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Riassunto archeologia-greca-di-enzo-lippolis-e-giorgio-rocco
Introduzione
La periodizzazione dell’archeologia greca, in base alla ceramica:
• Età protogeometrica 1110/900
• Età geometrica
o Geometrico Antico 900/850
o Geometrico Medio I 850/800 II 800/750
o Geometrico Tardo 750/700
• Orientalizzante 700/625
• Età Arcaica 625/480
• Periodo Classico
o Età Severa 480/450
o Primo Classicismo 450/404
o Secondo Classicismo 404/323
• Età Ellenistica 323/31
Prima che l'archeologia divenisse una scienza ben organizzata e strutturata, le testimonianze
del mondo antico provenivano tutte da fonti letterarie, il che dava una ricostruzione
idealistica e spesso lontana dal reale del mondo greco, visto come esempio di civiltà e cultura
utile a giustificare i valori del presente. Sin dal 18º secolo gli studiosi cominciano a sentire
l'esigenza di un diverso approccio nei confronti dell'antichità, che svelasse non solo la cultura
più alta del mondo greco ma anche il vivere quotidiano e la ritualità di una civiltà vissuta per
oltre un millennio. A dare un contributo inestimabile a tale scienza furono le ricerche di
studiosi come Winckelmann che contribuì a dare lessico specifico alla disciplina, Ludwig
Ross che avviò per primo un'attività di scavo sull'acropoli di Atene, Heinrich Schliemann che
avviò scavi a Troia (1871), a Micene (1879), e a Olimpia (1875), Arthur Evans scopritore del
regno di Minosse (1899). Al 1931 risalgono i primi scavi sulla agorà del Ceramico di Atene
fondamentale per la ricerca archeologica sino ad oggi. Infine in Italia è da ricordare lo
studioso Paolo Rossi, vero fondatore dell'archeologia dell'Italia meridionale.
L’archeologia studia la cultura materiale, ovvero l’oggetto in base alla funzione che ricopre
all’interno di una società e suo scopo è proprio quello di scoprire tale funzione.
Per i greci la prima forma di monumentalità è legata al passato, più mitico che storico, che li
lega direttamente alle popolazioni micenee. Infatti, nonostante la rottura a seguito alla Dark
Age (XII sec. a. C.) sia stata profonda, a causa del crollo della società parziale, rimangono
simili la scrittura, il Pantheon religioso, e la ritualità che avevano caratterizzato le
popolazioni proto greche prima della cosiddetta "invasione dorica". A testimonianza di ciò,
i greci hanno un approccio quasi archeologico nei confronti di quelle strutture che
testimoniano il passato mitico di questa o di quella stirpe: sono soprattutto le tombe degli
eroi fondatori a divenire luoghi di culto e punto di aggregazione delle genti; ne è esempio
fondamentale il tumulo funerario di Olimpia, risalente all'età del bronzo ed attribuito all'eroe
Pelope, o ancora la tomba di Teseo ad Atene, di Oreste a Sparta e così via. Oltre alle tombe
divengono vere e proprie reliquie mitiche case, altari, fenditure nella roccia, resti sacrificali,
elementi naturali come sorgenti, alberi, boschi....
Le pratiche rituali
la società greca sin dai suoi albori fonda lo svolgimento delle attività collettive all'interno di
pratiche rituali, cioè forme di gestione codificate dalla pratica sacra. L'attività rituale
collettiva si svolge sempre all'interno dei santuari di cui l'elemento principale è l'altare; non
è un caso infatti che per accedere a questo spazio vi sono restrizioni legate all'età, al sesso,
allo stato fisico e giuridico dell'individuo. Lo spazio dedicato al culto è definito tèmenos (da
temno=tagliare). In assoluto l'attività più importante svolta all'interno dei santuari è quella
del sacrificio, cruento o incruento: il primo prevede tutta una serie di stadi, l'uccisione
dell'animale, la porzionatura, la cottura sull'altare, la divisione fra i membri della collettività
basata sul ruolo dei cittadini sul loro status: il rito diventa un vero e proprio linguaggio
attraverso il quale la comunità si esprime si riconosce nella sua specificità. Nulla è dato al
caso, agli uomini spetta il sacrificio, alle donne alcune funzioni legate ai culti femminili, o la
preparazione di alimenti e cerimonia; strumenti e vasellame devono essere di forma specifica
ed esclusivamente utilizzati per il culto. Sono state ritrovate varie forme di altare diverse per
origine e funzioni:
Periodo geometrico
La ceramica nel protogeometrico (1100/900)
Nonostante una certa continuità con la manifattura micenea, a seguito della Dark Age, la
produzione ceramica greca si distingue per l’alto livello e le tecniche sofisticate. Alcuni
ritrovamenti inoltre, mostrano i primi scambi commerciali, con Cipro e con il Medio Oriente
(Panfilia, Siria e città fenice)
kantaros, delle oinokoi, due punte d lancia e una spada distrutta (simboli
dell’aristocrazia = si affermano le elites)
o Tomba della “rich lady” dell’aereopago, datata alla prima metà dell’VIII sec, si
tratta di una donna cremata e posta dentro ad un’anfora decorata con cerchi
concentrici e con spazi metopali e a meandro fra le anse e a chevrons sul collo, e
del suo un ricco corredo funebre che comprende 34 vasi in stile geometrico tra cui
anche un modellino di granaio e una pisside “a stecca”, vasellame inciso, orecchini,
collana e spille in ferro e bronzo, e tre sigilli. Questi ultimi e il granaio fanno
pensare che la donna gestisse un campo per la produzione del grano: la società è
definitivamente uscita dal sistema pastorale della Dark Age e tornata al modello
agricolo e statale (sigilli), l’aristocrazia terriera sta prendendo piede e ha dei
rapporti attivi con il medio oriente (i gioielli della defunta sono importati.
o Bottega del maestro del Dypilon: vaso omonimo rinvenuto nel Ceramico di
Atene, datato 760 e dunque alla fine del medio geometrico II, con proporzioni
monumentali (1,60 0 1,75 m), ha più di 20 fregi con un meandro attico molto
complesso e una decorazione insulare nella parte inferiore; gli animali (cervi
pascenti e retrospicienti) non sono più isolati ma compongono una teoria. Si tratta
di un segnacolo di tomba che narra proprio il commiato del defunto (ekphora). Si
parla di bottega, in quanto anche altri vasi, benchè meno complessi, possiedono la
decorazione in tutto il corpo e i cervi come una firma di bottega, preludio alle
grandi scene narrative del periodo successivo.
Il medio geometrico II vede anche l’insorgere di decorazioni con animali e di forme più
monumentali. Ne è esempio uno skyphos rinvenuto a Eleusi che con le sue figure umane e
animali, rappresenta una prima forma di narrazione (i marinai lasciano i remi per gli archi
segno che non c’è ancora distinzione fra marinai e opliti).
La ceramica del periodo tardo geometrico (750/700)
Questo periodo ha tra le sue “spinte” l’apertura di nuove rotte commerciali verso occidente
(Pitecussa), e oriente (Fenicia), di cui l’Eubea trae i maggiori vantaggi, mentre l’Attica
sembra rallentare nella corsa al commercio in favore di una maggiore specializzazione
regionale. In questo periodo il disegno geometrico tende a frammentarsi in favore di
decorazioni in spazi metopali e di figure (cominciano ad apparire le prime figure femminili
caratterizzanti poi l’orientalizzante), nonché delle prime rappresentazioni mitologiche.
• Ad ATENE si affermano le figure umane e le scene narrative, come nei vasi del pittore
di Hirschfeld che predilige le scene funerarie su vasi di grandi dimensioni ricchi di
riempitivi (animali, svastiche, rosette a punte). Tra le raffigurazioni mitiche abbiamo una
oinochoè (rinvenuta nell’agorà di Atene) con la lotta tra i Molioni e Nestore, un
cratere con dei centauri, un altro cratere che rappresenta Dionisio e Arianna. In
questo periodo cresce anche la piccola statuaria: guerriero bronzeo e minotauro
dell’acropoli, figure nude femminili in avorio nella tomba del dypilon, lamine decorate
a sbalzo con teorie di animali tipiche del mondo attico.
• Ad ARGO la ceramica conosce dei motivi decorativi propri, con l’uso ricorrente di cavalli
e del meandro obliquo, l’uso di colori chiari e di riempitivi frammentari, nonché la scelta
di motivi “insulari” come onde e uccelli ; lo stesso avanzato livello tecnico compare nei
bronzi argivi che toccano il loro apice nell’VIII sec con la realizzazione di un’armatura in
bronzo, chiaro segno che la città aveva già sviluppato l’oplitismo; appartenente allo
stesso contesto laconico è un gruppo di bronzetti votivi di cui il più importante
rappresenta la lotta tra un eroe e un centauro.
• CORINTO che da prima aveva imitato i modelli attici e euboici, nel MG II sviluppa delle
decorazioni lineari che percorrono per intero in orizzontale i vasi; dal TG II invece, si
evolve anticipando motivi tipici dell’orientalizzante, come le scene narrative, le teorie di
animali e vegetali nel corpo del vaso. Si sviluppano anche particolari forme come oinokoi
dal fondo piatto e il collo allungato.
• Anche in EUBEA la ceramica unisce motivi geometrici “tradizionali” (fregi e aree
metopali) ad elementi di transizione verso l’orientalizzante come l’albero della vita;
ricorrenti sono i motivi corinzi e insulari come i fiori a petali lanceolati, il motivo a onda
e la rosetta a punti. I vasi più importanti sono quelli appartenenti al pittore di Censola
di cui abbiamo un cratere da Cipro e un’anfora da Atene, entrambi con corpo ovoidale,
piede conico collo svasato; il cratere ha un fittissimo motivo geometrico, inframmezzato
con due teorie di animali e tutti gli elementi sopradetti.
• La ceramica BEOTICA influenzata da quella euboica, si caratterizza per
rappresentazioni più libere e raffigurative, come in un Kàntaros di Dresda dove è
rappresentata una danza maschile; in una anfora beota, detta della Pothnia Theròn, sono
raffigurati vivacemente degli animali e più riempitivi. Tipiche di quest’area sono anche
le fibule in bronzo con rappresentazioni geometriche di navi, battaglie, miti di Eracle e
Iiupèrsis.
• La ceramica INSULARE rimane legata a elementi geometrici attici, con elementi euboici,
ciprioti e anatolici. Importante è un’anfora di Thera decorata solo nella parte superiore
con elementi quali il meandro attico, onde, aironi e petali lanceolati insulari ed euboici.
L’Orientalizzante (700/625)
Tra VIII e VII secolo due eventi importantissimi contribuirono a dare un nuovo aspetto alle
poleis: la colonizzazione e l'avvento delle tirannidi. La nascita di nuove colonie, in particolare
quelle del mondo occidentale, portò le popolazioni greche a sperimentare nuovi assetti
urbani meglio organizzati rispetto a quelli della madrepatria: qui infatti i coloni desiderosi
di una maggiore uguaglianza divisero in lotti le nuove terre ognuno con una casa e uno
spazio libero destinato alla coltivazione e meglio organizzarono le strade. Tra gli esempi più
caratteristici vi è quello di Megara Iblea in Sicilia dove lo spazio disponibile viene suddiviso
per nuclei di strade con orientamenti omogenei; un esempio in madrepatria è costituito dalla
polis di Gortina (Creta) dove il nucleo abitativo si sviluppa su terrazze regolari ed è
organizzato su un asse estradare principale. Anche ad Atene si assiste a una netta distinzione
fra zone abitative e necropoli dal momento che la zona del ceramico accoglie funzioni
produttive e prime aree di culto.
L’architettura sacra
Per tutto il settimo secolo gli edifici templari sono privi di peristasi esterna, hanno
proporzioni allungate, sono spesso dotati di una fila di colonne interne che suddividono la
cella in due navate e presentano quasi sempre un pronao. La progressiva articolazione di
strutture all'interno del luogo sacro dimostra una altrettanta progressiva articolazione delle
funzioni rituali e delle strutture sociali. Lungo questo periodo le costruzioni templari finora
interamente lignee cominciano ad essere costruite con la pietra a partire dai tetti (coperture
fittili) in terracotta (fenomeno di "litizzazione"): questo porta allo sviluppo di veri e propri
linguaggi architettonici differenziati per regioni ma anche di città in città: si tratta degli
ordini architettonici che cominciano a distinguersi tra quello dorico (madrepatria), quello
ionico (egeo e area microasiatica).
e le proporzioni di uno precedente, con mura perimetrali decorate con fregio ionico
e fronte prostila; l’altare fu recintato secondo il modello ionico.
• A CRETA, dove il culto ha più una patina misterica che non collettiva, spetta un altro
primato, ovvero l'introduzione della decorazione scultorea all'interno degli edifici
templari di influenza assiro-babilonese: nei resti del tempio A di Prinias, troviamo una
ricca decorazione figurata di un architrave scolpito con due divinità sedute di fronte e un
fregio continuo con una teoria di cavalieri (=società aristocratica). Si tratta della prima
scultura dell’orientalizzante, definita “dedalica” (sarebbe stata di mano di Dedalo).
Produzioni, consumi e commerci
A caratterizzare il periodo orientalizzante è proprio l'influsso e il fascino che l'oriente
esercitò sui greci; tale influsso fu naturalmente veicolato e accresciuto dal commercio: adesso
infatti non sono solo gli Euboici a stringere legami con l'Asia minore e l'Occidente dal
momento che abbiamo in questo periodo i primi insediamenti di Cirene in Libia di greci in
Africa settentrionale e nel Mar Nero; anche Samo e Rodi partecipano al commercio come
dimostrano i loro grandi santuari ricchi di doni provenienti dall'oriente. Come detto fu
Corinto la prima città greca che già nell'ottavo secolo carpì alcuni elementi tipici dell'arte di
oriente.
La ceramica Protocorizia
La ceramica corinzie si caratterizza per il vasellame piccole dimensioni, non più di 10 cm,
(spesso piccoli contenitori di profumi prodotti anch'essi a Corinto) soprattutto aryballoi e
alàbastra, ma anche oinochòai, kotylai e pissidi. Distinguiamo la ceramica protocorinzia del
periodo orientalizzante in:
semata dei genos, segno di una frammentazione ancora viva all’interno della polis), una
sfinge con due corpi, una caccia al leone, il giudizio di Paride è una teoria di cavalieri,
mentre i riempitivi sono di tipo vegetale. La fase finale del tardo protocorinzio assume
caratteri standardizzati con superfici prevalentemente nere e pochi riempitivi in
particolare la rosetta a punti. Si diffonde la tecnica del graffito.
