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Premessa

di Antonella Riem Natale

La terza edizione italiana de Il Calice e la Spada di Riane Eisler 1


appare nella collana ALL in un momento particolarmente adatto e
propizio. È un segno importante del lavoro portato avanti dal
Partnership Research Group, da me fondato nel 1998, insieme ad
un gruppo di studiosi e ricercatori internazionali presso
l'Università di Udine, Dipartimento di Lingue e Letterature
Germaniche e Romanze, ora Dipartimento di Lingue e Letterature
Straniere 2• La prima edizione italiana del testo, del 19963, presen-
tata da Mauro Ceruti che gentilmente ci ha concesso di ripubbli-
carla in questa sede, aveva avuto un'eco importante in ambito
socio-antropologico; ma fu il nostro gruppo di ricerca per primo a
studiare e approfondire l'impatto dell'analisi culturale acuta e fon-
dante di Riane Eisler nello studio delle letterature pluricentriche
(anglofone, francofone, ispanofone) e nell'ambito della pedagogia
e della formazione 4 . Il nostro progetto ha portato ad una serie di
iniziative, convegni, seminari e pubblicazioni di rilievo internazio-
nale sul tema della partnership e sull'importanza della cultura
umanistica, perché, come ben dice Martha Nussbaum, «le demo-
crazie hanno bisogno della cultura umanistica» 5. Questo bisogno è
ancor più manifesto nella crisi dell'economia mondiale che indica
chiaramente al mondo la necessità di intraprendere un'altra strada,
di ripristinare il senso etico del valore della vita e del sentire
umani, che non possono e non devono mai essere merce di scam-
10 Antonella Riem Natale

bio. Il Calice e la Spada, tradotto in più di ventidue lingue, con


oltre 500.000 copie vendute nel mondo, è uno studio complesso e
articolato, con importanti apporti di carattere scientifico, storico,
antropologico-culturale e sociologico, che ci offre una possibile
alternativa umana, oltre che culturale e politica, al degrado del
mondo attuale. Riane Eisler ci ricorda di antiche civiltà gilaniche,
dall'Europa neolitica a Creta, non per un primitivismo romantico o
idealistico, ma per offrire alla nostra consapevolezza una diversa
possibilità, e ci permette di studiare e conoscere un'altra storia
come importante alternativa alla violenza imperante nella nostra
società 'globale'. Per Raimon Panikkar la parola ha uno spirito fon-
damentale6, che va perduto se non la sappiamo usare nel suo conte-
sto più ampio e cioè anche in ambito mitico e simbolico. Così Riane
Eisler utilizza due simboli essenziali per definire i diversi paradig-
mi culturali - dominatore e di partnership - che si alternano e si
confrontano nella nostra vita personale e nella nostra storia mon-
diale: il calice, la coppa della vita, il ventre gravido della Dea Madre
che ci parla di cura e vita, e la spada, strumento di violenza e morte,
idealizzazione del patimento e della sofferenza che caratterizza
anche le tre grandi religioni monoteistiche di stampo patriarcale (o
androcratico): Ebraica, Cristiana e Islamica. Riane Eisler, come
segno di una collaborazione proficua e di lunga data, ha accettato di
scrivere per noi una postfazione speciale, dove ripercorre gli anni
passati analizzando la storia sotto la lente della 'teoria della trasfor-
mazione culturale' da lei ideata, parlandoci delle spinte verso il
modello di partnership e della resistenza del paradigma dominatore,
ma soprattutto esortandoci a fare la differenza, invitandoci a parteci-
pare, a credere nella possibilità reale di un cambiamento verso l'u-
mano. Inoltre, appare qui, per la prima volta, un interessante e utile
glossario sulla partnership, a cura di Stefano Mercanti, che è stru-
mento essenziale per riflettere sul senso delle cose e trasformare il
nostro modo di pensare e dire il mondo. Allora, leggendo e ascoltan-
do le parole di questo libro lasciamo che dialoghino con noi, lascia-
mole risuonare come un racconto mitico, perché «la narrativa non
dimostra, ma mostra» e «il mito non prova ma testimonia>>7.
Facciamoci portare dentro l'essenza stessa della vita, nel soffio dello
spirito sapiente che ci ispira e ci stupisce nell'incantamento.
Premessa 11

Note

I. Edizione originale: The Chalice and the Biade. Our History, Our Future.
San Francisco: HarperCollins 1987.
2. Si veda: http://all.uniud.it/?page_id= 195.
3. Parma: Pratiche.
4. Si vedano i link utili per la collana ALL ed altri testi pubblicati in
quest'area di ricerca: http://www.forumeditrice.it/percorsi/1 ingua-e-letteratura/all;
http ://www.rodopi.nl/functions/search.asp?Bookld=CC+ 122
5. Martha C. Nussbaum. Not /or Profit. Why Democracy Needs the
Humanities. Princeton: Princeton University Press 2010. Non per profitto.
Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica. Bologna: Il
Mulino 2011.
6. Raimon Panikkar. Lo spirito della parola. Torino: Bollati Boringhieri
2007.
7. Raimon Panikkar. Lo spirito della parola, p. 94.
Presentazione
di Mauro Ceruti

Fino a pochi decenni fa, conoscevamo significativamente


soltanto gli ultimi 6000 anni della storia della civiltà umana: sa-
pevamo in particolare ricostruire fino al quarto millennio a.C. le
radici della civiltà occidentale. Le indagini sulla rivoluzione
agricola, lo studio dei miti, le immagini e i reperti provenienti
dai luoghi più disparati del continente europeo e del bacino del
Mediterraneo, gli scavi archeologici condotti in Anatolia (çatal
Hilyilk) e in Palestina (Gerico), ulteriori contributi della geneti-
ca e della linguistica hanno iniziato a scandagliare strati più re-
moti del nostro passato, fino a raddoppiare praticamente il no-
stro orizzonte temporale. 1
I risultati sono stati rivoluzionari. Per opera soprattutto del-
1' archeologa Marija Gimbutas, è emerso in tutte le sue articola-
zioni e in tutte le sue peculiarità un vero e proprio «mondo per-
duto»: quello dell'Europa neolitica, che la Gimbutas definisce
«Europa antica» tout court, cioè l'Europa antecedente alle inva-
sioni dei nomadi indoeuropei provenienti dalle steppe circostan-
ti il Caucaso e il Mar Nero. A differenza delle culture che avreb-
bero prevalso successivamente in Europa e nel bacino del
Mediterraneo, le società dell'Europa antica erano egualitarie, e
con una consistente classe media dovuta agli sviluppi del com-
mercio. In esse, soprattutto, il rapporto fra i sessi era equilibrato
e paritario: le donne potevano svolgere funzioni sociali impor-
14 Mauro Ceruti

tanti, di capo clan, e nella veste di sacerdotesse esercitavano una


particolare autorità in ambito religioso.
Il calice della convivialità generatrice e la lama della spada
annientatrice sono le due metafore con le quali Riane Eisler ha
pregnantemente riassunto nel titolo di questo libro le divergenze
fra gli aspetti materiali e simbolici di questo «mondo perduto»
rispetto ai modi di vita che avrebbero successivamente prevalso.
L'Europa e il Mediterraneo antichi sembrano essere stati sede di
una forma di pensiero completamente altra rispetto alla tradizio-
nale forma di pensiero patriarcale caratterizzata dal predominio
del sesso maschile e dalla subordinazione di quello femminile.
Per definire questa struttura di pensiero Riane Eisler ha coniato
il termine «gilania», un termine prodotto dalla coordinazione
(attraverso un fonema che ricorda esso stesso l'idea di connes-
sione: «l» è l'iniziale del termine inglese linking) dei prefissi ge-
neralmente utilizzati per significare il maschile e il femminile:
«gi» e «an», nobilitati da una lunga tradizione e dall'etimologia
greca (gyné e aner).
Dell'Europa e dell'Anatolia preindoeuropea non possedeva-
mo alcuna testimonianza scritta. Ma, grazie all'archeologia, so-
no venute alla luce numerose testimonianze relative alla vita
materiale, ai commerci, all'arte, alla spiritualità di un mondo
che così non è più, un mondo per sempre perduto. Queste testi-
monianze archeologiche corrispondono a quelle che possiamo
definire testimonianze noologiche, corrispondono cioè alla me-
moria della cultura neolitica che è stata occultata, ma non can-
cellata nell'immaginario, nella spiritualità, nei miti, nel folclore
delle ere successive (le aree più eccentriche e rurali dell'Europa,
i Paesi Baschi e la Scandinavia, il Galles e la Lituania hanno
mantenuto fino all'Età moderna molte usanze e molti rituali che
affondano le loro radici nel mondo politeista dell'Europa anti-
ca). La sorpresa è grande, quando si tocchino con mano la ric-
chezza e la persistenza di questo patrimonio di segni, di simboli,
di immagini.
Nella civiltà che fu detta classica, l'eredità indoeuropea e
Presentazione 15

quella preindoeuropea, un sistema simbolico patriarcale (que-


st'ultimo definito da Riane Eisler «androcratico») si mescolano
inestricabilmente, perpetuando la memoria del grande confron-
to/scontro che fu alle origini della nostra storia. La traccia forse
più preziosa di questa mescolanza è fornita dalla stessa religio-
ne della Grecia classica. Alle divinità maschili indoeuropee del
cielo (Zeus) e della guerra (Ares), infatti, si accompagnano e si
contrappongono sia le divinità femminili eredi del mondo neoli-
tico, le dee della Terra, della fecondità e dell'invenzione (Gaia,
Demetra, Persefone, Atena, Artemide, Ecate), sia le figure enig-
matiche di talune divinità maschili (Hermes, Pan, Dioniso) rive-
latesi anch'esse un'eredità delle civiltà antecedenti. Alla pari di
alcune grandi isole del Mediterraneo (Thera, Creta, Sardegna),
la Grecia fu raggiunta relativamente tardi dagli spostamenti dei
popoli delle steppe e, dietro l'apparente armonia del Pantheon
classico, emerge in molti punti una dualità religiosa profonda e
radicata.
La traccia di una società e di una struttura di pensiero altre,
sepolte nel remoto passato della storia europea, era già affiorata
alla metà del secolo scorso, quando il tedesco Johann Jacob Ba-
chofen rese popolare il termine matriarcato. Egli sostenne che
molto probabilmente nell'Europa antica la linea di discendenza
era stata matrilineare. Presto il termine matriarcato fu esteso a
indicare tutte le società che nella loro vita comunitaria prescin-
dessero da ordinamenti patriarcali, società poi rivelatesi diffuse
in tutto il mondo.
La prospettiva di Riane Eisler, tuttavia, si differenzia netta-
mente (come esprime lo stesso terme «gilania») dalle indagini
tradizionali definite dall'opposizione patriarcato versus matriar-
cato. Il termine «matriarcato», infatti, restava interno allo stesso
universo di discorso in cui era stato definito il termine «patriar-
cato»: tale universo interpreta il rapporto fra due polarità come
contrapposizione, lotta, gioco a somma zero, con conseguenti
vittorie e sconfitte, dominazioni e subordinazioni, sommità e
basi della struttura sociale. Al contrario, il termine «gilania»
16 Mauro Ceruti

porta fuori da questo universo il discorso e richiede di costruirne


uno nuovo, in cui la differenza non implichi necessariamente
superiorità e inferiorità, in cui sia concepibile una società diver-
sificata ma non gerarchizzata. Il riconoscimento e il rispetto del-
l'autonomia, della differenza e dell'uguaglianza di status fra i
due sessi sono, nell'universo di «gilania», precondizioni per la
loro stessa evoluzione: una polarità si trasforma e si arricchisce
proprio grazie alle connessioni e alle comunicazioni che inter-
corrono con l'altra polarità.
Riane Eisler in questo libro non soltanto ci introduce con
straordinaria chiarezza e precisione alle sorprendenti scoperte
che ci hanno condotto a riscrivere il passato remoto della nostra
civiltà. Riane Eisler fa molto di più. Ricerca in queste radici
nuovi strumenti per rispondere alla sfida ineludibile dei nostri
tempi: la sfida di costruire un futuro vivibile, che vada al di là
del furore e del sangue di quella che è apparsa come una storia
necessaria, e necessariamente dettata da una natura umana cri-
stallizzata e sempre uguale a se stessa. 2 Questo libro è stato ac-
colto, studiato e approfondito in tutto il mondo perché, sorpren-
dentemente, la stessa dualità oppositiva fra il calice e la spada,
fra la coevoluzione e la subordinazione dei sessi, appare defini-
toria anche di altre civiltà come quella indiana e quella cinese.
Il libro di Riane Eisler è un importantissimo contributo per co-
struire un destino di civiltà di tipo nuovo, che sappia resistere
agli integralismi e alle barbarie vecchie e nuove che minaccia-
no a ogni dove di trascinare nel baratro le fragili convivenze di
etnie e di generi. L'allargamento del nostro punto di vista sulla
varietà delle culture e delle civiltà umane, nello spazio come
nel tempo, oggi inizia a farci comprendere quanto lo spettro di
possibilità per la specie umana sia molto più ampio, per il bene
come per il male, per lo sviluppo come per la degradazione, e
come la storia della specie umana non segua un tragico destino
già scritto, ma si reinventi continuamente in molteplici punti di
biforcazione. Il processo di ominizzazione è incompiuto e
aperto.
Presentazione 17

Note

I. Si veda G. Bocchi e M. Ceruti, Origini di storie, Feltrinelli, Milano


1993.
2. Si veda anche A. Montuori e I. Conti, From Power to Partnership, Har-
per Collins, San Francisco 1993 (trad. it. Dal dominio alla partecipazione,
ETAS Lab, Milano 1997).
Ringraziamenti

Per molti versi questo libro è frutto di uno sforzo collettivo,


il risultato del lavoro e della intuizione di tantissime donne e uo-
mini, che nelle note ho spesso citato. Ma, oltre a costoro, nume-
rose altre persone mi hanno dato un aiuto inestimabile, con criti-
che e consigli, collaborando alla stesura e alle modifiche del
manoscritto, e, soprattutto, incoraggiandomi e aiutandomi negli
ultimi dieci anni.
Il contributo di David Loye, a cui è dedicato il libro, è stato
così straordinario che non trovo un modo adeguato per espri-
mergli la mia gratitudine. Non è esagerato dire che non sarebbe
stato possibile completare questo libro senza la piena e fattiva
collaborazione, durata molti anni, di questa persona ecceziona-
le, che spesso ha trascurato la sua importante opera di pioniere
della sociologia, offrendo generosamente la sua erudizione, le
sue idee, la sua abilità di revisore e la sua comprensione, con
una pazienza e un'abnegazione che davvero trascendono i limiti
umani.
Fra le molte donne che hanno generosamente contribuito a
questo libro, mi sento particolarmente in debito verso la mia
amica e collega Annette Ehrlich, che, nonostante i pressanti im-
pegni di docente di psicologia e di consulente editoriale scienti-
fico, ha trovato il tempo di leggere più volte i manoscritti, in ori-
gine molto più lunghi, da cui si è poi sviluppato Il Calice e la
20 Riane Eisler

Spada. Le sue schiette critiche editoriali e il suo strenuo soste-


gno al mio entusiasmo e alla mia energia, talora vacillanti, mi
hanno aiutato enormemente. Sono anche molto grata a Carole
Anderson, Fran Hosken, Mara Keller, Rebecca McCann, Isolina
Ricci e alla defunta Wilma Scott Heide. Ognuna di loro ha letto
tutto il manoscritto, o gran parte di esso, in fasi differenti del
suo sviluppo, dandomi importanti suggerimenti, conforto e
amore. Il Calice e la Spada e io abbiamo inoltre un enorme de-
bito di riconoscenza con Ashley Montagu, che ha rimandato il
completamento di due suoi libri per esaminare il presente volu-
me riga per riga, nota per nota. Questa e altre manifestazioni di
fiducia nel mio lavoro, da parte di un uomo che ha dedicato gran
parte della sua vita, lunga ed estremamente produttiva, al mi-
glioramento dell'uomo, mi sono state di grande aiuto e incorag-
giamento.
Ci vorrebbe un altro libro per ringraziare adeguatamente tut-
ti coloro che hanno contribuito in modo determinante a quest'o-
pera: le mie figlie Andrea e Loren Eisler, la mia agente Ellen
Levine, il mio editore Jan Johnson, e tanti altri alla Harper &
Row, tra cui Clayton Carlson, Tom Dorsaneo, Mike Kehoe,
Yvonne Kèller, Dorian Gossy, Virginia Rich e tutti quelli che
hanno curato così bene il libro nelle ultime fasi della sua produ-
zione.
Tra gli studiosi che hanno letto, secondo il punto di vista del-
le loro discipline, parti del Calice e la Spada durante la sua ste-
sura, dandovi un importante contributo, ci sono gli archeologi
Marija Gimbutas e Nicolas Platon, le sociologhe Jessie Bernard
e Joan Rockwell, la psichiatra Jean Baker Miller, le storiche del-
!' arte e della cultura Elinor Gadon e Merlin Stone, la studiosa di
letteratura comparata Gloria Orenstein, il biologo Vilmos
Csanyi, i teorici del «caos» e dei «sistemi auto-organizzanti»
Ervin Laszlo e Ralph Abraham, il fisico Fritjof Capra, i futuro-
logi Hazel Henderson e Robert Jungk, la teologa Carol Christ.
Altri che hanno letto parti del manoscritto o che hanno fornito
importanti suggerimenti, sono, in ordine alfabetico: Andra
Ringraziamenti 21

Akers, Lettie Bennett, Anna Binicus, June Brindel, Marie Can-


tlon, Julia Eisler, Olga Eleftheriades, Maier Greif, Mary Hardy,
Helen Helmer, Allie Hixson, Elizabeth Holm, Barbara Honeg-
ger, Al Ikof, Ed Jarvis, Abida Khanum, Samson Knoll, Pat Lala,
Susan Mehra, Mary e Lloyd Morain, Hilka Pietila e Cosette
Thomson. L'elenco non terminerebbe qui, ma i limiti di spazio
rendono impossibile citare tutti; mi scuso anche per le possibili
dimenticanze, poiché avrei voluto nominare tutti coloro che, du-
rante i lunghi anni di ricerca e di scrittura, mi hanno stimolato
intellettualmente e sostenuto emotivamente.
Un ringraziamento speciale va a chi ha partecipato all'opera
apparentemente infinita di preparazione del manoscritto, in par-
ticolar modo a Jeannie Adams, Ryan Bounds, Kedron Bryson,
Kathy Campbell, Elizabeth Dolmat, Sylvia Edgren, Diana, Eli-
zabeth Harrington, Cherie Long, Jeannie McGregor, Mike Ro-
senberg, Susanne Shavione, Cindy Sprague, Elizabeth Wahbe e
Jo Warley.
A David Loye,
mio compagno nella vita
e nel lavoro
Introduzione
Il Calice e la Spada

Questo libro apre una porta. La chiave d'apertura è stata mo-


dellata da molte persone e da molti libri, e ancor più ce ne vor-
ranno per esplorare a fondo i vasti orizzonti che si dispiegano
oltre la soglia. Ma basta anche solo uno spiraglio, per rivelarci
una nuova e affascinante conoscenza del nostro passato, e una
nuova visione del nostro possibile futuro.
Ho dedicato la mia esistenza alla ricerca di questa porta.
Nella vita mi sono ben presto resa conto che ciò che la gente di
culture differenti dà per scontato - lo stato delle cose - non è
ovunque lo stesso. Ho anche sviluppato molto precocemente un
acceso interesse per la condizione umana. Quand'ero molto
piccola il mondo apparentemente sicuro che avevo conosciuto
venne fatto a pezzi dall'invasione nazista dell'Austria. Ho visto
trascinare via mio padre, e dopo che mia madre riuscì miraco-
losamente a farlo rilasciare dalla Gestapo, scappammo per sal-
varci la vita. Grazie a quella fuga, prima a Cuba e infine negli
Stati Uniti, ho sperimentato tre culture diverse, ognuna con le
sue verità. Cominciai anche a pormi molte domande, domande
che per me non sono, né mai sono state, astratte.
Perché ci cacciamo e perseguitiamo l'un con l'altro? Perché
nel nostro mondo regna la vergognosa brutalità dell'uomo verso
i suoi simili e verso la donna? Cosa ci spinge perennemente alla
24 Riane Eisler

crudeltà anziché alla gentilezza, alla guerra anziché alla pace,


alla distruzione anziché alla realizzazione?
Tra tutte le forme di vita di questo pianeta solo noi siamo in
grado di coltivare i campi e trarne il raccolto, di comporre musi-
ca e poesia, di ricercare verità e giustizia, di insegnare a un bam-
bino a leggere e a scrivere, o anche solo di ridere e piangere.
Grazie alla nostra capacità unica di immaginare nuove realtà e
di realizzarle tramite tecnologie sempre più avanzate, siamo in
pratica responsabili della nostra evoluzione. Tuttavia, la nostra
meravigliosa specie sembra avviata a interrompere con una ca-
tastrofe ecologica o un olocausto nucleare non solo la propria
evoluzione, ma anche quella della maggior parte delle forme di
vita del nostro pianeta.
Con l'andare del tempo, ho proseguito i miei studi professio-
nali, ho avuto figli e ho indirizzato sempre più la mia ricerca e i
miei scritti sul futuro. Di conseguenza, i miei interessi si sono
ampliati e approfonditi. Come molti altri, mi sono convinta che
ci stiamo rapidamente avvicinando a un bivio dell'evoluzione,
che il cammino da noi scelto mai come oggi è stato così critico.
Ma quale direzione dovremmo prendere?
Socialisti e comunisti affermano che la causa dei nostri pro-
blemi è il capitalismo; per i capitalisti sono socialismo e comu-
nismo a portarci alla rovina. Alcuni sostengono che i nostri guai
derivano dal nostro «paradigma industriale», che la colpa è del-
la nostra «visione scientifica del mondo». Per altri la colpa è
dell'umanesimo, del femminismo, addirittura del laicismo, e
propugnano un ritorno ai «vecchi tempi», a un'epoca meno
complicata, più naturale e religiosa.
Tuttavia, se osserviamo l'umanità - e la televisione e il triste
rituale quotidiano del giornale a colazione ci costringono a farlo
- vediamo come nazioni capitaliste, socialiste e comuniste siano
ugualmente coinvolte nella corsa agli armamenti e in tutte quel-
le irrazionalità che minacciano sia noi che il nostro ambiente. E
se guardiamo al passato (i massacri sistematici operati da Unni,
Romani, Vichinghi e Assiri, o i crudeli assassinii delle Crociate
Introduzione. Il Calice e la Spada 25

cristiane o dell'Inquisizione), ci accorgiamo che nelle società


più piccole, prescientifiche e preindustriali che ci hanno prece-
duto, c'erano addirittura più violenza e ingiustizia.
Poiché tornare indietro non è una soluzione, in che modo an-
dare avanti? Si è scritto molto sulla Nuova Era, una trasforma-
zione culturale importante e senza precedenti. 1 Ma, in pratica,
cosa significa? Una trasformazione da cosa in che cosa? Cosa
cambierà nel futuro, cosa potrà accadere alla nostra vita quoti-
diana e alla nostra evoluzione culturale? È realisticamente pos-
sibile il passaggio da un sistema di guerre incessanti, di ingiusti-
zia sociale e di squilibrio ecologico a un sistema che porti alla
pace, alla giustizia sociale e all'equilibrio ecologico? E soprat-
tutto, quali cambiamenti della struttura sociale renderanno pos-
sibile questa trasformazione?
La ricerca di una risposta a queste domande mi ha spinto al
riesame del nostro passato, presente e futuro, che costituisce la
base di questo libro. Il Calice e la Spada riporta parte di questa
nuova ricerca sulla società umana, diversa dalla maggior parte
degli studi che l'hanno preceduta, in quanto prende in considera-
zione tutta la storia dell'umanità (compresa la nostra preistoria)
e tutta l'umanità (la metà femminile oltre che quella maschile).
Riunendo testimonianze artistiche, archeologiche, religiose,
sociologiche, storiche, e di molti altri campi di ricerca, in nuovi
modelli che si adattano meglio ai dati più accurati disponibili, Il
Calice e la Spada narra una nuova storia delle nostre origini cul-
turali. Dimostra che la guerra e la «guerra dei sessi» non sono de-
cretate divinamente o biologicamente. E conferma che un futuro
migliore è possibile, e che le sue radici affondano nel dramma
tormentoso di ciò che è accaduto veramente nel nostro passato.

Le possibilità umane: due alternative

Tutti conosciamo le leggende su di un'epoca remota, più ar-


moniosa e pacifica. La Bibbia parla di un giardino in cui regna-
26 Riane Eisler

va l'armonia tra uomo, donna e natura, prima che un dio ma-


schile decretasse che da lì in poi la donna sarebbe stata sotto-
messa all'uomo. Il cinese Tao Te Ching descrive un tempo in cui
lo yin, il principio femminile, non era ancora dominato da quel-
lo maschile, lo yang, un'epoca in cui sopra ogni cosa veniva ri-
spettata e ascoltata la saggezza della madre. L'antico poeta gre-
co Esiodo scrisse di una «stirpe aurea», che lavorava la terra in
«serena tranquillità», prima che una «stirpe inferiore» introdu-
cesse il suo dio della guerra. Ma, anche se gli studiosi sono con-
cordi nel ritenere che per molti versi queste opere si basano su
eventi della preistoria, i riferimenti a un'epoca in cui tra uomini
e donne vigeva un rapporto mutuale sono sempre stati conside-
rati poco più che fantasie.
Agli albori dell'archeologia, gli scavi di Heinrich e Sophia
Schliemann contribuirono a confermare l'esistenza della Troia
di Omero. Oggi i nuovi scavi archeologici, affiancati da mutate
interpretazioni, che utilizzano metodi più scientifici degli scavi
più vecchi, ci rivelano che anche racconti come quello della no-
stra cacciata dal Giardino dell'Eden si basano su realtà prece-
denti: sui ricordi popolari delle prime società agricole (o neoliti-
che), che piantarono i primi giardini su questa terra. Analoga-
mente (come aveva già suggerito quasi cinquant'anni fa
l'archeologo greco Spyridon Marinatos) la leggenda dell' inabis-
samento della splendida civiltà di Atlantide potrebbe essere un
lontano ricordo della civiltà minoica, che ora si ritiene scompar-
sa quando Creta e le isole circostanti furono sconvolte da terre-
moti e maremoti immani. 2
Proprio come ai tempi di Colombo la constatazione che la
Terra non è piatta consentì la scoperta di un nuovo mondo
straordinario, che comunque era sempre esistito, queste scoperte
archeologiche (che derivano da quella che l'archeologo inglese
James Mellaart definisce una vera e propria rivoluzione archeo-
logica) ci rivelano il mondo sorprendente del nostro passato na-
scosto. 3 Si tratta di un lungo periodo di pace e di prosperità, du-
rante il quale progredì la nostra evoluzione sociale, tecnologica
Introduzione. Il Calice e la Spada 27

e culturale: diverse migliaia di anni in cui tutte le tecnologie


fondamentali su cui si basa la civiltà continuarono a evolversi
all'interno di società non violente e non gerarchiche, in cui il
maschio non era dominante.
Un'ulteriore conferma che esistevano società antiche orga-
nizzate in modo completamente diverso da quelle attuali viene
dalle numerose immagini, altrimenti incomprensibili, di una di-
vinità femminile nell'arte antica, nel mito, e persino negli scritti
storici. L'idea dell'universo come Madre onnidispensatrice è so-
pravvissuta (anche se in forme modificate) fino ai giorni nostri.
In Cina le divinità femminili Ma Tsu e Kuan Yin sono tuttora
molto venerate come dee benigne e compassionevoli. L'antro-
pologa P.S. Sangren nota che «Kuan Yin è chiaramente la divi-
nità cinese più venerata». 4 Analogamente il culto di Maria, la
madre di Dio, è diffusissimo. Anche se nella teologia cattolica
viene retrocessa a una condizione non divina, la sua divinità è
implicitamente riconosciuta dall'appellativo «Madre di Dio» e
dalle preghiere di milioni di fedeli che ogni giorno cercano
conforto e protezione nella sua carità. Inoltre, la storia della na-
scita, morte e resurrezione di Gesù ricorda straordinariamente
quella di precedenti «culti misterici», che ruotano attorno a una
Madre divina e a suo figlio, o, come nel caso del culto di Deme-
tra e Kore, alla figlia.
Naturalmente è facilmente intuibile che le primissime rap-
presentazioni della potenza divina in forma umana siano state
femminili e non maschili. Quando i nostri antenati cominciaro-
no a porsi le eterne domande (da dove veniamo prima di nasce-
re? dove andiamo dopo la morte?), devono avere notato che la
vita ha origine da un corpo di donna. Per loro deve essere stato
naturale immaginare l'universo come una madre onnidispensa-
trice, dal cui grembo ha origine ogni forma di vita, e nel cui
grembo, come nei cicli della vegetazione, dopo la morte tutto ri-
torna, per poi rinascere. È anche assai evidente che le società
con una siffatta visione dei poteri che regolano l'universo avran-
no una struttura sociale molto differente rispetto a quelle che
28 Riane Eisler

adorano un Padre divino che brandisce un fulmine e/o una spa-


da. Sembra anche logico che in società che abbiano concettua-
lizzato in forma femminile i poteri che governano l'universo, le
donne non saranno considerate inferiori, e che in queste società
saranno molto stimate qualità «effeminate» come affettuosità,
compassione e non violenza. Ciò che non ha senso è concludere
che nelle società in cui l'uomo non dominava la donna, era la
donna a dominare l'uomo.
Tuttavia, quando nel XIX secolo furono dissotterrate le pri-
me testimonianze di tali civiltà, si stabilì che dovevano essere
«matriarcali». Poi, quando sembrava che le prove non riuscisse-
ro a suffragare questa conclusione, si ritornò alla consueta teoria
che la società umana è sempre stata, e sempre sarà, dominata
dall'uomo. Ma, se ci liberiamo dai modelli invalsi di realtà, ri-
sulta evidente che esiste una differente alternativa logica: ci pos-
sono essere società in cui diversità non implica necessariamente
inferiorità o superiorità.
Uno dei risultati del riesame della società umana secondo
una visione olistica dei sessi è la formulazione di una nuova teo-
ria dell'evoluzione culturale. Questa teoria, che ho chiamato
teoria della Trasformazione Culturale, sostiene che sotto l'appa-
rente grande differenza della cultura umana si celano due mo-
delli base di società.
Il primo, che chiamo modello dominatore, è quello che viene
comunemente detto patriarcale o matriarcale, il predominio di
una metà dell'umanità sull'altra. Il secondo, in cui le relazioni
sociali si basano principalmente sull'unione e non sul predomi-
nio, può essere definito modello mutuale. In questo modello, a
partire dalla più fondamentale differenza della nostra specie,
quella tra maschio e femmina, diversità non significa né inferio-
rità né superiorità. 5
La teoria della Trasformazione Culturale suggerisce inoltre
che in origine la nostra evoluzione culturale fosse orientata ver-
so la mutualità, ma che, dopo un periodo di caos e di quasi tota-
le disgregamento culturale, si verificò un sostanziale mutamento
Introduzione. Il Calice e la Spada 29

sociale. La maggiore reperibilità di dati sulle società occidentali


(dovuta all'interesse etnocentrico della sociologia occidentale)
fa sì che questo mutamento sia documentabile più accuratamen-
te analizzando l'evoluzione della cultura occidentale. Ci sono
comunque indicazioni che il cambio di direzione dal modello
mutuale a quello dominatore abbia avuto grosso modo un paral-
lelo in altre parti del mondo. 6
Il titolo Il Calice e la Spada deriva da questo catastrofico
punto critico nella preistoria della civiltà occidentale, quando il
corso della nostra evoluzione culturale fu letteralmente sconvol-
to. In quel momento fondamentale s'interruppe l'evoluzione
culturale delle società che adoravano le potenze vivificanti e nu-
trici dell'universo, ancor oggi simbolizzate dall'antico calice, il
Graal. E il momento in cui apparvero all'orizzonte della preisto-
ria gli invasori dalle aree periferiche del globo, che introdussero
una forma di organizzazione sociale affatto differente. Come
scrive Marija Gimbutas, archeologa dell'Università della Ca-
lifornia, erano popoli che adoravano «il potere letale della spa-
da»,7 il potere di togliere anziché donare la vita, che è il potere
basilare per istituire e rafforzare il dominio.

I bivi dell'evoluzione

Oggi siamo a un altro punto di svolta potenzialmente decisi-


vo. In un momento in cui il potere letale della Spada, moltiplica-
to milioni di volte dai megatoni delle testate nucleari, minaccia
di porre fine all'intera cultura umana, le nuove scoperte sulla
storia antica e moderna riportate nel Calice e la Spada non si li-
mitano a fornire un nuovo capitolo della storia del nostro passa-
to. L'importante è ciò che questa nuova conoscenza ci dice sul
nostro presente e sul nostro possibile futuro.
Per millenni gli uomini hanno combattuto guerre, e la Spada è
stata un simbolo maschile. Ma ciò non implica che gli uomini
siano necessariamente violenti e bellicosi. 8 Lungo tutto il corso
30 Riane Eisler

della storia ci sono stati uomini pacifici e non violenti. Inoltre, le


società preistoriche in cui il sommo potere, simboleggiato dal
Calice, era quello di donare e di nutrire, erano ovviamente costi-
tuite sia da uomini che da donne. Il problema fondamentale non
sono gli uomini come sesso. L'origine del problema è un sistema
sociale in cui il potere della Spada viene idealizzato, in cui sia
agli uomini che alle donne viene insegnato a far equivalere la vi-
rilità alla violenza e al dominio, e a considerare gli uomini che
non si conformano a questo ideale troppo «molli» o «effeminati».
Per molta gente è impossibile credere che possa esistere un
modo diverso di strutturare la società umana, e tanto meno che il
nostro futuro possa dipendere da qualcosa che abbia a che vede-
re con le donne o la femminilità. Uno dei motivi di questo pre-
giudizio è che nelle società dominate dal maschio tutto ciò che
riguarda le donne o la femminilità viene automaticamente con-
siderato come un problema secondario, da donne, da affrontare,
se proprio si deve, solamente dopo che sono stati risolti i «pro-
blemi più importanti». Un altro motivo è che non abbiamo rice-
vuto un'adeguata informazione. Anche se l'umanità è evidente-
mente formata da due metà (donne e uomini), nella maggior
parte degli studi sulla società umana il protagonista principale
(spesso l'unico, a dire il vero) è stato un maschio.
A causa di quello che è stato letteralmente uno «studio del-
l'uomo», molti sociologi hanno dovuto lavorare con una serie di
dati incompleta e distorta, che in qualsiasi altro contesto sarebbe
immediatamente stata riconosciuta del tutto erronea. Ancor oggi
l'informazione sulle donne è principalmente relegata nel ghetto
intellettuale degli studi delle donne. Inoltre, ed è facilmente
comprensibile, vista la sua immediata (anche se a lungo trascu-
rata) importanza per la vita femminile, la maggior parte della ri-
cerca delle femministe si è concentrata sulle conseguenze che
ha sulle donne lo studio delle donne.
Questo libro è differente, poiché si concentra sulle conse-
guenze che ha il modo in cui organizziamo i rapporti fra le due
metà dell'umanità sulla totalità di un sistema sociale. Chiara-
Introduzione. Il Calice e la Spada 31

mente, la maniera in cui si strutturano questi rapporti esercita


un'influenza determinante sulle vite individuali di uomini e
donne, sui nostri ruoli quotidiani e sulle nostre scelte di vita. Ma
c'è un fatto ugualmente importante, anche se per lo più ignora-
to, che una volta espresso appare ovvio. Vale a dire, il modo in
cui strutturiamo il più importante dei rapporti umani (senza il
quale la nostra specie non potrebbe continuare) ha un effetto
profondo su tutte le nostre istituzioni, sui nostri valori e, come
dimostreranno le pagine seguenti, sul corso della nostra evolu-
zione culturale, determinando in particolare se essa sarà pacifica
o bellicosa.
Se ci fermiamo a riflettere, ci sono solo due modi fondamen-
tali di strutturare i rapporti fra la metà maschile e quella femmi-
nile dell'umanità. Tutte le società si conformano o a un modello
dominatore, in cui le gerarchie umane sono in definitiva soste-
nute con la forza o con la minaccia della forza, o a un modello
mutuale, con alcune variazioni intermedie. Inoltre, se riesami-
niamo la società umana secondo una prospettiva che tenga con-
to sia delle donne che degli uomini, possiamo anche capire che
ci sono modelli, o configurazioni di sistemi, che caratterizzano
l'organizzazione sociale di tipo dominatore, o, in alternativa, di
tipo mutuale.
Per esempio, secondo il punto di vista consueto la Germania
di Hitler, l'Iran di Khomeini, il Giappone dei Samurai e gli Az-
techi della Meso-America, sono società radicalmente diverse,
con razze, origini etniche, sviluppo tecnologico e ubicazione
geografica differenti. Ma, con la nuova prospettiva della teoria
della Trasformazione Culturale, che identifica la configurazione
sociale tipica delle società a rigido dominio maschile, scopria-
mo sorprendenti caratteristiche comuni. Tutte queste società,
per altri versi ampiamente diverse, non solo sono rigidamente a
dominio maschile, ma possiedono anche una struttura sociale
generalmente gerarchica e autoritaria, e un alto grado di violen-
za sociale, in particolare di bellicosità. 9
Viceversa, possiamo notare somiglianze interessanti tra so-
32 Riane Eisler

cietà, per altro estremamente diverse, che sono più ugualitarie


sessualmente. Queste società a «modello mutuale» tendono tipi-
camente non solo a essere molto più pacifiche, ma anche molto
meno gerarchiche e autoritarie. Ciò viene comprovato da dati
antropologici (ovvero, le popolazioni BaMbuti e !Kung), da stu-
di recenti sulle tendenze nelle società moderne più ugualitarie
sessualmente (ovvero, le nazioni scandinave tipo la Svezia) e da
dati preistorici e storici che verranno descritti dettagliatamente
nelle pagine successive. 10
Utilizzando i modelli di organizzazione sociale dominatore e
mutuale per l'analisi del nostro presente e del nostro futuro poten-
ziale, possiamo inoltre iniziare a superare le consuete polarità tra
destra e sinistra, capitalismo e comunismo, religione e laicismo e
persino tra maschilismo e femminismo. Il quadro più ampio che
ne deriva indica che, dopo l'Illuminismo, tutti i movimenti mo-
derni per la giustizia sociale, compresi i più recenti movimenti
femministi, pacifisti ed ecologisti, religiosi o laici, fanno parte di
una spinta latente per trasformare il sistema da dominatore a mu-
tuale. Inoltre, in questa era di potenza tecnologica senza prece-
denti, questi movimenti possono essere visti come parte dell'im-
pulso evolutivo della nostra specie per la sua salvezza.
Se osserviamo l'intero arco della nostra evoluzione culturale
dal punto di vista della teoria della Trasformazione Culturale,
notiamo che le radici della attuale crisi mondiale risalgono a un
mutamento fondamentale nella nostra preistoria, che portò enor-
mi cambiamenti non solo alla struttura sociale ma anche alla
tecnologia. Si trattava di un mutamento di valori, il passaggio
dalle tecnologie che sostengono e arricchiscono la vita a quelle
simboleggiate dalla Spada: tecnologie per distruggere e domina-
re. È stato questo il valore della tecnologia nel corso di quasi
tutta la storia. Ed è questa valenza della tecnologia, più che la
tecnologia in sé, che oggi minaccia la vita sul nostro pianeta. 11
Senza dubbio qualcuno sosterrà che, poiché nella preistoria
si passò da un modello mutuale a un modello dominatore della
società, il mutamento dovette essere una forma di adattamento.
Introduzione. Il Calice e la Spada 33

Ma la tesi secondo cui qualunque evento evolutivo è un fenome-


no di adattamento non regge, come è ampiamente dimostrato
dall'estinzione dei dinosauri. In ogni caso, in termini evoluzio-
nistici l'arco dell'evoluzione culturale umana è davvero troppo
breve per poter ammettere criteri di questo tipo. Il nocciolo del-
la questione sembra essere che, considerato il nostro attuale alto
livello di sviluppo tecnologico, un modello dominatore dell'or-
ganizzazione sociale sembra non contribuire ali' adattamento.
Siccome sembra che il modello dominatore abbia ormai rag-
giunto i suoi limiti logici, oggi vi sono molti uomini e donne che
rifiutano i princìpi di organizzazione sociale da lungo tempo
consolidati, compresi i loro ruoli sessuali stereotipati. Per molti
altri, questi cambiamenti sono solo sintomi del crollo dei siste-
mi, di disgregamenti caotici che devono essere repressi a tutti i
costi. Ma, proprio perché il mondo che conoscevamo sta cam-
biando così rapidamente, un numero sempre maggiore di perso-
ne, in zone sempre più vaste del nostro pianeta, è in grado di ca-
pire che esistono delle alternative.
Il Calice e la Spada analizza queste alternative. Ma, nono-
stante il materiale che segue dimostri che un futuro migliore è
possibile, non è affatto vero (come qualcuno vorrebbe farci cre-
dere) che, in una nuova e migliore era, ci lasceremo senz'altro al-
le spalle la minaccia di un olocausto nucleare o ecologico. In ul-
tima analisi, questa scelta dipende esclusivamente da noi stessi.

Caos o trasformazione

Lo studio su cui si basa Il Calice e la Spada è ciò che i socio-


logi chiamano una ricerca d'azione. 12 Non è soltanto una ricerca
di ciò che era, è, o addirittura di cosa potrà essere la nostra evo-
luzione culturale, è anche un tentativo di capire in che modo
possiamo intervenire più efficacemente su di essa.
Il resto di questa introduzione si rivolge soprattutto ai lettori
interessati a saperne di più su questo tipo di studio. Altri preferi-
34 Riane Eisler

ranno forse saltare direttamente al primo capitolo, per ritornare


a questa parte in un secondo tempo.
Finora la maggior parte degli studi sull'evoluzione culturale
si è occupata soprattutto della progressione da livelli più sempli-
ci a livelli sempre più complessi di tecnologia e di sviluppo so-
ciale.13 Si è prestata particolare attenzione ai mutamenti tecnolo-
gici fondamentali, per esempio l'invenzione dell'agricoltura, la
rivoluzione industriale e, più di recente, il passaggio alla nostra
era postindustriale o nucleare/elettronica. 14 Questo tipo di pas-
saggio comporta ovviamente delle conseguenze sociali ed eco-
nomiche estremamente importanti. Ma rappresenta solo una
parte della storia umana.
Esiste però anche un passaggio di genere differente: i muta-
menti della società per adeguarsi a un'organizzazione sociale a
modello mutuale, oppure dominatore. Come abbiamo fatto no-
tare in precedenza, la tesi centrale della teoria della Trasforma-
zione Culturale è che la direzione dell'evoluzione culturale è
molto diversa, a seconda che il tipo di società sia dominatore o
mutuale.
Questa teoria deriva in parte da un'osservazione che di solito
non viene fatta: il termine evoluzione ha un significato duplice.
In termini scientifici descrive la storia biologica, e, per estensio-
ne, culturale delle specie viventi. Ma «evoluzione» è anche un
termine normativo. È spesso usato come sinonimo di progresso:
per descrivere il movimento da livelli più bassi a livelli più alti.
In effetti, nemmeno la nostra evoluzione tecnologica è stata
un passaggio lineare da livelli più bassi a livelli più alti, ma,
piuttosto, un processo costellato di forti regressi, come per
esempio i «secoli bui» della Grecia e il Medioevo. 15 Nondimeno,
si direbbe che ci sia una spinta di fondo verso una maggiore
complessità sociale e tecnologica. Analogamente, sembra esi-
stere una spinta umana verso mete più alte: verità, bellezza e
giustizia. Ma, come dimostrano fin troppo chiaramente la bruta-
lità, l'oppressione e le guerre che caratterizzano la nostra storia,
il movimento verso questi ideali difficilmente è stato lineare.
Introduzione. Il Calice e la Spada 35

Anche in questo caso, come documentano i dati che esaminere-


mo, ci sono stati forti regressi.
Nel raccogliere i dati per tracciare e verificare le dinamiche
sociali che stavo analizzando, ho messo insieme scoperte e teo-
rie di campi diversi, sia delle scienze sociali che di quelle natu-
rali. Due fonti mi sono risultate particolarmente utili: la nuova
cultura femminista e le nuove scoperte scientifiche sulle dina-
miche del mutamento.
In molti campi della scienza si sta diffondendo una nuova
opinione su come si formano, si mantengono e mutano i sistemi,
grazie a lavori come quello del premio Nobel Ilya Prigogine e di
Isabel Stengers per la chimica e i sistemi generali, Robert Shaw
e Marshall Feigenbaum per la fisica, Humberto Maturana e
Francisco Varela per la biologia. 16 Questo nuovo insieme di teo-
rie e di dati viene a volte identificato con la «nuova fisica» resa
popolare da libri come Il Tao della fisica e Il punto di svolta di
Fritjof Capra. 11 A volte viene anche definita teoria del «caos»
poiché, per la prima volta nella storia della scienza, si basa sul
mutamento improvviso e fondamentale, il tipo di mutamento in
cui il nostro mondo si trova sempre più coinvolto.
Un particolare interesse rivestono i nuovi studi che esamina-
no il mutamento nell'evoluzione, a opera di biologi e paleonto-
logi come Vilmos Csanyi, Niles Eldredge e Stephen Jay Gould,
oltre che i lavori di studiosi come Erich Jantsch, Ervin Laszlo e
David Loye, sulle implicazioni che ha la teoria del «caos» per
l'evoluzione culturale e le scienze sociali. 18 Ciò non significa as-
solutamente che l'evoluzione culturale umana equivalga a quel-
la biologica. Ma, anche se ci sono importanti differenze fra
scienze naturali e scienze sociali, e lo studio dei sistemi sociali
deve evitare un riduzionismo meccanicistico, ci sono altresì im-
portanti somiglianze, che riguardano sia il mutamento che l' au-
to-organizzazione dei sistemi.
Tutti i sistemi si sostengono tramite l'interazione di loro par-
ti critiche, che si rafforzano reciprocamente. Di conseguenza,
c'è una somiglianza, a volte sorprendente, tra la teoria della Tra-
36 Riane Eisler

sformazione Culturale presentata in questo libro e quella del


«caos» sviluppata dagli studiosi di scienze naturali e dei siste-
mi: entrambe ci descrivono cosa è successo, e cosa può di nuovo
succedere, nei punti critici di diramazione o biforcazione dei si-
stemi, quando può verificarsi la rapida trasformazione di un in-
tero sistema. 19
Per esempio, Eldredge e Gould suggeriscono che I' evoluzio-
ne, più che procedere per fasi graduali verso l'alto, consiste in
lunghi periodi d'equilibrio, o d'assenza di mutamenti di rilievo,
punteggiati di diramazioni, o punti di biforcazione dell' evolu-
zione, quando nascono nuove specie alla periferia o ai margini
dell'habitat di specie parentali. 20 E, anche se ci sono ovvie diffe-
renze tra il diversificarsi di nuove specie e i mutamenti da un ti-
po di società a un altro, ci sono, come vedremo, somiglianze
sorprendenti tra il modello di Gould e Eldredge degli «isolati
periferici» e le concezioni di altri teorici del «caos» e dell'evo-
luzione su quanto è successo, e su quanto oggi potrebbe di nuo-
vo accadere, alla nostra evoluzione culturale.
Il contributo della cultura femminista a uno studio olistico
dell'evoluzione culturale - che comprenda tutto l'arco della sto-
ria umana e le due metà dell'umanità- è più evidente: fornisce i
dati mancanti che non si trovano nelle fonti convenzionali. In ef-
fetti il riesame del nostro passato, del nostro presente e del no-
stro futuro che questo libro propone non sarebbe stato possibile
senza il lavoro di studiose come Simone de Beauvoir, Jessie
Bernard, Ester Boserup, Gita Sen, Mary Daly, Dale Spender,
Florence Howe, Nancy Chodorow, Adrienne Rich, Kate Millet,
Barbara Gelpi, Alice Schlegel, Annette Kuhn, Charlotte Bunch,
Caro! Christ, Judith Plaskow, Catharine Stimpson, Rosemary
Radford Ruether, Hazel Henderson, Catharine MacKinnon,
Wilma Scott Heide, Jean Baker Miller e Caro! Gilligan, per ci-
tarne solo alcune. 21 Fin dai tempi di Aphra Behn, nel XVII seco-
lo, e persino prima, 22 la gran quantità di dati e di approfondi-
menti fornita dalle studiose femministe, di cui solamente negli
ultimi vent'anni si è iniziato a riconoscere pienamente il valore,
Introduzione. Il Calice e la Spada 37

sta, come la teoria del «caos», aprendo nuove frontiere alla


scienza.
Anche se si tratta di poli diversi in partenza - l'esperienza e
la visione del mondo dal consueto punto di vista maschile e
quella, radicalmente diversa, femminile - le teorie femministe e
quelle del «caos» hanno in effetti molto in comune. Sono en-
trambe viste dalla scienza ortodossa come attività misteriose,
che stanno ai margini, se non al di là, delle ricerche riconosciu-
te. E, occupandosi della trasformazione, queste due scuole di
pensiero hanno in comune la crescente consapevolezza che l' at-
tuale sistema si sta disgregando, e che dobbiamo trovare il modo
di progredire verso un futuro diverso.
I capitoli che seguono esplorano le origini di questo futuro e
i sentieri che a esso conducono. Raccontano una storia che ha
inizio migliaia di anni prima della nostra storia documentata (o
scritta): la storia di come il corso inizialmente mutuale della
cultura occidentale abbia compiuto una svolta cruenta, di tipo
dominatore, durata cinquemila anni. Mostrano che i nostri cre-
scenti problemi planetari sono in gran parte la logica conse-
guenza, al nostro livello di sviluppo tecnologico, del modello di
organizzazione sociale dominatore, per cui non possono essere
risolti dal suo interno. Mostrano anche che esiste un percorso al-
ternativo che, come co-creatori della nostra evoluzione, possia-
mo ancora imboccare. È l'alternativa del progresso contro quel-
la della dissoluzione: il modo in cui possiamo passare alla
nuova era di un mondo mutuale, grazie a una diversa organizza-
zione della politica, dell'economia, della scienza e della spiri-
tualità.

Note

1. Si vedano, per esempio, Fritjof Capra, The Turning Point: Science, So-
ciety, and the Rising Culture, Simon and Schuster, New York 1982 (trad. it. Il
punto di svolta. Scienza, società e cultura emergente, Feltrinelli, Milano
2003); Marilyn Ferguson, The Aquarian Conspiracy: Persona/ and Socia/
fransformation in the 1980s, Tarcher, Los Angeles 1980 (trad. it. la cospira-
38 Riane Eisler

zione dell'Acquario, Tropea, Milano 1999); George Leonard, The Transfor-


mation: A Guide to the lnevitable Changes in Humankind, Delta, New York
1972.
2. Il primo articolo ad avanzare l'ipotesi che la civiltà minoica fu annienta-
ta da terremoti e maremoti fu Spyridon Marinatos, «The Volcanic Destruction
of Minoan Crete», in Antiquity, 1939, n. 13, pp. 425-39. Oggi sembra più pro-
babile che questi disastri naturali indebolirono Creta allo stremo, e resero pos-
sibile la sua conquista da parte dei sovrani achei (micenei), visto che non esi-
stono tracce a indicare che questa occupazione avvenne tramite una invasione
armata in grande stile.
3. James Mellaart, The Neolithic of the Near East, Scribner, New York
1975.
4. P. Steven Sangren, «Female Gender in Chinese Religious Symbols: Kuan
Yin, Ma Tsu, and the "Eternai Mother"», in Signs, autunno 1983, n. 9, p. 6.
5. A proposito del modello dominatore, andrebbe fatta un'importante di-
stinzione tra gerarchie di dominio e di attuazione. Il termine gerarchie di do-
minio indica gerarchie basate sulla forza o sulla minaccia esplicita o implicita
della forza, che sono tipiche degli ordinamenti dell'umanità in categorie delle
società dominate dal maschio. Tali gerarchie sono molto differenti dai modelli
gerarchici che si trovano nelle progressioni da ordini più bassi a ordini più alti
di funzionamento, per esempio, la progressione da cellule a organi negli orga-
nismi viventi. Questi ultimi possono essere descritti con il termine gerarchie
di attuazione perché il loro compito è di aumentare al massimo i potenziali
dell'organismo. All'opposto, come rivelano sia gli studi sociologici sia quelli
psicologici, le gerarchie umane basate sulla forza o sulla minaccia della forza
non solo inibiscono la creatività personale, ma producono sistemi sociali in cui
sono potenziate le qualità umane più basse (e vili), mentre vengono sistemati-
camente represse le più alte aspirazioni dell'umanità (peculiarità come com-
passione e sensibilità, lotta per la verità e la giustizia).
6. Un'affascinante analisi del passaggio della cultura azteca a un rigido
dominio maschile e, con esso, alla violenza maschile, si trova in June Nash,
«The Aztecs and the Ideology of Male Dominance», in Signs, inverno 1978, n.
4, pp. 349-62. Come rileva il testo, alcuni dei miti più antichi di diverse cultu-
re accennano a un'epoca più pacifica e giusta, in cui le donne avevano una po-
sizione sociale più elevata. Per esempio, il Tao Te Ching cinese, nota R.B.
Blakney, si riferisce a un'epoca precedente al dominio maschile (si veda, per
esempio, The Way of life: Tao Te Ching, trad. e cura di R.B. Blakney, Mentor,
New York 1955 (trad. it. Tao Te Ching, Il libro della Via e della Virtù, a cura
di J.J.L. Duyvendak, Adelphi, Milano 2002). Analogamente, Joseph Needham
parla della dottrina taoista della «evoluzione regressiva» (in altre parole, una
regressione culturale rispetto a un periodo precedente, più civilizzato). Egli
nota anche che alcuni dei più famosi resoconti del precedente periodo taoista
della Grande Unità, o Ta Chung, si trovano nel Hua Nan Tsu, del II secolo
a.e., e nel più tardo li Chi, di scuola confuciana (Joseph Needham, «Time and
Knowledge in China and the West», in T. Frazer (a cura di), The Voices of Ti-
me, Braziller, New York 1966).
7. Marija Gimbutas, «The First Wave of Eurasian Steppe Pastoralists into
Introduzione. Il Calice e la Spada 39

Copper Age Europe», in The Journal of lndo-European Studies, inverno 1977,


n. 5, p. 281.
8. Per alcune opere sul comportamento umano, visto non come frutto di
una predisposizione genetica, ma come risultato di una complessa interazione
tra fattori biologici e socio-ambientali, si veda per esempio R.A. Hinde, Biolo-
gica/ Bases of Human Socia! Behaviour, McGraw-Hill, New York 1974 (trad.
it. Basi biologiche del comportamento sociale e umano. Studiare gli animali
per comprendere l'uomo, Zanichelli, Bologna 1979); Ruth Hubbard e Marian
Lowe (a cura di), Genes and Gender Il, Gordian Press, New York 1979; Helen
Lambert, «Biology and Equality: a Perspective on Sex Differences», in Signs,
autunno 1978, n. 4, pp. 97-117; Riane Eisler e Vilmos Csanyi, Human Biology
and Socia[ Structure (in preparazione); Ethel Tobach e Betty Rosoff (a cura
di), Genes and Gender /, Gordian Press, New York 1978; Ruth Bleier, Science
and Gender, Pergamon Press, Elmsford, N.Y. 1984; Ashton Barfield, «Biolo-
gica! Influences on Sex Differences in Behaviour», in M. Teitelbaum (a cura
di), Sex Dijferences: Socia! and Biologica[ Perspectives, Doubleday Anchor,
New York 1976; Linda Marie Fedigan, Primate Paradigms: Sex Roles and So-
cia! Bonds, University of Chicago Press, Chicago 1992; R.C. Lewontin, Ste-
ven Rose e Leon Kamin, Not in Our Genes, Pantheon, New York 1984. Un'ec-
cellente analisi del comportamento aggressivo (e una convincente
confutazione dell'attuale reviviscenza nella sociobiologia del darwinismo so-
ciale ottocentesco) si può trovare in Ashley Montagu, The Nature of Human
Aggression, Oxford University Press, New York 1976.
Anche la questione dell'istinto negli animali non è così chiara come si cre-
deva una volta. Per esempio, le nuove ricerche indicano che persino negli uc-
celli sono necessari apprendimento ed esperienza, se si vuole che un'attitudine
si trasformi in abilità. Si veda, per esempio, Gilbert Gottlieb, Development of
Species ldenti.fication in Birds: an lnquiry into the Determinants of Prenata/
Perception, University of Chicago Press, Chicago 1971; Daniel Lehrman, «A
Critique of Konrad Lorenz's Theory of Instinctive Behaviour», in Quarterly
Review of Biology, 1953, n. 28, pp. 337-63; John Crook (a cura di), Socia[
Behaviour in Birds and Mammals, Academic Press, New York 1970; Peter
Klopfer, On Behaviour: /stinct is a Cheshire Cat, Lippincott, Filadelfia 1973.
9. Queste configurazioni di sistemi vengono esaminate dettagliatamente
in un secondo libro (Riane Eisler e David Loye, Breaking Free, in preparazio-
ne). Si veda anche Riane Eisler e David Loye, «Peace and Feminist Thought:
New Directions», in The World Encyclopedia of Peace, Pergamon Press, Lon-
dra 1986; Riane Eisler, «Violence and Male Dominance: The Ticking Time
Bomb», in Humanities in Society, inverno-primavera 1984, n. 7, pp. 3-18; Ria-
ne Eisler e David Loye, «Tue Failure of Liberalism: a Reassesment of Ideo-
logy from a New Feminine-Masculine Perspective», in Politica! Psychology,
1983,n.4,pp. 375-91.
10. Vedi nota 9. Per dati antropologici più dettagliati si veda, per esempio,
Colin Turnbull, The Forest People: a Study of the Pygmies of the Congo, Si-
mon & Schuster, New York 1961 (trad. it. / pigmei: il popolo della foresta,
Rusconi, Milano 1979); Pat Draper, «!Kung Women: Contrast in Sexual Egali-
tarianism in Foraging and Sedentary Contexts», in Raya Reiter (a cura di),
40 Riane Eisler

Toward an Anthropology of the Women, Monthly Review Press, New York


1975. Si veda anche Richard Leakey e Roger Lewin, People of the Lake, Dou-
bleday Anchor, New York 1978 (trad. it. Il popolo del lago. L'umanità e i suoi
dintorni, Rusconi, Milano 1980). Si noti che nel nostro libro abbiamo usato il
termine equalitarian [ugualitario], anziché il più comune egalitarian [eguali-
tario]. Il motivo è che egualitario tradizionalmente indicava soltanto l'ugua-
glianza tra uomo e uomo (come testimoniano, oltre alla storia moderna, gli
scritti di Locke, Rousseau, e altri filosofi dei «diritti dell'uomo»). Ugualitario
sta a indicare le relazioni sociali in una società mutuale, in cui alle donne e
agli uomini (nonché al «femminile» e al «maschile») si attribuisce uguale im-
portanza. Ciò spiega perché questo modo di dire si stia diffondendo tra le fem-
ministe.
11. Si veda Riane Eisler, The Biade and the Chalice, Technology at the
Turning Point, studio presentato alla assemblea generale della World Futures
Society, Washington, D.C., 1984; Id., «Women, Men, and the Evolution of So-
cia! Structure», in World Futures, primavera 1987, n. 23.
12. Si veda, per esempio, Alfred Marrow, The Practical Theorist, Basic
Books, New York 1969 (trad. it. Kurt Lewin: fra teoria e pratica, La Nuova
Italia, Firenze 1977); Chris Argyris, Action Science, Jossey-Bass, San Franci-
sco 1985.
13. Questo modo di considerare l'evoluzione culturale si basa sul presup-
posto, espresso nel XIX secolo da uomini come Auguste Comte e Lewis
Henry Morgan, che la società debba superare un numero fisso e limitato di fa-
si, secondo una sequenza data. Per Morgan queste fasi erano l'inciviltà, la bar-
barie e la civiltà; questa fu la progressione evolutiva adottata successivamente
anche da Marx e Engels (si veda, per esempio, Friedrich Engels, L'origine del-
la famiglia, della proprietà privata e dello Stato, trad. it., Editori Riuniti, Ro-
ma 2005). Herbert Spencer vide una progressione sociale da gruppi piccoli a
grandi, dall'omogeneo all'eterogeneo (The Study of Sociology, Appleton, New
York 1873, p. 471; trad. it. Principi di sociologia, UTET, Torino 1988). Un'ope-
ra importante è anche Emile Durkheim, La divisione del lavoro sociale, trad.
it. Edizioni di Comunità, Milano 1999, in cui si ipotizza un'evoluzione sociale
in due fasi, che va da una società piccola e meno specializzata a una più gran-
de e specializzata, che richiamano pressappoco le fasi di Gemeinschaft (comu-
nità) e Gesellschaft (società) suggerite in precedenza dal sociologo tedesco
Ferdinand Tonnies. Un'interessante variazione di questa concezione sono le
cosiddette teorie cicliche dell'evoluzione sociale, come quella delle fasi «idea-
tiva», «sensitiva» e «idealista» di Pitirim Sorokin. Secondo queste teorie, le fa-
si si possono ripetere più volte, ma ciascun ciclo segue invariabilmente il pre-
cedente secondo una sequenza data (Pitirim Sorokin, Socia[ and Cultura[
Dynamics, Sargent, Boston, 1957; trad. it. La mobilità sociale, Edizioni di Co-
munità, Milano 1965/1981 ).
14. L'opera forse più conosciuta, basata sugli stadi tecnologici dell'evolu-
zione, è The Third Wave di Alvin Toffler, Bantam, New York 1980 (trad. it. La
terza ondata, Sperling & Kupfer, Milano 1987). Diversi antropologi, per
esempio Leslie White e William Ogburn, basano le loro teorie dell'evoluzione
sociale sugli stadi tecnologici, pur non sostenendo che ogni società debba ne-
Introduzione. Il Calice e la Spada 41

cessariamente superarli (si veda, per esempio, Leslie White, The Science of
Culture, Farrar, Strauss, New York 1949, trad. it. La scienza della cultura: uno
studio sull'uomo e la civiltà, Sansoni, Firenze 1978; William Ogbum, Socia!
Change with Respect to Culture and Originai Nature, Viking, New York
1950). Un ottimo recente lavoro sulla evoluzione tecnologica è Bela Banathy,
Systems lnquiring and the Science of Complexity: Conceptual Bases, ISI Mo-
nograph 84-2, Far West Laboratory, San Francisco 1984.
15. Questi regressi sono durati diverse centinaia d'anni. I «secoli bui» del-
la Grecia durarono per più di tre secoli, pressappoco dal 1100 all'800 a.C. Il
Medioevo in Europa durò quasi un intero millennio.
16. Si veda, per esempio, Ilya Prigogine e Isabel Stengers, Order Out of
Chaos, Bantam, New York 1984 (trad. it. Le leggi del caos, Laterza, Roma-
Bari 2003); Ralph Abraham e Christopher Shaw, Dynamics: The Geometry of
Behaviour, Aerial Press, Santa Cruz, CA. 1984; Humberto Maturana e Franci-
sco Varela, Autopoiesis and Cognition: The Realization of the Living, Reidel,
Boston 1980 (trad. it. Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente,
Marsilio, Venezia 2001).
17. Fritjof Capra, The Tao of Phisics, Shambhala New Science Library,
Boston 1975 (trad. it. /l Tao della Fisica, Adelphi, Milano 2001); Id., The Tur-
ning Point ... , cit.
18. Niles Eldredge e Stephen J. Gould, «Punctuated Equilibria: An Alter-
native to Phyletic Gradualism», in T.J. Schropf (a cura di), Models of Paleobio-
logy, Freeman, Cooper, San Francisco 1972; Vilmos Csanyi, Generai Theory of
Evolution, Akademiai Kiado, Budapest 1982; Ervin Laszlo, Evolution: The
Grand Synthesis, New Science Library, Boston 1987; Erich Jantsch, The Self-
Organizing Universe, Pergamon Press, New York 1980; David Loye e Riane
Eisler, «Chaos and Transforrnation: Implications of Non-Equilibrium Theory
far Socia! Science and Society», in Behavioral Science, 1987, n. 32, pp. 53-65.
19. Questa corrispondenza fra le scoperte nei diversi campi è in accordo
con le precedenti conclusioni di teorici dei sistemi generali, come per esempio
Ludwig von Bertalanffy, Generai Systems Theory, Braziller, New York 1968
(trad. it. Teoria generale dei sistemi, Mondadori, Milano 2004), ed Ervin La-
szlo, lntroduction to Systems Philosophy, Gordon & Breach, New York 1972.
20. Niles Eldredge, Time Frames, Simon & Schuster, New York 1985
(trad. it. Strutture del tempo, Hopefulmonster, Firenze 1991 ); N. Eldredge e
S.J. Gould, Punctuated Equilibria ... , cit.
21. Si veda, per esempio, Jessie Bemard, The Female World, Free Press,
New York 1981; Ester Boserup, Woman 's Rote in Economie Development, Al-
len & Unwin, Londra 1970 (trad. it. Il lavoro delle donne: la divisione sessua-
le del lavoro nello sviluppo economico, Rosenberg & Sellier, Torino 1982);
Dale Spender, Feminist Theorists: Three Centuries of Key Women Thinkers,
Pantheon, New York 1983; Gita Sen, con Caren Grown, Development, Crisis,
and Alternative Visions: Third World Women 's Perspectives, Dawn, New
Delhi 1985; Mary Daly, Gyn/Ecology: The Metaethics of Radical Feminism,
The Women's Press, Londra 1991); Caro! Gilligan, In a Dijferent Voice, Har-
vard University Press, Cambridge, MA. 1982 (trad. it. Con voce di donna. Eti-
rn e formazione della personalità, Feltrinelli, Milano 1991 ); Catharine
42 Riane Eisler

MacKinnon, «Feminism, Marxism, Method and the State: An Agenda for


Theory», in Signs, n. 7, pp. 517-44; Wilma Scott Heide, Feminismfor the
Health of /t, Margaretdaughters Press, Buffalo 1985; Jean Baker Miller,
Toward a New Psychology of Women, Penguin Books, Londra 1991; Caro! P.
Christ e Judith Plaskow (a cura di), Womanspirit Rising: A Feminist Reader in
Religion, Harper & Row, San Francisco 1990; Charlene Spretnak (a cura di),
The Politics of Women 's Spirituality, Doubleday Anchor, New York 1982. Nel
corso di questo libro ho cercato di citare molte femministe di rilievo. Tuttavia,
si tratta di un elenco in così rapida crescita che, per forza di cose, molte di loro
non sono state menzionate.
22. D. Spender, op. cit. Il femminismo, come fenomeno moderno, risale al
XVIII secolo. Ci sono però numerosi esempi precedenti di studiose che hanno
messo in discussione il sapere istituzionale del loro tempo; tra esse, Christine
de Pisan, che tra il 1390 e il 1429 scrisse ventotto libri, alcuni dei quali, come
la Città delle donne, criticavano la misoginia degli studiosi maschi del tempo.
1
Viaggio in un mondo perduto:
gli inizi della civiltà

Un'immagine femminile, conservata per più di ventimila an-


ni in una caverna-tempio, ci descrive la mente dei nostri primi
antenati occidentali. È minuscola, intagliata nella pietra: una
delle cosiddette statuette di Venere, che sono state rinvenute un
po' ovunque nell'Europa preistorica.
Queste statuette, dissotterrate negli scavi in un'ampia area
geografica- dai Balcani, nell'Europa orientale, al lago Baikal in
Siberia; e in tutto l'Occidente da Willendorf, vicino a Vienna,
alla Grotte du Pape in Francia -, sono state definite da alcuni
studiosi come espressioni dell'erotismo maschile: come dire, un
antico corrispettivo dell'attuale rivista Playboy. Per altri si tratta
solamente di oggetti che venivano usati nei riti di fertilità primi-
tivi, presumibilmente osceni.
Ma qual è il significato reale di queste antiche sculture? Pos-
sono davvero essere liquidate come «prodotti peccaminosi del-
)'immaginazione maschile» ? 1 Si può inoltre ritenere appropriato
il termine Venere per descrivere queste figure dai larghi lombi, a
volte incinte, fortemente stilizzate e spesso senza volto? O piut-
tosto queste sculture preistoriche ci rivelano qualcosa d' im-
portante su noi stessi, sul modo in cui sia gli uomini che le don-
ne un tempo adoravano le potenze dispensatrici di vita
dell'universo?
44 Riane Eisler

Il Paleolitico

Insieme ai dipinti murali, alle caverne-tempio e ai luoghi di


inumazione, le statuette delle popolazioni del Paleolitico sono
importanti documenti psichici. Testimoniano il riverente timore
dei nostri progenitori di fronte al mistero della vita e della mor-
te. Indicano che, fin dall'inizio della sua storia, la volontà di vi-
ta dell'essere umano si espresse e trovò conforto in un gran nu-
mero di rituali e di miti, che sembra fossero associati a una
credenza ancora oggi assai diffusa: la morte può riportare alla
vita attraverso una rinascita.
«In grandi caverne-tempio come Les Trois Frères, Niaux,
Font de Gaume o Lascaux», scrive lo storico delle religioni E.O.
James, «le cerimonie devono avere comportato un tentativo or-
ganizzato, da parte della comunità [... ] di controllare le forze e i
processi della natura con mezzi sovrannaturali, per il bene co-
mune. Si direbbe che la tradizione sacra, sia in relazione all' ap-
provvigionamento di cibo, che al mistero della nascita e della ri-
produzione, o della morte, sia nata e sia servita come risposta
alla volontà di vivere qui e nell'aldilà». 2
Questa tradizione sacra si espresse nella straordinaria arte
del Paleolitico. E parte integrante di questa tradizione sacra fu il
nesso tra la donna e i poteri che governano la vita e la morte.
Nelle tombe paleolitiche è evidente l'associazione tra il fem-
minile e le forze che donano la vita. Per esempio nel rifugio di
roccia noto come Cro-Magnon a Les Eyzies, in Francia (dove
nel 1868 vennero rinvenuti i primi resti scheletrici dei nostri an-
tenati del Paleolitico Superiore), attorno e sui cadaveri erano ac-
curatamente disposte delle conchiglie. Queste conchiglie, che
hanno una forma che J ames con delicatezza descrive come «il
portale attraverso cui un bambino entra nel mondo», sembra
fossero associate con una forma primitiva di adorazione di una
divinità femminile. Come scrive lo studioso, la conchiglia era
un elemento apportatore di vita. Proprio come l'ocra rossa, che
Viaggio in un mondo perduto: gli inizi della civiltà 45

anche in tradizioni successive rappresenta il sangue apportatore


di vita, o mestruale, della donna. 3
Si direbbe che il punto centrale fosse l'associazione della
donna al potere di donare e sostenere la vita. Ma, nello stesso
tempo, anche la morte - o, più specificamente, la resurrezione -
sembra fosse un tema religioso importante. Tanto la collocazio-
ne rituale delle conchiglie a forma di vagina intorno e sopra al
morto, quanto la pratica di ricoprirle con pigmento rosso ocra
(che simboleggia il potere vivificante del sangue), sembra faces-
sero parte di riti funebri intesi a fare ritornare il defunto tramite
una rinascita. Più specificamente, come osserva James, queste
pratiche «indicano che i riti funebri erano un rituale apportatore
di vita, strettamente collegato alle statuette femminili e ad altri
simboli del culto della Dea». 4
Oltre a questa testimonianza archeologica di riti funebri del
Paleolitico, esistono prove di riti che pare servissero a propizia-
re la fecondità delle piante e degli animali selvatici che costitui-
vano il sostentamento dei nostri antenati. Per esempio, nella gal-
leria dell'inaccessibile caverna di Tue d' Audoubert nell' Ariège,
nel soffice strato d'argilla sotto i dipinti murali di due bisonti
(una femmina seguita da un maschio), si trovano delle impronte
di piedi umani, che gli studiosi ritengono siano state impresse
durante delle danze rituali. Analogamente, nel rifugio di roccia
di Cogul, in Catalogna, è raffigurata una scena di donne, forse
delle sacerdotesse, che danzano intorno a una piccola figura ma-
schile svestita, in quella che sembra essere una cerimonia reli-
giosa.
Caverne-tempio, statuette, sepolture e riti sembra fossero as-
sociati alla concezione che la vita umana, quella animale e quel-
la vegetale abbiano origine da una stessa sorgente - la grande
Dea Madre Onnidispensatrice, che troviamo anche in periodi
successivi della civiltà occidentale. Indicano inoltre che i nostri
antichi progenitori riconoscevano che noi e il nostro ambiente
naturale siamo parti integranti e collegate del grande mistero
della vita e della morte, e che per questo motivo tutta la natura
46 Riane Eisler

deve essere trattata con rispetto. Questa coscienza - in seguito


evidenziata nelle statuette della Dea circondata da simboli natu-
rali come animali, acqua e alberi, oppure essa stessa in forma
parzialmente animale - era indubbiamente alla base del nostro
perduto retaggio psichico. Centrale è anche l'evidente timore
reverenziale, la meraviglia per il grande miracolo della nostra
condizione umana: il miracolo della nascita che s'incarna nel
corpo della donna. A giudicare da queste prime testimonianze
psichiche, si trattava di un tema fondamentale nei sistemi di fe-
de preistorici dell'Occidente.
Ora, quanto abbiamo fin qui elaborato non è certo il punto di
vista della maggioranza degli studiosi. E non è ciò che viene in-
segnato nei corsi di studio sulle origini della civiltà, in cui, come
nella maggior parte degli scritti divulgativi sull'argomento, pre-
valgono ancora i pregiudizi dei primi studiosi, che giudicavano
l'arte del Paleolitico secondo il solito stereotipo dell' «uomo pri-
mitivo»: cacciatori bellicosi, assetati di sangue, di fatto molto
diversi dalle società di caccia e raccolta più primitive scoperte in
epoca moderna. 5 Basandosi su una siffatta interpretazione del
materiale disponibile, molto frammentario, del periodo paleoli-
tico, si costruirono le teorie sull'organizzazione sociale proto-
storica e preistorica fondate sul maschio. E, persino quando si
fecero nuove scoperte, queste furono interpretate dagli studiosi
in modo da poterle adattare ai vecchi modelli teorici.
Uno dei presupposti di questi studiosi era, e, generalmente,
tuttora è, che il creatore dell'arte paleolitica fosse soltanto i 'uo-
mo preistorico. Anche questa supposizione non si basava su pro-
ve concrete. Anzi, era frutto dei pregiudizi degli studiosi, che di
fatto non reggono di fronte a scoperte come quella, per esempio,
che ancor oggi tra i Vedda dello Sri Lanka (Ceylon) sono le don-
ne, e non gli uomini, a eseguire le pitture rupestri. 6
Alla base di questi pregiudizi c'era l'idea, come dice fohn
Pfeiffer in The Emergence of Man, che «la caccia dominava l'at-
tenzione e l'immaginazione dell'uomo preistorico» e che «se
egli in qualche modo assomigliava all'uomo moderno, usava in
Viaggio in un mondo perduto: gli inizi della civiltà 47

numerose occasioni il rituale come mezzo per rinvigorire e au-


mentare il suo potere». 7 Attenendosi a questo pregiudizio, i di-
pinti murali del Paleolitico venivano associati alla caccia, persi-
no quando ritraevano donne danzanti. Allo stesso modo, come
abbiamo già osservato, le prove di una forma di culto antropo-
morfico incentrato sulla donna - come i ritrovamenti di raffigu-
razioni femminili incinte e con fianchi larghi - venivano o igno-
rate, o classificate esclusivamente come oggetti sessuali
maschili: «Veneri» erotiche obese o «barbare immagini di bel-
lezza».8
Pur con alcune eccezioni, il modello evolutivo di uomo guer-
riero-cacciatore ha fuorviato la maggior parte delle interpreta-
zioni dell'arte paleolitica. Solo nei successivi scavi del XX se-
colo, nell'Europa orientale e occidentale e in Siberia, è
gradualmente cominciata a cambiare l'interpretazione dei ritro-
vamenti nuovi e antichi. C'erano delle ricercatrici donne che no-
tarono le rappresentazioni genitali femminili, e furono propense
a un'interpretazione religiosa più complessa, abbandonando le
interpretazioni dell'arte paleolitica come «magia della caccia». 9
E siccome molti studiosi erano scienziati laici, e non monaci co-
me l'abate Breuil (le cui interpretazioni «morali» delle pratiche
religiose hanno fuorviato gran parte degli studi sul Paleolitico
del XIX secolo e degli inizi del XX), anche alcuni uomini che
riesaminavano i dipinti delle caverne, le statuette e altri ritrova-
menti del Paleolitico, cominciarono a mettere in dubbio i dogmi
accettati dal mondo accademico.
Un esempio interessante di questo atteggiamento problema-
tico riguarda le immagini di bastoncini e le linee dipinte sulle
pareti delle caverne paleolitiche, e incise su oggetti d'osso o di
pietra. Per molti studiosi era evidente che raffigurassero delle
armi: frecce, uncini, lance, arpioni. Ma, come scrive Alexander
Marshack in The Roots of Civilization, una delle prime opere a
sfidare apertamente l'interpretazione consueta, queste incisioni
e disegni di linee potrebbero altrettanto facilmente rappresenta-
re piante, alberi, rami, canne, e foglie. 10 Inoltre, questa nuova in-
48 Riane Eisler

terpretazione potrebbe spiegare quella che altrimenti sarebbe


una curiosa assenza di raffigurazioni della vegetazione da parte
di popoli che, come gli attuali cacciatori-raccoglitori, per il loro
sostentamento devono avere contato molto su di essa.
Anche Peter Ucko e Andrée Rosenfeld, in Paleolithic Cave
Art, si sono meravigliati della peculiare assenza di vegetazione
nell'arte paleolitica. Hanno inoltre notato un'altra curiosa in-
congruenza. Tutto stava a dimostrare che un particolare tipo di
arpione detto biseriale non era comparso fino al tardo Paleoliti-
co o Magdaleniano, anche se gli studiosi continuavano a «iden-
tificarlo» con i «bastoncini», anteriori di migliaia d'anni, sulle
pareti delle caverne preistoriche. Inoltre, perché gli artisti del
Paleolitico avrebbero dovuto rappresentare tanti insuccessi di
caccia? Infatti, se i bastoncini e le linee rappresentavano vera-
mente delle anni, le immagini che le ritraevano sarebbero state
di bersagli perennemente mancati. 11
Per sondare questi misteri Marshack, che non era un archeo-
logo, e quindi non era condizionato dalle convenzioni archeolo-
giche precedenti, esaminò minuziosamente le incisioni su di un
oggetto d'osso, che erano state descritte come immagini di ar-
pioni. Al microscopio scoprì che non solo gli uncini di questi
presunti arpioni non erano disposti nel modo appropriato, ma
che anche le punte delle lunghe aste si trovavano sull'estremità
sbagliata. Ma cosa rappresentavano queste incisioni, se non era-
no armi «sbagliate»? Come venne dimostrato, le linee corri-
spondevano esattamente alla giusta angolazione di rami che cre-
scevano dall'estremità di un lungo gambo. In altre parole,
questa e altre incisioni, che venivano descritte convenzional-
mente come «segni uncinati» o «oggetti maschili», probabil-
mente altro non erano che rappresentazioni stilizzate di alberi,
rami, piante. 12
Ancora una volta, a un esame più approfondito, l'idea tradi-
zionale di arte paleolitica come primitiva magia della caccia può
essere considerata più come una proiezione di stereotipi che co-
me un'interpretazione logica di un'osservazione. E lo stesso va-
Viaggio in un mondo perduto: gli inizi della civiltà 49

le per la spiegazione delle statuette femminili paleolitiche come


osceni oggetti sessuali maschili o espressioni di un culto primi-
tivo della fertilità.
A causa della scarsità dei reperti e del lungo periodo di tem-
po che ci separa dai nostri antenati, probabilmente non saremo
mai completamente certi dell'esatto significato che costoro at-
tribuivano ai loro dipinti, alle loro statuette, ai loro simboli. Ma,
dopo l'impatto causato dalla pubblicazione di splendide tavole a
colori dei dipinti delle caverne paleolitiche, il potere evocativo
di quest'arte è divenuto leggendario. Alcune raffigurazioni di
animali sono belle quanto le opere dei migliori artisti moderni, e
offrono una spontaneità di visione che pochi di questi ultimi rie-
scono a ottenere. Perciò possiamo essere certi di una cosa: l'arte
del Paleolitico è molto più che rozzi graffiti di primitivi arretra-
ti. Anzi, essa rivela tradizioni psichiche che dobbiamo capire, se
vogliamo comprendere non solo ciò che erano, e sono, gli esseri
umani, ma anche ciò che potrebbero diventare.
Come ha scritto in uno dei più importanti e recenti studi sul-
1' arte del Paleolitico André Leroi-Gourhan, direttore del Centro
studi preistorici e protostorici della Sorbona, è «riduttivo e ridi-
colo» liquidare come un «culto primitivo della fertilità» il com-
plesso di credenze del periodo. Leroi-Gourhan osserva che pos-
siamo, «senza compiere forzature sul materiale, considerare
l'intera arte figurativa del paleolitico come un'espressione di
concetti sulla organizzazione naturale e soprannaturale del mon-
do vivente», e aggiunge che i popoli del Paleolitico «senza dub-
bio conoscevano la divisione del mondo animale e umano in
metà contrapposte, e ritenevano che l'unione di queste due metà
regolasse l'organizzazione degli esseri viventi». 13
La conclusione di Leroi-Gourhan che l'arte del Paleolitico
riflette l'importanza che i nostri progenitori attribuivano alla
constatazione dell'esistenza di due sessi, si basa sull'analisi di
migliaia di dipinti e di oggetti provenienti da scavi in una ses-
santina di caverne. Anche se si esprime nei termini di stereotipi
sadomasochistici maschili-femminili, e per altri versi si attiene
50 Riane Eisler

alle precedenti convenzioni archeologiche, Leroi-Gourhan di-


mostra che l'arte paleolitica espresse alcune forme di religione
primitiva in cui le rappresentazioni e i simboli femminili svolge-
vano un ruolo centrale. A questo proposito fa due osservazioni
interessanti. Le figure femminili e i simboli che egli interpretava
come femminili erano per lo più collocati in una posizione cen-
trale delle camere portate alla luce negli scavi. I simboli maschi-
li invece occupavano di solito una posizione periferica, oppure
erano disposti intorno alle immagini e ai simboli femminili. 14
I ritrovamenti di Leroi-Gourhan corrispondono all'idea da
me esposta in precedenza: le conchiglie a forma di vagina, l' o-
cra rossa nelle sepolture, le cosiddette statuette di Venere e quel-
le per metà donna e per metà animale, che i precedenti scrittori
liquidavano come «mostruosità», si riferivano tutte a una antica
forma di culto, in cui i poteri dispensatori di vita della donna
svolgevano un ruolo fondamentale. Erano espressione dei tenta-
tivi dei nostri progenitori di capire il mondo, di rispondere agli
interrogativi universali dell'uomo: da dove veniamo quando na-
sciamo e dove andiamo quando moriamo. E confermano quanto
avremmo potuto logicamente supporre: che contemporanea-
mente al primo manifestarsi della coscienza del rapporto tra
l'individuo e gli altri esseri umani, gli animali, e il resto della
natura, deve essere sorta anche la consapevolezza del solenne
mistero, e dell'importanza pratica, del fatto che la vita abbia ori-
gine da un corpo femminile.
Sembra del tutto plausibile che l'evidente dimorfismo, cioè
la differenza di forma tra le due metà dell'umanità, abbia avuto
un profondo effetto sui sistemi di fede del Paleolitico. Sembra
altrettanto logico che la constatazione che la vita umana e quel-
la animale sono generate dal corpo femminile, e che il corpo
della donna, come le stagioni e la luna, segue dei cicli, abbia
portato i nostri progenitori a considerare femminili, anziché ma-
schili, i poteri del mondo che danno e mantengono la vita.
Insomma, invece che essere materiali casuali e sconnessi, i
resti paleolitici di statuette femminili, di ocra rossa nelle sepol-
Viaggio in un mondo perduto: gli inizi della àviltà 51

ture e di conchiglie a forma di vagina, sembrano essere le prime


manifestazioni di quella che in seguito sarebbe diventata una re-
ligione complessa, incentrata sul culto della Dea Madre, origi-
natrice e rigeneratrice di tutte le forme di vita. Questo culto del-
la Dea, come notano James e altri studiosi, è sopravvissuto fino
in epoca storica «nella figura composita della Magna Mater del
mondo medio-orientale e greco-romano». 15 Questa continuità
religiosa è facilmente riconoscibile in divinità ben conosciute
come Iside, Nut e Maat in Egitto, Ishtar, Astarte e Lilith nella
Mezzaluna Fertile, Demetra, Kore ed Era in Grecia e Atargatis,
Cerere e Cibele a Roma. Persino in epoca successiva, nella no-
stra tradizione giudeo-cristiana, possiamo riconoscerla nella Re-
gina del Cielo, i cui boschi vengono bruciati nella Bibbia, nella
Shekhina della tradizione cabalistica ebraica, e nella Vergine
Maria dei cattolici, la Santa Madre di Dio.
Viene nuovamente da chiedersi perché, se questi collegamen-
ti sono tanto ovvi, essi siano stati per tanto tempo minimizzati, o
del tutto ignorati, dalla letteratura archeologica tradizionale. Un
motivo, che abbiamo già fatto notare, è che essi non si adattano
al modello protostorico e preistorico di una forma d'organizza-
zione sociale incentrata sul maschio e da esso dominata. Ma
un'altra ragione è che solo dopo la seconda guerra mondiale fu-
rono rinvenuti alcuni dei reperti più importanti di questa tradizio-
ne religiosa, che proseguì per migliaia d'anni, nell'affascinante
periodo che seguì al Paleolitico. Si tratta del lungo periodo della
nostra evoluzione culturale che si colloca tra i primi cruciali svi-
luppi della cultura umana nel Paleolitico e le successive civiltà
dell'Età del Bronzo: l'epoca in cui i nostri antenati si organizza-
rono nelle prime comunità agricole del Neolitico.

Il Neolitico

Pressappoco nello stesso periodo in cui Leroi-Gourhan scri-


veva dei suoi ritrovamenti, la nostra conoscenza della preistoria
52 Riane Eisler

progredì immensamente grazie all'entusiasmante scoperta e allo


scavo di due nuovi siti del Neolitico: le città di çatal Hiiyilk e
Hacilar. Si trovavano in quelle che in passato venivano chiamate
pianure dell'Anatolia, nell'attuale Turchia. Secondo James Mel-
laart, che diresse gli scavi per conto del British Institute of Ar-
chaeology di Ankara, il fatto più interessante era che gli scavi in
questi due siti rivelavano una stabilità e una continuità dello svi-
luppo, durato diverse migliaia d'anni, delle culture sempre più
avanzate che adoravano la Dea.
«La nuova brillante valutazione della religione del Paleoliti-
co Superiore fatta da Leroi-Gourhan», scrisse Mellaart, «ha
chiarito molti equivoci ... l'interpretazione dell'arte del Paleoliti-
co Superiore che ne consegue, incentrata sul tema di un com-
plesso simbolismo femminile (sotto forma di animali e simboli),
mostra forti somiglianze con le immagini religiose di çatal
Hilyilk». Inoltre, ci sono ovvie influenze del Paleolitico Supe-
riore «in numerose pratiche di culto di cui le sepolture con ocra
rossa, i pavimenti tinti di rosso, i cumuli di stalattiti, fossili e
conchiglie sono solo alcuni esempi». 16
Mellaart notava poi che, fino a che si era ritenuto che l'arte
fortemente evoluta e stilizzata del Paleolitico Superiore non fos-
se altro che «un'espressione di magia della caccia, un'opinione
mutuata da società arretrate come quella degli aborigeni austra-
liani», c'erano state poche speranze di «stabilire un collegamen-
to con i successivi culti della fertilità del Vicino Oriente basati
sulla figura della Dea Madre e di suo figlio, anche se la presenza
di una simile dea nel Paleolitico Superiore difficilmente poteva
essere negata, come invece avveniva». Ma ora, dichiarava Mel-
laart, questa posizione «alla luce dei nuovi dati disponibili è ra-
dicalmente cambiata». 17
In altre parole, la cultura neolitica di çatal Hilyilk e Hacilar
ha fornito vaste informazioni su di un pezzo a lungo mancante
del puzzle del nostro passato, l'anello mancante tra il Paleolitico
e i periodi successivi, più avanzati tecnologicamente: il Calcoli-
tico, l'Età del Rame e del Bronzo. Come scrive Mellaart, «çatal
Viaggio in un mondo perduto: gli inizi della civiltà 53

Hilyilk e Hacilar hanno stabilito un collegamento tra queste due


grandi scuole d'arte. Si può dimostrare una continuità religiosa
da çatal Hilyilk e Hacilar fino alle grandi 'Dee Madri' di epoca
arcaica e classica». 18
Come nell'arte paleolitica, simboli e statuette femminili oc-
cupano una posizione di rilievo nell'arte di çatal Hilyilk, dove si
trovano ovunque statuette della Dea e templi a lei dedicati. Inol-
tre, le statuette della Dea sono tipiche dell'arte neolitica di altre
aree del Vicino e Medio Oriente. Per esempio, nel sito neolitico
medio-orientale di Gerico (nell'attuale Israele), dove fin dal
7000 a.C. la popolazione viveva in case di mattoni intonacati
(alcune con forni d'argilla, camini e persino incastri per gli sti-
piti della porta), sono state ritrovate statuette d'argilla della
Dea. 19 A Tell-es-Sawwan, un sito sulle sponde del Tigri famoso
per le prime coltivazioni irrigue e la stupefacente ceramica a de-
corazione geometrica nota come Samarra, è stata scoperta una
serie di statuette, tra cui un deposito di sculture femminili dipin-
te, estremamente raffinate. A Cayonu, un sito del Neolitico nel-
la Siria settentrionale, dove si riscontra un antichissimo uso di
rame locale sbalzato e per la prima volta vengono impiegati
mattoni d'argilla, sono state rinvenute statuette d'argilla simili,
alcune delle quali provengono dai livelli più antichi del sito.
Queste minuscole statuette della Dea hanno un equivalente più
tardo a Jarmo, e persino, molto più a occidente, ad Aceramic
Sesklo, dove venivano fabbricate ancor prima della comparsa
del vasellame in ceramica. 20
Sebbene anche di questo non si parli spesso, i numerosi sca-
vi neolitici in cui sono stati rinvenuti statuette e simboli della
Dea coprono una vasta area geografica, che va ben oltre il Vici-
no e Medio Oriente. In precedenza si era trovata una gran quan-
tità di statuette femminili in terracotta più a oriente, fino a Ha-
rappa e Mohenjo-Daro, in India. Come scrisse Sir John
Marshall, anche queste rappresentavano probabilmente una Dea
«con attributi molto simili a quelli della grande Dea Madre, la
Signora del Cielo». 21 Statuette della Dea sono state ritrovate in
54 Riane Eisler

siti europei molto a Occidente, come quelli delle cosiddette cul-


ture megalitiche che crearono gli enormi monumenti di pietra,
realizzati con grande perizia, di Stonehenge e Avebury in In-
ghilterra. E alcune di queste culture megalitiche si spingevano a
sud fino all'isola di Malta, nel Mediterraneo, dove un gigante-
sco ossario con settemila luoghi di sepoltura appariva anche co-
me un importante santuario per riti iniziatici e profetici in cui,
scrive James, «la Dea Madre svolgeva un ruolo importante». 22
A poco a poco, si sta delineando una nuova immagine delle
origini e dello sviluppo della civiltà e della religione. L'econo-
mia agricola del Neolitico fu alla base di uno sviluppo della ci-
viltà che sarebbe continuato per migliaia d'anni, fino ai giorni
nostri. E, quasi ovunque, i luoghi dove avvennero i grandi pro-
gressi sociali e materiali della tecnologia hanno una caratteristi-
ca in comune: il culto della Dea.
Che conseguenze hanno questi ritrovamenti sul nostro pre-
sente e sul nostro futuro? E perché dovremmo credere a questa
nuova teoria sulla nostra evoluzione culturale, invece che alla
vecchia e consacrata dottrina androcentrica, esposta nei tanti li-
bri splendidamente illustrati di archeologia da salotto, o per
bambini?
Uno dei motivi è che i ritrovamenti di statuette femminili e
di altre testimonianze che comprovano una religione di tipo gi-
necentrico (ovvero basata sulla Dea) in epoca neolitica sono co-
sì numerosi che anche soltanto elencarli richiederebbe diversi
volumi. Ma la ragione principale è che questa nuova concezione
della preistoria è il risultato di un profondo mutamento dei me-
todi di ricerca archeologici, e dell'importanza che essi hanno as-
sunto.
Lo scavo dei tesori sepolti dell'antichità è antico come i sac-
cheggiatori di tombe che depredavano i sepolcri dei faraoni egi-
ziani. Ma l'archeologia come scienza risale alla fine dell'Otto-
cento. Anche allora i primi scavi archeologici, pur motivati dalla
curiosità intellettuale per il nostro passato, avevano un fine prin-
cipale non dissimile dal saccheggio delle tombe: l'acquisizione
Viaggio in un mondo perduto: gli inizi della civiltà 55

di stupefacenti antichità per conto dei musei d'Inghilterra, Fran-


cia e delle altre nazioni colonialiste. L'idea dello scavo archeo-
logico come mezzo per ricavare il massimo d'informazioni su di
un sito - a prescindere dal suo contenuto di tesori archeologici -
prese piede solo più tardi. In pratica, solamente dopo la seconda
guerra mondiale l'archeologia iniziò a essere veramente ricono-
sciuta come una indagine sulla vita, il pensiero, la tecnologia e
l'organizzazione sociale dei nostri antenati.
Oggi gli scavi archeologici sono sempre più condotti da
squadre di scienziati, zoologi, botanici, climatologi, antropolo-
gi, paleontologi, e, naturalmente, archeologi, non più da esplo-
ratori o studiosi solitari, come in passato. Questo approccio in-
terdisciplinare, che caratterizza gli scavi più recenti (come
quello di Mellaart a çatal Hiiyiik) ci sta offrendo una conoscen-
za molto più accurata della nostra preistoria.
Ma forse ciò che più importa è che una quantità di importan-
ti progressi tecnologici - come il metodo di datazione con il ra-
diocarbonio, o C-14, ideato dal premio Nobel Willard Libby, e i
metodi di datazione dendrocronologica, tramite l'analisi della
sezione delle piante - hanno enormemente aumentato la capa-
cità degli archeologi di comprendere il passato. In precedenza i
dati si basavano molto sulla congettura, sul confronto di oggetti
giudicati meno, altrettanto, o più «avanzati» rispetto ad altri. Ma
quando la datazione venne affidata a tecniche ripetibili e verifi-
cabili, diventò impossibile cavarsela affermando che se un arte-
fatto è più sviluppato artisticamente o tecnologicamente, esso
deve necessariamente risalire a un periodo più recente e, perciò,
presumibilmente più civilizzato.
Di conseguenza c'è stato un drammatico riesame della suc-
cessione cronologica, che ha modificato radicalmente le opinio-
ni esistenti sulla preistoria. Ora sappiamo che l'agricoltura -
non solo l'addomesticamento degli animali, ma anche delle
piante selvatiche - risale a un'epoca molto più antica di quanto
si credeva in precedenza. Infatti, i primi segni di quella che gli
archeologi definiscono la rivoluzione agricola, o del Neolitico,
56 Riane Eisler

iniziano a manifestarsi tra il 9000 e 1'8000 a.C., vale a dire, più


di diecimila anni fa.
La rivoluzione agricola è stata il più importante progresso in-
dividuale nella tecnologia materiale della nostra specie. Di con-
seguenza, gli inizi della cosiddetta civiltà occidentale sono più
antichi di quanto si ritenesse in precedenza.
Con una disponibilità regolare, a volte persino in eccesso, di
cibo, ci fu un aumento della popolazione e sorsero le prime città
di dimensioni considerevoli. In esse vivevano e lavoravano cen-
tinaia, a volte migliaia di persone, dissodando e in molti casi an-
che irrigando il terreno. Nel Neolitico si accelerarono il com-
mercio e la specializzazione tecnologica. E poiché l'agricoltura
liberò l'energia e l'immaginazione dell'uomo, fiorirono attività
artigianali come la manifattura di ceramiche e di canestri, di tes-
suti e di pellami, di gioielli e di legno intagliato, insieme alle ar-
ti come pittura, modellazione dell'argilla e scultura su pietra.
Contemporaneamente proseguiva l'evoluzione della coscien-
za spirituale dell'uomo. L'iniziale religione antropomorfica, in-
centrata sul culto della Dea, si era ormai evoluta in un comples-
so sistema di simboli, rituali, comandamenti e proibizioni
divine, che trovavano espressione nella ricca arte del periodo
neolitico.
Alcune delle più vivaci testimonianze di questa tradizione ar-
tistica ginecentrica ci giungono dagli scavi di Mellaart a çatal
Hilyilk. Qui, nel più vasto sito neolitico conosciuto del Vicino
Oriente, si trovano trentadue acri di resti archeologici. È stato
scandagliato appena un ventesimo della collina, ma solo con
questo scavo è venuto alla luce un periodo che abbraccia all'in-
circa ottocento anni, pressappoco dal 6500 al 5700 a.C. Si è sco-
perto un centro artistico notevolmente avanzato, con dipinti mu-
rali, rilievi intonacati, sculture in pietra e grandi quantità di
statuette d'argilla della Dea, tutti dedicati al culto di una divinità
femminile.
Ricapitolando le sue prime tre campagne di lavoro (dal 1961
al 1963 ), Mellaart scrisse che «i numerosi santuari rivelano l' e-
Viaggio in un mondo perduto: gli inizi della civiltà 57

sistenza di una religione avanzata, con un suo simbolismo e una


sua mitologia; gli edifici, la nascita dell'architettura e della pro-
gettazione consapevole; l'economia, tecniche avanzate di agri-
coltura e allevamento; le sue numerose importazioni, un fiorente
commercio di materie prime». 23
Ma, anche se gli scavi condotti a çatal Hilyilk e a Hacilar
(quest'ultima abitata approssimativamente dal 5700 al 5000
a.C.), hanno prodotto alcuni dei dati più ricchi su questa antica
civiltà, la pianura dell'Anatolia meridionale non è che una delle
numerose aree in cui sono state documentate società agricole
stanziali che adoravano la Dea. Infatti, all'incirca nel 6000 a.C.,
non solo la rivoluzione agricola era un fatto compiuto, ma (citia-
mo Mellaart) «società dedite all'agricoltura cominciarono a
espandersi in territori fino ad allora periferici, da una parte nelle
pianure alluvionali della Mesopotamia, in Transcaucasia e Tran-
scaspia, e dall'altra nell'Europa sud-orientale». Inoltre, «talvol-
ta il contatto avveniva via mare, come a Creta e a Cipro» e ogni
volta «i nuovi arrivati giungevano con un'economia neolitica
pienamente sviluppata». 24
In breve, sebbene soltanto venticinque anni prima per gli ar-
cheologi la Sumeria era ancora la «culla della civiltà» (e questa
è ancora l'opinione prevalente tra la gente comune), oggi sap-
piamo che non c'è stata solo una, ma tante culle, tutte risalenti a
diversi millenni prima di quanto si riteneva in precedenza: al
Neolitico. Come scrisse Mellaart nel suo lavoro del 1975 The
Neolitic of the Near East, «la civiltà urbana, che è stata a lungo
ritenuta un'invenzione della Mesopotamia, ha predecessori in
siti come Gerico o çatal Hilyilk, in Palestina e Anatolia, che per
molto tempo sono stati considerati arretrati». 25 Inoltre, ora cono-
sciamo un altro fattore molto importante per lo sviluppo iniziale
della nostra evoluzione culturale: in tutti i luoghi dove avvenne-
ro i primi grandi progressi della nostra tecnologia materiale e
sociale, per usare la frase che Merlin Stone ha immortalato nel
titolo di un libro, Dio era una donna.
La nuova consapevolezza che la civiltà è molto più antica e
58 Riane Eisler

diffusa di quanto non si ritenesse in precedenza, sta comprensi-


bilmente producendo una quantità di nuovi scritti da parte degli
studiosi, con un intenso riesame delle teorie archeologiche del
passato. Ma il fatto più straordinario, ovvero la presenza in que-
ste antiche civiltà di un'ideologia ginecentrica, non ha suscitato
grande interesse, tranne che tra le studiose femministe. Se gli
studiosi non femministi ne parlano, di solito lo fanno solo inci-
dentalmente. Persino quelli, come Mellaart, che vi accennano,
in genere lo fanno solo per una questione di significato squisita-
mente artistico e religioso, senza esplorarne le implicazioni so-
ciali e culturali.
Insomma, l'idea prevalente è ancora che il dominio maschi-
le, la proprietà privata e lo schiavismo, siano sottoprodotti della
rivoluzione agricola. È un'opinione molto radicata, nonostante
l'evidenza che, al contrario, l'uguaglianza tra i sessi, e tra tutta
la gente, nel Neolitico era una norma generale.
Nei capitoli seguenti andremo alla ricerca di questa affasci-
nante prova. Ma prima dobbiamo rivolgerci a un'altra importan-
te area, dove di recente le vecchie nozioni dell'archeologia sono
state demolite da nuovi ritrovamenti.

