidi astri.
Callimaco

4 διὰ ζωῆς … κουρίδιον: l’esordio è stato esposto nell’introduzione al fram- tivo dell’innamoramento in occasione di una
della vicenda risulta poco chiaro, anche a mento. festa sacra di grande richiamo è elemento che
causa del cattivo stato di conservazione del sara tipico del romanzo. Entrambi gli inna-
testo. Da numerose altre fonti conosciamo 5 Ἰουλίδος: città nell’isola di Ceo. morati possono vantare illustri natali: Euxan-
l’antefatto della vicenda, cioè lo strata- zio, figlio di Minosse, è eroe locale di Ceo,
gemma suggerito ad Aconzio da Eros, che 8 νησάων ἀστέρες ἀμφότεροι: il mo- mentre Prometeo è figlio del re attico Codro.
226 AITIA
πολλαὶ Κυδίππην ὀλ[ί]γην ἔτι μητέρες υἱοῖς
10 ἑδνῆστιν κεραῶν ᾔτεον ἀντὶ βοῶν·
κείνης ο[ὐ]χ̣ ἑ̣τ̣έ̣ρη γὰρ ἐπὶ λασίοιο γέροντος
Σιληνοῦ νοτίην ἵκετο πιδυλίδα
ἠοῖ εἰδομένη μάλιον ῥέθος οὐδ’ Ἀριήδης
ἐς χ]ο̣ρὸν εὑδούσης ἁβρὸν ἔθηκε πόδα·
15 ]ήκ̣η̣σ̣[.].δ’ ἔκστασις, οὔτινος αὐ̣τῆς̣
].ν κ̣ε̣.[ ]σ̣ ἔ̣χ̣ε̣ι̣ν ϊ[.].ου·
]ασιν ᾠκίσ̣[σα..].
ἀ]πειπάμεν̣[
].[.]ν ἐπιτ̣ιμ̣[ ]α
μ]οῦνον ἔμε̣ν .α̣[
].[.]ν ὄθμ̣ασιν[

Ancor piccina Cidippe, molte madri pei figli


10 la chiedevano sposa, in cambio di bovi cornuti:
di lei nessun’altra venne all’umida fonte
del vecchio villoso Sileno
più simile in viso all’aurora, né alle danze
della dormiente Ariede poggiò delicato il piede.
15 (...) mossa di uscita, di nessuna/o di quella (...)
avere (...)
fece (?) abitare (...)
rinunciare (...)
solo fosse (...)
occhi (...)

9 πολλαί … μητέρες: il motivo dei 13 Ἀριήδης: variante per Arianna. bandonata da Teseo: da quel giorno scaturì
molti pretendenti per la protagonista è un una fonte da cui sgorgava vino, anziché ac-
elemento fiabesco molto frequente nelle 14 ἁβρόν … πόδα: a Nasso Dioniso qua.
storie d’amore. aveva incontrato Arianna dormiente, ab-

La narrazione sortisce un effetto composito, un caleidoscopico rifrangersi della


voce del poeta, che gioca con se stesso, con la sua fonte, con i suoi personaggi
nel mentre imposta un racconto che di per sé, nel suo ordito elementare, rap-
presenta una storia scandita per nuclei che anticipano il genere del romanzo: la
bellezza impareggiabile di Cidippe «simile all’aurora» (fr. 67, 11 ss.); lo spiccare
dei due giovani fra i rispettivi coetanei (frr. 67-69): se i contesti rituali della
festa sono le occasioni in cui si manifesta il fascino di Cidippe, per Aconzio i
Callimaco

luoghi caratteristici sono la scuola o le terme (fr. 68) o l’ambiente dei simposi
(fr. 69: le «sicule gocce» sono un’allusione al gioco simposiale del «cottabo», in
cui le ultime gocce del calice venivano gettate in un recipiente, con una dedica
amorosa: ma i lanci degli amanti infelici finiscono a terra, con cattivo augurio).
ACONZIO E CIDIPPE 227
fr. 68
μέμβλετο δ’ εἰσπνήλαις ὁππότε κοῦρος ἴοι
φωλεὸν ἠὲ λοετρόν

fu a cuore agli spasimanti, quando, fanciullo, andava


alla scuola o alle terme

fr. 69
πολλοὶ καὶ φιλέοντες Ἀκόντιον ἧκαν ἔραζε
οἰνοπόται Σικελὰς ἐκ κυλίκων λάταγας

e molti, innamorati di Aconzio, gettarono in terra


dai calici durante il simposio le sicule gocce

L’arciere stesso, Aconzio, che era solito colpire coi dardi d’amore viene a sua
volta colpito da Cidippe (fr. 70).

fr. 70
ἀλλ’ ἀπὸ τόξου
αὐτὸς ὁ τοξευτὴς ἄρδιν ἔχων ἑτέρου

ma da un altro
arco l’arciere stesso colpito da saetta appuntita

Il contesto del fr. 72 e del successivo «si ricostruisce in base ad Aristeneto:


il giovane Aconzio, timoroso di incontrare il padre e di rivelare il suo turba-
mento, coglie ogni pretesto per recarsi in campagna (una caratterizzazione
che deve qualcosa alla Commedia Nuova); la sua apparente dedizione ai la-
vori campestri gli merita, dagli amici, il nomignolo scherzoso di Laerte. Ma
a lui “non erano a cuore né la vigna né la vanga” (cfr. SH 276, 6 ss.): sedeva
invece tra i campi, invocando ontani e querce a partecipare al suo amore (fr.
73)» (G.B. D’Alessio).
Nella solitudine dei campi Aconzio si rivolge dapprima agli alberi (fr. 73),
poi all’ammalata Cidippe (fr. 74), delle cui sofferenze si sente responsabile.
Callimaco

fr. 72
ἄγραδε τῷ πάσῃσιν ἐπὶ προχάνῃσιν ἐφοίτα

perciò con ogni pretesto se ne andava in campagna


228 AITIA
fr. 73
ἀλλ’ ἐνὶ δὴ φλοιοῖσι κεκομμένα τόσσα φέροιτε
γράμματα, Κυδίππην ὅσσ’ ἐρέουσι καλήν.

ma, nella corteccia intagliate, possiate parole recare


che dicano per Cidippe l’amore.

fr. 74
λιρὸς ἐγώ, τί δέ σοι τόνδ’ ἐπέθηκα φόβον;

me svergognato, perché ti ho imposto tale terrore?

Cidippe sta per essere data in sposa a un altro, ma il pallore che l’epilessia span-
de sul volto della ragazza ogni volta che si apprestino nuove nozze induce il
padre a consultare l’oracolo di Apollo: la rivelazione del segreto dopo la consul-
tazione dell’oracolo conduce la vicenda al lieto fine con gli imenei intonati dalle
coetanee di Cidippe e la notte nuziale. Dall’unione dei due giovani trae origine la
nobile stirpe degli Aconziadi, ancora rinomati a Iulis, nell’isola di Ceo, al tempo
del poeta.

fr. 75 1-9
Ἤδη καὶ κούρῳ παρθένος εὐνάσατο,
τέθμιον ὡς ἐκέλευε προνύμφιον ὕπνον ἰαῦσαι
ἄρσενι τὴν τᾶλιν παιδὶ σὺν ἀμφιθαλεῖ.
Ἥρην γάρ κοτέ φασι – κύον, κύον, ἴσχεο, λαιδρέ
5 θυμέ, σύ γ’ ἀείσῃ καὶ τά περ οὐχ ὁσίη·
ὤναο κ̣άρτ̣’ ἕνεκ’ οὔ τι θεῆς ἴδες ἱερὰ φρικτῆς,
ἐξ ἂν ἐπεὶ καὶ τῶν ἤρυγες ἱστ̣ορίην.
Ἦ πολυιδρείη χαλεπὸν κακόν, ὅστις ἀκαρτεῖ
γλώσσης· ὡς ἐτεὸν παῖς ὅδε μαῦλιν ἔχει.

e già col fanciullo aveva giaciuto la vergine,


come il rito prevede, che dorma alla vigilia di nozze
la fidanzata con un ragazzo che abbia vivi il padre e la madre.
Dicono infatti che Hera una volta... Cane, cane, fermati, sfrontato
mio cuore! Vorresti cantare anche quel che è peccato.
Callimaco

5
Fortuna che non hai visto i riti della dea che dà i brividi:
avresti rigurgitato anche la loro storia!
Ah, ricca dottrina è una grave disgrazia, per chi non ha freno
alla lingua: proprio come un bambino che ha in mano un coltello.
ACONZIO E CIDIPPE 229
Ecco, appunto, la voce del poeta insinuarsi insistente, talora persino petulante,
in ogni interstizio del racconto per interrompere e dire la sua. Di per sé la storia
non è un aition (se non in quanto, come si sottolinea in fr. 75, 50-52, da Acon-
zio e Cidippe discende il genos degli Aconziadi, che tuttora «numerosi e onorati
abitano a Iulis»). Ma, proprio perché si tratta di un aition mancato all’interno
degli Aitia, l’elemento eziologico vien fatto riaffiorare incidentalmente con un
riferimento (fr. 75, 1 ss.) a quel costume matrimoniale degli Elei che, sul modello
dell’unione fra Era e Zeus, prevedeva che la nubenda dormisse la notte preceden-
te le nozze «con un ragazzo cui fossero in vita il padre e la madre». E tuttavia,
con un gesto di autoironia elaborato con l’associare una citazione da Eraclito sui
danni della πολυμαθίη (B 76 D.-K.: «Molto sapere non insegna ad aver senno»)
a un’espressione proverbiale («È proprio come dare un coltello a un bambino»),
il poeta blocca se stesso, alle soglie dell’aition, con uno squillante rimprovero
(«Cane, cane, fermati, sfrontato / mio cuore! Vorresti cantare anche quel che è
peccato»), fingendo uno scrupolo religioso a raccontare degli amori di Era. Viene
qui riproposto giocosamente quel procedimento di ascendenza pindarica per cui
il cantore prendeva le distanze da una storia tradizionale ritenuta empia (cfr. ad
es. Pindaro, Olimpica IX 35 ss.: «Questo racconto,/ o bocca, rigetta fuori di me!/
Insultare gli dèi/ è sapienza perversa...»).

fr. 75 10-77
10 Ἠῷοι μὲν ἔμελλον ἐν ὕδατι θυμὸν ἀμύξειν
οἱ βόες ὀξεῖαν δερκόμενοι δορίδα·
δειελινὴν τὴν δ’ εἷλε κακὸς χλόος, ἦ̣λθε̣ δὲ νοῦσος,
αἶγας ἐς ἀγριάδας τὴν ἀποπεμπόμεθα,
ψευδόμενοι δ’ ἱερὴν φημίζομεν· ἣ τότ’ ἀνιγρή
15 τὴν κούρην Ἀ̣[ίδ]ε̣ω μέχρις ἔτηξε δόμων.
Δεύτερον ἐστόρνυντο τὰ κλισμία, δεύτερον ἡ π̣α̣[ῖ]ς̣
ἑπτὰ τεταρταίῳ μῆνας ἔκαμνε πυρί.

10 All’alba i buoi dovevano lacerarsi l’animo


vedendo riflessa nell’acqua la lama affilata,
ma a vespro la prese un cattivo pallore, e giunse quel morbo
che scacciamo via sulle selvatiche capre,
e, bugiardi, “sacro” chiamiamo; e, funesto,
15 consumò la fanciulla fino alla casa di Ade.
Ancora una volta fu steso il giaciglio: ancora una volta la giovane
di fuoco quartano per sette mesi soffrì.
Callimaco

15 Ἀ̣ [ ίδ]ε̣ ω … δόμων: dopo la di- un’ardita trasposizione, la scena è pro- – da un attacco del morbo “sacro” (epi-
gressione, riprende la narrazione delle posta dal punto di vista degli animali, lessia), che secondo una credenza popo-
vicende di Cidippe: tutto è pronto per che vedono riflessa nell’acqua lustrale lare si cacciava trasmettendolo alle capre
il rito nuziale e al mattino si debbono la lama destinata a immolarli), ma a sera selvatiche.
compiere le immolazioni bovine (con la fanciulla è colta – fin quasi a morirne
230 AITIA
Τὸ τρίτον ἐμνήσαντο γάμου κά̣τ̣α̣, τ̣ὸ τρίτον αὖ̣τ̣[ις
Κυδίππην ὀλοὸς κρ̣υμὸς ἐσῳκίσατο.
20 Τέτρατον [ο]ὐκέτ’ ἔμεινε πατὴρ ἐ....φ̣..ο̣...[
Φοῖβον· ὁ δ’ ἐμμύχιον τοῦτ’ ἔπος ηὐδάσατο·
«Ἀρτέμιδος τῇ παιδὶ γάμον βαρὺς ὅρκος ἐνικλᾷ·
Λύγδαμιν οὐ γὰρ ἐμὴ τῆμ̣ος̣ ἔκηδε κάσις
οὐδ’ ἐν Ἀμυκλαίῳ θρ̣ύ̣ο̣ν̣ ἔπλεκεν οὐδ’ ἀπὸ θήρης
25 ἔκλυζεν ποταμῷ λ̣ύ̣μ̣ατα Παρθενίῳ,
Δήλῳ δ’ ἦν ἐπίδημος, Ἀκόντιον ὁππότε σὴ παῖς
ὤμοσεν, οὐκ ἄλλον, νυμφίον ἑξέμεναι.
Ὦ̣ Κ̣ή̣υξ, ἀλλ’ ἤν με θέλῃς συμφράδμονα θέσθαι,
..]ν.. τελευτήσεις ὅρκια θυγατέρος·
30 ἀργύρῳ οὐ μόλιβον γὰρ Ἀκόντιον, ἀλλὰ φαεινῷ
ἤλεκτρον χρυσῷ φημί σε μειξέμεναι.
Κοδρείδης σύ γ’ ἄ̣ν̣ω̣θεν ὁ πενθερός, αὐτὰρ ὁ Κεῖος
γαμβρὸς Ἀρισταίου [Ζη]ν̣ὸς ἀφ’ ἱερέων
Ἰκμίου οἷ̣σ̣ι̣ μέμ[η]λεν ἐπ’ οὔρεος ἀμβώνεσσιν

Una terza volta pensarono alle nozze: una terza volta di nuovo
un gelo letale invase Cidippe.
20 Non attese il padre la quarta volta [ma si recò]
da Febo: ed egli disse dall’antro questa parola:
«Giuramento grave per Artemide impedisce alla fanciulla le nozze:
perché non infieriva su Ligdami mia sorella in quel tempo
né giunchi intesseva ad Amicle né, dopo la caccia,
25 si lavava nell’acqua del fiume Partenio,
ma era in visita in Delo, quando tua figlia giurò che Aconzio,
non altri, avrebbe avuto a suo sposo.
Ma, Ceuce, se vuoi il mio consiglio,
(...) porta a termine il giuramento di tua figlia.
30 Perché non come piombo ad argento Aconzio, ma come elettro
ad oro splendente, ti dico, a lei unirai.
Tu, il suocero, discendi da Codro, ma lo sposo
di Ceo dalla stirpe dei sacerdoti di Zeus Aristeo
Rugiadoso, di quelli cui spetta, sulle vette del monte,

18 Τὸ τρίτον: la scena si ripete per 25 ποταμῷ … Παρθενίῳ: condottie- 28 Κ̣ή̣υξ: è il padre di Cidippe.
tre volte: Cidippe viene colta prima da una ro dei Cimmeri, Ligdami aveva minaccia-
febbre quartana che dura sette mesi, poi, to il saccheggio del tempio di Artemide a 31 ἤλεκτρον: «elettro», lega di oro
Callimaco

per contrasto, da una sorta di assideramen- Efeso (cfr. Inno ad Artemide 251 ss.); ad e argento. La metafora fa riferimento al-
to che ostacola ancora le nozze. Amicle, sull’Eurota, presso Sparta, sorgeva le leghe metalliche con cui si coniavano
un santuario di Apollo in cui era venerata le monete: l’unione fra Aconzio e Cidip-
21 ἐμμύχιον: «nell’antro» da cui l’oracolo anche la sorella Artemide; il fiume Parte- pe sarà pregiata come elettro, e non di
di Delfi emetteva i suoi verdetti; è correzione nio («Virginale») è collocato dagli scolî in bassa qualità come la lega di piombo e
del Pohlenz per il tradito ἐννύχιον «notturno». Paflagonia. argento.
ACONZIO E CIDIPPE 231
35 πρηΰνειν χαλ[ε]πὴν Μαῖραν ἀνερχομένην,
αἰτεῖσθαι τὸ δ’ ἄημα παραὶ Διὸς ᾧ τ̣ε̣ θαμεινοί
πλήσσονται λινέ̣αις ὄρτυγες ἐν νεφέλαις».
Ἦ θεός· αὐτὰρ ὁ Νάξον ἔβη πάλιν, εἴρετο δ’ αὐτήν
κούρην, ἡ δ’ ἀν’ ἐτῶ̣ς̣ πᾶν ἐκάλυψεν ἔπος
40 κἦν αὖ σῶς· ..[.] λοιπόν, Ἀκόντιε, σεῖο μετελθεῖν
......η̣νιδιην ἐς Διονυσιάδα.
Χἠ θεὸς εὐορκεῖτο καὶ ἥλικες αὐτίχ’ ἑταίρης
εἶπον ὑμηναίους οὐκ ἀναβαλλομένους.
Οὔ σε δοκέω τημοῦτος, Ἀκόντιε, νυκτὸς ἐκείνης
45 ἀντί κε, τῇ μίτρης ἥψαο παρθενίης,
οὐ σφυρὸν Ἰφίκλειον ἐπιτρέχον ἀσταχύεσσιν
οὐδ’ ἃ Κελαινίτης ἐκτεάτιστο Μίδης
δέξασθαι, ψήφου δ̣’ ἂν ἐμῆς ἐπιμάρτυρες ε̣ἶ̣ε̣ν̣
οἵτινες οὐ χαλεποῦ νήιδές εἰσι θεοῦ.
50 Ἐκ δὲ γάμου κείνοιο μέγ’ οὔνομα μέλλε νέεσθαι·
δὴ γὰρ ἔθ’ ὑμέτερον φῦλον Ἀκοντιάδαι

35 placare il sorgere di Mera feroce,


e invocare da Zeus il vento per cui fitte
le quaglie si impigliano nelle nubi di lino».
Disse il dio. Quello tornò a Nasso e interrogò la stessa
sua figlia. Lei rivelò sincera ogni cosa
40 e fu salva di nuovo. E a te resta, o Aconzio, di raggiungere
[...] l’isola di Dioniso.
Fu rispettato il giuramento per la dea, e le coetanee subito
dissero per l’amica i non più ritardati imenei.
Non credo che allora, Aconzio, in cambio di quella
45 notte in cui toccasti la virginale cintura,
il tallone di Ificle, che correva in cima alle spighe,
o quanto arricchì Mida di Celene
avresti accettato: e tale giudizio sarà sottoscritto
da chi non è ignaro del dio crudele.
50 Da quell’unione gran nome doveva venire:
ancora, sangue vostro, gli Aconziadi