La ceramica protoattica
Se Corinto si porta alla testa del nuovo stile, Atene e l’attica in genere restano ancorate al
proprio, pur non rinunciando alle interpolazioni orientali e alla sperimentazione di nuove
tecniche. Una certa marginalità rispetto alla scia internazionale può essere dovuta alla
minore produzione vascolare: i funerali si fanno infatti più sobri e con meno vasi
monumentali. Anche qui distinguiamo tre fasi:
• Protoattico antico (700/625), in cui gli stilemi rimangono tardo geometrici (riempitivi,
fregi, elementi plastici serpentiformi) ma si delineano meglio le figure umane, come
nell’hydria del pittore di Analatos con il suo choros femminile (il ballo in cerchio è un
rito protettivo). Più innovativa risulta invece la tecnica di un cratere da Egina del
pittore della Mesogeia, dove il fregio dei leoni fra le anse, e le decorazioni vegetali
mostrano un modello di riferimento orientale, seppur stilizzato e più narrativo.
• Protoattico medio (675/ 630) caratterizzato da un nuovo stile bianco e nere con figure
contornate e parti risparmiate, da forme grandi come anfore e crateri ricchi di scene
narrative. Tra le ceramiche più importanti abbiamo l’olpe del Pittore della Brocca degli
Arieti raffigurante Odisseo e i compagni che sfuggono a Polifemo legati agli arieti;
l’anfora del Pittore di Polifemo raffigura invece le Gorgoni che inseguono Perseo e
solo sullo spazio metopale, l’accecamento del ciclope con la tecnica del “racconto
compendiario” (più azioni in una sola scena), rinunciando ai riempitivi. Nella seconda
metà del VI sec. Il Pittore di Nesso di New York (650) incomincia a superare lo stile
bianco e nero, preferendo figure interamente nere, in un’anfora che raffigura l’uccisione
di Nesso da parte di Eracle e il mito di Perseo in maniera allusiva e compendiaria, usando
anche l’incisione (corinzia).
• Protoattico tardo, a cavallo del quale oltre al Pittore di Nesso che sempre più utilizza
figure nere e incisioni, troviamo il pittore di Berlino e soprattutto il Pittore della
Gorgone (600/580) che padroneggia tutti i nuovi stili nel suo deinos (vaso per la mescita
di acqua e vino) che raffigura Perseo e la Gorgone, tanto da essere valutato in un
orizzonte arcaico.
cretese con uno stile molto disegnativo a tessitura continua. La particolarità dell’isola
sta in grandi pytoi monumentali (fino a due metri) a bassorilievo con incisi motivi
geometrici ma anche scene di battaglia (tra cui la più antica ilioupersis). La ceramica
Rodia si caratterizza per teorie di animali ossessive, poche scene narrative.
L’identità religiosa
Nella società greca, non esiste il termine “religione”, dal momento che tutto, dalla sfera
sociale a quella privata, dai giochi alle leggi, dalla nascita alla morte, è religione. Non
sorprende quindi che i luoghi di culto nascano ancor prima di edifici “amministrativi” e
che anzi le stesse zone sacre fungano allo stesso tempo da centri di aggregazione sociale
e gestione del territorio e del pubblico. Come detto non c’è quasi nessuna continuità
rituale fra cultura micenea e greca, ma alcune divinità sono così antiche da avere radici
pre-greche e da finire nel pantheon “definitivo” (VIII sec) che affianca alle 12 divinità
olimpiche, infinite altre divinità o eroi. In particolare l’eroe è spesso capostipite di un
genos o iniziatore di un rituale specifico; il più importante e panellenico è Eracle. Tutta
questa mentalità religiosa è espressa nel rituale, manifestazione concreta dell’attività
religiosa che pervade tutti i momenti espressivi della società, offre un legame di identità
e allo stesso tempo distingue socialmente gli individui. Assieme a tutta una serie di
attività (giochi, canti, balli, cerimonie, spettacoli), il sacrificio sull’altare è quella più
importante e il rito connesso può prevedere l’uso di maschere (come quelle grottesche
Il deposito votivo
Sacrifici animali, libagioni, doni materiali costituiscono quello che è definito deposito votivo,
cioè un insieme coerente di materiali di diversa natura ma tutti coinvolti nel rito e posti non
casualmente ma volontariamente nell’area sacra. Un dono votivo è il mezzo più semplice per
un fedele di avere un contatto con la divinità; motivo per cui era importante porlo più vicino
possibile alla statua o all’altare e bene in vista alla società nel caso di oggetti preziosi. Si
ricava ciò da poche testimonianze, poiché la maggior parte degli oggetti si ritrova in enormi
depositi nati dalla “pulizia” del santuario o da un suo rinnovo: così ad Olimpia si trova il così
detto “strato nero” risalente al VII secolo ma contenente doni del X. Alcune volte invece, i
doni venivano sepolti in pozzi appositi, detti bothroi, come nel caso della stoà a U di Locri
Epizefiri. Da notare che un dono resta consacrato anche quando deposto in maniera
definitiva (si facevano dei rituali anche per questo). All’interno dei grandi depositi sono stati
trovati anche resti di ceramica potoria, da mensa e da cucina, insieme a resti di animali e resti
di focolare: questi insieme a strutture come gli hestiatoria dimostrano l’esistenza di banchetti
comuni per la consumazione del sacrificio. Tutto ciò che viene dedicato a una divinità (dalla
statuetta sino al tempio) prende il nome di anathèmata (da anathitemi, innalzare), ma lo
scambio di doni tra uomini, prima che con la divinità, in ambito laico ha la sua origine nell’età
omerica e serve per affermare il proprio status sociale tramite una rete di obblighi che funge
da equilibratore tra la “classi”; quando dall’ambito laico, lo scambio si trasferisce a quello
religioso (geometrico) tra uomo e dio, la ricchezza dei doni serve a manifestare non più lo
status del singolo, ma il benessere e la stabilità economica della comunità, ostentata nei
santuari (anche perché in questa fase viene meno l’uso disporre oggetti preziosi nelle tombe
come indicatore sociale). Si diffonde alche l’uso di iscrizioni dedicatorie negli oggetti votivo,
come nel caso dell’Apollo di Mantiklos una statuetta in bronzo da Tebe datata al 700. La
scelta del tipo di dono poteva essere tutta dell’offerente (preferenza ma anche disponibilità
economica) quando era data da motivazioni personali e private; invece se l’offerta rientrava
in un ambito rituale e collettivo doveva adattarsi a uno standard come spiega, ad esempio, il
ritrovamento ad Atene nel santuario delle Ninfe, di numerosi loutrophòroi, vasi dal collo
allungato molto usato per riti nunziali e dedicati dagli stessi sposi. Col passare del tempo e
in particolare dal VII secolo, gli anathemata divengono sempre più “piccole opere d’arte”
anche a discapito della simbologia antica, come dimostra la moltitudine di kuoroi e di korai
in bronzo o marmo, ritrovati sull’Acropoli di Atene.
Bisogna fare ancora una distinzione fra votivi “per trasformazione” ovvero oggetti che
inizialmente avevano una funzione diversa (vesti, gioielli, armi, monete, strumenti da lavoro
ecc…) e che poi venivano offerti al dio, e votivi “per destinazione” cioè da principio
destinati ai santuari. Questo secondo tipo dà origine a vere e proprie “industrie del sacro” e
in particolare alla coroplastica (tecnica usata esclusivamente per oggetti destinati al sacro),
cioè la realizzazione di piccoli oggetti in argilla cotta, che se per molto tempo vengono
realizzati a mano (geometrico) a partire dal 700 (ma diffusasi nel VII sec.) registra l’uso di
stampi e quindi la realizzazione in serie. All’inizio era così realizzata solo la parte frontale,
ma nell’ultimo quarto del VII secolo a Samo vengono realizzate matrici bivalve in grado di
dare statuette a tutto tondo. La serialità dei prodotti porta all’espansione di “modelli” diversi
a seconda del luogo d’origine: le “tanagrine” ateniesi, i votivi fittili anatomici di Argo e
Corinto, la kore samia. Tra il vasellame esclusivamente rituale sono da notare e kèrnoi, basi
ad anello su cui sono fissati vasetti o elementi plastici (specie di centrotavola), e i kraterìskoi
a figure nere, crateri con scene dipinte appositamente per il passaggio delle donne all’arkeia.
Il rito funebre
Come oggi, anche nel mondo greco il rito funebre aveva una grande importanza sia culturale
che sociale. Il defunto veniva esposto in casa (pròthesis) poi trasportato al sepolcreto
(ekphorà), di solito di notte, dove ne veniva curato e lamentato il corpo, e dove molto spesso
si consumava un banchetto tra familiari e amici. Esistono due tipi di sepoltura: l’inumazione,
risalente alla preistoria, che prevede la deposizione del corpo supino, con braccia e gambe
stese, all’interno di fosse, o di sarcofagi, o in giare e vasi grandi nel caso di bambini e
adolescenti; la cremazione, di età submicenea, solo per adulti, che si distingue ancora in
primaria (il corpo incenerito in corrispondenza della fossa) e secondaria (incenerito in una
pira e poi conservato in urne). All’interno della tomba vengono deposti oggetti personali del
defunto ma con significati precisi voluti dal singolo o dalla comunità; alcuni oggetti come le
armi e i vistimenti militari sono banditi, perché l’uomo muoia da cittadino e non da militare.
Mentre all’esterno tumuli, cippi, vasi rappresentativi fungono da segnali e garantiscono la
memoria della tomba (si arriva anche a veri e propri monumenti nell’Atene del VI sec.) Le
sepolture solitamente sono raggruppate per nuclei familiari che ospitano sino alla terza
generazione. La competizione e il lusso delle classi aristocratiche porterà più volte la polis
ad interventi restrittivi, tanto che nell’Atene di V secolo cade in disuso il corredo funebre.
di più la sua compattezza a discapito di tribù e genos. Una citta può sorgere in due maniere
differenti, con planimetrie legate alla sua nascita: se da un piccolo centro, essa si espande
intorno all’acropoli, o se due villaggi man mano si uniscono nel tempo, avremo una struttura
urbana radiale che va dall’acropoli (magari un antica fortificazione micenea come nel caso
di Atene) sino alla città bassa (asty) che può essere anch’essa fortificata; oppure una città può
essere pianificata, come nel caso delle nuove colonie ma non solo, e quindi suddivisa in lotti
(oikòpeda) di forma rettangolare allungata e delimitati da strade, che andranno quindi a
creare una planimetria ortogonale. Tra le più importanti città pianificate abbiamo Mileto e
Smirne.
• Smirne, che verrà ricostruita nel V secolo, presenta nel periodo arcaico già grandi
dimensioni e una cinta muraria che comprende al suo interno il santuario orientalizzante
di Afrodite a sud, il centro urbano e il tempo di Atena, la baia dei leoni e il santuario di
Apollo delphinios a nord; in più ricordiamo i due templi extraurbani, l’Artemision e
Apollonion. La città oltre a una lottizzazione regolare, presenta anche per ogni lotto case
a più vani ognuna all’interno di un cortile. Ancora, secondo una griglia ortogonale sono
organizzate le colonie di Corinto, Ambracia e Apollonia e altre sue colonie sul Mar Nero.
Ma città pianificate per eccellenza sono le colonie greche.
• In Occidente, e in particolare Poseidonia, Megara Iblea e Selinunte insieme alla divisione
in lotti, è stata data molta attenzione alla posizione dell’agorà, luogo di incontro della
comunità politica e per questo situata solitamente sulla confluenza di vie principali: a
Poseidonia una fascia mediana fra le abitazioni è sin dal principio riservata non solo alla
piazza comune ma anche a due santuari urbani, l’Heraion a sud e l’Athenaion a nord; a
Megara Iblea, dove una morfologia irregolare del territorio ha portato a quartieri
orientati in direzioni diverse, l’agorà (VII sec) funge da cerniera ed ha un perimetro molto
irregolare. Poiché nelle città coloniali si venera spesso un eroe fondatore, la piazza
assume una funzione sacrale avendo al interno un Heroon dedicato all’eroe: così si spiega
la presenza di un focolare sacro a Estia nel prytaneion ed edifici per il banchetto, nelle
agorà di Selinunte e Megara Iblea.
L’architettura arcaica (alcuni esempi)
Sin dal VII secolo, l’architettura conosce di pari passo un processo di litizzazione e di
monumentalizzazione: l’arcaismo si caratterizza per un forte sperimentalismo e allo stesso
tempo per una maggiore definizione degli ordini scultorei, la commistione dei quali crea
opere architettoniche squisitamente “regionali”. Come per la ceramica, Argo, ma soprattutto
Corinto (con il suo nuovo tipo di copertura fittile), ha il primato dell’innovazione. Alcuni
esempi per regioni e città principali:
• Nel 565 viene ristrutturato il temenos dell’heraion di Samo: viene costruito un enorme
diptero ottastilo ionico e un altare a con scalinata, attribuiti agli architetti e bronzisti
Rhoikos e Theodoros. Il modello diptero ottastilo samio si diffonde in microasia, che
raggiunge il suo apice nel medio arcaiscmo (570/510), con l’Apollonion di Didime a
Mileto e l’Artemision a Efeso ulteriormente impreziositi nei materiali (marmo) e nei
rilievi figurati di influenza anatolica. Sempre a Samo negli anni ’20 del VI secolo, sotto
Policrate viene ricostruito il tempio di Era, ma il diptero ionico rimarrà incompiuto a
causa della caduta della tirannide. La fine dello splendore architettonico della ionia e della
microasia (Thaso, Paro, Naxos) è segnato dalle gravi ricadute conseguite alle guerre
persiane.
• A CRETA non vi sono significative innovazioni, rimanendo usuale il modello a oikos,
come nei templi di Rhea a Festos e di Afrodite a Axos.
• A OCCIDENTE grazie a Corfù e Siracusa è molto presente l’influenza corizia. A
Siracusa viene realizzato l’Apollonion, un periptero esastilo dorico. Tuttavia il primo
periptero occidentale è di area achea: il tempio di Apollo Aleo a Crimisa (vicino
Crotone). I templi a oikos rimangono però a lungo preferiti ma associati a coperture fittili
innovative, come attestano i templi B di Himera e H di Megara Iblea. Le aree achee di
Metaponto e Poseidonia si caratterizzano nel medio arcaismo per l’apertura di grandi
cantieri dove l’ordine dorico viene reinterpretato secondo usi locali (nei capitelli e negli
elevati). Solo nel tardo arcaismo, l’area achea si apre anche a ionicismi come nel tempio
di Atena a Poseidonia e in quello di Era presso il Sele. Il tempio G di Selinunte
rappresenta l’apice di una competizione al gigantismo, iniziato tra le maggiori città (gela,
Siracusa e Agrigento).
