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Colleoni Alessandro - CL.

1^B

LA BIBLIOTECA SCOMPARSA
(Luciano Canfora)
• La biblioteca di Alessandria costituisce il sogno di ogni scienziato o studioso, nonché
l'emblema dell'età in cui questo sogno ha potuto divenire reale (l'ellenismo): la vita
teoretica in comunità senza preoccupazioni materiali, dedicandosi allo studio ed alla
raccolta di materiale letterario che documenti un enciclopedico compendio di
epistemai e technai tale da essere in toto figlio dell'ideale aristotelico, che dall'alto
sovrasta tutta l'idea della biblioteca stessa (basti pensare al fatto che il filosofo stesso
basava la sua dottrina non già su fumose intuizioni ma su una raccolta di testi, tutt'altro
metodo rispetto a quello, stravagante, del suo maestro Platone, il quale sparlava sì della
poesia, ma non è chiaro quanta l'avesse letta).

• Ma ogni idillio incarnato ha i suoi problemi, non è mai puro: gli studiosi ellenistici sono
uccelli in una gabbia d'oro, per usare una felice espressione storiografica (che ha origini
antiche in quanto un poeta ellenistico definiva scarabocchiatori libreschi che si
beccano eternamente nella gabbia delle Muse gli “inquilini” del Museo alessandrino):
sono ingabbiati dallo stesso potere che li nutre, e che in questo caso è Tolomeo
Filadelfo. Il Museo, compresi i dotti che vi vivevano e i libri che vi si accumulavano, erano
suoi, erano uno degli strumenti del suo prestigio.

• Ma la biblioteca di Alessandria sembra quasi essere senza tempo, in una continua


espansione, e sarà frenata da un solo fattore: il rifiuto dell'enciclopedismo su cui era
fondata, con lo sprezzante rifiuto di ogni opera diversa dal Corano.

• Ma la sua storia non si esaurisce con un inizio ed una fine, è un incrocio di destini e storie
assai complesso.

• Tutto inizia con la volontà di Tolomeo II Filadelfo di creare una sorta di città proibita nel
quartiere del Bruchion, ad Alessandria, su cui all'esterno probabilmente si fantasticava
ma non si poteva sapere nulla. E in un periodo come l'ellenismo non potevano mancare
i due elementi protagonisti del libro: il Museo (santuario alle Muse e quindi centro di
cultura) e la biblioteca (che probabilmente era interna allo stesso museo, in quanto
bibliothèkai, ovvero mensole dove porre libri).

• Un aspetto interessante (tipicamente ellenistico) è l'universalità della biblioteca stessa:


dovevano essere raccolti i libri di tutti i popoli della terra e di tutti i generi. E non per un
puro interesse antropologico, anzi, perché i saperi di tutti i luoghi e in tutti gli ambiti
meritano lo stesso interesse. Ci troviamo in un regno ellenistico e va ricordato che i
macedoni avevano conquistato aree immense, tutto il mondo noto ed oltre potremmo
dire. Tra l'altro anche i testi sacri hanno spazio nella biblioteca: la disputa per la
traduzione dei testi ebraici porterà addirittura a richieste di emancipazione degli ebrei
resi schiavi. La quantità di rotoli (l'obiettivo iniziale era di 500'000 rotoli, secondo alcune
fonti si sarebbero superati i 700'000 anche se si ritengono cifre iperboliche) creò gravi
problemi di consultazione, tanto da far nascere a partire da Callimaco alcuni Cataloghi
di opere scelte organizzate, anche se si dovrà aspettare assai più tardi per avere mappe
o indicazioni più chiare, la biblioteca era infatti pensata per i soli “addetti ai lavori”.

• Una storia particolare hanno i libri di Aristotele: il successore Teofrasto dichiara nel suo
testamento lascio tutti i miei libri a Neleo, probabilmente aspettandosi che egli sarebbe
diventato il suo successore all'accademia (anche in quanto amico di Aristotele stesso).
Questi libri infatti erano tutti gli scritti essoterici di Aristotele, ovvero appunti riservati alle
lezioni contenenti le sue riflessioni in fieri, uniti agli appunti dei suoi allievi. Erano quindi in
vero sapere insegnato, in tutti gli ambiti, nel Liceo. Ora, in realtà scolarca non fu eletto
Neleo, bensì Stratone, fatto che portò Neleo ad andarsene a Scepsi con tutti i testi,
privandone quindi il Liceo. A questo punto a tutta la comunità filosofica rimasero solo gli
scritti aristotelici sotto forma di dialogo platonico (esoterici), che erano però solo una
minima parte dei suoi studi, e una serie di trasposizioni del suo pensiero, non sempre
fedeli, che comunque non potevano godere della rigorosità di tutti i passaggi logici
dell'originale. Ad essi si aggiunsero tutta una serie di falsi attribuiti al filosofo, tra cui i testi
che Neleo vendette alla biblioteca di Alessandria come “testi di Aristotele”, come
appaiono nel registro della stessa, ma che in realtà erano appartenuti ad Aristotele, ma
non erano affatto suoi (in prevalenza trattati di Teofrasto). Intanto Pergamo entra nei
possedimenti romani e un discendente di Neleo decide di “dissotterrare” i rotoli e
venderli per denaro ad un bibliofilo, Apellicone, che pubblicò la prima “edizione”, si
assai scarsa qualità, dell’Aristotele che si credeva perduto. Successivamente egli entrò
nelle vicende politiche che si conclusero con la campagna di Silla, con la quale la sua
ricca biblioteca entrò nel bottino di guerra. Anni dopo in una delle biblioteche di questi i
vecchi rotoli furono finalmente disponibili ad alcuni fortunati studiosi che crearono una
sorta di èlite culturale. Fra di essi vi fu anche Tirannone, amico di Cicerone e studioso di
Aristotele, che però abbandonò ben presto l’opera di riedizione al peripatetico più noto
in circolazione: Andronico da Rodi, curatore dell’edizione ancora oggi utilizzata per i
trattati aristotelici. Intanto gli originali erano passati con l’intera biblioteca al figlio di Silla,
Fausto, che dilapidò l’intero patrimonio, vendendo anche i preziosi testi che
scomparvero definitivamente.

