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1.Problemi di identità
I Greci erano definiti come una popolazione indoeuropea giunta da nord della
zona che da loro prenderà il nome; le ondate di invasori si presentavano già
caratterizzate dalla divisione in stirpi (ioni, eoli, dori). Nulla è rimasto di tale
costruzione e neppure sono rimasti i Greci, nel senso che non sono mai
arrivati, ma si sono formati in Grecia nel corso di un lunghissimo processo
storico > fondamentale l’identità locale, a differenza di una incerta identità di
popolo. Venivano ritenuti Greci coloro che potevano partecipare ai giochi
olimpici, ma questo non risolveva il problema di appartenenza identitaria. In
ossequio alla regola generale che l’identità viene esaltata in presenza di un
nemico comune, fu durante le guerre persiane che i Greci formularono la
migliore definizione di se stessi: erano Greci coloro che condividevano lo stesso
sangue e la stessa lingua, e i santuari comuni degli déi, i sacrifici e gli usi
analoghi.
GLI INIZI. A lungo la storia greca iniziò con Omero: è la stessa predominanza
delle fonti scritte che portava a trascurare l’età arcaica e a concentrare
l’attenzione sui due secoli dell’età classica, ma il progredire delle ricerche
archeologiche hanno fatto sì che i Micenei, civiltà fiorita nei secoli centrali del II
millennio, fossero considerati parte integrante della storia greca. Per contiguità
geografica, non è possibile trascurare la civiltà che precede la micenea a Creta
e nell’Egeo, ossia la civiltà minoica.
Per quel che riguarda le fonti, diremo che quelle letterarie sono state a lungo
considerate le più importanti e, tra esse, le opere storiche. È per questo motivo
che le guerre persiane, narrate da Erodoto, o la guerra del Peloponneso,
immolata da Tucidide, sono state a lungo privilegiate. Ciò è avvenuto non solo
nei secoli anteriori all’Ottocento, quando ancora non era stato superato il
profondo senso di inferiorità nei confronti degli storici classici, per cui la storia
antica altro non era che la riproposizione e la parafrasi dei grandi testi storici
dell’antichità, ma anche in tempi relativamente più recenti. Detto questo, non
è comunque possibile trascurare in alcun modo le gradi narrazioni storiche: la
storiografia greca antica rimane fondamentale sia per la tradizionale storia
politico-militare, sia per quella storia che chiamiamo evenemenziale, cioè degli
avvenimenti.
Importante per comprendere le vicende politiche è anche la storia economica,
sociale e culturale: non va trascuratala diversità del mondo greco antico
1 Storico dell’anteguerra
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4.Appunti geografici
La Grecia propriamente detta è la parte terminale della penisola balcanica;
nell’antichità era divisa in numerose regioni, buona parte delle quali riuscì a
conservare per tutta la storia greca una forte identità. Per citarne alcune,
ricordiamo, da sud a nord:
• Penisola del Peloponneso, suddivisa in sei regioni: 1) Laconia; 2)
Messenia; 3) Arcadia; 4) Elide; 5) Acaia; 6) Argolide
• Ismo di Corinto
• Penisola dell’Attica (a est)
• Grecia centrale: 1) Beozia; 2) Focide; 3) Doride; 4) le due Locridi; 5)
Etolia; 6) Acarnania
• Tessaglia
• Macedonia (non sempre considerato parte dell’Hellenikòn)
• Epiro (non sempre considerato parte dell’Hellenikòn)
Tra le isole ricordiamo Egina, Eubea, Creta e le isolette Cicladi (Delo, Nasso,
Paro, Tera, Melo)
TANTE STORIE GRECHE. La storia greca si svolge dunque in uno spazio assai
vasto che comprende tutte le zone che si affacciano sul Mediterraneo. Grazie a
tale mobilità i Greci entrarono in contatto con le grandi civiltà orientali (Assiri,
Babilonesi, Lidi, Persiani), con gli Egiziani e con i Cartaginesi, con Etruschi e
Romani: con tali civiltà “barbare”, i rapporti furono spesso bellicosi.
Già nella seconda metà del II millennio in Grecia è attestata una lingua di tipo
greco, come indica la LINEARE B: ecco che la civiltà micenea potrebbe essere
ritenuta il punto di partenza di una di ininterrotta continuità culturale tra
Tarda Età del Bronzo e l’età arcaica e classica. La civiltà micenea, da parte sua,
è caratterizzata dal sistema parziale che può essere ritenuto una forma antica
di stato. Tale sistema compare per la prima volta in area egea a Creta
nell’ambito della civiltà minoica che si sviluppò nella Media Età del Bronzo e
precedette immediatamente quella micenea. È quindi nell’Età del Bronzo, così
come si sviluppa nella Grecia centrale e meridionale, e nelle isole, che
rappresenta il grande serbatoio culturale che sta alle spalle della civiltà
greca. Una storia del mondo greco può allora essere fatta iniziare dalla
formazione della civiltà minoica che segna la nascita di entità politiche e
culturali complesse, vale a dire entità statali.
Quanto alle fonti, qualche dato si può ricavare dai testi prodotti nel Vicino
Oriente, ed elementi importanti si possono trarre dalla lettura delle tavolette in
LINEARE B, ma la fonte principale per ricostruire le fasi più antiche della storia
greca sono i dati e i risultati elaborati dalla ricerca archeologica.
Così come sono concepite oggi, le civiltà minoica e micenea e le Dark Ages
rappresentano l’esito di una ormai più che centenaria indagine archeologica
svoltasi sul territorio della Grecia moderna il quadro di cui si dispone è
estremamente dettagliato da un punto di vista cronologico e geografico e
notevole dal punto di vista culturale.
C’erano però altre fonti di conoscenza del proprio passato. In primo luogo gli
oggetti antichi in circolazione: l’archeologia fornisce molti esempi di oggetti
dell’Età del Bronzo che rimasero in circolazione in periodi più tardi. I sigilli di
pietra intagliati sono l’esempio più comune. Più inconsueto il caso di una
statuina fittile d’età arcaica, rinvenuta in Beozia e oggi conservata al Louvre.
Intorno al collo è dipinta una collana da cui pende la rappresentazione di una
statuina fittile micenea: dunque molti secoli dopo la fine dell’Età del Bronzo,
statuine micenee erano ancora in circolazione.
Accanto agli oggetti deve essere tenuta presente l’esistenza di rovine di edifici
monumentali e l’incidenza che queste devono aver avuto sull’immaginario
degli abitanti della Grecia antica. Strutture murarie poderose, come le facciate
dei palazzi, o delle tombe monumentali dell’Età del Bronzo rimasero
parzialmente in vista anche dopo la scomparsa delle società che le avevano
create. Certo è che tali rovine abbiano contrassegnato in maniera potente il
paesaggio dell’antica Grecia, condizionando fortemente la percezione del
passato da parte di chi a quel tempo popolava quelle terre.
Non va infine sottovalutato che in Grecia oggi, come in passato, fenomeni di
erosione dei suoli sono spesso all’origine dell’affioramento di resti più antichi: si
ricordi, ad esempio, le tombe minoiche che vennero alla luce nell’ottobre 2004
ad Amnios. In definitiva, non stupisce che il rapporto con le rovine abbia svolto
in Grecia un ruolo fondamentale nella formazione dell’identità che le comunità
locali svilupparono in determinati momenti della loro storia.
In conclusione, i Greci d’età arcaica e classica ebbero coscienza dell’esistenza
di un passato glorioso, e ad esso attribuirono oggetti antichi, costruzioni
monumentali, i cui resti erano in vista da secoli, e storie “eroiche” tramandate
oralmente, la cui origine può in alcuni casi risalire al II millennio. Ma di tale
passato i Greci non colsero con esattezza né l’articolazione culturale
né tantomeno la profondità cronologica, che si devono invece
esclusivamente alla ricostruzione moderna. La loro visione della preistoria non
va dunque confusa con la nostra ricostruzione delle fasi più antiche della storia
greca.
2.La formazione dello stato a Creta nella Media Età del Bronzo: la fase
protopalaziale (1900-1700)
IL PALAZZO. Diverse teorie spiegano processi sociali e politici la comparsa a
Creta intorno al 1900, a Cnosso, Festòs e Mallia, di edifici monumentali a più
piani organizzati intorno a una corte centrale, edifici noti nella letteratura
archeologica come palazzi.
L’uso del termine risale ad Arthur Evans e consente di collegare tutto il
retroterra culturale di stampo vittoriano del ricco e fortunato inglese al quale si
deve la scoperta più importante centro cretese dell’Età del Bronzo. A Evans si
deve anche l’adozione del termine “minoico” per designare l’originale civiltà
che caratterizza l’isola in questa fase.
Un palazzo evoca subito l’idea di un re e di una regina: a Evans infatti risale
l’idea che i palazzi cretesi fossero la residenza dinastica del re-sacerdote.
L’interpretazione del palazzo minoico come centro di potere economico si
deve nel 1972 a Renfrew, il quale lo considerò il nucleo centrale di un’agenzia
centralizzata a carattere territoriale fondata sul sistema della redistribuzione.