I santuari panellenici
anche se i “greci” in un certo senso non esistono come gruppo omogeneo e compatto,
sotto un’unica identità nazionale, il loro culto e la loro religione ebbero il ruolo di unirli
e differenziarli dagli altri popoli, come dimostra l’esistenza di quattro santuari
panellenici, ovvero luoghi di culto extraurbani ma governati dalle principali città vicine,
accomunati dallo svolgimento di gare atletiche e musicali, solitamente nati per celebrare
la morte di un eroe.
• Santuario di Zeus a Olimpia (Elide): secondo le fonti, l’altare di cenere dedicato a Zeus
e il tumulo attribuito all’eroe Pelope esisterebbero già dal X secolo, quando il
santuario accogli già donativi dalle aree limitrofe; tuttavia è dall’VIII secolo, e in
particolare dall’istituzione nel 776 dei giochi olimpici, che Olimpia comincia ad
esercitare la sua influenza su tutto il Peloponneso e l’Occidente coloniale. All’interno di
un temenos quadrangolare, chiamato Altis, sorge nel VI secolo il primo tempio dorico
periptero dedicato ad Era (inizialmente in colonne di legno, poi man mano litizzate),
l’altare di ceneri viene spianato in favore di uno monumentale, mentre alla base della
collina di Kronos troviamo moltissimi tesauroi sia a oikos che distili in antis (votivi di
città magno-greche e siceliote); nello stesso periodo vengono costruiti i primi edifici
burocratici (bouletèrion e prytaneion). Entro il 457 viene costruito il monumentale
da abitazioni su un unico asse (Megaron, tipo Lefkandi) a disposizioni radiali, in cui stanze
non comunicanti si affacciano su un unico cortile: gli ambienti sono così differenziati per
funzione e una stanza più grande funge forse da hestiatorion comune. Un valido esempio è
quello di Himera in Sicilia, dove troviamo una stanza di rappresentanza, andron, più esterna,
ed aree private all’opposto. Infatti lungo il VI secolo, si accentua la necessità del privato,
manifestata da cortili chiusi e una maggiore parcellizzazione case. Una nuova tipologia è
quella che prevede un primo cortile, poi un corridoio trasversale (pastàs) suddiviso in più
stanza, poi un cortiletto interno (aulè). Solo nel tardo arcaismo diventano più frequenti
andrones privati, sedi di simposi, come nella “casa dei sacerdoti” di Halai Aixonides o come
l’edificio a “F” del Ceramico.
La produzione artistica
Sin dal VII secolo, i greci utilizzano il marmo estratto dalle cave per le loro sculture.
Egemone nella produzione e nel commercio risulta la zona delle Cicladi, Naxos dal VII al VI
secolo, poi superato da Paros sino al V. La scultura nassia si caratterizza per le grandi
dimensioni a volte colossali, per la grande richiesta sia in committenze pubbliche che private,
testimoniata dalle iscrizioni apposte alle statue donate. Così nel santuario di Apollo a Delos
troviamo la statua di Nikandre dall’Artemision, ancora vicina alla scultura dedalica ma
non più in pietra: dall’scrizione capiamo che fu dedicata da una famiglia aristocratica
(anathema) ma è anche un memoriale del donatore (mnema). Di committenza pubblica fu
invece l’oikos dei Nassi con il suo Colosso (10m x 32 t) e la “terrazza dei leoni. Una diffusione
locale hanno, invece i due marmi attici, quello dell’Imetto e quello del monte Pentelico.
Lungo l’arcaismo, oltre a svilupparsi la grande scultura templare e artistica, si vanno anche
a formare delle scuole artistiche; queste però non sono spesso bel definibili, sia causa di una
documentazione frammentaria, ma anche per la natura itinerante degli scultori a seconda
delle occorrenze.
Tipi iconografici e funzioni delle statue
Il modello che caratterizza tutto il periodo arcaico, nel campo della statuaria, è quello del
Kouros e della kore, ovvero raffigurazioni di uomini o eroi o dei (sempre raffigurati nudi) nel
primo caso e di donne o dee nel secondo. Si tratta di soggetti ancora molto rigidi (il cui unico
movimento può essere nella kore l’atto di sorreggere la veste o portare un dono nella mano)
ma proporzionati e con diverse funzioni: dall’anathema, al sema, alla semplice raffigurazione.
• Uno degli esempi più significativi è nel gruppo dei kouroi di Sunio (600) (santuario di
Poseidone): qui l’influenza della scuola insulare è evidente non solo nell’uso del marmo
nassio, ma anche nelle proporzioni (2 mt per essere visibile anche dal mare); mentre la
rigidità, l’acconciatura (che utilizza la tettighes) e i grandi occhi ricordano il mondo
egizio.
• Al santuario di Apollo invece appartengono i kouroi “Cleobi e Bitone” (580), gemelli
che trascinarono un carro ricco di donativi da parte della madre sino al tempio, per poi
morire per lo sforzo, attribuiti alla mano di Polymedes.
• Anche nella statuaria, i sami non potevano che spiccare, come accade in due donativi
all’Heraion di Samo: nel kouros colossale (5 m), dedicato da Isches nel 580 e nella kore
dedicata da Cheramyes, una figura “colonniforme” abbigliata come una dea, in un ricco
panneggio a pieghe parallele con orientamenti diversi: si tratta di una nuova tecnica
(attribuita alla bottega di Rhoikos e Theodoros) , che sostituisce la volumetria a piani
paralleli della scultura dedalica per una tubolare; o ancora nel “gruppo familiare” opera
di Geneleos (560/550) dove i figli seguono il modello greco (kouroi) mentre i genitori,
padre sdraiato e madre seduta, quello orientale.
• Dal 566 ad Atene cominciano le dediche all’Acropoli, divenuto ormai luogo privilegiato
e identitario della comunità. La dedica più antica è forse un premio per il vincitore delle
panatenee, un Moschòphoros (portatore di agnello, che è appunto il premio) in marmo
dell’Imetto: qui in una veste così sottile da far trasparire le nudità, troviamo una figura
molto geometrica con un chiasmo fra braccia dell’uomo e zampe dell’agnello e con il così
detto sorriso “arcaico” per conferire profondità al volto; con lo stesso scopo di premio
troviamo alla metà del VI secolo il “Cavaliere di Rampin”, dalla ricchissima capigliatura,
celebre per la sua ricostruzione da parte di Payne che trovo la testa al Louvre e il corpo
ad Atene e ne comprese l’appartenenza alla stessa statua. Nella “capitale” ateniese non
potevano che arrivare scultori da ogni parte e soprattutto ioni e insulari: Aristion di Paros
è autore della scultura funeraria di Phrasikleia o Kore con peplo (550) con le sue sei
trecce (donna che sta per sposarsi?) e nel peplo decorato con motivi parii ma con modello
tubolare samio, e nell’atto di porgere un melograno (la sua è una veste dorica per
eccellenza); forse divenne in seguito oggetto di culto, poiché possiede una ricca corona e
l’iscrizione “fanciulla per sempre”. Allo scultore Endoios è attribuita una statua
raffigurante la dea Atena (530) e dediche sull’acropoli come sul rilievo del ceramista
Panphaios (510). Ateniese è Antenore a cui è attribuita una kore dedicata da Nearchos
nel 525 (e anche le sculture del frontone orientale del tempio di Apollo a Delfi).
Scultura architettonica
Lungo il VI secolo architettura religiosa e scultura figurata si incontrano e mai casualmente:
le scene narrate e gli elementi scelti per decorare i templi sono tali, da trasmettere ai fedeli
non solo gli elementi mitici, storici, sociali e comunitari ma anche l’appartenenza “regionale”
del tempio attraverso gli ordini architettonici. Le prime decorazioni figurate appartengono
al tempio arcaico di micene (630) e all’Hekatòmpedon di Atene e anche i primi fregi ionici
(il fregio continuo ha origine ionica e forse microasiatica) sono altrettanto antichi,
testimoniati nel tempio di Era a Samo e di Yria a Naxos ma anche nel tempio di Apollo
a Didime e di Artemide a Efeso, con teorie di cavalieri o processioni senza soluzione di
continuità. In occidente le prime metope (origine dorica) sono attestate nell’Heraion del
Sele e nei templi Y, F e C di Selinunte.
• Un esempio scultoreo degno di nota è quello del tesauros dedicato dai Sifini a Delfi
(3/4 del VI secolo) dove oltre a un frontone decorato (il frontone sarebbe di origine
corinzia) con korai sotto forma di cariatidi, abbiamo un fregio continuo lungo tutto il
• Di tale marmo è decorato il frontone orientale del tempio di Apollo a Delfi (ultimo
trentennio del VI secolo, dopo l’incendio) con metope figurate nel pronao, nikai e sfingi
acroteriali, sculture con l’epifania di Apollo con la gigantomachia a Occidente e leoni che
abbattono tori a Oriente. Il tutto pagato dagli Alcmeonidi.
• Così nello stesso periodo, i rivali pisistratidi, abbellirono il tempio di Atena Polìas
sull’Acropoli con metope, fregio ionico e sculture in marmo pario su entrambi i frontoni
di cui quello principale (orientale) presenta una gigantomachia con esaltazione di Atena.
• I modelli descritti si diffondono a macchia d’olio e troviamo anche ad Egina nel tempio
di Atena Aphàia, frontoni con 1° e 2° spedizione troiana: qui le figure sono molto
articolate e riccamente policrome di maestranza attica ed eginetica.
I semata
Agli inizi del VI secolo si diffonde in Attica l’uso di segnacoli funerari non più vascolari ma
scultorei, con kouroi e kore a tuttotondo o stele con informazioni sul defunto o persino
sullo scultore. Tuttavia si cerca ancora di capire perché il fenomeno sia circoscritto
all’interno di questo secolo, interrompendosi attorno al 500/480: forse norme restrittive alle
spese per funerali e sepolture (secondo Cicerone equivalenti a non più di 10 uomini per 3
giorni), o la diffusione di ideologie egualitarie. Oltre alla già menzionata kore di Phrasikleia,
è da ricordare il c.d. kouros del Dypilon datato al 600, con i suoi 2,50 m di altezza, dalla
figura possente e tensione anatomica accentuata: reca un’iscrizione alla base in distici elegiaci
(metro del simposio, del genos) che mostra la sua appartenenza alla nobiltà oplitica. Il
kouros di Aristodikos (520), è il primo a ricercare un nuovo rapporto con lo spazio
attraverso le braccia portate leggermente davanti, e inoltre, con i suoi capelli corti,
rappresenta una nuova moda dell’aristocrazia e si avvicina all’eforo biondo (sotto)
Le stele ateniesi sono in marmo o pietra e presentano tre elementi: base, fusto alto e stretto
(2-3 m) spesso con decorazione figurata del defunto, e coronamento, inizialmente molto
usato il tipo a sfinge, poi sostituito (530) con il tipo ionico a palmetta.
gru e nelle anse Artemide Potnia e Aiace con il corpo di Achille, per un totale di 270
raffigurazioni, e numerosissime iscrizioni.
Dal 570 sino alla seconda metà del secolo, la pittura vascolare è dominata dalla figura dei
Pisistratidi, mentre il commercio di alcun atelier ateniesi si concentra tutto sull’Etruria:
abbiamo così tra 570 e 550 il cd “gruppo Tirrenico” di oltre 250 vasi (soprattutto anfore
ovoidi a collo distinto) che dotati di raffigurazioni mitologiche, contribuiscono a diffondere
la storia e la cultura greca. Tra questo gruppo, la firma del ceramista più famoso è quella di
Nikosthenes a cui si deve il fenomeno dei bespoken vases, ovvero la produzione di vasi di
forme etrusche.
Fra i suoi allievi, tra gli anni ‘30/’25, nasce la tecnica a figure rosse (fondo nero e figure
risparmiate in argilla) che permette attraverso le sfumature di conferire plasticità e
morbidezza al tratto, superando la bidimensionalità delle figure nere.
• Ad utilizzarla per primo, sarebbe stato il Pittore di Andokides (530/515): nei suoi vasi
“bilingui” (di cui l’altra metà è attribuita a Lysippides, ma più correttamente è lo stasso
pittore) cioè per metà a figure nere e per metà a figure rosse, non padroneggia ancora
bene la seconda tecnica, con particolari limitati e rigidi e un fondo bianco per la
carnagione femminile.
Durante l’ultimo ventennio del secolo, i pittori si sbizzarriscono e sperimentano, utilizzando
dal coral red (come i delfini di Exekias), alle figure nere su fondo bianco ma anche pseudo
figure rosse, cioè sovradipinte su vernice nera (tecnica “di Six”). I primi a padroneggiare
completamente la tecnica a figure rosse sono i cd Pionieri:
• Tra questi troviamo Oltos (520/500) e le sue oltre 100 kylikes a figure rosse e bilingui,
con soggetti epici mitici: Eracle e Poseidone, Eracle e la personificazione del fiume
Acheloo, amazzonomachie, vestizioni di guerrieri. In un’anfora troviamo un’eterea non
ateniese (scena saffica).
• Più legato alle scene di genere è Epiktetos (520/500) con i suoi tondi interni riccamente
decorati.
Solo alla fine del secolo, cominciano ad essere “aggiornate” e meglio padroneggiate le
tecniche dei Pionieri. Ne sono esempio i 135 vasi del pittore Kleophrades (500/475), con i
suoi soggetti dionisiaci e troiani. Famosa è l’hydria di Vivenzio con l’affresco dell’ultima
notte di Troia culminante nell’ira di Neottolemo che uccide Priamo mentre tiene in braccio
Astianatte morto (scene paratattiche). Abbiamo poi un’anfora a soggetto Dionisiaco (in
questo periodo si strutturano le feste a lui dedicate e le Nemee)
Un altro gruppo influenzato dai Pionieri è quello dei decoratori di kylikes che introducono
la bordatura a meandro nel tondo interno del vaso e si cimentano nella raffigurazione del
corpo umano prendendo spunto anche dalla nascente scultura severa, concentrandosi su
ricchi panneggi che lasciano trasparire le forme. Tra questi Onesimos (505/475) tra i cui
soggetti abbiamo un discobolo, la preparazione di un bagno e un flautista in sede di simposio,
Douris (500/460) con la sua vestizione di un guerriero, Makron (480/460) e il pittore di
Brygos (500/475), quest’ultimo riconoscibile per i puntini con cui decora le vesti, dipinse
scene simposiali: un uomo che vomita tenuto da una donna, anziano che si fa versare il vino;
originalissimo è il fondo di una kilix a fondo bianco con una donna che danza. Tutti loro si
concentrarono sul ciclo troiano di certo per il forte impatto che le guerre persiane e le loro
conseguenze avevano avuto nell’ultimo venticinquennio del secolo.