37 λινέ̣αις … ἐν νεφέλαις: secondo percussioni di scudi, invocano l’arrivo dei zio con l’invito a recarsi all’isola di Nasso per
quanto rivela l’oracolo, Aconzio appartie- venti etesî, che periodicamente soffiano da sposare Cidippe segna la fine della narrazio-
ne a una stirpe sacerdotale dedita al culto nord-ovest durante l’estate nell’Egeo e ac- ne della storia d’amore, per lasciare il posto
Callimaco

di Zeus Ikmios («Piovoso»), introdotto du- compagnano migrazioni di uccelli («nubi» alla sezione mitologica delle vicende di Ceo.
rante una pestilenza a Ceo dall’eroe pasto- al v. 37 è termine tecnico per ragne adope-
rale Aristeo, figlio di Apollo e Cirene; Zeus rate nella caccia ai volatili). 49 χαλεποῦ … θεοῦ: Eros. A lui ce-
e l’astro canicolare Sirio (qui identificato dono tanto il desiderio di ricchezze (Mida)
con Mera, il mitico cane di Erigone), che 40-41 Ἀκόντιε … Διονυσιάδα: l’«iso- quanto quello dell’eccellenza fisica (Ificle
venivano propiziati con danze militari e la di Dioniso» è Nasso. L’apostrofe ad Acon- era eroe di proverbiale velocità).
232 AITIA
πουλύ τι καὶ περίτιμον Ἰουλίδι ναιετάουσιν,
Κεῖε, τεὸν δ’ ἡμεῖς ἵμερον ἐκλύομεν
τόνδε παρ’ ἀρχαίου Ξενομήδεος, ὅς ποτε πᾶσαν
55 νῆσον ἐνὶ μνήμῃ κάτθετο μυθολόγῳ,
ἄρχμενος ὡς νύμφῃσι[ν ἐ]ναίετο Κωρυκίῃσιν,
τὰς ἀπὸ Παρνησσοῦ λῖς ἐδίωξε μέγας,
Ὑδροῦσσαν τῷ καί μιν ἐφήμισαν, ὥ̣σ̣τ̣ε Κιρώ̣[δης
.]ο̣.. θ̣υσ̣[.]τ̣ο̣.. ᾤκεεν ἐν Καρύαις·
60 ὥ]ς τέ μιν ἐννάσσαντο τέων Ἀλαλάξιος αἰεί
Ζεὺς ἐπὶ σαλπίγγων ἱρὰ βοῇ δέχεται
Κᾶρες ὁμοῦ Λελέγεσσι, μ̣ε̣τ̣’ οὔνομα δ’ ἄλλο βαλ̣έσ̣θ̣[αι
Φοίβου καὶ Μελίης ἶνις ἔθηκε Κέως·
ἐν δ’ ὕβριν θάνατόν τε κεραύνιον, ἐν δὲ γόητας
65 Τελχῖνας μακάρων τ’ οὐκ ἀλέγοντα θεῶν
ἠλεὰ Δημώνακτα γέρων ἐνεθήκατο δέλτ[οις
καὶ γρηῢν Μακελώ, μητέρα Δεξιθέης,
ἃς μούνας, ὅτε νῆσον ἀνέτρεπον εἵνεκ’ ἀλ̣[ι]τ̣[ρῆς
ὕβριος, ἀσκηθεῖς ἔλλιπον ἀθάνατοι·

numerosi e onorati abitano a Iulis,


o Ceio, e noi apprendemmo di questa tua passione
dall’antico Xenomede, che un tempo tutta
55 l’isola incluse in memoria di storie,
cominciando come fu abitata dalle ninfe Coricie,
che dal Parnaso un grande leone scacciò,
e fu perciò chiamata Hydrussa, e come Kirode (?)
(...) abitò a Carie;
60 e come vi si insediarono quelli da cui sempre i sacrifici
al suono di trombe Zeus Alalaxio riceve,
i Cari e i Lelegi insieme, e come il nome Ceo le fece
cambiare, rampollo di Febo e di Melia.
E l’empietà e la morte da folgore, e i maghi
65 Telchini, e, sprezzante degli dei beati,
lo stolto Demonatte: tutto questo il vecchio mise nel libro;
e la vecchia Macelo, madre di Dexith,
loro sole, quando travolsero l’isola per la sacrilega
empietà, gli immortali lasciarono illese;
Callimaco

55 ἐνὶ μνήμῃ … μυθολόγῳ: la cro- lieve virtuosismo Callimaco fa dell’in- 58 Ὑδροῦσσαν: «Acquosa».
naca di Xenomede (V secolo a.C.) dove- tera mitistoria di Ceo una compendiosa
va abbracciare in gran parte tradizioni appendice alla narrazione delle peripezie 59 ἐν Καρύαις: sono note numerose
di carattere mitico ed essere incentra- amorose dei due giovani» (G.B. D’Ales- località dal nome Karyai («Nocciole»), la
ta sulla storia e le genealogie delle più sio). più nota delle quali, in Laconia, era sede di
importanti famiglie dell’isola. «Con un un importante tempio di Artemide.
LA CHIOMA DI BERENICE 233
70 τέσσαρας ὥς τε πόληας ὁ μὲν τείχισσε Με̣γ̣α̣κ̣[λ]ῆ̣ς̣
Κάρθαιαν, Χρυσοῦς δ’ Εὔπ[υ]λος ἡμιθέης
εὔκρηνον πτολίεθρον Ἰουλίδος, αὐτὰρ Ἀ̣κα̣ῖ̣[ος
Ποιῆσσαν Χαρίτων ἵ̣δ̣ρ̣υμ’ ἐυπλοκάμων,
ἄστυρον Ἄφραστος δὲ Κορή[ς]ιον, εἶπε δ̣έ̣, Κ̣ε̣ῖ̣ε̣,
75 ξυγκραθέντ’ αὐταῖς ὀξὺν ἔρωτα σέθεν
πρέσβυς ἐτητυμίῃ μεμελημένος, ἔ̣ν̣θεν̣ ὁ π̣α̣[ι]δ̣ός
μῦθος ἐς ἡμετέρην ἔδραμε Καλλιόπην.

70 e come quattro città eressero: Megacle eresse


Cartea, Eup[i]lo, figlio di Chrysò (?) divina,
la cittadella di Iulis, ricca di fonti, ed Aceo
Peessa, sede delle Cariti dai riccioli belli,
e Afrasto il borgo di Coresia. E disse, o Ceio,
75 a queste mescendolo, l’aspro tuo amore,
il vecchio, con scrupolo di verità, donde della giovane (?)
la storia discese fino alla nostra Calliope corse.
[Tr. di G.B. D’Alessio]

analisi del testo


Storia erudita… trusione di erudito o al gioco che egli conduce con la vicenda e
Non meno ironicamente la Musa del poeta, la «nostra Calliope» con i personaggi. Esso si manifesta sul piano stesso del raccon-
(fr. 75, 77), si smaschera per ciò che oggettivamente è, una fon- tare, ad esempio allorché l’attesa delle nozze comporta l’as-
te erudita (fra l’altro, con significativo riecheggiamento verba- sunzione di un punto di vista decisamente sorprendente, con
le fra l’ἐνὶ μνήμῃ κάτθετο μυθολόγῳ «incluse in memoria di l’improvvisa messa a fuoco (fr. 75, 10 s.) dei buoi che «all’alba
storie», riferito alla fonte erudita, di fr. 75, 55 e l’ἐνὶ μ]νήμῃ dovevano lacerarsi l’animo/ vedendo riflessa nell’acqua la la-
κάτθεο «poniti a mente» con cui nel I libro [fr. 7, 24] proprio ma affilata» (e col riuso, per gli animali destinati al sacrificio,
Calliope si rivolgeva al poeta); e la sezione finale del compo- di un nesso, θυμὸν ἀμύξειν «lacerarsi l’animo», di illustre
nimento viene addirittura dedicata a un sunto di questa fonte, ascendenza epica: σὺ δ᾽ ἔνδοθι θυμὸν ἀμύξεις «e tu dentro
cioè l’opera di uno storico locale di Ceo vissuto nel V secolo (Xe- lacererai il cuore» aveva detto Achille ad Agamennone al v. 243
nomede), quasi che da ultimo la favola bella dei due giovani del I canto dell’Iliade), o quando più oltre (vv. 30 ss.) un Apol-
innamorati debba tornare fra le volute del rotolo raro a cui il lo insolitamente loquace raccomanda al padre della ragazza
poeta l’aveva attinta. «Nel rovesciamento della sequenza cre- l’unione con Aconzio sfruttando il doppio paragone metallico
ativa tradizionale – ha scritto L. Lehnus – Callimaco mostra di (negativo e positivo) con due leghe di ben diverso valore, quel-
muoversi dal libro all’ispirazione, in un’epica della scrittura [...] la fra piombo e argento e quella fra oro e argento (l’elettro).
che fa della razionalità verbale (metrica, dialettale, sintattica) il Immagini strane, erudizione invadente, distaccata freddezza,
veicolo di una ricerca folclorica ai limiti dello stile romantico». ritmi sconcertanti... un vero infortunio, in termini classicistici:
in realtà, una risposta audace e inventiva, un volo di fantasia
… E straniamento narrativo commisurato agli spazi consentiti dai sempre più affollati scaf-
Né lo straniamento ricercato da Callimaco si limita alla sua in- fali che custodivano i tesori del passato.
Callimaco

T. 5 La Chioma La Chioma di Berenice fu composta da Callimaco dopo le nozze di Tolomeo III


di Berenice Evergete con la cugina Berenice, figlia di Magas di Cirene (gennaio del 246 a.C.)
e dopo il ritorno dello stesso Tolomeo (estate-autunno del 245) dalla spedizione
in Siria contro Antioco II, nel corso della terza guerra siriaca (246-241).
234 AITIA
In ringraziamento per il ritorno del marito, Berenice consacrò agli dèi un ricciolo
della sua chioma nel tempio di Afrodite Arsinoe Zefiritide. Quando, subito dopo,
il ricciolo scomparve dal tempio, l’astronomo di corte Conone di Samo dichiarò
che era assurto in cielo e diede il nome di Chioma di Berenice a un gruppo di stelle
ancora senza nome situate fra la costellazione del Leone e quella della Vergine.
Pubblicata in forma autonoma, la Chioma fu poi inserita nella seconda edizione
degli Aitia come ultimo componimento dell’ultimo libro, prima del congedo.

Aitia, fr. 101 Dopo aver studiato nei disegni tutto il cielo, come ruotano
Pfeiffer ........................................
7 Conone vide in cielo me, di Berenice
ricciolo, che essa offrì a tutti gli dèi
........................................
40 giurai per il tuo capo e la tua vita
........................................
... [il monte su cui]
il discendente di Tia passa rasserenante,
45 cuspide di tua madre Arsinoe, e attraverso
l’Athos procedettero le navi funeste dei Medi.
Che possiamo fare noi trecce, quando tali montagne al ferro
cedono? Oh, possa perire la stirpe dei Calibi,
che lo mostrarono sorgente dalla terra, cattiva pianta,
50 per primi, ed insegnarono il lavoro dei martelli.
Da poco le chiome sorelle rimpiangevano me appena recisa,
ed ecco subito il fratello dell’etiope Memnone,
vento femmineo, si affrettava ruotando le ali variopinte,
cavallo locrese di Arsinoe dalla cintura violetta:
55 con un soffio mi sospinse, e per l’aria umida portandomi
nel puro grembo della dea di Cipro mi depose tosto.
Lo mandò per [tale] incarico la stessa dea dello Zefirio,
[...] abitatrice della spiaggia di Canopo,

40 giurai … la tua vita: «La chioma ri- re tracio) alla penisola calcidica fu fatto 54 cavallo locrese: peregrina qualifica-
prende la formula ufficiale di giuramento tagliare da Serse, durante la spedizione zione dello stesso Zefiro che, «soffiando da
per i sovrani. È naturalmente implicazione contro la Grecia, per creare un canale che occidente, cioè dalla costa ionica della Ca-
giocosa il fatto che a giurare per la testa consentisse il transito delle sue triremi (cfr. labria dove si trovano Λοκροὶ οἱ ἐπιζεφύ-
siano i capelli, con meccanismo analogo a Erodoto VII 22-24). ριοι, solleva in volo la chioma di Berenice
quello che fa giurare Apollo per se stesso in come famulus della dea-regina venerata nel
Aitia, fr. 114, 5» (G.B. D’Alessio). 48 Calibi: popolazione, generalmente santuario detto appunto Zefirio» (N. Mari-
collocata in Scizia, a cui si riconduceva none).
43 il discendente di Tia: Il vento Borea, l’origine dell’estrazione e della lavorazio-
figlio di Astreo e di Aurora (figlia di Ipe- ne del ferro. 56 nel puro grembo: si tratta di Afro-
rione e di Tia). dite-Arsinoe, cioè di Arsinoe, moglie di
52 fratello dell’Etiope: Zefiro, figlio di Tolomeo II, divinizzata come Afrodite-Ar-
Callimaco

45 Arsinoe: Arsinoe, al tempo in cui era Astreo e di Aurora (mentre Memnone era sinoe-Zefirite e venerata come protettrice
moglie di Lisimaco, era stata regina di Tra- figlio della stessa Aurora e di Titono). dei naviganti, non come dea d’amore, in un
cia. tempietto edificato dal navarca Callicrate
53 vento femmineo: è detto femmineo verso il 273 su una punta detta Zefirio lun-
46 navi funeste dei Medi: l’istmo che perché fecondo. go il litorale che verso est raggiungeva il
unisce il monte Athos (sulla costa del ma- porto nilotico di Canopo.
LA CHIOMA DI BERENICE 235
affinché della sposa figlia di Minosse non [...]
60 soltanto [la corona] d’oro sugli uomini,
onorata fra molte luci, ma risplendessi
anch’io, bella treccia di Berenice.
Me che lavandomi nell’acqua salivo fra gli immortali
la dea di Cipro collocò come nuova costellazione fra le antiche;
65 ........................................
........................................
procedendo dinanzi ... verso l’Oceano
........................................
Ma anche se per tutta la notte mi calcano piedi di dèi
70 ... alla biancheggiante Teti ...
non adirarti, o vergine di Ramnunte: non tratterrà
nessun bue la mia parola ...
... il mo ardire altre stelle
........................................
75 ciò non mi fa tanto piacere quanto
sono rattristata di non potere più toccarle il capo,
da cui quando ero ancor virginale ho sorbito molti
78 semplici unguenti, ma non usufruii di profumi da donna.
........................................
........................................
90 ........................................
........................................
........................................
........................................
94 con successione alternata risplenderebbero Acquario ed Orione.
[Tr. di N. Marinone]

59 la sposa figlia di Minosse: Arianna fi- 70 la biancheggiante Teti: il mare è in- della Vergine.
glia di Minosse: fuggita da Creta con Teseo, dicato come «la biancheggiante Teti» (la
fu da questi abbandonata sulla spiaggia di sposa di Oceano). Secondo un’antica cre- 72 non tratterrà nessun bue la mia pa-
Nasso, dove fu trovata da Dioniso, che la denza popolare durante il giorno le stelle rola: espressione proverbiale (cfr. ad es.
sposò donandole una corona d’oro che poi il si trovavano sotto il mare. Teognide 815, Eschilo, Agamennone 36)
dio trasformò, dopo la morte di Arianna, in di origine oscura: forse derivante dal bue
una costellazione (Corona) a est di Boote e a 71 vergine di Ramnunte: Nemesi, ono- come conio della moneta che doveva pa-
nord del Serpente. rata nel santuario di Ramnunte (un demo gare come multa chi abusasse della liber-
dell’Attica sulla costa prospiciente l’Eu- tà di parola.
64 la dea di Cipro: Afrodite-Arsinoe. bea) e identificata con la costellazione

analisi del testo


L’originale callimacheo è leggibile con continuità solo in due e proprio catasterismo (vv. 51-69). La distanza tra i due lon-
Callimaco

zone, ma dal confronto con la rielaborazione catulliana possia- tanissimi mondi, quello terreno e quello astrale, è accentuata
mo individuare la struttura e il taglio ideologico del componi- da una palpabile differenza di tono: la leziosa bonomia che il
mento: «L’elegia – ha scritto Valeria Gigante Lanzara – risulta poeta ostenta a proposito delle azioni della regina, lascia il
costituita da due parti, delle quali l’una, più estesa e impor- posto, nei versi dedicati alle stelle, al dispiegamento di erudite
tante (vv. 1-50 e 70-94), racchiude, come in cornice, il vero raffinatezze. Il mondo di Berenice è pervaso da un femmineo
236 ECALE

languore che trova in Catullo un interprete impareggiabile. Vi del letto solitario, la preghiera per il ritorno dell’amato. Anche
domina il segno dell’amore che spinge Selene dal suo corso ce- la condanna del ferro, mala pianta trovata dai Calibi, oppone
leste ai furtivi incontri tra le rocce del Latmo e induce la sposa alle maschie opere d’officina e di guerra la dolcezza di un mon-
a promettere a tutti gli dèi l’ornamento più bello, i riccioli della do che non conosce il ferro neppure per tagliare una chioma.
sua chioma. La virile figura del re, vittorioso in guerra e impe- Alla gloria del firmamento la chioma preferisce il capo della
tuoso in amore, racchiusa in un unico distico, pone in risalto, sua regina; la nostalgia della persona regale è anche rimpian-
per contrasto, la morbidezza delle immagini di cui è intessuta to di beni perduti, dei profumi femminili mai goduti, perché
l’elegia: le lacrime delle fanciulle spaventate dall’evento nuzia- la giovane Berenice preferiva, come la dea Pallade, semplici
le, le lacrime amorose di Berenice ormai donna, la malinconia essenze».

Fortuna La Chioma da Catullo al Foscolo


Catullo dovette trovare innanzi tutto nella Chioma callimachea, «rifacendola» nel suo carme LXVI,
un testo esemplare su cui esercitare il suo talento di poeta doctus, ma verosimilmente anche i temi
toccati da Callimaco dovettero operare una loro suggestione nel sollecitarlo alla difficile aemulatio.
Il Foscolo, nella stagione neoclassica, pubblicò il suo «volgarizzamento» (e commento) della Chioma
di Berenice catulliana nel 1803, e tra le motivazioni della genesi afferma, tra l’altro: «Né mi sarei accinto
a farla da commentatore se in questa infelice stagione non avessi bisogno di distrarre come per medicina
la mente ed il cuore dagli argomenti pericolosi a’ quali attendo per istituto. Così Catullo sebbene
per la tristezza allontanato dalle vergini Muse, tentava nondimeno l’obblio della sua sciagura, traducendo
per Ortalo questo medesimo poemetto. E me pure confortò la brevità di questi versi; e mi strinse la loro
meravigliosa bellezza […]». Puoi leggere on line i due testi, introdotti e commentati.

Ecale
P roponiamo ora alcuni frammenti tratti da Ecale, in una successione che con-
senta di individuare, almeno a grandi linee, l’andamento narrativo di questo
capolavoro callimacheo, che ha aperto la strada al genere dell’epillio, inauguran-
do un modo nuovo di trattare la materia epica. I frammenti che ci sono pervenuti
lasciano intravedere solo alcuni sprazzi di quest’opera straordinaria, che tanti am-
miratori, imitatori e lettori ha avuto fino alla perdita definitiva del testo (avvenuta
nel 1205, in occasione del sacco di Costantinopoli, nel corso della IV Crociata).

Diegesis Hecalae Ricaviamo la trama dell’epillio da un antico commento:

Θησεὺς φυγὼν τὴν ἐκ Μηδείης ἐπιβουλὴν διὰ πάσης ἦν φυλακῆς τῷ


πατρὶ Αἰγεῖ, ἅτ’ αἰφνίδιον ἀνακομισθὲν ἐκ Τροιζῆνος μειράκιον αὐτῷ
οὐ προσδοκήσαντι. Βουλόμενος δ’ ἐπὶ τὸν λυμαινόμενον τὰ περὶ Μα-

Teseo, scampato al complotto di Medea, era sorvegliato in ogni modo dal padre
Egeo, che, senza affatto aspettarselo, se lo era improvvisamente visto tornare da Tre-
Callimaco

zene1 giovinetto. Voleva andare a domare il toro che devastava la zona di Maratona,

1 da Trezene: Callimaco segue la ver- di Trezene. Tornato ad Atene prima della avuti da Giasone (cfr. Medea di Euripide).
sione del mito secondo cui padre di Teseo nascita del figlio, avrebbe ospitato Medea, Arrivato all’età giovanile, Teseo ritorna ad
è Egeo, unitosi a Etra, figlia di Pitteo re fuggita da Corinto dopo la strage dei figli Atene, dove Medea cerca di avvelenarlo,
DIEGESIS HECALAE 237
ραθῶνα ταῦρον ἐξελθεῖν ὅπως χειρώσαιτο, καὶ εἰργόμενος, κρύφα
τῆς οἰκίας ἐξελθὼν περὶ ἑσπέραν ἀπῆρεν. Αἰφνίδιον δὲ ὑετοῦ ῥαγέ-
ντος κατ’ ἐσχατιὰν οἰκίδιον θεασάμενος Ἑκάλης τινὸς πρεσβύτιδος
ἐνταῦθα ἐξενοδοκήθη. Πρὸς δὲ τὴν ἕω ἀναστὰς ἐξῄε̣ι ἐπὶ τὴν χώραν,
χειρωσάμενος δὲ τὸν ταῦρον ἐπανῄει ὡς τὴν Ἑκάλην· αἰφνίδιο̣ν̣ δὲ̣ ταύ-
την εὑρὼν τεθνηκυῖαν ἐπιστε[νάξ]ας ὡς ἐψευσμένος τῆς προσδο̣κίας,
ὃ ἐφ[....]εν μετὰ θάνατον εἰς ἀμοιβὴν τῆς ξενίας τ̣α̣ύ̣τῃ παρασχέσθαι,
τοῦτο ἐπετέλεσεν δ[ῆ]μ̣ον συνστησάμενος ὃν̣ ἀ̣π’ αὐτῆς ὠνόμα̣[σ]εν,
καὶ τέμενος ἱδρύσατο Ἑκαλείου Δι̣[ό]ς.

e, poiché ne era impedito, di nascosto uscì di casa verso sera e si mise in cammino.
Quando improvvisamente scoppiò un temporale, vide ai piedi della montagna la
casetta di Ecale, una vecchia, e vi trovò ospitalità. Levatosi verso l’alba uscì diretto
ai campi e, dopo aver domato il toro, tornò da Ecale; ma trovò che questa era mor-
ta all’improvviso, e lamentando la delusione delle sue speranze, quello che [aveva
promesso] di offrirle in cambio dell’ospitalità lo compì dopo la morte riunendo la
comunità2 cui diede il nome da quella, e costruì un santuario di Zeus Ecaleio.
[Tr. di G.B. D’Alessio]

ma il tentativo è scoperto e sventato da lare il figlio. la: si doveva trattare di un demo attico (a
Egeo, che da quel momento assume un at- noi altrimenti sconosciuto) cui Teseo attri-
teggiamento di massima prudenza per tute- 2 la comunità cui diede il nome da quel- buisce il nome di Ecale.

