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FILOSOFIA ANTICA- RIASSUNTO CAPITOLI

PRIMO CAPITOLO-SOCIETA' E CULTURA IN GRECIA(VII-V): La civiltà micenea crolla nel secolo 11 a causa
di una serie di invasioni dei popoli stranieri. Questo porta alla migrazione dalla madrepatria verso le
coste dell'asia minore di una popolazione che avrebbe assunto il nome di Ioni. Nella migrazione, gli ioni
riproducono le stesse forme di organizzazione ; per questo periodo la grecia appare svolgere un ruolo
periferico. Tra il secolo ottavo e il settimo secolo affluiscono da oriente, passando per la Ionia, una serie
di innovazioni tecnico-economiche.

· estrazione e lavorazione del ferro

· il conio della moneta metallica

· lo sviluppo di un'economia monetaria

· formazione di ceti come commercianti, usurai..

Questo da luogo alla trasformazione delle comunità agricole, in città ad economia mista. La città ionica è
fondata sull'aristocrazia e il suo polo è l'acropoli, che assicura il dominio sulla città(l'aristocrazia rimane
legata alla terra come fonte di ricchezza). L'altro polo della città è la piazza del mercato, l'agorà, dove si
muove la folla di commercianti e di contadini impoverini che hanno abbandonato la campagna. Questa
aggregazione sociale forma il demos, il popolo, aiutato a far propri gli strumenti necessari per la crescita
politica e sociale con l'avvento della scrittura alfabetica. La scrittura micenea a causa della sua difficoltà è
sempre rimasta patrimonio di un ceto chiuso, e si distrusse come la società micenea. La scrittura
alfabetica rappresenta un mezzo potente per la laicizzazione e democratizzazione della cultura. La
tensione sociale tra agorà e acropoli interessò tutte le città.

identifichiamo come la cultura viene prodotta e recepita

· cultura sacerdotale: raccolta intorno al santuario di Apollo e Delfi. La tradizione verrà potenziata
da Pitagora, Parmenide, Eraclito

· cultura tecnico-scientifica: ha i suoi centri a Mileto ed Atene

· cultura poetica: legata agli aristocratici

Per tutto il periodo in Grecia non vi è nessuna forma di istituzione culturale e scientifica stabile. Non si
può quindi parlare di scuole se con il termine si da il valore che avrebbe assunto nel quarto secolo con
Platone ed Aristotele e con l'istituzione del museo di Alessandria.

Per quanto riguarda i testi per la trasmissione di cultura, non bisogna pensare a libri o trattati di tipo
moderno, bensì alla trascrizione di una comunicazione nata in forma orale.
CAPITOLO 2- NATURA SCIENZA E CITTA': il pensiero ionico del VI e V secolo: La nuova cultura offre alla
comunità un servizio paragonabile a quello di aedi e rapsodi. Però qualcosa è cambiato: con la scrittura si
possono redigere opere scritte che si sottraggono all'immediatezza orale del poeta.

Nell'orizzonte della società seguita al crollo miceneo, il compito dei poeti come Omeridi e Esiodo era
stato fissare una serie di principi che garantissero la coesione sociale e assicurare un buon equilibrio tra
uomini e dei.

Per la iona del sesto secolo il compito era diverso: si trattava di ripensare il mondo della natura e della
tradizione, ricostruendo il contesto naturale e storico a misura della città. Compito al quale si dedicano
Talete, Anassimandro, Anassimene, Senofane ed Ecateo. Questi non possono essere chiamati filosofi. La
filosofia nasce nel contesto aristocratico-sacerdotale in Magna Grecia per opera di Parmenide e Pitagora
ad esempio.

Nel pensiero ionico è assente l'opposzione tra anima e corpo, essere e divennire, realtà e apparenza..

Quello che nasce a Mileto nel sesto secolo è una forma di spregiudicata razionalità intesa a metter
ordine al nuovo sistema sociale, assicurandosi il controllo con l'unione di capacità tecnico-pratiche e
elaborazione intellettuale.

GLI DEI, LA NATURA E LA CONOSCENZA: I problemi da affrontare sono connessi con la tradizione
religiosa, la spiegazione della natura e le tecniche da mettere in opera per la loro soluzione. Questi
problemi non preesistono allo sforzo di risolverli; emergono come domande, contemporaneamente alla
forma di razionalità che ne elabora le risposte.

Per una società agricola, questi problemi non sono nemmeno pensabili ; la natura si risolverà nei
fenomeneni che non dipendono dall'uomo, nel ciclo delle stagioni. La divinità consisterà nella presenza
degli dei, nella richiesta di una pratica rituale che trova la sua garanzia nel ripetersi di gesti, atti,parole.

Occorre che si verifichi una cesura affinchè queste consuetudini vengano sottoposte a indagine.

La cesura si verifica nel settimo/sesto secolo a tutti i livelli di vita sociale. Inanzitutto rispetto allo sviluppo
delle città. L'uomo adesso vive all'interno di un ambiente artificiale : si era prodotta una scissione tra che
distingueva "naturale" e "umano", che permetteva di pensare la natura come un tutto separato dallo
spazio umano e dunque come oggetto da conoscere.

Accanto a questo problema, viene a porsi quello delle divinità. Questo problema si presenta a livello
sociale, come una rottura del vecchio ordine aristocratico-sacerdotale e comparsa di nuovi ceti che
aspirano a sostituirne il potere. I pensatori ionici giungonon a pensare alle divinità come un problema
unitario, a prescindere dalle pluralità dei luoghi di culto, numerosi nomi...Così sottraggono la divinità al
tempio e al rito. Cancellare un'individualità, negarle lo spazio, e la mediazione di un custode non
significava negare l'esisatenza delle divinità: il problema era quello di trovare una collocazione nel
mondo riordinato a partire da un'ottica nuova. ORA LA DIVINITA' VIENE A COINCIDERE CON
L'ORGANISMO DELLA NATURA, ESPRIMENDOSI NEI SUOI FENOMENI, AGENDO NEI SUOI PRINCIPI E
NELLE SUE LEGGI.
Dunque se la divinità coincide con la natura, è interrogando la natura stessa che se ne scopriranno le
leggi, è con l'appropriazione scientifica e tecnica della natura da parte dell'uomo che si verrà
progressivamente rivelando il codice informatore del mondo.

La coincidenza con la divinità,conferisce alla natura dignità in quanto oggetto di conoscenza. Lo studioso
della natura, il fisiologo, tende a sostituire il teologo. Concepita come oggetto d'indagine, la natura viene
"sottoposta a violenze poichè riveli i suoi misteri".Oltre che a trattarsi dell'appropriazione e sfruttamento
dei prodotti della natura stessa, si tratta soprattutto della violenza del pensiero con il quale si tentano di
identificare uno o diversi principi sufficienti a spiegare i comportamenti, mutamenti e fenomeni naturali.