Ceramiche di altra provenienza
La ceramica arcaica CORINZIA non subisce alcuno stacco netto rispetto a quella
protocorinzia, venendo sempre preferite le teorie, le lotte o gli schemi araldici di animale, in
suddivisioni orizzontali. Vi è una certa standardizzazione da cui emergono poche personalità,
tra queste il pittore di un cratere del Louvre che rappresenta il banchetto Eracle alla
reggia di Eurythios. Dopo un periodo di forte influenza ateniese, alla metà del VI secolo la
vena creatrice corinzia si estingue, eclissando i manufatti dal mercato.
In LACONIA alla fine del VII secolo si era diffusa la tecnica a figure nere, con esemplari
molto curati nell’aspetto tecnico, con forme esemplate da quelle corinzie (kylix, piatto,
pisside) ma anche autoctone, come la làkaina. Poche decorazioni figurate si applicano alle
kylix come fa il Pittore di Arkesilas (575/560) con le sue ricche decorazioni naturalistiche
sulla scena principale della pesatura del silfio sotto sorveglianza del re di Cirene; o il Pittore
della Caccia, con un forte realismo dato dalla sola metà posteriore del cinghiale presente
nella scena.
A SAMO vi sono esempi di vasi figurativi, largamente influenzati dai “piccoli maestri”: figure
nere con dettagli non incisi ma risparmiati prima della cottura, prevalentemente a carattere
naturalistico più che mitico-epico.
A RODI, fra anfore e hydriai, troviamo un’evoluzione del Wild Goat Style orientalizzante
denominato “stile di Fikellura” (necropoli rodia). Anche dalla zona di Vroulià, provengono
kylikes e anfore decorate con motivi naturali come palmette e fiori di loto.
Di dubbia provenienza, ma definita “ceramica calcidese” è una produzione di oltre 400 vasi
a figure nere, con suddipinture bianche e decorazione eclettica, di ispirazione Attica ma con
influssi corinzi e ionici. La bottega avrebbe operato tra la seconda metà e la fine del VI secolo
a Rhegion, mentre una seconda bottega, definita “pseudo calcidese” protrebbe collocarsi e
Messina o in Etruria.
Il linguaggio delle immagini
Come abbiamo notato, sin dal periodo geometrico le decorazioni dei vasi non hanno una
funzione solo estetica, ma anche una didascalica, comunicativa, insomma sono dei veri e
propri mezzi di informazione sulla cultura e la società. Dal periodo arcaico, le pitture
vascolari contengono anche delle didascalie, utili agli studiosi moderni a comprendere un
mondo non identificabile con il nostro; ciò però non accade con i primi vasi di cui solo
un’attenta analisi ha potuto restituire il significato. Le pitture iniziali dei grandi vasi hanno
sono legati alla sfera funeraria, che poi si allarga a quella della guerra e della caccia, il tutto
in una predominanza nettamente maschile di significati, questo però ci porta a una prima
osservazione: è il mondo della polis ad essere rappresentato, sia nella sua componente mitica
sia in quella idealizzata della realtà. Per una comprensione quanto più larga possibile, i
ceramografi si attennero a degli schemi, magari per primi diffusi da personaggi di spicco:
così l’anzianità (barba) e la giovinezza (dimensioni ridotte, senza barba) oppure gli elementi
caratteristici delle divinità, sempre gli stessi: Poseidone e il tridente, Dionisio e il kantaros,
Atena e il suo elmo ecc. anche alcuni gesti sono schematizzati: una donna nell’atto di
sollevare il velo (apokàlypsis) raffigura un contesto matrimoniale. Il sacrificio è
rappresentato spessissimo, ma mai nell’atto di uccidere l’animale, quanto nel rito precedente
e successivo; mentre il simposio può essere ripreso sia nel suo svolgersi (klinai occupate dai
commensali) o alla fine (kosmos, scene di ubriachezza), spesso corredato da scene di amore
omosessuale. Connessa a quest’ultimo è la rappresentazione di scene di efebia, di palestra o
di giochi atletici, come nelle “danze armate” (pyrrhikè) tipiche in questi ambiti. Il mondo
femminile ha invece possibilità più limitate: scene di rito nunziale (abluzioni, passaggio da
una casa all’altra, svelamento), commiato tra la donna e il guerriero, scene di vita domestica
(filatura), ma all’opposto anche raffigurazione di eteree. L’unico ambito nel quale una donna
è rappresentata in un ruolo pubblico è quello Dionisiaco. Tanto legati alla costituzionalità
della polis, tanto attratti dal mondo selvaggio e privo di regole, la simbologia greca ebbe
degli esseri adatti a rappresentare tale mondo: sileni e satiri, centauri e amazzoni furono
ampiamente utilizzati, mentre al loro opposto incarnava il prototipo di saggezza, coraggio e
devozione alla polis l’eroe Eracle (dipinto in “tutte le salse”) e nell’ambito più strettamente
ateniese Teseo. Se la simbologia si ripete è dunque chiaro che i ceramografi si attenevano a
degli schemi, modelli iconografici associati stabilmente ad un significato ma riproponibile
su più soggetti; solo per fare un esempio, la celebre partita a scacchi di Achille e Aiace ricorre
più di 150 volte.
Forme e funzione dei vasi
A parte alcuni vasi monumentali, la ceramica non fu un bene di lusso, ma un oggetto di uso
quotidiano e per questo i vasi ebbero delle forme connessi alla loro funzione; al mutare di
quest’ultima legata ai cambiamenti sociali, anche forme e dimensioni dei vasi mutano: così
forme più piccole all’inizio del VI secolo, sono legate al disuso dei segnacoli funerari. In epoca
arcaica le forme si standardizzano, condizionate dal polo corinzio prima, e da quello attico
poi.
• L’Anfora contiene acqua, olio, vino e derrate solide, in epoca arcaica le sue varianti
principali sono l’anfora a collo distinto (corinzia) e quella a profilo continuo (ateniese) a
sua volta distinto nel tipo A con anse a nastro e piede modanato, e nel tipo B con anse a
bastoncello e piede convesso. Una sua variante (dal 520 in poi) è la pelikè.
• Il cratere, utilizzato per mescere acqua e vino, è il simbolo del simposio per eccellenza;
il tipo più diffuso è quello a colonnette (corinzio) ma con il cratere Françoise, nel secondo
quarto del sec. abbiamo il tipo “a volute”; nel terzo quarto, introdotto da Exekias, abbiamo
il raffinato cratere a calice forse facente parte di un servizio da simposio insieme allo tipo
“a campana”. Il deinos ha le stesse funzioni.
• Le kylikes usate per bere, hanno molte varianti: coppe dei Comasti e coppe di Siana,
quelle più slanciate dei Piccoli Maestri, infine quelle “a occhioni” di Exekias. Il tipo
corinzio per bere è la kotyle o lo skyphos, con orlo distinto e diffusione attica.
• Per bere vino abbiamo il kantharos a due anse e il kyathos, con una sola; mentre per
versare l’acqua l’hydria che per questa funzione possiede oltre alle due anse orizzontali
anche una verticale. Altre forme per liquidi sono l’oinochòe con collo distinto e orlo
trilobato e l’olpe con imboccatura circolare e corpo a sacco.
• Per la cura della persona abbiamo aryballoi e alabastra contenitori di profumi e
unguenti, così come le lèkythoi a collo stretto, di uso spesso funerario.
• Prettamente rituali sono il lebes gamikòs per i riti nunziali, e il loutrophòros sia
nunziale che funerario
• Thasos alla fine del VI sec si dota di un porto diviso in una zona militare e una
commerciale (difeso da un molo di 18 m), e di un’enorme cinta muraria, dentro al alla
quale vengono riorganizzate le strutture pubbliche, costruiti o monumentalizzati i
templi, e organizzate zone residenziali. La possente urbanizzazione portò la città a
dotarsi sin da subito di un sistema di drenaggio delle acque e di norme per l’igiene: il
reperto più importante che la città ci offre è la cd “stele del porto” un documento
epigrafico che riporta norme comuni per la gestione di un’area pubblica.
• Mileto presenta una struttura ortogonale, tradizionalmente datata dopo il 479, ma che
in realtà riprende l’impianto tardo antico e dunque non è stata ricostruita dopo la
distruzione da parte persiana, con due grandi quartieri (i cui punti di riferimento sono i
santuari di Apollo Delphinos e di Atena) la cui zona di cerniera è occupata dagli edifici
pubblici; la città costruisce anche una larga cinta muraria e si dota di strade prive di
gerarchizzazione.
• Il Pireo anche se è un demo e non una città, presenta un’organizzazione di altissimo
livello che comincia con le mura costruite da Temistocle (490), continua con Pericle che
ne affida il lavoro all’architetto Callistene (448) e si conclude nel IV sec. La penisola si
articola su tre poli: al centro la zona residenziale, poi le strutture pubbliche intorno ai
porti e infine i santuari. Il porto commerciale è il Kantharos (a Ovest) tanto che
l’Emporion con funzioni amministrative vi è costruito attorno, con le sue cinque stoà (la
più importante a nord è la makrà stoà). I porti militari di Zèa e Munichia e la
concomitante Hippodamia agorà sorgono a est. Ma non è tutto: a lasciare meravigliati è
la precisione con cui sono stati ricavati 12 isolati di 40x40,5 e di 46x46,5 con 8 abitazioni
11,50x20 m per ciascuno, la cui ideazione è attribuita a Ippodamo da Mileto. A ciò si
aggiunge una gerarchizzazione delle strade (5 o 8 m) una larga piazza da nord a sud di
14 m e una arteria principale larga 25 m che collega l’Hippodamia agorà con la collina di
Munichia,
• Turi fondata da Pericle nel 444 presenta la stessa organizzazione ortogonale con 4
grandi strade incrociate perpendicolarmente da altre 3: si creano così 4 plateià di
grandezze diverse, divise al loro interno da strade secondarie (stenopòi) il tutto in un
sistema rigidamente omogeneo e proporzionale. Ogni isolato ha un rapposto di 5:6 come
nel Pireo
• Olinto, ampliata dopo il 432, presenta un antico assetto sopra una bassa collina a sud
non ancora urbanisticamente complesso, e una parte nuova su una collina a nord ben
formata: isolati allungati di 35x86 ospitano ognuno 10 abitazioni di 17 m di lato su due
file separate da un un ambitus, un canale non sempre percorribile. Su questa north hill,
troviamo una piazzetta con stoai e fontane ma finora nessun santuario urbano. A valle il
IV sec vide nuovi ampliamenti con lo stesso sistema in cui per le abitazioni sono molto
più grandi.
• Rodi, che nasce dal sinecismo di tre grandi centri urbani (409) sarebbe un altro esempio
della maestria di Ippodamo (secondo Strabone); in realtà però questa data è troppo
lontana a quello del Pireo (sotto Temistocle nel 493),
ATENE negli anni che vanno dalla presenza di Temistocle a quella di Pericle, deve far i
conti con i danni subiti dall’invasione persiana ma allo stesso tempo può contare sulle enormi
entrate che la sua egemonia crescente le garantisce. Così oltre alle Lunghe Mura, nell’età
cimoniana viene ricostruito il tempio di Artemide Brauronìa sull’Acropoli, la Tholos dei
pritani nel Ceramico, e la stoà poikìle; il presunto ritrovamento delle spoglie dell’eroe Teseo
porta alla costruzione del Theseion. Un decennio dopo (anni ’70) viene ricostruito come un
periptero esastilo interamente in marmo e con fregi ionici il tempio di Atena ed Efeso e i
santuari di Atena e Poseidone a Sunio, il secondo dei quali è un periptero dorico in marmo
pario che funge da riferimento per i naviganti.
A OCCIDENTE le neonate tirannidi di Siracusa e Agrigento portano a una svolta del
linguaggio architettonico (decennio 480/70): a Ortigia sorge un periptero dorico in marmo
pario dedicato ad Atena con forti influssi dalla madre patria; a Himera sorge il “tempio della
Vittoria” (contro i Cartaginesi) con opistodomo e doppia contrazione angolare; le officine
cicladiche molto richieste nell’isola, spostandosi diffusero questo modello nei templi A e E
di Selinunte, C, D, L di Agrigento, nel tempio C di Gela ecc. Molto diverso da questa
tradizione è il tempio di Zeus Olympios di Agrigento, realizzato sotto Terone come un
grande recinto chiuso di semicolonne doriche con gruppi frontonali narranti la
Gigantomachia e l’ilioupersis, e all’interno una cella in pietra.
Sviluppo artistico dell’età severa
Le guerre persiane rappresentano un momento di cesura per l’arte greca, nonché un periodo
transitorio che culminerà con l’arte classica, ovvero l’apice di questa cultura riconosciuto
unanimamente. Insieme alla vittoria greca sui persiani, si manifesta quella siceliota sui
cartaginesi: questo parallelo contribuisce a dare una forte identità a tutti i greci, polarizzata
dalla vittoriosa Atene, che si manifesta in uno stile panellenico con strutture figurative e
materiali utilizzati, simili dalla Grecia continentale all’Occidente, noto come stile severo e
ascrivibile al trentennio 480/450. La necessità di ricostruire monumenti e templi trafugati
dal popolo invasore, favorisce lo sviluppo di tecniche specifiche e diversificazione nei
materiali: così avorio e oro per le statue di culto, bronzo per quelle a tutto tondo, marmo
pario per le sculture frontonali, acroteriali e per i fregi.
Le statue di questo periodo sono caratterizzate dalla resa naturale dell’anatomia, inclinazione
e torsione della testa per conferire movimento, più compattezza nei volumi, profilo e visione
frontale non più rese con piani separati; tra quelle più significative:
• L’Efebo Biondo (490/480) dove scompare il sorriso arcaico (per questo “stile severo”)
e capelli non sono più ricci ma ondulati.
• L’Efebo di Kritios che contrappone gamba portante e gamba libera, con un conseguente
innalzamento del bacino ma ancora statico nella zona toracica. Questa statua gli è stata
attribuita per la somiglianza ai bronzi dei “tirannicidi”.
