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3Letteratura tedesca mod. 2 // Professore Massimo Bonifazio

Lezione 1.
Lunedì 03.05

Programma:
1. Manuale: uno a scelta tra i testi citati (nella cartella Drive ci sono i pdf di un manuale)
2. Letture obbligatorie: Karen Duve e Jonathan Safran Foer
3. Almeno 4 opere a scelta (due per gruppo) se leggiamo solo due opere del primo gruppo è meglio non
leggere le due opere di Boll (nel caso volessi leggere un’opera di Boll posso anche leggere il Viandante se
giungi a Spa..  questo potrebbe essere un buon tema x parlarne a lezione)

Lettura di un articolo che il professore ha caricato sul Diario di brigata


Romagnoli riflette sul fatto che anche questo episodio di cronaca sembra ricalcare un copione; la
pornografia è molto ripetitiva e presenta una sorta di copione, le cose sono sempre un po’ le stesse.
Romagnoli riflette sul fatto che questo episodio sembra ricalcare i gesti del gang bang.
Differenza tra pornografia e letteratura: mentre la pornografia ripete dei copioni già visti, che si ripetono
sempre, da un punto di vista nella maggior parte dei casi maschile, la letteratura che ci interessa non da
copioni, ma problematizza (mentre la pornografia è semplicistica), la letteratura non fornisce modelli di
comportamento già fatti, ne in positivo ne in negativo, ma da modelli che sono difficili da gestire,
contraddittori.
 Hescher ‘’Relativity’’, Escher è un incisore olandese che crea un ambiente simile a quello della
letteratura; nell’incisione vediamo delle scale impossibili, con degli uomini che le percorrono ma senza un
senso; in questo senso la letteratura è contraddittoria, perché ci fa vedere uno spazio a due dimensioni che
però nasconde delle parti contraddittorie.

Il romanzo come genere letterario è sempre stato intriso di storia.


Il romanzo come lo intendiamo noi nasce nel 700 con il Don Quijote di Cervantes.
La letteratura tedesca che consideriamo noi è molto legata alla storia.
Per la letteratura tedesca un caso importante è quello di Schiller (sodale di Goethe), autore di teatro e di
poesie che per tutto l’800 fino alla seconda guerra mondiale è considerato alla pari se non maggiore di
Goethe; è considerato un campione della libertà del Bildungsburgertum. Oggi è considerato un autore
importante, ma se dobbiamo leggere le sue opere oggi le consideriamo come dei ‘’reperti storici’’,
dobbiamo già avere un sistema ben definito per leggerlo; se leggiamo invece Goethe noi riusciamo a
leggerlo (non tutto ma alcune cose tipo il Werter) e lo sentiamo come contemporaneo, perché alcune cose
ci toccano e ci parlano ancora.
NB: bisogna fare attenzione a non santificare gli scrittori, a non considerarli degli essere sovraumani
Molte cose che a noi oggi sembrano modernissime arrivano dall’illuminismo e dal romanticismo (700-800) e
ancora non si sono applicate del tutto, come l’idea illuminista che tutti gli esseri umani sono uguali
(l’illuminismo ha venduto come universali ma non lo sono, potrebbero essere cancellate dalla storia).

La letteratura tedesca che si studia a scuola è molto legata alla storia del 900: dobbiamo quindi capire in
primo luogo la storia del 900 per capire la letteratura.
 in questo ambito è interessante Grass.

La nazione tedesca nell’800 è estremamente frammentata: all’inizio del 1800 la Germania è composta da
una serie di staterelli (frammentazione per certi versi analoga a quella italiana) e su una scia di sentimento
nazionalista che arriva dal romanticismo i gruppi etnici cominciano a rivendicare un diritto ad avere uno
stato etnicamente delineato (così come lo vogliono gli italiani).
In Germania c’è uno stato più potente che è a Prussia, che è più vasta e che ha un’organizzazione più forte
che si mette alla guida del movimento nazionalista di certi tedeschi. La Prussia unifica una parte dei
tedeschi, mentre la parte austriaca ha una storia differente (per dire che non è nemmeno la lingua che
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definisce i gruppi nazionali).


Dei sentimenti nazionalistici sono portatori soprattutto quelle classi che hanno interessi magari economici o
di altro tipo (economici perché soprattutto per eliminare la presenza dei dazi). Le classi borghesi iniziano a
fondere l’idealismo della nazione tedesca con il problema economico.

Lezione 2.
Martedì 04.05

1648: data importante perché è la fine della guerra dei 30 anni, guerra devastante per la Germania
soprattutto in termini economici. Da questa cartina capiamo quanto è frammentato il territorio, c’è una
quantità di assetti territoriali molto grande. La Prussia nel
frattempo, nel corso dei secoli si è molto allargata: ha preso
la Slesia e si è allargata oltre i confini del sacro romano
impero.
In mezzo alle guerre napoleoniche, nell’anno 1800 la Prussia
si è ulteriormente espansa: Prussia e Austria si sono spartite
la Polonia.
l’800 è un secolo fondamentale per la storia della Germania
perché in questo secolo si espande. In questo secolo la
Germania è molto arretrata sotto molti punti di vista, dal
punto di vista economico sicuramente: mentre in GB e
Francia si diffonde l’industrializzazione in Germania ci sono
grandi appezzamenti di terreno, grandi latifondi (di pertinenza soprattutto di nobili e prendono il nome di
Junker, nome con cui si chiamano i nobili proprietari terrieri in queste grandi zone ad est). Per via di questi
stati che sono così piccoli non c’è una grande dinamica economica; inoltre questi stati sono stati
aristocratici, nel senso che ci sono principi e gran duchi che sfruttano moltissime risorse per vivere in
maniera sfarzosa.
Lungo l’800 questa situazione un po’ cambia, c’è un fenomeno fondamentale che è quello della crescita
della borghesia. La borghesia si afferma in Germania tra il 700 e l’800 e per borghesia intendiamo quella
classe soprattutto collegata ai commerci (ci sono molte città strettamente commerciali come Lubecca nel
nord della Germania). La borghesia si va affermando nel 700 ma la Germania ha un problema più grande
che in altri paesi legato a quella frammentazione e al fatto che gli aristocratici si tengono stretti i propri
privilegi. Qui ci sono piccoli territori con piccole corti nei quali i borghesi non trovano spazio. Dinamica per
la quale i borghesi diventano una classe sempre più consapevole delle proprie possibilità e barattano
l’impossibilità di prendere decisioni a livello politico/sociale/economico.
Noi viviamo in una cornice sociale/culturale creata dalla borghesia. Il periodo tra 18° e 19° secolo è
estremamente interessante perché è il momento in cui si fissano alcune idee, per esempio l’idea della virtù:
qualcosa che fin dall’antichità viene proposta come modello, punto di riferimento sul quale indirizzare la
propria vita (si può pensare anche al cristianesimo che nella cultura occidentale da una spinta molto forte a
certe idee come quella di virtù). È interessante che la Germania fa propria l’idea di virtù, da un certo punto
di vista per la virtù stessa, da un altro punto di vista la virtù è un’arma contro l’aristocrazia (che ha regole
molto rigide ma d’altra parte è molto libera).
Concetto illuminista dell’uguaglianza degli uomini è un concetto anti aristocratico (l’aristocrazia credeva che
il sangue aristocratico fosse migliore del sangue del resto della popolazione). Con l’illuminismo la borghesia
da una regola universale su cui basarsi che toglie le differenze anche sociali che erano state poste
dall’aristocrazia.
Altro grande tema introdotto dai tedeschi che ne fanno un motivo forte è l’arte: anche questa è una cosa
difficile per noi vederla obiettivamente, ma l’arte ha quest’aura di sacralità da poco tempo (inizio 800):
sono i romantici tedeschi a stabilire l’importanza e la sacralità dell’arte. Prima del romanticismo gli artisti si
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consideravano ottimi artigiani, non artisti. Per moltissimi secoli l’arte è stata ornamento, un pezzo
dell’esistenza umana che però non aveva quell’importanza che gli diamo noi oggi.
La borghesia invidia l’aristocrazia perché può permettersi delle cose che la borghesia non può permettersi;
la borghesia crea questa idea prestigiosa che l’arte sia importante e se una figura è capace di capire e di
guardare all’arte allora si può considerare superiore all’aristocrazia.
I borghesi fanno diventare la cultura una cosa importante per affermarsi, si affermano economicamente
tramite l’industria e l’imprenditorialità. L’affermazione della borghesia passa dalla sua imprenditorialità ma
passa anche da questo lavoro sulla virtù e sull’arte. Con forza l’arte è un mezzo che la borghesia utilizza per
arrivare al prestigio. Far diventare prestigiosa l’arte significa anche far diventare prestigiosa la borghesia
che apprezza l’arte.
Il 1800 vive una sorta di compromesso, quasi come se gli aristocratici dicessero ai borghesi ‘’va bene
espandetevi economicamente, lavorate al sapere in generale, basta che le leggi le facciate fare a noi, non
chiediate troppa libertà’’.

Tra fine 700 e inizio 800 nasce la volontà di creare una storia tedesca e così inizia il nazionalismo (concetto
prima difficilmente pensabile), soprattutto perché ci si rende conto che la Germania non ha una cultura
lunga e scritta come è stato per l’Italia ad esempio (consideriamo che il primo grande autore conosciuto
tedesco e Goethe nella metà del 700). Nazionalismo: concetto che un gruppo etnico possa risiedere
all’interno di confini territoriali, importanza del popolo (popolo: entità vaga, non concreta). È interessante
che siano degli intellettuali a creare una storia tedesca per creare una forma di prestigio e in questo
momento vengono scoperte ad esempio le saghe nordiche o la letteratura medievale, la linguistica di quel
periodo (nome importante in questo ambito è Humboldt) che nasce prima come linguistica comparata
(perché si vuole cercare la lingua originaria). Tutte queste cose nascono con l’idea di creare una nazione e
diventa anche una specie di obiettivo dei borghesi tedeschi (ma anche delle altre nazioni) il creare lo stato:
il 19° secolo possiamo leggerlo per la Germania come uno sforzo delle forze borghesi per creare uno stato
unitario.
Da una parte quindi ci sono questi interessi dei borghesi, dall’altra ci sono però gli interessi degli
aristocratici, come quelli della famiglia regnante di Prussia (primo esponente famoso è Federico 2°).
Federico 2° è uno di quelli che chiamiamo assolutisti illuminati (illuminati perché si ispira all’illuminismo
non sui diritti degli umani ma sulla razionalizzazione), egli lavora all’ordinamento dello stato e crea una
serie di uffici, di gerarchie e di strutture che devono guidare in senso razionale lo stato prussiano. Uno dei
pezzi dello stato che Federico 2° cura in particolare è l’esercito. La Prussia ha un esercito ben organizzato,
moderno sotto tanti punti di vista (anche rispetto alla Francia che era molto più grande dal pov territoriale).
La Prussia diventa la forza trainante dell’unificazione tedesca, un po’ come accade in Italia con i Savoia.

Con l’arricchirsi della borghesia inizia un circolo virtuoso nei primi decenni dell’800, grazie ai capitali
accumulati (grazie alla tolleranza dei sovrani) dal punto di vista economico, deriva dal fatto che questi
capitali vengono sfruttati per l’industrializzazione della Germania. Questa industrializzazione avviene in
condizioni favorevoli e molto velocemente. I tedeschi impiantano fabbriche con tecnologie innovative,
questo consente sia una maggiore che una migliore produttività.
Un altro elemento importantissimo è la nascita di politecnici (scuole universitarie che però non sono
università), fatto positivo per l’industria tedesca perché si crea una sinergia tra le industrie e questi
politecnici che diventano anche luoghi di ricerca e le ricerche vengono subito utilizzate dalle fabbriche.
Alcune invenzioni importanti sono il dado per il brodo, la gomma, il motore elettrico, l’acciaio; tutte queste
invenzioni sono importanti anche dal punto di vista economico perché vengono subito brevettate e la
Germania nel giro di pochi decenni diventa in Europa una leader dal punto di vista economico (questo sarà
poi uno dei motivi dello scoppio della 1GM perché si diffonde un sentimento che vede le altre potenze
come GB e Francia più sviluppate territorialmente grazie alla presenza di colonie.
Sviluppo dell’autocoscienza dei borghesi che si salda al nazionalismo degli stati tedeschi. Nelle guerre
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napoleoniche per la prima volta gli stati tedeschi pensano a una possibile loro unificazione.
Nel 1871 viene proclamato l’impero tedesco a Versailles: schiaffo alla Francia

Federico 2° vuole concentrarsi sull’Europa mentre il suo successore, il figlio Guglielmo 2° ambisce a una
politica mondiale della Germania. C’è un passaggio forte tra il 1871 e i decenni successivi anche per la
guerra: le riparazioni di guerra richieste alla Francia immettono molto denaro sul suolo tedesco. Le città
acquisiscono la fisionomia che hanno ancora per tanti versi adesso.

Lezione 3.
Mercoledì 05.05

Far partire la storia tedesca dal nazionalsocialismo è un po’ rischioso. Dobbiamo sempre renderci conto da
che punto di vista ricostruiamo le vicende. In questo caso quello che è uno degli eventi più drammatici della
storia tedesca ne diventa un po’ il marchio, lo stigma e si finisce per pensare a tutta la storia tedesca alla
luce di questo fenomeno che è il nazionalsocialismo.
La storiografia dal 1871 in avanti, nei decenni immediatamente dopo l’unificazione ha lavorato per
dimostrare come l’unificazione fosse un fenomeno già scritto nella storia precedente della nazione.
Non è automatico il passaggio dal prussianesimo al nazionalsocialismo, così come non è automatico che la
Germania si unificasse nel 1871.
Bisogna sempre fare attenzione a non caratterizzare troppo le storie a partire dalla fine.

La fine del 19° secolo: momento di entusiasmo ed esaltazione legato all’unificazione che rafforza certe
dinamiche economiche per le riparazioni di guerra e per l’unificazione in se e per se (perché semplifica
molte cose) crea le condizioni per conflitti futuri.
In un ottica scivolosa la guerra del 1870 porta alla 1Gm, perché ci sono tensioni in Europa che già all’inizio
del 20° secolo ci sia l’idea un po’ in tutta Europa che la guerra dovrà scoppiare per ristabilire gli equilibri
(soprattutto per:
1. La volontà di vendetta della Francia
2. competizione economica tra Germania, Gran Bretagna e Francia ovvero le nazioni più sviluppate
3. una competizione militare: la Germania alla fine del 800 inizia a sviluppare e a incrementare la sua flotta
da guerra. Questo è un chiaro modo di gareggiare con l’Inghilterra che era la nazione che aveva la glotta da
guerra più sviluppata. Idea del dominio dei mari.
4. Malcontento per le colonie
5. Tensioni nei Balcani: la Germania qui ha meno a che fare. Qui sono l’Austria e la Russia che hanno una
parte di dominio sulla zona dei Balcani.
 La Prima guerra mondiale è importante per tante ragioni, a guardarla oggi la foga, l’entusiasmo con cui
la popolazione, gli intellettuali, la politica si getta nella 1GM in Germania: sono pochissime le persone che si
schierano apertamente contro l’idea di andare in guerra, c’è un entusiasmo fortissimo, ed è un entusiasmo
che ognuno un po’ delinea a modo suo.
In letteratura uno dei casi più eclatanti in questo ambito è il caso di Thomas Mann che nel 1914 ha circa 40
anni, egli si entusiasma per la guerra e scrive durante la guerra ‘’le considerazioni di un impolitico’’ in cui
dice che la Germania ha quasi il dovere di entrare in guerra perché doveva difendersi.
La Germania entra a fianco dell’Austria in guerra e la prima azione di guerra che la guerra compie è
invadere il Belgio neutrale per arrivare in Francia dove la Francia non si aspettava di essere attaccata
(costruzione della Linea Maginot). La Germania, quindi attacca la Francia abbattendo il diritto nazionale
compiendo un ‘’crimine’’. Mann sostiene che la Germania dovesse fare un atto preventivo, perché sarebbe
stata in ogni caso attaccata. Questo entusiasmo di Mann, ma anche di altri, è del tutto spropositato (a
differenza di Thomas, il fratello Heinrich Mann era uno dei pochi che si era schierato apertamente contro
l’entrata in guerra della Germania).
Agosto 1914 sentimento chiamato ‘’lo spirito d’agosto’’, spirito di unione quasi mistica di quella
popolazione tedesca con il Kaiser (Guglielmo 2°) e con l’esercito (ci sono tantissimi volontari anche
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giovanissimi che si arruolano con l’idea che finita la guerra la Germania sarebbe stata migliore).
[[ NB: l’industrializzazione della Germania comporta lo sviluppo delle masse, della forza lavoro, che vivono
in una condizione di grande povertà. ]]
Una parte della gioventù, che sono i figli e i nipoti di quella fascia di popolazione che aveva fatto
l’unificazione, sosteneva che nei genitori e nei nonni fosse presente un grande materialismo e che fosse
necessario un cambiamento: cambiamento che si può vedere nella guerra. Idea di far diventare la nazione
migliore con la guerra.
L’entusiasmo si smorza relativamente in fretta perché i soldati che arrivano al fronte capiscono presto che
la guerra non era quella cosa entusiasmante che avevano immaginato. Le innovazioni tecniche trasformano
le modalità di condurre la guerra. La 1GM è un momento di sperimentazione sul campo di nuove modalità e
di nuove tecnologie: si incomincia infatti ad usare l’aviazione, i gas, vengono migliorate le mitragliatici, i
cannoni, le armi automatiche.
Nella 1GM nasce il concetto di guerra di trincea, le battaglie diventano operazioni che durano mesi e mesi,
perché non c’è una battaglia diretta tra i due eserciti ma bisogna difendere i confini. Questa è una novità
che la letteratura racconta molto bene, in Germania i romanzi di guerra vengono scritti per la maggior parte
alla fine degli anni 20, e raccontano un po’ tutti la stessa cosa, ovvero che la guerra era caratterizzata da
una noia continua che veniva interrotta da momenti di esaltazione o di terrore.
Divario tra l’immagine che ha chi parte e poi le vere condizioni sul fronte e il massacro che accade poi in
realtà.
La Germania ha un paio di vittorie sia sul fronte occidentale che su quello orientale.
Lo stato maggiore tedesco era formato da von Hindemburg e Lundendorff, due generali che Guglielmo 2°
chiama e che dal 1916 instaurano una sorta di dittatura militare. La cosa interessante è che questi due
generali non fanno trapelare ciò che stava succedendo in guerra: anche gli stessi soldati e i generali non
sapevano come stesse andando la guerra al di fuori della loro trincea. I due generali prendono accordi
secreti con le altre nazioni perché sanno che la guerra non può più essere vinta e quindi è meglio fare un
armistizio per non rischiare di far diventare la Germania scenario di guerra. I due generali avevano però
sempre fornito dati positivi alla popolazione e al Kaiser stesso per cui è uno shock per tutti quando si viene
a sapere che la Germania non può vincere la guerra.
L’armistizio con le altre potenze avviene con alcune imposizioni come la fine del potere del Kaiser e la sua
abdicazione, che la Germania diventi una repubblica parlamentare, che il numero dei soldati nell’esercito
venga diminuito, che ci siano delle riparazioni di guerra, la Germania subisce delle perdite territoriali
abbastanza consistenti (viene sottratta alla Germania una grande parte a nord-est, l’Alsazia Lorena). Quello
che accade è che soprattutto la Francia pretende che la Germania paghi delle riparazioni enormi 30 anni. È
chiaro fin dall’inizio che la Germania non riuscirà a pagare le riparazioni di guerra.
serie di problemi:
1. Problema economico
2. Problema della Repubblica: è una repubblica che nessuno vuole, non lo vogliono i conservatori e i
monarchici per ovvie ragioni, non lo vogliono neanche le forze di sinistra perché gli estremisti vorrebbero
fare la rivoluzione (quindi una Repubblica conquistata dal basso).
Situazione complessa ulteriormente complicata dalla fragilità del sistema.
 in questo periodo l’SPD (partito socialdemocratico) si frammenta e si staccano i rivoluzionari che creano
la Lega di Spartaco (figure principali: Liebknecht e Rosa Luxemburg). La frammentazione dei partiti della
sinistra crea un’instabilità fortissima nella repubblica di Weimar, un’instabilità politica, le elezioni sono
seguono il principio proporzionale (quindi qualsiasi partito che si presenti può entrare in parlamento).
La capitale della Germania diventa Weimar perché Berlino diventa molto pericolosa.
Nel 1918 vengono fondati i Corpi liberi (Freikorps) che sono un germoglio della riduzione dell’esercito;
milioni di uomini che sono stati nelle trincee quando tornano a casa si trovano in una condizione
particolare, nel senso che hanno combattuto immaginando di tornare a casa e di essere accolti come eroi,
in realtà quando tornano a casa tornano come sconfitti perché non hanno vinto la guerra. Siccome la
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Germania non ha perso la guerra perché è stata sconfitta sul campo ma è stata sconfitta in un modo nuovo:
in trincea non vince l’esercito più abile ma vince l’esercito che ha più uomini da far morire e ha più soldi per
mandare materiali (divise, armi, cibo..) idea che ci sia un fronte interno che produce e manda i materiali
all’esercito. Nascono quindi queste formazioni paramilitari esterne all’esercito che sono stipendiate da una
varietà di personaggi alcuni dei quali sono ex ufficiali che hanno disponibilità economiche e che creano
questi corpi paramilitari tendenzialmente di destra che nascono anche per la grande paura che si ha della
rivoluzione (nel novembre del 1918 la Rivoluzione russa è un evento ancora recente).
Questi corpi franchi sono un elemento importante per la Repubblica di Weimar perché sono molto visibili
nel contrastare e azioni dei comunisti e le forze di sinistra e perché raccolgono tutti questi reduci di guerra.
 dopoguerra in Germania: situazione tesa, economia in bilico per le riparazioni di guerra.
Nel 1922 la Francia occupa una zona di miniere e di industrie della Germania perché sostiene che la
Germania non stia pagando le riparazioni di guerra alla Francia. Il governo tedesco, che non ha le forze di
ritornare in guerra, chiede agli operai e ai minatori di non lavorare e paga loro gli stipendi. Questa crisi si
risolve nel corso di un anno e mezzo.
Il consenso del nazionalsocialismo si nutre di queste incertezze dovute dalla crisi economica.
I cinque anni tra il 1924-1929 è un periodo felice, è uno di quei momenti di benessere e di percezione di
benessere, per cui molte immagini che noi abbiamo dei ruggenti anni 20 le ritroviamo anche in Germania.
La Germania è un paese molto squilibrato e il divario tra città e campagna è ampissimo. ma in questi anni a
Berlino ci sono molte novità e avvenimenti che creano un clima felice (teatri, cabaret, cultura omosessuale,
Berlino diventa una città molto libera).
Nel 1925 Von Hindemburg viene nominato presidente della repubblica (era già piuttosto vecchio), era
molto legato all’aristocrazia, al mondo conservatore, agli Junker.
Lungo gli anni 20 si sviluppa il partito nazionalsocialista degli operai tedeschi (NSDAP). Hitler è un austriaco
che finisce in Germania durante la 1GM (lui combatte con la Germania). Nel 1920 entra in un piccolo partito
dell’estrema destra e lo trasforma in poco tempo. Nel 1923 lui tenta anche un colpo di stato militare che
però fallisce e quindi viene incarcerato e qui scrive il Mein Kampf.