• Non vi era però solo Alessandria: nella vicina Pergamo nacque una vera e propria
biblioteca rivale, costruita quasi “a immagine e somiglianza” di quella alessandrina, forse
anche architettonicamente. E da questa rivalità nacque un fenomeno interessante: si
iniziò ad accettare qualunque testo, anche se sicuramente falso, nel timore che la
biblioteca rivale ne potesse vantare dei privilegi, con evidenti effetti deleteri dal punto di
vista filologico (scienza la filologia che nasce proprio in questo periodo: lo stesso
Aristarco di Samotracia sarà bibliotecario proprio ad Alessandria). Dal punto di vista
metodologico però c'è una fondamentale differenza fra Pergamo e Alessandria: i
pergameni, secondo l'indirizzo stoico, più che alla filologia (lo studio verso per verso degli
alessandrini) tendono a porre delle domande ai testi e trovare delle risposte spesso con
metodi allegorici anche poco aderenti all'originale, ma funzionali a ciò che intendevano
dimostrare.

• La questione più “scottante” è però quella legata al titolo: come la biblioteca sia
scomparsa dalla storia. Ci sono infatti 4 principali teorie:

1. L'incendio di Alessandria (48 a.C.) di Giulio Cesare: secondo la descrizione di Lucano


“Cesare ordina che siano gettate, sulle navi pronte all’attacco, fiaccole imbevute di
pece” da quella parte della reggia a strapiombo sul mare, ma “il fuoco si estende
oltre le navi. Anche le case prossime alle acque prendono fuoco” così come la zona
del porto di depositi “del grano e dei libri”. Ora, poiché è escluso che gli archivi della
biblioteca fossero fuori dalla reggia, tanto meno in un area tanto a rischio,
evidentemente si trattava di un’area di stoccaggio di libri pronti per essere esportati e
venduti in altre aree del mediterraneo, come le altre merci. La biblioteca dunque
rimase intatta in quanto non vi è neppure testimonianza di un “sacco” di Alessandria.
Si aggiunga poi la testimonianza di Strabone, che vent’anni dopo vi studiò e lavorò,
mentre in caso di incendio vista la struttura delle biblioteche antiche sarebbe stato
impossibile ricostruire o recuperare l’inestimabile patrimonio perduto. Un’ipotesi
(ideata da Parthey), per quanto oggi screditata, sosterrebbe che parte dei manoscritti
che qui si trovavano sarebbero stati presi da Cesare dalla biblioteca per essere portati
a Roma, tuttavia ad esempio secondo Orosio i libri si trovavano lì forte, “per caso“, non
per una decisione meditata di Cesare; ma anche se fosse si sarebbe comunque
trattato di una parte infinitesimale dei rotoli della biblioteca. Intanto con la fine della
monarchia tolemaica e il controllo dei romani la biblioteca cambia funzione: diventa
la prima grande biblioteca pubblica dell’antichità (dopo quella, forse mitica, istituita
ad Atene da Pisistrato in risposta a qella del tiranno Policrate di Samo, e che si
racconta sia stata distrutta proprio da un incendio e avesse come scopo la traduzione
di tutti i testi del mondo in greco), istituzione della provincia romana cui si aggiunge il
rinnovato Museo, comunità di studiosi che vivono insieme.

2. L'attacco di Aureliano (intorno al 270 d.C.): conflitto che oppose l'imperatore


Aureliano alla regina Zenobia di Palmira, verso il 270. Nel corso dei feroci scontri
ingaggiati nella città di Alessandria, fu raso al suolo il Bruchion, quartiere della città
dove si trovavano la reggia e, al suo interno, la biblioteca ed il Museo subirono
certamente danni enormi, che li resero totalmente inaccessibili e distrussero una
grandissima parte del patrimonio librario.