Per saperne di più


l’epillio: breve storia di un genere discusso
Il termine ἐπύλλιον compare con valore proprio di «versetto», delle Muse, (…) costante un breve proemio, un breve riassunto,
diminutivo di «verso», in Aristofane, cfr. Ach. 398 Ὁ νοῦς μὲν frequente un breve commento finale. Contrassegno stilistico, la
ἔξω ξυλλέγων ἐπύλλια «la mente è fuori a raccogliere ver- raffinata eleganza del linguaggio».
setti»; col senso invece di «poemetto» compare in Ateneo (II Il primo importante esempio di questo nuovo genere sarebbe
65a ὅτι τὸ εἰς Ὅμηρον ἀναφερόμενον ἐπύλλιον), ma non è appunto stato l’Ecale di Callimaco. La definizione suscitò subito
chiaro se si tratti di un semplice diminutivo di ἔπος, inteso ora un acceso dibattito, per altro non ancora concluso, sulla reale
come «poema epico», o stia ad indicare un genere letterario a esistenza di un genere a sé stante, definibile come «epillio».
sé. Quest’ultimo uso tecnico del vocabolo pare da farsi risalire a L’Ecale di Callimaco – considerato massima espressione dell’epillio
un filologo ottocentesco, F.A. Wolf, in riferimento all’Aspis pseu- ellenistico – ci è giunto, come già osservato, solo in modo fram-
do esiodeo, ripreso poi ai primi del Novecento da J. Heumann, mentario. Una prima ricostruzione fu tentata già dal Poliziano (Mi-
che nel suo lavoro De epyllio alexandrino, adopera il termine per scellanea I, cap. XXIV), mentre in epoca moderna a ridare ordine
indicare i «carmina narrativa parva, exceptis elegiacis». Come os- ai vari frammenti è R. Bentley, che pubblica il suo studio nel 1697.
serva F. M. Pontani, caratteri propri del genere sarebbero «una Tale opera dà il via a una rinascita dell’interesse per il poemetto,
sostanziale unità … anche in presenza di una pluralità di per- con una lunga serie di edizioni di vario livello, fino a quella di O.
sonaggi (spesso due) e pur con l’ammissione di digressioni ed Schneider (Callilmachea, Leipzig 1870-73), a lungo considerata di
ἐκφράσεις talora estese. (…) Presenta inoltre una continuità riferimento. Col tempo il numero dei frammenti attribuiti al po-
narrativa, trattando in ordinata successione i momenti dell’azio- emetto andò crescendo, soprattutto grazie allo studio di Hecker
ne a misura che si verificano; fa posto a descrizioni ambientali (1842), che consentì di assegnare alla nostra opera alcuni esame-
Callimaco

e concede larga parte ai discorsi». Pieno di erudizione, l’epillio tri anonimi testimoniati dalla Suda. A lui si rifà il più grande edi-
tratta di mitologia, senza però eccedere nel favoloso; sviluppa tore di Callimaco, Rudolf Pfeiffer, che negli anni 1949-53 pubblica
l’elemento eziologico, con quadri di carattere familiare, buco- un’edizione integrale del poeta alessandrino, rimasta canonica
lico e idillico. Centrale è il sentimento d’amore. «Dal punto di fino a oggi, salvo che per l’Ecale, per cui possiamo ora far rife-
vista formale – osserva ancora Pontani –, ipotizza l’invocazione rimento al lavoro di A. Hollis (Callimachus. Hecale, Oxford 1990).
238 ECALE
T. 6 Inizia Dell’Ecale possediamo il verso iniziale (fr. 1 Hollis), che si discosta in maniera
la «favola» evidente dalla maniera del proemio epico: nessuna invocazione alla Musa, ma
solo una vaga determinazione temporale dai toni fiabeschi, ποτε, «una volta»,
che presenta la «donna attica» protagonista. Si tratta di un incipit che non ha
precedenti nella poesia epica, ma attestato già in Bacchilide XX (è un ditirambo)
e che diventerà caratteristico dell’epillio. Nel fr. 2 il personaggio, nonostante le
sue connotazioni antiepiche, è descritto con tratti mutuati da espressioni epiche.

Ecale, fr. 1 Hollis Ἀκταίη τις ἔναιεν Ἐρεχθέος ἔν ποτε γουνῷ


(= 230 Pfeiffer)
Una donna attica viveva un tempo sul poggio di Eretteo.

poggio di Eretteo: si tratta dell’area panna di Ecale doveva trovarsi sulle alture per la sua impresa.
montagnosa che circonda Maratona: la ca- di Brilesso, e di lì Teseo scenderà alla piana

Ecale, fr. 2 Hollis τίον δέ ἑ πάντες ὁδῖται


(= 231 Pfeiffer) ἦρα φιλοξενίης· ἔχε γὰρ τέγος ἀκλήϊστον

e tutti i viandanti la onoravano


per la sua ospitalità: aveva una capanna senza serrami.

la onoravano per la sua ospitalità: Assilo in Iliade VI 14 s.: «era amico alla go la via».
viene riecheggiata la caratterizzazione di gente, tutti ospitava, abitando una casa lun-

T. 7 L’addensarsi Dopo aver cercato invano di ottenere dal padre Egeo il permesso di poter anda-
della tempesta re a combattere il toro di Maratona, la sera Teseo parte di nascosto. Durante il
viaggio lo coglie una tempesta, il cui addensarsi è rappresentato nel frammento
seguente:

Ecale, fr. 18, ὄφρα μὲν οὖν ἔνδιος ἔην ἔτι, θέρμετο δὲ χθών,
1-12 Hollis (= 238, τόφρα δ’ ἔην ὑάλοιο φαάντερος οὐρανὸς ἦνοψ
14-26 Pfeiffer)
οὐδέ ποθι κνηκὶς ὑπεφαίνετο, πέπτατο δ’ αἰθήρ
ἀν̣[ν]έφελος· σ̣[

Finché era ancora giorno alto e si scaldava il suolo,


il cielo splendente era più luminoso del cristallo
né si scorgeva un lembo di foschia: l’etere si spandeva
Callimaco

innubilo (...)

2 più luminoso del cristallo: l’imma- tina, cfr. ad esempio Orazio, Carmina vitro.
gine troverà risonanza nella poesia la- III 13, 1 o fons Bandusiae splendidior
UN OSPITE D’ECCEZIONE 239
5 μητέρι δ’ ὁππ[ότε
δειελὸν αἰτίζουσιν, ἄγουσι δὲ χεῖρας ἀπ’ ἔργου,
τῆμος ἄρ’ ἐξ.[.]...[
πρῶτον ὑπὲρ Πά[ρνηθος,] ἐπιπρὸ δὲ μᾶσσον ἐπ’ ἄκρου
Αἰγαλέως θυμόεντος, ἄγων μέγαν ὑετόν, ἔστη·
10 τῷ δ̣’ ἐπ̣[ὶ] διπλόον.[
τρηχέος Ὑμητ̣τ̣[οῖο
ἀστεροπα[ὶ] σελάγι[ζον

5 ma nell’ora in cui alla madre (...)


chiedono il pasto vespertino e ritraggono le mani dal lavoro,
allora [un nembo apparve...]
dapprima al di sopra del Parnete, e poi più grande sulla cima
dell’Egaleo fragrante di timo si posò, portando un nubifragio.
10 E su di esso un doppio (...)
dell’Imetto scabro (...)
folgori lampeggiavano...

6 il pasto vespertino: il senso comples- il suo pasto fra le gole dei monti...»), suo- 9 Egaleo: una bassa catena collinare
sivo della frase doveva essere: «Nell’ora na originale questa indicazione del vespro (raggiunge nel punto più alto i 460 metri)
in cui le ragazze che durante il giorno attraverso il richiamo al lavoro femminile che si allunga dalle pendici sud-occidentali
hanno lavorato al telaio portano alla ma- presso il telaio. del Parnete fino al mare.
dre la lana tessuta e chiedono la cena...».
Anche se la determinazione dell’ora o del- 8 Parnete: la montagna più alta dell’At- 11 Imetto: l’immagine troverà riso-
la stagione in termini di attività umana o tica (1410 metri), al confine con la Beozia. nanza nella poesia latina, cfr. ad esempio
animale era tradizionale (ad es. Iliade XI Parimenti dal Parnete scendono le nubi nel- Orazio, Carmina III 13, 1 o fons Bandusiae
86 ss.: «ma quando il taglialegna prepara le Nuvole di Aristofane (v. 323). splendidior vitro.

T. 8 Un ospite Colto dalla burrasca improvvisa, Teseo si rifugia nella modesta capanna di Ecale
d’eccezione e riceve una calorosa ospitalità da parte della vecchia che mette a disposizione
del giovane le poche cose di cui dispone. Il testo è ridotto a brandelli, dai quali
la vicenda può essere colta in modo molto incerto: il giovane eroe entra nella
modesta dimora (fr. 26 Hollis), appoggia un oggetto (probabilmente la clava),
poi si scioglie i sandali e scuote il mantello bagnato (fr. 27 + 28 Hollis). Ecale
allora gli prepara il letto (frr. 29-30 Hollis) e si prepara a riscaldare l’ambiente
andando a prendere la legna (frr. 31-32 Hollis); segue probabilmente la lavanda
dei piedi, sul modello di Odissea XIX (Euriclea e Odisseo). Infine la donna prende
dalla dispensa pane e olive per rifocillare l’ospite: in particolare si noti, al fr. 36
+ 37 Hollis la precisione e la preoccupazione erudita di distinguere fra tre tipi di
olive: la «ghergerrima», che veniva lasciata maturare nell’albero, la «cruschet-
Callimaco

ta», piccola e saporita prodotta dall’olivo selvatico e l’oliva in salamoia.

Ecale, fr. 26 Hollis ἐλαχὺν δόμον


(= 525 Pfeiffer)
un’angusta dimora
240 ECALE
Ecale, fr. 27 + 28 ]πεκλινεν[
Hollis (= SH 582; λύσαθ᾽] ὑπ᾽ ἀρπῖδα[ς διερὴν δ᾽ ἀπεσείσατο λαίφην
239 Pfeiffer) ]άδα τὴν ἀγ[
]μο.φαέεσ[

] appoggiò [
sciolse] di sotto i sandal[i e scosse l’umido manto
]…[
] agli occhi (?)[

loci similes (in arte)


Una idria attica a figure rosse del Pittore di Pan (ca. 460 a.C.) ci soccorre nell’interpretazione del fram-
mento: in essa è raffigurato un giovane scalzo, con mantello e copricapo, armato di due lance che si ap-
poggia alla clava; di fronte a lui una figura femminile gli porge con la destra un piatto, probabilmente
colmo di cibo. I due personaggi sono stati individuati proprio come Teseo ed Ecale. È quindi probabile
che il frammento da collocare nel momento in cui Teseo sta entrando in casa, appoggia clava e lance e
si appresta ad asciugarsi dall’acquazzone.

Ecale, fr. 29 Hollis τὸν μὲν ἐπ᾽ ἀσκάντην κάθισεν


(= 240 Pfeiffer)
lo fece sedere sul lettuccio

Ecale, fr. 30 Hollis αὐτόθεν ἐξ εὐνῆς ὀλίγον ῥάκος αἰθύξασα


(= 241 Pfeiffer)
avendo sprimacciato proprio di lì, dal giaciglio, un piccolo cencio

Ecale, fr. 31 Hollis παλαίθετα κᾶλα καθῄρει


(= 242 Pfeiffer)
portava giù la ramaglia che aveva da tempo riposta

Ecale, fr. 32 Hollis δανὰ ξύλα … κεάσαι


(= 243 Pfeiffer)
spaccare secca legna

loci similes
Callimaco

Gli elementi presenti nei frr. 30-32, il giaciglio, il cencio che viene appoggiato sul lettuccio e la legna
che viene portata giù sono presenti in Ovidio, Metamorfosi VIII 640-645 nella vicenda di Filemone e
Bauci, una scena di ospitalità offerta da una vecchia, nel rappresentare la quale il poeta latino ha avuto
evidentemente presente il modello callimacheo.
IL TRIONFO DELL’EROE 241
Ecale, fr. 33 Hollis αἶψα δὲ κυμαίνουσαν ἀπαίνυτο χυτρίδα κοίλην
(= 244 Pfeiffer)
e subito tolse dal fuoco la cava scodella spumeggiante

Ecale, fr. 34 Hollis ἐκ δ’ ἔχεεν κελέβην, μετὰ δ’ αὖ κερὰς ἠφύσατ’ ἄλλο


(= 246 Pfeiffer)
versò giù dal bacile e, mescolando, attinse altra acqua

Ecale, fr. 35 Hollis ἐκ δ’ ἄρτους σιπύηθεν ἅλις κατέθηκεν ἑλοῦσα


(= 251 Pfeiffer) οἵους βωνίτῃσιν ἐνικρύπτουσι γυναῖκες

e, prendendoli dal paniere, tirò fuori in abbondanza pani


simili a quelli che per i bovari nascondono le donne

Ecale, fr. 36 + 37 ]. νικ. .[ ].[


Hollis (= SH 283; εἰκαίην τῆς οὐδὲν ἀπέβρασε φαῦλον ἀλετρίς
334, 248 Pfeiffer)
]ο. οῖσεδελαι[
γεργέριμον πίτυρίν τε καὶ ἣν ἀπεθήκατο λευκήν
εἰν ἁλὶ νήχεσθαι φθινοπωρίδα

(farina?)
ordinaria, cui la mugnaia non aveva ancora vagliato lo scarto
(…) portò [delle] oliv[e]
la ghergherrima, la cruschetta, e l’autunnale che ancor bianca
aveva riposta a nuotare nel salmastro (…)

T. 9 Il trionfo Il frammento presenta Teseo di ritorno dalla cattura del toro mostruoso; durante
dell’eroe la lotta aveva spezzato all’animale una delle corna (donde οἰόκερως, v. 1) grazie
alla clava bronzea che aveva precedentemente sottratto a Perifete, un brigante che
viveva presso Epidauro, che di questa clava si serviva come sostegno per cammi-
nare e all’occorrenza anche come arma per aggredire e derubare i viandanti. Della
lotta di Teseo con il toro (che doveva avere scarsa estensione, rispetto all’incontro
con Ecale) rimane solo un frammento entità trascurabile: fr. 67 Hollis (= 258 Pfeif-
fer) θηρὸς ἐρωήσας ὀλοὸν κέρας «tirando indietro della fiera il corno funesto»;
qualcosa di più rimane del cammino di ritorno del giovane, una volta compiuta
l’aristia: fr. 68 Hollis (= 259 Pfeiffer) ὁ μὲν εἷλκεν, ὁ δ᾽ εἵπετο νωθρὸς ὁδίτης
Callimaco

«quegli trascinava e quello (scil. il toro) seguiva, viandante pigro». La narrazione


continua nel frammento che segue, che rappresenta l’incedere fiero di Teseo, che
porta come trofeo l’animale mezzo tramortito e viene accolto dalle acclamazioni
stupite di una folla accorsa festante a celebrare la liberazione dal mostro.
242 ECALE
Ecale, fr. 69 Hollis ο̣ἰ̣ό̣κ̣ε̣ρ̣ω̣ς̣· ἕτερον γὰρ ἀπηλ̣ο̣ί̣η̣σ̣ε̣ κ̣ορύ̣ν̣η̣.
(= SH 288, 1-15 ὡς ἴδον, ὡ[ς] ἅμα πάντες ὑπέ̣τ̣ρ̣ε̣σ̣α̣ν, ο̣ὐ̣δ̣έ̣ τ̣ι̣ς̣ ἔ̣τ̣λ̣η̣
Pfeiffer)
ἄνδρα μέγαν καὶ θῆρα πελώριον ἄ̣ν̣τ̣α̣ ἰδέσθαι,
μέσφ’ ὅτε δὴ Θησεύς φιν ἀπόπροθι μακρὸν ἄϋσε·
5 «Μίμνετε θαρσήεντες, ἐμῷ δέ τις Αἰγέϊ πατρί
νεύ̣μ̣ενος ὅς τ’ ὤκιστος ἐς ἄστυρον ἀγγελιώτης
ὧδ’ ἐ̣ν̣έποι – πολέων κεν ἀναψύξειε μεριμνέων –
Θησεὺς οὐχ ἑκὰς οὗτος, ἀπ’ εὐύδρου Μαραθῶνος
ζωὸν ἄγων τὸν ταῦρον». Ὁ μὲν φάτο, τοὶ δ’ ἀΐοντες
10 πάντες ἱ̣ὴ παιῆον ἀνέκλαγον, αὖθι δὲ μίμνον.
Οὐχ̣ὶ νότος τόσσην γε χύσιν κατεχεύατο φύλλων,

con un solo corno: l’altro l’aveva spezzato la clava.