 ideologia razzista: per i nazionalsocialisti la biologia è fondamentale. Lotta tra razze biologiche, quindi
determinate dal sangue. Volontà di sottomettere le razze inferiori così come in natura c’è la legge del più
forte. Per Hitler la razza ariana è la detentrice di questo potere da esercitare sulle altre razze e in
particolare la razza più odiata da Hitler è la razza ebraica

Lezione 4.
Lunedì 10.05

L’antisemitismo va colto nella sua dimensione storica, non è infatti un invenzione di Hitler o dei
nazionalsocialisti ma è una cosa che esiste già da molto tempo (vedi diaspora della comunità ebraica).
Quello che porta all’atteggiamento di Hitler è qualcosa che si sviluppa soprattutto nel 19° secolo, secolo in
cui nascono tanti stereotipi e tante idee vengono definite alcune caratteristiche che dovrebbero definire
l’ebreo. Questo va letto in quella dinamica del nazionalismo, della definizione delle etnie e delle nazioni,
che è una definizione territoriale: non esiste infatti un nazionalismo extraterritoriale e gli ebrei essendo un
popolo abbastanza unitario ma privo di una terra, di una patria, e neanche interessato ad averla, questo
fatto diventa ulteriormente motivo di sospetto da parte di coloro che invece aspirano ad avere una nazione
dentro determinati confini ben definita. Nel 19° secolo gli ebrei sviluppano una forma di nazionalismo, lo
sionismo, (Sion è un altro nome usato per la Palestina), questo movimento vorrebbe far ritornare tutti gli
ebrei in Palestina non come punizione ma come spinta autonoma.
L’antisemitismo si definisce nel 19° secolo all’interno del discorso più ampio del razzismo: alcune differenze
tra i due termini: il razzismo dell’800 si può intendere come una linea di pensiero che vede la superiorità
delle culture occidentali rispetto a quelle coloniali (neri, asiatici..); l’antisemitismo individua negli ebrei non
una razza inferiore in se e per se, ma una razza nemica, perché gli ebrei sarebbero quelli che hanno le leve
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del potere, che consapevolmente trasformano le culture dentro le quali vivono. Una delle caratteristiche
assegnate agli ebrei è che gli ebrei siano sessualmente molto attivi, gli uomini come le donne. L’altra
caratteristica degli ebrei è che essi avendo a disposizione molti capitali tirino le leve del mondo. Il primo
discorso si basa sullo stereotipo, mentre il secondo trova origine nel fatto che tra i super ricchi dell’epoca ci
sono molti ebrei (considera che gli ebrei nel medioevo erano gli unici autorizzati a prestare denaro: i
cristiani non potevano prestare usura perché per loro dio era padrone del tempo e l’interesse dato allo
scadere del periodo viene visto come pagamento per il tempo, e di conseguenza per dio).
Questo discorso si fonde con altri discorsi tipici di questo periodo, come la femminilizzazione dei maschi.
Quello è un periodo (fine 800 e inizio 900) in cui i maschi si sentono sotto attacco e lo esprimono
continuamente; è interessante il fatto che nonostante gli ebrei maschi vengono considerati iper
sessualizzati, gli ebrei in generale vengono considerati una razza femminile, cioè che è una razza, che come
le donne, sono subdoli, lavorano non con la razionalità (che è un principio maschile) ma la seduzione (come
l’arte; molti intellettuali di quel periodo erano ebrei).
Il momento in cui l’antisemitismo in questa versione emerge decisamente è il processo Dreyfus: Dreyfus è
un ufficiale che viene accusato, in quanto ebreo, di essere una spia.
Anche nella cultura tedesca c’è parecchio antisemitismo, che non si può definire dilagante, ma c’è
comunque quest’idea che gli ebrei siano sospetti. L’intellettuale Otto Weininger scrive un libro che
sostiene questa tesi. L’antisemitismo quindi esiste in Germania prima di Hitler e lui ne fa un punto di
partenza molto forte. Hitler già nel Main Kampf si può leggere l’intenzione dell’idea dell’eliminazione di
tutti gli ebrei d’Europa, ma probabilmente a chi lo leggeva negli anni 20 sarà forse sembrato qualcosa che si
dice ma che poi è impossibile metterlo in atto.
Concretamente gli ebrei sono per lo più assimilati, molti di loro non si riconoscono più nella religione delle
madri o delle nonne (la discendenza passa dalla linea femminile), e fanno tutto quello che fanno gli altri
tedeschi, anzi si sentono molto più tedeschi che ebrei.
Dopo la prima guerra mondiale una delle scuse che vengono usate per giustificare la sconfitta tedesca è
quella della ‘pugnalata alle spalle’ che sarebbe stata data soprattutto dagli ebrei che avrebbero indebolito il
fronte tedesco non facendo il possibile per far vincere la Germania.
Nell’ideologia nazionalsocialista gli ebrei sono visti come causa di tutti i mali anche per il fatto che non
abbiano una terra; tutto il discorso nazionalsocialista si basa ‘sul sangue e sul suolo’.
Problema della definizione teorica e storico culturale dell’antisemitismo e il fatto che queste idee
abbiano attecchito senza troppi problemi in area tedesca.  molti tedeschi sembra che sostenessero
l’antibolscevismo, data la paura per una rivoluzione sovietica.
Il nazionalismo può anche essere un sentimento molto forte e genuino, non necessariamente aggressivo,
ma semplicemente un amore per la propria terra.
La letteratura cittadina era quella della dissoluzione dei rapporti tra uomini e donne, ancora peggio tra
uomini e uomini e donne e donne.
 Tutto questo serve a far capire come quanto Hitler in questo ambito sia stato una figura ordinatrice.

Hitler prende il potere in maniera ufficiale nel gennaio del 1933, viene nominato cancelliere da von
Hindemburg, già molto anziano. Tutti gli organi amministrativi, politici, sindacali della Germania vengono
livellati al nazionalsocialismo, lì vengono messi uomini di fiducia dei nazionalsocialisti così che l’ideologia
nazionalsocialista entra ovunque.
Ci sono anche contraddizioni all’interno del movimento nazionalsocialista. Nel 1933 quando Hitler sale al
potere i nemici del nazionalsocialismo sanno di rivestire quella posizione, allora la Germania perde
moltissimi intellettuali. In un certo senso in Germania rimangono tutti quelli che non hanno la possibilità di
andarsene (che non sono nemmeno pochi) e poi c’è una grossa fetta di persone che rimane perché tutto
sommato è d’accordo. Dopo il 22-23 con l’inflazione, dopo il 29 con l’inflazione dovuto al crollo di Wall
Street, ci sono anni piuttosto felici, l’economia riparte (perché Hitler fa una serie di scelte che hanno effetti
molto positivi, ad esempio la costruzione delle autostrade), aumenta l’esercito, e l’industria ne risente
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positivamente. Hitler fa queste cose perché ha già in mente la guerra (le autostrade vanno in direzione est
verso la Polonia, e servono ai carrarmati per dirigersi comodamente verso la Polonia). Tutto ciò contribuisce
a un certo consenso. Questa dimensione del consenso e del benessere influisce sul lungo periodo molto.
Hitler batte sul tasto dell’antisemitismo fin da subito ma solo nel 1935 promulga le leggi di Norimberga (che
escludono gli ebrei dalla cittadinanza tedesca), che vengono inasprite successivamente. Questo è un
ulteriore elemento che complica il quadro. Nel 1938 avviene la notte dei cristalli, una caccia all’ebreo
organizzata anche se Hitler la fa passare come un atto spontaneo della popolazione; la notte tra il 9 e il 10
novembre 1938 vengono distrutte le vetrine dei negozi appartenenti agli ebrei.
Il 1942 è l’anno di svolta con la conferenza di Wannsee (località vicino a Berlino), a cui partecipa anche
Eichmann, in cui si discute l’idea della ‘endlosung’, ovvero della soluzione finale. Eichmann sarà quello che
fa in modo che i treni da tutta Europa arrivino nei campi di sterminio. La diffusione in Europa dei campi di
concentramento organizzati dai nazisti è impressionante. Prima dalla creazione dei campi di sterminio
vengono creati dei ghetti, ovvero delle parti di una città in cui vengono radunati tutti gli ebrei.
C’è poi il problema di tutti coloro che si trovano coinvolti nel dopoguerra: riconosciamo i Tater (i criminali,
coloro che agiscono, che compiono le azioni, come le SS) e i Mitlaufer (i complici, quelli che hanno condiviso
alcune cose senza allontanarsi).
Negli anni 60 si inizia a pensare cosa sia stato Auschwitz e solo dagli anni 80 diventa cosa è per noi. Oggi ci
sembra evidente che Auschwitz sia il punto più basso del 900, perché li la razionalità è completamente
uscita dai binari, tutta la razionalità che l’illuminismo avrebbe voluto migliorare le condizioni umane viene
usato per il contrario, ovvero per distruggere fisicamente alcune persone.
Uno dei motivi per cui questo episodio della shoah è diventato un punto di riferimento nella storia
contemporanea è dato dal fatto che la Germania era uno stato all’avanguardia dal punto di vista culturale:
è la terra di Lessing, Kant, Goethe (persone che ragionano sulla tolleranza).
Tutta questa insistenza sul nazionalsocialismo è una forma di impotenza di fronte alla storia, con la
sensazione che la cultura non sia servita di fronte alla storia.
Hitler il 1° settembre 1939 invade la Polonia perché nessuno l’ha fermato quando ha annesso i Sudeti e
allora si allarga; si sente come autorizzato. Scoppia il gioco delle alleanze ma Hitler continua ad allargarsi a
seguito di alcune vittorie; nel giro di pochissimo invade la Francia, Danimarca, Norvegia, Belgio, fino ad
arrivare nel 1941 quando attacca l’URSS con l’assedio di Stalingrado e accade il primo stallo per i tedeschi.
Cartina che ci mostra l’Europa il 6 giugno del 1944
(giorno dello sbarco in Normandia); è
impressionante vedere quanto si è espanso il reich
tedesco. Il 16 aprile del 1945 le truppe alleate e
quelle sovietiche entrano a Berlino; ci sono ancora
due settimane di combattimenti, Hitler si suicida il
30 aprile e la Germania firma la resa.
Dall’autunno del 1944 è chiaro che la Germania
non riesca a vincere la guerra ma Hitler continua a
spronare l’esercito a combattere perché ha l’idea
di combattere fino all’ultimo uomo. Uno dei suoi
cavalli di battaglia propagandistici è quello della fedeltà.
La situazione nel 1945 per i tedeschi è terribile: sono ‘orfani’ di Hitler, alcune città sono state bombardate
in alcuni casi fino all’80% (Berlino, Dresda, Amburgo), e sono soprattutto orfani di quell’ideologia che faceva
dei tedeschi la razza superiore, questo dal punto di vista individuale dev’essere stato una grande sconfitta
(se pensiamo che i tedeschi si sono trovati faccia a faccia con l’URSS o con i soldati neri americani, vincitori).

Lezione 5.
Martedì 11.05
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I tedeschi alla fine della guerra si sentono orfani di Hilter, conseguenza coerente con il furer prinzip, perché
se lo stato si identifica con il capo, se il capo non c’è più anche lo stato fa la sua stessa fine. Quando Hitler
muore anche colui che doveva sostituirlo firma l’armistizio con gli alleati.
Su questa situazione dei tedeschi si è riflettuto molto; anche in questo caso non bisogna immaginare che
tutto avvenga immediatamente, è chiaro che la situazione dei tedeschi si riflette negli anni successivi, in
quel momento (maggio, giugno, luglio 1945) la situazione è talmente complicata che è difficile farsi un’idea
di che cosa accada.
Il grande fenomeno è quello dell’occupazione da parte dei sovietici e
degli alleati. In base ad accordi presi durante la guerra (in particolare
a Jalta) la Germania viene divisa provvisoriamente. La Germania e
Berlino vengono divisi in 4. La Germania perde gran parte dei territori
orientali e quindi la situazione è particolarmente tesa. Quello che
accade molto presto è che si crea una distinzione tra la zona sovietica
e le tre zone occidentali. Le zone occidentali sono vicine tra di loro e
hanno politiche simili (nel 1948 le tre zone occidentali decidono di
creare una moneta unica). Nel 1949 le tre zone occidentali diventano
una unica zona.
La differenza tra le politiche culturali da un certo punto di vista non è molta: sia ad est che ad ovest ci sono
linee precise: la denazificazione, democratizzazione, ma a est e a ovest ci sono idee un po’ diverse; a est
l’idea è quella di collegare la Germania al socialismo,
Quello che si vuole evitare è trattare la Germania come è stata trattata alla fine della prima guerra
mondiale. La linea che passa è quella di fare in modo che i prima possibile la Germania ritorni nella
compagine delle nazioni occidentali.
Nella guerra ci sono divergenze tra l’URSS e gli occidentali e dopo la guerra ciascuno persegue il proprio
scopo: lo scopo dell’URSS è quello di espandere il proprio territorio (patto di Varsavia). Nei primi mesi Stalin
dalla Germania est porta via delle cose, smonta letteralmente alcune fabbriche e le porta in Unione
Sovietica. La politica che viene attuata ad ovest è quella di cercare che la Germania si rialzi in piedi il più in
fretta possibile, che sia libera di fare le proprie scelte (si vuole cerare un sistema parlamentare meno fragile
di quello della repubblica di Weimar) e per fare questo si investono moltissimi soldi soprattutto dagli USA
(piano Marshall), i tedeschi colgono l’idea di aver seguito la politica per certi versi suicida di Hitler, i
tedeschi si aspettano di venire puniti per ciò che è successo negli anni precedenti; la politica occidentale è
stata quella di far risollevare la Germania.
La denazificazione viene attuata in modi un po’ diversi nelle due grandi zone, in quella sovietica la
denazificazione risponde a una socializzazione (le persone vengono educate al socialismo) mentre nella
zone occidentale si punta sulla democrazia. La denazificazione avviene in maniera piuttosto blanda in
occidente, infatti molti nazisti continuano nelle loro attività, questo anche per motivi concreti (se si pensa
ad esempio per le amministrazioni: coloro che conoscano i meccanismi dello stato è bene che restano li
dove sono).
 Jan Assmann (egittologo tedesco contemporaneo) negli anni 70 scrive il libro La memoria culturale;
applica questo discorso alle società antiche ma funziona anche nella nostra società. Il ragionamento parte
dal fatto che nella storia delle civiltà umane la comunicazione fa un salto di qualità quando si incomincia a
scrivere, quando c’è la possibilità di comunicare a distanza, senza che l’interlocutore sia li presente. A un
certo punto anche per la complessità delle comunicazioni da fare (non solo culturale ma anche pratica) si
rende necessaria la presenza di specialisti, persone che trasmettano la scrittura. Questi specialisti sono
prima sacerdoti, gli insegnanti e poi figure amministrative. I sacerdoti e gli insegnanti non trasmettono un
sapere neutrale o un sapere individuale, ma trasmettono un sapere socialmente definito, quella che
Assmann chiama la ‘memoria culturale’, che è un insieme di tante cose, come la tradizione e la storia e la
definizione di se dei gruppi. La memoria culturale è una memoria di gruppo, ma i gruppi di per se non
hanno una vera e propria memoria, ce l’hanno gli individui, ma la memoria degli individui è sempre definita
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socialmente (cioè che non abbiamo nessun ricordo se non avessimo un quadro sociale che ci dice che cosa
sono quelle cose che mi ricordo).
La memoria culturale si applica ai gruppi grandi, una sua interiore definizione è quella di ‘’cultura del
ricordo’’; Assmann dice che i gruppi sono gruppi perché hanno una cultura del ricordo. Quali gruppi? La
famiglia, la classe scolastica dove cresciamo, la parrocchia che frequentiamo. Gli appartenenti a quel
gruppo si riconoscono tra di loro perché hanno ricordi comuni. Per i gruppi istituzionali questo è ancora più
evidente (per quanto contestata la resistenza è un pezzo di ricordo che cementa il gruppo). È la memoria
che fonda la comunità. Per le religioni lo stesso, ad esempio per il cristianesimo si è concordi nel credere
una serie di cose che fanno parte del passato, del ricordo.
Le culture del icordo creano orizzonti (di senso e temporali) dei gruppi.
Questo discorso introduce al fatto che non esista un passato vero e proprio, un’interpretazione univoca,
vera del passato; l’immagine del passato cambia a seconda del presente.
Un gruppo ha varie forme col passato, da un lato c’è la memoria individuale, i ricordi che vengono passati al
gruppo, o direttamente o indirettamente (per esempio tramite la scrittura). I gruppi hanno tante altre
forme con cui esprimono il rapporto con il passato: la scuola, l’università, l’arte, la storiografia.
Pierre Nora negli anni 80 introduce quest’idea dei luoghi che da una parte sono luoghi fisici e dall’altra sono
luoghi della memoria (Gerusalemme e Roma per la religione cristiana), i luoghi della memoria possono
anche essere delle date (perché in quel giorno si celebrano degli avvenimenti).
La moglie di Jan Assmann, Aleida (storica) ha scritto nel 1999 il libro Geschichtsversessenheit (dimenticanza
e ossessione), perché in Germania alla fine della guerra c’è questa compresenza tra oblio e ossessione
(alcuni non si ricordano cosa sia successo prima del 1945 e alcuni hanno una forma di ossessione, infatti
tutt’oggi il nazionalsocialismo non è del tutto superato). Nel 1871 il sentimento dominante era
un’autocoscienza positiva: i tedeschi sono riusciti ad unificarsi, hanno creato un reich unico grazie a una
guerra.
Nel 1918 i tedeschi sono abbattuti perché hanno perso la guerra però hanno mantenuto l’idea esaltante
della loro potenza, quindi parte anche un’energia politica, perché ci sono vari gruppi che sfruttano questo
paradosso della sconfitta/identità non cambiata per cercare di configurare un avvenire diverso alla
Germania (tra questi c’è anche il partito nazionalsocialista).
Nel 1945 e anni successivi la Germania è divisa ma partono due memorie differenti: a est una memoria da
vincitori perché aderendo al socialismo si aderisce ai vincitori della storia, si entra a far parte dei vincitori
della storia. A ovest si afferma quella che Aleida Assmann chiama memoria da carnefici, i tedeschi si
rendono conto che non possono dire ‘’ma almeno noi..’’ perché il passato non lo permette. Ci si rende
conto che l’idea dell’inferiorità delle altre razze funzionava solo nel momento in cui i tedeschi stavano
vincendo; il gruppo non ha più dei simboli o dei riti a cui appoggiarsi.
I soldati che tornano a casa dalla guerra si aspettano che le loro sofferenze vengano riconosciute, tutto
questo non avviene.
Un altro punto interessante è quello degli scacciati: durante gli anni 40 gli italiani che erano andati nelle
colonie italiane vengono scacciati, allontanati. Quello che è strano è il fatto che questo non faccia parte
della storia nazionale ma rimanga nella memoria comunicativa. Dei trasferimenti degli scacciati si parla
poco: in alcuni casi (Africa, Turchia, Grecia) c’è un po’ la vergogna del passato coloniale, gli italiani che
vanno in quei luoghi vanno nella speranza di fare una vita migliore ma dopo la guerra si trovano nella
condizione che le colonie si trovano in qualcosa di negativo di cui è difficile parlarne.
I tedeschi dell’est hanno alcuni problemi, come la paura dei sovietici (alcune persone cercano di spostarsi
dalla zona est a quella ovest).
I tedeschi dell’ovest nel 1945 hanno la ‘’sindrome da vittime’’ da un lato per le condizioni materiali, come le
città distrutte o la perdita dei famigliari, e perché a quel punto si sentono perseguitati doppiamente: da un
lato da Hitler che non ha mantenuto le sue promesse (non fa grande la Germania), dall’altro ??. i tedeschi
non ne vogliono sapere più niente del passato, nascondono i loro ricordi nell’inconscio. Ciò per cui i
tedeschi provano lutto è la perdita di Hitler, di quell’io collettivo che voleva rendere grande la Germania.
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Gran parte dei tedeschi non ha provato rimorso per ciò che è accaduto. I tedeschi si trovano in una
condizione di oppressione molteplice perché non si possono lamentare del trattamento loro riservato
perché sono stati loro la causa dello scoppio della Seconda guerra mondiale.