3. Il decreto di Teodosio I (391 d.C.): la fine della Biblioteca di Alessandria e del Museo
potrebbero essere collegate a quella del Serapeo, la biblioteca minore di Alessandria,
distrutto in seguito all'editto dell'imperatore Teodosio I del 391, ostile alla cosiddetta
"saggezza pagana". Va però tenuto presente che il Serapeo era ben distinto dalla
biblioteca, anche geograficamente, e forse era una delle poche parti rimaste ancora
in stato accettabile di conservazione.

4. La conquista araba (642 d.C.): Amr in al-As, emiro degli Agarei, fu costretto a
distruggere quanto rimaneva della biblioteca sulla base dell’ordine, riportato dai
dialoghi di Amr con lo studioso Giovanni Filopono e assai noto, del califfo Omar: “Se il
loro contenuto si accorda con il libro di Allah, noi possiamo farne a meno, dal
momento che, in tal caso, il libro di Allah è più che sufficiente. Se invece contengono
qualcosa di difforme rispetto al libro di Allah, non c’è nessun bisogno di conservarli.
Procedi e distruggili”.

La ricostruzione non è comunque certa, anche a causa di contraddizioni interne alle fonti
stesse, alla gran quantità di versioni e addirittura a volte, come nel caso ad esempio di
Gellio, di probabili interpolazioni successive sulla base di altri testi o difficili interpretazioni
linguistiche (si pensi alla confusione di bibliothèke o apothèke biblìon, espressioni
comunemente tradotte con biblioteca ma che probabilmente in molti casi facevano
riferimento a scaffali), od anche a calcoli incompresi (oltre alla tendenza
all‘esagerazione, fino a dire che si erano superati i 500‘000 rotoli, vi è anche un numero,
40‘000 rotoli, che sarebbero stati bruciati secondo alcune fonti da Cesare, secondo altre
in altri contesti, difficilmente comprensibili).

La questione è così complessa e dubbia che alla pubblicazione della traduzione


americana del testo nacque nel 1990 un'aperta diatriba sulle pagine della New York
Review of Books: il classicista inglese sir Hugh Lloyd-Jones concentrò le sue critiche
sull'apparente accoglimento da Canfora della tesi, oggi screditata, secondo cui la
biblioteca sarebbe stata distrutta dal califfo 'Omar ibn al-Khattāb in seguito alla presa
della città, nel 641. Canfora però dipanò il malinteso, chiarendo che la biblioteca andò
distrutta durante la guerra che oppose Aureliano a Zenobia, regina di Palmira

• Nel libro si intreccia infine la storia di un'altra biblioteca scomparsa: quella contenuta nel
Ramesseum, il mausoleo del faraone egiziano Ramesse II. L'Egitto rimane comunque un
elemento di continuità perché, come viene sottolineato, ha sempre avuto una forte
attrattiva, soprattutto per il popolo greco. A testimonianza di ciò si cita un testo di
Diodoro Siculo, il quale in realtà riporta la descrizione di Ecateo, il primo di cui si ha
notizia ad aver subito il “fascino” dell'Egitto il “paese più tentacolare del mondo“: verso
questa terra vi era il mito della sua antichità, che portava ad una proverbiale saggezza
e giustizia. Il fatto è che questa biblioteca non è stata trovata da alcuna indagine
archeologica. Bibliothèke però in greco significa “luogo dove porre libri”, quindi in primis
scaffale. Allora il testo di Ecateo che ne parla potrebbe corrispondere ad un dato
archeologico: sebbene non sia stata ritrovata alcuna sala dall’apparente funzione di
biblioteca, è stato però rinvenuto uno spazio (all’interno di tre distinte sale con funzione
di peripati) adatto a scaffali con dei rilievi e la scritta “luogo di cura dell’anima”. La
complessità di questo ritrovamento entra perfettamente nel disegno di “città proibita”
che era il mausoleo, dove i somata (le vere e proprie tombe) sono poste quasi alla fine
di un labirinto di stanze, secondo lo stile appunto tradizionale egiziano.

• L’ultima riflessione che nasce dal testo è quella su ciò che ci è rimasto della cultura
antica: secondo la teoria dello studioso Gibbon si conservano i testi di autori che fanno
da “bacino di raccolta” del sapere precedente, quindi noi conosceremmo tutti gli
aspetti fondanti della cultura antica. Sta di fatto che dobbiamo riconoscere di avere
una piccolissima parte dell’enorme patrimonio letterario e culturale antico se già nel
quarto secolo il retore Temistio lanciava l‘allarme della perdita dei classici, per la cui
conservazione vi era stata una catena ininterrotta di nuove biblioteche, tutte repliche di
quella alessandrina, fino all‘ultima, quella di Bisanzio; ma possiamo partire da quanto
abbiamo per cercare di ricostruire al meglio la cultura antica per poterla apprezzare, in
un’ottica filologicamente corretta, in grado di farci apprezzare la sua vera bellezza.

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