Applicando all’Egeo le teorie del neo-evoluzionismo culturale americano
Renfrew considerò i primi palazzi come la fase più antica di un processo
evolutivo che avrebbe attraversato più stadi. L’idea che i più antichi palazzi
minoici fossero il centro di uno stato territoriale finalizzato alla produzione e
redistribuzione dei beni prodotti nell’area ridimensionata. L’edificio palaziale è
oggi considerato come un luogo finalizzato in primo luogo alla performance di
eventi e cerimonie a carattere sia collettivo che esclusivo che erano
appannaggio delle élites che lo controllavano. Si tratta quindi di un luogo nel
quale le attività di rappresentanza, legate alla strategia sociale di
mantenimento del potere, superavano di gran lunga quelle legate
all’amministrazione.
L’amministrazione palaziale monitorava i beni conservati tramite l’apposizione
di sigilli impronte di tali sigilli sono sopravvissute e costituiscono
un’importante documentazione per ricostruire i modi di quell’amministrazione.
Per redigere documenti di carattere amministrativo erano in uso due tipi di
scrittura, una basata su caratteri geroglifici e l’altra sillabica (LINEARE A).
Il palazzo era in grado di accumulare un surplus di prodotti agricoli e di
produrre beni di prestigio in una grande varietà di materiali, anche importati
(sigilli in pietre dure, gioielli, ceramica policroma e armi da parata). I “santuari
delle vette”2 svolsero un ruolo importante nella formazione di un’identità
assenza di mura a Creta che è indice di una comunità fondamentalmente
unitaria.
2 Luoghi di culto.
CNOSSO, MALLIA, FESTÒS. I palazzi rimasero in uso per gran parte del II
millennio; diventa però sempre più evidente che la loro funzione primaria non
fu residenziale. I palazzi minoici appaiono come strutture polimorfe che
risultano l’assemblaggio di aree polifunzionali che assolvono diverse funzioni di
natura sociale, economica e politica: attività domestiche; attività culturali;
stoccaggio di beni; redazione di atti amministrativi; distribuzioni di razioni;
feste; banchetti.
3.Lo stato a Creta nella Tarda Età del Bronzo: la fase neopalaziale (1700-1425
ca)
La fase protopalaziale e quella neopalaziale mostrano cospicue differenze
nell’organizzazione delle rispettive entità politiche a carattere statale.
Accanto alla ricostruzione di palazzi esistenti, si assiste all’edificazione di nuovi
e alla proliferazione su tutta l’isola di edifici monumentali: il termine
palaziale, per questi ultimi, non è del tutto appropriato, ma i loro scopi
amministrativi sono certi. Così abbiamo nuovi palazzi a Archanes, Galatas,
Petra e Zakros; edifici monumentali sorgono a Tylossos, Haghia, Triada,
Kommos e Gorunià. Alto grado di omogeneità culturale – che include anche la
diffusione della scrittura sillabica LINEARE A – e partecipazione al commercio
internazionale sono gli elementi distintivi. Funzione importante deve aver
svolto la capacità dei gruppi dirigenti di manipolare l’attività religiosa: il
controllo della sfera del culto giocò di certo un ruolo fondamentale ai fini del
mantenimento dell’ordine sociale.
L’influenza di Cnosso è evidente. È stato notato che i migliori prodotti di questo
artigianato sono stati rinvenuti sul continente, nelle tombe a fossa di Micene. È
questa una fase di intense relazioni internazionali.
Per spiegare l’omogeneità culturale raggiunta da Creta in questa fase si è
inizialmente pensato che fosse l’ovvio risultato dell’egemonia politica di Cnosso
sul resto dell’isola. In alternativa, sono state formulate altre due ipotesi:
Con il termine “miceneo” si fa riferimento alla civiltà che fiorì sul continente
greco nella Tarda Età del Bronzo tra 1600 e 1070 circa; il merito iniziale della
scoperta va a Henrich Schliemann: egli, convinto della veridicità delle
leggende narrate nell’epica omerica si dedicò allo scavo dei principali siti
menzionati nei poemi. Le scoperte nel 1876 fecero all’epoca grande scalpore:
quei luoghi corrispondevano a importanti centri dell’Età del Bronzo.
Sono due i gruppi di tombe portati alla luce a Micene:
Le più antiche tombe micenee risalgono al 1600 circa e sono comprese tra la
Grecia centrale e il Peloponneso. Nei secoli successivi si verifica l’espansione
della cultura micenea a nord fino al monte Olimpo e al golfo di Ambracia, ad
est e a sud, a comprendere le Cicladi, il Dodecaneso, l’isola di Creta. A questo
si aggiunga un notevole espansionismo commerciale: la rete di rapporti che gli
stati micenei riuscirono a intrecciare nel Mediterraneo fu molto ampia e si
estesa dalla costa egea dell’Anatolia al Vicino Oriente, al Mediterraneo centrale
e occidentale.
La gerarchia sociale
• WANAKA: all’apice della gerarchia micenea vi era il wanaka (cfr. il greco
anax). Il termine viene generalmente tradotto come re ed è documentato
Inoltre, nelle tavolette sono numerosi gli artigiani elencati che lavoravano nel
palazzo per ricevere in cambio una qualche assegnazione di beni; quanto alla
sfera religiosa sono elencati i nomi di almeno trenta divinità, maschili e
femminili, tra cui Zeus, Poseidone, Era.
Ricordiamo che gli stati micenei non hanno restituito tracce degli scambi
epistolari che hanno contraddistinto i rapporti di tutti gli stati del Vicino
Oriente. Dai testi orientali sappiamo che è esistito un commercio di natura
palaziale tra le grandi potenze dell’epoca, ma anche da questo gli stati micenei
appaiono assenti, tanto che si è giunti a credere che le ceramiche micenee
rinvenute nel Levante o in Egitto vi siano giunte tramite Cipro.
Bisogna accennare al problema della localizzazione della terra degli Ahhiyawa,
citati nei testi ittiti7 del XIV e XIII secolo, lasciano desumere che la terra degli
Ahhiyawa era uno stato costiero a ovest dell’impero ittita. Tale stato possedeva
delle navi, era coinvolto in una rete commerciale e aveva rapporti non sempre
amichevoli con l’impero ittita; inoltre sembra aver avuto il controllo di qualcuna
delle numerose isole di quell’area e con i sovrani più potenti della regione
vicino-orientale.
Sulla base dell’equazione Ahhiyawa = Achei, alcuni hanno riconosciuto nei
micenei gli
Ahhiyawa dei testi ittiti, ma questa tesi non ha alcun supporto storico o
filologico; recenti studi sulla geografia storica dell’Anatolia nella Tarda Età del
Bronzo hanno definitivamente escluso che lo stato di Ahhiyawa possa collocarsi
lungo la costa meridionale o nord-occidentale dell’Anatolia. Le opzioni che
restano non sono numerose. La prima è che Ahhiyawa sia da cercare sul
continente greco, ma non ci sono prove che gli stati micenei siano mai stati
unificati sotto un unico re e dunque è possibile che i testi si riferiscano a stati
diversi. In ogni caso, Micene in Argolide e Tebe in Beozia rappresentano
entrambe una valida possibilità. La seconda opzione è data dalla stretta fascia
5 Argolide
6 Turchia
7 Ricordiamo che gli Ittiti occupavano gran parte della penisola anatolica
1
Il reale avvio di questo processo si deve a Moses Finley, che nel 1954 maturò
una prospettiva del tutto nuova: sulla base della lettura in chiave economico-
sociale dell’Iliade e dell’Odissea, avanzò l’ipotesi che all’indomani del crollo
miceneo si fosse formata lentamente in Grecia una società sul rango
individuale per la cui economia lo scambio di doni descritto da Omero sarebbe
stato uno strumento essenziale > tale società stratificata sarebbe realmente
esistita nella Grecia del X e del IX secolo. I poemi omerici conserverebbero il
ricordo di questa specifica fase, un’età eroica contrassegnata da una società
gerarchicamente organizzata.
Una ricostruzione fondata sull’analisi dei dati archeologici fu delineata negli
anni Settanta del Novecento da tre archeologici inglesi, Snodgrass,
Desbourgh e Coldstream: inizio delle Dark Ages contrassegnato da una
netta cesura nella cultura materiale – che vede il venir meno di molti elementi
propri della civiltà micenea –; la fine coincide con la nascita della polis.