La ricerca del principio è fondamentale: significava andar oltre l'immediatezza degli eventi osservati per
scoprirne l'origine, la matrice e la ragione. Quello che conta è l'audacia con la quale si pensa di poter
ridurre col pensiero la varietà del mondo naturale, alla semplicità di un principio, e poi nuovamente far
derivare da esso quella varietà.

"L'INGEGNOSO TALETE"

Platone lo definisce "l'ingegnoso delle tecniche". Agisce a Mileto nel sesto secolo come protagonista di
una nuova forma di sapere: pratico, laico, tecnologico.

La prima tesi consiste nell'affermazione che tutto, ossia il mondo della natura, è pieno di dei. La seconda
è quella che fa consistere nell'acqua(nell'elemento umido),il principio della natura. Talete è influenzato
dalle culture fluviali della Mesopotomia, ed è interprete della cultura marittima ionica. Nè piante nè
animali possono crescere o vivere senz'acqua, che è l'elemento primigenio nelle mitologie orientali.
L'acqua è l'elemento dal quale i fenomeni vitali traggono la loro origine e la loro condizione di possibilità,
l'elemento generatore e vivificante per eccellenza. Talete non fondò una scuola a Mileto, ma fu
l'iniziatore di un nuovo stile di pensiero, di un modo diverso di utilizzare il sapere.

ANASSIMANDRO

Egli muoveva dalle esigenze immediate della città.L'esperienza della navigazione e dei commerci metteva
luce un mondo ignoto, che destava interesse e inquietudine. Egli raccolse tutta la conoscenza pratica
acquisita e con sforzo di immaginazione scientifica, volle presentare un mondo ordinato e leggibile.
Bisognava guadagnare il controllo di spazio e tempo dell'esperienza quotidiana. Elabora una carta
geografica del mondo, e l'orologio solare, "gnomone". Al principio della storia dell'universo, c'è una
sostanza primaria indeterminata, l'apeiron, a partire dalla quale si sono sviluppati acqua, terra, fuoco e
aria. L'acqua appare dunque un primo stadio di derivazione e determinazione rispetto l'indeterminatezza
della sostanza originaria, che proprio per questo, risulta in grado di dar luogo all'intero universo. Gli
elementi e gli oggetti crescono, periscono e si trasformano l'uno nell'altro, ma l'esistenza di una massa
illimitata assicura il mantenimento degli equilibri nelle trasformazioni, assicura la rigenerazione e
impedisce la consumazione del mondo. Nella sua espansione, la città viene a segnare nuovi limiti e
confini. Anassimandro trasforma questa situazione di esperienza nella storia dell'universo: al centro
colloca il nostro Mondo, ossia Mileto i suoi confini e le sue coste, e in periferia e all'origine, l'illimitata
indeterminatezza garante della nascita e dell'equilibrio.
ANASSIMENE

Nella sua cosmologia, sostituisce l'apeiron con l'aria. L'aria che si inspira ha funzione vivificante per tutto
l'organismo; è dunque un elemento affine a ciò che nel linguaggio non materialistico, assumerebbe il
concetto di "anima". Anzichè embriologico, il suo modello è meccanico: la derivazione dell'aria e la
reciproca trasformazione degli elementi, hanno luogo in seguito alla rarefazione e alla condensazione. Si
ha un primo tentativo di ridurre le differenze qualitative degli oggetti a differenze quantitative: sostituire
alla varietà infinita dei fenomeni naturali una scala di gradi di densità della sostanza elementare. la
formazione del mondo appare quindi un processo più semplice.

Il pensiero ionico aveva esaurito i suoi compiti: ripensare la realtà a misura della città e degli uomini che
la abitavano, immaginare un mondo dove le società potevano espandersi con regolarità, libera dai vincoli
che divinità, natura e ignoto, tendevano ad imporle.

SENOFANE DI COLOFONE

Una tradizione scolastica lo considera il fondatore della scuola eleatica. Già la decisione di scrivere in
versi e non in prosa mostra che i suoi compiti e interessi sono diversi rispetto gli altri ionici. Scrivere in
poesia gli serviva per rivolgersi a un uditorio sociale più vasto, per combattere l'influenza ideologica dei
vecchi autori aristocratici. Vuole infatto costruire un livello di coscienza libero dai residui del passato,
corrispondente alle trasformazioni sociali avvenute.

Attacca l'antropomorfismo codificato dai templi e culti. Per rispettare la divinità, occorre non
immaginarla personalmente coinvolta nelle vicende umane. Si impone una conclusione: i culti dei singoli
dei nei rispettivi templi non hanno senso. La divinità va pensata unitaria e illimitata. Non esiste dunque
alcuna rivelazione divina e nessun intermediario privilegiato: se la divinità è natura, non parla agli
uomini, se non studiandola e interrogandola scientificamente.

Polemizza contro i miti omerici della virtù della guerra, che non assicurano buone regole alla città. Per la
città, occorre molto più la figura di un saggio ingegnoso, non di un eroe, guerriero o cavaliere.

L'INTELLIGENZA E LA MANO: ANASSAGORA

Verso la fine del sesto secolo, le invasione persiane distruggono l'autonomia delle città ioniche,
spegnendone quindi l'attività di pensiero. Dopo la vittoria su Serse a Salamina, una coalizione greca
guidata da Atene riconquista l'egeo, respingendo i persiani dalla Ionia. Si forma quindi una zona di
influenza ateniese alla quale gli ionici sarebbero rimasti legati per il quinto secolo:Atene sostituisce
Mileto.

Il primo pensatore ionico che importa il suo pensiero è Anassagora, che trova nella metropoli una
situazione di equilibrio dinamico, in cui l'aristocrazia avvertiva il bisogno di rinnovare il proprio
patrimonio culturale, ed il demos era alla ricerca di una propria ideologia complessiva. Anassagora,
consigliere di Pericle, e ideologo del demos rappresenta la cerniera dell'equilibrio:quando questo
crollerà, sarà processato acausa dell'impostazione ateistica nella sua astronomia.
Nella sua cosmologia, nella sua distinzione originaria ci sono i semi, differenziati qualitativamente ma
non aggregati secondo quelle proporzioni da cui ogni singola cosa è definita. Rinuncia all'esistenza di un
principio. I principi sono illimitati, identici, ora come dall'inizio del mondo; durante la storia però hanno
dato vita a composizioni diverse. All'idea degli altri ionici, sostituisce l'idea di un mondo i cui gli stadi
sono definiti dagli equilibri e da aggregazioni ordinate che si realizzano tra i suoi componenti; nulla è
elemento assoluto o primario; nulla si può isolare dalle relazioni che connettono il cosmo intero.