L'Europa Antica

Alcune delle testimonianze che maggiormente rivelano cosa


fosse la vita durante le migliaia d'anni di cultura umana, in pre-
cedenza sconosciuti, ci sono arrivate da un luogo assolutamente
inaspettato. Per molto tempo si era accettata la teoria che la
Mezzaluna Fertile del Mediterraneo fosse la culla della civiltà.
L'Europa Antica era sempre stata considerata soltanto un luogo
culturalmente arretrato, che in seguito fiorì brevemente nelle ci-
viltà minoica e greca, come dire, soltanto in virtù di influenze
orientali. Ma oggi l'immagine che si sta delineando è molto dif-
ferente.
«Proponiamo una nuova denominazione, civiltà dell'Antica
Viaggio in un mondo perduto: gli inizi della civiltà 59

Europa, riconoscendo l'identità collettiva e le conquiste di grup-


pi culturali dell'Europa sud-orientale neolitico-calcolitica»,
scrive l'archeologa dell'Università di California Marija Gimbu-
tas nel Linguaggio della Dea. Quest'opera innovativa elenca e
analizza centinaia di ritrovamenti archeologici, in un'area che
pressappoco si estende dall'Egeo e dall'Adriatico (isole com-
prese) verso nord, fino alla Cecoslovacchia, alla Polonia meri-
dionale e all'Ucraina occidentale. 26
Gli abitanti dell'Europa sud-orientale settemila anni fa non
erano certo dei primitivi abitanti di villaggio. «Nel corso di due
millenni di stabilità agricola il loro benessere materiale era co-
stantemente aumentato grazie allo sfruttamento delle fertili valli
fluviali», riferisce la Gimbutas. «Si coltivavano grano, orzo,
veccia, piselli e altri legumi, e si allevavano tutti gli animali do-
mestici attualmente presenti nei Balcani, tranne il cavallo. La
tecnologia della ceramica e le tecniche di lavorazione dell'osso
e della pietra erano avanzate, e dal 5500 a.C. venne introdotta
nell'Europa centro-orientale la metallurgia del rame. Il com-
mercio e le comunicazioni, che si erano ampliati nel corso dei
millenni, devono avere prodotto una straordinaria interazione e
un impulso alla crescita culturale [... ] L'uso di barche a vela è
testimoniato, a partire dal sesto millennio, dalle riproduzioni in-
cise su ceramica». 21
All'incirca tra il 7000 e il 3500 a.C. gli Antichi Europei svi-
lupparono una organizzazione sociale evoluta, che comportava
una specializzazione dei mestieri. Crearono complesse istituzio-
ni religiose e statali. Usarono metalli come il rame e l'oro per
ornamenti e attrezzi. Svilupparono addirittura quella che sembra
fosse una forma rudimentale di scrittura. Come osserva la Gim-
butas, «Se per civiltà intendiamo la capacità di un dato popolo
di adattare il suo ambiente e di sviluppare arti, tecnologia, scrit-
tura e relazioni sociali adeguate, è evidente che gli Antichi Eu-
ropei raggiunsero un alto livello di civiltà». 28
Attualmente l'immagine degli Antichi Europei che la mag-
gior parte di noi si è fatta è quella di terrificanti membri di tribù
60 Riane Eisler

barbare, che continuavano a premere verso sud e che alla fine


riuscirono a vincere persino i Romani, arrivando al sanguinoso
saccheggio di Roma. Per questo motivo una delle caratteristiche
più notevoli, e che danno più da pensare, dell'antica società eu-
ropea, rivelata dagli scavi archeologici, è quella della sua natura
essenzialmente pacifica. «Gli Antichi Europei non cercarono
mai di vivere in posti scomodi, per esempio su colli alti e sco-
scesi, come fecero in seguito gli Indoeuropei, che costruirono
cittadelle in luoghi inaccessibili, circondando spesso i loro stan-
ziamenti collinari con ciclopiche mura in pietra», scrive la Gim-
butas. «Gli insediamenti degli Antichi Europei venivano scelti
in base alla bellezza della posizione, alla bontà di acqua e terre-
no, e alla disponibilità di pascoli per gli animali. Le aree d'inse-
diamento di Vinca, Butmir, Petresti e Cucuteni sono notevoli
per i bellissimi scorci sul paesaggio, non per il loro valore difen-
sivo. L'assenza caratteristica di massicce fortificazioni e di armi
da lancio dimostra il carattere pacifico della maggior parte di
queste popolazioni amanti delle arti». 29
Inoltre, qui, come a çatal Hi.iyi.ik e Hacilar - che non mostra-
no segni di danni causati da guerre per un periodo di tempo di
oltre millecinquecento annP 0 - le testimonianze archeologiche
indicano che il dominio maschile non era la norma. «Ci sono in-
dizi di una divisione del lavoro tra i sessi, ma non di una supe-
riorità dell'uno sull'altro», scrive la Gimbutas. «Nel cimitero 53
di Vinca non si distingueva quasi nessuna differenza tra la ric-
chezza degli addobbi delle tombe maschili e quelle femminili
[... ] Per quanto riguarda il ruolo della donna nella società, le te-
stimonianze di Vinca suggeriscono una società ugualitaria e
chiaramente non patriarcale. Lo stesso vale per la società di Var-
na: non riesco a cogliere alcuna gerarchizzazione in una scala di
valori patriarcale maschile/femminile». 31
Insomma, qui come a çatal Hi.iyi.ik, le testimonianze indicano
una società generalmente non stratificata e fondamentalmente
ugualitaria, senza marcate distinzioni di classe o di sesso. Ma la
differenza è che nel lavoro della Gimbutas la cosa non viene ac-
Viaggio in un mondo perduto: gli inizi della civiltà 61

cennata di sfuggita. Essa ci viene fatta notare più e più volte da


questa ammirevole innovatrice dell'archeologia, che ha avuto il
coraggio di sottolineare ciò che tanti altri preferiscono ignorare:
in queste società non c'è traccia della ineguaglianza sessuale che
ci hanno insegnato a considerare parte della «natura umana».
«Il corredo delle tombe di praticamente tutti i cimiteri che si
conoscono dell'Antica Europa rivela una società ugualitaria uo-
mo-donna», scrive la Gimbutas, che rileva diversi indizi che
dimostrano come quella dell'Antica Europa fosse una società
matrilineare, vale a dire, in cui discendenza ed eredità si tra-
mandano per via materna. 32 Inoltre la studiosa fa notare che le
testimonianze archeologiche fanno chiaramente intendere che le
donne svolgevano un ruolo fondamentale in tutti gli aspetti della
vita dell'Antica Europa.
«Nei modelli di templi e di altari domestici e nei resti dei
templi veri», scrive la Gimbutas, «sono ritratte donne che super-
visionano la preparazione e lo svolgimento di rituali dedicati ai
vari aspetti e alle diverse funzioni della Dea. Si dedicava un' e-
norme energia alla produzione di accessori per il culto e di doni
votivi. I modelli di tempio mostrano la macinazione del grano e
la cottura del pane sacro [... ] nei laboratori dei templi, che di so-
lito costituivano una metà dell'edificio o occupavano il piano
sottostante il tempio vero e proprio, le donne fabbricavano e de-
coravano un gran numero di vasi diversi, adatti ai vari riti. Vici-
no all'altare del tempio si trovava un telaio verticale, su cui pro-
babilmente venivano tessuti gli indumenti sacri e gli addobbi del
tempio. Le creazioni più sofisticate dell'Antica Europa, i più bei
vasi, le più belle sculture eccetera ancora esistenti, erano opera
di donne ... »33
L'eredità artistica lasciataci da queste antiche comunità, in
cui il culto della Dea era al centro di tutti gli aspetti della vita,
continua a venire alla luce grazie agli scavi archeologici. Dal
1974, anno in cui la Gimbutas pubblicò per la prima volta un
compendio dei ritrovamenti provenienti dagli scavi da lei stessa
effettuati e da oltre tremila siti diversi, sono state scoperte non
62 Riane Eisler

meno di trentamila sculture in miniatura d'argilla, marmo, osso,


rame e oro, oltre a ingenti quantità di vasi rituali, altari, templi e
dipinti, sia sui vasi che sui muri dei santuari. 34
Tra questi ritrovamenti, le vestigia più eloquenti di questa
cultura neolitica europea sono le sculture. Esse forniscono
informazioni su aspetti della vita altrimenti inaccessibili all'ar-
cheologo: la foggia dei vestiti e perfino delle acconciature. Ci
consentono una visione diretta delle immagini mitiche dei riti
religiosi dell'epoca. E ciò che rivelano queste sculture, come in
precedenza le caverne del Paleolitico e, successivamente, i siti
neolitici delle vaste pianure dell'Anatolia e del Vicino Oriente,
è che anche qui le statuette e i simboli femminili occupavano
una posizione di preminenza.
Come se non bastasse, esse ci danno una testimonianza sor-
prendente che indica il passo successivo nell'evoluzione estetica
e sociale di questa antica civiltà scomparsa. Poiché, per stile e
per tema, molte di queste statuette e simboli femminili sono in-
credibilmente simili a quelli di un luogo che viene ancor'oggi
visitato da centinaia di migliaia di turisti, praticamente ignari di
ciò che stanno realmente guardando: la leggendaria isola di Cre-
ta, ove successivamente fiorì la civiltà dell'Età del Bronzo.
Prima di dedicarci a Creta, l'unica «grande» civiltà che si co-
nosca in cui il culto della Dea sia sopravvissuto fino in epoca
storica, esamineremo più da vicino quanto possiamo desumere
dai resti archeologici del Neolitico sulla direzione iniziale della
evoluzione culturale occidentale, e sulla sua importanza per il
nostro presente e per il nostro futuro.

Note

1. Edwin Oliver James, Prehistoric Religion, Bames & Noble, New York
1957, p. 146 (trad. it. Nascita della religione, il Saggiatore, Milano 1969). Ja-
mes fu uno dei primi storici delle religioni a criticare questa opinione. Per una
eccellente critica, più recente, della stupefacente cecità di molti studiosi verso
il significato mitico delle immagini femminili paleolitiche, si veda Marija
Gimbutas, «The Image of Woman in Prehistoric Art», in The Quarterly Re-
Viaggio in un mondo perduto: gli inizi della civiltà 63

view of Archaeology, dicembre 1981, pp. 6-9. Va notato che, per evitare un'i-
nutile complessità, vengono talvolta usati indifferentemente i tennini Paleoliti-
co e Paleolitico Superiore. Nel nostro libro abbiamo seguito questa consuetu-
dine, anche se la maggior parte degli argomenti trattati si riferisce al
Paleolitico Superiore: il periodo che va all'incirca dal 30.000 al 10.000 a.C. È
a questo periodo che risalgono la maggior parte degli straordinari dipinti di
animali nelle caverne, le statue intagliate e le figure in rilievo descritte nel te-
sto. Il Paleolitico, o Età della Pietra, probabilmente iniziò verso il 65.000 a.C.,
ma si sa molto poco sulla prima parte di questa era.
2. Edwin Oliver James, The Cult of the Mother Goddess, Thames & Hud-
son, Londra 1959, p. 19.
3. lbid., p. 16; E.O. James, Prehistoric Religion, cit., p. 148.
4. E.O. James, Cult of the Mother Goddess, cit., p. 16.
5. Vedi nota 10 all'Introduzione.
6. Si veda, per esempio, Elizabeth Fisher, Woman 's Creation, McGraw-
Hill, New York 1979, p. 140.
7. John Pfeiffer, The Emergence of Man, Harper & Row, New York 1972,
pp. 251-65 (trad. it. La nascita dell'uomo, Mondadori, Milano 1973). Per un
nuovo modello dell'evoluzione umana, più conforme ai migliori dati disponi-
bili, si veda Nancy Tanner, On Becoming Human, Cambridge University
Press, Boston 1981 (trad. it. Madri, utensili ed evoluzione umana: un modello
della transizione dalle antropomorfe al genere umano e la ricostruzione della
vita sociale degli ominidi primitivi, Zanichelli, Bologna 1985). Modelli simili
caratterizzano i lavori di Adrienne Zihlman, Jane Lancaster e di altre studiose
femministe, le cui nuove teorie non sono più vincolate al modello evolutivo
dell'«uomo cacciatore». Si veda, per esempio, Adrienne Zihlman, «Women in
Evolution, Part II: Subsistence and Socia! Organization among Early Homi-
nids», in Signs, autunno 1978, n. 4, pp. 4-20; Jane Lancaster, «Carrying and
Sharing in Human Evolution», in Human Nature, febbraio I 978, n. I, pp. 82-
9. Vedi anche Capitolo 5.
8. M. Gimbutas, art. cit.
9. Si veda, per esempio, Gertrude Rachel Levy, Religious Conceptions of
the Stone Age, Harper & Row, New York I 963, inizialmente pubblicato col ti-
tolo The Gate of the Horn, Faber & Faber, Londra I 948. La Levy nota che la
caverna era probabilmente un simbolo del grembo della Dea (la Creatrice, la
Madre, la Terra), e i rituali in essa celebrati erano manifestazioni del desiderio
di partecipare ai suoi atti creativi, e d'influenzarli. Uno di questi atti consisteva
nel dare alla luce gli animali, che nascevano dal suo grembo (e che erano un
mezzo di sostentamento per i popoli del Paleolitico). Per questo gli animali ve-
nivano spesso raffigurati sulle pareti delle caverne.
Più recentemente un'altra studiosa, Z.A. Abramova, ha pubblicato il cata-
logo ufficiale delle incisioni e delle sculture del Paleolitico Superiore rinvenu-
te nel territorio dell'Unione Sovietica. Come l'archeologo sovietico A.P. Ok-
ladnikov, I' Abramova ritiene che «i due differenti aspetti dell'immagine della
donna durante il Paleolitico [... ] non sono contraddittori, anzi, si completano
reciprocamente». La donna veniva raffigurata come «signora della casa e della
famiglia, protettrice del focolare [... ] era la sovrana degli animali, specialmen-
64 Riane Eisler

te della cacciagione» (Z.A. Abramova, «Paleolithic Art in the USSR», in Are-


tic Anthropology, 1967, n. 4, pp. 1-179, a cura di Chester S. Chard, trad. ingl.
di Catharine Page, citato in Alexander Marshack, The Roots of Civilization,
McGraw-Hill, New York 1967, pp. 338-9).
10. A. Marshack, op. cit., p. 219.
11. Peter Ucko e Andrée Rosenfeld, Paleolithic Cave Art, McGraw-Hill,
New York 1967, pp. 100, 174-95, 229.
12. A. Marshack, op. cit., pp. 173, 219. Marshack riconosce anche l'im-
portanza delle statuette femminili nel!' arte paleolitica. Il suo Roots of Civiliza·
tion è un tentativo innovatore e affascinante di esplorare nuovi modelli d'inter-
pretazione dell'arte paleolitica. La sua analisi molto originale dei simboli
ciclici del Paleolitico fornisce un'enorme mole di dati per lo studio degli even-
ti in sequenza temporale. Questi comportano fenomeni ciclici (come le me-
struazioni delle donne e i cicli delle stagioni, del sole e della luna) che, come
la gravidanza di nove mesi delle donne, i nostri antenati devono ovviamente
avere osservato e cercato di spiegare (e probabilmente anche di controllare),
tramite miti e riti sulle stagioni e il calendario.
13. André Leroi-Gourhan, Prehistoire de l'Art Occidental, Edition d'Art
Lucien Mazenod, Parigi 1971, p. 120.
14. Jbid. Per un breve riepilogo dei suoi ritrovamenti si veda André Leroi-
Gourhan, «The Evolution of Paleolithic Art», in Scientific American, febbraio
1968, p. 61.
15. E.O. James, Prehistoric Religion, cit., pp. 147-9. Per un'analisi più re-
cente ed esauriente di questa evoluzione e della cultura che essa rifletteva, si
veda Marija Gimbutas, Evolution of Old Europe and Its Jndo-Europeaniza·
tion: The Prehistory of East Centrai Europe (manoscritto inedito).
16. James Mellaart, çatal Hiiyiik, McGraw-Hill, New York 1967, p. 24.
17. Jbid., p. 23. Termini quali «società arretrate» per descrivere gli abori-
geni australiani, e «culti della fertilità» per descrivere la religione incentrata
sulla Dea sono sfortunatamente onnipresenti nella letteratura, e riflettono pre-
giudizi che sviliscono e sminuiscono le popolazioni tribali e le donne.
18. Jbid., pp. 23-4.
19. Merlin Stone, When God Was a Woman, Harcourt Brace Jovanovich,
New York 1976, p. 15.
20. J. Mellaart, The Neolithic of the Near East, Scribner, New York 1975,
pp. 152, 52, 53.
21. E.O. James, Prehistoric Religion, cit., p. 157.
22. lbid., pp. 70-71; Id., Cult of the Mother Goddess, cit.
23. J. Mellaart, çatal Hiiyiik, cit., p. 11.
24. J. Mellaart, The Neolithic of the Near East, cit., p. 275.
25. Jbid., p. 10.
26. M. Gimbutas, The Goddesses and Gods of Old Europe, 6500-3500
B.C., University ofCalifomia Press, Berkeley and Los Angeles 1982, p. 17.
Nella sua accezione più ampia, I' «Antica Europa» comprende tutta l'Europa a
ovest della steppa Pontica, prima delle incursioni dei pastori della steppa (o
Kurgan). Si veda Id., The Language of the Goddess: Jmages and Symbols of
Old Europe, Van der Marck, New York 1987 (trad. it. Il linguaggio della Dea.
Viaggio in un mondo perduto: gli inizi della civiltà 65

Mito e culto della Dea Madre nell'Europa neolitica, Longanesi, Milano


1990). In senso più stretto, «Antica Europa» si riferisce alla prima civiltà euro-
pea, concentrata nell'Europa sud-orientale (vedi la cartina in appendice).
27. lbid., p. 18.
28. lbid., p. 17.
29. M. Gimbutas, The Early Civilization of Europe, University of Califor-
nia at Los Angeles, Monograph for Indo-European Studies 131, 1981, cap. 2,
p. 17.
30. J. Mellaart, çatal Hiiyiik, cit., p. 53.
31. M. Gimbutas, Early Civilization of Europe, cit., cap. 2, pp. 32-3.
32. lbid., cap. 2, pp. 33-4.
33. lbid., cap. 2, pp. 35-6.
34. M. Gimbutas, The Goddesses and Gods of Old Europe, cit., pp. 11-2.
2
Messaggi dal passato:
il mondo della Dea

Che tipi erano i nostri antenati preistorici che adoravano la


Dea? Com'era la vita durante i millenni della nostra evoluzione
culturale che precedettero la storia documentata o scritta? Inol-
tre, può quell'epoca insegnarci qualcosa d'importante?
Poiché le popolazioni del Paleolitico e del successivo, più
avanzato, Neolitico non ci hanno lasciato resoconti scritti, pos-
siamo soltanto dedurre, come scienziati trasformati in Sherlock
Holmes, il modo in cui pensavano, sentivano, si comportavano.
Del resto, quasi tutto ciò che ci è stato insegnato sull'antichità si
basa sulla congettura.
Anche i documenti in nostro possesso delle prime culture
storiche, come quelle di Sumer, Babilonia e Creta, sono nella
migliore delle ipotesi scarsi e frammentari, e costituiti in gran
parte da inventari di beni e altri argomenti mercantili. E anche i
successivi resoconti, più dettagliati, sulla preistoria e la storia
antica, scritti in epoca Greca classica, o ai tempi di Romani,
Ebrei e Cristiani, sono principalmente basati sulla deduzione,
per di più senza l'aiuto dei moderni metodi archeologici.
La maggior parte di ciò che abbiamo imparato a figurarci co-
me nostra evoluzione culturale è in realtà frutto di un'interpreta-
zione. Inoltre, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, que-
sta interpretazione è stata spesso e volentieri la proiezione di
68 Riane Eisler

un'idea del mondo, tuttora prevalente, di tipo dominatore. Con-


sisteva in conclusioni tratte da dati frammentari, interpretati in
modo da conformarsi al modello tradizionale della nostra evolu-
zione culturale, vista come una progressione lineare dall' «uomo
primitivo» al cosiddetto «uomo civile»; questi, nonostante le
molte differenze, avevano in comune il desiderio di conquista,
di sterminio, di dominio. Grazie allo scavo scientifico degli anti-
chi siti, gli archeologi negli ultimi anni hanno ottenuto una gran
quantità di informazioni fondamentali sulla preistoria, in parti-
colare sul Neolitico, l'epoca in cui i nostri antenati si organizza-
rono per la prima volta in comunità, che si sostentavano con l'a-
gricoltura e l'allevamento del bestiame. Questi scavi, analizzati
in maniera differente, forniscono l'archivio per una rivalutazio-
ne e una ricostruzione del nostro passato.
Una importante fonte di dati viene dagli scavi degli edifici e
del loro contenuto, abiti, gioielli, cibo, mobilio, contenitori, at-
trezzi e altri oggetti di uso quotidiano. Estremamente proficuo è
anche lo scavo dei luoghi di sepoltura, che rivelano non solo gli
atteggiamenti della gente verso la morte, ma anche verso la vita
stessa. E a questo patrimonio di dati si va ad aggiungere la no-
stra più ricca fonte d'informazioni sulla preistoria: l'arte.
Anche quando esiste una tradizione letteraria scritta, oltre a
quella orale, l'arte è una forma di comunicazione simbolica. La
ricca arte del Neolitico, i dipinti murali che ritraggono la vita
quotidiana o importanti miti, la statuaria di immagini religiose, i
fregi che descrivono i rituali, oppure, semplicemente, le decora-
zioni dei vasi, le figure sui sigilli o le incisioni sui gioielli, ci di-
ce molto su come questa gente viveva e moriva. E la dice lunga
anche sul loro pensiero, perché l'arte del Neolitico è veramente
una sorta di linguaggio, di codice, che esprime simbolicamente
il modo in cui la gente di quel periodo sperimentava, e a sua vol-
ta modellava, ciò che definiamo realtà. 1 E se lasciamo che que-
sto linguaggio parli da sé, senza proiettare su di esso dei model-
li di realtà invalsi, esso ci racconta una storia affascinante, e, in
Messaggi dal passato: il mondo della Dea 69

confronto a quella convenzionale, molto più promettente, delle


nostre origini culturali.

L'arte del Neolitico

Una delle cose più sorprendenti dell'arte del Neolitico è ciò


che essa non ritrae. Ciò che un popolo non descrive nell'arte
può essere altrettanto rivelatore di ciò che esso ritrae.
Al contrario dell'arte dei periodi successivi, nell'arte neoliti-
ca si nota una marcata assenza di immagini che idealizzino la
potenza armata, il potere basato su crudeltà e violenza. Non esi-
stono immagini di «nobili guerrieri» o scene di battaglia. E non
c'è traccia di «eroici conquistatori» che trascinano prigionieri in
catene, o di altre prove di schiavismo.
Un'altra netta differenza di queste società neolitiche adora-
trici della Dea, anche solo rispetto ai reperti dei loro primi e più
arretrati invasori a dominio maschile, è la manifesta assenza di
sontuose sepolture di «capi tribù». E diversamente dalle succes-
sive civiltà a dominio maschile, come quella dell'Egitto, non c'è
traccia dei potenti regnanti che al momento della propria morte
portavano con sé nell'aldilà, sacrificandoli, altri esseri umani
non influenti come loro.
E, altra differenza rispetto alle successive società a modello
dominatore, non troviamo grandi depositi d'armi, o altre tracce
che indichino un'intensa applicazione della tecnologia del mate-
riale e delle risorse naturali alle armi. La deduzione che questa
fosse un'epoca davvero singolare, sicuramente molto più pacifi-
ca, viene rafforzata da un'altra assenza: quella di fortificazioni
militari. Queste cominciano a fare la loro comparsa molto gra-
dualmente, probabilmente in risposta alle pressioni delle belli-
cose bande nomadi che provenivano da aree periferiche della
terra, che esamineremo più avanti.
Nell'arte neolitica, né la Dea né il suo figlio-consorte porta-
no gli emblemi che abbiamo imparato ad associare alla potenza:
70 Riane Eisler

lance, spade o folgori, simboli di un sovrano terrestre e/o di una


deità che esige obbedienza uccidendo e mutilando. Inoltre, nel-
1' arte di questo periodo sorprendentemente mancano le immagi-
ni di governante-governato, padrone-sottoposto così tipiche del-
le società dominatore.
Ciò che si trova dappertutto, nei templi e nelle case, nei di-
pinti murali, nei motivi decorativi dei vasi e nelle sculture a tut-
to tondo, nelle statuette d'argilla e nei bassorilievi, è un ricco
spiegamento di simboli presi dalla natura. Associati al culto del-
la Dea, essi testimoniano il rispetto e lo stupore per la bellezza e
il mistero della vita.
Ci sono elementi apportatori di vita come il sole e l'acqua;
per esempio, i motivi geometrici di forme ondeggianti, detti
greche (che simboleggiavano il fluire delle acque), incisi su di
un altare antico-europeo in Ungheria, che risale all'incirca al
5000 a.C. Ci sono le gigantesche teste di toro in pietra, con
corna ricurve, dipinte sui muri dei templi di çatal Hiiyiik, por-
cospini in terracotta dalla Romania meridionale, vasi rituali a
forma di femmina di cervo dalla Bulgaria, sculture a forma
d'uovo in pietra con facce di pesci e vasi per il culto a forma
d'uccello. 2
Ci sono serpenti e farfalle (simboli di metamorfosi), che in
epoca storica continuano a essere identificati con i poteri di tra-
sformazione della Dea, come nella impressione di un sigillo di
Zakro, a est di Creta, che ritrae la Dea con le ali di una farfalla
occhiuta. Anche la più tarda ascia doppia cretese, che ricorda le
zappe usate per sgombrare i terreni coltivabili, era una stilizza-
zione della farfalla. 3 Come il serpente, che muta la pelle e «rina-
sce», essa faceva parte dell'epifania della Dea, era uno dei sim-
boli dei suoi poteri di rigenerazione. 4
E ovunque, nei dipinti murali, nelle statue e nelle statuette
votive, troviamo immagini della Dea. Nelle sue varie incarna-
zioni di Vergine, Progenitrice o Creatrice, essa è la Signora del-
le acque, degli uccelli e degli inferi, o semplicemente la Madre
divina che culla il figlio tra le proprie braccia. 5
Messaggi dal passato: il mondo della Dea 71

Alcune immagini sono talmente realistiche da sembrare ani-


mate, come il serpente strisciante su di un piatto ritrovato in un
cimitero dell'inizio del V millennio a.C. nella Slovacchia occi-
dentale. Altre sono così stilizzate da essere più astratte persino
rispetto alla nostra arte più «moderna». Tra queste, il grande va-
so o calice sacramentale stilizzato a forma di dea assisa in trono,
con incisi ideogrammi, proveniente dalla cultura Tisza dell'Un-
gheria sud-orientale, la Dea dalla testa a colonna con braccia
conserte dalla Romania del 5000 a.C., e la statuetta in marmo
della Dea da Teli Azmak, nella Bulgaria centrale, con braccia
stilizzate e un esagerato triangolo pubico, che risale al 6000 a.C.
Ci sono anche immagini che possiedono una misteriosa bellez-
za, come il piedistallo di terracotta, antico di ottomila anni,
provvisto di corna e con seni femminili, che in qualche modo ri-
corda la statua greca classica nota come Vittoria Alata, e i vasi
dipinti di Cucuteni, con le loro forme aggraziate e i ricchi dise-
gni geometrici a spira di serpente. Altre, come le croci incise
sull'ombelico o vicino ai seni della Dea, suscitano interessanti
domande sul significato che avevano in origine alcuni dei nostri
simboli più importanti. 6
Un senso di fantasia avvolge molte di queste immagini,
un'atmosfera di sogno, a volte bizzarra, che evoca rituali arcani
e miti a lungo dimenticati. Per esempio, in una scultura di Vin-
ca, una donna con un bambino in braccio, entrambi col volto
d'uccello, sembrano essere i protagonisti mascherati di antichi
riti, probabilmente nell'atto di rappresentare una storia mitolo-
gica su una dea-uccello e il proprio figlio divino. Analogamen-
te, una testa di toro con occhi umani in terracotta, proveniente
dalla Macedonia del 4000 a.C., fa pensare al protagonista ma-
scherato di un altro mito e rituale neolitico. Alcune di queste fi-
gure mascherate sembrano rappresentare potenze cosmiche,
benevole o minacciose. Altre suscitano effetti umoristici, come
l'uomo in maschera con i calzoni imbottiti e la pancia scoperta,
proveniente dalla Fafkos del V millennio a.C., che la Gimbutas
descrive come un probabile attore comico. Ci sono anche quel-
72 Riane Eisler

le che la studiosa definisce uova cosmiche. Si tratta anche in


questo caso di simboli della Dea, il cui corpo è il Calice divino,
che contiene il miracolo della nascita e il potere di trasformare
la morte in vita tramite la misteriosa rigenerazione ciclica della
natura. 7
Il tema dominante dell'arte neolitica sembra senz'altro esse-
re l'unità di tutte le cose nella natura, personificata dalla Dea.
La suprema forza che governa l'universo è una madre divina,
che dà vita alla sua gente, fornisce conforto materiale e spiritua-
le, e su cui si può fare affidamento anche al momento della mor-
te, quando ella si prenderà cura dei suoi figli riportandoli nel
proprio grembo cosmico.
Per esempio, nei templi di çatal Hi.iyi.ik troviamo rappresen-
tazioni della Dea gravida o mentre partorisce. Spesso è accom-
pagnata da animali poderosi come leopardi e, in particolare, to-
ri. 8 Come simbolo dell'unità di tutta la vita nella natura, in
alcune raffigurazioni è lei stessa in parte umana e in parte ani-
male.9 Persino nei suoi aspetti più oscuri, quelli che gli studiosi
definiscono ctonii, o sotterranei, viene comunque ritratta come
una parte dell'ordine naturale. Proprio come tutta la vita ha ori-
gine da lei, a lei tutto ritorna al momento della morte, per poi ri-
nascere nuovamente.
Probabilmente, ciò che gli studiosi definiscono l'aspetto cto-
nio della Dea (la sua raffigurazione in forma surreale, a volte
grottesca) rappresenta il tentativo dei nostri antenati di confron-
tarsi con gli aspetti più oscuri della realtà, dando un nome e una
forma alla nostra paura dell'ignoto. Le immagini ctonie, ma-
schere, dipinti murali e statuette che simboleggiano la morte in
forme fantastiche, a volte persino umoristiche, potevano anche
essere destinate a impartire ali' iniziato religioso un senso del-
1' unità mistica con le forze, sia pericolose che benigne, che go-
vernano il mondo.
Insomma, così come si celebrava la vita nei rituali e nelle
immagini religiose, si riconoscevano e si rispettavano anche i
processi distruttivi della natura. Mentre le cerimonie religiose e
Messaggi dal passato: il mondo della Dea 73

i riti erano destinati a dare all'individuo e alla comunità un sen-


so di partecipazione e di controllo su quei processi della natura
che danno e mantengono la vita, altri riti e cerimonie tentavano
di tenere a bada quelli più spaventevoli.
In ogni caso, le numerose immagini della Dea nel suo aspet-
to duale di vita e di morte sembrano esprimere una visione del
mondo in cui lo scopo principale dell'arte, e della vita, non era
conquistare, saccheggiare e far bottino, bensì coltivare la terra e
fornire l'occorrente materiale e spirituale per una vita soddisfa-
cente. E in complesso l'arte del Neolitico, e ancor più la succes-
siva arte minoica, sembra esprimere l'idea che la funzione pri-
maria delle forze misteriose che governano l'universo non sia di
ottenere obbedienza, punire e distruggere, ma, semmai, di elar-
gire.
Sappiamo che l'arte, in particolare quella mitologica o reli-
giosa, riflette non solo gli atteggiamenti di un popolo, ma anche
la sua peculiare forma di cultura e di organizzazione sociale.
L'arte incentrata sulla Dea che abbiamo preso in esame con la
sua stupefacente assenza di immagini di dominio maschile o di
guerra, sembra che riflettesse un ordinamento sociale in cui le
donne svolgevano un ruolo centrale, dapprima come capi clan e
sacerdotesse, in seguito con altri importanti incarichi. In questo
ordinamento sociale uomini e donne lavoravano assieme, in
un'associazione paritetica, per il bene comune. È ragionevole
dedurre, non essendoci una glorificazione di deità maschili col-
leriche, di sovrani con armi e folgori, o di grandi conquistatori
che trascinano schiavi abbietti in catene, che ciò avvenisse per-
ché nella vita reale non esisteva il corrispondente di queste im-
magini. 10 E se la principale immagine religiosa era quella di una
donna che partorisce e non, come ai nostri tempi, quella di un
uomo che muore sulla croce, si può ragionevolmente dedurre
che nella società e nell'arte prevalevano la vita e l'amore per la
vita, anziché la morte e la paura della morte.
74 Riane Eisler

Il culto della Dea

Uno degli aspetti più interessanti del culto preistorico della


Dea è quello che lo studioso di mitologia e storia delle religioni
Joseph Campbell definisce il suo «sincretismo». 11 Essenzial-
mente ciò significa che il culto della Dea era allo stesso tempo
politeista e monoteista. Era politeista in quanto la Dea veniva
adorata con nomi differenti e sotto forme molteplici. Ma era an-
che monoteista, nel senso che possiamo indubbiamente parlare
di fede nella Dea negli stessi termini in cui parliamo della fede
in Dio come entità trascendente. In altre parole, ci sono straordi-
narie somiglianze tra simboli e immagini associati in luoghi di-
versi al culto della Dea, nei suoi vari aspetti di madre, progeni-
trice o creatrice e vergine o fanciulla.
Una possibile spiegazione di questa notevole unità religiosa
è che in origine la Dea sembra fosse adorata da tutte le antiche
civiltà agricole. Troviamo testimonianze della deificazione della
femmina, che per la sua caratteristica biologica dà nascita e nu-
trimento, proprio come fa la terra, nei tre centri principali delle
origini dell'agricoltura: l'Asia Minore e l'Europa sud-orientale,
la Thailandia nell'Asia sud-orientale e, più tardi, anche l' Ameri-
ca centrale. 12
La Dea Madre come origine di ogni forma di vita appare in
molte delle più antiche storie sulla creazione, in differenti parti
del mondo. Nelle Americhe è la Signora dalla Sottana di Serpen-
te, interessante anche perché, come in Europa, Medio Oriente e
Asia, il serpente è una delle prime manifestazioni della Dea. Nel-
1' antica Mesopotamia questo stesso concetto si trova nell'idea
della montagna del mondo come corpo della Dea madre univer-
sale, idea sopravvissuta fino in epoca storica. E come Nammu, la
dea sumera che genera il cielo e la terra, il suo nome viene
espresso in un testo cuneiforme pressappoco del 2000 a.C. (ora
al Louvre), con un ideogramma che rappresenta il mare. 13
Un altro tema ricorrente è l'associazione del principio fem-
minile alle acque primordiali. Per esempio, nella ceramica deco-
Messaggi dal passato: il mondo della Dea 75

rata dell'Antica Europa il simbolismo dell'acqua, spesso insie-


me all'uovo primordiale, è un motivo frequente. Qui la Grande
Dea, talvolta sotto forma di Dea-uccello o Dea-serpente, presie-
de alla forza dispensatrice di vita dell'acqua. Sia in Europa che
in Anatolia si intrecciano i motivi della Dea come apportatrice
di pioggia ed elargitrice di latte, e vasi e contenitori rituali sono
un equipaggiamento comune nei templi a lei dedicati. La sua
immagine viene anche associata ai contenitori per l'acqua, che
talvolta riproducono il suo aspetto antropomorfo. Come Dea
egiziana, Nut, essa è l'unità fluente delle acque primordiali cele-
sti. In seguito essa sorgerà dalle acque del mare, con l'aspetto
della Dea cretese Ariadne (la Santissima) o di quella greca
Afrodite. 14 Questa immagine era ancora così potente nell'Euro-
pa cristiana da ispirare la celebre Venere sorgente dalle acque
del Botticelli.
Anche se questo è uno degli aspetti della nostra evoluzione
culturale che raramente ci vengono insegnati, molto di ciò che si
è sviluppato nei millenni di storia del Neolitico è ancor oggi
presente. Come scrive Mellaart, il culto della Dea «ha costituito
il fondamento su cui si sono sviluppate tutte le culture e le ci-
viltà successive». 15 O, come dice la Gimbutas, persino dopo la
distruzione del mondo rappresentato dalle immagini mitologi-
che dei nostri progenitori che adoravano la Dea, esse «rimasero
nel sostrato che alimentò i successivi sviluppi culturali euro-
pei», arricchendo enormemente la psiche europea. 16
È davvero sorprendente, se osserviamo attentamente l'arte
del Neolitico, quanto a lungo siano sopravvissute le immagini
della Dea, e in che misura la maggior parte delle opere correnti
di storia delle religioni trascuri di evidenziare questa realtà affa-
scinante. Proprio come la Dea incinta del Neolitico è una di-
scendente diretta delle «Veneri» panciute del Paleolitico, la stes-
sa immagine sopravvive nella Maria gravida dell'iconografia
cristiana medievale. La rappresentazione neolitica della Dea
giovane, o Vergine, viene ancora venerata nell'aspetto di Maria
come Vergine Santa. E, naturalmente, la figura neolitica della
76 Riane Eisler

Dea Madre che regge il suo figlio divino è tuttora evidentemen-


te riconoscibile nella Madonna con bambino del cristianesimo.
Immagini tradizionalmente collegate alla Dea in quanto sim-
boli della potenza della natura, come il toro e il bucranio, le cor-
na di toro, sono sopravvissute fino in epoca classica e, in segui-
to, in epoca cristiana. La successiva mitologia patriarcale
«pagana» fece del toro un suo simbolo centrale. Più tardi anco-
ra, nell'iconografia cristiana, il dio toro cornuto si trasformò da
simbolo della potenza virile a rappresentazione di Satana o del
male. Ma, in epoca neolitica, le corna di toro, che ora abitual-
mente associamo al diavolo, avevano un significato del tutto di-
verso. Sono state rinvenute immagini di coma di toro sia nelle
case che nei templi di çatal Hiiyiik, dove corna di consacrazio-
ne a volte formano delle file o degli altari sotto le rappresenta-
zioni della Dea. 17 E, nella stessa località, il toro stesso è una ma-
nifestazione della potenza suprema della Dea. È un simbolo del
principio maschile, ma, come tutto ciò che esiste, scaturisce da
un grembo divino onnidispensatore, come viene rappresentato
graficamente in un tempio di çatal Hiiyiik, in cui si mostra la
Dea che dà alla luce un giovane toro.
Persino le raffigurazioni neolitiche della Dea in due forme
simultanee, come le Dee gemelle rinvenute a çatal Hiiyiik, sono
sopravvissute fino in epoca storica, per esempio, le rappresenta-
zioni greche classiche di Demetra e Kore come duplice aspetto
della Dea: Madre e Fanciulla, simbolo della rigenerazione cicli-
ca della natura. 18 I figli della Dea sono parte integrante dei temi
di nascita, morte e resurrezione. La figlia è rimasta in epoca gre-
ca classica come Persefone, o Kore. E allo stesso modo il suo fi-
glio-amante/marito è sopravvissuto fino in epoca storica con no-
mi diversi: Adone, Tammuz, Attis e, infine, Gesù Cristo. 19
Questa continuità del simbolismo religioso, apparentemente
sorprendente, diviene più comprensibile se consideriamo che
sia nella civiltà neolitico-calcolitica dell'Antica Europa, sia in
quella successiva minoico-micenea dell'Età del Bronzo, la reli-
gione della Grande Dea sembra fosse l'unica cosa davvero fon-
Messaggi dal passato: il mondo della Dea 77

damentale della vita. Nel sito anatolico di çatal Hiiyiik il culto


della Dea sembra permeare tutti gli aspetti dell'esistenza. Per
esempio, sulle 139 sale portate alla luce tra il 1961 e il 1963, più
di quaranta sembra siano servite come templi. 20
Lo stesso modello prevale nell'Europa neolitica e calcolitica.
Oltre a tutti i templi dedicati ai vari aspetti della Dea, le abita-
zioni avevano degli spazi sacri con focolari, altari (panche) e
luoghi d'offerta. E lo stesso vale per la successiva civiltà crete-
se, dove, scrive la Gimbutas, «i templi, di un tipo o dell'altro,
sono così numerosi che c'è ragione di credere che non solo ogni
palazzo, ma anche ogni casa privata fosse adibita a un tale uso
[... ] A giudicare dal numero dei templi, delle corna di consacra-
zione e del simbolo dell'ascia doppia, l'intero palazzo di Cnos-
so doveva somigliare a un santuario. Ovunque si volga lo sguar-
do colonne e simboli spingono a ricordare la presenza della
Grande Dea». 21
Dire che i popoli che adoravano la Dea erano molto religiosi
significherebbe sottovalutare, e in larga parte fraintendere, la
questione. Perché allora non esisteva una distinzione tra sacro e
profano. Come sottolineano gli storici delle religioni, in epoca
preistorica, e in larga misura fino in epoca storica, la religione
era vita, e la vita era religione.
Un motivo per cui questo punto viene trascurato è che in pas-
sato per gli studiosi l'adorazione della Dea non era una religio-
ne ma un «culto di fertilità», e ci si riferiva alla Dea come «ma-
dre terra». Ma, anche se la fecondità delle donne e della terra
era, ed è, una condizione necessaria alla sopravvivenza della
specie, questa definizione è davvero troppo semplicistica. Sa-
rebbe, per esempio, come definire il cristianesimo un culto di
morte, soltanto perché l'immagine principale della sua arte è la
crocifissione.
La religione del Neolitico, come le ideologie religiose e se-
colari del giorno d'oggi, esprimeva la visione del mondo del suo
tempo. Il confronto tra il pantheon religioso del Neolitico e
quello cristiano rivela drammaticamente in che misura quella
78 Riane Eisler

visione del mondo differisse dalla nostra. Nel Neolitico a capo


della sacra famiglia c'era una donna: la Grande Madre, la Regi-
na del Cielo, o la Dea nei suoi vari aspetti e forme. Anche i
componenti maschili di questo pantheon, il suo consorte, fratel-
lo e/o figlio, erano divini. Invece a capo della sacra famiglia cri-
stiana c'è un Padre onnipotente. Il secondo maschio del
pantheon, Gesù Cristo, è un altro aspetto della divinità. Ma, an-
che se padre e figlio sono immortali e divini, Maria, l'unica
donna in questo facsimile religioso dell'organizzazione patriar-
cale della famiglia, è una comune mortale, evidentemente, come
le sue corrispondenti terrene, di rango inferiore.
Le religioni in cui la sola, o la più potente, divinità è maschi-
le tendono a riflettere un ordinamento sociale a discendenza pa-
trilineare (successione patema) e domicilio patrilocale (la mo-
glie va a vivere con la famiglia o il clan del marito). Viceversa,
le religioni in cui la divinità più potente, o l'unica, è femminile,
tendono a riflettere un ordinamento sociale in cui la discenden-
za è matrilineare (successione materna) e, allo stesso modo, il
domicilio è matrilocale (il marito va a vivere con la famiglia o il
clan della moglie). 22 Inoltre, una struttura sociale a dominio ma-
schile, per lo più gerarchica, viene storicamente riflessa e con-
servata da un pantheon religioso dominato dal maschio e da dot-
trine religiose in cui la subordinazione delle donne viene sancita
per ordine divino.

Se non è patriarcato dev'essere matriarcato

Applicando questi princìpi alla crescente evidenza che per


millenni di storia umana la suprema divinità era femminile, nu-
merosi studiosi dell'Ottocento e dei primi del Novecento giun-
sero a una conclusione apparentemente sconvolgente. Se la prei-
storia non era patriarcale, doveva essere matriarcale. In altre
parole, se gli uomini non dominavano le donne, dovevano essere
le donne a dominare gli uomini.
Messaggi dal passato: il mondo della Dea 79

Poi, quando le prove sembravano non sostenere più questa


teoria di un dominio femminile, molti studiosi tornarono all'i-
dea tradizionalmente più seguita. Se non c'era mai stato un ma-
triarcato, pensavano, dopo tutto l'umanità doveva essere sempre
stata sottoposta a un dominio maschile.
Le prove, comunque, non sostengono nessuna di queste con-
clusioni. Per cominciare, i dati archeologici ora in nostro pos-
sesso indicano che la società pre-patriarcale nella sua struttura
generale era, anche secondo criteri moderni, notevolmente
ugualitaria. In secondo luogo, sebbene si trattasse probabilmen-
te di società matrilineari, in cui le donne, come sacerdotesse e
capi clan, svolgevano un ruolo centrale in tutti gli aspetti della
vita, ci sono poche indicazioni che la posizione degli uomini in
questo sistema sociale fosse in qualche modo paragonabile alla
subordinazione e alla repressione delle donne tipica del sistema
a dominio maschile che lo sostituì.
Dai suoi scavi a çatal Hiiyiik, dove il principale scopo ar-
cheologico era la ricostruzione sistematica della vita degli abi-
tanti della città, Mellaart concluse che anche se dalle dimensioni
degli edifici, dall'addobbo e dai doni funebri si poteva desumere
qualche forma d'ineguaglianza sociale, questa «non era mai
troppo vistosa». 2) Per esempio, tra gli edifici di çatal Hiiyiik non
ci sono differenze di rilievo, la maggior parte mostra una pianta
rettangolare standardizzata, che occupa uno spazio di circa venti-
cinque metri quadrati d'impiantito. Persino i templi non sono
strutturalmente diversi dalle case, né sono necessariamente di di-
mensioni maggiori. Inoltre sono inframmezzati alle case in gran
numero, indicando una volta di più una struttura sociale e reli-
giosa a base comunitaria, anziché centralizzata e gerarchica. 24
Lo stesso quadro generale emerge da un'analisi dei metodi di
sepoltura. A differenza delle successive tombe dei capi indoeu-
ropei, che indicano chiaramente una struttura sociale piramida-
le, dominata al vertice da un despota temibile e temuto, quelle di
çatal Hiiyiik non rivelano evidenti diseguaglianze sociali. 25
Per quanto riguarda i rapporti tra uomo e donna, è vero, co-
80 Riane Eisler

me fa notare Mellaart, che la famiglia divina di çatal Hi.iyilk


viene rappresentata «in ordine d'importanza come madre, figlia,
figlio e padre», 26 e che ciò probabilmente rispecchiava le fami-
glie umane degli abitanti della città, che evidentemente erano
matrilineari e matrilocali. E anche vero che a çatal Hilyilk e in
altre società del Neolitico le rappresentazioni antropomorfe del-
la Dea (la Vergine giovinetta, la Madre matura, e la vecchia
Nonna o Progenitrice, fino alla Creatrice primordiale) sono, co-
me notò in seguito il filosofo greco Pitagora, proiezioni dei vari
stadi della vita di una donna. 21 Un altro dato che indica un'orga-
nizzazione sociale matrilineare e matrilocale è che a çatal
Hilyi.ik la piattaforma adibita al sonno, dove venivano sistemati i
beni, il letto o il divano della donna, si trova sempre collocata
nello stesso posto, sul lato est degli alloggi. La posizione di
quella dell'uomo varia, e spesso la piattaforma è notevolmente
più piccola. 28
Ma nonostante queste prove della superiorità della donna sia
nella religione che nella vita, non ci sono indizi di una forte di-
suguaglianza tra uomini e donne. Né ci sono segni di oppressio-
ne e sottomissione dell'uomo da parte della donna.
Diversamente dalle religioni dominate dal maschio della no-
stra epoca, in cui quasi sempre, fino a poco tempo fa, solo gli
uomini potevano diventare membri della gerarchia religiosa, è
dimostrato che in questo periodo c'erano sia sacerdoti che sa-
cerdotesse.
Per esempio, Mellaart fa notare che, sebbene sembri proba-
bile che fossero soprattutto le sacerdotesse a officiare il culto
della Dea a çatal Hilyilk, ci sono prove che rivelano anche la
partecipazione di sacerdoti. Lo studioso parla di due gruppi
d' oggetti trovati esclusivamente nelle sepolture dei templi:
specchi d'ossidiana e raffinate fibbie per cintura in osso. I primi
furono rinvenuti soltanto presso corpi di donna, le seconde solo
presso corpi di uomini. Ciò porta Mellaart a concludere che si
trattasse di «attributi di alcuni sacerdoti e sacerdotesse, il che
Messaggi dal passato: il mondo della Dea 81

spiegherebbe la loro rarità e il fatto che siano stati rinvenuti nei


templi». 29
Indicativo è anche il fatto che le sculture di uomini anziani, a
volte ritratti in una posizione che ricorda il celebre Pensatore di
Rodin, suggeriscono che i vecchi, e le vecchie, avessero un ruo-
lo importante e stimato. Jo
È altrettanto significativo che il toro e il bucranio, o corna di
consacrazione, che hanno una posizione centrale nei templi neo-
litici dell'Anatolia, dell'Asia Minore, dell'Antica Europa e, suc-
cessivamente, nelle immagini minoiche e micenee, siano simbo-
li del principio maschile, proprio come le rappresentazioni di
falli e cinghiali, che fanno la loro comparsa nel tardo Neolitico,
soprattutto in Europa. Inoltre, alcune delle più antiche statuette
della Dea non sono solamente un ibrido di caratteristiche umane
e animali, ma spesso possiedono anche attributi, come i colli
esageratamente lunghi, che possono essere interpretati come an-
drogini. 31 E naturalmente il giovane dio, il figlio-consorte della
Dea, ha un ruolo costante nel miracolo principale della religione
pre-patriarcale, il mistero della rigenerazione e della rinascita.
Insomma, per quanto il principio femminile, come simbolo
principale del miracolo della vita, permeasse l'ideologia e l'arte
del Neolitico, è chiaro che anche quello maschile aveva un ruolo
importante. La fusione di questi due princìpi, nei miti e nei ri-
tuali del Matrimonio Sacro, continuò a essere celebrata nel
mondo antico, fino in epoca patriarcale inoltrata. Per esempio,
nell'Anatolia ittita il grande tempio di Yazilikaya era consacrato
a questo scopo. E persino successivamente, in Grecia e a Roma,
la cerimonia sopravvisse nello hieros gamos.) 2
A tale proposito è interessante il fatto che esistano immagini
neolitiche che indicano una consapevolezza del ruolo congiunto
che hanno l'uomo e la donna nella procreazione. Per esempio,
una minuscola placca in pietra di çatal Htiytik mostra un uomo
e una donna teneramente abbracciati, e subito a fianco c'è il ri-
lievo di una madre che tiene in braccio un figlio, frutto della lo-
ro unione. 33
82 Riane Eisler

Tutte queste figure riflettono gli atteggiamenti spiccatamente


differenti sui rapporti tra uomo e donna che prevalgono nel Neo-
litico, atteggiamenti in cui l'unione sembra prevalere sulla ge-
rarchizzazione. Come scrive la Gimbutas, «il mondo del mito
non era polarizzato in maschile e femminile come avveniva tra
gli Indoeuropei e le altre popolazioni nomadi delle steppe dedite
alla pastorizia. I due princìpi si manifestavano l'uno accanto al-
l'altro. La divinità maschile, con l'aspetto di un giovane o di un
animale maschio, sembra affermare e consolidare le forze della
femmina attiva e creatrice. L'uno non è subordinato all'altra:
completandosi reciprocamente il loro potere si raddoppia». 14
Ancora una volta ci rendiamo conto che la disputa sull'esi-
stenza o meno del matriarcato in tempi remoti, che periodica-
mente continua a riproporsi nelle opere accademiche e divulga-
tive, sembra dipendere più dal nostro paradigma prevalente che
da una qualunque testimonianza archeologica. 35 Vale a dire, nel-
la nostra cultura, costruita sull'idea di gerarchia e di classifica-
zione e sul concetto di gruppi contrapposti, vengono enfatizzate
le differenze rigide, o polarità. Il nostro è proprio quel tipo di
pensiero dicotomico, «se non è questo è quello», che fin dall' an-
tichità, secondo i filosofi, avrebbe potuto portare a un travisa-
mento semplicistico della realtà. E, in effetti, gli psicologi oggi
hanno scoperto che è indice di un livello di sviluppo cognitivo
ed emozionale inferiore, meno evoluto psicologicamente. 36
Nel brano che segue sembra che Mellaart abbia cercato di
superare questo pasticcio di «aut aut», di «se-non-è-patriarcato-
deve-essere-matriarcato»: «Se la Dea presiedeva ai vari aspetti
della vita e della morte della gente di çatal Hi.iyi.ik, in qualche
modo il figlio doveva fare altrettanto. Anche se il ruolo di que-
st'ultimo è strettamente subordinato a quello della madre, sem-
bra che quello degli uomini nella vita fosse pienamente realizza-
to». 37 Ma nella contraddizione tra ruolo «pienamente realizzato»
e «strettamente subordinato» ci troviamo di nuovo impelagati
nei preconcetti culturali e linguistici insiti in un paradigma do-
Messaggi dal passato: il mondo della Dea 83

minatore: i rapporti umani devono rientrare in un qualche tipo di


ordinamento gerarchico superiore-inferiore.
Comunque, anche se consideriamo da un punto di vista stret-
tamente analitico o logico la supremazia della Dea, e con essa
l'importanza dei valori simbolizzati dai poteri di nutrimento e
rigenerazione che s'incarnano nel corpo femminile, non si giu-
stifica la deduzione che a quel tempo le donne dominassero gli
uomini. Ciò diventa più evidente se pensiamo all'unico rapporto
umano che, persino nella società a dominio maschile, non viene
concettualizzato in termini di superiorità-inferiorità. Si tratta del
rapporto tra madre e figlio, e il modo in cui lo percepiamo può
effettivamente essere un residuo della concezione del mondo
pre-patriarcale. La madre adulta, più grande e forte, è chiara-
mente, in termini gerarchici, superiore al figlio più piccolo e de-
bole. Ma non per questo consideriamo il figlio inferiore o di po-
co conto.
Facendo analogie con questa differente struttura concettuale,
possiamo renderci conto che anche se le donne svolgevano un
ruolo forte e importante nella vita e nella religione della preisto-
ria, non per questo gli uomini dovevano necessariamente essere
considerati e trattati come sottoposti. Perché tanto gli uomini
che le donne erano figli della Dea, oltre che figli delle donne a
capo delle famiglie e dei clan. E mentre ciò sicuramente dava un
grande potere alle donne, se pensiamo al rapporto madre-figlio,
questo potere doveva essere più vicino alla responsabilità e al-
l'amore che all'oppressione, al privilegio, alla paura.
Insomma, nelle società neolitiche che adoravano la Dea sem-
bra che di regola esistesse una concezione dell'autorità molto
differente da quella che tuttora prevale, in cui il potere, il potere
di togliere o di dominare, è simboleggiato dalla Spada. Certo,
non sempre ci si atteneva a questa idea «femminile» del potere
come nutrizione ed elargizione, poiché queste erano società di
gente in carne e ossa, non utopie della fantasia. Ma in ogni caso
questa concezione dell'autorità era l'ideale normativo, il model-
lo da emulare per uomini e donne.
84 Riane Eisler

Il concetto di potere simbolizzato dal Calice, per il quale


suggerisco il termine potere di attuazione, contrapposto a potere
di dominio, riflette ovviamente un tipo di organizzazione sociale
estremamente diversa rispetto a quella cui siamo abituati. 38 Dal-
le testimonianze del passato fin qui prese in considerazione,
possiamo concludere che la società di cui abbiamo parlato in
questo capitolo non si può definire matriarcale. Siccome non si
può neanche definire patriarcale, essa non si adatta al consueto
paradigma dominatore dell'organizzazione sociale. Invece, nel-
la prospettiva della teoria della Trasformazione Culturale che
abbiamo sviluppato, è una società che corrisponde a una diversa
possibilità di organizzazione umana: una società mutuale, in cui
nessuna delle due metà dell'umanità domina l'altra, e in cui di-
versità non è sinonimo d'inferiorità o superiorità.
Come vedremo nei capitoli seguenti, queste due alternative
hanno profondamente condizionato la nostra evoluzione cultu-
rale. L'evoluzione tecnologica e sociale tende a diventare più
complessa, indipendentemente dal modello prevalente. Ma la
direzione dell'evoluzione culturale, e quindi anche il fatto che
un sistema sociale diventi bellicoso o pacifico, dipende dal tipo
di struttura sociale, mutuale o dominatore, che si possiede.

Note

I. Marija Gimbutas, The Goddesses and Gods of Old Europe 6500-3500


B. C., University of California Press, Berkeley and Los Angeles 1982, pp.
37-8.
2. Si vedano le illustrazioni in James Mellaart, çatal Hiiyiik, McGraw-
Hill, New York 1967; M. Gimbutas, op. cit.
3. lbid., tavola 17 e illustrazione n. 148.
4. Nicolas Platon, Crete, Nagel Publishers, Ginevra 1966, p. 148.
5. Come esempi, si vedano le illustrazioni in Erich Neumann, The Great
Mother, Princeton University Press, Princeton, NJ. 1955 (trad. it. La Grande
Madre. Fenomenologia delle configurazioni femminili dell'inconscio, Astrola-
bio, Roma 1981); J. Mellaart, op. cit.; M. Gimbutas, op. cit.
6. M. Gimbutas, op. cit., esempi (nell'ordine) dalle tavole 58, 59, 105-7,
140, 144; tavola 53, ili. 50-58 alle pp. 95-103; 114, 181, 173, 108, 136.
7. lbid., p. 66; tavole 132,341, 24, 25; pp. 101-7.
Messagg,i dal passato: il mondo della Dea 85

8. J. Mellaart, op. cit., pp. 77-203.


9. In M. Gimbutas, op. cit., si vedano, per esempio, le tavole 179-181 per
la Dea ape, le tavole 183-185 per la Dea con maschera animale, p. 146 per la
Dea serpente minoica, con becco d'uccello.
10. L'assenza d'immagini di questo tipo è sorprendente anche nell'arte
della Creta minoica. Si veda, per esempio, Jacquetta Hawkes, Dawn of the
Gods: Minoan and Mycenaean Origins of Greece, Random House, New York
1968, pp. 75-6. L'ascia doppia della Dea minoica ricorda la zappa usata per
dissodare il terreno coltivabile; era inoltre, secondo la Gimbutas, un simbolo
della farfalla, un aspetto epifanico della Dea. Come rileva la studiosa, l'imma-
gine della Dea come farfalla continuò a essere incisa sulle asce doppie (M.
Gimbutas, op. cit., pp. 78, 176).
11. Joseph Campbell, Classica/ Mysteries of the Goddess, seminario all'E-
salen Institute, California, 11-13 maggio 1979. Anche la storica della cultura
Elinor Gadon sottolinea questo aspetto del culto preistorico della Dea, ma gli
fa fare un importante passo avanti. La Gadon scrive che la rinascita della Dea
nella nostra epoca è basilare per «il pluralismo radicale di cui si ha un impel-
lente bisogno, per contrastare l'etnocentrismo e l'imperialismo culturale do-
minanti» (dalla presentazione di Elinor Gadon, The Once and Future God-
dess: a Symbol for Our Time, Harper & Row, San Francisco, 1988, e da
colloqui privati con la Gadon, 1986).
12. lbid.
13. Si veda, per esempio, Joseph Campbell, The Mythic lmage, Princeton
University Press, Princeton, NJ. 1974, pp. 157, 77 (trad. it. Le.figure del mito.
Un grande itinerario illustrato nelle immagini mitologiche di ogni tempo e
paese, Red/Studio Redazionale, Como 2002).
14. M. Gimbutas, op. cit., p. 238.
15. James Mellaart, The Neolithic of the Near East, Scribner, New York
1975, p. 279.
16. M. Gimbutas, op. cit., p. 238.
17. J. Mellaart, çatal Hiiyiik, cit. Si vedano per esempio le pp. l 08-9.
18. lbid., p. 113.
19. Si veda, per esempio, E. Neumann, op. cit.
20. J. Mellaart, çatal Hiiyiik, cit., p. 77.
21. M. Gimbutas, op. cit., p. 80.
22. Si veda, per esempio, Jane Harrison, Prolegomena to the Study of
Greek Religion, Merlin. Press, Londra 1903, 1962, pp. 260-3.
23. J. Mellaart, çaral Hiiyiik, cit., p. 225.
24. J. Mellaart, The Neolithic of the Near East, cit., p. 100; Id., çatal
Hiiyiik, cit., cap. 6.
25. J. Mellaart, çatal Hiiyiik, cit., cap. 9.
26. lbid., p. 201.
27. J. Harrison, op. cit., p. 262.
28. J. Mellaart, çatal Hiiyiik, cit., p. 60.
29. lbid., pp. 202, 208.
30. M. Gimbutas, op. cit., p. 232, fig. 248. Si vedano anche le figg. 84-91
in J. Mellaart, çatal Hiiyiik, cit., per esempi di statuette maschili.
86 Riane Eisler

31. M. Gimbutas, op. cit., p. 217, dove la Gimbutas nota che le statuette
della Dea del VII e VI millennio a.e. hanno spesso colli lunghi e cilindrici,
che ricordano un fallo, che c'erano anche raffigurazioni falliche sotto fonna di
semplici cilindri d'argilla, talvolta muniti di seno femminile, e che la combi-
nazione di caratteristiche femminili e maschili in una stessa figura non cessò
del tutto anche dopo il VI millennio a.e.
32. Edwin Oliver James, The Cult of the Mother Goddess, Thames & Hud-
son, Londra 1959, p. 87.
33. J. Mellaart, çatal HUyuk, cit., p. 184.
34. M. Gimbutas, op. cit., p. 237.
35. Si veda, per esempio, «l'ammonimento che un tale bisogno di ordine
sociale non implichi la supremazia di un sesso, che il tennine 'matriarcato',
semanticamente analogo a 'patriarcato', sembrerebbe suggerire», in Kate Mil-
lett, Sexual Politics, Doubleday, New York 1970, p. 28, n. 9 (trad. it. La politi-
ca del sesso, Bompiani, Milano 1979); o il commento di Adrienne Rich, che «i
tennini 'matriarcato', 'diritto materno' o 'ginocrazia' tendono a essere usati in
maniera imprecisa, spesso indifferentemente», in Of Woman Born, Bantam,
New York 1976, pp. 42-3 (trad. it. Nato di donna, Garzanti, Milano 2000). La
Rich nota anche che «Robert Briffault si sforza di dimostrare che il matriarca-
to nelle società primitive non era semplicemente un matriarcato con un sesso
diverso al potere» (p. 43). Per una discussione su come il tennine «gilania»
eviti questa confusione semantica, si veda il capitolo 8.
36. Abraham Maslow, Toward a Psychology of Being, Van Nostrand-
Reinhold, New York 1968, 2a ed. (trad. it. Verso una psicologia dell'essere,
Astrolabio, Roma 1971).
37. J. Mellaart, çatal HuyUk, cit., p. 184.
38. Questa distinzione verrà discussa a fondo in Riane Eisler e David
Loye, Breaking Free (di prossima pubblicazione). Si tratta di una distinzione
fondamentale per la nuova etica femminista, che onnai molte intellettuali stan-
no sviluppando. Si veda, per esempio, Jean Baker Miller, Toward a New Psy-
chology of Women, Penguin Books, Londra 1991; Caro! Gilligan, In a Dijfe-
rent Voice, Harvard University Press, Cambridge, MA., 1982 (trad. it. Con
voce di donna. Etica e formazione della personalità, Feltrinelli, Milano 1991);
Wilma Scott Heide, Feminismfor the Health of Jt, Margaretdaughters Press,
Buffalo 1985. Particolannente interessante in questo contesto è Anne Barstow,
«The Uses of Archaeology for Women's History: James Mellaart's Work on
the Neolithic Goddess at çatal Hiiyiik», in Feminist Studies, ottobre 1978, n.
4, pp. 7-18, che arrivò indipendentemente a una analoga conclusione sul modo
in cui probabilmente veniva concepito il potere nelle società che adoravano la
Dea (vedi p. 9).
3
La differenza essenziale: Creta

La preistoria è come un gigantesco puzzle, di cui sia andata


smarrita o distrutta la metà dei pezzi. È impossibile ricostruirlo
completamente. Ma il più grande ostacolo per un'accurata rico-
struzione della preistoria non è la mancanza di un così gran nu-
mero di pezzi, ma il fatto che il paradigma prevalente rende
molto difficile interpretare nel modo giusto quelli in nostro pos-
sesso, e realizzare il vero modello a cui possono adattarsi.
Per esempio, quando Sir Flinders Petrie riferì per la prima
volta degli scavi della tomba di Meryet-Nit in Egitto, suppose
automaticamente che Meryet-Nit fosse un re. Ricerche successi-
ve invece stabilirono che era una donna e, a giudicare dalla ric-
chezza della tomba, una regina. Lo stesso errore fu commesso
con la gigantesca tomba scoperta a Nagadeh dal professore De
Morgan. Anche qui si suppose che fosse il luogo di sepoltura di
un re, Hor-Aha della Prima Dinastia. Ma, scrive l'egittologo
Walter Emery, le successive ricerche rivelarono che si trattava
del sepolcro di Nit-Hotep, la madre di Hor-Aha.'
Come nota la storica dell'arte Merlin Stone, questi esempi di
come il pregiudizio culturale sia stato fuorviante non sono che
un'eccezione, poiché in un secondo tempo furono corretti. La
Stone viaggiò in tutto il mondo, vagliando uno a uno scavi, ar-
chivi e ritrovamenti, riesaminando le fonti principali e contro]-
88 Riane Eisler

lando come erano state interpretate. E scoprì che, per lo più,


quando esisteva una testimonianza dell'epoca remota in cui uo-
mini e donne vivevano come pari, questa veniva bellamente
ignorata. 2
Nelle pagine seguenti, esaminando la straordinaria civiltà an-
tica scoperta all'inizio del secolo a Creta, vedremo come questo
pregiudizio abbia portato a una visione incompleta e fortemente
distorta non solo della nostra evoluzione culturale, ma anche
dello sviluppo di una civiltà più elevata.

La bomba archeologica

La scoperta dell'antica cultura, tecnologicamente progredita


e socialmente complessa, della Creta minoica, definita così da-
gli archeologi dal nome del leggendario re Minosse, fu un even-
to esplosivo. Ricorda l'archeologo Nicolas Platon, che nel 1980
aveva condotto scavi nell'isola per oltre cinquant'anni: «Gli ar-
cheologi erano sconcertati. Non riuscivano a capacitarsi di co-
me, fino a quel momento, si fosse potuto ignorare l'esistenza di
una civiltà tanto sviluppata».)
«Fin da principio», scrive Platon, che era stato per molti anni
sovrintendente alle antichità di Creta, «vennero fatte scoperte
sorprendenti». Nel corso dei lavori «vennero portati alla luce
grandi palazzi a più piani, ville, poderi colonici, aree urbane po-
polose e ben organizzate, installazioni portuali, reti di strade che
attraversavano l'isola da un capo ali' altro, luoghi di culto orga-
nizzati e cimiteri pianificati». 4 Nel corso degli scavi furono sco-
perti quattro tipi di scrittura (geroglifico, proto-lineare, lineare
A e lineare B), che collocavano Creta nel periodo storico o lette-
rario. Si apprese molto sulla struttura sociale e i valori sia della
iniziale fase minoica che di quella successiva, la micenea. E, ciò
che è più sorprendente, col progredire degli scavi e il ritrova-
mento di affreschi, sculture, incisioni e opere d'arte in numero
La differenza essenziale: Creta 89

sempre maggiore, apparve evidente che ci si trovava di fronte ai


resti di una tradizione artistica unica negli annali della civiltà.
La storia della civiltà cretese comincia intorno al 6000 a.C.,
quando per la prima volta arrivò sulle spiagge dell'isola una pic-
cola colonia di immigranti, probabilmente provenienti dall' Ana-
tolia. Portavano con sé la Dea e una tecnologia agricola che li
colloca nel Neolitico. Nei successivi quattromila anni ci fu un
progresso tecnologico, lento e costante, nella produzione di va-
sellame, nella tessitura, nella metallurgia, nell'incisione, nell'ar-
chitettura e in altre arti, oltre che un'espansione del commercio
e una graduale evoluzione del vivace e gioioso stile artistico ti-
pico di Creta. Poi, all'incirca nel 2000 a.C., Creta entrò in quel-
lo che gli archeologi chiamano Minoico Medio, o periodo dei
primi palazzi. 5
Ci troviamo già nell'Età del Bronzo avanzata, un periodo in
cui nel resto del mondo allora civilizzato la Dea veniva sistema-
ticamente rimpiazzata da bellicose divinità maschili. Era ancora
venerata, come Hathor e Iside in Egitto, Astarte o lshtar a Babi-
lonia, o come Dea del sole di Arinna, in Anatolia. Ma ormai era
soltanto una divinità secondaria, considerata madre o consorte
di divinità maschili più potenti. Perché stava sempre più diven-
tando un mondo in cui il potere delle donne era in declino, in cui
il dominio maschile e le guerre di conquista e di controffensiva
stavano ovunque diventando la regola.
Nell'isola di Creta, dove la Dea regnava ancora incontrasta-
ta, non ci sono tracce di guerra. Qui l'economia prosperava e le
arti fiorivano. E anche quando nel XV secolo a.C. l'isola finì
sotto il dominio acheo - a questo punto gli archeologi non par-
lano più di cultura minoica ma di cultura minoico-micenea - la
Dea e lo stile di pensiero e di vita che rappresentava sembra fos-
sero ancora saldamente radicati.
Sembra che i nuovi dominatori indoeuropei dell'isola, sotto-
posti alla influenza minoica preesistente (riscontrabile anche
nell'entroterra greco, che pure stava entrando nel periodo mice-
neo), abbiano adottato gran parte della cultura e della religione
90 Riane Eisler

della Dea. Per esempio, nelle immagini sul celebre sarcofago


del XV secolo a.e. di Hagia Triada, già più austere e stilizzate,
ma sempre inconfondibilmente cretesi, è ancora la Dea a guida-
re il proprio carro trainato da un grifone, per condurre il morto
alla sua nuova vita. Ed è ancora la sacerdotessa della Dea, e non
i sacerdoti con lunghe vesti femminili, a svolgere il ruolo princi-
pale nei rituali raffigurati negli affreschi di calcare intonacati
sulla superficie del sarcofago. I sacerdoti guidano la processione
e protendono le mani per toccare l'altare.
Come fa notare la storica della cultura Jacquetta Hawkes, nel
linguaggio piacevolmente antiquato tipico degli studiosi, «Se ciò
è riscontrabile ancora nel XIV secolo, in epoca anteriore la sua
predominanza dovette essere pressoché certa». 6 Così, nel grande
palazzo di Cnosso, è una donna - la Dea, una sua grande sacer-
dotessa, o forse, come ritiene la Hawkes, la regina di Creta - che
sta al centro, mentre due processioni di uomini si avvicinano per
renderle omaggio. 7 E dappertutto si trovano figure femminili,
molte delle quali con le braccia alzate in un gesto di benedizione,
alcune con serpenti e asce doppie, simboli della Dea.

L'amore per la vita e la natura

Questi gesti di riverente benedizione sembrano catturare


l'essenza della cultura minoica. Perché, come sostiene Platon, si
trattava di una società in cui «l'intera vita era permeata da una
fede ardente nella dea Natura, fonte di ogni creazione e armo-
nia». A Creta, per l'ultima volta nella storia, sembra domini uno
spirito di armonia tra uomini e donne, che partecipano alla vita
gioiosamente e da pari. È questo spirito che traspare nella tradi-
zione artistica cretese, una tradizione che, sempre secondo le
parole di Platon, è unica nella sua «delizia per la bellezza, la
grazia e il movimento» e nel suo «godimento della vita e del
rapporto con la natura». 8
Alcuni studiosi hanno descritto la vita minoica come «una
La differenza essenziale: Creta 91

perfetta espressione dell'idea di homo ludens», di un «uomo»


che esprime i nostri più alti impulsi umani tramite un rituale e
un divertimento artistico al contempo gioiosi e mitologicamente
significativi. Altri hanno cercato di sintetizzare la cultura crete-
se con parole e frasi del tipo «sensibilità», «grazia della vita» e
«amore per la bellezza e la natura». E, anche se c'è qualcuno
(Cyrus Gordon) che cerca di sminuire o in qualche modo ridefi-
nire il fenomeno cretese per adattarlo ai preconcetti comune-
mente accettati che, rispetto a noi, l'antichità doveva essere più
bellicosa e (Ebrei esclusi) meno evoluta spiritualmente, la gran
maggioranza degli studiosi, e sicuramente quelli che nell'isola
hanno compiuto vaste ricerche sul campo, sembra incapace di
contenere l'ammirazione, o addirittura la meraviglia, nel descri-
vere i propri ritrovamenti. 9
Ci troviamo infatti di fronte a una civiltà tecnologicamente
ricca e culturalmente avanzata, in cui, come scrivono gli archeo-
logi Hans-Gtinther Buchholtz e Vassos Karageorghis, «tutti i
mezzi artistici - e in effetti vita e morte nella loro totalità - era-
no profondamente radicati in una religione onnipervadente, on-
nipresente». Ma, in forte contrasto con le altre grandi civiltà di
quel tempo, questa religione, basata sul culto della Dea, riflette-
va e allo stesso tempo rafforzava un ordinamento sociale in cui,
citiamo Nicolas Platon, «la paura della morte era quasi cancella-
ta dall'onnipresente gioia di vivere». 10
Studiosi posati come Sir Leonard Woolley hanno descritto
l'arte minoica come «la più ispirata del mondo antico». 11 Ar-
cheologi e storici dell'arte di tutto il mondo hanno adoperato
frasi come «la magia di un mondo incantato» e «il più completo
riconoscimento della grazia della vita che il mondo abbia mai
conosciuto». 12 E tanto l'arte (i magnifici affreschi di pernici
multicolori, di bizzarri grifoni ed eleganti signore, le miniature
d'oro di squisita fattura, l'elegante gioielleria e le statuette mo-
dellate graziosamente) quanto la società cretese hanno colpito
gli studiosi per la loro unicità.
Per esempio, una caratteristica degna di nota della società
92 Riane Eisler

cretese, che la distingue nettamente dalle altre grandi civiltà an-


tiche, è che a Creta sembra ci sia stata una ripartizione della ric-
chezza piuttosto equa. «Il tenore di vita medio, persino dei con-
tadini, sembra fosse alto», riferisce Platon. «Nessuna delle case
finora scoperte suggerisce l'idea di condizioni di vita estrema-
mente misere». 13
Ciò non significa che Creta fosse altrettanto, o addirittura
più, ricca dell'Egitto o di Babilonia. Ma, se pensiamo al divario
economico e sociale tra miseri e potenti che caratterizzava altre
«grandi» civiltà, è importante notare che il modo in cui Creta
utilizzava e distribuiva la propria ricchezza era fin da principio
indiscutibilmente diverso.
Sin dal tempo dei primi insediamenti, l'economia dell'isola
era prevalentemente agricola. Con il passare del tempo l'alleva-
mento di bestiame, l'industria e soprattutto il commercio, grazie
a una flotta mercantile che navigava e, sicuramente, estendeva la
sua influenza in tutto il Mediterraneo, assunsero una importanza
crescente, contribuendo fortemente alla prosperità economica
del paese. E, sebbene in principio alla base dell'organizzazione
sociale ci fosse il genos, o clan, matrilineare, più o meno intorno
al 2000 a.C. la società cretese si fece più centralizzata. Nei perio-
di che Sir Arthur Evans chiama Minoico Medio e Tardo, e Platon
dei primi e secondi palazzi, in diversi palazzi cretesi è provata
l'esistenza di un'amministrazione governativa centralizzata.
Ma qui la centralizzazione non si accompagnò a un governo
autocratico. Né essa comportò l'utilizzo di una tecnologia avan-
zata solo a beneficio di pochi potenti, o lo sfruttamento e la bru-
talizzazione delle masse, così impressionante in altre civiltà di
quel tempo. Infatti, nonostante a Creta esistesse una classe diri-
gente opulenta, non vi sono indicazioni (se non nei successivi
miti greci di Teseo, del re Minosse e del Minotauro) che fosse
sostenuta da una massiccia forza armata.
«Lo sviluppo della scrittura portò all'istituzione della prima
burocrazia, come dimostra un piccolo numero di tavolette in Li-
neare A», scrive Platon, che commenta poi come le entrate go-
La differenza essenziale: Creta 93

vemative provenienti dalla crescente ricchezza dell'isola fosse-


ro saggiamente utilizzate per migliorare le condizioni di vita,
che, anche secondo uno standard occidentale, erano straordina-
riamente «moderne». «Tutti i centri urbani avevano un perfetto
sistema di fognature, impianti sanitari e latrine domestiche.» E
aggiunge che «non c'è dubbio che nella Creta minoica si siano
intrapresi lavori pubblici su larga scala, pagati dalle casse reali.
Anche se fino a oggi sono stati scoperti solo pochissimi resti,
essi sono rivelatori: viadotti, strade pavimentate, posti di guar-
dia, ricoveri lungo le strade, condutture idriche, fontane, serba-
toi, ecc. Ci sono tracce di lavori d'irrigazione su larga scala, con
canali per trasportare e convogliare l'acqua». 14
Nonostante i frequenti terremoti, che distrussero completa-
mente i palazzi antichi e per due volte interruppero lo sviluppo
di nuovi insediamenti di palazzi, l'architettura di palazzo crete-
se è unica nella storia della civiltà. Questi palazzi sono un su-
perbo insieme di dettagli che esalta la vita e appaga lo sguardo,
e non i monumenti all'autorità e al potere tipici di Sumer, del-
l'Egitto, di Roma e di altre antiche società guerriere a dominio
maschile.
Nei palazzi cretesi c'erano ampi cortili, facciate maestose e
centinaia di stanze disposte in quei «labirinti» organizzati che
nella successiva leggenda greca divennero il simbolo di Creta.
In questi edifici labirintici c'erano diversi appartamenti colloca-
ti su numerosi piani, ad altezze differenti, disposti asimmetrica-
mente intorno a un cortile centrale. C'erano stanze speciali per
il culto religioso. I cortigiani avevano i loro alloggi nel palazzo,
oppure possedevano delle belle case nelle vicinanze. C'erano
anche alloggi per la servitù del palazzo. Lunghe file di ripostigli
con corridoi comunicanti venivano utilizzati per custodire ordi-
natamente le riserve di cibo e i tesori. Ampie sale con serie di
eleganti colonne servivano per le udienze, i ricevimenti, i ban-
chetti, e le riunioni del consiglio. 15
I giardini erano una caratteristica essenziale di tutta l'archi-
tettura minoica. Altrettanto importante era la progettazione de-
94 Riane Eisler

gli edifici con particolare riguardo per l'intimità, la buona illu-


minazione naturale, i servizi. Ma forse ciò che più contava era
l'attenzione per il dettaglio e l'estetica. « Venivano impiegati
materiali sia locali che importati», scrive Platon, «tutti lavorati
con cura meticolosa: pilastri e mattonelle di gesso e tufo, faccia-
te composite perfettamente connesse, muri, pozzi di luce e cor-
tili. I tramezzi erano decorati a stucco, frequentemente con di-
pinti murali e rivestimenti in marmo [... ] Non solo i muri, ma
spesso anche i soffitti e i pavimenti erano decorati con dipinti,
persino nelle ville, nelle case di campagna e nelle semplici abi-
tazioni di villaggio [... ] I soggetti erano tratti soprattutto dalla
vegetazione marina e terrestre, dalle cerimonie religiose e dalla
vita serena della corte e del popolo. Il culto della natura perva-
deva ogni cosa.» 16

Una civiltà unica

Anche il grande palazzo di Cnosso, famoso per la sua impo-


nente scalinata in pietra, le verande colonnate e la splendida sa-
la di ricevimento, è tipico della cultura minoica. L'importanza
estetica e non monumentale della sala del trono e degli apparta-
menti reali esprimono forse quello che la storica culturale Jac-
quetta Hawkes definisce lo «spirito femminile» dell'architettura
cretese. 11
Cnosso, che probabilmente contava all'incirca centomila
abitanti, era collegata ai porti della costa meridionale con una
bella strada lastricata, la prima del suo genere in Europa. Le sue
strade, come quelle di altre sedi di palazzi come Mallia e Phai-
stos, erano lastricate, con canali di scolo, e su di esse si affaccia-
vano case eleganti a due o tre piani, con il tetto piatto e tettoie
da usare nelle calde notti estive. 18
La Hawkes dice che i quartieri centrali che circondavano i
palazzi erano «ben progettati per la vita civile», e Platon sostie-
ne che la «vita privata» dell'epoca «aveva raggiunto un alto li-
La differenza essenziale: Creta 95

vello di raffinatezza e agio». Riassume Platon: «Le case erano


adeguate a tutti gli aspetti pratici della vita, e venivano circon-
date da un ambiente attraente. I Minoici erano molto vicini alla
natura e la loro architettura era studiata in modo da permettere
loro di goderne il più liberamente possibile». 19
Anche l'abbigliamento cretese era studiato per coniugare
l'effetto estetico alla praticità, lasciando libertà di movimento.
L'esercizio fisico e gli sport coinvolgevano uomini e donne ed
erano fonte di divertimento. Per quanto riguarda il cibo, si colti-
vava una gran varietà di specie, che, insieme all'allevamento, al-
la pesca, all'apicoltura e alla torchiatura dell'uva, permettevano
una dieta salutare e variata. 20
A Creta spettacolo e religione spesso s'intrecciavano, e ciò
rendeva le attività del tempo libero allo stesso tempo piacevoli e
ricche di significato. «Musica, canto e danza andavano ad ag-
giungersi ai piaceri della vita», scrive Platon. «C'erano frequen-
ti cerimonie pubbliche, soprattutto religiose, accompagnate da
processioni, banchetti e dimostrazioni acrobatiche eseguite in
teatri appositamente costruiti o in arene in legno»; tra queste la
celebre taurokatharpsia, o tauromachia. 21
Un altro studioso, Reynold Higgins, riassume così questo
aspetto della vita cretese: «La religione per i Cretesi era una fac-
cenda lieta, e veniva celebrata in palazzi-tempio oppure in san-
tuari all'aperto sulla cima delle montagne e in caverne sacre[ ... ]
La religione era strettamente collegata allo svago. L'importanza
maggiore l'avevano le corride, che probabilmente si svolgevano
nelle corti centrali dei palazzi. Giovani uomini e donne che la-
voravano in squadra cercavano a turno di afferrare le corna di un
toro alla carica e di fare una capriola sulla sua schiena». 22
Forse queste corride sacre sono l'esempio più vivido dell' as-
sociazione paritaria di uomini e donne che pare caratterizzasse
la società minoica. In esse giovani d'ambo i sessi si esibivano
insieme e collaboravano reciprocamente per la propria sopravvi-
venza. Questi rituali, che combinavano eccitazione, abilità e fer-
vore religioso, sono tipici dello spirito minoico anche per un al-
96 Riane Eisler

tro motivo: erano intesi non solo al piacere o alla salvazione in-
dividuale, ma anche a invocare la potenza divina, per portare be-
nessere all'intera società. 23
È importante sottolineare ancora una volta che Creta non era
una società ideale o un'utopia, ma una società umana reale, con
tutti i suoi problemi e le sue imperfezioni. Era una società svi-
luppatasi migliaia d'anni fa, quando ancora non esisteva niente
di simile alla scienza che conosciamo, e i fenomeni naturali ve-
nivano spiegati, e affrontati, con credenze animistiche e riti pro-
piziatori.24 Inoltre, era una società attorniata da un mondo sem-
pre più bellicoso e a dominio maschile.
Sappiamo, per esempio, che i Cretesi avevano armi, alcune,
come le loro daghe splendidamente decorate, di altissima qua-
lità tecnica. Probabilmente, con l'aumento della guerra e della
pirateria nel Mediterraneo, anche i Cretesi combattevano batta-
glie in mare, sia per difendere il loro vasto commercio maritti-
mo che per proteggere le loro coste. Ma a differenza delle altre
grandi civiltà del periodo, l'arte cretese non idealizza la guerra.
Come abbiamo già detto, persino la famosa ascia doppia della
Dea simboleggiava la munifica fecondità della terra. La sua for-
ma ricordava quella della zappa usata per dissodare il terreno
per la semina, ed era una stilizzazione della farfalla, un simbolo
di trasformazione e rinascita della Dea.
E nulla indica che le risorse materiali di Creta fossero mas-
sicciamente investite, come avviene, ogni giorno di più, nel no-
stro mondo moderno, in tecnologie di distruzione. Al contrario,
risulta evidente che le ricchezze di Creta servivano soprattutto a
mantenere un modo di vita armonioso e raffinato.
Scrive Platon: «Tutta la vita era permeata da una fede arden-
te nella dea Natura, sorgente di tutto il creato e dell'armonia.
Ciò spingeva all'amore per la pace, all'orrore per la tirannia, al
rispetto della legge. L'ambizione personale sembra fosse scono-
sciuta persino tra le classi dirigenti; da nessuna parte si trova il
nome dell'autore insieme a un'opera d'arte, né l'elenco delle
gesta di un sovrano». 25
La dzf/erem:.a essenziale: Creta 97

Ai nostri giorni, quando «amore per la pace, orrore per la ti-


rannia e rispetto della legge» potrebbero essere indispensabili
per la nostra sopravvivenza, le differenze tra lo spirito di Creta e
quello dei suoi vicini suscitano un interesse ben più che accade-
mico. Nelle città cretesi senza fortificazioni militari, nelle ville
«sguarnite» sulla riva del mare, nella mancanza di un qualsiasi
indizio che le varie città-Stato dell'isola combattessero tra di lo-
ro o intraprendessero guerre di conquista (in netto contrasto con
le città fortificate e lo stato di guerra cronico che altrove erano
già la regola), troviamo una forte conferma dal passato che le
nostre speranze di una coesistenza pacifica dell'uomo non sono,
come spesso ci viene raccontato, «sogni utopistici». E nelle im-
magini mitologiche di Creta (la Dea come madre dell'universo,
ed esseri umani, animali, piante, acqua e cielo come sua manife-
stazione in terra) c'è il riconoscimento della nostra unità con la
natura, un altro tema che oggi ritorna come prerequisito per la
sopravvivenza ecologica.
Ma, per quanto riguarda il rapporto tra società e ideologia, il
fatto forse più significativo è che l'arte cretese, soprattutto nel
periodo minoico più antico, è lo specchio di una società in cui
potere non significa dominio, distruzione e oppressione. Per dir-
la con le parole di Jacquetta Hawkes, una delle poche donne che
si è occupata di Creta, «l'idea di un monarca guerriero che trion-
fa umiliando e uccidendo il nemico» è completamente assente.
«A Creta, dove sovrani venerati disponevano di ricchezza e pote-
re e vivevano in splendidi palazzi, non c'è traccia di queste mani-
festazioni di orgoglio maschile e di crudeltà incosciente». 26
Una caratteristica singolare della cultura cretese è che non
ci sono statue o rilievi che ritraggano chi sedeva sul trono di
Cnosso o di qualsiasi altro palazzo. A parte gli affreschi della
Dea, o forse di una regina-sacerdotessa, al centro di una pro-
cessione recante doni, sembra non ci siano ritratti reali di nes-
sun tipo, fino in epoca più tarda. Unica eccezione possibile, il
rilievo dipinto talvolta identificato come «giovane principe»,
che mostra un giovane dai lunghi capelli, disarmato, nudo fino
98 Riane Eisler

alla cintola, incoronato con piume di pavone, che cammina tra


fiori e farfalle.
Altrettanto singolare, e significativa, è la mancanza nell'arte
della Creta minoica di scene grandiose di battaglia o di caccia.
«L'assenza di queste manifestazioni di un onnipotente sovrano
maschile, così diffuse a quel tempo e a quello stadio dello svi-
luppo culturale, quasi fossero universali», commenta la Hawkes,
«è uno dei motivi che fanno supporre che sui troni minoici se-
dessero delle regine». 21
Questa è anche la conclusione dell'antropologa culturale
Ruby Rohrlick-Leavitt. Scrivendo su Creta da una prospettiva
femminista, essa fa notare che sono stati gli archeologi moderni
a chiamare il giovane sopra descritto «giovane principe» o «re-
sacerdote», quando, in realtà, non è ancora stata rinvenuta alcu-
na rappresentazione di un re o di una divinità maschile domi-
nante. La studiosa osserva anche che l'assenza d'idealizzazioni
del potere distruttivo e della violenza maschile nell'arte cretese
va di pari passo con il fatto che in questa società «la pace, sia in-
terna che oltre confine, durò per millecinquecento anni, in un' e-
poca di guerre incessanti». 28
Platon, che a sua volta definisce i Minoici come «un popolo
che amava eccezionalmente la pace», scrive invece che erano
dei re a occupare i troni minoici. Tuttavia anch'egli è colpito dal
modo in cui «ogni re governava il suo regno in stretta armonia e
'coesistenza pacifica' con gli altri». Platon rileva gli stretti le-
gami tra governo e religione, una caratteristica tipica della vita
politica dell'antichità. Ma fa notare che qui, ancora una volta a
differenza di altre città-Stato del periodo «l'autorità era proba-
bilmente limitata da consigli di alti ufficiali, in cui potevano es-
sere rappresentati membri di altre classi sociali». 29
Questi dati sulla civiltà pre-patriarcale dell'antica Creta, an-
cora largamente ignorati, ci forniscono alcuni indizi interessan-
ti, che più avanti approfondiremo, sulle origini di molti valori
della civiltà occidentale. È particolarmente interessante come il
nostro concetto moderno di governo che deve rappresentare gli
La dz//erenza essenziale: Creta 99

interessi della gente, si prefigurasse nella Creta minoica ben pri-


ma della cosiddetta nascita della democrazia in epoca greca
classica. Inoltre, anche il criterio di potere come responsabilità e
non come dominio, che sta emergendo al giorno d'oggi, sembra
riaffiorare da idee precedenti.
Infatti, le prove indicano che a Creta il potere implicava so-
prattutto una responsabilità materna e non una imposizione di
ubbidienza, mediante la forza, o con la sua minaccia, a una élite
a dominio maschile. Si tratta della definizione di potere tipica di
un modello mutuale della società, in cui le donne e le loro pecu-
liarità non vengono sistematicamente sminuite. Ed è questa la
definizione di potere che continuò a prevalere a Creta anche
quando il suo sviluppo sociale e tecnologico si fece più com-
plesso, influenzando profondamente l'evoluzione culturale del-
l'isola.
È particolarmente interessante il fatto che, anche molto tem-
po dopo l'ingresso di Creta nell'Età del Bronzo, la Dea, dispen-
satrice di ogni forma di vita nella natura, viene ancora venerata
come suprema incarnazione dei misteri del mondo e, allo stesso
tempo, le donne continuano a mantenere la loro posizione di
preminenza nella società dell'isola. La Rohrlich-Leavitt scrive
che le donne «erano i soggetti principali, quelli più frequente-
mente ritratti nell'arte e nell'artigianato. E appaiono soprattutto
nella sfera pubblica».) 0
È dunque priva di fondamento l'asserzione che la città-Stato,
o ciò che alcuni studiosi moderni definiscono «statalismo», im-
plichi strutturalmente bellicosità, gerarchia e sottomissione del-
la donna. È significativo che nelle città-Stato di Creta, leggenda-
rie per la loro ricchezza, per l'eccellenza di arte e artigianato e
per la floridezza del commercio, le nuove tecnologie, e con esse
una più vasta e complessa scala dell'organizzazione sociale, che
comporta una crescente specializzazione, non causano alcun de-
terioramento della condizione della donna.
Al contrario, nella Creta minoica la ridistribuzione dei ruoli
che accompagna un cambiamento tecnologico sembra abbia
100 Riane Eisler

rafforzato, e non indebolito, la posizione della donna. Poiché


qui non esisteva un fondamentale mutamento sociale e ideologi-
co, i nuovi ruoli richiesti dai progressi tecnologici non hanno
portato a quel tipo di discontinuità storica che riscontriamo al-
trove. Nelle società della Mesopotamia meridionale sin dal
3500 a.C. circa si riscontra una rigida stratificazione sociale e
una costante bellicosità, e allo stesso tempo un deterioramento
della condizione della donna. Nella Creta minoica, anche se esi-
stevano urbanizzazione e stratificazione sociale, la bellicosità
era assente, e la condizione della donna non peggiorÒ. 31

L'invisibilità dell'ovvio

Secondo il modello prevalente, in base al quale la divisione


in classi è il più importante principio d'organizzazione, se le
donne hanno una condizione sociale elevata se ne deduce che
quella degli uomini debba essere inferiore. Abbiamo già visto
come le prove di una discendenza matrilineare, di una divinità
femminile suprema e di sacerdotesse e regine con potere tempo-
rale, siano considerate indicative di una società «matriarcale».
Ma questa conclusione non è assolutamente confortata dalle te-
stimonianze archeologiche. E il fatto che le donne a Creta aves-
sero una condizione elevata non implica che quella degli uomini
fosse paragonabile alla condizione femminile nei sistemi sociali
a dominio maschile.
Nella Creta minoica il rapporto tra i sessi nel suo complesso,
non solo le definizioni e le valutazioni dei ruoli di genere, ma
anche gli atteggiamenti verso la sensualità e il sesso, era ovvia-
mente molto diverso dal nostro. Per esempio, la foggia dei vesti-
ti col seno scoperto delle donne e gli abiti da uomo succinti, che
evidenziavano i genitali, rivelano uno schietto apprezzamento
delle differenze sessuali e del piacere che queste rendono possi-
bile. Da ciò che ora sappiamo grazie alla moderna psicologia
La differenza essenziale: Creta 101

umanistica, questo «vincolo del piacere» deve avere consolidato


un senso di reciprocità tra donne e uomini in quanto individui. 32
Gli atteggiamenti più spontanei dei cretesi nei confronti del
sesso devono avere avuto anche altre conseguenze, ugualmente
difficili da percepire con il modello prevalente, in cui il dogma
religioso considera il sesso più peccaminoso della violenza. Co-
me scrive la Hawkes, «Sembra che i cretesi abbiano ridotto e su-
blimato la loro aggressività grazie a una vita sessuale libera ed
equilibrata». 33 Insieme al loro entusiasmo per gli sport e per la
danza, alla loro creatività e amore per la vita, questi atteggia-
menti liberati verso il sesso sembra abbiano contribuito allo spi-
rito generalmente armonioso e pacifico che dominava la vita a
Creta.
Come abbiamo visto, è questo tipo di spirito che distingue
Creta dalle altre grandi civiltà del suo tempo. Come dice Arnold
Hauser, «la cultura minoica è straordinaria per le differenze so-
stanziali del suo spirito rispetto a quello dei suoi contempora-
nei». 34
Ma ecco l'eterno blocco, il punto in cui gli studiosi si scon-
trano con l'informazione che viene automaticamente esclusa
dalla visione del mondo prevalente. Perché, quando si tratta di
collegare questa differenza sostanziale della Creta minoica al
fatto che essa fu l'ultima società, e quella più tecnologicamente
avanzata, in cui il dominio maschile non era la norma, la stra-
grande maggioranza degli studiosi si blocca di colpo, o prende
rapidamente un'altra direzione. Al massimo aggirano la diffi-
coltà con una tattica elusiva. Possono notare che, diversamente
da altre civiltà antiche e contemporanee, a Creta veniva data una
priorità sociale a virtù «femminili» come la quiete e la sensibi-
lità ai bisogni del prossimo. E possono anche rilevare che a Cre-
ta le donne occupavano alte posizioni sociali, economiche, poli-
tiche e religiose, ciò che non avviene in altre società. Però Io
fanno solo di sfuggita, senza enfasi, facendo così intendere al
lettore, sensibile alla loro autorità, che si tratta di una faccenda
secondaria o marginale.
102 Riane Eisler

Esaminando la maggior parte della letteratura su Creta, viene


da pensare continuamente alla curiosa nota che Charles Darwin
appose all'Origine dell'uomo.
In un passo di questo classico della scienza sulle differenze
razziali, Darwin ricordava che, quand'era in Egitto, aveva pen-
sato che i tratti di una statua del faraone Amenophis III fossero
spiccatamente negroidi. Ma, dopo questa affermazione, seppure
in una nota a piè di pagina, correggeva immediatamente ciò che
aveva verificato coi suoi stessi occhi, e che in seguito è stato
ampiamente accettato: in Egitto vi furono faraoni neri. Sebbene
egli stesso racconti che le sue osservazioni furono ulteriormente
confermate da due persone che al momento si trovavano con lui,
Darwin si sentì in dovere di citare due famose autorità in mate-
ria, J.C. Notte George R. Gliddon, che nel loro libro Types of
Mankind hanno descritto i tratti dei faraoni come «squisitamen-
te europei» e hanno sostenuto che la statua in questione non era
assolutamente un «ibrido negro». 35
All'inizio del capitolo abbiamo notato incidenti simili, relati-
vi all'esistenza di donne faraone come Meryet-Nit e Nit-Hotep.
Ma mentre nell'egittologia questa sorta di autorevole cecità si
manifesta sporadicamente, nella letteratura dotta su Creta essa è
onnipresente, e ogni volta svia, rende invisibile, o al più insigni-
ficante, il messaggio straordinariamente chiaro dell'arte cretese.
Molto tempo dopo Darwin, nonostante la scoperta di molte sta-
tue e di prove visive molto più chiare dell'esistenza storica di re-
gnanti neri, gli esperti (quasi tutti maschi bianchi, naturalmente)
continuavano a sostenere che non poteva esistere assolutamente
un «ibrido negro». 36 Allo stesso modo, la straordinaria evidenza
della differenza essenziale che distingue Creta dalle altre so-
cietà, viene negata o fraintesa dalla maggioranza degli studiosi.
Il ruolo centrale che svolgevano le donne nella società crete-
se è talmente sorprendente che fin dalle prime fasi della scoper-
ta della cultura minoica gli studiosi non hanno potuto ignorarlo
del tutto. Come Darwin, comunque, si sono sentiti in dovere di
adattare all'ideologia prevalente quanto osservavano con i pro-
La differenza essenziale: Creta 103

pri occhi. Per esempio, quando ai primi del Novecento Sir


Arthur Evans iniziò gli scavi sull'isola, si rese conto che i crete-
si adoravano una divinità femminile. Vide anche che l'arte cre-
tese ritraeva quelle che egli definì «scene di confidenze femmi-
nili». Ma, commentando queste scene, Evans si sentì in dovere
di considerarle nient'altro che, sono parole sue, «ciarle» femmi-
nili su «scandali della società». )7
La posizione di Hans-Gtinther Buchholtz e Vassos Karageor-
ghis da un lato tende a essere la caricatura dell'atteggiamento
stereotipato dei tedeschi verso le donne. Dall'altro, persino loro
notano che «nel Pantheon si rifletteva la preminenza femminile
in ogni aspetto della vita» e che, anche in seguito, «la grande sti-
ma per il femminile è riscontrabile anche nella religione della
più virile civiltà micenea». 38 Solo una donna, Jacquetta Hawkes,
definisce esplicitamente «femminile» la civiltà minoica, ma an-
che lei taglia corto ed evita di indagare sulle piene implicazioni
di questa importante intuizione.
Platon nota specificamente che «il ruolo importante svolto
dalla donna è riscontrabile ovunque». Scrive inoltre che «senza
dubbio le donne, o perlomeno l'influenza della sensibilità fem-
minile, diedero un notevole contributo all'arte minoica». E ag-
giunge che «il ruolo preponderante svolto dalle donne nella so-
cietà è dimostrato dal fatto che esse prendevano attivamente
parte a tutti gli aspetti della vita dei secondi palazzi». Ma, dopo
avere riconosciuto come caratteristica essenziale della cultura
cretese la posizione elevata delle donne e la loro attiva partecipa-
zione a ogni aspetto della vita, anche Platon si sente in dovere di
aggiungere che «ciò era forse dovuto ali' assenza degli uomini, a
causa dei lunghi viaggi in mare». Questo in un'opera per altri
versi straordinariamente buona, in cui nota specificamente che
«sebbene sarebbe fuorviante descriverla [Creta] come un ma-
triarcato, ci sono numerose testimonianze, anche del successivo
periodo ellenico, che la discendenza era per linea femminile».) 9
Dunque ci rendiamo conto ancora una volta come, sotto il
modello prevalente, il nostro passato reale, e l'impulso iniziale
104 Riane Eisler

della nostra evoluzione culturale, possano essere visti solamente


come attraverso un vetro opaco. Ma quando ci troviamo di fron-
te alla grande importanza di cosa questo passato prefigurava -
ciò che noi, al nostro livello di sviluppo tecnologico e sociale,
avremmo potuto, e forse ancora possiamo essere - dobbiamo af-
frontare una domanda assillante. Che cosa ha causato il muta-
mento radicale di direzione culturale, la svolta che ci ha precipi-
tato da un ordinamento sociale sostenuto dal Calice a uno
dominato dalla Spada? Come e quando è successo? E questo
cambiamento catastrofico, cosa ci rivela del nostro passato, e
del nostro futuro?