Come lo videro, subito si ritrassero tutti tremanti e nessuno ebbe forza
di guardare in fronte il grande uomo e la fiera mostruosa,
finché Teseo a loro da lungi alto gridò:
5 «Fermatevi, abbiate coraggio, e qualcuno a mio padre Egeo –
il più rapido, recandosi nunzio alla rocca –
così dica (di molte ansie gli darebbe sollievo):
“Non è lontano Teseo – eccolo! da Maratona irrigua
vivo trascina il toro”». Disse, e quelli udendolo
10 tutti «iê paiêon» urlarono, e lì si fermarono.
Non solleva Noto una tal profluvie di foglie,

1 ο̣ἰό ̣ κ
̣ ε
̣ ρ
̣ ω
̣ ς̣ :̣ in questa forma è un hapax di Achille, al momento del ritorno in batta- ricca d’acque conducendo vivo il toro”. Quel-
callimacheo. Da notare l’accento che appa- glia dell’eroe): «tutti i Mirmidoni furono lo parlò, essi l’udirono tutti quanti, gridarono
rentemente contraddice le leggi erasmiane, presi dal timore e nessuno osava guardar- “iè paièon”, e lì si fermarono». - οὐχ ἑκὰς
per cui una parola con l’ultima sillaba lunga le di fronte, e si ritrassero». - μέσφ᾽ ὅτε: οὗτος: l’espressione esprime fortemente
non può essere proparossitona. In realtà ciò «finché»: μέσφα è avv. poetico, cfr. Omero, l’idea dell’imminente arrivo di Teseo: οὐχ
accade con quasi tutti i composti di κέρως. Iliade VIII 508 ὥς κεν παννύχιοι μέσφ᾽ ἑκάς, infatti, significa «non lontano» e οὗτος
Al plurale (οἰοκέρωτες) compare in Op- ἠοῦς ἠριγενείης, «così tutta la notte fino è un pron. dimostrativo che indica persona vi-
piano, Cynegetica II 96. - ἕτερον: sott. all’aurora figlia di luce». cina a chi parla e a chi ascolta. Si tratta anche
κέρας. - ἀπηλοίησε: aor. I di ἀπολοάω, in questo caso di una reminescenza omerica,
forma epica. Il verbo in età arcaica e classica 5-7 Μίμνετε θαρσήεντες … μερι- cfr. Omero Odissea II 40 οὐχ ἑκὰς οὗτος
compare solo in Omero, Iliade IV 522 ἄχρις μνέων: «“Aspettate coraggiosi ed al padre ἀνήρ, «non è lontano quest’uomo» (detto
ἀπηλοίησεν, «fracassò senza pietà», e viene mio Egeo uno – il più veloce – andando nun- da Telemaco). - τοί: forma epica per οἱ con
poi recuperato da vari autori epici più tardi zio alla rocca così dica – sollievo ne potrebbe valore di pronome (αὐτοί), come spesso in
(in Nonno compare ben diciotto volte!). avere da molte ansie –:». - θαρσήεντες: ne- Omero. - ἀϊόντες: l’espressione τοὶ δ᾽ ἀϊ-
ologismo callimacheo che ricomparirà in te- όντες è molto attestata, cfr. Omero Iliade XI
2-4 ὑπέτρεσαν: aor. I di ὑποτρέω, uni- sti letterari solo a partire dal V sec. d.C., cfr. 532 τοὶ δὲ πληγῆς ἀΐοντες, «quelli udendo
ca forma usata da Omero. - οὐδέ τις ἔτλη: e.g. Nonno, Dionisiache XIII 562. Gli agg. lo schiocco»; Callimaco fr. 43, 78 Hollis οἱ
clausola tipica di verso, attestato in Omero in -ήεις sono frequenti in Callimaco. - ἐμῷ δ᾽ ἀΐοντες. - ἱ̣ὴ παιῆον ἀνέκλαγον: «gri-
ben nove volte: presenta una comoda strut- … πατρί: da notare la raffinata struttura del darono “iè paièon”»: il peana è un canto ad
tura metrica (dattilo seguito da spondeo), verso, con un forte iperbato che sottolinea il Apollo intonato per celebrare la vittoria. Un
perfetta per il quinto e il sesto piede. - ἔτλη: legame affettivo. - νεύμενος: part. contratto peana in onore di Teseo è intonato dai giovi-
ind. aor. III del vb. atematico e difettivo (νεῦμαι è già omerico) da νέομαι. - ἐνέποι: netti ateniesi in viaggio per Creta in Bacchi-
Callimaco

con radice *tl, grado zero della medesima ott. esortativo del vb. ἐνέπω. - πολέων: for- lide XVII 128, ss (vedi vol. I, pag. 665). - μί-
radice del lat. latum (<tlatum), tuli. - ἄντα ma epica per πολλῶν. - κεν: = ἄν. - μερι- μνον: impf. ind. senza aumento che riprende
ἰδέσθαι: «guardare di fronte, in faccia»: μνέων: forma ion. per μεριμνῶν. l’incipit del di-scorso di Teseo, v. 5 μίμνετε.
cfr. Iliade XIX 14-15 Μυρμιδόνας δ᾽ ἄρα
πάντας ἕλε τρόμος, οὐδέ τις ἔτλη/ ἄντην 8-10 Θησεὺς οὐχ ἑκάς … δὲ μίμνον: 11-14 Οὐχὶ νότος τόσσην … ἀνέ-
εἰσιδέειν, ἀλλ᾽ ἔτρεσαν (riferito alle armi «“Teseo non è lontano, è qui, da Maratona στεφον: «Non il Noto certo riversò a ter-
GUAI AI MESSAGGERI DI SVENTURA 243
ο̣ὐ̣ β̣ορέης οὐδ’ αὐτὸς ὅτ’ ἔπλετο φυλλοχόος μ‹ε›ίς,
ὅ̣σ̣σ̣α τότ’ ἀγρῶσται περί τ’ ἀμφί τε Θησέϊ βάλλον,
οἵ μιν ἐκυκλώσαν]το περισταδόν, αἱ δὲ γυναῖκες
15 στόρνῃσιν ἀνέστεφον

non Borea, e neanche il mese che le foglie riversa,


quante allora ne gettarono intorno a Teseo quei contadini,
[che lo circond]arono tutto d’intorno, e le donne
15 (….) con cinture lo incoronarono.
[Tr. di G.B. D’Alessio]

ra una tanto grande quantità di foglie, non cui si celebravano gli atleti attraverso la μηνί. - τόσσην: forma ep. per τόσην, cor-
Borea né il mese stesso rovesciator di foglie φυλλοβολία («lancio di foglie») e la prassi relativo di ὅσσα al v. 13. - οὐχί ... γε: la
quando ci fu, quante allora ne gettarono i meno usuale dell’incoronazione con cin- similitudine è proposta in negativo, come
contadini tutt’attorno a Teseo, da ogni par- ture. - φυλλοχόος μείς: riprende l’im- già in Omero (cfr. Iliade XIV 394, οὔτε θα-
te, e le donne/ ... cinsero con cinture ...». magine antica dell’autunno quale «mese λάσσης κῦμα τόσον βοάᾳ ποτὶ χέρσον).
- νότος … βορέης: Noto e Borea (βορέης agitatore di foglie», presente già in Esiodo La tecnica sarà ampiamente ripresa dai poe-
è forma ion. per βορέας) sono rispettiva- fr. 333 Merkelbach-West φυλλοχόος μήν. ti latini. - ἔπλετο: aor. atematico del verbo
mente il vento del Sud e il vento del Nord. Interessante parallelo in Apollonio Rodio, πέλω, cfr. Omero, Iliade VIII 556 ὅτε τ᾽
Teseo vincitore è festeggiato al modo con Argonautiche IV 217 φυλλοχόω (217) ἐνὶ ἔπλετο. - ὅσσα: forma ep. per ὅσα.

analisi del testo


Proviamo a discernere fra tradizione e innovazione all’inter- Rispetto a questi tratti che vengono a realizzare le attese del
no di questi versi. Rispetto ai moduli caratteristici dell’epica destinatario di una composizione epica, l’innovazione prende
arcaica emergono immediatamente come tradizionali il modo corpo tramite una rigenerazione interna dell’archivio epico (il
come è descritto il terrore dei campagnoli («come lo videro, «così parlò» alla chiusa del discorso di Teseo è realizzato in un
così...»), l’incapacità che essi provano a guardare l’eroe, l’in- punto del verso e con un tipo di formulazione che non trovano
clusione del discorso di Teseo entro una precisa cornice (alto riscontro in Omero; le foglie escono dall’ambito di una similitu-
gridò/così parlò), la rappresentazione della profluvie di foglie dine per assumere un’evidenza di tipo rituale-celebrativo, con
che inonda l’eroe e che richiama la similitudine istituita in allusione all’usanza della φυλλοβολία), o attraverso il ricorso a
Iliade VI 146-149 tra le foglie disperse dal vento e le stirpi parole desuete e preziose (ad es. ἀπηλοίησε «spezzò» al v. 1,
degli uomini, infine la ripresa letterale di un nesso esiodeo στόρνῃσιν «cinture» al v. 15), o ancora con l’attivazione di un
(«il mese che le foglie disperde» al v. 12, da “Esiodo”, fr. 333 ritmo “staccato”, fitto di arresti e di incisi, inteso a pilotare l’at-
Merkelbach-West). tenzione del lettore sul singolo momento e sul singolo dettaglio.

T. 10 Guai Dopo una lacuna di poco più di 20 versi, la scena cambia improvvisamente, in
ai messaggeri modo non facile da interpretare: due uccelli stanno conversando e uno dei due
di sventura
(una cornacchia) sta intrattenendo l’altro (probabilmente un’altra cornacchia,
più giovane) con una narrazione di vicende mitiche incentrate sul motivo della
prudenza che deve avere chi è rivestito del ruolo di messaggero. L’ambasciatore
di cattive notizie, infatti, rischia di incorrere nell’ira di chi riceve le notizie, come
Callimaco

sperimenterà il corvo, che sarà punito da Apollo per avere rivelato il tradimento
di Coronide. Concluso il racconto, all’improvviso i due animali si addormentano,
fino a quando non giunge l’alba, rappresentata in versi di straordinario “reali-
smo” descrittivo del risveglio della vita della città.
244 ECALE
Il dialogo fra i due uccelli muove, evidentemente, dalla necessità di riferire a
qualcuno una notizia ferale: probabilmente la notizia della morte di Ecale a Te-
seo che è di ritorno dall’impresa (nel fr. 79 = 262 Pfeiffer l’eroe arriva alla ca-
sa della sua affettuosa ospite proprio nel momento delle esequie: τίνος ἠρίον
ἴστατε τοῦτο; «per chi state innalzando questo sepolcro?»).

Ecale, fr. 74, 7-28 «Γαστέρι μοῦνον ἔχοιμι κακῆς ἀλκτήρια λιμοῦ
Hollis (= SH 288, .]δουμεχ[......]έχειδο̣]
48-69 Pfeiffer)
ἀ]λλ’ Ἑκάλ[η..].ε λιτὸν εδ.[
....ακ[......]νον παγ̣.[
5 καὶ κ]ρῖμν[ον] κυκεῶνος ἀπ[οστάξαντος ἔραζε
..].μης[....]. ο̣ὔ̣τις ἐπέσσεται[
....]θων[....]ν̣[ι] κακάγγελον· εἴθε γὰ̣ρ̣ [εἴης
..]ν̣[......] ζώουσα κατὰ χρόνον, ὄφρα τ[....]ης
ὡ̣ς̣ Θρ[ιαὶ τὴν] γρῆϋ[ν] ἐπιπνείουσι κορών[ην.
10 Ν̣αὶ μὰ̣ τ̣[όν] – οὐ γάρ [π]ω̣ πάντ’ ἤματα – ναὶ [μ]ὰ τὸ ῥικνὸν

«Possa io solo avere al mo ventre difesa dalla misera fame


(…)
ma Ecale (…) parco (…)
(…)
5 e di un ciceone di cui gocciava in terra dell’orzo.
(…) non vi sarà (…)
messaggero di sventure: vorrei infatti [che tu fossi]
[ancora] viva in quel tempo, così da [apprendere allora]
come le Thriai ispirano la vecchia cornacchia.
10 Sì, per – non ancora tutti i giorni – sì per l’avvizzita

1 Γαστέρι … λιμοῦ: «Possa io soltan- elencati altri cibi. - κ]ρῖμν[ον: secondo va indiretta. - Θρ[ιαί: si tratta di tre ninfe
to avere una difesa dall’orrenda fame per lo schol. in Lyc. trag. 607 (καὶ κρῖμνα che abitavano sul monte Parnaso, capaci di
il ventre». - μοῦνον: forma ion.-ep. per χειρῶν) si tratta di un γένος κριθῆς, νῦν predire il futuro attraverso i sassolini, cfr.
μόνον. - ἔχοιμι: ott. desiderativo come δὲ τὸ ἀπόσταγμα τοῦ κυκεῶνος ὡς καὶ FGrHist 3 F 196 «Filocoro dice che le nin-
utinam ed il cong. in latino, «potessi, vo- Καλλίμαχος, cioè di un «tipo di orzo, ma fe abitavano il Parnaso, nutrici di Apollo,
lesse il cielo che tu fossi...». anche ciò che gocciola dal ciceone, come tre, dette Trie, dalle quali anche i sassolini
dice anche Callimaco». - κυκεῶνος: be- profetici sono detti trie». - γρῆϋ[ν]: forma
3 ἀ]λλ’ Ἑκάλ[η..].ε λιτόν: il nome vanda povera a base di cereali mischiati a ionica con tema in ᾱ > η. - ἐπιπνείουσι:
della protagonista è associato a un agget- un qualche liquido, tipo acqua, vino, latte, forma epica per ἐπιπνέουσι.
tivo λιτός «semplice, frugale» che caratte- olio e miele. Spesso era collegata ai misteri
rizza il suo tenore di vita (e che in Leonida di Eleusi. - ἔραζε: «a terra», avv. già ome- 10 Ν̣αὶ μὰ̣ τ̣[όν]: seguito dall’acc. del
di Taranto individua il valore esistenziale rico che compare nell’Iliade ben nove volte nome di un dio o da un suo proprio attribu-
primario della λιτότης, cfr. p. 000). e sempre in chiusa di verso. to, è formula tipica nei giuramenti, «sì per
...», già presente in Omero, cfr. Iliade I 234
5 καὶ κ]ρῖμν[ον] ἔραζε: «e il fon- 6-9 ..] μης [….]. ο̣ὔ̣τις … κορών[ην: ναὶ μὰ τόδε σκῆπτρον. Da notare che qui,
do di un ciceone che gocciò a terra». «La «nessuno ci sarà messaggero di mali: avessi dopo un primo inizio che resta bloccato, il
cornacchia – osserva G.B. D’Alessio – ri- potuto infatti tu essere viva al tempo, affin- giuramento viene rivolto non a uno degli dèi
Callimaco

nunciando alla sua perduta posizione di fa- ché come le Trie ispirano la vecchia cornac- tradizionali, ma a elementi importanti nel
vorita presso gli dei, dichiara ora che, per chia». - ἐπέσσεται: fut. di ἔπειμι, con contesto specifico del componimento, qua-
essere contenta, le basta di aver abbastanza doppio -σσ- come in Omero. - εἴθε γὰ̣ρ̣ li la pelle della cornacchia, l’albero su cui
da non soffrire la fame. Ecale era proba- [εἴης: ottativo desiderativo. - ὄφρα: può posa, ecc. Triplice anafora, orizzontale al v.
bilmente nominata al v. 3, e forse era lei a avere valore temporale, «finché», o finale, 10 e verticale al v. 11, di ναί. - πάντ᾽ ἤμα-
fornirle il cibo». - καί: forse nel v. 4 erano «affinché». - ὡς: introduce una interrogati- τα: molti commentatori hanno considerato
GUAI AI MESSAGGERI DI SVENTURA 245
σῦφαρ ἐμόν, ναὶ το[ῦτ]ο τὸ δένδ[ρ]εον αὗον ἐόν περ –
οὐκ ἤδη̣ ῥ̣υ̣μ̣όν τε κ̣[α]ὶ̣ ἄξονα καυάξαντες
ἠ̣έ̣λιοι δυ[σ]μ̣έων εἴσω πόδα πάντες ἔχουσι,
δ]‹ε›ίελος ἀλλ’ ἢ νὺξ ἢ ἔνδιος ἢ ἔσετ’ ἠὼς
15 εὖτε κόραξ, ὃς νῦν γε καὶ ἂν κύκνοισιν ἐρίζοι
καὶ γάλακι χροιὴν καὶ κύματος ἄκρῳ ἀώτῳ,
κυάνεον φὴ πίσσαν ἐπὶ πτερὸν οὐλοὸν ἕξει,
ἀγγελίης ἐπίχειρα τά οἵ ποτε Φοῖβος ὀπάσσει
ὁππότε κεν Φλεγύαο Κορωνίδος ἀμφὶ θυγατρὸς
20 Ἴσχυϊ πληξίππῳ σπομένη̣ς̣ μι̣α̣ρόν τι πύθηται».

mia scorza, sì per quest’albero, per quanto rinsecchito:


non ancora spezzando l’asse e il timone
i soli hanno posto il piede dentro i tramonti,
ma una sera, o una notte, o un meriggio o un’aurora verrà
15 quando il corvo, proprio lui che ora sfiderebbe anche i cigni
e il latte per il suo colore, e la spuma somma dell’onde,
come l’oscura pece avrà l’ala funesta,
compenso che a lui Febo per un messaggio darà
quando sul conto della figlia di Flegia, Coronide,
20 unitasi ad Ischys, sferzator di cavalli, una sporca storia saprà».

l’espressione come un neutro avverbiale, due versi di stampo chiaramente epico e tosto spesso, sia nella letteratura greca sia
«per sempre». Potrebbe però anche essere dal valore proverbiale. L’interpretazione in quella latina (cfr. Cicerone, Pro Milone
il soggetto di un verbo che non viene poi non è chiara: si può intendere nel senso 69 erit, erit illud profecto tempus et inluce-
espresso, poiché la cornacchia torna al suo «il tempo non è ancora giunto alla fine», scet ille aliquando dies, cum; si confronti
giuramento iniziale. L’aposiopesi è del resto cioè «c’è ancora tempo per fare ciò che anche il minaccioso «Verrà un giorno…»
un espediente retorico usato spesso da Calli- occorre»; oppure: «non è ancora venuto pronunciato da Fra Cristoforo davanti a
maco; si tratta di un’interruzione del discor- il tempo (in cui ...)», cioè «si deve anco- Don Rodrigo nel VI capitolo dei Promessi
so principale dell’oratore, di solito volta ad ra attendere»; nell’espressione Pfeiffer Sposi). - δ]είελος: come sostantivo ad in-
evitare di dire qualcosa che potrebbe nuocere suppone una ripresa del proverbio ἑκτὸς dicare la notte compare già in Omero, Ilia-
a sé o ad altri, o risultare offensiva: tipica del πηλοῦ πόδας ἔχεις, «tieni i piedi fuori dal de XXI 230 ss. - ἠώς: forma ep. per ἕως,
teatro e dell’oratoria, non è invece frequente fango», detto di qualcuno che è riuscito ad con abbrevviamento in iato. - γάλακι: γά-
nell’epica antica. La formula compare spes- uscire da una terribile situazione. - ἄξονα λα, γάλακτος ha due flessioni alternative
so anche in Omero, ma sempre con ordine καυάξαντες: altra espressione epica, cfr. parallele, una senza la κ (γάλατος) ed una
invertito, ἤματα πάντα, sia in explicit, cfr. Esiodo, Erga 693 ἄξονα καυάξαις, «se senza la τ (γάλακος). - χροιήν: forma ion.
ad es. Iliade XII 133 αἵ (scil.: δρύες) τ᾽ spezzassi l’asse». Il carro come attributo per χροιάν, accusativo di relazione: «ga-
ἄνεμον μίμνουσι καὶ ὑετὸν ἤματα πάντα, tipico del Sole è elemento forse deriva- reggiare per il colore della pelle». - ἄκρῳ
sia al centro del verso Iliade XIII 826 εἴην to dalla cultura persiana, non presente in ἀώτῳ: lo stesso nesso compare in Callima-
ἤματα πάντα, τέκοι δέ με πότνια Ἥρη. Omero. - καυάξαντες: part. aor. I del co, Inno ad Apollo 112 ὀλίγη λιβὰς ἄκρον
vb. κατάγνυμι (κατ-*ϝαγ-> *καϝαγ-> ἄωτον. L’agg. è già attestato in Omero ad
11 σῦφαρ: stando ad un antico scolia- *καυαγ). - ἡέλιοι: forma epica per ἥλιοι. indicare la particolare finezza e leggerezza
sta (schol. ad Nic. Alexipharmaca 91) si - δυσμέων: forma ionica per δυσμῶν. di una sostanza, quale ad esempio la lana o
tratta di una parola siciliana, forse legata il lino. - φή ... οὐλοόν: φή nel senso di ὡς
alla pellicina che talora si forma sul latte. 14-20 δ]‹ε›ίελος ἀλλ(ά) … τι πύ- = «come» è più volte attestato in Omero.
- δένδ[ρ]εον: forma ep.-ion. per δένδρον. θηται: la profezia inizia con andamento - οὐλοόν: sta per ὀλοόν «distruttivo, mor-
- αὗον: con spirito aspro proprio della for- solenne, in un’espressione ricalcata sul- tale, funesto». - ἀγγελίης: forma ep.-ion.
ma attica, a differenza dello ionico che di la famosa profezia di Achille in Omero, per ἀγγελίας. - τά: pron. rel. - ὁππότε:
Callimaco

solito ha la forma non aspirata. - ἐόν περ: Iliade XXI 111 s. ἔσσεται ἢ ἠὼς ἢ δείλη forma epica per ὁπότε. - κεν: ἄν. - Φλε-
la particella περ dà al part. una sfumatura μέσον ἦμαρ,/ ὁππότε … «sarà un matti- γύαο: genitivo singolare. - πληξίππῳ:
concessiva (ἐόν è part. di εἰμί, forma ion.- no o una sera o un meriggio quando ...». tipico epiteto omerico. - σπομένης: ἕπο-
ep. per ὄν). Se non frequente è la menzione delle varie μαι è usato in senso eufemistico sessuale,
parti del giorno, le profezie invece del tipo ad indicare «andare con qualcuno, unirsi a
12-13 οὐκ ἤδῃ … ἔχουσι: si tratta di «Verrà il giorno in cui ...» si trovano piut- qualcuno».
246 ECALE

Τὴν μὲν ἄρ’ ὣς φαμένην ὕπνος λάβε, τὴν δ’ ἀΐουσαν.