Il passaggio dall'indeterminazione dei semi all'organizzazione del mondo ha luogo con un principio
ordinatore che agisce dall'esterno sull'indistinzione. Ora il principio dell'universo, non è "materna". Il
principio è il nous, l'intelligenza, il pensiero, che forma il mondo, secondo un piano e legge che esso
impone.Il nous non è dio o spirito, è sostanza materiale, seppur rarefatta.

LA MEDICINA IPPOCRATICA

Anassagora non fondò nessuna scuola ma la sua influenza fu avvertita dagli uomini delle maggiori
technai(arti, tecniche e scienze). Egli stesso e i suoi ricercatori scrissero di medicina, architettura,
astronomia. Molte di queste tecniche passarono dalla condizione di semplici mestieri a livello di
elaborazioni metodiche delle procedure che rendono esplicito il loro assetto scientifico.

Fin dagli inizi, il medico laico si trova a dover combattere per trovare uno spazio autonomo: da un lato
contro i sacerdoti guaritori e dall'altro contro stregoni e indovini. Non esiste nessuna istituzione
scientifica che garantisca ai medidi una preparazione.

La situazione cambia con lo sviluppo urbano, che riconosce uno specifico status sociale ai professionisti
che esercitano lavori manuali o semimanuali guidati da conoscenze.

Così i medici possono mettere a frutto l'esperienza diagnostica e terapeutica, formando corporazioni.

Alla metà del quinto secolo possono passare all'attacco contro i loro tradizionali nemici. La medicina
avanzerà la pretesa di costituirsi come un settore autonomo del sapere scientifico.

La medicina è comunque lontana dall'eserizio di un controllo su malattia e morte. La pestilenza che colpì
atene mise in luce le sue fragilità e l'impotenza dei medici. Fu Ippocrate, nella scuola di Cos a assumere il
compito di difendere la medicina con l'elaborazione dei metodi generali che orientavano la pratica del
medico. Metodo significa seguire una via, da un polo l'esperienza guadagnata nel rapporto col corpo del
malato, dall'altro il ragionamento, che consentiva di individuare diagnosi, prognosi e trapia.

La medicina era una forma di sapere legata all'esistenza di un forte demos. Nella dottrina eziologica, il
rapporto fra uomo e ambiente è il principale fattore patologico, qualora non sia equilibrato.
CAPITOLO III: IL SAPERE DEL TEMPIO E LA NASCITA DELLA FILOSOFIA NEL VI E V SECOLO

La città greca comprendeva anche l'acropoli, con i suoi templi e gli edifici del senato, governata dalle
grandi famiglie aristocratiche la cui forza viene dalla sapienza sacra, che ha il suo centro nei santuari di
Apollo e Delfi. Questa connessione tra potere politico e sapienza sacro aveva una lunga tradizione. Nella
nuova situazione tra il settimo eil quinton secolo, viene fortemente criticata e attaccata dai nuovi ceti.
Dovunque però, l'aristocrazia da prova una straordinaria capacità di reazione intellettuale. Si dimostra in
grado di giustificare il suo diritto al potere, con l'elaborazione di nuove forme di razionalità teorica. Le
grandi stirpi mostrano tutto il vigore per abbandonare la tradizionale saggezza mitologica, costituendo
un sapere dotato di robustezza razionale e teorica. Proprio in questo processo, ad opera di Parmenide,
Eraclito e pitagora, nasce la filosofia come attività razionale.

RIVELAZIONE E PROFEZIA

Per chi detiene le chiavi d'accesso che aprono le porte dove si trovano le divinità e la sapienza sacra, il
rapporto con la verità non può avvenire secondo le modalità di Senofane o Ippocrate. Per loro, il loro
accesso alla verità non può comportare il ricorso alla fatica dei sensi, nemmeno il ricorso delle mani o
l'imperfezione di un progresso mai concluso.

Per Pitagora, Parmenide ed Eraclito, la verità è il contenuto di una rivelazione che la divinità elargisce
loro, scelti per la loro virtù e le loro doti. La verità viene dunque rivelata tutta insieme a una cerchia di
"iniziati", e questa iniziazione è dinastica e ereditaria. Il saggio viene posto sopra la folla, come l'uno sta
al di sopra dei molti per Pitagora, ll'immortale al di sopra dei mortali per Parmenide, e il desto al di sopra
dei dormienti per Eraclito.

La trasmissione della rivelazione avviene solo in forme iniziatiche, profatiche e oracolari.

Oltre la modalità con la quale la verità viene trasmessa e appressa, ci sono altri tratti in comune tra
questi pensatori. Il primo è quello dell'immortalità.

Infine e della massima importanza, le idee dell'ordine (kosmos), che deve reggere l'apparente disordine
del mondo e della storia, e della teoria e contemplazione in cui si riassume il comportamento del
sapiente che osserva il mondo per riconoscervi quell'ordine.

Bisogna rivelare l'origine religiosa di queste idee. Nell'uso arcaico, kosmos significa l'ordinamento del rito
sacro e l'abbigliamento del sacerdote; theoria invece, l'atteggiamento dei partecipanti al rito che
vogliono osservare le manifestazioni visibili della divinità.

L'ORDINE DIVINO DEL MONDO E LA FILOSOFIA

L'antico mondo della tradizione orientale e micenea, basato sul sistema, reggia-tempio-agricoltura,
rivelava l'ordine immutabile e il piano divino che lo reggeva. Il re e i sacerdoti si susseguivano secondo
regole dinastiche e l'agricoltura procedeva per leggi invariabili nafurali. Nella crisi del settimo secolo,
tutto questo viene a meno, si perde dunque quell'ordine fondamentale per gli aristocratici. S i
definisce un mondo in continuo cambiamento incontrollabile: quello che per i democratici è progresso,
per l'aristocrazia è disordine caotico. Ma al di là di tale disordine, bisogna riscoprire l'ordine che non può
essere venuto a meno, in quanto di origine divina. Al di là del disordine apparente deve esistere un limite
e una norma che governi il mutare della realtà.

A questo compito collabora la divinità che illumina la mente del saggio. Ma come l'oracolo dell'Apollo
delfico va interpretato da chi lo riceve, così spetta alla mente del saggio di sviluppare le implicazioni della
rivelazione, trasformandola in uno strumento per comprendere e padroneeggiare le vicende del mondo.
Viene in luce la potenza razionale dei pensatori come Pitagora, Eraclito e Parmenide. Essi esplorano tutte
le risorse della ragione umana, quelle matematiche, logiche e dialettiche.

Queste forme di razionalità hanno struttura deduttiva. Posti principi certi e veri, se ne derivano
razionalmente in modo consecutivo, coclusioni certe e vere.