Note

I. Walter Emery, citato in Merlin Stone, When God Was a Woman, Har-
court Brace Jovanovich, New York I 976, p. XXII.
2. lbid. Il pregiudizio androcentrico che la Stone ha notato nell'archeolo-
gia ha il suo corrispondente in molti altri campi. Ma è importante rilevare che
ci sono anche studiosi maschi che hanno dato importanti contributi alla cono-
scenza della donna e ai cosiddetti problemi della donna. Un notevole esempio
contemporaneo è Ashley Montagu, che in The Natural Superiority of Women,
Macmillan, New York l 968 (trad. it. La naturale superiorità della donna,
Bompiani, Milano l 956), e in altri lavori, dissipa molti giudizi misogini ed er-
ronei sulla metà femminile dell'umanità e sulla «inevitabilità del patriarcato».
Un altro è Fritjof Capra, che in The Turning Point: Science, Society, and the
Rising Culture, Simon and Schuster, New York l 982 (trad. it. Il punto di svol-
ta. Scienza, società e cultura emergente, Feltrinelli, Milano 2003) e in altri la-
vori riconosce l'importanza del femminismo nel movimento per un futuro più
umano e pacifico.
3. Nicolas Platon, Crete, Nagel Publishers, Ginevra 1966, p. 15.
4. Jbid., pp. 16, 25.
5. Jbid., pp. 16-47.
6. Jacquetta Hawkes, Dawn of the Gods: Minoan and Mycenaean Ori-
gins of Greece, Random House, New York I 968, p. 153.
7. Jbid., p. 109.
8. N. Platon, op. cit., pp. 148, 143.
9. J. Hawkes, op. cit., pp. 45, 73; N. Platon, op. cit., pp. 148, 16I.
I O. Hans-Giinther Buchholtz e Vassos Karageorghis, Prehistoric Greece
and Cyprus: an Archaeological Handbook, Phaidon, Londra 1973, p. 20; N.
Platon, op. cit., p. 148. Si veda anche J. Hawkes, op. cit., p. 186.
l l. Leonard Woolley, citato in J. Hawkes, op. cit., p. 73.
l 2. Jbid., pp. 73-4.
La differenza essenziale: Creta 105

13. N. Platon, op. cit., p. 178


14. lbid., pp. 147, 163.
15. lbid., pp. 148, 161-2.
16. lbid., pp. 161, 165.
17. J. Hawkes, op. cit., p. 90.
18. /bid., p. 58.
19. lbid., p. 50; N. Platon, op. cit., p. 181.
20. N. Platon, op. cit., p. 179.
21. lbid., pp. 181-2.
22. Reynold Higgins, An Archaeology of Minoan Crete, The Bodley Head,
Londra 1973, p. 21.
23. J. Hawkes, op. cit., pp. 124, 125.
24. Come ancora avviene nella maggior parte delle religioni del mondo,
questi riti minoici erano spesso basati su offerte rituali di fiori, frutta, vino o
cereali. A differenza dei successivi ritrovamenti mesopotamici ed egiziani di
sacrifici umani ingenti e apparentemente frequenti (per esempio, il seppelli-
mento del faraone insieme a un seguito di cortigiani e schiavi), i soli resti di un
sacrificio rituale cretese (portati alla luce in un tempio ai piedi di una monta-
gna che si diceva fosse il luogo di nascita di Zeus) pare rappresentassero, co-
me dice Joseph Alsop, «un rimedio estremo, per evitare quella che dovette
sembrare la fine del mondo». Per i protagonisti di questa tragedia, scoperta re-
centemente dagli archeologi, lo fu veramente. Le scosse di un tremendo terre-
moto fecero crollare il soffitto, e probabilmente interruppero un sacerdote che
stava pugnalando un giovane, uccidendo entrambi. Joseph Alsop, «A Histori-
cal Perspective», in National Geographic, febbraio 1981, n. 159, pp. 223, 224.
25. N. Platon, op. cit., p. 148.
26. J. Hawkes, op. cit., pp. 75-6
27. lbid. Platon sottolinea anche che il passaggio dal periodo minoico a
quello miceneo comportò un mutamento dall' «amore per la vita» a una cre-
scente paura della morte, e che i Micenei furono responsabili dell'introduzio-
ne del «nuovo culto degli eroi» (N. Platon, op. cit., p. 68).
28. Ruby Rohrlich-Leavitt, «Women in Transition: Crete and Sumer», in
Renate Bridenthal e Claudia Koonz (a cura di), Becoming Visible, Houghton
Mifflin, Boston 1977, pp. 49, 46.
29. N. Platon, op. cit., pp. 167, 147, 178.
30. R. Rohrlich-Leavitt, op. cit., p. 49.
31. In effetti, la Rohrlich-Leavitt sostiene che la posizione sociale delle
donne diventò addirittura più elevata che nel Neolitico. lbid., p. 42.
32. Si veda, per esempio, William Masters e Virginia Johnson, The Plea-
sure Band: A New Look at Sexuality and Commitment, Little, Brown, Boston
1975 (trad. it. Il legame del piacere, Feltrinelli, Milano 1988).
33. J. Hawkes, op. cit., p. 156.
34. Amold Hauser, citato in ibid., p. 73. Oppure, come scrive Platon, «sen-
so estetico raffinato, amore per la bellezza, la grazia e il movimento, gusto per
la vita, e vicinanza con la natura, furono le qualità che distinsero i Minoici da
tutte le altre grandi civiltà del loro tempo» (Crete, p. 143).
35. Charles Darwin, The Descent of Man, Appleton, New York 1879, p.
106 Riane Eisler

168 (trad. it. l'origine dell'uomo, Editori Riuniti, Roma 1999). La nota si rife-
risce a J.C. Notte George R. Gliddon, Types of Mankind, Mnemosyne, Miami
1969.
36. Questa tendenza resistette fra gli egittologi fino a che il movimento
statunitense per i diritti civili degli anni Sessanta costrinse gli studiosi a un
cambiamento di mentalità. Per ragguagli sulla stirpe di sovrani neri dell'antico
Egitto si veda, per esempio, John Hope Franklin, From Slavery to Freedom,
Knopf, New York 1967, oppure, David Loye, The Healing of a Nation, Nor-
ton, New York 1971.
37. Arthur Evans, citato in R. Higgins, op. cit., p. 40.
38. H.-G. Buchholtz e V. Karageorghis, op. cit., p. 22.
39. N. Platon, op. cit., pp. 161, 167.
4
Un cupo ordine dal caos:
dal Calice alla Spada

Ci hanno insegnato che la storia dell'uomo si svolge in un ar-


co di tempo misurato in secoli. Ma il periodo storico preceden-
te, assai diverso, si misura in millenni. Con il Paleolitico tornia-
mo indietro di oltre 30.000 anni. La rivoluzione agraria del
Neolitico risale a 10.000 anni fa. çatal Hilyiik fu fondata 8500
anni fa. E la civiltà di Creta cadde solo 3200 anni fa.
Durante questo ciclo di millenni, enormemente più lungo del
periodo storico che calcoliamo sui nostri calendari a partire dal-
la nascita di Cristo, nella maggior parte delle società dell'Euro-
pa e del Vicino Oriente si diede particolare importanza alle tec-
nologie che aiutavano la vita e ne miglioravano la qualità. Nel
corso delle migliaia di anni del Neolitico si fecero grandi pro-
gressi nella produzione di cibo tramite la coltivazione, e anche
nella caccia, nella pesca, e nell'addomesticamento degli anima-
li. L'alloggio era migliorato grazie alle innovazioni della tecnica
di costruzione, della manifattura dei tappeti, del mobilio, di altri
articoli per la casa, e persino (come a çatal Hilyiik) della piani-
ficazione urbanistica. 1 L'abbigliamento aveva da tempo superato
la fase di pelli e pellicce grazie all'invenzione della tessitura e
del cucito. E, una volta gettate le fondamenta materiali e spiri-
tuali per una civiltà più progredita, fiorirono anche le arti.
La nonna generale era probabilmente la discendenza matrili-
108 Riane Eisler

neare. Le donne più anziane, o quelle a capo dei clan, ammini-


stravano la produzione e la distribuzione dei prodotti della terra,
che venivano considerati proprietà di tutti i membri del gruppo.
Con la proprietà comune dei principali mezzi di produzione e la
concezione del potere sociale come una responsabilità o un'am-
ministrazione fiduciaria finalizzata al bene comune, si giunse a
quella che sembra fosse un'organizzazione sociale sostanzial-
mente cooperativa. Uomini e donne, e a volte, come a çatal
Hi.iyi.ik, persino popoli con origini razziali differenti, lavoravano
insieme per il bene comune. 2
La maggiore forza fisica dell'uomo non era alla base della
oppressione sociale, della bellicosità organizzata, o della con-
centrazione della proprietà privata nelle mani dei più forti. Né
giustificava la supremazia dei maschi sulle femmine o dei valori
«maschili» su quelli «femminili». Al contrario, l'ideologia pre-
valente era ginocentrica, incentrata sulla donna, e la divinità era
rappresentata in forma femminile.
Come abbiamo visto, veniva attribuito il massimo valore ai
poteri di generazione, sostentamento e creazione, e non di di-
struzione, della natura, simboleggiati dal Calice femminile, la
sorgente di vita. Allo stesso tempo, sembra che la funzione delle
sacerdotesse e dei sacerdoti non fosse quella di servire e dare
una sanzione religiosa a una brutale élite maschile, bensì di gio-
vare a tutta la comunità, così come i capi dei clan amministrava-
no le terre possedute e lavorate collettivamente. 3
Ma poi arrivò il grande cambiamento, un cambiamento così
grande da non potere essere paragonato a nessun altro evento
dell'evoluzione culturale dell'uomo.

Gli invasori periferici

Da principio fu come la proverbiale nube biblica «non più


grande della mano di un uomo»: attività di bande di nomadi, ap-
parentemente insignificanti, che vagabondavano nelle zone peri-
Un cupo ordine dal caos: dal Calice alla Spada 109

feriche meno desiderabili del nostro globo, alla ricerca di pasco-


li per le loro greggi. Apparentemente se ne restarono lì per mil-
lenni, nei territori più freddi e poveri, aspri, poco allettanti, ai
confini della terra. Le prime grandi civiltà agricole, invece, si
erano diffuse lungo i laghi e i fiumi delle fertili aree centrali. Per
questi popoli di agricoltori, che si godevano il primo apice nella
storia dell'evoluzione umana, pace e prosperità dovevano sem-
brare una condizione beata e perenne dell'umanità, e i nomadi
niente più che una novità di poco conto.
Possiamo solo fare congetture su come queste bande di no-
madi crebbero di numero e in ferocia, e nel corso di quanti an-
ni. 4 Ma dal V millennio a.C., circa settemila anni fa, si comin-
ciano a trovare testimonianze di quello che Mellaart definisce
un modello di disgregamento delle antiche culture neolitiche del
Vicino Oriente. 5 I resti archeologici, a partire da questa epoca,
indicano chiari segni di pressione in molti territori. Ci sono trac-
ce d'invasioni, di catastrofi naturali, a volte d'entrambe, che
causano distruzione e disordini su larga scala. In molte zone
scompaiono le antiche tradizioni della ceramica dipinta. Una
devastazione dopo l'altra, s'instaura a poco a poco un periodo di
regressione e stagnazione culturale. Alla fine, durante questo
periodo di caos crescente, lo sviluppo della civiltà giunge a un
punto morto. Come scrive Mellaart, ci vorranno altri duemila
anni prima che le civiltà sumera ed egizia facciano la loro com-
parsa. 6
Anche nell'Antica Europa, l'interruzione fisica e culturale
delle società neolitiche che adoravano la Dea sembra comincia-
re nel V millennio a.C., con quella che la Gimbutas chiama «on-
data kurgan numero uno». «Grazie al crescente numero di data-
zioni col radiocarbonio, oggi è possibile tracciare diverse ondate
migratorie dei pastori delle steppe, o popoli 'Kurgan', che tra-
volsero l'Europa preistorica», riferisce la Gimbutas. Queste in-
cursioni ripetute, e gli shock culturali e i mutamenti nella popo-
lazione che ne derivarono, si concentrarono in tre spinte
principali: l'ondata n. 1, all'incirca nel 4300-4200 a.C., l'ondata
110 Riane Eisler

n. 2, 3400-3200 a.e. circa, l'ondata n. 3, 3000-2800 a.e. circa.


(Le date sono determinate con la dendrocronologia.)7
I Kurgan appartenevano al ceppo linguistico che gli studiosi
definiscono indoeuropeo o ariano, un tipo che in epoca moderna
sarà idealizzato, prima da Nietzsche e poi da Hitler, come l'uni-
ca razza pura d'Europa. In realtà, non erano autenticamente eu-
ropei, poiché si riversarono in questo continente provenendo dal
Nord-est asiatico ed europeo. Né erano autenticamente indiani,
poiché in India viveva un altro popolo, i Dravidi, prima che gli
invasori ariani li sottomettessero. 8
Ma il termine indoeuropeo è rimasto. Esso indica una lunga
serie d'invasioni di popolazioni nomadi provenienti dal Nord
dell'Asia e dell'Europa. Erano governati da potenti sacerdoti e
guerrieri, portavano con sé i propri dèi della guerra e delle mon-
tagne. E come Ariani in India, Ittiti e Mitanni nella Mezzaluna
Fertile, Luvì in Anatolia, Kurgan nell'Europa orientale, Achei e
successivamente Dori in Grecia, essi imposero gradualmente le
loro ideologie e i loro stili di vita sulle terre e i popoli che ave-
vano conquistato. 9
C'erano anche altri invasori nomadi. I più famosi sono quelli
che chiamiamo Ebrei, di stirpe semitica, che provenivano dai
deserti del Sud e invasero Canaan (poi chiamata Palestina dal
nome dei Filistei, uno dei popoli che viveva nella regione). I
precetti morali che associamo sia al giudaismo che al cristiane-
simo e l'importanza che in molte chiese e sinagoghe moderne si
dà alla pace, oggi oscurano il dato storico che in origine gli anti-
chi Semiti erano un popolo bellicoso, governato da una casta di
sacerdoti-guerrieri (la tribù dei Leviti di Mosè, Aronne, Gio-
suè). Come gli Indoeuropei, anch'essi portarono con sé un dio
fiero e iroso della guerra e delle montagne (Geova o Yahweh). E
progressivamente, come leggiamo nella Bibbia, anch'essi impo-
sero gran parte della loro ideologia e del loro modo di vita ai po-
poli delle terre che avevano conquistato.
Queste sorprendenti somiglianze tra Indoeuropei e antichi
Ehrei hanno fatto nascere congetture su delle possibili origini
Un cupo ordine dal caos: dal Calice alla Spada 111

comuni, o, quantomeno, su alcuni elementi di diffusione cultu-


rale.10 Ma quello che c'interessa non è tanto la scoperta di possi-
bili parentele o contatti culturali, bensì ciò che sembra accomu-
nare con certezza questi popoli di luoghi ed epoche così diversi:
la struttura dei loro sistemi sociali e ideologici.
La caratteristica comune a tutti era un modello dominatore
dell'organizzazione sociale: un sistema sociale in cui il dominio
maschile, la violenza maschile, e una struttura sociale general-
mente gerarchica e autoritaria erano la norma. Un'altra caratte-
ristica comune era che costoro, a differenza delle società che
posero le basi della civiltà occidentale, non acquisivano la ric-
chezza materiale sviluppando tecnologie di produzione, bensì
ricorrendo a tecnologie di distruzione sempre più efficienti.

Metallurgia e supremazia maschile

Nel classico marxista L'origine della famiglia, della pro-


prietà privata e dello Stato, Friedrich Engels fu uno dei primi a
far coincidere la comparsa delle gerarchie e della stratificazione
sociale, basata sulla proprietà privata, al dominio maschile sulla
donna. Engels inoltre collegò il mutamento da matrilinearità a
patrilinearità allo sviluppo della metallurgia del rame e del
bronzo. 11 Tuttavia, anche se si trattava di una intuizione all' a-
vanguardia, non coglieva del tutto nel segno. Infatti solo alla lu-
ce delle ultime ricerche possiamo comprendere il modo specifi-
co - e sociologicamente affascinante - in cui la metallurgia del
bronzo e del rame ha radicalmente mutato il corso dell'evolu-
zione culturale in Europa e Asia Minore.
Ciò che determinò questi mutamenti radicali non sembra
avere a che fare con la scoperta di quei metalli. Riguarda piutto-
sto un punto della tecnologia per noi estremamente importante:
l'uso che venne fatto di questi metalli.
Secondo il paradigma prevalente si suppone che tutte le pri-
me e più importanti scoperte tecnologiche debbano essere state
112 Riane Eisler

fatte dall' «uomo cacciatore» o «uomo guerriero», per migliora-


re la propria efficienza letale. Ai corsi universitari e nell'epica
popolare moderna, come nel film di Kubrik 2001: Odissea nello
spazio, ci viene insegnato che è stato così fin dai primi rudimen-
tali arnesi in legno o in pietra, che secondo questa logica erano
mazze e coltelli per ammazzare il prossimo. 12 Perciò si è suppo-
sto che anche i metalli fossero usati innanzitutto e soprattutto
per le armi. Tuttavia le testimonianze archeologiche indicano
che metalli come il rame e l'oro erano conosciuti da molto tem-
po dai popoli del Neolitico. Ma costoro li usavano per scopi reli-
giosi e ornamentali, o per la fabbricazione di attrezzi. 13
Le nuove tecniche di datazione, che non erano disponibili al-
l'epoca di Engels, indicano che la metallurgia fa la sua prima
apparizione in Europa nel VI millennio a.C., tra i popoli che vi-
vevano a sud dei monti Carpazi e nella regione delle Alpi Dina-
riche e Transilvane. Questi primi ritrovamenti metallici sono in
forma di gioielli, statuette e oggetti rituali. A partire dal V e da-
gli inizi del IV millennio a.C. sembra che anche il rame sia di-
ventato d'uso comune nella fabbricazione d'asce e zappe piatte,
attrezzi a forma di cuneo, ami da pesca, punteruoli, aghi, spille a
spirale doppia. Ma come fa notare la Gimbutas, «erano attrezzi
per lavorare il legno, non asce da battaglia o simboli della po-
tenza divina, come nelle culture indoeuropee storiche e proto-
storiche».14
Le prove archeologiche ci portano dunque a concludere che
non erano i metalli in sé, ma, piuttosto, il loro impiego per svi-
luppare tecnologie di distruzione sempre più efficaci, ad avere
un ruolo così critico in quella che Engels definì «la storica scon-
fitta mondiale del sesso femminile». 15 E il dominio maschile
non s'instaurò nella preistoria dell'Occidente, come fa intendere
Engels, non appena i popoli raccoglitori-cacciatori cominciaro-
no ad addomesticare e allevare il bestiame (in altre parole, quan-
do l'allevamento divenne la principale tecnologia produttiva).
Avvenne invece molto più tardi, durante i millenni delle incur-
Un cupo ordine dal caos: dal Calice alla Spada 113

sioni delle orde di pastori nei territori più fertili, dove l'agricol-
tura era divenuta la principale tecnologia produttiva.
Come abbiamo visto, le tecnologie distruttive non erano
priorità sociali importanti per i coltivatori del periodo Neolitico
europeo. Ma lo erano per le orde guerriere che dilagarono dagli
aridi territori settentrionali e dai deserti meridionali. E fu in que-
sto momento critico che i metalli svolsero il loro ruolo letale nel
determinare la storia dell'uomo: non come mezzi per un genera-
le progresso tecnologico, ma come armi per uccidere, saccheg-
giare, asservire.
La Gimbutas ha ricostruito accuratamente questo processo
nell'Antica Europa. La studiosa parte dalla constatazione che
nelle regioni da cui provenivano i popoli dediti alla pastorizia, le
aride steppe a nord del Mar Nero, non esisteva il rame. «Ciò fa
supporre», scrive la Gimbutas, «che i cavalieri kurgan delle
steppe conoscessero la tecnologia del metallo che esisteva nel V
e IV millennio a.C. a sud dei monti del Caucaso. Probabilmente,
non più tardi del 3500 a.C., essi avevano appreso le tecniche
metallurgiche dai Transcaucasici e, subito dopo, avevano co-
minciato a sfruttare i giacimenti del Caucaso». 16 O, più precisa-
mente, subito dopo essi iniziarono a forgiare con il metallo armi
mortali più efficaci. '7
I dati della Gimbutas si basano sugli scavi su larga scala ef-
fettuati dopo la seconda guerra mondiale, e sull'introduzione
dei nuovi metodi di datazione. In sintesi, essi indicano che il
passaggio dall'Età del Rame a quella del Bronzo (quando ap-
parvero per la prima volta le leghe rame-arsenico o rame-sta-
gno) avvenne nel periodo tra il 3500 e il 2500 a.C. È una data di
gran lunga anteriore a quella, indicata dai primi studiosi, del
2000 a.C. Inoltre, la rapida diffusione della metallurgia del
bronzo nel continente europeo coincide con le tracce di un nu-
mero sempre maggiore di incursioni da parte delle popolazioni
di pastori estremamente mobili, bellicosi, gerarchici e dominati
dal maschio che la Gimbutas chiama Kurgan. «La comparsa di
armi in bronzo - daghe e alabarde - insieme ad asce di bronzo
114 Riane Eisler

sottili e affilate, mazze e asce da battaglia in pietra semipreziosa


e punte di freccia in selce, coincide con le rotte di dispersione
delle popolazioni kurgan», scrive la Gimbutas. 18

Il mutamento nell'evoluzione culturale


Ciò non significa assolutamente che il cambiamento radicale
nell'evoluzione culturale della società occidentale fosse sempli-
cemente una funzione delle guerre di conquista. Come vedremo,
il processo era di gran lunga più complesso. Tuttavia, sembra in-
discutibile che fin da principio la guerra sia stata uno strumento
essenziale per sostituire il modello mutuale con quello domina-
tore. E la guerra, con altre forme di violenza sociale, ha conti-
nuato a svolgere un ruolo fondamentale nel deviare la nostra
evoluzione culturale da un indirizzo mutuale a uno dominatore.
Come vedremo, il mutamento da un modello di organizza-
zione sociale mutuale a uno dominatore fu un processo gradua-
le, e, dopo poco tempo, prevedibile. Tuttavia gli eventi che inne-
scarono questo mutamento furono relativamente improvvisi e,
all'epoca, imprevedibili. Quanto rivelano i ritrovamenti archeo-
logici si adatta in modo straordinario alle nuove idee della
scienza sul mutamento imprevedibile, ovvero, come stati da lun-
go tempo consolidati di equilibrio o semiequilibrio dei sistemi,
possano con relativa rapidità mutarsi in uno stato lontano dall'e-
quilibrio, o caotico. Ancor più notevole è come questo muta-
mento radicale della nostra evoluzione corrisponda per certi ver-
si al modello evolutivo non-lineare degli «equilibri punteggiati»
proposto da Eldredge e Gould, con l'apparizione di «isolati pe-
riferici» in «punti di biforcazione» critici. 19
Gli «isolati periferici» che in questo periodo emersero da
quelle che sono letteralmente le aree marginali del nostro globo
(le aride steppe del Nord e i deserti del Sud) non erano una spe-
cie differente. Ma, interrompendo un lungo periodo di sviluppo
costante guidato da un modello mutuale di società, essi porta-
Un cupo ordine dal caos: dal Calice alla Spada 115

rono con sé un sistema di organizzazione sociale totalmente di-


verso.
Alla base del sistema degli invasori c'era l'attribuzione di un
maggiore valore al potere che toglie la vita anziché a quello che
la dà. Era il potere simboleggiato dalla spada «maschile», che,
come mostrano le incisioni nelle prime caverne kurgan, questi
invasori indoeuropei letteralmente adoravano. 20 Infatti nella loro
società di tipo dominatore, governata da dèi, e uomini, guerrieri,
era questo il potere supremo.
Con la comparsa sulla scena della preistoria di questi invaso-
ri - e non, come si dice talvolta, con la scoperta da parte dei ma-
schi del proprio ruolo nella procreazione - la Dea e le donne fu-
rono ridotte al ruolo di consorti dell'uomo, o concubine.
Gradualmente il dominio maschile, l'aggressività e l'asservi-
mento delle donne e degli uomini più miti, «effeminati», diven-
nero la norma.
Il passo che segue, della Gimbutas, riassume quanto fonda-
mentalmente differenti fossero questi due sistemi sociali, e
quanto catastrofici furono i mutamenti delle regole imposti da
questi «isolati periferici» - ora divenuti «invasori periferici»:

Le culture degli Antichi Europei e dei Kurgan erano anti-


tetiche. Gli Antichi Europei erano orticoltori sedentari, pro-
pensi a vivere in grandi città ben progettate. L'assenza di for-
tificazioni e di armi dimostra la convivenza pacifica di
questa civiltà ugualitaria, probabilmente matrilineare e ma-
trilocale. Il sistema kurgan era composto da unità di allevato-
ri patrilineari, socialmente stratificate, che vivevano in pic-
coli villaggi o in accampamenti stagionali, mentre facevano
pascolare i loro animali su vasti territori. Un'economia basa-
ta sull'agricoltura e una basata sull' allevameì1to e il pascolo,
produssero due ideologie contrastanti. Il sistema di credenze
degli Antichi Europei si imperniò sul ciclo agricolo di nasci-
ta, morte e rigenerazione, incarnato nel principio femminile,
la Madre Creatrice. L'ideologia kurgan, come si evince dalla
116 Riane Eisler

mitologia comparata indoeuropea, esaltava gli dèi guerrieri


del cielo fulgido e tonante, eroici e virili. Le armi non esisto-
no nelle immagini degli Antichi Europei, mentre la daga e
l'ascia da combattimento sono simboli dominanti dei Kur-
gan, che, come tutti gli Indoeuropei della storia, glorificava-
no il potere letale della spada affilata. 21

Guerra, schiavismo e sacrificio

Forse il dato più significativo è che nelle rappresentazioni di


armi incise su roccia, stele e pietre, che cominciano ad apparire
soltanto dopo le invasioni kurgan, troviamo ciò che la Gimbutas
descrive come «le prime immagini che si conoscano di dèi-
guerrieri indoeuropei». 22
Alcune figure sono «semiantropomorfe», con teste e braccia,
riferisce la Gimbutas a proposito di una serie d'incisioni su roc-
cia rinvenute nelle Alpi svizzere e italiane. Ma in gran parte si
tratta di immagini astratte, «in cui il dio viene rappresentato
esclusivamente tramite le sue armi, o mediante le armi insieme a
una cintura, una collana, un pendente a doppia spirale, e all' ani-
male divino, un cavallo o un cervo maschio. In molte composi-
zioni compaiono frequentemente un sole o le ramificazioni delle
corna, nel posto dove dovrebbe esserci la testa del dio. In altre,
le braccia del dio sono raffigurate come alabarde o asce dai lun-
ghi manici. Una, tre, sette, o nove daghe sono collocate al centro
della composizione, di solito sopra o sotto la cintola». 2~
«Ovviamente, le armi rappresentavano i poteri e le funzioni
del dio», scrive la Gimbutas, «e venivano adorate come rappre-
sentazioni del dio stesso. La sacralità dell'arma è ben evidenzia-
ta in tutte le religioni indoeuropee. Sappiamo da Erodoto che gli
Sciti facevano sacrifici alla loro daga sacra, Akenakes. Non si
conoscono precedenti incisioni o immagini di divinità con armi
nella regione alpina del Neolitico». 24
Questa glorificazione del potere letale della lama affilata si
Un cupo ordine dal caos: dal Calice alla Spada 117

accompagnava a un modo di vita in cui sembra fosse normale


l'uccisione sistematica di altri esseri umani, così come la distru-
zione e il saccheggio dei loro averi e l'asservimento e lo sfrutta-
mento delle loro persone. A giudicare dalle testimonianze ar-
cheologiche, la nascita dello schiavismo (il possesso di un uomo
da parte di un altro) sembra essere strettamente collegata a que-
ste invasioni armate.
Per esempio, questi ritrovamenti indicano che in alcuni cam-
pi kurgan gran parte della popolazione femminile non era kur-
gan, bensì apparteneva alla popolazione neolitica dell'Antica
Europa. 25 Questo rivela che i Kurgan massacravano la maggio-
ranza di uomini e bambini del posto, ma risparmiavano alcune
donne, che prendevano con sé come concubine, mogli, o schia-
ve. La prova che questa fosse una pratica comune si trova nei
racconti dell'Antico Testamento, quando, molti millenni più tar-
di, le tribù nomadi degli Ebrei invasero Canaan. Per esempio, in
Numeri, 31 :32-35, leggiamo che nel bottino di guerra preso da-
gli invasori nella loro battaglia contro i Madianiti c'erano, in
quest'ordine: pecore, bestiame, asini e trentaduemila ragazze
che non avevano avuto rapporti con uomini.
La violenta degradazione delle donne, e quindi anche dei lo-
ro bambini maschi e femmine, a una condizione di mero posses-
so maschile, è documentata anche dalle pratiche di sepoltura
kurgan. Come rileva la Gimbutas, una delle prime prove che si
conoscano di una «kurganizzazione», è un certo numero di tom-
be che risalgono a poco prima del IV millennio a.C., in altre pa-
role, poco dopo che la prima ondata d'invasori kurgan travol-
gesse l'Europa. 26
Si tratta delle «tombe dei capi», caratteristiche della gerar-
chizzazione indoeuropea di tipo dominatore, che rivelano un
cambiamento radicale nella organizzazione sociale, con una éli-
te di uomini forti al vertice. In queste tombe, che la Gimbutas
definisce un chiaro «fenomeno culturale alieno», è evidente an-
che un notevole cambiamento nelle pratiche e nei riti di sepoltu-
ra. A differenza delle tombe degli Antichi Europei, dove si tra-
118 Riane Eisler

vano pochi indizi di disuguaglianza sociale, in quelle kurgan ci


sono grosse differenze nelle dimensioni delle tombe e in quelli
che gli archeologi chiamano «doni funerari»: ciò che è contenu-
to nelle tombe, a parte il defunto. 27
Per la prima volta in tombe europee, accanto a uno scheletro
maschile eccezionalmente alto, o con le ossa grosse, si trovano
gli scheletri di donne sacrificate, mogli, concubine o schiave del
defunto. Questa pratica, che la Gimbutas definisce sati (termine
che in India indica l' abbruciamento delle vedove, pratica che in
questo paese continuò fino al XX secolo), fu sicuramente intro-
dotta in Europa dagli Indoeuropei kurgan. Compare per la prima
volta a ovest del Mar Nero, a Suvorovo, sul delta del Danubio. 28
Queste innovazioni radicali nelle pratiche di sepoltura sono
inoltre caratteristiche di tutte e tre le invasioni kurgan. Per
esempio, nella cosiddetta cultura dell'Anfora Globulare, diffusa
nell'Europa settentrionale quasi mille anni dopo l'arrivo della
prima ondata kurgan, sono assai diffuse le stesse pratiche bruta-
li di sepoltura, che riflettono un tipo simile di organizzazione
sociale e culturale. Come scrive la Gimbutas, «la frequenza di
queste sepolture multiple esclude la possibilità che si tratti di
decessi coincidenti. Di solito, lo scheletro maschile viene sepol-
to con i suoi doni da un lato della tomba, mentre due o più indi-
vidui sono raggruppati in quello opposto [... ] le tombe del-
1' Anfora Globulare confermano un predominio maschile. La
poliginia è documentata dalla tomba in pietra a Vojtsekhivka in
Volynia, in cui uno scheletro maschile è affiancato, in ordine
araldico, da due donne e quattro bambini, mentre ai suoi piedi
giacciono un giovane uomo e una giovane donna». 29
Queste tombe d'alto rango contengono anche altri oggetti ri-
tenuti importanti dagli uomini di queste classi sovrane, non solo
in vita ma anche dopo la morte. «I corredi rinvenuti nelle tombe
kurgan: archi e frecce, lance, 'coltelli' (protodaghe) da lancio e
da taglio, asce di coma e ossa di cavallo», riferisce la Gimbutas,
«rivelano una coscienza guerriera precedentemente sconosciuta
nell'Antica Europa». 3° In queste tombe sono stati ritrovati anche
Un cupo ordine dal caos: dal Calice alla Spada 119

oggetti simbolici come mandibole e zanne di maiale e cinghiale,


scheletri di cane e scapole d'uro o di bovino, che forniscono
un'ulteriore testimonianza archeologica del radicale mutamento
verificatosi, ideologico oltre che sociale.
Queste sepolture mostrano il grande valore sociale che ormai
si attribuiva alle tecnologie per il dominio e la distruzione. Con-
tengono anche la prova di una strategia di annientamento e di
assorbimento ideologico che incontreremo sempre più: l' appro-
priazione, da parte degli uomini, di importanti simboli religiosi
che le popolazioni da loro soggiogate in precedenza associava-
no alla donna e al culto della Dea.
«La tradizione di collocare mandibole di maiale e cinghiale,
sepolture di cani, e scapole di uro o bovino esclusivamente nelle
tombe degli uomini», nota la Gimbutas, «può essere fatta risali-
re alle tombe kurgan 1-11 (Srednij Stog) nella steppa del Ponto.
L'importanza economica che avevano maiali e cinghiali come
fonte di cibo è secondaria, rispetto alle implicazioni religiose
delle ossa di questi animali, ritrovate solo in associazione con
maschi d'alto rango della comunità. I nessi simbolici tra gli uo-
mini e il cinghiale, il maiale e il cane sono un capovolgimento
del significato religioso che questi animali avevano nell'Antica
Europa, ove il maiale era il compagno sacro della Dea della Ri-
generazione». 31

L'interruzione della civiltà

Dal Meridione all'Occidente, il panorama archeologico del-


1' Antica Europa è ora traumaticamente modificato. «Vennero
troncate tradizioni millenarie», scrive la Gimbutas, «città e vil-
laggi furono disintegrati, scomparve la ceramica splendidamen-
te dipinta, e con essa templi, affreschi, sculture, simboli e forme
di scrittura.» 32 Nello stesso tempo fa la sua comparsa una nuova
macchina da guerra vivente, il cavaliere armato, che a quel tem-
po deve avere avuto lo stesso impatto che al giorno d'oggi pos-
120 Riane Eisler

sono avere, su dei primitivi, un carro armato o un aeroplano. E


sulla scia delle devastazioni kurgan, troviamo le loro tipiche
tombe di capi-guerrieri, coi loro sacrifici umani di donne e bam-
bini e i mucchi d'armi che circondano i capi defunti. 33
Lo storico della preistoria europea V. Gordon Childe, pur
scrivendo prima degli scavi degli anni Sessanta e Settanta, e pri-
ma che la Gimbutas organizzasse i dati vecchi e nuovi, usando
le più aggiornate tecniche di datazione col radiocarbonio e la
dendrocronologia, descrive lo stesso modello generale. Childe
definisce la cultura degli Antichi Europei «pacifica» e «demo-
cratica», senza indizi di «capi che accentrassero le ricchezze
delle comunità». 34 Ma poi egli nota come questa situazione gra-
dualmente si modificò, con l'avvento della guerra e, in partico-
lare, delle armi in metallo.
Come la Gimbutas, Childe osserva che, insieme alle armi,
appaiono negli scavi tombe di capi e abitazioni che evidenziano
chiaramente una stratificazione sociale, con la sovranità di un
despota che diventa la norma. «Gli insediamenti venivano spes-
so eretti sulla sommità delle colline», scrive Childe. Sia qui che
nelle valli essi sono ora «frequentemente fortificati». Inoltre,
anch'egli sottolinea che quando «la competizione per il terri to-
rio assunse un carattere bellicoso, e si misero a punto per la
guerra armi come le asce da battaglia», non solo l'organizzazio-
ne sociale, ma anche quella ideologica della società europea
subì una profonda alterazione. 35
Più precisamente, Childe nota che quando la guerra divenne
la norma, «la conseguente supremazia dei maschi della comu-
nità può essere stata la causa della scomparsa delle statuette
femminili». Lo studioso rileva come queste statuette femminili,
così numerose nei livelli più antichi, ora «non compaiono più» e
quindi conclude: «La vecchia ideologia era cambiata. Ciò può
riflettere il passaggio dell'organizzazione della società da matri-
lineare a patrilineare». 36
La Gimbutas è ancora più specifica. Basandosi sullo studio
sistematico delle cronologie dell'Antica Europa, sulle proprie
Un cupo ordine dal caos: dal Calice alla Spada 121

ricerche e su quelle di altri archeologi, essa descrive minuziosa-


mente come, in seguito a ogni nuova ondata d'invasioni, non si
verifichi soltanto una devastazione fisica, ma anche ciò che gli
storici definiscono un impoverimento culturale. Già dopo l' on-
data n. 1 la distruzione è così massiccia che sopravvivono solo
delle sacche d'insediamenti antico-europei, per esempio il com-
plesso di Cotofeni nella valle Oltenia del Danubio, la Muntenia
occidentale e nord-occidentale, il Sud di Banat e la Transilvania.
Ma anche qui ci sono tracce di mutamenti significativi, in parti-
colar modo la comparsa di meccanismi di difesa come fossati e
bastioni. 37
Secondo la Gimbutas, per la maggioranza degli insediamenti
antico-europei, come quello dei coltivatori Karanovo del basso
bacino del Danubio, le invasioni kurgan furono catastrofiche.
C'è una massiccia distruzione materiale di case, di templi, di
opere d'arte e manufatti splendidamente lavorati, che non ave-
vano valore né significato per gli invasori barbari. Una quantità
enorme di persone venne massacrata, fatta schiava o messa in
fuga. Come risultato,38 si avviarono reazioni a catena di muta-
menti di popolazione.
In questo periodo iniziano a crearsi quelle che la Gimbutas
chiama «culture ibride». Queste culture erano basate sulla «sot-
tomissione dei rimanenti gruppi di Antichi Europei e sulla loro
rapida assimilazione nell'economia pastorizia e nelle società
stratificate, legate agnaticamente [patrilineari] dei Kurgan». 39
Ma queste nuove culture ibride sono di gran lunga meno avan-
zate tecnologicamente e culturalmente, rispetto a quelle che
rimpiazzano. L'economia si basa ora principalmente sull'alleva-
mento del bestiame. E anche se si notano ancora alcune delle
tecniche antico-europee, il vasellame è ora di qualità inferiore,
straordinariamente uniforme. Per esempio, negli insediamenti di
Cernavoda III, che compaiono in Romania dopo l'ondata kur-
gan n. 2, non c'è traccia di ceramica dipinta, né dei disegni sim-
bolici antico-europei. Nell'Ungheria orientale e nella Transilva-
nia occidentale il modello è simile. «Le dimensioni minori delle
122 Riane Eisler

comunità, che non superano i trenta o quaranta individui, indi-


cano un sistema sociale ristrutturato, di piccole unità dedite alla
pastorizia», scrive la Gimbutas. 4° Cominciano ad apparire ovun-
que le fortificazioni, e gradualmente le acropoli o i forti su colli-
na sostituiscono i vecchi insediamenti privi di mura.
Dunque, come evidenziano gli scavi archeologici, il panora-
ma preistorico dell'Antica Europa si è trasformato. Dopo ogni
invasione si trovano tracce sempre più numerose di distruzione
fisica e di regresso culturale, e anche il corso della storia cultu-
rale è profondamente alterato.
Lentamente, mentre gli Antichi Europei cercano di proteg-
gersi dai loro invasori, per lo più con scarsi risultati, iniziano a
emergere nuove definizioni di ciò che è normale per le due so-
cietà e ideologie. Assistiamo ovunque a un mutamento delle
priorità sociali, che è come una freccia scagliata nel tempo, per
trafiggere la nostra era con la sua punta nucleare: il passaggio
verso tecnologie di distruzione sempre più efficaci. Esso va di
pari passo con una sostanziale trasformazione ideologica.
Il potere di dominare e distruggere mediante la spada affilata
soppianta gradualmente l'idea di potere come capacità di soste-
nere e alimentare la vita. Le conquiste armate non si limitarono
infatti a troncare l'evoluzione delle prime società di tipo mutua-
le: quelle che non furono semplicemente spazzate via, vennero
radicalmente trasformate.
A questo punto gli uomini con il maggior potere di distruzio-
ne (i più forti fisicamente, i più insensibili, i più brutali) arriva-
rono ovunque al vertice, poiché dappertutto la struttura sociale
si fece più gerarchica e autoritaria. Le donne, che come gruppo
sono fisicamente più piccole e deboli rispetto all'uomo, e che si
identificano principalmente con la vecchia idea di potere simbo-
leggiata dal Calice che sostiene e dà la vita, sono adesso gra-
dualmente ridotte alla condizione che da qui in poi rimarrà im-
mutata: tecnologie di produzione e riproduzione controllate
dall'uomo.
Nello stesso tempo la stessa Dea si trasforma progressiva-
Un cupo ordine dal caos: dal Calice alla Spada 123

mente in una semplice moglie o consorte di divinità maschili,


che adesso hanno la supremazia, con i loro nuovi simboli di po-
tere, anni distruttive o folgori.
Insomma, tramite un processo graduale di trasformazione
sociale e ideologica, che esamineremo più dettagliatamente nei
capitoli successivi, la storia della civiltà, dello sviluppo delle
tecnologie sociali e materiali più avanzate, entra ormai nel fami-
liare e sanguinoso periodo che va dai Sumeri a noi: la storia del-
la violenza e della dominazione.

La distruzione di Creta

La fine violenta di Creta è particolarmente inquietante, e


istruttiva. Poiché era un'isola a sud del continente europeo, il
mare, maternamente protettivo, per qualche tempo tenne lonta-
ne da Creta le orde guerriere. Ma la fine giunse anche qui, e cad-
de l'ultima civiltà basata su di un modello di organizzazione so-
ciale mutuale anziché dominatore.
La fine cominciò come sul continente. Durante il periodo
miceneo, controllato dagli indoeuropei Achei, l'arte cretese di-
venne meno libera e spontanea. E dalle testimonianze archeolo-
giche dell'isola, risulta evidente che ora la morte desta una mag-
giore preoccupazione, viene messa in particolare risalto. «Prima
di finire sotto l'influenza degli Achei, era tipico dei Cretesi non
tenere in gran conto la morte e i riti funebri», nota la Hawkes.
«L'atteggiamento dell'élite achea era diametralmente oppo-
sto.»41 Ora si trovano tracce di un gran dispendio di lavoro e di
ricchezza per provvedere ai defunti reali e nobili. E, dato estre-
mamente significativo, in parte a causa dell'influenza achea e in
parte a causa della minaccia crescente di un'altra ondata d'inva-
sioni dal continente europeo, ci sono chiari segni di un aumento
dello spirito guerriero.
La questione di quando e come iniziò e terminò il periodo mi-
ceneo a Creta è ancora oggetto di grandi controversie. Una delle
124 Riane Eisler

teorie è che la conquista achea, sia della stessa Creta che di quelli
che sembra fossero insediamenti minoici sulla terraferma greca,
avvene dopo una serie di terremoti e maremoti che indebolirono a
tal punto la civiltà minoica, che essa non potè resistere più a lun-
go ai barbari che premevano da nord. Il problema è che la data in
cui di solito si calcola siano avvenuti questi disastri è quella del
1450 a.C., e in quel periodo non ci sono tracce di un'invasione ar-
mata di Creta. 42 Comunque sia, che fosse realmente a causa di
una conquista in seguito ai terremoti, di un colpo di Stato deter-
minato da pressioni militari, o dei matrimoni di capi achei con le
regine di Creta, quel che è certo è che negli ultimi secoli della ci-
viltà cretese l'isola finì sotto il dominio dei re achei, di lingua
greca. E, sebbene questi militari abbiano adottato molti dei più
civili costumi minoici, essi portarono con sé una organizzazione
sociale e ideologica orientata più verso la morte che verso la vita.
La nostra conoscenza del periodo Miceneo deriva in parte
dalle cosiddette tavolette in lineare B, ora decifrate, rinvenute
sia a Creta che sulla terraferma greca. In quelle trovate a Cnosso
e a Pilo (un insediamento miceneo sulla punta meridionale della
Grecia) vengono elencati nomi di divinità. Con profonda soddi-
sfazione di quelli che hanno a lungo sostenuto che esisteva una
continuità tra Creta e la Grecia classica, le tavolette rivelano che
le divinità del successivo pantheon dell'Olimpo (Zeus, Era, Ate-
na, Artemide, Hermes eccetera) venivano già adorate, anche se
in forme e contesti differenti, secoli prima che Esiodo e Omero
ritornassero a occuparsi di loro. 43 Insieme alle testimonianze ar-
cheologiche, queste tavolette rivelano anche, come dice la
Hawkes, «un connubio equilibrato tra divinità cretesi e achee». 44
Ma questo connubio miceneo di cultura minoica e achea era
destinato ad avere vita breve. Dalle tavolette di Pilo, molte delle
quali erano, secondo la Hawkes, «redatte durante gli ultimi gior-
ni di pace, parte di uno sforzo vano per evitare la catastrofe»,
sappiamo che il wanax, o re miceneo, era stato preavvisato del-
1' attacco di Pilo.
«L'emergenza fu fronteggiata senza panico», scrive la
Un cupo ordine dal caos: dal Calice alla Spada 125

Hawkes. «Gli scribi rimasero sui loro banchi, annotando pazien-


temente tutti i preparativi.» Si diedero disposizioni ai rematori
per allestire una flotta di difesa.
Furono inviati muratori, presumibilmente per iniziare a co-
struire fortificazioni lungo la linea costiera sguarnita. Per equi-
paggiare i soldati si raccolse quasi una tonnellata di bronzo, e si
radunarono circa duecento fabbri. Fu requisito persino il bronzo
che apparteneva ai santuari della Dea, come dice la Hawkes, in
una «commovente testimonianza della crisi del passaggio dalla
pace alla guerra». 45
Ma fu tutto inutile. «A Pilo nulla indica che si riuscirono a
erigere le mura tanto necessarie», scrive la Hawkes. «Dalle ta-
volette che registrano i tentativi di salvare il regno, si deve pas-
sare all'edificio della sala reale per scoprire che essi furono va-
ni. I guerrieri barbari irruppero. Dovettero rimanere stupefatti
dalle sale dipinte e dai tesori che esse contenevano [... ] Finito il
saccheggio, non si curarono dell'edificio con le sue decorazioni
straniere e per nulla guerresche. Gli diedero fuoco, ed esso di-
vampò furiosamente [... ] Il calore fu tale che alcuni dei vassoi in
terracotta nelle dispense si sciolsero in grumi vetrificati, mentre
la pietra si calcificò[ ... ] Nei magazzini e nell'ufficio delle impo-
ste vicino all'ingresso, le tavolette abbandonate, a causa del ca-
lore, si solidificarono a un punto tale che si sarebbero conserva-
te in eterno.» 46
E così, nell'entroterra greco come nelle isole e a Creta, ven-
nero distrutte una dopo l'altra le conquiste di questa civiltà, che
raggiunse un primo apice dell'evoluzione culturale.
«Probabilmente la storia si ripeté ovunque, quando Micene,
Tirinto e tutte le altre roccaforti reali, tranne Atene, vennero tra-
volte dalla marea barbarica», scrive la Hawkes. «I Dori a poco a
poco conquistarono tutto il Peloponneso tranne l'Arcadia, e pro-
seguirono occupando Creta, Rodi e le isole circostanti. La più
venerabile tra tutte le residenze reali, Cnosso, deve essere stata
tra le ultime a cadere.» 47
Entro l 'XI secolo a.C. fu tutto finito. Dopo essersi ritirate
126 Riane Eisler

sulle montagne, da dove per qualche tempo condussero azioni


di guerriglia contro gli insediamenti dorici, le ultime sacche di
resistenza cretese crollarono. 48
Insieme a masse di emigranti, lo spirito che un tempo aveva
reso Creta, secondo le parole di Omero, «una terra ricca e ame-
na» abbandonò l'isola, che per tanto tempo era stata la sua di-
mora.49
Con il tempo si sarebbe perso anche il ricordo dell'esistenza
di donne e uomini sicuri di sé, e della pace, della creatività e dei
poteri della Dea che sostengono la vita.

Un mondo che si disintegra

Si può dire che la caduta di Creta, circa tremila anni fa, segni
la fine di un'era. È una fine che, come abbiamo visto, iniziò mil-
lenni prima. A cominciare dall'Europa, pressappoco tra il 4300
e il 4200 a.C., il mondo antico fu sconvolto da ondate successive
di invasioni barbariche. Dopo il periodo iniziale di distruzione e
caos, gradualmente emersero le società che vengono celebrate
nei nostri libri di testo dei licei e delle università come caposti-
piti della civiltà occidentale.
Ma, in questo inizio fulgido e grandioso, si celava l'incrina-
tura che si sarebbe allargata nella più pericolosa voragine del
nostro tempo. Dopo millenni di progresso della nostra evoluzio-
ne tecnologica, sociale e culturale, stava verificandosi una spac-
catura funesta. Come le profonde fratture lasciate dai violenti
sommovimenti della terra di quel periodo, il divario tra la nostra
evoluzione sociale e tecnologica e quella culturale si sarebbe
esteso costantemente. Si riavviò il movimento tecnologico e so-
ciale verso una maggiore complessità strutturale e funzionale.
Ma le possibilità di sviluppo culturale erano ormai destinate a
esaurirsi - rigidamente ingabbiate in una società di tipo domina-
tore.50
La società stava ormai diventando dappertutto a dominio ma-
Un cupo ordine dal caos: dal Calice alla Spada 127

schile, gerarchica, guerriera. In Anatolia, dove la gente di çatal


Hiiyiik aveva vissuto in pace per migliaia di anni, subentrarono
gli Ittiti, un popolo indoeuropeo menzionato nella Bibbia. E no-
nostante i loro resti archeologici, come il grande santuario di
Yazilikaya, mostrino che la Dea era ancora venerata, essa veniva
sempre più relegata alla condizione di moglie o madre di nuovi
dèi maschili della guerra e del tuono. La situazione era simile in
Europa, Mesopotamia e a Canaan. Non solo la Dea non aveva
più la supremazia, essa veniva addirittura trasformata in una pa-
trona della guerra.
Alla gente che viveva in quest'epoca terrificante, sarà davve-
ro sembrato che il cielo stesso, una volta considerato dimora di
una Dea generosa, fosse caduto nelle mani di forze soprannatu-
rali disumane, alleate ai loro brutali rappresentanti sulla terra.
Non solo dappertutto stavano diventando normali il dominio di-
spotico «sancito divinamente» e la bellicosità; ci sono anche di-
verse prove che il periodo dal 1500 al 1100 a.C. fu contraddi-
stinto da un intenso caos fisico oltre che culturale.
Fu durante questo periodo che una serie di violente eruzioni
vulcaniche, terremoti e maremoti devastò il mondo mediterra-
neo. L'ambiente fisico venne sconvolto e rimodellato così
profondamente da giustificare la leggenda di Atlantide, un inte-
ro continente che si inabissa nel corso di un disastro naturale in-
concepibilmente esteso e devastante.
A questi terrori naturali si aggiunsero quelli causati dall'uo-
mo. Dal Nord i Dori si stavano spingendo sempre più nel cuore
dell'Europa. Alla fine la Grecia e Creta caddero sotto il furibon-
do attacco delle loro armi di ferro. In Anatolia il bellicoso impe-
ro ittita crollò sotto la pressione dei nuovi invasori. Questo mo-
vimento a sua volta spinse gli Ittiti verso sud, in Siria. In questo
periodo i popoli scacciati dalle loro sedi, tra cui i Filistei citati
nei racconti biblici, invasero dalla terra e dal mare i territori del
Levante.
Più a sud l'Assiria era divenuta in poco tempo una potenza
mondiale, e comprendeva la Frigia, la Siria, la Fenicia e, a est,
128 Riane Eisler

l'Anatolia e i monti Zagros. Ancora oggi ci si può rendere conto


del loro grado di barbarie, nei bassorilievi che commemorano le
prodezze «eroiche» di un tardo re assiro, Tiglathpileser. Essi
raffigurano quelli che si direbbero abitanti d'intere città, infilza-
ti vivi su pali che li trapassano dall'inguine alle spalle.
Ci furono ripercussioni anche in una regione meridionale co-
me l'Egitto, quando gli invasori chiamati nei geroglifici il Popo-
lo Venuto dal Mare (che molti studiosi ritengono possano essere
esuli del Mediterraneo), cercarono di conquistare il delta del Ni-
lo agli inizi dell'XI secolo a.e. Furono sconfitti da Ramsete III,
ma possiamo vederli ancor oggi raffigurati nei dipinti murali del
suo tempio funerario a Tebe, dove sciamano accanto a noi su na-
vi, carrozze e a piedi, con famiglie e carri tirati da buoi.
A Canaan, le tribù ebree, ormai unificate sotto il regno dei
guerrieri-sacerdoti leviti, iniziarono una serie di guerre di con-
quista, secondo gli studiosi in tre ondate migratorie. 51 Come
possiamo ancora leggere nella Bibbia, nonostante le promesse
di vittoria del loro dio della guerra Geova, ci vollero centinaia
d'anni per piegare la resistenza canaanita, il che nella Bibbia
viene variamente spiegato come un decreto di Dio per imprati-
chire il suo popolo nella guerra, per metterlo alla prova e punir-
lo, o per evitare la desolazione di vaste aree coltivate fino a che
il numero degli invasori fosse sufficientemente cresciuto. 52 E
sempre nella Bibbia possiamo leggere, per esempio in Deutero-
nomio, 3 :3-6, che la pratica di questi invasori «ispirati da Dio»
era di «distruggere totalmente uomini, donne e bambini di ogni
città».
In tutto il mondo antico i popoli lottavano tra di loro, proprio
come gli uomini si misuravano con le donne e i propri simili.
Masse di esuli vagabondavano in lungo e in largo per questo
mondo in disgregazione, abbandonando la loro patria e cercan-
do disperatamente un rifugio, un luogo sicuro dove andare.
Ma nel loro mondo nuovo non era rimasto nulla di simile.
Era ormai un mondo su cui regnavano dèi e uomini di guerra,
dopo che la Dea e la metà femminile dell'umanità erano state
Un cupo ordine dal caos: dal Calice alla Spada 129

private con la forza di ogni potere. Era un mondo in cui da lì in


poi avrebbe prevalso la Spada e non il Calice, in cui pace e ar-
monia si sarebbero potute trovare solamente nei miti e nelle leg-
gende di un passato per molto tempo perduto.

Note

1. James Mellaart, çatal Hiiyiik, McGraw-Hill, New York 1967, p. 67.


2. lbid., p. 225: «Sembra che la popolazione di çatal Hiiyiik appartenesse
a due razze distinte».
3. Quindi, in netto contrasto con le successive residenze sacerdotali intor-
no ai templi monumentali, a çatal Hiiyiik i tempietti (in cui vivevano sacerdo-
tesse e sacerdoti), erano frammischiati alle abitazioni della gente, e, anche se
talvolta di dimensioni maggiori, avevano la stessa pianta delle altre residenze
(ibid., cap. 6). Analogamente, a Creta non esistono templi monumentali dedi-
cati alle divinità punitive e dure del tuono e della guerra, amministrati da una
casta sacerdotale maschile, al servizio di onnipotenti sovrani maschi.
4. Un libro a seguire indagherà questo problema, e le numerose teorie su-
gli inizi del dominio maschile.
5. J. Mellaart, The Neolithic of the Near East, Scribner, New York 1975,
p. 280.
6. lbid., pp. 275-6.
7. Marija Gimbutas, «The First Wave of Eurasian Steppe Pastoralists into
Copper Age Europe», in Journal of lndo-European Studies, inverno 1977, n.
5, p. 277. Le date relative alla prima ondata kurgan sono state riviste in segui-
to a un colloquio privato con la Gimbutas del 1986.
8. Gli studiosi moderni non usano più il termine indoeuropeo per indica-
re un'identità razziale. Indoeuropeo si riferisce a un gruppo di lingue dello
stesso ceppo, diffuso dalle isole britanniche alla baia del Bengala. Le più re-
centi ricerche sul campo degli antropologi fisici, dimostrano che i cosiddetti
Indoeuropei avevano origini razziali differenti. La consuetudine iniziale degli
studiosi europei di fine Ottocento e del Novecento di usare il termine per indi-
care sia la razza che il linguaggio faceva parte di un'ideologia diffusa, che cer-
cava di classificare il mondo secondo la razza, attribuendo grande valore alla
purezza razziale. Secondo costoro il sistema castale indù era una conferma a
queste teorie. Si veda Louis Fisher, The Life of Mahatma Gandhi, Harper &
Brothers, New York 1950, pp. 138-41, per una interessante discussione sulla
cultura precedente.
9. Si veda, per esempio, J. Mellaart, The Chalcolithic and Early Bronze
Ages in the Near East and Anatolia, Khayats, Beirut 1966.
10. Si veda, per esempio, Cyrus Gordon, Common Background of Greek
and Hebrew Civilization, Norton, New York 1965; Merlin Stone, When God
Was a Woman, Harcourt Brace Jovanovich, New York 1976.
130 Riane Eisler

11. Friedrich Engels, L'origine della famiglia, della proprietà privata e


dello Stato, trad. it. Editori Riuniti, Roma 2005.
12. Il film di Kubrik 2001: Odissea nello Spazio e il libro di Robert Ar-
drey, African Genesis, Atheneum, New York 1961 (trad. it. L'istinto di uccide-
re, Feltrinelli, Milano 1968), sono esempi di opere popolari che identificano
gli albori della coscienza umana con la scoperta del modo di usare gli attrezzi
per uccidere. Per un'idea affatto differente si veda, per esempio, Richard
Leakey e Roger Lewin, People of the Lake, Doubleday Anchor, New York
1978 (trad. it. Il popolo del lago. L'umanità e i suoi dintorni, Rusconi, Milano
1980), che si basa in gran parte sull'attento studio della famiglia Leakey dei
loro famosi ritrovamenti di resti fossili dei nostri antenati nella Rift Valley, in
Africa.
13. Si veda Marija Gimbutas, «The Beginning of the Bronze Age in Euro-
pe and the Indo-Europeans: 3500-2500 a.C.», in Journal of Jndo-European
Studies, 1973, n. l, p. 166.
14. Jbid., p. 168.
15. F. Engels, op. cit.
16. M. Gimbutas, «Tue beginning of the Bronze Age ... », cit., pp. 174-5.
17. lbid., si veda anche M. Gimbutas, «Tue First Wave of Eurasian Steppe
Pastoralists ... », cit.
18. M. Gimbutas, «Tue beginning of the Bronze Age ... », cit., p. 166.
19. Un tempo evolutivo relativamente breve può sembrare lungo, se lo si
misura secondo i nostri parametri consueti. Comunque, il punto fondamentale
è che il mutamento non è necessariamente graduale, né è un movimento unidi-
rezionale verso stadi di sviluppo progressivamente più elevati.
20. Si veda, per esempio, M. Gimbutas, «Tue First Wave of Eurasian Step-
pe Pastoralists ... », cit.
21. lbid.
22. M. Gimbutas, «Tue Beginning of the Bronze Age ... », cit.
23. lbid., p. 202.
24. lbid., p. 202-3.
25. M. Gimbutas, «The First Wave of Asia Steppe Pastoralists ... », cit., p.
297.
26. lbid., p. 302.
27. Jbid., pp. 294, 302.
28. lbid., pp. 302, 293, 285.
29. lbid., pp. 304-5.
30. lbid., pp. 284-5.
31. lbid., p. 297.
32. lbid., p. 281.
33. lbid., p. 285. M. Gimbutas, «Tue Beginning of the Bronze Age ... », cit.,
p. 177.
34. V. Gordon Childe, The Dawn of European Civilization, Alfred Knopf,
New York 1958, 6a ed., p. 109.
35. lbid., p. 119.
36. lbid, pp. 119, 123.
Un cupo ordine dal caos: dal Calice alla Spada 131

37. M. Gimbutas, «Tue First Wave of Eurasian Steppe Pastoralists ... », cit.,
p. 289.
38. lbid., pp. 288, 290
39. lbid., p. 292.
40. lbid., p. 294.
41. Jacquetta Hawkes, Dawn of the Gods: Minoan and Mycenaean Ori-
gins ofGreece, Random House, New York 1968, p. 186.
42. Si veda, per esempio, Nicolas Platon, Crete, Nagel Publishers, Ginevra
1966, pp. 198-203, per una trattazione di alcune delle controversie accademi-
che sulla fine della civiltà minoica, nonché sul declino generalizzato del livel-
lo artistico e culturale durante la fase micenea.
43. J. Hawkes, op. cit., p. 233.
44. lbid, p. 235.
45. lbid., p. 236.
46. lbid., p. 241.
47. lbid.
48. N. Platon, op. cit., p. 202.
49. Omero, Odissea.
50. Ovviamente, il movimento verso una maggiore complessità sociale e
tecnologica non equivale al movimento verso una tecnologia e una società che
migliorino la condizione umana. Un secondo libro (Riane Eisler e David
Loye, Breaking Free) analizzerà dettagliatamente il rapporto tra evoluzione
sociale, tecnologica e culturale.
51. Dartmouth Bible, commento di Roy Chamberlain e Herman Feldman,
con la supervisione di un comitato consultivo di biblisti, Houghton Mifflin,
Boston 1950, pp. 78-9.
52. Giudici, 3:2, Giosuè, 23:13, Esodo, 23:29. Si veda anche il commento
dei biblisti nella Dartmouth Bible, cit., pp. 187-8.
5
Ricordi di un'età perduta:
l'eredità della Dea

La caduta dell'Impero romano, il Medioevo, la peste, la pri-


ma e la seconda guerra mondiale, qualsiasi periodo di caos ap-
parente che conosciamo, non è nulla a confronto di quanto avve-
ne in un'epoca di cui finora si sapeva ben poco: il bivio
evolutivo della nostra preistoria, quando la società umana subì
una violenta trasformazione. Oggi, migliaia d'anni dopo, men-
tre ci avviciniamo alla possibilità di una seconda trasformazio-
ne, questa volta da una società dominatore a una versione più
evoluta di società mutuale, dobbiamo capire quanto più possibi-
le di questo periodo sorprendente del nostro passato perduto. In-
fatti in questo secondo bivio evolutivo, quando ormai possedia-
mo tecnologie di distruzione totale, che un tempo venivano
attribuite a Dio soltanto, potrebbe essere addirittura in gioco la
sopravvivenza stessa della nostra specie.
Tuttavia, nonostante l'autorevolezza delle nuove ricerche e
della nuova archeologia, nonostante il contributo della sociolo-
gia, questa mole davvero ingente di nuove conoscenze su mil-
lenni di storia umana contraddice a tal punto tutto quanto ci è
stato insegnato, che sulle nostre menti essa s'imprime come un
messaggio scritto sulla sabbia. La nuova conoscenza può resi-
stere per un giorno, o forse per una settimana. Ma implacabil-
mente la forza di un insegnamento di secoli lavora per scalzarla,
finché quel che rimane è soltanto la fugace impressione di un'e-
134 Riane Eisler

poca di grande eccitazione e speranza. Soltanto con l'ausilio di


altre fonti - più o meno consuete - possiamo sperare di trattene-
re questa conoscenza abbastanza a lungo per farla nostra.

Evoluzione e trasformazione

Un aiuto, come abbiamo visto, ci viene dalle nuove scoperte


scientifiche sulla stabilità e il mutamento dei sistemi. Questo re-
cente corpo di conoscenze, solitamente conosciuto come «nuo-
va fisica», e a volte detto anche teoria della «autoorganizzazio-
ne» o del «caos», per la prima volta fornisce una struttura
adeguata per iniziare a comprendere cosa ci è successo durante
la preistoria, e cosa, in un'altra direzione, oggi può capitarci di
nuovo.
Alla luce di questa nuova struttura concettuale, integrandola
alla teoria della Trasformazione Culturale, abbiamo esaminato
due aspetti delle dinamiche sociali. Il primo riguarda la stabilità
sociale, come per migliaia di anni ci furono società strutturate in
maniera diversa, rispetto al modello di organizzazione dei siste-
mi umani che ci è stato insegnato. Il secondo concerne il modo
in cui nei sistemi sociali, come in ogni altro sistema, si può at-
tuare, e si attua, un mutamento fondamentale.
Nel capitolo precedente abbiamo osservato le dinamiche del
primo grande mutamento sociale della nostra evoluzione cultu-
rale: come, dopo un periodo di squilibrio dei sistemi, o caos, ci
fu un punto critico di biforcazione, da cui emerse un sistema so-
ciale totalmente differente. Tutto ciò che riusciamo a scoprire su
questa prima trasformazione dei sistemi, facendoci capire ciò
che avviene durante i periodi di trasformazione sostanziale, o
«caos», ci illumina non solo sul nostro passato, ma anche sul
nostro presente e sul nostro futuro.
Ci si potrebbe tuttavia chiedere se il passaggio da una società
mutuale a una società dominatore ci ha condotto a un periodo
successivo della nostra storia, ciò non significherà che il sistema
Ricordi di un'età perduta: l'eredità della Dea 135

dominatore è, in fin dei conti, un passo avanti nell'evoluzione?


Qui ritorniamo a due punti cui abbiamo accennato nell'Introdu-
zione. Il primo è l'uso disorientante del termine evoluzione in
maniera sia descrittiva che normativa, sia come parola per de-
scrivere ciò che è accaduto nel passato, che come espressione
per indicare il movimento da livelli «più bassi» a livelli «più al-
ti» (con il giudizio implicito che ciò che viene dopo deve essere
migliore). Il secondo punto è che neanche la nostra evoluzione
tecnologica è stata un movimento di crescita lineare, ma piutto-
sto un processo interrotto da massicci regressi.
Ritorniamo anche su un altro punto, ugualmente importante:
la differenza essenziale tra evoluzione biologica e culturale. L'e-
voluzione biologica implica quella che gli scienziati chiamano
speciazione: l'apparizione di una gran varietà di forme di vita
progressivamente sempre più complesse. Invece l'evoluzione
culturale riguarda lo sviluppo di una specie altamente comples-
sa, la nostra, con due forme differenti: quella maschile e quella
femminile.
Come abbiamo visto, questo dimorfismo, la differenza di
forma dell'essere umano, restringe fortemente le nostre possibi-
lità di organizzazione sociale, che possono fondarsi o su di una
gerarchizzazione o su di un'unione delle due metà dell'umanità.
La differenza critica che si deve ancora una volta sottolineare è
che ciascuno dei due modelli che ne derivano ha un tipo pecu-
liare di evoluzione sociale e tecnologica. Di conseguenza I' indi-
rizzo della nostra evoluzione culturale, in particolare se essa
sarà pacifica o bellicosa, dipende da quale di questi due possibi-
li modelli guiderà l'evoluzione.
La nostra evoluzione sociale ed economica può passare e,
come abbiamo visto, è passata da livelli più semplici a livelli più
complessi, prima in una società mutuale e poi in una società do-
minatore. Tuttavia la nostra evoluzione culturale, che determina
gli usi che facciamo di una maggiore complessità sociale e tec-
nologica, è radicalmente diversa per ciascun modello. A sua
136 Riane Eisler

volta l'indirizzo dell'evoluzione culturale influenza profonda-


mente quello della nostra evoluzione sociale e tecnologica.
L'esempio più ovvio è la tecnologia. Sotto la guida culturale
del paradigma mutuale si dava importanza alle tecnologie volte
a scopi pacifici. Ma con il sorgere del paradigma dominatore, ci
fu un cambiamento diffuso verso uno sviluppo delle tecnologie
di distruzione e dominio, sviluppatosi costantemente nel corso
dei secoli, fino alla nostra epoca, in cui si rischia l'estinzione.
Siccome non siamo abituati a considerare la storia nei termi-
ni di un paradigma mutuale o dominatore della società, che con-
diziona il nostro passato, presente e futuro, è per noi difficile
comprendere il profondo effetto che questi due modelli hanno
avuto sulla nostra evoluzione culturale. Per questo è così impor-
tante un'altra fonte che conferma il mutamento, avvenuto circa
cinquemila anni fa, del nostro indirizzo culturale. A differenza
della teoria del «caos», questa seconda fonte non è affatto nuo-
va. In effetti è una cosa che conosciamo già, è da lungo tempo
radicata nelle nostre menti: è il magazzino della mitologia sacra,
secolare e scientifica della civiltà occidentale, che solo ora sem-
bra in grado di svelare la realtà di un passato antico e migliore.

La stirpe dell'oro e la leggenda di Atlantide

L'antico poeta Esiodo, che scriveva verso la fine del periodo


che gli storici occidentali chiamano i «secoli bui» della Grecia (i
tre o quattrocento anni che seguono le invasioni doriche), ci rac-
conta che un tempo esisteva una «stirpe dell'oro». «Possedeva-
no ogni bene», scrive Esiodo, «la terra feconda profondeva
spontaneamente i suoi frutti in sconfinata profusione. In serena
tranquillità custodivano i loro terreni pieni d'abbondanza, ricchi
d'armenti e cari agli dèi». 1
Ma dopo questa razza, che Esiodo definisce «puri spiriti» e
«difensori dal male», arrivò una inferiore «stirpe dell'argento»,
che a sua volta venne sostituita da «una stirpe del bronzo, per
Ricordi di un'età perduta: l'eredità della Dea 137

nulla simile a quella dell'argento, spaventosa e potente, nata da


tronchi di frassino». Esiodo prosegue spiegando che questo po-
polo, che ovviamente noi ora identifichiamo con gli Achei del-
1'Età del Bronzo, portò con sé la guerra. «Loro massima cura
erano le deplorate ed empie attività d' Ares.» A differenza dei
due precedenti popoli, essi non erano agricoltori pacifici, «non
si nutrivan di grano, avean cuori di pietra, duri ed indomiti». 2
Commentando la terza «stirpe d'uomini>> di Esiodo, lo stori-
co fohn Mansley Robinson scrive: «Sappiamo chi erano questi
uomini. Giunsero dal Nord, nel 2000 a.C. circa, portando armi
in bronzo. Invasero l'entroterra, costruirono le grandi fortezze
micenee, e lasciarono i documenti in lineare B, oggi identificati
come una forma arcaica di greco[ ... ] possiamo tracciare l'esten-
sione del loro dominio, a sud fino a Creta e a est fino alle coste
dell'Asia Minore, dove saccheggiarono la città di Troia verso
l'inizio del XII secolo a.C.».'
Ma per Esiodo i discendenti micenei degli Achei e i popoli
da loro sottomessi erano una quarta «stirpe» a parte. «Essa era
più giusta e nobile della precedente», scrive Esiodo. 4 Come
Omero, egli idealizza questo popolo, che aveva perso un po'
della sua rozzezza, adottando molti dei costumi più civili degli
Antichi Europei.
Ma all'orizzonte storico dell'Europa si profilava una «quinta
stirpe d'uomini». Era il popolo che all'epoca di Esiodo regnava
ancora sulla Grecia, e da cui Esiodo stesso discendeva. «Non
avessi mai avuto nulla a che fare con questa quinta stirpe d'uo-
mini!», seri ve il poeta. «Fossi morto prima, o nato dopo!» Poi-
ché ora «l'uomo saccheggia le città altrui [... ] il diritto dipen-
derà dalla forza, e la pietà cesserà d'esistere». 5 Come nota
Robinson, questa «quinta stirpe» era quella dei Dori, che «con
le loro armi di ferro distrussero le roccaforti micenee e si prese-
ro la terra». 6
Gli studiosi generalmente riconoscono la storicità delle stirpi
del bronzo e del ferro di Esiodo, che corrispondono agli invaso-
ri indoeuropei Achei e Dori. Ma la descrizione che fa Esiodo di
138 Riane Eisler

una «età dell'oro» di agricoltori pacifici, che non adoravano an-


cora Ares, il dio della guerra, è sempre stata considerata poco
più che una fantasia.
Per un lungo periodo la stessa sorte toccò al mito greco pro-
babilmente più conosciuto, su di un'epoca remota e migliore: la
leggenda di Atlantide, ove, secondo Platone, un tempo fiorì una
grande e nobile civiltà, che venne inghiottita dal mare.
Secondo Platone la civiltà scomparsa d'Atlantide era sorta
nell'Oceano Atlantico; probabilmente il filosofo si basava su
informatori egiziani di Solone, i quali sostenevano che Atlantide
si trovava nel «lontano Occidente» e la facevano inoltre risalire
a un'epoca molto posteriore. Tuttavia, come scrive J.V. Luce
nella Fine di Atlantide, alcuni elementi dell'Atlantide di Platone
sono uno «schizzo sorprendentemente accurato dell'impero mi-
noico nel XVI secolo a.C.». 7 O, come scrive l'archeologo greco
Nicolas Platon, «la leggenda dell'inabissamento di Atlantide di
cui parla Platone si può riferire alla storia di Creta minoica e al-
la sua improvvisa distruzione». Infatti, secondo Platone, Atlan-
tide viene distrutta da «violenti terremoti e inondazioni», pro-
prio come oggi gli studiosi pensano sia successo alla civiltà
minoica, che in questo modo ricevette il colpo di grazia che per-
mise agli Achei di conquistare Creta e gli insediamenti minoici
in Grecia. 8
Questa teoria venne avanzata per la prima volta nel 1939 dal
professor Spyridon Marinatos, direttore del Servizio archeologi-
co greco. In tempi più recenti essa è stata avvalorata dalla prova
geologica di una serie di eruzioni vulcaniche, avvenute nel Me-
diterraneo nel 1450 a.C., talmente violente da causare il frana-
mento in mare di una parte dell'isola di Thera (che ora è una
sottile striscia di terra chiamata Santorini). Queste eruzioni cau-
sarono anche enormi terremoti e maremoti. L'esistenza e la gra-
vità di questi disastri naturali, che sembra siano all'origine dei
ricordi popolari del continente sommerso che Platone chiamò
Atlantide, è anche confermata dagli scavi archeologici a Thera e
a Creta. Su quest'ultima ci sono tracce di un danno provocato da
Ricordi di un'età perduta: l'eredità della Dea 139

un violento terremoto e segni di una massiccia distruzione co-


stiera, causata da maremoti verificatisi nello stesso periodo. 9
Come dice Luce, sembra che «i maremoti fossero il vero 'to-
ro dal mare' inviato per affliggere i sovrani di Cnosso» . 10 E sem-
bra anche che la storia di Atlantide sia effettivamente il ricordo
popolare confuso, non di un continente atlantico perduto, ma
della civiltà minoica di Creta. 11

Il giardino dell'Eden e le tavolette di Sumer

Un'epoca remota in cui gli esseri umani vivevano in maggio-


re armonia è un tema ricorrente anche nelle leggende della Me-
sopotamia. In esse si trovano frequenti allusioni a un periodo di
pace e abbondanza, prima di un grande diluvio, in cui uomini e
donne vivevano in un giardino idillico. Sono i racconti da cui i
biblisti ritengono derivi in parte il mito del Paradiso terrestre de-
scritto nell'Antico Testamento.
Vista alla luce delle testimonianze archeologiche che abbia-
mo preso in esame, la storia del Paradiso terrestre si basa chiara-
mente su ricordi popolari. Il giardino dell'Eden è una descrizio-
ne allegorica del Neolitico, di quando uomo e donna coltivarono
il suolo per la prima volta, creando così il primo «giardino». La
storia di Caino e Abele riflette in parte lo scontro reale tra un
popolo dedito alla pastorizia (simboleggiato dall'offerta di Abe-
le della sua pecora uccisa) e uno dedito ali' agricoltura (simbo-
leggiato dall'offerta di Caino dei «frutti della terra», rifiutati dal
dio dei pastori, Geova). Analogamente, i miti del giardino del-
l'Eden e della caduta dal Paradiso attingono da avvenimenti sto-
rici reali. Come vedremo più in dettaglio nei prossimi capitoli,
queste storie riflettono il catastrofico cambiamento culturale che
abbiamo preso in esame: l'imposizione del dominio maschile e
il conseguente passaggio da pace e collaborazione a dominazio-
ne e conflitto.
Nelle leggende della Mesopotamia si trovano anche frequen-
140 Riane Eisler

ti riferimenti a una Dea, divinità suprema: la «Regina del Cie-


lo», un appellativo che si trova in seguito anche nell'Antico Te-
stamento, seppure in un contesto di profeti che inveiscono con-
tro il risorgere di antichi credi religiosi. In effetti, le prime
iscrizioni mesopotamiche abbondano di riferimenti alla Dea.
Una preghiera sumera esalta la gloriosa Regina Nana (un nome
della Dea), definendola «la Regina Possente, la Creatrice».
Un'altra tavoletta descrive la Dea Nammu come «Madre che fe-
ce nascere il cielo e la terra». 12 Sia nelle leggende sumere che in
quelle babilonesi successive, esistono racconti di come la Dea
creò uomini e donne simultaneamente, in coppie, 13 storie che, in
una società ormai dominata dal maschio, sembravano riportare
indietro, in un'epoca in cui le donne non erano considerate infe-
riori all'uomo.
Da altre tavolette si può dedurre che in questa regione, per
tanto tempo considerata la culla della civiltà, in un'epoca prece-
dente la successione era matrilineare, e le donne non erano an-
cora sottomesse al maschio. Per esempio, ancora nel 2000 a.C.,
in un documento legale di Elam (una città-Stato poco più a est
di Sumer) si legge che una donna sposata, rifiutando di fare te-
stamento a favore del marito, lasciò il suo intero patrimonio alla
figlia. Sempre qui si scopre che solo in periodi successivi la dea
di Elam fu conosciuta come «Grande Moglie», e venne relegata
a una posizione secondaria rispetto a quella del marito Hum-
bam. Persino nella successiva Babilonia, già rigidamente a do-
minio maschile, ci sono prove documentali che alcune donne
continuavano a conservare e ad amministrare il proprio patrimo-
nio, soprattutto le sacerdotesse, che si dedicavano intensamente
anche al commercio. 14
Inoltre, come scrive il professor H.W.F. Saggs, «da principio
la Dea occupava una posizione importante nella religione sume-
ra; in seguito essa scomparve quasi del tutto, se non, con l'ecce-
zione di Ishtar, come consorte di alcuni dèi». Ciò avvalora la
conclusione che, sempre secondo Saggs, «nelle prime città-Stato
sumere la condizione delle donne era certamente più elevata di
Ricordi di un'età perduta: l'eredità della Dea 141

quanto lo sarebbe stata in seguito». 15 Tombe come quella della


regina Shub-Ad della Prima Dinastia di Ur indicano che nei ter-
ritori della Mezzaluna Fertile vi fu un'epoca precedente a quella
in cui il dominio dell'uomo e la supremazia di divinità maschili
terrificanti e armate divennero la norma. Qui infatti, anche se gli
archeologi sostengono che la tomba vicina, che contiene uno
scheletro maschile, era quella del re, è scolpito solo il nome della
regina. E il suo sepolcro è quello più ricco e sfarzoso. 16 Analoga-
mente, sebbene le storie sumere parlino dei «regni» di Lugalanda
e Urukagina, e citino le loro mogli Baranamtarra e Shagshag so-
lo di sfuggita, dando un'occhiata ai documenti ufficiali si scopre
che in realtà questi erano intestati con i nomi delle due regine. 17
Ciò fa dubitare del fatto che queste donne fossero semplici «con-
sorti» sotto la potestà e il dominio dell'uomo.
È un dubbio che sorge anche se studiamo accuratamente il
testo delle cosiddette riforme sumere di Urukagina, che risalgo-
no circa al 2300 a.C. In esse leggiamo come da lì innanzi gli al-
beri da frutto e il cibo coltivato nelle terre del tempio avrebbero
dovuto essere usati per i bisognosi, anziché, com'era diventata
consuetudine, soltanto per i sacerdoti, una pratica che riporta al-
le abitudini di epoche precedenti. Ma non solo queste riforme
ebbero luogo in un periodo in cui le regine esercitavano ancora
( o nuovamente) il potere; come fa notare la storica dell'arte
Merlin Stone, ciò indica anche che le prime società di Sumer
erano meno gerarchiche, con un orientamento più comunitario. 18
Inoltre, il testo ci rivela che le leggi e le consuetudini più
umane, come l'obbligo da parte della comunità di aiutare i più
bisognosi, probabilmente risalgono all'epoca delle società mu-
tuali, e che da questo punto di vista le riforme di Urukagina non
facevano che riaffermare i precetti morali ed etici di quel prece-
dente periodo. Come fa notare la Stone, questa conclusione vie-
ne confermata dalla parola usata per definire le suddette rifor-
me. Esse vengono chiamate amargi, parola che in sumero ha il
doppio significato di «libertà» e di «ritorno alla madre». Ciò
evoca ulteriormente il ricordo di un periodo precedente e meno
142 Riane Eisler

oppressivo, in cui le donne come capi clan o regine esercitavano


ancora il potere come responsabilità e non come mezzo di con-
trollo autocratico. 19
Sempre dalle tavolette sumere apprendiamo che la dea Nan-
she di Lagash era adorata come «Colei che conosce l'orfano,
conosce la vedova, cerca giustizia per il povero e rifugio per il
debole». 20 Nel giorno di Capodanno era lei che giudicava l'uma-
nità intera. E sulle tavolette della vicina Erech, leggiamo che la
dea Nidaba era conosciuta come «La Sapiente della Camera Sa-
cra, Colei che insegna i decreti». 21 Questi antichi nomi della Dea
come apportatrice di Legge, Giustizia, Pietà, e come Giudice
Supremo, sembra indicassero l'esistenza di una sorta di codice
di leggi, e forse persino di un sistema giudiziario di una certa
complessità, in virtù del quale forse le sacerdotesse sumere che
servivano la Dea giudicavano le controversie e amministravano
la giustizia.
Nelle tavolette mesopotamiche apprendiamo inoltre come la
dea Ninlil fosse venerata per avere dato alla sua gente la cono-
scenza dei metodi di coltura e di raccolto. 22 Esiste anche una
prova linguistica che illustra le origini dell'agricoltura. Le paro-
le che si trovano nei testi sumeri per agricoltore, aratro e solco
non sono sumere. Né lo sono quelle che significano tessitore,
pellettiere, canestraio, fabbro, muratore e vasaio. Questo sembra
indicare che invasori successivi assorbirono queste tecnologie
fondamentali della civiltà dai popoli autoctoni che adoravano la
Dea, il cui linguaggio è altrimenti scomparso. 23

I doni della civiltà

È opinione diffusa che i fatti di sangue avvenuti fin dai tempi


dei Sumeri e degli Assiri siano stati soltanto uno stadio malau-
gurato ma inevitabile del progresso tecnologico e culturale. Lo-
gicamente, se i «selvaggi» che esistevano prima delle nostre ci-
viltà «più antiche» fossero stati pacifici, mancando di una
Ricordi di un'età perduta: l'eredità della Dea 143

motivazione adeguata, non avrebbero prodotto praticamente al-


cun valore duraturo. Infatti, come sosterrebbero «l'uomo della
strada» e i teorici del Pentagono, la guerra è stata lo sprone ne-
cessario per incentivare ogni progresso tecnologico e, di conse-
guenza, culturale. Tuttavia, i dati che stiamo esaminando, insie-
me a molti altri miti e leggende, ci rivelano la stessa verità degli
scavi archeologici. Vale a dire: uno dei segreti meglio conserva-
ti della storia è che praticamente tutte le tecnologie sociali e ma-
teriali fondamentali per la civiltà sono state sviluppate prima
dell'imposizione di una società dominatore.
I princìpi della produzione alimentare, e anche la tecnologia
della costruzione, dei contenitori e dell'abbigliamento, erano
già conosciuti dai popoli del Neolitico che adoravano la Dea. 24 E
lo stesso vale per l'uso industriale sempre più sofisticato di ri-
sorse naturali come legno, fibre, cuoio, e, successivamente, dei
metalli. Analogamente le nostre principali tecnologie non-mate-
riali, come leggi, governo e religione, risalgono a quella che,
prendendo a prestito il termine Antica Europa della Gimbutas,
potremmo chiamare Antica Società. 25 Il commercio, sia su terra
che per mare, è un altro lascito di questa epoca remota. 26 E si
può dire altrettanto dell'amministrazione, dell'educazione e
persino della previsione del futuro. Infatti le sacerdotesse della
Dea sono la prima manifestazione di un potere oracolare o pro-
fetico. 27
La religione sostiene e perpetua l'organizzazione sociale che
riflette. In molti degli antichi testi religiosi pervenutici, è la Dea,
non una delle divinità maschili all'epoca già dominanti, a venire
identificata come colei che dà alla gente i «doni della civiltà». 28 I
miti che attribuiscono le nostre maggiori invenzioni materiali e
spirituali a una divinità femminile possono dunque riflettere una
loro reale invenzione da parte delle donne. 29
Questa ipotesi risulta quasi inconcepibile secondo il modello
prevalente. Esso infatti dipinge la donna come inferiore e subor-
dinata all'uomo, e non solo intellettualmente ma, secondo la
144 Riane Eisler

Bibbia, così sottosviluppata spiritualmente rispetto a lui, da es-


sere la causa della nostra caduta nel peccato.
Ma nelle società che concettualizzavano il potere supremo
dell'universo in una Dea, venerata come fonte giusta e saggia di
tutti i nostri doni materiali e spirituali, le donne avrebbero avuto
la tendenza a interiorizzare un'immagine di sé del tutto differen-
te. Con un modello di ruolo così potente avrebbero potuto rite-
nere loro diritto e dovere la partecipazione attiva e la direzione
dello sviluppo e dello sfruttamento delle tecnologie materiali e
spirituali. Avrebbero potuto considerarsi competenti e indipen-
denti, e sicuramente creative e inventive. Ci sono infatti prove
sempre più evidenti di una partecipazione e di una guida femmi-
nile nello sviluppo e nella amministrazione delle tecnologie,
materiali e non, su cui in seguito andò a sovrapporsi un ordina-
mento dominatore.
Risalendo fino ai tempi in cui i nostri predecessori primati
cominciarono a trasformarsi in esseri umani, gli studiosi stanno
iniziando a ricostruire una visione molto più equilibrata della
nostra evoluzione, una visione in cui le donne, e non solo gli uo-
mini, svolgono un ruolo centrale. Secondo il vecchio modello
evolutivo, basato sull' «uomo cacciatore», gli inizi della società
umana sono dovuti al «vincolo maschile» necessario per la cac-
cia. Esso vuole anche che i nostri primi attrezzi fossero svilup-
pati dagli uomini per uccidere le loro prede, e anche per uccide-
re altri esseri umani nemici o più deboli. Oggi scienziate come
Nancy Tanner, Jane Lancaster, Lila Leibowitz e Adrienne Zihl-
man hanno proposto un modello evolutivo alternativo. 30
Si tratta dell'ipotesi che la posizione eretta, necessaria per
rendere libere le mani, non fosse collegata alla caccia, ma piut-
tosto al passaggio dal foraggiamento (vale a dire, mangiare
mentre si cammina) alla raccolta e al trasporto del cibo, in modo
che questo potesse essere spartito e immagazzinato. Inoltre, lo
stimolo a sviluppare il nostro cervello, molto più grande ed effi-
ciente, e a impiegarlo per fabbricare attrezzi ed elaborare e con-
dividere più efficacemente informazioni, non sarebbe derivato
Ricordi di un'età perduta: l'eredità della Dea 145

da un vincolo tra uomini tenuti a uccidere, ma piuttosto dal le-


game tra madri e figli, che è evidentemente indispensabile se si
vuole che la razza umana sopravviva. Secondo questa teoria, i
primi manufatti fabbricati dall'uomo non erano armi. Si trattava
invece di contenitori per trasportare il cibo (e i bambini piccoli),
e di attrezzi usati dalle madri per ammorbidire gli alimenti vege-
tali destinati ai loro figli, che per sopravvivere avevano bisogno
sia del latte materno che di cibo solido. 31
Questa teoria si concilia meglio con il fatto che i primati, co-
me le tribù più primitive tuttora esistenti, dipendono soprattutto
dalla raccolta e non dalla caccia. È anche più conforme alle pro-
ve che dimostrano che la carne costituiva solo una piccola parte
della dieta degli antichi primati, degli ominidi e dei primi uma-
ni. Viene poi ulteriormente confermata dal fatto che nei primati,
a differenza degli uccelli e di altre specie, sono tipicamente solo
le madri a dividere il cibo con i propri piccoli. Tra i primati si
può anche osservare lo sviluppo dei primi attrezzi, non per ucci-
dere, ma per raccogliere e lavorare il cibo. E, tra gli scimpanzé, i
primati più studiati, notiamo che sono le femmine a usare più
frequentemente questi attrezzi. 32
Dunque, come scrive la Tanner riguardo al periodo ancora
più antico, che pose le basi dell'Antica Società che abbiamo
preso in esame, sembra che il ruolo principale nell'evoluzione
della nostra specie sia stato svolto dalla «donna raccoglitrice» e
non dall' «uomo cacciatore». 33 «I figli che avevano madri suffi-
cientemente intelligenti per trovare, raccogliere, premasticare e
dividere cibo a sufficienza con loro, avevano un vantaggio selet-
tivo», osserva la Tanner. «Tra questi piccoli che sopravvivevano,
i più abili a imparare e a migliorare ulteriormente le tecniche
della madre, e quelli che, come le loro madri, erano disposti a
spartire il cibo, avevano a loro volta i figli con le maggiori pro-
babilità di vivere abbastanza a lungo per riprodursi». 34
«È altamente improbabile», prosegue la studiosa, «che in
questo periodo gli utensili venissero usati per uccidere animali,
poiché le prede erano piccole e indifese, e potevano essere cat-
146 Riane Eisler

turate e uccise con le mani.» Inoltre, è «molto probabile che fos-


sero le donne con prole a sviluppare la nuova tecnologia di rac-
colta», non solo gli attrezzi, ma il bipedismo umano, l'uso indi-
pendente di mani e piedi, che è un requisito indispensabile per
raccogliere anziché foraggiare. Erano le donne ad avere più bi-
sogno delle mani libere, per portare sia il cibo che la prole. 35
È anche più che probabile che le donne abbiano inventato la
più fondamentale di tutte le tecnologie, senza di cui la civiltà
non si sarebbe potuta evolvere: l'addomesticamento di animali e
piante. 36 Infatti, anche se difficilmente se ne parla sui libri e nei
corsi dove s'impara la storia dell' «uomo antico», oggi molti stu-
diosi sono concordi nell'affermare che le cose probabilmente si
svolsero proprio in questo modo. Essi notano che nelle attuali
società di cacciatori-raccoglitori sono tipicamente le donne, e
non gli uomini, a occuparsi della lavorazione del cibo. Le donne
quindi probabilmente devono essere state le prime a piantare dei
semi nel terreno dei loro accampamenti, e a addomesticare gio-
vani animali, nutrendoli e curandoli come facevano con i propri
figli. Gli antropologi rilevano anche che nelle economie preva-
lentemente agricole delle nazioni e delle tribù «in via di svilup-
po», al contrario di quanto presumono gli occidentali, la coltiva-
zione del suolo è fino a oggi prevalentemente affidata alle
donne. 37
Questa conclusione è ulteriormente confermata dai numerosi
miti religiosi antichi che attribuiscono esplicitamente l 'inven-
zione dell'agricoltura alla Dea. Per esempio, nei documenti egi-
ziani la dea Iside viene spesso menzionata come inventrice del-
1' agricoltura. Nelle tavolette mesopotamiche si loda la dea
Ninlil per avere insegnato l'agricoltura alla sua gente. 38 Sia nel-
l'archeologia che nel mito ci sono numerose associazioni impli-
cite tra la Dea e l'agricoltura. Coprono un arco di tempo molto
vasto, che va da çatal Hilyilk, dove nei templi della Dea veniva-
no fatte offerte in granaglie, al periodo greco classico, dove di-
vinità femminili come Demetra ed Era continuavano a ricevere
doni di questo tipo. 39
Ricordi di un'età perduta: l'eredità della Dea 147

Basandosi su di una ricerca approfondita sui miti preistorici,


studiosi come Robert Briffault ed Erich Neumann hanno con-
cluso che anche la ceramica fu inventata dalle donne. Essa veni-
va considerata un'arte sacra, associata al culto della Dea, e allo
stesso tempo, alle donne in genere. Analogamente, la filatura e
la tessitura della stoffa nella maggior parte delle antiche mitolo-
gie vengono associate alle donne e a divinità femminili, che, co-
me le Parche greche, erano ritenute le tessitrici del destino degli
«uomini». 40
Anche in Egitto, in Europa e nella Mezzaluna Fertile si tro-
vano prove che l'associazione della femminilità alla giustizia,
alla saggezza e ali' intelligenza risale a tempi molto remoti.
Maat è la dea egiziana della giustizia. Anche dopo l'imposizio-
ne del dominio maschile, la dea egiziana Iside e quella greca
Demetra continuavano a essere considerate legislatrici e sapien-
ti dispensatrici di saggezza virtuosa, di consiglio e di giustizia.
Documenti archeologici della città mediorientale di Nimrud,
dove veniva adorata Ishtar, ormai trasformata in una divinità
della guerra, mostrano che anche allora alcune donne continua-
vano a servire come giudici e magistrati nei tribunali. Dalle leg-
gende precristiane d'Irlanda apprendiamo anche che i Celti ado-
ravano Cerriwden, dea dell'intelligenza e della conoscenza. 41 Le
Parche e le Muse greche, rispettivamente applicatrici della legge
e ispiratrici di ogni sforzo creativo, sono naturalmente di sesso
femminile. Altrettanto dicasi dell'immagine di Sofia, o Sapien-
za, assai diffusa fino in epoca cristiana medievale, insieme a
quella della Dea come Madonna della Mercede. 42
Esistono anche numerose testimonianze che la spiritualità, e
in particolare la visione spirituale tipica dei saggi veggenti, un
tempo fosse associata alla donna. Dai documenti archeologici
mesopotamici apprendiamo che Ishtar di Babilonia, che succes-
se a Innana, era ancora conosciuta come Signora della Visione,
Colei che dirige l'Oracolo, la profetessa di Kua. Le tavolette ba-
bilonesi contengono molti riferimenti alle sacerdotesse che da-
148 Riane Eisler

vano consigli profetici nei templi di Ishtar, alcuni dei quali sono
importanti testimonianze di eventi politici. 43
Da antichi documenti egiziani sappiamo che l'immagine di
un cobra era il geroglifico che indicava la parola Dea, e che il
cobra era conosciuto come l'Occhio, uzait, un simbolo di veg-
genza mistica e di saggezza. La dea cobra nota come Ua Zit era
la divinità femminile del Basso Egitto (il Nord) in epoca predi-
nastica. In seguito, le dee Hathor e Maat erano ancora conosciu-
te come l'Occhio. L'ureo, un serpente eretto, si trova di frequen-
te sulla fronte dei reali egizi. Inoltre, nella città egiziana di Per
Uto, si trovava un santuario profetico, forse sede di un prece-
dente tempio dedicato alla dea Ua Zit; i Greci chiamavano que-
sta città Buto, nome greco della dea cobra. 44
Anche il celebre tempio oracolare di Delfi si ergeva in un
luogo in precedenza dedicato al culto della Dea. E anche in epo-
ca greca classica, quando subentrò il culto d'Apollo, l'oracolo
continuava a parlare per bocca d'una donna. Era una sacerdotes-
sa chiamata Pizia, che sedeva su di uno sgabello a tre piedi, at-
torno al quale stava arrotolato un serpente detto Pitone. Inoltre,
leggiamo in Eschilo che in questo tempio, tra tutti il più santo,
la Dea era venerata come profetessa primeva. Ciò suggerisce
nuovamente che, anche in un'epoca tarda come quella della
Grecia classica, non era ancora stata dimenticata la tradizione,
tipica di una società mutuale, di cercare la rivelazione divina e
la saggezza profetica tramite le donne. 45
Dagli scritti di Diodoro Siculo, del I secolo a.C., si apprende
che ancora in epoca così tarda non solo la giustizia, ma anche i
metodi di guarigione erano associati alle donne. Durante un
viaggio in Egitto, egli scoprì che la dea Iside, che successe a Ua
Zit e Hathor, era ancora venerata non solo come colei che per
prima istituì legge e giustizia, ma anche come potente guaritri-
ce.46 A questo proposito, è indicativo che i serpenti intrecciati,
noti come caduceo, siano tuttora lo stemma della professione
medica. La leggenda vuole che questa tradizione derivi dalla
identificazione dei serpenti con il dio greco Asclepio. Ma si può
Ricordi di un'età perduta: l'eredità della Dea 149

legittimamente supporre che la connessione tra serpenti e meto-


di di guarigione derivi da una tradizione molto anteriore: quella
dell'associazione del serpente alla Dea, che, come abbiamo vi-
sto, riguardava sia la guarigione che la profezia. 47
Persino l'invenzione della scrittura, che per molto tempo si è
creduto fosse avvenuta nel 3200 a.C. a Sumer, sembra abbia ra-
dici molto precedenti, e probabilmente femminili. Nelle tavolet-
te sumere la dea Nidaba viene descritta come scriba del paradi-
so sumero, oltre che inventrice delle tavolette d'argilla e
dell'arte della scrittura. Nella mitologia indiana alla dea Sara-
svati viene attribuita l'invenzione del primo alfabeto. 48 E ora,
basandosi sugli scavi archeologici nell'Antica Europa, la Gim-
butas ha scoperto che i primordi della scrittura schematizzata ri-
salgono al Neolitico. Inoltre, essi non sembrano limitarsi, come
a Sumer, a una scrittura «commerciale-amministrativa» destina-
ta a una migliore catalogazione degli accumuli materiali. Piutto-
sto, il primo utilizzo di questo poderoso attrezzo della comuni-
cazione umana sembra fosse spirituale: una scrittura sacra,
collegata al culto della Dea. 49
I ritrovamenti probabilmente più conosciuti che confermano
questa recente teoria provengono dal sito europeo di Vinca, una
ventina di chilometri a est di Belgrado, in Serbia. Come per
molti altri siti, quando si scoprì la cultura di Vinca, a causa del
suo alto grado di raffinatezza artistica, si ritenne che essa fosse
molto più recente di quanto non lo sia in realtà. Il professor M.
Vasic, che effettuò scavi della cultura di Vinca tra il 1908 e il
1932, inizialmente concluse che doveva trattarsi di un centro
della civiltà egea risalente al II millennio a.C. Poi decise che ap-
parteneva a un periodo più tardo, e che in realtà doveva essere
una colonia greca, conclusioni che, nota la Gimbutas, continua-
no a essere citate in alcune recenti storie dei Balcani. 50
Queste teorie, promulgate prima che l'archeologia disponesse
di metodi di datazione scientifica come il radiocarbonio e la den-
drocronologia, coincidevano con l'allora prevalente paradigma
archeologico, secondo il quale negli antichi Balcani non era esi-
150 Riane Eisler

stita alcuna cultura indigena avanzata. Ma i dati calibrati col ra-


diocarbonio, che sono stati ottenuti da otto siti di differenti fasi
della cultura di Vinca, la fanno risalire a un periodo tra il 5300 e
il 4000 a.C., vale a dire circa settemila anni fa. 51 Questi dati, oltre
alle prove archeologiche che la Dea era la divinità suprema, col-
locano nettamente Vinca in un periodo di società mutuale.
Fu a Vinca che vennero scoperte le cosiddette tavolette di
Tartara e altri segni incisi su statuette o sulla ceramica. La Gim-
butas racconta che questi ritrovamenti, insieme alle «prove di
una generale marcata intensificazione della vita spirituale» 52
portarono a un'altra teoria, ancora a dir poco coincidente con il
vecchio paradigma archeologico, secondo il quale nei Balcani
non esisteva una cultura indigena progredita. Questa teoria so-
steneva che la cultura di Vinca proveniva dall'Anatolia, o addi-
rittura dalla Mesopotamia. Ma oggi si è stabilito che la cultura
di Vinca è originaria dei Balcani. Quindi, se i segni incisi sulle
tavolette neolitiche, sulle statuette e su altri oggetti rinvenuti a
Vinca, e in altri siti antico-europei, sono davvero ciò che sem-
brano (una forma rudimentale di scrittura lineare) le origini del-
la scrittura, risalendo a molto tempo prima dell'era a modello
dominatore, sono molto più antiche di quanto si era sempre cre-
duto.53
Ci sono senza dubbio sempre più prove a sostegno di questa
conclusione. Nel 1980 la professoressa Gimbutas riferiva che
«attualmente risultano più di sessanta siti in cui furono prodotti
oggetti con iscrizioni [... ] la maggior parte dei siti sono quelli
dei gruppi delle culture di Vinca e Tisza, e di quella di Karanovo
nella Bulgaria centrale. Si distinguono segni incisi o dipinti an-
che a Dimini, Cucuteni, Petresti, Lengyel, Butmir e Bukk e sul
vasellame lineare in ceramica. Questi ritrovamenti indicano che
«ormai non è corretto parlare di una 'scrittura di Vinca' o della
placca di Tartara», così come «è ormai chiaro che la scrittura era
una caratteristica universale della civiltà dell'Antica Europa». 54
Inoltre, questa scrittura sembra fosse uno sviluppo della pre-
cedente tradizione di utilizzare l'arte come una sorta di codice
Ricordi di un'età perduta: l'eredità della Dea 151

per comunicare concetti importanti. In tutta l'Antica Europa si


trovano statuette della Dea fortemente stilizzate, su cui sono in-
cisi segni simbolici come greche, zig-zag, V, X, spirali, cerchi e
linee multiple. La Gimbutas scrive che queste immagini costi-
tuivano dei mezzi, approvati e compresi da tutti, per comunicare
le ipotesi fondamentali del loro tempo sul significato dell'uni-
verso. Quando successivamente a questa forma di comunicazio-
ne simbolica venne fatto fare un ulteriore passo avanti, si svi-
luppò quella che probabilmente fu la prima forma di scrittura
dell'uomo. Si tratta d'ideogrammi in cui i segni simbolici esi-
stenti (già presenti nel Paleolitico, e assai diffusi nel Neolitico),
vennero modificati con linee, curve e punti.
La Gimbutas, che sta lavorando alla decifrazione della scrit-
tura dell'Antica Europa, ritiene che alcuni di questi ideogrammi
acquistarono gradualmente un valore fonetico. «La V», scrive,
«è uno dei segni che s'incontrano più di frequente sulle statuette
e su altri oggetti di culto. La mia opinione è che venga usata nel-
la scrittura con un valore fonetico derivato dal segno-ideogram-
ma. La M, che probabilmente, come in Egitto, era un ideogram-
ma che significava 'acqua', deve avere avuto un valore fonetico
fin da un'epoca assai remota, non meno del VI millennio
a.C.».ss
Grazie a uno studio intenso dei simboli e dei segni trovati
inizialmente soprattutto nei disegni e poi in misura crescente su
ceramica, sigilli, dischi e placche, la Gimbutas ha cercato di de-
cifrare i significati per associazione. Per esempio, avanza l'ipo-
tesi che i glifi della V potevano essere stati un modo di rappre-
sentare la Dea nella sua epifania di uccello, e che gli oggetti
marcati a quel modo fossero in origine dedicati al suo culto. Os-
serva inoltre che quando, successivamente, i segni vengono di-
sposti in serie, come nel piatto di Gradeshika, i grappoli ripetuti
di V (oltre che di M, X e Y) avrebbero potuto rappresentare voti,
preghiere o assegnazioni di doni alla Dea. 56
La Gimbutas fa anche notare la «innegabile somiglianza tra i
caratteri antico-europei e quelli della lineare A, quelli cipro-mi-
152 Riane Eisler

noici e quelli ciprioti classici». 57 Ciò avvalora fortemente l'ipo-


tesi che la lineare A, la più antica scrittura scoperta nella Creta
minoica, tuttora indecifrata, possa essere uno sviluppo posterio-
re di questa preesistente tradizione di scrittura neolitica, e non,
come si riteneva finora, un prestito delle popolazioni con cui i
Cretesi commerciavano in Asia Minore e in Egitto. 58

Una nuova idea del passato

Tutte queste informazioni sul nostro passato perduto scate-


nano inevitabilmente nelle nostre menti un conflitto tra vecchio
e nuovo. La vecchia concezione era che i primi rapporti di pa-
rentela (e in seguito economici) dell'uomo fossero stati svilup-
pati da uomini che cacciavano e uccidevano. La nuova idea è
che le fondamenta dell'organizzazione sociale furono poste da
madri e figli che condividevano. 59 La vecchia concezione della
preistoria era quella di una storia dell' «uomo cacciatore-guer-
riero». La nuova idea è quella di uomini e donne che utilizzava-
no concordemente le nostre capacità uniche di sostenere e mi-
gliorare la vita.
Così come alcune delle società più primitive esistenti, per
esempio i BaMbuti e i !Kung, non sono costituite da cavernicoli
bellicosi che vanno in giro trascinando donne per i capelli, risul-
ta ormai evidente che il Paleolitico fu un'epoca straordinaria-
mente pacifica. E proprio come Heinrich e Sophia Schliemann
sfidarono le istituzioni scientifiche del loro tempo e provarono
che la città di Troia non era una fantasia di Omero ma una realtà
preistorica, le nuove scoperte archeologiche confermano le leg-
gende di un'epoca lontana, prima che un dio maschile decretas-
se l'eterna sottomissione della donna all'uomo, un'epoca in cui
l'umanità viveva in pace e nell'abbondanza.
Insomma, secondo la nuova concezione dell'evoluzione cul-
turale, il dominio maschile, la violenza maschile e l'autoritari-
smo non sono inevitabili, fissati per l'eternità. Un mondo pacifi-
Ricordi di un'età perduta: l'eredità della Dea 153

co e più ugualitario non è soltanto un «sogno utopistico», è una


possibilità reale per il nostro futuro.
Ma da queste società che adoravano la Dea non abbiamo ere-
ditato solamente l'affascinante ricordo di un'epoca in cui l' «al-
bero della vita» e l' «albero della conoscenza» erano ancora con-
siderati doni di Madre Natura, destinati tanto agli uomini quanto
alle donne. Come abbiamo visto, da queste prime società di tipo
mutuale abbiamo ereditato le tecnologie fondamentali grazie al-
le quali si è costruita tutta la successiva civiltà.
Ciò non significa che fossero civiltà ideali. Anche se diedero
un contributo enorme alla cultura umana, e vennero in seguito
ricordate come un'epoca migliore e più innocente, esse non era-
no civiltà utopistiche. È importante sottolineare che una società
pacifica non implica una totale assenza di violenza, e queste
erano società di esseri in carne e ossa, con tutte le manchevolez-
ze e i punti deboli degli esseri umani.
Inoltre, per quanto fossero ingegnose e promettenti, le tecno-
logie materiali del Neolitico erano ancora piuttosto primitive in
confronto a quelle del nostro tempo. Nonostante ci siano le prove
di una forma di scrittura, non sembra che esistesse una letteratu-
ra scritta. E anche se c'era una conoscenza diffusa su argomenti
che spaziavano dall'agricoltura all'astronomia, probabilmente
non esisteva una scienza come la intendiamo oggi.
Infatti, dall'arte religiosa del Neolitico siamo in grado di ca-
pire come, senza una conoscenza scientifica come la nostra, i
nostri antenati cercavano di spiegare, e di influenzare, l'univer-
so con sistemi che ai nostri giorni appaiono primitivi e supersti-
ziosi. E anche se le testimonianze più massicce di sacrifici uma-
ni appaiono nelle successive società a modello dominatore, ci
sono alcune indicazioni che la pratica del sacrificio rituale può
risalire a quest'epoca più antica. 60
Quanto possiamo dedurre, grazie alle testimonianze, sulla
particolare forma mentis di quest'epoca antica, ci aiuta a valu-
tarne i lati positivi e negativi. L'arte neolitica viene talvolta defi-
nita irrazionale, perché abbonda di quel genere d'immagini che
154 Riane Eisler

associamo alle fiabe, ai film dell'orrore e persino alla narrati va


fantascientifica.
Ma se per razionale, secondo un qualsiasi criterio umanisti-
co, intendiamo l'uso delle nostre menti per trascendere parte
della distruttività e brutalità della natura, e per irrazionale una
forma di pensiero e di comportamento distruttivo, sarebbe più
esatto dire che l'arte neolitica più che una visione del mondo ir-
razionale ne riflette una prerazionale. 61 A differenza del modo di
pensare empirico, tanto stimato nella nostra epoca secolare, l' ar-
te neolitica era frutto di una mente caratterizzata da una co-
scienza intuitiva, mistica, incline al fantasticare.
Questo non significa necessariamente, come sosteneva lo
psicologo Julian Jaynes, che queste popolazioni avessero una
spiccata prevalenza dell'emisfero cerebrale destro. Jaynes soste-
neva che la vera coscienza umana, che egli collegava ali' uso
esclusivo delle nostre funzioni mentali più logiche, che si attua-
no nell'emisfero cerebrale sinistro, si fosse sviluppata in seguito
alle tremende scosse causate dalla sanguinosa serie d'invasioni
e cataclismi che abbiamo esaminato in precedenza. In pratica
egli sosteneva che, fino a quel momento, eravamo poco più che
automi invasati, dominati dall'emisfero cerebrale destro. 62
Ma ci basta osservare i santuari di Stonehenge e Avebury per
capire che, già in epoca neolitica, era pienamente radicato il
pensiero logico, sequenziale e lineare, caratteristico del funzio-
namento dell'emisfero cerebrale sinistro. È evidente che la mo-
dellatura, il trasporto e la collocazione degli enormi massi, se-
condo un allineamento ai moti del sole e della luna,
richiedevano una comprensione avanzata della matematica, del-
l'astronomia e dell'ingegneria. 63 E certamente il popolo di Creta
- che costruiva viadotti e strade pavimentate, progettava palazzi
architettonicamente complessi, possedeva impianti idraulici do-
mestici, era dedito a un commercio fiorente e aveva una cono-
scenza approfondita della navigazione - doveva utilizzare inten-
samente l'emisfero cerebrale sinistro, oltre che quello destro.
Infatti le conquiste materiali di Creta sono sorprendenti anche
Ricordi di un'età perduta: l'eredità della Dea 155

secondo criteri contemporanei, e in effetti superano quelle di


molte moderne società in via di sviluppo.
Ancor più stupefacente, se paragonato al nostro mondo at-
tuale, è il fatto che, in queste società mutuali della preistoria, i
progressi tecnologici servivano principalmente a rendere la vita
più piacevole, anziché a dominare e a distruggere. Questo ci ri-
porta alla fondamentale diversità dell'evoluzione culturale in
una società mutuale rispetto a una società dominatore. Ci spinge
anche a concludere che, da questo importante punto di vista, le
nostre antiche società mutuali, meno avanzate tecnologicamente
e socialmente, erano più evolute di quelle altamente tecnologi-
che del mondo contemporaneo, in cui milioni di bambini sono
condannati a morire di fame ogni anno, mentre vengono gettati
miliardi di dollari in mezzi di sterminio sempre più sofisticati.
Da questa prospettiva, la ricerca contemporanea di un'antica
spiritualità perduta può essere considerata sotto una luce nuova
ed estremamente proficua. In sostanza, la ricerca di una saggez-
za mistica appartenente al passato, che oggi tante persone perse-
guono, è la ricerca del tipo di spiritualità caratteristico di una so-
cietà a modello mutuale e non dominatore. Sia le testimonianze
archeologiche che quelle mitologiche indicano che forse il mi-
glior pregio della mente predominatore era quello di riconoscere
la nostra unità con la natura tutta, punto essenziale del culto del-
la Dea nel Neolitico e a Creta. L'opera degli ecologisti contem-
poranei indica sempre più che questo antico atteggiamento men-
tale, al giorno d'oggi spesso associato a certi tipi di spiritualità
orientale, era molto più evoluto rispetto all'attuale ideologia di
distruzione dell'ambiente. In effetti, esso prefigura le nuove teo-
rie scientifiche, per cui tutte le forme di vita sulla Terra, insieme
all'atmosfera, agli oceani e al suolo, formano un sistema vitale
complesso e interdipendente. Molto appropriatamente il chimi-
co James Lovelock e la microbiologa Lynn Margulis hanno dato
a questa ipotesi il nome di Gaia, uno degli antichi nomi greci
della Dea. 64
Anche il fatto che l'Antica Società considerasse i poteri che
156 Riane Eisler

governano l'universo come quelli di una madre che dona e nu-


tre, è più rassicurante psicologicamente, e induce meno ansia e
tensione sociale, rispetto all'idea di divinità maschili punitive,
che ossessiona tuttora buona parte del globo. Infatti, la tenacia
con cui per millenni di storia occidentale uomini e donne si so-
no aggrappati alla venerazione di una madre compassionevole e
misericordiosa, la Vergine Maria del cristianesimo, rivela il bi-
sogno che hanno gli esseri umani di una tale immagine rassicu-
rante. Comunque, come molti altri aspetti della storia che diver-
samente apparirebbero sconcertanti, questa tenacia risulta
comprensibile soltanto in base a quanto ora conosciamo della
tradizione millenaria del culto della Dea nella preistoria.
Ma proprio perché questa nuova conoscenza del corso origi-
nale della nostra evoluzione culturale getta una luce così diversa
sul nostro passato, e sul nostro possibile futuro, è tanto difficile
occuparsene. E poiché essa costituisce una notevole minaccia
per il sistema dominante, si attuano sforzi massicci per nascon-
derla.
Il campo di studi che oggi mette a nostra disposizione i ritro-
vamenti archeologici di cui abbiamo riferito, offre numerosi
esempi delle dinamiche di soppressione dell'informazione in at-
to in una società dominatore. È rivelatore il modo in cui fu ordi-
nato a James Mellaart di interrompere gli scavi nel sito neolitico
di Hacilar, anche se non erano ancora stati raggiunti gli strati più
profondi e antichi, perché «ulteriori lavori sul sito produrrebbe-
ro soltanto risultati scontati, di scarso valore scientifico». 65 La
decisione fu presa nonostante le proteste di Mellaart. Questo an-
che se all'epoca le parti esterne del tumulo, compresi i cimiteri
che lo circondavano (solitamente fonte dei dati archeologici più
ricchi nella maggior parte degli scavi) non erano ancora state
esplorate. Ma, senza un ulteriore aiuto finanziario o istituziona-
le, gli scavi si dovettero interrompere. Da allora il sito è stato
saccheggiato senza alcun criterio scientifico dai cacciatori di te-
sori, ed è ormai privo di un qualsiasi interesse archeologico.
Senza dubbio anche altri fattori contribuirono alla chiusura
Ricordi di un'età perduta: l'eredità della Dea 157

prematura di questi importanti scavi archeologici, decisione che


Mellaart definì «uno dei capitoli più tragici nella storia dell'ar-
cheologia».66 Ma rimane l'interrogativo di quanto questa deci-
sione sia stata causata, anche se inconsciamente, dall'affiorare
della consapevolezza che dietro all'attività artistica cospicua e
diversificata di Hacilar «c'era», scrive Mellaart, «un'unica e po-
tente forza d'ispirazione, l'antica religione dell'Anatolia, il cul-
to della Grande Dea». 67
Come vedremo nei capitoli seguenti, gli sforzi degli intellet-
tuali per conformare la realtà a una visione del mondo di tipo do-
minatore iniziano fin dalla preistoria. Sicuramente lo strumento
principale del drammatico mutamento della nostra evoluzione
culturale fu la Spada. Ma ve ne fu un altro, che alla lunga si è ri-
velato persino più potente. È l'attrezzo dello scriba e dello stu-
dioso: la penna, o lo stilo per incidere le parole sulle tavolette.
Soprattutto nella nostra epoca, mentre cerchiamo di costruire una
società pacifica, è illuminante sapere che la penna può essere po-
tente come la spada. Infatti, alla fine, questo strumento apparen-
temente insignificante avrebbe letteralmente capovolto la realtà.