Fenomeni degni di nota nell’arco del periodo sono ravvisati in primo luogo in
1
ATENE: posta in prossimità di una grande piana costiera, Atene è una delle
poche aree nelle quali nel corso dell’XI secolo non ci sono segni di distruzione,
anzi, ci sono segni di espansione: appare verosimile dunque che vi sia confluita
popolazione in fuga da altre aree. L’ara abitata è concentrata sulla collina
dell’acropoli e attorno ad essa; insieme alla necropoli mostra l’ascesa del
centro. L’esistenza di una società articolata è riflessa nell’organizzazione
funeraria: ad essere seppelliti all’interno dell’area cimiteriale sono
esclusivamente individui di status elevato. La comunità appare chiaramente
organizzata sulla base dell’età e del sesso, ma con segni dell’incipiente
formazione di una élite dai costumi aristocratici. Si sviluppa una straordinaria
produzione di ceramica e viene inventato anche un nuovo stile
(Protogeometrico) che viene imposto alle regioni circostanti; nel IX secolo, in
concomitanza con la nascita di un nuovo stile ceramico (Geometrico),
emergono alcune famiglie che hanno acquisito preminenza rispetto ad altre.
L’analisi delle sepolture in chiave sociologia indica che sia gli uomini che le
donne potevano manifestare l’appartenenza a uno stato sociale elevato.
LEFKANDÌ: si trova sul margine della piana lelantina; dall’XI secolo in poi il
centro mostra una notevole crescita economica. L’insediamento consta di
piccoli agglomerati sparsi su un’area piuttosto ampia; all’interno dell’area
cimiteriale sono stati individuati i resti di un grande edificio absidato, al cui
interno sono stati individuate due tombe a fossa in una, una doppia sepoltura:
1) un individuo di sesso maschile tra i 30 e i 45 anni, cremato in un’anfora e
accompagnato da armi; 2) giovane donna inumata con ricchissimi oggetti di
corredo. Nell’altra tomba sono stati rinvenuti i resti di quattro cavalli.
L’edificio non venne mai ultimato e resta irrisolta la controversia sulla
sequenza degli eventi connessi alla costruzione dell’edificio, ossia se questo
abbia preceduto le tombe come monumentale abitazione del capo della
comunità o se l’edificio sia stato costruito per ospitare le tombe. Questa
seconda ipotesi è la più verosimile. È certo che questo edificio venne distrutto
e i suoi resti livellati; con essi venne creato un tumulo la cui sommità fu
coronata da un grande cratere fittile. Questo fa presupporre una dimensione
“barbarica” della società: Lefkandì è il migliore esempio di società governata
dal big-man. La sua fortuna fu effimera: a partire dalla fine dell’VIII secolo non
fu più l’unico centro della piana lelantina e si trovo a competere, fino a
soccombere, con Calcide e Eretria.
KATO SYMI: è uno dei più rilevanti santuari di quest’epoca, situato sul
versante meridionale del massiccio dicteo; fu in uso dalla Media età del Bronzo
fino al periodo romano. Appare fondato sulla presentazione di offerte in un’area
aperta organizzata a terrazze. Fu sempre fruito in termini “regionali” e ha
restituito un’incomparabile documentazione relativa alle trasformazioni
osservabili nell’organizzazione del culto e nell’appartenenza sociale di chi lo
frequentava. Nel corso delle Dark Ages sembra essere stato usato
prevalentemente da giovani cretesi delle élites dominanti per compiere riti di
iniziazione. La documentazione offerta da tale santuario consente di concludere
che la formazione del sistema di educazione cretese risale all’età post-
palaziale. È dunque ancora una volta rintracciabile nei secoli bui l’origine di
istituzioni che diventeranno caratteristiche della polis cretese.
2.L’alfabeto in Grecia
Nei primi decenni dell’VIII secolo, traendo ispirazione dall’alfabeto fenicio,
venne inventato l’alfabeto greco; la principale innovazione consistette
nell’impiego di alcune lettere fenicie inutilizzate nella lingua greca come segni
per le vocali. Da quando il crollo dei palazzi micenei aveva determinato la
scomparsa della scrittura impegnata per l’amministrazione, il mondo greco non
aveva posseduto alcun sistema di scrittura; l’alfabeto rivelò ben presto le sue
eccezionali potenzialità: importante la facilità con cui esso poteva essere
appreso > il mondo greco raggiunge livelli di alfabetizzazione non più superati
fino all’età moderna. Si è pensato che la principale utilizzazione dell’alfabeto
fosse in campo commerciale, ma in realtà ci sono dubbi in merito: i numerali –
indispensabili per i conti – furono introdotti solo molto più tardi. Dunque, si
ritiene che in primo luogo l’alfabeto fu utilizzato per trascrivere poemi epici
come l’Iliade e l’Odissea abbiamo una coppa da Pitecusa, risalente dopo la
metà dell’VIII secolo, che contiene versi che si riferiscono a Nestore, eroe
dell’Iliade.
OMERO. Tra l’ultimo venticinquennio dell’VIII secolo e i primi decenni del VII
avvenne con ogni probabilità la composizione dei due grandi poemi epici,
l’Iliade e l’Odissea si noti la parola “composizione”, neutra rispetto alla
difficile modalità di creazione dei poemi.
I poemi hanno come argomento eventi di oltre quattro secoli prima, attinenti
alla guerra di Troia e al tormentato ritorno in patria di uno degli eroi: si tratta di
eventi la cui cornice storica è molto dubbia e di eventi di cui il poeta sapeva
assai poco. Omero inserisce nella narrazione una quantità di anacronismi
(oggetti, armi, costumi, modi di vita) creando una società composita, che come
tale non è mai esistita. Molti studiosi concordano con ciò, ma alcuni mettono
l’accento sulla preminenza di un periodo storico come “ispiratore”
dell’ambiente dei poemi. C’è quindi chi pensa che essi riflettano
essenzialmente l’età delle Dark Ages e chi invece ritiene che il mondo di
Omero non sia altro che la società aristocratica dell’VIII secolo. Generalmente,
è difficile decidere se considerare Omero come fonte storica o no.
4.La polis
Nel corso dell’VIII secolo si realizza nel mondo greco un modello di comunità
che costituisce una novità nella storia; tale modello prevede che una
comunità di uomini, di limitate dimensioni, scelga in piena libertà e
Quale ordinamento politico si danno le poleis greche nel corso dell’VIII secolo?
Abbiamo una serie di ipotesi basate sui dati archeologici e sull’analisi della
società greca analizzata da Omero. Dunque, a grandi linee possiamo affermare
che nella società della polis arcaica il potere è detenuto da una ristretta
cerchia di famiglie aristocratiche. Il ruolo più controverso è quello del re,
basileus, più volte menzionato in Omero e la sua presenza è attestata in
numerose città greche. Ciò non è sufficiente per parlare di periodo monarchico:
tutti i re di cui siamo a conoscenza hanno un potere condizionato dal controllo
degli aristocratici; al massimo si potrà affermare che per un periodo più o meno
1
5.Storie di tiranni
Alla fine del VII secolo Sparta ci appare ancora una società aperta agli influssi
esterni; la chiusura dello stato spartano verso l’esterno e la conseguente
austerità della sua società e dell’educazione data ai giovani si verificò nel
cinquantennio successivo e fu realizzata solo intorno al 550: alcuni vollero
accostarla al nome dell’eforo Chilone, che esercitò tale magistratura nel 556.
Sparta continua la sua espansione ma con una più duttile politica di alleanze: la
tradizionale nemica Argo veniva sconfitta ripetutamente, Tegea e altre
comunità del Peloponneso, impegnandosi ad avere “gli stessi amici e gli stessi
nemici” di Sparta. Così questa, nella seconda metà del VI secolo, diventò la
polis più potente del mondo greco. Molto attivo fu il re Cleomene, che guidò
gli Spartani tra il 520 e il 490 circa; il principale insuccesso imputato in politica
estera è il tentativo di inglobare la stessa Atene.
Istituzioni politiche
Struttura sociale
▲ Spartani: detenevano i pieni diritti civili. Il loro numero, che nei secoli
andò drammaticamente diminuendo, era in origine di 9mila. Ciascuno di
essi possedeva un kleros, curato però dagli iloti: questo permetteva loro
di dedicarsi a tempo pieno all’attività politica e all’allenamento in vista
dell’attività militare, secondo le modalità dettate dall’agoghé.
▲ Perieci: più numerosi, vivevano in comunità a sé stanti e godevano di
notevole autonomia. Coltivavano terre ma svolgevano anche attività
artigianali e commerciali indispensabili per la comunità. Combattevano a
fianco degli Spartani nell’esercito, ma non avevano alcun diritto politico.
Difficile precisare l’origine delle comunità perieciche: una recente tesi
vorrebbe che esse siano nate proprio in Messenia per spezzare la
solidarietà tra i Messeni sconfitti.
▲ Iloti: erano uomini che vivevano in condizione di semi-schiavitù.
Appartenevano allo stato ed erano costretti a coltivare le terre di
proprietà degli spartiati, trattenendo solo la metà circa del raccolto.
Erano totalmente privi di diritti: lo stato spartano si considerava in guerra
permanente contro di loro e solo raramente si emancipavano. Una parte
almeno degli iloti era costituita dai Messeni, altri risalivano a un’età
precedente. Impossibile stabilire quanti essi fossero, anche se sappiamo
che erano in numero di molto superiore agli spartiati.