Anche la scultura bronzea raggiunge il suo acme gli atelier di Atene, i cui numerosissimi
reperti ci permettono di ricostruire “scuole” e rapporti “maestro-allievi”. Egias, bronzista
dei greci sui barbari Persiani). Per convenzione tutto ciò è stato attribuito a un “maestro di
Olimpia” poiché Pausania riferisce il frontone orientale (di mano di Fidia) a Paios di Mende,
ma mancati accordi cronologici hanno fatto scartare quest’idea; quello occidentale ad
Alkmenes, attribuzione che oggi viene rivalutata per gli stretti rapporti con Fidia. Altre
opere di Aklmenes sono l’Hermes propylaios (sui propilei dell’acropoli), il gruppo di
Prokne e Itys, le statue di Efeso e Atena per il Kolonos Agoraios. Un elemento
caratteristico della Prokne è il suo panneggio definito di stile “bagnato” (aderente e
trasparente) la cui invenzione si lega al nome di Fidia (è presente anche nelle statue del
Partenone). I fregi del tempio sono dorici, poggiano sull’architrave liscia delle colonne; sulle
testate delle capriate poggiano i triglifi, o meglio due glifi centrali e due mezzi glifi ai lati.
A occidente, frontoni a soggetto narrativo sono attestati nel tempio di Zeus Olimpios di
Agrigento e in quello “della Vittoria” di Imera. Anche le metope figurate suggeriscono
immagini legate alla sfera del matrimonio. Nel campo della statuaria grande attenzione
merita la “dea in trono” di Taranto dove all’iconografia ionica si uniscono il panneggio e il
decorativismo attico.
La pittura
Il rapporto cromatico e figurativo che lega la pittura alle scene vascolari è molto stretto, ma
a noi è stato possibile conoscerlo per lo più attraverso descrizioni letterarie viste le
pochissime testimonianze dirette; tra queste le lastre della tomba del “Tuffatore” di
Poseidonia. A due pittori, forse appartenenti alla stessa bottega, è legata in particolare la
pittura di V secolo:
• nel tempio di Atena Arèia di Platea Polignoto da Thasos, attivo ad Atene tra 480 e 450
dipinse Odisseo e i proci, (mentre Onasia la spedizione di Adrasto a Tebe); nella stoà
poikilè del Ceramico dipinse l’esercito greco schierato davanti a Troia; nella Lèsche degli
cnidi a Delfi realizzo un ilioupersis e la discesa di Odisseo agli inferi; infine, nel Theseion
insieme a Mikon la Centauromachia e le storie di Teseo.
• Mikon, nella stoà poikilè dipinse la battaglia di Maratona e un’amazzonomachia
Essi dipinsero sempre su grandi lastre e non direttamente sul muro, seguendo lo stile del
periodo: megalografie anche di alcuni metri articolate per settori e singole scene in
composizioni complesse il cui fine era la decorazione di edifici pubblici. Nello stesso periodo
i pittori cominciano a dedicarsi alle scenografie per teatro, tra questi Agatharchos fu
scenografo di Eschilo.
L’età di Pericle
L’architettura della democrazia – sull’Acropoli
Negli anni in cui Pericle fu la figura politica incontrastata di Atene e della democrazia greca,
la città vide un programma di rinnovamento architettonico di cui il sovrintendente fu Fidia,
aiutato dagli architetti Ictino e Callicrate. Così le prime attenzioni furono rivolte all’Acropoli
che portava ancora i segni della distruzione persiana, e in particolare al PARTENONE
(448/438). La sua forma non ha precedenti: un periptero dorico con 8x17 colonne, se anche
per dimensioni è simile al tempio di Zeus a Olimpia, non si era mai visto, essendo di solito
dipteri; la ragioni di creare tanto spazio all’interno stanno nel fatto che il tempio fu costruito
per alloggiare la colossale statua crisoelefantina di Atena Parthènos creata da Fidia.
L’opistodomo è realizzato come un vestibolo che dà accesso a una sala posteriore sorretta da
4 colonne ioniche, configurando l’edificio come un tempio-tesoro per custodire le dediche più
preziose alla dea. Rivolto verso est, ma con l’entrata principale ad ovest, era necessario
percorrerlo e ammirarlo tutto, infatti, oltre alla struttura architettonica, ciò che tanto
colpisce dell’edificio è la decorazione fortemente figurativa e simbolica, opera certo di esperti
scultori guidati da Fidia.
• Il fregio ionico (445/438) (continuo) che corre lungo le mura esterne (160m x 1m di
altezza) della cella raffigura le panatenee, ma si tratta di due diverse processioni che
partono dall’angolo sud-ovest e si ricongiungono nel lato est con la consegna del peplo
sacro alla dea: entrambe immortalano la vita pubblica degli ateniesi, e la società divisa
per tribù secondo il sistema pre clistenico l’una e clistenico l’altra. Le figure sono a
bassissimo rilievo ma più sporgenti nella parte superiore del corpo per migliorare la vista
dal basso, inoltre, tutte in movimento divengono più statiche e solenni man mano che
arrivano alla fine della processione.
• Il fregio dorico (447/440) (metopa e triglifo) percorre tutto il perimetro esterno del
tempio: a est la Gigantomachia, a nord l’Iloupersis, a ovest l’Amazzonomachia (ateniesi
contro persiani), a sud Centauromachia (razionalità contro bestialità) e miti attici.
• I frontoni (440/432) rappresentano rispettivamente la nascita di Atena dalla testa di Zeus
spaccata da Efeso con una scure (orientale) e la gara con i carri di Poseidone ed Atena
per la supremazia sull’Attica (simboleggia il mercato ateniese, tra agricoltura e mercato
marittimo) (occidentale). Le figure sono a tutto tondo e convergono al centro nella scena
principale. Meritano attenzione i nudi maschili e il panneggio “bagnato” femminile di
invenzione di Fidia che prelude allo stile ricco degli ultimi anni del secolo.
• Alcuni accorgimenti architettonici degni di nota sono la curvatura dello stilobate verso
su in modo che da lontano appaia dritto, e le dimensioni maggiori delle colonne angolari
per lo stesso motivo, inoltre tutte le colonne hanno un entasis, cioè un rigonfiamento a
1/3 dell’altezza in modo da scongiurare che da lontano appaiano concave verso il centro;
i capitelli sono dritti e più piccoli rispetto a quelli di età arcaica; il triglifo cade in genere
sulle colonne.
• Nel 438 lo scultore realizza la statua crisoelefantina di Atena Phartenos, alta 12m e con
in mano l’Atena Nike e l’altra appoggiata allo scudo; alla base è rappresentato il mito di
pandora con figure in marmo bianco su lastre di pietra nera di Eleusi.
Nel 437 si apre il cantiere dei PROPILEI, accesso sacro all’acropoli, affidato a Mnesicle che
realizza oltre al corpo principale una sala da banchetti a nord e un santuario di Atena Nike
a sud in uno schema a anfiprostilo esastilo dorico e con 2 ali laterali tristili in antis.
L’orografia del terreno crea dei dislivelli colmati da gradini, e un doppio frontone sul
prospetto ovest. Il progetto è interrotto per l’imminenza della guerra del Peloponneso e, una
volta ripreso (427), viene costruito un nuovo tempio ad Atena Nike accanto ma staccato
dai Propilei. Si tratta di un anfiprostilo tetrastilo ionico (un modello insulare tardo arcaico
che “ritorna in voga” nel periodo classico) affidato a Callicrate e concluso nel 410, con un
fregio continuo sull’architrave scolpito e dipinto: a oriente una serie di divinità, mentre sugli
altri lati temi mitici di stile partenonico; le balaustre sono decorate con nikai ad alto rilievo
e decorate in bronzo in attività rituali: siamo nel periodo dello stile ricco di matrice fidiaca.
Infine viene realizzato l’ERETTEO (421/405) dove si concentrano una serie di culti: si
veneravano il tridente di Poseidone, l’ulivo di Atena, la tomba di Cecrope, l’altare di Zeus
Herkeios. Anche qui il terreno crea due aree separate a livelli diversi: la cella preceduta da
sei colonne ioniche è sullo stesso piano dell’acropoli, la parte a ovest (pandroseion) è 3m più
bassa e dunque contratta, ma il dislivello è risolto con un alto podio con un prospetto
tetrastilo in antis di semi colonne ioniche addossate a pilastri; l’accesso avviene da nord da
un portico tetrastilo sfalsato rispetto all’edificio principale. L’entrata ad est è caratterizzata
dalla “loggia delle cariatidi” 6 colonne a forma di donna con il peplo che danno sulla tomba
nel mitico re di Atene Cecrope, e attribuite a Alcamene, allievo di Fidia: esse stesse
diverranno simbolo della classicità ateniese adottata più tardi a Roma. Il fregio ionico è in
marmo bianco su pietra nera (quello che Fidia inventò per la Parthenos) e raffigura miti non
di precisa identificazione.
Viene stabilito il culto di Zeus Eleutherios e a lui eretta una stoà monumentale a con
avancorpi laterali conclusi da frontoni con acroteri figurati. Alla fine del V sec è databile
un’altra stoà a sud cioè un portico dorico a due navate che introduce a 15 hestiatoria, e un
Bouleterion. Durante la tirannide dei Trenta viene ristrutturato l’ekklesiasteron sulla Pnice
e invertito l’orientamento del theatron originario così che il bema, tribuna per gli oratori, si
trova a sud.
Anche i demi attici vengono travolti dalla prosperità dell’età periclea e fra questi soprattutto
Eleusi, dove viene ricostruito il Telesterion distrutto dai Persiani; a Ramnunte viene eretto
un periptero dorico in marmo dedicato a Nemesi; a Brauron oltre che ristrutturato il tempio
di Artemide si edifica un grande portico dorico a che da sugli hestiatoria; a Delos il
santuario di Apollo è arricchito con il cd “tempio degli Ateniesi” un anfiprostilo esastilo
dorico che doveva contenere nella cella un gruppo di sette statue.
Anche il Peloponneso, in via di ripresa dalla guerra, vede la costruzione di nuovi edifici: nel
santuario di Poseidone a Isthmia viene realizzata un’orchestra trapezioidale a teatron
rettilineo e nel santuario extraurbano d i Era ad Argo viene ricostruito il tempio della dea,
un periptero dorico di 6x12 colonne, distrutto da un incendio.
A Occidente la seconda meta del V sec vede l’ultima importante stagione architettonica, di
cui degna maggiormente di nota è quella di Agrigento con l’edificazione dei tempi peripteri
F, G e I (6x13 colonne, il modello è quello della madrepatria).
La rivoluzione classica
Il rinnovamento operato da Fidia sull’acropoli e il nuovo modello scultoreo ideato da
Policleto nel suo “Canone” costituiscono i perni attorno ai quali gira il concetto di classico,
inteso come “innovazione che diventa tradizione” lungo la seconda metà del V secolo.
Policleto, bronzista di Argo e attivo ad Atene tra 440 e 430, elabora un sistema di
proporzioni (es. il corpo 8 volte la testa) che poi concretizza più volte nelle sue statue:
• Nel 450 realizza il Doriforo (che porta la lancia), una figura a chiasmo (braccio destro-
gamba sinistra liberi, braccio sinistro-gamba destra non liberi) il cui movimento è
esasperato dall’appoggio della sola punta del piede della gamba libera, e da una o forse
due lance fra le mani.
• Nel 420 realizza il Diadoumenos, l’atleta che si cinge il capo con la benda della vittoria,
un’opera più tarda che mostra l’influenza di Fidia nell’attenzione per i chiaroscuri e nella
maggiore morbidezza della muscolatura.
• Al concorso di Efeso, svoltosi tra il 438 e il 432 e dove parteciparono tutti i maggiori
scultori del tempo (Fidia, Kresilas, e Phradmon), vinse con l’Amazzone ferita.
Fidia, ateniese esperto pittore, bronzista e marmista, realizza la statua crisoelefantina di
Zeus a Olimpia (non è certo se alla fine della sua carriera), e nel 465 il simulacro dell’Atena
Areia a Platea. Per l’acropoli crea una serie di statue votive: l’Apollo Parnopios, l’Atena
Promachos; per il thesauros degli ateniesi a Delfi realizza 13 statue raffiguranti gli eroi di
Maratona, e l’Atena Lemnia umanizzata e non in armi. Un simile numero di statue
testimonia che Fidia gestiva una “squadra” altamente specializzata e lo stesso valse nel
cantiere del Partenone. L’Amazzone che concorre alla gara di Efeso è un’opera tarda
caratterizzata da proporzioni sottili e allungate, con un chitone a pieghe sollevato dalla
donna per mostrare la ferita.
Allo scultore Kresilas, originario di Creta, si deve la statua-ritratto di Pericle in bronzo:
raffigurato in nudità eroica con elmo, lancia, e mantello (simboli della magistratura) è allo
stesso tempo un ritratto “reale” (il cranio è allungato così come era quello dello statista) e
“ideale”. Tra gli elementi scultorei che divengono “classici” nell’ultimo trentennio del V
secolo, troviamo gli acroteri a figure alate e dai ricchi panneggi: ne troviamo esemplari
oltre che nell’agorà di Atene, nel tempio degli Ateniesi a Delos, e nel Peloponneso nella Nike
di Paionis di Mende dedica al santuario di Olimpia da parte di Messeni e Naupatti. L’arte
classica di Atene, insomma, non si ferma ai confini dell’Attica, come mostrano templi decorati
con stilemi fidiaci e partenonici sparsi in tutta la Grecia: così l’apparato decorativo del tempio
di era ad Argo (dopo il 423), il fregio interno della cella nel tempio di Apollo Epikouros a
Bassai, i dioscuri e i fregi con le panatenaiche nel tempio ionico di Marasà a Locri (Magna
Grecia); l’Atena in trono di Taranto con la sua evidente influenza da parte della Parthenos;
l’acrolito proveniente da Morgantia o Enna di Afrodite con un panneggio esasperato in “stile
ricco” ateniese ecc.
Pittura e ceramica attica nella seconda metà del secolo
Sempre più per via letteraria che non per testimonianza diretta, conosciamo pochi nomi
legati a pittori di V secolo, periodo in cui ai tratti netti e lineari cominciano ad essere preferite
le macchie e le sfumature di colore, caratteristica di un certo Apollo di Atene. Ma il pittore
più celebrato del primo classicismo è Parrhasios di Efeso (collaboratore sia di Fidia che del
nipote Panainos) a cui dobbiamo la centauromachia al centro dello scudo do Atena
Promachos di Fidia. Ad utilizzare sia le sfumature di Apollo che la tecnica disegnativa di
Parrhasios fu Zeuxis di Herakleia a cavallo tra V e IV secolo.