Note

I. Esiodo, Le opere e i giorni, citato in John Mansley Robinson, An lntro-


duction to Early Greek Philosophy, Houghton Mifflin, Boston 1968, pp. 12-3.
2. lbid., p. 13-14.
3. lbid., p. 14.
4. lbid., p. 15.
5. Ibid, p. 16.
6. lbid., pp. 15-6.
7. J.V. Luce, The End of Atlantis, Thames & Hudson, Londra 1968, pp.
137, 20 (trad. it. lafine di Atlantide. Nuove luci su un'antica leggenda, New-
ton Compton, Roma 1997).
8. Nicolas Platon, Crete, Nagel Publishers, Ginevra 1966, p. 69. Platon
sottolinea che per spiegare il «miracolo greco» bisogna risalire alla tradizione
preellenica. Di questo parere è anche Jacquetta Hawkes, Dawn of the Gods:
Minoan and Mycenaean Origins of Greece, Random House, New York 1968.
9. Si veda, per esempio, Spyridon Marinatos, «The Volcanic Destruction
of Minoan Crete», in Antiquity, 1939, n. 13, pp. 425-39, uno dei primi articoli
158 Riane Eisler

scientifici su questo argomento, e J.V. Luce, op. cit., per un compendio buono,
e più aggiornato.
10. lbid., p. 158. Per una panoramica delle idee contrastanti su come,
quando e perché è terminata la civiltà cretese, si vedano, per esempio, Arthur
Evans, The Palace of Minos, voll. 1-4, MacMillan, Londra 1921-35, 1964;
Leonard Palmer, Mycenaeans and Minoans, Faber & Faber, Londra 1961; N.
Platon, op. cit.
11. S. Marinatos, op. cit.; J.V. Luce, op. cit.; N. Platon, op. cit., p. 69.
12. Merlin Stone, When God Was a Woman, Harcourt Brace Jovanovich,
New York 1982, p. 82. Nell'introduzione, la Stone racconta che mentre racco-
glieva il materiale sulle prime divinità femminili, nelle sue peregrinazioni tra
musei e biblioteche, molte delle sue fonti si trovavano solamente in scaffali
nascosti, e di quanto fosse esasperante il fatto che gran parte degli «scritti anti-
chi e della statuaria di rilievo fossero stati deliberatamente distrutti». Per giun-
ta essa dovette «affrontare il fatto che il materiale esistente nella letteratura po-
polare e nell'educazione generale è stato quasi totalmente ignorato» (pp.
XVI-XVII).
13. /bid., p. 219.
14. lbid., pp. 42-3.
15. H.W.F. Saggs, citato in ibid., p. 39. Si veda anche Walter Hinz, citato
in ibid., p. 41.
16. Ruby Rohrlich-Leavitt, «Women in Transition: Crete and Sumer», in
Renate Bridenthal e Claudia Koonz (a cura di), Becoming Vìsible, Houghton
Mifflin, Boston 1977, p. 53.
17. Si veda, per esempio, Leonard Woolley, The Sumerians, Norton, New
York 1965, p. 66; George Thompson, The Prehistoric Aegean, Citadel, New
York 1965, p. 161.
18. M. Stone, op. cit., p. 41.
19. lbid. Vedi anche R. Rohrlich-Leavitt, op. cit., p. 55.
20. M. Stone, op. cit., p. 82.
21. lbid.
22. lbid., p. 3.
23. lbid., p. 84.
24. Si veda, per esempio, Jacquetta Hawkes e Leonard Woolley, Prehi-
story and the Beginning of Civilization, Harper & Row, New York 1963, p.
265, che scrivono: «È generalmente riconosciuto che, a causa del proprio ruo-
lo ancestrale di raccoglitrice del cibo vegetale, il merito dell'invenzione dell'a-
gricoltura è della donna». Si veda anche Ester Boserup, Woman 's Rote in Eco-
nomie Development, Allen & Unwin, Londra l 970 (trad. it. Il lavoro delle
donne: la divisione sessuale del lavoro nello sviluppo economico, Rosenberg e
Sellier, Torino 1982); e M. Stone, op. cit., p. 36, ove cita Diodoro.
25. Si veda, per esempio, James Mellaart, çatal Hiiyiik, McGraw-Hill,
New York 1967, in particolare i capitoli 4 (architettura), 5 (pianta della città),
6 (templi e rilievi), 7 (dipinti murali), 8 (scultura), 10 (artigianato e commer-
cio), 11 (popolazione ed economia). Ma, come scrive Mellaart in The Neo-
lithic of the Near East, Scribner, New York 1975, «Sebbene la ricerca archeo-
logica abbia fatto grandi progressi nell'ultimo quarto di secolo,
Ricordi di un'età perduta: l'eredità della Dea 159

l'interpretazione non è stata al passo con le scoperte, e gran parte della teoria
dello sviluppo culturale appare tristemente datata» (p. 276).
26. Si veda, per esempio, J. Mellaart, çatal Hiiyiik, cit., cap. 10, ove Mel-
Iaart nota che «la ricerca di giacimenti e il commercio costituivano una parte
assai rilevante dell'economia cittadina, e senza dubbio contribuirono notevol-
mente alla ricchezza e alla prosperità della città» (p. 213).
27. Si veda, per esempio, Jane Harrison, Prolegomena. The Study of Greek
Religion, Merlin Press, Londra 1903, 1962, p. 261, che cita la poesia-preghie-
ra di Eschilo dedicata a colei che viene «prima di ogni altro dio [... ] la profe-
tessa primeva».
28. Si veda, per esempio, M. Stone, op. cit., specialmente l'Introduzione e
i capp. 2, 3.
29. Alcuni studiosi avevano già accennato al contributo decisivo dato dalle
donne alle nostre invenzioni fisiche e spirituali. Si veda Robert Briffault, The
Mothers, Johnson Reprint, New York 1969; ed Erich Neumann, The Great
Mother, Princeton University Press, Princeton, NJ. 1955 (trad. it. La Grande
Madre. Fenomenologia delle configurazioni femminili dell'inconscio, Astrola-
bio, Roma 1981).
30. Nancy Tanner, On Becoming Human, Cambridge University Press,
Boston 1981 (trad. it. Madri, utensili ed evoluzione umana, Zanichelli, Bolo-
gna 1985); Jane Lancaster, «Carrying and Sharing in Human Evolution», in
Human Nature, febbraio 1978, n. 1, pp. 82-9; Lila Leibowitz, Females, Males,
Families: A Biosocial Approach, Duxbury Press, North Scituate, MA. 1978;
Adrienne Zihlman, «Motherhood in Transition: from Ape to Human», in Wm:-
ren Miller e Lucille Newman (a cura di), The First Child and Family Forma-
tion, Carolina Population Center, Chapell Hill, N.C., 1978. Per avere un buon
compendio delle varie teorie delle nostre origini ominidi (nonché dati affasci-
nanti sulle femmine dei primati), si veda Linda Marie Fedigan, Primate Para-
digms: Sex Roles and Socia[ Bonds, Eden Press, Montreal 1982. Si veda anche
Ashley Montagu, The Nature of Human Aggression, Oxford University Press,
New York 1976, per un'eccellente panoramica sulle prove che demoliscono
l'idea, come ha scritto Robert Ardrey, che «l'uomo si è evoluto dalla condizio-
ne di antropoide per un motivo soltanto: perché era un assassino». (Robert Ar-
drey, African Genesis, Atheneum, New York 1961, p. 29; trad. it. L'istinto di
uccidere, Feltrinelli, Milano 1968.)
31. Vedi nota 30. Si veda anche Richard Leakey e Roger Lewin, People of
the Lake, Doubleday Anchor, New York 1978 (trad. it. Il popolo del lago. L'u-
manità e i suoi dintorni, Rusconi, Milano 1980).
32. N. Tanner, op. cit., p. 190.
33. lbid, capp. IO e 11. Per quanto riguarda l'uso degli attrezzi, l'aumento
della capacità cranica e la riduzione dei denti si vedano in particolare le pp.
258-62.
34. lbid., p. 268.
35. lbid., pp. 146, 268.
36. Vedi nota 25.
37. Ester Boserup, op. cit.; The State of the World's Women 1985 (redatto
per le Nazioni Unite da New Intemationalist Publications, Oxford, U.K.); Bar-
160 Riane Eisler

bara Rogers, The Domestication of Women: Discrimination in Developing So-


cieties, St. Martin's, New York 1979.
38. Si veda, per esempio, M. Stone, op. cit., p. 36, ove cita Diodoro su Isi-
de, e p. 3, su Ninlil.
39. Si veda, per esempio, E. Neumann, op. cit.; Mara Keller, «The Myste-
ries of Demeter and Persephone, Ancient Greek Goddesses of Fertility, Sexua-
lity and Rebirth», in Joumal of Feminist Studies in Religion, primavera 1988,
voi. 4, n. l. Lo studio approfondito della Keller sui misteri eleusini è un contri-
buto molto importante per la comprensione del sistema di rituali collegato al-
i' antico culto della Dea. La studiosa dà la colpa della degenerazione di questi
riti sia alle pratiche che comportavano sacrifici cruenti, che alla loro commer-
cializzazione in epoca greca classica.
40. R. B1iffault, op. cit., pp. 473-4; E. Neumann, op. cit., pp. 134-6, virgo-
lette nell'originale.
41. M. Stone, op. cit., p. 4.
42. E. Neumann, op. cit., p. 178.
43. M. Stone, op. cit., p. 200.
44. lbid., pp. 201-2. Vedi anche Barbara G. Walker, The Woman 's Ency-
clopedia of Myths and Secrets, Harper & Row, San Francisco 1983.
45. J. Harrison, op. cit., p. 261.
46. Diodoro Siculo, citato in M. Stone, op. cit., p. 36.
47. J. Harrison, op. cit., p. 343.
48. M. Stone, op. cit., pp. 199, 3.
49. Marija Gimbutas, The Early Civilization of Europe, Monograph for In-
do-European Studies 131, University of California at Los Angeles, 1980,
capp. 2, 17.
50. Marija Gimbutas, The Goddesses and Gods of Old Europe, 6500-3500
B.C., University of California Press, Berkeley and Los Angeles 1982, pp. 22-
3, in cui cita il professor Vasic.
51. lbid, pp. 22-5
52. lbid.
53. lbid.
54. M. Gimbutas, Early civilization of Europe, cit., cap. 2, p. 72.
55. lbid., cap. 2, p. 78.
56. lbid., cap. 2, pp. 75-7.
57. lbid., cap. 2, p. 78
58. Vedi anche J. Hawkes, op. cit., p. 68.
59. Vedi nota 24.
60. La questione se il culto della Dea comprendesse sacrifici rituali è mol-
to controversa. I sacrifici umani di massa, rinvenuti nelle tombe egiziane e ba-
bilonesi, compaiono solo in epoca successiva, e sembrano variazioni della pra-
tica del sacrificio di mogli, concubine e/o servi, che erano proprietà
dell'uomo, introdotta in Europa e in India dagli Indoeuropei. Ma ci sono anche
alcuni dati archeologici che sembrano indicare casi di sacrificio rituale nel
Neolitico. Si veda, per esempio, M. Gimbutas, Goddesses and Gods of Old
Europe, cit., p. 74. La maggior parte dei dati, comunque, è mitologica: si veda,
per esempio, Sir James Frazer, The Golden Bough, MacMillan, New York
Ricordi di un'età perduta: l'eredità della Dea 161

1922 (trad. it. Il ramo d'oro, Boringhieri, Torino 1998). Frazer era un esponen-
te di punta della scuola ottocentesca che sosteneva che nelle società matriarca-
li si sacrificavano i re. Può darsi che il sacrificio rituale fosse una pratica diffu-
sa, come riteneva Frazer. Oppure poteva trattarsi di una misura d'emergenza
per scongiurare un disastro incombente. Come abbiamo già rilevato, nel caso
dell'unico ritrovamento di un sacrificio rituale minoico è vera probabilmente
la seconda ipotesi. Un sacerdote che si accingeva a sacrificare un giovane fu
interrotto da un terremoto che uccise entrambi (Yannis e Sapouna Sakella-
rakis, «Drama of Death in a Minoan Tempie», in National Geographic, feb-
braio 1981, n. 159, pp. 205-22). Se a questo si aggiunge il fatto che non si so-
no mai trovate altre testimonianze di sacrifici rituali minoici, si è portati a
dedurre, come scrive Joseph Alsop, che a Creta il sacrificio rituale non era una
pratica abituale. Piuttosto, come in casi analoghi nel successivo periodo della
Grecia classica, sembra che «questa fosse una misura disperata per scongiura-
re quella che dovette sembrare la fine del mondo» (Joseph Alsop, «A Histori-
cal Perspective», in National Geographic, febbraio 1981, n. 159, pp. 223-4).
Sappiamo per certo che ancora nel V secolo a.e. gli antichi Greci sacrificava-
no occasionalmente un pharmakos, o «capro espiatorio» (di solito un crimina-
le condannato), come atto di purificazione rituale (vedi J. Harrison, op. cit.,
pp. 102-5).
Comunque, sul fatto che questi sacrifici fossero o meno una pratica abitua-
le, i pareri sono molto discordi. Alcuni studiosi, come Elinor Gadon, pur non
sostenendo che si trattava di una pratica universale, e neppure comune, fanno
notare che nella cultura indiana di Harappa, che fiorì pressappoco dal 3000 al
1800 a.C., si praticava il sacrificio umano rituale (colloquio privato con la Ga-
don, 1986). Altri studiosi, come Nancy Jay e Mara Keller, sostengono che le
popolazioni agricole che adoravano la Dea non praticavano neanche sacrifici
cruenti di animali. Per esempio, nella nota storia biblica di Caino e Abele, Cai-
no (che rappresenta il popolo di agricoltori di Canaan) offre a Geova frutta e
cereali. Questa offerta, tuttavia, viene rifiutata da Geova, che invece accetta il
sacrificio cruento di Abele (che rappresenta gli invasori dediti alla pastorizia).
Per uno dei primi riesami di questo mito si veda E. Ceci! Curwen, Plough and
Pasture, Cobbett Press, Londra 1946. Ci sono indicazioni che a çatal Hiiyiik
non si effettuavano sacrifici cruenti di alcun tipo. Anche il culto di Demetra,
che è precedente alle invasioni indoeuropee, in origine comportava solamente
offerte di frutta e cereali (Mara Keller, op. cit.).
61. Per la formulazione di questa definizione di razionale e irrazionale, so-
no debitrice all'analisi della ragione che fa il filosofo Herbert Marcuse nel suo
One-Dimensional Man, Beacon Press, Boston 1964, pp. 236-7 (trad. it. L'uo-
mo a una dimensione, Einaudi, Torino 1999).
62. Julian Jaynes, The Origin of Consciousness in the Breakdown of the
Ricamerai Mind, Houghton Mifflin, Boston 1977 (trad. it. Il crollo della men-
te bicamerale e l'origine della coscienza, Adelphi, Milano 2002).
63. Si veda, per esempio, C.A. Newman, The Astronomica! Significance of
Stonehenge, John Blackburn, Leeds 1972. Analogamente, Mellaart sostiene
che çatal Hiiyiik possedeva «un'avanzata tecnologia nelle arti della tessitura,
162 Riane Eisler

della lavorazione del legno e della metallurgia» e «tecniche evolute di agricol-


tura e di allevamento del bestiame» (çatal Hiiyiik, cit., p. Il).
64. J.E. Lovelock, Gaia, Oxford University Press, New York 1979 (trad. it.
Gaia: manuale di medicina planetaria, Zanichelli, Bologna 1992).
65. James Mellaart, Excavations at Hacilar, Edinburgh University Press,
Edimburgo 1970, p. 2, IV.
66. lbid., p. VI.
67. lbid., p. 249.
6
La realtà capovolta
Prima parte

Le tragedie che compongono la trilogia greca dell' Orestea so-


no tra le più conosciute e rappresentate. In questo classico il dio
Apollo, durante il processo di Oreste per l'uccisione della madre,
spiega che i figli non sono imparentati con le proprie madri. «Non
la madre è generatrice di quello che è chiamato suo figlio» affer-
ma il dio. Ella è soltanto la «nutrice del germe in lei seminato». 1
«E ti mostrerò la prova di questo argomento», prosegue
Apollo. «Può esistere un padre, anche senza madre: è presente,
dinanzi a te, come testimone la figlia di Zeus Olimpio, neppur
nutrita in tenebre di ventre, ma germoglio quale nessuna dea
può generare». 2
A questo punto la dea Atena, che, secondo l'antica religione
greca, nacque già completamente formata dalla testa del padre
Zeus, entra in scena e conferma l'affermazione di Apollo. Solo i
padri sono genitori dei loro figli. «Madre non esiste, che mi ab-
bia generato», afferma, e aggiunge, «e tutto ciò che è maschio,
tranne le nozze, io approvo di tutto cuore: certo, io sono per il
padre».) E così, quando il coro - le Eumenidi, o Furie, che rap-
presentano l'antico ordine - esclama con orrore «Ahi, dèi nuovi,
le leggi antiche calpestaste e mi strappaste dalle mani !»,4 Atena
dà il suo voto decisivo. Oreste viene assolto da ogni colpa per
l'omicidio della madre.
164 Riane Eisler

Il matricidio non è un delitto

Ci si potrebbe chiedere: perché qualcuno dovrebbe cercare di


negare il più potente e ovvio legame di parentela umano? Per-
ché un brillante drammaturgo come Eschilo dovrebbe scrivere
una trilogia drammatica su questo argomento? E come mai que-
sta trilogia - che a quei tempi non era teatro come noi l'inten-
diamo, ma piuttosto un dramma rituale specificamente studiato
per fare appello alle emozioni e ottenere obbedienza alle norme
dominanti - veniva rappresentata per tutto il popolo di Atene,
comprese le donne e gli schiavi, in importanti occasioni cerimo-
niali?
La tipica interpretazione degli studiosi che cercavano di ri-
spondere all'interrogativo di quale fosse la funzione normativa
dell' Orestea, era che la tragedia servisse a spiegare le origini
dell'Areopago greco, il tribunale per gli omicidi. Probabilmente
in questo tribunale, nuovo per il suo tempo, si otteneva giustizia
mediante i più impersonali strumenti legali dello Stato, anziché
tramite la vendetta di clan. 5 Ma, come fa notare la sociologa in-
glese Joan Rockwell, questa interpretazione è completamente
priva di senso. Essa non sfiora neanche la domanda essenziale:
perché questo caso, che si vuole sia stato il primo omicidio mai
giudicato da un tribunale greco, sia l'omicidio di una madre da
parte del suo stesso figlio. Né si pone la domanda basilare di co-
me mai, in quella che dovrebbe essere una «lezione morale» per
sostenere la giustizia amministrata dallo Stato, un figlio potesse
essere assolto dall'omicidio per vendetta, premeditato, a sangue
freddo, della madre, per di più adducendo l'argomento manife-
stamente assurdo che tra loro non intercorrevano rapporti di pa-
rentela.6
Per capire quali norme I' Orestea esprima e affermi in realtà,
dobbiamo considerare la trilogia nel suo complesso. Nella prima
tragedia, Agamennone, la regina Clitemnestra fa in modo di ven-
dicare lo spargimento del sangue della figlia. Veniamo a sapere
che, mentre si recava a Troia, suo marito Agamennone la in-
La realtà capovolta. Prima parte i65

gannò, facendosi raggiungere dalla loro figlia Ifigenia, apparen-


temente per darla in sposa ad Achille, in realtà per sacrificarla e
procurare un vento propizio alla flotta restata in panne. Al ritor-
no di Agamennone dalla guerra di Troia, mentre il marito sta fa-
cendo il bagno rituale per purificarsi dai peccati commessi in
guerra, Clitemnestra gli getta addosso una rete per immobilizzar-
lo e lo pugnala a morte. Essa fa chiaramente intendere che il suo
gesto non è motivato da un dolore o da un astio personale, ma dal
proprio ruolo sociale di capo clan, che deve vendicare lo spargi-
mento del sangue di un congiunto. In breve, ella si comporta se-
condo le regole di una società matrilineare, in cui, come regina,
ha il dovere di badare all'amministrazione della giustizia.
Nella seconda tragedia, Coefore, il figlio di Clitemnestra,
Oreste, ritorna ad Argo sotto mentite spoglie. Entra nel palazzo
della madre come ospite, ammazza Egisto, il suo nuovo marito,
e, dopo qualche esitazione, uccide la madre per vendicare l'omi-
cidio del padre. La terza tragedia, Eumenidi, descrive il proces-
so di Oreste nel santuario di Apollo a Delfi. Apprendiamo che le
Eumenidi, in quanto rappresentanti dell'antico ordinamento,
protettrici della società ed esecutrici della giustizia, stavano per-
seguitando Oreste. Una giuria di dodici ateniesi, presieduta dal-
la dea Atena, doveva decidere la sua assoluzione o la sua morte.
Ma siccome il loro voto è in assoluta parità, quello decisivo
spetta ad Atena: Oreste viene assolto perché non ha versato san-
gue di consanguinei.
L' Orestea ci riporta all'epoca in cui si verificò quello che
studiosi classici come H.D.F. Kitto e George Thompson defini-
scono uno scontro tra culture patriarcali e matriarcali. 7 Nei no-
stri termini, essa descrive, e giustifica, il passaggio dalle norme
mutuali a quelle dominatore.
Come scrive Rockwell, la trilogia ci porta «da un totale con-
senso alla legittimità del caso di Clitemnestra nella prima trage-
dia, a un punto in cui ci si dimentica di sua figlia, il suo spettro
si eclissa, e il suo caso è inesistente, perché le donne non possie-
dono i diritti e gli attributi che essa aveva rivendicato». 8 Infatti
166 Riane Eisler

«se una creatura potente come Clitemnestra, nonostante la pro-


vocazione che subisce con l'assassinio della figlia Ifigenia, non
ha il diritto di vendicarsi, quale donna potrà averlo?»
Grazie alla lezione di ciò che capitò, nonostante la sua giusta
causa, a questa donna «arrogante», a tutte le donne viene impe-
dito anche soltanto di contemplare l'idea di gesti di ribellione.
Inoltre, il ruolo di Atena in questo dramma normativo, come di-
ce la Rockwell, è «un capolavoro di diplomazia culturale; nel
corso di un mutamento istituzionale è importantissimo vedere
un personaggio illustre della parte sconfitta accettare il nuovo
potere». 9
Se Atena, discendente diretta della Dea e divinità patrona
della città di Atene, si dichiara a favore della supremazia ma-
schile, il passaggio a un dominio dell'uomo dovrà essere accet-
tato da ogni ateniese. E lo stesso vale per il cambiamento da ciò
che un tempo era un sistema di proprietà comunitario, o gestito
dal clan (in cui la discendenza era matrilineare), a un sistema di
possesso privato della proprietà e delle donne da parte dell'uo-
mo. Come scrive la Rockwell: «Se il primo processo al nuovo
Tribunale per gli Omicidi prova che il matricidio non è un cri-
mine blasfemo, visto che il rapporto matrilineare non esiste,
quale argomento migliore addurre per una discendenza esclusi-
vamente patrilineare?» 10
Nell' Orestea tutti gli ateniesi potevano vedere come persino
le antiche Furie, o Parche, alla fine desistessero. Si era istituito
l'ordinamento a dominio maschile, le nuove norme avevano so-
stituito le vecchie, e il loro furore non serviva a nulla. Comple-
tamente sconfitte, si ritirano in caverne sotto l'Acropoli, poiché
Atena le «persuade» a rimanere ad Atene, dopo avere dato il vo-
to decisivo, avendo ribadito il notevole argomento che uccidere
la madre non è uno spargimento di sangue famigliare. Evidente-
mente sottomesse, ora le Erinni accettano d'evocare i loro anti-
chi poteri, i poteri della Dea, e promettono, al servizio di Atena,
di aiutare a proteggere «questa città su cui regnano Zeus onni-
potente e Ares» (Ares è, ovviamente, il dio della guerra). 11
La realtà capovolta. Prima parte 167

Come ultime vestigia di un potere femminile dei tempi pre-


olimpici, saranno le Furie a tessere il destino di uomini e donne,
a determinare quando per i mortali verrà il momento di nascere
e morire. «Come la Madre Kali della mitologia indù», scrive la
Rockwell, «la donna dà la vita e la morte.» 12 Ma ormai queste
ultime rappresentanti degli antichi poteri della donna sono rele-
gate sotto terra, figure minori, sostanzialmente marginali, di un
pantheon di nuovi dèi dominato dall'uomo.

Mente dominatore e mente mutuale

L' Orestea era concepita per influenzare e alterare l'idea di


realtà della gente. È sorprendente che ciò fosse ancora necessa-
rio nel V secolo a.C., quasi mille anni dopo che gli Achei prese-
ro il controllo di Atene. Ancor più sorprendente è come il coro
stesso, parlando per le Eumenidi, riassuma ciò di cui in realtà
tratta l'Oreste a: «Io patire quest'onta! Io, mente del passato, ve-
nire relegata sotto terra, reietta, qual sudiciume!» 13
Sebbene al tempo di Eschilo questa mente del passato, che
serba i ricordi evanescenti di un'epoca lontana, non fosse ancora
stata del tutto distrutta, era ormai possibile in una grande occa-
sione cerimoniale proclamare pubblicamente che i torti dell'uo-
mo contro la donna, persino l'uccisione di una figlia da parte del
padre, dovevano semplicemente venire dimenticati. La mente
della gente si era già trasformata così profondamente che ormai
si poteva affermare che, in realtà, madre e figlio non sono paren-
ti: la matrilinearità non ha quel fondamento reale che, al contra-
rio, solo la patrilinearità possiede.
Oltre duemila anni più tardi, alcuni giganti della scienza oc-
cidentale, per esempio Herbert Spencer nel XIX secolo, conti-
nuavano a «spiegare» il dominio maschile affermando che le
donne non sono nient'altro che incubatrici per lo sperma ma-
schile.14 In virtù della prova scientifica che un figlio eredita un
ugual numero di geni da ciascuno dei due genitori, questa idea
168 Riane Eisler

della mancanza di consanguineità tra madre e figlio non ci viene


più insegnata nelle scuole e nelle università. Ma ancora oggi i
nostri più importanti leader religiosi, nonché molti dei più sti-
mati scienziati, continuano a raccontarci che le donne sono
creature messe sulla terra da Dio, o dalla natura, per dare agli
uomini dei figli, preferibilmente maschi.
Nella nostra epoca, continuiamo a identificare i figli con co-
gnomi che indicano esclusivamente la loro parentela col padre.
Inoltre, milioni di famiglie occidentali sono tuttora educate so-
cialmente alla patrilinearità, in modo normativo, dalle letture
della Bibbia, dai pulpiti e nelle loro stesse case. E non stiamo
parlando solamente degli innumerevoli «generato dal padre»
della Sacra Bibbia. Quelli a cui ci riferiamo sono tutti i passi bi-
blici in cui quando si cita un personaggio illustre, lo si fa defi-
nendolo figlio di suo padre; persino il popolo d'Israele (come
tutta l'umanità e lo stesso Salvatore, il Messia) è definito figlio
del Dio Padre. 15
Per noi, dopo migliaia d'anni d'incessante indottrinamento,
questa è semplicemente la realtà, lo stato delle cose. Ma per la
mente che venne scacciata, la mente che adorava la Dea come
Suprema Creatrice di ogni forma di vita, e come Madre non sol-
tanto dell'umanità, ma anche di piante e animali, la realtà deve
essere stata tutt'altra cosa.
Per una mente educata in una società di questo tipo, in cui la
discendenza era matrilineare e le donne come capi clan e sacer-
dotesse occupavano posizioni socialmente importanti e onorate,
la patrilinearità, e con essa la progressiva riduzione delle donne
a proprietà privata dell'uomo, difficilmente sarebbe sembrata
«naturale». L'impunità di un figlio che uccide la madre sarebbe
stata assolutamente al di là della capacità di comprensione di
una mente simile, proprio come lo era per le Eumenidi nella tra-
gedia di Eschilo. Altrettanto inconcepibile, e blasfema, sarebbe
stata l'idea che le forze supreme che governano l'universo do-
vessero venire personificate da divinità armate e vendicative,
che non solo lasciano impuniti, ma addirittura, in nome della
La realtà capovolta. Prima parte 169

giustizia e della morale, ordinano all'uomo atti come l'omici-


dio, il saccheggio e la rapina.
Insomma, questa mente antica era assolutamente inadatta a
funzionare col nuovo sistema dominatore. Per un certo periodo
forse si riuscì a tenerla a bada con la forza bruta e le minacce.
Ma, a lungo termine, avrebbe funzionato solo una completa tra-
sformazione del modo in cui la gente percepiva e analizzava la
realtà.
Ma come si poteva fare? Come riuscire a trasformare le men-
ti nel modo desiderato? È molto interessante come al giorno
d'oggi, alla soglia di un massiccio mutamento della nostra evo-
luzione culturale, gli scienziati studino il problema della disgre-
gazione dei sistemi nei periodi di massimo squilibrio, e della lo-
ro sostituzione con sistemi differenti. 16 Particolarmente
interessante, per quanto riguarda il modo in cui un sistema so-
ciale può rimpiazzarne un altro, è il lavoro che Humberto Matu-
rana e Francisco Varela in Cile e Vilmos Csanyi e Gyorgy Kam-
pis in Ungheria stanno effettuando sulla autoorganizzazione dei
sistemi viventi tramite quella che Maturana chiama autopoiesi, e
Csanyi autogenesi. 11
Csanyi descrive come si formano e si mantengono i sistemi,
mediante il processo che egli definisce di replicazione. La repli-
cazione, sostanzialmente un processo di autocopiatura, si può
osservare a livello biologico: le cellule, per sostituirsi continua-
mente, portano nel loro codice genetico, o DNA, quella che
Csanyi chiama un'informazione replicativa. Ma questo processo
si attua a tutti i livelli: molecolare, biologico e sociale. Infatti
ogni sistema ha la propria informazione replicativa, che forma,
espande e tiene assieme i sistemi. 18
La replicazione delle idee, come fa notare Csanyi, è essen-
ziale prima per formare e poi per mantenere i sistemi sociali. E,
chiaramente, il tipo particolare d'informazione replicativa adat-
to per una società mutuale (l'idea base d'uguaglianza, per esem-
pio), è assolutamente inadatto per una società dominatore. Le
norme, ovvero ciò che viene ritenuto giusto e normale, in questi
170 Riane Eisler

due tipi di organizzazione sociale costituiscono, come abbiamo


visto, poli distinti.
Quindi, per sostituire un'organizzazione sociale mutuale con
una basata sul dominio con la forza, si devono attuare cambia-
menti fondamentali nell'informazione replicativa. Ritornando
all'analogia biologica, ci vorrà un codice replicativo totalmente
diverso. E questo nuovo codice dovrà essere impresso nella
mente di ogni singolo uomo, donna e bambino, fino a che la lo-
ro idea di realtà venga completamente trasformata per adattarsi
alle necessità di una società dominatore.
In poche pagine è impossibile anche solo iniziare a descrive-
re un processo che è continuato per millenni, e perdura tuttora
nella nostra epoca: il processo per cui la mente umana, a volte
brutalmente e a volte in modo sottile, a volte deliberatamente e a
volte inconsapevolmente, fu rimodellata nel nuovo tipo di mente
richiesta da questo mutamento drastico della nostra evoluzione
culturale. Fu un processo che, come abbiamo visto, comportò
un'enorme distruzione materiale, che continuò fino in epoca
storica. Come possiamo ancora leggere nella Bibbia, gli ebrei,
come in seguito anche cristiani e musulmani, rasero al suolo
templi, abbatterono boschi sacri e fecero a pezzi idoli pagani. 19
Il processo richiese anche una massiccia distruzione spirituale,
che pure proseguì fino in epoca storica. Si bruciavano i libri, si
bruciavano e perseguitavano gli eretici: quelli che non concepi-
vano la realtà nel modo prescritto venivano uccisi o convertiti.
Direttamente, mediante la coercizione personale, e indiretta-
mente, tramite saltuarie dimostrazioni sociali di forza, come le
pubbliche inquisizioni ed esecuzioni, venivano scoraggiati i
comportamenti, gli atteggiamenti e le percezioni che non si
conformavano alle norme del modello dominatore. Questo con-
dizionamento basato sulla paura arrivò a far parte di ogni aspet-
to della vita quotidiana, e influenzò l'educazione dei bambini, le
leggi, le scuole. E mediante questi e altri strumenti di condizio-
namento sociale, il tipo di informazione replicativa richiesto per
La realtà capovolta. Prima parte 171

istituire e mantenere una società dominatore si diffuse in tutto il


sistema sociale.
Per millenni uno degli strumenti più importanti del condi-
zionamento sociale fu la «educazione spirituale» compiuta da-
gli antichi sacerdoti. Parte integrante del potere statale, queste
caste sacerdotali facevano parte ed erano al servizio delle élite
maschili che, ormai dappertutto, governavano e sfruttavano la
gente.
I sacerdoti, che avevano diffuso la convinzione che quanto
sostenevano era il Verbo divino, la Parola di Dio che era stata
trasmessa loro magicamente, erano spalleggiati da eserciti, tri-
bunali e boia. Ma il loro sostegno più grande non era temporale,
bensì spirituale. Le loro armi più potenti erano le storie «sacre»,
i rituali e gli editti sacerdotali, mediante i quali essi inculcarono
sistematicamente nelle menti della gente la paura di divinità ter-
ribili, remote e «imperscrutabili». Perché bisognava insegnare
alla gente a obbedire alle divinità, e ai loro rappresentanti terre-
ni, che ormai esercitavano arbitrariamente il potere di vita e di
morte nei modi più crudeli, ingiusti e capricciosi, che tuttora
vengono spesso giustificati come «volontà di Dio».
Ancor oggi la gente continua a imparare dalle storie «sacre»
ciò che è bene e ciò che è male, quello che deve essere imitato o
aborrito, e quanto dovrebbe essere accettato come ordine divi-
no, non solo per sé, ma per tutti gli altri. Tramite cerimonie e ri-
tuali la gente prende parte a queste storie. Il risultato è che i va-
lori in esse espressi penetrano nei più profondi recessi della
mente, dove, persino al giorno d'oggi, vengono custoditi come
verità sacre e immutabili.
Il tipo di controllo centralizzato e omogeneo che i sacerdoti
delle città-Stato dell'antichità esercitavano su queste storie sacre
è difficile da concepire nella nostra epoca in cui la gente, ammes-
so che la religione, la censura di Stato o i mass media non lo im-
pediscano, dispone di una gran varietà di punti di vista.
Nell'antichità ciò che si poteva leggere, o, nel caso delle
masse illetterate, ascoltare, era molto più limitato. Ed era in pre-
172 Riane Eisler

valenza espressione di idee omologate ufficialmente. Inoltre, era


pressoché impossibile la replicazione di una qualsiasi idea che
potesse scalzare l'ideologia approvata dall'autorità, poiché an-
che se si fosse riuscito a eludere in qualche modo la censura teo-
cratica, una tale eresia sarebbe stata punita con terribili torture e
con la morte.
Rimanevano, allora come oggi, i ricordi popolari di antichi
miti, rituali, poesie e canzoni. Ma gradualmente, col passare
delle generazioni, essi vennero alterati e distorti, poiché i sacer-
doti, i compositori di odi e canzoni, i poeti e gli scribi, li trasfor-
marono in ciò che secondo loro avrebbe incontrato il favore dei
propri sovrani
Senza dubbio molti di questi uomini credevano che il proprio
operato fosse la volontà degli dèi, si sentivano divinamente ispi-
rati. Ma che fosse compiuta in nome di dèi, vescovi o re, oppure
per la fede, l'ambizione o la paura, quest'operazione di model-
lare e rimodellare la letteratura normativa scritta e orale non era
semplicemente una conseguenza del cambiamento sociale. Era
parte integrante del processo di mutamento della norma: il pro-
cesso per cui una società dominata dal maschio, violenta e ge-
rarchica, cominciò gradualmente a essere considerata non solo
normale, ma anche giusta.

La metamorfosi del mito

Nel suo romanzo 1984 George Orwell ha previsto un'epoca


in cui un «ministro della Verità» avrebbe rimodellato ogni idea e
riscritto tutti i libri, per adattarli alle esigenze degli uomini al
potere. 20 Ma la cosa tremenda è che non si tratta di un'eventua-
lità futura. È già successo molto tempo fa, quasi ovunque nel
mondo antico. 21
Nel Medio Oriente, dapprima in Mesopotamia e a Canaan, e
successivamente nei regni ebraici di Giudea e Israele, furono
per lo più i sacerdoti a rielaborare le antiche storie e a riscrivere
La realtà capovolta. Prima parte 173

i codici della legge. Come nell'Antica Europa, questo processo


iniziò con le prime invasioni androcratiche e proseguì per mil-
lenni, mentre l'Egitto, la Sumeria, e tutti i territori della Mezza-
luna Fertile venivano progressivamente trasformati in società a
dominio maschile. Come è ormai ampiamente documentato dai
ricercatori biblici, questo processo di ri-mitizzazione era in atto
ancora nel 400 a.C., periodo in cui, secondo gli studiosi, i sacer-
doti ebrei riscrissero per l'ultima volta la Bibbia ebraica (Antico
Testamento). 22
Il compendio definitivo in un unico libro, la prima metà della
Bibbia, dei miti e delle leggi che hanno così profondamente in-
fluenzato le nostre menti di occidentali, avvene circa un centi-
naio d'anni dopo che Eschilo in Grecia scrisse l' Orestea. A
quell'epoca in Palestina la mitologia biblica, su cui si basano
ancora giudaismo, cristianesimo e islam, fu nuovamente vaglia-
ta, modificata e ampliata da un gruppo di sacerdoti ebrei che gli
studiosi biblici chiamano P, o Priestly school (scuola Sacerdota-
le). Questa definizione serviva a distinguerli da precedenti ri-
mitizzatori, come gli E, o scuola Elohim, che scrissero nella
parte settentrionale d'Israele, e i J, o scuola di Jahweh, del regno
meridionale di Giudea. Questi gruppi editoriali E e J avevano in
precedenza rivisitato miti babilonesi e cananei, e anche la storia
ebraica, per adattarli ai loro scopi. Adesso si era messo al lavoro
su questi antichi testi eterogenei il gruppo P, per produrre un
nuovo pacchetto sacro. Il suo obiettivo, per citare gli studiosi
che hanno chiosato la famosa Bibbia di Dartmouth, era di «tra-
durre in realtà il progetto di uno stato teocratico». 2 )
Questi biblisti aggiungono che, anche se non si sa con cer-
tezza se questa ri-mitizzazione finale a scopi politici implicasse
una congiura d'idee, sicuramente ne comportava una d'azioni.
«Essi fusero il materiale J e E», scrivono a proposito della scuo-
la P, o sacerdotale, i commentatori della Bibbia di Dartmouth,
«e ne inserirono una gran quantità, conosciuta come elemento
P.» E proseguono: «La quantità e il carattere di questo tardo
contributo delle autorità sacerdotali è stupefacente, per chi non
174 Riane Eisler

conosce il loro lavoro. Si ritiene che esso comprenda quasi la


metà del Pentateuco, visto che molti studiosi attribuiscono alla
P undici dei cinquanta capitoli di Genesi, diciannove dei qua-
ranta di Esodo, ventotto dei trentasei di Numeri, e l'intero Levi-
tico».24
Per di più, venne omesso molto di ciò che prima era ritenuto
sacro, per esempio i cosiddetti Apocrifi. Inoltre, come ci viene
spiegato sempre nella Bibbia di Dartmouth, «le pratiche reli-
giose del tempo venivano sancite facendone risalire le origini a
un passato remoto, o attribuendo origine divina a numerosi co-
mandamenti». 25 Insomma, per usare le parole della Bibbia di
Dartmouth, questa ri-mitizzazione definitiva di quello che è
giunto fino a noi come Antico Testamento, è un «lavoro di rap-
pezzatura». 26
Ciò spiega perché, nonostante i tentativi di «dare un'impres-
sione d'unità», 27 nella Bibbia ci sono tante contraddizioni e di-
scordanze interne. Un esempio molto noto sono i due racconti di
come Dio ha creato gli esseri umani nel primo capitolo di Gene-
si. Il primo racconto dice che la donna e l'uomo erano creazioni
divine simultanee. Il secondo, più elaborato, racconta che Eva
fu creata da una costola di Adamo, dopo un ripensamento.
Molte di queste discrepanze sono indizi evidenti del conflitto
ancora in atto tra l'antica realtà, ancora presente nella cultura
popolare, e le nuove verità che la classe sacerdotale al potere
cercava d'imporre. A volte lo scontro tra vecchie e nuove norme
è palese, come nel racconto della prima coppia umana, in cui si
contrappongono concezioni ugualitarie e maschiliste. Ma, più
spesso, il conflitto tra vecchio e nuovo è meno evidente.
Un esempio estremamente calzante è il modo in cui viene
considerato il serpente nella Bibbia. In effetti il ruolo svolto dal
serpente nella drammatica cacciata dal Paradiso terrestre acqui-
sta un senso solo nel contesto della realtà precedente, in cui esso
era uno dei simboli principali della Dea.
Per tutto il Neolitico, negli scavi archeologici, il serpente è
uno dei motivi più diffusi. «Il serpente e il suo derivato astratto,
La realtà capovolta. Prima parte 175

la spirale, sono motivi dominanti di tutta l'arte dell'Antica Eu-


ropa»,28 scrive la Gimbutas. La studiosa fa anche notare che l'as-
sociazione del serpente alla Dea sopravvisse fino in epoca stori-
ca, non solo nella sua forma originale, come a Creta, ma in una
varietà di miti posteriori greci e romani, come quelli di Atena,
Era, Demetra, Atargate e della dea Siria. 29 Lo stesso vale per il
Medio Oriente e gran parte dell'Oriente. In Mesopotamia, una
dea rinvenuta in un sito del XXVI secolo a.C. ha un serpente at-
torcigliato intorno alla gola, proprio come una figura, quasi
identica, dell'India del 100 a.C. 30 Nella mitologia dell'antico
Egitto la dea cobra Ua Zit è la prima Creatrice del mondo. La
dea di Canaan Ashtoreth, o Astarte, viene rappresentata con un
serpente. In un bassorilievo sumero del 2500 a.C., detto la Dea
dell'Albero della Vita, proprio a fianco di due immagini della
Dea si trova una coppia di serpenti. 31
Chiaramente il serpente era troppo importante, sacro e uni-
versalmente diffuso come simbolo della potenza della Dea, per
poter essere ignorato. Se si voleva rimodellare la vecchia mente
per adattarla alle esigenze del nuovo sistema, il serpente doveva
diventare uno degli emblemi della nuova classe sovrana, o, in
alternativa, bisognava annullarlo, distorcerlo, screditarlo.
Ecco dunque che nella mitologia greca, il serpente, a fianco
di Zeus Olimpio, diventa un simbolo del nuovo potere. 32 Analo-
gamente, c'è un serpente sullo scudo d' Atena, che, dopo una
metamorfosi, non è più solo la dea della saggezza, ma anche
della guerra. Si teneva addirittura un serpente vivo nell'Eretteo,
un edificio nei pressi del tempio d' Atena, sull'Acropoli. 33
Quest'appropriazione del serpente da parte dei dominatori
indoeuropei della Grecia serviva fini politici estremamente pra-
tici: aiutava a legittimare il potere dei nuovi sovrani. Grazie agli
effetti disorientanti causati dal fatto di trovare un potente simbo-
lo, che un tempo apparteneva alla Dea, in mani estranee, serviva
anche a ricordare continuamente la sconfitta della Dea a opera
degli dèi conquistatori della violenza e della guerra.
Anche i molti casi di uccisione di serpenti che incontriamo
176 Riane Eisler

nella leggenda greca simboleggiano sempre la sconfitta del vec-


chio ordine. Zeus trucida il serpente Sifone, Apollo uccide il
serpente Pitone, ed Ercole elimina Ladone, guardiano del sacro
albero da frutta della dea Era, che si dice le fosse stato regalato
dalla dea Gaia al tempo del suo matrimonio con Zeus.
Similmente, nella Mezzaluna Fertile troviamo il mito di Baal
(che ora è diventato contemporaneamente dio della tempesta e
fratello-consorte della Dea) che sottomette il serpente Lotan o
Lowtan (non a caso, Lat in lingua cananita significa Dea). E, in
Anatolia, c'è una storia sull'uccisione del drago Illuyankas a
opera del dio indoeuropeo degli Ittiti. 34
Nel mito ebraico, come possiamo ancora leggere in Giobbe,
41: 1 e nel Salmo 74, Geova uccide il serpente Leviatano, che
ora viene rappresentato come un terribile mostro marino dalle
molte teste. Ma allo stesso tempo leggiamo nella Bibbia di Dart-
mouth che il simbolo più sacro della religione ebraica, l'Arca
dell'Alleanza, in origine probabilmente non conteneva i Dieci
Comandamenti. In quest'Arca, che ancor' oggi svolge un ruolo
centrale nei riti ebraici, si trovava un serpente di bronzo. 35
Si tratta del serpente bronzeo di cui parla Re, 2:18, che, scri-
ve Joseph Campbell, veniva «adorato proprio nel tempio di Ge-
rusalemme, insieme a un'immagine della sua sposa, la potente
dea, ivi conosciuta col nome di Asherah». 36 Sempre nella Bibbia
leggiamo che questo serpente bronzeo, che si dice fosse stato
fatto nel deserto da Mosè in persona per provare la potenza di
Geova, non fu tolto dal tempio e distrutto prima del 700 a.C.,
durante le grandi persecuzioni religiose del re Ezechiele. 37
Ma la testimonianza più stupefacente del potere duraturo del
serpente ci viene dal racconto della cacciata di Adamo ed Eva
dal Paradiso. 38 È infatti il serpente che suggerisce alla donna di
disobbedire a Geova e di mangiare lei stessa dall'albero della
conoscenza, consiglio che ancor oggi si dice abbia destinato l'u-
manità a una punizione eterna.
Sono stati fatti molti tentativi, da parte dei teologi, di inter-
pretare la storia della cacciata dal Paradiso in modi che non
La realtà capovolta. Prima parte 177

«spiegano» la barbarie, la crudeltà e l'insensibilità come una


conseguenza inevitabile del «peccato originale». Sicuramente la
reinterpretazione del più famoso dei miti religiosi secondo un
simbolismo nuovo, più umano, fa parte integrante della trasfor-
mazione ideologica, che deve accompagnare il mutamento so-
ciale, economico e tecnologico da un sistema dominatore a uno
mutuale. Ma è anche essenziale che comprendiamo chiaramente
il significato sociale e ideologico di questa importante storia al-
l'interno del suo contesto storico.
In effetti, il racconto di Eva che si fa consigliare dal serpente
ha un senso soltanto da questa prospettiva storica. Il fatto che il
serpente, un antico simbolo oracolare o profetico della Dea,
consigli a Eva, la donna archetipica, di disobbedire agli ordini di
un Dio maschile, non è sicuramente un caso. Né è un caso che
Eva segua in effetti il suggerimento del serpente: trasgredendo
agli ordini di Geova, mangia dal sacro albero della conoscenza.
Come l'albero della vita, anche l'albero della conoscenza era,
nella precedente mitologia, un simbolo associato alla Dea. Inol-
tre, nell'antica realtà sociale e mitica (come avveniva ancora
con la Pizia in Grecia e successivamente con la Sibilla a Roma),
la saggezza e la rivelazione divina si manifestavano attraverso
una sacerdotessa.
Secondo il punto di vista della realtà precedente, gli ordini di
questo potente Dio parvenu, Geova, per cui Eva non poteva ci-
barsi da un albero sacro (della conoscenza, della saggezza divi-
na o della vita) sarebbero stati non solo innaturali, ma anche
blasfemi. Boschetti d'alberi sacri erano parte integrante della
vecchia religione. Lo stesso vale per i riti volti a indurre negli
adoranti uno stato di coscienza ricettivo alle rivelazioni della
Dea, riti officiati dalle donne, in quanto sacerdotesse della Dea.
Insomma, nell'ambito della vecchia realtà, Geova non avreb-
be avuto il diritto di dare simili ordini. Ma, visto che erano stati
dati, non ci si poteva aspettare che Eva o il serpente, in quanto
rappresentanti della Dea, li avrebbero osservati.
Ma, mentre questa parte del racconto della cacciata è com-
178 Riane Eisler

prensibile solo in funzione della realtà precedente, il suo seguito


ha un senso solo alla luce delle politiche di potere per l'imposi-
zione di una società di tipo dominatore. Come la successiva tra-
sformazione del toro cornuto (un altro antico simbolo del culto
della Dea) nel diavolo con corna e zoccoli dell'iconografia cri-
stiana, il mutamento dell'antico simbolo di saggezza oracolare
in un simbolo del male satanico, e il ritenere la donna responsa-
bile di tutte le disgrazie dell'umanità, furono espedienti politici.
Erano deliberati capovolgimenti della precedente concezione
della realtà.
Dirette al primo pubblico della Bibbia, il popolo di Canaan,
che probabilmente si ricordava ancora le terribili punizioni che
gli uomini che portavano con sé gli dèi della guerra e del tuono
avevano inflitto ai loro antenati, le orribili conseguenze della di-
sobbedienza di Eva agli ordini di Geova erano più che una sem-
plice allegoria sulla «colpevolezza» dell'umanità. Erano un
chiaro monito a evitare il culto della Dea, che ancora resisteva.
La «colpa» di Eva quando si rifiutò di ubbidire a Geova e
s'azzardò ad attingere personalmente alla fonte della conoscen-
za, era in sostanza il rifiuto di rinunciare a quel culto. E siccome
fu Eva, la prima donna, il simbolo della donna, a rimanere lega-
ta all'antica fede, più di Adamo, che si limitò a seguire il suo
esempio, la punizione per lei doveva essere più tremenda. Da
quel momento, si sarebbe dovuta sottomettere in tutto e per tut-
to. Le sue sofferenze si sarebbero moltiplicate, e con esse la sua
prole, il numero di figli che avrebbe generato. 39 E per l'eternità
sarebbe stata condannata a essere dominata da questo Dio ven-
dicativo, e dal suo rappresentante terreno, l'uomo.
A parte questo, lo svilimento del serpente e l'associazione
della donna al male erano un modo per screditare la Dea. E, per
la verità, l'esempio più rivelatore di quanto la Bibbia contribuì a
istituire e mantenere una realtà di dominio maschile, di gerar-
chia e di guerra, non è dato da come essa descrisse il serpente.
Ancor più illuminante, e unico, come vedremo nel capitolo se-
La realtà capovolta. Prima parte 179

guente, è il modo in cui gli uomini che scrissero la Bibbia si oc-


cuparono della Dea stessa. 40

Note

I. Eschilo, Orestea, in Tragici greci, Mondadori, Milano 1977, trad. di


Raffaele Cantarella, p. I 33.
2. lbid.
3. lbid., p. 136.
4. lbid., p. 138.
5. Si veda, per esempio, Hugh Lloyd-Jones, introduzione a Agamennon,
The Libation Bearers, The Eumenides, Prentice-Hall, Englewood Cliffs, NJ.
1970.
6. Joan Rockwell, Fact in Fiction: The Use of Literature in the Systematic
Study of Society, Routledge & Kegan Paul, Londra 1974, cap. 5.
7. George Thompson, The Prehistoric Aegean, Citadel, New York 1975;
H.D.F. Kitto, The Greeks, Penguin Books, Baltimore 1951, p. 19 (trad. it. /
greci, Sansoni, Firenze 1973).
8. J. Rockwell, op. cit., p. 163.
9. lbid., p. 162.
10. lbid.
11. Eschilo, op. cit., p. 139.
12. J. Rockwell, op. cit., p. 150.
13. Eschilo, op. cit., p. 137.
14. Per un'eccellente analisi di Spencer e degli altri teorici androcratici del
XIX secolo, si veda Martha Vicinus (a cura di), Sujfer and Be Stili: Women in
the Victorian Age, Indiana University Press, Bloomington, IN. 1974, in parti-
colare le pp. 126-45.
15. Vedi per esempio Numeri, 32 e Cronache I, 5.
16. Vedi David Loye e Riane Eisler, «Chaos and Transformation: Implica-
tions of Non-Equilibrium Theory for Socia! Science and Society», in Beha-
vioural Science, 1987, n. 32, pp. 53-65.
17. Si veda, per esempio, Humberto Maturana, «The Organization of the
Living: A Theory of the Living Organization», in Joumal of the Man-Machine
Studies, 1975, n. 7, pp. 313-32; e Vilmos Csanyi, Generai Theory of Evolu-
tion, Akademiai Kiado, Budapest 1982.
18. Si veda, per esempio, Vilmos Csanyi e Georgy Campis, «Autogenesis:
The Evolution of Replicative Systems», in Journal of Theoretical Biology,
1985, n. 114, pp. 303-21.
19. Si veda, per esempio, Re 2, 18:4 e Numeri, 31, Cronache 2, 33.
20. George Orwell, 1984, New American Library, New York 1971. Origi-
nariamente pubblicato come Nineteen Eighty Four, Gollancz, Londra 1949
(trad. it. /984, Mondadori, Milano 1950).
21. Per questa importante intuizione si veda Mary Daly, Gyn/Ecology: The
Metaethics of Radical Feminism, The Women 's Press, Londra I 991.
180 Riane Eisler

22. Si veda The Dartmouth Bible, commento di Roy Chamberlain e Her-


man Feldman, con la supervisione di un comitato consultivo di biblisti, Hou-
ghton Mifflin, Boston 1950, che spiega come gli studiosi siano finalmente in
grado di ricostruire il modo in cui, nel corso di centinaia d'anni, la Bibbia fu
messa assieme dalle varie «scuole» di sacerdoti e rabbini.
23. lbid., p. 9.
24. lbid., p. 10.
25. lbid., p. IO.
26. lbid.
27. lbid.
28. Marija Gimbutas, The Goddesses and Gods of Old Europe, 6500-3500
B. C., University of California Press, Berkeley e Los Angeles 1982, p. 93.
29. lbid., p. 149. Si veda, per esempio, la tavola 59 in Erich Neumann, The
Great Mother, Princeton University Press, Princeton, NJ. 1955 (trad. it. La
Grande Madre. Fenomenologia delle configurazioni femminili dell'inconscio,
Longanesi, Milano 1990).
30. Per una rassegna dell'onnipresenza delle immagini del serpente asso-
ciate alla Dea nelle culture del Vicino Oriente, e in quelle europee, asiatiche e
persino americane, si vedano le tavole in E. Neumann, op. cit.
31. Si veda, per esempio, Joseph Campbell, The Mythic Image, Princeton
University Press, Princeton, NJ. 1954, p. 295 (trad. it. La figura del mito. Un
grande itinerario illustrato nelle immagini mitologiche di ogni tempo e paese,
Red/Studio Redazionale, Como 2002).
32. Si veda, per esempio, ibid., p. 296, e Jane Harrison, Prolegomena to
the Study of Greek Religion, Merlin Press, Londra 1903, 1962, per un esame
delle origini del serpente nella mitologia greca.
33. M. Gimbutas, op. cit., p. 149.
34. Merlin Stone, When God Was a Woman, Harcourt Brace Jovanovich,
New York 1976, p. 67.
35. The Dartmouth Bible, 146; Re 2, 18:4.
36. J. Campbell, op. cit., p. 294
37. Re 2, 18:4
38. Per un esame sulle origini di Eva, si veda Robert Graves e Raphael Pa-
tai, Hebrew Myths, McGraw-Hill, New York 1963, p. 69 (trad. it. I miti ebrai-
ci, Tea, Milano 1991).
39. Genesi, 3: 16. Il passo «moltiplicherò grandemente le tue pene e la tua
gravidanza; avrai figli nel dolore e desidererai tuo marito, ed egli dominerà su
di te», ha molto più senso se si considera la storia della cacciata dal Paradiso
terrestre come una favola androcratica su come le popolazioni ugualitarie che
adoravano la Dea, dedite all'agricoltura (o orticoltura), furono conquistate da
pastori bellicosi e dominati dai maschi, e di come ciò segnò la fine della libertà
sessuale e riproduttiva della donna. Il passo «moltiplicherò grandemente le tue
pene e la tua gravidanza», indica chiaramente che a quell'epoca le donne per-
sero non solo il diritto di scegliere il loro compagno sessuale, ma anche quello
di usare le tecnologie di controllo delle nascite. Che l'uso dei contraccettivi ri-
salga all'antichità è dimostrato da antichi papiri egiziani, che descrivono l'uso
di spermicidi. Si veda Norman Himes, Medicai History of Contraception,
La realtà capovolta. Prima parte 181

Schoken, New York 1970, p. 64 (trad. it. Il controllo delle nascite dalle origini
ad oggi, Sugar, Milano 1965).
40. Un'opera straordinaria dell'Ottocento, che mette in discussione sia la
cultura ufficiale del suo tempo che la Bibbia stessa, è Elizabeth Cady Stanton,
The Woman's Bible, ristampato in The Originai Feminist Attack on the Bible,
introduzione di Barbara Welter, Amo Press, New York 1974. Pubblicata per la
prima volta nel 1895, contro il parere di molte altre femministe, che la consi-
deravano tremendamente sacrilega, oppure poco rilevante in un'epoca laica o
illuminata, The Woman 's Bible è frutto del lavoro di diverse studiose femmini-
ste. Anche se alcune di loro cercavano di conciliare la Bibbia con le aspirazio-
ni femministe, Elizabeth Cady Stanton, forse la più illustre femminista del
XIX secolo, andò direttamente al nocciolo della questione, identificando e op-
ponendosi ai numerosi passi in cui si afferma che le donne, per decreto divino,
sono creature inferiori. Da allora, soprattutto negli anni Settanta e Ottanta,
molte donne hanno riesaminato la Bibbia, dando un importante contributo allo
studio delle religioni. Per uno sguardo generale su questa nuova ricerca, si ve-
da Gai! Graham Yates, «Spirituality and the American Feminist Experience»,
in Signs, autunno I 983, n. 9, pp. 59-72; Anne Barstow Driver, «Review Essay:
Religion», in Signs, inverno 1976, n. 2, pp. 434-42; Rosemary Ruether, «Fe-
minist Theology in the Academy», in Christianity and Crisis, 1985, n. 45, pp.
55-62. Si veda anche Caro! P. Christ e Judith Plaskow (a cura di), Womanspirit
Rising: A Feminist Reader in Religion, Harper & Row, San Francisco 1990;
Nancy Auer Falk e Rita Gross (a cura di), Unspoken Worlds, Harper & Row,
San Francisco 1980; Charlene Spretnak (a cura di) The Politics of Women 's
Spirituality, Doubleday Anchor, New York 1982; Elisabeth Schussler Fioren-
za, In Memory of Her, Crossroad, New York 1983 (trad. it. In memoria di Lei:
una ricostruzione femminista delle origini cristiane, Claudiana, Torino 1990);
Rosemary Radford Ruether (a cura di), Religion and Sexism: lmages of Wo-
men in Jewish and Christian Traditions, Simon & Schuster, New York 1974;
Mary Daly, Beyond God the Father, Beacon, Boston 1973 (trad. it. Al di là di
Dio padre. Verso una.filosofia di liberazione della donna, Editori Riuniti, Ro-
ma 1990); Susannah Herschel (a cura di), On Being a Jewish Feminist,
Schoken Books, New York 1982. Un recente ed eccellente breve saggio è Ca-
rni P. Christ, «Toward a Paradigm Shift in the Academy and in Religious Stu-
dies», in Christy Farham (a cura di), Transforming the Consciousness of the
Academy, Indiana University Press, Bloomington, Indiana 1987. Per un'affa-
scinante reinterpretazione della storia biblica di Sara, si veda Savina J. Teubal,
Sarah the Priestess: The First Matriarch of Genesis, Swallow Press, Chicago
1984.
7
La realtà capovolta
Seconda parte

All'inizio gli invasori erano semplici bande di predatori che


uccidevano e saccheggiavano.Nell'Antica Europa, per esempio,
l'improvvisa scomparsa di culture radicate coincide con la pri-
ma comparsa delle tombe di capi kurgan. 1 Nella Bibbia leggia-
mo di come intere città venissero sistematicamente rase al suo-
lo, e di come le opere d'arte, tra cui le immagini più sacre dei
conquistati, gli «idoli pagani» di cui ci parlano i biblisti, fossero
fuse in monete d'oro, per essere trasportate più comodamente. 2
Ma, dopo poco, i nuovi dominatori iniziarono a cambiare.
Essi, poi i loro figli, i nipoti, e, a loro volta, i discendenti di co-
storo, adottarono in parte i valori, le tecnologie più avanzate e
gli stili di vita delle popolazioni conquistate. Si stanziarono, e
spesso presero in moglie donne indigene. Come i sovrani mice-
nei a Creta e re Salomone a Canaan, si appassionarono agli
aspetti più «raffinati» della vita. Si costruirono palazzi e com-
missionarono opere d'arte.
Così gradualmente, dopo ogni ondata d'invasioni, si riaffer-
mava l'impulso verso una maggiore raffinatezza e complessità
tecnologica e culturale. Ogni volta, dopo un periodo di arretra-
mento culturale, riprendeva il corso interrotto della civiltà. Ma
questa aveva ormai preso una direzione differente. Perché se gli
uomini al vertice volevano mantenere le proprie posizioni di do-
184 Riane Eisler

minio, c'era un aspetto della cultura precedente che non poteva


essere assorbito. Questo aspetto, o, più propriamente, comples-
so di aspetti, era l'essenza fondamentalmente pacifica, sessual-
mente e socialmente ugualitaria, del precedente modello sociale
mutuale.

Il nuovo corso della civiltà

Far continuare i due sistemi, quello dominatore sovrapposto


al precedente mutuale, comportava il rischio enorme che quello
più antico, con il fascino che esercitava sulla gente, assetata di
pace e di libertà dall'oppressione, potesse riacquistare la sua
forza. Il sistema socio-economico precedente, in cui le donne a
capo di clan matrilineari possedevano la terra come amministra-
trici fiduciarie del popolo, era dunque una minaccia costante.
Per consolidare il dominio delle nuove élite al potere, era ne-
cessario che le donne fossero private delle loro facoltà decisio-
nali. Parallelamente, le sacerdotesse dovevano essere spogliate
dell'autorità spirituale. La patrilinearità avrebbe dovuto sostitui-
re la matrilinearità anche tra i popoli conquistati, e così avven-
ne, nell'Antica Europa, in Anatolia, Mesopotamia e a Canaan,
dove le donne erano ormai· sempre più considerate alla stregua
di dispositivi di produzione e riproduzione controllati dall'uo-
mo, anziché membri importanti e indipendenti della comunità.
Ma non ci si limitò ad allontanare le donne dalle posizioni
di responsabilità e potere che avevano in precedenza. Anche i
nuovi progressi tecnologici venivano utilizzati per rafforzare e
mantenere un sistema socio-economico basato sulla gerarchiz-
zazione.
Come è tipico delle società dominatore, ora si attribuiva la
massima importanza alle tecnologie di distruzione. Gli uomini
più forti e brutali erano altamente onorati e ricompensati per la
loro abilità di conquista e di saccheggio; le risorse materiali ve-
nivano in misura crescente utilizzate per armamenti sempre più
La realtà capovolta. Seconda parte 185

sofisticati e letali. Pietre preziose, perle, smeraldi e rubini veni-


vano incastonati nelle impugnature di lance e spade. E, anche se
le catene con cui i conquistatori trascinavano dietro di sé gli
schiavi erano ancora fatte di metalli vili, i carri di questi grandi
condottieri, re e imperatori, ora più raffinati, erano decorati d' o-
ro e d'argento.
Con la ripresa dell'evoluzione tecnologica, dopo il ristagno o
il regresso del periodo delle invasioni, aumentava la quantità
delle merci e delle altre accumulazioni materiali. Ma la loro di-
stribuzione era cambiata. A Creta si dava importanza alle opere
pubbliche e a un buon tenore di vita per tutti. Ora che le nuove
tecnologie avevano aumentato la produzione di beni materiali,
gli uomini al potere si erano impossessati della maggior parte
delle nuove ricchezze, e avevano lasciato ai loro sottoposti sol-
tanto le briciole.
Anche l'evoluzione sociale aveva ripreso la sua spinta in
avanti, e le istituzioni politiche, economiche e religiose conti-
nuavano a crescere in complessità. Ma, nel momento in cui le
nuove tecnologie richiedevano nuove specializzazioni e funzio-
ni amministrative, queste venivano accaparrate dai conquistatori
autocratici e dai loro eredi.
Secondo il modello caratteristico di questa presa di potere, i
conquistatori cominciavano con l'ottenere le posizioni di domi-
nio distruggendo i territori conquistati, s'impadronivano delle
loro ricchezze, e non ne creavano di nuove. Poi, quando una
maggiore complessità tecnologica e sociale creava il bisogno di
nuovi ruoli nella produzione e nell'amministrazione della ric-
chezza, ci s'impadroniva anche di questi. Gli uomini al potere
occupavano le posizioni più vantaggiose e redditizie; il resto ve-
niva distribuito ai sottoposti più servizievoli e ubbidienti. Tra i
nuovi ruoli, per esempio, c'erano quello di esattore dei tributi
(in seguito esattore delle imposte) e altre funzioni burocratiche,
che davano a chi le occupava non solo potere e prestigio, ma an-
che ricchezza. 3
Le nuove posizioni prestigiose e rimunerative certamente
186 Riane Eisler

non venivano assegnate alle donne a capo dei clan matrilineari,


o alle sacerdotesse che rimanevano fedeli alle vecchie tradizio-
ni. Invece, come risulta dai documenti di città sumere come
Elam, tutte le specializzazioni di un certo potere e prestigio, e
tutti i nuovi ruoli sociali, e, in misura crescente, anche quelli
vecchi, venivano sistematicamente trasferiti dalle donne agli uo-
mini. 4
Perché ormai la forza e la minaccia della forza determinava-
no chi controllava i canali della distribuzione economica. La ge-
rarchizzazione era il principio riconosciuto dell'organizzazione
sociale. A partire dal dominio sociale della metà maschile del-
l'umanità, fisicamente più forte, su quella femminile, tutte le re-
lazioni umane si sarebbero adeguate a questo modello.
Tuttavia, non si poteva usare sempre e comunque la forza per
ottenere ubbidienza. Si doveva fare in modo che gli antichi po-
teri che governavano l'universo, simboleggiati dal Calice che dà
la vita, venissero sostituiti da nuove e più potenti divinità, le cui
mani ormai impugnavano la Spada sovrana. E per riuscirci biso-
gnava fare innanzitutto una cosa: abbattere la Dea stessa, e non
solo la sua rappresentante terrena, la donna, dalla posizione di
preminenza che occupava.
In alcuni miti mediorientali si raggiunge lo scopo narrando
l'uccisione della Dea. In altri ella viene sottomessa e umiliata
con uno stupro. Per esempio, la prima volta che viene citato nel-
la mitologia del Medio Oriente il potente dio Enlil, è per raccon-
tare il suo stupro della dea Ninlil. Simili racconti avevano un fi-
ne sociale molto importante. Simboleggiavano e giustificavano
l'imposizione del dominio maschile.
Un altro espediente diffuso era quello di ridurre la Dea al
rango subordinato di consorte (moglie) di un dio maschio più
potente. Oppure si trasformava la Dea in una divinità guerriera.
Per esempio, a Canaan c'era la dea Ishtar assetata di sangue, di-
vinità della guerra venerata e temuta. Analogamente, in Anato-
lia la Dea venne trasformata in una divinità marziale, caratteri-
La realtà capovolta. Seconda parte 187

stica, rileva E.O. James, completamente assente nei testi più an-
tichi. 5
Allo stesso tempo, molte delle funzioni che prima erano pre-
rogativa di divinità femminili, furono riassegnate a deità ma-
schili. Per esempio, come fa notare l'antropologa culturale
Ruby Rohrlich-Leavitt, «Quando il patrono degli scribi divenne
un dio, nei templi e nei palazzi vennero impiegati solo scribi
maschi, e la storia iniziò a essere scritta secondo un punto di vi-
sta androcentrico». 6
Ma anche se Canaan, come la Mesopotamia, già da qualche
tempo si stava avviando verso un modello sociale dominatore,
non c'è dubbio che le invasioni delle tredici tribù ebree non solo
accelerò, ma radicalizzò questo processo di trasformazione so-
ciale e ideologica. Infatti nella Bibbia soltanto è totalmente as-
sente la Dea come potenza divina.

L'assenza della Dea

Quest'assoluta negazione che il femminile, e quindi la don-


na, partecipi della divinità, è particolarmente interessante, con-
siderato che gran parte della mitologia ebraica deriva da miti
mesopotamici e cananiti preesistenti. Ed è ancor più notevole al-
la luce delle testimonianze archeologiche, le quali rivelano che,
anche molto tempo dopo le invasioni ebraiche, i popoli di Ca-
naan, tra cui gli Ebrei stessi, continuarono ad adorare la Dea.
Come scrive il biblista Raphael Patai nel suo libro The He-
brew Goddess, i ritrovamenti archeologici non lasciano dubbi
che «alla fine della monarchia ebraica il culto degli antichi dèi
di Canaan faceva parte integrante della religione ebraica». Inol-
tre, «in questa religione popolare il culto della dea svolgeva un
ruolo molto più importante di quello degli dèi». 7 Per esempio,
nel tumulo di Tell Beit Mirsim (la città biblica di Devire, a sud-
ovest della attuale Hebron), gli oggetti religiosi che si trovano
con maggior frequenza negli strati più recenti dell'Età del Bron-
188 Riane Eisler

zo (dal XXI al XIII secolo a.C.) sono le cosiddette statuette o


placche di Astarte. Ma persino dopo che la città fu ricostruita in
seguito alla distruzione avvenuta durante l'invasione ebraica del
1300-1200 a.C. circa, come nota Patai, «le testimonianze ar-
cheologiche non lasciano dubbi che queste statuette fossero as-
sai popolari tra gli Ebrei». 8
Ovviamente, c'è qualche allusione anche nella Bibbia stessa.
I profeti Esdra, Osea, Neemia e Geremia si scagliano continua-
mente contro l' «abominio» del culto di altri dèi. Sono partico-
larmente scandalizzati da coloro che adorano «la Regina del
Cielo». 9 E la loro ira più tremenda si scatenava contro la «infe-
deltà delle figlie di Gerusalemme», che comprensibilmente sta-
vano «ricadendo nel peccato» di credenze in cui gli uomini non
monopolizzavano ogni autorità temporale e spirituale. Ma a par-
te simili passaggi occasionali, sempre denigratori, non si fa al-
cun accenno all'esistenza, o alla possibilità, di una divinità che
non sia maschile.
Sia esso dio del tuono, della montagna o della guerra, o in
seguito il più incivilito dio dei Profeti, nella Bibbia c'è un solo
Dio: l'imperscrutabile e «geloso» Geova, che nella successiva
mitologia cristiana invia il suo unico Figlio maschio, Gesù Cri-
sto, a morire per espiare le «colpe» dei suoi figli. E, sebbene il
termine ebraico Elohim abbia radici sia maschili che femminili
(che, tra l'altro, spiegano come, nel primo racconto della crea-
zione in Genesi, tanto la donna quanto l'uomo poterono essere
creati a immagine di Elohim), tutti gli altri appellativi della divi-
nità, come Re, Signore, Padre e Pastore, sono specificamente
maschili. w
Se leggiamo la Bibbia come letteratura sociale normativa,
l'assenza della Dea è assolutamente rivelatrice del tipo di ordine
sociale che si sforzarono d'istituire e conservare gli uomini che
nel corso dei secoli scrissero e riscrissero questo documento re-
ligioso. Infatti, simbolicamente, l'assenza della Dea dalle Sacre
Scritture, ufficialmente approvate, significava la mancanza di un
La realtà capovolta. Seconda parte 189

potere divino che proteggesse le donne e le vendicasse per i tor-


ti subiti dall'uomo.
Non vogliamo con questo dire che la Bibbia non contenga
importanti verità mistiche e precetti etici, o che il giudaismo,
come si sviluppò successivamente, non abbia portato un contri-
buto positivo alla storia dell'Occidente. Anche se è sempre più
evidente che le loro radici affondano in una saggezza più antica,
molto di quanto c'è di umano e di giusto nella civiltà dell'Occi-
dente deriva dagli ammaestramenti dei profeti ebrei. Per esem-
pio, molti insegnamenti di Isaia, da cui derivò gran parte della
successiva dottrina di Gesù, sono più consoni a una società mu-
tuale che a una dominatore. Nondimeno, insieme a quanto v'è
d'umano e d'elevato, molto di ciò che si trova nella Bibbia giu-
deo-cristiana è un sistema di miti e leggi volto a imporre, man-
tenere e perpetuare un sistema d'organizzazione sociale ed eco-
nomica dominatore. 11
Come i Kurgan, che diversi millenni prima avevano devastato
l'Antica Europa, le tribù ebree che avevano occupato Canaan,
provenendo dai deserti del Sud, erano invasori periferici, che
portavano con sé il proprio dio della guerra: il fiero e geloso
Yahweh, o Geova. Costoro erano più progrediti tecnologicamen-
te e culturalmente rispetto ai Kurgan, ma, come gli Indoeuropei,
erano dominati da uomini bellicosi ed estremamente violenti. In
vari passaggi dell'Antico Testamento si legge di come Geova or-
dini di distruggere, saccheggiare e uccidere, e di come, effettiva-
mente, questi comandi siano eseguiti scrupolosamente. 12
La società tribale ebrea, come quella dei Kurgan e di altri In-
doeuropei, era anche estremamente gerarchica, ed era governata
al vertice dalla tribù di Mosè, i Leviti. Al di sopra di questi c'era
un'élite ancora più ristretta. Era la famiglia di Konath, o Cohen,
i sacerdoti ereditari che discendevano da Aronne, che erano le
autorità supreme. Come si legge nell'Antico Testamento, gli uo-
mini di questo clan facevano risalire i loro poteri direttamente a
Geova. Inoltre, gli studiosi ci dicono che con ogni probabilità fu
questa élite sacerdotale a eseguire buona parte del lavoro di ri-
190 Riane Eisler

scrittura del mito e della storia, per consolidare la propria posi-


zione dominante. 13
Infine, a completare e rafforzare la configurazione di violen-
za, autoritarismo e dominio maschile della società dominatore,
c'è la esplicita dichiarazione dell'Antico Testamento che la don-
na è dominata dall'uomo per volere divino. Perché, come i Kur-
gan e altri invasori indoeuropei che tanta distruzione avevano
compiuto in Europa e in Asia Minore, l'antica società tribale de-
gli Ebrei era un sistema rigidamente dominato dal maschio.
Ancora una volta, è assolutamente necessario sottolineare
che ciò non significa in alcun modo che la religione degli anti-
chi Ebrei, e tanto meno il giudaismo, sia responsabile dell'im-
posizione di una ideologia dominatore. Il passaggio da una
realtà mutuale a una realtà dominatore cominciò molto tempo
prima delle invasioni ebree di Canaan, e si verificò simultanea-
mente in zone diverse del mondo antico. Per di più il giudaismo,
con la sua concezione della divinità e della morale, va ben oltre
l'Antico Testamento, e nella tradizione mistica della Shekhina
conserva in effetti molti elementi del culto della Dea.
Come abbiamo visto, il culto della Dea era diffuso nella reli-
gione dei popoli ebraici ancora in epoca monarchica. Occasio-
nalmente ci furono anche donne, come la profetessa e giudice
Deborah, che giunsero a una posizione preminente. Ma, nel
complesso, l'antica società ebraica era governata da una élite ri-
stretta. Quel che è peggio, come possiamo ancora leggere nel-
1' Antico Testamento, le leggi volute da questa casta dominante
maschile non consideravano le donne esseri umani indipendenti,
ma una proprietà privata degli uomini. Dapprima appartenevano
ai loro padri. In seguito erano destinate a diventare proprietà dei
loro mariti o padroni, così come i figli che avrebbero generato.
Sappiamo dalla Bibbia che le giovani e le donne delle città-
Stato conquistate che, come dice la Bibbia di re Giacomo, non
avevano «conosciuto un uomo con lui giacendo», venivano abi-
tualmente prese come schiave, in conformità ai comandamenti
di Geova. 14 Nell'Antico Testamento leggiamo anche di servi
La realtà capovolta. Seconda parte 191

vincolati da contratto, che la Bibbia di re Giacomo chiama do-


mestici e domestiche, e di come la legge stabilisse che un uomo
poteva vendere la figlia come domestica. È particolarmente in-
dicativo che, quando un servo veniva liberato, secondo la legge
biblica sua moglie e i suoi figli restavano indietro, proprietà del
padrone. 15
Ma non solo serve, concubine e relativa prole erano proprietà
maschile. La celebre storia di Abramo che si prepara a sacrifica-
re a Geova Isacco, il figlio avuto da Sara, illustra drammatica-
mente che persino i figli delle mogli legittime erano sottoposti
al controllo assoluto degli uomini. E, come dimostra la storia di
Giacobbe, che acquistò la moglie Lea lavorando sette anni per il
padre, era così anche per le donne.

Sesso ed economia

Forse il modo migliore per rendersi conto chiaramente di


questa concezione disumana della donna è un'attenta lettura del
gran numero di proibizioni e precetti biblici, che ci sono sempre
stati spiegati come mezzi per proteggere la sua virtù. Per esem-
pio, in Deuteronomio, 22:28-29, leggiamo che «se un uomo tro-
va una fanciulla vergine, non fidanzata, l'afferra e giace con lei,
e vengono scoperti, l'uomo che si sarà giaciuto con la fanciulla
dovrà dare al padre cinquanta sicli d'argento, e dovrà fare di lei
sua moglie». Apparentemente, questo tipo di legge sembra co-
stituire un grande progresso, un passo in avanti morale e umano
nell'incivilimento di barbari immorali e dissoluti. Ma se consi-
deriamo obiettivamente questa legge, nel contesto sociale ed
economico in cui fu promulgata, risulta evidente che essa non
nasce da alcuna considerazione morale o umana. Semmai, era
congegnata per proteggere i diritti di proprietà degli uomini nei
confronti delle «loro» mogli e figlie.
Ciò che in realtà questa legge dice è che, siccome una ragaz-
za senza marito e non più vergine non è più un bene economica-
192 Riane Eisler

mente rilevante, il padre deve essere indennizzato. E, per quanto


riguarda l'obbligo legale di sposare la ragazza da parte dell'uo-
mo che ha causato questo problema, in una società in cui i mari-
ti hanno poteri praticamente illimitati sulle mogli, difficilmente
si può dire che un simile matrimonio forzato sia imposto per ri-
guardo alla ragazza. Anche questa punizione ha a che vedere
con l'economia maschile: poiché la ragazza è ormai una merce
senza alcun valore di mercato, non sarebbe «equo» continuare
ad accollarla al padre. Deve essere acquistata dall'uomo che ha
causato il suo deprezzamento.
Il reale intento di tutto questo sistema di abitudini e leggi
sessuali «morali» si rivela ancor più chiaramente in Deuterono-
mio, 22:13-21. Questi versi riguardano il caso dell'uomo che di-
chiara che, siccome ha scoperto che la sposa non è vergine, «la
prende in avversione» e desidera liberarsi di lei. I rimedi legali
che fornisce la Bibbia per un caso come questo sono i seguenti:
se i genitori della moglie possono produrre «i segni della vergi-
nità della fanciulla» e «stendono il panno davanti agli anziani
della città», il marito deve pagare al padre della sposa cento sicli
d'argento; finché campa, non può rispedire la moglie dai suoi
genitori. Ma, se la verginità della sposa non viene provata in
modo convincente, il marito può letteralmente disfarsene. Per-
ché la legge vuole che «sia fatta uscire quella giovane fuori del-
la porta della casa di suo padre, e sia lapidata da tutta la gente
della sua città, finché muoia».
Dalla Bibbia veniamo a sapere che c'è una buona ragione per
l'uccisione di una donna non più vergine al momento del matri-
monio. Infatti, «ella ha compiuto infamia in Israele, commetten-
do meretricio nella casa paterna». Tradotto in linguaggio mo-
derno, essa dev'essere uccisa come punizione per aver portato
disonore non solo al padre, ma alla sua più ampia famiglia, le
dodici tribù d'Israele. Ma in che cosa consiste questo disonore?
Quale offesa o quale danno ha effettivamente arrecato a suo pa-
dre e al suo popolo la perdita della verginità della ragazza?
La risposta è che una donna che si comporta come una per-
La realtà capovolta. Seconda parte 193

sona sessualmente ed economicamente libera è una minaccia


per l'intero edificio sociale ed economico di una società rigida-
mente dominata dal maschio. Un comportamento di questo tipo
non può essere incoraggiato, pena la disintegrazione dell'intero
sistema sociale ed economico. Da qui la «necessità» di una for-
tissima condanna sociale e religiosa e della massima pena.
Da un punto di vista estremamente pratico, le leggi che rego-
lavano la verginità della donna erano fatte per proteggere quelle
che erano essenzialmente delle transazioni economiche dell'uo-
mo. Esigendo un indennizzo per il padre se l'accusa alla donna
si rivelava infondata, la legge puniva la diffamazione della repu-
tazione di onesto mercante dell'uomo. La legge forniva al padre
un'ulteriore garanzia. Se l'accusa si rivelava infondata, la mer-
canzia in questione (sua figlia) non poteva più essere resa. D'al-
tra parte, la legge proteggeva anche il padre, tramite gli uomini
della città, che lapidavano a morte sua figlia se l'accusa era ve-
ra. Siccome la sposa disonorata non poteva più essere venduta,
si provvedeva a distruggere questa merce ormai priva di valore
economico. Analogamente, le leggi bibliche sull'adulterio, che
imponevano che sia l'adultera che l'adultero venissero uccisi,
servivano a punire un ladro (l'uomo che aveva «rubato» la pro-
prietà di un altro) e a distruggere una merce danneggiata (la mo-
glie che aveva «disonorato» il marito).
Ma gli uomini che fecero le regole che avrebbero tramandato
quest'ordinamento socio-economico non parlavano un linguag-
gio commerciale così grossolano. Anzi, affermavano che i loro
editti non solo erano morali, giusti e onorevoli, erano addirittura
il verbo di Dio. E ancor oggi, essendo stati educati a considerare
le nostre Sacre Scritture come frutto di una saggezza divina, o
quanto meno morale, è difficile per noi valutare la Bibbia obiet-
tivamente, e capire il pieno significato di una religione in cui la
divinità suprema e unica è un maschio.
Ci è stato insegnato che la tradizione giudaico-cristiana è il
più grande traguardo morale della nostra specie. La Bibbia si
occupa principalmente di ciò che è giusto o sbagliato. Ma ciò
194 Riane Eisler

che è giusto o sbagliato in una società dominatore non lo è ne-


cessariamente in una società mutuale. Abbiamo già fatto notare
che sia nel giudaismo che nel cristianesimo ci sono diversi inse-
gnamenti adatti a un sistema di relazioni umane di tipo mutuale.
Ma, nella misura in cui essa riflette una società dominatore, la
morale della Bibbia è a dir poco oppressiva. Nel suo aspetto
peggiore è una pseudomoralità, in cui la volontà di Dio è un
espediente per nascondere barbarie e crudeltà.
Per esempio, in Numeri, 31, leggiamo di ciò che avvenne do-
po la caduta di Madian. Gli antichi invasori ebrei, dopo avere
ucciso tutti i maschi adulti, «fecero prigioniere tutte le donne di
Madian, e la loro prole». A questo punto Mosè disse che questo
era l'ordine del Signore: «Uccidete tutti i bambini maschi e tut-
te le donne che abbiano conosciuto l'uomo con lui giacendosi,
ma le fanciulle vergini, serbatele per voi». 16
Come spesso accade nella Bibbia, il comandamento di Dio
era una punizione. Dopo la vittoria, secondo Mosè, urgeva il
problema della colpevolezza di queste prigioniere. Ma ciò non
spiegava perché Dio avesse ordinato «le fanciulle vergini, serba-
tele per voi». Una possibile spiegazione di quest'ordine è che gli
uomini delle caste dominanti avevano intuito che, anche se gli
uomini ai loro ordini avrebbero ucciso volentieri le donne più
vecchie e i bambini, sarebbero stati molto riluttanti a distrugge-
re il loro bottino di fanciulle vergini. Perché queste potevano es-
sere vendute come concubine, schiave e persino mogli.