5.L’esercito spartano
L’esercito costituiva il fulcro e il fine stesso della società spartana; in esso
militavano tutti gli spartiati dai 18 ai 60 anni. Al suo interno i soldati apparivano
assai omogenei: stessa uniforme e armi grossomodo standardizzate, in quanto
favorite dallo stato. Quando entrava in azione la falange, l’esercito mostrava
la propria superiorità: essa infatti si muoveva in modo armonico e coeso gli
spartani, di fatto, erano dei professionisti che combattevano contro
dilettanti. E la differenza si faceva sentire anche dal punto di vista psicologico.
Il più grave problema era quello del numero: diminuirono dai quasi 10mila
dell’età arcaica fino alle poche centinaia del III secolo, in età ellenistica tale
fenomeno deriva da una serie di cause, tra cui la scarsa duttilità del sistema
economico spartano: la possibilità di disporre del proprio appezzamento favorì
pericolosi processi di accentramento della proprietà che fecero sì che, mentre
alcuni spartiati si arricchivano, molti altri non potessero più disporre del
tradizionale kleros con la conseguente decadenza dal privilegiato status di
cittadino.
L’esercito era guidato da uno dei due re che, seppur circondato da un nutrito
gruppo di guardie, combatteva al pari di tutti gli altri soldati. Le gerarchie di
comando esistevano, ma i segni di distinzione erano ridotti al minimo. Sparta e
il suo esercito erano l’incarnazione dell’ideologia oplitica.
Fino alla battaglia di Leutra del 371 la macchina da guerra spartana rimase
Cilone e Dracone. La situazione ad Atene, nel corso del VII secolo, era
tutt’altro che stabile e pacifica; il momento di crisi si riflette anche nel primo
episodio della storia ateniese, che ebbe luogo nel 636 quando Cilone cercò di
impadronirsi del potere nella città e farsi tiranno tentativo che fallì e gran
parte degli amici di Cilone venne giustiziata. A sventare la congiura furono gli
Alcmeonidi che agirono facendo intervenire quella che viene descritta come
una milizia privata da qui emerge l’importanza dei legami, anche di sangue,
tra gli esponenti delle maggiori famiglie delle varie poleis, motore degli
avvenimenti.
3.Solone il mediatore.
La documentazione pervenuta descrive l crisi in termini molto generici;
sappiamo che le terre erano concentrate nelle mani del ristretto gruppo degli
Eupatridi, mentre parte di coloro che coltivavano in condizione di “affittuari”
era stata ridotta in condizione schiavile.
Il modo scelto per cercare di uscire da queste difficoltà fu quello di affidarsi a
un uomo scelto cui furono offerti pieni poteri una procedura simile era stata
seguita a Militene.
La personalità scelta fu Solone, un aristocratico dipinto dalle fonti come
mediatore tra ricchi e poveri. Egli si procurò la notorietà tra gli ateniesi grazie
al ruolo svolto nella recente guerra contro Megare per il possesso dell’isola di
Salamina e grazie alle sue composizioni poetiche che descrivevano la
situazione difficile a livello politico e sociale i frammenti costituiscono la fonte
più affidabile.
Solone divenne arconte nel 594 con un mandato vastissimo; le fonti ne
sottolineano il ruolo di diallaktés, arbitro tra le varie parti sociali.
Il fulcro degli interventi soloniani riguardò il regime fondiario: egli estinse per
legge i debiti contratti dagli Ateniesi verso qualsiasi concittadino, restituendo a
ciascuno le terre che aveva coltivato; inoltre riscattò tutti gli ex-cittadini che
erano stati venduti come schiavi per farli tornare in patria. Tale misura suscitò
del malcontento tra gli Eupatridi, ma scontentò anche la parte più povera della
cittadinanza, che sperava in un ben più radicale intervento.
Dunque, Solone riteneva che gli aristocratici dovessero mantenere i loro
privilegi e il controllo della cosa pubblica, ma in un regime di maggiore equità.
4.Pisistrato
Pochi anni dopo l’arcontato di Solone, Atene era di nuovo in preda all’anarchia;
di un tale stato di crisi ne approfittò Pisistrato, un aristocratico di Brauron che
si era distinto nella guerra che gli Ateniesi avevano combattuto contro Megara.
Egli diventò tiranno una prima volta nel 560; cacciato poco dopo, rientrò ad
Atene grazie a un’alleanza matrimoniale con gli Alcmeonidi, ma poco dopo fu
costretto nuovamente alla fuga. Nel 546 grazia a un esercito privato e a
un’amicizia con aristocratici sconfisse un debole e mal diretto esercito
ateniese: mantenne il potere fino alla morte, sopraggiunta nel 528
Fondamento della vita politica ateniese nella riforma clistenica erano le tribù:
in numero di dieci, prendevano il nome da eroi del mito suggeriti dall’oracolo di
Delfi ed erano determinanti nella composizione dei collegi di magistrati e
nell’attribuzione dei posti nel consiglio dei Cinquecento. Ciascuna tribù era una
creazione artificiale su base territoriale territorio della penisola diviso in tre
zone: 1) fascia costiera; 2) interno; 3) centro città. In ciascuna delle tre parti
vennero individuate dieci trittie per un totale di trenta; ciascuna tribù era
dunque formata da tre trittie (costa, interno e città) quasi mai contigue.
1.Oriente e Occidente
Il conflitto tra la Grecia e l’impero persiano va inserito in una prospettiva di
lungo periodo; le guerre persiane, infatti, sono un episodio di una vicenda più
lunga che si concluderà con la conquista dell’impero persiano da parte di
Alessandro. Di esse conosciamo solo la versione dei vincitori greci tale vittoria
risultò decisiva per trasmettere alle poleis una grande fiducia in se stesse,
elemento che risulterà fondamentale per gli sviluppi successivi.
Negli anni centrali del VI secolo, la geografia politica del mondo cambiò
radicalmente: i quattro grandi regni orientali (Lidia, Media, Babilonia ed Egitto)
furono abbattuti e inglobati nel territorio unificato dell’impero persiano per
opera di Ciro il Grande, Cambise e Dario.
Dei Persiani ci colpisce la concezione religiosa, che si esprimeva nel culto del
dio Ahura-Mazda, fondata da Zarathustra religione fondamentale per la
1
Gli anni di intervallo furono però utili alla Grecia per rafforzarsi. Nel 483 ad
Atene Temistocle riuscì a convincere gli Ateniesi a destinare i fondi ricavati
dalla scoperta di nuovi filoni argentiferi nelle miniere del Laurio per la
costruzione di una grande flotta decisione che rompe la tradizione di
distribuire le entrate eccezionali tra tutti i cittadini. La decisione fu presa in
funzione di un endemico stato di guerra con la vicina isola di Egina, ma finì per
risultare fondamentale per la vittoria contro i Persiani.
LEGGERE CAPITOLO 13
1.Comunità di frontiere
Quando la guerra contro i Persiani era ormai imminente, ambasciatori di Atene
e Sparta si recarono dal tiranno di Siracusa Gelone in cerca d’aiuto. Egli pose
come condizione l’attribuzione alla sua persona del comando assoluto
dell’esercito greco: una condizione simile non poteva essere accettata e Gelone
non partecipò alla guerra. Vero o no, questo episodio testimonia l’importanza
raggiunta da Siracusa: è probabile che avesse superato le poleis della Grecia
continentale come numero di abitanti e disponibilità di risorse; lo stesso si può
dire per Sibari, Crotone e Taranto nella Magna Grecia. Si tratta di comunità di
frontiera le cui vicende sono fortemente influenzate dai rapporti con le
popolazioni indigene e con potenze esterne come gli Etruschi in Italia e i
Cartaginesi in Sicilia.
Tutte queste comunità mostrano una predilezione per il ricorso al dominio
assoluto di un tiranno.
Tra la fine del IV e i primi decenni del V secolo, abbiamo indizi di numerose
difficoltà che le poleis della Magna Grecia incontrano per difendere i propri
territori da potenze esterne o dalle popolazioni locali.
Nell’attuale Campagna, Cuma deve difendersi dall’espansionismo etrusco e vi
Gelone morì di malattia nel 478; al fratello Ierone spetta il compito di tenere
unito lo stato territoriale ereditato dal fratello: egli fu all’altezza del compito.
Emulò innanzitutto il fratello nella violenza delle deportazioni e con brillante
intelligenza politica rivolse la sua attenzione non più verso i Cartaginesi ma
verso lo Stretto e la Magna Grecia.
Una richiesta d’aiuto da parte degli abitanti di Cuma vide Ierone pronto a
intervenire e a battere la flotta etrusca nella battaglia navale nei pressi della
città stessa nel 474 fine dell’espansionismo etrusco verso sud.
Ierone morì pochi anni dopo e giunge al potere il terzo fratello, Trasibulo:
asserragliato nell’isola di Ortigia con i suoi mercenari, fu presto costretto alla
fuga (466).