Καδδραθέτην δ’ οὐ πολλὸν ἐπὶ χρόν̣[ο]ν̣, αἶψα γὰρ ἦλθεν
στιβήεις ἄγχαυρος, ὅτ’ οὐκέτι χεῖρες ἔπαγροι
φιλητέων· ἤδη γὰρ ἑωθινὰ λύχνα φαείνει,
25 ἀείδει καί πού τις ἀνὴρ ὑδατηγὸς ἱμαῖον,
ἔγρει καί τιν’ ἔχοντα παρὰ πλόον οἰκίον ἄξων
τετριγὼς ὑπ’ ἄμαξαν, ἀνιάζουσι δὲ πυκνοὶ
....ω̣ο̣ι̣ χ̣α̣λ̣κ̣ῆ̣ε̣ς̣ ἐναυόμενοι..........

E il sonno la prese, che quella diceva così, e l’altra ascoltava.


Ma non dormirono a lungo. Subito giunse
l’ora brinosa vicino all’aurora, quando le mani dei ladri
non vanno più a caccia. Già appare il lume dell’alba,
25 e un acquaiolo canta un canto da pozzo,
e chi abita presso la via è svegliato dall’asse
che stride sotto il carro; e lo affliggono i fitti
(colpi dei miseri) fabbri che attizzano il fuoco (?).
[Tr. di G.B. D’Alessio]

21 τὴν μέν … τὴν δ᾽ ἀΐουσαν: la con- 495 αἶψα γὰρ Ἠὼς ἦλθεν). - στιβήεις pruinosus … Lucifer. - φαείνει: verbo po-
trapposizione indica la presenza di un ascol- ἄγχαυρος: espressione particolarissima, a etico semanticamente analogo a φαίνομαι.
tatore-interlocutore di sesso femminile, la cui indicare l’aria frizzante che precede il mat- - ἱμαῖον: «era oggetto di disputa erudita se
precisa identità è incerta: se chi parla è sicura- tino: ἄγχαυρος «vicino al mattino» (ἄγχι, il canto ἱμαῖος, noto ai lessicografi di tradi-
mente la vecchia cornacchia, l’interlocutrice αὔριον) è termine (di origine forse cipriota) zione attica, fosse proprio degli acquaioli o
può essere Ecale o – più probabilmente – inattestato prima di Callimaco; στιβήεις dei mugnai. Callimaco qui si schiera a favo-
un’altra cornacchia, più giovane della prima. deriva da στίβη, «brina, gelo del mattino». re della prima soluzione» (G.B. D’Alessio).
Una probabile ripresa in Ovidio, Am. I 6, 65 - τετριγώς: part. perf. att. di τρίζω.
22-27 Καδδραθέτην δ(έ) … πυκνοί:
splendida descrizione del risveglio della
città, a dimostrazione del prezioso virtuo-
sismo del poeta, che anche di fronte a un mEmoRia lETTERaRia
momento «tipico» come l’alba rifiuta la
tradizione formulare, per offrire una serie di il tradimento di coronide
quadretti rappresentati nel loro dinamismo
vitale. - καδδραθέτην: ind. aoristo atema- Callimaco fa riferimento ad uno dei miti sulla nascita di Asclepio, secondo il quale la
tico senza aumento di καταδαρθάνω, con giovane Coronide, già incinta di Asclepio da parte del dio Apollo, si invaghì di un morta-
apocope e assimilazione. Il verso è compo- le, Ischi appunto; un corvo informò dell’accaduto il dio che decise di uccidere entrambi,
sto di due emistichi omerici, riutilizzati da madre e bambino. Quando però Coronide era già sulla pira, Apollo le strappò il neonato
Callimaco in modo sorprendente, cfr. Odis-
sea XV 494 καδδραθέτην δ᾽ οὐ πολλὸν
e lo salvò. Il corvo, messaggero di sventura, da quel giorno cambiò colore del piumaggio
ἐπὶ χρόνον, «e infine si addormentarono, da bianco a nero, ad opera del dio, irato per la notizia riferitagli. Il mito è stato trattato
ma non per molto» e XII 407 αἶψα γὰρ da Pindaro, Pitica III, vol. I, pp. 643-652 (senza nessun riferimento al corvo) e ripreso
ἦλθεν, «venne improvviso» (ma anche XV poi da Ovidio, Metamorfosi II 542 ss.

analisi del testo


Callimaco

La disinvoltura nella manipolazione e nel montaggio delle sequenze aurora verrà») e all’uso di immagini bizzarre (come quando si dice
si abbina a un’estrosa deformazione semicomica di moduli espressi- dei “soli” che mettono il piede dentro i tramonti); ma la barocca
vi, come il giuramento (che diventa triplice, e con un avvio frustrato, veemenza della cornacchia cede il posto, nel quadro dell’alba, a un
ai vv. 50 s.) o la profezia (al cui interno il vecchio schema del «giorno attento realismo impreziosito da un trionfo di termini rari e giocato
verrà» viene anch’esso moltiplicato in «sera o notte o mezzodì o sulla veloce successione paratattica di notazioni ottiche e acustiche.
ADDIO, NONNINA! 247
T. 11 Addio, I versi che seguono sono da collocarsi in prossimità della conclusione dell’epillio
nonnina! (secondo Naeke si tratterebbe proprio dei versi finali. Con ogni probabilità sono
parole di Teseo (ma potrebbero anche essere del narratore), che, come osserva
finemente D’Alessio, «ricalcano sottilmente il modulo conclusivo degli Inni ome-
rici in cui il poeta invoca la divinità cantata promettendo di ricordarla ancora in
un altro canto».

Ecale, fr. 80 Hollis ἴθι, πρηεῖα γυναικῶν,


(= 263 Pfeiffer) τὴν ὁδόν, ἣν ἀνίαι θυμαλγέες οὐ περόωσι.
  πολλάκι σεῖο,
μαῖα,   φιλοξείνοιο καλιῆς
μνησόμεθα· ξυνὸν γὰρ ἐπαύλιον ἔσκεν ἅπασιν

«va, dolce donna,


per la via non percorsa dalle pene che addolorano il cuore.
  spesso di te,
nonnina,   dell’ospitale capanna
ci ricorderemo: era infatti un rifugio comune per tutti.
[Tr. di G.B. D’Alessio]

Inni
D i tutta la produzione di Callimaco, sia in versi che in prosa (800 libri, secono
la Suda!), ben poco ci è pervenuto attraverso la tradizione manoscritta bizan-
tina: solo sei Inni (compresi in una tarda antologia di inni di vari autori, di cui
fanno parte gli Inni Omerici, gli Inni Orfici, le Argonautiche Orfiche, gli Inni del
neoplatonico Proclo), cui si aggiungono gli epigrammi presenti nell’Antologia
Palatina.
La successione degli Inni risponde a precisi intenti «editoriali» dell’autore: al
primo posto troviamo l’Inno a Zeus, secondo il tradizionale assunto dell’ex Iove
principium, cui segue una sorta di trittico apollineo (Inno ad Apollo, Ad Artemis
e A Delo) e, agli ultimi due posti, l’inno Per i lavacri di Pallade e Per Demetra,
entrambi non in ionico omerico. Pur restando gli Inni Omerici un riferimento
ineludibile, è ovvio che quelli di Callimaco non ne ricalcano la funzione: essi
non debbono servire da proemi, da «canti introduttivi» all’esecuzione aedico-
rapsodica, ma sono piuttosto un raffinato gioco letterario erudito con la tradizio-
ne omerica. La loro cifra è, pertanto, squisitamente alessandrina (e ancor meglio,
«callimachea»).
Callimaco

Il poeta avverte tutto il fascino che il mito, attraverso la tradizione della poesia
arcaica, può esercitare su chi è dedito all’arte della poesia, e pur senza, ovvia-
mente, aderire ai suoi contenuti di verità, non osa distruggerlo razionalisticamen-
te, come pure l’evemerismo a lui ben noto avrebbe potuto suggerirgli.
248 INNI
T. 12 (I) A Zeus Nella raccolta degli Inni Omerici, l’Inno a Zeus non occupa alcuna posizione di
rilievo (è il XXIII) ed è peraltro brevissimo (4 versi), ridotto com’è al solo incipit
(3 versi) e alla finale richiesta al dio di essere propizio (1 verso):

Inni Omerici, Zeus io canterò, il più possente e il più grande fra gli dei,
XXIII dominatore che vede lontano e matura il destino; egli, con Temi
che siede protesa verso di lui, scambia parole di saggezza.
Siimi propizio, Cronide che vedi lontano, sommamente glorioso e grande.
[Tr. di F. Càssola]

Nel libro di Callimaco, invece, l’Inno a Zeus si trova in testa, in omaggio al princi-
pio ἐκ Διὸς ἀρχώμεσθα (cfr. Arato, Fenomeni 1, v. p. 000). Incerta rimane la
cronologia, potendo l’inno risalire tanto alla giovinezza di Callimaco (sotto
Tolomeo I Sotèr) quanto agli anni del Filadelfo (Tolomeo II).

Incipit (vv. 1-3)


Ζηνὸς ἔοι τί κεν ἄλλο παρὰ σπονδῇσιν ἀείδειν
λώϊον ἢ θεὸν αὐτόν, ἀεὶ μέγαν, αἰὲν ἄνακτα,
Πηλαγόνων ἐλατῆρα, δικασπόλον Οὐρανίδῃσι;

Nelle libagioni per Zeus, che altro si potrebbe cantare


di meglio del dio stesso, sempre grande, sempre sovrano,
liberatore dai Pelagoni, legislatore dei Celesti?

1-3 Incipit. si noterà con quale abilità senza verisimiglianza, che l’inno contiene la lezione Πηλαγόνων (altri preferiscono
Callimaco eviti di riproporre i proemi soliti qui un’allusione encomiastica a Tolomeo I Πηλογόνων, che equivarrebbe a «di uomi-
negli Inni omerici, che prevedevano l’in- Sotèr, poiché all’inizio del simposio si li- ni» in quanto «nati dal fango») si può ve-
vocazione del dio. Immaginando invece un bava appunto a Zeus Sotèr: il riferimento dere in Zeus vincitore un’altra allusione ai
simposio (v. 1 «nelle libagioni» ecc.) pone così indiretto è in linea con l’atteggiamento Tolomei in quanto vincitori dei loro rivali
il lettore in medias res, di fronte a un ritua- di Callimaco, la cui poesia encomiastica macedoni (la Pelagonia, secondo l’erudi-
le in atto. Lo stilema di iniziare con un’in- evita i toni smaccati: meno allusivi e più zione antica, era una parte della Macedo-
terrogativa, sconosciuto agli Inni omerici, scoperamente encomiastici sono gli elogi, nia) e se si crede che Callimaco pensi a To-
ricorda Pindaro (cfr. fr. 89a Snell: τί κάλ- ad esempio, di Teocrito nell’Idillio XIV lomeo Sotèr potrebbe allora trattarsi della
λιον … ἤ … ἀείσαι; «che cosa di più bel- (Le Cariti o Ierone) e Idillio XVII (Elogio lotta contro Demetrio Poliorcete.
lo che cantare?»). È stato sostenuto, non di Tolomeo). Anche al v. 3 se si accetta

le γοναί di Zeus (vv. 4-9)


Πῶς καί νιν, Δικταῖον ἀείσομεν ἠὲ Λυκαῖον;
5 Ἐν δοιῇ μάλα θυμός, ἐπεὶ γένος ἀμφήριστον.

E come lo canteremo, Ditteo o Liceo?


Callimaco

5 È in dubbio assai il mio cuore, poiché è disputata la nascita.

4-9 Le γοναί di Zeus. Callimaco affron- collocava la nascita a Creta (il monte Ditte in Arcadia (il Liceo è appunto un monte di
ta la questione del luogo di nascita di Zeus: e l’Ida successivamente menzionati sono questa regione) non è conosciuta prima di
Creta o Arcadia? La versione più corrente a Creta); la leggenda delle origini di Zeus Callimaco, ma evidentemente non sarà stata
(I) A ZEUS 249
Ζεῦ, σὲ μὲν Ἰδαίοισιν ἐν οὔρεσί φασι γενέσθαι,
Ζεῦ, σὲ δ’ ἐν Ἀρκαδίῃ· πότεροι, πάτερ, ἐψεύσαντο;
«Κρῆτες ἀεὶ ψεῦσται»· καὶ γὰρ τάφον, ὦ ἄνα, σεῖο
Κρῆτες ἐτεκτήναντο· σὺ δ’ οὐ θάνες, ἐσσὶ γὰρ αἰεί.

Zeus, tu – dicono – sui monti dell’Ida sei nato,


Zeus, tu in Arcadia. Chi dei due, padre, ha mentito?
«I Cretesi mentono sempre»: anche la tomba tua, Signore,
hanno architettato i Cretesi. Ma tu non sei morto: sei eterno.

inventata da lui (suo è il motto: οὐδὲν ἀμάρ- versi iniziali dell’Inno omerico I A Dioniso mentire, secondo quanto già Esiodo afferma-
τυρον ἀείδω!). D’altra parte, ricordando al (e certo ben nota era anche la disputa delle va in un celebre passo della Teogonia vv. 27
v. 6 la pretesa nascita cretese, Callimaco in- diverse località che si contendevano i natali ss. e come già Pindaro testimoniava – si pensa
dica il monte Ida – che in Omero è solo un di Omero). Con tutto ciò l’espressione cal- all’Olimpica I, 27-29 –) può far ritenere che
monte della regione di Troia – mai chiamato limachea non ha mai nulla di scontato: oltre la citazione di Epimenide, che i Cretesi sono
in causa prima di lui, per quel che sappiamo, alle soluzioni metriche, che solo una puntuale sempre mentitori, sia la risposta di Zeus; ma
ma che il Fasi (dicono) prova aver avuto an- analisi del testo greco potrebbe rilevare, oltre la domanda non implica una espressa risposta
che altri sostenitori prima del poeta di Cirene. alle scelte lessicali, che mostrano un costante e la citazione potrebbe essere replica di Cal-
Callimaco dunque privilegia la nascita in Ar- misurarsi col testo omerico e con i problemi limaco, che facendo propria l’affermazione
cadia (forse, come è stato sostenuto, perché che esso suscita negli ambienti della filologia di Epimenide cretese sui Cretesi mentitori,
a Cirene c’era un culto di Zeus Liceo) e trat- alessandrina, Callimaco ha modo di variare si rivela, in modo divertito, egli stesso men-
ta questa questione, di natura squisitamente (aemulatio) nel v. 5 un verso del contempo- titore nelle sue testimonianze (il motivo della
erudita, con leggerezza e ironia, mostrandosi raneo poeta Antagora (fr. 1, 1 Powell) e di natura mendace dei Cretesi passerà peraltro
superiore alla materia di tali dispute, senza citare al v. 8, primo emistichio, il Cretese anche agli autori latini Ovidio, Lucano, Sta-
sottrarsi al loro sottile fascino. Il poeta sa be- Epimenide (fr. 5 Kinkel), secondo una prassi zio). La recisa affermazione contenuta nella
ne che gli Inni omerici si preoccupavano di consueta nei poeti ellenistici che alludevano seconda parte del v. 9 «ma tu non sei morto,
identificare con precisione il dio e già l’aedo e citavano versi non solo di poeti arcaici, ma sei eterno» ha di mira la dottrina di Evemero,
dell’Inno ad Apollo si chiedeva, v. 207, quale anche di contemporanei. Il fatto che al v. 7 il che indicava i sepolcri dei vari dei, in coeren-
dei diversi ruoli del dio privilegiare, mentre le poeta chieda direttamente al dio di risolvere za con la sua dottrina che vedeva nelle figure
pretese dei diversi luoghi ad essere quelli di la disputa (e si noterà l’accenno al fatto che divine nient’altro che uomini benefattori che
nascita del dio erano già ben testimoniate dai le tradizioni, quasi sempre poetiche, possono la tradizione aveva divinizzato.

il parto di Rea (vv. 10-14)


10 Ἐν δέ σε Παρρασίῃ Ῥείη τέκεν, ἧχι μάλιστα
ἔσκεν ὄρος θάμνοισι περισκεπές· ἔνθεν ὁ χῶρος
ἱερός, οὐδέ τί μιν κεχρημένον Εἰλειθυίης
ἑρπετὸν οὐδὲ γυνὴ ἐπιμίσγεται, ἀλλά ἑ Ῥείης
ὠγύγιον καλέουσι λεχώιον Ἀπιδανῆες.

10 In terra Parrasia ti generò Rea, dove più fitto


il monte era coperto di macchia. Perciò quel luogo
è sacro e, bisognoso di Ilizia, nessun animale
né alcuna donna vi accede, ma lo chiamano
gli Apidanei antico giaciglio del parto di Rea.

10-14 Il parto di Rea. La determinazio- Apis, antico re di Sparta): non è peraltro in- di accesso per animali e donne che partori-
Callimaco

ne del luogo in cui Rea partorisce consente verosimile in ciò un’intenzione etimologica, scano (Ilizia è appunto la dea che assiste le
a Callimaco di mostrare l’erudizione geogra- che vede nel nome Apia ἀ privativo e πίδαξ partorienti): Callimaco non si lascia sfuggire
fica cara agli alessandrini. Così egli precisa «senza fonti d’acqua»; e nella parte dell’in- l’occasione per un αἴτιον che spieghi il per-
che il parto avviene in Parrasia, che dell’Ar- no immediatamente successiva Rea sarà alla ché della denominazione del luogo come an-
cadia è la parte SO e ha modo di riferirsi ai ricerca proprio di acqua. Il parto dunque av- tico (gr. ὠγύγιος, lo stesso termine presente
Peloponnesiaci chiamandoli Apidani (da viene in un luogo sacro, in cui vige il divieto nell’isola di Calipso) giaciglio di Rea.
250 INNI
la ricerca dell’acqua (vv. 15-27)
15 Ἔνθα σ’ ἐπεὶ μήτηρ μεγάλων ἀπεθήκατο κόλπων,
αὐτίκα δίζητο ῥόον ὕδατος, ᾧ κε τόκοιο
λύματα χυτλώσαιτο, τεὸν δ’ ἐνὶ χρῶτα λοέσσαι.
Λάδων ἀλλ’ οὔπω μέγας ἔρρεεν οὐδ’ Ἐρύμανθος,
λευκότατος ποταμῶν, ἔτι δ’ ἄβροχος ἦεν ἅπασα
20 Ἀζηνίς· μέλλεν δὲ μάλ’ εὔυδρος καλέεσθαι
αὖτις· ἐπεὶ τημόσδε, Ῥέη ὅτε λύσατο μίτρην,
ἦ πολλὰς ἐφύπερθε σαρωνίδας ὑγρὸς Ἰάων
ἤειρεν, πολλὰς δὲ Μέλας ὤκχησεν ἁμάξας,
πολλὰ δὲ Καρίωνος ἄνω διεροῦ περ ἐόντος
25 ἰλυοὺς ἐβάλοντο κινώπετα, νίσσετο δ’ ἀνήρ
πεζὸς ὑπὲρ Κρᾶθίν τε πολύστιόν τε Μετώπην
διψαλέος· τὸ δὲ πολλὸν ὕδωρ ὑπὸ ποσσὶν ἔκειτο.

15 Là, quando la madre dal grembo possente ti ebbe deposto,


subito cercò un flutto d’acqua perché del parto
la sozzura nettasse e lavasse il tuo corpo.
Ma non ancora scorreva il possente Ladone né l’Erimanto,
il più lucente dei fiumi, e ancora priva d’acqua era tutta
20 l’Azenia: ma era destino che ben ricca d’acqua fosse detta
poi. Allora, quando Rea sciolse la cinta,
molte antiche querce sull’umido Iaone
crescevano, e molti carri il Melante portava,
e sul Carione, pur se d’acque vivace, molti
25 serpenti ponevano tane e a piedi il viandante
sul Crati e su Metope ciottolosa andava
assetato. Ma molta acqua era sotto i suoi piedi.