La morale dominatore

L'imposizione di una morale dominatore è stata talmente ef-


ficace che, ancora oggi, uomini e donne che si reputano persone
buone e morali, possono leggere simili passi senza chiedersi co-
me un Dio giusto e imparziale abbia potuto ordinare atti così or-
ribili e disumani. Né sembrano mettere in discussione la mora-
lità di certi musulmani che, ancora ai giorni nostri, per una
La realtà capovolta. Seconda parte 195

qualsiasi infrazione sessuale, reale o immaginaria, considerano


loro dovere «proteggere la virtù» minacciando di morte, o addi-
rittura uccidendo, le loro stesse figlie, sorelle, mogli e nipoti. Né
si chiedono come mai debbano ancora essere rispettosamente
definiti «morali» precetti che, ai loro stessi occhi e a quelli degli
uomini in generale, privano di ogni valore la metà femminile
dell'umanità, a meno che essa non sia sessualmente «pura».
Infatti, nel momento in cui ci poniamo queste domande, la
nostra mente non è più quella richiesta da una società dominato-
re, e il nostro sviluppo morale non può andare oltre questi limiti.
E così, tramite i processi di replicazione dei sistemi scoperti da
scienziati come Vilmos Csanyi, milioni di persone ancora oggi
sembrano incapaci di capire ciò che esprime in realtà la nostra
letteratura sacra, di come essa serva a mantenere le barriere che
ci tengono imprigionati in un sistema dominatore.
Forse l'esempio più sorprendente di questa cecità indotta dai
sistemi è il modo in cui la Bibbia si occupa della violenza carna-
le. Nel Libro dei Giudici, capitolo 19, i sacerdoti che scrissero la
Bibbia ci raccontano di un padre che offre sua figlia vergine a
una masnada di ubriachi. Egli ha in casa un ospite, un uomo del-
la tribù di casta alta dei Leviti. Una manica di scalmanati della
tribù di Beniamino reclama l'ospite, con l'apparente intenzione
di abusare di lui. «Guardate», dice loro il padre, «ecco qui mia
figlia, che è vergine, e la sua [dell'ospite] concubina; le con-
durrò a voi, abusatene e fate di loro quel che vi piace, purché
non commettiate una simile infamia sul mio ospite». 17
Questo ci viene detto con noncuranza, come una faccenda di
poco conto. Poi, con il procedere del racconto, apprendiamo di
come «il levita dovette prendere la concubina e consegnarla a
essi, i quali ne abusarono e la violentarono per tutta la notte, fi-
no al mattino»; di come lei si trascinò fino alla soglia della casa
dove «il suo signore» stava dormendo; di come quando lui si
svegliò «e aperta la porta della casa, uscì per riprendere il cam-
mino» inciampò su di lei e le ordinò, «Alzati, e partiamo»; e, in-
196 Riane Eisler

fine, di come, accorgendosi che era morta, caricò il suo cadave-


re sull'asino e tornò a casa. 18
In nessun punto di questo racconto brutale del tradimento
della fiducia di una figlia e di una moglie, e dello stupro e del-
l'uccisione di una donna indifesa a opera di una banda di depra-
vati, c'è un seppur minimo accenno di compassione, e tanto me-
no di indignazione morale o di scandalo. Ma la cosa più
significativa, e stupefacente, è che l'offerta del padre di sacrifi-
care quello che all'epoca era l'attributo più prezioso della figlia,
la verginità, e probabilmente anche la sua vita, non violava nes-
suna legge. Ancor più stupefacente è che anche le azioni da par-
te di una banda, che presumibilmente portarono allo stupro, alla
tortura e infine all'assassinio di una donna, che era pur sempre
la moglie del levita, non violavano legge alcuna, e questo in un
libro apparentemente pieno di infiniti divieti e comandamenti su
ciò che è giusto o sbagliato.
In breve, la morale di questo testo sacro che pretende d'e-
sprimere la legge divina è talmente povera, che in esso si può
leggere che una metà dell'umanità poteva essere legalmente de-
stinata allo stupro, alle botte, alla tortura e alla morte dagli stes-
si padri e mariti, senza che questi dovessero temere una punizio-
ne, o anche solo un biasimo morale
Ancora più brutale è il messaggio di una storia che ancor og-
gi viene regolarmente letta come parabola morale ad assemblee
e classi di bambini che vanno a «dottrina» in tutto il mondo oc-
cidentale: la famosa storia di Lot, l'unico a essere risparmiato
da Dio, quando furono distrutte le città immorali e corrotte di
Sodoma e Gomorra. In Genesi, 19:8, si narra, con la stessa pro-
saica insensibilità, di come Lot, in quello che sembra fosse un
costume diffuso e socialmente accettato, offra le sue due figlie
vergini (probabilmente ancora bambine, visto che all'epoca le
ragazze si sposavano molto precocemente) a una folla che mi-
nacciava due ospiti maschi in casa sua. Ancora una volta non
c'è alcun accenno alla violazione di una legge, né espressioni di
giusta indignazione per il fatto che un padre possa trattare le sue
La realtà capovolta. Seconda parte 197

figlie in modo così snaturato. Al contrario, siccome i due ospiti


di Lot risultano essere angeli mandati da Dio, quando il Signore
«fece piovere su Sodoma e Gomorra zolfo e fuoco» a causa del-
la loro «perversione», per la sua perversione Lot fu addirittura
premiato! Soltanto lui e la sua famiglia vennero risparmiati. 19
Secondo il punto di vista della teoria della Trasformazione
Culturale, cosa possiamo imparare da questi esempi della mora-
le biblica, e del sistema che essa era destinata a mantenere?
Chiaramente, una morale che sosteneva la schiavitù sessuale
della donna nei confronti dell'uomo venne imposta per soddi-
sfare le esigenze economiche di un sistema a rigido dominio
maschile, in modo che la proprietà fosse trasmessa da padre a fi-
glio e i frutti del lavoro di donne e bambini fossero goduti dal
maschio. Questa morale venne imposta anche per realizzare la
necessità politica e ideologica di capovolgere totalmente le
realtà sociali del precedente ordinamento, in cui le donne erano
individui sessualmente, economicamente e politicamente liberi,
e la Dea era la divinità suprema. Solo attraverso un simile capo-
volgimento si poteva mantenere una struttura di potere basata su
di una rigida gerarchizzazione.
Come abbiamo visto, non a caso in tutto il mondo antico
l'imposizione del dominio maschile coincise col passaggio da
un sistema di organizzazione della società umana pacifico ed
ugualitario a un ordinamento gerarchico e violento, retto da uo-
mini rozzi e brutali. E, secondo la teoria dei sistemi, non è una
coincidenza che nell'Antico Testamento le donne fossero
escluse dal loro precedente ufficio di sacerdotesse; in questo
modo le leggi religiose che ora governavano la società veniva-
no fatte esclusivamente dagli uomini. E non è una coincidenza
che l'albero della conoscenza e della vita, un tempo associato
al culto della Dea, nella Bibbia venga descritto come proprietà
privata di una divinità maschile suprema, che rappresenta, e le-
gittima, il potere assoluto di vita e di morte sulla società delle
caste di uomini al governo, e in generale di tutti i maschi sulle
donne.
198 Riane Eisler

La conoscenza è un male, la nascita è immonda,


la morte è santa

Come abbiamo visto nel racconto di Genesi su come Adamo


ed Eva siano condannati in eterno per avere disubbidito a Geo-
va, che aveva ordinato loro di tenersi alla larga dall'albero della
conoscenza, qualsiasi ribellione contro l'autorità della classe sa-
cerdotale maschile al potere, e, per decreto di Geova, contro gli
uomini in generale, si trasformava in un peccato atroce. Sia
l'autoritarismo che il dominio maschile venivano ampiamente
giustificati con gli stessi precetti che i moderni totalitaristi, ef-
fettivi o potenziali, appartengano essi alla destra teistica o alla
sinistra atea, continuano a predicare ai loro seguaci: non pensa-
te, accettate ciò che è, accettate ciò che l'autorità dice che è ve-
ro. Soprattutto, non usate la vostra intelligenza, i poteri della vo-
stra mente, per farci domande o ricercare una libera conoscenza.
Perché, se lo fate, la vostra punizione sarà davvero orribile.
Ma, mentre nella nostra Bibbia questa disubbidienza all'au-
torità, questa audace ricerca di una conoscenza imparziale del
bene e del male, vengono fatte apparire come il più abominevo-
le dei delitti, generalmente viene perdonato il crimine di uccide-
re e rendere schiavi i propri simili, di distruggere e impossessar-
si delle loro proprietà. Uccidere in guerra è infatti sancito
divinamente, e lo stesso dicasi della razzia, dello stupro di don-
ne e bambine, della distruzione di intere città. Anche la pena di
morte per ogni genere di reati non violenti, tra cui si includeva-
no quelli sessuali, viene presentata come uno strumento di giu-
stizia voluto da Dio. E persino l'omicidio premeditato di un fra-
tello da parte dell'altro non è una colpa grave come quella di
mangiare dall'albero della conoscenza. Infatti, l'umanità non
viene condannata alla sofferenza eterna per l'uccisione di Abele
per mano del fratello Caino, ma perché Eva, di sua iniziativa e
senza autorizzazione, «assaggiò» il frutto del bene e del male.
Mentre lo spargimento di sangue uccidendo e ferendo altri
esseri umani - nelle guerre, in punizioni brutali, e nell'esercizio
La realtà capovolta. Seconda parte 199

dell'autorità praticamente assoluta dell'uomo su donne e bambi-


ni - diviene la norma, l'atto di dare la vita diventa ora corrotto e
impuro. Nell'Antico Testamento, inseriti tra gli atti di purifica-
zione per la lebbra e le carni pure o impure, troviamo anche
quelli per la nascita dei bambini. In Levitico, 12, si legge che
una donna che ha messo al mondo un figlio deve essere purifica-
ta ritualmente, altrimenti la sua «impurità» contaminerà le altre.
Ciò comporta non solo il suo isolamento, ma anche un paga-
mento di tributi ai sacerdoti e certi atti rituali. Solo dopo avere
fatto un' «offerta sacrificale al sacerdote all'ingresso del Taber-
nacolo di convegno, che l'offrirà al Signore e farà per lei l 'e-
spiazione», ella potrà essere dichiarata di nuovo «pura». 20
E così, prima in Mesopotamia e a Canaan, poi nelle teocrazie
di Giudea e Israele, la guerra, il governo dispotico e la sottomis-
sione delle donne divennero parte integrante della nuova società
dominatore e della sua morale. Grazie a un'abile ri-mitizzazio-
ne, la conoscenza venne resa peccaminosa. Persino la nascita di-
ventò immonda. In poche parole, la nuova rotta della nostra evo-
luzione culturale era stata tracciata con un tale successo che la
realtà era ormai completamente ribaltata.
Tuttavia, quando riconsideriamo la storia, persino quella rac-
contata da storici, filosofi e sacerdoti al servizio dei loro potenti
signori, troviamo l'antica mente, la prima mente dell'umanità,
quando il corso dell'evoluzione era totalmente differente, che
lotta per riaffermarsi.
La Grande Dea, il cui culto un tempo era il nucleo ideologico
di una società più pacifica e ugualitaria, non è del tutto scom-
parsa. Anche se non è più il principio supremo che governa il
mondo, essa è ancora una potenza considerevole, che persino
durante il Medioevo europeo viene venerata come Madre di
Dio. Nonostante secoli di proibizioni profetiche e sacerdotali, il
suo culto non è mai stato del tutto soffocato. Come Horus e Osi-
ride, come Helios e Dioniso, come molto prima di questi il gio-
vane dio di çatal Hilyilk, e come la giovane dea Persefone, o
Kore, negli antichi Misteri Eleusini, anche Gesù è figlio di una
200 Riane Eisler

Madre divina. Egli è in effetti ancora il figlio della Dea e, come


i precedenti figli divini di quest'ultima, rappresenta la rigenera-
zione della natura, tramite la sua resurrezione che avv!ene ogni
primavera, a Pasqua.
Proprio come un tempo il figlio della Dea era anche il suo
consorte, anche nella mitologia cristiana «Cristo è lo sposo di
Maria, Madre Chiesa, che è e rimane sua madre». 21 Il fonte bat-
tesimale, o calice, così importante nei riti cristiani, è ancora
l'antico simbolo femminile del vaso o contenitore di vita, e il
Battesimo, scrive lo storico junghiano del mito Erich Neumann,
rappresenta «il ritorno all'utero misterioso della Grande Madre
e alla sua acqua di vita». 22
Oggi sappiamo che persino il compleanno scelto per Gesù
(quello vero è storicamente sconosciuto) è un'usurpazione di fe-
stività un tempo dedicate al culto della Dea. Il periodo del Nata-
le fu scelto perché questa era l'epoca dell'anno in cui gli antichi
tradizionalmente celebravano il solstizio d'inverno, il giorno in
cui la Dea fa nascere il sole, solitamente tra il 21 e il 24 dicem-
bre. Inoltre, in questo periodo, tra il 21 dicembre e il 6 gennaio
(data prescelta per l'Epifania), ancora in epoca romana veniva-
no celebrate una quantità di feste della nascita e del rinnova-
mento.2)
Ma, nonostante tutte queste somiglianze, ci sono anche delle
diversità fondamentali. Nel pantheon ufficiale cristiano l'unica
donna è anche l'unico personaggio mortale. Essa viene ancora
venerata come Madre clemente e misericordiosa. E, in certa ico-
nografia, come per esempio nelle Vierges Ouvrantes, continua a
contenere nel proprio corpo il miracolo supremo e il mistero
della vita. 24 Ma è ormai chiaramente una figura minore. Inoltre
la figura mitica centrale di questa religione a dominio maschile
non è più la nascita del giovane Dio, è la sua crocifissione, la
sua morte.
La madre si limita a far nascere il Cristo; è il Padre divino a
inviarlo sulla terra: capro espiatorio per emendare la malvagità e
il peccato dell'uomo. E, per gli esseri umani che è venuto a «sal-
La realtà capovolta. Seconda parte 201

vare», la cosa più importante non è il suo breve soggiorno in


questa «valle di lacrime». Ciò che conta è la sua morte, nonché
la sua promessa di una vita migliore dopo la morte, ma solo per
quelli che ubbidiscono fedelmente ai comandamenti del Padre.
Per gli altri, non c'è speranza neppure nella morte, solo tortura e
dannazione eterne.
Le immagini religiose non mettono più in rilievo i poteri del-
la Dea che danno la vita, la sostengono e la rigenerano. Fiori e
uccelli, animali e alberi sono scomparsi, se non come sfondo
decorativo. C'è ancora il ricordo della Dea che culla il bimbo di-
vino tra le sue braccia: la Madonna con Bambino. Ma ormai la
mente dell'uomo, e della donna, è posseduta e consumata da un
tema dominante, che ricorre in tutta l'arte cristiana. Lo vediamo
su numerose tele che raffigurano santi cristiani che tormentano i
loro corpi con torture infernali, in tanti dipinti che ritraggono
martiri cristiani trucidati con ogni sorta di mezzi crudeli e inge-
gnosi, nelle raccapriccianti visioni dell'Inferno cristiano del Dii-
rer, nel Giudizio Universale di Michelangelo, in Salomé che
danza eternamente con la testa decapitata di Giovanni Battista.
Adesso il motivo centrale dell'arte, di cui forse l'espressione
più intensa è l'onnipresente Cristo morente sulla croce, non è
più la celebrazione della natura e della vita, ma l'esaltazione
della pena, della sofferenza e della morte. 25 Poiché in questa
nuova realtà, che ora si dice opera esclusiva di un Dio maschio,
il Calice che nutre e dà la vita come forza suprema dell'universo
è stato spodestato dal potere di dominare e distruggere: il potere
letale della Spada. Ed è questo potere che ancor oggi continua
ad affliggere l'umanità intera, uomini e donne.

Note

1. Marija Gimbutas, «The First Wave of Eurasian Steppe Pastoralists into


Copper Age Europe», in Joumal of lndo-European Studies, inverno 1977, n.
5, p. 297.
2. Numeri, 31; Giosuè, 6, 7, 8, 10, 11.
3. In epoca moderna una maggiore complessità sociale e tecnologica sta
202 Riane Eisler

creando nuovi ruoli, e uno dei più grandi problemi contemporanei è se quelli
più prestigiosi e rimunerativi debbano ancora essere appannaggio esclusivo
dell'uomo. Breaking Free, seguito del presente volume, analizzerà questo pro-
blema. Per una interessante discussione sulla questione della tecnologia e del-
la organizzazione sociale nella preistoria, secondo un.punto di vista pretta-
mente maschile, si veda Lewis Mumford, The Myth of the Machine: Technics
and Human Development, Harcourt, Brace & World, New York 1966 (trad. it.
Il mito della macchina, il Saggiatore, Milano 1970).
4. Vedi cap. 3, per una discussione di come una maggiore complessità tec-
nologica e sociale non porti necessariamente alla supremazia maschile, e di
come a Creta, fino a che prevalse un modello di organizzazione sociale mutua-
le, le donne conservarono le loro posizioni di potere e di dignità sociale.
5. Edwin Oliver James, The Cult of the Mother Goddess, Thames & Hud-
son, Londra 1959, p. 89. In When God Was a Woman, Harcourt Brace Jovano-
vich, New York 1976, Merlin Stone proprio a questo proposito nota quanto sia
importante distinguere le forme che il culto della Dea ha assunto prima e dopo
l'imposizione del dominio maschile. Ma sfortunatamente, in quest'opera per
altro eccellente, la Stone non distingue chiaramente questi due aspetti. Il risul-
tato è che spesso troviamo le divinità femminili venerate in epoca di dominio
maschile analizzate nello stesso contesto di quelle che rappresentavano la Dea
in precedenza, senza distinzioni tra Atena, Ishtar o Cibele (tutte divinità asso-
ciate alla guerra) e gli aspetti della Dea della preistoria, come la «Venere» gra-
vida del Paleolitico e la Grande Dea Madre di çatal Hiiyiik, che s'identificano
soprattutto con la rigenerazione della vita.
6. Ruby Rohrlich-Leavitt, Woman in Transition: Crete and Sumer, in Re-
nate Bridenthal e Claudia Koonz (a cura di), Becoming Visible, Houghton Mif-
flin, Boston 1977, p. 55. Per una eccellente raccolta di saggi scientifici sulla
più ampia questione di come le religioni successive hanno rispecchiato e per-
petrato la degradazione e la sottomissione delle donne, si veda Rosemary
Radford Ruether (a cura di), Religion and Sexism: lmages of Women in Jewish
and Christian Tradition, Simon and Schuster, New York 1974. Alcune opere
più recenti sono: Caro! P. Christ e Judith Plaskow, Womanspirit Rising: A Fe-
minist Reader in Religion, Harper & Row, San Francisco 1990; Charlene
Spretnak (a cura di), The Politics of Women 's Spirituality, Doubleday Anchor,
New York 1982; e Mary Daly, Gyn/Ecology: the Metaethics of Radical Femi-
nism, Tue Women's Press, Londra 1991. Si veda anche Riane Eisler, «Our Lo-
st Heritage: New Facts on How God Became a Man», in The Humanist, mag-
gio-giugno 1985, n. 45, pp. 26-8.
7. Raphael Patai, The Hebrew Goddess, Avon, New York 1978, pp. 12-3.
Nella stessa Bibbia si dice che il tempio di Salomone veniva usato per adorare
dèi e dee diversi da Geova.
8. lbid., pp. 48-50. Nonostante i numerosi dati sulla nostra eredità religio-
sa ginecentrica che la sua opera riporta, l'interpretazione di Patai si colloca per
lo più nel paradigma dominatore. Per un approccio differente, da un punto di
vista femminista, si veda Caro! P. Christ, «Heretics and Outsiders: Tue Strug-
gle over Female Power in Western Religion», in Soundings, autunno 1978, n.
61, pp. 260-80.
La realtà capovolta. Seconda parte 203

9. Si veda, per esempio, Geremia, 44:17. When God Was a Woman, cit.,
della Stone contiene un'eccellente analisi di questo punto. Si veda anche Eli-
zabeth Gould Davis, The First Sex, Penguin Books, New York 1971, che con-
tiene una interessante documentazione sull'enorme forza che aveva il culto
della Dea, non solo tra le donne, ma anche fra gli uomini, fino in epoca medie-
vale. Per esempio, la Davis cita le lettere di Cirillo, dove si legge che nel V se-
colo d.C., alla notizia che da quel momento la Chiesa avrebbe permesso «il
culto della Vergine Maria come Madre di Dio», la gente di Efeso si mise a bal-
lare per le strade (p. 246).
l O. Per una interessante analisi della etimologia della parola ebraica che
significa deità, Elohim, si veda S.L. MacGregor Mathers, The Kabbalah Un-
veiled, Routledge & Kegan Paul, Londra 1981, discussa in June Singer, An-
drogyny, Anchor Books, New York 1977, p. 84 (trad. it. Androginia: verso una
nuova teoria della sessualità, La salamandra, Milano 1984). Mathers non solo
fa notare che Elohim è il nome di genere femminile della deità, con una termi-
nazione maschile, ma che la parola ebraica Ruach (Spirito Santo) è femminile,
come lo è, naturalmente, Hochma (Saggezza), tutti antichi appellativi della
Dea.
11. Per una analisi esauriente di come i miti e i simboli più antichi siano
stati «presi e capovolti, contorti, distorti» (p. 75), si veda M. Daly, op. cit., in
particolare il cap. 2. Un aspetto estremamente interessante di questa e altre
analisi dell'argomento è come, attraverso itinerari indipendenti, molti studiosi
siano giunti alla stessa conclusione: l'opera di ri-mitizzazione dominatore è
stata così efficace, che le profezie di Orwell in 1984 sono «descrizioni di ciò
che è già accaduto». Non solo è stata cancellata la nostra preistoria, e con essa
la Dea; la mutilazione del pensiero ottenuta grazie alla espurgazione dalla no-
stra lingua delle parole sessualmente ugualitarie ha reso impossibile «seguire
un pensiero eretico oltre il punto in cui si capiva che esso era eretico». Come
in 1984, le parole necessarie non esistono più (M. Daly, op. cit., pp. 330-1;
George Orwell, 1984, New American Library, New York 1971, p. 252, origi-
nariamente pubblicato come Nineteen Eighty Four, Gollancz, Londra 1949,
trad. it. 1984, Mondadori, Milano, 18" ed. 1950). Per dei tentativi precedenti,
non femministi, di decifrare miti classici e religiosi che, in forma distorta, ri-
salgono a un periodo pre-dominatore, si veda, per esempio, Robert Briffault,
The Mothers, Johnson Reprint, New York 1969; Jane Harrison, Prolegomena
to the Study of Greek Religion, Merlin Press, Londra 1903, 1962; M. Esther
Harding, Woman 's Mysteries, Putnarn, New York 1971 (trad. it. 1 misteri della
donna, Astrolabio, Roma 1973); Erich Neumann, The Great Mother, Prince-
ton University Press, Princeton, N.J. 1955 (trad. it. La Grande Madre. Feno-
menologia delle configurazioni femminili dell'inconscio, Longanesi, Milano
1990); Robert Graves, The White Goddess, Vintage Books, New York 1958
(trad. it. La dea bianca, Adelphi, Milano 2003); Helen Diner, Mothers and
Amazons, Julian Press, New York 1971; Sir James Frazer, The Golden Bough,
MacMillan, New York 1922 (trad. it. ll ramo d'oro, Boringhieri, Torino 1998);
J.J. Bachofen, 1l Matriarcato. Ricerca sulla ginocrazia nel mondo antico, nei
suoi aspetti religiosi e giuridici (trad. it. Einaudi, Torino 1988). Il termine
mother-right (diritto materno), anche se talvolta viene usato in una diversa ac-
204 Riane Eisler

cezione, indica semplicemente un sistema di successione matrilineare anziché


patrilineare; in altre parole la discendenza viene computata in linea materna e
non patema, come avviene oggi.
12. Vedi, per esempio, Giosuè, 6:21; Deuteronomio, 12:2-3. Siccome nella
tradizione cristiana gli ebrei sono spesso stati accusati dell'uccisione del Fi-
glio di Dio e di altre «infamie», che per gran parte della storia europea sono
servite a giustificare la loro persecuzione e il loro sterminio, è indispensabile
sottolineare che tali pratiche non erano un'invenzione degli ebrei, bensì erano
tipiche delle società dominatore. Per due importanti articoli che si oppongono
alle affermazioni (o alle implicazioni) che gli ebrei sono responsabili del pa-
triarcato, si veda Judith Plaskow, «Blaming Jews for Inventing Patriarchy», e
Annette Daum, «Blaming Jews for the Dead of the Goddess», entrambi in li-
lith, 1980, n. 7, pp. 11-3.
13. The Dartmouth Bible, commento di Roy Chamberlain e Herman Feld-
man, con la supervisione di un comitato consultivo di biblisti, Houghton Mif-
flin, Boston 1950, p. 146. Come molte fonti convenzionali, la Bibbia di Dart-
mouth chiama la prima parte della Bibbia giudeo-cristiana Antico Testamento,
anche se gli studiosi ebraici fanno notare che per gli ebrei c'è un solo libro sa-
cro, e quindi i termini Scritture Ebraiche o Bibbia ebraica sarebbero preferibi-
li ad Antico Testamento. Nel presente libro avrei preferito usare il tennine Bib-
bia ebraica. Ma mi è stato subito chiaro che la cosa avrebbe causato una gran
confusione, visto che la maggior parte delle persone che ho interpellato crede-
va che il termine indicasse gli Scritti Apocrifi, o addirittura i rotoli ebraici rin-
venuti di recente (come quelli del Mar Morto), e non la prima parte della Bib-
bia.
14. Vedi, per esempio, Numeri, 31: 18.
15. Esodo, 12:7.
16. Numeri, 31 :9, 17, 18.
17. Giudici, 19:24. Che i lettori, compresi i biblisti, siano stati per tanto
tempo in grado di ignorare tranquillamente quanto rivelano questi passi sulla
crudeltà dell'uomo verso la donna è una testimonianza raccapricciante del po-
tere del paradigma dominatore. Il fatto che al giorno d'oggi una nuova scuola
di analisti biblici stia dando una nuova valutazione imparziale di tali passi, e
stia giungendo indipendentemente alle stesse conclusioni (si veda, per esem-
pio, Mary Daly, Beyond God the Father, Beacon, Boston 1973; trad. it. Al di là
di Dio Padre. Verso una filosofia di liberazione della donna, Editori Riuniti,
Roma 1990), è una testimonianza confortante dell'attuale rinascita di una vi-
sione del mondo mutuale, un tema su cui ritorneremo.
18. Giudici, 19:25-28.
19. Genesi, 19.
20. Levitico, 12:6-7.
21. E. Neumann, op. cit., p. 313.
22. lbid., p. 312.
23. New Catholic Encyclopedia, voll. 2, 5; Hastings Encyclopedia of Reli-
gion and Ethics, voi. l.
24. Si veda, per esempio, Joseph Campbell, The Mythic lmage, Princeton
University Press, Princeton, N.J., 1954, pp. 59-64 (trad. it. Le figure del mito.
La realtà capovolta. Seconda parte 205

Un grande itinerario illustrato nelle immagini mitologiche di ogni tempo e


paese, Red/Studio Redazionale, Como 2002).
25. M. Daly, Gyn/Ecology, cit., pp. 17-8, 39. La Daly, che è una teologa,
scrive irosamente che non solo l'albero della vita è stato sostituito dal «simbo-
lo necrofilo di un corpo morto appeso a del legno secco», ma che il «patriarca-
to stesso è la religione di tutto il pianeta, e il suo messaggio essenziale è la ne-
crofilia».
8
L'altra metà della storia
Prima parte

Come viaggiatori in una distorsione temporale, grazie alle


scoperte archeologiche abbiamo visitato una realtà differente.
Dall'altra parte non abbiamo trovato gli stereotipi brutali di una
«natura umana» invariabilmente depravata, ma stupefacenti sce-
nari di migliori possibilità di vita. Abbiamo visto come, nei pri-
mi giorni della nostra civiltà, l'evoluzione culturale fu interrotta
e completamente deviata. Abbiamo visto che, quando riprese la
nostra evoluzione sociale e tecnologica, essa aveva imboccato
una direzione differente. Ma abbiamo anche visto che le antiche
radici della civiltà non furono mai estirpate.
Non erano scomparse l'antica passione per la vita e la natura,
l'antica abitudine di condividere anziché portar via, di amare
anziché opprimere, l'idea del potere come responsabilità e non
come dominio. Ma, come le donne e le qualità tipiche della
femminilità, queste caratteristiche furono relegate a un ruolo se-
condario.
Neanche il desiderio umano di bellezza, verità e giustizia
era del tutto scomparso. Era soltanto represso e soffocato dal
nuovo ordinamento sociale. A volte capitava che l'antico desi-
derio continuasse a lottare per affermarsi. Ma si andava perden-
do sempre più la consapevolezza che il problema di fondo era
la strutturazione dei rapporti umani (a cominciare da quelli tra
208 Riane Eisler

le due metà dell'umanità) secondo gerarchie rigide, basate sul-


la forza.
La trasformazione della realtà era stata compiuta così bene
che questo fatto, apparentemente ovvio - il modo in cui una so-
cietà struttura i più fondamentali rapporti umani, influisce
profondamente su tutti gli aspetti della vita e del pensiero - ven-
ne nel corso del tempo quasi totalmente occultato. Di conse-
guenza, persino le nostre complesse lingue moderne, che hanno
termini tecnici per tutto ciò che riusciamo e non riusciamo a im-
maginare, non comprendono parole di genere atte a descrivere
la profonda differenza tra quelle che abbiamo fin qui definito
società di tipo mutuale e dominatore.
Abbiamo al massimo parole come matriarcato, per definire
l'opposto di patriarcato. Ma queste parole non fanno che raffor-
zare l'idea prevalente di realtà (e di «natura umana»), e descri-
vono due facce della stessa medaglia. Inoltre il termine patriar-
cato, che evoca le immagini conflittuali e cariche d'emozione di
padri tirannici o di vecchi saggi, non descrive bene neanche il
nostro sistema attuale.
Mutuale e dominatore sono termini utili per descrivere i due
opposti princìpi d'organizzazione che abbiamo esaminato. Ma
anche se riescono a cogliere una differenza essenziale, essi non
rendono appropriatamente un punto critico: ci sono due modi
contrastanti di strutturare i rapporti tra la metà maschile e quella
femminile dell'umanità, che influiscono profondamente sulla
totalità di un sistema sociale.
Siamo giunti a un punto in cui, sia per chiarezza che per eco-
nomia d'espressione, abbiamo bisogno di termini più precisi di
quelli che offre il nostro vocabolario convenzionale, per conti-
nuare a dimostrare come queste due alternative influenzino la
nostra evoluzione culturale, sociale e tecnologica. Siamo anche
in procinto di dare un'occhiata più da vicino alla civiltà dell'an-
tica Grecia, che per prima si distinse nell'espressione di un pen-
siero scientifico in termini precisi. I due nuovi termini che pro-
I: altra metà della storia. Prima parte 209

pongo, e che in determinati contesti userò in alternativa a mu-


tuale e dominatore, derivano da questo precedente.
Come termine più preciso per descrivere un sistema sociale
retto da uomini con la forza, o con la minaccia di essa, anziché
patriarcato propongo androcrazia. Questo termine, in qualche
misura già in uso, deriva dalle parole greche andros, «uomo», e
kratos (come in democratico), «governato».
Per descrivere l'autentica alternativa alla supremazia di una
metà dell'umanità sull'altra, propongo il neologismo gilania 1
[gylany]. Gi- deriva dal termine greco gyné, «donna», an viene
da andros, «uomo». La lettera l tra i due ha un duplice significa-
to. In inglese rappresenta il linking (l'unione) delle due metà
dell'umanità, contrapposto alla supremazia, come avviene nel-
l'androcrazia, dell'una sull'altra. In greco, deriva dal verbo
lyein o lyo, che a sua volta ha un duplice significato: spiegare o
risolvere (come in analisi), oppure sciogliere o liberare (come in
catalisi). In questo senso la lettera l rappresenta la soluzione dei
nostri problemi, mediante la liberazione delle due metà dell'u-
manità dalla avvilente e mistificante rigidità di ruoli imposta
dalle gerarchie di dominio insite nei sistemi androcratici.
Questo porta a una distinzione critica, che raramente viene
fatta, tra due tipi molto diversi di gerarchie. Come viene da noi
usato, il termine gerarchia si riferisce ai sistemi umani di ordi-
namento subordinativo basati sulla forza o sulla minaccia di es-
sa. Queste gerarchie di dominio sono assai diverse da un secon-
do tipo, che propongo di chiamare gerarchie di attuazione.
Queste sono le consuete gerarchie di sistemi all'interno di siste-
mi, per esempio, molecole, cellule e organi del corpo: una pro-
gressione verso un livello di funzione più elevato, più comples-
so, più evoluto. Al contrario, come possiamo renderci conto
guardandoci intorno, la caratteristica delle gerarchie di dominio
è d'inibire l'attuazione di funzioni più elevate, non solo nel si-
stema sociale globale, ma anche nel singolo essere umano. Que-
sta è una delle ragioni principali per cui il modello di organizza-
210 Riane Eisler

zione sociale gilanico, rispetto a quello androcratico, offre mol-


te più possibilità evolutive per il nostro futuro.

La nostra eredità nascosta

Usare termini di derivazione greca per descrivere il modo in


cui questi due modelli sociali antitetici hanno influito sulla no-
stra evoluzione culturale è particolarmente appropriato. Infatti il
conflitto tra gilania e androcrazia come sistemi di vita affatto
differenti, e il progresso della nostra evoluzione grazie a influssi
gilanici, risulta assai evidente se riconsideriamo l'antica Grecia
secondo la nuova prospettiva che ci offre la teoria della Trasfor-
mazione Culturale.
La maggior parte dei corsi sulla civiltà occidentale inizia con
letture di Omero, brani scelti di filosofi greci come Pitagora, So-
crate, Platone e Aristotele, e opere di studiosi classici contem-
poranei che esaltano le glorie dell'Età d'Oro della Grecia di Pe-
ricle. Ci viene insegnato che la storia europea inizia con i primi
documenti conosciuti della cultura indoeuropea o ariana (Ome-
ro ed Esiodo), e che dobbiamo alla straordinaria civiltà della
Grecia classica gran parte delle nostre idee sulla giustizia e la
democrazia.
Talvolta, spigolando ulteriori letture, possiamo scoprire che
una certa Temistoclea, una sacerdotessa di Delfi, insegnò l'etica
a Pitagora, o che Diotema, una sacerdotessa di Mantinea, fu
maestra di Socrate. 2 Potremmo addirittura incappare nella noti-
zia apparentemente singolare che i condottieri di tutto il mondo
greco si recavano a Delfi, ove una sacerdotessa detta Pitonessa li
consigliava sulle più importanti questioni politiche e sociali del
loro tempo. Ma, per lo più, in quello che leggiamo difficilmente
vengono menzionate le donne. Né si accenna a Creta.
In effetti, rimaniamo con l'impressione che non esistesse una
civiltà europea anteriore; che, fino all'arrivo dei suoi conquista-
tori indoeuropei, l'Europa fosse abitata da popoli selvaggi privi
I.:altra metà della storia. Prima parte 211

di una qualsiasi cultura. Siamo anche portati a credere che,


quando in Grecia fiorì la prima civiltà europea, in generale le
donne non avessero diritti civili o politici, né, sicuramente, posi-
zioni di potere.
Tuttavia nell'Odissea di Omero alcuni dei personaggi più
forti sono donne. All'inizio Odisseo è prigioniero della ninfa
Calipso, che governa l'isola di Ogigia. Quando, grazie all'inter-
vento della dea Atena, Odisseo riesce finalmente a lasciare Ogi-
gia, si scatena una tempesta, ed egli scampa all'annegamento
grazie a un velo che gli dà la dea Ino; quest'ultimo lo tiene a
galla finché viene sospinto dalle onde sulla terra dei Feaci, dove
viene trovato dalla principessa Nausicaa.
Alla sfarzosa corte dei Feaci, ritenuta da molti studiosi un fe-
dele ritratto dei palazzi reali micenei, la madre di Nausicaa, la
regina Arete, viene onorata dal re «come nessun'altra donna» e
venerata da «tutto il popolo, che la considera come una Dea [... ]
quando si occupa della città».) Dopo avere lasciato la Feacia,
Odisseo deve di nuovo affrontare una formidabile schiera di fi-
gure femminili: le terribili gorgoni Scilla e Cariddi, le seducenti
Sirene, e la potente strega-regina Circe.
Al suo ritorno a casa scopriamo che Penelope, la moglie, è
una donna forte e determinata. Significativamente, sta resisten-
do a un gruppo di pretendenti che la vorrebbe sposare per otte-
nere il controllo su Itaca, il che indica fortemente che anche do-
po l'invasione achea della Grecia, la successione matrilineare
era ancora la norma, oltre che il requisito indispensabile per
qualsiasi rivendicazione di sovranità. 4
Abbiamo già visto che i riferimenti che fa Esiodo a una «stir-
pe dell'oro», che viveva in «serena tranquillità» e per cui «la
terra feconda profondeva i suoi frutti», sono ricordi dei coltiva-
tori neolitici, più pacifici ed egualitari, che già allora erano ri-
cordati solo nella leggenda. Il fatto che nella mitologia di Esio-
do la creazione del mondo sia attribuita a una figura maschile
chiamata Caos, non fa che confermare ciò che già sappiamo
grazie alla documentazione archeologica: il dominio indoeuro-
212 Riane Eisler

peo venne imposto tramite il caos di una massiccia distruzione


fisica e di una conseguente disgregazione culturale.
L'opera di Esiodo, come quella di Omero, è piena di rimandi
a una società e a una mitologia precedenti, più gilaniche. Per
esempio, è ancora la «Terra dall'ampio seno» che, come l'antica
Dea, fa nascere il Cielo e «le alte montagne, liete dimore di nin-
fe». Ed è ancora, come nella religione più antica, un potere fem-
minile che «senza la dolce unione d'amore» - in altre parole, da
sola - genera il mare. 5
Il mondo di Esiodo è gia dominato dal maschio; è bellicoso e
gerarchico. Ma è ancora un mondo in cui gli antichi valori mu-
tuali, o, più specificamente, gilanici, non sono del tutto dimenti-
cati. Infatti, per Esiodo la guerra non è insita nella natura uma-
na, o, come affermerà in seguito il filosofo greco Eraclito, non è
«padre di tutto» e «re di tutto». 6 Esiodo scrive esplicitamente
che la guerra, e il dio della guerra Ares, furono portati in Grecia
da una «stirpe di uomini inferiore», gli Achei, che invasero la
Grecia con armi di bronzo, e che alla fine furono seguiti dagli
uomini più disprezzati da Esiodo, i Dori, che devastarono la
Grecia con le loro armi di ferro.
Si potrebbe dire che se Freud e Jung avevano ragione, ed esi-
ste veramente qualcosa di simile a una memoria di razza tra-
smessa geneticamente, questa può avere spinto Esiodo a scrive-
re di un passato migliore e perduto. Ma una spiegazione più
semplice e di gran lunga migliore è che Esiodo subiva ancora
l'influsso di storie, tramandate di generazione in generazione,
che raccontavano come era il mondo tanto tempo prima.
È significativo ciò che Esiodo dichiara esplicitamente: «Non
da me, ma da mia madre, viene il racconto di come un tempo
terra e cielo fossero tutt'uno». 7 Ciò non solo indica che la sua
opera è davvero basata su storie tramandate da generazioni; ri-
vela anche che sua madre, una donna, trovava ancora sollievo,
in un mondo ormai a dominio maschile, grazie ai ricordi evane-
scenti di un'epoca precedente e meno oppressiva.
Esiodo scriveva verso la fine del periodo che gli storici defi-
I.:altra metà della storia. Prima parte 213

niscono «secoli bui» della Grecia. Questo periodo terminò agli


inizi della Grecia classica, mezzo millennio dopo che le invasio-
ni doriche scaraventarono l'Europa nel caos. Ma ovviamente,
come hanno fatto notare Nicolas Platon, Jacquetta Hawkes, J.V.
Luce e altri, la civiltà greca non sorse già completamente svi-
luppata dalle ceneri della devastazione dorica dell'Europa, co-
me si riteneva fosse nata Atena dalla testa di Zeus. E certo gli
invasori barbari non avevano portato con sé i germi di questa ci-
viltà. Non è neanche probabile, come talvolta si afferma, che la
civiltà greca fosse frutto di una «diffusione culturale», di «pre-
stiti» da culture mediorientali, più antiche e avanzate, dovuti al
commercio e ad altri contatti.
È invece più probabile, e più conforme ai dati archeologici,
che i primi invasori Achei, che governavano in epoca micenea, e
i dominatori Dori che li spodestarono, fossero in grado di pro-
gredire solo dopo avere assorbito gran parte della cultura spiri-
tuale e materiale dei popoli che avevano conquistato.
Luce ha cercato di ricostruire questo processo. «Come un uli-
vo devastato dal fuoco, la cultura minoica restò inattiva per un
certo periodo», scrive lo studioso, «poi buttò nuovi germogli, al-
l'ombra delle cittadelle micenee[ ... ] Le principesse minoiche, 'le
figlie di Atlante', si sposarono nelle case dei condottieri micenei.
Architetti minoici progettarono i palazzi dell'entroterra, e pittori
minoici li decorarono con affreschi. Nelle mani di uno scriba mi-
noico il greco diventò per la prima volta una lingua scritta.» 8
Poi, dopo il successivo assalto barbaro, anche se sempre più
deformati, i germogli minoici rispuntarono. «Probabilmente non
è un caso», scrive Luce, «che la Creta dorica nel periodo arcaico
si distinguesse per la perfezione delle leggi e delle istituzioni.
La pianta così amorevolmente curata nei lunghi secoli di pace,
non poteva essere sradicata così facilmente. Innesti dello stesso
ceppo furono trapiantati in Grecia, misero radici e fiorirono an-
che qui.» 9
Dunque, anche dopo le devastazioni doriche, scrive Luce,
«non tutto era perduto».'° Certamente molto è dimenticato, e,
214 Riane Eisler

ormai, persino il ricordo della civiltà minoica comincia a sfuma-


re nella leggenda. Molto è cambiato, poiché la Grande Dea, con
le sembianze di Era, Atena e Afrodite, è ormai subordinata a
Zeus nel pantheon ufficiale greco.
Ciò nonostante, ci sono ancora importanti elementi della ci-
viltà greca che si adattano più a una società mutuale che non a
una dominatore. O, per usare termini più precisi, essi sono più
gilanici che androcratici.

L'unità ciclica della natura e l'armonia delle sfere

Una delle prime manifestazioni della civiltà greca fu la com-


parsa dei cosiddetti filosofi e scienziati presocratici. È stato fatto
notare come la loro visione del mondo (che anticipò idee che in
molti ancor oggi considerano sconvolgenti e discutibili) sia stata
il primo approccio laico e scientifico alla realtà. 11 Per la prima
volta nella storia documentata, infatti, la conoscenza non dipen-
de più da una rivelazione divina mediata da miti sacri e riti reli-
giosi, ma da fatti dimostrabili o confutabili empiricamente. Per
esempio, in Omero l'arcobaleno viene ancora identificato con la
dea Iride. In Anassimene, esso è prodotto dai raggi del sole che
cadono sull'aria densa e umida. 12
Sotto questo aspetto, le idee di filosofi presocratici come Se-
nofane, Talete, Diogene e Pitagora rappresentavano sicuramente
una brusca rottura con la precedente visione religiosa del mon-
do. Ma la cosa straordinaria è che per molti versi le ipotesi fon-
damentali di questi filosofi si adattano meglio all'antica visione
del mondo, più gilanica, che a quella successiva, androcratica.
Per esempio, si dice che con Senofane nasca quello che lo
storico della filosofia Edward Hussey definisce il «monoteismo
radicale, del tutto estraneo alla religione greca tradizionale». 13
Hussey fa notare come l'idea di Senofane che l'universo è retto
da un'intelligenza infinita e onnipresente sia antitetica alla vi-
sione del mondo espressa dal pantheon ufficiale dell'Olimpo, in
L'altra metà della storia. Prima parte 215

cui una varietà di divinità imprevedibili e spesso armate - pro-


prio come la miriade di piccoli condottieri e re che giunsero a
devastare il mondo antico - esercita un potere arbitrario e ca-
priccioso, e sui ritmi della natura e sulle vite dei propri «sotto-
posti» umani. 14 Ma, alla luce di quanto ormai sappiamo della
preistoria, si potrebbe affermare altrettanto facilmente che, in
realtà, era questa visione di tipo dominatore o androcratico del-
l'universo a essere «nuova e rivoluzionaria», e non, come scrive
Hussey, l'idea del mondo che era alla base dei progressi sociali
e politici della Grecia del VI secolo. 15
Si potrebbe anche dire che non fu una coincidenza se la vi-
sione più antica di un ordine del mondo ciclico e coerente, pre-
cedentemente simboleggiato dalla Grande Dea, la Madre Onni-
dispensatrice, si sia manifestata di nuovo, anche se con una
forma differente, quando dopo l'assalto dorico la civiltà comin-
ciò a rifiorire. E non a caso ciò accadde in un luogo ben preciso:
nelle città dell'Anatolia, dove un tempo fiorì çatal Hilyilk, e
nelle isole vicine a quella che un tempo era stata la gloriosa ci-
viltà della Creta minoica, ove nei suoi vari aspetti di madre, ver-
gine, creatrice e progenitrice la Dea mantenne la sua influenza
fino alla conquista dorica. 16
Abbiamo sottolineato in precedenza come il culto della Dea
fosse allo stesso tempo politeistico e monoteistico. La Dea veni-
va adorata sotto vari aspetti, ma queste diverse divinità avevano
alcune caratteristiche in comune, in particolar modo la Dea, in
quanto Madre e Onnidispensatrice, era universalmente conside-
rata la fonte della natura e della vita tutta. 11 Dunque, da questo
punto di vista, l'idea presocratica di un assetto del mondo ordi-
nato e coerente è molto più vicina alla precedente visione della
Dea, come potere soprannaturale onnidispensatore e onnipre-
sente, che a quella simboleggiata dal successivo pantheon olim-
pico, dall'alto del quale un gruppo di divinità litigiose, competi-
tive e per lo più imprevedibili governava il mondo.
La concezione pitagorica dell'universo come immensa ar-
monia musicale (la famosa «armonia delle sfere») sembra più
216 Riane Eisler

consona all'antica cosmologia religiosa che al rissoso pantheon


olimpico. Nella cosmologia dei presocratici al posto della Dea
troviamo forze più impersonali, con occasionali riferimenti a
una divinità onnipresente e presumibilmente maschile. Ma il
mondo dei presocratici è tutt'altra cosa dall'universo caotico e
puramente casuale prospettato da alcuni pensatori androcratici.
Uno dei princìpi cardine della visione presocratica dell'uni-
verso è che l'ordinamento del mondo possiede una regolarità
verificabile, «i principali mutamenti si ripetono in cicli giorna-
lieri e annuali». 18 Questa idea richiama in modo sorprendente
quella che potremmo chiamare l'Antica Religione, ove ricorre il
tema dei cicli della natura, e della donna. Aristotele riferisce che
Talete, secondo lui il precursore della filosofia «naturale», so-
steneva che l'acqua era all'origine di tutte le cose. Questa con-
cezione richiama ancora una volta straordinariamente l'antica
idea che la Dea, e con lei la terra, fosse in origine emersa dalle
acque primordiali. 19
Analogamente, già nel VI e V secolo a.C., filosofi come
Anassimandro, Zenone ed Empedocle formularono il concetto
dialettico di equilibrio degli opposti come principio essenziale
del mutamento e della stabilità. 20 Ma oggi siamo in grado di ca-
pire che un'analoga concezione era stata prefigurata ancor pri-
ma, nelle immagini cosmologiche dell'epoca del culto della
Dea.
Nella ceramica decorata della cultura europea di Cucuteni,
pressappoco della metà del IV millennio a.C., la tensione tra
coppie e opposti è un tema ricorrente. 21 La dinamicità della na-
tura e il suo rinnovamento periodico negli apparenti opposti di
nascita e morte, era al centro dell'antica mitologia religiosa; la
Dea incarnava sia l'unità che la dualità della vita e della morte.
Similmente, nella Dea si fondevano i princìpi contraddittori di
maternità e verginità. 22 Spesso si congiungevano anche mascoli-
nità e femminilità, nelle prime immagini androgine della Dea e
nei successivi rituali del Matrimonio Sacro. Infatti, la nascita e
la morte di tutta l'umanità e di tutta la natura, nell'antica mitolo-
L'altra metà della storia. Prima parte 217

gia religiosa, erano manifestazioni della giustapposizione e del-


1' unità essenziale dei poteri creativi e distruttivi della Dea. Que-
sto onnipresente carattere trasformativo dell'antica divinità vie-
ne sintetizzato da Erich Neumann nella definizione «dea degli
opposti». 23
Siccome ci sono somiglianze con idee di culture egiziane,
mesopotamiche e di altre culture mediorientali, alcuni studiosi
hanno cercato di spiegare quelle presocratiche come «prestiti»
di queste civiltà più antiche, più avanzate, e ali' epoca già preva-
lentemente a modello dominatore/androcratico. Non c'è dubbio
che la diffusione culturale abbia contribuito allo sviluppo della
visione del mondo presocratica. Ma il fattore più importante, fi-
no a oggi omesso o trascurato, sembra essere l'influenza di tra-
dizioni e leggende locali.
In particolare, i progressi locali sembra abbiano portato a un
graduale «ammorbidimento» del sistema proto-androcratico.
Durante un periodo di relativa pace fra le diverse città-Stato gre-
che e di mancanza d'invasioni straniere, vi fu non solo una rina-
scita delle arti e dell'artigianato, ma anche una tendenza a sosti-
tuire re e condottieri dispotici con democrazie oligarchiche
(governi eletti, composti da aristocratici o ricchi).
Non sorprende dunque, come fa notare Hussey, che le idee
dei filosofi greci non solo riflettevano, ma stimolavano «il
diffondersi dell'uguaglianza politica», oltre che il ritorno a un
concetto di legge intesa come «qualcosa di determinato, impar-
ziale e immutabile». 24 Sicuramente l'idea pitagorica di «ugua-
glianza geometrica», 25 sia tra gli elementi del cosmo sia tra gli
esseri umani, non coincide con il governo dispotico del nuovo
ordinamento, anche se, effettivamente, le comunità pitagoriche
sembra fossero governate da oligarchie, sul tipo del successivo
concetto platonico di re-filosofi. 26
Sotto questo aspetto è senz'altro significativo apprendere da
Aristosseno che Pitagora ricevette buona parte della sua dottrina
etica da Temistoclea, una sacerdotessa di Delfi. Si dice anche
che Pitagora introdusse l'antico misticismo nella filosofia greca,
218 Riane Eisler

e addirittura che egli fosse un femminista. 21 Nella sua riforma


della religione misterica orfica, sembra che Pitagora abbia an-
che dato importanza al culto del principio femminile. 28 E Dioge-
ne ci racconta che le donne nella scuola pitagorica studiavano
assieme agli uomini, come avverrà più tardi nell'Accademia di
Platone. 29
È significativo anche che gran parte della filosofia platonica,
come rileva la storica classica Jane Harrison, si basi su influenze
pitagoriche, oltre che su simboli orfici, che conservano elementi
della religione e della morale pre-androcratica. 30 Le concezioni
platoniche di un universo ideale ordinato e armonioso, che si
trova al di là della «caverna oscura» della percezione umana,
sembra provenire dalla stessa tradizione. E il fatto che Platone
nella Repubblica propugni la parità d'istruzione per le donne
nel suo Stato ideale non è certamente un'idea compatibile con il
pensiero androcratico, secondo cui le donne devono soprattutto
essere represse. 31

La Grecia antica

Se riesaminiamo l'antica Grecia, risulta chiaro che le cose


più belle di questa notevole civiltà - il grande amore per l'arte,
l'intenso interesse per i fenomeni della natura, la ricca e varia
simbologia mitologica femminile e maschile, e anche il breve e
circoscritto tentativo di introdurre una forma più ugualitaria di
organizzazione politica, che i Greci chiamarono democrazia -
possono essere fatte risalire all'era precedente. Allo stesso mo-
do, a questo punto non è difficile identificare la causa di alcune
arretratezze culturali dei Greci. Il fatto che la democrazia greca
escludesse la maggior parte della popolazione (non permettendo
la partecipazione di donne e schiavi), era una funzione della
struttura androcratica sovrapposta al precedente ordinamento,
più ugualitario e pacifico. Lo stesso dicasi dell'assillo per la
guerra della classe dominante greca, la sua idealizzazione delle
I.:altra metà della storia. Prima parte 219

cosiddette virtù virili dell'eroismo e della conquista militare, e


del massiccio deterioramento della condizione della donna.
Nella figura di Atena vediamo chiaramente lo scontro e l'in-
terazione degli elementi gilanici e androcratici della Grecia
classica. Quando riflette le norme del precedente corso mutuale
dell'evoluzione culturale, essa è ancora la dea della saggezza,
con il suo antico emblema del serpente. Ma, allo stesso tempo,
quando esprime le nuove norme dominatore, essa è la dea della
guerra, munita di lancia ed elmo, il suo calice trasformato in
scudo. Si notano questi due elementi anche nella Repubblica di
Platone, in cui lo Stato, paradossalmente, è allo stesso tempo
gerarchico e umanistico-ugualitario.
Da una parte, Platone propugna una società a tre classi, so-
stenuta da quella che chiama ironicamente una «nobile bugia»:
la storia che i «custodi», la classe al potere, sono fatti d'oro, i
guerrieri d'argento e gli altri (operai e contadini) di vil metallo.
Dall'altra, per i custodi questo deve essere un sistema ugualita-
rio, addirittura austeramente comunistico, e il loro esercizio del
potere deve essere retto da princìpi equi, più consoni a quelli
simboleggiati dal Calice che non a quelli rappresentati dalla
Spada. E, sebbene Platone non possa in alcun modo essere defi-
nito un femminista, nella Repubblica egli auspica, in netto con-
trasto con la prassi ateniese, che le donne della classe dirigente
ricevano un'educazione pari a quella degli uomini.
Nell'arte greca ci si rende conto ancor più chiaramente della
giustapposizione di gilania e androcrazia. L'antico amore per la
vita e per la natura si esprime in squisite rappresentazioni del
corpo umano, sia maschile che femminile. Ma temi ricorrenti
sono anche lotte e conflitti armati.
Una testimonianza del conflitto tra le due culture ci viene an-
che dalla religione greca. A riprova che essa affonda le sue radi-
ci in una visione del mondo più antica, che non reprimeva la
donna e i «valori femminili», sta il fatto che nel pantheon olim-
pico, e ancor più nei tempietti locali, si continuano a venerare le
divinità femminili. Ufficialmente Zeus è la divinità suprema.
220 Riane Eisler

Ma le dee sono ancora potenti, a volte più degli dèi. Nei Misteri
Eleusini, che si celebravano annualmente a Eleusi, a pochi chi-
lometri da Atene, è facile riconoscere le stesse radici culturali.
Qui la Dea, nel suo duplice aspetto di Kore e Demetra, conti-
nuava a rivelare agli iniziati religiosi le più alte verità mistiche.
E ancor oggi possiamo vedere, in un sigillo d'oro della Beozia e
in un dipinto su vaso di Tebe, come in questi riti l'antico vaso
femminile, il Calice, o sacra fonte, fosse l'immagine centrale. 32
Si ravvisano gli elementi gilanici e androcratici della società
greca anche nella situazione paradossale delle donne ateniesi,
che, nonostante le forti restrizioni legali e sociali, era, almeno
per alcune, notevolmente migliore, rispetto alla condizione delle
donne nelle teocrazie mediorientali. Infatti, proprio perché ad
Atene le donne erano meno sottomesse, ci sono indizi che nella
città ci potesse essere qualcosa di simile a un «movimento fem-
minista».
È vero che, come gli schiavi d'ambo i sessi, tutte le donne
erano escluse dalla tanto celebrata democrazia ateniese. La sto-
ria riferita da Agostino che le donne di Atene persero il diritto di
voto nel momento in cui ci fu un passaggio dalla matrilinearità
alla patrilinearità, indica che l'imposizione dell' androcrazia se-
gnò la fine della vera democrazia. 33 Inoltre, in epoca classica, la
maggior parte delle donne di classe elevata era costretta a vivere
nella prigionia malsana e avvilente del gineceo, gli alloggi delle
donne. Ma ci sono anche prove che, sempre ad Atene - che,
scrive la storica culturale Jacquetta Hawkes, tra tutte le città-
Stato greche era quella in cui «la posizione della donna era la
peggiore (o soltanto quella in cui ci si lagnava di più?)» - alcune
donne svolgessero mansioni importanti nella vita pubblica e in-
tellettuale.34 Per esempio, Aspasia, la compagna di Pericle, lavo-
rava sia come studiosa che come statista, perorando l'istruzione
delle massaie ateniesi e, in generale, contribuendo a creare la
notevole cultura civica che gli storici chiamano «Età d'oro di
Pericle». 35
Anche se la tanto lodata educazione ateniese era abitualmen-
I.:altra metà della storia. Prima parte 221

te riservata agli uomini, c'erano donne, come abbiamo prece-


dentemente notato, che studiavano all'Accademia di Platone.
Questo rivela chiaramente la tendenza gilanico-androcratica
presente nella cultura greca, se pensiamo che negli Stati Uniti
solo a cavallo tra il XIX e il XX secolo fu consentito alle donne
di accedere all'istruzione superiore.
Altrettanto rivelatore è il fatto che, in vari periodi della storia
greca, ci furono donne le cui opere sarebbero state conservate
nelle biblioteche «pagane», successivamente distrutte dai fanati-
ci cristiani e musulmani. Per esempio, una donna greca che si
diceva avesse studiato alla scuola pitagorica, la filosofa Arigno-
te, pubblicò un volume intitolato Discorso sacro, e fu l'autrice
dei Riti di Dioniso e di altri libri. 36 Secondo alcune ipotesi l' O-
dissea potrebbe essere stata scritta da una donna. Ci sono anche
testimonianze che delle donne diressero scuole filosofiche. Una
di queste era la scuola di Arete di Cirene, che s'interessava so-
prattutto di scienze naturali ed etica, e la cui prima preoccupa-
zione era «un mondo in cui non ci fossero padroni né schiavi». 37
Telesila d'Argo era conosciuta per le canzoni politiche e gli in-
ni. Corinna di Beozia, la maestra di Pindaro, secondo la storica
della condizione femminile Elise Boulding, «lo batté cinque
volte in competizioni poetiche». Ed Erinna era considerata dagli
antichi alla pari di Omero.
Dai pochi frammenti rimasti della sua opera, sappiamo che
la poetessa greca Saffa o Saffo di Lesbo (che pure dirigeva una
scuola per donne), scrisse splendide poesie, che esaltavano l'a-
more anziché, come nella maggior parte della poesia greca, la
guerra. «Chi dice la cavalleria, chi la fanteria, o una flotta di
lunghi vascelli, sia lo spettacolo supremo sulla nera terra»,
scrisse. «Io dico, è l' amato.» 38
Per alcune donne greche la professione di etera offriva una
alternativa più indipendente, e relativamente rispettata, rispetto
al ruolo subordinato di moglie. Sebbene le etere siano state erro-
neamente considerate delle prostitute, gli antichi greci non la
pensavano così. Le etere erano più simili alle cortigiane che nel-
222 Riane Eisler

l'Europa del XVII e XVIII secolo spesso esercitavano un consi-


derevole potere politico. Erano abili ospiti e intrattenitrici, dalla
cultura e dagli interessi diversificati. Ma ciò che più interessa
sono le testimonianze che riportano di etere che furono studiose
e persino personaggi pubblici di spicco. «Le etere delle città-
Stato della Ionia e dell' Eolia erano considerate le migliori»,
scrive la Boulding. «Due delle discepole più famose di Platone
erano Lashenia di Mantova e Axiothea.» 39 Si ritiene che Aspa-
sia, che tanto contribuì alla cultura ateniese, fosse un'etera.
Forse la testimonianza più significativa è quella che indica
che in Grecia esisteva un movimen'to per il ritorno a un'organiz-
zazione sociale in cui una metà dell'umanità non prevarica l'al-
tra - forse qualcosa di simile al movimento per la liberazione
della donna. Esso viene sarcasticamente menzionato nelle satire
misogine di uomini come Aristofane e Cratino, che parlano di
donne che si riuniscono in gruppi, e si esprimono in maniera
sconveniente, il che indica il loro «desiderio d'essere uomini». 40
È probabile che le donne che s'incontravano regolarmente e fre-
quentemente alle feste religiose e ai raduni per sole donne, dove
adoravano una divinità femminile, conservassero un forte senso
d'identità femminile. Così, fino in epoca storica avanzata, molte
donne greche conservarono una fonte di potere, che mancava a
quelle della maggior parte delle culture occidentali, dove alla fi-
ne la Dea fu sepolta o completamente cancellata.
Altrettanto interessanti sono le indicazioni di un attivismo
contro la guerra da parte delle donne dell'antica Grecia. Quello
che forse era un movimento pacifista organizzato, assai simile a
quello contemporaneo, è documentato in maniera per noi molto
eloquente nelle commedie greche pervenuteci, come la celebre
Lisistrata di Aristofane, in cui le donne minacciano di negare i
loro favori sessuali finché gli uomini non cessino le loro guerre.
Che questo tema sia stato sviluppato in un'intera commedia, da
un autore comico estremamente popolare, rivela sia la probabile
forza del movimento, sia la strategia ancor oggi tipica delle so-
J; altra metà della storia. Prima parte 223

cietà a dominio maschile: mantenere il controllo maschile sulle


donne mettendole in ridicolo e sminuendole.
Questo espediente detrattorio, oltre a quello, per la verità an-
cor più comune, di limitarsi a omettere i dati che riguardano le
donne, ha caratterizzato gran parte delle cronache storiche gre-
che. In queste, come nei libri di storia di qualsiasi altro luogo,
tutto ciò che riguarda le donne è, ipso facto, considerato secon-
dario, o, più spesso, semplicemente non viene riportato. Gli sto-
rici tradizionali hanno di conseguenza trascurato pesantemente le
attività delle donne che si davano da fare per una società giusta e
umana. Ma con la scoperta di sempre nuovi dati, la nostra storia
perduta dimostra che queste attività erano estremamente signifi-
cative. Infatti, come vedremo meglio più avanti, questi dati rive-
lano che in Grecia, e anche altrove, le donne, se solo ne avevano
la possibilità, lavoravano attivamente per rendere valori «femmi-
nili» come la pace e la creatività priorità sociali operanti.
Come l'assenza di definizioni di genere specifiche quali gi-
Lania e androcrazia dal vocabolario degli storici, l'omissione si-
stematica delle donne dai resoconti del nostro passato serve a
mantenere un sistema basato sulla gerarchizzazione maschile-
femminile. Essa rafforza l'assunto principale del dominio ma-
schile: la donna non è importante quanto l'uomo. Evitando
qualsiasi accenno al fatto che le «caratteristiche femminili» so-
no basilari per la nostra organizzazione sociale e ideologica,
questa omissione sistematica serve efficacemente a celare le al-
ternative sociali descritte dai termini gilania e androcrazia.
Tuttavia, se consideriamo la storia secondo una prospettiva
olistica dei generi, possiamo cominciare a vedere il conflitto na-
scosto tra gilania e androcrazia come due modi di vivere su que-
sta terra. Quindi la libertà relativamente maggiore di alcune
donne greche, se paragonata a quella delle loro simili nelle teo-
crazie mediorientali, si può considerare un importante indicato-
re sociale. Può, per esempio, essere vista come causa ed effetto
della persistenza e della rinascita in Grecia di un'idea del pote-
224 Riane Eisler

re, inteso come responsabilità, e non come controllo, più umani-


stica, tipica dell'era preandrocratica.
Molte delle idee di noi occidentali sulla giustizia sociale,
quelle di libertà e democrazia, per esempio, provengono da filo-
sofi greci come Pitagora e Socrate. La deduzione che tali idee
provenissero da radici gilaniche più antiche è rafforzata dal fatto
che entrambi i filosofi ricevettero l'istruzione da donne. E indi-
cativo anche il fatto che Temistoclea, che educò Pitagora, e Dio-
tema, che educò Socrate, erano sacerdotesse: depositarie e di-
vulgatrici di tradizioni religiose e morali preesistenti.
Ma se nell'antica Grecia sono ~vi denti numerosi indizi di
una rinascita gilanica, è manifesta anche la fiera resistenza an-
drocratica a questo impulso evolutivo. La religione ufficiale gre-
ca era nei suoi punti chiave un culto dominatore: Zeus instaura e
mantiene la sua supremazia con atti di crudeltà e barbarie, tra
cui numerose violenze carnali a dee e donne mortali. Abbiamo
già notato come grandi drammi rituali dell'età classica quali
l'Orestea servissero a mantenere e a rafforzare le norme andro-
cratiche di dominio e violenza maschile. Ciò rifletteva la politi-
ca delle élite al potere in Grecia. Infatti, per quanto «civilizzati»
fossero diventati questi uomini, se volevano mantenere le loro
posizioni di dominio non potevano permettersi d'incoraggiare
alcun mutamento fondamentale nella triplice configurazione:
dominio maschile, autoritarismo e violenza sociale istituziona-
lizzata, che caratterizza i sistemi androcratici.

Giusto e sbagliato nell'androcrazia

Gli uomini che governavano l'antica Grecia potevano tolle-


rare, a volte addirittura ammirare, l'umanesimo. Ma non poteva-
no spingersi oltre. In questo senso, è estremamente indicativo il
caso umano più strano e sconvolgente della Grecia classica: la
condanna a morte di Socrate, filosofo apparentemente inoffensi-
vo. Infatti, quali erano le idee «radicali» per cui persino un im-
I.:altra metà della storia. Prima parte 225

portante filosofo come Socrate dovette essere condannato a


morte per avere «corrotto» la gioventù ateniese? Non a caso,
erano concetti che esprimevano eresie gilaniche: pari opportu-
nità d'istruzione per le donne, e una visione della giustizia dia-
metralmente opposta al principio androcratico secondo cui il di-
ritto è legittimato dalla forza.
Nella Repubblica di Platone si esprime con vigore l'opposi-
zione di Socrate a un sistema di gerarchizzazione basato sulla
forza. Nell'opera sono esposte le idee del filosofo sulla parità
d'istruzione per le donne, che erano ancora sconvolgenti per un
filosofo del XVIII secolo apparentemente illuminato come
Jean-Jacques Rousseau. In questo classico della filosofia occi-
dentale c'è anche il dialogo di Socrate con il sofista Glaucone.
La posizione espressa da quest'ultimo, molto criticata da Socra-
te, è che per gli uomini di governo la giustizia e la legge sono
soltanto una questione di convenienza.
Anche i sofisti venivano talvolta accusati di minacciare la
morale convenzionale, poiché alcuni di loro rifiutavano aperta-
mente gli dèi greci. Ma in questo dialogo Platone rivela che il
loro insegnamento filosofico in sostanza esprimeva la morale
convenzionale del tempo, senza alcuna maschera di finzione o
di ipocrisia. 41 La visione del mondo dei sofisti era, in poche pa-
role, semplicemente quella degli uomini che governavano la
Grecia, la stessa di quelli che governano il mondo oggi. I sofisti,
infatti, andavano oltre gli assunti della morale, per abbracciare
le verità sociali e politiche della vita androcratica, secondo cui,
allora come oggi, gli uomini dimostrano di essere nel giusto con
la potenza delle proprie armi.
Nella Repubblica, Glaucone dice a Socrate che le leggi non
sono altro che un'invenzione di quei deboli abbastanza furbi da
capire che è nel loro interesse porre limiti ai forti. E la giustizia
non è che un «compromesso» tra «quel che è meglio, avere torto
e farla franca, e quel che è peggio, subire un torto e non essere
in grado di ottenere vendetta». 42
È molto significativo che la stessa visione del mondo, e della
226 Riane Eisler

giustizia, venga espressa nelle opere del famoso storico e gene-


rale greco Tucidide, che descrisse la guerra del Peloponneso,
svoltasi tra il 431 e il 403 a.C. Nel resoconto che fa Tucidide del
dialogo tra i messi ateniesi e i rappresentanti di Melos, una pic-
cola città-Stato delle Cicladi, che gli ateniesi volevano annette-
re, gli ateniesi dicono direttamente ai melati che a loro non inte-
ressa se l'annessione sia giusta o sbagliata; l'importante è che
sia vantaggiosa. Perché «la questione della giustizia si pone sol-
tanto tra schieramenti d'ugual forza, altrimenti i forti fanno quel
che è loro diritto, e i deboli sopportano, com'è loro dovere». 43
Questa morale utilitaristica, come. fa notare John Mansley
Robinson nella sua analisi della filosofia greca, si basa in parte
sulla premessa che gli esseri umani siano «animali spietati, avi-
di, egocentrici». 44 È una premessa che a sua volta si basa su di
un altro postulato: le gerarchie umane fondate sulla forza sono
«naturali» e, perciò, giuste. Secondo questa idea, come dice
Aristotele nella Politica, in natura ci sono elementi destinati a
governare ed elementi destinati a essere governati. In altre paro-
le, il principio che deve reggere l'organizzazione sociale è quel-
lo di gerarchia e non quello d'unione. E come ha dichiarato
esplicitamente Aristotele, formulando i princìpi della vita e del-
la filosofia androcratica, com'è naturale che gli schiavi debbano
essere dominati da uomini liberi, così le donne devono essere
sottomesse all'uomo. Qualsiasi altra possibilità viola l'ordine
verificabile, quindi «naturale». 45
Come abbiamo visto, le stesse premesse filosofiche erano un
elemento essenziale anche dell'altra principale tradizione che ha
contribuito a formare la civiltà occidentale: la tradizione giu-
deo-cristiana. In quest'ultima si manifestano nelle idee cristiane
come quella del peccato originale, e in una mitologia religiosa
in cui il predominio di Dio sull'uomo e dell'uomo sulla donna e
i bambini viene presentato come un comandamento divino. 46
Infatti, se studiamo la storia cristiana, vediamo che il termine
convenzionale per esprimere il concetto di predominio di una
parte sull'altra è gerarchia, che originariamente si riferiva al go-
I: altra metà della storia. Prima parte 227

verno della Chiesa. La parola deriva dal greco hieros (sacro) e


arkhia (governo), e descrive l'ordinamento in ranghi, o livelli di
potere, tramite i quali gli uomini a capo della Chiesa esercitava-
no l'autorità sui propri sacerdoti e sui popoli dell'Europa cri-
stiana.47
Ma c'è un'altra componente, affatto differente, della nostra
tradizione giudeo-cristiana, che ha alimentato la speranza, spes-
so disperata, ma tuttora viva, che l'evoluzione spirituale dell'u-
manità potrà un giorno liberarsi da un sistema che ci ha tenuti
impantanati nella barbarie e nell'oppressione. Si tratta, come
vedremo nel capitolo successivo, dell'elemento che duemila an-
ni fa avrebbe potuto determinare una seconda trasformazione,
gilanica, delle norme occidentali.

Note

l. La pronuncia inglese di gylany che propongo è ghì-la-ni. La g è dura,


come in gift. L'accento è sulla prima sillaba. La parola gylany nel suo insieme
ha lo stesso accento sillabico e lo stesso ritmo della parola inglese progeny. [In
italiano, come in tutti i derivati dal greco gyné, si è mantenuta la g dolce.
N.d.T.]
2. Jane Harrison, Prolegomena to the Study of Greek Religion, Merlin
Press, Londra 1903, 1962, p. 646.
3. Jacquetta Hawkes, Dawn of the Gods: Minoan and Mycenaean Ori-
gins of Greece, Random House, New York 1968, p. 261.
4. Lo confermano successive tragedie greche, come l'Orestea di Eschilo,
visto che regine come Clitemnestra sono evidentemente al potere, e ci si riferi-
sce ai loro mariti come consorti.
5. Esiodo, Le opere e i giorni, citato in John Mansley Robinson, An lntro-
duction to Early Greek Philosophy, Houghton Mifflin, Boston 1968, p. 4.
6. Eraclito, citato in Edward Hussey, The Pre-Socratics, Scribner, New
York 1972, p. 49 (trad. it. / presocratici, Mursia, Milano 1977).
7. Esiodo, citato in J.M. Robinson, op. cit., p. 5.
8. J.V. Luce, The End of Atlantis, Thames & Hudson, Londra 1968, p.
158 (trad. it. La fine di Atlantide. Nuove luci su un'antica leggenda, Newton
Compton, Roma 1997).
9. lbid., p. 159.
10. lbid.
11. Per esempio Anassimandro (nato nel 612 a.C. circa) per certi versi, in
modo elementare, anticipò la teoria evoluzionista di Darwin. Il filosofo greco
disse a proposito delle origini della vita umana che i prototipi degli esseri
umani erano in origine delle creature simili a pesci, che quando raggiunsero la
228 Riane Eisler

maturità abbandonarono l'acqua per la terra, lasciarono cadere il loro rivesti-


mento ittiomorfo, e apparvero in forma umana. Queste idee lasciano supporre
che Anassimandro potesse avere qualche nozione dello sviluppo del feto uma-
no (E. Hussey, op. cit., p. 26; J.M. Robinson, op. cit., pp. 33-4).
12. J.M. Robinson, op. cit., p. 46.
13. E. Hussey, op. cit., p. 14.
14. lbid., p. 13.
15. lbid.
16. Come abbiamo già fatto notare, studiosi come Nicolas Platone Jac-
quetta Hawkes hanno parlato delle radici cretesi della civiltà greca. Scrive Pia-
ton: «Una splendida civiltà, prodotta da gente così dinamica, non poteva sva-
nire senza lasciare tracce» (Nicolas Platon, Crete, Nagel Publishers, Ginevra
1966, p. 69). È anche significativo che importanti filosofi-scienziati presocra-
tici come Senofane di Colofone, Pitagora di Samo, Talete, Anassimandro e
Anassimene di Mileto, fossero vissuti in isole del Mediterraneo orientale e in
città della costa anatolica meridionale, per millenni sedi di culture che adora-
vano la Dea, rimaste intatte fino al furibondo attacco dorico, che segnò il prin-
cipio dei «secoli bui» della Grecia.
17. In alcune affermazioni Anassagora esprime l'idea di un universo unifi-
cato (precedentemente simboleggiato dalla Dea come Madre e Onnidispensa-
trice ), in cui tutto è collegato o unito, e non, come nelle teorie teologiche e
scientifiche androcratiche, disposto in gerarchie. «In tutte le cose», scrive il fi-
losofo, «gli enti nell'ordine unico del mondo non sono separati l'un dall'altro,
troncati con un'ascia, né il caldo dal freddo, né il freddo dal caldo» (citato in
J.M. Robinson, op. cit., pp. 177-81).
18. E. Hussey, op. cit., p. 17.
19. Jbid., p. 19.
20. Vedi J.M. Robinson, op. cit., pp. 34, 35, 89, 94, 137, 168.
21. Marija Gimbutas, The Goddesses and Gods of Old Europe, 6500-3500
B. C., U niversity of California Press, Berkeley and Los Angeles, pp. 102, 196.
22. lbid., p. 198.
23. Erich Neumann, The Great Mother, Princeton University Press, Prin-
ceton, NJ. 1955, p. 275 (trad. it. La Grande Madre. Fenomenologia delle con-
figurazioni femminili dell'inconscio, Astrolabio, Roma 1981 ).
24. E. Hussey, op. cit., p. 14.
25. J.M. Robinson, op. cit., p. 70.
26. lbid., p. 80.
27. La Harrison cita Aristosseno come fonte dell'informazione che a Pita-
gora l'etica fu insegnata da Temistoclea (op. cit., p. 646). La Hawkes scrive
che in quanto riformatore dell'orfismo Pitagora adottò «un forte femminismo»
(op. cit., p. 143).
28. J. Harrison, op. cit., p. 646.
29. Jbid.; J. Hawkes, op. cit., p. 284.
30. J. Harrison, op. cit., p. 647.
31. Platone, Repubblica, libro IV.
32. Si vedano anche le raffigurazioni su di un'urna cineraria, che mostrano
una cerimonia d'iniziazione, in cui Demetra viene posta sul trono e il suo
I.:altra metà della storia. Prima parte 229

grande serpente, a lei avvolto, viene accarezzato dall'iniziato. Alla sinistra di


Demetra c'è un'altra figura femminile, la dea sua gemella, Persefone (J. Harri-
son, op. cit., p. 546). Per un nuovo e affascinante studio sui misteri eleusini si
veda Mara Keller, The Mysteries of Demeter and Persephone, Ancient Greek
Goddesses of Fertility, Sexuality and Rebirth, manoscritto inedito. La Keller fa
notare che i misteri eleusini conservarono molti elementi dell'antico culto del-
la Dea. Scrive la studiosa: «I riti di Demetra e Persefone si rivolgono alle espe-
rienze della vita che in ogni epoca sono rimaste le più misteriose: nascita, ses-
sualità, morte; e al mistero più grande di tutti, l'amore duraturo. In questa
religione misterica, la gente dell'antico mondo mediterraneo esprimeva la pro-
pria gioia per la bellezza e la generosità della natura, tra cui le provvide messi;
per l'amore personale, la sessualità e la procreazione; e per la rinascita dello
spirito umano, anche se attraverso la sofferenza e la morte. Cicerone scrisse di
questi riti: 'Ci fu dato un motivo non solo per vivere gioiosamente, ma per mo-
rire con maggiore speranza'».
33. Agostino, citato in J. Harrison, op. cit., p. 261.
34. J. Hawkes, op. cit., p. 286.
35. Elise Boulding, The Underside of History, Westview Press, Boulder
CO. 1976, pp. 260-2. Come nota la filosofa femminista Mara Keller, è signifi-
cativo che Aspasia fosse probabilmente originaria dell'Anatolia, ove la Dea
era ancora importante e le donne conservavano un forte grado d'indipendenza
(colloquio privato con Mara Keller, 1986). Aspasia, che giunse ad Atene al-
l'incirca nel 450 a.e., aprl una scuola per donne e tenne molti discorsi pubbli-
ci. Tra i suoi ascoltatori vi furono Socrate, Pericle, e altri uomini illustri (Will
Durant, The Life of Greece, Simon & Schuster, New York 1939, p. 253; trad.
it. La Grecia, Mondadori, Milano 1967).
36. J. Harrison, op. cit., p. 646.
37. Mary Beard, Woman as a Force in History, McMillan, New York
1946, p. 326.
38. La maggior parte delle opere di Saffo fu bruciata dai fanatici cristiani,
insieme ad altri scritti «pagani». Ma, come si chiede la Keller, perché Omero
(che esaltava la guerra) fu risparmiato, mentre le opere di donne come Saffo
(che esaltavano l'amore) furono distrutte? Su Saffo, che Platone definì la deci-
ma Musa, si veda per esempio J. Hawkes, op. cit., p. 286; E. Boulding, op. cit.,
pp. 262-3.
39. lbid., pp. 262-3.
40. Esempi sono le Tesmoforiazuse e le Donne ali 'Assemblea, di Aristofa-
ne.
41. J.M. Robinson, op. cit., pp. 269-70
42. lbid., pp. 286, 285.
43. Tucidide, Le Storie.
44. J.M. Robinson, op. cit., p. 287.
45. Aristotele, La Politica.
46. Genesi, 1-3.
47. FritjofCapra, The Tuming Point: Science, Societ:y, and the Rising Cul-
ture, Simon & Schuster, New York 1982, p. 282 (trad. it. Il punto di svolta.
Scienza, società e cultura emergente, Feltrinelli, Milano 2003).
9
L'altra metà della storia
Seconda parte

Quasi duemila anni fa, sulle sponde del lago di Tiberiade, in


Galilea, un giovane ebreo, gentile e caritatevole, accusò le classi
dominanti del suo tempo, non solo i ricchi e i potenti, ma anche
le autorità religiose, di sfruttare e opprimere il popolo di Palesti-
na. Egli predicava l'amore universale, e insegnava che i miti, gli
umili e i deboli avrebbero un giorno ereditato la terra. Inoltre,
con le parole e con i fatti, spesso rifiutava la condizione di sotto-
missione e segregazione in cui la propria cultura relegava le
donne. Frequentandole liberamente, cosa che ai suoi tempi era
già di per sé una forma d'eresia, Gesù proclamava l'uguaglianza
spirituale di tutti gli esseri umani.
Non sorprende che le autorità dell'epoca, lige alla Bibbia,
considerassero Gesù un pericoloso rivoluzionario, le cui idee se-
diziose andavano soffocate a tutti i costi. Quanto fossero davve-
ro radicali queste idee, dal punto di vista di un sistema androcra-
tico in cui il predominio dell'uomo sulla donna era il modello di
ogni dominio umano, è espresso succintamente in Galati, 3:28.
Qui leggiamo infatti che per chi segue il Vangelo di Gesù «Non
c'è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né
donna, perché tutti siete un sol uomo in Gesù Cristo».
Alcuni teologi cristiani, come Leonard Swidler, hanno so-
stenuto che Gesù era femminista, perché anche solo dai testi uf-
232 Riane Eisler

ficiali o «sacri» risulta chiaro che egli rifiutò la rigida segrega-


zione e sottomissione delle donne del suo tempo. 1 Ma il fine prin-
cipale del femminismo è la liberazione della donna. Quindi
chiamare Gesù femminista non sarebbe storicamente esatto. Sa-
rebbe più appropriato dire che gli insegnamenti di Gesù incar-
nano un'idea gilanica dei rapporti umani. Questa idea non era
nuova, e, come abbiamo visto, era contenuta anche nelle parti
dell'Antico Testamento conformi a una società di tipo mutuale.
Ma questo giovane falegname di Galilea l'aveva espressa in
modo molto più forte, e, agli occhi delle élite religiose del tem-
po, eretico. Infatti, anche se la liberazione della donna non era
il suo obiettivo principale, se consideriamo la predicazione di
Gesù nella nuova prospettiva della teoria della trasformazione
culturale, ci accorgiamo di un tema sorprendente e unificante:
una visione della liberazione di tutta l'umanità, tramite la sosti-
tuzione dei valori androcratici con quelli gilanici.

Gesù e la gilania

Gli scritti del Nuovo Testamento attribuiti a discepoli che


avevano con ogni probabilità conosciuto personalmente Gesù -
i Vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni - vengono gene-
ralmente considerati la miglior fonte sul «vero» Gesù. Nono-
stante fossero stati scritti anni dopo la morte di Gesù, senza
dubbio con molte modifiche, sono i testi che probabilmente ri-
specchiano nel modo più preciso gli insegnamenti del Cristo,
più di altre parti come gli Atti degli Apostoli o le Lettere ai Co-
rinti.
Nei Vangeli scopriamo che il fondamento della ideologia do-
minatore, il modello di specie maschile-superiore/femminile-in-
feriore, spicca, tranne rare eccezioni, per la sua assenza. Invece
questi scritti sono permeati dal messaggio di uguaglianza spiri-
tuale di Gesù.
Ancor più sorprendenti, e onnipresenti, sono gli insegnamen-
L'altra metà della storia. Seconda parte 233

ti di Gesù secondo cui dobbiamo elevare le «qualità femminili»


da un ruolo secondario o sussidiario a una posizione primaria,
centrale. Non dobbiamo essere violenti, ma porgere l'altra
guancia; dobbiamo fare agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a
noi; dobbiamo amare il nostro prossimo, addirittura i nostri ne-
mici. Al posto di «qualità maschili» come durezza, aggressività
e dominio, le virtù che dobbiamo stimare più d'ogni altra cosa
sono la responsabilità reciproca, la compassione, la gentilezza,
l'amore.
Se studiamo più attentamente non solo ciò che Gesù inse-
gnava, ma anche il modo in cui egli diffondeva il suo messag-
gio, ci rendiamo conto sempre più che la sua era la dottrina di
una società mutuale. Gesù rifiutava il dogma che gli uomini
d'alto rango, ai suoi tempi sacerdoti, nobili, ricchi e re, siano i
prediletti da Dio. Egli frequentava liberamente le donne, riget-
tando così le norme di supremazia maschile del suo tempo. E, in
netto contrasto con le opinioni dei successivi sapienti cristiani,
che discettavano sul fatto che le donne avessero o meno un'ani-
ma immortale, Gesù non predicò il supremo messaggio domina-
tore: le donne sono spiritualmente inferiori all'uomo.
Si è a lungo discusso sull'esistenza storica di Gesù. La tesi
(ampiamente documentata) è che non v'è alcuna prova che di-
mostri la sua esistenza, a parte le fonti cristiane, fortemente so-
spette. Gli studiosi rilevano che praticamente tutti gli eventi del-
la vita di Gesù, e molti dei suoi insegnamenti, compaiono anche
nelle vite e nelle gesta di personaggi mitici di altre religioni. Ciò
indicherebbe che la figura di Gesù fu costruita in base a prestiti
da altre fonti, per servire agli scopi dei primi capi della Chiesa.
Curiosamente, gli argomenti forse più convincenti a sostegno
della storicità di Gesù sono il suo pensiero e le sue azioni gilani-
che e femministe. Infatti, come abbiamo visto, il sistema richie-
deva pressantemente la creazione di dèi ed eroi che sostenesse-
ro, e non che rifiutassero, i valori androcratici.
Risulta dunque difficile capire come mai si sarebbe inventata
una figura che, come leggiamo in Giovanni, 4:7-27, violava le
234 Riane Eisler

usanze androcratiche del tempo parlando apertamente con le


donne. E i cui discepoli «si meravigliavano» di questo suo dia-
logare con l'altro sesso, e con una tale frequenza. E che non per-
donava la consuetudine di lapidare le donne che, secondo il pa-
rere dei loro sovrani maschi, avevano commesso l'ignobile
peccato di avere rapporti sessuali con un uomo diverso dal loro
padrone.
In Luca, 10:38-42, leggiamo di come Gesù ammettesse aper-
tamente le donne tra i suoi seguaci, e di come addirittura le in-
coraggiasse a emanciparsi dai loro ruoli servili e a partecipare
attivamente alla vita pubblica. Egli elogia l'attivista Maria più
della sorella casalinga, Marta. E in tutti i Vangeli ufficiali si par-
la di Maria Maddalena, probabilmente una prostituta, e di come
Gesù la trattasse con rispetto e affetto.
E, cosa ancor più sorprendente, apprendiamo dai Vangeli che
è proprio a Maria Maddalena che il Cristo si manifesta per la
prima volta dopo la resurrezione. In lacrime nel sepolcro vuoto
dopo la sua morte, è lei che sorveglia la tomba di Gesù. Qui Ma-
ria Maddalena ha una visione, in cui Gesù le si manifesta prima
di apparire a qualcuno dei suoi tanto pubblicizzati dodici Apo-
stoli maschi. Ed è a Maria Maddalena che Gesù risorto chiede di
annunciare agli altri la sua prossima Ascensione in cielo. 2
Non stupisce che ai suoi tempi, e ancora oggi, gli insegna-
menti di Gesù esercitassero una grande attrattiva sulle donne.
Anche se gli storici cristiani raramente ne fanno cenno, anche
negli scritti ufficiali del Nuovo Testamento ci sono figure im-
portanti di donne cristiane. Per esempio, in Atti, 9:36, leggiamo
di una discepola di Gesù chiamata Tabita o Dorcade, la cui as-
senza spicca nel consueto computo ufficiale dei dodici Apostoli.
In Romani, 16:7 troviamo Paolo che saluta rispettosamente una
Apostola di nome Junia, e dice che ella era entrata nel movi-
mento prima di lui. «Salutate Maria, che s'è tanto affaticata per
voi», leggiamo. «Salutate Andronico e Junia, miei congiunti e
miei compagni di prigione, che sono insigni fra gli Apostoli e
che sono stati di Cristo già prima di me» (il corsivo è mio).
I.:altra metà della storia. Seconda parte 235

Alcuni studiosi ritengono che, nel Nuovo Testamento, la Let-


tera agli Ebrei possa in realtà essere stata scritta da una donna
di nome Priscilla. Moglie di Aquila, il Nuovo Testamento dice
che lavorava insieme a Paolo, e il suo nome è di solito anteposto
a quello del marito. 3 La storica della teologia Constance Parvey
fa notare che in Atti, 2: 17 si trova l'esplicita designazione delle
donne come profeti. Leggiamo infatti, «Io spanderò il mio spiri-
to sopra ogni carne, e profeteranno i vostri figli e le vostre
figlie» (il corsivo è mio).
Insomma, è chiaro che nonostante le fortissime pressioni so-
ciali del tempo per un rigido dominio maschile, nelle prime co-
munità cristiane le donne occupavano ruoli importanti. Come fa
notare la teologa Elisabeth Schussler Fiorenza, ciò è ulterior-
mente confermato dal fatto che molte riunioni dei primi cristia-
ni, citate nel Nuovo Testamento, avvenivano in case di donne. In
Colossesi, 4:15, per esempio, si parla di una chiesa in casa di
Ninfa. Nella Prima Lettera ai Corinti, 1: 11, si legge di una chie-
sa in casa di Cloe. In Atti, 16: 14, 15 e 40, leggiamo che la Chie-
sa a Filippi cominciò con la conversione della commerciante Li-
dia. E ci sarebbero numerosi altri casi. 4
Come abbiamo già notato, sempre nel Nuovo Testamento si
parla spesso di Maria Maddalena. Essendo una prostituta è scre-
ditata, è una donna che ha violato la più fondamentale legge an-
drocratica: essere un bene mobile sessuale del marito-padrone.
Tuttavia essa è evidentemente un membro importante del primo
movimento cristiano. Infatti, come vedremo, ci sono prove ine-
quivocabili che, dopo la morte di Gesù, Maria Maddalena di-
venne una leader del primo movimento cristiano. In un docu-
mento, tenuto nascosto, si dice che resistette tenacemente alla
reimposizione in alcune sette cristiane di quella gerarchizzazio-
ne che lo stesso Gesù aveva combattuto, una testimonianza che
ovviamente non sarebbe stata inclusa nelle scritture che avreb-
bero compilato i capi di queste sette, il Nuovo Testamento.
Per la mente androcratica è inconcepibile l'idea che Gesù
fosse coinvolto in una controrivoluzione gilanica. Parafrasando
236 Riane Eisler

la parabola, è più facile che un cammello passi per la cruna di


un ago che un concetto del genere entri in testa a dei fondamen-
talisti, che oggi mettono sulle loro macchine adesivi che ammo-
niscono: «ravvediti con Gesù». Per cominciare, perché Gesù si
sarebbe dovuto preoccupare di innalzare le donne e i valori fem-
minili dalla loro condizione di servitù? Per costoro sembrerebbe
ovvio che, visto chi era, Gesù avrebbe dovuto avere preoccupa-
zioni ben più importanti, che, secondo la definizione convenzio-
nale, non hanno nulla a che vedere con i problemi delle donne.
È infatti sorprendente che Gesù abbia insegnato come ha fat-
to. Egli era un prodotto dell' androcrazia, un ebreo nato in un pe-
riodo in cui il giudaismo era ancora rigidamente a dominio ma-
schile. A quel tempo, leggiamo in Giovanni, 8:3-11, le donne
erano ancora abitualmente lapidate per adulterio, in altre parole,
per avere violato i diritti di proprietà sessuale del loro marito e
padrone. È estremamente indicativo che in questo frangente non
solo Gesù impedisse la lapidazione, ma, così facendo, sfidasse
gli scribi e i farisei, che deliberatamente avevano provocato que-
sto incidente per costringerlo a rivelarsi come pericoloso ribelle.
Tuttavia, per una certa categoria gli insegnamenti gilanici di
Gesù non sono così ammirevoli. Gesù è da molto tempo ricono-
sciuto come una delle più grandi figure spirituali di tutti i tempi.
Da ogni punto di vista, la figura descritta nella Bibbia mostra un
livello straordinariamente elevato di sensibilità e intelligenza,
oltre che di coraggio nell'opporsi all'autorità istituita, e, metten-
do a repentaglio la propria vita, di schierarsi contro la crudeltà,
l'oppressione e l'avidità. È probabile dunque che Gesù dovette
essere consapevole che «valori» maschili come il dominio e l'i-
neguaglianza, i cui effetti di avvilimento e alterazione della vita
umana poteva osservare tutt'intorno a sé, dovevano essere sosti-
tuiti da un insieme di valori più dolci, «femminili», basati sulla
compassione, la responsabilità e l'amore.
Il riconoscimento da parte di Gesù che la nostra evoluzione
spirituale è stata frenata da un modo di organizzare i rapporti
umani basato su una gerarchizzazione sostenuta dalla violenza,
I.:altra metà della storia. Seconda parte 237

avrebbe potuto portare a una radicale trasformazione sociale.


Avrebbe potuto liberarci dal sistema androcratico. Ma, come in
altri casi di rinascita gilanica, la resistenza del sistema era trop-
po forte. E, alla fine, i Padri della Chiesa ci hanno lasciato un
Nuovo Testamento in cui questa percezione viene spesso nasco-
sta dalla sovrapposizione di dogmi assolutamente contradditto-
ri, necessari a giustificare la successiva struttura e le finalità an-
drocratiche della Chiesa.

Le Scritture nascoste

Spesso l'esistenza di antichi capolavori è stata rivelata dai re-


stauratori, che hanno dovuto grattar via strati ingannevoli di di-
pinti successivi, croste di sudiciume e di vecchia gommalacca.
Allo stesso modo, oggi il Gesù gilanico torna gradualmente alla
luce grazie alla nuova scuola di teologi e storici delle religioni,
che sta vagliando minuziosamente il Nuovo Testamento.
Per capire meglio la vera natura del cristianesimo antico,
dobbiamo abbandonare i testi ufficiali del Nuovo Testamento e
rivolgerci ad altri documenti cristiani, alcuni dei quali scoperti
solo di recente.
Tra questi i più importanti, e significativi, sono i cinquanta-
due Vangeli gnostici dissotterrati nel 1945 a Nag Hammadi, una
remota provincia dell'Alto Egitto. 5
Elaine Pagels, docente di studi religiosi a Princeton, scrive
nel suo libro The Gnostic Gospels che «coloro che scrissero e
diffusero questi testi non si consideravano degli 'eretici'». 6 Tut-
tavia, molto di ciò che si conosceva fino ad allora su questi testi
«eretici» era merito degli uomini che li attaccarono, che difficil-
mente si può ritenere ci dessero una visione obiettiva.
Infatti, gli uomini che a partire dal 200 d.C. circa presero il
controllo di quella che sarebbe poi stata chiamata Chiesa «orto-
dossa», vale a dire l'unica vera Chiesa, ordinarono che tutte le
copie di questi testi fossero distrutte. Ma, come scrive la Pagels,
238 Riane Eisler

«Qualcuno, probabilmente un monaco del vicino monastero di


San Pacomio, prese i libri messi al bando e li salvò dalla distru-
zione, nascondendoli nel vaso in cui sarebbero rimasti sepolti
per quasi 1600 anni». 7 E, per una serie di eventi che sembrano
quelli di un giallo, passarono altri trentaquattro anni dalla sco-
perta di questi Vangeli gnostici occultati, prima che gli studiosi
finissero di studiarli e il libro della Pagels li segnalasse final-
mente all'attenzione del pubblico, nel 1979.
Secondo il professor Helmut Koester dell'Università di Har-
vard, alcune di queste sacre scritture cristiane, scoperte di recen-
te, sono più antiche dei Vangeli del Nuovo Testamento. Egli
scrive che risalgono «probabilmente a una data antecedente la
seconda metà del I secolo (50-100 d.C.), lo stesso periodo, o
forse prima, di Marco, Matteo, Luca e Giovanni». 8
I Vangeli gnostici vennero dunque scritti in un'epoca in cui
l'androcrazia era già stata la norma dell'Occidente per un perio-
do di tempo molto lungo. Non sono documenti gilanici. Tutta-
via, in essi c'è una sfida poderosa alle norme di una società do-
minatore.
Il termine gnostico deriva dalla parola greca gnosis, cono-
scenza. È l'opposto del termine, tuttora molto usato, agnostico,
che indica chi ritiene che una tale conoscenza non possa essere
percepita con certezza, oppure che èssa sia irraggiungibile. Co-
me altre tradizioni religiose mistiche, occidentali e orientali, il
cristianesimo gnostico sosteneva l'idea, apparentemente non
eretica, che il mistero della verità suprema o divina possa essere
conosciuto da chiunque, grazie a una disciplina religiosa e a una
condotta di vita morale.
Cosa c'era dunque di tanto eretico nello gnosticismo da farlo
condannare al bando? In particolare, quella che troviamo nei
Vangeli gnostici è la stessa idea che spinse la casta sacerdotale
ebraica a insultare e a cercare di sopprimere Gesù. Si tratta della
concezione per cui la divinità non deve essere mediata da una
gerarchia religiosa guidata da un rabbino capo, da un alto prela-
to o da un papa. È invece accessibile direttamente tramite la
L'altra metà della storia. Seconda parte 239

gnosi, la conoscenza divina, senza bisogno di rendere omaggio


o pagare decime a una classe sacerdotale autoritaria.
In queste scritture, tenute nascoste dalle classi sacerdotali
cristiane «ortodosse», troviamo anche conferma a una congettu-
ra che da molto tempo si andava formulando, grazie a una lettu-
ra dei testi ufficiali e dei primi frammenti gnostici rinvenuti:
Maria Maddalena era una delle figure più importanti del primo
movimento cristiano.
Nel Vangelo di Maria leggiamo nuovamente che ella fu la
prima a vedere il Cristo risorto (come viene detto di sfuggita an-
che nei Vangeli ufficiali di Marco e Giovanni). 9 Apprendiamo
anche che il Cristo amava Maria Maddalena più di ogni altro
suo discepolo, come viene confermato anche nel Vangelo gno-
stico di Filippo. 10 Ma l'importanza del ruolo svolto da Maria
nella storia del primo cristianesimo viene alla luce solo in que-
ste scritture nascoste. Nel Vangelo di Maria è scritto che, dopo
la morte di Gesù, Maria Maddalena fu la guida cristiana che eb-
be il coraggio di sfidare l'autorità di Pietro, il capo di una nuova
gerarchia religiosa, fondata sulla pretesa che solo lui e i suoi sa-
cerdoti e vescovi avevano un collegamento diretto con Dio. 11
«Consideriamo le implicazioni politiche del Vangelo di Ma-
ria», commenta la Pagels. «Come Maria si oppone a Pietro, così
gli gnostici che la prendono a modello sfidano l'autorità dei sa-
cerdoti e dei vescovi che pretendono di essere i successori di
Pietro.» 12
Esistevano altre differenze dottrinali, ugualmente importanti,
tra la emergente Chiesa di Pietro, sempre più gerarchica, e altre
antiche comunità cristiane: la maggioranza degli gnostici e sette
come i montanisti e i marcioniti. Queste sette, ali' opposto degli
uomini che oggi vengono definiti i Padri della Chiesa, venerava-
no le donne come discepole, profetesse e fondatrici del cristia-
nesimo; osservavano scrupolosamente gli insegnamenti di Gesù
sull'uguaglianza spirituale, e ammettevano le donne nella loro
classe dirigente. n
Alcune sette gnostiche, evidenziando ancor più il fondamen-
240 Riane Eisler

tale principio gilanico di unione, per evitare il consolidarsi di


gerarchie permanenti a ogni assemblea eleggevano la loro classe
dirigente, tramite votazione. Queste notizie provengono dagli
scritti di nemici dello gnosticismo come il vescovo Ireneo, che
era a capo della Chiesa di Lione intorno al 180 d.C. 14
«In un'epoca in cui l'ortodossia cristiana distingueva sempre
più il clero dai laici», scrive la Pagels, «questo gruppo di cristia-
ni gnostici mostrava chiaramente che, al suo interno, si rifiutava
di riconoscere una simile distinzione. Invece di classificare i
propri membri in 'ordini' inferiori e superiori all'interno di una
gerarchia, essi osservavano il principio della uguaglianza stretta.
Tutti gli iniziati, tanto le donne quanto gli uomini, partecipava-
no egualmente al sorteggio: chiunque poteva venire scelto per
servire come sacerdote, vescovo o profeta. Inoltre, siccome a
ogni assemblea facevano un sorteggio, persino le distinzioni vo-
lute dalla sorte non potevano mai trasformarsi in 'ranghi' per-
manenti.»15
Per i cristiani androcratici che ovunque si stavano impadro-
nendo del potere su basi gerarchiche, tali pratiche erano orribili
abominazioni. Per esempio Tertulliano, che scriveva pressappo-
co nel 190 d.C. per la parte «ortodossa», si scandalizzava perché
«essi hanno tutti accesso da uguali, ascoltano da uguali, pregano
da uguali, persino i pagani, se capita che ve ne siano». E inorri-
diva anche perché «essi scambiano il bacio della pace con tutti i
presenti». 16
Ma ciò che scandalizzava maggiormente Tertulliano - com-
prensibilmente, visto che minacciava le fondamenta stesse della
infrastruttura gerarchica che lui e i suoi colleghi vescovi stavano
cercando d'imporre alla Chiesa - era la posizione paritaria delle
donne. «Tertulliano si scaglia in particolar modo contro la parte-
cipazione di 'quelle donne tra gli eretici' che condividevano con
gli uomini posizioni di comando», nota la Pagels. «'Esse inse-
gnano, partecipano alle discussioni, praticano esorcismi e guari-
gioni'; egli sospetta addirittura che queste donne potessero bat-
I.:altra metà della storia. Seconda parte 241

tezzare, il che avrebbe significato che avevano anche la funzio-


ne di vescovi!» 17
Per uomini come Tertulliano c'era solo una «eresia» addirit-
tura più grande dell'idea di uguaglianza spirituale di uomini e
donne. Si trattava dell'idea che minacciava alla base il crescente
potere degli uomini, che si stavano ormai elevando a nuovi
«prìncipi della Chiesa»: l'idea di una divinità femminile. Eque-
sto, come si può ancora leggere nei Vangeli gnostici e in altri
documenti sacri cristiani non inclusi nelle scritture ufficiali del
Nuovo Testamento, era esattamente ciò che predicavano alcuni
tra i primi seguaci di Gesù.
Seguendo la precedente tradizione, apparentemente ancora
viva, in cui la Dea era considerata come Madre e Onnidispensa-
trice, i seguaci di Valentino e Marco pregavano la Madre come
«Silenzio eterno e mistico», come «Grazia, Colei che precede
tutte le cose», e come «Saggezza incorruttibile». 18 In un altro te-
sto, la Protennoia Trimorfa (letteralmente, il Pensiero primevo
dalla triplice forma), troviamo un'esaltazione di poteri come il
pensiero, l'intelligenza e la preveggenza, che erano considerati
femminili, seguendo ancora una volta la tradizione per cui que-
sti poteri si ritenevano attributi della Dea. Il testo inizia con una
figura divina che proclama: «Sono Protennoia, il Pensiero che
dimora nella luce [... ] Colei che esiste innanzi al Tutto [... ] mi
muovo in ogni creatura [... ] sono percezione e Conoscenza, che
manifesta una Voce per mezzo del Pensiero. Io sono la vera Vo-
ce». 19
In un altro testo, attribuito al maestro gnostico Simon Mago,
lo stesso paradiso, il luogo ove ebbe inizio la vita, viene descrit-
to come grembo della Madre. 20 E in scritti attribuiti a Marco o
Teodoto (circa 160 d.C.), leggiamo che «gli elementi femminili
e maschili insieme costituiscono la più eccellente produzione
della Madre, Saggezza».2 1
Qualsiasi forma abbiano assunto queste «eresie», derivavano
chiaramente dalla precedente tradizione religiosa, quando si
adorava la Dea, e le sacerdotesse erano le sue rappresentanti ter-
242 Riane Eisler

rene. Di conseguenza, la saggezza divina era quasi sempre per-


sonificata come femminile, come avviene tuttora in parole fem-
minili come l'ebraico hokma e il greco sophia, che significano
entrambe «saggezza» o «conoscenza divina», oltre che in altre
antiche tradizioni mistiche, sia occidentali che orientali. 22
Un'altra caratteristica di queste eresie era il modo «poco or-
todosso» con cui descrivevano la Sacra Famiglia. «Un gruppo di
fonti gnostiche sostiene di avere ricevuto una tradizione segreta
attraverso Giacomo e Maria Maddalena», riferisce la Pagels, «i
membri di questo gruppo pregavano rivolgendosi sia a un Padre
che a una Madre divini: 'Da Te Padre, e grazie a Te, Madre, i
due nomi immortali, Genitori dell'Essere Divino, e tu, che di-
mori nel cielo, umanità, dal possente nome'». 23
Analogamente, il maestro e poeta Valentino insegnava che
sebbene la divinità sia essenzialmente indescrivibile, il divino
può essere immaginato come una diade costituita dai due princì-
pi, maschile e femminile. 24 Altri erano più letterali, e sosteneva-
no che il divino dovesse essere considerato androgino. Oppure
reputavano femminile lo Spirito Santo, cosicché nei termini del-
la Trinità cattolica tradizionale, dall'unione del Padre con lo
Spirito Santo, o Madre Divina, derivava il Figlio, il Cristo Mes-
sia. 25

Le eresie gilaniche

Questi primi cristiani non solo costituivano una minaccia per


il potere crescente dei «Padri della Chiesa»; le loro idee erano
anche una sfida diretta alla famiglia dominata dal maschio. Esse
minavano l'autorità, voluta da Dio, dell'uomo sulla donna, fon-
damento della famiglia patriarcale.
I biblisti hanno spesso notato che il cristianesimo antico era
considerato una minaccia, sia dalle autorità ebree che da quelle
romane. E non solamente a causa del rifiuto dei cristiani di ado-
rare l'imperatore e di essere fedeli allo Stato. Il professor S.
I.:altra metà della storia. Seconda parte 243

Scott Bartchy, già direttore dell'Istituto per lo Studio delle Ori-


gini Cristiane di Tilbingen, in Germania, fa notare che un moti-
vo ancora più forte, che portava a giudicare gli insegnamenti di
Gesù pericolosamente radicali, era che questi, nel considerare le
donne persone a tutti gli effetti, mettevano in discussione le tra-
dizioni famigliari dell'epoca. La minaccia fondamentale, con-
clude Bartchy, era la «mancanza di rispetto» dei primi cristiani
verso le strutture famigliari del loro tempo, sia ebree che roma-
ne, nelle quali la donna era subordinata. 26
Se consideriamo la famiglia un microcosmo del mondo più
vasto, nonché l'unico mondo che un bambino piccolo e influen-
zabile conosce, questa «mancanza di rispetto» per la famiglia
dominata dal maschio, ove la parola del padre è legge, può esse-
re vista come una minaccia gravissima a un sistema basato sulla
gerarchizzazione sostenuta dalla violenza. Ciò spiega come mai
i nostri contemporanei, che vorrebbero costringerci a ritornare
ai «bei tempi», quando le donne e gli «uomini inferiori» stavano
al loro posto, fanno del ritorno alla famiglia «tradizionale» il lo-
ro caposaldo. Getta anche nuova luce sulla lotta che lacerò il
mondo duemila anni fa, quando Gesù predicò la sua dottrina di
compassione, non violenza e amore.
Ci sono diverse interessanti somiglianze tra la nostra epoca e
quegli anni turbolenti, quando il formidabile Impero romano,
una delle più potenti società a modello dominatore di tutti item-
pi, cominciava a disgregarsi. Sono entrambi periodi che i teorici
del «caos» definiscono stati di crescente squilibrio dei sistemi,
epoche in cui si verificano mutamenti di sistema repentini e im-
prevedibili. Se consideriamo gli anni immediatamente prece-
denti e quelli immediatamente successivi la morte di Gesù nella
prospettiva di un conflitto in atto tra gilania e androcrazia, sco-
priamo che questo era un periodo, proprio come il nostro, di for-
te rinascita gilanica. Non è certo una sorpresa, poiché è proprio
durante tali periodi di grande disgregazione sociale che, come
scrive lo studioso di termodinamica e premio Nobel Ilya Prigo-
244 Riane Eisler

gine, «fluttuazioni» inizialmente trascurabili possono portare al-


la trasformazione dei sistemi. 27
Se consideriamo il cristianesimo antico come una fluttuazio-
ne inizialmente piccola, che appare per la prima volta ai margini
dell'Impero romano (nella minuscola provincia di Giudea), il
suo potenziale per la nostra evoluzione culturale acquista un
nuovo significato, e il suo fallimento diventa ancora più amaro.
Inoltre, se esaminiamo il cristianesimo antico all'interno di que-
sto quadro più ampio, che considera strettamente connesso ciò
che avviene in ogni sistema, ci possiamo rendere conto che vi
furono altre manifestazioni di rinascita gilanica, persino nella
stessa Roma.
A Roma, per esempio, l'istruzione stava cambiando, e i ra-
gazzi e le ragazze dell'aristocrazia potevano a volte seguire lo
stesso corso di studi. Come scrive Constance Parvey, «nell'Im-
pero romano del I secolo d.C. c'erano molte donne istruite, e al-
cune di esse erano molto influenti, e godevano di una grande li-
bertà nella vita pubblica». 28 Esistevano ancora restrizioni legali.
Le donne romane dovevano avere dei protettori maschi, e non
avevano in alcun caso il diritto di voto, ma particolarmente nel-
le classi elevate, le donne cominciavano a partecipare alla vita
pubblica. Alcune si dedicavano alle arti. Altre a professioni co-
me la medicina. Altre ancora partec'ipavano al mondo degli affa-
ri, alla vita sociale e di palazzo, si impegnavano nell'atletica,
frequentavano i teatri, gli avvenimenti sportivi e i concerti, e
viaggiavano senza l'obbligo di scorte maschili. 29 In altre parole,
come osservano sia la Parvey che la Pagels, in questo periodo ci
fu un movimento per la «emancipazione» delle donne.
Ci furono altre sfide al sistema androcratico, come ribellioni
di schiavi e di province esterne. Ci fu l'insurrezione ebrea ca-
peggiata da Bar Kokhba (132-135 d.C.), che avrebbe segnato la
fine della Giudea. 30 Ma, mentre si sfidavano le divisioni gerar-
chiche androcratiche fondate sulla forza, mentre i primi cristiani
abbracciavano la non violenza e predicavano la pace e la carità,
Roma diventava ancora più dispotica e violenta.
I.:altra metà della storia. Seconda parte 245

Come rivelano fin troppo chiaramente gli eccessi dei suoi


imperatori (tra cui il cristiano Costantino) e i famosi giochi cir-
censi dell'Impero romano, la sfida gilanica a questa crudele so-
cietà dominatore fallì. Persino all'interno dello stesso cristiane-
simo la gilania non era destinata al successo.