Alla caduta di Trasibulo, in tutte le città della Sicilia vennero ripristinati dei
regimi costituzionali chiamati democrazie, anche se in realtà sono espressione
di oligarchie moderate. Le tirannidi scompaiono per il momento dall’isola, ma ai
problemi strutturali che la affliggono non è stata data alcuna soluzione e la
storia del cinquantennio precedente Dionisio I è una storia travagliata.
Il governo che Siracusa si era data dopo Trasibulo era apparentemente molto
simile alla democrazia ateniese, da cui aveva imitato anche la procedura
dell’ostracismo – chiamato qui petalismos –; la differenza sostanziale rispetto
al regime pericleo stava nel fatto che le magistrature non erano assegnate per
sorteggio e retribuite, ma elettive e gratuite: ciò faceva sì che il demos
rimanesse escluso.
Questi sono gli anni dell’interesse ateniese nei confronti della Sicilia; Siracusa
è sempre la più potente tra le forze dell’isola che si oppongono
all’espansionismo ateniese e il principale uomo politico in questa vicenda è
l’aristocratico Ermocrate. Egli fu infatti fautore di una riconciliazione tra poleis
siciliane in funzione anti-ateniese nel congresso di Gela del 424.
1.La Pentecontetia
La Pentecontetia descrive i cinquant’anni tra le guerre persiane e la guerra del
Peloponneso; questo arco di tempo rimane in qualche modo “sacrificato” dalla
storiografia in quanto collocato tra due grandi eventi. Eppure in questo periodo
– tra 478 e 431 – Atene avrebbe costruito il suo impero sotto la guida di Pericle
affermazione della leadership culturale e realizzazione della democrazia
radicale.
3.I tribunali
La giustizia ad Atene veniva amministrata direttamente dai cittadini; ogni anno
ne venivano sorteggiati 6mila che venivano chiamati a far parte delle giurie
popolari. Nei giudizi meno importanti, le giurie erano composte da 201
cittadini, ne più gravi anche mille. Non esistevano professionisti: i magistrati, a
turno, si limitavano a istruire il processo, mantenere l’ordine e dare la parola
alle varie parti; gli imputati e gli accusatori parlavano in prima persona davanti
ai loro concittadini.
L’importanza dei tribunali risiede nel fatto che le decisioni dell’assemblea e le
leggi promulgate potevano essere impugnate in tribunale. L’assemblea era sì
sovrana, ma esisteva comunque la possibilità di opporsi a una sua delibera
tramite l’appello ai tribunali, mentre la sentenza di questi ultimi era
inappellabile. Coloro che formavano le giurie popolari furono i primi a essere
retribuiti.
LEGGERE CAPITOLO 17
1.Tucidide e la guerra
Nonostante la pace trentennale firmata nel 446, la guerra che si scatenò nel
431 non colse di sorpresa nessuno; tale guerra durò ben 27 anni e di solito
viene suddivisa in tre fasi:
Atene aveva il controllo del mare: ciò non avveniva solo in virtù di un numero di
navi molto maggiore, ma anche grazie al fatto che gli Ateniesi avevano
elaborato tecniche di combattimento sofisticate. Inoltre Atene aveva dalla sua
una disponibilità di denaro molto superiore.
Dalla parte dei Peloponnesiaci stava la superiorità degli eserciti di terra
consapevole di questo, Pericle non avrebbe mai dovuto accettare lo scontro su
terra. Tale strategia era eccellente dal punto di vista militare, ma richiedeva
notevoli sacrifici. Infatti, fin dal primo anno di guerra gli Spartani del re
Archidamo invasero l’Attica; Pericle convinse gli Ateniesi ad abbandonare i
campi alle devastazioni spartane e a chiudersi all’interno delle Lunghe Mura
che correvano dal centro di Atene al Pireo strategia attuabile dal momento che
il dominio sul mare le consentiva approvvigionamenti, anche se l’impatto non
fu facilmente sostenibile dagli Ateniesi.
Sul finire degli anni ottanta riprese la guerra contro Cartagine che si concluse
nel 374 con la conferma dello status quo; in ultimo conflitto, intrapreso nel 367,
dionisio morì e lasciò la scomoda eredità al figlio.
Vediamo come la politica di Dionisio I fu incentrata su una continua mobilità
verso il nemico e come la fortuna abbia molto inciso sulla sua ascesa al
potere; poi va sottolineato come il suo sia stato un potere assolutamente
personale: esercitava il potere demandando alcune funzioni a una ristretta
cerchia di amici, parenti stretti e mettendo in atto strategie matrimoniali. Le
tappe di tale politica lo portarono a sposare in un primo momento la figlia di
Ermocrate; poi dopo la morte di lei sposò la siracusana Aristomache e Doride,
un’aristocratica di Locri.
Per quel che riguarda i rapporti con la società siracusana, Dionisio sembra
appoggiarsi all’elemento popolare della cittadinanza, oltre che su disertati.
Sul piano istituzionale la creazione di un dominio personale e assoluto
amministrato in modo articolato appare una prefigurazione degli stati
ellenistici.
4.Timoleonte
I Corinzi accolsero l’invito della Sicilia: giunsero nell’isola poco più di un
migliaio di mercenari comandati da Timoleonte, un aristocratico di cui Corinto
si voleva liberare.
Nella primavera del 344 Timoleonte sbarcò in una Sicilia brulicante di tirannidi
improvvisate; Strinse amicizia con il tiranno Andromaco di Taormina. Dionisio II
non offrì resistenza e abbandonò Siracusa. Qui venne data una costituzione
moderata, mentre coloni da tutta la Sicilia venivano chiamati in città alleanza
di tutte le città greche e sicule dell’isola fu formata in funzione anticartaginese.
Timoleonte poi si affrettò di occupare buona parte dei territori occidentali
1
Dieci anni dopo la conclusione della guerra, Atene aveva ricostruito le Lunghe
Mura che univano la città al Pireo ed aveva una discreta flotta: era forse
possibile ricostruire l’impero perduto.
Dopo l’esperienza dei Trenta Tiranni in città era stato reintrodotto il sistema
democratico dietro la facciata dell’amnistia per quanti erano stati coinvolti nel
regime dei Trenta Tiranni si agitavano forti tensioni, risolte superficialmente da
una vera e propria demonizzazione del breve governo autocratico. L’odio nei
confronti dei protagonisti di quella pagina oscura di storia ateniese univa i
democratici radicali e moderati: in questo clima maturò il processo e la
conseguente condanna a morte di Socrate.
Protagonista più importante del periodo fu la Persia: sebbene poco unita al suo
interno, fu il burattinaio della politica greca dei primi decenni del IV secolo.
Sono i soldi persiani che danno il via alla guerra di Corinto ed è il Gran Re
Artaserse II a favorire prima Atene e poi Sparta, fino a dettare la pace nel 386.
Dunque, alla città laconica non restò che assumersi fino in fondo le
responsabilità del suo ruolo di potenza egemone del mondo greco. Tra il 400 e
il 395 mantenne costantemente un esercito in Asia Minore, incaricato
dell’impossibile missione di sconfiggere i Persiani e restituire la libertà alle
poleis della costa. Solo Lisandro coltivava progetti grandiosi, ma egli venne
escluso dalla partecipazione diretta delle operazioni.
I comandanti spartani in Asia non ottennero alcun risultato di lunga durata;
infine fu la guerra scoppiata in Grecia a costringere Agesilao a tornare
precipitosamente in patria.
La guerra riprenderà anche per mare. Sparta conservava ancora intatta a flotta
che gli stessi Persiani avevano contribuito a costruire per sconfiggere Atene.
Contro di essa fu posto a capo della flotta persiana l’ateniese Conone, che non
tradì le attese: nell’estate del 394, presso Cnido, distrusse la flotta spartana
collaborazione tra Atene e Persia che sarà fondamentale per la ripresa di
Atene. Interessante però vedere come nelle fonti questo ottimo risultato sia
descritto come la collaborazione tra Conone ed Evagora, re di Cipro, senza mai
citare i Persiani.
Tra 392 e 386 si verificò un sorprendete esperimento: Corinto si fuse con Argo
dando vita ad un’unica polis. Pur continuando a vivere ciascuno nella propria
città, i cittadini delle due poleis erano rappresentati da un’unica assemblea e
un unico governo si potrebbe parlare di annessione di Corinto ad Argo: le
magistrature e le assemblee della prima furono abolite, così come il regime
politico instaurato fu una democrazia, in linea con la tradizione di Argo. Difficile
comprendere il motivo di una tale innovazione: influirono senza dubbio le
contingenze della guerra, particolarmente dure per il territorio di Corinto.
L’esperimento può essere visto come un primo tentativo di superare il
localismo più rigido per sperimentare nuove forme di aggregazione.
Il fatto che la guerra si protraesse per anni fece sì che non potessero essere
solo i cittadini a combatterla: il cittadino/soldato è un dilettante e non può
dedicare che una parte del suo tempo a quella particolare attività comunitaria.