15-27 La ricerca dell’acqua. Deposto il tho (nome parlante – μέλας «nero, scuro» la valle sicionia). Risulta ancora una volta
neonato dal grande grembo, Rea cerca ac- – si oppone volutamente all’Erimanto che confermata l’erudizione del poeta, ad esem-
qua per lavarne il corpo. Dal v. 18 al v. 27 è detto «il più lucente dei fiumi») che pure pio nel termine Azenia (gr. Ἀζηνίς) con cui
si ha una digressione che, prendendo spunto è nome comune ad alcuni fiumi, è qui per si designa la parte dell’Arcadia ai confini
dall’assenza, in questi tempi mitici, dei fiu- la prima volta ricordato come fiume d’Ar- con l’Elide, connessa ad ἄζα, «secchezza»,
mi che costituiranno l’idrografia in epoca cadia; il Carnione è lo stesso ricordato col che certo Callimaco avrà anche paretimolo-
storica (v. 18 «ma non ancora» è movimen- nome di Carneio in più fonti come fiume gicamente interpretato come ἀ-Ζην «senza
to tipico in riferimento alla situazione dei arcade; il Crati è già ricordato da Erodoto Zeus», che di fatto stava nascendo solo al-
tempi mitici) consente a Callimaco (autore (I 145); Metope era un fiume nella regione lora (che la regione possa aver avuto questa
peraltro di un Περὶ ποταμῶν) di dispiegare di Stinfalio (Metope in Pindaro Ol. VI 84 denominazione per la siccità che la caratte-
la sua erudizione geografica sull’idrografia era figlia del dio fluviale Ladone). Solo un rizzava non è inverosimile, se si pensa che
dell’Arcadia. Egli nomina fiumi di cui non puntuale commento al testo greco potrebbe la più ampia distesa d’acqua da quelle parti,
sempre è per noi agevole l’identificazione: il render conto dell’accurata tessitura metrico- il lago Feneo, spesso scompariva quando si
Ladone coincide forse con il fiume già pre- ritmica, delle allusioni a Omero, delle scelte interrompevano i flussi delle correnti sot-
Callimaco

sente in Esiodo (Teogonia 344); l’Erimanto lessicali che privilegiano termini rari (ad terranee). Anche l’accenno ai carri che il
non è facilmente individuabile in quanto di esempio l’epiteto di «ciottolosa» gr. πο- Melantho reggeva non è casuale: Callimaco
solito tale nome indica un monte dell’Arca- λύστιον che determina il fiume Metope è sapeva che gli uomini dell’età dell’oro era-
dia (i due fiumi comunque sono ricordati in- parola che uno scolio ad Apollonio Rodio no vissuti con Crono, prima della nascita di
sieme dall’epigrammista Antipatro); Iaone definisce «sicionia». E Metope era connessa Zeus, come attestava Esiodo (Erga 109 ss.).
è nominato qui per la prima volta e Melan- nel mito all’Asopo, la cui valle era appunto
(I) A ZEUS 251
la comparsa dell’acqua: Zeus affidato a Nede (vv. 28-41)
Καί ῥ’ ὑπ’ ἀμηχανίης σχομένη φάτο πότνια Ῥείη·
«Γαῖα φίλη, τέκε καὶ σύ· τεαὶ δ’ ὠδῖνες ἐλαφραί».
30 Εἶπε καὶ ἀντανύσασα θεὴ μέγαν ὑψόθι πῆχυν
πλῆξεν ὄρος σκήπτρῳ· τὸ δέ οἱ δίχα πουλὺ διέστη,
ἐκ δ’ ἔχεεν μέγα χεῦμα· τόθι χρόα φαιδρύνασα,
ὦνα, τεὸν σπείρωσε, Νέδῃ δέ σε δῶκε κομίσσαι
κευθμὸν ἔσω Κρηταῖον, ἵνα κρύφα παιδεύοιο,
35 πρεσβυτάτῃ Νυμφέων, αἵ μιν τότε μαιώσαντο,
πρωτίστη γενεὴ μετά γε Στύγα τε Φιλύρην τε.
Οὐδ’ ἁλίην ἀπέτεισε θεὴ χάριν, ἀλλὰ τὸ χεῦμα
κεῖνο Νέδην ὀνόμηνε· τὸ μέν ποθι πολὺ κατ’ αὐτό
Καυκώνων πτολίεθρον, ὃ Λέπρειον πεφάτισται,

Allora, presa da angoscia, parlò Rea sovrana:


«Terra cara, sgràvati anche tu: il travaglio tuo è lieve».
30 Disse la dea e tendendo in alto il grande avambraccio
colpì con lo scettro il monte. Vi si aprì voragine ampia
e scaturì un grande flutto. Lì rese lucente il tuo corpo,
o Sovrano, e in fasce avvolto ti affidò a Nede, ché ti portasse
nell’antro cretese - e tu crescessi nascosto -,
35 a Nede, la più veneranda tra le Ninfe che assistettero al parto,
la prima per nascita, dopo Stige e Filira.
E non con vana ricompensa le ripagò il favore la dea,
ma il flutto col nome di Nede chiamò. Questo, non lungi
dal borgo dei Cauconi detto Lepreo,

28-41 La comparsa dell’acqua: Zeus di Creta, ed è quella di Callimaco la prima do una tecnica tipicamente alessandrina.
affidato a Nede. La breve invocazione a attestazione del nome di questa ninfa, che Né sfugge il solito inganno per cui il valore
Gea da parte di Rea (v. 29), unico segmen- dal suo nome intitolerà il fiume e la città. assoluto di «la prima per nascita» viene su-
to di discorso diretto dell’inno (sempre che Vale la pena osservare il modo intelligen- bito dopo annullato da «dopo Stige e Filli-
al v. 8 non sia Zeus a parlare), indica una temente divertito con cui Callimaco gioca ra». L’αἴτιον che spiega il nome del fiume
chiara distinzione tra Rea e Gea, comu- con la tradizione: l’accenno all’allevamento Nede consente a Callimaco di prendere
nemente intese come due denominazioni in Creta può apparire qui prematuro, dato posizione intorno alla disputa riguardante
un’unica divinità. Che Gea possa partorire che la sezione «cretese» comincerà dal v. la collocazione dei Cauconi, già nominati
facilmente è ovvio, dato che è proprio de- 42; ma Callimaco conosce una Cretea situa- in Odissea III 366: egli li pone nell’Elide,
gli dei compiere con estremo agio le azio- ta sul Liceo in Arcadia, che potrebbe quanto dato che veramente Lepreio è città di que-
ni, che per gli uomini possono essere assai meno depistare il lettore; ma è solo un gioco sta regione, a poca distanza dalla Messenia,
penose. E Rea stessa batte semplicemente momentaneo: Callimaco manterrà infatti la ma a dire il vero, a circa 5 miglia dal mare,
la costa del monte con lo scettro e lo scatu- tradizionale collocazione dell’allevamento che Callimaco chiama metonimicamente
rire dell’acqua è immediato (è stato notato di Zeus bambino a Creta. Né sfuggirà la «Nereo». Densa di dottrina mitologico-
che il fenomeno dell’improvvisa comparsa tipica precisione erudita alessandrina nel geografica è l’espressione che stabilisce co-
dell’acqua dal terreno roccioso è in Arca- definire la cronologia delle Ninfe, che vede me arcade il fiume (vv. 40-41). Callimaco
dia un fenomeno reale, che sicuramente Neda preceduta solo da Stige (così era chia- afferma che quell’acqua antichissima viene
Callimaco

Callimaco conosceva, pur accreditando la mata anche una cascata in Arcadia) e Filira bevuta dai «figli dell’orsa Licaonia». Tutto
visione mitica – antievemeristica o almeno (la madre di Chirone): al v. 35 πρεσβυτάτῃ è detto in modo indiretto: Callisto, madre di
antirazionalistica – che fa di Rea una affa- può valere come «la più veneranda» o «la Arcade, eponimo degli Arcadi, era figlia di
scinante dea ex machina per la comparsa più antica»: se si optasse per questo secon- Licaone, trasformata in orsa da Zeus; e se
dell’acqua). Zeus dunque viene affidato alla do significato, allora al v. 36 «la prima per sono gli Arcadi a bere l’acqua, ciò significa
ninfa Nede (v. 33) perché lo porti nell’antro nascita» avrebbe valore esplicativo, secon- che il fiume è in Arcadia.
252 INNI
40 συμφέρεται Νηρῆϊ, παλαιότατον δέ μιν ὕδωρ
υἱωνοὶ πίνουσι Λυκαονίης ἄρκτοιο.

40 possente si unisce a Nereo, e da esso l’acqua più antica


bevono i figli dell’orsa Licaonia.

Zeus a creta (vv. 42-54)


Εὖτε Θενὰς ἀπέλειπεν ἐπὶ Κνωσοῖο φέρουσα,
Ζεῦ πάτερ, ἡ Νύμφη σε (Θεναὶ δ’ ἔσαν ἐγγύθι Κνωσοῦ),
τουτάκι τοι πέσε, δαῖμον, ἄπ’ ὀμφαλός· ἔνθεν ἐκεῖνο
45 Ὀμφάλιον μετέπειτα πέδον καλέουσι Κύδωνες.
Ζεῦ, σὲ δὲ Κυρβάντων ἑτάραι προσεπηχύναντο
Δικταῖαι Μελίαι, σὲ δ’ ἐκοίμισεν Ἀδρήστεια
λίκνῳ ἐνὶ χρυσέῳ, σὺ δ’ ἐθήσαο πίονα μαζόν
αἰγὸς Ἀμαλθείης, ἐπὶ δὲ γλυκὺ κηρίον ἔβρως.

Quando Thene lasciò portandoti a Cnosso,


padre Zeus, la Ninfa - era Thene nei pressi di Cnosso -,
allora, o dio, l’ombelico ti cadde: per ciò a quella piana
45 di Ombelica da allora danno nome i Cidoni.
Zeus, ti presero in braccio, dei Coribanti compagne,
le Melie di Ditte, e ti cullò Adrastea
in un aureo canestro, e tu suggesti la mammella feconda
della capra Amaltea, e ti cibasti insieme di dolce miele.
50 Perché subito si mise al lavoro l’ape Panacride,

42-54 Zeus a Creta. La sezione cretese teso, se si pensa che, quando si tratta di sono della Creta minoica – le due denomi-
comincia ex abrupto, senza alcuna parti- spiegare la denominazione di qualcosa che nazioni sono intercambiabili (e al v. 52 essi
cella connettiva (ma era stata adombrata alcuni «chiamano» in un certo modo, è ov- saranno Cureti). Tale confusione è d’altra
al verso 34). Ancora una volta il poeta vio che il termine bisognoso di chiarimento parte frequente nella letteratura greca co-
gioca con la tradizione e con il suo lettore- (ovvero difficile) sia la denominazione, es- me in quella latina; forse è intenzionale
ascoltatore in quanto l’accenno a Thene, sendo privo di importanza il soggetto che aprosdoketon l’uso della denominazione
che oltre che città cretese era anche il nome «chiama»; la pointe dell’espressione calli- Coribanti nella prima citazione in rapporto
di una città arcade, parrebbe, proprio per- machea sta invece nel fatto che a chiamare allo Zeus di Creta. Adrastea, nel mito so-
ché privo di congiunzioni che indichino il luogo con quel nome sono i Cidoni, che rella dei Cureti, che culla Zeus in una culla
passaggio ad altro momento della narra- solo chi ha erudizione geografica ricollega (d’oro come tutte le suppellettili degli dei)
zione, alludere alla città dell’Arcadia; ma a Cidonia nel NE dell’isola di Creta; solo è nutrice di Zeus in Apollonio III 133; in
l’impressione viene vanificata dalla paren- così infatti si scioglie l’enigmatica sined- Callimaco invece Zeus succhia il latte da
tesi al v. 43, opportunamente ritardata, che doche. Amaltea e il poeta sa bene che secondo al-
precisa trattarsi di località non lontana da Le cure sono prestate all’infante dalle Nin- cuni essa era una ninfa, secondo altri una
Cnosso: dunque siamo passati alla sezione fe compagne dei Coribanti, mentre Adra- capra: così chi legga al v. 48 «la mammella
cretese! L’attraversamento della pianura stea lo culla. Callimaco, autore di un libro feconda» può pensare a una Ninfa (il greco
Onfalia, tra Cnosso e Litto, consente al po- sulle Ninfe, non ha difficoltà a precisare μαζός è in effetti, da Omero in poi, detto
Callimaco

eta di inserire un αἴτιον che ne collega il che quelle connesse con Zeus erano le Me- quasi sempre del seno di donna), ma come
nome, peraltro naturale a designare luoghi lie (ninfe, etimologicamente, dei frassini) al solito si tratta di un effetto illusionisti-
al centro delle loro aree, alla perdita da par- del monte Ditte. Il poeta le definisce «com- co perché nel verso successivo Callimaco
te di Zeus bambino del cordone ombelicale pagne dei Coribanti», lasciando intendere precisa trattarsi di una capra. Si vede chia-
(ὀμφαλός). Ma anche qui l’espressione di che al di là dell’origine storica – i Coribanti ramente come l’infanzia di Zeus sia assisti-
Callimaco appare costruita in modo inat- erano di origine orientale, mentre i Cureti ta dai simboli della giustizia (Adrastea) e
(I) A ZEUS 253
50 Γέντο γὰρ ἐξαπιναῖα Πανακρίδος ἔργα μελίσσης
Ἰδαίοις ἐν ὄρεσσι, τά τε κλείουσι Πάνακρα.
Οὖλα δὲ Κούρητές σε περὶ πρύλιν ὠρχήσαντο
τεύχεα πεπλήγοντες, ἵνα Κρόνος οὔασιν ἠχήν
ἀσπίδος εἰσαΐοι καὶ μή σεο κουρίζοντος.

sui monti dell’Ida che son detti Panacra.


E intorno a te danzarono vivace i Cureti la ’prylis’
battendo le armi, perché le orecchie di Crono il rimbombo
dello scudo udissero e non il suono dei tuoi vagiti.

dell’abbondanza (Amaltea). Il miele viene alessandrina e si oppone ad esempio ad secondo altri cretese di Gortina (si noti che
fornito dalle api che Callimaco dice della Apollonio, che diceva il miele inventato da questa sezione cretese, come la precedente
Panacra (un monte cretese il cui nome ri- Macris, figlia di Aristeo. La danza dei Cu- arcade, si chiude con un esametro spondai-
torna solo in Stefano di Bisanzio). reti che battono le armi per coprire i vagiti co, un raffinato uso di soluzioni metriche a
Anche in questo caso, ponendo l’appa- dell’infante consente al poeta di inserire segnare i limiti delle parti in cui si suddivi-
rizione del miele delle api al tempo di come denominazione della danza il termine de una narrazione).
Zeus, Callimaco interviene in una disputa πρύλις, secondo Aristotele parola cipriota,

la giovinezza di Zeus. l’assunzione del potere del cielo (vv. 55-69)


55 Καλὰ μὲν ἠέξευ, καλὰ δ’ ἔτραφες, οὐράνιε Ζεῦ,
ὀξὺ δ’ ἀνήβησας, ταχινοὶ δέ τοι ἦλθον ἴουλοι.
Ἀλλ’ ἔτι παιδνὸς ἐὼν ἐφράσσαο πάντα τέλεια·
τῷ τοι καὶ γνωτοὶ προτερηγενέες περ ἐόντες
οὐρανὸν οὐκ ἐμέγηραν ἔχειν ἐπιδαίσιον οἶκον.

55 Crescesti bene e bene fosti allevato, celeste Zeus,


e subito fosti fanciullo, e presto ti giunse peluria di barba.
Ma, ancora bambino, fu ogni tuo piano compiuto.
Per questo anche, pur se più grandi, i fratelli
non ti invidiarono il cielo, dimora indivisa.

55-69 La giovinezza di Zeus. L’as- ste», come epiteto di Zeus, mai riferito al ne alle scelte di Apollonio). Di solito si
sunzione del potere del cielo. Rapido è il sommo dio nell’Iliade e nell’Odissea, ad giustifica la scelta di Callimaco come al-
raggiungimento dell’età adulta e precoce anticipare il destino di re del cielo, ecc.). lusione alla presa di potere di Tolomeo II
è il compimento di azioni gloriose. È già I fratelli, riconosciuta la superiorità di Filadelfo, pur più giovane dei suoi fratelli;
negli inni omerici – si pensi all’Inno ad Zeus, gli lasciano come dominio il cielo ma tale identificazione – che alcuni addi-
Ermes o a quello Ad Apollo – l’idea del- (vv. 58-59) anche se Zeus è più giovane e rittura precisano ulteriormente, immagi-
la precocità d’azione degli dei bambini Callimaco dice non vera la tradizione poe- nando l’inno eseguito per le feste in onore
e Callimaco stesso vi ricorre ad esempio tica che afferma un sorteggio tra i tre figli del nuovo re Tolomeo II (basileia) in una
nell’Inno ad Apollo, in quello Ad Artemis, di Crono (Posidone, Ade e Zeus) di cielo, data che va dal 285-283 a.C. – non è pri-
anche alla luce di un interesse realmente terra-mare e aldilà. Il poeta dunque pren- va di difficoltà e c’è chi ha ritenuto che
nuovo dell’ellenismo per il bambino (ma de posizione contro Omero che dice Zeus sia più giusto pensare a Tolomeo I Sotèr,
Callimaco

il testo contiene alcune finezze che qui più vecchio di Posidone (Iliade XIII 355 dato che, mentre non si può affermare che
non ci soffermeremo ad analizzare nei e XV 166) e segue Esiodo che (Teogonia i fratelli concedessero al Filadelfo il re-
particolari, come il ricorso nello stes- 478) attesta essere Zeus il più giovane dei gno senza opporsi, che anzi si ribellarono
so verso 55 di καλά prima con α lungo figli di Rea (spesso l’antiepico Callimaco violentemente, la concessione pacifica del
poi con α breve – secondo un modello preferisce Esiodo a Omero, così come Ip- potere si spiega se riferita alla spartizione
già omerico –; l’uso di οὐράνιος «cele- ponatte ad Archiloco e in questo si oppo- dell’impero di Alessandro, diviso nelle tre
254 INNI
60 Δηναιοὶ δ’ οὐ πάμπαν ἀληθέες ἦσαν ἀοιδοί·
φάντο πάλον Κρονίδῃσι διάτριχα δώματα νεῖμαι·
τίς δέ κ’ ἐπ’ Οὐλύμπῳ τε καὶ Ἄϊδι κλῆρον ἐρύσσαι,
ὃς μάλα μὴ νενίηλος; Ἐπ’ ἰσαίῃ γὰρ ἔοικε
πήλασθαι· τὰ δὲ τόσσον ὅσον διὰ πλεῖστον ἔχουσι.
65 Ψευδοίμην, ἀίοντος ἅ κεν πεπίθοιεν ἀκουήν.
Οὔ σε θεῶν ἑσσῆνα πάλοι θέσαν, ἔργα δὲ χειρῶν,
σή τε βίη τό τε κάρτος, ὃ καὶ πέλας εἵσαο δίφρου.