Questo sapere è:

· necessario:la sua verità costringe chiunque a riconoscerla tale una volta accettati i suoi principi

· universale ed terno: la sua verità vale in ogni luogo e tempo

· razionalmente puro: non implica l'uso dei sensi e il lavoro pratico

· gerarchico: stabilisce un rapporto tra principi, sviluppi e conclusioni

Esprime la convinzione che nel mondo e nella società esista un ordine stabilito per sempre.

Questo modo di concepire la verità comporta l'introduzione a una serie di scissioni all'interno della
visione della realtà. Tutte le scissioni non fanno altro che moltiplicare la spaccatura sociale tra acropoli e
agorà. E' proprio nel varco che esse aprono fra coscienza comune e sapere teologico che si apre lo spazio
a una nuova forma di sapere:la filosofia.

La filosofia si distingue per la sua origine nella rivelazione, per la sua modalità conoscitiva, la
contemplazione e per il suo scopo: la scoperta di una via razionale che conduca alla salvezza delle anime
e alla garanzia dell'ordine del mondo. Il suo oggetto non è la divinità ma il piano divino della realtà.

IL POTERE DEL NUMERO: PITAGORA E I PITAGORICI

La figura di Pitagora riassume le contraddizioni del filosofo legato alla tradizione sacerdotale. La setta
aristocratica che si raccolse a Crotone attorno a lui era un'associazione religiosa, i cui adepti erano
ammessi alla rivelazione del maestro, un centro di studi matematici e di un potente gruppo politico
aristocraticon e ultraconservatore. Proprio questa setta causa la distruzione di Sibari, guerra di conquista
e rappresaglia antidemocratica.

Le dottrine fondamentali del pitagorismo si riassumono in due opposizioni che riflettono l'opposizione
del bene e male: l'opposizione tra anima e corpo e limitato ed illimitato. Il corpo è una prigione per
l'anima, la quale è immortale ma costretta a trasmigrarsi nei corpi man mano la morte fisica di ognuno di
essi. Se la prigione dell'anima riesce a contaminarla con i suoi desideri e istinti, l'anima sconta questa
colpa incarnandosi in animali sempre inferiori, aumentando il suo fardello. Per sfuggire da questo
destino bisogna condurre una vita terrena priva di qualsiasi impurità, rispettando una serie di divieti che
simboleggiano lo scioglimento dai legami del corpo, vivendo in modo ascetico e coltivando la ragione, la
memoria e la conoscenza. La pratica della filosofia diventa lo scioglimento dai vincoli corporei e
preparazione alla salvezza. L'anima purificata verrà liberata dal ciclo della reincarnazione, raggiungendo
la divinità da cui proviene.
In questo quadro si comprende il valore etico e religioso dell'idea di limite,ordine e misura. I pitagorici
fanno del limite il principio d'ordine divino del mondo. Nel mondo si oppongono due principi, il limite e
l'illimitato. Qui il conflitto è solo apparente: il limite pervade il mondo e lo organizza, permettendo di
comprenderlo se ne si riconosce la chiave.

Il numero dunque è l'espressione massima del limite. L'origine della concezione pitagorica del numero
come principio ordinatore sta nella tradizione orientale, soprattitto babilonese. Mezzo secolo prima,
Solone il saggio delfico, aveva fatto del numero sette il modulo base dei periodi della vita umana. I
pitagorici scoprirono una relazione tra la lunghezza delle corde della lira e gli accordi. La somma dei primi
quattro numeri naturali equivaleva a 10, rappresentato come la figura perfetta del triangolo. I numeri
venivano assunti dunque come simbolo della vita, virtù e valori. Si arriva alla concezione del numero
come legge e principio.

Il numero, agendo come limite, imponeva una struttura ordinata alla varietà dei fenomeni del mondo,
ma come porre un limite anche al fluire temporale, degli eventi, fenomeni e opinioni?Il fluire temporale
per i pitagorici è ciclico, come il moto degli astri attorno a punto centrale del mondo. Il ciclo del tempo
significa che, al termine di un determinato tempo, ogni evento si ripeterà identicamente e così
all'infinito. Secondo lo sguardo dei mortali tutto muta in continuazione, ma i saggi capiscono che si tratta
di eterna ripetizione ciclica di un'identica storia in cui si esprime il piano divino che il numero
rappresenta. Le trasformazioni sociali e il progresso in cui crede il demos, sono dunque solo tappe
transitorie, destinate a scomparire e a ripetersi.

ERACLITO E IL POTERE DEL LOGOS

Uomo legato alla polis, al tempio e alla reggia, vive in un mondo che ha consumato la sua rottura con il
tempio. Per il demos della città e per le sue tecniche ha solo parole di sdegno. Malato si rifiuta di farsi
curare, scendendo sulla piazza di Efeso, si lascia morire divorato dai cani.

Sperimenta in maniera acuta il conflitto e il mutamento dell'ordine.

La contraddizione, il divenire, il mutamento universale vanno riconosciuti come caratteri essenziali del
mondo in cui viviamo. La realtà è un perpetuo fluire e trasformarsi, nel reciproco conflitto, di tutte le
cose. Se pensiamo di vedere stati di quiete, si tratta solo di precari equilibri tra forze. Per quanto sia
acuta la sua consapevolezza del conflitto, non può arrestarsi ad essa.

Troppo forte in lui è l'esigenza di un ordine , di una legge, che diano senso al divenire rendendolo
comprensibile. Il punto fermo da cui partire, è l'ispirazione divina che parla nell'animo del saggio. La
verità sta dentro di noi, solo se siamo desti a a coglierne il messaggio. La via giusta è indicata nel precetto
delfico "conosci te stesso". Il messaggio divino che ispira l'anima del saggio è il logos , legge del mondo e
ragione che la comprende.

Qual'è la verita che il logos impone ? La consapevolezza che gli opposti da cui il mondo è lacerato, sono
fondamentalmente identici. Il conflitto degli opposti e il loro fluire non sono illusori, costituiscono la
struttura reale del nostro mondo. Ma il saggio sa elevarsi al logos: appare chiaro che la di là del divenire
c'è qualcosa di stabile, la legge immutabile che lo governa. Gli opposti in lotta sono frammenti di
un'unica realtà e la loro tensione è al servizio di un'armonia che li sovrasta.

Gli stolti, cittadini di Efeso, i medici profani e naturalisti si identificano nella lotta degli opposti. Il saggio si
identifica non con la pluralità degli opposti ma con l'unità del logos, cui la sua anima è affine.

Dunque ha forgiato una razionalità dialettica che ha dato conto della contraddizione e del conflitto della
realtà, che permette di comprendere l'identità degli opposti, senza cancellare l'incociliabilità.