Il ritorno del pendolo

«Nonostante la precedente attività pubblica delle donne cri-


stiane», osserva la Pagels, «già nel 200 la maggior parte delle
comunità cristiane considerava canonica la lettera pseudo-paoli-
na di Timoteo, che sottolinea (ed esaspera) l'elemento antifem-
minista delle idee di Paolo: 'che la donna impari in silenzio, in
completa sottomissione. Non permetto che la donna insegni o
abbia autorità sull'uomo: essa deve osservare il silenzio' [... ]
Entro la fine del II secolo, la partecipazione delle donne al culto
era esplicitamente condannata: i gruppi in cui esse continuavano
a conservare l'autorità erano tacciati d'eresia.») 1
Prosegue la Pagels: «Chiunque approfondisca la storia più
antica del cristianesimo (la cosiddetta 'patristica', ovvero lo stu-
dio dei 'Padri della Chiesa') non si stupirà del passo che conclu-
de il Vangelo di Tommaso: 'Simon Pietro disse loro (i discepo-
li): "Che Maria ci abbandoni, ché le donne non son degne della
Vita". Gesù disse: "La guiderò io stesso, per trasformarla in uo-
mo, affinché anch'ella possa divenire uno spirito vivente, asso-
migliando a voi uomini. Poiché ogni donna che diverrà simile a
un uomo otterrà il Regno dei Cieli"'».)2 Affermare in modo così
assoluto che una metà dell'umanità non è degna di vivere, per di
più, paradossalmente, proprio quella metà dal cui corpo la vita
proviene, ha un senso solo nel contesto della regressione e della
repressione androcratica ormai in atto. Serve a dimostrare ciò
che tanti di noi percepivano interiormente, senza riuscire a
esprimerlo con chiarezza: qualcosa nella originale dottrina cri-
stiana dell'amore è andato tragicamente per traverso. Altrimenti
246 Riane Eisler

come è possibile che una simile dottrina sia stata usata per giu-
stificare tutte le torture, le conquiste e i massacri perpetrati da
devoti cristiani contro gli altri, e contro se stessi, che costitui-
scono gran parte della storia occidentale?
Perché, alla fine, nel mondo occidentale ci fu un imprevedi-
bile e drammatico mutamento dei sistemi. Dal caos della disgre-
gazione del mondo classico di Roma, prese forma una nuova
era. Quello che era iniziato come un piccolo culto misterico di-
ventò la nuova religione dell'Occidente. Ma, nonostante il suo
messaggio fosse costantemente volto alla trasformazione sia del
sé che della società, invece di cambiare quest'ultima, l' «invaso-
re periferico» fu a sua volta trasformato. Come capitò a molte
religioni del passato, e a quasi tutte quelle successive, il cristia-
nesimo divenne una religione androcratica. L'Impero romano fu
sostituito dal Sacro romano Impero.
Già nel 200 d.C., in questo caso esemplare di spiritualità ca-
povolta, il cristianesimo era ben avviato a diventare quel tipo di
sistema gerarchico e basato sulla violenza contro cui Gesù si era
ribellato. E dopo la conversione dell'imperatore Costantino, il
cristianesimo diventò un potere ufficiale, vale a dire, un servo
dello Stato. Come scrive la Pagels, «quando nel IV secolo il cri-
stianesimo divenne la religione uffi~iale, i vescovi cristiani, in
precedenza vittime della polizia, cominciarono a comandarla». 33
Le storie cristiane narrano che nel 312 d.C., il giorno prima
di sconfiggere e uccidere il suo rivale Massenzio e di essere in-
coronato imperatore, Costantino vide nel sole al tramonto una
visione mandata da Dio: una croce con l'iscrizione in hoc signo
vietar seris (in questo segno vincerai). Ciò che gli studiosi cri-
stiani di storia solitamente non riferiscono è che pare anche che
il primo imperatore cristiano abbia fatto bollire viva la moglie
Fausta e ordinato l'assassinio del figlio Crispo. 34 Ma il bagno di
sangue e la repressione che accompagnarono la cristianizzazio-
ne dell'Europa non si limitarono alle vicende private di Costan-
tino. E neppure si ridussero ai suoi atti pubblici e a quelli dei
suoi successori cristiani, come i successivi editti che dichiarava-
L'altra metà della storia. Seconda parte 247

no che l'eresia verso la Chiesa ora era un atto sedizioso, punibi-


le con la tortura e la morte.
I leader della Chiesa stavano ormai per adottare la consuetu-
dine di ordinare la tortura e l'esecuzione di coloro che non vole-
vano accettare il «nuovo ordine». 35 Un'altra pratica diffusa sa-
rebbe stata quella di sopprimere sistematicamente tutte le
informazioni «eretiche», che avrebbero potuto ipoteticamente
minacciare la nuova sovranità della gerarchia androcratica.
Anziché essere puro spirito e allo stesso tempo madre e pa-
dre, Dio era adesso dichiaratamente maschile. E, come avrebbe
continuato a sostenere papa Paolo VI quasi duemila anni dopo,
nel 1977, alle donne era precluso il sacerdozio «perché nostro
Signore era un uomo». 36 Allo stesso tempo, i Vangeli gnostici e
altri testi simili, che all'inizio dell'era cristiana circolavano libe-
ramente tra le comunità cristiane, venivano messi al bando e di-
strutti, perché eretici, da coloro che si autodefinivano la Chiesa
ortodossa, ovvero, l'unica legittima.
Come scrive la Pagels, tutte queste fonti, «dottrine segrete,
rivelazioni, insegnamenti mistici, non sono tra quelle incluse
nella lista selezionata che costituisce la raccolta del Nuovo Te-
stamento [... ] Tutti i testi segreti venerati dalle comunità gnosti-
che furono omessi dalla raccolta canonica, e bollati come eretici
da quelli che si autodefinivano cristiani ortodossi. Quando fu ul-
timato il processo di cernita dei vari scritti, probabilmente non
prima dell'anno 200, praticamente tutte le immagini femminili
di Dio erano scomparse dalla tradizione ortodossa». 37
Questa accusa di eresia ai cristiani che credevano nell 'ugua-
glianza da parte dei loro correligionari è particolarmente para-
dossale, visto che nelle prime comunità apostoliche uomini e
donne vivevàno e lavoravano secondo i comandamenti di Gesù,
praticando l'agape, l'amore fraterno. Ed è ancor più paradossale
se consideriamo che molti di costoro che vivevano e lavoravano
fianco a fianco, avevano affrontato la morte come martiri cristia-
ni. Ma per gli uomini che ovunque stavano usando il cristianesi-
mo per stabilire il loro dominio, la vita e l'ideologia cristiana
248 Riane Eisler

dovevano essere concepite in modo da adattarsi al modello an-


drocratico.
Con il passare degli anni, la cristianizzazione dei pagani in
Europa divenne un pretesto per ripristinare nuovamente il prin-
cipio dominatore per cui la forza legittima il diritto. Ciò non so-
lo imponeva la sconfitta o la conversione forzata di tutti coloro
che non avevano abbracciato la cristianità ufficiale; comportava
anche la distruzione di templi, santuari e idoli «pagani», nonché
la chiusura delle accademie greche, ove continuavano gli studi
«eretici». La Chiesa dimostrò trionfalmente che la forza legitti-
ma il diritto «morale». Fino al Rinascimento, più di mille anni
dopo, in Europa praticamente scomparve qualsiasi espressione
artistica, o ricerca di conoscenza empirica, che non fosse «bene-
detta» dalla Chiesa. E la distruzione del sapere che ancora resta-
va fu totale, grazie anche al rogo in massa dei libri. Essa si este-
se anche fuori dall'Europa, ovunque potesse arrivare l'autorità
cristiana.
Così nel 391 d.C., sotto Teodosio I, i cristiani, ormai comple-
tamente androcraticizzati, bruciarono la grande biblioteca d' A-
lessandria, uno degli ultimi ricettacoli del sapere e della saggez-
za degli antichi. 38 E, aiutati e istigati dall'uomo che sarebbe stato
in seguito canonizzato come san Cirillo (vescovo d' Alessan-
dria), i monaci cristiani fecero a pezzi con gusci di conchiglia
!patia, insigne matematica, astronoma e filosofa della scuola
neoplatonica d'Alessandria. Infatti quest'ultima, oggi ricono-
sciuta come una delle più grandi erudite di tutti i tempi, secondo
Cirillo era una femmina iniqua, che aveva addirittura preteso,
contro i comandamenti di Dio, di insegnare ai maschi. 39
Nelle scritture approvate ufficialmente i dogmi paolini, o
pseudo-paolini, come gli studiosi stanno ormai dimostrando,
riaffermavano autoritariamente che la donna, e tutto ciò che vie-
ne classificato come femminile, è inferiore, e talmente pericolo-
so da dovere essere tenuto sotto stretto controllo. C'erano anco-
ra alcune eccezioni, in particolare gli scritti di Clemente
d'Alessandria, che continuava ad attribuire a Dio un duplice ca-
I.:altra metà della storia. Seconda parte 249

rattere maschile e femminile, e scrisse che «il termine 'umanità'


accomuna uomini e donne». 40 Ma, per lo più, il modello di rap-
porti umani proposto da Gesù, in cui maschio e femmina, ricco
e povero, gentile e giudeo sono tutt'uno, fu epurato dalle ideolo-
gie, e anche dalle pratiche quotidiane dell'ortodossia cristiana.
Gli uomini che controllavano la nuova Chiesa ortodossa po-
tevano sollevare nel rito l'antico Calice, ora divenuto la coppa
della Santa Comunione, riempita simbolicamente con il sangue
di Cristo, ma in effetti ciò che incombeva su tutto era di nuovo
la Spada. Sotto la lama e il fuoco dell'alleanza tra la Chiesa e la
classe al potere non soccombevano solo pagani, mitraisti, ebrei
o devoti delle antiche religioni misteriche di Eleusi e Delfi, ma
anche tutti quei cristiani che non si piegavano ad accettare il
nuovo dominio. La Chiesa continuava a sostenere che il proprio
scopo era la diffusione della dottrina dell'amore di Gesù. Ma
con l'orrore e la brutalità delle Sante Crociate, delle cacce alle
streghe, dell'Inquisizione, dei roghi di libri e di esseri umani,
essa non diffondeva amore, bensì i soliti prodotti dell'androcra-
zia: repressione, devastazione e morte.
Così, ironicamente, la rivoluzione non violenta di Gesù, nel
corso della quale egli morì sulla croce, fu trasformata in un re-
gno della forza e del terrore. Come hanno osservato gli storici
Will e Ariel Durant il cristianesimo medievale, distorcendo e al-
terando gli insegnamenti di Gesù, fu in realtà un arretramento
morale. 41 Anziché continuare a rappresentare una minaccia per
l'ordine costituito androcratico, il cristianesimo si trasformò in
ciò che, per quanto avviatesi nel nome dell'illuminazione e del-
la libertà spirituale, sono diventate praticamente tutte le religio-
ni del mondo: un modo formidabile di perpetuare quell'ordine.
Tuttavia, la fotta tra gilania e androcrazia era lungi dall'esse-
re conclusa. In alcuni periodi, in alcune località, durante i secoli
bui del cristianesimo androcratico, e dei re e papi dispotici che
dominarono l'Europa in suo nome, sarebbe riemersa la spinta
gilanica per una ripresa della nostra evoluzione culturale. Come
vedremo nei capitoli successivi, questa continua lotta è stata la
250 Riane Eisler

forza nascosta più determinante nel condizionare la storia occi-


dentale, e al giorno d'oggi sta nuovamente per giungere a un
punto culminante.

Note
l. Leonard Swidler, «Jesus Was a Feminist», in The Catholic World, gen-
naio 1971, pp. 177-83.
2. Si veda, per esempio, Giovanni, 20: 1-18.
3. Intervista al professor S. Scott Bartchy, «Tracing the Roots of Christia-
nity», in The VCIA Monthly, novembre-dicembre 1980, n. 11, p. 5.
4. Si veda, per esempio, Elisabeth Schussler Fiorenza, «Women in the
Early Christian Movement», in Carol P. Christ e Judith Plaskow (a cura di),
Womanspirit Rising: A Feminist Reader in Religion, Harper & Row, New York
1979, pp. 91-2; Elise Boulding, The Underside of History, Westview Press,
Boulder, CO. 1976, pp. 359-60; tra gli studi sul Nuovo Testamento secondo
una prospettiva femminista è fondamentale In Memory of Her della Fiorenza
(Crossroad, New York 1983; trad. it. In memoria di Lei: una ricostruzione
femminista delle origini cristiane, Claudiana, Torino 1990).
5. James Robinson (a cura di), The Nag Hammadi Library, Harper & Row,
San Francisco 1990. Ciò non significa assolutamente che questi antichi Van-
geli cristiani non siano documenti androcratici. E difficile stabilire fino a che
punto ciò sia dovuto alle numerose traduzioni cui sono stati sottoposti. Per
esempio, l'ultima traduzione dal copto all'inglese è stata eseguita a cura del
Coptic Gnostic Library Project, dello Institute of Antiquity and Christianity.
Ma le immagini prevalenti del linguaggio rivelano chiaramente che si tratta di
documenti scritti in un'epoca in cui gli uomini e le concezioni maschili della
divinità erano già dominanti. Tuttavia, è fuori discussione che una delle princi-
pali eresie di questi Vangeli sia la frequente presenza in essi di un ritorno alla
concezione pre-androcratica dei poteri che governano l'universo in forma
femminile, con riferimenti ai poteri creativi e alla saggezza della Madre. (Si
veda, per esempio, Vangelo di Tommaso, p. 129; Vangelo di Filippo, pp. 136-
42; L'ipostasi degli Arconti, La Sofia di Gesù Cristo, p. 206; Il tuono, mente
perfetta, p. 271; Il secondo trattato del grande Seth, p. 330.) Forse l'eresia più
notevole, che accomuna questi Vangeli, tra loro piuttosto diversi (poiché attin-
gono da una varietà di tradizioni filosofiche e religiose), è la sfida al dogma
che la gerarchizzazione sia voluta da Dio. A parte temi gilanici come la rap-
presentazione simbolica femminile del potere divino, e i riferimenti a Maria
Maddalena come compagna prediletta e più fidata di Gesù, in questi Vangeli
troviamo soprattutto il rifiuto totale del concetto che la gnosis, la conoscenza
spirituale, possa essere ottenuta soltanto per il tramite della gerarchia ecclesia-
stica, papi, vescovi e preti, ciò che divenne, ed è tuttora, la caratteristica del-
1' ortodossia cristiana.
6. Elaine Pagels, The Gnostic Gospels, Random House, New York 1979,
p. XIX (trad. it. I Vangeli gnostici, Mondadori, Milano 2005).
I.:altra metà della storia. Seconda parte 251

7. lbid. Si noti che l'Editto di Costantino, promulgato a Milano nel 3 I 3


a.C., segnerà l'inizio dell'alleanza tra la Chiesa e le classi dominanti romane.
8. Helmut Koester, lntroduction to the Gospel of Thomas, in J. Robinson
(a cura di), op. cit., p. I I 7.
9. Marco, 16:9-20; J. Robinson (a cura di), op. cit., pp. 471-4; E. Pagels,
op. cit., p. 11.
IO. J. Robinson (a cura di), op. cit., pp. 43, 138. Per un'eccellente analisi
di questi passi, si veda E. Pagels, op. cit., p. I I.
I I. Vedi ibid., pp. I 1-4.
12. lbid., p. 14. Alcune scritture ufficiali cristiane contengono ancora trac-
ce di questo messaggio gilanico. Si veda per esempio Giovanni, 8:32: «Cono-
scerete la libertà, e la verità vi farà liberi».
13. lbid., cap. 3.
14. lbid, pp. XVII, 41.
15. lbid., pp. 41-2. Virgolette nell'originale.
16. lbid, pp. 42-3.
I 7. lbid., p. 42.
18. lbid., p. 54.
19. J. Robinson (a cura di), op. cit., pp. 461-2.
20. E Pagels, op. cit., p. 52.
21. lbid, pp. 56-7.
22. lbid, pp. 52-3.
23. lbid., p. 49.
24. lbid., cap. 3; si veda in particolare pp. 50 e sgg.
25. lbid., pp. 52-3.
26. Intervista al Professor S. Scotch Bartchy, in art. cit., p. 5.
27. Ilya Prigogine e !sabei Stengers, Order Out of Chaos, Bantam, New
York 1984, in particolare i capp. 5, 6 (trad. it. Le leggi del Caos, Laterza, Ro-
ma-Bari 2003).
28. Constance Parvey, The Theology and Leadership of Women in the New
Testament, in Rosemary Radford Ruether (a cura di), Religion and Sexism:
lmages of Women in Jewish and Christian Traditions, Simon & Schuster, New
York I 974, p. 118.
29. E. Pagels, op. cit., pp. 62-3.
30. Abba Eban, My People: The Story of the Jews, Random House, New
York 1968 (trad. it. Storia del popolo ebraico, Mondadori, Milano 1975).
3 I. E. Pagels, op. cit., p. 63.
32. lbid., p. 49.
33. lbid., p. XVII.
34. Si veda, p~r esempio, New Columbia Encyclopedia, Columbia Univer-
sity Press, New York I 975, p. 634; H.G. Wells, The Outline of History, Garden
City Publishing, New York I 920, p. 520 (trad. it. Breve storia del mondo, San-
soni, Firenze 1960); Elizabeth Gould Davis, The First Sex, Penguin Books,
New York 1971, pp. 234,237; Hendrik Van Loon, The Story of Mankind, Boni
& Liveright, New York 1921, p. I 35 (trad. it. Storia del'umanità, Saiani, Mi-
lano 2000).
252 Riane Eisler

35. Si veda H.G. Wells, op. cit., pp. 522-6; E. Gould Davis, op. cit., cap.
14; G. Rattray Taylor, Sex in History, Ballantine, New York 1954.
36. E. Pagels, op. cit., p. 69.
37. lbid., p. 57 (il corsivo è mio).
38. Si veda, per esempio, New Columbia Encyclopedia, cit., p. 6 I; E.
Gould Davis, op. cit., p. 420.
39. New Columbia Encyclopedia, cit., pp. 705, 1302; E. Gould Davis, op.
cit., p. 420.
40. E. Pagels, op. cit., p. 68.
41. Will e Ariel Durant, The History of Civilization, Simon & Schuster,
New York, voi. 4, The Age of Faith, p. 843.
10
I modelli del passato:
gilania e storia

La storia che s'insegna nella maggior parte delle scuole per


lo più è una questione di lotte di potere tra uomini e tra nazioni.
È fatta di date di battaglie e di nomi di re e generali, celebri per
avere a volte distrutto, e a volte costruito, fortezze, palazzi e
monumenti religiosi. Ma se riesaminiamo la storia alla luce dei
nuovi dati che abbiamo preso in esame e della nuova struttura
teorica che abbiamo sviluppato, emerge un tipo di lotta assai di-
verso. Oggi, dietro tutte queste date e nomi che grondano san-
gue, si possono scorgere gli stessi processi basilari che scienzia-
ti come Ilya Prigogine, lsabel Stengers, Edward Lorenz e Ralph
Abraham hanno studiato nel mondo della natura: 1 fluttuazione, o
movimento apparentemente privo di modelli; oscillazione, o mo-
vimento ciclico; e trasformazione dei sistemi in «punti di bifor-
cazione» critici, quando, come scrivono Prigogine e Stengers, «i
sistemi possono 'scegliere' tra uno o più futuri possibili». 2
Da un esame su_perficiale, possiamo innanzitutto osservare
fluttuazioni nel corso della storia da periodi più bellicosi a pe-
riodi più pacifici, da periodi più autoritari a periodi più libertari
e pacifici, da periodi in cui le donne sono più represse, a periodi
in cui, almeno per alcune, ci sono più ampie opportunità d'istru-
zione e di vita. Per gli storici tradizionali questo tipo di fluttua-
254 Riane Eisler

zioni non costituiscono una sorpresa, sono un dato di fatto, non


hanno necessariamente un significato rilevante.
Ma si tratta davvero di movimenti casuali, senza un model-
lo? Se osserviamo più in profondità, ci accorgiamo che queste
fluttuazioni storiche seguono uno schema. Secondo la prospetti-
va che stiamo sviluppando, si può constatare che i periodi di
guerra sono anche quelli di maggiore autoritarismo. I periodi
più pacifici sono solitamente quelli di maggiore uguaglianza, e
possono anche essere periodi di evoluzione culturale e di grande
creatività. Se osserviamo ancor più in profondità, si rivelano an-
che le oscillazioni, i movimenti ciclici. Possiamo poi verificare
che dietro questi movimenti ciclici esiste una dinamica di base,
che fino a oggi è stata solamente oggetto di studi frettolosi e su-
perficiali.
Se analizziamo la storia secondo una prospettiva olistica
prendendo in considerazione le due metà dell'umanità e l'intero
arco della nostra evoluzione culturale, vediamo come questi
modelli ciclici siano connessi alla trasformazione fondamentale
che abbiamo esaminato: il mutamento di sistemi nella preisto-
ria, che ci ha sospinto su un percorso totalmente diverso dell'e-
voluzione culturale. E se consideriamo ciò che avvenne dopo
questo passaggio da un modello mutuale a un modello domina-
tore dell'organizzazione sociale, alla luce dei nuovi princìpi sul-
la stabilità dei sistemi e sulla loro trasformazione scoperti dagli
studiosi di scienze naturali, la storia documentata acquista una
nuova chiarezza, ma anche una nuova complessità.
I matematici che studiano le diÒamiche dei processi di siste-
ma parlano di ciò che essi definiscono con il termine attrattori.
Grosso modo paragonabili a dei magneti, possono essere attrat-
tori «di punto», o «statici», che regolano le dinamiche dei siste-
mi in equilibrio; attrattori «periodici», che governano i movi-
menti ciclici od oscillatori; e attrattori «caotici» o «estranei»,
che sono caratteristici degli stati lontani dall'equilibrio, o di
squilibrio. 3 Più o meno come gli invasori periferici di Gould e
Eldredge, gli attrattori caotici o estranei possono a volte diven-
I modelli del passato: gilania e storia 255

tare, con una certa rapidità e imprevedibilità, nuclei per la for-


mazione di un sistema totalmente nuovo. Ma si possono verifi-
care anche trasformazioni più graduali o «sottili», quando gli at-
trattori di punto perdono parte del loro potere d'attrazione,
mentre gli attrattori periodici lo aumentano progressivamente. 4
Analogamente, Prigogine e Stengers parlano di fluttuazioni
inizialmente localizzate in una piccola parte di un sistema. Se il
sistema è stabile, il nuovo modo di funzionamento rappresentato
da queste fluttuazioni non sopravvive. Ma se questi «innovato-
ri» si moltiplicano abbastanza rapidamente, l'intero sistema può
adottare un nuovo modo di funzionamento. 5 In altre parole, se le
fluttuazioni superano quella che Prigogine e Stengers chiamano
«soglia di nucleazione», esse si «diffondono nell'intero siste-
ma». Quando queste fluttuazioni inizialmente piccole si ampli-
ficano, appaiono «punti di biforcazione» critici, che sono in pra-
tica tracciati di possibili trasformazioni dei sistemi. Quando si
raggiungono questi punti di biforcazione, «viene meno la de-
scrizione deterministica», e non si può più prevedere quale «ra-
mo» o «futuro» verrà scelto. 6
In che modo possiamo applicare ai processi sociali queste os-
servazioni di fenomeni naturali? Ovviamente ci sono importanti
differenze fra sistemi chimici, biologici e sociali; non solo una
complessità di gran lunga maggiore, ma, soprattutto, un elemen-
to di scelta progressivamente crescente. Ma, sebbene sia essen-
ziale non cercare di ricondurre ciò che avviene nei sistemi socia-
li a quanto accade nei livelli d'organizzazione più semplici, se
osserviamo attentamente i sistemi viventi nel loro complesso, ri-
sultano evidenti alcuni sorprendenti isomorfismi, somiglianze tra
i modelli che regolano sia la stabilità che il mutamento a tutti i li-
velli. E se esaminiamo la storia dalla prospettiva dinamica che ci
offre questa idea, sviluppata di recente, dei sistemi e del loro mu-
tamento, possiamo iniziare a formulare una nuova teoria dell'e-
voluzione culturale, o, più specificamente, della trasformazione
androcratico/gilanica dei sistemi.
Si può dire che anziché essere casuali, le fluttuazioni della
256 Riane Eisler

storia documentata riflettono un movimento periodico del siste-


ma androcratico dominante verso l' «attrattore» di un modello
mutuale dell'organizzazione sociale. Sul piano strutturale, ciò si
riflette in alterazioni periodiche del modo in cui si organizzano i
rapporti umani, soprattutto quelli tra la metà maschile e quella
femminile dell'umanità. Sul piano dei valori, ciò si riflette (in
ogni cosa, dalla letteratura alle politiche sociali) nella periodica
lotta tra valori «maschili», stereotipatamente duri, e quelli
«femminili», stereotipatamente dolci, rappresentati dal Calice.
Inoltre, queste dinamiche storiche possono essere viste entro
un quadro evolutivo più ampio. Come abbiamo notato nei capi-
toli precedenti, il primo orientamento culturale della nostra spe-
cie durante gli anni formativi della civiltà umana si indirizzava
verso ciò che potremmo definire un primo modello di società
mutuale, o protogilanica. Inizialmente la nostra evoluzione cul-
turale era plasmata su questo modello, e raggiunse un primo
apice nella cultura altamente creativa di Creta. Seguì poi un pe-
riodo di crescente squilibrio, o caos. A causa di ondate successi-
ve d'invasioni e della graduale forza replicativa della spada e
della penna, l' androcrazia dapprima agì come un attrattore
«caotico», e in seguito divenne l'attrattore «statico» o «di pun-
to», saldamente radicato, di gran parte della civiltà occidentale.
Ma nel corso di tutta la storia documentata, e particolarmen-
te nei periodi d'instabilità sociale, il modello gilanico ha conti-
nuato ad agire come un più debole, ma costante, attrattore «pe-
riodico». Come una pianta che, per quanto continuamente
schiacciata e tagliata, si rifiuti di morire, la gilania ha sempre
cercato di riconquistare il suo posto al sole, come dimostrerà la
storia che ci accingiamo a riesaminare.

Il femminile come forza nella storia

L'idea di storia come movimento dialettico di forze conflit-


tuali ha caratterizzato, tra le altre, l'analisi hegeliana e marxista.
I modelli del passato: gilania e storia 257

I cicli storici sono stati studiati anche da Arnold Toynbee,


Oswald Spengler, Arthur Schlesinger Sr., e altri. 7 Tuttavia, una
caratteristica tipica degli usuali libri di storia androcentrici è
quella di non accennare minimamente alla rilevante alternanza
di periodi di supremazia gilanica e di regressione androcratica.
Per capire questa alternanza ciclica - al giorno d'oggi critica,
perché un ulteriore passaggio dalla pace alla guerra potrebbe es-
sere l'ultimo - dobbiamo perciò rivolgerci all'opera di storici
non convenzionali.
Uno di questi è Henry Adams. Per certi versi un visionario,
Adams era sostanzialmente un conservatore, che sosteneva la
necessità di un ritorno a valori più antichi e religiosi. Ma se
guardiamo oltre la superficie dell'opera di Adams, scopriamo
che egli riconosce una forza «femminile» nella storia, poderosa
e abitualmente ignorata. Adams sosteneva che «senza compren-
dere un movimento del sesso» la storia «è pura pedanteria». Ac-
cusava gli storici americani di menzionare «a mala pena il nome
di una donna», e quelli inglesi di trattare le donne «con cautela,
come se fossero una specie nuova, mai descritta». 8 Il punto fon-
damentale dell'analisi di Adams era che esisteva una forza civi-
lizzatrice della civiltà occidentale, che lui definiva la Vergine.
«Nessuna forza al mondo», scrive, «avrebbe potuto, come la
Vergine, edificare Chartres», poiché la Vergine è stata «la più
grande forza che il mondo occidentale abbia mai sperimenta-
to».9 Contrapposta alla potenza positiva della Vergine ce n'era
una negativa e distruttiva: la forza crudele che Adams chiamava
«Dinamo», la tecnologia dilagante e disumanizzante.
Adams espresse le sue osservazioni in un guazzabuglio di
stereotipi sessuali androcratici e di generalizzazioni mistiche.
Ma se si va oltre, ciò che emerge è in effetti lo stesso conflitto
che abbiamo identificato come lotta tra le due concezioni di po-
tere rappresentate da gilania e androcrazia, dai modelli mutuale
e dominatore, dal Calice e dalla Spada. Il simbolismo della Ver-
gine e della Dinamo di Adams è molto vicino a quello del Cali-
ce e della Spada. Sia il Calice che la Vergine sono simboli del
258 Riane Eisler

potere «femminile» di creare e allevare. E sia la Spada che la


Dinamo sono simboli «maschili» di una tecnologia insensata e
distruttiva.
Un precursore ancora più notevole dell'analisi storica vista
come lotta tra cosiddetti valori maschili e femminili è Sex in
History di G. Rattray Taylor. 10 Ma, come nel caso di Adams,
per utilizzare i dati di Taylor dobbiamo andare oltre ciò che egli
dice di descrivere, per arrivare a ciò che sta realmente descri-
vendo. Seguendo le note teorie di Wilhelm Reich 11 e di altri psi-
cologi, che in sostanza considerano le società patriarcali ses-
sualmente repressive, Taylor sostiene che le oscillazioni stori-
che da atteggiamenti sessualmente tolleranti ad atteggiamenti
sessualmente repressivi sono la causa dell'alternanza di periodi
più liberi e creativi e periodi più autoritari, meno creativi. 12 Ma
ciò che in realtà dimostra questo libro è che alla base di questi
cicli ci sono mutamenti di valori che lo stesso Taylor definisce
identificati con il padre o con la madre.
I termini di Taylor matrismo, identificazione con la madre, e
patrismo, identificazione col padre, che egli dovette escogitare a
causa della mancanza di parole per descrivere ciò che stava os-
servando, descrivono in realtà le stesse strutture di gilania e an-
drocrazia. I periodi matristi sono quelli in cui la donna e i valori
«femminili» (che Taylor definisce identificati con la madre)
hanno una posizione preminente. Viceversa, nei periodi patristi
è più pronunciato l'avvilimento della donna e della femminilità.
Questi periodi, in cui i valori identificati col padre, «maschili»,
sono di nuovo predominanti, sono più repressivi sessualmente e
socialmente, e le arti creative e le riforme sociali sono meno im-
portanti. n
Taylor porta come esempio medievale di periodo matrista, o,
secondo i nostri termini, di rinascita gilanica, l'epoca dei trova-
tori nel Sud della Francia. Era il periodo, nel XII secolo, in cui
nelle corti di Eleonora d'Aquitania e delle sue figlie Maria e
Alice, l'amore cortese e il rispetto per le donne divennero temi
centrali della poesia e della vita. 14 L'idea trovadorica di donna
I modelli del passato: gilania e storia 259

potente e onorata, anziché dominata e disprezzata, e di uomo


onesto e gentile, anziché dominatore e brutale, non era nuova.
Come abbiamo visto, essa ricorda sia il Neolitico che Creta. Ma
in un'epoca in cui perversione e crudeltà erano la norma, i con-
cetti trovadorici di cavalleria, gentilezza, onore e amore roman-
tico erano, come nota Taylor, davvero rivoluzionari.
Taylor spiega inoltre che senza alcun dubbio i valori «fem-
minili» (o, se usiamo i suoi termini, «identificati con la ma-
dre» )' 5 dei trovatori hanno profondamente umanizzato la storia
dell'Occidente. Non solo questi valori successivamente «rifiori-
vano ogniqualvolta i matristi erano in ascesa»; in qualche misu-
ra «perfino il patrista arrivò ad accettare l'ideale di gentilezza
nei confronti dei deboli, dei bambini e delle donne, ammesso
che le donne fossero della sua stessa classe». 16
«Erano innovatori e progressisti», scrive Taylor dei trovatori,
«interessati alle arti, e a volte cercavano di ottenere riforme so-
ciali; evitavano l'uso della forza; adoravano gli abiti vivaci eco-
lorati. Soprattutto, elessero Maria Vergine a loro patrona parti-
colare: molte loro poesie sono rivolte a lei, e nel 1140 s'istituì a
Lione una nuova festività, che - protestava Bernardo di Chiara-
valle - era estranea alla consuetudine della Chiesa, rifiutata dal-
la ragione e disapprovata dalla tradizione: la festività dell'Im-
macolata Concezione». 17
L'accusa di Bernardo, secondo cui non esisteva un'approva-
zione tradizionale al culto della madre che dà i natali a un figlio
divino era, naturalmente, del tutto infondata. La venerazione di
Maria non era che un ritorno all'antico culto della Dea. E la fie-
ra opposizione della Chiesa al culto di Maria non solo era un ta-
cito riconoscimento del potere duraturo di quest'antica religio-
ne; era anche un'espressione di resistenza patrista alla forte
rinascita di valori gilanici che caratterizzava il movimento tro-
vadorico.
Se sostituiamo ai termini di Taylor matrista e patrista i nostri
gilanico e androcratico, molti aspetti altrimenti incomprensibili
della storia medievale acquistano un preciso significato politico.
260 Riane Eisler

La condanna delle donne a una condizione subordinata e «silen-


ziosa» da parte della Chiesa può così essere considerata non un
mistero storico di poco conto, bensì espressione fondamentale
del cedimento del cristianesimo al modello androcratico-domi-
natore. Era indispensabile obbligare le donne alla sottomissione
e al silenzio, insieme ai valori «femminili» predicati in origine
da Gesù, se si volevano mantenere le norme androcratiche, e,
con esse, il potere della Chiesa medievale.
C'è un altro aspetto della storia medievale, altrimenti inspie-
gabile, che acquista un chiaro, e decisivo, significato politico. Si
tratta dell'estrema denigrazione della donna da parte della Chie-
sa, come dice il Malleus Maleficarum, o Martello delle streghe
(il manuale dell'Inquisizione per la caccia alle streghe, approva-
to dalla Chiesa), in quanto «fonte carnale di ogni male». 18
Nella maggior parte dei libri di storia le cacce alle streghe
sono citate solo di sfuggita. Continuarono per diversi secoli. Per
ordine della Chiesa, gli uomini inflissero sadicamente orribili
torture a diverse migliaia, forse milioni, di «streghe». Se per ca-
so si accenna a queste barbare persecuzioni alle donne (molte
delle quali alla fine venivano condannate all'atroce supplizio di
essere lentamente arse vive), esse sono di solito giustificate co-
me fenomeno d'isteria di massa. Ci viene raccontato candida-
mente che dal XIII al XVI secolo i contadini europei impazziro-
no, o, alternativamente, che le streghe stesse erano delle matte.
Come ha scritto Gregory Zilboorg, «i milioni di streghe, maghi,
posseduti e ossessi erano un'enorme massa di nevrotici [e] psi-
cotici».19 Ma, fanno notare Barbara Ehrenreich e Deirdre Engli-
sh, «La mania delle streghe non fu mai un linciaggio o un suici-
dio in massa di donne isteriche. Anzi, essa seguiva procedure
legali ben congegnate. Le cacce alle streghe erano campagne
ben organizzate, volute, finanziate ed eseguite dalla Chiesa e
dallo Stato». 20
Un incentivo a queste persecuzioni venne dato dai «dottori»
maschi, educati dalla Chiesa (che in realtà non ricevevano alcun
addestramento pratico alla guarigione). Costoro nel XIII secolo,
I modelli del passato: gilania e storia 261

avendo cominciato a curare monarchi e nobiltà, entrarono in


competizione con le «guaritrici», che vennero così accusate di
possedere «poteri magici», che colpivano la salute - e furono
spesso messe al rogo per il «crimine» di usare questi doni per
aiutare a guarire. 21 Un altro incentivo - che si riflette nell'accusa
dell'esistenza di congreghe di streghe organizzate, nei luoghi in
cui si adunavano i pagani per far comunella con i diavoli - era da-
to dal fatto che molte di queste donne continuavano chiaramente
ad essere fedeli a credenze religiose anteriori, tra cui, probabil-
mente, il culto di una divinità femminile e/o del suo figlio/con-
sorte, l'antico dio toro (divenuto ora il diavolo con gli zoccoli).
Ma l'accusa più ricorrente, e significativa, era quella che impu-
tava alle streghe di essere creature con una propria sessualità;
perché, agli occhi della Chiesa, tutto il loro potere derivava in
definitiva dalla loro «peccaminosa» sessualità femminile. 22
Di solito questa concezione patologicamente misogina del
sesso femminile viene definita una irrazionalità di maschi ses-
sualmente frustrati. Ma la condanna «morale» delle donne da
parte della Chiesa era più che un capriccio psicologico. Era una
giustificazione del dominio maschile, una risposta appropriata e
razionale del sistema androcratico non solo ai residui di tradi-
zioni gilaniche precedenti, ma anche ai ricorrenti riflussi gilani-
ci che, come scrive Taylor, minacciavano di «sovvertire l'auto-
rità paterna». 23
In altre parole, le cacce alle streghe, sancite ufficialmente, e
le ripetute denunce del sesso femminile da parte della Chiesa,
non erano fenomeni stravaganti e scollegati. Erano elementi es-
senziali prima per l'imposizione, poi per il mantenimento del-
1' androcrazia: mezzi necessari, e, in questo senso, razionali, per
contrastare le ricorrenti rinascite gilaniche.
Concentrandosi sulla sessuofobia isterica e sulla violenta re-
pressività della Chiesa, che resero lo «spirituale» Medioevo «un
incrocio tra un ossario e un manicomio», 24 Taylor tende a non
accorgersi del carattere essenzialmente antifemminista della
condanna del sesso da parte della Chiesa. Tuttavia, i dati che
262 Riane Eisler

egli presenta lasciano pochi dubbi su ciò che la Chiesa conside-


rava più di ogni altra cosa «eretico». Taylor mostra ripetutamen-
te che il trait d'union che collegava le varie sette eretiche, così
crudelmente perseguitate dalla Chiesa, era la loro identificazio-
ne con i cosiddetti valori femminili. Non a caso queste sette
adoravano la Vergine come Nostra Signora del Pensiero. E, co-
me le prime sette cristiane, che svolsero un ruolo così importan-
te nella rinascita gilanica del loro tempo, anche queste davano
molta importanza alle donne, e spesso assegnavano loro posi-
zioni preminenti. 25
Come scrive lo stesso Taylor, «siamo portati a chiederci, per-
ché la Chiesa sentiva, anche se confusamente, che c'era un fat-
tore comune che univa i trovatori, i catari, i bagardi, e le varie
sette minori che predicavano un amore casto? [... ] La risposta
può soltanto essere che tale fattore comune esisteva realmente
[... ] mentre i loro dogmi e rituali erano molto differenti, e alcuni
proclamavano di essere ancora in seno alla Chiesa, psicologica-
mente avevano una cosa in comune: l'identificazione con la ma-
dre. Questa era l'unica eresia che interessava veramente alla
Chiesa medievale». 26

La storia si ripete

In Sex in History vediamo che,il carattere essenziale della


Chiesa medievale era il suo patrismo, o identificazione con il
padre, o, secondo la nostra definizione, il suo carattere andro-
cratico o dominatore. Cominciamo anche a renderci conto che
dietro le oscillazioni della storia ci sono conflitti specifici tra va-
lori mutuali e dominatori.
Per esempio, Taylor nota che nell'epoca elisabettiana, quan-
do al trono sedeva una donna, la regina Elisabetta I, i valori
«identificati con la madre», «femminili», erano più influenti.
Anche se si trattava comunque di un'epoca brutale, nell'Inghil-
terra elisabettiana assistiamo a «un ridestarsi della coscienza
I modelli del passato: gilania e storia 263

della responsabilità verso il prossimo, che si esprime, per esem-


pio, nella istituzione della legge per i poveri». C'erano anche
«un rinnovato amore per il libero apprendimento, che si manife-
stava nell'erudizione e nella fondazione di università per stu-
denti» e «una profusione di energia creativa, specialmente nella
poesia e nel teatro, forma d'arte prediletta in Inghilterra, ma an-
che nella pittura, nell'architettura, nella musica». 21
È anche significativo, e, come vedremo, determinante dal
punto di vista dei sistemi, che nelle fasi di rinascita gilanica, co-
me il periodo dei trovatori, l'epoca elisabettiana, il Rinascimen-
to, le donne delle classi elevate godessero di una libertà relativa-
mente più grande, e di una maggiore possibilità di accesso
all'istruzione. 28 Per esempio, Porzia e altre eroine shakespearia-
ne erano donne notevolmente istruite, e riflettevano la condizio-
ne assai più elevata delle donne dell'epoca. Ma, come rivelano il
trattamento riservato a Kate, protagonista - eretica nella sua ri-
bellione - della Bisbetica domata, e altre opere letterarie, anco-
ra prima della fine dell'epoca elisabettiana era già in corso una
violenta riaffermazione del controllo maschile.
Uno degli indizi più rivelatori che il pendolo sta per oscillare
all'indietro è il ritorno dei dogmi misogini. Insieme alla introdu-
zione di nuovi «fatti» che giustificano la subordinazione delle
donne, è un segnale di quello che Taylor definisce «l'eterno illu-
dersi dei patristiche i costumi stiano degenerando», e che s'im-
ponga a ogni costo una riaffermazione dei valori «identificati
con il padre». 29 Soprattutto, è un primo segnale d'allarme; che
avverte dell'instaurarsi di un periodo di regressione androcrati-
co, più repressivo e violento.
Particolarmente pertinente a questo riguardo è il lavoro, mol-
to più recente, dello psicologo David Winter. Come altri celebri
studiosi contemporanei, Winter ha studiato quello che nel suo li-
bro omonimo definisce «il motivo del potere».)° Come psicolo-
go sociale egli si accinge a scoprire modelli storici tramite misu-
razioni oggettive. E anche se, ancora una volta, dobbiamo
guardare al di là di ciò che Winter ha evidenziato secondo la
264 Riane Eisler

consueta prospettiva androcentrica, le sue scoperte documenta-


no drammaticamente che gli atteggiamenti più repressivi verso
le donne preludono a periodi di guerre di aggressione.
L'analisi psico-sociologica di Winter, imperniata su uno dei
personaggi romantici più celebri della letteratura e dell'opera, il
focoso «rubacuori» Don Giovanni, si basa in gran parte su uno
studio della ricorrenza di alcuni temi nelle opere letterarie. Win-
ter osserva che, nonostante l'obbligatorio biasimo alle azioni di
Don Giovanni, in quanto «immorali» e «maledette», egli è di
fatto idealizzato come il «più grande seduttore di Spagna». Lo
studioso fa anche notare che i motivi base della figura di Don
Giovanni non sono gli impulsi sessuali, bensì l'aggressività, I' o-
dio e il desiderio di umiliare. Fa poi un'osservazione che ha una
profonda importanza storica e psicologica: gli atteggiamenti
ostili nei confronti delle donne sono caratteristici dei periodi in
cui esse sono più rigidamente represse dall'uomo. L'esempio ti-
pico che porta Winter è quello della stessa Spagna in cui ebbe
origine la leggenda di Don Giovanni, ove gli spagnoli delle clas-
si elevate avevano adottato «l'uso moresco di tenere segregate le
proprie donne».)' La ragione psicologica dietro a questo aumen-
to d'ostilità, spiega Winter, è che a quei tempi il rapporto ma-
dre-figlio, e in generale le relazioni tra uomo e donna, si erano
fatti particolarmente tesi. 32
Dal contesto risulta chiaro che il «motivo del potere» di Win-
ter è, secondo la nostra terminologia, l'impulso androcratico a
conquistare e dominare altri esseri umani. Dopo avere stabilito
che la degradazione delle donne a opera di Don Giovanni è una
manifestazione di questo «motivo del potere», Winter calcola la
frequenza delle storie su Don Giovanni nella letteratura di una
nazione, in rapporto ai periodi di espansione imperiale e di
guerra. Le sue scoperte documentano ciò che avevamo predetto,
utilizzando il modello di alternanza gilanico-androcratico: le
storie su questo celeberrimo archetipo di dominio maschile sul-
le donne, sono storicamente più frequenti prima e durante i pe-
riodi d'incremento di militarismo e imperialismo. 33
I modelli del passato: gilania e storia 265

Winter conferma che, in termini di sistemi, il dominio ma-


schile è legato inestricabilmente alla violenza maschile della
guerra. Egli conferma anche un aspetto dell'alternanza gilanico-
androcratica che studiosi femministi all'avanguardia come Kate
Millett e Theodore Roszak avevano già osservato in precedenza:
la reidealizzazione della supremazia maschile è indice di un
passaggio a valori e comportamenti che storicamente alimenta-
no la violenza delle regressioni androcratiche. 34
Il brillante La politica del sesso della Millett era uno studio
all'avanguardia su ciò che l'autrice considerava intuitivamente
il fattore più importante nella nostra storia politica: il dominio
maschile. 35 E sebbene Roszak sia maggiormente conosciuto per
la sua più convenzionale analisi androcentrica della società, an-
che il suo saggio The Hard and the Soft: The Force of Feminism
in Modern Times è un'opera all'avanguardia nell'analisi della
storia, nella prospettiva di una nuova teoria del mutamento an-
drocratico-gilanico dei sistemi. 36
Guardando tra le righe e sotto la superficie di centinaia di
studi che cercano di capire l'aumento di violenza e di militari-
smo che portarono alla carneficina della prima guerra mondiale,
Roszak scoprì quella che definì la «crisi storica del dominio ma-
schile». 37 Il movimento femminista del XIX secolo, notava lo
studioso, non si era limitato a sfidare gli stereotipi sessuali con-
venzionali del dominio maschile e della sottomissione femmini-
le; per la prima volta nella storia esso lanciò una considerevole
sfida diretta al sistema dominante, andando diritto al suo nucleo
ideologico. Naturalmente, nei nostri consueti libri di storia que-
sta sfida del XIX secolo è praticamente ignorata. Ma essa sca-
tenò roventi polemiche e obiezioni, non meno del movimento
femminista contemporaneo. Il movimento ottocentesco infatti
non si limitava a opporsi al tradizionale dominio dell'uomo sul-
la donna; esso sfidava i valori più fondamentali del nostro siste-
ma, in cui caratteristiche come tenerezza, compassione e pacifi-
smo sono considerate femminili, dunque assolutamente inadatte
agli uomini veri «virili», e al governo della società. 38
266 Riane Eisler

La risposta del sistema androcratico a questa sfida fu una


violenta riaffermazione degli stereotipi maschili e di tutte le loro
manifestazioni. Scriveva Roszak, riferendosi alla fine del XIX e
agli inizi del XX, prima della Grande Guerra: «Lo stile politico
negli scritti dell'epoca era costantemente caratterizzato da una
mascolinità coercitiva». Negli Stati Uniti, Theodore Roosevelt
parlava di un «cancro dell'agiatezza isolata e pacifica», e delle
virtù «virili e avventurose». In Irlanda il poeta rivoluzionario
Patrick Pearse proclamava che «lo spargimento di sangue è un
atto purificatore e santificante, e le nazioni che lo considerano
un orrore supremo hanno perso la loro virilità». In Italia, Filippo
Marinetti proclamava: «Siam qui per glorificare la guerra, l'uni-
ca fonte di salute per il mondo! Militarismo! Patriottismo! L'ar-
ma distruttiva dell'anarchico! Disprezzo per le donne!» 39
Come la venerata leggenda di Don Giovanni, questo brutale
disprezzo per le donne, e per tutto quanto veniva considerato
femmineo, era un segnale. Il messaggio (diffuso in scritti che tra-
valicavano ogni barriera nazionale e ideologica) era che il pas-
saggio a un mondo «pacifico» e «poco virile», un mondo non più
governato dalla Spada «maschile», non sarebbe stato tollerato.
Indagando sotto la superficie delle loro differenze nazionali
e ideologiche, Roszak mostrò una comunanza di fondo tra gli
uomini che all'inizio del secolo, e lungo tutto il corso della sto-
ria, precipitarono il mondo nella guerra. È l'equazione tra viri-
lità e violenza, indispensabile se si yuole mantenere un sistema
di gerarchie sostenute con la forza. Roszak confermò drammati-
camente anche la dinamica che Winter aveva osservato nella
propria ricerca: la reidealizzazione dello stereotipo «virile» è in-
dice non solo di un mutamento regressivo di valori, ma anche di
un passaggio dalla pace alla guerra.
Una conferma altrettanto forte di questa dinamica sociale so-
litamente trascurata viene dalle ricerche dello psicologo David
McClelland. In Il potere. Processi e strutture, McClelland de-
scrive i suoi tentativi di capire se si potevano prevedere i periodi
di guerra o di pace, cercando indizi negli scritti e nelle dichiara-
I modelli del passato: gilania e storia 267

zioni antecedenti i periodi in questione. 40 I suoi risultati confer-


mano quanto avevamo preannunciato nel calcolare le alterazioni
storiche usando il modello gilanico-androcratico della storia.
McClelland ha preso in esame materiali storici e letterari
della storia americana. Ha scoperto che i periodi in cui si raffor-
zava quello che lui chiama «motivo d'affiliazione» (che noi de-
finiremmo valori «più femminili», pacifici e compassionevoli),
erano seguiti da periodi di pace. Per esempio, McClelland ha
scoperto un crescente «motivo d'affiliazione» prima dei pacifici
anni tra il 1800 e il 181 O e tra il 1920 e il 1930. 41 Al contrario, i
periodi in cui gli scritti mostravano nuovamente quella che lo
psicologo ha definito motivazione del «potere imperiale» (e che
noi chiamiamo la motivazione «maschile» dominatore) si sono
quasi invariabilmente conclusi con delle guerre. Anche nella
storia inglese, una combinazione di forte «potere imperiale» e di
scarsa spinta di «affiliazione» ha preceduto periodi di violenza
storica, per esempio nel 1550, 1650 e 17 50. 42 All'opposto, perio-
di di scarso potere e di forte motivazione di affiliazione hanno
preceduto fasi più pacifiche della storia inglese.
Come il lavoro di Taylor, quello di McClelland conferma un
altro punto importante. I valori più «dolci», «femminili», tipici
di un modello mutuale della società, fanno parte di una configu-
razione che accentua la creazione più che la distruzione. Come
abbiamo visto nell'era neolitica, nei deliziosi affreschi e nei pa-
lazzi dell'antica Creta, e anche nelle fasi storiche che Taylor de-
finisce matriste, come quella elisabettiana, i periodi più gilanici
sono tipicamente quelli di maggiore creatività culturale.
McClelland abbrevia il suo sistema di motivazioni definendo
il bisogno di affiliazione «b Affiliazione», il bisogno di potere
«b Potere», e così via. Usando questi termini, egli osserva che
«ciò che è davvero notevole nel periodo elisabettiano, è che tutti
gli indicatori di motivazione dimostrano che deve essere stato
un buon periodo in cui vivere, proprio come avevano sempre
supposto gli storici. Era cresciuto il bisogno di Affiliazione,
quello di Potere era un po' diminuito, ciò che rappresenta un'e-
268 Riane Eisler

poca di pace relativa, e il Risultato era rimasto elevato, a presa-


gio di una certa prosperità». 43 Ma subito dopo si verificò il fin
troppo familiare mutamento. «Durante le lotte tra Realisti e Pu-
ritani e la guerra civile, il b Potere aumentò nuovamente, e il b
Affiliazione crollò bruscamente, a indicare che questo dovette
essere, e in effetti fu, un periodo di grande violenza e cru-
deltà.»44 O, secondo la nostra terminologia, il movimento verso
livelli più alti di evoluzione culturale, in un sistema prevalente
di dominio maschile, non poteva produrre esito differente. Per
mantenere il sistema, ci doveva essere un regresso culturale, che
lo spingesse nuovamente nelle «normali» dinamiche di una vio-
lenza androcratica.
A completare la caratteristica configurazione dei sistemi an-
drocratici, che abbiamo osservato per tutto questo libro, l'anali-
si di McClelland conferma poi che durante i periodi in cui le
motivazioni aggressive di potere ritornano dominanti, si rafforza
anche il terzo elemento principale del sistema, l'autoritarismo.
«Un forte b Potere, combinato a uno scarso b Affiliazione»,
scrive lo psicologo, «sono stati nelle nazioni moderne indice di
dittatura, crudeltà, soffocamento della libertà, e violenza interna
e internazionale.» 45
Anche la nuova scuola femminista si è dedicata allo studio
del potere con metodi nuovi e illuminanti. I lavori straordinari
della illustre sociologa Jessie Bernard, della psicologa di Har-
vard Carol Gilligan e della psichiatra Jean Baker Miller, docu-
mentano come nelle società a dominio maschile l'affiliazione
venga associata alla femminilità, mentre il potere, nel significa-
to corrente di controllo sugli altri, viene associato alla virilità. 46
Questi studi rivelano anche un altro dato della massima im-
portanza: la configurazione di valori definita da McClelland af-
filiazione, da Taylor matrista e da noi gilanica, nei sistemi domi-
nati dal maschio viene di solito relegata a un mondo separato, il
mondo delle donne, subordinato o sussidiario a quello più vasto
«degli uomini», o mondo «reale».
Nel mondo delle donne si può ancora capire la definizione
I modelli del passato: gilania e storia 269

gilanica di potere come capacità d'attuazione, il potere di dare e


di creare così caratteristico dell'antico ethos mutuale. Come no-
ta la Miller, le donne continuano a definire il potere in questo
modo: la responsabilità che hanno le madri di aiutare i loro figli,
in particolare quelli maschi, a sviluppare il loro talento e le loro
capacità. 47 Nel mondo delle donne ciò che la Bemard definisce
«l'ethos femminile di amore/dovere» rimane il modello princi-
pale per il pensiero e l'azione, ma solo per le donne. 48 Nel mon-
do delle donne regna quella che la Gilligan definisce la moralità
femminile dell'affetto, del dovere positivo di fare agli altri quel-
lo che vorremmo fosse fatto a noi. 49 Ma, ancora una volta, si
tratta solamente di un modello di pensiero e di azione per coloro
che non sono destinate a governare la società: le donne.
Se teniamo conto di questi nuovi studi sulla metà dell'uma-
nità di solito ignorata, iniziamo a capire che i periodi di guerra e
di repressione si possono prevedere, in base all'indebolimento
dei valori gilanici di affiliazione o di unione, e al contempora-
neo rafforzamento dei valori androcratici di potere aggressivo, o
di gerarchizzazione sostenuta dalla forza. Possiamo anche intui-
re come dietro ai mutamenti, apparentemente inspiegabili, che
hanno contraddistinto la storia documentata, ci sia l'ostacolo
maggiore alla nostra evoluzione culturale: un sistema sociale in
cui la metà femminile dell'umanità viene dominata e repressa.

Le donne come forza nella storia

Perché, se le dinamiche gilanico/androcratiche dei sistemi ri-


sultano così evidenti, esse sono state così scarsamente oggetto
di studi? Come mai, visto che le donne costituiscono la metà
della nostra specie, i loro comportamenti, le loro attività e le lo-
ro idee sono state studiate così poco? Ci troviamo nuovamente
di fronte a una di quelle omissioni che in futuro stupiranno sto-
rici e scienziati.
Oggi la porta per uno studio olistico della società umana è
270 Riane Eisler

soltanto socchiusa. Si è aperto uno spiraglio quando gli storici


hanno cominciato a riconoscere, come ha osservato Lynn White
Jr., che la documentazione della storia è stata molto selettiva, ti-
picamente scritta da, per e sui gruppi storici dominanti. 50 Ma
soltanto ora che la metà femminile mancante della storia sta ini-
ziando a essere presa seriamente in considerazione, possiamo
cominciare a sviluppare una nuova teoria della storia e della
evoluzione culturale, che tenga conto della totalità della società
umana.
Non meraviglia che i nostri libri di storia tradizionali ometta-
no sistematicamente tutto ciò che riguarda le donne o la «fem-
minilità», visto che solo fino a poco tempo fa in nessuna univer-
sità americana esisteva un programma di studi sulle donne. E
tuttora non c'è nulla di simile nelle scuole secondarie o elemen-
tari. Ancora oggi, se esistono, ai programmi di studio sulle don-
ne vengono assegnati fondi assai scarsi, viene loro attribuita
scarsa importanza e una priorità secondaria nella gerarchia dei
college e delle università. Solo in pochissime sedi è obbligatorio
per la laurea un corso di studi sulle donne. Non sorprende dun-
que che la maggior parte delle persone «istruite» stenti tuttora a
credere che siano esistite donne di un certo peso nella storia, e
che una forza tanto marginale, le donne e i valori «femminili»,
non solo fu basilare nel nostro passato, ma potrebbe esserlo per
il nostro futuro.
Una delle prime opere del XX secolo a riparare questa omis-
sione patologica delle donne da ciò che si scriveva sulla storia, è
Women as a Force in History di Mary Beard. 51 Dimostrando co-
me, nonostante il dominio maschile, le donne siano state deter-
minanti nel modellare la società occidentale, questa storica al-
1' avanguardia ha rivalutato la preistoria come fonte dell'eredità
perduta dell'umanità. Particolarmente importante è il fatto che
la Beard documenti una realtà che agli storici tradizionali sem-
brerà ancora più scandalosa delle correlazioni, evidenziate da
Winter e McClelland, tra i valori «maschili» e «femminili» e le
I modelli del passato: gilania e storia 271

alternanze critiche della storia: i periodi in cui migliora la con-


dizione della donna sono anche fasi di rinascita culturale.
Secondo la teoria della Trasformazione Culturale da noi svi-
luppata, non sorprende scoprire una correlazione tra la condi-
zione delle donne e il fatto che una società sia pacifica o belli-
cosa, interessata al benessere della gente o indifferente all'ugua-
glianza sociale, tendenzialmente gerarchica oppure ugualitaria.
Infatti, come abbiamo visto nel corso di questo libro, il modo in
cui una società struttura i rapporti tra le due metà dell'umanità
ha delle implicazioni sui sistemi profonde e altamente prevedi-
bili. Ciò che meraviglia è che, senza una simile struttura teorica,
scrivendo agli inizi del secolo, la Beard abbia potuto capire e far
notare questi modelli, in quello che rimane tuttora uno dei pochi
tentativi di ricostruire le attività della donna nella storia occi-
dentale.
In Women as a Force in History, la Beard fa notare le «ampie
e influenti attività delle donne italiane nel promuovere la cultura
umanistica» durante il Rinascimento. Essa nota che questo era
un periodo in cui le donne, e i valori «femminili», come la ricer-
ca e l'espressione artistica, iniziavano a liberarsi dal controllo
della Chiesa medievale, e che anche nell'Illuminismo francese
del XVII e XVIII secolo le donne ebbero un ruolo decisivo. Co-
me vedremo, in questo periodo, che avviò la rivolta contro quel-
le che la Beard definisce «le barbarie e gli abusi» del vecchio re-
gime, fu nei «salotti» di donne come Madame Rambouillet,
Ninon de Lenclos e Madame Geoffrin che cominciarono a pro-
dursi i primi concetti delle successive, e più umanistiche - o, se-
condo la nostra definizione, gilaniche - ideologie moderne. 52
Ciò non significa che le donne non abbiano contribuito a
mantenere al potere gli uomini e i valori «maschili». Nonostante
l'apparizione saltuaria di alcune grandi figure, per lo più le don-
ne nella storia svolsero per necessità il ruolo, prescritto dall'an-
drocrazia, di «aiutanti» dell'uomo. Ma, come dimostra ripetuta-
mente la Beard, sebbene le donne abbiano aiutato gli uomini
nelle guerre, talvolta combattendole in prima persona, solita-
272 Riane Eisler

mente il loro era un ruolo assai diverso. Non essendo state edu-
cate alla durezza, all'aggressività e alla violenza, la vita, le azio-
ni e le idee delle donne erano peculiarmente più «dolci», vale a
dire, meno violente e più compassionevoli e gentili. Per esem-
pio, come fa notare la Beard, «una delle prime, forse la prima, a
opporsi alla innodìa della guerra, dell'odio e della vendetta resa
immortale da Omero, fu, con la sua poesia, una donna eolica,
che la sua gente chiamava Saffa, ma che fu poi universalmente
conosciuta con il nome di Saffo».53
Questa intuizione si trova anche in un'altra opera all' avan-
guardia, che descrive il ruolo della donna nella storia: The First
Sex di Elizabeth Gould Davis. 54 Come altri libri di donne che
cercavano di rivedere il proprio passato senza l'aiuto di istitu-
zioni o dotti colleghi, il libro della Davis è stato accusato di in-
dulgere in voli della fantasia stravaganti, se non addirittura eso-
terici. Ma, nonostante le loro pecche, e forse proprio perché
non si conformano alle consuete tradizioni erudite, libri come
questo prefigurano intuitivamente uno studio della storia che si
focalizzerà sulla condizione della donna e sui cosiddetti valori
femminili.
Il libro della Davis, al pari di quello della Beard, restituisce
alle donne il ruolo che era stato cancellato dagli storici andro-
cratici. Il saggio inoltre fornisce dati che consentono di consta-
tare il collegamento tra la repressione delle donne e quella dei
valori femminili in momenti storici critici. Per esempio, la Da-
vis contrappone l'età elisabettiana alla successiva regressione
puritana, caratterizzata da virulente misure di repressione delle
donne, tra cui la messa al rogo delle «streghe».
Ma è soprattutto nelle opere delle più rigorose storiche e so-
ciologhe contemporanee che possiamo trovare i dati necessari a
concretizzare e sviluppare una nuova teoria olistica della tra-
sformazione e della alternanza gilanico/androcratica. Si tratta
dei lavori di donne quali Renate Bridenthal, Gerda Lerner, Do-
rothy Dinnerstein, Eleanor Leacock, JoAnn McN amara, Donna
Haraway, Nancy Cott, Elizabeth Pleck, Carroll Smith-Rosen-
I modelli del passato: gilania e storia 273

berg, Susanne Wemple, Joan Kelly, Claudia Koonz, Carolyn


Merchant, Marilyn French, Françoise d'Eaubonne, Susan
Brownmiller, Annette Ehrlich, Jane Jaquette, Lourdes Arizpe,
Itsue Takamure, Rayna Rapp, Kathleen Newland, Gloria Oren-
stein, Bettina Aptheker, Caro I Jacklin e La Frances Rodgers-
Rose, e di uomini come Cari Degler, P. Steven Sangren, Lester
Kirkendall e Randolph Trumbach. Costoro, spesso usando fonti
poco chiare e di difficile reperibilità, come diari di donne e altri
documenti fino a oggi ignorati, stanno a poco a poco diligente-
mente ricuperando una metà della storia incredibilmente trascu-
rata.55 E, facendolo, forniscono i pezzi mancanti per costruire
quel tipo di modello storico che serve a capire, e a superare, le
alternanze «un passo avanti e due indietro» della storia. È infatti
grazie ai nuovi studi femministi che cominciamo a capire la
causa di ciò che il filosofo francese Charles Fourier ha osservato
più di un secolo fa: il grado di emancipazione delle donne è in-
dice del grado di emancipazione di una società. 56

L'ethos femminile

Abbiamo già accennato che, nei periodi di più rigido con-


trollo androcratico, i valori più gentili, «femminili», sono confi-
nati severamente nel mondo subordinato delle donne: il mondo
privato della casa, governato dai singoli uomini. All'opposto,
abbiamo visto come in periodi di maggiore influsso gilanico
questi valori influenzino un pubblico più vasto, il mondo del-
l'uomo, determinando così un certo progresso sociale.
Le nuove scoperte della scuola femminista rendono oggi
possibile provare che ciò accade non a causa di un principio mi-
stico, ciclico e inesorabile, o «fato» (per esempio la contrappo-
sizione che fa Adams di «Vergine» e «Dinamo»); ciò avviene
per un motivo semplice e pratico, che sarebbe risultato ovvio
agli storici, se nella storia che essi studiavano avessero fatto
rientrare anche le donne. Nei periodi e nei luoghi in cui le donne
274 Riane Eisler

non sono rigidamente confinate nel mondo privato della casa,


quando possono accedere più liberamente e in massa al mondo
pubblico, come portatrici e propagatrici di un «ethos femmini-
le», esse infondono ali' orientamento prevalente della società
una visione del mondo maggiormente gilanica.
Come abbiamo visto nella Grecia classica, e poi di nuovo ai
tempi di Gesù, le donne hanno effettivamente avuto un forte im-
patto sul miglioramento della società. Ma forse, a tale proposito,
il caso più straordinario è quello del movimento sociale più
profondamente umanizzante dell'era moderna, che, ancora una
volta, viene quasi completamente ignorato, tranne che dalle fon-
ti femministe. Si tratta del movimento femminista, esploso per
la prima volta nel XIX secolo, e che, nel XX, ha conosciuto una
nuova vita.
Anche se è un fatto generalmente omesso dai nostri consueti
libri di storia, il lavoro sconosciuto o ignorato di centinaia di
femministe dell'Ottocento, come Lucy Stone, Margaret Fuller,
Mary Lyon, Elizabeth Cady Stanton e Susan B. Anthony, ha evi-
dentemente contribuito a migliorare in modo considerevole la
situazione della metà femminile dell'umanità. Nell'ambito della
vita privata, queste «madri» del femminismo moderno hanno li-
berato le donne da leggi che approvavano le violenze sulle mo-
gli. Economicamente, le femministe hanno contribuito a libera-
re le donne da leggi che davano ai mariti il controllo delle
proprietà della moglie. Esse ottennero l'accesso delle donne al-
i' istruzione superiore, e aprirono professioni come l'avvocatura
e la medicina alle donne, arricchendo considerevolmente le loro
vite e quelle delle loro famiglie. 57
Ma, liberando le donne dalle forme vistosamente oppressive
del dominio maschile, il movimento femminista del XIX secolo
contribuì ad avviare la spinta gilanica del nostro tempo anche in
un altro modo, che, come al solito, risulta chiaro solo se guar-
diamo al di là dei consueti manuali di storia. Offrendo la possi-
bilità a un numero di donne, mai in precedenza così elevato, di
ottenere se non altro una base di partenza nel mondo al di fuori
I modelli del passato: gilania e storia 275

delle loro case, questo movimento ha ampiamente incivilito l'u-


manità nel suo complesso. Infatti, grazie all'impatto dell' «ethos
femminile» personificato da donne ormai in procinto di entrare
in massa nel «mondo pubblico», come Florence Nightingale, Ja-
ne Addams, Sojourner Truth e Dorothea Dix, si crearono nuove
professioni come l'assistenza sanitaria e sociale organizzata, il
movimento abolizionista per la liberazione degli schiavi ottenne
un sostegno fondamentale e diffuso, e il trattamento dei matti e
dei ritardati mentali divenne più umano. 58
Inoltre, questa visione più «femminile» o mutuale dei rap-
porti umani, caratterizzata dalla affiliazione più che da gerar-
chizzazioni basate sulla violenza, si è diffusa nella corrente di
pensiero prevalente della società grazie al movimento femmini-
sta del XX secolo. Come il movimento femminista del XIX se-
colo, il movimento di liberazione della donna ha notevolmente
migliorato la condizione femminile. In un'epoca in cui i muta-
menti tecnologici stavano sempre più facendo passare le donne
da ruoli subordinati nella famiglia a ruoli subordinati nel lavoro,
il movimento di liberazione della donna ha lottato per ottenere
nuove leggi per proteggere la donna dentro e fuori casa. Ma, an-
cora una volta, questa seconda ondata del femminismo moderno
ha notevolmente fatto progredire la situazione sia della donna
sia dell'uomo, infondendo una coscienza maggiormente gilani-
ca a sfere di attività che un tempo erano solidamente sotto il
controllo maschile.
Così come nell'Ottocento le donne hanno svolto un ruolo
importante nel movimento per la liberazione degli schiavi neri,
nel XX secolo esse hanno fornito nuovamente un massiccio e
fondamentale sostegno, pagato a volte con la vita, al rafforza-
mento dei diritti civili dei neri. Analogamente, in tutto il mondo
occidentale centinaia di organizzazioni, grandi e piccole, che
cercano di determinare un ordine sociale più giusto, pacifico e
armonioso ecologicamente, sono in gran parte costituiti da
donne. 59
Ovviamente, non tutte le donne portano valori gilanici nella
276 Riane Eisler

vita pubblica. Per esempio, le poche donne che a volte riescono


a raggiungere il vertice delle gerarchie maschili, come Indira
Gandhi o Margaret Thatcher, spesso riescono a farlo proprio
perché sono in grado di dimostrare continuamente di non essere
troppo «tenere» o «femminili». E chiaramente anche molti uo-
mini oggi si stanno prodigando per la pace e per un migliora-
mento sociale, come hanno fatto in altri periodi di rinascita gila-
nica. Ma uno dei motivi per cui agiscono in questo modo è che si
tratta di periodi in cui i valori più «femminili», e le donne stesse,
sono meno «privatizzati». Lo dimostrano gli avvenimenti della
fine degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta del XX secolo,
quando numerosi americani rifiutarono l'idea «maschile» che la
guerra del Vietnam fosse «patriottica» e «nobile». In questo pe-
riodo non solo molte donne rifiutarono di essere relegate nella
sfera privata delle case dei maschi: anche molti uomini rigettaro-
no gli stereotipi «maschili», che impongono ai «veri uomini» di
non essere «effeminati», vale a dire, gentili, pacifici e affettuosi.
Ciò non significa che ci sia una relazione di causa ed effetto
semplice e lineare tra i mutamenti della condizione della donna
e la crescita dei valori «femminili». In realtà, quando un consi-
derevole numero di donne chiede vigorosamente o ottiene dei
miglioramenti, è generalmente imminente un improvviso arre-
tramento androcratico.
Durante il movimento di controcultura degli anni Sessanta e
Settanta del Novecento, per esempio, i giovani maschi rifiutava-
no l' «eroismo» e la «virilità» della guerra, e passavano a stili di
abbigliamento e di acconciatura più effeminati, mentre le donne
ottenevano importanti miglioramenti nella parità dei diritti. Ma
proprio nel momento in cui venivano energicamente sfidati i
vecchi stereotipi sessuali, le forze della cosiddetta reazione ma-
schile e conservatrice stavano già radunando le forze nell' Anti-
ERA, * in Moral Majority, e in altri gruppi di destra. Analoga-

* Fazione di destra che si opponeva all'ERA (Equa] Rights Amendment,


Emendamento per la Parità dei Diritti). (N.d. T.)
I modelli del passato: gilania e storia 277

mente, nel Rinascimento e nell'età elisabettiana, epoche in cui


si notano forti rinascite gilaniche, appaiono anche evidenti segni
di una parallela resistenza androcratica. Da una parte, constatia-
mo una tendenza verso pari opportunità d'istruzione per le don-
ne delle classi dirigenti, e, grazie a ciò, l'inizio della letteratura
femminista moderna in opere come La città delle donne di Chri-
stine de Pisan. 60 Dall'altra, si intensifica lo svilimento delle don-
ne; nuove leggi limitano il loro potere politico ed economico,
appare un genere di letteratura che mostra le donne nei ruoli
«femminili» loro propri, vale a dire, sottomesse.
Tutto questo ci porta a un ultimo punto fondamentale. Nono-
stante un certo indebolimento periodico della infrastruttura an-
drocratica nei periodi di influenza gilanica, fino in tempi molto
recenti la condizione di sottomissione delle donne è rimasta so-
stanzialmente immutata. E lo stesso vale per la condizione su-
bordinata di valori come affiliazione, affetto e non violenza, tra-
dizionalmente associati alla donna.

Il capolinea

Come abbiamo visto, nel corso della storia la prima linea di


«difesa» del sistema androcratico è stata la riaffermazione del
controllo maschile. Più precisamente, abbiamo visto che la re-
gressione verso una maggiore sottomissione della donna è un
primo indizio dell'imminenza di un periodo storico repressivo e
cruento. Come dimostrano chiaramente le ricerche di McClel-
land, Roszak e Winter, tutto ciò porta alla triste conclusione che,
a meno che i rapporti tra la repressione delle donne e i valori
d'affiliazione e di solidarietà all'interno dei sistemi non propen-
dano per questi ultimi, ci avvieremo inevitabilmente verso un
nuovo periodo di guerra e di massiccio spargimento di sangue.
La ricerca di McClelland dimostra che l'aumento di motivi
violenti nella letteratura e nell'arte preannuncia periodi di guer-
ra e repressione. La ricerca di Winter sullo stupratore Don Gio-
278 Riane Eisler

vanni dimostra che il tema della violenza repressiva sulle donne


è un segnale premonitore ancora più preciso dei periodi di guer-
ra e di violenza. E, al giorno d'oggi, c'è una crescita massiccia e
diffusa della violenza contro le donne, non solo nella finzione
letteraria, ma anche nella realtà.
Ideologicamente, il nostro mondo è alle prese con una forte
regressione nei dogmi misogini del fondamentalismo, sia cri-
stiano che islamico. Nella letteratura e nel cinema c'è un bom-
bardamento senza precedenti di violenza contro le donne, di
rappresentazioni di stupri e omicidi femminili, al cui confronto
la precedente violenza letteraria (di una Bisbetica domata o di
un Don Giovanni) impallidisce e scompare. Senza precedenti è
anche l'attuale proliferazione della pornografia hard-core, che,
grazie a un'industria multimiliardaria, proclama nelle nostre ca-
se, da libri, riviste, fumetti, film e persino dalla televisione via
cavo, il messaggio che il piacere sessuale sta nella violenza, nel-
la brutalità, nella tortura, nella mutilazione e nella degradazione
del sesso femminile. 61
Come ha notato Theodore Roszak, la resistenza al movi-
mento femminista del XIX secolo fu caratterizzata da una re-
crudescenza di quella che i verbali penali chiamano violenza
aggravata: percosse domestiche gravi, con fratture ossee, l' ab-
bruciamento della moglie, il suo accecamento cavandole gli oc-
chi. 62 Siccome lungo tutto il corso della storia la violenza con-
tro le donne è stata la risposta del sistema androcratico a qual-
siasi minaccia di un mutamento fondamentale, sulla scia del
movimento femminista del XX secolo si è verificata una cresci-
ta consistente della violenza contro le donne. Esempi sono l'ab-
bruciamento delle vedove in India, le esecuzioni pubbliche in
Iran, carcerazioni e torture nell'America Latina, le percosse alle
mogli in tutto il mondo, e il terrorismo universale degli stupri:
gli studiosi calcolano che attualmente negli Stati Uniti se ne
compia uno ogni tredici secondi. 63
Secondo la teoria della Trasformazione Culturale, la funzio-
ne nei sistemi dell'attuale massiccia e brutale violenza contro le
I modelli del passato: gilania e storia 279

donne non è difficile da capire. Se si vuole mantenere l' andro-


crazia, le donne devono essere represse a ogni costo. E se la vio-
lenza, e gli incitamenti alla violenza tramite la riesumazione di
calunnie religiose contro le donne e l'identificazione del piacere
sessuale con l'uccisione, la violenza e la tortura delle donne, sta
aumentando in tutto il mondo, è perché mai prima d'ora il domi-
nio maschile è stato sfidato in modo tanto energico da un movi-
mento delle donne per la liberazione umana così globale, solida-
le e sinergico. 64
Il mondo non aveva mai assistito a un simile proliferare di
organizzazioni governative e non, che contano milioni di iscritte
- gruppi che vanno dalla Federazione delle Donne della Cina al-
la Associazione Nazionale per gli Studi sulla Donna, l'Associa-
zione Nazionale delle Donne e la Lega delle Donne Anziane ne-
gli Stati Uniti - tutte dedite a migliorare la condizione della
donna. Non c'era mai stato un Decennio per la Donna delle Na-
zioni Unite. Non c'erano mai state consultazioni globali, con la
partecipazione di migliaia di persone da ogni parte del mondo,
per affrontare i problemi che derivano dalla supremazia maschi-
le. Mai prima d'ora nella storia le donne di tutta la terra si erano
riunite a lavorare per un futuro di uguaglianza sessuale, svilup-
po e pace, i tre obiettivi del Primo Decennio per la Donna delle
Nazioni Unite. 65
La crescente consapevolezza da parte delle donne - e degli
uomini - della correlazione di questi tre obiettivi, nasce da una
percezione intuitiva delle dinamiche che abbiamo analizzato. Se
si capisce lo scopo della violenza maschile sulle donne, non è
difficile intuire che gli uomini, ai quali viene inculcata l'idea di
dominare la metà dell'umanità fisicamente meno forte, crede-
ranno sia un dovere «virile» sottomettere anche gli uomini e le
nazioni più deboli.
Che avvenga in nome della difesa nazionale, come negli Sta-
ti Uniti, o nel santo nome di Dio, come nel mondo islamico, la
guerra, o la sua preparazione, serve non solo a rafforzare il do-
minio e la violenza maschile, ma, come hanno dimostrato sia la
280 Riane Eisler

Germania di Hitler che la Russia di Stalin, a rafforzare la terza


componente fondamentale dei sistemi androcratici, l'autoritari-
smo. I periodi di guerra giustificano un governo «dispotico».
Giustificano anche la sospensione delle libertà e dei diritti civili,
come ha dimostrato il blackout dell'informazione durante l'in-
vasione di Grenada compiuta dagli Stati Uniti nel 1983, e le leg-
gi marziali perenni in numerose nazioni belligeranti in Africa,
Asia, America Latina.
In passato, l'oscillazione del pendolo ha sempre segnato il
passaggio dalla pace alla guerra. Ogniqualvolta i valori «femmi-
nili» hanno conosciuto un periodo di crescita, minacciando di
trasformare il sistema, un'androcrazia ridesta e spietata ci ha ri-
cacciati indietro. Sarà l'attuale moto di ritorno del pendolo ine-
vitabilmente causa di crescenti violenze interne e internazionali,
con un parallelo aumento della repressione delle libertà e dei di-
ritti civili?
Davvero non c'è scampo da un'altra guerra, questa volta nu-
cleare? Sarà dunque la fine dell'evoluzione culturale, che iniziò
piena di speranza nell'epoca della Dea, quando il potere supre-
mo era ancora quello apportatore di vita del Calice? O stiamo
ormai per conquistare la libertà, ed eviteremo questa fine?

Note
1. Ilya Prigogine e Isabel Stengers, Order Out of Chaos, Bantam, New
York 1984 (trad. it. le leggi del caos, Laterza, Roma-Bari 2003); Edward Lo-
renz, «Irregularity: A Fundamental Property of the Atmosphere», in Tellus,
1984, n. 36 A, pp. 98-11 O; Ralph Abraham e Christopher Shaw, Dynamics:
The Geometry of Behavior, Aerial Press, Santa Cruz, CA 1989.
2. I. Prigogine e I. Stengers, op. cit., pp. 169-70.
3. R. Abraham e C. Shaw, op. cit.
4. lbid.
5. I. Prigogine e I. Stengers, op. cit., pp. 189-90.
6. lbid., citazioni (nell'ordine) dalle pp. 187, 176-7.
7. Per le teorie cicliche della storia e dell'economia si veda, per esempio
Walter Kaufman, Hegel: A Reinterpretation, Doubleday, Garden City, NY
1965; Oswald Spengler, The Decline of the West, Knopf, New York 1926-1928
(trad. it. Il tramonto dell'Occidente, Guanda, Parma 2002); Pitirim Sorokin,
The Crisis of Our Time, Dutton, New York 1941; R. Hamil, «Is the Wave of
I modelli del passato: gilania e storia 281

the Future a Kondratieff?», in The Futurist, ottobre 1979; Arthur Schlesinger,


Sr., The Tides of Politics, Houghton Mifflin, Boston 1964; David Loye, The
LeadershipPassion, Jossey-Bass, San Francisco 1977.
8. Henry Adams, The Education of Henry Adams, Houghton Mifflin,
New York 1918, pp. 441-2 (trad. it. L'educazione di Henry Adams, Adelphi,
Milano 1964).
9. /bid., p. 388. Per una interessante interpretazione, che sottolinea l'alta
considerazione di Adams per il «femminile», si veda Lewis Mumford, Apo-
logy to Henry Adams, in lnterpretation and Forecasts: /922-1927, Harcourt
Brace Jovanovich, New York 1973, pp. 363-5.
10. G. Rattray Taylor, Sex in History, Ballantine, New York 1954 (trad. it.
Il sesso nella storia, Longanesi, Milano 1957).
11. Si veda, per esempio, Wilhelm Reich, Psicologia di massa del fasci-
smo, trad. it. Einaudi, Torino 2002.
12. G. Rattray Taylor, op. cit., cap. 5.
13. lbid. Si veda in particolare la tavola comparativa Patrista/Matrista a p.
81.
14. Un'ottima biografia di Eleonora (e storia della sua epoca) è Marion
Meade, Eleanor of Aquitaine, Hawthom Books, New York 1977. Si veda an-
che Robert Briffault, The Troubadors, Indiana University Press, Bloomington,
IN. 1965.
15. G. Rattray Taylor, op. cit., p. 84.
16. lbid., p. 91.
17. lbid., p. 85.
18. Heinrich Kramer e James Sprenger, Malleus Male.ficarum, trad. ingl.
di Montague Summers, Pushkin Press, Londra 1928 (trad. it. Il martello delle
streghe, Marsilio, Venezia 1995). Pubblicato originariamente nel 1490, con il
benestare del papa, è un manuale per la caccia alle streghe, a uso degli inquisi-
tori.
19. Gregory Zilboorg, citato in Barbara Ehrenreich e Deirdre English, Wit-
ches, Midwives, and Nurses: A History of Women Healers, Feminist Press, Old
Westbury, New York 1973, p. 7 (trad. it. Le streghe siamo noi. Il ruolo della
medicina nella repressione della donna, La Salamandra, Milano 1975).
20. lbid.
21. lbid., p. IO. Per un'eccellente trattazione di questo argomento si veda
anche Wendy Faulkner, Medicai Technology and the Right to Heal, in Wendy
Faulkner e Erik Amold (a cura di), Smothered by lnvention: Technology in
Women 's Lives, Pluto Press, Londra 1985. Le ricerche di cui riferisce questo
saggio ben documentato, rivelano che quando la Chiesa si dedicò lucrosamen-
te all'istruzione dei dottori nelle università da essa approvate (che non ammet-
tevano le donne), fu necessario dapprima screditare, e poi eliminare le tradi-
zionali guaritrici (medicone o «fattucchiere», che adesso venivano accusate di
avere «poteri magici»). Fu anche decretato che a questi «processi alle streghe»
dovessero assistere dei dottori, per giudicare se le condizioni di salute di una
persona (buone o cattive) dipendessero da cause naturali o da stregoneria. Non
solo la Chiesa raggiunse il suo scopo, annichilire le donne (sia le guaritrici
colte che le contadine); essa riuscì anche a screditare molti dei rimedi tradizio-
282 Riane Eisler

nali di queste donne, per esempio, l'aria fresca e i bagni, che i nuovi medici
educati dalla Chiesa dichiararono dannosi. Li sostituirono invece con «rimedi
eroici» quali i salassi, le applicazioni di sanguisughe e le prescrizioni di pur-
ghe velenose. Queste «cure» venivano prescritte dai medici ancora nel XIX se-
colo.
22. Un tema dominante del Malleus Maleficarum è che il diavolo agisce
mediante la femmina, come già fece nel Paradiso terrestre. Si dichiara che
«ogni stregoneria deriva dalla lussuria carnale, che nelle donne è insaziabile»,
e si prosegue dicendo che «non stupisce che si trovino più donne che uomini
contagiati dall'eresia della stregoneria[ ... ] e sia benedetto l'Altissimo, che ha
fin qui risparmiato al sesso maschile un crimine tanto grave» (citato in B. Eh-
renreich e D. English, op. cit., p. IO). La prima opera a proporre l'idea che la
«stregoneria» rappresentasse in parte ciò che rimaneva della religione precri-
stiana è stata Alice Murray, The Witch-Cult in Western Europe, Oxford Uni-
versity Press, Londra 1921 (trad. it. Le streghe nell'Europa occidentale, Gar-
zanti, Milano 1978). Questa analisi, che ora viene accettata più diffusamente,
è in parte alla base anche di Jules Michelet, Satanism and Witchcraft, Citadel
Press, New York 1970 (trad. it. La strega, Rizzoli, Milano 1995). Per scritti
femministi più recenti sulle persecuzioni delle streghe come sistemi di repres-
sione della donna, si veda, per esempio, Elizabeth Gould Davis, The First Sex,
Penguin Books, New York 1971, cap. 18; Mary Daly, Gyn/Ecology: The Me-
taethics of Radical Feminism, The Women's Press, Londra 1991. Alcune ope-
re che danno una nuova interpretazione della religione naturale delle streghe
(Wicca) e delle loro capacità di guaritrici e levatrici, sono Starhawk, Dreaming
the Dark: Magie, Sex, and Politics, Beacon, Boston 1982; Margot Adler,
Drawing Down the Moon: Witches, Druids, Goddess Worshippers and Other
Pagans in America Today, Beacon, Boston 1981; Starhawk, The Spirai Dance,
Harper & Row, New York 1979.
23. G. Rattray Taylor, op. cit., p. 77.
24. lbid, p. 126
25. lbid., pp. 99-103. Poiché consideravano le donne come esseri umani a
pieno titolo, l'amicizia, ovvero il legame non-sessuale tra i sessi, era un capo-
saldo dei catari. Una conseguenza paradossale fu che !'«amore casto», l'aga-
pe, fu aspramente criticato dalla Chiesa ufficiale. Questi «eretici», che, se-
guendo gli insegnamenti del Cristo si proclamavano Chiesa dell'Amore,
venivano accusati di ogni sorta di perversioni sessuali, e di volere sterminare
l'umanità, rifiutando la procreazione.
26. lbid., p. 125.
27. lbid., p. 151.
28. Tra le studiose femministe è in atto un annoso dibattito sull'interroga-
tivo che pone l'articolo di Joan Kelly-Gadol, se le donne abbiano mai cono-
sciuto un Rinascimento (J. Kelly-Gadol, «Did Women Have a Renaissance?»,
in Renate Bridenthal e Claudia Koonz (a cura di), Becoming Visible, Houghton
Mifflin, Boston 1987). La prima scuola di pensiero Burckhardt-Beard vedeva
dei miglioramenti per le donne nel Rinascimento italiano (Mary Beard, Wo-
man as a Force in History, McMillan, New York 1946, p. 272). Ruth Kelso e
Joan Kelly-Gadol sostengono invece che le donne in realtà persero terreno, e
I modelli del passato: gilania e storia 283

che la loro condizione era di gran lunga migliore durante il periodo feudale.
Sicuramente alcune donne delle classi dominanti feudali, come Eleonora d' A-
quitania e sua figlia, Maria di Champagne, godevano di una certa indipenden-
za (anche se Eleonora fu imprigionata per diversi anni dal marito), ed esercita-
rono una forte influenza nello sviluppo e nella diffusione dell'ideale
trovadorico, secondo cui la donna andava venerata e non avvilita. Ma, come
hanno fatto notare E. William Monter e altri, la questione se le donne abbiano
effettivamente ottenuto qualche miglioramento sociale e legale durante il Me-
dioevo è molto controversa (si veda, per esempio, E. William Monter, «The
Pedestal and the Stake», in R. Bridenthal e C. Koonz, op. cit., p. 125). Simil-
mente, durante il Rinascimento italiano, sebbene scrittori normativi come il
Castiglione abbiano perorato la parità d'istruzione per le donne, si siano oppo-
sti alla concezione borghese del ruolo esclusivamente domestico della donna,
e in qualche modo abbiano criticato la disparità sessuale, come fa notare la
Kelly-Gadol, tranne qualche eccezione illustre, per esempio Caterina Sforza,
la signora rinascimentale difficilmente era un soggetto politico ed economico
indipendente. In altre parole, in nessun periodo troviamo mutamenti fonda-
mentali della condizione di sottomissione delle donne agli uomini. Ciò che no-
tiamo sono invece valori umanistici più «femminili», che lottano per emergere
sia durante il periodo feudale dei trovatori sia nel Rinascimento. Vediamo an-
che l'estendersi di alcuni diritti e possibilità per le donne, o, quantomeno, al-
cune sfide dirette alla loro sottomissione agli uomini (come quella alla schia-
vitù sessuale e al maltrattamento della donna). Esempi sono l'idealizzazione e
la celebrazione dell'indipendenza sessuale delle donne compiuta dai trovatori,
e l'ideale rinascimentale d'istruzione paritaria. Ma, alla fine, ciò che constatia-
mo è il fallimento del tentativo gilanico di rovesciare il ben radicato ordine an-
drocratico, sia esso feudale o statalista, del XIII o del XV secolo. Notiamo an-
che che questo continuo conflitto gilanico/androcratico, che periodicamente si
riaccende, è tuttora in corso.
29. G. Rattray Taylor, op. cit., p. 126. Storicamente la violenta restaurazio-
ne del dominio androcratico è stata particolarmente intensa ogniqualvolta si è
verificata un'alterazione del modello dei rapporti umani maschio-dominato-
re/femmina-dominato, che è il collante dell'androcrazia. In altre parole, se si
voleva conservare il carattere androcratico del sistema, non si poteva permette-
re ai tentativi storici di elevare la condizione della donna (e con essa i valori
«femminili») di spingersi oltre un certo limite. Quindi bisognava evitare a
ogni costo qualsiasi alterazione sostanziale della posizione succube delle don-
ne. Ciò non significa che la resistenza androcratica non fosse presente fin da
principio, in ogni periodo di crescita gilanica. Ovviamente Io era. Ma nell'al-
ternanza tra periodi più androcratici e periodi più gilanici constatiamo ripetu-
tamente che alla crescita gilanica corrisponde una resistenza androcratica, con
il risultato finale di un periodo, anche se breve, di dominio androcratico addi-
rittura più repressivo. Per esempio, la Riforma protestante, con la sua ribellio-
ne contro l'autorità assoluta dei Padri della Chiesa e contro l'abolizione dei
rapporti sessuali tra uomo e donna propugnata dall'ideale della castità sacer-
dotale, per un certo tempo sembrò promettere un certo miglioramento della
condizione della donna. Alcuni umanisti cattolici e progressisti come Erasmo
284 Riane Eisler

e Thomas More, precursori della Riforma, caldeggiarono l'istruzione per le


donne e insegnarono che la «dottrina di Cristo non conosce distinzioni di età,
di sesso, di fortuna o di posizione nella vita» (Erasmo, Paraclesis). Inoltre, i
cambiamenti tecnologici, che avrebbero portato alla rivoluzione industriale,
fecero sì che questo fosse un periodo di radicali mutamenti sociali ed econo-
mici, in cui sarebbero state possibili trasformazioni fondamentali delle istitu-
zioni e dei ruoli. Ma alla fine non ci fu un reale cambiamento, né nella subor-
dinazione delle donne, né nel carattere fondamentalmente gerarchico di questa
nuova istituzione del cristianesimo, che anzi, con il Puritanesimo, entrava in
un periodo di dominio androcratico punitivo. (Per un'interessante visione
d'insieme della riforma, con particolare riguardo alle donne, si veda Sherrin
Marshall Wyntjes, Women in the Reformation Era, in R. Bridenthal e C.
Koonz, op. cit.).
30. David Winter, The Power Motive, Free Press, New York 1973.
31. lbid., p. 172.
32. lbid.
33. lbid., capp. 6, 7.
34. Kate Millett, Sexual Politics, Doubleday, New York 1970 (trad. it. La
politica del sesso, Bompiani, Milano 1979); Theodore Roszak, «The Hard and
the Soft: The Force of Feminism in Modem Times», in Betty e Theodore Ro-
szak (a cura di), Masculine/Feminine, Harper Colophon, New York 1969.
35. K. Millett, op. cit.
36. T. Rozsak, op. cit.
37. lbid., p. 90.
38. lbid., si veda in particolare p. 102.
39. lbid. Le prime due citazioni sono da p. 92 e la terza da p. 91.
40. David McClelland, Power: The lnner Experience, Irvington, New
York 1975 (trad. it. Il potere. Processi e strutture: un'analisi dal'interno, Ar-
mando, Roma 1988).
41. lbid., p. 340.
42. lbid., p. 324.
43. lbid., pp. 320-1.
44. lbid.
45. lbid., p. 319.
46. Jessie Bemard, The Female World, Free Press, New York 1981; Caro!
Gilligan, In a Different Voice, Harvard University Press, Cambridge, MA 1982
(trad. it. Con voce di donna: etica e formazione della personalità, Feltrinelli,
Milano 1991); Jean Baker Miller, Toward a New Psychology of Women, Bea-
con Press, Boston 1976.
47. J. Baker Miller, op. cit.; Women and Power.
48. J. Bemard, op. cit.
49. C. Gilligan, op. cit.
50. Lynn White, Jr., Medieval Technology and Socia/ Change, Oxford
University Press, New York 1962, p. V (trad. it. Tecnica e società nel Medioe-
vo, Il Saggiatore, Milano 1976).
51. M. Beard, op. cit.
52. lbid., pp. 255, 323-9.
I modelli del passato: gilania e storia 285

53. lbid., p. 312.