Un uso più morbido delle linee, sfumature e chiaroscuri caratterizzano anche la pittura
vascolare di V secolo. Si possono distinguere in particolare due gruppi di ceramografi: Al
pittore di Achille, allievo del pittore di Berlino, è connesso il Gruppo del Canneto
specializzato in vasi funerari con scene di vita domestica o legate al defunto, in rosso su fondo
bianco, con molto uso di chiaroscuro; e il gruppo di Polignoto specializzati in grandi vasi
a figure rosse, che influenzarono grandemente la ceramica magnogreca del secolo. La prima
generazione del gruppo di Polignoto ha fra i suoi migliori esponenti il pittore di Coghill,
Regni e federazioni
Lo sviluppo urbano nel IV secolo
Il IV secolo vede la sempre più significativa monumentalizzazione e distinzione fra le città
ma ancora avendo come esempio la città periclea; l’elemento che più si afferma è la cinta
muraria, presente sia nelle città ricostruite dopo la guerra del Peloponneso, sia in quelle di
nuova fondazione tebana (Messene e Megalopoli). Ma a far restare estasiati i “turisti” del
tempo furono di certo le città fondate in Caria da Mausolo (della dinastia degli Ecatomnidi),
satrapo del re persiano, che prese parte alla rivolta contro Artaserse II (362), conquistò
buona parte della Licia, Ionia e isole greche e cooperò con i rodiesi e i loro alleati
nella guerra sociale contro Atene. Mausolo spostò la capitale da Milasa, antica sede dei
sovrani cari, ad Alicarnasso. La sua rivoluzione urbanistica che interessò oltre Alicarnasso
anche Priene, Cnido, e forse Rodi, mirava a dare nuovo vigore economico alla Caria legato
al commercio di grano proveniente dal nord e dall’Egitto. Queste città hanno in comune il
sinecismo fra cultura greca e orientale manifesta nei grandi palazzi del satrapo, e nelle
fortificazioni.
• ALICARNASSO fu fondata nel 377 ed è caratterizzata dai terrazzamenti dal porto verso
il promontorio di Zephira che ospita il mausoleo e il santuario di Apollo; il tutto in un
sistema ortogonale, con solo due porte urbiche nell’imponente cinta muraria. La
particolarità di Alicarnasso (ma anche delle altre citta di fondazione di Mausolo), come
scrisse Plinio, è la forma theatroeidès, cioè a teatro (semicircolare) per chi viene dal
mare, anche se questa definizione potrebbe più riferirsi alla spettacolare monumentalità
della città che non alla sua forma urbana.
• PRIENE la cui progettazione si deve all’architetto Pytheos presenta la stessa struttura
di Alicarnasso: terrazzata, con un’ampia cinta muraria con sole due porte d’entrata, si
articola su tre santuari, quello di Zeus e Asclepio (parzialmente identificati in Asia
Minore), quello di Atena Polias e quello di Demetra. Strade larghe 7 e 4 metri ed isolati
di 35 o 47 metri conferiscono una grande omogeneità alla città.
• RODI, per tradizione fondata nel 408 ma più probabilmente risalente alla metà del IV
secolo, presenta la stessa struttura del Pireo e Turi, con aree quadrate distinte da strade
principali (10 m) e reti di isolati (47x26m). Anch’essa theatroeidès, con edifici
rappresentativi intorno al porto, e un terrazzamento sino all’acropoli, non può non
raccordarsi alle precedenti.
L’impianto urbano di Kos
Nata da un sinecismo nel 366, la città di Kos è quella di cui possiamo meglio ricostruire
l’urbanistica e dunque quella che ci fa apprezzare meglio il livello di progettazione
urbanistica raggiunto dalle città di IV secolo. Possiede un’ampia fortificazione che abbraccia
poi il porto; l’impianto fa una netta distinzione fra quartieri residenziali a sud-est e zone
pubbliche che circondano l’acropoli. La città si presenta come una griglia di isolati (31x94m)
con andamento nord-sud e con tre vie principali e vie secondarie più strette. Alla meticolosa
precisione dell’impianto si contrappone la disposizione radiale dei monumenti presso il porto
(2 santuari di Afrodite e uno dedicato ad Eracle). A nord l’immensa agorà occupa le
dimensioni di 16 isolati (350m) ed è sollevata rispetto al livello del porto; gli edifici pubblici
e religiosi come il santuario di Hestia, e gli altari di Zeus e Dioniso, occupano la parte
meridionale che si conclude con una via che porta al santuario extraurbano di Asclepio.
Regalità e aristocrazia macedone
La Grecia del nord, e in particolare la Tessaglia, la Macedonia e l’Epiro, restarono a lungo
ai margini dello splendore politico e culturale del resto della nazione, basate su un sistema
cantonale non organizzato in poleis e con un’economia di sussistenza. Negli ultimi anni del
V secolo le cose cambiarono per la Macedonia, allorché la famiglia degli Argeadi, insediatasi
alle pendici del monte Olimpo, accentra su di sé il potere e sposta la capitale macedone da
Aigai a Pella, strutturandola come una vera polis greca. Ma la grandezza e la
monumentalizzazione della città si evolvono alla metà del IV secolo grazie al dinasta Filippo
II che da solo estese il potere macedone a nord e ad est, distruggendo Olinto e la Lega
Calcidica nel 348. Rivoltosi a sud, e sconfitti tebani e ateniesi nella battaglia di Cheronea del
338, Filippo costituì la Lega Ellenica, con sede a Corinto e con motivo anti-persiano,
traguardo di conquista che raggiungerà il figlio Alessandro III il Grande. Aigai, rimase
comunque un centro monumentale dove la parte più alta fu occupata dal palazzo di Filippo
in stretta connessione con il teatro e nei pressi dell’agorà sorse il santuario di Eucleia; la
caratteristica principale della città rimase la grande necropoli databile al geometrico, le cui
4 tombe più recenti conservate testimoniano il “tipo” prediletto dalla famiglia reale: la più
importante, forse appartenente allo stesso Filippo II, imita il palazzo reale con una facciata
monumentale, un anticamera e una stanza principale con vòlta a tutto sesto (allusione alla
dimensione cosmica e allo status di eroe), il tutto all’interno di un tumulo. La sepoltura si
rifà al primo poema omerico (funerali di Patroclo): le ceneri raccolte in un tessuto prezioso,
poi dentro una cassa d’oro e infine dentro una cista di marmo. È presente anche una donna
le cui ceneri sono avvolte in un tessuto di porpora e oro. Nelle casse corone auree e intorno
tutto un ricco corredo funebre che, a differenza della tradizione greca, include anche le armi:
due scudi di cui uno che riporta Achille e Pentesilea, due corazze, un collare tracico e un
gòrytos porta frecce; e con lo stemma dinastico della stella a 8 punte sulla cassa. In tutte e 4
le tombe reali (una forse appartenente ad Alessandro IV e le altre due troppo depredate per
attribuirle) sono presenti decorazioni pittoriche e fregi che mostrano l’esistenza di un’officina
di corte: in quella di Filippo una caccia reale, in una a semicamera del tutto priva di corredo
troviamo Demetra, le Moirai e il rapimento di una Kore (solitamente in tombe femminili);
non c’è dubbio sulla simbologia delle decorazioni: la famiglia reale è eroizzata e la tomba e
una sorta di casa ultraterrena. Sempre a Aigai a sud del teatro troviamo altre due tombe
(forse reali) parallele: la tomba Rhomaios e la tomba del trono, che attribuita alla madre
di Filippo, Euridice, presenta sul fondo un trono in marmo con spalliera decorate con il ratto
di Kore. Un’altra città che ci offre monumenti di spicco è Mieza dove, non solo troviamo in
Ginnasio per metà scavato nella roccia e per metà costruito che vide le lezioni di Aristotele
al piccolo Alessandro e alla sua cerchia, ma anche la cd “Tomba del Giudizio” a due piani
(8 m di altezza) e con fregio dorico (Centauromachia) e fregio ionico superiore (scontro tra
macedoni e orientali); negli intercolumnii 4 grandi figure creano l’illusione di uomini
retrostanti alla parete mentre il nome della tomba si deve alla raffigurazione del generale
(proprietario del sepolcro) condotto da Ermes al giudizio negli inferi. Un’ultima tomba nella
zona detta “delle palmette dorate” presenta una ricca decorazione vegetale nel soffitto del
vestibolo.
L’architettura di IV secolo
L’architettura tardo-classica vede nel Peloponneso di tradizione dorica e nella Micro Asia di
tradizione ionica le due aree maggiormente sviluppate e i cui due stile si frappongono e
intersecano. Uno degli esempi più significativi dell’architettura Peloponnesiaca è il tempio
di Apollo a Bassai dove le piccole dimensioni sono compensate dalla preziosità dello spazio
interno, arricchito dall’ordine ionico e dai capitelli corinzi, che qui appaiono per la prima
volta. Questo capitello si diffonde apparendo a Delfi nel santuario di Atena della Marmarià
dove un tempio a tholos (inizio IV sec) in marmo pentelico e attribuito a Teodoro di Focide,
possiede una peristasi si 20 colonne doriche e una fila di colonne interne più snelle accostate
alla parete e sollevate da un podio. Ancora a Delfi viene ricostruito il tempio di Apollo
(distrutto nel 373) affidato a Spintharos con la stessa planimetria ma accentuati elementi
peloponnesiaci. Per comprendere l’architettura dorica, indispensabile è l’analisi di due
templi, datati rispettivamente alla metà e al terzo quarto del secolo: il tempio di Atena Alea
a Tegea è un periptero esastilo attribuito a Skopas di Paro (tra coloro che lavoreranno al
mausoleo di Alicarnasso) ma dalla forma insolitamente allungata (6x14 anziché 6x12
colonne com’era in uso) per seguire l’impianto precedente e con semicolonne nel vano
interno, mentre il tempio di Zeus a Nemea conserva una forma più tipica (6x12) e senza
opistodomo, con colonne molto ravvicinate alle pareti all’interno in uno schema a . Da
entrambi possiamo ricavare due tendenze dell’ordine dorico: l’assottigliarsi delle colonne e
delle trabeazioni e l’aumento in altezza del fregio rispetto all’architrave, forse per la
maggiore importanza delle decorazioni; inoltre l’affermarsi del capitello corinzio, presente
in entrambi e attribuito a Skopas. Nel fervore innovativo del Peloponneso, non potevano
mancare commistioni ionico-doriche, come possiamo vedere nel santuario di Apollo
Pythios di Argo con capitello corinzio e capitello ionico a quattro facce. Il IV secolo vede
inoltre la preferenza per i templi prostili come nell’Atena Pronaia di Delfi (santuario della
Marmarià), nel tempio di Dionisio Eleuthereus di Atene ricostruito, e nel tempio di
Artemide nel santuario di Asclepio a Epidauro. Qui nel 360 sorge l’heroon a tholos di
Asclepio con una peristasi di 26 snelle colonne doriche e altre 14 corinzie con base attica
nel cerchio interno; riccamente decorate di motivi floreali bicromi, presenta simboli funerari
nelle metope del fregio esterno e capitelli corinzi sulle colonne interne. Non mancano
elementi peloponnesiaci neanche nel monumento dedicato da Filippo II a Olimpia dopo la
vittoria di Cheronea e denominato Philippeion, una tholos periptera di 18 colonne ioniche,
attribuito a Leochares (che lavorerà al mausoleo di Alicarnasso); dentro la cella semicolonne
corinzie su basamento curvilineo, ospitano le statue crisoelefantine dei membri della famiglia
reale; troviamo qui il primo esempio di fregio continuo e cornice a dentelli.
L’influenza greca sull’Asia Minore si evince dal progressivo uso di tombe a tempio (piuttosto
che a pilastro) come nel monumento delle Nereidi a Xantos (390/380), tempio periptero
di 4x6 colonne ioniche, nel cui fregio dello zoccolo e dell’architrave e sui frontoni sono
realizzate scene di guerra, caccia e banchetti, e le cui nereidi dai ricchi drappeggi non possono
che avere nell’attica i propri modelli; la diffusione dei modelli attici è inoltre chiara
nell’heroon di Limyra, tempio anfiprostilo con Korai al posto delle colonne. In questo
contesto che i satrapi della Caria, gli Ecatomnidi, commissionano scultori e architetti greci
per uno dei più ammirati monumenti della storia: il mausoleo di Alicarnasso. Voluto da
Mausolo nel 353 e continuato dalla moglie alla sua morte, il monumento progettato dagli
architetti Pizio e Satiro, si trova al centro della città raggiungibile attraverso un’alta
scalinata e un propylon; sopra un “dado” (45x45 e 40m di altezza) quadrangolare a più podi
sovrapposti in marmo bianco e pietra grigia di Kos, si erge una peristasi di 9x11 colonne che
sorreggono una trabeazione bipartita in architrave e cornice a dentelli e, infine, un tetto
piramidale a gradoni con una quadriga all’apice. Con più di 300 sculture e la partecipazione
di 4 dei più grandi scultori del tempo, Skopas (fregio con amazzonomachia), Timoteos,
Leocrathes e Briaxis, la struttura si trova immersa in un “giardino” marmoreo con sculture
idriche, mentre nella parte bassa orientale del dado si trova la statua di Mausolo a metà tra
uso greco nello “stile bagnato” e costume orientale (essendo la figura del tutto ricoperta
dall’abito) al centro di una processione. I fregi raffigurano Centauromachia,
Amazzonomachia e corsa dei carri.
Pizio realizzò anche il tempio di Atena Polias a Priene, altro esempio di architettura tardo-
classica datata al 350. Si tratta di un periptero di 6x11 colonne ioniche, con interno tripartito
e pronao profondo e opistodomo (di chiara influenza dorica). Agli architetti Paioniois e
Demetrios e allo scultore Skopas è legata invece un’altra delle sette meraviglie dell’antichità,
cioè il tempio di Artemide a Efeso ricostruito nel 356. È un diptero ottastilo con fronti
tristile, per un totale di 120m, con cella tripartita da due file di colonne con profondo pronao
e opistodomo tristilo in antis.
Gli scultori del IV secolo
Il mondo della scultura e dell’arte in genere risulta necessariamente diversificato rispetto a
quello di V secolo da due importanti fattori: la mancata centralità di Atene, il cui splendore
seppure ancora portatore di inspirazioni è ormai guardato retrospettivamente (mentre i
nuovi poli politici e culturali risultano essere le Leghe, i santuari della Grecia continentale e
le regioni greco-iraniche dell’Anatolia) e un rinnovato senso individuale e introspettivo
piuttosto che collettivo, che porta l’artista a non essere più solo il mezzo attraverso cui la
comunità vuole trovare espressione ma anche un individuo con propri valori e propria
personalità.