PARMENIDE

Parmenide e Zenone vissero a Elea, all'estremo opposto di Efeso; il pensiero di parmenide rappresenta
una posizione opposta rispetto alla filosofia di Eraclito. Legislatore della città, rappresenta il simbolo della
connessione tra sapienza sacra e dominio, e lo stesso lo si può dire del suo seguace Melisso. Il loro
potere viene spezzato da una controffensiva democratica guidata dall'Atene di Pericle, e sparisce senza
lasciare traccia, nonostante un tentativo organizzato ad Elea da Zenone.

L'eleatismo rinuncia alla mediazione matematica pitagorica e alla rappresentazione dialettica della
contraddizione adoperata da Eraclito.

Il poema di Parmenide si apre con il resoconto di un viaggio, un viaggio dentro e attraverso la scissione.
Guidato dalle dee che l'hanno prescelto per la rivelazione, abbandona le "case della notte", popolate dai
mortali, e giunge a una porta la quale separa per sempre le luci e le ombre, la verità dall'errore, il sacro
dal profano. Queste porte(la porta Rosa di Elea), sono protette dalla dea della giustizia. All'interno, regna
la dea della necessità: perchè la sapienza che l'iniziato apprende, non è suscettibile a cambiamenti, ma è
necessaramente quel che è, da sempre e per tutti. Il compito di chi giunge a conoscere la sapienza, è
quello di annunciarla. Non si tratta di colmare il fossato tra verità ed errore etc.. ma di annunciare la
necessità, l'inviolabilità e l'esistenza di questa scissione, e il sacro diritto al dominio dell'acropoli sulla
città.

Il campo della verità e dell'essere è costruito da parmenide con un unico movimento logico di
straordinaria potenza, il nucleo della rivelazione di cui è depositario. Ogni volta che parliamo e
pensiamo, il nostro discorso e pensiero, vertono su ciò che è, ciò che esiste ; non è possibile dire o
pensare ciò che assolutamente non è. Nominare o pensare un oggetto significa attribuirgli l'esistenza. Il
nostro linguaggio cela la radice dellerrore. Ogni volta che introduciamo la dimensione temporale nel
discorso, noi diciamo "non è più", oppure "non è ancora". Ogni volta che parliamo di pluralità diciamo "a
non è b" o "b non è a". Temporalità e pluralità comportano l'intrusione del "non è", comportano l'errore
di nominare il nulla, il vuoto che intacca la bella e vera pienezza dell'essere. Ciò che è deve, per la legge
della necessità, essere sempre e dovunque identico a se stesso, in un eterno presente e fuori dalla
molteplicità.

L'ispirazione di Parmenide è di tipo solare, apollineo; una luce che sola è visibile che non tollera schermi
ed ostacoli. Questa luce razionale si sprigiona dalla realtà omogenea, immutabile e intatta che la parola-
pensiero "è", rivela nella sua pienezza.

Egli scopre il non essere nel tempo e nella pluralità e lo mette al bando; enuncia il problema che si
annida negli enunciati in forma negativa, il rischio di pensare e nominare il nulla, il diverso dell'essere.
Parmenide inaugura una pura forma di coscienza razionale, quella logico-deduttiva.

La realtà di Parmenide non è infinita nello spazio. Egli pensa che solo ciò che è limitato e chiuso sia
perfetto ed intellegibile: come esprimere l'infinito?

La realtà di Parmenide così com'è ferma in un presenta atemporale, è racchiusa in un luogo non
spaziale(perchè spazio significa molteplicità e non essere). E' omogenea in ogni punto ed ha quindi
forma sferica: entro questo limite lo stringono i lacci della necessità.

Che cosa c'è fuori da questa sfera dell'essere?La domanda per Parmenide non ha senso; non è possibile
che ci sia qualcosa perchè tutto cio che è, si identifica nella sfera. Tanto meno c'è il nulla, perchè del nulla
non si può comunque dire che è.

Parmenide invece si domanda:che ne è del mondo in cui viviamo,del mondo mutevole che i nostri sensi
ci rivelano e il nostro linguaggio erroneo torna continuamente a esprimere? Questo mondo è intriso di
non-essere e di irrealtà: apparenza, inganno dei sensi, frutto dell'allucinazione in cui vivono i non iniziati,
gli stolti.Tuttavia, come l'acropoli può e deve dominare la città, la ragione e la sua verità devono
dominare il mondo dell'apparenza e dell'opinione, imponendo ordine.

La seconda parte del poema di Parmenide è dedicata a dare del mondo del non-essere, una spiegazione
per quanto possibile razionale: affinchè, dice egli al suo discepolo, tu non ti lasci fuorviare dalle opinioni
dei mortali, e disponga di uno schema di interpretazione più potente della loro, perchè riflette la
superiore verità dell'essere. Arriva così a costituire una cosmologia, che si sostiuisce a quella ionica,
ispirandosi al pensiero pitagorico. Il mondo è retto da due principi contrapposti, uno attivo(la luce, il
fuoco) e uno passivo(la tenebra, la terra). Dall'azione del primo sul secondo prende forma l'intera
natura. Nel mondo dell'apparenza, il principio luminoso, rappresenta così quanto è più vicino alla divina
verità dell'essere.

L'ELEATISMO DOPO PARMENIDE:ZENONE E MELISSO

Il discepolo più vicino a Parmenide, Zenone, si assunse il compito di difendere con la logica le tesi del
maestro, contestate per la loro assurdità, in contrasto con i dati dell'esperienza. Divenire e movimento
sono assurdi se esaminati con rigore logico; davanti al tribunale della ragione, la loro causa è persa. Il
metodo del discepolo è la dimostrazione per assurdo, che consiste nell'assumere un'ipotesi per
dimostrarne l'infondatezza sulla base delle inaccettabili conseguenze che ne derivano logicamente. Per
esempio, il veloce Achille non riuscirà mai a raggiungere una tartaruga che abbia un sia minimo
vantaggio su di lui. Nel tempo in cui Achille raggiunge il punto di partenza della tartaruga, questa avrà
compiuto un ulteriore tragitto, piccolo a piacere. Achille dovrà allora arrivare al nuovo punto raggiunto
dalla tartaruga che intanto avrà compiuto un nuovo cammino, e così all'infinito. Zenone conclude
dunque affermando che non è il pensiero di Parmenide ad essere logicamente assurdo bensì la posizione
di chi, fidando nei sensi, ritiene il movimento possibile e pensabile. Gli argomenti di Zenone sono
fondati sul paradosso del continuo.

Per quanto riguarda Melisso, la sua adesione al pensiero del maestro, risente dell'ambiente ionico e
naturalistico in cui viveva a Samo. Non scrive in esametri omerici ma in prosa, rendendo più
comprensibili le tesi del maestro, smarrendone però la potenza originaria. L'"è" di Parmenide viene
pensato come un essere, incorporeo ma esteso nello spazio e nel tempo.