Lezione 6.
Mercoledì 12.05

Spaesamento dei tedeschi dopo la Seconda guerra mondiale.


Un elemento importante di questo periodo è la cosiddetta schuldfrage (questione della colpa), tema
trattato da Jasper. In questo testo (ma ce n’è sono altri) si riflette sul problema della colpa. C’è la volontà di
scaricare tutta la colpa sui capi, e su Hitler. Jasper si domanda come si sarebbe potuto evitare questo
disastro.
I nomi che vengono dati a questo periodo sono famosi, soprattutto in letteratura si parla di questo periodo
con i termini Stunde Null (ora zero, momento in cui si può iniziare da capo come se non ci fosse passato) e
Kahlschlag (taglio radicale del bosco in riferimento al lavoro nei boschi); sono due concetti molto vicini l’uno
all’altro che fanno capire il concetto di rinascita che pervade questo periodo. Quello che avviene non è un
rinnovamento immediato e totale; inoltre questi sono termini che si applicano in campo occidentale, in
campo orientale l’attività militare sovietica è molto rigida e orientata su quanto si deve avviare in
letteratura.
Ciò che c’è di nuovo è la cosiddetta giovane generazione (junge Generation), scrittori che si affacciano alla
letteratura per la prima volta. In questo affacciarsi questi scrittori si pongono in contrapposizione con i
padri, sono per lo più autori nati tra il 1905-1915, che si pongono anche ideologicamente in contrasto con
la generazione precedente che li ha mandati in guerra (avendo quest’età, ovvero circa 40, sono andati quasi
tutti in guerra), e hanno potuto riflettere sul carico ideologico legato alla guerra (anche nel 1918 i soldati si
sentono contrapposti ai padri, perché sono i padri che li hanno mandati in guerra). Nel 1945 questi uomini
si oppongono ai padri, rinfacciando e accusando i padri di aver seguito un’ideologia criminale. Uno dei
rappresentanti più importanti è Wolfgang Borchert, autore che muore molto giovane, che con molta
chiarezza dice che questa giovane generazione non riguarda solo i tedeschi, ma in tutta Europa la sua
generazione è stata tradita dai padri, allargando il discorso a tutta l’Europa. La Giovane Generazione
nonostante quest’idea dell’ora zero e del taglio del bosco in realtà nella letteratura occidentale vede una
certa continuità, continuità con gli autori che erano già attivi durante il nazionalsocialismo (questo appare
un po’ strano); nel 1933 moltissimi scrittori emigrano in varie parti del mondo (Stati Uniti, Francia, Messico,
Unione Sovietica, Italia), e questi autori hanno il desiderio di tornare in Germania (molti di loro), molti
invece magari trovano lavoro come docenti universitari negli USA o altri lavori e non tornano più. Molti
tornano in Germania ma nella Germania est, tornano li perché lì c’è l’idea che si possa cambiare il mondo.
Thomas Mann si sposta negli Stati Uniti, si avvicina al maccartismo (caccia ai comunisti). Nel 1945 viene
invitato da Walter von Molo (un altro scrittore) a tornare in Germania e a contribuire alla sua ricostruzione;
Mann risponde dicendo che la patria gli è diventata estranea dopo i 12 anni di hitlerismo. Un altro scrittore
Frank ThieB si inserisce nel dibattito, inasprendolo. Egli dice che chi è stato in esilio fuori dalla Germania ha
scelto la via più facile, a differenza di quella che lui chiama ‘emigrazione interiore’ (scrittori che sono rimasti
in Germania che hanno continuato a coltivare l’umanesimo di nascosto). Mann risponde con un giudizio
durissimo, risponde che i libri che sono stati pubblicati tra il 1933 e il 1935 per lui non hanno nessun valore,
anzi su di loro è attaccato un odore di sangue e vergogna (effettivamente i libri che passano alla censura
nazista si sono adeguati ai disvalori nazisti).
La letteratura tedesca dopo il 1945, salvo alcuni fenomeni, è sul segno della continuità, le persone (e il
pubblico) non è cambiato tanto.
Ad ovest c’è un’idea blanda (basata sul tipo di democrazia americana) ma senza incidere troppo a fondo,
scavare troppo nelle abitudini, nella mentalità tedesca. Gli autori che hanno fino agli anni 60, che godono di
maggior favore presso il pubblico e le autorità hanno lavorato anche sotto il nazionalsocialismo (due
esempi sono Hans Carossa e Josef Weinheber).
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Il sistema letterario tedesco si divide in due: da un lato la letteratura (molto sviluppata a est) di tipo
socialista, molto improntata sulla politica, dall’altro la letteratura più borghese e conservatrice (nella parte
occidentale).
Nel 1947 viene organizzato un congresso degli scrittori a cui prendono parte sia scrittori della zona sovietica
che della zona occidentale.
 Der Ruf: rivistina che inizia ad essere pubblicata in un campo americano in cui sono imprigionati due
giovani soldati tedeschi (Alfred Andersch e Richter), che hanno una formazione da giornalisti e sono anche
scrittori. Pubblicano questa rivista che viene concessa dalle autorità americane per scopi pedagogici (le
autorità americani volevano denazificare gli uomini così che questi agissero sulla Germania liberata).
Quando questi tornano in Germania questa esperienza della rivista continua. Dopo Der Ruf, Andersch e
Richter creeranno il gruppo 47.
Gli americani fanno grande attenzione alla letteratura che viene pubblicata, a volte tramite la censura, a
volte viene negata l’autorizzazione a dare la carta. Interessante è la scelta delle opere di letteratura
straniera che vengono tradotte in tedesco; uno degli esempi più interessanti è La fattoria degli animali di
Orwell, a partire dal 1948, con il blocco di Berlino, viene diffusa proprio per far vedere come i sovietici
fossero dittatoriali. Questi due scrittori, in particolare Richter (che in realtà non è un grande scrittore, non
ha pubblicato grandi testi che sono rimasti nella nostra memoria), mettono in piedi un gruppo, che prende
il nome dall’anno in cui le persone si incontrano per la prima volta, ovvero gruppo 1947; è un gruppo
informale che va a inviti, è lo stesso Richter a mandare cartoline di invito agli scrittori. Richter inventa una
formula particolare che ha un certo successo: offre la possibilità a 15/20 scrittori di incontrarsi e si leggono
a vicenda degli inediti; colui o colei che legge i suoi inediti si siede sulla cosiddetta sieda elettrica e l’autore
o l’autrice che legge non può rispondere a ciò che gli viene detto. Il gruppo rimane informale, non avrà una
struttura vera e propria, non vengono scritti programmi. Il gruppo in generale si caratterizza con un solido
antifascismo e un atteggiamento di sinistra. A partire dal 1950 Richter riesce ad ottenere dei finanziamenti
per istituire un premio letterario: da questi incontri che si svolgono una volta l’anno esce un vincitore (e
questo premio ha un certo prestigio). Sono autori che provengono sia da est e da ovest. Questo gruppo
informale è stato in grado di raccogliere gli autori e autrici più importanti del secondo dopoguerra.
Il gruppo 47 ha una storia quasi ventennale.

Lezione 7.
Lunedì 17.05

Il Gruppo 47 non è un movimento come altre avanguardie, ma è una sorta di motore animato da due
scrittori in particolare: Hans Werner Richter e Alfred Andersch.
Günter Grass (1927-2015) è forse lo scrittore più importante a partire dagli anni 60 fino alla sua morte della
Germania Ovest. Sua madre appartiene a una minoranza chiamata Casciuba; i casciubi sono un gruppo
etnico slavo che viveva nel nord della Polonia, che parlava un dialetto vicino al polacco con delle
particolarità. La cosa interessante per Grass è che questa parte Casciuba della famiglia è come una sorta di
apertura verso la differenza. Grass cresce a Danzica, territorio tedesco a tutti gli effetti fin dal Medioevo,
con una minoranza polacca fino al 1939, ora fa parte della Polonia. Grass cresce in una famiglia mista, padre
tedesco e madre della Casciuba, che ha un piccolo emporio alimentare. Grass cresce in condizioni piccolo
borghesi, non misere ma modeste, e vive l’ascesa del nazismo da bambino, in una situazione particolare
perché Danzica non fa parte del reich tedesco, anche se in quel periodo c’era una maggioranza di lingua
tedesca; Danzica ufficialmente non finisce sotto il dominio hitleriano fino al 1939 quando Hitler invade la
Polonia. È interessante il padre di Grass si iscriva al partito nazista nel 1936, quando Danzica è ancora una
città libera, e quindi non è obbligatorio iscriversi al partito per svolgere determinate attività. Egli si iscrive al
partito, come fanno molti altri, per opportunismo, si rende conto che il suo negozio può trarre vantaggi per
il fatto che lui è iscritto al partito. Grass va a scuola, si iscrive alle associazioni hitleriane e diventa durante la
guerra la prima Flakhelfer (aiutanti della contraerea).
I maschi nati negli anni ’20 hanno una sorte particolare: quelli fino al ’24 vanno al fronte, fanno esperienza
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di tutto ciò che accade al fronte dal ’25 in avanti vengono formati come aiutanti e partecipano anche loro
all’esperienza della guerra. La generazione degli anni ’30 vive la guerra da giovane, non prendendone parte
e la generazione degli anni ’40 formerà poi la generazione dei sessantottini, quelli che contestano i genitori.

Grass nel 2006 scrive una specie di autobiografia Beim Häuten der Zwiebel ‘’Sbucciando la cipolla’’ (titolo
curioso ma pertinente con Grass che è affezionato alle metafore alimentari); quest’immagine viene usata
da Grass rispetto alla propria vita. In quest’autobiografia Grass in maniera inaspettata ammette di non aver
fatto parte dell’esercito regolare, come aveva sempre affermato, bensì delle Waffen-SS, sostiene di essersi
volontariamente arruolato in questo ramo delle SS (che hanno un po’ la fama di essere le SS buone).
Il fatto che solo nel 2006 Grass confessi in questa maniera come se fosse un peccatuccio di gioventù questo
fatto ci fa capire come i ragazzi, ma in generale le persone, fossero imbevuti di quell’ideologia che
infondeva un certo orgoglio tra le persone che partecipavano alla vita politica. È interessante che questo
evento sia stato detto da Grass, che in quegli anni era diventato lo scrittore che più di tutti prendeva
posizione e veniva ascoltato (in realtà molti dei personaggi del Gruppo 47 condividono anche questa
presenza non solo artistica ma anche sociale).
Grass nel 1945 fugge e va a stabilirsi all’ovest della Germania dove si trasferisce con diversi talenti: nasce
scultore, inizia come poeta e disegnatore, caratteristiche le ultime che rimarranno assieme all’incisione
come accompagnatrici dell’attività letteraria, nella quale si affermerà di più, soprattutto con Il Tamburo di
Latta – anche se nel 1955 legge delle poesie nel Gruppo 47 e nel 1956 legge una parte de Il Tamburo di
Latta  che già stava scrivendo. Avrebbe voluto iscriversi all’Accademia delle Belle Arti di Düsseldorf: andò in
questa città dove vide l’accademia parzialmente bombardata, qui incontrerà un professore che gli dirà che
apriranno l’accademia quando riavranno il carbone per scaldarla. Andrà da un marmista in cui scolpirà e
farà così un po’ di gavetta, sotto consiglio di quello stesso professore incontrato prima a Düsseldorf.

IL TAMBURO DI LATTA

Il romanzo parte da un’idea di una poesia, dove immagina un santo stilita, un santo che sta su una colonna:
qui ebbe l’intuizione del punto di vista distorto a differenza di chi sta su una colonna alta. Questa idea però
non funziona perché diventa difficile da una colonna entrare concretamente nei fatti, così inventa Oskar
Matzerath, personaggio che guarda il mondo dal basso. La copertina fu disegnata da Günter Grass, come gli
altri della trilogia di Danzica (Il Tamburo di Latta, Il gatto e il topo, Anno di cani). Il protagonista è un
bambino che non vuole crescere, una visione molto caratteristica: la storia è raccontata in prima persona
ed inizia dicendo “va bene, d’accordo, lo ammetto”, la chiave di volta del romanzo – questa è la terza
versione scritta, l’unica in cui ha inserito questa espressione – quindi nella primissima riga Oskar ci dice di
non essere affidabile, perché questa casa di salute è in realtà un manicomio dove è rinchiuso nel giorno del
suo trentesimo compleanno. Grass fa un’operazione quasi archeologica – il suo romanzo è stato chiamato
picaresco, dai picari raccontati fin dai piccoli in romanzi di formazione, questi vivono di espedienti e piccole
truffe e raccontandone la vita gli scrittori del Seicento riescono a dare un quadro della società un po’
straniato e straniante. Il protagonista, con una forma di realismo magico, ci dice subito che è un
imbroglione: egli fin dalla nascita ha avuto le capacità percettive di un adulto ma ha sempre e solo finto di
rimanere indietro, come un bambino che cresce e di aver addirittura deciso a 3 anni di rimanere bambino
perché il mondo degli adulti non gli piace – rimane dalle scale appositamente per rimanere piccolo, per cui
ha 12, 13 anni ma fisicamente non cresce – facendo anche finta di essere ritardato.Anche qui il ragazzo vive
in un ambiente piccolo borghese; la gonna della nonna apre il primo capitolo: questa contadina casciuba è
in un campo di patate e porta 7 gonne, una per ogni giorno della settimana MA le indossa tutte, per cui
l’ultima finisce per essere la prima. Mentre è seduta nel suo campo, dopo aver lavorato, vede un uomo
piccolo avvicinarsi che cerca un nascondiglio, lei allora alza le gonne per nasconderlo prima che arrivino i
gendarmi a chiedere di un piromane: s’innamoreranno e si sposeranno MA questo uomo poi sparisce
perché viene assunto in una segheria ma poi prende fuoco ed è stato lui probabilmente per cui scappa:
forse è affogato, forse è finito in America dove fa il suo lavoro ecc… non verrà data una soluzione definita
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della sua vita. Da questo amore nasce Agnes, la madre di Oskar, infermiera volontaria della Prima Guerra
Mondiale dove incontra un soldato della Renania Alfred, incontro dal quale nascerà Oskar. Tuttavia Agnes è
già innamorata di un cugino casciubo: Oskar gioca qui per tutto il romanzo sul fatto che non sa se suo padre
sia Alfred o Jan, il cugino della madre.In effetti Oskar è una sorta di Edipo che causa sofferenze a sua madre:
è innamorato di lei ed è geloso dei due uomini – scene in cui lui gioca sotto il tavolo in cui gli adulti giocano
a carte e vede Jan e Agnes che si fanno piedino, per cui è cosciente di questo triangolo. In un certo senso, si
vendica dopo la morte della madre: il padre prenderà in negozio una ragazzina di 16 anni che diventerà la
seconda moglie di Alfred con cui Oskar andrà a letto, come un modo per stare dietro il complesso di Edipo
combattendo contro il proprio padre. Per altro sarà responsabile della morte di suo padre: quando
arriveranno i russi nel 1945 il padre è rimasto a Danzica e si nasconde in una cantina MA Oskar che fa finta
di avere 3 anni ma ha già più di vent’anni, gioca con la spilla del partito nazista che i russi non devono
vedere, per cui il padre vuole togliergliela di mano ma Oskar non gliela dà, allora il padre decide di ingoiarla
e morire.Oskar è responsabile di molte morti: egli fu causa della morte anche di Jan, un uomo molto bello
MA molto diverso da Alfred, questi è un po’ esangue tanto è che non viene neanche arruolato perché ha il
torace troppo stretto. Oskar racconta che il 1 settembre del 1939 costringe Jan, con le sue insistenze ad
andare alla Posta Polacca – una specie di istituzione anche un po’ identitaria di Danzica, un ufficio potale
per la popolazione polacca – in un giorno di molta tensione in cui si attendono i tedeschi, perché lì c’è un
signore in grado di riparare i tamburi di latta, guarda caso poco prima che la Posta venga assediata e difesa
dai polacchi MA Jan non combatté e venne fucilato sul posto dagli stessi polacchi come traditore e come
nemico.
Il tamburo di latta è la modalità con cui Oskar meglio si esprime: fin dai 3 anni vuole questo tamburo per
poi averne una serie. Si esprime battendo su questi tamburi giocattoli – ne consuma anche due a settimana
– ancora a 30 anni.
La madre e Jan hanno un giorno fisso per andare a consumare in un albergo, giorno in cui Oskar viene
affidato al giocattolaio ebreo; la madre poi, da buona cattolica, va in chiesa a confessarsi e Oskar la
accompagna. Qui descrive la chiesa e si riconosce in una statua del bambin Gesù su cui, dopo avergli
toccato il sesso, sale per appendergli addosso il suo tamburo. Riprende l’idea che Gesù e Oskar sono
gemelli monovulari, cioè sono identici, tanto che poi si farà chiamare Gesù. È uno dei moltissimi episodi per
far vedere come Grass ha questo atteggiamento molto libero su tutti gli aspetti della vita: sul sesso, sulla
religione. È interessante il triangolo della madre e dei due uomini anche perché non è un gran dramma:
Alfred lo sa, è evidente che ha perfettamente presente che Agnes e Jan hanno una relazione MA non se la
prende.Nel romanzo ci sono tanti sguardi del mondo piccolo borghese degli anni 30 che un po’ stonano con
la narrazione che solitamente se ne fa, soprattutto dopo la guerra, quando viene pubblicato, in una
Germania molto bigotta e attenta alla morale sessuale, una Germania, alla fine degli anni 50, ormai
completamente miracolata economicamente: tutti sono nel benessere. C’è anche uno sguardo, da parte dei
tedeschi verso gli anni 30 che Grass ritiene ipocrita per cui calca forse la mano nel romanzo; quello che è
importante di queste figure, soprattutto di Alfred, è il fatto che da un lato sono un po’ macchiettistiche
(divertenti e schiacciate su certe caratteristiche) e dall’altro a tuttotondo, vittime di contraddizioni (es.
Alfred è molto gioviale, gli piace cucinare, stare in mezzo alla gente e ridere; in un momento particolare,
quando la moglie sta male perché è di nuovo incinta, Alfred le dice “ma sì non importa di chi è figlio, basta
che stiamo insieme”; lo stesso uomo si iscrive al partito nazista molto presto “quando ancora non ce n’era
bisogno”).
Si racconta della Notte dei Cristalli e il 10 novembre del 1938, il mattino dopo, anche a Danzica c’è stato il
pogrom per cui il padre porta Oskar a fare un giro (scena abbastanza cruda anche se non viene raccontata
nessuna violenza) “con aria soddisfatta” ma non si capisce se lui abbia partecipato: è forte il divario tra il
lato privato e quello pubblico di Alfred. In quell’occasione Oskar va a vedere il negozio del giocattolaio
ebreo che non è stato rovinato ma l’ebreo si è impiccato, per cui Oskar farà razzia di tamburelli.
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Il capitolo che lo contiene si chiama “Fede, speranza, carità”: Oskar il mattino dopo vede un gruppo di suore
che stanno facendo una raccolta fondi per qualcosa e hanno uno striscione con queste tre parole. Questo
capitolo è denso perché mescola due cose:
1. Il racconto della mattina dopo la Notte dei Cristalli
2. Il racconto parallelo di un inquilino della stessa casa dei Matzerath, il quale vive in un solaio in condizioni
pietose, il quale suona meravigliosamente la tromba. Ad un certo punti egli si arruolò nelle SA per dare una
regolata alla sua vita e smette di suonare la tromba – il nazismo è il contrario dell’arte, è l’ordine che uccide
lo spirito libero della creazione – e qui la cosa straniante è che racconta di questo uomo che ormai vive con
la divisa ed è sempre ubriaco e ha dei gatti che vivono con lui MA li uccide perché miagolano e gli danno
fastidio. Questa storia viene raccontata varie volte, sempre in maniera un po’ diversa. In molte parti il
romanzo sembra un’improvvisazione jazz, proprio perché va un po’ ovunque e riprende un’idea più volte in
maniera diversa.
Negli anni 50 costò a Grass l’idea che la colpa fosse dell’ipocrisia della piccola borghesia di fronte al
nazismo, per cui le SA potevano ammazzare gli umani ma non i gatti – il trombettista verrà estromesso dalla
squadra proprio per questo crimine.
Oskar racconta di un venerdì santo passato in famiglia a fare una gita e vanno sul mar Baltico. L’atmosfera è
leggera, senza tensioni. Oskar e Grass ama i dettagli disgustosi e in questo capitolo questo aspetto la fa da
padrone: è uno strumento gnoseologico di conoscenza, qualche cosa che ritorna in tante parti del romanzo
ma sicuramente questo ne è il cuore.