Gli anni immediatamente successivi furono quelli in cui Sparta esercitò con
maggior vigore la sua egemonia; nell’estate del 382 un comandante spartano,
Febida, si impadronì dell’acropoli di Tebe: fu un atto privo di qualsiasi
giustificazione formale. Ma Agesilao avvallò il comportamento di Febida e non
mostrò alcuna intenzione di ritirare il contingente spartano Sparta aveva
raggiunto il punto più alto della sua parabola.
Negli stessi anni in cui Tebe raggiungeva la sua massima forza, però, venne
eletto tago20 Giasone di Fere. Egli riuscì in pochi anni nell’impresa di unificare
la Tessaglia le qualità e le ambizioni del personaggio fecero sì che le vicende
della Tessaglia suscitassero l’interesse e le preoccupazioni del mondo greco.
L’esercito di Giasone si mostrò presto tra i più potenti e organizzati dell’epoca.
Ma tutto questo ebbe fine in modo assai brusco: nel 370 Giasone morì
assassinato in una congiura. Le vicende di Giasone mostrano la debolezza del
modello della polis tradizionale.
Il modello di unificazione regionale conoscerà importanti sviluppi nel futuro: il
progetto di Giasone sarà realizzato da lì a qualche anno da re di una regione
ancora più settentrionale: Filippo II di Macedonia.
Gli anni che seguono Leuttra sono quelli dell’egemonia tebana (371-362); la
città agì su più fronti: quello interno, consolidando la confederazione; quello
settentrionale, affidato per lo più a Pelopida e nel quale egli troverà la morte
nel 364; quello meridionale, con quattro discese di Epaminonda nel
Peloponneso e infine quello marittimo, con la costruzione di una flotta di ben
100 triremi.
Si è discusso così a lungo sui motivi che impedirono a Tebe di rendere la
propria egemonia meno effimera: spiegazioni sono legate al momento di gloria
della città e al genio di Epaminonda. Ma Tebe e la Beozia erano entità troppo
piccole e troppo povere per poter essere durevoli nel primato, anche perché –
a differenza di Sparta che era altrettanto piccola – non si basava su una forte
connotazione ideologica. L’unico settore nel quale l’azione di Tebe si rivelò
efficace fu il Peloponneso tutto o quasi si compì nel corso della prima e della
seconda discesa nel Peloponneso (inverno 370/69; estate 369): la presenza dei
Tebani consentì alla neonata lega arcadica di svilupparsi pienamente; poi nel
368 fu fondata la capitale della lega, Megalopoli. Inoltre ,Epaminonda si rese
promotore della liberazione della Messenia con il richiamo degli esuli
Messeni e la fondazione di una nuova polis, Messene, sul monte Itome, luogo
simbolo della sfortunata resistenza della popolazione messenica agli Spartani.
L’operazione di liberazione della Messenia fu preceduta dall’invasione della
Laconia: l’azione ebbe carattere dimostrativo, mentre la liberazione della
Messenia fu un colpo decisivo per la potenza spartana.
4.Mantinea
La quarta e ultima discesa di Epaminonda nacque da una complessa serie di
avvenimenti. Nell’estate del 362 gran parte del mondo greco giunse a
confrontarsi nella piana di Mantinea. Spartani e Ateniesi, insieme a
contingenti peloponnesiaci, si contrapponevano all’esercito di Epaminonda,
appoggiato da Sicione e Argo. Epaminonda tentò una diversione improvvisa su
Sparta, ma il tentativo fu sventato. La battaglia mostrò ancora una volta le
grandi doti strategiche di Epaminonda, ma durante la battaglia venne trafitto
da una lancia e morì. Lo scontro si concluse senza vincitori né vinti.
LEGGERE CAPITOLO 23
2.La successione
Alla morte di Filippo II Alessandro aveva solo vent’anni ma già partecipava agli
affari di governo. Quando Filippo morì, egli mostrò un’estrema determinazione
nel rivendicare come proprio ciò che il padre aveva costruito e si sbarazzò
facilmente di pretendenti. Dal mondo greco ottenne i medesimi riconoscimenti
che erano stati dati al padre, tra cui il controllo sull’Anfizionia delfica e i pieni
poteri nella guerra contro la Persia.
Le prime operazioni militari si resero necessarie ai confini della Macedonia,
dove la scomparsa di Filippo aveva riacceso il fermento di popoli iniziata nel
335, una campagna condusse Alessandro da Anfipoli (Tracia) fino all’Illiria. Nel
frattempo si diffuse la voce che Alessandro fosse morto: la situazione sulla
penisola era instabile e questa voce ha alimentato la ripresa antimacedone.
Rivolte si ebbero ad Atene e a Tebe: nella prima i capi del partito filomacedone
vennero fatti uccidere, mentre a Tebe tornavano gli esuli.
Ma Alessandro non era morto e dopo soli tredici giorni si presentò sotto le mura
di Tebe, che nell’ottobre del 335 cadde. Alessandro affidò la decisione ai
membri del sinderio degli Elleni presenti nel suo accampamento: si optò per la
distruzione della città. Mite la decisione nei confronti di Atene: gli esponenti
politici furono condotti in tribunali.
Sparta rimase invece fuori dalla lega voluta da Filippo e si fece interprete di
sentimenti antimacedoni solo nel 333: il suo re, Agide III, organizzò una rivolta
che scoppiò nel 331 Agide assediò Megalopoli per poi essere sconfitto dalle
forze macedoni.
Dopo una serie di eventi simbolici, il primo scontro si combatté presso il fiume
Granico, tra l’esercito di Alessandro e le forze congiunte dei satrapi di Lidia,
Frigia e Cappadocia nel giugno del 334.
L’esercitò avanzo lungo le coste dell’Asia Minore portando sotto il suo controllo
le città greche da Militene a Sardi a Efeso; maggiore la resistenza opposta da
Mileto e Alicarnasso. Lasciata quest’ultima, Alessandro proseguì lungo la costa
attraverso la Licia e la Panfilia per poi stabilire presso Gordio gli
accampamenti invernali.
L’improvvisa morte dell’abile Memnone, comandate ad Alicarnasso, agevolò i
piani di Alessandro, che nel novembre del 333 si scontrò con l’esercito nemico
a Isso, sulle coste della Cilicia. La battaglia fu risolta con un repentino attacco
della cavalleria: Dario III si diede alla fuga decretando la propria sconfitta.
Il macedone proseguiva la sua marcia verso sud (Arado, Biblo, Sidone); una
dura resistenza fu invece opposta da Tiro la città cadde nell’agosto del 332, e
anche Gaza cedeva alle forze macedoni. Entrò in Egitto, dove il satrapo di
Menfi gli consegnò spontaneamente la regione e i sacerdoti lo accolsero come
un liberatore. Agli inizi del 331 fondò Alessandria, destinata a diventare uno
dei più grandi porti dell’antichità oltre che uno straordinario centro di cultura.
Durante la visita al santuario di Zeus Ammone, l’oracolo lo salutò come figlio
del dio.
L’esercito macedone tornò a nord attraverso la Fenicia per dirigersi verso l’Asia
interna; Alessandro giunse allo scontro decisivo a Gaugamela il 1 ottobre 331.
La vittoria non segnò la resa di Dario, ma spianò la strada alla conquista delle
grandi città achemenidi: Babilonia, Susa e poi Persepoli e Pasargade.
Il tema della liberazione delle polis di Asia Minore era da lungo tempo al centro
del dibattito; le vittorie sui Persiani consentivano ora di tradurre le parole in
realtà. Il comportamento di Alessandro fu determinato dall’atteggiamento delle
comunità e dalle esigenze della guerra, ma le idee che lo guidarono si
L’inseguimento proseguì fino a Battriana, dove Dario, dove Dario aveva trovato
rifugio presso il satrapo Besso; questi però lo face uccidere e si proclamò re
con il nome di Artaserse IV. Ora la guerra era contro l’usurpatore Alessandro
recuperò le spoglie di Dario e le fece deporre a Pasargade con una solenne
cerimonia.
I tre anni che seguirono furono segnati da campagne durissime e Alessandro
dovette mutare l’assetto del suo esercito. La spedizione puntava ad aggirare
Besso per prenderlo alle spalle: furono occupati i capoluoghi delle varie regioni
e vi rifondò città che portavano il suo nome. Besso fuggì più a nord, in
Sogdania, dove venne tradito dai suoi e consegnato al generale macedone
Tolemeo: fu giustiziato nel 329.
Gli scontri con le popolazioni locali durarono fino al 327, quando il matrimonio
con Rossane, figlia di Ossiarte, ultimo capo della resistenza, chiuse le ostilità e
dichiarò la pacificazione della provincia.
5.L’unificazione incompiuta
Al rientro in Perside il re macedone dovette affrontare gli effetti della sua
prolungata lontananza: si verificarono infatti episodi di insubordinazione da
parte di alcuni satrapi di origine persiana, i quali avevano cominciato a gestire
il potere in forma autonoma. Tra questi Arpalo che fuggì in Grecia; i
1
Alessandro trascorse gli ultimi mesi della sua vita a Babilonia, dove, secondo
tradizione, avrebbe ricevuto l’omaggio del mondo greco-macedone e da parte
del mondo Occidentale. Si tratta di una notizia la cui attendibilità è fortemente
discussa, anche in ottica dei progetti espansionistici verso occidente. In ogni
caso, Alessandro non fece in tempo ad attuare questo progetto poiché, colto da
malattia, moriva il 10 giugno 323 a soli 33 anni.