Come corrente di pensiero autonoma, l'eleatismo si estinse rapidamente, lasciando però un segno
profondo sulla filosofia seguente e prima di Platone.

LE EREDITA'

Abbiamo osservato che è all'interno del pensiero legato alla tradizione sacerdotale che si costituisce la
filosofia come ricerca e riflessione.

Come comprendere l'essere, quello stato di verità superiore che sfugge all'esperienza quotidiana? Si
tenterà di rispondere con gli strumenti della logica, ontologia e gnoseologia..

Come giustificare le apparenze molteplici e contraddittorie?sviluppando l'epistemologia, la teoria della


conoscenza scientifica.

Come deve comportarsi l'uomo, intervenendo attivamente o contemplando? la risposta è nella


riflessione etica e teologica.

CAPITOLO IV: SALVARE I FENOMENI, UNA NUOVA FORMA DELLA RAGIONE SCIENTIFICA NEL
MATERIALISMO DEL QUINTO SECOLO

L'asprezza del dibattito ideologico tra demos e aristovcrazia, pose l'esigenza di una mediazione che a
livello teorico ripristinasse le condizioni razionali di possibilità per la scienza della natura.

I fisici naturalisti, diversissimi tra loro, hanno in comune un problema di fondo. Non vogliono rinunciare
alla costruzione di una scienza della naatura. Occorre dunque salvare i fenomeni del mondo fisico,
mostrando come essi possano essere spiegati con schemi razionali non contraddittori come quelli ionici.
Dunque bisogna costruire una struttura che consenta di pensare ai fenomeni e ai processi naturali nelle
condizioni di razionalità di Parmenide. La struttura ha due livelli. Al livello superiore stanno i principi, che
hanno la funzione di spiegazione e giustificazione dell'intera realtà fisica. Questi principi hanno le
caratteristiche della razionalità richiesta dalla logica Parmenidea.

· eterni

· ingenerati
· inalterabili

· sempre indentici a sè stessi

Sono sempre in numero superiore a uno(6 per Empedocle, infiniti per Democrito): l'unita dell'essere
parmenideo viene moltiplicata per consentire ai principi di spiegare la pluralità del mondo
dell'esperienza. Sono in movimento, requisito necessario alla giustificazione del divenire e hanno una
natura materiale.

Ma come possono i principi rendere possibile una scienza razionale dei fenomeni che occupano il livello
inferiore della struttura?

Secondo i fisici materialisti, ciò accade perchè tutta la realtà empirica e il divenire derivano da questi
principi.In questa derivazione della realtà dai principi, sta anche il fondamento di una spiegazione
scientifica dei fenomeni: comprendere i fenomeni significherà ridurli ai principi elementari da cui
derivano e ai comportamenti di questi.

All'interno della struttura, l'opposizione tra unità e molteplicità, tra eternità dell'essere e mutevolezza
del divenire, non appare più inconciliabile. Per Empedocle e Democrito, ogni mutamento è dovuto
all'aggregazione e alla scomposizione degli elementi primi che in se stessi esistono ed esistono
eternamente. Mutano solo i fenomeni che derivano dal loro comporsi e scomporsi e questi non hanno
nulla di irrazionale se ridotti alla legge immutabile dei principi.

LE RADICI DELLA QUALITA':EMPEDOCLE

Nella Sicilia della prima metà del quinto secolo, grandi masse contadine impoverite si contrapponevano
per la richiesta di una redistribuzione delle terre, alla forte aristrocrazia urbana che veniva consolidando
il suo potere in forme tiranniche. Una situazione di conflitti, di instabilità, in cui il bisogno di sicurezza e
nostalgia del passato, porta a una volontà di rinnovamento del mondo. Empedocle, capo del partito
democratico, si fece interprete di questa rivoluzione, nella sua filosofia agiscono, oltre che la necessità di
giustificare la realtà della vita e della natura, anche motivi di ordine sociale, politico, religioso.

Fisico e politico si pone come profeta e mago. La profezia annuncia, il cammino al termine del quale
l'anima può realizzare il desiderio di armonia universale, che la fisica presenta come una legge. La magia
esprime in forma sovrannaturale il controllo sulla natura che la fisica tenta di realizzare con le sue
teciniche. Del resto Empedocle è anche medico: aveva guarito una popolazione da una prolungata
epidemia,depurando le acque dell fiume inquinato che infettava la città, con l'immettervi il corso di un
altro fiume non infetto.

Al principio della realtà naturale stanno quattro radici materiali: l'acqua, l'aria, la terra e il fuoco. Della
loro origine mitica, permangono una serie di caratteri: sono identificati a divinità e dotati di vitalità. Ma a
questo si sovrappone la razionallizzazione di derivazione parmenidea: gli elementi sono eterni,
immutabili, identici. Anche se divisibili, ogni particella conserva sempre le stesse qualità dell'elemento
cui appartiene.
Ma qual'è il principio del movimento e della crescita della realtà?Lo pone in due operatori, l'amore e
l'odio. Uno simbolo di nascita e unione, l'altro di separazione e morte. Il rapporto che intercorre tra gli
elementi e questi principi, dal punto di vista fisico, è quello che c'è tra materia e forza, agendo i principi
come forze attrattive o repulsive. Amore e odio sono proiezioni cosmiche di un conflitto presente nelle
anima e nelle città. Nella cosmologia di empedocle, queste forze e i quattro elementi, spiegano l'origine
e l'intera storia del mondo, a livello del mutare dell'esperienza e del permanere dei principi. All'inizio
c'era solo il regno di amore, dove gli elementi erano tutto intrecciati intimamente, infatti il cosmo intero
era un'immobile sfera omogenea. Quando giunge l'odio, il mondo subisce una disgregazione. Nel mondo
disgregato si riconosce il mondo del presente, frantumato dai conflitti, in cui ciascun uomo è isolato
rispetto la comunità. Sul mondo dell'uomo viene poi ad agire di nuovo il mondo dell'amore che da luogo
a una conclusione, quella di un mondo in cui vi è la reciproca compenetrazione degli elementi in cui si
ricostituisce la sfera divina.

Molti per la valenza etico-religiosa del suo pensiero, lo considerano arcaico rispetto a Democrito. Occore
però sottolineare un aspetto di tale pensiero. Il processo ciclico amore-odio-amore è retto da una
necessità generale: i principi e gli elementi si comportano in un modo che è l'unico possibile, mentre la
formazione degli aggregati è del tutto casuale. Dopo la distruzione di amore, vagano membra che si
ricompongono a caso, costituendo creature ibride o ermafrodite. Gli esseri viventi sono le forme
sopravvissute al meccanismo di selezione naturale. Per questo aspetto, il pensiero di Empedocle si
avvicina al meccanicismo degli atomisti Leucippo e Democrito.