Lezione 8.
Martedì 18.05

Questa sgradevolezza da un lato è come una marca dell’autore interessato a quegli elementi, li stessi che
fanno emergere delle cose; la scena del pescatore – non è un’invenzione di Grass questo metodo di pesca –
che pesca le anguille usando una testa di cavallo per attirarle, ci lascia un po’ schifati. Viene descritto anche
il vomito e il muco della mamma di Oskar dopo aver visto la scena in cui il pescatore apre la bocca del
cavallo da cui tira fuori delle anguille, mentre Alfred scimmiotta il pescatore facendo la parte del duro. Tutti
questi elementi così sgradevoli (lo sputo del pescatore, la carogna divorata dalle anguille, il vomito di
Agnes) possono essere fonti di riflessioni: siccome il vomito ci viene da dentro, è viscerale, ci disgusta.
A livello di culture e a livello individuale sono diverse le cose che fanno schifo: l’esempio migliore è quello
alimentare (es. mangiare gli insetti o le interiora), ad esempio in America i conigli sono animali domestici
mentre per noi è normale, così come in Inghilterra è considerato barbaro mangiare il cavallo mentre in
Sicilia è normalissimo. Del resto la maggior parte di noi pensa male nel mangiare i gatti e i cani, animali che
altre culture mangiano tranquillamente: da un punto di vista oggettivo la carne dei mammiferi è tutta
uguale, sebbene l’idea del cannibalismo nella stragrande maggioranza delle persone suscita disgusto
perché fa parte della solidarietà intra-specifica. Tuttavia la nostra carne è molto simile a quella di altri
mammiferi.
È interessante il disgusto perché è anche una fonte di conoscenza: ci sono delle costanti nel disgusto, ad
esempio in tutte le culture tutto ciò che è legato alla putrefazione è disgustoso, poiché la carne (così come
la verdura) in putrefazione può fare male quindi il disgusto è in questo caso un meccanismo evolutivo. Per
quello che ne sappiamo, in realtà non ci sono altri animali che abbiano le nostre stesse reazioni di fronte (o
perché pensa) a qualcosa: gli animali vomitano per altri motivi (es. i gatti non vomitano per una sensazione
esterna ma anche per pulirsi lo stomaco), spesso fisiologici non immaginativo-mentali come gli umani: c’è
chi trova lo stimolo del vomito nel sentire l’odore della trippa, cose che altri dello stesso gruppo sociale
mangiano serenamente.
Il disgusto spesso è associato alla putrefazione e a ciò che appartiene al mondo interno del corpo (es. gli
escrementi), li stessi di fronte ai quali altri animali (es. cani) sono interessati soprattutto se riguardano altri
animali. Di disgusto si sono occupati vari studiosi, come Winfried Menninghaus (Disgusto: teorie e storia di
una sensazione forte)e Aurel Kolnai (Il disgusto); il primo fa un’analisi partendo dall’antichità, da figure
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come quelle della vetula (vecchia schifosa). Probabilmente l’uomo, assumendo la posizione eretta, ha


sacrificato il senso dell’olfatto per lasciare posto alla vista o all’udito: tuttavia ci sono ancora nella nostra
vita comune degli elementi di importanza dell’olfatto, che spesso ci riporta velocemente a delle situazioni
del passato (epifania). Gli dei di una religione spesso sono i demoni dell’altra (Baal per i sumeri era una
divinità importante mentre per gli ebrei è Belzebù, il signore delle mosche, la divinità da negare perché
bisogna affermare il dio unico) e l’olfatto, come altre faccende della nostra psiche, ha subito un passaggio
simile: da senso fondamentale è diventato l’ultimo dei sensi, quello che più ci causa squilibri.
Gli escrementi contengono batteri e portano malattie, e probabilmente già prima della scoperta dei batteri
c’era una sensazione istintiva riguardo alla faccenda.
Un altro ambito complicato come l’omosessualità, è l’incesto: forse per evitar le tare ereditarie la specie ha
creato questo tabù ma non un motivo oggettivo per cui evitarlo (es. i gatti lo praticano normalmente). È
interessante la dimensione culturale legata al disgusto.
C’è da parte di Grass, probabilmente, un’intenzione precisa nel descrivere cose disgustose. Tornando alla
scena del molo, c’è questa serie di elementi sgradevoli tra l’altro doppiamente caricati (la madre vomita
perché vede questa scena sgradevole), nelle pagine dopo molto dense viene raccontato che Alfred compra
delle anguille e chiede alla moglie di cucinarle ma questa si rifiuta e si chiude in camera da letto mentre
Alfred dice a Jan di andare a tranquillizzarla: è un invito chiarissimo, infatti Jan la accarezza e le infila la
mano sotto la gonna per calmarla, tutta questa scena tragicomica osservata da Oskar. Agnes non solo si
rifiuta di mangiare le anguille ma di mangiare proprio, per poi ingozzarsi di pesce in scatola: nelle pagine
successive Oskar racconta l’elenco dalla mattina fino alla sera di pesce in scatola, in salamoia, in gelatina,
fritto, affumicato, in burro (“come se avesse da eseguire un compito”), per poi raccoglierne tutto l’olio,
passarlo in padella e berlo. Dovette essere portata per questo al pronto soccorso dove morì così: Agnes si
suicida mangiando pesce, la stessa cosa che l’ha fatta stare male lei l’ha ripetuta fino alla morte – il suo non
fu un mangiare allegro o soddisfatto ma si sforzò per cui ha tutta l’aria di essere un suicidio. Non si capisce
bene perché ha deciso di uccidersi: in realtà è incinta e non si sa chi sia il padre.
Nella scena del molo è tutto costruito in maniera particolare: inizia con l’idillio, la vacanza, la famiglia e il
mare ma poi improvvisamente irrompe questa serie di elementi disgustosi, di fronte ai quali il lettore è
portato a condividere i sentimenti di raccapriccio di Jan e di Agnes. La cosa ancora più forte è che Alfred e
Oskar invece non partecipano: il primo fa il bullo e il secondo racconta con allegria o comunque con
distacco, lo stesso che ha qualcosa di sgradevole per chi legge. Il disgusto potrebbe essere interpretato
come una sorta di messaggio che ci diamo a vicenda: apparteniamo allo stesso gruppo perché troviamo
disgustose le stesse cose e il personaggio di Oskar risalta in questo senso – anche in Profumo  di Süskind,
Grenouille è distante dai propri pari, è disumano: in questo caso è una distanza anche criminale.
Le preparazioni culinarie sono parte dell’identità di una cultura ma allo stesso tempo sono anche un modo
per nascondere la carne stessa, ad esempio: noi anche quando mangiamo la carne cruda non la stacchiamo
dall’animale a morsi, ma la decoriamo con il formaggio e con i capperi tagliata in sottili fette, in modo da
nascondere quasi la fonte da cui proviene il cibo che mangiamo.
Nell’operazione che il pescatore fa di mettere le anguille nel sacco, questi dialoga con Alfred riguardo il
procedimento con il quale le anguille vengono preparate per essere affumicate: il sale in cui esse,
muovendosi, si ammazzano a vicenda e lo stesso sale che raccoglie la loro bava. In realtà le anguille, come i
gabbiani (che vanno a raccogliere il vomito di Agnes) non fanno nulla di diverso dagli uomini,
semplicemente gli ultimi hanno modalità più affinate e complicate.
Il testo ci parla di cannibalismo nel momento in cui il pescatore dice che le anguille si nutrono di carogne –
per quello vengono pescate con la testa di cavallo –, anche di uomini. Il cannibalismo è un limite della
cultura; l’accenno della battaglia dello Skagerrak allarga la prospettiva, perché è come se il narratore ci
dicesse che ci sono tante cose ripugnanti nelle cose che ho raccontato, sicuramente, MA ci sono molte altre
cose ripugnanti di cui non teniamo conto, ad esempio che gli esseri umani si ammazzano tra loro.
Oskar è sempre molto distante da chi gli sta intorno: ha 13 anni e si comporta come se ne avesse 3, chi gli
sta intorno lo vede come un ritardato ma Alfred si rifiuta in più occasioni di portarlo in un centro per
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l’eutanasia, che è quello che dovrebbe fare per il regime hitleriano: non sceglie la via comoda per se stesso
o ideologica MA si oppone*. Tuttavia si iscrive presto, a Danzica, al partito nazista. Proprio durante
l’episodio delle anguille Oskar ci dice una cosa interessante su Alfred: è un personaggio problematico per
questa simpatia che difficilmente non suscita nel lettore con però molti tratti stranianti (es. adesione al
partito e una certa espressione di virilità) tuttavia non portati fino in fondo e lo si vede nell’atteggiamento
verso la moglie e verso il figlio*; Grass non lo costruisce come un personaggio antipatico ma positivo,
probabilmente proprio per dare il senso del “nazista normale”. Il fatto che questo nazista non venga
descritto come cattivo è un elemento che ha infastidito molto i lettori del Dopoguerra.
La formulazione della “banalità del male” verrà coniata presso i Processi di Francoforte (1962-1964) relativi
ai crimini nazisti, dove Hanna Arendt scrisse questo testo, dove riflette su questi personaggi che non sono
dei “mostri”, perché il mostro lo si può confinare in un recinto perché non è come noi e per questo è
disgustoso, è un altro essere MA i nazisti non sono dei mostri, sono delle persone normali: l’equazione
difficile da digerire è che in determinate condizioni ciascuno di noi, forse, risponderebbe come hanno
risposto molti tedeschi o italiani.
Il romanzo collega il nazismo direttamente alla piccolo-borghesia, invece di ritenerlo un fenomeno chiuso in
poche persone (Hitler, le guardie ecc…).
Nella produzione artistica e pittorica di Grass ci sono delle “ossessioni”, degli elementi che ritornano
spesso: uno di questi è la lumaca – Dal diario di una lumaca,  quando accompagna negli anni 60 la
campagna di un politico tedesco Willy Brandt (SPD) che diventa cancelliere federale nel 1969-1974, dopo
vent’anni di dominio della CDU. Il motto della sua campagna elettorale è “usare più democrazia”; dopo aver
vinto le elezioni diventa una figura importante, in quanto uno di quelli che cerca di avvicinarsi alla Germania
est, laddove i cancellieri precedenti avevano mantenuto una certa distanza (non riconoscendosi molto dal
punto di vista diplomatico). Fra il 67 e il 69, Grass non ha la tessera del partito ma consiglia agli elettori di
votarlo: il testo è proprio un reportage di questo accompagnamento in giro per la Germania –, in questo
caso fa un autoritratto con la chioccia dentro l’occhio, come se fosse un filtro.
Un’altra ossessione è il rombo, il pesce: scrive Il rombo, romanzo al cui interno del quale ci sono molte
poesie tra cui Su che cosa scrivo?, una poesia applicata all’immagine del pesce. Anche qui la faccia di Grass
dentro il rombo oppure lo stesso che parla ad un orecchio maschile. Questo romanzo, assieme alla trilogia e
a Il passo del gambero, sono i romanzi su Danzica: fonte di vita, di esperienze e di immagini a livello quasi
universale, come se Danzica fosse tutto il mondo. All’interno di un discorso alla sua laurea ad honorem
parla di una “perdita”, il fatto che nel 1945 non possa tornare nella sua casa perché ora è Polonia: Stalin per
riempire Danzica prende dei polacchi del sud della Polonia e li porta lì, aggiungendo degli ucraini negli spazi
lasciati vuoti in Polonia. Sono delle dinamiche poco conosciute, attorno alla guerra si perdono, per cui Grass
in maniera molto onesta tratta il tema dei territori perduti, discorso di cui solitamente si appropria la destra
– i partiti vicino al nazismo – continuando lungo la linea del nazionalismo (difesa e recupero dei territori),
citando anche i polacchi che a loro volta sono stati deportati.
Ne Il rombo immagina che la società venga gestita dalle donne con tre seni, che allattano continuamente gli
uomini che continuano a rimanere bambini; viene ripreso il racconto del pescatore e di sua moglie dei
fratelli Grimm, fiaba sicuramente anti-femminile MA rovesciato al contrario, per cui un uomo pesca il
rombo ma la situazione è inversa, sono gli uomini qui che non si accontentano mai. Il rombo è una specie di
spirito della storia hegeliano che dice all’uomo primitivo che in Grecia stanno costruendo i templi mentre
lui non ha nemmeno una casa: diventa suggeritore dell’uomo, gli consiglia di prendere potere sulla donna,
divenendo quasi una sorta di inventore del patriarcato.
La ratta  è un romanzo distopico dove si immagina un futuro con il mondo devastato dalle esplosioni
atomiche, un mondo dove soltanto i ratti avranno la possibilità di vivere ed espandersi; è un testo
ecologista ante litteram.
L’immagine delle anguille non è solo disgustosa ma pieno di significato: da un lato ci sono le anguille come
simboli fallici. Ci sono tante riflessioni, richiami anche scettici forte sulla psicanalisi nel romanzo di Grass: il
complesso di Edipo di Oskar è già complicato di per se, perché ha due padri. Un tema freudiano però
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potrebbe essere la coazione a ripetere di Agnes, nel mangiare le anguille fino allo sfinimento, fino alla
morte: qui il suicidio è difficile da definire volontario o comune un inceppamento di un meccanismo, per cui
l’episodio del molo non lo riesce a digerire per cui lo porta avanti fino al suo annichilamento.
Ci sono dei collegamenti che lo stesso Oskar durante il funerale della madre tira fuori, all’attenzione del
lettore: ad un certo punto sottolinea che il pescatore tira fuori due anguille in un colpo solo dalle fauci del
cavallo e forse quelle due anguille rappresentano i due uomini della vita di Agnes “il decomporsi dell’anima
snella del copro florido di mamma” aveva slegato l’amicizia tra i due uomini, i quali entrambi avevano
goduto di quella carne: cadendo quel vertice del triangolo i due non hanno molte cose in comune e Alfred,
sentendosi tedesco, non vuole più avere a che fare con i polacchi. Le anguille penetrano nel corpo del
cavallo per divorarlo, così come i due uomini penetrano Agnes e la divorano: quindi forse il disgusto per il
cavallo è anche un po’ un disgusto di se stessa.
Alla fine il pescatore ne tira fuori un’anguilla dall’orecchio del cavallo, elemento che si collega ad una
situazione precedente in cui Alfred e Agnes vanno a teatro per la rappresentazione di Pollicino, che nella
fiaba originale sta nella testa di un cavallo: forse Agnes rivedendo questa scena vede Oskar (Pollicino è un
omino più piccolo del normale) e lui stesso si riconosce in questo personaggio fiabesco. Proprio come
Pollicino e l’anguilla, sembra che Oskar rimanga dentro l’orecchio della donna (cavallo) a consumarla nel
suo perseverare un comportamento infantile; c’è anche forse, un elemento secondo cui Agnes forse in
questa scena vede una sorta di parto.
In occasione dell’episodio delle anguille e dopo Oskar accenna ad un leggero disturbo alimentare della
mamma: il fatto che mangiasse di nascosto, che si ricollega al modo in cui è morta. Anche sul letto di morte
sembra nauseata.

Lezione 9.
Mercoledì 19.05

Il modo di Grass di percepire il mondo è molto legato alla scrittura; in altri scrittori la tecnica sembra
forzata, mentre lui ha il dono della naturalezza, per cui questo lavoro, anch’esso frutto di riscritture e
revisioni, appare come totalmente naturale e quasi istintivo.
In Elegie duinesi  di Rainer Maria Rilke si parla di una compagnia di saltimbanco: uno di questi sale sulla
torre umana e si butta giù atterrando con eleganza e Rilke sottolinea qui come questi non faccia vedere il
dolore ai piedi, bisognerebbe avere in farmacia il sorriso del saltatore che è benefico e nasconde tutta la
fatica che c’è dietro, la sprezzatura del galateo; la stessa che ha Grass nello scrivere un romanzo come Il
Tamburo di Latta molto complesso ed intriso di collegamenti interni, rendendolo naturale.
Oskar, al funerale di Agnes, fa delle considerazioni: queste anguille sono un simbolo importante – Grass non
ci dice di che cosa MA ce le riporta anche qui – e “anguilla della tua anguilla” è un chiaro riferimento a
“carne della tua carne”, elemento di continuità che Agnes ha visto e che Oskar riprendere. È lei l’anguilla e
si è fatta spaventare perché si è riconosciuta in quella situazione, per cui il suo corpo ha risposto in un certo
modo.
Oskar nel periodo della guerra incontra un altro nano: molto più vecchio di lui, ha un’eleganza e un eloquio
molto particolari, lo convince della forza e della bellezza di essere nani per cui non bisogna farsi spaventare
dagli alti. Vive un po’ con loro durante la guerra, in una situazione abbastanza picaresca; dopo la guerra
Oskar decide di entrare nell’accademia delle belle arti per diventare pittore e scultore – anche lui fa lo
scalpellino da un marmista, scalpellando pietre tombali – e lungo la narrazione si capisce che è finito in
manicomio perché forse ha ucciso un’infermiera. Per tutto il romanzo Oskar è alla ricerca di figure materne
che lo curino: un’idea probabilmente molto cara a Grass, ritorna anche nel Rombo, l’idea dell’uomo che
senza le rotture del matrimonio viene servito, riverito e adorato. Oskar cerca delle madri anche dal punto di
vista erotico, pur sempre che ci sia l’elemento della cura nei suoi confronti: è attratto delle infermiere e
quando arriva a Düsseldorf va a vivere in una specie di pensione, dove fa un incontro interessante anche
rispetto al disgusto, e poi da qui viene a scoprire che nella stessa casa abita un’infermiera. Si fa tentare,
s’introduce nella sua camera e s’infila nell’armadio, dove ha una specie di visione perché c’è una cintura
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appesa e a lui vengono in mente le anguille, per cui rivive l’esperienza del molo di Danzica. Grass crea
questo desiderio erotico un po’ generale per la persona che dà assistenza, che non è più la madre ma
questa infermiera; l’idea di Oskar di rimanere bambino di 3 anni che è diverso da essere nano – è una sua
decisione che ha preso a 3 anni. Nell’Introduzione alla psicanalisi  di Freud (1917) non viene dato peso
all’idea del disgusto – in questo brano citato da Menninghaus – e Grass, come Freud (secondo
Menninghaus) vede nell’infanzia uno spazio libero, lo psicanalista non si rende neanche conto su quanto
insista su questa barriera che si forma a poco a poco e che nel tempo ci impedisce di essere liberi da dentro
(civiltà), per cui i bambini giocherebbero volentieri con le loro feci MA gli adulti non glielo permettono,
mentre per i cani sono un pezzo importante dell’esperienza del cucciolo. È evidente che Grass prova
nostalgia per quell’infanzia, dei primissimi anni, e non è un caso che Oskar si fermi a 3 anni.
I bambini ripetono la violenza degli adulti verso i bambini: ovviamente cercare di far mangiare un bambino
non consideriamo una violenza ma qualcosa che facciamo per il suo bene e qui anche se è un episodio,
dietro c’è una riflessione sull’atto alimentare come veicolo di educazione: il gruppo di bambini che obbliga
Oskar a mangiare la minestra con dentro la loro pipì non ha quell’intenzione, ma normalmente nell’atto
alimentare passano dei discorsi (es. mangiare tutto, non mangiare tutto, mangiare perché fa piacere alla
mamma).

 C’è una filastrocca tedesca di un bambino, Kaspar, molto paffuto che mangia sempre la sua minestra per
poi un giorno smettere fino alla morte. Lo Struwwelpeter  è un libro educativo per bambini, dove
l’educazione è un po’ estrema nel senso che si mostrano le conseguenze estreme e macabre di certe azioni.
I bambini giocano come se stessero cucinando davvero ma utilizzano elementi schifosi e poi con crudeltà
vogliono darne ad Oskar; Grass trasforma questo pezzo perché Oskar dopo aver mangiato e vomitato si
rende conto che vuole orizzonti più ampi, la minestra lo lascia “famelico di lontananza, distanza e visione
dall’alto”.
Quando parla di Danzica o di Düsseldorf, Grass ne parla come di un luogo a lui molto familiare, mentre al
lettore non lo è per forza: dovremmo leggere considerando che ci sta raccontando vuole evocare delle
atmosfere, nel tentativo di farci entrare nell’atmosfera del romanzo.
Klepp, conosciuto a Düsseldorf, invita Oskar a mangiare degli spaghetti con lui: Klepp gli porge il più
schifoso di tutti i piatti, pulendolo con un’alitata e un giornale, assieme a delle posate che si attaccano alle
dita MA è così gentile che Oskar accetta. Addirittura gli spaghetti kleppiani sono diventati per lui un metro
di misura per valutare qualsiasi piatto: è la scoperta di una possibile fratellanza, trova un compagno che ha
dei tratti simili ai suoi – individualista sfrenato, artista bohemien al limite del disgusto – e questa
condivisione del cibo è quasi un rituale. Mein, il trombettista, invece non ebbe il coraggio di rimanere libero
ed entra nelle SA per dare un ordine alla sua vita ma in quel modo la rovinò; l’ordine proposto dalle SA, da
Hitler, dalla società borghese è un ordine falso che spinge verso la violenza mentre la sporcizia, il disordine
sono un’ossessione borghese ma questo pasto dimostra come questo disordine supera in fondo il disgusto
e fa provare dei sentimenti ad Oskar che in tutto il mondo borghese che ha conosciuto non ha mai trovato.
Il romanzo è attraversato dalla figura della cuoca nera: una figura enigmatica ma non è un personaggio vero
e proprio, protagonista di una filastrocca infantile, diventa nel romanzo la raffigurazione di tutte le paure di
Oskar. L’interpretazione che se ne può dare è variegata: si può pensare che sia la morte o la solitudine,
tanto che il romanzo si chiude con gli ultimi versi della filastrocca che dice “la cuoca nera è qui, sì, sì, sì”.