60 Non erano affatto veraci gli antichi poeti:


i Cronidi – dicevano – in tre divisero a sorte le sedi.
Ma chi affiderebbe alla sorte l’Ade o l’Olimpo,
se non fosse ben sciocco? si può tra pari porzioni
a sorte tirare: e c’è un abisso tra quelle!
65 Siano le menzogne mie convincenti all’ascolto!
Non la sorte ti fece re degli dèi, ma l’opera delle mani
e la tua Forza e il Potere, per cm li ponesti accanto al tuo trono.
E l’uccello sommamente eccelso hai fatto nunzio
dei tuoi prodigi (siano essi fausti ai miei cari!).

parti di Africa, Asia e Grecia, tra i diado- critica razionalistica al mito, Callimaco machea: innanzi tutto il poeta rifugge dal-
chi Perdicca, Tolomeo e Seleuco (anche mostra l’inverosimiglianza del sorteggio la designazione ovvia e diretta (non nomi-
a questa interpretazione si può obiettare non potendosi considerare sullo stesso na l’aquila se non attraverso una perfrasi)
che ad essa non si adatta l’affermazione piano cielo e mondo dei morti. Suonano in secondo luogo pare prendere posizione,
dei vv. 66-67 che furono l’opera delle ma- dunque sarcasticamente ironiche le parole definendola eccelsa, nella disputa intorno
ni, la forza e il potere che resero Zeus re del poeta al v. 65 in cui si augura che se al significato dell’espressione omerica ri-
degli dei). Per di più anche nel rigettare mai componga storie immaginarie (ma noi ferita all’aquila, τελειότατος πετηενῶν
la versione omerica (e pindarica) del sor- sappiamo che non farà mai questo chi non di Iliade VIII 247 e XXIV 315.
teggio delle parti del mondo (cfr. Iliade canta niente di intestimoniato), esse siano Né va trascurato il fatto che come Zeus,
XV 187 ss.) Callimaco segue Esiodo che almeno in grado di convincere l’orecchio così l’aquila poteva essere da Callimaco
dice (Teogonia 881) che gli dei pregarono di chi ascolta. associata ai Tolomei, sulle cui monete fre-
Zeus di assumere il potere (ma a dire il Nel riaffermare che non fu la sorte ma quentemente compariva.
vero in Callimaco a pregarlo sono solo i la sua forza ad assicurare a Zeus il suo La seconda parte del v. 69 è una preghie-
suoi due altri fratelli). L’affermazione del potere, Callimaco ricorre, per designare ra che il poeta rivolge a Zeus, fuori dalla
v. 60 fa riferimento agli antichi aedi ma il «re» a un termine ἐσσήν che gli scoli tessitura dell’inno, come un “a-parte” tea-
ovviamente allude in primis ad Omero. spiegano essere proprio per definire l’ape trale. Callimaco prega il dio di mostrarsi
Callimaco sa che nella cultura greca, da regina; ma pare eccessivo vedervi un ri- favorevole ai suoi amici (e si sente l’eco
Senofane a Pindaro, era ricorrente il ri- ferimento al nutrimento di Zeus ad opera del principio etico greco arcaico di voler
conoscimento che non sempre i poeti delle api. Il v. 67 è certamente ispirato a essere una gioia per gli amici e un male
sono veritieri: egli certo ricordava la di- Esiodo (Teogonia 385 ss. ), in cui Forza per i nemici) che forse nasconde al richie-
chiarazione delle Muse apparse ad Esio- e Potere sono detti stare sempre accanto a sta a Tolomeo di essere generoso, anche
do mentre pascolava il gregge ai piedi Zeus. Anche nell’affermazione che Zeus in denaro, nei confronti del poeta e della
dell’Elicona (Teogonia 27-28). Prenden- sceglie come messaggero dei suoi prodigi sua cerchia.
do a prestito il modo di procedere della l’aquila si vede la maestria dell’arte calli-

Fortuna Le api Panacridi in Alvisopoli


Callimaco

Può essere interessante, a testimoniare l’incidenza di Callimaco in generale e dell’Inno a Zeus


in particolare (non necessariamente nell’originale greco, ma per lo più in traduzioni latine)
sulla poesia neoclassica o napoleonica, oltre alle note pagine del Foscolo il riferimento ad una lirica
del Monti dal titolo altisonante: Le api Panacridi in Alvisopoli, che puoi
leggere commentata on line.
(I) A ZEUS 255
Zeus sceglie per sé i re da proteggere (vv. 70-85)
70 θήκαο δ’ οἰωνῶν μέγ’ ὑπείροχον ἀγγελιώτην
σῶν τεράων· ἅ τ’ ἐμοῖσι φίλοις ἐνδέξια φαίνοις.
εἵλεο δ’ αἰζηῶν ὅ τι φέρτατον· οὐ σύ γε νηῶν
ἐμπεράμους, οὐκ ἄνδρα σακέσπαλον, οὐ μὲν ἀοιδόν·
ἀλλὰ τὰ μὲν μακάρεσσιν ὀλίζοσιν αὖθι παρῆκας
75 ἄλλα μέλειν ἑτέροισι, σὺ δ’ ἐξέλεο πτολιάρχους
αὐτούς, ὧν ὑπὸ χεῖρα γεωμόρος, ὧν ἴδρις αἰχμῆς,
ὧν ἐρέτης, ὧν πάντα· τί δ’ οὐ κρατέοντος ὑπ’ ἰσχύν;
αὐτίκα χαλκῆας μὲν ὑδείομεν Ἡφαίστοιο,
τευχηστὰς δ’ Ἄρηος, ἐπακτῆρας δὲ Χιτώνης
80 Ἀρτέμιδος, Φοίβου δὲ λύρης εὖ εἰδότας οἴμους·

70 E degli uomini forti hai scelto i migliori: non di navi


gli esperti, o il guerriero che brandisce lo scudo, non il poeta.
Ma il resto lo hai lasciato agli dèi minori,
agli altri, che ne abbiano cura. Tu hai scelto i reggitori di città,
proprio loro, che hanno la mano sul contadino, sull’esperto di lancia,
75 sul rematore, su tutto. Cosa non è sotto la forza del dominatore?
Noi cantiamo, ad esempio, i fabbri di Efesto,
e gli armati di Nes, i cacciatori di Chitone
Artemide, e di Febo gli esperti delle vie della cetra.
«Ma da Zeus vengono i re» perché nulla è più divino
80 dei sovrani di Zeus. Perciò li hai scelti a tua parte.

70-85 Zeus sceglie per sé i re da pro- 79 che «da Zeus vengono i re» (citazione Ribadendo l’eccellenza dei re, dei quali
teggere. L’ultima parte è quella in cui l’in- da Teogonia 96, che ribadisce ancora una non c’è niente di più divino, Callimaco
tento encomiastico appare più chiaramente volta l’accordo di Callimaco con Esiodo) è rende più stretto il rapporto loro con Zeus
evidente. Essa si snoda tuttavia con la so- quanto mai appropriata ai Lagidi che vanta- attraverso l’espressione «i sovrani di Zeus»
lita dizione raffinata, che ancora una volta vano una discendenza da Zeus attraverso il che piega la connessione ad un genitivo
intrattiene un dialogo erudito con Omero, loro antenato Eracle. Callimaco la presenta di possesso: e come il v. 80 chiarisce i re
riprendendone termini rari o variandone come ultima, più significativa connessio- sono «il possesso» che Zeus ha riservato a
in un nuovo contesto il significato o mo- ne – una climax ascendente –, dopo che ha sé, trasferendo loro la custodia delle città
strando di prendere posizione nel caso di indicato ai vv. 76-78, con il solito stile al- (già al v. 73 essi erano stati chiamati «reg-
varianti testuali o di espunzioni di versi (e lusivo, non mai banale, il collegamento dei gitori di città») collocandosi lui stesso sulle
la leggera ironia non è mai demolitrice). fabbri con Efesto, dei soldati con Ares, dei rocche a sorvegliare (ἐπόψιος è detto al v.
Con un’espressione perifrastica che indica cacciatori con Artemide (l’epiteto χιτώνη 82 e l’epiteto appartiene, come è ovvio, a
i re, al v. 70 si dice che Zeus sceglie «quel con cui è qualificata la dea era variamente varie divinità) chi comanda con ingiuste
che di eccellente c’è tra gli uomini»; la interpretato negli scoli, ma forse si riferisce sentenze e chi invece raddrizza i sudditi
predilezione per i re viene abilmente pre- proprio alla dea che, in quanto cacciatrice, con sentenze giuste. Spira da questi versi
sentata come il fine a cui il dio mira, dopo porta l’abito tipico di chi va a caccia, cioè un’aura esiodea: anche nel poeta arcaico
che ha lasciato agli dei meno significativi il chitone), dei citaredi con Apollo («coloro i δαίμονες di Zeus sorvegliano le azioni
altre categorie come i marinai, i soldati, gli che ben conoscono la via della lira sono i giuste e ingiuste degli uomini come è detto
aedi (in contrasto con Iliade XIII 730 ss., musici e i poeti» e Callimaco fu ispirato da in Erga 121 ss.: ancora una volta sul piano
dove appare la connessione di Zeus con Apollo fin da bambino, come attesta l’ele- dell’espressione si deve notare come ai vv.
Callimaco

diverse attitudini e diversi ruoli degli uo- gia ai Telchini 21 ss.). Se il poeta ispirato 82-83 Callimaco usi uno zeugma metten-
mini). L’eccellenza di Zeus sugli altri dei dal dio canta la verità, non per questo si do in rapporto il verbo che significa «rad-
si riflette nell’eccellenza dei re sugli altri sente all’altezza dei re: siamo assai lontani drizzare» con «coloro che si avvalgono
uomini: sotto la mano potente dei re stanno dalla fiera consapevolezza di Pindaro, che, di sentenze perverse» e con «quelli che si
i contadini, il soldato, il rematore, insomma come canto re di verità, si era innalzato al avvalgono di sentenze giuste», mentre ov-
ogni cosa (vv.74-75). L’affermazione al v. livello dei tiranni. viamente esso dovrebbe essere proprio solo
256 INNI
’ἐκ δὲ Διὸς βασιλῆες’, ἐπεὶ Διὸς οὐδὲν ἀνάκτων
θειότερον· τῷ καί σφε τεὴν ἐκρίναο λάξιν.
δῶκας δὲ πτολίεθρα φυλασσέμεν, ἵζεο δ’ αὐτός
Ἄκρῃσ’ ἐν πολίεσσιν, ἐπόψιος οἵ τε δίκῃσι
85 λαὸν ὑπὸ σκολιῇσ’ οἵ τ’ ἔμπαλιν ἰθύνουσιν·
ἐν δὲ ῥυηφενίην ἔβαλές σφισιν, ἐν δ’ ἅλις ὄλβον·
πᾶσι μέν, οὐ μάλα δ’ ἶσον.

E hai dato loro di reggere le città, e tu stesso sedesti


sulle rocche, e sorvegli chi con sentenze
perverse e chi al contrario il popolo addrizzi.
E hai dato loro prosperità ed abbondante ricchezza:
85 a tutti, ma non nella stessa misura.

di questi ultimi, cioè di coloro che usano sen- etica soloniana (ὄλβος) e in uno che appare misura: così si istituisce una differenziazione
tenze giuste, opposte alle prime. La constata- essere una creazione di Callimaco (ῥυηφε- all’interno dei re che prepara il ruolo di ec-
zione che Zeus ha dato ai re prosperità e ric- νίη, un evidente composto di ἄφενος, «ric- cellenza che vi gioca Tolomeo, disegnandosi
chezza in abbondanza, che trova espressione chezza») viene corretta con l’aggiunta che i l’equazione: Zeus eccelle tra gli dei come
in un termine appartenente alla tradizione doni di Zeus non toccano a tutti nella stessa Tolomeo eccelle tra i re.

Elogio di Tolomeo. Finale richiesta di grazia (vv. 85-96)


85 Ἔοικε δὲ τεκμήρασθαι
ἡμετέρῳ μεδέοντι· περιπρὸ γὰρ εὐρὺ βέβηκεν.
ἑσπέριος κεῖνός γε τελεῖ τά κεν ἦρι νοήσῃ·
ἑσπέριος τὰ μέγιστα, τὰ μείονα δ’, εὖτε νοήσῃ.

85 Lo si può giudicare
dal nostro re: egli è andato assai avanti.
Alla sera egli compie ciò che medita all’alba;
alla sera i piani più grandi, i minori appena li medita.

85-96 Elogio di Tolomeo. Finale ri- pressoché analoghe in Teocrito (XVII 13- e con i quali Zeus detiene un rapporto pri-
chiesta di grazia: Il rapporto privilegiato 15), che le riferisce a Tolomeo I Sotèr, di- vilegiato (il contrasto che tali re possono
tra Zeus e Tolomeo viene ora direttamente vinizzato sotto il Filadelfo (a questo fanno rappresentare rispetto all’affermazione di
formulato: Tolomeo ha una potenza che riferimento quanti identificano il Tolomeo 79-80 che «niente è più divino dei sovra-
non è equiparabile a quella di nessun altro, di Callimaco con il Sotèr invece che con ni» non sussiste se si considera che alcuni
e si noti che a definire il re Callimaco si il Filadelfo). L’eccellenza di Tolomeo si re possono anche essere ingiusti). L’allu-
avvale del participio μεδέων, che si rife- palesa nel confronto con altri ai quali Zeus sione rimane indefinita e il vedervi riferi-
risce al «prendersi cura», al «proteggere» ha concesso di realizzare i propositi o in un mento ai fratelli del Filadelfo come pensa
che Omero riserva solo a Zeus; l’espressio- anno o anche più (l’espressione «neanche chi con tale sovrano identifica il Tolomeo
ne con cui si dice che il re «è andato assai in un anno» di v. 89 è una chiara litote che di Callimaco, si espone all’obiezione che
Callimaco

avanti» può riferirsi tanto alle ricchezze significa «in più di un anno», dato che uno questi non furono re. Ai vv. 91-96 si ha la
quanto alla rapidità dell’azione, della qua- solo non è appunto bastante), quando non tradizionale richiesta di grazia, che conclu-
le ultima si parla subito dopo ai vv. 87-88. addirittura ne abbia impedito del tutto il de spesso gli Inni omerici (e non è un caso
Nell’esaltare le doti di rapida esecuzione compimento. Questi «altri» del v. 89 non che l’ultima parte dell’ultimo verso ripren-
da parte di Tolomeo di ogni suo piano, possono che essere «gli altri re», gli unici da letteralmente la chiusa degli Inni XV
Callimaco usa espressioni che si ritrovano con i quali può essere misurato Tolomeo Ad Eracle e XX Ad Efesto). La domanda
(V) PER I LAVACRI DI PALLADE 257
οἱ δὲ τὰ μὲν πλειῶνι, τὰ δ’ οὐχ ἑνί, τῶν δ’ ἀπὸ πάμπαν
90 αὐτὸς ἄνην ἐκόλουσας, ἐνέκλασσας δὲ μενοινήν.
χαῖρε μέγα, Κρονίδη πανυπέρτατε, δῶτορ ἐάων,
δῶτορ ἀπημονίης. τεὰ δ’ ἔργματα τίς κεν ἀείδοι;
οὐ γένετ’, οὐκ ἔσται· τίς κεν Διὸς ἔργματ’ ἀείσει;
χαῖρε, πάτερ, χαῖρ’ αὖθι· δίδου δ’ ἀρετήν τ’ ἄφενός τε.
95 Οὔτ’ ἀρετῆς ἄτερ ὄλβος ἐπίσταται ἄνδρας ἀέξειν
οὔτ’ ἀρετὴ ἀφένοιο· δίδου δ’ ἀρετήν τε καὶ ὄλβον.

Gli altri, qualcosa in un anno, qualcosa neanche in un anno, e di qualcosa


90 il compimento hai frustrato del tutto tu stesso, e troncato la brama.
Salve, grandemente, sommo Cronide, datore di beni,
datore di serenità. Chi le tue imprese potrebbe cantare?
Non fu mai né mai vi sarà: chi di Zeus canterà le imprese?
Salve, padre, ti saluto di nuovo. Concedi virtù e ricchezza.
95 Prosperità senza virtù non può innalzare gli uomini,
né virtù senza ricchezza: concedi virtù e prosperità.
[Tr. di G.B. D’Alessio]

retorica di v. 92, che riprende, in una sorta zionalmente occupavano l’ὀμφαλός degli tocchi anche a lui (se nella chiusa si crede
di Ringkomposition la domanda in apertura Inni omerici maggiori: ma tale differenzia- di intravedere la speranza del poeta di ot-
di inno, ribadita nel successivo v. 93 – se- zione rispetto alla tradizione appartiene in tenere la protezione di Tolomeo, allora si
condo la tecnica epica della ripetizione nel- toto alla tecnica alessandrina e in particola- dovrà collocare l’inno nella giovinezza di
la successione domanda-risposta di parte re callimachea. Callimaco, sotto il Sotèr, ma nulla vieta di
della dizione della domanda – proclama Non è in ogni caso fuori luogo l’osser- vedervi l’augurio a che la protezione del
l’impossibilità per ognuno di cantare le vazione che il cantare le opere di Zeus sovrano, già acquisita, possa continuare:
azioni di Zeus troppo grandi per poter tro- sarebbe stato poco callimacheo, dato che e allora si dovrà identificare Tolomeo con
vare adeguata espressione: chi ritiene che avrebbe richiesto un μέγα βιβλίον, proprio il Filadelfo): i poeti hanno bisogno della
il Tolomeo celebrato sia il Filadelfo vede ciò che Callimaco detestava. Nei versi con- ἀρετή (qui: «eccellenza morale») e della
in questa sorta di recusatio – procedimen- clusivi, alla ripetizione del saluto al dio (v. ricchezza di Tolomeo (e non sfuggirà come
to che sarà così caro ai poeti augustei – un 94) sottolineata dal «di nuovo» corrisponde Callimaco sappia essere sempre leggero,
espediente che esime il poeta dal celebrare la ripetizione della richiesta di concedere anche là dove più deciso è il carattere della
azioni grandi che il Filadelfo non ha ancora virtù e ricchezza (vv. 94 e 96: ma la ripeti- richiesta: egli allude al bisogno di protezio-
avuto modo di compiere. zione non esclude una piccola variazione): ne e generosità da parte del sovrano, che
D’altra parte l’inno si è effettivamente oc- quel che il dio ha dato a Tolomeo – nel i poeti hanno, parlando genericamente di
cupato soprattutto delle γοναί cioè della quale dunque la ricchezza presuppone la «uomini», v. 95, che hanno lo stesso biso-
«nascita» del dio, riservando solo brevi virtù, come è affermato con piglio gnomi- gno del re di possedere eccellenza morale
cenni (già al v. 3) alle azioni che tradi- co ai vv. 95-96 – il poeta, si intuisce, spera e benessere).

T. 13 (V) Per i lavacri Composto in distici elegiaci e in dialetto dorico letterario, l’Inno V si immagina
di Pallade cantato in occasione della festa celebrata ogni anno ad Argo in onore di Pallade,
nel corso della quale la statua della dea è trasportata su un carro a bagnarsi
nelle acque del fiume Inaco. Il carme ha un andamento mimetico conferitogli
dai discorsi diretti pronunciati dai partecipanti alla cerimonia. La voce narrante
Callimaco

è quella di un banditore sacro, che dà indicazioni alle donne sulle modalità di


compimento del rito.
La descrizione dei preparativi per il bagno ha il suo motivo centrale nell’atteg-
giamento austero di Atena, che respinge da sé le tentazioni della frivolezza,
258 INNI
incompatibili con il carattere guerriero della dea, di cui vengono accennate le
imprese belliche. In questo contesto si colloca anche il rifiuto dei profumi e dello
specchio, che sono armi subdole della civetteria di Afrodite.
La presenza della statua della dea comporta una vera e propria epifania divina
e nessun occhio maschile può posarsi sul simulacro nel momento dell’abluzione
rituale: il banditore ricorda a tal proposito che al popolo di Argo è vietato per
quel giorno di attingere alle acque del fiume e a questo si aggiunge il divieto di
guardare le fattezze della dea durante il bagno.
La parte narrativa dell’inno propone come monito l’esempio di Tiresia, figlio del-
la ninfa Cariclo prediletta da Atena: secondo una versione rara del mito, egli si
trovò nei pressi della fonte dell’Ippocrene nel momento in cui la madre e Atena
stavano facendo il bagno e vide la nudità della dea. Immediatamente perse la
vista, e alle rimostranze di Cariclo, Atena chiarisce che l’accecamento di Tiresia,
imputabile a leggi divine immutabili, avrà come compenso e risarcimento i doni
della dea: la profezia, una vita lunghissima e la persistenza delle facoltà cono-
scitive anche dopo la morte.

Voi che versate il lavacro di Pallade, uscite tutte,


uscite: or ora il nitrito delle cavalle
sacre ho udito, e la dea è pronta a venire1.
Accorrete, o bionde Pelasghe, accorrete.
5 Atena mai ha lavato le grandi braccia,
prima di strigliare i fianchi delle cavalle:
neanche quando insozzate di sangue tutte recava
le armi tornando dagli empi figli della terra2,
ma prima dal carro il collo delle cavalle
10 sciolse, e lavò nelle correnti di Oceano
il sudore e le macchie, e nettò tutta
la schiuma rappresa dalle bocche che morsero il freno.
Su, andate, Achee, e non profumi né alabastri a Pallade
– sento il suono dell’asse del carro nei mozzi! –
15 non profumi, voi pel lavacro, né alabastri
– perché non ama Atena i misti unguenti –
recate né uno specchio: sempre bello è il suo viso.
Anche quando il Frigio3 giudicò la contesa sull’Ida,
non nell’oricalco4 la grande dea, né del Simoenta5
20 mirò nel lucido vortice.
Ed Hera nemmeno. Cipride invece prese un bronzo splendente
e spesso la stessa ciocca due volte acconciò.