In questo contesto un vero polo di sperimentazione artistica è il già visto santuario di
Asclepio a Epidauro, dove Trasimedes, a cui è affidato il simulacro crisoelefantino del dio
con scettro, serpente e cane, di dimensioni pari alla metà dello Zeus di Olimpia, è affiancato
a oltre 200 artigiani. Tra i maggiori troviamo Timoteo (420) a cui è attribuito l’intero
progetto decorativo e la realizzazione dell’amazzonomachia del frontone ovest,
dell’ilioupersis in quello est, e degli acroteri con figure alate. Il solco è quello attico, con stile
ricco ma la composizione frontonale non è più simmetrica, bensì spezzata e serrata.
Interessante è la citazione arcaica (Kore) del frontone orientale. Ad Atene continuano le
committenze pubbliche con la statua di Eirene e Ploutos dell’agorà, realizzata da
Kephisodotos. Realizzata in onore della riapertura dei commerci ateniesi, la Pace tiene in
braccio un bimbo che simboleggia la ricchezza, in uno stile non ricco ma proto classico che
accentua l’intimo dialogo tra i due, quasi isolati dalla realtà. i maggiori artisti del tempo
furono:
• PRASSITELE. Scultore e bronzista, gli sono attribuite più di 40 statue tra cui “il Satiro
versante” (370) e l’Apollo sauroktonos (360) dio adolescente che fissa una lucertola su
un tronco e sta per colpirla (per la prima volta nel mondo della scultura appare un
elemento paesaggistico). Da quest’ultima in particolare vediamo l’innovazione dello
scultore: la statua è ampliata lateralmente quindi può essere osservata da un solo punto
di vista, inoltre il suo sguardo non incrocia l’osservatore, chiudendola nella sua sfera
intimistica. È lo scultore della fanciullezza e della quotidianità nella quale sono colti dei
minori e satiri dalle forme rilassate e pensose, che abbandonano le tensioni muscolari e i
solchi chiaro-scuri di Skopas. Sue realizzazioni sono poi la statua di Atena Brauronìa e
la celebre Afrodite di Cnido, che con la sua (nuova) nudità integrale crea un nuovo tipo
iconografico. La dea è umanizzata nell’atto di appoggiare un panno (che in realtà la
sostiene) su un’hydrìa prima di un bagno. Gli stessi elementi li troviamo nell’Hermes
con Dionisio bambino (343) del santuario di Olimpia, dove la flessuosità del dio adulto
e la dolcezza di quello bambino non hanno precedenti nell’arte classica. Per il santuario
di Latona a Mantinea realizza tre lastre raffiguranti tre muse che assistono alla sfida tra
Apollo e Marsia (anche qui sono presenti elementi paesaggistici).
• SKOPAS. Nato a Paro nel 390 e già mostratosi nel mausoleo, realizzò l’apparato
scultoreo del tempio di Atena Alea a Tegea (340), con metope figurate su pronao e
opistodomo e frontoni scolpiti con la caccia al cinghiale calidonio a est e il duello tra
Achille e Telefo a ovest. Di spicco furono i suoi acroteri femminili in volo dalla forma
elicoidale che conferisce massimo movimento e flessuosità alle figure di cui poi è esempio
culminante la famosa Menade di Dresda; mentre i volti di tutte le statue si distinguono
per la profondità dello sguardo reso dall’angolo infossato dell’occhio e il rigonfiamento
della palpebra superiore.
• LEOCRATES. Coetaneo di Skopas e attivo nel mausoleo, realizzò oltre all’Apollo del
belvedere collocato nell’agorà di Atene nel tempio di Apollo Patroos, la Demetra
seduta del tempio della dea omonima di Cnido; le sue statue sono caratterizzate dal
coloritismo e dagli ampi movimenti scenici. Autore anche di ritratti, realizzò la statua
crisoelefantina di Filippo II e della sua famiglia del Philippeion di Olimpia, e un
ritratto di Alessandro per l’acropoli di Atene.
• EUPHRANOR. Fu oltre che scultore, teorico dell’arte con un trattato sui colori e sulla
simmetria, poi applicato nella statua dell’Apollo Patroos con elmo corinzio e egida
obliqua del Ceramico la cui ricchezza di colori nel panneggio non ha precedenti; sono a
lui attribuiti anche due bronzi raffiguranti Atena e Artemide al Pireo.
LISIPPO
Una delle figure che più incarnano in passaggio dal periodo classico a quello ellenistico,
tradizionalmente iniziato alla morte di Alessandro, è quello che potremmo definire il suo
pittore di corte, ma non solo, Lisippo. Nato intorno al 390 a Sicione, auto formatosi come
bronzista, l’artista fu anche un teorico del corpo umano, studiando le proporzioni e il
movimento che renderanno senza eguali la bellezza delle sue sculture.
o Prima di lavorare per il Grande, gli fu commissionato dal tetrarca di Tessaglia Daochos
II la statua di Agias (parte di un donario per Delfi): già qui il suo canone è presente nelle
proporzioni della testa 1:8, che rendono la nuda figura di atleta, snella e armoniosa; in
fine occhi piccoli e infossati alla maniera di Skopas rendono lo sguardo profondo
dell’uomo.
o Per il santuario di Thespiai realizza nel 335 Eros con l’arco, che con il volto infantile e
la preziosa capigliatura, ha la sua novità nel corpo teso e curvato verso lo strumento e
nel braccio sinistro che attraversa il corpo.
I semata
Dopo i provvedimenti adottati tra VI e V secolo da parte della polis per limitare lo sfoggio
del lusso privato nelle tombe, il mutato assetto economico e l’accentuata stratificazione
sociale di Atene negli ultimi decenni del V e soprattutto nel IV secolo, portarono alla ribalta
la scultura funeraria, tanto in uso che gli artisti cominciano a specializzarsi, le lastre, quasi
esclusivamente in marmo pentelico e con motivi partenonici, recavano dapprima una
versione scultorea dei vasi funerari, cioè lèkythos e louthrophòros e il nome del defunto,
oppure poteva essere una stele stretta e lunga (stele di anthemion) con un motivo a palmetta
in cima; con il tempo la forma prediletta fu quella quadrangolare che offre più spazio al
disegno centrale che recò spesso immagini del defunto e della sua famiglia a iconografie fisse.
Oltre all’impianto decorativo, crebbe nei decenni la complessità architettonica dei
monumenti, divenuti alla fine del IV secolo edicole con podio (sempre più alto), colonne che
sorreggono il timpano con base e capitelli e che fanno da ante al disegno centrale,
dall’aggetto sempre maggiore e divenuto in alcuni casi statuaria a tutto tondo; ne è esempio
il monumento di Nicerato e Polisseno dell’acropoli ateniese di Kallithea. Questo reca un
fregio con l’amazzonomachia e uno con teoria di animali, un’edicola con colonne ioniche e un
fondo in pietra nera di Eleusi. Quando Demetrio del Falero emanò un provvedimento che
impediva la costruzione di monumenti più alti di tre cubiti, ci fu una vera e propria diaspora
di artisti specializzati che approdarono là dove l’uso della tomba monumentale si era
affermato, cioè a Rodi e in Magna Grecia (Taranto) dove il fenomeno comincia già a metà
del V secolo.
La pittura e la ceramica
Ancora per tutto il IV secolo le testimonianze pittoriche rimangono solo dalla riscoperta di
alcune tombe macedoni. Sappiamo però che le due scuole più significative della Grecia
continentale furono quella di Sicione quella attico-tebana. La prima continua con le
megalografie e si cimenta nelle pitture da cavalletto, annoverando fra i suoi artisti Pamphilo
e i suoi allievi Melanthio e Pausias ma soprattutto Apelle (350/300) a cui si attribuisce il
ritratto di Alessandro con la folgore; della seconda sappiamo ben poco ma tra i suoi artisti
si annoverano Euphanor (scultore e pittore della stoà di Zeus ad Atene) Nikias collaboratore
di Prassitele, Nikomaco e Philosseno. La ceramica attica di IV secolo pur mantenendosi di
alto livello e con gli stessi soggetti dell’ultima parte del V, vede un restringimento del
mercato alla sola Grecia e in particolare alla zona del Mar Nero, da cui la denominazione di
“stile di Kerch” per i vasi a figure rosse.
La ceramica italiota
La ceramica figurata italota può raggruppata in due grandi scuole, quella lucana e quella
apula, e periodizzata in antica (400/370), media (370/340) e tarda (340/300). Lo stile lucano
antico annovera fra i suoi artisti i Pittori di Policoro, quello di Palermo e quello delle
Carnee a cui appartiene un eccezionale cratere a volute con un thiasos dionisiaco; ella fase
media questa scuola conosce un regresso per poi divenire discontinua nelle ultime fasi.
Lo stile apulo antico si distingue in “plain style” con vasi con al massimo di tre figure e
destinazione funeraria, e “ornate style” il cui massimo esponente fu il Pittore della nascita
di Dioniso che nel cratere a volute omonimo rappresentò il dio bambino nato dalla coscia di
Zeus al cospetto di molte divinità disposte su più piani. Nella fase media emerge sempre più
il carattere funerario dei vasi, dal momento che il Pittore dell’ilioupersis introdusse stele e
monumenti nei propri crateri forse utilizzati come segnacoli di tombe; ancora ricordiamo in
questa fase il Pittore di Licurgo e il Pittore di Felton, tra i primi a introdurre scene di
farsa teatrale nei propri vasi. Nella fase tarda, il consumo delle ceramiche tarantine sembra
decrescere ma aumentale le commissioni da parte di popoli italici non greci. Tra i suoi artisti
emerge Pittore degli Inferi, i cui vasi sono senza fondo e quindi esclusivamente
ornamentali: le sue scene richiamano la conquista macedone dell’occidente e la venuta del
Molosso in Italia meridionale, con vasi dal gran numero di personaggi su più file e tantissime
decorazioni naturali simmetriche da cui emerge a volte una figura femminile. Continua la
raffigurazione di stele e tombe, ma si sviluppano anche figure androgine e dei o eroi con il
nimbo (sorta di aureola). Infine si affermano i cd “piatti di pesce” una forma attica decorata
con molte varietà ittiche. A partire dal 300 la ceramica figurativa italiota va spegnendosi per
via dell’artigianato ellenistico e della produzione dell’emergente Roma, chiudendo la
lunghissima stagione dell’arte vascolare greca.
L’ellenismo (323/31)
Alla morte di Alessandro, la nascita dei regni dei diadochi continua e consolida quella
commistione fra mondo greco e mondo orientale a cui Droysen diede il nome di ellenismo.
Uno dei tratti fondamentali dei nuovi sovrani fu la ricerca di consenso e l’uso di una
propaganda serrata al fine di non essere abbandonati dal popolo e soprattutto dall’esercito:
così le città e in particolare le capitali divennero veri e propri palcoscenici dove manifestare
la ricchezza e l’evergetismo; edifici monumentali, vie sacre, abbigliamenti da parata, tutto
intriso di simbologie che esaltavano il sovrano erano preseti in ogni luogo.
Si sviluppa anche la cd “architettura effimera” costituita da strutture provvisorie o
comunque finalizzate a un dato evento, realizzate in legno ma poi rivestite di lamine d’oro e
d’argento, marmi sottili, pietre preziose, quadri, drappi e stoffe al fine di lasciare di stucco
gli spettatori.
• La pira di Efestione, amico di Alessandro morto nel 314, è un ottimo esempio di questo
tipo di architettura: sotto l’architetto Stasicrate, fu eretta una struttura piramidale di 65
m di altezza e 180 di lunghezza, alla cui base su uno sfondo rosso porora, Alessandro fece
disporre la prua di 240 quinqueremi con scolpiti a fianco di ogni una 2 arcieri persiane
un fante macedone a rappresentare la riforma dell’esercito alessandrina; nel basamento
successivo furono scolpite delle torce di 5 metri che unite tra loro da aquile dalle ali
spiegate, creavano una sorta di colonnato che alternava scene di caccia; salendo di un
gradone, un altro fregio continuo con la centauromachia e teorie di leoni; all’apice armi
macedoni e barbare e sirene cave che dovevano ospitare i cantori del canto funebre.
• Situato su una cittadella della penisola di Lochias, il padiglione per le feste in onore
del dio Dionisio di Tolomeo II, traeva spunto dai grandi palazzi persiani e allo stesso
tempo dalle tombe macedoni. Possedeva una pianta quadrangolare e tre “navate” di cui
quella centrale più alta, con vòlte a botte e galleria a . All’ingresso erano disposti molte
sculture come in una scena teatrale.
Atene
Rodi
Distrutta dall’assedio di Demetrio Poliorcete (305) e da un terremoto circa 70 anni dopo,
della Rodi di IV secolo resta ben poco. Tra i monumenti sopravvissuti abbiamo lo
Ptolemaion in onore di Tolomeo I Soter (una struttura ginnasiale porticata, lunga uno
stadio) e il tempio di Atena polias e Zeus polieus, dorico prostilo esastilo, con pronao
tetrastilo in antis di ordine ionico e colonnato interno a di ordine corinzio. Sull’acropoli
Kos
Alla metà del III secolo, quando il tempio di Asklepio diviene panellenico (242 feste
dei Megàla Asklepieia), tra doni di Tolomei e Attalidi, l’isola è travolta da un moto di
rinnovamento architettonico anche di edifici già presenti. Su un ampio terrazzamento a
tre piani e rivolto verso le coste della Caria, l’Asklepieion viene inserito in una
composizione con stoà, scalinata e propilon e posto sopra un podio; le tre terrazze le
cui scale di accesso sono impercettibilmente non allineate, hanno funzioni diverse: la
prima possiede un bosco sacro sede del culto originario e un piazzale chiuso da tre lati da
una stoà dorica; la seconda comprende il tempio B di Asclepio, distilo in antis ionico
in marmo, l’altare monumentale, l’hestiatorion e una stoà per i doni votivi; la terza
racchiusa da stoai doriche fungeva da punto di accoglienza per i fedeli. È al II secolo che
risale il maggiore dei templi dedicati ad Asclepio, un periptero dorico di 6x11 colonne
posto sulla terrazza più alta. Nello stesso secolo si aggiunge il tempio d Zeus nella
seconda terrazza e in quelle più bassa si aggiunge un propileo dorico anfiprostilo che
giunge alla città.