1.I diadochi
La storia del cinquantennio che intercorre fra la morte di Alessandro e il 281,
data che segna l’estinguersi della prima generazione di diadochi, è la storia di
un periodo di assestamento. L’inevitabile esito finale è la frammentazione
dell’impero costruito da Alessandro e la costruzione di nuovi regni ellenistici .
Alcuni elementi determinanti del processo furono la mancanza di un erede che
fosse subito in grado di riprendere con vigore l’opera di Alessandro le sorti
dell’impero rimasero nelle mani dei suoi generali attraverso una divisione di
incarichi e di poteri che preludeva alla spartizione vera e propria: la sua
ufficializzazione si ebbe tra 306 e 305, quando tutti i diadochi assunsero titolo
di re. Ma questa nuova regalità ha basi ben diverse rispetto a quelle della
monarchia macedone: venuta a mancare qualsiasi legittimazione dinastica, il
diritto a regnare viene sostituito dalla forza delle armi. È quindi il codice della
conquista che giustifica le aspirazioni alla regalità e guida le azioni di chi tale
regalità deve mantenere. Una volta stabilito il proprio diritto, il passo
successivo sarà la costruzione di una dinastia.
Quando Cratero lasciò l’Asia, Perdicca ne approfittò per aumentare il suo potere
e trascinò con sé Eumene; la sua ambizione lo spinse però a una mossa
sbagliata: attaccò l’Egitto e fu assassinato. Anche Cratero moriva combattendo
contro Eumene. Dunque, due dei tre grandi supervisori del regno erano
scomparsi e questo rese necessario ridefinire gli assetti del potere. L’incontro
avvenne a Triparadiso nella Siria settentrionale e consacrò Antipatro unico
reggente; Antigono fu nominato stratego dell’Asia e Tolemeo si vide confermare
il controllo sull’Egitto, mentre a Seleuco venne affidata la satrapia di Babilonia.
Gli equilibri così stabiliti non durarono a lungo. Antipatro moriva nel 319 e la
propria carica andò in eredità a Poliperconte, ma la scelta mandò in ira il
figlio di Antipatro, Cassandro. In Grecia Atene passò dalla parte di Cassandro.
Fu stabilito un limite di censo per la partecipazione alla vita politica: si tratta di
una nuova limitazione alla democrazia, anche se tra 317 e 307 la città conobbe
un periodo di prosperità sotto la guida di Demetrio del Falero. Raffinato
intellettuale, Demetrio combatté gli sperperi pubblici e privati, riassestò le
Con Anticono scomparve anche il suo regno: l’Asia Minore passò a Lisimaco,
fatta eccezione per alcune zone di Licia, Panfila e Pisidia che andarono a
Tolomeo. A lui rimase anche la Siria meridionale, che non volle cedere
nonostante gli accordi a Seleuco presupposti per una serie di guerre tra
Tolemei e Seleucidi, che si protrassero fino alla conquista romana. Cassandro
manteneva il controllo della Grecia, dove Demetrio conservava alcune
piazzeforti, fra cui Corinto.
Il figlio di Antigono rimase padrone del mare e l’ultima grande occasione gli fu
offerta dalla morte di Cassandro nel 297: Demetrio riuscì a eliminare tutti i
pretendenti e a farsi incoronare nel 294.
Lisimaco e Pirro invasero la Macedonia e Tolomeo occupava Cirpo; poco dopo
Demetrio cadde nelle mani di Seleuco (286), che lo tenne prigioniero fino alla
sua morte, nel 283.
Nello stesso anno Tolomeo I morì e due anni dopo anche Lisimaco cadeva
combattendo a Curupedio contro Seleuco (281). Questa vittoria sembrava
aprire al satrapo di Babilonia le porte del regno macedone, ma il destino gli
riservò una sorte ben diversa: cadde vittima del primogenito di Tolomeo,
Tolomeo Cerauno. Con la morte di Seleuco scompariva l’ultimo esponente
della generazione dei diadochi.
2.La Macedonia
Dopo la morte di Seleuco (281) la Macedonia vive alcuni anni di incertezza e di
assestamento prima che sul suo trono si insedi stabilmente la dinastia degli
Antigonidi.
Nello stesso 281 l’esercito aveva acclamatore l’assassino di Seleuco e vano fu il
tentativo di Antigono Gonata di sbarrargli la strada. Ma la partita fra i due fu
decisa da un fattore esterno: l’invasione dei Celti nella penisola. Tolomeo
Cerauno morì e lasciò la macedonia in preda al saccheggio; guidati da Brenno,
i Celti si spinsero a sud fino alle Termopili per poi ripiegare a Lisimachia, dove
vennero sconfitti da Antigono. Il prestigio ottenuto da questa vittoria consentì
al figlio di Demetrio di avere la meglio sugli altri pretendenti e a farsi
riconoscere re. Sotto di lui, la Macedonia conobbe un periodo di prosperità e
rafforzò il suo controllo sulla Grecia. Oltre alla Tessaglia, ampie zone della
penisola erano sotto l’influenza macedone e guarnigioni furono stanziate a
Corinto, Calcide e Demetriade (Tessaglia).
Non passò molto tempo che Antigono tentasse di riguadagnare la supremazia
in Egeo, ora controllato dai Tolomei. Ma Tolomeo II riuscì a coalizzare contro la
Macedonia con Atene e Sparta da questa guerra le posizioni dei Macedoni
uscirono rafforzate, ma lo scontro con l’Egitto si fece più aspro. Quando scoppiò
la seconda guerra siriaca tra Tolomei e Seleucidi, Antigono intensificò i suoi
sforzi per guadagnare il controllo sulle isole dell’Egeo, ottenendo alcune vittorie
navali.
negli ultimi anni del suo lungo regno, il Goronata dovette affrontare la minaccia
costituita dal crescente potere degli Etoli nella Grecia centrale e degli Achei nel
Peloponneso. La perdita più grave, a vantaggio degli Achei, fu Corinto.
Dopo il regno di Demetrio II, che vide i possessi macedoni nella penisola ridursi
ulteriormente, una svolta si ebbe con l’ascesa al trono di Antigono Dosone.
Alleatosi con gli Achei, il Dosone ricostituì una vasta alleanza di stati greci sotto
l’egemonia macedone e riportò una schiacciante vittoria sui Lacedemoni a
Sellasia nel 222: fu l’ultimo grande momento nella storia della Macedonia.
Infatti, nello stesso anno moriva Antigono, lasciando al trono Filippo V.
4.I Seleucidi
La vittoria di Curupedio (281) aveva consegnato a Seleuco l’intero regno di
Lisimaco, successo di cui non godette a lungo perché cadde egli stesso sotto il
pugnale di Tolomeo Cerauno. La sua eredità fu accolta dal figlio Antioco I inizia
una serie di sovrani “condannati” alla difesa, alla conservazione e alla
riconquista.
Il primo pericolo venne dai Celti, chiamati in Asia dal Nicomede di Birmania, ma
scesi poi verso sud, verso le coste dell’Asia Minore. Su di loro Antioco I ottenne
una vittoria decisiva nella cosiddetta “battaglia degli elefanti” e li confinò nella
Frigia settentrionale.
Antioco affrontò la I guerra siriaca e subì la successione di Eumene di
Pergamo, che nel 263 trasformò in uno stato autonomo quello che lo zio di
Filietro gestiva già da tempo come un suo piccolo principato.
Nel 261 Antioco II reagì con vigore agli attacchi di Tolomeo II uscendo con
successo dalla seconda guerra siriaca, ma alla sua morte, nel 246, si aprì il
terzo e più sfortunato conflitto. Fu Bernice, seconda moglie di Antioco, a
chiamare in aiuto il fratello Tolomeo III perché difendesse i diritti del figlio
contro Seleuco II. La spedizione di Tolomeo III fu un successo e lo portò fino alle
porte di Babilonia, ma Bernice e il figlio furono assassinati.
Quando il conflitto si concluse, Seleuco II era riuscito a contenere le perdite e a
mantenere il regno.
La debolezza in cui si trovava la casa seleucide favorì le iniziative
autonomistiche nelle parti più orientali dell’impero; fu così che le satrapie di
Partia e Battirana si resero indipendenti. Intanto il fratello minore di Seleuco II,
Antioco Ierace, aveva trasformato la regione in un regno autonomo.
Nel 226 Seleuco III eredita un regno che aveva perduto porzioni importanti del
suo territorio sia a Oriente che a Occidente. Lo stesso Seleuco III morirà nel 223
nel tentativo di conquistare l’Asia Minore, impresa che riuscirà a suo fratello,
Antioco III. Egli riuscì a realizzare almeno in parte l’ambizioso progetto di
ricostruire il regno dei suoi antenati, consolidando i confini meridionali con
l’Egitto di Tolomeo IV e ristabilendo il controllo sull’Asia Minore; inoltre, con una
grande spedizione in Oriente riportò i possessi seleucidi fino all’India.