  Il romanzo uscì nel 1959 anno di svolta per entrambe le letterature tedesca – anno della conferenza tra
scrittori e operai nella DDR – perché in Germania escono:

-       Il Tamburo di Latta

-       Congetture su Jakob di Uwe Johnson: intellettuale della DDR che nel 1959 passa dalla Germania est alla
Germania ovest, in virtù del suo desiderio di scrivere senza imposizioni dall’alto, non tanto per motivi
politici – dato che rimane socialista. È un testo molto interessante, un romanzo che parte dall’idea di un
ferroviere della DDR che torna dopo alcune settimane passate ad ovest e viene investito da un treno MA è
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molto strano, perché era abituato ad attraversare i binari. È l’occasione per diversi personaggi di raccontare
la storia di Jakob: emergono molte verità, c’è chi pensa sia un omicidio della Stasi, chi pensa ad un suicidio…

-       Biliardo alle nove e mezzo  di Heinrich Böll: autore dell’ovest, pezzo importante del Gruppo 47, il quale
diede, assieme a Grass, il tono alla letteratura tedesca fino alla fine degli anni 70, quando muore. Grass è un
po’ più fresco

 La storia della Germania ovest: II PARTE

 Gli anni 50 sono anni di grande benessere materiale, circolazione economica e lavoro, anni in cui si fa di
tutto per evitare ciò che è accaduto nel dodicennio nero.
Gli anni 60 sono anni più articolati che vedono una grande presenza di scrittori e intellettuali, c’è un
scambio molto fervido: Böll e Grass sono molto presenti. In questo periodo si discusse molto soprattutto
riguardo una legge che avrebbe dovuto impedire agli appartenenti di gruppi politici ritenuti estremisti di
poter lavorare in generale, in particolare nell’apparato statale: è un elemento che ha a che fare con la
libertà di pensiero, in quel caso, ritenuta in pericolo. Questo argomento fu uno dei motivi conduttori della
protesta studentesca in Germania nella seconda metà degli anni 60; Grass e Böll sono un po’ troppo
anziani, del movimento fecero parte coloro nati negli anni 40.
Il Sessantotto non fu un momento improvviso, ma fu preparato da varie cose: in Germania alcuni dei motivi
scatenanti furono i Processi di Francoforte, i quali hanno una preistoria nei processi ad Eichmann,
organizzatore della logistica dei campi di concentramento (es. arrivo treni, fabbriche di insetticidi), un uomo
solerte ed efficace nelle sue azioni e per certi veri molto positivo, nella cornice dei valori considerati
importanti nella Germania degli anni 30.
Dopo il 1945 in Germania ovest la denazificazione fu abbastanza blanda e il primo tentativo di applicazione
delle pene furono i Processi di Norimberga, condotti dagli alleati dal 1945 al 1946: qui si utilizzano i
documenti, nessun testimone, che per altro diedero pene esemplari solo a pochissimi gerarchi nazisti. La
prima occasione in cui invece dei tedeschi giudicarono altri tedeschi fu il Processo di Ulm, nel 1958: fu un
processo contro i membri della Gestapo e della polizia nazista, non tanto in quanto nazisti ma per
un’operazione di sterminio avvenuta sul confine lituano nel 1941, di cui ci sono documenti e testimonianze.
Il processo veramente importante che cambiò la visione che si ha di Auschwitz fu appunto quello ad Adolf
Eichmann, il quale dopo la fine della guerra riuscì a fuggire in Germania: passo in Italia e in Alto Adige con la
complicità di sacerdoti cattolici acquistò una nuova identità per rifugiarsi in Sud America. Venne individuato
alla fine degli anni 50 dal servizio segreto israeliano, il Mossad: su indicazione di Simon Wiesenthal, il
cacciatore di nazisti ebreo che da dopo il 45 dedicò la sua vita a individuare i nazisti nel mondo, il Mossad
rapì Eichmann per portarlo a Gerusalemme. Il processo di Gerusalemme (1961) è molto interessante
perché viene utilizzato da Ben Gurion, primo ministro israeliano, mediaticamente: è la prima occasione in
cui forse le televisioni di tutto il mondo trasmettono brani del processo, ci sono giornalisti da tutto il
mondo. L’intenzione fu proprio questa.
Si decise di utilizzare i testimoni: fu un passaggio, anche burocraticamente, grosso, per cui vennero invitati
testimoni da tutto il mondo per testimoniare contro Eichmann e gli imputati, con una sorta di regia teatrale
creata da Israele che così facendo diede vita ad un mito fondatore, il “Mai più Auschwitz” e che in qualche
modo attira l’attenzione del mondo sulle morti in particolare degli ebrei ma in generale lo sterminio e
soprattutto di sugellare l’immagine dell’ebreo come vittima principale dell’abominio: una strategia che
ebbe successo e che perdurò fino ad adesso.
Fino a quel momento Auschwitz era considerato una malefatta di Hitler abbastanza periferica dal Conflitto
MA questa mediazione, questo utilizzo dei testimoni – i quali non si limitarono a parlare di ciò che gli venne
chiesto ma anche di cosa è stato Auschwitz – diede vita al mito fondatore dell’ebreo come vittima e allo
stesso tempo il suo contrario, cioè lo Stato di Israele non vuole più essere la vittima della storia (ora l’ebreo
si difende). Probabilmente anche parte dell’aggressività dello Stato di Israele proviene da questa questione
qui: è particolare che gli ebrei non risposero mai alle angherie naziste, l’unico episodio fu quello del Ghetto
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di Varsavia, quando la massa della popolazione in tante situazioni avrebbe potuto reagire MA non ci fu il
minimo tentativo.

Bruno Bettelheim, psicoanalista, parlò di mentalità del ghetto, per cui dice che gli ebrei sono stati abituati
per secoli a stare in silenzio e nascosti: è la mentalità dello scarafaggio, per cui è meglio stare vicino alle
buche o alle fessure che nel mezzo del pavimento. Gli ebrei, anche in quell’occasione, avranno pensato di
poterla scampare anche in qualche maniera, sempre se il profilo fosse rimasto basso. Il Processo di
Gerusalemme ebbe proprio il ruolo di risvegliare questa passività: Hanna Arendt scrisse il suo trattato
proprio in occasione di questo processo.
Eichmann ha semplicemente obbedito agli ordini di una catena di comando: questa è la sua linea difensiva.
Aspetto che non funziona perché toglie la responsabilità personale e la riporta in alto, sui gerarchi e su
Hitler – nel momento in cui Hitler è già morto ed è già stato “punito”.

Lezione 10.
Lunedì 24.05

Dopo la fine della guerra avvengono i processi di Norimberga e poi per un periodo piuttosto lungo non ci
sono processi fino a quello di Gerusalemme, durante il quale il mondo viene messo di fronte alla
dimensione di Auschwitz. Nel ’63-‘67 avvengono i processi di Francoforte, nei quali c’è già un’attenzione
mondiale per Auschwitz che diventa la metafora per rappresentare tutta la shoah. Inizialmente Aushwitz
non entra nella memoria culturale. I processi di Francoforte sono importanti perché sono i primi in cui si
discute dei campi di concentramento. Il primo vede imputati 22 uomini che fanno parte di vari gruppi
(medici, infermieri, impiegati, Kapo (prigionieri che ottengono il privilegio di avere un ruolo superiore,
erano come controllori)). Si cerca di mantenere un procedimento che funzioni dal punto di vista della
giurisprudenza, la linea difensiva è collegata soprattutto all’aver ricevuto ordini (Befehlnotstand: stato di
costrizione conseguente ad un ordine). Il processo si concluse con pochi ergastoli e con reclusioni molto
brevi; questa sproporzione tra i crimini e le pene ha anche a che fare con la sofferenza delle vittime che, in
questo modo, viene sminuita. Una studiosa polacca, A. Wieviorka, ha scritto “L’era del testimone”, dove
dice che il testimone (chi ha vissuto la sofferenza), che solitamente ha per noi una dimensione sacrale, non
sempre ha idea di che cosa sia successo veramente nei campi (lo diceva anche Primo Levi). Anche alcuni
storici vengono chiamati a testimoniare, uno di loro fa delle considerazioni di natura materialista e ragiona
sulle fabbriche che si costruirono nei campi di concentramento (Buna). Ad esempio ad Auschwitz si tenta di
inserire queste fabbriche che però non servono a niente, i nazisti non utilizzano in alcun modo questa
massa di schiavi, infatti anche la Buna non entrerà mai in funzione. Ci sono anche altri storici dell’Istituto
per la storia contemporanea di Monaco. La presenza degli storici è un fatto fondamentale di questi
processi, si vede il tentativo di razionalizzare il procedimento, senza basarsi troppo sul dato emotivo. Il
programma nazionalsocialista si basa solo sulla dimensione emotiva e mistica di rapporto tra il Fuhrer e il
popolo tedesco, non ha nulla di razionale. L’analisi di questi storici doveva distaccarsi da un lato dalla
semplificazione per cui le SS erano dei mostri ma dall’altro doveva smontare l’immagine positiva che si
aveva del nazionalsocialismo.

“L’istruttoria” (1965) di Peter Weiss parte dai processi di Norimberga ed è costruita esclusivamente su
parole dette nell’aula di tribunale, l’autore non inventa nemmeno una parola. Weiss è nato nel 1916 (-
1982) ed è di famiglia ebraica, emigrerà in Svezia dove rimarrà fino alla fine della guerra; comincia a
scrivere in svedese. Partecipa come osservatore ai processi e si basa sui resoconti di un giornalista per la
Faz (uno dei giornali più importanti in Germania). Non inventa niente, tutte le parole presenti nel testo
sono state pronunciate durante il processo e fa poi vaste ricerche sui campi di concentramento. Ha un
atteggiamento, che esprime esplicitamente: si sente in colpa per essere sfuggito ai campi di
concentramento e sente di dover assumere su di sé il dovere della testimonianza. È un testo molto duro
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che si rifà alla tradizione del teatro documentario, molto ricca nella Germania degli anni ’20, un teatro che
guarda alla realtà; negli anni Venti il cinema era molto sviluppato ma aveva una diffusione relativa. Weiss è
erede di Brecht in questo: teatro che ha un intento pedagogico, si vuole che il pubblico prenda posizione.
Già il titolo, “Die Ermittlung”, indica la fase in cui si raccolgono i dati e le testimonianze affinché la giuria e il
giudice si possano fare un’idea; in tedesco il termine ha anche a che fare con la comunicazione di questi
dati. Nonostante sia preso dai fatti di un processo, viene rappresentato solo la parte in cui i testimoni
raccontano cosa è successo, “dialogando” con gli imputati. Non c’è traccia delle sentenze finali dei giudici. Il
testo è montato in undici canti, che sono organizzati sulla topografia del lager: banchina, lager, altalena,
possibilità di sopravvivere, ecc. E’ scritto in versi, questo rimanda al progetto di Weiss di riprendere la divina
commedia; il progetto originale era quello di distorcere in senso moderno la divina commedia. Il progetto
viene poi abbandonato e ne esce quest’opera teatrale. Ricorda anche volutamente il teatro a stazioni dei
gesuiti del Seicento. Questi richiami ci indicano dove colloca Weiss la sua opera teatrale, al di là del suo
contenuto. L’opera viene messa in scena nel ’65 e negli anni Sessanta e Settanta il teatro documentario
avrà un ruolo fondamentale. Oltre che nel contenuto Weiss si occupa anche della forma. Il contenuto non è
altro che un montaggio di citazioni del processo, che ha la funzione di essere intellegibile per il pubblico. È
un testo bruciante, teso, emozionante, ma bisogna mantenere la distanza per considerarlo come opera
all’interno di una tradizione. Una delle cose che, dal punto di vista formale, si nota di più è la mancanza di
punteggiatura che vuole essere una ripresa del parlato e rappresentare la volontà di far risaltare le parole
che vengono dette e i rapporti di potere che ancora emergono. Ci sono due sotto linguaggi che riproducono
i rapporti di potere che vigevano all’interno del campo: quello degli imputati e quello dei testimoni (in
questi processi alcuni Tater, non potendo venire accusati di crimini precisi passano dalla parte dei
testimoni. Per cui quelli che erano stati prigionieri si trovano fianco a fianco con coloro che erano stati i loro
aguzzini). Ci sono alcune annotazioni riguardanti gli imputati, che spesso ridono perché riescono a mettere
in confusione i testimoni, magari rilevando delle contraddizioni nelle loro testimonianze. La sensazione che
si ha è che gli imputati non siano pentiti di ciò che hanno fatto e che abbiano ancora molta sicurezza. Invece
nei testimoni si può riscontrare una sensazione di vergogna. Molti degli imputati rimarcano anche il fatto
che sia un discorso da chiudere, che ormai siano reati da far cadere in prescrizione. Weiss riconosce la
carica emotiva di ciò che racconta ma dà istruzioni a chi legge e a chi vuole metterlo in scena per evitare
delle semplificazioni; dice che gli imputati del suo testo servono solo per dare la misura di ciò che è
accaduto. “Come mio fratello” di Timm, riflette proprio sul fatto che il sangue ariano era un passaporto per
cui anche l’ultimo dei criminali tedeschi valeva di più dell’ebreo che gli veniva messo sotto e molte di
queste persone approfittano della situazione per evitare di lavorare e diventare figure con un certo potere
sui prigionieri. Un discorso importante riguarda la messa in scena dell’istruttoria, il 19 ottobre del 1965
contemporaneamente da 14 teatri tedeschi e da uno londinese. Queste messe in scena ovviamente non
sono tutte uguali, una delle più importanti è quella di Erwin Piscator alla “Frei Volksbuhne” a Berlino ovest,
regista importantissimo per il teatro europeo, aveva lavorato anche con Brecht. (Piscator e Reinhardt
inventano il teatro di regia: i registi prendono i testi e, interpretandoli, li facciano diventare una cosa
propria). È importante anche per le innovazioni tecniche che porta. Questa Istruttoria ha un successo
straordinario ed è un punto di svolta sulla discussione riguardo la shoah e il nazionalsocialismo. Luigi Nono
compone appositamente delle musiche per L’istruttoria. Questa pièce ci fa anche riflettere sulla
collaborazione complicata tra memoria e storia. Ognuno di noi percepisce la storia che ha vissuto in modi di
versi; la differenza tra i tedeschi ariani e le vittime è abbastanza evidente: per un tedesco la scansione del
Novecento probabilmente è diversa da quella che potrebbe essere per una vittima. Queste memorie sono
in competizione. Un testo come L’istruttoria ha portato nella memoria collettiva il peso di Aushwitz e
soprattutto ha sottolineato che ci sono state tante situazioni simili che non hanno ottenuto quella visibilità.

Nello stesso periodo fa altrettanto scalpore “Il vicario” (“Der Stellvertreter”) di Rolf Hochhuth, è una forma
di teatro documentario. Hochhuth quando scrive quest’opera è giovanissimo. Il protagonista sarebbe Pio
XII, quindi il vicario di Cristo. Il testo è ambientato nel ’42-’43 e il gesuita italiano, Riccardo Fontana,
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protagonista è un’invenzione anche se si basa su altri personaggi reali. Fontana è figlio di un laico che però
ha un ruolo molto importante in vaticano; questo viene contattato da Gerstein, un nazista pentito, perché
comunichi a Pio XII quello che sta avvenendo in Germania e perché prenda provvedimenti. Questo è un
fatto storico: il Papa non prenderà mai una posizione decisa contro Hitler per diversi motivi: perché Hitler
viene visto come uno scudo al comunismo e per evitare che, con una sua presa di posizione, vengano
perseguitati anche i cattolici. Una parte del testo si svolge anche durante l’occupazione di Roma e la
deportazione degli ebrei romani. Fontana esorterà il Papa a prendere posizione almeno su questo fatto,
non lo farà. Questo viene letto anche come una forma di antisemitismo da parte di Pio XII. In effetti la
chiesa cattolica impiega tanto tempo a riconoscersi come amica degli ebrei. Il titolo gioca su questo ruolo
del papa ma anche sul fatto che Riccardo Fontana si farà vicario del papa facendosi mandare ad Auschwitz,
per testimoniare la presenza dei cattolici là dove si soffre. È un testo piuttosto intenso per le prese di
posizione e per questa critica ai cattolici. Hochhuth verrà visto come una pecora nera dalla chiesa cattolica
e il testo verrà letto dalla chiesa in senso come anticattolico.