DEMOCRITO

Lo ionico, vive in un contesto diverso rispetto a quello siciliano in cui vive Empedocle. Ha i caratteri del
freddo fisico e scienziato, disinteressato verso i problemi di tipo etico, sociale o religioso. Nato in una
regione periferica, venne in contatto con la città di Atene quando già questa iniziava la sua crisi.Resta
democratico, ma gli viene meno quella fiducia nelle capacità dell'uomo di controllare e trasformare il
mondo sociale e quello naturale.

Il suo mondo è sempre razionale, ma governato da meccanismi freddi della necessità, del caso e della
materia. C'è solo una realtà, quella degli atomi e del vuoto. L'unico modo che l'uomo ha per conoscere il
mondo è quello di costruire una scienza con le sue applicazioni tecnologiche.

Nell'identificare i suoi elementi, Empedocle si era fermato alla percezione sensibile, e questo appariva
insufficiente a Democrito. L'intera realtà è per lui composta da enti eterni, immutabili, privi di qualsiasi
proprietà sensibile. Questi enti sono indivisbili: sono quindi il limite al quale si arresta ogni possibile
divisione dei corpi materiali. A differenza di Parmenide, postuma l'esistenza di uno spazio vuoto, quello
in cui si muovono. Non hanno qualità sensibili. Sono però estese e dotate di forma e quantità di materia.
si differenziano per

· la loro forma

· il movimento che compiono


· i contatti che stabiliscono

· la loro dimensione

Gli atomi si muovono nel vuoto con un movimento eterno senza scopi o destinazione.

Democrito ritiene inutile porre forze di carattere semi-divino o semi-psicologico per spiegare il
movimento della materia.Per giustificare i processi della natura, occore attribuire agli atomi il
movimento e la necessaria ipotesi dello spazio vuoto. Il movimento degli atomi, autonomo, è necessario:
i suoi risultati dipendono dal caso. Ogni atomo continua amuoversi in continuazione nella stessa
direzione finchè non incontra un altro atomo: questa collisione , casuale, determina conseguenza
meccanicamente necessarie.A seconda delle differenze tra gli atomi, prendono forma aggregatin
complessi i quali creano il nostro mondo e gli infiniti mondi.

Democrito non ha più bisogno della concezione ciclica del tempo per fondare su di essa l'idea di un
mondo ordinato. Il suo mondo non ha ordine e non risponde a nessun esigenza etica che questo
richiede. Il mondo è caotico in cui vige solo la legge meccanicistica della necessità.Il tempo di Democrito
è come una lunga infinita linea retta: il divenire è una infinita vicenda di moti, aggregazioni, collisioni.

Il mondo e il tempo non sono retti da nessuna mente divina o umana. Gli dei e le anime sono aggregati
di atomi mobili, una materia psichica che vaga nel vuoto nel caso degli dei, e nel corpo per le anime.

La sensazione e la conoscenza avvengono per contatto fisico. Dagli oggetti si distaccano pellicine sottili
aventi la forma dell'oggetto da cui provengono e che colpiscono gli organi di senso e gli atomi psichici.
Quando si verifica il primo contatto, percepiamo l'oggeto, con il secondo contatto, lo pensiamo.

Le qualità sensibili non appartengono alla struttura atomica della materia, bensì si producono solo nel
contatto percettivo: sono quindi soggettive. Questa concezione materialistica della conoscenza non
permette di rendere conto dell'origine della teoria atomica. Gli atomi infatti sono inconoscibili, ciò che
conosciamo sono le proprietà sensibile esterne e soggettive. La teoria atomica è dunque il risultato di
una deduzione razionale che funge da ipotesi per spiegare i fenomeni, rimanendo esterni a questi.

Un altro problema del materialismo di Democrito, sta nella necessità di ridurre tutte le scienze alla fisica
atomistica. Compie dunque questo processo in ogni campo scientifico, con successi nella matematica e
nella biologia, senza però riuscire a unificare tutto il sapere su basi atomistiche.

La lucida rassegnazione di Democrito di fronte al clima di sconfitta, si riflette nelle sue tesi sull'etica.
Privo del contesto sociale della polis, per l'uomo le virtù saranno quelle dell'autocontrollo, di un
individualismo alieno da ambizione e servilismo. Chiuso alle passioni politiche, 'uomo democriteo avrà
come patria il mondo(ossia nessuna patria), praticando la conoscenza e sciogliendosi dai legami con il
mondo esteriore.

LE EREDITA' DEL MATERIALISMO

L'idea di base era quello di spiegare la realtà facendola derivare da principi determinabili razionalmente.
Questa nuova forma della ragione scientifica, lascia importanti tracce. Per esempio, si richiama al
pensiero di Empedocle la corrente di biologi sociliani di Filistione che trasforma gli elementi di
empedocle in uno schema quaternario delle qualità fondamentali, le quali costituiscono l'intero
organismo, che risulta sano solo nell'equilibrio tra queste.

· acqua: umidità

· fuoco: calore

· aria: freddo

· terra: secchezza

E sulla base di questo, Filistione deriva le sue indicazioni terapeutiche, contestate dalla polemica
empiristica di Ippocrate.

Questa influenza della corrente biologioca di ispirazione empedoclea, si sarebbe fatta sentire tra i medici
della scuola di Cos. Polibo sostiene che la struttura dell'organismo e le cause della malattia derivano da
quattro umori primari, corrispondenti allo schema di Filistione

· caldo: giallo

· freddo: catarro

· secchezza: bile nera

· umido: sangue

Un'altra eredità empedocle risulta quella della retorica, l'arte del linguaggio persuasivo.Empedocle ha
cercato di rendere il linguaggio sacro della profezia e quello razionale della scienza più largamente
recepibili, trasferendo il logos dal tempio alla piazza.
CAPITOLO V:SOCRATE:L'ANIMA, LA VIRTU', IL SAPERE

La ricerca filosofica di Socrate,la problematica ideologica, la sua pratica di insegnamento, si inscrivono


nel quadro politivo-sociale entro cui si sviluppa la sofistica. In comune ai sofisti vi è la questione
filosofica, che consisteva nello spostare il centro della ricerca dal mondo delle cose , dei fenomeni(del
mondo ionico naturalistico), al piano dei "discorsi" a interessi logico-linguistici, più vicini al dibattito
politico. Nel fedone platonico, rivela la sua dichiarazione, del tutto sofistica. I discorsi, il campo logico-
linguistico, non coincidono con le cose ne vertono su di esse, piuttosto offrono il significato delle cose, lo
rendono disponibile al dibattito e contribuiscono alla costruzione dell'ideologia e delle decisioni
politiche.