Un ulteriore passo i avanti fu favorito dal conflitto che scosse la Grecia nel
decennio successivo e che fu innescato dalle ambizioni del Gonata e le sue
mire sull’Egeo suscitarono le preoccupazioni dell’Egitto. Per arginare le azioni di
Antigono e facendo leva sul timore, Tolomeo III riuscì a coalizzare l’ambizioso
Areo I di Sparta, Atene e alcuni stati peloponnesiaci. La guerra nacque con il
nome di cremonidea dal politico ateniese Cremonide, che nel 267 fece votare
ai suoi concittadini l’alleanza contro la Macedonia. Proprio l’iniziatore del
conflitto, Tolomeo II, si dimostrò poco attivo nel sostenere la coalizione e il suo
debole intervento contribuì a favorire la vittoria di Antigono. Areo di Sparta non
riuscì a prendere Corinto e morì sul campo; Atene capitolò dopo un lungo
assedio nel 261 e fu costretta ad accogliere un presidio nemico.
Quanto a Sparta, la città non aveva affatto risolto i problemi che l’avevano
fatta sprofondare in una drammatica crisi. Il numero degli spartiati si era
andato sempre più assottigliando con il passare del tempo. Questo elemento
andava di pari passo con la concentrazione delle proprietà fondiarie lo
scontento serpeggiava e cominciarono a profilarsi progetti di riforma che
prevedevano la redistribuzione delle terre e il condono dei debiti che
naturalmente generavano gravissime tensioni sociali. Tra i primi a farne le
spese fu il re Agide IV, ucciso nel 241 dai suoi avversari politici.
La sua eredità fu raccolta da Cleomene III, che sposò la vedova di Agide e fu
proprio lei ad avergli trasmesso le idee del defunto marito.
I progetti si articolavano su due paini distinti e complementari, dalla politica
interna a quella estera: le riforme interne dovevano restituire alla città la forza
necessaria a imporsi nuovamente come potenza egemone nel Peloponneso.
Consapevole della resistenza che avrebbe incontrato da parte delle poche
famiglie, Cleomene ne esiliò gli ottanta esponenti più in vista e fece uccidere
tutti gli efori. Sgombrato il campo dagli oppositori, egli ricostituì il corpo civico
immettendo nel numero di cittadini a pieno diritto qualche migliaio di perieci.
A ciascuno venne assegnato un lotto di terra ricavato dai grandi latifondi e si
arrivò a circa 4mila spartiati: la città tornava ad avere un migliore equilibrio
interno.
La rinascita interna di Sparta fu accompagnata da una serie di successi nel
Peloponneso.
In Sicilia si faceva intanto strada Ierone II, che riuscì a farsi nominare stratego
di Siracusa, approfittando dei rinnovati conflitti interni e del timore dei
Mamertini a Messina questi mercenari che un tempo erano al servizio di
Agatocle si impadronirono della città e dello stretto e di alcuni centri dell’area
circostante.
Ierone li combatté con energia e li sconfisse in una battaglia presso il fiume
Longano, ma non riuscì a prendere Messina. Rientrato in patria, assunse il titolo
di re: il suo regno lo governerà fino alla morte, nel 215. Il suo dominio si
distinse dalle precedenti esperienze autocratiche che la città aveva vissuto per
un apparente disinteresse nei confronti delle imprese militari: egli infatti non
cercò mai di estendere i propri possedimenti, ma si concentrò sul
rafforzamento economico del regno.
In questo periodo la Sicilia visse un epocale cambiamento dei suoi equilibri
secolari la prima guerra punica consegnò l’isola ai Romani, che riuscirono
nell’impresa di cacciare i Cartaginesi. Ierone, che inizialmente si era schierato
con Cartagine, decise ben presto di passare dalla parte di Roma, rivelandosi un
utile alleato: in cambio, poté mantenere autonomo il suo piccolo regno anche
dopo che la parte occidentale dell’isola divenne provincia romana (227).
LEGGERE CAPITOLO 29
4.Mare nostrum
Gli accordi di pace successivi a Cinoscefale estendevano il principio della
libertà delle città greche anche alle poleis di Asia Minore: era un chiaro
messaggio per Antioco III, intento a ricostruire il regno dei suoi avi.
Dopo alcune vittoriose campagne in Asia Minore, la sua avanzata nella regione
degli Stretti incontrò la tenace resistenza di Smirne e Lampasco che chiesero
l’aiuto di Roma. Antioco III aveva mobilitato un poderoso esercito, ma furono le
tensioni operanti in Grecia a decidere la situazione e a portare, nel giro di due
anni, Roma e Antioco alla guerra.
Gli Etoli ruppero l’accordo con Roma e chiesero l’intervento di Antioco III.
L’occasione era propizia e inoltre la Repubblica costituiva una minaccia. Alla
fine Antico accolse l’appello degli Etoli e nell’ottobre del 192 sbarcava in
Grecia. Debole sul piano militare, la spedizione riscosse pochi e incerti consensi
all’interno del mondo greco. Lo scontro con il blocco compatto costituito da
Roma, Filippo V e dagli Achei avvenne l’anno successivo alle Termopili: qui il
console Manio Acilio Glabrione sbaragliò le truppe di Antioco.
La seconda parte del conflitto si svolse nell’Egeo, dove Roma poteva contare
sull’appoggio delle flotte di Rodi e di Pergamo, e in Asia Minore. L’esercito
romano ottenne il successo decisivo nel dicembre 190 a Magnesia al Sipilo; a
guidare la spedizione vi era Lucio Cornelio Scipione. Il trattato di pace, nel 188,
limitava al Tauro il territorio di Antioco III e prevedeva il pagamento di una forte
indennità di guerra e la consegna di ostaggi.
L’accordo favorì l’espansione di Pergamo e Rodi e liquidò le pretese di Antioco
III.
Il successo romano a Pidna ebbe importanti ripercussioni sul resto del mondo
greco; tra i primi a sentire l’effetto ci fu l’isola di Rodi. L’isola, avvantaggiata
dal ridimensionamento del regno seleucide e favorita dall’amicizia con Roma,
dopo la terza guerra macedonica viveva un progressivo deterioramento delle
sue relazioni con la Repubblica.
I buoni rapporti con la Macedonia e la sua incertezza nel campo di battaglia
avevano portato il senato romano a dubitare questi attriti portarono Roma alla
decisione di restituire Delo ad Atene e di crearvi un porto franco: tale scelta
porta a deviare il flusso commerciale, privando rodi dei proventi dalle tasse
portuali e ridimensionandone il peso economico.
In Grecia dominano la decadenza economica, i particolarismi e i piccoli conflitti
tra stati confinanti; mancano, invece, centri di poteri capaci di creare una
politica internazionale.
In questo scenario matura la rivolta di Andrisco che, spacciandosi per Filippo,
riuscì a raccogliere consensi e alleanze e a tenere in sacco per qualche tempo
l’esercito romano. Fu sconfitto da Metelle nel 148 e poco dopo la Macedonia
divenne provincia romana.
L’ultimo atto nella storia della Grecia indipendente è la cosiddetta guerra
d’Acaia: le sue origini si trovano nell’insofferenza verso l’atteggiamento
arrogante assunto da Roma dopo la terza guerra macedonica. L’occasione fu
offerta dalle difficili relazioni all’interno del Peloponneso fra lega achea e
Sparta, che aveva trovato la protezione sotto Roma. Quando gli Achei
dichiararono guerra ai Lacedemoni, Roma intervenne seguì la distruzione di
Corinto per opera di Mummio nel 146.
La lega fu sciolta e tutti gli stati coinvolti nella guerra divennero un’appendice
della provincia di Macedonia; un po’ ovunque si installarono oligarchie
filoromane e gli oppositori furono oggetto di persecuzioni ed espropri di terre e
di beni.
Ci furono poi tre scontri tra Roma e Mitidriate VI. Fra i tre conflitti è il primo a
rivestire maggiore interesse per il favore che il sovrano pontico incontrò presso
le città greche di Asia Minore in veste di liberatore: in questo consenso si
legge tutta la delusione, il rancore e l’ostilità che Roma aveva saputo suscitare.
Con la caduta dell’Egitto buona parte di quello che era stato il mondo
ellenistico costituiva ormai un dominio di Roma. Si apre così un periodo di pace
che doveva durare quasi due secoli.
Scomparsa l’autonomia politica, rimase il primato culturale: fu così che in
Grecia molti centri beneficarono della benevolenza di Augusto e della dinastia
Giulio-Claudia, che promossero anche in Anatolia la cultura ellenica.
Dopo Caligola, il cui filoellenismo si limitò a far rivivere a corte la concezione
ellenistica del sovrano divinizzato, sarà Nerone a compiere u gesto di grande