1. la dea è pronta a venire: l’occasione immaginata è una processione rituale della statua di Atena argiva:
Callimaco

la statua viene portata fino alla riva del fiume Inaco, dove viene spogliata, poi lavata, unta di profumi e
rivestita.
2. gli empi figli della terra: i Giganti.
3. il Frigio: Paride.
4. oricalco: leggendario metallo prezioso (qui uno specchio di oricalco).
5. Simoenta: il fiume che scorre nel territorio di Troia.
(V) PER I LAVACRI DI PALLADE 259
Ma quella, dopo duplice corsa di sessanta doppi stadi,
come presso l’Eurota i Lacedemoni
25 astri6, con arte esperta si massaggiò usando semplici
unguenti, stirpe del suo stesso virgulto7,
o fanciulle, e il rossore salì al viso, quale di precoce
rosa o di chicco di melograno è il colore.
Perciò anche ora portate solo un po’ di olio maschio8
30 con cui Castore, con cui anche Eracle si unge.
E recatele un pettine tutto d’oro, così che all’ingiù la chioma
ravvii, nettando le ciocche lucenti.
Esci, Atena: ti attende la schiera gradita,
le vergini figlie dei grandi Arestoridi9.
35 Atena, ecco si porta anche di Diomede lo scudo,
secondo il costume che agli Argivi antichi
Eumede insegnò, tuo sacerdote amato.
Egli una volta, inteso che a lui complotto di morte
il popolo tramava, in fuga la tua immagine sacra
40 con sé portando andò, e abitò il monte Kreion,
il monte Kreion. E te, dea, collocò tra rocce
scoscese, che ora son dette Pallatidi.
Esci, Atena, distruttrice di città, dall’aureo cimiero,
tu che gioisci del frastuono di scudi e cavalli.
45 Oggi, acquaiole, non attingete. Oggi, Argivi,
bevete alle fonti, non al fiume.
Oggi, voi serve, le brocche a Fisadea
o ad Amimone,10 figlia di Danao, portate.
Sì, perché mescendo le acque ad oro ed a fiori
50 giungerà Inaco dagli almi monti
ad Atena portando bello il lavacro. Ma tu, uomo Pelasgo,
bada: di non veder la regina, pur senza volerlo!
Chi vedesse nuda Pallade, la protettrice della città,
guarderà alla sua Argo per l’ultima volta.
55 Atena, sovrana, esci! Io nel frattempo una storia
a questo dirò. Non è mio il racconto, l’ho appreso da altri.
Fanciulle, a Tebe Atena un tempo una ninfa
moltissimo ebbe cara tra le compagne,
di Tiresia la madre. Mai la lasciava:

6. Lacedemoni astri: i Dioscuri (Castore e Polluce), spesso immaginati come astri.


7. virgulto: l’olio, prodotto dall’olivo offerto in dono da Atena all’Attica nella contesa con Posidone per il
possesso della regione.
Callimaco

8. olio maschio: quello tratto dall’olivo selvatico. Eracle è poi citato in quanto patrono dei giochi di Olim-
pia, nei quali aveva introdotto l’olivo selvatico.
9. Arestoridi: Arestore era genero del dio fluviale Inaco, e padre di Argo. Qui gli Arestoridi sono in generale
gli Argivi.
10. a Fisadea o ad Amimone: Physadeia ed Amymone erano due delle principali fonti del territorio di Argo,
che traevano il nome da due figlie di Danao.
260 INNI
60 anche quando all’antica Tespie
(...) o ad Aliarto guidava
le cavalle, attraversando i campi dei Beoti,
o a Coronea, dove sacro a lei un boschetto odoroso
e altari son presso il fiume Kourálios11,
65 spesso la dea la portò sul carro.
E i sussurri delle ninfe ed i cori
non le erano grati se non li guidava Cariclò.
Ma molte lacrime la attendevano,
lei che pure era compagna cara di Atena.
70 Un giorno infatti, sciolte le spille dei pepli,
presso la fonte del cavallo12, Eliconia dalle belle correnti,
facevano il bagno. La calma del meriggio regnava sul monte.
Entrambe facevano il bagno, ed era l’ora del meriggio,
e grande calma regnava su quel monte.
75 Ma ancora Tiresia solo coi cani, la guancia appena da barba
scurita, si aggirava per il luogo sacro.
Mosso da sete indicibile giunse alle acque della fonte,
sciagurato, e, senza volerlo, vide la proibita visione.
E a lui, benché adirata, così parlò Atena:
80 «Figlio di Eueres, che non più gli occhi avrai indietro!,
qual demone ti ha condotto per la dura via?»
Disse, e la notte prese gli occhi al fanciullo.
Lì rimase, senza parola: bloccò l’angoscia
le gambe e la disperazione la voce frenò.
85 Ma la ninfa gridò: «Che hai fatto a mio figlio,
Signora? è questa di voi dee l’amicizia?
Hai preso gli occhi al mio fanciullo. Sciagurato ragazzo,
hai visto il petto e i fianchi di Atena,
ma non vedrai più il sole! Ah, me sventurata,
90 ah monte, ah Elicona, che mai più accosterò,
molto hai preteso in cambio di poco! Hai perso dei cervi
e pochi caprioli ma hai di mio figlio le luci.»
E la madre, con entrambe le braccia il figlio stringendo,
il cordoglio dei lamentosi usignoli13
95 levava con profondi gemiti. Ebbe pietà della compagna la dea,
e tale parola Atena le disse:
«Divina donna, rimedita ancora quanto per l’ira
tu hai detto: non io ho reso cieco tuo figlio!
Callimaco

11. il fiume Kourálios: Tespie, Aliarto e Coronea (presso il fiume Kourálios) sono località della Beozia occi-
dentale.
12. la fonte del cavallo: Ippocrene (chiamata «la fonte del cavallo», perché scaturita dal colpo di zoccolo di
Pegaso), presso la vetta dell’Elicona.
13. lamentosi usignoli: il canto dell’usignolo era sentito come espressione di dolore materno, dalla leggenda
di Tereo, il cui figlio Iti fu per gelosia ucciso dalla madre, poi trasformata in usignolo.
(V) PER I LAVACRI DI PALLADE 261
Non è cosa dolce per Atena di fanciulli gli occhi
100 rapire. Ma così dicono le leggi di Kronos:
chiunque, se non lo scelga il dio stesso, un immortale
guardi, a gran prezzo paga tale visione.
Divina donna, non si può revocare questo
atto. Le Moire così hanno filato lo stame,
105 fin da quando lo generasti. Ricevi ora,
o figlio di Eueres, la ricompensa dovuta.
Quante vittime sull’altare brucerà in futuro la figlia di Cadmo,
e quante Aristeo, in preghiera per l’unico
figlio, il giovane Atteone. Finanche cieco vorranno vederlo!14
110 Lui anche compagno di corse della grande Artemide
sarà. Ma non lo salveranno allora le corse e sui monti
in comune la caccia con l’arco,
quando, pur senza volerlo, vedrà i graziosi lavacri
della dea: le cagne stesse del loro padrone
115 allora faranno banchetto. E l’ossa del figlio la madre
di rovo in rovo andrà raccogliendo.
“Beata – dirà – e fortunatissima fosti,
perché a te cieco è tornato dai monti il fanciullo”.
Compagna mia, lascia dunque i lamenti. Costui, in grazia tua,
120 da molti altri doni otterrà:
lo renderò indovino, ai posteri celebre in canto,
in vero di molto sugli altri eccellente.
Conoscerà gli uccelli, sono propizi, di quali il volo
è infruttuoso, e di quali infauste sono le ali.
125 Ed ai Beoti molti oracoli, e molti a Cadmo
vaticinerà, e più tardi ai grandi Labdacidi15.
Gli darò anche un grande bastone, che bene i piedi gli guidi;
gli darò termine di vita longevo,
e lui solo, quando morrà, cosciente tra i morti
130 andrà, onorato dal potente Conduttore di popoli».
Così disse e col capo accennò. È efficace il cenno
di Pallade: ad Atena sola Zeus tra le figlie
ha concesso di avere tutti i poteri del padre.
Voi che versate il lavacro, nessuna madre ha generato la dea

14. vorranno vederlo: «La storia di Atteone, figlio di Autonoe (“la figlia di Cadmo” 107), trasformato in
cervo e divorato dai propri cani, è utilizzata alla stregua di exemplum mitico per consolare Cariclò; ma,
con un trattamento dei livelli cronologici che la poesia ellenistica aveva ereditato dalla lirica narrativa
arcaica, l’evento mitico è collocato nel futuro rispetto al livello dell’evento narrato. [...] Che la colpa
di Atteone consista nell’aver veduto Artemide al bagno è attestato per la prima volta qui: in altre fonti
Callimaco

arcaiche l’eroe è invece colpevole di essersi vantato miglior cacciatore di Artemide, di aver tentato di
violentarla, o di essersi reso rivale di Zeus volendo sposare Semele. La cecità di Tiresia è invece connes-
sa alla visione di Atena già dal logografo attico Ferecide (V sec.). È difficile dire se uno dei due miti sia
stato modellato sull’altro (rispettivamente da Ferecide o da Callimaco): dato lo stile della narrazione mi
sembra tutto sommato improbabile che qui Callimaco stia inventando un nuovo mito» (G.B. D’Alessio).
15. i grandi Labdacidi: Laio ed Edipo.
262 EPIGRAMMI
135 ma la testa di Zeus, e la testa di Zeus non accenna
il falso (...) la figlia.
Adesso Atena arriva davvero. Orsù, accogliete
la dea, voi fanciulle che avete tale incombenza,
con grida pie, e preghiere ed urla di gioia.
140 Salve, dea, e ti sia cara Argo Inachia.
Salve, tu che esci col carro. Possa indietro tu ancora guidare
le tue cavalle. Proteggi dei Danai16 l’intero dominio.
[Tr. di G.B. D’Alessio]

16. Danai: qui sta per Argivi.

analisi del testo


Per operare questa mimesi letteraria dell’antico rituale argivo, valente relazione fra le due sfere, qui simboleggiata dalla sorte
Callimaco – come sottolinea Marco Fantuzzi – ha ricreato forme di Tiresia che dapprima, per aver visto senza volere Atena nuda
della lirica cultuale arcaica al cui interno moduli come l’attacco in al bagno, è privato della vista, ma poi, a consolazione di sua
imperativo, l’invocazione dell’epifania divina, il dualismo fra po- madre Cariclò, viene risarcito dalla dea col dono della profezia.
eta come maestro di cerimonia e coreuti come esecutori dell’azio- Una favola patetica (aperta proprio con «una volta...», ποκα
ne rituale, e più in generale il tenore espressivo di tipo «prag- al v. 57) dove coinvolgimento emotivo e distacco ironico,
matico», rappresentavano convenzioni riconosciute del genere. brusca semplicità di modi (come nella veemente protesta di
In questa prospettiva la zona narrativa, quella che occupa il Cariclò) e ammiccamenti eruditi, vigore narrativo e indugi di-
nocciolo del carme (vv. 57-136), tende a recuperare l’antica gressivi (ad es. il richiamo alla sorte comparabile di Atteone) si
funzione di esempio didattico integrato nell’obiettivo del rito: alternano e si compensano in una miscela di effetti e di registri
quello di rendere onore alla divinità celebrata anche col ribadi- espressivi che richiedono al lettore una non meno variegata
re i confini che separano uomini e dèi e col sottolineare l’ambi- risposta estetica.

Epigrammi
T. 14 Promesse Come si è visto a proposito di Asclepiade, A.P. V 158, la relazione amorosa
di amanti si configura spesso nell’epi-
gramma ellenistico come gio-
co galante, disincantata ite-
razione di un’esperienza le-
gata più al codice di un saper
vivere sociale che alle pulsio-
ni immediate del desiderio
(che pur talora non mancano
di affiorare).
La costellazione della Emblematico può dirsi questo
Callimaco

Vergine e la Chioma (di


Berenice) in una mappa
epigramma callimacheo, che
cinquecentesca del riprende il motivo topico della
Mercatore. The Mercator
Globes at Harvard Map
fallacità dei giuramenti tra in-
Collection. namorati.
EPITAFIO DI UN AMICO 263
25 Pfeiffer = Ὤμοσε Καλλίγνωτος Ἰωνίδι μήποτ’ ἐκείνης
A.P. V 6 ἕξειν μήτε φίλον κρέσσονα μήτε φίλην.
Ὤμοσεν· ἀλλὰ λέγουσιν ἀληθέα τοὺς ἐν ἔρωτι
4 ὅρκους μὴ δύνειν οὔατ’ ἐς ἀθανάτων.
Νῦν δ’ ὁ μὲν ἀρσενικῷ θέρεται πυρί, τῆς δὲ ταλαίνης
νύμφης ὡς Μεγαρέων οὐ λόγος οὐδ’ ἀριθμός.

1-2 Ὤμοσε Καλλίγνωτος … μήτε 3-6 Ὤμοσε … οὐδ᾽ ἀριθμός: «Giu- fin da Esiodo, fr. 124 M.-W. - οὐ λόγος
φίλην: «Callignoto giurò a Ionide che rò: ma dicono a ragione che i giuramenti οὐδ᾽ ἀριθμός: «non [c’è] né conto né sti-
mai né amico né amica avrebbe avuto più d’amore non entrano (δύνειν) nelle orec- ma», allusione a un oracolo delfico sull’ec-
saldi (κρέσσονα = κρείττονα) (di lei)». chie degli immortali. Ecco, ora lui brucia cellenza delle varie città greche, riportato
Molto simile la formulazione del giura- d’amore per un ragazzo (ἀρσενικῷ … negli scolî a Teocrito 14, 48, la cui fine era:
mento reso da Apollo a Hermes nell’In- πυρί, letter. «di fuoco maschile») e del- ὑμεῖς δ᾽ ὦ Μεγαρεῖς οὔτε τρίτοι οὔτε
no ad Hermes omerico, v. 525 s. μή τινα la povera fanciulla, come dei Megaresi, τέταρτοι/ οὔτε δυωκέκατοι οὔτ᾽ ἐν
φίλτερον ἄλλον ἐν ἀθανάτοισιν ἔσε- non si cura né tanto né poco. - ἀληθέα λόγῳ οὔτ᾽ ἐν ἀριθμῷ «e voi Megaresi non
σθαι/ μήτε θεὸν μήτ᾽ ἄνδρα. Per il moti- [= ἀληθῆ], neutro avverbiale. Che i giu- siete né terzi né quarti/ né dodicesimi, né in
vo dell’infedeltà delle promesse d’amore, ramenti d’amore potessero essere infranti conto né in stima».
cfr. Catullo. impunemente è infatti motivo proverbiale

analisi del testo


Come in Asclepiade, A.P. V 158, è una scritta sulla cintura a gesto, o la specificità della situazione, quanto l’accensione di
metter le cose in chiaro diffidando gli spasimanti dal farsi illu- un sorriso (accompagnato dalla divertita ridondanza finale οὐ
sioni sulla fedeltà di Ermione, qui il giuramento di Callignoto λόγος οὐδ᾽ ἀριθμός) con l’abbinare uno spunto ormai trito
a Ionide si rivela per quello che è: un giuramento fra innamo- del campionario amoroso e la peregrina allusione a un oracolo
rati, che non impegna il giovane né tanto né poco. E al poe- reso un tempo dalla Pizia ai Megaresi.
ta sembra qui interessare non il ritratto di una figura o di un

T. 15 Epitafio La delicatezza e la levità della poesia callimachea non sono sempre e soltanto
per un amico arguzia e gioco galante: si possono congiungere anche a note di serietà dolente,
come qui, dove il dolore per la perdita dell’amico di Alicarnasso trova conforto
nella memoria dei suoi «usignoli» (le sue musicali poesie) e soprattutto si cri-
stallizza nell’immagine indimenticabile dei giorni trascorsi «facendo tramontare
il sole» in smemorati conversari.

2 Pfeiffer = Εἶπέ τις, Ἡράκλειτε, τεὸν μόρον, ἐς δέ με δάκρυ


A.P. VII 80 ἤγαγεν· ἐμνήσθην δ’ ὁσσάκις ἀμφότεροι
ἥλιον ἐν λέσχῃ κατεδύσαμεν. Ἀλλὰ σὺ μέν που,

1-3 Εἶπέ τις … κατεδύσαμεν: Di lui ci rimane un solo epigramma (A.P. 3-6 Ἀλλὰ σὺ μέν … ἐπὶ χεῖρα βα-
«Qualcuno, Eraclito, mi ha detto della tua VII 465) per una giovane morta di par- λεῖ: «E certo tu in qualche luogo, amico
(τεόν = σόν) morte e ho pianto a ricorda- to. - ἐς … ἐμνήσθην: letter. «e ciò mi (ξεῖν(ε), propr. «ospite») di Alicarnasso,
Callimaco

re quante volte noi due (ἀμφότεροι, “noi spinse alla lacrima e mi ricordai». - ἠέλιον (sei) cenere antica , ma vivono i tuoi (τε-
due”, “noi insieme” piuttosto che “ambe- = ἥλιον: il nesso, che nasce da una felice αί = σαί) usignoli , sui quali (ἧσιν = αἷς)
due”) chiacchierando (ἐν λέσχῃ, “nella concentrazione espressiva, sarà ripreso da perfino Ades che tutto rapisce non allun-
conversazione”) lasciammo tramontare il Virgilio, Bucoliche 9, 51 s. saepe ego lon- gherà la mano». - ἀλλά … μέν: piutto-
sole». - Ἡράκλειτε: Diogene Laerzio gos/ cantando puerum memini me condere sto concessivo che avversativo, rispetto
IX 17 lo ricorda come autore di elegie. soles. al δέ a principio di v. 5: «sì, … ma».
264 EPIGRAMMI
4 ξεῖν’ Ἁλικαρνησεῦ, τετράπαλαι σποδιή,
αἱ δὲ τεαὶ ζώουσιν ἀηδόνες, ᾗσιν ὁ πάντων
ἁρπακτὴς Ἀΐδης οὐκ ἐπὶ χεῖρα βαλεῖ.

- τετράπαλαι: «quattro volte anticamen- δόνες: gli usignoli sono metafora ricorren- κτήρ: per Ades «rapitore» cfr., dello stesso
te»: hapax, ma cfr. Aristofane, Cavalieri te per la poesia – cfr. ad es. A.P. IX 184 Callimaco, Ep. 41 (A.P. XII 73, 2) Ἀΐδης
1153 ss. τρίπαλαι κάθημαι … δεκάπα- Ἀλκμᾶνος ἀηδόνες – ma si è pensato an- ἥρπασε e anche Meleagro, A.P. VII 476, 7
λαι … δωδεκάπαλαι … χιλιόπαλαι … che, più precisamente, che Ἀηδόνες fosse s. ἅρπασεν Ἀΐδας/ ἅρπασεν. - ζώουσιν
προπαλαιπαλαίπαλαι … τρισμυριόπα- il titolo di una raccolta poetica di Eraclito. = ζῶσιν: cfr. Peek G.-I. 1924, 52 ζωού-
λαι. Per l’espressione Peek G.-I. 104 χὠ - ἁρπακτής: altrove, a partire da Iliade σας ἔλιπες γὰρ ἀηδόνας, ἃς Ἀϊδωνεύς/
μὲν ἐν οὐκέτ᾽ ἐοῦσι πάλαι κόνις. - ἀη- XXIV 262, è attestata solo la forma ἁρπα- οὐδέποθ᾽ αἱρήσει τῇ φθονερῇ παλάμῃ.

T. 16 La loquace Un delicato epigramma sepolcrale, per ricordare Cretide, una fanciulla di Samo
Cretide solitamente al centro dell’attenzione delle amiche, per la sua simpatia conta-
giosa e la vivacità ciarliera. Le compagne di gioco ora la cercano invano, perché
ella dorme il sonno destinato a tutte. L’interesse per il mondo delle «fanciulle
in fiore» e il pathos struggente per l’abbandono prematuro dei giochi infantili
richiamano la sensibilità di Erinna (vedi pp. 26-30) e la situazione rappresentata
nella Conocchia.

16 Pfeiffer = Κρηθίδα τὴν πολύμυθον, ἐπισταμένην καλὰ παίζειν,


A.P. VII 459 δίζηνται Σαμίων πολλάκι θυγατέρες,
ἡδίστην συνέριθον ἀεὶ λάλον· ἡ δ’ ἀποβρίζει
4 ἐνθάδε τὸν πάσαις ὕπνον ὀφειλόμενον.

1-4 Κρηθίδα τὴν πολύμυθον … tutte sono costrette». - ἀποβρίζει … τὸν che accentua lo struggimento patetico della
ὀφειλόμενον: «Cretide, così brava a raccon- ὕπνον: la morte come sonno è eufemismo scena. Cfr. Asclepiade, A.P. XII 50 (T. 17,
tare, sempre pronta ai bei giochi, spesso le comune fin da Omero (es. Iliade XVI 454). p. 000) τὴν μακρὰν νύκτ’ ἀναπαυσόμεθα
ragazze di Samo la cercano, amica simpatica e Nella poesia sepolcrale diviene topos conso- ripreso da Catullo 5, 5-6 nobis/ nox est per-
chiacchierina. Ma lei dorme, qui, il sonno a cui lidato, qui proposto con una sobrietà scarna, petua una dormienda.
Callimaco

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