Lezione 11.
Martedì 25.05

Questi due testi teatrali oltre a dare risalto ad Aushwitz e modellare la coscienza culturale tedesca,
diffondono anche l’idea di Aushwitz come male assoluto e vero crimine del nazionalsocialismo, al di la della
guerra. Questi due testi modellano una coscienza civile tedesca che si orienta nel considerare il
nazionalsocialismo come un momento negativo della storia tedesca. Bisogna immaginare che in realtà la
Germania ovest sia un organismo omogeneo e che tutti abbiano le stesse idee e le stesse
preoccupazioni/visioni. Quello che accade negli anni 60, man mano sempre di più, è che si fa strada questa
coscienza di Auschwitz come male per eccellenza ma in una piccola parte di persone, con sfumature
differenti tra loro (ci sono spinte più emozionali e spinte più razionali). È interessante considerare che il
contesto culturale e politico degli anni 60 ha a che fare con la critica al nazionalsocialismo. C’è una
compresenza di posizioni, una grande massa di persone (gli adulti più adulti, quelli che anno 30,40,50 anni)
che per la maggior parte vogliono diventare ciò che è accaduto durante la guerra; il boom economico
favorisce questo oblio, perché la gente deve pensare ad altro: prima deve ricostruire, poi c’è una
circolazione di denaro e un benessere impressionante. In Germania si prepara il movimento studentesco,
che anche qui si nutre un po’ delle stesse cose (la critica alla morale sessuale, l’utopia di un rovesciamento
delle condizioni non necessariamente comunista ma in quell’area li). In Germania avviene il confronto con il
nazionalsocialismo, confronto che avviene dai silenzi: i giovani tedeschi, soprattutto universitari,
cominciano a chiedere conto alle generazioni precedenti (in particolare ai padri) di che cosa è accaduto
veramente durante il nazionalsocialismo, ‘’ma tu che cos’hai fatto? Come ti sei opposto?’’.
Uno degli slogan del 68 tedesco è ‘’Vaeter sind Taeter’’, ovvero ‘’i padri sono i criminali’’; c’è una
contrapposizione generazionale e il tema del nazionalsocialismo diventa una sorta di arma contro i genitori
e in quella tensione, che è una tensione politica di rinnovamento, dove si vuole trasformare l’intera società,
si fanno poche sfumature.
Peter Weiss è un autore famoso soprattutto per l’Istruttoria, ma sono interessantissime anche altre sue
opere come Der Schatten des Koerpers des Kutschers del 1952; è un racconto interessante perché guarda
all’Ecole du regard, ed è un testo piuttosto enigmatico dove in realtà non viene raccontato quasi nulla; c’è
un io narrante che alloggia in una locanda in campagna e descrive dei pezzi di quello
che vede, frammenti di conversazione, l’abbigliamento di una persona..descritti con
molta ricchezza di particolari; non c’è una storia vera e propria. Dal testo capiamo che
la letteratura non riesce a rendere la realtà in generale ma solo dei frammenti. Il testo
è arricchito da alcuni collage, non tanto comprensibili, neanche collegati alle pagine
del testo ma intercalano il testo e contribuiscono a dare un senso di antico.
Un’altra opera interessante è il Marat/Sade, rappresentazione del teatro nel teatro.
Weiss immagina che il marchese de Sade ospitato in questo ospedale psichiatrico
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parigino, insieme agli altri malati mettano insieme l’opera dell’assassinio di Marat.
Il testo ha pochi elementi e l’ambientazione nell’ospedale spiega perché tutto è così confuso. Marat incarna
il problema della rivoluzione che vuole essere efficace e trasformare la realtà ma che fallisce per mano della
violenza; d’altra parte c’è il personaggio del marchese de Sade che rappresenta l’individualismo e
l’estetismo. Verso la fine dell’opera c’è una specie di coro dei malati che pronuncia una serie di slogan tra
cui ‘’Kopulation, Kopulation! Revolution, Revolution!’’; la sfera più prossima a de Sade e quella di Marat si
mescolano in questo luogo confusivo che è l’ospedale psichiatrico. Qui c’è un teatro nel teatro, con continui
battibecchi tra Sade che fa il registra, gli attori che sono i malati e il direttore del manicomio.
Heinrich Böll è una delle figure più importanti della letteratura tedesca della Germania ovest del secondo
900. Egli è nato nel 1919 da una famiglia cattolica renana (parte occidentale della Germania); partecipa ala
guerra come soldato e combatte per tutta la durata della guerra in vari scenari. Dopo il 1945 si mette in luce
come scrittore prima di storie brevi e racconti, una di queste è Viandante se giungi a Spa..testo pubblicato
nei primi anni del dopoguerra, racconto interessante che da conto delle capacità di Boll giovane. Molti
riconoscono in questi racconti iniziali le migliori sue opere. Questo testo è un racconto di poche pagine
narrato in prima persona da un soldato che si è ritrovato ferito nel suo liceo, liceo che ha dovuto
abbandonare per andare a combattere; viene portato nel liceo su una barella, descrive una serie di oggetti
che facevano parte della vita scolastica, poi viene portato in un ospedale da campo improvvisato nella sua
aula, sulla lavagna c’è ancora una scritta sulla lavagna che lui riconosce come sua ma incompleta
‘’viandante se giungi a Spa…’’ (la lavagna era troppo piccola per finire la frase ‘’Viandante se giungi a
Sparta’’. Significato simbolico: gli anni dell’adolescenza sono gli anni di maggiore adesione alla vita e la frase
che non sta nella lavagna può alludere alle esperienze dell’adolescenza che non possono essere vissute
data la guerra.
Boll è una figura importante nel suo contesto (mentre ad esempio Grass non è invecchiato, il Tamburo di
latta ha tratti che ancora oggi sono moderni), il giudizio che gli diamo oggi è un po’ misurato. Dall’inizio
degli anni 50 fino alla sua morte negli anni 80, Boll è stato molto presente e ha avuto un ruolo di
cronachista della sua realtà, cioè della realtà che vive giorno per giorno.
Boll nel 1952 scrive un testo saggistico che si intitola bekenntnis (che vuol dire riconoscersi in qualcosa) zur
trümmerliteratur (realismo che si basa di ciò che è introno anche raccontando delle brutture, letteratura
che racconta dei primissimi anni dopo la guerra, di quella condizione particolare, soprattutto nelle città di
vivere in mezzo alle macerie che non sono ancora state sgomberate), questo tratto di umiltà anche nel
guardare alla realtà è un tratto che rimane in tutta la sua produzione.
Ci sono romanzi interessanti di questo periodo, per esempio uno è Wo warst du, Adam? Oppure uno è Und
sagte kein einziges wort; sono romanzi legati alla figura del reduce, che torna a casa nelle città distrutte e
cerca di rifarsi una vita. Non c’è nostalgia in Boll per il nazionalsocialismo, egli ha questo atteggiamento, a
volte persino caricato, religioso nei confronti della vita ma non nel senso di una professione di fede, non nel
senso che lui si senta un cattolico fedele alla chiesa di Roma, ma è molto affezionato ai valori religiosi. Il
secondo romanzo rimanda a un’impossibilità di comunicare, anche i personaggi positivi, in virtù dei valori
che vogliono difendere non riescono a comunicare con gli altri. I protagonisti di Boll, gli anti eroi, sono forti
dei propri valori e vorrebbero che tutti avessero la stessa attenzione e provassero lo stesso sentimento
verso il passato, sentimento e necessità di un cambiamento che dovrebbe passare per determinati valori.
I due romanzi che il professore propone di leggere sono Biliardo alle nove e mezza e Opinioni di un clown.
Soprattutto in Opinioni di un clown c’è una fotografia piuttosto fedele, che di da un’idea piuttosto chiara,
dell’atmosfera che c’è in Germania tra gli anni 50 e 60.
Biliardo alle nove e mezza compare nel 1959 ed è un tentativo di disegnare la storia tedesca dall’epoca
guglielmina fino al 1958, anno in cui si svolge la cornice del romanzo. In una modalità che Boll costruisce in
maniera perfino eccessivamente pesante (è un romanzo veramente costruito) Boll cerca di collegarsi alle
avanguardie del 900. Nei suoi testi ci sono moltissimi flashback e monologhi interiori, una molteplicità di
punti di vista anche in contrasto tra loro e queste contraddizioni spesso non vengono risolte. Biliardo alle
nove e mezza è pieno di queste cose: ogni capitolo è affidato a personaggi diversi che poi ritornano, quindi
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non c’è un punto di vista unitario. La storia di questo romanzo è la storia di una famiglia che si chiama
Faehmel e di tre generazioni di uomini di questa famiglia: il protagonista è Robert Faehmel. In un certo
giorno del 1958 si festeggia l’80° compleanno di Hinrich Faehmel (il più anziano); egli quindi è nato alla fine
dell’800 ed è una figura simpatica, lui decide a un certo punto di voler fare certe tappe nella sua vita. La
prima parte del romanzo è dedicata un po’ ai ricordi di questo Hinrich, descritto come un anticonformista
che non vuole entrare nelle logiche proprie del suo ambiente (lui è un ingegnere che costruisce edifici
pubblici, il suo primo grande lavoro è la commissione dell’abbazia di Sant’Antonio). Si sposa con una donna
e ha dei figli tra i quali Robert (che anche lui lavorerà come ingegnere), Robert anche avrà dei figli, uno di
questi diventerà anche lui ingegnere. Interessante è che Hinrich costruisce l’abbazia e Robert negli ultimi
giorni della guerra la fa abbattere, non tanto per una vendetta contro il padre ma un tentativo di
distruggere un simbolo, che nel romanzo viene chiamato ‘il sacramento del bufalo’; il bufalo è Hindenburg,
eletto presidente della repubblica di Weimar agli inizi degli anni 30 e che darà il potere a Hitler. Questo
sacramento del bufalo è l’atteggiamento dei guerrafondai, di tutti quei borghesi che hanno appoggiato la
guerra, che hanno visto in Hindenburg e in Hitler la salvezza, preferendo mantenere le tradizioni e
sacrificare i propri figli in guerra, piuttosto che tirarsi indietro e riconoscere che la guerra e le tradizioni
militaristiche sono una cosa negativa.
Questo romanzo è l’occasione per rappresentare un arazzo della storia della Germania del 900, arazzo
pieno di avvenimenti con elementi collegati al nazionalsocialismo.
Al sacramento del bufalo si contrappone il sacramento dell’agnello, che è l’idea del pacifismo e di vivere
insieme pacificamente rispettandosi e rispettando le esigenze, le difficoltà e le debolezze degli altri.
Opinioni di un Clown del 1962. È scritto in prima persona dal protagonista che è Hans Schnier che di
professione fa il clown, non in un circo ma fa degli spettacoli teatrali in varie città tedesche. Questo
Romanzo è ambientato in una notte sola nella quale Schnier che torna a casa da uno di questi spettacoli
ricapitola la sua esistenza e telefona, incontra, parla a varie persone della sua vita. È nato nel 1935, ha
ricordi della guerra e del nazionalsocialismo da bambino ma molto vividi e ha ricordi legati in particolare
alla propria famiglia e alla propria madre. La famiglia di Schnier e in particolare la madre è molto
opportunista e dedita alla causa nazionalsocialista e nel romanzo la madre fa parte di un comitato per
l’equità razziale. Durante la guerra la madre è molto fedele a Hitler, addirittura manda la figlia Henriette
nella difesa antiaerea Flak dove rimane uccisa, per questo Hans prova rancore per la madre.
Hans nel romanzo è un artista piuttosto quotato ma negli ultimi mesi, anche in virtù del fatto che arriva
spesso ubriaco agli spettacoli, il suo prestigio cala. Hans è un personaggio simpatico che prende la vita
come viene. Questa posizione del pagliaccio che sceglie qualcosa di antiborghese per mantenere una certa
coerenza che non vede nel mondo attorno a se.
Un altro grande filone di critica è volto ai cattolici: ad Hans non interessa la religione. Hans ci racconta il suo
amore per Maria, con la quale è fidanzato a lungo. Maria è figlia di un operaio comunista, fortemente
antinazista, che dal punto di vista della morale sessuale è allineato ai cattolici, quindi non è contento
quando scopre che i due hanno fatto l’amore prima del matrimonio. A Hans inoltre non interessa il
matrimonio. Maria però progressivamente si sente sempre più in colpa e si rifugia in ambienti cattolici che
la distolgono da questa relazione con Hans. Maria sposerà un cattolico infatti, trovando così la sicurezza che
Hans non è in grado di darle. Tutto questo è ricordato da Hans, dato che la storia si svolge in una notte.
L’abbandono da parte di Maria coincide con la parabola discendente di lui come artista e di uomo.
Il romanzo è interessante anche per la capacità che ha Boll di descrivere i suoi contemporanei anche a
partire dai loro difetti, le persone vengono descritte e ci danno un’ immagine interessante della realtà
tedesca.
Nel finale il Clown esce dal mondo borghese, nel senso che va alla stazione e si siede come un barbone con
la sua chitarra e il cappello per raccogliere dei soldi dato che li ha spesi tutti. Il romanzo si chiude in questo
modo un po’ enigmatico; egli si mette a cantare, modo per abbandonare la società borghese e per ritirarsi
ai margini della società.
Un altro romanzo famoso di Boll è L’onore perduto di Jatharina Blum; testo collegato con la propria
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contemporaneità, in particolare con l’ambito che nel 1977 è molto bruciante, ovvero quello del terrorismo.
La Germania aveva un’organizzazione terroristica paragonabile alle nostre brigate rosse, che si chiama Rote
Armee Fraktion (anche chiamata Baader-Meinhof dai cognomi dei suoi protagnoisti)e che ha a che fare con
il movimento studentesco.
Nel 1977 nasce la grande coalizione in Germania: i due partiti maggiori CDU e SPD che hanno circa il 30%
dei voti ciascuno, quindi nessuna delle due può governare da sola, trovano un accordo e governano
insieme, così che l’opposizione non c’è più nel governo tedesco, discorso che spaventa molti soprattutto a
sinistra. Allora nasce la Ausserparlamentarische Opposition (APO, opposizione extraparlamentare).
Il romanzo L’onore perduto di Katharina Blum è la ricostruzione di un avvenimento collegato a una donna
delle pulizie, Katharina, che viene accusata di fiancheggiamento del terrorismo, perché una notte fa entrare
a casa sua un uomo che è un terrorista.

Lezione 12.
Mercoledì 26.05

Caterina Blum è molto concentrata su dei valori etici, come ad esempio la solidarietà che dimostra in
particolare con questo uomo che lei sa (o forse no) essere un terrorista, facendo passare anche se stessa
come tale.
La scrittura di Böll è interessante perché cerca continuamente di mostrare chiaramente delle sue tecniche
di scrittura poco naturali e spontanee: in Caterina c’è un percorso all’indietro per raccontare la vicenda, non
si parte dall’inizio. C’è un po’ questa idea di agire anche sui tempi della narrazione.
Con Böll si chiude un poco la prima parte del rapporto della cultura tedesca occidentale con il
nazionalsocialismo, in quei termini delle fasi che si possono individuare nel rapporto tra la memoria
culturale e il passato tedesco, che per antonomasia è quello hitleriano; si possono individuare 3 fasi:
1) fase di rimozione (1945-1957): non si parla del problema, Auschwitz e il nazionalsocialismo sono da
dimenticare
2) fase di tentativi di fare i conti con il passato (1958-1984): vi rientrano i romanzi di cui si è parlato
3) fase di conservazione del ricordo (1984 in poi): si fissa l’idea che il vero crimine sia stata la Shoa

 Con la fine degli anni 80 si verifica un cambiamento: il 1989 fu un anno fondamentale per la Germania,
perché è l’anno della caduta del Muro di Berlino. In questo periodo il sistema sovietico collassò anche
perché l’Urss decise di non prendersi più carico degli altri stati, tra questi la DDR – malgrado fosse
particolarmente avanzato come territorio – ebbe una sorta di crisi e per una serie di avvenimenti nel 1989
ci fu il primo segnale forte di questa debolezza, ovvero l’apertura dei confini. Nel frattempo, la politica
occidentale (Helmut Kohl in particolare, il cancelliere federale) spinse fortissimamente perché le due
Germanie si riunifichino: non è un esito scontato, perché se ne sarebbero potuti immaginare degli altri, ad
esempio la vita autonoma della DDR che invece venne totalmente assorbita dalla BDR.
Questo discorso introdusse un altro passato tedesco: la DDR e la divisione. Günter Grass, come scrittore
occidentale, si dice molto spaventato nel 1990, è contrario alla riunificazione, perché dal suo punto di vista
teme che la Germania diventi troppo potente e possa finire per accarezzare di nuovo sogni imperialistici
come quelli di Guglielmo I e Hitler.
L’evento della riunificazione portò con sé un altro atteggiamento nei confronti del nazionalsocialismo:
sembrerebbe che questa riunificazione possa permettere un confronto questa volta serio con il
nazionalsocialismo, fino al 1990 si parlava di occidente capitalista ed oriente sovietico; si è guardato al
nazionalsocialismo o come un effetto legato del capitalismo (posizione dei sovietici) o come baluardo
contro il comunismo e la sua barbarie (posizione di Ernst Nolte: “il lager è venuto dopo il gulag” per cui
l’hitlerismo è solo un effetto dello stalinismo; il suo intervento sui giornali creò un dibattito con degli altri
storici – periodo passato alla storia come La Polemica degli Storici). La riunificazione è per la letteratura
feconda, così come per il dibattito culturale: da un lato ci si aspetta che si comincia a ragionare su questa
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molteplicità di passati (la Germania divisa e il nazionalsocialismo), dall’altro si vuole vedere il


nazionalsocialismo con occhi nuovi, ciò non accadde ma entrarono in gioco altri problemi.

Comunque furono quasi solo autori collegati all’Est che decisero di riguardare al passato sovietico
(es. Semplici storie  di Ingo Schulze).
Si comincia a ragionare sulle sofferenze dei tedeschi, tema rimasto tabù fino agli anni 90, ad esempio la
Fuga e la Cacciata: argomenti coltivati all’interno delle famiglie MA traumi non riconosciuti pubblicamente,
legato probabilmente ad un atteggiamento di volontà di dimenticanza degli orrori precedenti di fronte al
nuovo boom economico. Alcune forze di destra tiravano ancora fuori i discorsi dei confini ad est (es. linea
Oder-Neisse).
Un altro discorso su cui si riflette sono i bombardamenti delle città: le città tedesche, durante la guerra,
vengono attaccate dall’alto. Nel 1939 furono i tedeschi i primi, a Guernica durante la guerra civile spagnola,
a sperimentare gli attacchi aerei MA furono molte le azioni inglesi e americani di attacco non militare ma
civile dall’alto, classificabili tranquillamente nei crimini di guerra; fu una strategia voluta di cui non si capì
neanche bene il senso – forse i cittadini avrebbero dovuto ribellarsi a Hitler perché gli inglesi li
bombardavano MA forse può succedere proprio l’esatto contrario, per cui ci si stringe ancora di più ad
Hitler contro gli inglesi.
In questo ebbe grande merito lo scrittore W.G. Sebald: docente universitario di mestiere, scrisse una serie
di testi che vennero pubblicati con il titolo di “Guerra aerea e letteratura” (in italiano col titolo “Storia
naturale della distruzione”), saggi in cui Sebald si chiede come è possibile che non ci siano testimonianze
letterarie su i bombardamenti delle città tedesche, allora analizza alcuni testi letterari per concludere
confermando la lacuna.
Lungo tutto l’arco della guerra, il terrore fu enorme: parla dei bombardamenti di Amburgo e Dresda dove
vennero sperimentate delle bombe al fosforo – si incendiano al contatto con l’aria – per cui gli inglesi
adottarono la pratica criminale di bombardare i civili MA espone al lettore dei documenti che affermano
che i vertici dell’esercito britannico cominciarono a far creare alle industrie grandi produzione di bombe che
vanno usate per forza, “per non essere buttate” quindi fu questo il motivo di quelle azioni.
A questo proposito, venne pubblicato nel 2002 il testo L’incendio  di Jörg Friedrich, il quale scelse di
sottolineare il fatto che anche i tedeschi, sì hanno causato sofferenze, però sono stati vittime; utilizzando un
linguaggio attento, a volte disturbante, facendo dei paragoni espliciti fra i corpi bruciati nei bombardamenti
e i corpi nei forni crematori, oppure ad esempio le squadriglie di aerei vengono
chiamate Einsatzkommandos – termine per le squadre legate allo sterminio. C’è un evidente tentativo di
paragonare le due cose, senza neanche soppesare troppo le colpe.

 IL PASSO DEL GAMBERO

 Per quanto riguarda invece la Fuga e la Cacciata la letteratura ebbe un ruolo fondamentale: Il passo del
gambero  di Günter Grass introdusse una novità, in questa novella gioca e inventa la figura di Paul
Pokriefke, il quale a sua volta gioca con il suo creatore, un vecchio scrittore che lo incarica di scrivere un
libro su un evento storico, ovvero l’affondamento della Wilhelm Gustloff, al quale organizzava dopolavoro
per i lavoratori del nazionalsocialismo, dove morirono molti profughi che cercavano di sfuggire all’armata
rossa MA venne centrata da un sottomarino russo. Paul Pokriefke è un giornalista – ha lavorato anche per
Springer – che è proprio nato su questa nave, o meglio su una nave di soccorso, poiché sua madre Tulla –
personaggio di Anni di cani  e Gatto e topo – sta partorendo proprio durante l’affondo.
Paul racconta più episodi nel resoconto:
1) subito racconta della nave e del suo incrocio nelle acque del baltico con il sottomarino
2) la seconda storia che racconta è quella di un nazista che agisce in Svizzera negli anni 30 e che viene
ucciso da un ebreo “in quanto ebreo”, per la sua propaganda antisemita. Questa non è un’invenzione MA
storia: il nome del nazista è quello dato alla nave, in quanto martire
3) la terza storia riguarda il figlio di Paul sedicenne, Konrad che vive con la madre e con la nonna, per cui gli
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è un po’ estraneo. L’ultima è un personaggio vitalistico perché non si lascia inquadrare in nessun modo:
dopo essere stata salvata dalla Gustloff si stabilisce nella DDR – ha “il culto di Stalin”, con tanto di altarino di
fianco alla fotografia della Madonna. Paul invece viene descritto come un sessantottino un po’ fallito: ha 23
anni del 1968 e ha dei valori di sinistra molto blandi, tanto che ha lavorato per l’editore Springer che si
oppone al movimento studentesco.
Paul curiosa su internet per cercare dati e si imbatte in un forum dedicato all’evento: si accorge che chi
tiene il forum entra in polemica con un altro che ha come nickname “David Frankfurter” (il nome dell’ebreo
della storia 2) il quale dice di essere un ebreo contrario a questo tipo di interesse per il passato, il quale è
tutto sommato sempre collegato al nazionalsocialismo, al contrario del curatore del blog dal nickname
“Gustloff”, il quale è molto nazionalista. I due si incontrano online tante volte fino a darsi un appuntamento
vero, per chiarire alcune questioni emerse: Gustloff si presenta all’appuntamento con una pistola e spara a
David. Da qui nasce un processo, perché dietro a Gustloff c’era Konrad e dietro a David c’era un altro
ragazzino: non si capiscono, dal processo, le motivazioni di Konrad per quest’azione, se non una forma di
fanatismo particolare, un fanatismo non neo-nazista – anzi Konrad considera i neo-nazisti ignoranti e
violenti – che Grass descrive molto bene.
Già con Trama d’infanzia  di Christa Wolf si era già parlato della Fuga e della Cacciata, ma fu solo con Il
passo del gambero  che il tema perse il suo status precedente di tabù.
Al di là di questo, nella novella emergono tanti altri discorsi: uno è quello di una possibilità differente per gli
ebrei, per cui ci sono anche ebrei che hanno reagito – non che sia un invito a diventare attentatori –
mettendo così in risalto una figura di ebreo non vittima, non scontato. D’altra parte è molto interessante la
costellazione che Grass crea:
-          un padre, Paul, con sentimenti progressisti ma blandi e confusi, gli stessi che non è riuscito a
trasmettere al figlio, il quale invece si è legato ai sentimenti emotivamente carichi venuti dal filone della
nonna;
-          un ragazzo che si fa prendere da un’ideologia di destra senza farsi prendere dai neonazisti

-          Wolfgang, il David Frankfurter del blog, il quale non è ebreo bensì tedesco
In queste storie l’unico ebreo è il vero David; negli anni 90 sembra non esserci una presa di posizione da
parte degli ebrei ma c’è una discussione che appunto avviene soltanto tra i tedeschi, dove c’è chi sposa
l’ideologia di destra e c’è chi sposa la posizione degli ebrei e delle vittime, senza essere tali. Qui Grass
sembra voler dire “ce la cantiamo e ce la suoniamo”: siamo noi che difendiamo gli ebrei così come siamo
sempre noi a fare i nemici. C’è una forma di ossessione per il passato riguardo la memoria culturale dei
tedeschi: la Germania ha elaborato il suo passato MA in realtà non è proprio così, ovvero il fatto che ci si
continui a girare intorno testimonia il fatto che quei discorsi non sono stati digeriti, c’è sempre la necessità
di ritornare lì (Grass parla di un cesso intasato, dove si può tirare l’acqua quanto si vuole ma la merda
tornerà sempre a galla).
In questo contesto non c’è un vero confronto con altre figure e altre parti, ad esempio gli ebrei, i quali
ancora ora vivono in maniera blindata – in Germania ancora di più di fronte ai ghetti e le sinagoghe –
mantenendo una sorta di separazione culturale non forzata, per cui continua a non esserci un vero dialogo.