54. E. Gould Davis, op. cit.
55. Tra i numerosi libri che analizzano gli alti e bassi della condizione
femminile in luoghi ed epoche differenti, si veda per esempio R. Bridenthal e
C. Koonz, op. cit.; E. Boulding, op. cit.; Nancy Cott ed Elizabeth Pleck (a cura
di), A Heritage of Her Own, Simon & Schuster, New York 1979; Nawal El Sa-
dawii, The Hidden Face of Eve: Women in the Arab World, ZED Press, Londra
1980; Gerda Lemer, The Majority Finds lts Past: Placing Women in History,
Oxford University Press, New York 1979; La Frances Rodgers-Rose (a cura
di), The Black Woman, Sage, Beverly Hills, CA 1980; Martha Vicinus (a cura
di), Suffer and Be Stili: Women in the Victorian Age, Indiana University Press,
Bloomington, IN 1972; Susan Mosher Stuard (a cura di), Women in Medieval
Society, University of Pennsylvania Press, Filadelfia 1976; Tsultrim Alione,
Women of Wisdom, Routledge & Kegan Paul, Londra 1984; Marilyn French,
Beyond Power: On Women, Men, and Morals, Ballantine, New York 1985;
Cari Degler, At Odds: Women and the Family in Americafrom the Revolution
to the Present, Oxford University Press, New York 1980; Lester A. Kirkendall
e Arthur E. Gravatt (a cura di), Marriage and the Family in the Year 2020, Pro-
metheus Books, Buffalo 1984.
56. Charles Fourier, citato in Sheila Rowbotham, Women, Resistance and
Revolution, Vintage, New York 1974, p. 51 (trad. it. Donne, resistenza e rivo-
luzione, Einaudi, Torino 1977).
57. Si veda, per esempio, Eleanor Flexner, A Century of Struggle, Belknap
Press of Harvard University Press, Cambridge 1976.
58. lbid. Si veda anche E. Boulding, op. cit.; Caro! Hymowitz e Michele
Weissman (a cura di), A History of Women in America, Bantam, New York
1978; Ruth Brin, Contributions of Women: Socia! Reform, Dillon, Minneapo-
lis 1977.
59. Si veda, per esempio, Riane Eisler, «Women and Peace», in Women
Speaking, ottobre-dicembre 1982, n. 5, pp. 16-8; E. Boulding, op. cit. La stori-
ca Gerda Lemer fa notare che «c'è il bisogno urgente di una interpretazione
storica del ruolo delle donne nella creazione delle associazioni» (op. cit., pp.
165-7).
60. Per una eccellente analisi della Città delle donne di Christine de Pisan
in questo contesto, si veda Joan Kelly, «Early Feminist Theory and the 'Que-
relles des Femmes', 1400-1789», in Signs, autunno 1982, n. 8, pp. 4-28.
61. Si veda, per esempio, Laura Lederer (a cura di), Take Back the Night,
William Morrow, New York 1980.
62. T. Roszak, op. cit.
63. Si veda, per esempio, Caryl Jacobs, «Pattems of Violence: a Feminist
Perspective on the Regulation of Pornography», in Harvard Women 's Law
Journal, 1984, n. 7, pp. 5-55, che cita anche dati dell'FBI, che indicano che
negli anni Sessanta il numero di stupri compiuti negli Stati Uniti è aumentato
del novanta per cento. Anche tenendo conto del maggior numero di denunce
da parte delle donne, si tratta di un aumento enorme. Questa crescita è coinci-
sa con il dilagare della pornografia, che identifica il piacere sessuale con la
286 Riane Eisler

violenza sulle donne (il che riflette la resistenza androcratica al movimento di


liberazione della donna).
64. Si veda, per esempio, Riane Eisler, « Violence and Male Dominance:
The Ticking Time Bomb», in Humanities in Society, inverno-primavera 1984,
n. 7, pp. 3-18; Riane Eisler e David Loye, «Peace and Feminist Theory: New
Directions», in Bulletin of Peace Proposals, 1986, n. 1.
65. Sebbene l'attuale movimento delle donne presenti molte caratteristi-
che inedite, è un errore pensare che in passato le donne non si siano mai oppo-
ste energicamente al dominio maschile. Le antiche leggende su Medusa e le
Amazzoni indicano che la ribellione femminile ha radici molto profonde. Ma,
come scrive Dale Spender, in Feminist Theorists, il sistema androcratico ha
sempre cancellato i tentativi di rivendicazione e di ribellione, cosicché ogni
donna rimane con la sensazione che in questi atti, persino in queste idee, ci sia
qualcosa di anormale (e d'inaudito) (Feminist Theorists: Three Centuries of
Key Women Thinkers, Pantheon, New York 1983).
11
Liberazione: la trasformazione
incompleta

La nostra avrebbe dovuto essere l'era moderna, l'Età della


Ragione. L'Illuminismo avrebbe dovuto sostituire la supersti-
zione; l'Umanesimo avrebbe dovuto sostituire la barbarie; la co-
noscenza empirica avrebbe dovuto sostituire l'ipocrisia e il dog-
ma. Tuttavia, forse mai come oggi si attribuisce alla Parola un
potere magico così grande. Infatti tramite le parole, il materiale
che rende possibile i processi consci del pensiero logico della
mente umana, si sarebbero dovute curare tutte le antiche irrazio-
nalità, tutti i vecchi errori, i mali dell'umanità. E mai come oggi
le parole, soprattutto quelle scritte, hanno raggiunto una diffu-
sione così ampia.
Uno dei motivi è che mai prima d'ora c'è stato un così gran
numero di persone istruite, o una tale dovizia di nuovi mezzi di
comunicazione, per diffondere le parole a un così gran numero
di abitanti del nostro globo. Il passaggio a quella che lo storico
della filosofia Henry Aiken chiama l'Età dell'ldeologia 1 è avve-
nuto parallelamente a un importante mutamento socio-tecnolo-
gico. Si tratta di un cambiamento, o, per usare la definizione di
Alvin Toffler, una «seconda ondata», di proporzioni paragona-
bili a quelle della «prima ondata», la rivoluzione agraria di mol-
ti millenni prima. 2 La rivoluzione industriale, pur restando un
fenomeno limitato principalmente all'Occidente, produsse una
288 Riane Eisler

moltitudine di nuove tecnologie, tra cui la stampa, che ha reso


possibile per la prima volta la diffusione su larga scala di libri,
riviste e giornali. Poi è stata la volta dei media auditivi: il tele-
grafo, il telefono, la radio. A questi sono seguiti i media visivi,
cinema e televisione, che insieme alla gigantesca diffusione di
riviste, giornali e libri hanno letteralmente inondato di parole
ogni angolo della Terra.
Ma, soprattutto in Occidente, c'è stata un'altra causa dietro a
questa esplosione ideologica. Con l'indebolirsi delle ideologie
religiose in seguito alla crescente industrializzazione, si è diffu-
sa una grande voglia, quasi un desiderio disperato, di nuovi me-
todi di percezione, ordinamento e valutazione della realtà, in al-
tre parole, di nuove ideologie.
Quello che è stato definito il clero laico - filosofi e scienziati
- ha subito fatto sentire la sua voce in tutto il mondo occidenta-
le. Nel XIX secolo costoro erano dovunque indaffarati a reinter-
pretare, riordinare e rivalutare la realtà, secondo i vangeli mo-
derni di Kant e Hegel, di Copernico e Galileo, di Darwin e
Lavoisier, di Mill e Rousseau, di Marx ed Engels, per nominare
soltanto alcuni dei primi profeti del Verbo laico.

Il fallimento della ragione

Avrebbero dovuto essere i profeti di una trasformazione cul-


turale. Con la liberazione della mente umana a opera della ragio-
ne, I' «uomo razionale», prodotto dell'Illuminismo del XVIII se-
colo, avrebbe dovuto lasciarsi alle spalle la barbarie del passato.
Grazie alla rivoluzione industriale, la nostra evoluzione tec-
nologica è progredita a passi da gigante. Da principio avrebbe
dovuto essere così anche per la nostra evoluzione culturale. Co-
me le nuove tecnologie materiali, per esempio macchine e me-
dicine, stavano determinando cambiamenti apparentemente mi-
racolosi, anche le nuove tecnologie sociali, modi migliori di
organizzare e guidare il comportamento umano, avrebbero do-
Liberazione: la trasformazione incompleta 289

vuto accelerare la realizzazione delle aspirazioni e dei potenzia-


li più alti dell'umanità. Infine, la perenne lotta dell'uomo per la
giustizia, la verità e la bellezza avrebbe raggiunto il suo scopo.
Ma, a poco a poco, queste grandi speranze cominciarono a
svanire. Durante il XIX e il XX secolo l' «uomo razionale» con-
tinuò senza posa a opprimere, uccidere, sfruttare e umiliare i
suoi fratelli e le sue sorelle. Giustificata da nuove teorie «scien-
tifiche» come il darwinismo sociale dell'Ottocento, proseguì la
schiavitù economica delle razze «inferiori». Invece di guerre
combattute per «salvare i pagani» o per la maggior gloria e po-
tenza di Dio e del re, adesso venivano intraprese campagne co-
loniali con scopi economici e politici «razionali», come la pro-
mozione del «libero commercio» e il «contenimento» delle
potenze politiche ed economiche rivali. E se il controllo dell'uo-
mo sulla donna non poteva più fondarsi su basi irrazionali come
la disubbidienza di Eva al Signore, adesso veniva giustificato da
nuovi dogmi «razionali e scientifici», che dichiaravano che il
dominio maschile era una legge biologica e/o sociale.
L' «uomo razionale» ora discuteva sulla possibilità di «domi-
nare» la natura, «soggiogare» gli elementi e, con i grandi pro-
gressi del XX secolo, «conquistare» lo spazio. Diceva di essere
costretto a combattere le guerre per instaurare pace, libertà ed
uguaglianza, di essere obbligato a uccidere in attività terroristi-
che bambini, donne e uomini, per emancipare i popoli oppressi
e restituire loro la dignità. Come membro di élite, sia nel mondo
capitalista che in quello comunista, continuava ad accumulare
proprietà e/o privilegi. Per ottenere maggiori profitti e margini
di guadagno più alti, l' «uomo razionale» cominciò anche ad av-
velenare sistematicamente il suo ambiente fisico, minacciando
così di estinzione altre specie, provocando gravi malattie agli
umani adulti e deformità ai bambini. E tutto mentre continuava
a spiegare che il suo operato era patriottico o idealistico e, so-
prattutto, razionale.
Alla fine, dopo Auschwitz e Hiroshima, si cominciarono a
mettere in discussione le promesse della ragione. Come giudica-
290 Riane Eisler

re l'uso «razionale» ed efficiente del grasso umano per fare sa-


ponette? O l'impiego altamente efficace delle docce ai gas vene-
fici? Come ci si potevano spiegare gli esperimenti militari, dili-
gentemente giustificati, su esseri umani vivi e totalmente
indifesi, per provare l'effetto delle bombe atomiche e delle ra-
diazioni? Questa distruzione di massa così efficiente poteva
considerarsi un progresso per l'umanità? Lo sviluppo industria-
le abnorme ed esplosivo, l'irreggimentazione di intere popola-
zioni in catene di montaggio, la spersonalizzazione degli indivi-
dui, erano davvero un passo avanti per la nostra specie? O,
piuttosto, questi sviluppi moderni, insieme al crescente inquina-
mento di terra, mare e aria, erano segni di un regresso e non di
un progresso culturale? Visto che I' «uomo razionale» sembrava
incline a profanare e a distruggere il nostro pianeta, non sarebbe
stato meglio ritornare ali' «uomo religioso», al periodo prima
che i progressi scientifici ci scaraventassero nella nostra epoca
laico-tecnologica?
Nell'ultimo quarto del XX secolo, filosofi e sociologi hanno
messo in discussione non solo le cause, ma le ideologie progres-
siste moderne nel loro complesso. Né il capitalismo né il comu-
nismo avevano mantenuto le loro promesse. Ovunque si parlava
della «fine del liberalismo», poiché i «realisti» sostenevano che
una società libera ed equa non sarebbe mai stata nient'altro che
un sogno utopico.
Disillusa dal presunto fallimento delle ideologie progressiste
laiche, in tutto il mondo la gente stava tornando ai credi religio-
si fondamentalisti, cristiani, musulmani e di altro genere. Im-
paurita da segnali crescenti di un imminente caos globale, mas-
se di persone ritornavano alla vecchia idea androcratica che ciò
che davvero conta non è la vita qui sulla Terra, ma, piuttosto,
l'eventualità di una punizione crudele ed eterna per avere disub-
bidito a Dio, e ai comandamenti degli uomini che sulla Terra
parlano in Suo nome.
Data la concretezza della minaccia di distruzione globale
rappresentata dalle bombe nucleari, secondo una visione del
Liberazione: la trasformazione incompleta 291

mondo che non offre alternative realistiche al sistema dominan-


te, sembra proprio che ci siano solo tre modi di reagire a quella
che appare sempre più come una crisi mondiale insolubile. Il
primo modo è quello di tornare alla vecchia concezione religio-
sa per cui la sola via d'uscita è nell'altro mondo, dove, come af-
fermano i nuovi attivisti cristiani o musulmani sciiti, Dio pre-
mierà quelli che hanno ubbidito ai suoi ordini e castigherà quelli
che li hanno contravvenuti. Il secondo modo utilizza forme di
fuga più immediate: il nichilismo, l'indifferenza e la mancanza
di speranza che alimentano la rabbiosa disillusione del punk
rock, gli eccessi istupidenti di droghe, alcol, sesso meccanico, la
decadenza di un avido materialismo e la spietatezza dell'indu-
stria moderna dello «spettacolo», che ricorda sempre più i
cruenti giochi circensi degli ultimi giorni dell'Impero romano.
Il terzo modo è il tentativo di riportare la società a un immagina-
rio passato migliore, ai «bei vecchi tempi», prima che le donne e
gli uomini «inferiori» mettessero in discussione il posto loro as-
segnato nell' «ordine naturale».
Ma secondo il punto di vista che abbiamo sviluppato, basato
su un attento riesame del nostro presente e del nostro passato,
tutta questa disillusione è priva di fondamento. Non tutto è per-
duto, se ci rendiamo conto che non è la natura umana, ma un
modello dominatore della società a spingerci inesorabilmente,
nella nostra era d'alta tecnologia, verso una guerra nucleare.
Non tutto è vano, se capiamo che è questo sistema, e non una
legge divina o naturale inesorabile, a esigere l'uso dei progressi
tecnologici per ottenere mezzi più efficaci di dominio e di di-
struzione, anche se ciò ci porta alla bancarotta mondiale e, alla
fine, alla guerra nucleare. In breve, se osserviamo il nostro pre-
sente nella prospettiva della teoria della Trasformazione Cultu-
rale, risulta evidente che esistono alternative a un sistema che si
fonda sul predominio, sostenuto dalla forza, di una metà dell'u-
manità sull'altra. Appare chiaro anche che la grande trasforma-
zione della società occidentale, iniziata con l'Illuminismo del
XVIII secolo, non è fallita, è solo incompleta.
292 Riane Eisler

La sfida alle premesse androcratiche

Le idee emerse dall'Illuminismo del XVIII secolo sono in-


fatti nuove solo in parte. Affondano le loro radici nel lontano
passato, che abbiamo esaminato nei primi capitoli: sono idee gi-
laniche, più adatte al sistema di organizzazione sociale mutuale
che non a quello dominatore. Durante l'Illuminismo questo tipo
d'idee era riapparso, in forme più moderne, nei salotti intellet-
tuali di donne come Madame du Chatelet e Madame Geoffrin.
Da principio, dopo tanti secoli di disuso o di uso errato, esse
erano poco più che novità, intrattenimento intellettuale per una
piccola élite colta. Ma poi, grazie a migliori tecnologie di comu-
nicazione di massa come la stampa, e, successivamente, l'istru-
zione di massa, queste idee, che non si adattavano a un modello
dominatore della società, cominciarono a replicarsi dappertutto.
L'idea di progresso era una delle prime e più importanti. Per-
ché se l'universo non era un'entità immutabile, controllata da
una divinità onnipotente, come volevano i dogmi religiosi, e se
l' «uomo», dopotutto, non era creato a immagine di Dio, sareb-
bero stati concretamente possibili dei miglioramenti nella natu-
ra, nella società e nell' «uomo». Questo è un argomento di solito
sottolineato da chi sostiene che il grande punto di svolta della
cultura occidentale si verificò con la sostituzione delle idee reli-
giose con quelle laiche. Ma ciò che generalmente s'ignora è che
non si rifiutava la religione, bensì la premessa androcratica che
un ordinamento sociale statico e gerarchico fosse la volontà di
Dio. 3
Quando nel 1737 l' Abbé de Saint-Pierre scrisse il suo Consi-
derazioni sul progresso continuo della ragione umana, espresse,
forse per la prima volta in termini così precisi, l'idea che davan-
ti all'umanità c'è «la prospettiva di una lunghissima vita di pro-
gresso».4 L'idea di vaste possibilità di miglioramento della vita
sociale e individuale su questa Terra, era un assoluto rifiuto del
credo cristiano che il nostro mondo sia una specie di banco di
prova, in cui gli esseri umani, seguendo un piano divino, vengo-
Liberazione: la trasformazione incompleta 293

no addestrati ed educati per la loro destinazione ultima, non su


questa terra, ma nell'aldilà. Dato che non sosteneva più uno sta-
tu quo autoritario ma, al contrario, ideali e aspirazioni umane in
continua evoluzione, l'idea di progresso era alla base di gran
parte dei rinnovamenti legali, sociali ed economici che infatti
ebbero luogo proprio nel XVIII e nel XIX secolo.
Anche due idee complementari, uguaglianza e libertà, rap-
presentarono una rottura fondamentale con l'ideologia andro-
cratica. Nel 1651 Thomas Hobbes aveva scritto nel suo Leviata-
no che «la natura fece gli uomini uguali nelle facoltà del corpo e
della mente [... ] tutto sommato la differenza tra uomo e uomo
non è così notevole, da consentire a chicchessia di esigere dei
privilegi che un altro non possa pretendere con egual diritto». 5
Nel secolo successivo, in Francia Jean-Jacques Rousseau
scriveva che non solo gli «uomini» erano nati uguali e liberi, ma
che ciò costituiva un «diritto naturale» che consentiva loro di
«spezzare le proprie catene», 6 un'idea della realtà che sarebbe
stata alla base della rivoluzione americana e francese. E nello
stesso secolo, in Inghilterra, Mary Wollstonecraft sosteneva che
questo «diritto naturale» appartiene non solo agli uomini ma an-
che alle donne, un concetto fondamentale della rivoluzione fem-
minista tuttora in corso. 7
Nel XIX secolo ci fu poi Auguste Comte, che scrisse sul po-
sitivismo e sulla legge dello sviluppo umano. John Stuart Mill
scrisse che il governo rappresentativo è il più adatto a promuo-
vere auspicabili qualità morali e intellettuali. E Karl Marx, in
parte influenzato dalle prime scoperte dell'era preandrocratica,
auspicò una società senza classi, in cui «il libero sviluppo del
singolo è la condizione per il libero sviluppo di tutti». 8
Ad annullare le molte differenze tra questi moderni filosofi
laici, c'era una comune ipotesi antiandrocratica: in condizioni
sociali appropriate, gli esseri umani potrebbero vivere in armo-
nia, liberi e uguali. In altre parole, pur non esprimendosi in que-
sti termini, ciò che prefiguravano queste donne e questi uomini
era la oossibilità di una società mutuale e non dominatore.
294 Riane Eisler

Il termine «umanità» era sinonimo, allora come oggi, di «uo-


mini», «sesso maschile».* Di conseguenza, nel XVIII e XIX se-
colo, il nuovo patto per i diritti umani era generalmente conside-
rato applicabile solo agli uomini. Infatti, all'inizio riguardava
solamente uomini bianchi, liberi e abbienti. Nondimeno, insie-
me a queste rotture sostanziali con il passato giunsero muta-
menti altrettanto fondamentali delle realtà sociali, che coinvol-
sero profondamente le vite di uomini e donne.
La rivoluzione americana e, successivamente, quella france-
se, sfidarono le istituzioni monarchiche, per tanti secoli un fon-
damento dell'organizzazione sociale androcratica. Nel cuore di
una quantità sempre più grande di persone termini come ugua-
glianza, libertà e progresso sostituirono parole come fedeltà, or-
dine e ubbidienza. Nella maggior parte del mondo occidentale le
repubbliche sostituirono gradualmente le monarchie, e le scuole
laiche quelle religiose. Famiglie meno autocratiche cominciaro-
no a sostituire quelle a rigido dominio maschile, in cui la parola
di padri e mariti, come quella dei re, era la legge assoluta.
Oggi il continuo indebolimento del controllo maschile all'in-
terno della famiglia viene presentato da molti come una causa
del pericoloso declino di quest'ultima. Ma la graduale erosione
dell'autorità assoluta di padre e marito era una premessa indi-
spensabile per tutto il movimento moderno verso una società
più giusta e ugualitaria. Come scrive in The Family and lts Fu-
ture il sociologo Ronald Fletcher, uno dei pochi ad avere ap-
profondito questo punto critico, «Il fatto è che la famiglia mo-
derna è stata creata come parte necessaria di questo processo
più ampio di avvicinamento agli ideali fondamentali della giu-
stizia sociale, nel riordinamento totale della società». 9
Un recente lavoro che getta nuova luce su queste dinamiche
psico-storiche fondamentali, anche se spesso trascurate, è The
Rise ofthe Egalitarian Family di Randolph Trumbach. 10 Egli di-

* Il termine inglese mankind significa sia «genere umano» che «sesso ma-
schile». (N.d. T.)
Liberazione: la trasformazione incompleta 295

mostra che il fatto che la famiglia ugualitaria moderna sia ap-


parsa prima in Inghilterra che sul continente, può essere un fat-
tore determinante per spiegare perché l'Inghilterra, a differenza
di Francia, Russia e Germania, non conobbe violente ribellioni
antimonarchiche nel XVIII e XIX secolo. La sua ricerca dimo-
stra che il crescente potere delle donne nelle famiglie delle clas-
si dominanti inglesi causò importanti cambiamenti negli uomini
che governavano l'Inghilterra. E questi cambiamenti resero co-
storo più pronti ad accettare le riforme sociali, come il passag-
gio a un governo parlamentare, con un re che restava solo come
capo nominale, in netto contrasto con il prolungato dispotismo
dei re russi, tedeschi e francesi.

Le ideologie laiche

Se procediamo nell'analisi della storia moderna secondo la


prospettiva del conflitto fondamentale tra androcrazia e gilania
- le due diverse direzioni della nostra evoluzione culturale -
l'apparizione delle ideologie laiche e progressiste moderne as-
sume un nuovo significato, molto più promettente. Usando i
nuovi strumenti analitici offerti dalla teoria della Trasformazio-
ne Culturale, possiamo capire come la replicazione di idee quali
uguaglianza e libertà porti gradualmente alla formulazione di
nuove concezioni del mondo. Agendo come «attrattori», queste
idee gilaniche sono servite come nuclei per la formazione di
nuovi sistemi di idee, o ideologie, che progressivamente si sono
diffusi nel sistema sociale e, almeno in parte, hanno sostituito il
paradigma androcratico. A poco a poco queste ideologie hanno
messo in discussione un mondo piramidale, retto al vertice da
un Dio maschile, con uomini, donne, bambini, e, da ultimo, il
resto della natura, in un ordine dominatore discendente.
Paradossalmente, una delle prime ideologie progressiste fu
quella forse più criticata dai progressisti del giorno d'oggi: il ca-
pitalismo. Il retroterra ideologico del capitalismo era già stato
296 Riane Eisler

preparato dalla Riforma protestante del XVII secolo. L'etica


protestante, che esaltava virtù mercantili come operosità, suc-
cesso individuale e ricchezza, e, all'opposto, biasimava peccati
commerciali come indolenza, fallimento individuale e povertà,
fu un requisito indispensabile per il sorgere del capitalismo. 11
Ma il capitalismo come ideologia laica emerse soltanto nel
XVIII secolo. Il suo autore principale è unanimemente ricono-
sciuto.12 Adam Smith, antesignano dei cosiddetti filosofi mate-
rialisti. Smith, che fu il primo economista, sosteneva il libero
mercato come elemento fondamentale di una società libera e
prospera.
Distaccandosi radicalmente dalle vecchie concezioni, secon-
do cui la posizione sociale e la ricchezza di un uomo sostanzial-
mente dipendevano dai natali, dal fatto di essere nato nobile, ar-
tigiano o servo, il capitalismo fu in effetti un passo avanti verso
una società più libera. Mise drasticamente in discussione le rigi-
de gerarchie dell'organizzazione sociale più antica, o protoan-
drocratica, in cui gli uomini più forti, violenti e brutali - i guer-
rieri-conquistatori - e i loro discendenti - i nobili e i re -
esercitavano poteri dispotici, giustificati dalle ideologie religio-
se, che li facevano apparire come il volere di Dio.
Il capitalismo, la prima ideologia moderna fondata principal-
mente su una base economica, o materiale, fu dunque una tappa
importante nel passaggio da una società dominatore a una mu-
tuale. Esso ha dato un forte impulso anche a nuove forme politi-
che, socialmente più responsabili, come le monarchie costitu-
zionali e le repubbliche. Sicuramente l'economia capitalista era
di gran lunga preferibile a quella feudale, che si fondava preva-
lentemente sulla violenza: su di una interminabile serie di omi-
cidi e saccheggi da parte di signori e re, nella loro brama appa-
rentemente insaziabile di beni immobili come base del potere.
Ma a causa dell'importanza che attribuiva all'avidità individua-
le, alla competitività, alla cupidigia (lo stimolo del profitto), per
la sua insita struttura gerarchica (la struttura di classe) e il suo
Liberazione: la trasformazione incompleta 297

continuo ricorso alla violenza (per esempio, le guerre coloniali),


il capitalismo rimase sostanzialmente androcratico.
E quel che è peggio, come dichiarano apertamente i suoi
ideologi contemporanei, per esempio George Gilder, il capitali-
smo, come lo conosciamo, si basa sulla supremazia maschile.
Nel suo libro Wealth and Poverty, salutato dal presidente Rea-
gan come una delle opere più importanti sul capitalismo dopo
La ricchezza delle nazioni di Adam Smith, Gilder decanta come
massimo valore economico e sociale precisamente quella che
definisce «la superiore aggressività dell 'uomo». 13
Le ideologie più importanti apparse successivamente furono
il socialismo e il comunismo. I primi teorizzatori di queste ideo-
logie rifiutarono molti degli enunciati androcratici del capitali-
smo. Le opere di «socialisti utopici» come Charles Fourier e il
«socialismo scientifico» di Marx ed Engels furono fattori im-
portantissimi per promuovere l'ideale di uguaglianza, vale a di-
re un'organizzazione sociale basata sull'unione e l'affiliazione,
anziché sulla gerarchizzazione e il dominio. 14 E, nei loro scritti
voluminosi, Marx e Engels riconobbero esplicitamente, anche
se solo incidentalmente, l'importanza critica dell'oppressione
degli uomini sulle donne, che Engels definì la «prima oppres-
sione di classe», o «la storica sconfitta mondiale del sesso fem-
minile».15
Ma mentre in alcune parti del mondo le idee socialiste (come
l'istruzione pubblica gratuita e una graduazione delle imposte)
hanno contribuito a fare ottenere una maggiore equità sociale,
alleviando la spaventosa povertà di milioni di operai e contadi-
ni, anche il comunismo e il socialismo hanno mantenuto forti
componenti androcratiche. Il problema è in parte insito nella
teoria comunista stessa. Il marxismo, arrivato a essere una delle
ideologie più influenti dell'era moderna, non ha abbandonato il
principio androcratico secondo cui il potere si ottiene con la
violenza, come dimostra il celebre motto «il fine giustifica i
mezzi». Un'altra parte del problema è il modo in cui il marxi-
smo venne applicato nella prima nazione che adottò il comuni-
298 Riane Eisler

smo come ideologia ufficiale: l'Unione Sovietica. Marx e En-


gels hanno riconosciuto che una profonda alterazione dei rap-
porti tra uomo e donna in epoca preistorica portò alla società
classista da loro tanto aborrita. Di conseguenza, nei primi anni
della Rivoluzione russa, si fecero alcuni sforzi per parificare la
posizione della donna. Ma, alla fine, il potere rimase agli uomi-
ni e, cosa altrettanto grave, ai valori «maschili». 16
Una delle più istruttive lezioni della storia moderna è senza
dubbio il modo in cui il massiccio regresso nella violenza e nel-
1' autoritarismo sotto Stalin coincise con il ribaltamento delle
precedenti politiche, tese a sostituire le relazioni famigliari pa-
triarcali con un rapporto equo tra uomo e donna. Come avrebbe
fatto notare Trotsky (ma solamente dopo la sua esautorazione e
il suo esilio), il mancato raggiungimento degli obbiettivi della
rivoluzione comunista fu dovuto in gran parte all'insuccesso dei
suoi capi nell'operare un mutamento dei rapporti patriarcali al-
l'interno della famiglia. '7 O, secondo la nostra terminologia, il
fallimento fu dovuto all'incapacità di operare cambiamenti so-
stanziali nei rapporti tra le due metà dell'umanità, che continua-
rono a essere fondate sulla gerarchizzazione e non sull'unione.
Nel corso del XIX e del XX secolo emersero anche altre mo-
derne ideologie umanistiche: abolizionismo, pacifismo, anar-
chia, anticolonialismo, ambientalismo. Ma come nel proverbio
dei ciechi che descrivono un elefante, ognuna di esse presentava
un aspetto del mostro androcratico come la totalità del proble-
ma. Allo stesso tempo, queste ideologie non hanno evidenziato
il fatto che nel cuore del mostro c'era un modello della specie
umana in cui il maschio è dominatore e la donna è dominata.
La sola ideologia che sfida frontalmente questo modello dei
rapporti umani, oltre che quello di gerarchizzazione basata sulla
violenza, è, naturalmente, il femminismo. Per questo motivo es-
so occupa una posizione unica sia nella storia moderna che in
quella dell'evoluzione culturale.
Considerato nella più ampia prospettiva dell'evoluzione cul-
turale che abbiamo delineato nei capitoli precedenti, il femmini-
Liberazione: la trasformazione incompleta 299

smo non è affatto una ideologia nuova. Mentre l'idea di affilia-


zione o di unione con altri esseri umani nei sistemi androcratici
si può manifestare solo a parole, nel corso dei millenni dell'evo-
luzione culturale essa si espresse concretamente in società più
pacifiche e ugualitarie. E lungo tutto il corso della storia, nel-
l'antica Grecia e a Roma, nell'era dei trovatori e in quella elisa-
bettiana, nel Rinascimento e nell'Illuminismo, si è spesso ripro-
posta, come la definirono Marx ed Engels, la «questione della
donna».
Ma come ideologia moderna, il femminismo non apparve
che nella metà del XIX secolo. Nonostante molte delle sue basi
filosofiche siano già state discusse in precedenza da donne co-
me Mary Wollstonecraft, Frances Wright, Ernestine Rose,
George Sand, Sarah e Angelina Grimké e Margaret Fuller, la
sua data di nascita ufficiale è il 19 luglio 1848, a Seneca Falls,
nello Stato di New York. 18 Qui, nella prima riunione della storia
tenuta per promuovere una lotta collettiva delle donne contro la
sottomissione e la degradazione, Elizabeth Cady Stanton fece
una affermazione fondamentale. «Tra le molte questioni impor-
tanti che sono state sottoposte al pubblico», dice la Stanton,
«nessuna riguarda così da vicino l'umanità come quella che tec-
nicamente viene definita dei 'Diritti delle Donne' .» 19
Sebbene la crescente espressione di questa affermazione og-
gi sfidi il nostro sistema con un'autorità e una forza senza prece-
denti, il femminismo è ancora visto da molti come «solo un pro-
blema delle donne». Di conseguenza, siccome il femminismo
continua a essere tenuto separato dalla tendenza ideologica pre-
valente, le altre ideologie progressiste, dal centro alla sinistra,
continuano a essere piene d'incongruenze.
Per contro, in un quarto gruppo di ideologie moderne queste
complicazioni non esistono, non ci si pone il problema di spinte
contraddittorie in avanti e all'indietro. Sono le ideologie, ine-
quivocabilmente e sfacciatamente androcratiche, che hanno co-
minciato a svilupparsi nel XIX e XX secolo grazie alle opere di
300 Riane Eisler

uomini come Edmund Burke, Arthur Schopenhauer e Friedrich


Nietzsche. 20
Nietzsche, la cui filosofia reidealizza l 'androcrazia primitiva,
o protoandrocrazia, è tuttora molto citato e ammirato. Egli di-
chiarò apertamente, senza alcuna remora o ipocrisia, che, così
come gli uomini devono dominare le donne, alcuni uomini «pre-
scelti dalla natura», «socialmente puri», dovevano dominare il
resto dell'umanità. Per Nietzsche la religione era una forma di
superstizione vile e deplorevole, ed egli diede un fondamento
strettamente «razionale», non religioso, alla sua opposizione a
idee «degenerate» ed «effeminate» come uguaglianza, democra-
zia, socialismo, emancipazione della donna e umanitarismo. 21
La filosofia di Nietzsche, secondo cui i «nobili e i potenti
possono agire verso persone di rango inferiore come loro me-
glio aggrada», precorre il fascismo moderno. Nietzsche rivalutò
i miti indoeuropei, e disprezzò la tradizione giudeo-cristiana in
quanto non abbastanza androcratica; essa infatti esprimeva quel-
la che il filosofo definì una «morale succube» ed «effeminata»:
idee come «altruismo», «carità», «benevolenza» e «amore per il
prossimo». L'ordine morale ideale per Nietzsche era un mondo
in cui soltanto i «sovrani» determinavano cos'è il «bene», ed
eroi «superuomini» combattevano guerre gloriose, come nei
«nobili» giorni dei guerrieri ariani o indoeuropei. Era un mondo
dominato da uomini che dicono «mi piace, me lo piglio», che
sanno come «tenere a bada una donna, punirla e piegarne l' inso-
lenza», e a cui i deboli «si sottomettono volontariamente [... ] e
stanno per natura al loro posto». In breve, era un mondo molto
simile a quello immaginato nel documento neoandrocratico per
eccellenza del XX secolo, Mein Kampf di Hitler. 22

Il modello dominatore dei rapporti umani

Chi non ha smesso di nutrire la speranza che il genere umano


possa proseguire la sua evoluzione culturale, deplora vivamente
Liberazione: la trasformazione incompleta 301

l'attuale ritorno del fascismo e di altre ideologie di destra. Co-


storo notano con preoccupazione che le ideologie di destra im-
porrebbero un nuovo autoritarismo, e ci riporterebbero in un'e-
poca d'ingiustizia e disuguaglianza ancora più marcate. Si
preoccupano in particolar modo del militarismo della destra e
dei neofascisti, della loro idealizzazione della violenza, dello
spargimento di sangue e della guerra, e riconoscono il pericolo
incombente che questo modo di pensare costituisce per la nostra
sicurezza e per la nostra sopravvivenza. Ma esiste un terzo
aspetto dell'ideologia di destra che viene notato di rado: i suoi
sostenitori, dalla Action Française degli inizi del XX secolo al-
1' attuale Destra Americana, non solo accettano, ma riconoscono
apertamente i rapporti di sistema tra dominio maschile, guerra e
autoritarismo. 23
Se riesaminiamo obiettivamente i regimi politici moderni, ci
rendiamo conto che, non a caso, un rigido dominio maschile,
accompagnato da una prevalenza dei valori «maschili», ha con-
traddistinto alcune tra le dittature più violente e repressive. Era
il caso della Germania di Hitler, della Spagna di Franco, dell'I-
talia di Mussolini. Regimi repressivi come quelli di Idi Amin in
Africa, Zia-ul-Haq in Pakistan, Trujillo nelle Indie occidentali e
Ceausescu in Romania costituiscono un ulteriore esempio. 24
È estremamente istruttivo (e motivo di riflessione) quanto
accade nella «culla della democrazia moderna»: quella stessa
amministrazione degli Stati Uniti che, ritenendosi al di sopra
della legge, fomenta segretamente guerre e sperpera la ricchez-
za della comunità nel più alto bilancio per spese militari della
storia americana, si oppone all'emendamento costituzionale
che garantirebbe alle donne l'uguaglianza legale, e ne appoggia
invece uno che priva le donne della libertà di scelta riprodutti-
va. Inoltre, se osserviamo da vicino le due ideologie religiose
più sfacciatamente neoandrocratiche, quella dei predicatori fon-
damentalisti americani come Jerry Falwell (buon amico e consi-
gliere spirituale dell'ex presidente Reagan) e quella dell' Ayatol-
lah Khomeini in Iran, il collegamento tra violenza istituziona-
302 Riane Eisler

lizzata, repressione delle donne e soffocamento della libertà ri-


sulta ancor più evidente.
In America Jerry Falwell ha predicato a milioni di spettatori
televisivi che Dio è contrario all'emendamento per la parità dei
diritti. Il suo schierarsi contro il diritto di parola, di scelta ripro-
duttiva, di culto secondo coscienza, ha costituito una minaccia
per la libertà. E con il suo sostegno a un'America più «forte» e
militarista, al governo brutalmente repressivo del Sud Africa, ad
altri regimi che uccidono e torturano la propria gente, con armi
fornite da «leader americani timorati di Dio», ha posto sulla vio-
lenza il suggello della volontà di Dio. In questo modo i vari
Falwell del cristianesimo androcratico hanno dimostrato la loro
«riconoscente» accettazione del collegamento tra dominio ma-
schile, autoritarismo e violenza maschile.
Anche l'Ayatollah Khomeini ha dimostrato di riconoscere
questi collegamenti, istituendo l'obbligo del chador, l'abito che
ricopre da capo a piedi le donne musulmane tradizionaliste, co-
me simbolo di un ritorno dell'Iran a un'androcrazia teocratica,
capeggiata dallo stesso Khomeini e dai suoi mullah. 25 Se la os-
serviamo secondo il punto di vista della teoria della Trasforma-
zione Culturale, la cosiddetta rinascita islamica è di fatto una re-
crudescenza del sistema androcratico, che si oppone con
violenza alla forte pressione gilanica dei tempi moderni.
L'Ayatollah Khomeini inizialmente fu espulso dall'Iran dopo
che guidò due giorni di rivolta per protestare contro un tratta-
mento più equo verso le donne. Al suo ritorno uno dei primi atti
ufficiali fu l'abrogazione della legge per la Protezione della fa-
miglia, del 1967, che concedeva alle donne una maggiore parità
di diritti per quanto riguarda divorzio, matrimonio ed eredità;
esortò inoltre i suoi seguaci a fare ripristinare il velo. 26 Contem-
poraneamente, vennero rapidamente imposte nuove leggi rigide,
che separavano i sessi nelle scuole e sulle spiagge, e abbassava-
no a tredici anni l'età minima del matrimonio per le ragazze. 27
Secondo il nuovo ordine «morale» di Khomeini, che ammet-
teva, o meglio, ordinava di prendere in ostaggio con la forza dei
Liberazione: la trasformazione incompleta 303

diplomatici americani, e scaraventava l'Iran in una «guerra san-


ta» contro l'Iraq, qualsiasi disubbidienza agli uomini ora al po-
tere veniva dichiarata un crimine contro l'Islam, punibile con il
carcere, la tortura, addirittura con la morte. Non era tollerata né
la libertà di parola né quella di stampa. Ogni tentativo di creare
un partito rivale veniva tacciato d'eresia. 28 E per il crimine di as-
sociazione femminile e di professare una fede che incoraggia
l'uguaglianza tra uomo e donna, nel 1983 dieci donne Baha'i, *
tra cui la prima dottoressa in fisica iraniana, una pianista con-
certista, un'infermiera e tre studentesse minorenni, vennero giu-
stiziate pubblicamente. 29
Insomma, chi vorrebbe reimporre un governo dispotico sia
sugli uomini sia sulle donne, considera come obiettivi principali
i cosiddetti problemi delle donne, per esempio la libertà di scel-
ta riproduttiva e la parità di diritti di fronte alla legge. Infatti, se
osserviamo le azioni degli uomini di destra, dalla Nuova Destra
Americana ai suoi corrispettivi religiosi sia in Occidente che in
Oriente, ci rendiamo conto che per costoro il ritorno delle donne
al loro tradizionale ruolo sottomesso è una priorità assoluta. 30
Tuttavia, ironicamente, per la maggioranza di coloro che
s'impegnano per ideali come progresso, uguaglianza e pace, il
rapporto tra i «problemi delle donne» e il raggiungimento delle
mete progressiste resta invisibile. Per liberali, socialisti, comu-
nisti e altre forze, dal centro alla sinistra, la liberazione delle
donne è un obiettivo secondario o marginale, da affrontare, se
proprio si deve, dopo avere risolto i problemi «più importanti»
che affliggono il nostro mondo.
Buona parte della confusione ideologica contemporanea e
del modo di procedere della cultura «un passo avanti e due in-
dietro», si può addebitare all'incapacità dei progressisti di com-
prendere l'impossibilità logica della creazione di una società

* Il culto Baha'i, fondato in Iran nel XIX secolo da Bahaullah Mirza Ho-
sein Ali Nuri, propone una forma d'islamismo moderato ed ecumenista. La
setta ha subìto persecuzioni fin dalla sua nascita. (N.d. T.)
304 Riane Eisler

giusta ed equa, fintantoché resta saldo un modello dei rapporti


umani dominatore-dominato. Fino a quando non riusciremo a
renderci conto della contraddizione tra una società ugualitaria e
una disuguaglianza tra le due metà dell'umanità, sarà come se
fossimo privi della ragione. Viene in mente la favola di Hans
Christian Andersen: un imperatore non aveva vestiti, ma soltan-
to un bambino piccolo, ancora privo d'istruzione, riusciva ad ac-
corgersi della sua nudità. Poiché siamo stati istruiti secondo le
concezioni della realtà necessarie a conservare il sistema preva-
lente, persino la grande potenza logica delle nostre menti trova
difficoltà a fare il collegamento, apparentemente lampante, tra
un modello dominatore dei rapporti umani e un modello domi-
natore della società.
I due tipi fondamentali dell'umanità sono il maschile e il
femminile. Il modo in cui si struttura il rapporto tra uomini e
donne è dunque un modello fondamentale per le relazioni uma-
ne. Di conseguenza, un modo dominatore-dominato di rappor-
tarsi agli altri esseri umani viene interiorizzato fin dalla nascita
da ogni bambino allevato in una famiglia tradizionale, a domi-
nio maschile. 31
Nel caso del razzismo, questo modello dei rapporti umani
viene esteso dai membri di un sesso diverso a quelli di una razza
diversa. Nel fenomeno collaterale del colonialismo, il modello si
estende ulteriormente ai membri di una nazione differente (gene-
ralmente anche di razza diversa). È un modello che, nel corso
della storia, si è prestato alla razionalizzazione di ogni possibile
variazione sul tema dello sfruttamento economico e sociale.

Avanti o indietro?

Se ci lasciamo alle spalle le vecchie etichette ideologiche che


contrappongono democratico e conservatore, religioso e laico,
destra e sinistra, la storia moderna diventa per molti versi note-
volmente più chiara. Le moderne ideologie progressiste posso-
Liberazione: la trasformazione incompleta 305

no essere considerate parte di una ribellione crescente e duratu-


ra all' androcrazia.
Anche le rivolte prima di cittadini, operai e contadini (labor-
ghesia e il proletariato di Marx), poi degli schiavi neri, delle co-
lonie e delle donne, fanno parte di questo movimento, ancora in
evoluzione, per sostituire la gilania all' androcrazia. Tutte queste
ribellioni di massa furono, e sono, rivolte essenzialmente contro
un sistema in cui la gerarchizzazione è il principio fondamenta-
le dell'organizzazione sociale.
Ma, fino a oggi, la sfida ideologica all'androcrazia è stata
frammentaria. L'ideologia di destra, o neoandrocratica, offre
una visione internamente coerente e onnicomprensiva, sia della
vita privata che di quella pubblica. Invece, il femminismo è l'u-
nica ideologia progressista a evitare l'incoerenza interna, appli-
cando princìpi come uguaglianza e libertà all'umanità intera,
non soltanto alla metà maschile. Solo il femminismo prevede un
riordinamento dell'istituzione sociale fondamentale: la fami-
glia. E solo il femminismo fa un esplicito collegamento di siste-
mi tra la violenza maschile dello stupro e delle percosse alla
moglie e la violenza maschile della guerra. 32
Per il nostro attuale sistema ideologico, il femminismo può
essere considerato un potente attrattore. Quando era ancora ai
margini del sistema, durante il XIX e XX secolo, il femminismo
ha avuto la funzione di attrattore periodico, e ha guidato il mo-
vimento intellettuale verso una visione del mondo in cui non si
sottovalutano più le donne e la femminilità. Ma nel nostro perio-
do di crescente squilibrio di sistema, il femminismo potrebbe
diventare il nucleo per una ideologia gilanica nuova e piena-
mente integrata. Incorporando allo stesso tempo gli elementi
umanistici delle nostre ideologie religiose e di quelle laiche,
questa moderna visione del mondo gilanica potrebbe, a lungo
termine, fornire quell'ideologia internamente coerente e unifi-
cante, necessaria per sostituire una società dominatore con una
mutuale.
Esiste già una tendenza verso una ideologia di questo tipo.
306 Riane Eisler

Per esempio, al New Paradigm Symposium del 1985, patrocina-


to dallo Elmwood lnstitute di Fritjof Capra, il pensiero del nuo-
vo paradigma è stato esplicitamente definito «postpatriarcale», e
la nuova epistemologia è stata vista come una rappresentazione
del «passaggio dal dominio e dal controllo sulla natura, alla
cooperazione e alla non violenza». 33 Anche futurologi maschi
come Robert Jungk, David Loye e John Platt riconoscono il nes-
so tra uguaglianza per le donne e pace. 34
La Dichiarazione del 1985 della Casa della giustizia univer-
sale Baha'i, presentata ai capi di Stato di tutto il mondo, ricono-
sce espressamente che «il raggiungimento di una piena ugua-
glianza tra i sessi» è un requisito indispensabile per la pace nel
mondo. 35
Filosofe e attiviste femministe di tutto il mondo hanno invo-
cato una nuova etica, sia per l'uomo che per la donna, basata su
valori «femminili» come non violenza e solidarietà: donne come
Wilma Scott Heide, Helen Caldicott, Betty Friedan, Alva Myr-
dal, Elise Boulding, Fran Hosken, Hikka Pietila, Charlene Spret-
nak, Celina Garcia, Gloria Steinem, Dame Nita Barrow, Patricia
Ellsberg, Patricia Mische, Barbara Deming, Mara Keller, Bella
Abzug, Pam McAllister, Allie Hixson e Elizabeth Dodson-
Gray.36 E innumerevoli artiste, scrittrici, teologhe e scienziate
femministe stanno producendo nuove teorie e nuove immagini
adatte a un mondo mutuale e non dominatore: Jessie Bernard,
Carol Christ, Abida Khanum, Susan Griffin, Karen Sacks, Judith
Plaskow, June Brindel, Gita Sen, Rosemary Radford Ruether,
Dale Spender, Nawal El Saadawi, Jean O'Barr, Betty Reardon,
Starhawk, Paula Gunn Alleo, Carol Gilligan, Charlotte Bunche,
Judy Chicago, Mayumi Oda, Alice Walker, Margaret Atwood,
Georgia O'Keeffe, Peggy Sanday, Holly Near, Ursula Le Guin,
E.M. Broner, Marge Piercy, Ellen Marie Chen e Alix Kates
Shulman, per citarne solo alcune. 37
Ci sono anche tentativi di fondare movimenti politici sostan-
zialmente gilanici, basati sull'unione e non sulla gerarchizzazio-
ne. Per esempio, l'idea di Petra Kelly di un partito ecologista-
Liberazione: la trasformazione incompleta 307

femminista-pacifista ha dato un forte impulso al partito dei Ver-


di tedesco. 38 E la Citizen 's Party Platform di Sonia Johnson per
le elezioni presidenziali americane del 1985 ha dichiarato espli-
citamente la centralità del femminismo per qualunque muta-
mento sociale, economico e politico di rilievo.
Si tratta di passi verso una re-visione della realtà pienamente
integrata e coerente, necessaria per realizzare concretamente
una società mutuale. Anche se di solito non ce ne rendiamo con-
to, la maggior parte delle realtà sociali, scuole, ospedali, borse
valori, partiti politici, chiese, sono realizzazioni di idee che un
tempo esistevano soltanto nella mente di alcune persone. Lo
stesso vale per l'abolizione della schiavitù, i 1 passaggio dalle
monarchie alle repubbliche e per ogni progresso che abbiamo
fatto negli ultimi secoli. 39 Persino le realtà fisiche, tavoli, libri,
vasi, aeroplani, violini, sono realizzazioni di idee umane. Ma,
per trasformare nuove idee in nuove realtà, serve non solo un lu-
cido intuito, ma anche la possibilità di cambiare le vecchie
realtà.
Il fermento della nostra epoca, un periodo di cambiamenti
tecnologici senza precedenti, offre l'opportunità di un mutamen-
to sociale, e, potenzialmente, di una fondamentale trasformazio-
ne della società. Come possiamo vedere tutti intorno a noi, un ra-
pido mutamento tecnologico crea instabilità sociale. E, come
dimostra la teoria della trasformazione, quando si verificano stati
d'instabilità può effettuarsi un cambiamento di sistema.
Le rivolte moderne di uomini e donne contro una società do-
minatore si sono verificate parallelamente a grandi progressi
tecnologici. Inoltre, ogni importante cambiamento tecnologico
ha stimolato la spinta gilanica, costringendo uomini e donne a
un mutamento di ruoli. Oggi anche la natura sembra ribellarsi
contro l' androcrazia: con l'erosione del terreno, l'esaurimento
delle risorse, le piogge acide e l'inquinamento ambientale. Ma
questa ribellione della natura non è, come talora si sostiene, una
ribellione contro la tecnologia. Semmai, è una reazione agli im-
pieghi depauperanti e distruttivi che si fanno della tecnologia in
308 Riane Eisler

una società dominatore, ove l'uomo deve continuare a conqui-


stare: la natura, le donne, altri uomini.
Si dice che la tecnologia moderna sia un pericolo non solo
per la nostra evoluzione culturale, ma anche per quella biologi-
ca. Fino a che prevale l' androcrazia, la tecnologia avanzata co-
stituisce veramente una grande minaccia per la nostra sopravvi-
venza. Tuttavia anche questa minaccia dà un ulteriore impulso a
una radicale trasformazione dei sistemi.
A questo livello base, l'attuale spinta gilanica può essere
considerata un processo d'adattamento, causato dall'istinto di
sopravvivenza della nostra specie. Come analizzeremo nel capi-
tolo seguente, è sempre più evidente che il sistema prevalente si
sta rapidamente avvicinando al suo logico termine evolutivo, il
capolinea di una svolta androcratica durata cinquemila anni. Ci
può attendere un massacro finale, causato dai violenti sforzi di
questo sistema morente per mantenere il suo dominio. Ma gli
spasmi dell'agonia dell' androcrazia potrebbero anche essere le
doglie del parto della gilania, l'apertura di una porta verso un
nuovo futuro.

Note

I. Henry Aiken, The Age of ldeology, Mentor, New York 1956.


2. Alvin Toffler, The Third Wave, Bantam, New York 1980 (trad. it. la ter-
za ondata, Sperling & Kupfer, Milano 1987).
3. Riane Eisler e David Loye, Breaking Free, in preparazione.
4. Abbé de Saint-Pierre, citato in Mary Beard, Woman as a Force in Hi-
story, McMillan, New York 1946, p. 330.
5. lbid., p. 150. I Levellers [Egualitari], una setta che sosteneva la rivolu-
zione di Cromwell, che rovesciò la monarchia inglese nel 1649, sostenevano
anche che «per natura tutti gli uomini nascono predisposti alla proprietà, al-
l'indipendenza e alla libertà[ ... ] ogni uomo è per natura re, sacerdote e profe-
ta, nel suo ambiente e nei suoi limiti».
6. Jean-Jacques Rousseau, Il contratto sociale, trad. it. Feltrinelli, Milano
2003.
7. Mary Wollstonecraft, «A Vindication of the Rights of Woman», in Mi-
riam Schneir (a cura di), Feminism: The Essential Historical Writings, Vintage
Books, New York 1972, pp. 6-16.
8. Su Comte, si veda H. Aiken, op. cit., p. 128. Su Mili e Marx si veda Al-
Liberazione: la trasformazione incompleta 309

burey Castell, An lntroduction to Modem Phylosophy, McMillan, New York


1946, pp. 455, 535.
9. Ronald Fletcher, «The Making of the Modem Family», in Katherine
Elliott (a cura di), The Family and lts Future, J. & A Churchill, Londra 1970,
p. 183.
10. Randolph Trumbach, The Rise of the Egalitarian Family: Androcratic
Kinship and Domestic Relations, Academic Press, New York 1978 (trad. it.
La nascita dellafamiglia egualitaria, Il mulino, Bologna 1982).
11. Si veda, per esempio, Max Weber, L'etica protestante e lo spirito del
capitalismo, trad. it. Rizzoli, Milano 2003; e R.H. Tawney, Religion and the
Rise of Capitalism, Harcourt Brace, New York 1926 (trad. it. La religione e la
genesi del capitalismo, Feltrinelli, Milano 1977).
12. Si veda, per esempio, Robert Heilbroner, The Worldly Philosophers,
Penguin Books, Harmondsworth 1983.
13. George Gilder, Wealth and Poverty, Basic Books, New York 1981
(trad. it. Ricchezza e povertà, Longanesi, Milano 1982).
14. Si veda il capitolo su Saint-Simon in Timothy Raison (a cura di), The
Founding Fathers of Sociology, Penguin Books, Bai timore 1969; l'analisi di
Charles Fourier in R. Heilbroner, op. cit.; Karl Marx, li Capitale, trad. it. UTET,
Torino 1980.
15. Friedrich Engels, L'origine della famiglia, della proprietà privata e
dello Stato, trad. it. Editori Riuniti, Roma 2005.
16. Sheila Rowbotham, Women, Resistance, and Revolution, Vintage, New
York 1974 (trad. it. Donne, resistenza e rivoluzione, Einaudi, Torino 1977);
Kate Millett, Sexual Politics, Doubleday, New York 1970 (trad. it. La politica
del sesso, Bompiani, Milano 1979); Riane Eisler e David Loye, <<The «Failu-
re» of Liberalism: a Reassessment of Ideology from a New Feminine-Mascu-
line Perspective)), in Politica/ Psychology, 1983, n. 4, pp. 375-91; R. Eisler e
D. Loye, Breaking Free, cit.
17. Lev Trockij, The Revolution Betrayed, trad. ingl. di Max Eastman, Me-
rit, New York 1965. Trockij fa notare che «non si può 'abolire' la famiglia, bi-
sogna sostituirla» (p. 145).
18. Si veda, per esempio, Dale Spender (a cura di), Feminist Theorists:
Three Centuries of Key Woman Thinkers, The Women's Press, Londra 1983;
M. Schneir (a cura di), op. cit.
19. Ellen Caro! Du Bois (a cura di), Elizabeth Cady Stanton, Susan B.
Anthony: Correspondence, Writings, Speeches, Schocken, New York 1981, p.
29.
20. Si veda A. Castell, op. cit., pp. 421-52, 123-41, 321-36.
21. lbid., p. 340.
22. lbid. Le citazioni di Nietzsche sono (nell'ordine) dalle pp. 358-59,
352, 353; Adolf Hitler, Mein Kampf La mia battaglia, trad. it. Sentinella d'I-
talia, Monfalcone 1990.
23. Si veda, per esempio, Bertram Gross, Friendly Fascism, South End
Press, Boston 1980; Liberty, luglio-agosto 1984, n. 79, e novembre-dicembre
1985, n. 80; Eugene Weber, The Nationaltist Revival in France: 1905-1914,
U niversity of California Press, Berkeley and Los Angeles 1959; Riane Eisler,
310 Riane Eisler

«Human Rights: The Unfinished Struggle», in lnternational Journal of Wo-


men 's Studies, settembre-ottobre 1983, n. 6, pp. 326-35; Id., «The Human Life
Amendment and the Future of Human Life», in The Humanist, novembre-di-
cembre 1981, n. 41, pp. 13-9; Alan Crawford, Thunder on the Right, Pantheon
Books, New York 1980.
24. Si veda, per esempio, Riane Eisler, «Women's Rights and Human Ri-
ghts», in The Humanist, novembre-dicembre 1980, n. 40, pp. 4-9; R. Eisler e
D. Loye, «The 'Failure' of Liberalism», cit.; Edward L. Ericson, American
Freedom and the Radical Right, Frederick Ungar, New York 1982. Si veda an-
che Liberty, luglio-agosto 1984, n. 79.
25. Fred Brenner, «Khomeini 's Dream of an Islamic Republic», in Liberty,
luglio-agosto 1979, n. 74, pp. 11-3.
26. /bid., p. 12.
27. Atlas World Press Review, settembre 1979.
28. F. Brenner, art. cit.
29. Women 's lnternational Network News, autunno 1983, n. 9, p. 42. Que-
ste donne non sono le prime Baha'i a morire per la loro fede, che sostiene l'u-
guaglianza di uomini e donne. Tahiri, una delle prime discepole del Bab (il
fondatore della fede Baha'i), andò alla morte proclamando: «Potete uccidermi
anche subito, ma non potete arrestare l'emancipazione delle donne» (citato in
John Huddleston, The Earth is But One Country, Baha'i Publishing Trust,
Londra 1976, p. 154).
30. Questo punto verrà approfondito in R. Eisler e D. Loye, Breaking Free.
Si veda anche sopra, note 23 e 24.
31. Questo vale sia per gli uomini che per le donne, cosicché le donne non
solo accetteranno la loro sottomissione, ma sosterranno anche gli atti di vio-
lenza verso il prossimo degli uomini. Questo punto verrà analizzato in R. Ei-
sler e D. Loye, Breaking Free.
32. Si veda, per esempio, Wilma Scott Heide, Feminismfor the Health of
/t, Margaretdaughters Press, Buffalo 1985; Mary Daly, Gyn/Ecology: The Me-
taethics of Radical Feminism, The Women's Press, Londra 1991; Adrienne Ri-
ch, OJWoman Born, Bantam, New York 1976 (trad. it. Nato di donna, Garzan-
ti, Milano 2000); Sonia Johnson, From Housewife to Heretic, Anchor
Doubleday, Garden City, NY 1983. Breaking Free, di Riane Eisler e David
Loye, analizza approfonditamente le dinamiche del rapporto tra guerra e do-
minio maschile, con un particolare riguardo per la storia contemporanea. Oc-
corre qui far notare la distinzione tra società bellicose e tempo di guerra. Che
la condizione delle donne tenda a essere bassa nelle società bellicose non im-
plica necessariamente un suo deterioramento durante i periodi di guerra. Anzi,
ci sono alcune situazioni in cui l'assenza degli uomini per la guerra produce
un temporaneo miglioramento della condizione delle donne, che riescono ad
avere l'opportunità di dedicarsi ad alcune delle tanto stimate «cose da uomi-
ni». Ciò si verificò, per esempio, in alcune zone dell'Europa feudale, quando
gli uomini partirono per le Crociate, e in alcune zone degli Stati Uniti durante
la seconda guerra mondiale. Ma il problema è che la maggiore indipendenza e
il miglioramento della condizione delle donne sono solo provvisorie. Poiché i
valori «femminili» come compassione, gentilezza e non violenza non vengono
Liberazione: la trasformazione incompleta 311

apprezzati maggiormente, quando gli uomini ritornano le donne vengono nuo-


vamente relegate alle «cose da donne» e alla sottomissione, e il sistema conti-
nua a essere a dominio maschile e bellicoso
33. New Paradigm Symposium, Esalen Institute, Big Sur, California, 29
novembre-4 dicembre 1985.
34. Si veda, per esempio, John Platt, «Women's Roles and the Great World
Transformation», in Futures, ottobre 1975, n. 7; David Loye, «Men at the
U.N. Women's Conference», in The Humanist, novembre-dicembre 1985, n.
45. Robert Jungk, uno dei «padri» del movimento pacifista europeo, ha inco-
raggiato caldamente una maggiore partecipazione delle donne in politica, rico-
noscendo che questa è una delle condizioni indispensabili alla pace.
35. The Promise ofWorld Peace, Baha'i World Center, Haifa 1985, pp. 11-
2 (trad. it. La promessa della pace mondiale I Dichiarazione della Casa Uni-
versale di Giustizia, Baha'i d'Italia, Vago di Lavagno, La grafica 1989).
36. Si veda, per esempio, W. Scott Heide, op. cit.; Fran Hosken, The Ho-
sken Report: Genital and Sexual Mutilation of Females, Women's Internatio-
nal Network News, Lexington, MA 1979; Helen Caldicott, Nuclear Madness,
Bantam Books, New York 1980 (trad. it. La follia nucleare, Red-Studio reda-
zionale, Como 1981 ); Pam McAllister (a cura di), Reweaving the Web of Life:
Feminism and Nonviolence, New Society Publishers, Filadelfia 1982; Charle-
ne Spretnak (a cura di), The Politics of Women 's Spirituality, Doubleday An-
chor, New York 1982; Elizabeth Dodson-Gray, Green Paradise Lost, Roundta-
ble Press, Wellesley, MA 1979; Hikka Pietila, Tomorrow Begins Today,
1coA/1s1s Workshop, in Forum, Nairobi 1985.
37. Si veda, per esempio, Abida Khanum, The Black-Eyed Houri: Women
in the Moslem World (in preparazione); Susan Griffin, Women in Nature, Har-
per Colophon Books, New York 1978; Paula Gunn Allen, The Woman Who
Owned the Shadows, Spinster's Ink, San Francisco 1983; Jean O'Barr, Third
World Women: Factors in Their Changing Status, Duke University Center for
International Studies, Durham, NC 1976; Judy Chicago, The Dinner Party,
Doubleday, Garden City, NY 1979; Alice Walker, The Color Purple, Harcourt
Brace Jovanovich, New York 1982 (trad. it. Il colore viola, Frassinelli, Milano
1996); Rosemary Radford Ruether (a cura di), Religion and Sexism: lmages of
Women in Jewish and Christian Tradition, Simon & Schuster, New York 1974;
Evelyn Fox Keller, A Feeling for the Organism: the Life and Work of Barbara
McClintock, W.H. Freeman, San Francisco 1983 (trad. it. In sintonia con l' or-
ganismo: la vita e l'opera di Barbara McClintock, La Salamandra, Milano
1987).
38. Un eccellente lavoro su questo tema è Fritjof Capra e Charlene Spret-
nak, Green Politics, Dutton, New York 1984 (trad. it. La politica dei verdi,
Feltrinelli, Milano 1986).
39. Come fa notare il futurologo Stuart Conger, così come carta e penna,
calessi e aeroplani, pallottollieri e computer sono invenzioni tecnologiche, an-
che le istituzioni che diamo per scontate, come tribunali, scuole e chiese, sono
invenzioni sociali. Sono tutti prodotti della mente umana (Socia/ lnventions,
Saskatchewan Newstart Incorporated, Prince Albert, Saskatchewan 1970).
12
Il crollo dell'evoluzione:
un futuro dominatore

Quello che una volta sembrava solamente uno scenario da


fantascienza per il nostro futuro, oggi è una possibilità reale: la
terra, dopo l'autodistruzione dell'umanità in una guerra nuclea-
re, sarà dominata dagli scarafaggi, una delle poche forme di vita
immuni alle radiazioni. Se ciò succedesse, sarebbe un degno fi-
nale per l'androcrazia, e uno scherzo crudele dell'evoluzione a
nostro danno. Il sistema che arrestò la nostra evoluzione cultura-
le riuscirebbe finalmente a produrre il tipo di creature per cui è
più adatto: insetti anziché esseri umani.
Nel suo libro innovativo The Human Use of Human Beings,
Norbert Wiener fa notare che l'organizzazione rigidamente ge-
rarchica degli insetti sociali, come formiche e api, è perfetta-
mente adeguata a queste forme di vita meno evolute. 1 I corpi de-
gli insetti, osserva Wiener, sono imprigionati in scheletri esterni
rigidi, o gusci. Anche le loro menti sono imprigionate in piccoli
cervelli, con poco spazio per l'immagazzinamento della memo-
ria o per una elaborazione complessa dell'informazione, che è la
base dell'apprendimento. Perciò un'organizzazione sociale in
cui ogni membro svolga un compito strettamente limitato e pre-
determinato, e i sessi siano rigidamente specializzati, è adatta
agli insetti sociali come api e formiche. In queste specie l'unico
compito dell'ape o della formica regina è di fare le uova. Il solo
314 Riane Eisler

compito del fuco è la fecondazione. E le api o le formiche ope-


raie, come suggerisce il nome, non fanno altro che eseguire un
lavoro non-riproduttivo, si occupano della nutrizione e dell'al-
loggio della colonia d'insetti.
Gli esseri umani, al contrario, sono le forme di vita con la
struttura fisica più adattabile e meno specializzata. Sia gli uomini
che le donne possiedono la posizione eretta, che consente alle lo-
ro mani di creare e usare attrezzi. Entrambi i sessi hanno cervelli
estremamente evoluti, con un'immensa capacità di memoria e
una straordinaria capacità di elaborazione dell'informazione, il
che li rende creature adattabili, versatili, in breve, umane. 2
Quindi, mentre una rigida struttura gerarchica come l' andro-
crazia, che imprigiona le due metà dell'umanità in ruoli fissi e
circoscritti, è perfettamente adatta per specie dalle capacità li-
mitate come gli insetti sociali, è del tutto inadatta per gli esseri
umani. 3 Anzi, allo stadio attuale della nostra evoluzione tecnolo-
gica, può essere addirittura letale.

I problemi insolubili

Il libro di Wiener sui processi cibernetici è stato un precurso-


re del nuovo modo dinamico di comprendere il mondo, che oggi
viene proposto dalle scienze naturali. Nel suo lavoro lo studioso
ha sottolineato che ciò che dà alla nostra specie la sua superio-
rità evolutiva è la nostra capacità immensamente maggiore di
cambiare il nostro comportamento reagendo a ciò che egli ha
definito feedback: uno scambio di informazioni tra i dati sulla
efficacia o mancanza di efficacia di un comportamento passato e
i nuovi dati sulle condizioni attuali. 4
Inoltre, dice Wiener, abbiamo un altro vantaggio evolutivo, in
quanto possiamo cambiare il nostro comportamento rapidamen-
te. Anche altre specie sviluppano nuovi modelli di comportamen-
to in risposta a un mutamento delle condizioni. Se non lo fanno,
si estinguono. Ma, per la maggior parte delle specie, questi cam-
Il crollo del!' evoluzione: un futuro dominatore 315

biamenti si verificano nel corso della loro evoluzione biologica, e


comportano mutamenti nella loro struttura corporea e mentale.
Al contrario, noi esseri umani possiamo cambiare i nostri model-
li di comportamento molto rapidamente, addirittura istantanea-
mente, usando le nostre menti immensamente superiori.
Ma ci sono tre condizioni per farlo con successo: percepire il
feedback, interpretarlo correttamente, utilizzarlo per cambiare.
II feedback che ci sta bombardando sulle condizioni attuali
della nostra Terra è sintetizzato dai futurologi con una frase: il
mondo problematico. 5 In base ad analisi di dati al computer, co-
me riferiscono il primo e il secondo Club di Roma, rapporti go-
vernativi come Global 2000 e una quantità di studi delle Nazio-
ni Unite e di altri istituti internazionali, la maggior parte degli
scienziati prevede che, se non muterà l'attuale tendenza, ci
aspetta un periodo ancora più caotico, durante il quale il mondo
assisterà a crescenti disordini politici, economici e ambientali. 6
Già ora si osservano gravi squilibri ecologici e danni am-
bientali. Possiamo vedere gli effetti delle piogge acide, dell' au-
mento dei livelli di radioattività, dei rifiuti tossici e di altre for-
me di inquinamento industriale e militare. Gli scienziati temono
che concentrazioni crescenti delle sostanze chimiche che di-
struggono l'ozono potrebbero addirittura mutare il clima della
Terra. Un altro grave motivo di preoccupazione è la rapida di-
struzione delle foreste pluviali tropicali. Molte specie si stanno
estinguendo, e si prevede che entro il Duemila centinaia di mi-
gliaia di esse, forse il venti per cento di tutte quelle esistenti, an-
dranno irrimediabilmente perdute. 7
Le perdite consistenti di terreno coltivabile costituiscono un
altro problema, soprattutto per l'Africa, tormentata dalla fame:
ogni anno s'isteriliscono zone coltivate o adibite a pascolo ap-
prossimativamente grandi quanto il Maine.* E le previsioni di-

* Circa 86.000 km quadrati. In pratica come Piemonte, Lombardia, Veneto


ed Emilia-Romagna messi assieme. (N.d.T.)
316 Riane Eisler

cono che probabilmente si accelererà l'espansione delle aree de-


sertiche.8
Fame e povertà sono già catastrofiche. Nel 1983 undici mi-
lioni di bambini sono morti prima di compiere un anno. Due mi-
liardi di persone sono sopravvissute con un reddito inferiore ai
cinquecento dollari all'anno. Quattrocentocinquanta milioni di
persone hanno sofferto la fame e una grave malnutrizione. Due
miliardi di esseri umani non hanno un approvvigionamento si-
curo di acqua potabile. 9
Negli Stati Uniti, una delle più ricche nazioni al mondo, il
tasso di povertà nazionale è stato il più alto degli ultimi dicias-
sette anni: secondo stime ufficiali trentaquattro milioni di perso-
ne, circa un quinto della popolazione, sono state classificate co-
me povere. 10
In base alle tendenze attuali, si prevede che la situazione, an-
ziché migliorare, peggiorerà. Il divario tra ricchi e poveri e tra
nazioni ricche e nazioni povere continuerà ad estendersi. E ne-
gli anni a venire, nonostante una maggiore produzione di beni,
a causa dell'aumento della popolazione la vita del numero sem-
pre maggiore di poveri sulla Terra sarà ancora peggiore di quel-
la attuale. 11
In breve, stiamo ricevendo da ogni parte segnali di pericolo:
l'informazione di feedback che il nostro sistema globale sta co-
minciando a crollare. Il segnale più impellente è quella che i fu-
turologi chiamano esplosione demografica. Poiché nascono
sempre più esseri umani, che a loro volta ne generano altri, la
popolazione sta crescendo a una velocità incredibile. 12 In effetti,
se non diminuisce l'attuale tasso di crescita della popolazione,
si prevede che il numero di abitanti del nostro pianeta aumen-
terà più in un anno della prima metà del XXI secolo che nei pri-
mi millecinquecento anni dalla nascita di Cristo! 13
La crisi della popolazione, il fatto che la politica attuale non
sia riuscita a rallentarne significativamente il tasso di crescita, è
al centro dell'insieme di problemi apparentemente insolubili
che i futurologi chiamano il mondo problematico. Perché dietro
Il crollo dell'evoluzione: un futuro dominatore 317

all'erosione del suolo, alla desertificazione, all'inquinamento di


aria e acqua, a tutti i problemi ecologici, sociali e politici del no-
stro tempo, c'è la pressione di un numero sempre maggiore di
persone su un territorio e su risorse limitate, c'è una quantità
crescente di fabbriche, automobili, camion, e altre fonti d'inqui-
namento, che servono a fornire beni materiali a queste persone,
e ci sono le tensioni sempre più acute alimentate dai loro biso-
gni e dalle loro aspirazioni. 14 Ed è in relazione a questa esplosio-
ne demografica che dobbiamo capire con estrema chiarezza co-
me e perché con un sistema androcratico i nostri problemi,
sempre più gravi, sono in effetti insolubili.

I problemi dell'umanità e i problemi delle donne

Analizzando il nostro passato abbiamo visto come il para-


digma prevalente abbia accecato gli studiosi a un punto tale che
nelle immagini preistoriche della Dea Madre essi riuscivano a
vedere soltanto delle Veneri grasse, oggetti sessuali obesi, per
gli uomini. Se guardiamo al futuro con questa stessa disposizio-
ne mentale, anche i problemi che affliggono la nostra Terra sa-
ranno visti in modo distorto.
Il problema nasce dal fatto che le informazioni raccolte dalla
maggior parte degli esperti ignorano sistematicamente le donne.
Quindi la maggior parte dei politici lavora con una sola metà dei
dati. Ma anche se hanno questi dati davanti agli occhi, i politici,
finché perdura il sistema attuale, non saranno mai in grado di
prendere le decisioni appropriate.
Per esempio, in molte nazioni musulmane sovrappopolate ed
economicamente sottosviluppate, gli alti tassi di natalità non so-
no considerati un problema. Leader come l'Ayatollah Khomeini
e Zia-ul-Haq sembrano non collegare la spaventosa povertà del-
la loro gente al fatto che nelle loro culture le donne sono consi-
derate tecnologie di riproduzione controllate dall'uomo. Analo-
gamente, alla Conferenza sulla popolazione del 1984 di Città
318 Riane Eisler

del Messico, tenuta nella città notoriamente più sovrappopolata


del mondo, in una nazione da cui ogni anno milioni di lavorato-
ri, emigranti illegali, scappano al Nord per sfuggire la tremenda
povertà causata da una crescente sovrappopolazione, i rappre-
sentanti dell'amministrazione Reagan hanno dichiarato serafi-
camente che il problema della popolazione non esiste. 15
Ciò che la stampa mondiale, e anche la maggior parte degli
studi scientifici, inferisce da questi esempi, è che essi rivelano
più che altro una mancanza d'intelligenza o di coscienza da par-
te dei governi in causa. Ma questa impressione può essere peri-
colosamente fuorviante. Perché, in realtà, questi esempi rivela-
no una chiarissima consapevolezza di ciò che serve a mantenere
in tutto il mondo il sistema androcratico.
Paradossalmente, in questo periodo di massiccio regresso
androcratico un esempio drammatico di questo genere di politi-
che viene da una nazione che un tempo, quando si batteva per
gli ideali gilanici di giustizia, uguaglianza e progresso sociale,
fu un modello affatto differente. Gli Stati Uniti, che da una parte
esercitano un'influenza sproporzionata sulla politica delle na-
zioni sovrappopolate, e dall'altra consumano una percentuale
enorme delle risorse del pianeta, sono di recente regrediti a una
politica che incrementerà, anziché far diminuire, il tasso di nata-
lità. Non solo l'amministrazione Reagan ha tagliato drastica-
mente i fondi per i programmi di pianificazione famigliare nel
Terzo Mondo; proprio mentre negli Stati Uniti stavano aumen-
tando fame e povertà, questa amministrazione si è battuta per un
emendamento costituzionale che renderebbe nuovamente illega-
le l'aborto. E, con una mossa intesa a negare un accesso equo e
paritario delle donne a scelte di vita non-procreative, l'ammini-
strazione Reagan si è anche fermamente opposta alla proposta
di emendamento per la parità dei diritti alla Costituzione ameri-
cana, e ha ignorato o praticamente abrogato leggi precedenti, in-
tese a parificare il lavoro e l'accesso ali' istruzione femminile. 16
In altre parti del mondo, con la lodevole eccezione di nazioni
come Cina, Indonesia, Taiwan, e, più recentemente Kenya e
Il crollo del!' evoluzione: un futuro dominatore 319

Zimbabwe, è raro che la pianificazione famigliare costituisca


una priorità. Al contrario, nella Romania comunista, uno dei pae-
si più poveri del blocco orientale, il presidente Nicolae Ceause-
scu ha proclamato «dovere patriottico» delle donne partorire
quattro figli, obbligandole a sottoporsi mensilmente a test di gra-
vidanza sul loro posto di lavoro, e a fornire giustificazioni medi-
che in caso di «infecondità persistente». 17 E in molti dei paesi in
via di sviluppo più poveri e sovrappopolati, alle donne viene
esplicitamente negata la possibilità di controllo delle nascite. 18
Anche se nel 1984, per la prima volta nella storia, la Confe-
renza internazionale sulla popolazione ha dichiarato che «il mi-
glioramento della condizione della donna» in tutto il mondo è
un obiettivo importante di per sé, ma anche per il peso che può
avere nella diminuzione della fertilità, 19 politiche che creino op-
portunità e incentivi per il controllo delle nascite da parte delle
donne sono ritenute quasi ovunque di importanza secondaria. 20
Per di più, la situazione non accenna a mutare, nonostante il
chiaro messaggio degli esperti di popolazione di tutto il mondo
avverta che se si vuole ottenere una pianificazione delle nascite,
la creazione di ruoli gratificanti e socialmente riconosciuti per le
donne - che non siano soltanto quelli di mogli e madri - è anco-
ra più importante della diffusione di un'educazione al controllo
delle nascite. 21
Logicamente, le alternative sono semplici. I mezzi tradizio-
nali per contenere la crescita della popolazione sono stati malat-
tie, fame e guerra. Dare la massima priorità alla libertà riprodut-
tiva e all'uguaglianza per le donne è l'unica alternativa per
arrestare l'esplosione demografica. Ma concedere a questi «pro-
blemi femminili» la massima priorità significherebbe la fine
dell'attuale sistema. Equivarrebbe a trasformare una società do-
minatore in una società mutuale. E per la mente androcratica, la
mente di tanti dei nostri capi di Stato in tutto il mondo, ciò non è
concepibile.
Così costoro scovano e finanziano «serbatoi di pensiero»,
che dicano loro quello che vogliono sentirsi dire. Negli Stati
320 Riane Eisler

Uniti c'è la Heritage Foundation, sovvenzionata da interessi


estremamente conservatori, che a sua volta ha finanziato le ri-
cerche del celebre futurologo Herman Khan, dell'economista
Julian Simon, e di altri, che sostengono che il problema mondia-
le della popolazione non esiste. 22 In sintesi, essi prevedono che,
a breve termine, la diffusa carestia contribuirà a ridurre la popo-
lazione in eccesso e, a lungo termine, gli uomini che dirigono
gli imperi economici del mondo, grazie a una competitività ag-
gressiva e senza freni, produrranno una ricchezza talmente in-
gente da alimentare con i suoi «frutti» tutti i miliardi di persone
che verranno. 23
Questi moderni successori degli uomini che nella preistoria
capovolsero la realtà affrontano in modo analogo anche il pro-
blema delle «risposte» a problemi come fame e povertà. In pri-
mo luogo, si nega o si minimizza l'esistenza della fame e della
povertà mondiale. 24 Se proprio si portano prove irrefutabili, per
esempio, che ogni minuto muoiono trenta bambini per mancan-
za di cibo e di vaccini a basso costo, 25 essi ribattono che questa
«malaugurata situazione» è comunque transitoria. Anche la po-
vertà e la fame scompariranno gradualmente quando si attuerà
pienamente il «libero mercato». 26
Anche quelli che sembrano meno insensibili alla sofferenza
umana, e sono in effetti profondamente preoccupati, cadono
spesso nelle solite trappole che offuscano e distorcono la realtà.
Continuano a parlare di fame e povertà in termini generici, men-
tre è evidente che, dato l'ordinamento gerarchico di un sistema
androcratico-dominatore, la povertà e la fame sono di fatto so-
prattutto «problemi femminili». 21
Secondo cifre del governo statunitense, in America le fami-
glie con a capo una donna sono le più povere, con un tasso di
povertà triplo rispetto a quello delle altre famiglie, e, tra gli an-
ziani in condizioni di povertà, due su tre sono donne. 28 Nei paesi
in via di sviluppo la situazione è ancor più sconfortante. 29 In
Africa, dentro e fuori i campi profughi ove migliaia di persone
muoiono di fame, le più povere e affamate sono le donne e i loro
Il crollo del!' evoluzione: un futuro dominatore 321

bambini. 30 E, come riferiscono lo State of the World's Women


1985 delle Nazioni Unite e molti altri resoconti ufficiali e non
ufficiali, la situazione è la stessa in Asia e in America Latina. 31
Ancora una volta, la logica vorrebbe che le politiche nazio-
nali e internazionali dessero una priorità assoluta a programmi
attinenti alla povertà e alla fame delle donne. Ma che risposta si
dà a queste realtà?
Negli Stati Uniti, nonostante una grave disoccupazione fem-
minile, i programmi per l'occupazione varati negli anni Settanta
e Ottanta hanno creato solo una esigua percentuale di posti di
lavoro, se si escludono occupazioni di dominio maschile come
la costruzione e la riparazione di strade. In Africa, nonostante le
carestie, e sebbene siano le donne a occuparsi dal sessanta al-
1' ottanta per cento delle coltivazioni alimentari, gli aiuti tecnici
per l'agricoltura, i prestiti, le concessioni di terreni e gli aiuti
economici vanno quasi esclusivamente agli uomini. In Asia e in
America Latina, nonostante la mancanza di pari opportunità d'i-
struzione e di apprendistato releghi le donne alle occupazioni
meno retribuite, lo sviluppo economico e i programmi di aiuto
dall'estero sono quasi esclusivamente rivolti agli uomini. 32
La giustificazione del sistema androcratico è che sono gli uo-
mini, in quanto «capifamiglia», a prendersi cura di donne e
bambini. Ma questo presupposto si basa su di un modello di
realtà che, come sempre, trascura una quantità di elementi. Ci
sono infatti dati più che sufficienti per dimostrare che uno dei
motivi principali per cui tante donne e bambini al mondo vivono
nella più nera miseria è che sia nelle famiglie «integre» sia in
quelle «divise», gli uomini non provvedono adeguatamente alle
loro mogli e ai loro figli.
Il problema non è solo che, in paesi industrializzati come gli
Stati Uniti, più della metà dei padri divorziati non rispetta l' ob-
bligo giuridico di pagare gli alimenti a mogli e figli. 33 Né che in
molte parti dell'Asia e dell'Africa gli uomini si riversano in
massa nelle città, lasciando nei villaggi mogli e figli ad arran-
322 Riane Eisler

giarsi come possono, ritornando solo di tanto in tanto per mette-


re al mondo un altro bambino. 34
Il problema è che nelle società a dominio maschile la povertà
e la fame delle donne hanno radici molto più profonde. Non è
una questione limitata alle famiglie con a capo una donna. È un
aspetto fondamentale di un'organizzazione famigliare in cui il
«capo» maschio della famiglia ha il potere, socialmente ricono-
sciuto, di decidere la distribuzione e l'uso delle risorse e del de-
naro.
Per esempio, nella storia occidentale, tra i servi della gleba
russi, così come tra i minatori irlandesi e gli operai americani,
molti uomini consideravano un affronto alla loro virilità «conse-
gnare» la propria paga alle mogli, in modo che queste potessero
comprare da mangiare per la famiglia. Invece, come fanno ancor
oggi molti occidentali, i maschi sperperavano i loro guadagni
bevendo o giocando, e se le mogli protestavano, se «seccava-
no», sfidando l'autorità dell'uomo, venivano picchiate. Si tratta
di un modello di comportamento ancora diffuso in molti paesi
dell'America Latina e in vaste zone dell'Africa.
Inoltre, in molti paesi in via di sviluppo le donne che prepa-
rano, e spesso coltivano, il cibo per le proprie famiglie, non han-
no il diritto di mangiare fino a che gli uomini non siano ben sa-
zi. 35 Come sempre, si trovano delle giustificazioni per questi
modelli di nutrizione sessualmente discriminatori. Spesso, nei
luoghi dove le donne compiono lavori massacranti dall'alba al
tramonto, si sostiene che gli uomini hanno bisogno di più cibo,
oppure che si tratta di «tradizioni etniche», in cui gli occidentali
non devono immischiarsi. Si giustificano così anche i tabù ali-
mentari che proibiscono alle donne, soprattutto a quelle incinte,
di mangiare proprio i cibi di cui avrebbero bisogno per restare in
salute. Il risultato, come rivelano studi dell'Organizzazione
mondiale della sanità, è che nel Terzo Mondo quasi la metà del-
le donne in età di gravidanza, e il sessanta per cento di quelle in-
cinte, soffre di anemia alimentare!3 6
Ma questi modelli sessualmente discriminatori della distri-
Il crollo del!' evoluzione: un futuro dominatore 323

buzione delle risorse non affliggono gravemente «soltanto» le


donne. Essi hanno conseguenze terribili anche per gli uomini e
per l'evoluzione dell'umanità. È risaputo che le madri che sof-
frono di malnutrizione tendono a generare figli maggiormente
predisposti al deperimento e alla malattia. Le vittime, ovvia-
mente, sono sia i bambini maschi che le femmine, che nascono
fisicamente meno sviluppati e spesso anche ritardati mental-
mente, o quanto meno dotati di un'intelligenza inferiore a quel-
la che avrebbero potuto avere se le loro madri avessero ricevuto
un'alimentazione adeguata.
Così, siccome il nostro mondo ignora sistematicamente i
problemi dell'umanità che continuano a essere definiti «proble-
mi delle donne», milioni di esseri umani di entrambi i sessi ven-
gono privati di un loro diritto di nascita: la possibilità di condur-
re vite sane, produttive e gratificanti. E poiché i diritti delle
donne non sono considerati diritti umani, viene senza motivo
bloccata non solo la nostra evoluzione culturale, ma anche quel-
la biologica.
Una volta di più, sembrerebbe logico prendere immediati
provvedimenti per cambiare i modelli di distribuzione del cibo
sessualmente discriminatori. Ma, come nel caso delle politiche
per la popolazione e lo sviluppo, nelle androcrazie ci sono re-
strizioni di sistema opprimenti.
Il problema essenziale è che nelle società a dominio maschi-
le ci sono due ostacoli fondamentali, che impediscono di formu-
lare e porre in atto politiche che consentirebbero di affrontare i
problemi sempre più gravi del nostro pianeta. Il primo ostacolo
è che i modelli di realtà indispensabili per mantenere il dominio
maschile esigono che tutto quanto riguarda ben una metà dell'u-
manità sia ignorato o minimizzato. Questa colossale esclusione
di dati è una omissione talmente grave che, in qualsiasi altro
contesto, gli scienziati l'avrebbero immediatamente stigmatiz-
zata come un gravissimo errore metodologico. Ma persino
quando in qualche modo si riesce a sormontare questo primo
ostacolo, e ai politici vengono forniti dati completi e obiettivi,
324 Riane Eisler

rimane un secondo e più fondamentale ostacolo: la principale


priorità politica in un sistema a dominio maschile deve essere la
prosecuzione del dominio maschile.
Quindi, tutte le politiche che potrebbero indebolire il domi-
nio maschile, vale a dire la maggior parte delle politiche che of-
frono una speranza per ilfaturo dell'umanità, non possono es-
sere portate a compimento. Anche se vengono formulate,
devono essere accantonate, finanziate inadeguatamente, o neu-
tralizzate in qualche altro modo.

La soluzione totalitaria

La gente, quando i leader che ha eletto non riescono a risol-


vere i problemi economici, sociali e politici, ne cerca altri che
offrano delle soluzioni. Nella mente androcratica, che stima più
d'ogni altra cosa gli ordini gerarchici, ed è condizionata a far
equivalere forza e diritto, queste soluzioni consistono spesso
nella violenza e in un governo dispotico.
Non stupisce dunque che, oltre a un crollo progressivo dei si-
stemi e/o a un olocausto nucleare, una delle previsioni più fre-
quenti per il futuro sia quella di un totalitarismo planetario. Si
tratta di un tema caro a molti racconti di fantascienza, dal profe-
tico 1984 di Orwell, a film come Rollerball e Fahrenheit 451.
Questo tema è anche stato oggetto di studi scientifici da parte di
futurologi come Jacques Ellul, che prevede un mondo disuma-
nizza!o, governato da crudeli tecnocrati. 37 Lo stesso Herman
Khan, dello Hudson Institute, che, a causa della politica dell'I-
stituto, volta a rassicurare suoi potentissimi clienti statali e mili-
tari, prevede «ottimisticamente» una straordinaria prosperità,
parla di un nuovo «impero augusteo». 38
Si è spesso sostenuto che la grande attrattiva psichica di un
futuro totalitario dipende dal fatto che esso promette un «leader
forte», che, come il «padre forte» dell'infanzia, «penserà a tut-
to» in cambio di una fedele ubbidienza. È certo che, nei periodi
Il crollo del!' evoluzione: un futuro dominatore 325

di crisi, una mente educata a sottomettersi all'autorità maschile


tenderà a rivolgersi nuovamente a questa «protezione». Ma c'è
un'altra ragione che spiega la forte attrattiva, e il grande perico-
lo, del totalitarismo moderno.
L'opinione corrente sul totalitarismo è che esso sia una cala-
mità affatto moderna, un orrore peculiare della nostra era laica e
scientifica. 39 È vero che l'efficienza tecnologica dei campi di
sterminio di massa tedeschi è senza precedenti. Ma, come dimo-
strano ampiamente la preistoria e la storia, tentativi di sterminio
di massa di intere popolazioni sono tutt'altro che inconsueti. Il
regno del terrore, che costituisce il marchio di fabbrica dei mo-
derni regimi totalitari, non è certo una novità.
Ciò che ora possiamo capire, essendoci riappropriati del no-
stro passato perduto, è che, nei suoi metodi di controllo e nella
sua struttura base, il totalitarismo moderno è il logico culmine
di una evoluzione culturale basata sul modello di organizzazio-
ne sociale dominatore. Nell'efficacia del suo controllo per mez-
zo del terrore, il totalitarismo è lo sviluppo ultimo delle società
di questo tipo. In sostanza, è una versione tecnologicamente
avanzata delle città-Stato rigidamente androcratiche che appar-
vero per la prima volta nella preistoria.
Lo stato totalitario del XX secolo è il moderno erede delle
città-Stato teocratiche dell'antichità, in cui, come scrive lo stori-
co della cultura Lewis Mumford, la massa della popolazione
non era altro che un ingranaggio strettamente controllato di gi-
gantesche macchine sociali. 40 E le élite delle gerarchie degli Sta-
ti totalitari fascisti e comunisti sono sostanzialmente discenden-
ti delle antiche caste dominatrici di sacerdoti-guerrieri. Come
queste ultime, rivendicano un collegamento diretto ed esclusivo
con il Verbo, sia esso il Verbo di Dio, di Marx, del Fiihrer, di
Stalin o di Mao. Entrambe arrogano a sé il diritto esclusivo di
interpretare questo Verbo tramite la legge, e d'imporlo con la
forza o con la minaccia della forza.
Come nelle teocrazie androcratiche, in cui non esisteva sepa-
razione tra la Chiesa e lo Stato, gli uomini alla guida delle so-
326 Riane Eisler

cietà fasciste e comuniste esercitano allo stesso tempo il potere


spirituale e quello temporale. Come le religioni androcratiche,
né il comunismo né il fascismo tollerano la minima deviazione
dalla «vera» fede. E, a differenza di altre ideologie politiche
moderne, ma come le religioni androcratiche, entrambi offrono
una visione esauriente del mondo, che include, se non tutti, la
maggior parte degli aspetti della vita famigliare, sociale e politi-
ca. Gli estremisti di destra continuano a considerare la Bibbia
un'autorità per le famiglie a dominio maschile. Nella Germania
nazista il Fiihrer proclamava che non solo le donne, ma anche
uomini «deboli» ed «effeminati» come gli ebrei erano per natu-
ra inferiori alla sua nuova razza di «superuomini». E nell'Unio-
ne Sovietica, il modello ufficiale dei rapporti famigliari, ripetuto
all'infinito nei racconti e nelle immagini di donne che servono i
pasti ai loro uomini, era lo stesso di quello della hausfrau tede-
sca, idealizzata dalla propaganda nazista. 41
Sia negli Stati totalitari comunisti che in quelli fascisti, come
nella Bibbia, nel Corano e in altre scritture tradizionali, ubbi-
dienza e conformismo sono le virtù più alte. La violenza non
soltanto viene tollerata, ma anche ordinata, se è al servizio del-
l'ideologia approvata ufficialmente, vuoi tramite il regno del
terrore del clero medievale, con i suoi roghi di libri e di esseri
umani, vuoi tramite le più efficaci tecnologie di lavaggio del
cervello e di tortura dei regimi totalitari moderni.
Il leader carismatico che chiama a raccolta i suoi seguaci per
«distruggere il nemico» è un'altra componente essenziale del
totalitarismo moderno come di quello tradizionale. Nell'Europa
medievale, per esempio, l'avidità e il fervore religioso androcra-
tico furono aizzati con successo da uomini come papa Urbano II
e Bernardo di Chiaravalle, grazie a colossali e spettacolari pro-
cessioni, che scaraventarono l'Europa e l'Asia Minore nel ba-
gno di sangue delle Crociate, destinato a durare per secoli. 42
Nella Germania nazista, grazie ad altrettanto lunghe e teatrali
fiaccolate, i discorsi infocati di Hitler catapultarono il mondo
moderno nella seconda guerra mondiale. Più di recente, rag-
Il crollo del!' evoluzione: un futuro dominatore 327

giungendo milioni di case grazie a quel mezzo di comunicazio-


ne ipnotico che è la televisione, una nuova stirpe di demagoghi
carismatici ha esortato gli americani a uscire a combattere «gli
immorali e pagani comunisti, umanisti, femministi», a cui co-
storo addebitano tutti i mali del mondo.
I regimi totalitari moderni, come quelli tradizionali, richie-
dono lo studio costante di scritture sacre, con il crisma dell'uffi-
cialità, siano esse la Bibbia, il Corano, Mein Kampf o Le citazio-
ni del Presidente Mao. Esse forniscono tutte le risposte: la
«verità» ultima. E, con lo stesso scopo della rigida censura reli-
giosa della preistoria e della storia androcratica, nei regimi tota-
litari moderni tutti i mass media sono rigidamente controllati.
Infatti, anche se in misura molto inferiore rispetto all'impo-
sizione preistorica dell' androcrazia, la caratteristica forse più
sorprendente delle società totalitarie moderne è che (come in
1984 di Orwell) una delle loro industrie principali è quella della
costruzione di miti. Nella Germania nazista Adolf Hitler, un uo-
mo poco attraente, con i capelli scuri, fu mitizzato nella figura
del Ftihrer, il despota a capo dei meravigliosi superuomini aria-
ni, «razzialmente puri», biondi e con gli occhi azzurri. In Russia
il Dio Padre e il suo surrogato, il tirannico Piccolo Padre, o zar,
furono sostituiti prima da Lenin, il cui corpo mummificato di-
venne oggetto di venerazione, e poi da Stalin, che uccise a san-
gue freddo milioni di persone tra la sua stessa gente.
Nelle mitologie comuniste, come in quelle fasciste, possia-
mo vedere all'opera esattamente gli stessi processi utilizzati
nel primo colpo di mano androcratico per capovolgere la
realtà. Furono creati non solo nuovi miti, ma anche nuovi sim-
boli. Per esempio, nel XX secolo la svastica e la falce e martel-
lo sono stati simboli quasi altrettanto potenti di quello del Cri-
sto sulla croce, per mobilitare gli uomini alla guerra e alle
«sante» crociate. E al posto delle vecchie cerimonie e dei vec-
chi rituali ne sono venuti dei nuovi: adunanze di massa, fiacco-
late, parate, e la foga morale delle tonanti parole del leader, che
328 Riane Eisler

esortano gli «illuminati» a procedere alla diffusione della «ve-


rità» con la violenza.

Nuove realtà e vecchi miti

Se riesaminiamo i miti nazisti nella prospettiva della teoria


della Trasformazione Culturale, capiamo che, non a caso, essi
furono un ritorno alla mitologia delle invasioni indoeuropee o
ariane. La Germania nazista fu un ritorno ai tempi dei Kurgan
non solo nei suoi miti, ma anche nelle sue realtà.
Con lo sterminio di massa degli ebrei - le loro case, i loro
affari, i loro beni personali, persino l'oro dei loro denti serviro-
no a riempire le casse del partito e a ricompensarne i fedeli - i
nazisti non fecero che ripetere il modo in cui i Kurgan si erano
dedicati a ottenere la ricchezza. Uccisero, saccheggiarono, de-
predarono.
Anche la concezione nazista delle donne come proprietà
controllata dal maschio era un regresso alle norme kurgan. Co-
me dice Nietzsche, per i nuovi superuomini ariani tedeschi le
donne dovevano essere come «un animale domestico, spesso
gradevole», che gli uomini dovevano usare per il piacere sessua-
le, il servizio personale e la procreazione. 43 Ma a parte questo,
come dimostra il progetto di Hitler di premiare i soldati decorati
con il diritto di avere più di una moglie, le donne per i nazisti
erano sostanzialmente ciò che erano per i Kurgan: un bottino del
guerriero. 44
Il dominio di un Fi.ihrer onnipotente, o leader, ha replicato su
vasta scala il dominio autocratico del capo kurgan. Allo stesso
modo, i corpi scelti nazisti, le temute SS e SA, replicavano la
casta guerriera kurgan, che, come modelli viventi delle virtù
«virili», cercarono gloria, onore e potere nella distruzione e nel
terrore senza freno.
Per la fedele replicazione di un rigido dominio maschile, per
l'autoritarismo, per il suo alto grado di violenza maschile istitu-
Il crollo del!' evoluzione: un futuro dominatore 329

zionalizzata, la Germania nazista costituì una delle più violente


reazioni alla spinta gilanica. Fu anche uno dei primi regressi
moderni alla prima e più brutale forma di protoandrocrazia,
l'anticipatrice di un futuro neoandrocratico.
Perché, sia essa di destra o di sinistra, cristiana o musulma-
na, la soluzione totalitaria non è né più né meno che un ammo-
dernamento della soluzione androcratica. I suoi presupposti
fondamentali sono il disprezzo per gli approcci «effeminati»,
pacifici, la convinzione che l'ubbidienza agli ordini, divini o
temporali che siano, costituisce una virtù suprema, e un credo
che, a cominciare da maschi e femmine, divide l'umanità in
gruppi solidali o antagonisti, destinati a essere perennemente in
guerra.
Questa soluzione è stata, ed è ancora, accettata da tanta gen-
te non perché offra una risposta efficace ai problemi crescenti
del mondo. La sua attrattiva deriva dal potere radicato dei sim-
boli e dei miti androcratici. Infatti queste immagini, queste sto-
rie, continuano a inculcare nel nostro inconscio la paura che, se
solo prendiamo in considerazione un allontanamento dalle pre-
messe e dalle soluzioni androcratiche, verremo severamente pu-
niti, non solo in questa vita, ma anche nella prossima.
Un'importante lezione che si deve trarre dall'ascesa del tota-
litarismo moderno è che sottovalutare il potere del mito può es-
sere un errore fatale. La psiche umana sembra avere il bisogno
innato di un sistema di storie e simboli che ci «riveli» l'ordine
dell'universo, e ci dica qual è il nostro ruolo al suo interno. È un
desiderio di significato e di scopo apparentemente più potente di
qualunque sistema logico o razionale.
La storia dimostra che non si ferma il destino di orrori tocca-
to all'umanità sotto la guida dei miti androcratici sopprimendo
tutto ciò che non si può ricondurre a una ragione «maschile». Il
tentativo di limitare le funzioni intuitive, non lineari e non razio-
nali della nostra mente, che nel dogma neoandrocratico sono
state così spesso definite «il femminile», non è una soluzione. 45
Perché il problema non è il fatto che i simboli e i miti apparten-
330 Riane Eisler

gano a un livello inferiore, e quindi meno desiderabile, rispetto


alla logica e alla razionalità. Il problema è semmai quali tipi di
miti e di simboli devono nutrire e guidare la nostra mente: prou-
mani o antiumani, gilanici o androcratici.
Proprio come le invasioni kurgan interruppero la nostra pri-
ma evoluzione culturale, oggi i totalitaristi, e i totalitaristi po-
tenziali, continuano a bloccare la nostra evoluzione culturale,
aiutati da miti androcratici vecchi e nuovi. Negli ultimi secoli, il
parziale passaggio da una società dominatore a una società mu-
tuale ha dato una certa libertà all'umanità, avvicinandoci in una
certa misura a una società più giusta e ugualitaria. Ma nello
stesso tempo c'è stato un forte movimento contrario, sia di de-
stra che di sinistra, per radicare ancor più profondamente la so-
cietà dominatore nel suo aspetto moderno, totalitario.
Considerando la grande forza d'inerzia dell'organizzazione
sociale e ideologica androcratica, e le nuove tecnologie di con-
trollo della mente e del corpo (propaganda moderna, droghe,
gas nervini e persino esperimenti di controllo psichico) un futu-
ro totalitario è una possibilità concreta. Un tale ordine mondia-
le, comunque, non durerebbe a lungo.
Perché siano essi religiosi o laici, antichi o moderni, orienta-
li o occidentali, ciò che accomuna i leader totalitaristi, reali o
potenziali, è la fede nel potere letale della Spada come strumen-
to della nostra liberazione. Perciò un futuro dominatore sarà,
presto o tardi, un futuro di guerra nucleare globale, la fine di
ogni problema e di ogni aspirazione dell'umanità.