Samotracia
Nell’Egeo del nord, sull’isola di Samotracia sorge il santuario dei Grandi Dei che ha
origini arcaiche ma viene monumentalizzato a partire dal IV secolo. Qui veniva venerata
la Grande madre (poi associata a Demetra) insieme a Afrodite Zerinthia, a Kadmilos (poi
Hermes) e al dio degli inferi e la sua sposa. Il santuario dai culti in parte misterici, diviene
quasi panellenico grazie anche al dramma riprodotto in occasione del Hieros gamos,
prima in onore degli dei inferi poi successivamente anche per Dionisio. Il santuario è
delimitato da tre fiumi e l’ingresso era il propilon di Tolomeo II a cavallo del corso
d’acqua più orientale, prostilo esastilo ionico verso est e corinzio verso l’interno. L’area
teatrale fu dedicata da Filippo II e lì vicino sorge l’Arsinoeion dedicato alla figlia di
Tolomeo I, che con i suoi 20m di diametro è la tholos senza sostegni interni più grande
del mondo greco. Il primo grado di iniziazione misterica avveniva nell’Anaktoron,
edificio rettangolare, mentre il secondo e ultimo grado nello Hieron edificio rettangolare
con fronte prostila esastila dorica con due file di panchine laterali per gli iniziati e due
escharai. Nel tempio vi era anche l’altare a corte dedicato da Filippo III con 4 colonne
che racchiudevano il vero e proprio altare e una stoà dorica per i doni votivi subito a nord.
Alilà del fiume mezzano sorgeva il teatro e una grande stoà dorica a due navate che
faceva da skene; a sud un donario costituito dalla prora di una nave con in cima una Nike
per un’altezza di 5 m complessivi (prima metà del II sec). più a nord tre hestiatoria e il
donario Neorion, edificio rettangolare a due navate divise da 5 colonne e una nave
monumentale (metà III secolo).
La corte pergamena
Pergamo si sviluppa tra III e II secolo, ma continua ad essere un fulgido centro anche
durante il dominio romano (cosa che rende difficile circoscrivere le opere di periodo
ellenistico). Superate le battaglie contro i Galati ricordate con i preziosi monumenti dedicati
alla vittoria sia nel santuario di Atena Nikephoros (di cui è da ricordare l’immensa biblioteca
in competizione con quella di Alessandria), sia sull’acropoli di Atene, raggiunge il suo apogeo
con Attalo I e con Eumene II. Successivamente sotto Attalo II, infatti, la città subisce un
duro saccheggio (158) da parte del re della Bitinia, Prusia II che occupa il santuario di
Asclepio e quello di Atena Nikephoros. Ripresasi dal duro colpo, verrà definitivamente
ceduta a Roma da Attalo III nel 133. L’assetto urbano scenografico della città, solo in parte
(zona monumentale e pubblica) non ascrivibile agli impianti ortogonali di età ellenistica,
lasciò stupiti già i primi visitatori per il modo in cui asseconda l’orografia del terreno; solo
la zona dell’abitato portata a 90 ettari e dentro la cinta muria realizzata da Eumene II,
presenta una struttura ortogonale con isolati di 35x45m. l’acropoli si sviluppa invece su tre
nuclei raccordati da una strada che si snoda lungo il pendio:
• Il primo e più alto nucleo si snoda su terrazze disposte radialmente attorno al teatro,
comprende il santuario di Atena Polias con il suo tempio periptero esastilo dorico e le
residenze dei sovrani all’interno di una cinta muraria che ne fa una cittadella
indipendente, al di fuori del quale vi sono il santuario di Zeus e l’agorà superiore.
Questo primo impianto, insieme al santuario di Demetra su di un’altra terrazza, è forse
già attribuibile al regno di Filetro;
Alessandria
Di Alessandria ci sono pervenute molte testimonianze, prima fra tutte quella di Strabone,
che però la ritraggono in un momento più tardo. Così nonostante delle verifiche incrociate
(con i reperti) ad oggi restano ancora molti dubbi sulla sua fase ellenistica. Sappiamo che già
Tolomeo I e Tolomeo II le diedero un grande assetto monumentale; al secondo si deve
l‘Heptastàdion, il collegamento artificiale fra l’isola di Pharo e la terra ferma, lunga appunto
7 stadi (1260m); l’omonimo Faro invece apparterrebbe agli ultimi anni di Tolomeo I ed è
attribuito a Sostrato di Cnido (lo stesso che ne progettò la planimetria): costruito in calcare
bianco con inserti di granito rosso, presenta tre piani sopra un alto basamento di 30x30 e
135m di altezza, uno parallelepipedo, uno come un prisma a 8 lati e infine un cilindro su cui
svetta la statua in bronzo di Zeus Soter o forse Helios, Poseidone o Tolomeo stesso. Con il
suo sistema a specchi in grado di illuminare per 50 km è considerato una delle sette
meraviglie del mondo antico. Nonostante la presenza di due agorà, il centro della città è
rappresentato dal sema di Alesandro attorno cui si snodano i Basilea, che riprendono le
fattezze dei palazzi reali achemenidi immersi dei loro paradeisoi naturali. Un ingresso
monumentale che introduceva a un ambiente colonnato era sede per ricevimenti e banchetti,
mentre le attività culturali si svolgevano nel Mouseion: affidato a Demetrio del Falero,
allievo di Aristotele perché lo facesse simile al di lui Liceo, l’edificio somigliava a un ginnasio
con corte colonnata, il perìpatos, su cui si affacciava una grande esedra, un incavo
semicircolare, sovrastato da una semi-cupola, posto spesso sulla facciata di un palazzo (ma
usato come apertura in una parete interna); al suo interno vi era la più grande biblioteca del
mondo antico. Un vero e proprio ginnasio di uno stadio colonnato si ergeva nelle vicinanze.
A Tolomeo II si devono edifici per spettacoli come il grande teatro e lo stadio, e per il culto
come il santuario di Poseidone, e un tempio per il culto di Adonis nonché l’istituzione degli
Ptolemaeia; in onore dei suoi familiari troviamo luoghi di culto come il Berenikeion e
l’Arsinoeion. Ma i Tolomei fusero anche il culto dionisico con quello di Osiride e Serapide
al secondo dei quali fu dedicato il Serapeion, un vasto piazzale rettangolare circondato da
portici a cui si accedeva da due propilei tetrastili; in posizione decentrata vi era il tempio
prostilo tetrastilo corinzio dedicato al dio, a ovest di questo un’hestiatorion con 4 ambienti
preceduto da un unico portico colonnato, a sud l’Edificio a T e l’Edificio sud in
comunicazione tramite passaggi sotterranei. Nella necropoli troviamo uno stile barocco
negli Ipogei dalle elaborate facciate: semicolonne e quarti di colonne, ordini architettonici
sparati dalla loro sede logica, frontoni spezzati o curvilinei sono solo alcune delle innovazioni
alessandrine. Un elemento che avrà grande eco nel mondo greco è l’uso di portici in un’intera
via, la via Canopica, per ben 100 piedi. Infine, tra le parti architettoniche più diffuse
troviamo il pilastro cuneiforme, i capitelli corinzi piuttosto che ionici e dorici, ed altri egizi
come le columnae caelate con fusto decorato con foglie di acanto a spirale.
le città asiatiche. Nel frattempo, però, la città accrebbe la sua zone urbana con abitazioni di
lusso, case semi private per le società e luoghi di riunione.
L’architettura ellenistica in Occidente
A partire dal IV secolo si registra in Magna Grecia e in Sicilia una ripresa dell’edilizia, benché
ormai molte terre siano in mano di italici e cartaginesi. Sotto la spinta di Timoleonte l’isola
conosce una nuova stabilità, manifestata da nuove costruzioni come il tempio distilo in
antis nell’agorà di Megara Hyblaia, dove si utilizzano le stoai per organizzare lo spazio
urbano come in madrepatria, o con il rinnovamento del santuario exastraurbano di
Agrigento dedicato ad Asclepion, con un piccolo tempio distilo in antis su un podio, la cui
facciata posteriore esterna a semicolonne anticipa le decorazioni del tempio di Asclepio a
Epidauro. Poco dopo il periodo di Timoleonte si affaccia sulla scena siceliota il teatro ad
orchestra rinnovato la città di Siracusa da cui poi prenderanno spunto italici e romani: la
skene è organizzata su due livelli al di sopra del proskenion ed ha ordini architettonici
sovrapposti e racchiusi da paraskenia. In Magna Grecia tra IV e III sec riprende l’attività
edilizia di Metaponto dove un nuovo teatro dalla forma di analemma (muro di
contenimento) doppio ad andamento poligonale e sormontato da un portico dorico
sostituisce l’ekklesiasteron arcaico. Taranto mostra una grande creatività manifesta nella
sua architettura funeraria: nelle tombe a naiskos, con edicola sollevata da un podio
modanato, gli ordini architettonici si combinano in maniera originale: l’ordine ionico con
capitelli corinzieggianti, e i podi hanno trabeazione dorica. Nella fase medioellenistica è
Siracusa a vedere il maggiore splendore architettonico, grazie a Ierone II a cui si deve il
tempio di Zeus Olympios e il quartiere di Neapolis terrazzato e organizzato con una
grande stoa a , così come l’altare eretto presso il teatro, lungo uno stadio e sollevato su
un podio. Oltre a Siracusa intervenne a Morgantina con la costruzione di un ekklesiateron
e tre stoà, a Megara Hyblaia con il tempio di Zeus e a Tauromenio con un tempio esastilo
periptero. Sempre a Tauromenio si manifesta l’influenza greco-alessandrina con la
costruzione del tempio dedicato a Serapide, così come a Siracusa con il santuario dedicato
alle divinità egizie di Akradina, simile a un teatro.
di ambienti; una tholos con finalità sacre si apre a sinistra dell’ingresso. Il palazzo di Pella
voluto dal re Archelao non è stato rinvenuto ma nell’agorà della citta troviamo alcune
abitazioni aristocratiche come la “Casa di Dionisio” su tre corti successive che ricoprono un
intero isolato. Innovativo risulta il palazzo di III secolo voluto da Demetrio Poliorcete
a Demetriade: qui su due cortili quadrati, di cui uno con peristilio di tipo rodio ai cui angoli
vi sono 4 torri angolari, si aprono due piani di ambienti. I sovrani pergameni stanziano
sull’acropoli i loro palazzi, di cui i due meglio conosciuti sono il “palazzo 5” di Eumene II e
“il palazzo 4” più antico, entrambi con corte a peristilio; il palazzo di Eumene II è il doppio,
possedeva probabilmente due piani e un peristilio dorico. A Delos la grande massa
multiculturale che occupa la città, divenuta porto franco nel 166, crea un grande processo di
urbanizzazione dove i palazzi hanno la caratteristica comune del peristilio rodio con un
lato più alto a nord. Anche in Sicilia si sviluppano palazzi colossali come quello di Megara
Hyblaia (IV-III sec) “Casa 49,19” che possiede 23 ambienti intorno a due corti per un totale
di 1000 metri quadri; o quelli di Morgantina e Locri Epizefiri. A Pompei invece, nella famosa
“Casa del fauno” dove fu ritrovato il mosaico di Alessandro e Dario, abbiamo esemplificato
lo sfarzo e il lusso della classe dirigente italica con ben 2940 metri quadri di superficie.
con fregi a motivo vegetale o scene figurate come nella cd “tomba di Kore” a Verghina
(raffigurante il rapimento della dea) o nella tomba di Filippo II con una scena di caccia che
comprende lui e Alessandro. Alla fine del IV secolo sia il mosaico che la pittura parietale si
diffondono in Magna Grecia e ne abbiamo un ottimo esempio nell’ipogeo della Medusa ad
Arpi che sia nel vestibolo che nella camera sepolcrale possiede uno zoccolo in stile strutturale
e un fregio di tipo figurato, insieme a un mosaico policromo. Lungo il III sec lo stile
strutturale arriva a ricoprire l’intera parete e utilizza anche elementi ad aggetto come
colonnette e cornici (ancora a Delos troviamo i massimi livelli raggiunti in questo periodo).
A partire dal II sec anche l’esterno delle abitazioni viene dipinto, con ingressi a scene
domestiche, di libagione o di sacrifici.
La cultura funeraria
La tomba al pari dell’abitazione non cessa durante l’ellenismo di essere un indicatore sociale
ed anzi sulla spinta e l’esempio dei diadochi si diffondono sepolcri sempre più lussuosi, in
particolare nelle capitali dinastiche; queste tombe sono accomunate da due fattori: il rito è
quello dell’incinerazione, mentre la costruzione è ipogea a tumulo o inglobata in un
monumento. Questo tipo, molto diffuso in Macedonia non si diffonde in Grecia in senso
stretto, ma prende piede nelle zone settentrionali e in Magna Grecia dove Taranto dal 330
sino al I secolo ci offre molti esempi, con vano monocellulare e letti funerari costruiti o
scavati ella roccia. Il caso limite è l’ipogeo di via Genova con le sue 4 camere. Anche Napoli
e l’Apulia conoscono il fenomeno. La Puglia meridionale ha come unico esempio la tomba
bicellulare di Vaste con prospetto decorato da cariati e fregio con carri; a Canosa si passa
dalle tradizionali tombe a grotticella a vere e proprie dimore sotterranee con ambienti
disposti attorno a un vano centrale; ad Arpi torna a fare da esempio la tomba della Medusa
con vestibolo colonnato ionico, lungo dromos e tre camere trasversali con vòlta a botte. Ad
Alessandria si diffondono gli ipogei scavati: da una scala a pozzo si raggiunge un cortile a
cielo aperto per riti funebri, attorno al quale si affacciano i vani sepolcrali.
Oltre alla tomba vera sono i semata a esprimere le condizioni economiche e sociali nel ceto
alto e medio-alto. Queste sculture riprendono in maniera ridotta (ma a volte anche colossale)
un stile a metà tra il sepolcro ateniese e il mausoleo di Alicarnasso. Come detto in precedenza
è Taranto a spiccare per tipologie di semata, accostando a tipi come la tholos, la stele o la
stele a colonna su gradini, il tipo a naiskos, con fregi figurati, figure acroteriali e ordini
architettonici misti che danno vita al cd “ordine tarantino”. A Rodi troviamo un tipo
rielaborato, la naiskos su basamento. Il tipo a mausoleo lo troviamo invece a Belvi, vicino
Efeso, forse appartenuta a un sovrano di III sec.
Per tutto il periodo ellenistico continua l’usanza del corredo funebre che diviene più sobrio
verso il II sec; sono ancora le donne ad avere un ruolo rappresentativo centrale in continuità
con il periodo arcaico.
mezzo di espressione degli artisti e della loro lingua figurativa, così la ceramica più diffusa è
esclusivamente verniciata di nero, oppure quella pria di rivestimento.