Lezione 13.
Lunedì 31.05

Questo testo richiamò l’attenzione, soprattutto da sinistra, da quelli che vogliono fare i conti con il passato,
sul fatto che era necessario il confronto ragionato ed oggettivo (es. la questione dei bombardamenti
americani).
Un tema che emerge dal Passo del gambero  è la post-memoria, concetto elaborato da Marianne Hirsch:
essa è quella che non appartiene ai testimoni oculari ma alle generazioni successive. Alcuni traumi in effetti
hanno una natura transgenerazionale, in generale i traumi di una singola persona di una famiglia si
trasmettono anche alle generazioni successive della stessa.
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Anche i nipoti dei criminali nazisti subiscono una sorta di trauma transgenerazionale, ed è evidente nella
letteratura tedesca degli anni 90: ci sono diversi testi che vanno in questa direzione. In Passo del
gambero  l’intenzione, non molto lineare, di Grass attraverso l’io narrante è quella di proporre un
protagonista che non ha subito in prima persona il naufragio MA vivendo con la madre continua a non
riuscire ad elaborare comunque il trauma, e quello che fa il figlio Konrad può essere visto come un tentativo
di risposta a questo trauma. Scrittori e scrittrici provano a ripensare il passato, sia come ricostruzione degli
eventi che non; tuttavia non solo in letteratura, ad esempio nel 2003 viene pubblicato “Opa war kein
Nazi” di Harald Welzer, sociologo, testo in cui sono presenti interviste a nipoti e figli di protagonisti (soldati)
della guerra, il cui titolo è emblematico riguardo l’atteggiamento della maggior parte di questi intervistati.
Welzer mette in luce la dissonanza cognitiva del prendere atto che magari il caro nonno, che li accudiva e gli
voleva bene, si scopre partecipante di azioni più o meno terribili nelle violenze naziste.
Il mito dell’esercito buono contrapposto alle SS cattive scricchiolò la prima volta in occasione della mostra
degli anni 90 ad Amburgo: fu il pendant per un romanzo “Immagini sfocate” di Ulma Hahn, dove una figlia
riconosce, in queste foto, il padre mentre sta per compiere una fucilazione. Questi è in un ospizio, per cui
dopo questa presa di coscienza la figlia comincia a sottoporlo ad una sorta di interrogatorio il cui resoconto
è il romanzo: questo uomo ha lavorato come insegnante, per tutta la vita, per la memoria della Shoah MA
effettivamente come soldato si è macchiato di crimini.

 A VOCE ALTA

Un altro testo come questo che porta con sé l’idea di riflettere sul passato tramite la letteratura in maniera
problematica è un testo di Bernard Schlink, A voce alta (der Vorleser). Racconta di un ragazzo, Michael, in
prima persona che parla di sé da ormai adulto: la storia comincia da quando ha 15 anni. È nato nel 1944,
non ha memoria della guerra, nasce in una piccola città tedesca dove conosce Hannah, con cui ebbe una
relazione nonostante l’età matura di lei (37 anni). Questa relazione naturalmente rimase segreta e lei lo
inizia all’amore e al sesso; una parte del rituale amoroso prevede fra i due che lui legga a lei dei romanzi,
poi improvvisamente Hannah scompare, cambia città senza dire niente – Michael adulto fa delle
considerazioni sul fatto che per lui è una situazione pesante, si vergogna di questa donna e si sente in colpa,
perché probabilmente lei se n’è andata proprio per questa vergogna. Dopodiché Michael inizia a studiare
giurisprudenza: il suo gruppo di studenti viene invitato a seguire un processo legato ad un campo di
concentramento e quando entra nell’aula di tribunale, Hannah è fra le accusate.
Schlink costruisce una storia per cui queste 7 donne, in quanto guardie in questo campo di
concentramento, sono accusate di – durante le Marce della Morte in cui i prigionieri venivano obbligati a
trasferirsi verso ovest, scappando dai russi – aver chiuso in una chiesa i prigionieri. La chiesa prese fuoco
MA le guardiane non aprirono la porta, perché gli ufficiali non gli lasciano ordini. Ad un certo punto salta
fuori una specie di memoriale in cui è testimoniato questo atto e in particolare è un resoconto in prima
persona, anonimo, in cui si evince che c’è stata la volontà di far morire questi prigionieri; Michael capisce
che in realtà, di questo memoriale, si prende la colpa Hannah MA non è stata lei, perché l’intuizione gli fa
capire che lei in realtà è analfabeta – motivo per cui si fa leggere i libri. Da questo processo emerge un lato
oscuro di Hannah perché le altre raccontano che lei portò con se delle ragazze prigioniere per farsi leggere
dei libri (spesso le ragazze più deboli, già destinate alla camera a gas) e qui Michael si chiede se è un modo
per proteggerle o per umiliarle.
Malgrado Michael abbia avuto questa intuizione, non avrà contatti con Hannah – inoltre intende che lei non
vuole fare emergere il suo analfabetismo. Non si incontreranno più, ma le manderà delle cassette registrate
in cui lui legge dei libri. Alla fine, vicino al momento della liberazione (anni 90) dopo la carcerazione, la
direttrice del carcere contatta Michael perché è l’unico contatto che Hannah ha avuto con l’esterno.
La struttura del romanzo è basata su un’evenienza molto improbabile, come l’analfabetismo di Hannah;
nella ricostruzione successiva emerge anche il fatto che Hannah faccia la guardiana del campo, forse come
collegato all’analfabetismo – non serve leggere e scrivere – ma rimane improbabile. Il romanzo venne
molto criticato perché Schlink pone tutto sul piano individuale, anche se è apprezzabile la costruzione
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perché mette il protagonista in una condizione particolarmente ambivalente: un tedesco che non ha colpe
oggettive, in un certo senso è un’altra vittima – la donna più grande approfitta di lui, evidente pedofilia – e
per di più con questo elemento della lettura ad alta voce – un rituale che sembra bello, molto intriso di
eroismo. È di nuovo una situazione sfocata: appare un atteggiamento anche un po’ superficiale la scelta di
usare la storia come sfondo; ad esempio, l’episodio della chiesa non tiene tanto conto della verità storica.

W.G. SEBALD

Nasce nel 1944 in Baviera, nell’Algovia, una regione che rimane abbastanza intoccata dalla terra – in quanto
regione montuosa – per cui lui dice che da bambino non vive sicuramente in mezzo alle macerie. Dopo
l’università decide di andare a vivere in Inghilterra, non per motivi particolari ma semplicemente perché la
Germania gli sta un po’ stretta: qui diventerà docente di letterature comparate all’università di Norwich.
Compare come autore abbastanza tardi: la sua prima opera letteraria è un poemetto dal nome “Secondo
natura” – titolo che in tedesco è più ambiguo “Nach der Natur”.
Con questo non divenne famoso, ma con delle prose che scrisse a partire dal 1990, con la prima
opera “Vertigini”: un testo spiazzante, dove già ci sono delle caratteristiche tipiche della sua produzione
(solo 4 libri): ad esempio le fotografie in bianco e nero dentro i testi. Sono 4 racconti, dove il primo riguarda
Stendhal nel momento in cui partecipò alla spedizione napoleonica, il secondo Casanova e la sua fuga dai
piombi, il terzo è su un soggiorno italiano di Kafka, mentre l’ultimo parla di un paese dell’Algovia. La prosa
di Sebald è molto classica, anzi una delle cose che colpisce di più è la sua eleganza: i quattro racconti
sembrano separati MA ci sono dei collegamenti che ritornano Es. è tutto giocato sul racconto del cacciatore
di Kafka, il quale non riesce a morire: questo elemento ritorna nel quattro racconti quando non ce lo si
aspetta, ad esempio nell’ultimo si parla di un uomo che ha una barca tatuata sul braccio e sembra
un’annotazione MA in realtà è collegato al racconto di Kafka dove il cacciatore si muove su un lago con una
barca.

 GLI EMIGRATI

Nel 1992 scrive Gli emigrati: quattro storie di emigrazione. La prima è quella del protagonista e sua moglie
accolti da un dottore ebreo molto ricco: gli racconta la sua storia, quella della sua emigrazione dall’Ucraina.
I suoi genitori desideravano andare a New York ma li ingannarono e dovettero fermarsi a Londra: qui studiò
e fece un matrimonio molto vantaggioso, ma infelice, vivendo poi un estraniarsi progressivo dalla vita. Tutti
i racconti sono stracolmi di particolari visuali, es. il dettaglio di Nabokov che compare in tutti i racconti
lateralmente come cacciatore di farfalle. Sono tanti gli elementi “inutili” che tornano. Sebald è un autore
votato alla malinconia: a volte la scelta di parlare della Shoah, ad esempio, sembra più legata ad una visione
apocalittica del mondo che alla Shoah stessa. L’io narrante è spesso e volentieri molto malinconico, ad
esempio in Anelli di Saturno la prima immagine è quella del protagonista ricoverato in una clinica per una
depressione.
Sebald riprende, nella prima storia, un racconto di Hebel – che scriveva per un almanacco – il cui racconto
più famoso è Il ritrovamento insperato dove parla di una donna che è fidanzata con un minatore il quale
muore il giorno prima delle nozze. Hebel ripercorre gli avvenimenti storici successivi per poi giungere al
momento in cui dei minatori scavando trovano un corpo perfettamente conservato: da questa notizia corse
una vecchina che è la fidanzata.
Il secondo racconto è dedicato a Paul Bereyter, il maestro di Sebald quando era bambino; Sebald adulto,
all’indietro, racconta del giorno in cui ha saputo che Bereyter si tolse la vita. Fa delle ricerche e scopre che il
suo maestro era per ¼ ebreo e durante il Terzo Reich venne costretto a non insegnare: per Sebald fu una
sofferenza enorme, anche perché era un pedagogo – oltre che un insegnante – esperienziale. Sebald con
questa modalità narrativa opaca, crea atmosfere molto nette ed evidenti per guidare il lettore in questa
cappa di malinconia – in cui non deve lasciarsi guidare da altro* – dove l’atteggiamento dell’io narrante
sembra sempre che abbi una doppia funzione:
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-          Ricordare al lettore di fare attenzione*

-          Curare e ricostruire le sofferenze per dare loro un nome

Es. Beryter è una vittima del Terzo Reich, ma non una di quelle che soffrirono di più, anche se Sebald
tematizza che la doppia veste del professore – che si sente tedesco fino al midollo – facente parte per 3\4
alla razza dei carnefici ma allo stesso tempo condannato (ipoteticamente) al campo di concentramento lo
rende particolare.

Lezione 14.
Martedì 01.06

[ Joseph Roth fu uno scrittore austriaco, morto a Parigi in esilio nel 1939, famoso per molti romanzi che
parlano dell’Austria di inizio secolo; nel 1939, poco tempo prima di morire, scrive il racconto La Leggenda
del Santo bevitore dove parla di un barbone a Parigi che per una serie di coincidenze si risolleva. Mentre è
sotto il ponte della Senna un signore, riconoscendovi il fratello, gli dà una somma importante che non dovrà
restituire al signore ma ad una santa: tutto il racconto è basato sul desiderio di quest’uomo di restituire il
denaro e sul fatto che viene continuamente distratto. Con questo denaro si risolleva, esce dalla sua
condizione di barbone e incontra donne e amici. ]

 GLI ANELLI DI SATURNO

In questo racconto è ben visibile il gusto di raccontare l’orrore per le tracce della distruzione, che sono le
tracce della violenza della storia di cui il nazionalsocialismo è un fenomeno, forse il più evidente e notevole
ma non l’unico; la malinconia è ripresa soprattutto all’inizio, nella scena dell’ospedale di Norwich in cui si
parla del fatto che è lì conservato il cranio di Thomas Browne che scrisse Anathomy of Melancholy.  Il
malinconico è una figura fissa dall’antichità ad oggi, che chiameremmo di più depresso: è un tipo umano
che ritorna spesso in maniera collegata allo studioso, per cui a forza di studiare si sprofonda nella
malinconia invece di allargare i propri orizzonti, si percepisce sempre di più la vanità delle cose e del sapere
– es. almeno due personaggi di Goethe sono fortemente malinconici, uno è Werther (anche se non è
proprio uno studiosus) e l’altro è Faust (in una delle prime scene fa un monologo che prelude un tentativo
di suicidio MA poi sente le campane di Pasqua e arriva Mefistofele; nel monologo dice che ha sempre
studiato ma non è mai andato di un passo avanti). Saturno è il pianeta della malinconia, cioè sotto i cui
influssi stanno i malinconici, ecco perché il titolo richiama in un modo tipicamente sebaldiano i malinconici
e gli anelli, questi come strisce di frammenti di una luna che si è troppo avvicinata al pianeta che per ragioni
di gravità a noi appaiono interi ma sono frammentati: questo è emblema del modo in cui racconta Sebald,
tutto molto levigato e tutto estremamente frammentario, con dettagli e particolari che sembrano sempre
rimandare ad altre realtà e ad altre verità. In effetti il malinconico vede sempre presagi di distruzione
attorno a se e cerca sempre di crearsi gli stessi presagi. Es. in Vertigini, ne La fuga dai piombi di
Casanova  viene riportata la figura di Casanova, prigioniero, malinconico che si affida al caso per il giorno in
cui evadere: fa dei calcoli a partire dalla sua data di nascita, calcolo che poi applica ad un poema (Divina
Commedia) da cui trova il verso che corrisponde ad una data vera (fin d’ottobre, inizio novembre).
Gli ultimi due racconti di Emigrati  sono quelli di Adelwarth e Max Ferber; Sebald gioca con la fiction, per cui
crea proprio un’atmosfera dove il lettore da n lato viene invitato a fidarsi, come se si trattasse di racconti
documentari – anche perché continuamente fa riferimento ai luoghi, agli spazi – MA non sappiamo mai se
davvero ci sta raccontando la verità, e non è neanche la sua intenzione, è solo un gioco con la letteratura
Adelwarth è uno zio del narratore, emigrato dalla Germania negli USA all’inizio del secolo come molti
tedeschi – lungo l’Ottocento molti tedeschi andarono negli USA o altrove, es. Sud America – di cui viene
ricostruita la storia tramite racconti familiari: l’io narrante ha pochi ricordi perché lo ha visto da bambino
quando era già molto anziano, per cui decide di andare negli USA per farsi raccontare. Quest’uomo lavorava
prima come ragazzo poi cresce negli alberghi e finisce per entrare come istitutore nella famiglia ebrea
newyorkese dei Salomon: Adelwarth diventa compagno del ragazzo che deve istruire. Questo Salomon però
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si ammala di una malattia psichica, definita come malinconia, perché “la sua anima è rimasta nel deserto.
Non si è più unita a lui quando è tornato dall’Africa” – Adelwarth e Salomon fanno molti viaggi assieme.
Adelwarth continua a lavorare come maggiordomo fino alla pensione, per passare la fine della sua vita ad
Ithaca (città americana) “rimasto maggiordomo”, completamente distaccato e freddo.
La zia racconta al narratore che Adelwarth, dopo la pensione, ha iniziato a raccontarle degli episodi della
sua vita: “il raccontare era per lui un tormento e un tentativo di auto-liberazione, una salvazione e al
contempo una pietosa autodistruzione”.
È un racconto molto enigmatico: Adelwarth soffre come capita a tutti, non subisce dei traumi
apparentemente – c’è forse un lutto a tutti gli effetti, quello di Salomon – eppure ha questa volontà
evidente di autodistruggersi, che sembra sganciata da un trauma oggettivo. In queto racconto Sebald vuole
arrivare a quel senso di distruzione universale, di malinconia e declino che può cogliere chiunque al di là
delle sue sofferenze individuali.
L’ultimo racconto è un caso estremo dall’altra parte: Max Ferber è un nome inventato – nell’edizione
originale ha un altro nome, Max Aurach – e riprende il personaggio di un pittore che ebbe delle vicende
simili al protagonista del racconto. L’io narrante negli anni 60 andò in Inghilterra, arriva a Manchester e
durante una passeggiata in questa città tetra e cupa giunge per caso dentro l’atelier di Max Ferber.
Ferber è parecchio più giovane del narratore; con l’avvento del nazismo, la sua famiglia ebrea lo affida ad
una famiglia in Inghilterra perché vuole evitargli le violenze dei nazisti MA si trova spaesato in una terra di
cui non conoscono la lingua: c’è un trauma oggettivamente grande, che spiega anche le modalità del suo
fare artistico.
Ferber darà a Sebald il diario di sua madre, che racconta di una famiglia ebrea perfettamente integrata
nella realtà tedesca degli anni 20 e poi condannata e distrutta con l’avvento del nazionalsocialismo.

 AUSTERLITZ

Unico testo di Sebald incentrato su una sola storia MA il modello è lo stesso: durante un viaggio incontra
per caso questo belga, Jack Austerlitz – scoprirà poi che è praghese ma che la famiglia, con l’avvento dei
tedeschi nel 1938 viene spedito in una famiglia di un pastore protestante in Inghilterra, con una morale
terribile puritana, per cui Austerlitz visse in condizioni molto dure.
Austerlitz non ricorda niente prima dell’Inghilterra, diventa architetto e già piuttosto adulto per una serie di
coincidenze va ad esplorare la sua infanzia; un giorno, in viaggio, sente una trasmissione in ceco, lingua che
non pensava di sapere, e la capisce – va via quando ha 6-7 anni MA il trauma gli fa dimenticare tutto per
moltissimo tempo.
Ci sono molte vicende raccontate: va nella Repubblica Ceca e per una serie di coincidenze riesce a ritrovare
la sua balia che gli racconta della sua famiglia e di lui bambino. Es. nella copertina c’è una foto di un
bambino vestito da pierrot – Sebald ha un grande tavolo dove sposta le fotografie finche non si creano delle
sequenze narrative – che la balia fa vedere ad Austerlitz
Gli racconta che sua madre è passata e morta nel campo di concentramento di Theresienstadt, il quale fu
pensato dai nazisti come un campo più leggero degli altri: è una specie di ghetto pensato per gli ebrei
meritevoli, per esempio per coloro che avevano fatto la Prima Guerra Mondiale e avevano quindi lavorato
per la Germania. In ogni caso, è un campo di concentramento: le condizioni igieniche sono precarie, non c’è
cibo, c’è violenza ecc… inoltre fu il campo modello per Hitler per testimoniare come trattava bene gli ebrei.
Sebald, al di là di una certa estetica di questa malinconia e del declino, c’è un atteggiamento (in questi
narratori o in questo narratore) che noi conosciamo da Leopardi, ovvero un invito a stare vicini e all’amore
proprio perché la natura e il mondo sono così violenti e distruttivi. Ecco qui l’idea di scavare nella vita di una
persona alla volta.

 Katja Petrowskaja

Scrittrice ucraina nata negli anni 60; a 30 anni andò a Berlino e imparò così il tedesco. Negli ultimi decenni,
a partire dagli anni 90, in Germania c’è una forte presenza di letteratura scritta da persone non di origine
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tedesca: l’industria letteraria spinge in questa direzione, dà prestigio e premi a persone immigrate. In
Francia e in Inghilterra anche, ma in Italia ad esempio non molto. Katja si è fatta spazio proprio in questi
termini.

FORSE ESTHER

Racconta la storia della sua famiglia che ha per generazioni insegnato ai sordomuti MA lei no; ricostruisce la
storia e gira intorno ad una nonna morta in campo di concentramento che forse si chiamava Esther.
La narratrice ricostruisce e ci racconta come ha ricostruito quelle storie: un tratto caratteristico anche del
romanzo Come mio fratello.

 Uwe Timm

Scrittore nato nel 1940, quindi un po’ troppo in là con l’età per il Sessantotto, in cui si trovò in mezzo; egli è
collegato con il movimento anti-autoritario, un filone di pensiero che vuole contrastare nelle famiglie e
anche all’università, oltre che in politica, l’autoritarismo; in effetti prima del Sessantotto le condizioni di
rapporti tra adulti e ragazzi erano molto differenti e ristrette rispetto ad oggi.
Un romanzo famoso che scrisse negli anni 70 è Morenga, il nome di un capo dei ribelli di una colonia
tedesca che è l’attuale Namibia: una di quelle pagine poco note, che non fa parte della memoria culturale,
ma molto gravosa. È un tentativo interessante in un periodo in cui si parla tanto di nazismo: si può leggere
la violenza dei colonizzatori come un anticipo della violenza che sarebbe stata sviluppata dai nazisti,
soprattutto per quanto riguarda l’idea dell’inferiorità o superiorità razziale.