Un elemento però lo differenzia dalla filosofia sofistica, il riferimento all'anima e alla verità, estranei per i
sofisti. Il logos per Socrate non è uno strumento retorico di persuasione, indifferente alla questione del
vero e del falso. Se articolato in modo corretto, il linguaggio è il luogo in cui si costituisce la verità delle
cose, lo strumento privilegiato più prossimo alla verità, per esempio rispetto ai sensi. E' attraverso il
linguaggio e non ai sensi che la verità si presenta all'anima. Questo rapporto tra anima e verità, che
passa per il logos, porta fuori dall'ambiente sofistico: è indice di una connessione con la tradizionale
filosofia sacerdotale aristocratica, di Eraclito, Parmenide, Pitagora.

La posizione sociale di Socrate era diversa da quella dei sofisti Cittadino di Atene, era ricevuto presso le
famiglie aristocratiche non come insegnante ma come amico, la cui frequentazione non poteva che
giovare all'educazione dei giovani. Di questo tipo fu il rapporto che legò Socrate alla famiglia di Crizia, zio
di Platone e capo oligarchico.

Socrate è posto al centro di un triangolo, a cui vertici staanno i sofisti, l'aristocrazia della città e la
tradizione sacerdotale. Questa collocazione spiega anche la sua filosofia, che raccoglie l'eredità
aristocratico-sacerdotale, adattandola all'ambiente della polis grazie all'esperienza sofistica.

L'aspetto positivo dell'insegnamento di Socrate è il seguente. Per lui, come per i sofisti, la politica è un
sapere determinato che consiste nella guida di una città. Da questa affermazioni trae due conseguenze

· se la politica è una competenza specifica, alla guida della città devono essere posti solo coloro
che la possiedono e non da chi ha competenze tecniche diverse. Dunque appare una mirata
critica alla democrazia. Così il mondo degli uomini delle tecniche, base della società ateniese
viene privato del suo diritto alla gestione della città

· chiedersi verso quali fini e valori la politica debba orientarsi. Devono Trattarsi di valori universali
e assoluti: non l'interesse di questo o quel gruppo, ma il bene valido per tutti.

Il bene è l'oggetto della virtù, dunque la politica deve subordinarsi alla virtù. Secondo Socrate essa non
può consistere nell'ossequio abitudinario alle norme norme tradizionali di comportamento , soggettive e
transitorie. La virtù deve essere un sapere, una scienza. E' nuova l'identificazione dell'oggetto della
scienza con cui la virtù si identifica: si tratta del bene, il valore etico-politico per eccellenza e non di una
legge che esprima la struttura della realtà.

La virtù, in quanto scienza del bene ha la supremazia su tutte le altre forme del sapere, in quanto solo
essa conosce il fine verso cui ogni sapere deve indirizzarsi.

Socrate non determina mai in che cosa consiste il bene. Offre un punto di riferimento, un criterio di
valutazione per discriminare il vero bene dai beni illusori. Ci sono delle parvenze del bene: l'interesse dei
potenti, i piaceri del corpo. Ma la parte essenziale dell'uomo è l'anima, e il vero bene è il bene per
l'anima,. Sarà guardandola che l'uomo scopre il bene: Socrate riprende il detto "conosci te stesso",
ricollegandosi ad Eraclito.

Dalla connessione tra virtù, sapere, bene e anima, Socrate ricava un'altra conclusione :"nessuno
commette il male volontariamente. Nessuno si comporterebbe in modo ingiusto se sapesse che cos'è
veramente il bene per lui, perchè chiunque vuole il proprio bene. La malvagità nasce da una sbagliata
identificazione del bene. Si ritiene che consista nel piacere o nel potere, e ci si comporta in modo
ingiusto per procurarselo. Si deve comprendere, seguendo la virtù come scienza del bene, che la felicità
dell'anima sta in un comportamento, equo, moderato, in un ordinato rispetto verso gli uomini, gli dei, la
città.

Questo non è per Socrate il bene, ma la condizione di vita necessaria per la ricerca del bene. Rinuncia
quindi a definire il bene, che appare di più come il punto di riferimento di una ricerca che deve sempre
rimanere aperta.
Dunque la virtù coincide con l'esercizio del bene. In questo modo si comprende il suo metodo di
insegnamento. Socrate non scrisse nulla, privilegiando la parola parlata rispetto quella scritta, siccome
questa tende a irrigidire il sapere. Il discoso socratico non è oracolare o profetico, bensì prende la forma
di un dialogo, possibile nel contesto dell'agorà.

Connesso a questo, vi era l'ignoranza di Socrate. Ricordava che il suo unico sapere consisteva nel sapere
di non sapere, nella consapevolezza dei suoi limiti. Questo coincide con la critica e confutazione del
sapere dei sofisti, poeti, politici, vaquo e la critica alla sceinza.

Nel suo metoodo di insegnamento, lasciava l'interlocutore solo di fronte alla consapevolezza della crisi
della cultura: nella crisi, l'arte dell'interlocutore avrebbe prodotto forme di coscienza.

La critica di Socrate ala cultura e ai valori della polis, la critica al linguaggio etico-politico, contenevano
importanti indicazioni del metodo da cui il lavoro teorico poteva partire positivamente. La domanda
critica di Socrate consisteva nella richiesta di una definizione. Illinguaggio culturale entro il quale si
muovevano gli interlocutori non consentiva loro di rispondere altro che in termini di elencazione di una
serie di cose, belle, giuste..La domanda torna a essere "che cos'è il bello in sè?", a prescindere dai
soggetti a cui viene rivolta.

Socrate non dava alcuna risposta alla sua richiesta di definizioni universali dei predicati, soprattuto dei
predicati di valori. Egli usava strumenti logico-linguistici ma non si attendeva risposta in questo senso: la
risposta doveva venire dall'anima , traducendosi in comportamenti etico-politici.

IL PROCESSO A SOCRATE

Il processo a Socrate ha segnato la storia del pensiero occidentale, causando divisioni difficili da
ricostituire. Nel 399 a.C. egli fu accusato di non riconoscere gli dei di Atene e di corrompere i giovani:
l’Apologia di Platone espone l’autodifesa del Maestro, che aveva rifiutato di accettare che altri ne
assumesse il patrocinio nel processo. Pur potendo salvarsi dalla condanna richiesta (la pena di morte)
dichiarandosi colpevole, rimase coerente fino alla fine. Esempio fra i più luminosi di quello che è e può
essere la filosofia, il suo sacrificio fa chiedere quale sia il valore di un sapere che non riesce a farsi
comprendere dagli altri. In questa prospettiva la vicenda del processo – e non solo del processo, perché
tutta la vita del filosofo Socrate fu oggetto di quel giudizio – è la storia di un doppio fallimento: il
fallimento di una democrazia intorpidita, e forse anche il fallimento del filosofo, incapace di trovare
parole adeguate per articolare le sue ragioni.

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