 COME MIO FRATELLO

È curiosa la parabola di Timm perché nel 2003 ha 63 anni, non è molto vecchio MA non è un autore di
punta, mentre Come mio fratello gli diede tanta notorietà, anche a scuola.
È la storia di una ricostruzione delle vicende di una famiglia a partire dal fratello di Timm: egli partì soldato
e l’unico ricordo che lo riguarda l’essere “sollevato in aria”, è un ricordo di un attimo. Questo tema è
collegato alla questione studentesca degli anni 60 e 70 anche grazie alle riflessioni di Marcuse e Adorno: è
presentissimo nel romanzo il corpo, il quale mantiene delle memorie esterne alla Memoria. Non c’è quasi
niente che riguardi il fratello personalmente.
I genitori confrontano sempre questo figlio morto con Uwe: il primo così ordinato e diligente, il secondo no,
per cui faticò a distaccarsi da questa mentalità. Uwe era troppo piccolo quando Karl morì, per cui è un
fratello vivo solo nella memoria familiare come specchio in cui riflettere tanti elementi e ricordi della storia
personale e tedesca assieme. Tuttavia non c’è traccia di un fratello fanatico nazista o di violenze civili anche
se in un punto, il fratello in una lettera racconta che per fare la strada prendono tutto quello che trovano,
come le stufe nelle capanne – lasciando le capanne senza stufe – MA in fondo non escono, questi momenti,
al di fuori di una certa quotidianità di guerra.
Il narratore torna molte volte sul fatto che dopo la guerra incontra altri amici e poi negli anni 50 e 60
passano le serate a discutere di come si sarebbe potuta vincere la guerra: Timm è stupito, non si capacita
del fatto che non capiscano che la vittoria della Germania avrebbe significato la vittoria di Hitler e della sua
mentalità. Timm riflette sulla parziale cecità che consente anche ad una persona normale, non fanatica, di
partecipare alla guerra e di fare battute (es. vedere un russo e dire che è un “bel boccone” per la propria
mitragliatrice). Timm ci fa vedere le ricerche e i rapporti che ha avuto cercando di ricostruire i discorsi fatti
in famiglia e lavora molto su come la memoria si forma: riesce a scrivere soltanto dopo che tutti sono morti,
un discorso applicabile a tutte le famiglie dove le persone vengono descritte in maniera univoca che viene
portata avanti. Timm nella sua ricostruzione vuole ridare a suo fratello la tridimensionalità, toglierlo dalla
dimensione di santino intoccabile per tutta la famiglia. Timm va in Russia e poi fa una tappa in Ucraina
perché viene invitato da un centro culturale tedesco; approfitta per andare in questo cimitero per vedere
suo fratello. Il fratello morì in seguito all’esplosione di una bomba: gli vennero amputate le gambe e poi
morì; Timm racconta che il giorno prima di andare a parlare di questo lavoro su suo fratello ha una paralisi
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alle gambe MA mentre parla, alla fine gli altri gli dicono che mentre stava parlando gli sono venute le
occhiaie nere: sono tutti segnali della memoria del corpo, che si esprime meglio della lingua.
Nelle ultime righe dice “ancora adesso lavoro, ai suoi desideri”: è il tentativo di continuare qualcosa che
nella famiglia si è bloccato.

Lezione 15.
Lunedì 07.06

Friedrich Dürrenmatt è un autore svizzero, ha scoperto intorno ai 20 anni di essere diabetico: questo fatto
fa a pugni con il suo amore per il cibo, perché implica delle limitazioni molto forti. Egli piuttosto giovane si
trova nella condizione di non poter mangiare quanto e come vorrebbe, questa cosa si trova molto presente
nei suoi scritti.
I testi che il professore ci ha proposto sono particolari perché contengono una mole di dati che vogliono far
riflettere il lettore su un tema preciso. In entrambi c’è un tentativo di difendere un’idea non fino in fondo,
ma tuttavia cercano di suscitare nel lettore delle domande.
Il collegamento tra letteratura e il cibo è un collegamento molto interessante, la letteratura è un linguaggio,
un modo di veicolare delle idee con delle caratteristiche particolari, una di queste (l’abbiamo incontrata con
Sebald) è la capacità di occuparsi di singoli; la letteratura certo, può essere corale, ma anche dov’è corale, si
evidenziano dei singoli individui. La letteratura non è scienza, non ci dice cose vere al 100% e
continuamente ripetibili come può accadere in un esperimento ad esempio, la letteratura fa leva su
elementi che sono sempre singoli, individuali.
Il cibo merita un discorso attento perché è un argomento molto scivoloso nel quale siamo immersi, senza
rendercene troppo conto. In questo periodo storico (da circa 15 anni) il cibo è entrato prepotentemente nel
discorso pubblico a livelli prima impensabili. La presenza così massiccia di cibo in tv, sui social.. è un
fenomeno piuttosto recente, il fatto che esistono canali dedicati esclusivamente al cibo è una moda
recente.
Il cibo è pervasivo della nostra vita, anche se non ce ne rendiamo conto, gran parte dell’economia gira
intorno alla produzione, trasformazione e distribuzione del cibo.
Il contatto con il cibo è forse una delle prime cose che impariamo da bambini, come tenere in mano il
cucchiaio (azione culturale).
Uno dei dati più trascurati, nel senso che è comune a tutti noi ma su cui non si ragiona è la dimensione della
socialità del cibo: che ha degli aspetti legati alle singole culture. In Italia il cibo è importante a tanti livelli, il
cibo fonda dei gruppi, come le famiglie. Per altre nazioni lo è meno (questo lo si vede bene nel libro di
Duve). In Italia è il luogo dello scambio e dell’educazione dei figli, luogo strettamente connesso al cibo.
Anche il rapporto con il cibo ha una sua storicità: culture differenti nel tempo hanno modi diversi si
rapportarsi con il cibo, ad esempio la società occidentale è la prima (dal 20° secolo) dove le persone
mangiano sole; questa cosa, ormai comune, era impensabile nei secoli passati, perché si mangiava insieme,
non necessariamente in famiglia, ma ad esempio a lavoro nei campi ci si fermava e si mangiava insieme. Ad
esempio anche nella religione, come quella cristiana o ebraica, sono importanti gli atti alimentari (Adamo
ed Eva mangiano la mela, ed è quella la loro colpa). Il cristianesimo ribadisce l’importanza del cibo con
l’ultima cena, momento in cui l’uomo si redime dal peccato originale.
Le prassi alimentari fondano diversi gruppi, sia a livello nazionale, che religioso.. L’Italia ha una cultura
particolarmente ricca che spesso viene confusa dagli stranieri (che credono che mangiamo tutti i giorni la
pizza). Una cosa molto comune in Italia è quella di cucinare ‘’from scratch’’ (da zero), mentre in altri stati
esteri si usa più comprare cose già fatte, o comunque non da zero.
È importante rendersi conto di quanto il cibo fondi comunità. Ci sono cibi che riconosciamo come identitari,
come la pasta o la pizza, però è necessario riflettere sulla storicità, perché molti elementi di quella che noi
chiamiamo dieta mediterranea, in realtà sono in gran parte un’invenzione piuttosto recente (ad esempio il
pomodoro è arrivato in Europa nel 500).
Roland Barthes scrive un testo nel 1861 dice che il cibo viene pensato prima di essere mangiato, questo
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pensare il cibo è collegato al discorso della cultura, nel senso che ci impone certe scelte alimentari. Alcune
cose, come mangiare gli insetti, o animali domestici, per la nostra cultura non è pensabile. È un fatto
culturale, di abitudine.
Rispetto a questa idea del cibo pensato c’è un altro argomento interessante, due testi inerenti
all’argomento vengono scritti da Polland e da Fischler: entrambi parlano del paradosso dell’onnivoro. Ci
sono animali che conosciamo mangiano solo una cosa, i panda ad esempio mangiano un germoglio di
bambo, da un lato è molto comodo perché non hanno dubbi. Per gli onnivori è molto più complicato perché
da un lato hanno una varietà enorme di cibi che possono mangiare, dall’altro hanno il dilemma della scelta,
la varietà è una fonte di ansia molto grande, perché rimane uno spettro ampio di cose che mi facciano bene
o no, se siano nutrienti o meno. Fischler fa delle considerazioni molto interessanti rispetto alla natura, dice
che da un certo momento della storia (che corrisponde all’illuminismo) la natura è stata divinizzata, mentre
per migliaia di anni è stata la grande nemica dell’essere umano; oggi ci sembra che il grande nemico sia
l’inquinamento, e abbiamo paura che nelle cose che mangiamo ci siano antibiotici, sostanze chimiche.. la
narrazione a partire dal 700 è stata quella che la natura è amica, ci fornisce la soluzione per la salute,
Fischler ci dice che però per moltissimi anni era la natura ad essere insidiosa, a fare paura, a far sembrare il
cibo, anche quello apparentemente buono, pericoloso (l’acqua pulita è un lusso piuttosto moderno, per
lungo tempo è stato difficile procurarsi acqua pulita, per questo motivo nei monasteri si produceva la birra,
che veniva usata per berla e per fare da mangiare). La cultura in questa idea dell’onnivoro un po’ perso, che
da solo non sarebbe in grado di sapere cosa è buono e cosa non lo è, la cultura lo aiuta fornendogli un set di
cose ‘’buone’’, questi cibi si caricano poi di significati identitari (la pasta al sugo non è solo buona ma è
parte della nostra identità).
la pubblicità del cibo: in queste pubblicità non vengono venduti beni di consumo, ma idee di beni di
consumo (non ci vendono una macchina, ma ci vendono una strada di montagna libera in cui la macchina
va veloce), stessa cosa per i vestiti, per i profumi e anche per il cibo. La pubblicità del cibo spinge in
determinate direzioni, alcune di tipo sociale, (ci fu negli anni 80-90 una pubblicità del gorgonzola dove
veniva mostrato che il gorgonzola venisse mangiato da persone molto eleganti, un modo per far passare il
gorgonzola da formaggio delle tavole popolari a quelle più alte). Questo discorso della pubblicità del fatto
che ci vengono vendute delle idee viene anche ripreso nei due libri che dobbiamo leggere. Soprattutto per
gli elementi più basilari della nostra alimentazione comune, ci vengono venduti dei prodotti collegati a idee
scollegate dalla concreta realtà di produzione di quei prodotti (un esempio è il latte della Lola, per dire che
questo latte viene da una mucca specifica, cosa impensabile ormai per un allevamento dei giorni nostri, in
cui per andare avanti deve possedere 50-100 capi); il cibo che ci procuriamo, che cuciniamo è sempre
legato a idee di noi stessi, infatti il latte della Lola vuole suggerire che viviamo in una piccola realtà
premoderna.
Questa idea della naturalezza a cui dobbiamo tornare è settecentesca, è collegata a Rousseau, che afferma
la necessità di fuggire dalla civiltà che ha rovinato i rapporti tra gli esseri umani e di dover tornare a un
clima mitico, mai esistito in realtà (un altro esempio è la Mulino Bianco, la cui pubblicità da proprio
quest’idea, ovvero quella di un idillio campestre e di un tipo di relazioni tra persone).
C’è un divario tra idea di Rousseau, che ha un’idea di gastro-etica (egli fonda l’idea della macrobiotica, in
realtà non è proprio lui che fonda questa idea, che è l’idea di mangiare cibi sani trasformati il meno
possibile, come mangiare le verdure crude e non cotte, idea spiazzante nel 700) e la gastronomia, che viene
anche creata in quel periodo, idea che quella di mangiare sia un’arte (cosa molto affascinante seguire il
percorso di cosa si considera culinariamente artistico nei secoli: col passare del tempo, a partire dal
medioevo si notano differenze molto grosse. Nel medioevo animali molto grandi, come i buoi, venivano
cucinati interi, mentre ora abbiamo più pudore nel far vedere l’animale intero, come il pollo arrosto intero
o la porchetta, oggi abbiamo la volontà di far vedere il meno possibile che quello che mangiamo è un
animale).
Ritornando alla divisione tra il filone vegetariano di Rousseau e quello della gastronomia. La gastronomia è
collegata alla rivoluzione francese, il momento in cui essa si sviluppa è quando le case aristocratiche
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vengono chiuse dalla rivoluzione francese, quindi i loro cuochi diventano disoccupati e allora inventano il
ristorante moderno, offrendo a tutti la possibilità di mangiare cose raffinate, elaborate ed eleganti. I due
discorsi si incrociano e infatti ora esistono ristoranti vegetariani, dove il piacere del cibo si collega all’idea
del cibo sano, sostenibile.

Lezione 16
Martedì 08.06

Discorso della storicità del rapporto con il cibo e di come cambi, di come alcune cose rimangono invariate
nei secoli e di come altre invece cambiano. La nostra vita si basa su due cose fondamentali: l’alimentazione
e la riproduzione, questi sono i due modi per mantenere la vita. Tutti gli esseri viventi hanno bisogno del
cibo per sopravvivere e gli esseri umani hanno inventato delle modalità particolari in questo ambito, ogni
gruppo di esseri umani ha trovato una serie di alimenti che si possono mangiare, e una serie che sarebbero
tali (quindi che apportano vitamine, nutrimenti all’organismo) ma che per alcune ragioni non lo sono.
Ci sono motivi culturali, economici, legati a alla scelta dell’alimentazione comune (per esempio vengono
scelti tipi di grano che hanno grandi rendimenti per motivi economici, l’agricoltura infatti non è idilliaca
perché è un’attività economica che mira al guadagno al di la dell’etica). Anche quello economico è uno dei
motivi per cui la varietà di cibi che mangiamo è ridotta.
L’idea della possibilità di migliorare la vita umana attraverso un certo tipo di alimentazione vegetariana o
vegana in ambito tedesco ha un certo successo, ed è qualcosa su cui si ragiona almeno dalla fine del 700.
Uno dei primi autori che va nella direzione della gastronomia è Savarin, nobile francese che nel 1825 scrive
La fisiologia del gusto, opera interessante e divertente (perché ha teorie piuttosto bizzarre) dove all’interno
non ci sono solo considerazioni di tipo medico-igienico, ma ci sono anche ricette, considerazioni soggettive,
egli cerca di portare la filosofia illuminista anche nell’alimentazione.
Un altro francese che si può citare a questo proposito è Fourier, egli declina l’illuminismo in una maniera
peculiare. Egli inventa la parola Gastrosophie, parola che unisce gastronomia e filosofia. Egli pensa a un
modo per nutrirsi in maniera sana e intelligente, al modo in cui vengono coltivate le verdure o allevati gli
animali, lui immagina delle comunità in cui si lavora tutti insieme, immagina un superamento della famiglia,
il libero amore, immagina grossi edifici dove le persone vivono in maniera comunitaria e dove anche il
lavoro è molto importante.
Ci sono tre nomi tedeschi da fare a questo proposito: Anthus, von Vaerst e Rumohr; questi tre autori,
ognuno un po’ per conto suo, un po’ come Pellegrino Artusi (che scrive un libro di ricette non solo in
maniera strumentale, quindi con la ricetta del pollo alla cacciatora ad es, ma con altre considerazioni su
come coltivare determinate piante, su quali sono le zone migliori per trovare determinate cose) che ha la
volontà di trovare il piacere attraverso il cibo. Tutti e quattro gli autori fanno attenzione al piacere del
palato. Queste raccolte di ricette e abitudini diventano una sorta di norma, questi testi sviluppano dei
gruppi.
Un altro passaggio interessante nell’800 è Nietzsche, che si chiede se esisterà mai una filosofia
dell’alimentazione.
La storia della gastrosofia non ha un influsso così importante nella cultura tedesca, i libri ad esempio
dell’Artusi vengono per lo più usati come libri di ricette e non provocano spinte filosofiche o culturali.
Un fenomeno che ha un’efficacia maggiore per lo sviluppo di pensieri in ambito filosofico o culturale è il
lebensreform. Negli ultimi decenni dell’800 in Germania e in Svizzera nasce questo fenomeno, un tentativo
di sfuggire alle brutture della civilizzazione e dell’urbanizzazione, c’è un atteggiamento critico nei confronti
del materialismo, e c’è una volontà di ritornare allo stato naturale (Rousseau). Questa Riforma della vita
non è un movimento organico con persone a capo del movimento, in generale è qualcosa di piuttosto
democratico, nel senso che un certo numero di persone trovano strade di vita alternative, in un primo
momento riguarda tutte le cose della vita poi si restringerà all’ambito alimentare. L’idea è quella di guarire i
mali della civiltà. Un argomento che si intreccia a questo è quello teosofico, nel senso che ci sono forme di
religiosità particolari che vanno al di la delle religioni tradizionali collegate a credenze piuttosto varie. Vari
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filoni di questa lebensreform sono collegati da un lato alla rinuncia ad alcune cose come l’alcol e il tabacco,
dall’altro alla coltivazione autonoma della terra, del vivere del proprio lavoro, l’alimentazione è di tipo
vegetariano-vegano, e poi c’è l’idea della guarigione con le erbe e i rimedi
naturali.
Uno degli aspetti interessanti di questo ritorno alla natura è il rapporto con
l’abbigliamento, alcuni credono che i vestiti siano uno dei danni della civiltà, che le
persone non debbano vestirsi per sfruttare la luce del sole. Questo ha effetti
molto longevi, nel senso che ancora oggi la FKK (cultura del corpo libero che in
italiano si traduce col nudismo) in Germania viene molto praticata, molto più che
in Italia. [questa è una fotografia scattata a Monte Verità].
Uno degli esperimenti meglio riusciti di questo movimento è il monte verità, nel
Canton Ticino vicino a Locarno c’è una collina con questo nome, nei primi decenni
del 20° secolo fino agli anni 40 diventa un punto di riferimento per persone alternative, pacifisti, artisti,
scrittori, gente collegata alla lebensreform. L’idea nasce dall’incontro tra Oedenkoven e Hoffman che
decidono di creare una colonia (fenomeno relativamente diffuso, c’erano vari luoghi in cui artisti
internazionali occupavano, affittavano, porzioni di villaggi in cui vivevano in maniera comunitaria). Monte
verità non nasce tanto come colonia di artisti ma più come punto di riferimento per persone che
desiderano il ritorno alla natura, è un luogo molto in, nonostante il fatto
che si vivesse in maniera non troppo raffinata (fenomeno del radical
chic).
Questo fenomeno della lebensreform è difficile da collocare
politicamente, nel senso che se ne impadroniscono anche i conservatori,
nel senso che è un fenomeno anti moderno (in realtà non si capisce se
sia un fenomeno estremamente moderno o se sia estremamente
conservativo). Tutto questo è difficile da collocare, ed è molto
interessante perché ci fa vedere come le posizioni ideologiche e politiche cambino di senso. Questa
illustrazione di FIdus ci mostra come ci sia un immaginario collegato alla nudità positiva, che però ha già
qualcosa che va in direzione del fascismo come immaginario. Nel nazionalsocialismo il gusto di quel periodo
prevede che la bellezza maschile sia anche una bellezza nuda. Questo per farci capire come i discorsi si
intrecciano spesso.

Karen Duve
In che modo tutta questa introduzione è collegata alla Duve? È importante fare considerazioni sulle
modalità concrete e mentali con cui ci accostiamo al cibo e come la letteratura affronta il cibo.
Questo libro di Duve, è un’opera interessante che si trova a metà tra la narrativa e il saggio. Il titolo è Il
giorno in cui decisi di diventare una persona migliore. Un esperimento su sé stessi, in tedesco è Anstandig
essen. Ein Selbstversuch, gioco di parole, vuol dire ‘mangiare decentemente’, ma come in italiano,
decentemente ha un significato ambiguo, perché vuol dire sia mangiare bene, sia mangiare con decenza,
che ha una sfumatura etica che va al di la del cibo in se (se si fa attenzione alla provenienza del cibo e così
via). Anche la seconda parte del titolo è contraddittoria, infatti la seconda parola vuol dire ‘saggio’.
In questo libro è interessante la fusione tra il saggio e narrativa. Il saggio in ambito tedesco è un tentativo di
parlare di qualcosa ma non si presenta come una trattazione scientifica.
Duve è una scrittrice tedesca, questo libro non è il suo primo libro ma ha scritto prima diversi romanzi e
racconti; quello che ha avuto più successo è Romanzo della pioggia, dove ci sono già dei temi ambientali
anche se trattati in maniera più narrativa e meno diretta.
In Il giorno in cui decisi di diventare una persona migliore il lettore viene coinvolto sotto tanti punti di vista,
ci sono diversi argomenti più o meno scientifici e poi inserti personali.
In Duve è importante la messa in scena della stessa scrittrice, io non posso sapere se lei riporti alla lettera le
sue esperienze ma è interessante che la protagonista si mette in gioco su tanti punti di vista, uno tra questi
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è l’autoesperimento, è interessante ‘idea di provare vari regimi alimentari per scrivere un libro, è
interessante anche la forma diaristica in cui vediamo vari momenti scanditi dai giorni e dai regimi
alimentari. È interessante vedere poi come ci siano diversi sottotesti, un tema sotterraneo che emerge nel
testo sono le sue abitudini alimentari piuttosto sregolate.
Ci sono momenti del testo che vanno al di la del saggio; c’è una scena ad esempio quella del momento della
grigliata con gli amici: ci sono due momenti interessanti: 1) lei si rende conto di non riuscire a stare zitta
2)lei ha un’allucinazione perché vede i suoi amici coperti di sangue (è qualcosa di poetico perché si attiene
alla letteratura).

Lezione 17
Mercoledì 09.06

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