Note

1. Norbert Wiener, The Human Use of Human Beings, Avon, New York
1950, 1967 (trad. it. Introduzione alla cibernetica, Boringhieri, Torino 2001).
Si vedano in particolare i capp. 2-3.
2. Come scrive Wiener, secondo la sua prospettiva dei sistemi: «Per la ci-
bernetica la struttura della macchina o dell'organismo indica la prestazione
che da essa ci si può attendere [... ] Per una società umana è assolutamente na-
turale basarsi sull'apprendimento, così come per una società di formiche è na-
turale basarsi su modelli ereditari» (ibid., pp. 79, 81). O, come ha ampiamente
Il crollo dell'evoluzione: un futuro dominatore 331

dimostrato Ashley Montagu, le caratteristiche peculiari della nostra specie,


che la rendono unica, sono la nostra grande flessibilità, da cui deriva la nostra
capacità creativa. Si veda in particolare Ashley Montagu, The Directions of
Human Development, Harper, New York 1955; Id., On Being Human, 2' ed.,
Dutton/Hawthom Books, New York 1966; Id., Growing Young, McGraw-Hill,
New York 1981 (trad. it. Saremo bambini, Red - Studio redazionale, Como
1991); Id., Touching, 3' ed., Harper & Row, New York 1986 (trad. it. Il lin-
guaggio della pelle, Vallardi, Milano 1989).
3. Perciò Wiener scrive che «Io stato ordinato di funzioni assegnate per-
manentemente» non è adatto alla struttura dell'organismo umano, né al «mo-
vimento irreversibile verso un futuro possibile, che è la vera condizione della
vita umana», e tanto meno a una forma di organizzazione sociale democratica
(op. cit., pp. 70-1 ).
4. lbid., cap. 3, p. 71.
5. Si veda, per esempio, Edward Comish, The Study of the Future, The
World Future Society, Washington, D.C. 1977.
6. Si veda, per esempio, Mihajlo Mesarovic e Eduard Peste), Mankind at
the Tuming Point, Dutton, New York 1974 (trad. it. Strategie per sopravvivere,
Mondadori, Milano 1979); The Global 2000 Report to the President, V.S.
Council on Environmental Quality, U.S. Department of State, Washington,
D.C., 1980; Ervin Laszlo, «The Crucial Epoch», in Futures, febbraio 1985, n.
17, pp. 2-23; William Neufeld, «Five Potential Crises», in The Futurist, aprile
1984, n. 18.
7. The Global 2000 Report to the President, cit., p. 3.
8. lbid., pp. 2-3.
9. Ruth Sivard, World Military and Socia[ Expenditures /983, World
Priorities, Washington, D.C. 1983, p. 26.
1o. lbid., p. 26.
11. The Global 2000 Report to the President, cit., pp. 1, 26. Secondo alcu-
ne previsioni l'andamento demografico si stabilizzerà. Ma come fa notare Jo-
nas Salk in World Population and Human Values: A New Reality, Harper &
Row, New York 1981, perché ciò si realizzi in modo umano, sarà necessario
un efficace intervento umano.
12. Soltanto nel decennio 197 4-1984 la popolazione della Terra è aumen-
tata di 770 milioni, arrivando a 4,75 miliardi di persone. La Banca Mondiale
ritiene che entro il 2025 gli abitanti della Terra saranno quasi il doppio, 8,3 mi-
liardi, e che, di questi, circa 7 miliardi popoleranno il sottosviluppato e malnu-
trito Terzo Mondo (Time, 6 agosto 1984, p. 24 ). Le previsioni più allarmanti
sono per il continente africano, dove attualmente la popolazione sta raddop-
piando ogni ventitré anni, rendendo il futuro del paese, come dice la Commis-
sione economica per l'Africa, «un incubo» (ZPG Reporter, marzo-aprile 1984,
n. 16, p. 3).
13. M. Mesarovic e E. Peste), op. cit., p. 72.
14. Si veda, per esempio, Lester Brown, «A Harvest of Neglect: The
World's Declining Croplands», in The Futurist, aprile 1979, n. 13, pp. 141-52;
Id., State of the World Nineteen Eighty Five, Norton, New York 1985; «World
Population Growth and Global Security», in Population, settembre 1983;
332 Riane Eisler

Stephen D. Mumford, American Democracy and the Vatican: Population


Growth and National Security, Humanist Press, Amherst, N.Y. 1985.
15. Il documento programmatico degli Stati Uniti, in data 30 maggio
1984, stilato per la Conferenza sulla popolazione di Città del Messico, affer-
mava che «l'aumento demografico è in sé un fenomeno neutro. Non è necessa-
riamente positivo o negativo». Per lo stupore degli economisti, proseguiva so-
stenendo che «il rapporto tra aumento demografico e sviluppo economico non
è negativo» (bozza del documento programmatico degli Stati Uniti, stilato dal-
lo White House Office of Policy Development e dal National Security Coun-
cil, ristampato in ZPG Reporter, maggio-giugno 1984, n. 16, p. 3). La credibi-
lità di queste affermazioni fu direttamente messa in dubbio dal World
Development Report della Banca Mondiale, pubblicato nel luglio 1984. Que-
sto documento di 286 pagine faceva notare che «in alcuni paesi lo sviluppo po-
trebbe non essere affatto possibile, se non si riduce al più presto e drastica-
mente l'aumento demografico». Il documento dichiarava anche che l'aumento
demografico avrebbe estremamente rallentato il progresso economico delle
nazioni più povere della Terra, e che sono essenziali stanziamenti per la fami-
glia e una maggiore pianificazione famigliare (ibid., p. 2). È opinione comune
della maggioranza degli esperti di popolazione che la posizione degli Stati
Uniti e le loro critiche alla pianificazione famigliare e al controllo della popo-
lazione fossero dettate da motivi ideologici. Il Progetto d'Intervento Mondiale
ICP, adottato alla conferenza di Città del Messico, sottolineava inoltre che la
popolazione è «un elemento fondamentale nella programmazione dello svilup-
po», e che «bisogna dare la precedenza a programmi d'intervento che integri-
no tutti i fattori essenziali dello sviluppo e della popolazione» (ibid., p. 4).
16. Si veda, per esempio, Riane Eisler, «Thrusting Women Back to Their
1900 Roles», in The Humanist, marzo-aprile 1982, n. 42; Id., «The Human Ri-
ghts Amendment and the Future of Human Life», in The Humanist, settembre-
ottobre 1981, n. 41.
17. «National Now Times», gennaio-febbraio 1985, p. 5.
18. Si veda, per esempio, Riane Eisler, «Population: Women's Realities,
Women's Choices», in Congressional Record, 98° Congresso, 2a sessione,
1984.
19. Rafael M. Salas, The State of World Population 1985: Population and
Women, disponibile presso la lnformation Division, UNFPA, 220 E. 42st St.
New York, N.Y. 10017.
20. Come ha sottolineato la dottoressa Esther Boohene, coordinatrice della
National Child Spacing and Fertility Association dello Zimbabwe, la libertà di
riproduzione non esiste per la maggior parte delle donne africane, che «devo-
no tuttora avere il permesso del marito per praticare il controllo delle nascite»
(Popline, agosto 1985, n. 7, p. 2). Un drammatico approfondimento di questo
problema, che utilizza interviste a donne del Terzo Mondo, si trova in Perdita
Huston, Third World Women Speak Out, Praeger, New York 1979.
21. Si veda, per esempio, Draper Fund Report No.9: lmproving the Status
of Women, ottobre 1980, Washington, D.C.; Kathleen Newland, Women and
Population Growth, Worldwatch Paper 16, Washington D.C., dicembre 1977;
Robert McNamara, Accelerating Population Stabilization Through Socia/ and
Il crollo del!' evoluzione: un futuro dominatore 333

Economie Progress, Development Paper 24, Overseas Development Council,


Washington, D.C., 1977.
22. Si veda, per esempio, Julian L. Simon e Herman Kahn (a cura di), The
Resourceful Earth: A Response to Global 2000, Basi) Blackwell, New York
1984. Simon sostiene che la Terra può facilmente sostenere più del doppio
dell'attuale popolazione mondiale: infatti, siccome l'ingegno umano è indi-
spensabile per creare il tipo di futuro che desideriamo, un maggior numero di
persone è un bene, non un problema. Simon afferma inoltre che la popolazione
si stabilizzerà naturalmente quando tutto il mondo godrà più diffusamente dei
benefici del progresso materiale. Per quanto riguarda il modo in cui ciò si veri-
ficherà, egli sostiene che non è necessario alcun mutamento fondamentale.
Presumibilmente sarà un processo naturale, subordinato a una continua cresci-
ta economica, un messaggio gradito ai ricchi affaristi che sostengono la Heri-
tage Foundation.
23. lbid. Si veda anche Herman Kahn, «The Unthinkable Optimist», in
The Futurist, dicembre 1975, n. 9, p. 286, in cui Kahn ammette che, nonostan-
te il suo grande ottimismo per il futuro, ci sarà una tragedia, molto probabil-
mente una inedia diffusa.
24. Si veda, per esempio, Julian Simon, «Life on Earth is Getting Better,
Not Worse», in The Futurist, agosto 1983, n. 17, pp. 7-15. Per alcune violente
critiche a queste idee si veda anche Lindsey Grant, «The Comucopian Falla-
cies: The Myth of Perpetuai Growth», in The Futurist, agosto 1983, n. 17, pp.
16-23; Herman Daly, «Ultimate Confusion: The Economics of Julian Simon»,
in Future, ottobre 1985, n. 17, pp. 446-50.
25. R. Sivard, op. cit., p. 5.
26. Si vedano le note 22, 23, 24. Un'altra critica della teoria secondo cui la
soluzione è nella crescita economica si trova in Gita Sen e Caren Grown, De-
velopment, Crisis, and Alternative Visions: Third World Women 's Perspecti-
ves, Dawn, New Delhi 1985. Si tratta di un approccio che affronta le radici
strutturali della fame e della miseria, e che osserva il problema della povertà
dalla prospettiva di coloro che ne sono più afflitte: le donne del Terzo Mondo.
27. Si veda, per esempio, State of the World's Women 1985 (redatto per le
Nazioni Unite da New Intemationalist Publications, Oxford, U.K.); Riane Ei-
sler, «The Global Impact of Sexual Equality», in The Humanist, maggio-giu-
gno 1981, n. 41; Barbara Rogers, The Domestication of Women, St. Martin's,
New York 1979.
28. Si veda, per esempio, Disadvantaged Women and Their Children, U.S.
Commission on Civil Rights, maggio 1983; Karin Stallard, Barbara Ehren-
reich, Holly Sklar, Poverty in the American Dream: Women and Children Fir-
st, South End Press, Boston 1983; Women in Poverty, National Advisory
Council on Economie Opportunity, relazione conclusiva, settembre 1981; A
Women 's Rights Agenda for the States, Conference on Alternative State and
Locai Politics, Washington, D.C., 1984.
29. I risultati di più di un decennio di studi, governativi e non, coordinati
dalle Nazioni Unite, sono ricapitolati in The State of the World's Women 1985,
cit. Il documento riferisce che sebbene «le donne lavorino il doppio» e «colti-
vino la metà del cibo del mondo», esse «in pratica non possiedono terra, e dif-
334 Riane Eisler

ficilmente ottengono prestiti», «si dedicano in prevalenza alle attività meno re-
tribuite» e tuttora «guadagnano tre quarti in meno della paga degli uomini che
fanno lavori analoghi» (p. I).
30. Ormai è largamente provato che le donne non solo rappresentano la
maggioranza dei poveri del mondo, ma anche quella degli affamati. Questa ve-
rità è in realtà riconosciuta implicitamente da molto tempo, come, per esem-
pio, nell'appello di Hugh Down all'UNICEF del gennaio 1981, in cui si dice
che «in Etiopia la maggioranza dei cinque milioni di vittime della siccità e
della guerra civile sono madri e bambini».
31. Si veda, per esempio, June Turner (a cura di), Latin American Women:
The Meek Speak Out, International Educational Development, Silver Springs,
MD 1981; e P. Huston, op. cit.
32. Per esempio nel 19821' Agenzia per lo Sviluppo Internazionale (AID)
ha investito solo il quattro per cento dei suoi aiuti per lo sviluppo in program-
mi a favore delle donne (Ruth Sivard, Women ... A World Survey, 1985, World
Priorities, Washington, D.C., p. 17.
33. Si veda, per esempio, Barbara Bergmann, «The Share of Women and
Men in the Economie Support of Children», in Human Rights Quarterly, pri-
mavera 1981, n. 3, sulla povertà causata dall'abitudine degli uomini di non pa-
gare gli alimenti per i figli.
34. Si veda, per esempio, Law and the Status of Women: an lntemational
Symposium, U.N. Centre for Socia! Development & Humanitarian Affairs,
New York 1977, per dati specifici su come, secondo i codici legali tradizionali
e moderni, in molte società africane l'uomo non è obbligato, legalmente o in
altro modo, a prendersi cura della moglie e dei figli. Si veda anche l'intervista
a Fran Hosken, direttrice di Women 's lntemational News, che discute questo
problema in Riane Eisler e David Loye, «Fran Hosken: Global Humanita-
rian», in The Humanist, settembre-ottobre 1982.
35. Si veda, per esempio, State of the World's Women 1985; Review and
Appraisal: Health and Nutrition, World Conference to Review and Appraise
the Achievements of the U.N. Decade of the Women, NConf. 116/5/Add. 3;
B. Rogers, op. cit.; R. Sivard, Women ... a World Survey, cit.
36. lbid., p. 25.
37. Jacques Ellul, The Technological Society, Knopf, New York 1964.
38. Si veda, per esempio, Herman Kahn e Anthony Weiner, The Year
2000, MacMillan, New York 1967, p. 189.
39. Si veda, per esempio, Hannah Arendt, The Origins of Totalitarianism,
Meridian Books, New York 1958 (trad. it. Le origini del totalitarismo, Edizio-
ni di Comunità, Milano 1997); Robert A. Brady, The Spirit and Structure of
German Fascism, Citadel Press, New York 1971; Ernst Nolte, Three Faces of
Fascism, Weidenfeld e Nicolson, Londra 1965; George Mosse, Nazi Culture,
Tue University of Wisconsin Press, Madison 2003.
40. Lewis Mumford, The Myth of the Machine: Technics and Human De-
velopment, Harcourt, Brace, & World, New York 1966.
41. L'analisi del carattere androcratico della Germania di Hitler e della
Russia di Stalin verrà sviluppata in Riane Eisler e David Loye, Breaking Free.
42. Per una vivace descrizione di questi avvenimenti medievali, si veda
Il crollo dell'evoluzione: un futuro dominatore 335

Marion Meade, Eleanor of Aquitane, Hawthom Books, New York 1977. Una
interessante caratteristica. comune alle orocessioni medievali e alle oarate na-
ziste, è che entrambe duravano per ore e ore, e usavano canti ripetitivi per sfi-
nire la gente, rendendola così più suggestionabile.
43. Alburey Castell, An lntroduction to Modern Philosophy, McMillan,
New York 1946, p. 357.
44. Claudia Koonz, «Mothers in the Fatherland: Women in Nazi Ger-
many», in Renate Bridenthal e Claudia Koonz (a cura di), Becoming Visible,
cit., p. 469.
45. Studiosi come Cari Jung, Lewis Mumford, Robert Graves e Mircea
Eliade, hanno rivelato il bisogno di equilibrare le nostre percezioni «intuitive»
e «razionali». Più recentemente in The Psychology of Consciousness, Robert
Omstein ha cercato di comprendere e riconciliare questi due tipi di percezio-
ne. Egli nota che il tipo intuitivo è di solito sottovalutato, essendo di natura più
«femminile», e dunque inferiore (The Psychology of Consciousness, Freeman,
San Francisco 1972, p. 51; trad. it. La psicologia della coscienza, Franco An-
geli, Milano 1978). Una delle più forti argomentazioni a favore della necessità
di quello che egli definisce il «ricupero della coscienza partecipe» viene pro-
dotta da Morris Bennan in The Reenchantment of the World, Comell Univer-
sity Press, Ithaca, N.Y. 1981, che nota che femminismo, ecologia e rinnova-
mento spirituale, che apparentemente non hanno nulla in comune,
politicamente, sembrano convergere verso un fine comune. Si veda anche Gre-
gory Bateson, Steps to an Ecology of Mind, Ballantine, New York 1972 (trad.
it. Verso un 'ecologia della mente, Adelphi, Milano 2004), un altro importante
lavoro sulla necessità di una concezione più olistica, che non sottovaluti il no-
stro lato «femminile», più intuitivo e sognatore.
13
Il balzo in avanti dell'evoluzione:
verso un futuro mutuale

Gli scrittori di fantascienza immaginano un futuro pieno di


incredibili invenzioni tecnologiche. Ma, tutto sommato, il loro
mondo è privo di nuove invenzioni sociali. Infatti, molto spesso
la loro immaginazione, anche se apparentemente ci porta nel fu-
turo, in realtà ci descrive il passato. Da Dune di Frank Herbert 1 a
Guerre Stellari di George Lucas, ciò che spesso troviamo è, in
effetti, l'organizzazione sociale degli imperatori feudali e dei
sovrani medievali, trasportata in un mondo di guerre intergalat-
tiche altamente tecnologiche.
Dopo cinquemila anni di vita in una società dominatore, è
davvero difficile immaginare un mondo diverso. Ci ha provato
Charlotte Perkins Gilman nel suo Herland. 2 Scritto nel 1915, era
una utopia ironica su di una società pacifica e altamente creati-
va, in cui il lavoro più stimato e retribuito - e la massima prio-
rità sociale - era lo sviluppo fisico, mentale e spirituale dei
bambini. Ma ecco svelato l'arcano: era un mondo in cui tutti gli
uomini si erano distrutti in un'orgia bellica definitiva, e le poche
donne sopravvissute avevano, grazie a una sorprendente muta-
zione, salvato la propria metà dell'umanità imparando a ripro-
dursi da sole.
Ma, come abbiamo visto, il problema non è degli uomini co-
me genere, ma di come vengono educati uomini e donne in un
338 Riane Eisler

sistema dominatore. Nel Neolitico e a Creta c'erano uomini e


donne. Nelle pacifiche tribù !Kung e BaMbuti ci sono uomini e
donne. E persino nel nostro mondo, dominato dal maschio, non
tutte le donne sono pacifiche e gentili, mentre molti uomini lo
sono.
Chiaramente, sia gli uomini che le donne possiedono il po-
tenziale biologico per molti tipi diversi di comportamento. Ma
come l'armatura o il guscio esterno che ricopre gli insetti e altri
artropodi, l'organizzazione sociale androcratica costringe le due
metà dell'umanità in ruoli rigidi e gerarchici che bloccano il lo-
ro sviluppo. Se analizziamo la nostra evoluzione considerando
gilania e androcrazia come le due possibilità di organizzazione
sociale umana, capiamo che non è un caso se i sociobiologi che
oggi cercano di rinvigorire l'ideologia androcratica con una
nuova dose di darwinismo sociale ottocentesco, citano tanto
spesso le società degli insetti per confermare le proprie teorie. E
non è casuale che i loro scritti rafforzino l'idea che il modello
normativo delle divisioni sociali rigidamente gerarchiche, il mo-
dello delle relazioni umane maschio-dominatore/femmina-do-
minato, sia pre-programmato nei nostri geni. 3
Come hanno fatto notare molti scienziati, l'evoluzione non è
predeterminata. 4 Al contrario, fin da principio siamo stati coau-
tori della nostra evoluzione. Per esempio, come ha scritto
Sherwood Washburn, l'invenzione degli utensili è stata sia la
causa che l'effetto della locomozione bipede e della posizione
eretta, che, lasciandoci liberi di usare le mani, ci hanno consen-
tito di creare tecnologie sempre più complesse. 5 E, diventando la
tecnologia e la società sempre più complesse, la sopravvivenza
della nostra specie è sempre più dipesa dalla direzione, non bio-
logica, ma culturale, della nostra evoluzione.
L'evoluzione umana è ormai a un bivio. In sintesi, il proble-
ma principale dell'umanità è come organizzare la società per fa-
vorire la sopravvivenza della nostra specie e lo sviluppo dei no-
stri straordinari potenziali. Nel corso di questo libro abbiamo
visto che l'androcrazia non è in grado di soddisfare queste esi-
Il balzo in avanti dell'evoluzione: verso un futuro mutuale 339

genze, a causa dell'importanza che da sempre attribuisce alle


tecnologie di distruzione, della sua dipendenza dalla violenza
per il controllo sociale e delle tensioni perenni che genera il mo-
dello dominatore/dominato, su cui essa si basa. Abbiamo anche
visto che una società gilanica o mutuale, rappresentata dal Cali-
ce che preserva e incrementa la vita, anziché dalla Spada letale,
ci offre un'alternativa praticabile.
Il problema è, come effettuare il cambiamento?

Una nuova visione della realtà

Scienziati come Ilya Prigogine e Niles Eldredge affermano


che le biforcazioni, o diramazioni evolutive, nei sistemi chimici
e biologici implicano una forte componente di casualità. 6 Ma,
come fa notare il teorico dell'evoluzione Erwin Laszlo, anche le
biforcazioni nei sistemi umani offrono numerose alternative. Gli
esseri umani, nota Laszlo, «possiedono la capacità di agire con-
sciamente e collettivamente», e adoperano la facoltà di previsio-
ne per «scegliere il proprio corso evolutivo». Lo scienziato ag-
giunge che nella nostra «epoca cruciale, non possiamo lasciare
al caso la scelta del prossimo passo nell'evoluzione della società
e della cultura umana. Dobbiamo pianificarlo, consciamente e
determinatamente». 7 O, come scrive il biologo Jonas Salk, la
nostra necessità più immediata e pressante è di dare a quel me-
raviglioso strumento che è la mente umana l'occorrente per im-
maginare, e così creare, un mondo migliore. 8
A prima vista questo può sembrare un compito quasi irrea-
lizzabile. Ma, come abbiamo visto, le nostre idee della realtà, di
ciò che è possibile e auspicabile, sono un prodotto della storia.
E forse la dimostrazione migliore che si possono cambiare le
nostre idee, i nostri simboli, miti e comportamenti è la testimo-
nianza che siffatti cambiamenti nella preistoria vennero realiz-
zati concretamente.
Abbiamo visto come un tempo l'immagine della donna fosse
340 Riane Eisler

venerata e rispettata nella maggior parte del mondo antico, e co-


me la concezione della donna come mero oggetto sessuale, de-
stinato a essere posseduto e dominato dall'uomo, si diffuse solo
dopo le conquiste androcratiche. Abbiamo anche visto come il
significato di simboli quali l'albero della conoscenza e il ser-
pente che muta la pelle, rinnovandosi periodicamente, venne
completamente ribaltato dopo la biforcazione critica della no-
stra evoluzione culturale. Mentre adesso vengono collegati alla
terribile punizione per avere messo in discussione il dominio e
la sovranità autocratica del maschio, questi stessi simboli, non
molto tempo fa, in termini evolutivi, erano considerati manife-
stazioni della sete umana di liberazione attraverso una cono-
scenza superiore, mistica.
Anche dopo l'imposizione del dominio androcratico, il si-
gnificato dei nostri simboli più importanti è radicalmente muta-
to a causa dell'impatto di una rinascita gilanica o di una regres-
sione androcratica. Un esempio sorprendente è quello della
croce. Il significato originale delle croci incise sulle statuette
preistoriche della Dea, e su altri oggetti di culto, era probabil-
mente una sua identificazione con la nascita e la crescita di
piante, animali, e della vita umana. Era questo il significato tra-
mandatosi nei geroglifici egiziani, in cui la croce significa «vi-
ta» e «vivente», e fa parte di parole come salute e felicità. 9 Più
tardi, quando impalare la gente divenne un metodo di esecuzio-
ne diffuso (come dimostrano arti androcratiche come quella ro-
mana, assira, e altre), la croce divenne un simbolo di morte. Più
tardi ancora, i seguaci di Gesù, più gilanici, cercarono nuova-
mente di trasformare la croce su cui era stato giustiziato il Cri-
sto in un simbolo di rinascita, un simbolo associato a un movi-
mento sociale che iniziò a predicare e a praticare l'uguaglianza
degli esseri umani e concetti «femminili» come gentilezza,
compassione e pace. 10
Nella nostra epoca, secoli dopo che questo movimento venne
cooptato dal sistema androcratico-dominatore, il modo in cui in-
terpretiamo i miti e gli antichi simboli svolge ancora un ruolo
Il balzo in avanti dell'evoluzione: verso un futuro mutuale 341

importante nel plasmare il nostro presente e il nostro futuro.


Mentre alcuni dei nostri leader religiosi e politici vorrebbero
farci credere che un Armageddon nucleare può davvero essere
la volontà di Dio, 11 assistiamo a una diffusa riaffermazione del
desiderio di vita, e non di morte, in un tentativo crescente, dav-
vero senza precedenti, di restituire i miti e i simboli antichi al
loro significato gilanico originario. 12
Per esempio, artisti come Imogene Cunningham e Judy Chi-
cago stanno utilizzando per la prima volta nella storia documen-
tata immagini sessuali che ricordano straordinariamente le sim-
bologie paleolitiche, neolitiche e cretesi di nascita, rinascita e
trasformazione. 13 Senza precedenti è anche l'uso che fa il movi-
mento ecologista di immagini della natura, quali foche, uccelli,
delfini, foreste e prati verdeggianti, che anticamente furono sim-
boli dell'unità di ogni forma di vita sotto il potere divino della
Dea, per risvegliare in noi la coscienza del nostro legame vitale
con l'ambiente. 14 Spesso inconsciamente, il processo che disfa e
intreccia nuovamente la trama del nostro arazzo mitologico se-
condo modelli più gilanici, in cui non vengono più idealizzate
qualità «virili» come la «conquista della natura», è di fatto già
avviato. 15 Ciò che ancora manca è la «massa critica» di nuove
immagini e miti, necessaria per la loro realizzazione da parte di
un numero sufficiente di persone.
Ma forse ciò che più conta è che donne e uomini stanno sem-
pre più mettendo in discussione il presupposto fondamentale
della società androcratica: l'ineluttabilità del dominio maschile
e della violenza della guerra. Tra gli studi antropologici su que-
sto tema, quello transculturale condotto da Shirley e fohn Mc-
Conahay ha scoperto una significativa correlazione tra i rigidi
stereotipi sessuali richiesti per conservare il dominio maschile e
gli episodi non solo di guerra, ma anche di violenza sulle mogli
e sui figli, e di stupro. 16 Come descriveremo più dettagliatamen-
te in un secondo libro che proseguirà le nostre analisi, queste
correlazioni dei sistemi vengono verificate da un numero cre-
scente di nuovi studi, intrapresi proprio perché gli scienziati di
342 Riane Eisler

diverse discipline stanno cominciando a mettere in discussione i


modelli dominanti della realtà. 11 Inoltre, studiando entrambe le
metà dell'umanità, gli scienziati oggi stanno espandendo in mo-
do innovativo la nostra conoscenza delle possibilità della so-
cietà, oltre che dell'evoluzione della coscienza umana. 18
Secondo il punto di vista della teoria della Trasformazione
Culturale, la moderna «rivoluzione della coscienza», di cui tan-
to si è seri tto, può essere considerata come il passaggio da una
coscienza androcratica a una coscienza gilanica. 19 Un indizio
importante di questa trasformazione è che, per la prima volta
nella storia, molte donne e uomini stanno sfidando apertamente
numerosi miti negativi, come quello dell' «eroe assassino». 20 Es-
si si stanno rendendo conto di ciò che in realtà insegnano le sto-
rie «eroiche», da quella di Teseo a quelle di Rambo e James
Band, e chiedono che i bambini d'ambo i sessi siano educati ad
apprezzare il valore dell'amore e dell'affiliazione, anziché della
conquista e del dominio. 21 In Svezia sono già state promulgate
leggi per eliminare progressivamente la vendita di armi giocat-
tolo, che sono tradizionalmente servite per insegnare ai bambini
la mancanza di compassione per le loro vittime e gli altri atteg-
giamenti e modelli di comportamento necessari all'uomo per
uccidere membri della propria specie. 22 E le manifestazioni per
la pace di milioni di persone in tutto il pianeta sono una testimo-
nianza evidente della rinnovata coscienza della nostra solida-
rietà con l'intera umanità.
Per la prima volta in così gran numero, donne e uomini di tut-
to il mondo stanno sfidando apertamente il modello dei rapporti
umani maschio-dominatore/femmina-dominato, che è la base di
una visione del mondo dominatore. 2J Oltre a denunciare l'idea di
«guerra dei sessi» come una conseguenza di questo modello, si
sfida anche un suo altro effetto, quello di considerare il «diverso»
come un «nemico». 24 E, soprattutto, c'è una crescente consapevo-
lezza che la nuova e maggiore coscienza della nostra «mutualità»
globale dipende interamente da un riesame e da una trasformazio-
ne fondamentale dei ruoli sia dell'uomo che della donna. 25
Il balzo in avanti del!' evoluzione: verso un futuro mutuale 343

Come scrive la psichiatra Jean Baker Miller, in società come


quella attuale solo le donne sono «in grado di essere messaggere
della necessità basilare di una comunione umana», 26 e di valuta-
re più di ogni altra cosa, più delle loro stesse vite, i rapporti
d'affiliazione con il prossimo. A differenza degli uomini, che
vengono generalmente educati a perseguire i propri interessi,
anche a spese del prossimo, la formazione delle donne le porta a
considerarsi innanzitutto responsabili del benessere altrui, persi-
no a scapito della propria vita. 27
Questa dicotomizzazione dell'esperienza umana, come do-
cumenta esaurientemente la Miller, crea distorsioni psichiche
sia negli uomini che nelle donne. Le donne tendono a identifi-
carsi eccessivamente con il prossimo, a un punto tale che la mi-
naccia di una perdita, o anche solo della rottura di una affiliazio-
ne, può essere, scrive la Miller, «percepita non solo come
perdita di un rapporto, ma come qualcosa di simile a una perdita
totale del sé». Gli uomini, invece, tendono a considerare il pro-
prio bisogno di affiliazione come un «impedimento» o un «peri-
colo». In questo modo la disponibilità verso gli altri viene con-
siderata una caratteristica secondaria, e non essenziale, della
propria immagine di sé, qualcosa che un uomo «può desiderare
o si può permettere solamente dopo avere soddisfatto le neces-
sità primarie degli uomini». 28
Queste idee sui ruoli di genere e sulla realtà sono, come ab-
biamo visto, fondamentali per la società androcratica. Ma, come
scrive la Miller, «è estremamente importante riconoscere che la
spinta verso l'affiliazione che provano le donne non è sbagliata
o regressiva[ ... ] Non si è voluto riconoscere che questo punto di
partenza psichico contiene le possibilità di un approccio estre-
mamente differente (e più evoluto) alla vita e alla funzionalità,
molto differente, cioè, da quello promosso dalla cultura domi-
nante [... ] Esso fa sì che emerga la verità: per chiunque, uomini
e donne, lo sviluppo individuale si realizza unicamente tramite
l'affiliazione». 29
Questi nuovi modi di concepire la realtà sia per l'uomo che
344 Riane Eisler

per la donna stanno creando nuovi modelli della psiche umana. I


vecchi modelli freudiani consideravano gli esseri umani princi-
palmente nei termini di pulsioni elementari come il bisogno di
cibo, di sesso, di sicurezza. Il modello più recente proposto da
Abraham Maslow, e da altri psicologi umanisti, tiene conto di
questi bisogni di «difesa» elementari, ma riconosce anche che
gli esseri umani hanno bisogni di «crescita» o «realizzazione»
di un livello superiore, che ci differenziano dagli altri animali. 30
Questo passaggio dai bisogni di difesa ai bisogni di realizza-
zione è un punto chiave per trasformare una società dominatore
in una società mutuale. Le gerarchie fondate sulla forza o sulla
minaccia della forza richiedono atteggiamenti mentali difensivi.
In una società come la nostra, la creazione di nemici per l'uomo
comincia dal suo doppio, la donna, che nella mitologia domi-
nante è accusata niente meno che della nostra cacciata dal Para-
diso. E, come ha notato Alfred Adler, questo predominio di una
metà dell'umanità sull'altra avvelena tutti i rapporti umani, sia
per l'uomo che per la donna. 31
Gli studi di Freud rivelano che la psiche androcratica è una
congerie di conflitti interiori, tensioni e paure. 32 Ma, col muta-
mento da androcrazia a gilania, un numero crescente di persone
può iniziare a passare dalla difesa alla crescita. E come ha osser-
vato Maslow, studiando le personalità creative e pienamente
realizzate, se questo si verifica, un numero crescente di persone,
anziché diventare più egoista ed egocentrico, si avvicinerà a una
realtà differente: l' «esperienza suprema» della consapevolezza
dell'interdipendenza tra noi e l'intera umanità. 33

Una nuova scienza, una nuova spiritualità

Questo tema della nostra interdipendenza - che Jean Baker


Miller definisce affiliazione, Jessie Bernard ethos femminile di
amore-dovere, e Gesù, Gandhi e altre guide spirituali hanno
chiamato semplicemente amore - oggi appartiene alla scienza.
Il balzo in avanti dell'evoluzione: verso un futuro mutuale 345

Questa «nuova scienza» in evoluzione, di cui la teoria del «caos»


e gli studi femministi sono parte integrante, per la prima volta
nella storia si occupa più delle relazioni che delle gerarchie.
Come scrive il fisico Fritjof Capra, questa metodologia mag-
giormente olistica è un'innovazione radicale per la maggior par-
te della scienza occidentale, che è sempre stata caratterizzata da
un approccio gerarchico, iperspecializzato e spesso meccanici-
stico. )4 Per molti versi è un metodo più «femminile», visto che si
dice che le donne pensino più «intuitivamente», tendendo a trar-
re le conclusioni da una totalità di impressioni simultanee, anzi-
ché tramite un pensiero «logico» graduale. Js
Salk parla di una nuova scienza dell'empatia, che userà sia la
ragione che l'intuizione per «operare un mutamento della mente
collettiva, che influenzerà costruttivamente il corso del futuro
dell'umanità».) 6 Questo approccio alla scienza, adottato con
successo dalla genetista Barbara McClintock, premio Nobel nel
1983, considererà la società umana come un sistema vivente di
cui tutti facciamo parte.) 7 Come ha detto Ashley Montagu, sarà
una scienza compatibile con il vero, e originario, significato del-
!' educazione: stimolare e sviluppare le potenzialità innate del-
l'essere umano.) 8 Soprattutto, come scrive Hillary Rose in Hand,
Brain and Heart: A Feminist Epistemology for the Natural
Sciences, non sarà più una scienza «volta al dominio della natu-
ra o dell'umanità in quanto parte della natura». J9
Evelyn Fox Keller, Carol Christ, Rita Arditti e altre studiose
fanno notare come, sotto il manto protettivo dell' «obiettività» e
dell' «autonomia», la scienza ha spesso negato, in quanto «non
scientifico» e «soggettivo» un coinvolgimento affettivo, consi-
derato eccessivamente femminile dall'opinione tradizionale. 40
Così la scienza finora ha discriminato le donne come scienziate,
e ha concentrato i suoi studi quasi esclusivamente sull'uomo.
Ha anche escluso quella che si potrebbe definire «conoscenza
partecipe»: la consapevolezza, come scrive Salk, che oggi ab-
biamo un urgente bisogno di selezionare le forme umane che
346 Riane Eisler

«cooperano con l'evoluzione, anziché quelle che sono contrarie


a essa e alla sopravvivenza». 41
Questa nuova scienza è anche un importante passo avanti per
colmare l'attuale divario tra scienza e spiritualità, in gran parte
causato da una visione del mondo che circoscrive la sensibilità
alle donne e agli uomini «effeminati». Gli scienziati stanno inol-
tre cominciando a riconoscere che ....: oltre al conflitto artificiale
tra spirito e natura, donna e uomo, razze, religioni e gruppi etnici
differenti, incoraggiato dalla mentalità dominatore - deve essere
riesaminato il modo stesso in cui consideriamo il conflitto.
Come scrive la Miller, basando la sua ricerca sulla realizza-
zione anziché sulla difesa, il problema non è come eliminare il
conflitto, il che risulterebbe impossibile. Quando individui con
bisogni, desideri e interessi diversi giungono a contatto, il con-
flitto è inevitabile. Il problema, direttamente collegato alla pos-
sibilità di far passare il nostro mondo dalla guerra alla coesisten-
za pacifica, è di come rendere il conflitto costruttivo anziché
distruttivo. 42
La Miller mostra come possono crescere e mutare individui,
organizzazioni e nazioni grazie a quello che ella definisce «con-
flitto produttivo». Avvicinandosi l'una all'altra con scopi e inte-
ressi differenti, le varie parti in conflitto sono costrette a riesa-
minare i propri obiettivi e le proprie azioni, oltre a quelli
dell'altra parte in causa. Il risultato per ambo le parti è un muta-
mento produttivo anziché una rigidità improduttiva. Il conflitto
distruttivo, per contro, è l'identificazione del conflitto con la
violenza necessaria a conservare le gerarchie di dominio.
Nel sistema prevalente, fa notare la Miller, «si fa apparire il
conflitto come se fosse sempre un passo estremo, mentre, in
realtà, il pericolo nasce dal fatto che non si riconosce la neces-
sità del conflitto e non gli si danno forme appropriate. La forma
estrema, distruttiva, è spaventosa, ma non è il conflitto. È quasi
il suo opposto; è il risultato finale del tentativo di evitare e di
sopprimere il conflitto». 43
Anche se tuttora prevale largamente questo modo dominato-
Il balzo in avanti dell'evoluzione: verso un futuro mutuale 347

re e repressivo di considerare il conflitto, il successo di metodi


per la sua soluzione meno violenti e più «femminili» o «passi-
vi» offre una concreta speranza di cambiamento. Questi metodi
hanno radici antiche. Sono stati utilizzati sia da Socrate che da
Gesù. Oggi sono conosciuti soprattutto perché vennero adottati
da uomini come Gandhi e Martin Luther King, che l' androcra-
zia ha prima ucciso e poi santificato. Ma sono di gran lunga le
donne ad avere utilizzato più estesamente questi sistemi.
Un esempio notevole è come esse, nel XIX e nel XX secolo,
abbiano combattuto leggi ingiuste con metodi non violenti. Per
la libertà d'informazione sulla pianificazione famigliare, per il
libero uso delle tecnologie di controllo delle nascite e per il di-
ritto di voto, esse si lasciarono imprigionare e scelsero di ricor-
rere allo sciopero della fame, pur di non usare la forza o la mi-
naccia della forza per raggiungere i loro obiettivi. 44
Questo uso del conflitto non violento come mezzo per arri-
vare a un mutamento sociale non è soltanto una resistenza passi-
va, non violenta. Rifiutandosi di contribuire alla violenza e al-
l'ingiustizia usando metodi ingiusti e violenti, l'uso del conflitto
non violento corrisponde alla creazione dell'energia positiva
trasformatrice che Gandhi chiamò satyagraha, «forza della ve-
rità». Come disse Gandhi, lo scopo è di trasformare il conflitto,
anziché di reprimerlo o di farlo sfociare nella violenza. 45
Altrettanto decisivo per il nuovo corso da imprimere alla no-
stra evoluzione culturale è il riesame in atto della nostra defini-
zione di potere. Parlando della concezione del potere ancora
prevalente, la Miller nota che il cosiddetto bisogno di controlla-
re e dominare il prossimo psicologicamente non deriva da una
sensazione di potere, ma, semmai, da una sensazione di man-
canza di potere.
Distinguendo tra «potere per sé e potere sugli altri», ella
scrive: «Il potere di un'altra persona, o gruppo di persone, veni-
va solitamente considerato pericoloso. Bisognava controllarli,
altrimenti ci avrebbero controllato. Ma nell'ambito dello svilup-
po umano, questa non è una formulazione valida. È vero il con-
348 Riane Eisler

trario. In generale, maggiore è lo sviluppo del singolo indivi-


duo, più egli, o ella, sarà abile ed efficiente, e meno spinto a li-
mitare il prossimo». 46
Un motivo centrale della letteratura femminista del nostro
secolo è stato non solo l'esplorazione dei rapporti di potere esi-
stenti, ma anche dei modi alternativi di considerare e utilizzare
il potere: del potere come affiliazione. Questo argomento è stato
analizzato tra le altre da Robin Morgan, Kate Millett, Elizabeth
Janeway, Berit Aas, Peggy Antrobus, Marielouise Janssen-Jur-
reit, Tatyana Mamonova, Kathleen Barry, Devaki Jain, Caroline
Bird, Birgit Brock-Utne, Diana Russell, Perdita Huston, Andrea
Dworkin, Adrienne Rich. 47 È una concezione non distruttiva del
potere, descritta in frasi come «la solidarietà femminile è for-
za»; essa accompagna le donne che sempre più si emancipano
dai loro ruoli «femminili» per entrare nel mondo «degli uomi-
ni». È una concezione del potere comunque vincente, che non si
limita a un «o si vince o si perde». In termini psicologici, è un
modo di progredire nel proprio sviluppo senza dovere necessa-
riamente limitare quello degli altri.
In termini visuali o simbolici, si tratta della rappresentazione
del potere come unione. Da tempo immemorabile esso è stato
simboleggiato dal cerchio o dall'ovale, l'uovo cosmico della
Dea o il Grande Cerchio, anziché dalle linee affilate di una pira-
mide ove in qualità di dèi, capi delle nazioni o delle famiglie, i
maschi dominano dal vertice. Per lungo tempo tenuto nascosto
dall'ideologia androcratica, il segreto della trasformazione
espresso dal Calice era visto nelle epoche precedenti come la
consapevolezza della nostra unità e del collegamento tra noi e il
resto dell'universo. I grandi veggenti e i mistici hanno continua-
to a esprimere questa visione, descrivendola come il potere di
trasformazione di ciò che i primi cristiani chiamavano agape. È
l'unione elementare tra esseri umani, che nella distorsione tipica
dell'androcrazia viene chiamata amore «fraterno». In sostanza è
l'amore disinteressato che prova una madre per il suo bambino,
Il balzo in avanti dell'evoluzione: verso un futuro mutuale 349

un tempo espresso mitologicamente nell'amore divino della


Grande Madre per i suoi figli umani.
In questo senso, il riallacciarsi alla precedente tradizione spi-
rituale del culto della Dea, collegata al modello mutuale della
società, è più che una riaffermazione della dignità e del valore di
una metà dell'umanità. E non è soltanto un modo di raffigurare i
poteri che regolano l'universo di gran lunga più sereno e rassi-
curante. Ci offre anche un sostituto positivo dei miti e delle im-
magini che per tanto tempo hanno manifestamente falsificato i
più elementari princìpi dei rapporti umani, dando più valore al-
1' assassinio e allo sfruttamento che alla nascita e allo sviluppo.
Nei primi capitoli di questo libro abbiamo visto come all 'ini-
zio della nostra evoluzione culturale il principio femminile, rap-
presentato dalla Dea, era il simbolo non solo della resurrezione
o rigenerazione della morte nella vita, ma anche dell'illumina-
zione della coscienza umana per mezzo della rivelazione divina.
Come nota lo psicoanalista junghiano Erich Neumann, negli an-
tichi riti misterici la Dea rappresentava il potere della trasforma-
zione fisica della «divinità come ruota della vita che gira», nella
sua «totalità apportatrice di vita e di morte». Ma essa era anche
il simbolo della trasformazione spirituale: «la forza del centro,
che all'interno del ciclo procede verso la coscienza e la cono-
scenza, la trasformazione e l'illuminazione, da tempo immemo-
rabile le mete più alte dell'umanità». 48

Una nuova politica, una nuova economia

Nella nostra epoca si è parlato e scritto molto della trasfor-


mazione. Futurologi come Alvin Toffler scrivono delle grandi
trasformazioni tecnologiche, dalla «prima ondata», quella agri-
cola, alla «seconda ondata», quella industriale, all'attuale «terza
ondata», o società postindustriale. 49 Nel corso della storia abbia-
mo assistito a importanti trasformazioni. Ma grazie alla prospet-
tiva della teoria della Trasformazione Culturale che stiamo svi-
350 Riane Eisler

luppando, ci si può rendere conto che quelle che spesso sono


state descritte come importanti trasformazioni culturali - per
esempio, il passaggio dall'epoca classica a quella cristiana, e,
più di recente, all'età secolare o scientifica - non sono state al-
tro che dei mutamenti all'interno del sistema androcratico, da
un tipo di società dominatore a un altro.
Ci sono spesso stati dei punti di biforcazione, punti di squili-
brio sociale in cui si sarebbe potuta verificare una trasformazio-
ne dei sistemi fondamentale, quando apparvero nuove fluttua-
zioni, o modelli di funzionamento più gilanici. Questi però non
oltrepassarono mai le soglie di nucleazione, che avrebbero indi-
cato il passaggio dall'androcrazia alla gilania. Per usare un'ana-
logia familiare, fino a oggi il sistema androcratico si è compor-
tato come un elastico. Durante i periodi di forte rinascita
gilanica, per esempio all'epoca di Gesù, l'elastico si è teso note-
volmente. Ma, in passato, quando si raggiungevano i limiti del-
1' androcrazia, esso scattava sempre all'indietro, verso la sua for-
ma originale. Oggi, per la prima volta nella storia, invece di
restringersi, l'elastico si può spezzare, e la nostra evoluzione
culturale può alla fine trascendere i confini entro i quali siamo
stati trattenuti per millenni.
Al nostro livello di sviluppo tecnologico, quali potrebbero
essere le implicazioni politiche ed economiche di un radicale
passaggio da una società dominatore a una società mutuale?
Siamo in possesso di tecnologie che, in un mondo non più do-
minato dalla Spada, potrebbero accelerare immensamente la no-
stra evoluzione culturale. Come riferisce Ruth Sivard nel suo
rapporto annuale World Military and Socia/ Expenditures 1983
(Spese militari e sociali nel mondo 1983) con la somma che ser-
ve a costruire un missile intercontinentale balistico si potrebbe-
ro nutrire cinquanta milioni di bambini, costruire 160.000 scuo-
le, aprire 340.000 centri di assistenza sanitaria. Anche soltanto
il costo di un nuovo sottomarino nucleare - pari alla somma de-
stinata annualmente all'educazione in ventitré paesi in via di
sviluppo, in un mondo ove centoventi milioni di bambini non
Il balzo in avanti del!' evoluzione: verso un futuro mutuale 351

hanno una scuola in cui andare, e undici milioni di loro muoio-


no prima di raggiungere il primo anno di età - potrebbe offrire
nuove opportunità a milioni di persone, che oggi sono condan-
nate a vivere nella povertà e nell'ignoranza. 50
Ciò che ci manca, come sottolineano ripetutamente i futuro-
logi, è il sistema di guida sociale, i valori di governo, che po-
trebbero destinare a fini più elevati la distribuzione delle risorse,
compresa la nostra notevole competenza tecnologica.
Willis Harman, che ha condotto importanti studi sul futuro
allo Stanford Research Institute, scrive che è indispensabile, ed
è in atto, una «metamorfosi delle premesse culturali fondamen-
tali, e di tutti gli aspetti dei ruoli e delle istituzioni sociali». Se-
condo Harman dovrebbe risultarne una nuova coscienza, in cui
la competizione sarà bilanciata dalla cooperazione, e l'indivi-
dualismo dall'amore. Sarà una «coscienza cosmica», una «con-
sapevolezza superiore», che «collega l'interesse personale agli
interessi dei propri simili e delle future generazioni». E richie-
derà quanto meno una trasformazione fondamentale di «am-
piezza davvero gigantesca». 51
Analogamente, nel secondo rapporto del Club di Roma leg-
giamo che, per «evitare una grave catastrofe locale, e in seguito
globale», dobbiamo sviluppare un nuovo sistema mondiale
«guidato da un progetto razionale di sviluppo organico a lungo
termine», sostenuto da «uno spirito di autentica cooperazione
globale, nei modi di una libera associazione». 52 Questo sistema
mondiale sarebbe dominato da una nuova etica globale, basata
su di una maggiore consapevolezza e identificazione con le ge-
nerazioni presenti e future, ed esigerebbe che i nostri ideali nor-
mativi diventassero la cooperazione e non lo scontro, l'armonia
con la natura e non la sua conquista. 5'
Un aspetto sorprendente di queste previsioni è che questi futu-
rologi non considerano come principali fattori determinanti per il
nostro futuro la tecnologia o l'economia. Essi riconoscono piut-
tosto che le nostre strade per il futuro saranno modellate dai valo-
ri umani e da un patto sociale; in altre parole, che il nostro futuro
352 Riane Eisler

sarà soprattutto determinato dal modo in cui noi esseri umani


concepiamo le sue possibilità, i suoi potenziali e le sue implica-
zioni. Come dice il futurologo John McHale, «i nostri prototipi
mentali sono i suoi programmi d'azione fondamentali». 54
Ma la cosa più importante è che ciò che molti futurologi di-
cono, usando tante parole, è che dobbiamo abbandonare i valori
spietati e di conquista, solitamente associati alla «virilità». Per-
ché il bisogno di uno «spirito di autentica cooperazione globale
nei modi di una libera associazione», il «bilanciamento dell'in-
dividuàlismo con l'amore», e il fine normativo dell' «armonia
con la natura, e non la sua conquista», non sono forse la riaffer-
mazione di un maggiore «ethos femminile»? E a che cosa po-
trebbero riferirsi dei «drastici cambiamenti del livello normati-
vo», o una «metamorfosi delle premesse culturali fondamentali
e delle istituzioni sociali», se non alla sostituzione di una società
dominatore con una società mutuale?
Questa trasformazione comporterebbe ovviamente un muta-
mento della nostra direzione tecnologica: dall'uso della tecnolo-
gia avanzata per la distruzione e il dominio, a quello per soste-
nere e migliorare la vita umana. Allo stesso tempo diminuirebbe
lo spreco eccessivo che oggi danneggia i più bisognosi. Infatti,
come hanno osservato molti commentatori sociali, alla base del-
la fissazione di noi occidentali per i consumi eccessivi e lo spre-
co c'è l'ossessione culturale di prendere, comprare, costruire e
sciupare le cose, in sostituzione di rapporti emotivi soddisfacen-
ti, che nell'attuale sistema ci vengono negati dal sistema educa-
tivo dei bambini e dai valori degli adulti. 55
Soprattutto, il passaggio dall'androcrazia alla gilania contri-
buirebbe a far cessare la politica di dominio e l'economia di
sfruttamento, che nel nostro mondo vanno ancora di pari passo.
Come ha infatti rilevato più di un secolo fa John Stuart Mill,
nel suo innovativo Principi di economia politica, il modo in cui
vengono distribuite le risorse economiche non dipende da leggi
economiche ineluttabili, ma da scelte politiche, vale a dire
umane. 56
Il balzo in avanti del!' evoluzione: verso un futuro mutuale 353

Oggi sono in molti a riconoscere che nella loro forma attuale


né il capitalismo né il comunismo offrono una via d'uscita ai
nostri crescenti dilemmi politici ed economici. Fintantoché esi-
sterà l' androcrazia non sarà possibile un sistema politico ed
economico equo. Se nazioni occidentali come gli Stati Uniti,
dove intere liste di candidati sono finanziate da potenti interessi
di parte, non hanno raggiunto una democrazia politica, nazioni
come l'Unione Sovietica, governate da una classe dirigente po-
tente, privilegiata e in prevalenza maschile, sono ancora lontane
da una democrazia economica.
In particolare, la politica del dominio e l'economia dello
sfruttamento sono esemplificate in tutte le androcrazie da una
«economia duale», in cui si sfruttano le attività produttive non
retribuite, o al massimo sottopagate, delle donne. Come dimo-
stra il rapporto delle Nazioni Unite State of the World's Woman
1985, le donne rappresentano la metà della popolazione mon-
diale, compiono due terzi del lavoro mondiale in termini di ore,
guadagnano un decimo di quello che guadagnano gli uomini, e
possiedono un centesimo delle proprietà rispetto agli uomini. 57
Inoltre, il lavoro non retribuito delle donne, che in Africa si oc-
cupano quasi totalmente della coltivazione alimentare, e in tutto
il mondo forniscono gratuitamente una mole di assistenza sani-
taria pari a quella di tutte le istituzioni mediche ufficiali messe
assieme, viene abitualmente escluso dal computo della produtti-
vità nazionale. 58 Come risultato, fa notare la futurologa Hazel
Henderson, abbiamo previsioni economiche mondiali basate su
«illusioni statistiche». 59
In The Politics of the Solar Age, la Henderson descrive un fu-
turo economico positivo, in cui i ruoli di uomini e donne saran-
no sostanzialmente riequilibrati. Questo significherà affrontare
il fatto che l'attuale militarismo «maschile» è «l'attività umana
che comporta la più intensa dispersione d'energia, poiché tra-
sforma le energie accumulate direttamente in distruzione e rovi-
na, senza che ne derivi alcun utile appagamento dei bisogni es-
senziali dell'uomo». Dopo l'attuale periodo, «caratterizzato dal
354 Riane Eisler

declino dei sistemi patriarcali», la Henderson prevede che la


realtà economica e quella ecologica non saranno più dominate
dai valori «mascolinizzati» che «ora fanno profondamente parte
dell'identità maschile». 60
Analogamente, in The Sane Alternative lo scrittore inglese
James Robertson oppone ciò che definisce un futuro «ipere-
spansionista», o HE, a un futuro «sano, umano, ecologico», o
SHE. *61 E, in Germania, il professor Joseph Huber definisce «pa-
triarchico» il suo scenario economico negativo del futuro. Per
contro, nello scenario positivo «i sessi hanno un pari grado so-
ciale. Uomini e donne condividono i posti di lavoro retribuiti, e
anche le faccende domestiche, l'educazione dei figli e altre atti-
vità sociali». 62
Il tema centrale che accomuna queste e altre analisi econo-
miche, anche se d'importanza basilare per il nostro futuro, rima-
ne ancora largamente inespresso. Si tratta del fatto che i sistemi
economici tradizionali, sia capitalisti che comunisti, si fondano
su çiò che, attingendo dalle analisi marxiste, si potrebbe definire
l'alienazione del lavoro solidale. 63 Quando questo lavoro solida-
le, il lavoro che aiuta la vita, che consiste nell'allevare, aiutare e
amare il prossimo, sarà pienamente integrato nella tendenza do-
minante dell'economia, assisteremo a una fondamentale trasfor-
mazione economica e politica. 64 Gradualmente, con la completa
integrazione nei meccanismi di guida della società della metà
femminile dell'umanità, e dei valori e degli obiettivi che l' an-
drocrazia definisce femminili, emergerà un sistema prospero,
equilibrato politicamente ed economicamente. Allora la nostra
specie, unificata nella famiglia mondiale che ipotizzano i movi-
menti per il femminismo, la pace, l'ecologia, il potenziale uma-
no, e altre organizzazioni gilaniche, comincerà a sperimentare il
pieno potenziale della propria evoluzione.

* L'acronimo di hyper-expansionism e sane, human, ecologica{ forma in


inglese i pronomi personali lui (he) e lei (she). (Jv.d. T.)
Il balzo in avanti del!' evoluzione: verso un futuro mutuale 355

Trasformazione

Il passaggio a un nuovo mondo di rinascita psicologica e so-


ciale comporterà dei mutamenti che non possiamo ancora pre-
vedere, e neppure ipotizzare. Per la verità, visti i tanti fallimenti
seguiti alle passate speranze di miglioramento sociale, le previ-
sioni di un futuro positivo suscitano scetticismo. Tuttavia, sap-
piamo che i mutamenti di struttura sono anche mutamenti di
funzione. Proprio come non ci si può sedere in un angolo di una
stanza tonda, quando passeremo da una società dominatore a
una società mutuale, il nostro vecchio modo di pensare, di senti-
re e di comportarci non potrà fare a meno di trasformarsi gra-
dualmente.
Per millenni di storia lo spirito umano è stato imprigionato
dalle catene dell'androcrazia. Le nostre menti sono state inibite
e i nostri cuori intorpiditi. Tuttavia la nostra lotta per la libertà,
la bellezza e la giustizia non si è mai spenta. Se ci liberiamo da
queste catene, se si liberano le nostre menti, i nostri cuori e le
nostre mani, si emanciperà anche la nostra immaginazione crea-
tiva.
Per me, una delle immagini più evocative della trasformazio-
ne da androcrazia a gilania è quella del bruco che si tramuta in
farfalla. Mi sembra un'immagine particolarmente appropriata
per esprimere la visione di un'umanità che si libra alle altezze
che le sono proprie, poiché la farfalla è un antico simbolo di ri-
generazione, un'epifania dei poteri di trasformazione attribuiti
alla Dea.
Altri due libri, Breaking Free ed Emergence, esploreranno
più approfonditamente questa trasformazione. Essi traccerano
un nuovo progetto di realizzazione sociale, non di un'utopia
(che in greco significa letteralmente «non luogo»), ma di una
pragmatopia, uno scenario realizzabile per un futuro mutuale.
Anche se poche pagine ovviamente non bastano neanche per
abbozzare ciò che sarà trattato nei due libri, vorrei concludere
questo capitolo tratteggiando brevemente alcuni dei mutamenti
356 Riane Eisler

che prevedo, se riprendiamo la nostra evoluzione culturale in-


terrotta. 65
Il cambiamento più sensazionale, passando da un mondo do-
minatore a un mondo mutuale, sarà che noi, i nostri figli e i no-
stri nipoti, sapremo nuovamente cosa significhi vivere senza la
paura della guerra. In un mondo libero dall'imperativo che per
essere «virili» gli uomini devono dominare, con una migliore
condizione della donna e maggiori priorità sociali «femminili»,
il pericolo di una distruzione nucleare diminuirà gradualmente.
Nello stesso tempo, siccome le donne otterranno una maggior
parità di opportunità sociali ed economiche, cosicché il tasso di
natalità sarà più adeguato alle nostre risorse, la «necessità»
malthusiana di fame, malattie e guerre diminuirà progressiva-
mente.66
Essendo in larga misura collegati alla sovrappopolazione,
alla «conquista della natura da parte dell'uomo», e al fatto che
la «gestione» ambientale nelle androcrazie non è una priorità
politica «maschile», anche i nostri problemi d'inquinamento,
di degrado e di esaurimento ambientale dovrebbero diminuire
durante gli anni della trasformazione. Lo stesso vale per le con-
seguenze che questi problemi provocano in termini di scarsità
dell'energia e delle altre risorse naturali, e di danni alla salute
a causa dell'inquinamento chimico. 67
Poiché le donne non saranno più escluse sistematicamente
dagli aiuti economici, dalle concessioni di terreni e dai pro-
grammi educativi di modernizzazione, saranno molto più effica-
ci i progetti per lo sviluppo economico del Terzo Mondo, per
l'incremento dell'istruzione e della tecnologia e per il migliora-
mento delle condizioni di vita. Ci sarà anche molta meno ineffi-
cienza economica, e diminuiranno le terribili sofferenze cui og-
gi sono destinati milioni di persone, sia nei paesi in via di
sviluppo che in quelli industrializzati. Infatti, se le donne non
saranno più trattate come animali da riproduzione e bestie da
soma, e avranno un maggiore accesso all'assistenza sanitaria,
Il balzo in avanti dell'evoluzione: verso un futuro mutuale 357

all'educazione e alla politica, non sarà solo la metà femminile,


ma l'umanità intera a goderne i frutti. 68
Insieme a misure più razionali destinate a ridurre con succes-
so la povertà e la fame della maggioranza dei poveri del mondo
- le donne e i bambini - la crescente consapevolezza della no-
stra unione con tutti gli altri membri della nostra specie dovreb-
be ridurre progressivamente anche il divario tra nazioni ricche e
nazioni povere. Quando miliardi di dollari e di ore di lavoro ver-
ranno sottratti alle tecnologie di distruzione e destinati alle tec-
nologie che sostengono e migliorano la vita, la povertà e la fame
dell'uomo potranno a poco a poco diventare ricordi di un bruta-
le passato androcratico. 69
I mutamenti dei rapporti tra uomo e donna, dall'attuale alto
grado di sospetto e recriminazione a una maggiore apertura e fi-
ducia, si rifletteranno sulle nostre famiglie e sulle nostre comu-
nità. Ci saranno ripercussioni positive anche sulla politica na-
zionale e internazionale. Gradualmente assisteremo a una
diminuzione della serie apparentemente infinita di problemi
quotidiani che ci affliggono, come infermità mentale, suicidio,
divorzio, violenza a mogli e figli, vandalismo, omicidio e terro-
rismo internazionale. Come dimostra la ricerca che illustreremo
più in dettaglio nel nostro secondo libro, problemi di questo tipo
derivano in gran parte dall'alto livello di tensione interpersonale
insito in un'organizzazione sociale a dominio maschile, e da
metodi di educazione dei bambini pesantemente basati sulla for-
za. Così, grazie al passaggio a rapporti più giusti ed equilibrati
tra donne e uomini, e al rafforzamento di un comportamento più
gentile, umano e comprensivo nei bambini d'ambo i sessi, pos-
siamo realisticamente aspettarci mutamenti psichici sostanziali,
che a loro volta, in un periodo di tempo relativamente breve, ac-
celereranno in modo esponenziale la velocità della trasforma-
zione.
Nel mondo in cui donne e uomini vivranno in perfetta mu-
tualità, ci saranno ancora, naturalmente, famiglie, scuole, go-
verni e altre istituzioni sociali. Ma come quelle che stanno già
358 Riane Eisler

manifestandosi - la famiglia ugualitaria e la rete di associazio-


ne sociale - le strutture sociali del futuro saranno basate più
sull'unione che sulla gerarchia. Invece di richiedere individui
che si adattino a gerarchie piramidali, queste istituzioni saran-
no eterarchiche, e consentiranno diversità e flessibilità di deci-
sione e d'azione. Di conseguenza i ruoli delle donne, come
quelli degli uomini, saranno molto meno rigidi, e consentiran-
no a tutta la specie umana il massimo della flessibilità di svi-
luppo.70
Secondo le attuali tendenze, gran parte delle nuove istituzio-
ni avrà uno scopo più universale, trascenderà i confini nazionali.
Quando raggiungeremo la consapevolezza del legame che inter-
corre tra gli uomini, e tra gli uomini e l'ambiente, potremo vero-
similmente assistere alla scomparsa della vecchia nazione-Stato
come entità politica egoistica. Tuttavia, non ci sarà maggiore
uniformità e conformismo, proiezione logica dal punto di vista
di un sistema dominatore, bensì più individualità e diversità.
Unità sociali più piccole saranno collegate in matrici o reti, con
un gran numero di obiettivi comuni, per esempio lo sfruttamen-
to cooperativo delle risorse alimentari degli oceani, l'esplora-
zione spaziale, la diffusione del sapere e il progresso delle arti. 11
Ci saranno altre imprese mondiali, ancora inimmaginabili, per
sviluppare sistemi più equi ed efficaci di sfruttamento di tutte le
nostre risorse naturali e umane, e anche nuove invenzioni mate-
riali e sociali, che a questo punto del nostro sviluppo non pos-
siamo ancora prevedere.
Con il passaggio del mondo a una società mutuale arriveran-
no molti progressi tecnologici. Ci sarà un adattamento delle tec-
niche esistenti a nuove esigenze sociali. Secondo le previsioni di
Schumacher e altri, potrebbe trattarsi di un miglioramento delle
tecnologie, con un maggior costo della manodopera, nel campo
dell'artigianato, per esempio un rinnovato orgoglio per la creati-
vità e la realizzazione individuale nella tessitura, nella falegna-
meria, nella ceramica e in altre arti applicate. Ma nello stesso
tempo, visto che l'obiettivo è la liberazione dell'umanità da un
Il balzo in avanti dell'evoluzione: verso un futuro mutuale 359

lavoro ingrato, da insetti, ciò non significherà un ritorno in tutti i


campi a tecnologie che richiedono un lavoro più impegnativo.
Al contrario, possiamo aspettarci che la meccanizzazione e l'au-
tomatizzazione, poiché ci concederanno più tempo ed energia
per realizzare i nostri potenziali creativi, avranno un ruolo sem-
pre più importante nel rendere la vita più sopportabile. E sia i
metodi di produzione su larga scala sia quelli su scala ridotta
verranno usati in modo da incoraggiare ed esigere la partecipa-
zione dei lavoratori, anziché, come vuole il sistema dominatore,
trasformarli in macchine o automi.
Lo sviluppo di metodi di controllo delle nascite più sicuri e
affidabili sarà una massima priorità della tecnologia. Ci sarà an-
che una maggiore ricerca per comprendere e rallentare il proces-
so d'invecchiamento, che andrà dalle tecniche che stanno già
diffondendosi alla sostituzione delle parti del corpo logorate,
tramite cellule del corpo in grado di rigenerarsi. Può anche darsi
che assisteremo al perfezionamento di una vita creata artificial-
mente. Ma, anziché rimpiazzare le donne, o trasformarle in in-
cubatrici di cellule sviluppate artificialmente, queste nuove tec-
nologie di riproduzione saranno vagliate attentamente sia dalle
donne sia dagli uomini, per garantire che servano a realizzare
pienamente il potenziale umano d'ambo i sessi. 72
Poiché le tecnologie di distruzione cesseranno di consumare e
annientare una così vasta parte delle nostre risorse naturali e
umane, diverranno economicamente fattibili progetti mai imma-
ginati (e attualmente inimmaginabili). Il risultato sarà una econo-
mia generalmente florida, di cui abbiamo avuto un'anticipazione
nella nostra preistoria gilanica. Non solo la ricchezza materiale
sarà ripartita più equamente, avremo un ordinamento economico
in cui l'accumulazione di proprietà sempre maggiori, come mez-
zo per proteggere se stessi e controllare gli altri, sarà considerata
per quel che è: una forma patologica o aberrante.
Per arrivare a questo, si passerà attraverso una serie di fasi
economiche. La prima, che si sta già delineando, sarà quella di
una cosiddetta economia mista, che combina alcuni degli ele-
360 Riane Eisler

menti migliori del comunismo, del capitalismo e - nel senso di


un gran numero di unità cooperative di produzione e distribu-
zione decentrate - anche dell'anarchismo. 73 Il concetto sociali-
sta per cui gli esseri umani non hanno soltanto diritti politici,
ma anche diritti economici fondamentali sarà sicuramente basi-
lare, in un'economia gilanica basata sulla solidarietà piuttosto
che sul dominio. Ma se una società mutuale sostituirà quella
dominatore, possiamo attenderci anche nuove invenzioni eco-
nomiche.
Il nucleo di questo nuovo ordinamento economico sarà la so-
stituzione dell'attuale fallimentare «economia duale», in cui il
settore economico a dominio maschile, ottenendo in cambio de-
naro, posizione sociale e potere, nelle sue fasi industriali deve,
come prova la Henderson, «sfruttare selvaggiamente sia il siste-
ma sociale che quello economico». Possiamo invece aspettarci
che l'economia «informale», non monetizzata (produzione e
conduzione famigliare, educazione, volontariato, e tutte le atti-
vità cooperative che consentono quelle che oggi sono «attività
competitive troppo retribuite per risultare vantaggiose») sarà va-
lutata e ricompensata adeguatamente. 74 Ciò costituirà la base, at-
tualmente mancante, di un sistema economico in cui la cura del
prossimo non verrà apprezzata solo a parole, ma sarà l'attività
umana meglio retribuita, e perciò più stimata.
Pratiche come la mutilazione sessuale femminile, le percosse
alle mogli, e tutti i modi più o meno brutali con cui l'androcra-
zia ha tenuto le donne «al loro posto», naturalmente non saran-
no più viste come tradizioni consacrate, ma per quello che sono:
crimini prodotti dalla crudeltà dell'uomo nei confronti della
donna. 75 E per quanto riguarda la crudeltà dell'uomo verso i suoi
simili, non essendoci più miti ed epopee «eroiche» a glorificare
la violenza maschile, anche le cosiddette virtù maschili di domi-
nio e conquista saranno viste per quello che sono: aberrazioni
brutali e barbare di una specie che si è scagliata contro se stessa.
Grazie alla riaffermazione e alla celebrazione dei misteri del-
la trasformazione simboleggiati dal Calice, nuovi miti risveglie-
Il balzo in avanti del!' evoluzione: verso un futuro mutuale 361

ranno in noi quel sentimento perduto di gratitudine e di esalta-


zione della vita così evidenti nelle vestigia artistiche di Creta e
del Neolitico. Ricollegandoci alle nostre radici psichiche più in-
nocenti, prima che guerra, gerarchia e supremazia maschile di-
ventassero le norme dominanti, questa mitologia non ci farà re-
gredire psicologicamente a com'era il mondo nell'infanzia
tecnologica della nostra specie. Al contrario, intrecciando il no-
stro antico patrimonio di miti gilanici con le idee moderne, ci
farà progredire verso un mondo che sarà molto più che raziona-
le, nel vero senso della parola: un mondo animato e guidato dal-
la consapevolezza che, sia ecologicamente che socialmente, c'è
un legame indissolubile tra gli uomini, e tra gli uomini e il loro
ambiente.
Insieme alla vita, si celebrerà l'amore, compreso quello ses-
suale tra uomini e donne. Sicuramente rimarrà qualche forma di
vincolo sessuale, come quello che oggi chiamiamo matrimonio.
Ma gli scopi fondamentali di questo vincolo saranno amicizia
reciproca, appagamento sessuale, amore. Non si faranno più fi-
gli solo per tramandare il nome e la proprietà dei maschi. E sa-
ranno riconosciuti pienamente altri rapporti affettivi, non solo
quelli delle coppie eterosessuali. 76
Tutte le istituzioni, non solamente quelle destinate all'edu-
cazione dei bambini, avranno come fine la realizzazione dei
nostri grandi potenziali umani. Soltanto un mondo in cui si at-
tribuisca il massimo valore alla qualità, e non alla quantità, può
avere questo obiettivo. Quindi, come ha previsto Margaret
Mead, i figli saranno meno numerosi, e, per questo, tenuti in
gran conto. 77
Sia le donne che gli uomini si prenderanno cura attivamente
degli anni formativi dell'infanzia. Non solo i genitori biologici,
ma numerosi altri adulti avranno diverse responsabilità verso il
più prezioso di tutti i prodotti sociali: il bambino umano. Una
alimentazione razionale ed esercizi fisici e mentali, come le for-
me di yoga più avanzate, saranno considerati requisiti indispen-
sabili per la salute del corpo e della mente. L'educazione, anzi-
362 Riane Eisler

ché servire a istruire il bambino per adattarlo al proprio ruolo in


un mondo gerarchizzato, come già si comincia a vedere, sarà un
processo che dura tutta la vita, volto ad aumentare al massimo la
flessibilità e la creatività, in ogni fase dell'esistenza.
In un mondo di questo tipo, in cui la politica sociale sarà su-
bordinata alla realizzazione dei nostri potenziali evolutivi più
elevati, ottenere la massima libertà tramite saggezza e cono-
scenza, uno dei principali interessi della ricerca sarà la preven-
zione della malattia personale e sociale, sia del corpo che della
mente. Inoltre si esploreranno e coltiveranno a fondo i poteri
della mente, oggi sempre più riconosciuti, ma utilizzati solo in
parte. Si scopriranno e si svilupperanno così potenziali mentali
e fisici ancora inimmaginabili. 78
Soprattutto, il mondo gilanico sarà un mondo in cui le menti
dei bambini, maschi e femmine, non saranno più incatenate.
Non saremo più educati sistematicamente alla limitatezza e alla
paura, per mezzo di miti che rivelano quanto siamo inevitabil-
mente perversi e malvagi noi esseri umani. Sarà un mondo in
cui ai bambini non si racconteranno leggende su uomini onorati
per la loro violenza, o favole su fanciulli che si smarriscono in
spaventose foreste, in cui le donne sono streghe mal vage. Si rac-
conteranno loro nuovi miti, leggende e storie in cui gli esseri
umani sono buoni e pacifici, e il potere della creatività e dell' a-
more, simboleggiato dal sacro Calice, il santo contenitore della
vita, è il principio dominante. In questo mondo gilanico, il no-
stro slancio verso giustizia, uguaglianza e libertà, la nostra sete
di conoscenza e d'illuminazione spirituale, il nostro anelito per
l'amore e la bellezza, saranno alla fine liberati. E dopo la san-
guinosa svolta della storia androcratica, sia gli uomini che le
donne finalmente scopriranno cosa può significare vivere come
esseri umani.
Il balzo in avanti del!' evoluzione: verso un futuro mutuale 363

Note
1. Frank Herbert, Dune, Chilton, Filadelfia 1965 (trad. it. La rifondazione,
Sperling & Kupfer, Milano 2000).
2. Charlotte Gilman, Herland, Pantheon Books, New York 1979 (ristam-
pa) (trad. it. Terra di lei, La Tartaruga, Milano 1980).
3. Per esempio, E.O. Wilson descrive il «comportamento aggressivo» co-
me una «forma di tecnica competitiva» dell'evoluzione, e cita le colonie di
formiche, che definisce «notoriamente in competizione reciproca». Si veda
E.O. Wilson, Sociobiology: The New Synthesis, Harvard University Press,
Cambridge I 975, p. 244 (trad. it. Sociobiologia: la nuova sintesi, Zanichelli,
Bologna 1983). Egli utilizza le società d'insetti per dimostrare la teoria della
«selezione intra-sessuale», che secondo lo scienziato «si basa sulla esclusione
aggressiva all'interno del sesso corteggiatore», e afferma che in alcune specie
di scarafaggi c'è un «violento machismo» (p. 320). Wilson prosegue poi con
alcuni esempi di violento dominio maschile tra gli insetti, per esempio nella
mosca gialla del letame, il cui maschio immobilizza con la forza la femmina
per lunghi periodi di tempo, per evitare che la montino i maschi rivali (pp.
321-4). In alcuni suoi scritti Wilson dà molta importanza alla distinzione tra il
comportamento degli insetti e quello umano. Per esempio, egli scrive che «la
zanzara è un automa», in cui «una sequenza di comportamenti rigidi, program-
mati dai geni» deve «fin dalla nascita manifestarsi rapidamente e invariabil-
mente», mentre «più che specificare una singola caratteristica, i geni umani re-
golano una capacità di sviluppare una serie di caratteristiche» (E.O. Wilson,
On Human Nature, Harvard University Press, Cambridge 1978, p. 56; trad. it.
Sulla natura umana, Zanichelli, Bologna 1980; corsivo nell'originale). Ma il
significato complessivo di ciò che afferma Wilson è molto chiaro, e non è dif-
ficile capire perché egli venga tanto spesso citato per dimostrare i concetti del-
l'inevitabilità dell'aggressività e del dominio maschile. Per esempio, per spie-
gare la sua teoria evoluzionista dell' «investimento paterno», Wilson scrive che
«siccome i maschi investono relativamente poco in ogni tentativo di accoppia-
mento [... ] conviene loro raggruppare il maggior numero possibile d'investi-
menti femminili», cosa che presumibilmente solo i maschi più aggressivi rie-
scono a fare, eliminando così i geni dei maschi «inferiori» (Sociobiology, cit.,
pp. 324-5). Egli descrive di nuovo la teoria sociobiologica per cui l'evoluzione
privilegia l'aggressività maschile con un esperimento prediletto dai sociobio-
logi: l'esperimento di Bateman del 1948, sull'accoppiamento di dieci Dro-
sophilae melanogaster, una razza di mosche (p. 325). Segue poi una discussio-
ne in cui si afferma che gli animali sono sostanzialmente poligami, perché
l'accoppiamento dei maschi «più forti» con più di una femmina dà un vantag-
gio evolutivo all'intera specie (p. 327). Altrove Wilson sostiene che «i vantag-
gi riproduttivi conferiti dal predominio» valgono anche per la nostra specie.
Per convalidare questa tesi egli cita un solo esempio: gli indiani Yanomana del
Brasile, una tribù estremamente bellicosa, rigidamente a dominio maschile,
che pratica l'infanticidio femminile. Qui «i maschi politicamente dominanti
generano un'incredibile quantità di figli». E, riferisce Wilson, l'impressione
degli antropologi nel descrivere quella che definiscono una sorta di «selezione
364 Riane Eisler

naturale» è che «gli indiani poligami, specialmente i capi, tendono a essere più
intelligenti dei non-poligami». Su questa base, Wilson fa intendere che la sua
ipotesi di «vantaggio del predominio nella competizione riproduttiva» si basa
su prove «convincenti».
4. Si veda, per esempio, Vilmos Csanyi, Generai Theory of Evolution,
Akademiai Kiado, Budapest 1982; Ervin Laszlo, Evolution: The Grand
Synthesis, New Science Library, Boston 1987; Niles Eldredge, Time Frames,
Simon & Schuster, New York 1985 (trad. it. Strutture del tempo, Hopefulmon-
ster, Firenze 1991). Come ha sintetizzato Margaret Mead, «Lungo tutto il cor-
so dell'evoluzione cosmica e biologica ci sono state opzioni e punti critici. Se
si considera attentamente il processo evolutivo, nulla indica che esso dovesse
imboccare il corso attuale. Poteva prenderne mille altri» (Our Open Ended Fu-
ture, The Next Billion Years, Lecture Series, UCLA, 1973).
5. Sherwood Washburn, «Tools and Human Evolution», in Scientific
American, settembre 1960, n. 203, p. 62.
6. Ilya Prigogine e !sabei Stengers, Order Out of Chaos, Bantam, New
York 1984, in particolare pp. 160-76 (trad. it. Le leggi del caos, Laterza, Ro-
ma-Bari 2003); N. Eldredge, op. cit., p. 189.
7. Ervin Laszlo, «The Crociai Epoch», in Futures, febbraio 1985, n. 17,
p. 16.
8. Jonas Salk, Anatomy of Reality, Columbia University Press, New York
1983, pp. 12-5.
9. Si veda, per esempio, Marija Gimbutas, The Goddesses and Gods of
Old Europe, 6500-3500 B. C., University of California Press, Berkeley and Los
Angeles 1982, p. 91.
10. Durante le Crociate e l'Inquisizione, la croce tornò a essere associata
alla tortura e all'assassinio. Essa viene ancora usata negli Stati Uniti dal Ku
Klux Klan come orrendo simbolo di oppressione e di morte.
11. Si veda, per esempio, Liberty, novembre-dicembre 1985, n. 80, p. 4,
ove si cita il presidente Reagan, che in almeno undici occasioni ha suggerito
l'idea che la fine del mondo sia prossima, un'affermazione rassicurante, consi-
derato che chi la fa è un uomo che può scatenarla.
12. Questa rimitizzazione è contrastata anche da una regressione globale
nel «fondamentalismo», una parola chiave della mitologia religiosa androcra-
tica. Questa regressione è così forte proprio a causa della fortissima tendenza
mondiale a creare nuovi miti e a reinterpretare quelli vecchi in modo maggior-
mente gilanico.
13. Esiste anche un nuovo genere contemporaneo di arte della Dea. Si ve-
da, per esempio, Gloria Orenstein, Female Creation: The Quest for the Great
Mythic Mother, conferenza con proiezioni; e Gloria Orenstein, Artist as a Sha-
man, mostra d'arte alla Women's Building Gallery, Los Angeles, California,
4-28 novembre 1985.
14. È significativo anche che la nascita del movimento ecologista si faccia
spesso risalire alla pubblicazione di un libro scritto da una donna: The Silent
Spring di Rachel Carson (Houghton Miftlin, Boston 1962; trad. it. Primavera
silenziosa, Feltrinelli, Milano 1999). Come scrisse James Udall, già segretario
Il balzo in avanti del!' evoluzione: verso un futuro mutuale 365

agli Interni degli Stati Uniti, «Una grande donna ha risvegliato la nazione con
la sua vivida descrizione del pericolo che ci sovrasta».
15. Alcuni lavori che collegano la nostra crisi ecologica e il nostro sistema
dominato dal maschio e dai valori maschili, sono, per esempio, Françoise
D'Eaubonne, Le Feminism ou la Mort, Pierre Horay, Parigi 1974; Elizabeth
Dodson-Gray, «Psycho-Sexual Roots of Our Ecologica! Crises», articolo di-
stribuito dalla Roundtable Press, Wellesley, MA 1974; e Susan Griffin, Woman
and Nature, The Women's Press, Londra 1984.
16. Shirley e John McConahay, «Sexual Permissiveness, Sex Role Rigi-
dity, and Violence Across Cultures», in Journal of Socia! lssues, 1977, n. 33,
pp. 134-43.
17. Per maggiori dettagli si veda Riane Eisler e David Loye, Breaking
Free. Si veda anche Eisler, «Violence and Male Dominance: The Ticking Time
Bomb», in Humanities in Society, inverno-primavera 1984, n. 7, pp. 3-18.
18. Il termine «aumento della consapevolezza» è stato un contributo del
movimento femminista della fine degli anni Sessanta, quando le donne si riu-
nivano in gruppi, per condividere la crescente consapevolezza di quanti dei lo-
ro presunti problemi personali fossero in realtà problemi sociali, comuni a
metà dell'umanità, in una società androcratica.
19. La questione verrà approfondita in R. Eisler e D. Loye, Breaking Free,
in preparazione.
20. Si veda anche Riane Eisler e David Loye, «Peace and Feminist
Theory: New Directions», in Bulletin of Peace Proposals, 1986, n. l; Riane
Eisler, «Women and Peace», in Women Speaking, ottobre-dicembre 1982, n. 5,
pp. 16-8; Id., «Our Lost Heritage: New Facts on How God Became a Man», in
The Humanist, maggio-giugno 1985, n. 45, pp. 26-8.
21. Per esempio, nel dicembre 1985 dei veterani della guerra del Vietnam
hanno fatto volantinaggio davanti ai negozi di giocattoli, per aumentare la con-
sapevolezza di quanto siano pericolose le armi giocattolo. Come ha detto un
veterano in un'intervista televisiva, se vendono dei pupazzi di Rambo e di GI
Joe, che rendono affascinante la guerra, dovrebbero almeno fame qualcuno
menomato, per mostrare ciò che la guerra significa veramente.
22. The Futurist, febbraio 1981, p. 2.
23. La crescita del movimento internazionale delle donne si è enormemen-
te incrementata nel Primo Decennio per la Donna delle Nazioni Unite (1975-
1985), durante il quale sempre più uomini hanno cominciato a riconoscere che
non ci può essere un vero sviluppo sociale o economico senza mutamenti so-
stanziali nella condizione della donna. Per esempio, all'apertura della Confe-
renza conclusiva delle Nazioni Unite per la Donna, tenutasi a Nairobi, in
Kenya, nel luglio del 1985, il presidente keniota Daniel Arap Moi ha detto che
«un XXI secolo di pace e di sviluppo e il rispetto universale dei diritti umani,
rimarranno un miraggio senza la piena partecipazione delle donne». Il vice-
presidente del Kenya Mwai Kibaki ha recentemente detto che le donne africa-
ne, che spesso partoriscono ogni tredici mesi, «sono senz'aiuto, deboli e mise-
rande nel loro difficile compito di allattare e far da mangiare per tre o quattro
bambini [... ] con un altro in arrivo [... ] e devono essere liberate» (Moi e Kibaki
366 Riane Eisler

sono citati in David Loye, «Men at the U.N. Women's Conference», in The
Humanist, novembre-dicembre I 985, n. 45, pp. 28, 32).
24. Si veda, per esempio, Mary Daly, Gyn/Ecology: The Metaethics of Ra-
dical Feminism, The Women's Press, Londra 1991; e Wilma Scott Heide, Fe-
minismfor the Health of lt, Margaretdaughters Press, Buffalo 1985.
25. Si veda Louise Bruyn, Feminism: The Hope far a Future, American
Friends Service Committee, Cambridge, MA., maggio I 98 I, per una efficace
descrizione di quelle che la Daly definisce «le radici misogine dell'aggressi-
vità androcratica» (Gyn!Ecology, cit., p. 357). Si veda anche Riane Eisler e
David Loye, «Peace and Feminist Theories: New Directions, e Peace and Fe-
minist Thought: New Directions», in Ervin Laszlo e Yoo (a cura di), World
Encyclopedia of Peace, Pergarnon Press, Londra I 986.
26. Jean Baker Miller, Toward a New Psychology of Women, Beacon, Bo-
ston I 976, p. 86.
27. Jbid., p. 69.
28. Jbid. Citazioni, nell'ordine, dalle pp. 83, 87 e 69.
29. Jbid. Citazioni, nell'ordine, dalle pp. 95 e 83 (corsivo nell'originale).
30. Abraham Maslow, Toward a Psychology of Being, Van Nostrand-
Reinhold, New York 1968 (trad. it. Verso una psicologia dell'essere, Astrola-
bio, Roma I 97 I).
31. Alfred Adler, Understanding Human Nature, Fawcett, Greenwich,
CT., I 954 (trad. it. Conoscenza del! 'uomo, Mondadori, Milano-Venezia I 954 ).
32. Una ricerca sulle differenti caratteristiche dei tipi psicologici androcra-
tici e gilanici viene riportata in R. Eisler e D. Loye, Breaking Free, in prepara-
zione. Si veda anche Riane Eisler, «Gylany: The Balanced Future», in Futures,
dicembre 1981, n. 13, pp. 499-507.
33. A. Maslow, op. cii.
34. Fritjof Capra, The Turning Point: Science, Society, and the Rising Cul-
ture, Simon & Schuster, New York I 982 (trad. it. Il punto di svolta. Scienza,
società e cultura emergente, Feltrinelli, Milano 2003).
35. Paradossalmente, solo ora che gli scienziati maschi stanno scoprendo
quanto limitato sia il tradizionale approccio lineare «maschile», c'è una mag-
giore apertura all'idea che entrambi i sessi abbiano probabilmente analoghe
facoltà innate di pensiero. Anche se ci sono alcune differenze biologiche, la
capacità delle donne di elaborare l'informazione in maniera più olistica è do-
vuta principalmente a un'educazione e a dei ruoli sessualmente stereotipati.
Per esempio, a differenza degli uomini, le donne sono state educate a conside-
rare la loro vita soprattutto in termini di relazione, e a essere più sensibili ai bi-
sogni degli altri.
36. J. Salk, op. cit., pp. I 1-9
37. L'opera più esauriente sulla McClintock è Evelyn Fox Keller, A Fee-
ling far the Organism: The life and Work of Barbara McClintock, W.H. Free-
man, San Francisco 1983 (trad. it. In sintonia con l'organismo: la vita e l'ope-
ra di Barbara McClintock, La Salamandra, Milano 1987).
38. Ashley Montagu, citato dal Woodstock Times, 7 agosto 1986.
39. Hillary Rose, «Hand, Brain, and Heart: A Feminist Epistemology for
the Natural Sciences», in Science, autunno 1983, n. 9, p. 81.
Il balzo in avanti dell'evoluzione: verso un futuro mutuale 367

40. Si veda, per esempio, Evelyn Fox Keller, Reflections on Gender and
Science, Yale University Press, New Haven 1985 (trad. it. Sul genere e la
scienza, Garzanti, Milano 1987); Caro! Christ, «Toward a Paradigm Shift in
the Academy and in Religious Studies», in Christie Farnham (a cura di), Tran-
sforming the Consciousness of the Academy, Indiana University Press, Bloo-
mington, Indiana 1987; Rita Arditti, «Feminism and Science», in Rita Arditti,
Pat Brennan e Steve Cavrak (a cura di), Science and Liberation, South End
Press, Boston 1979.
41. J. Salk, op. cit., p. 22.
42. J. Baker Miller, op. cit., cap. 11.
43. lbid, p. 130.
44. Per una visione d'insieme della battaglia per il voto svolta dalle fem-
ministe del XIX secolo, si veda Eleanor Flexer, A Century of Struggle, Belk-
nap Press of Harvard University Press, Cambridge 1959. Sulla lotta per l'ac-
cesso all'istruzione superiore, si veda Mabel Newcomer, A Century of Higher
Education far Women, Harper & Brothers, New York 1959. Alcune fonti sul
movimento per la liberazione della donna del nostro secolo sono Vivian Gor-
nick e Barbara Moran, Woman in Sexist Society, Basic Books, New York 1971
(trad. it. La donna in una società sessista, Einaudi, Torino 1982); Robin Mor-
gan (a cura di), Sisterhood is Powe,ful, Random House, New York 1970; So-
nia Johnson, From Housewife to Heretic, Doubleday Anchor, Garden City,
New York 1983; Riane Eisler, The Equa! Rights Handbook, Avon Books, New
York 1978.
45. Per una discussione dell'approccio gandhiano, si veda Marilyn Fergu-
son, The Aquarian Conspiracy: Persona! and Socia! Transformation in the
1980s, Tarcher, Los Angeles 1980, pp. 119-200 (trad. it. La cospirazione del-
l'Acquario, Tropea, Milano 1999). Si veda anche Louis Fisher, The Life ofthe
Mahatma Gandhi, Harper & Brothers, New York 1950.
46. J. Baker Miller, op. cit., p. 116. La distinzione tra potere per e potere
su è simboleggiata dal Calice e dalla Spada.
47. Si veda, per esempio, R. Morgan (a cura di), op. cit.; Marilyn French,
Beyond Power: On Women, Men, and Morals, Ballantine, New York 1985;
Adrienne Rich, Of Woman Born, Bantam, New York 1976 (trad. it. Nato di
donna, Garzanti, Milano 1979); Devaki Jain, Woman 's Quest far Power: Five
lndian Case Studies, Vikas Publishing House, Ghanziabad 1980; Marie Loui-
se Janssen-Jurreit, Sexism: The Male Monopoly on History and Thought trad.
ingl. di Veme Moberg, Farrar, Straus & Giroux, New York 1982.
48. Erich Neumann, The Great Mother, Princeton University Press, Prin-
ceton, N.J 1955, pp. 333-4 (trad. it. La Grande Madre. Fenomenologia delle
configurazioni femminili dell'inconscio, Longanesi, Milano 1990).
49. Alvin Toffler, The Third Wave, Bantam, New York 1980 (trad. it. La
terza ondata, Sperling & Kupfer, Milano 1987).
50. Ruth Sivard, World Military and Socia/ Expenditures 1983, World
Priorities, Washington, DC 1983, pp. 5, 26.
51. Willis Harman, «Tue Coming Transformation», in The Futurist, feb-
braio 1977, pp. 5-11.
52. Mihajlo Mesarovic e Eduard Peste!, Mankind at the Turning Point,
368 Riane Eisler

Dutton, New York 1974, p. 157 (trad. it. Strategie per sopravvivere, Edizioni
Scientifiche e Tecniche Mondadori, Milano 1979).
53. lbid., pp. 146-7.
54. John McHale, The Future of the Future, Ballantine, New York 1969,
p. 11.
55. Si veda, per esempio, T.W. Adorno, Else Frenkel-Brunswik, Daniel
Levinson, R. Nevitt Sanford, The Authoritarian Personality, Harper & Row,
New York 1950, in particolare il lavoro della Frenkel-Brunswik su come gli
individui allevati in famiglie rigidamente gerarchiche siano particolarmente
inclini a sostituire con l'acquisizione materiale i rapporti emotivamente appa-
ganti che non sono in grado di avere. Queste dinamiche sociali e della perso-
nalità vengono esaminate approfonditamente in R. Eisler e D. Loye, Breaking
Free (in preparazione).
56. John Stuart Mili, Principles of Politica/ Economy, a cura di W.J. Ash-
ley, nuova edizione del 1909 basata sulla settima edizione del 1871, Longman,
Green, New York 1929 (trad. it. Principi di economia politica, UTET, Torino
1983). Si veda anche Robert Heilbroner, The Worldly Philosophers, Penguin,
Harmondsworth 1983.
57. State of the World's Women 1985 (redatto per le Nazioni Unite da New
Intemationalist Publications, Oxford, UK).
58. lbid.
59. Hazel Henderson, The Politics of the Solar Age, Anchor Books, New
York 1981, p. 171.
60. lbid. Le citazioni sono, nell'ordine, dalle pp. 337, 364 e 373.
61. James Robertson, The Sane Alternative, River Basin Publishing, St.
Paul, MN., 1979.
62. Joseph Huber, Socia/ Ecology and Dual Economy, un estratto in ingle-
se da Arbeiten-Anders Wirtshaften, Fisher-Verlag, Francoforte 1979.
63. Sono debitrice a Hillary Rose e al suo Hand, Brain, and Heart: A Fe-
minist Epistemology far the Natural Sciences, cit., per la sua efficace esposi-
zione di questo punto fondamentale (vedi nota 39).
64. Questa trasformazione economica viene discussa più approfondita-
mente in R. Eisler e D. Loye, Breaking Free, e Riane Eisler, Emergence (in
preparazione).
65. Si veda R. Eisler, «Pragmatopia: Women's Utopias and Scenarios fora
Possible Future», articolo presentato all'undicesimo congresso della Society
for Utopian Studies, Asilomar, California, 2-5 ottobre 1986, per presentare il
concetto di pragmatopia (che in greco significa luogo reale, futuro realizzabi-
le, a differenza del termine consueto utopia, che letteralmente significa «non
luogo»).
66. Poiché il sistema ecologico della terra non può sopportare gli attuali
tassi d'incremento demografico, il problema non è se l'aumento della popola-
zione si stabilizzerà, ma come. Si veda, per esempio Jonas Salk, World Popula-
tion and Human Values: A New Reality, Harper & Row, New York 1981. Si
veda anche Riane Eisler, «Peace, Population, and Women's Roles», in E. La-
szlo e Yoo (a cura di), op. cit.
67. Questo problema verrà approfondito in R. Eisler, Emergence. Si veda
Il balzo in avanti dell'evoluzione: verso un futuro mutuale 369

anche F. D'Eaubonne, op. cit.; Elizabeth Dodson-Gray, Green Paradise Lost,


Roundtable Press, Wellesley, MA 1979, e altre opere eco-femministe.
68. Si veda, per esempio, The State of the World's Women 1985, cit.; Bar-
bara Rogers, The Domestication of Women: Discrimination in Developing So-
cieties, St. Martin's, New York 1979; Mayra Buvinic, Nadia Joussef e Barbara
Von Elm, Women-Headed Households: The lgnored Factor in Development
Planning, International Center for Research on Women, Washington, DC
1978; May Rihani, Development as lf Women Mattered, Overseas Develop-
ment Council, Washington, DC 1978; Riane Eisler, «The Global lmpact of
Sexual Equality», in The Humanist, maggio-giugno 1981, n. 41.
69. Si veda, per esempio, R. Sivard, op. cit.; Riane Eisler e David Loye,
«The 'Failure' of Liberalism: A Reassessment of Ideology from a New Femi-
nine/Masculine Perspective», in Politica[ Psychology, 1983, n. 4, pp. 375-91.
70. Si veda, per esempio, Luther Gerlach e Virginia Hine, People, Power,
Change: Movements of Socia/ Transformation, Bobbs-Merrill, Indianapolis
1970.
71. Si veda, per esempio, E.F. Schumacher, Small is Beautiful, Harper &
Row, New York 1973 (trad. it. Piccolo è bello: uno studio di economia come
se la gente contasse qualcosa, Mondadori, Milano 1988); H. Henderson, op.
cit.
72. Per le previsioni androcratiche sulle nuove tecnologie di controllo del-
le nascite si veda, per esempio, Wendy Faulkner e Erik Arnold (a cura di),
Smothered by lnvention: Technology in Women's Lives, Pluto Press, Londra
1985; Rita Arditti, Renate Duelli Klein e Shelley Minden (a cura di), Test Tube
Women, What Future far Motherhood?, Routledge & Kegan Paul, Londra
1984.
73. Un lavoro che indaga alcune di queste possibilità è Martin Camoy e
Derek Sherer, Economie Democracy, Sharpe, New York 1980.
74. H. Henderson, op. cit.; entrambe le citazioni sono da p. 365.
75. R. Eisler, «Human Rights: The Unfinished Struggle», in lnternational
Journal of Women 's Studies, settembre-ottobre 1983, n. 6, pp. 326-35.
76. R. Eisler, Dissolution: No-Fault Divorce, Marriage, and the Future of
Women, McGraw-Hill, New York 1977.
77. M. Mead, op. cit.; R. Eisler e D. Loye, «Childhood and the Chosen Fu-
ture», in Journal of Clinica! Child Psychology, estate 1980, n. 9.
78. D. Loye, The Sphynx and the Rainbow: Brain, Mind, and Future Vi-
sion, New Science Library, Boston 1983.
Appendice
Appendice 373

GOLFO DI
BISCAGLIA

.
t)

MEDITERRANEO

Principali siti paleolitici delle caverne nell'Europa occidentale. Sono


stati effettuati ritrovamenti di arte nel Paleolitico anche in siti dell'Eu-
ropa orientale. (Fonte: adattamento da André Leroi-Gourhan, «The
Evolution of Paleolithic Art», Scientific American, febbraio 1968, 218,
n. 2, p. 62.)
374 Riane Eisler

ANNia.C. CULTURA PERIODO

5.000 -
-
-

-
-
TARDO MAGDALENIANO
10.000 -
V-VI CLASSICO
-
(STILE IV)
- MEDIO MAGDALENIANO
III-IV
-
- PRIMO MAGDALENIANO
I-II
15.000 - ARCAICO
- (STILE III)
SOLUTREANO
-
-
- INTER-GRAVETTIANO
SOLUTREANO PRIMITIVO
20.000 -
(STILE Il)
-
-
-
GRAVETTIANO
-
25.000 -
-
PRIMITIVO
-
(STILE I)
-
- AURIGNACIANO
30.000 -

Cronologia dell'arte paleolitica delle caverne secondo Leroi-Gourhan


(dal 30.000 a.e. al 10.000 a.e. circa). (Fonte: adattamento da André
Leroi-Gourhan, «The Evolution of Paleolithic Art», Scientific Ameri-
can, febbraio 1968, 218, n. 2, p. 63.)
Appendice 375

HACILAR
c. 5000 a.C. ................................................ .
Id
- le
la 5247 ± 119
c.5250
Datazioni al radiocarbonio in corsivo
Ilb
Ila 5434 ± 131 - margine massimo d'errore.
c.5435 Tutte le date sono calcolate con il semi-
III decadimento del 5730.
IV Le date dubbie tra parentesi.
c.5500
V
c. 5600
VI 5620 ± 79
VII çATALHÙYÙK

VIII o
IX 5614 ± 92 I
-5706
c.5700
II 5797 ± 79
c.5750
III
5807 ± 94
c.5790
IV (6329 ± 99)
c.5830
V 5920 ± 94
c.5880
VI A 5781 ± 96 distruzione
5800 ± 93
5815 ± 92 inizio
5850 ± 94
c.5950
VI B 5908 ± 93
5986 ± 94 inizio
c. 6050/6070
VII 6200 ± 97 (?)
c.6200
VIII
c.6280
IX 6486 ± 102
c.6380?
X 6385 ± 101
c.6500
Livelli precedenti al X
(non ancora datati)

Cronologia di Hacilar e çatal Htiytik (nell'attuale Turchia) secondo


James Mellaart (dal 6500 a.C. circa al 5000 circa). La tabella si legge
dal basso verso l'alto. Le cifre più alte indicano i livelli di scavo corri-
spondenti agli stadi di sviluppo. (Fonte: James Mellaart, çatal Hiiyiik,
McGraw-Hill, New York 1967, p. 52.)
376 Riane Eisler


caverna di • ç;i
Franchthl ~Knosl09

~·'

I T~Gawra
2 Teli M'lefut
3 Nineveh
4 Arpachiyah
S Hassuna

e Importanti depositi di rame


T Depoaltl di turchese
Appendice 377

• Tepe Slyalk
e Anank

Il Vicino Oriente e i siti archeologici del Neolitico e dell'Epipaleoliti-


co. Il termine «Epipaleolitico» viene usato per indicare il periodo di
transizione tra il Paleolitico e il Neolitico (o l'inizio dell'agricoltura).
La proliferazione dei siti rivela l'ampiezza del primo sviluppo cultura-
le. (Fonte: adattamento da James Mellaart, The Neolithic of the Near
East, Charles Scribner's Sons, New York 1975, pp. 20, 21, copyright
Thames and Hudson, Londra.)
378 Riane Eisler

Estensione approssimativa della prima civiltà dell'Antica Europa ( dal


7000 a.C. circa al 3500 a.C. circa). Il termine «Antica Europa» è stato
introdotto per indicare la civiltà che durò all'incirca dal 7000 al 3500
a.C. nell'Europa sud-orientale, ma il termine potrebbe applicarsi al-
l'intera Europa prima delle invasioni indoeuropee, comprese le culture
megalitiche dell'Europa occidentale (Irlanda, Malta, Sardegna e alcu-
ne zone di Gran Bretagna, Scandinavia, Francia, Spagna e Italia), dal
V al III millennio a.e. (Fonte: adattamento da Marija Gimbutas, The
Goddesses and Gods of Old Europe, University of California Press,
Berkekey e Los Angeles 1982, p. 16.)
Appendice 379

Prima ondata kurgan (dal 4300 a.C. circa al 4200 a.e. circa). Le frecce
mostrano i principali itinerari della primissima invasione kurgan, che
interessò soprattutto le culture antico-europee di Karanova, Vinca,
Lengyel e Tiszapolgar. (Fonte: revisione del 1986 di Marija Gimbutas,
per il presente volume, della mappa apparsa originariamente in The
Joumal of Jndo-European Studies, inverno 1977, 5, n. 4, p. 283.)

Terza ondata kurgan (dal 3000 a.C. circa al 2800 a.C. circa). Le frecce e
le aree tratteggiate indicano le successive incursioni dei Kurgan delle
steppe (parte orientale delle linee più scure) e di culture ibride (area
oblunga al centro della mappa). La freccia tratteggiata mostra una possi-
bile rotta verso l'Irlanda. (Fonte: revisione del 1986 di Marija Gimbutas,
per il presente volume, della mappa apparsa originariamente in The Jndo-
European in the Fourth and Third Millennia, Karoma Publishers, 1982.)
380 Riane Eisler

Cronologia secondo Marija Gimbutas della fioritura e della distruzio-


ne della cultura dell'Antica Europa (dal 7000 circa al 2500 circa a.C.).
Fonte: Revisione del 1986 di Marija Gimbutas, per il presente volume,
della cronologia apparsa originariamente in Syllabus for Indo-Euro-
pean Studies 131, UCLA, 1980, pp. 5-7.

A.C. Avvenimenti principali

7000-6500: Stadio iniziale della produzione di cibo e della vita stan-


ziale di villaggio nelle valli delle zone costiere del Mar
Egeo.
6500-6000: Neolitico pienamente sviluppato, con ceramica, nell'E-
geo, nei Balcani Centrali e nelle regioni adriatiche. Col-
tivazione di frumento, orzo, veccia e piselli. Domestica-
zione di tutti gli animali, tranne il cavallo. Compaiono
vasti agglomerati di villaggi. Fitti raggruppamenti di ca-
se rettangolari in legno e mattoni di fango, con cortili.
Primi templi. Navigazione costiera e in mare aperto.
Commercio di ossidiana, marmo e conchiglie spondy-
lus.
6000-5500: Diffusione dell'economia agraria nel basso e medio ba-
cino del Danubio (Jugoslavia, Ungheria, Romania), nel-
la pianura di Marica della Bulgaria Centrale; sua com-
parsa nella regione del Dniester-Bug.
5500-5000: Diffusione dell'economia di produzione alimentare dal-
l'Europa Centro-Orientale a quella Centrale: Moravia,
Boemia, Polonia Meridionale, Germania e Olanda (cul-
tura della ceramica lineare). Inizio della metallurgia del
rame in Jugoslavia, Romania e Bulgaria. Le dimensioni
dei villaggi aumentano. Fa la sua apparizione una forma
di scrittura sacra, usata nel culto religioso. Crescita delle
culture di Vinca, Tisza, Lengyel, Butmir, Danilo e Kara-
novo.
5000-4500: Apice della cultura del!' Antica Europa. Fioritura del-
!' arte della ceramica e dell'architettura (templi a due
piani). Comparsa in Moldavia e nell'Ucraina Occidenta-
le della cultura di Cucuteni (Tripolye), e in Transilvania
di quella Petresti.
4500-4000: Continua la fioritura della cultura dell'Antica Europa.
Diffusione dell'uso di rame e oro e aumento dei traffici
commerciali. Fanno la loro comparsa i veicoli (modelli
Appendice 381

d'argilla di ruote in miniatura) e il cavallo addomestica-


to. Quest'ultimo viene introdotto dalla prima ondata di
pastori delle steppe, che inizia la disintegrazione delle
culture di Karanovo, Vinca, Petresti e Lengyel.
4000-3500: Inizia la kurganizzazione: mutamenti rilevanti del mo-
dulo abitativo, della struttura sociale, della religione.
Declino dell'arte dell'Antica Europa; scomparsa delle
statuette, delle ceramiche policrome, degli edifici di cul-
to. Comparsa nel basso bacino del Danubio e a Dobruja
della cultura kurganizzata di Cemavoda.
3500-3000: Seconda ondata dei Kurgan proveniente dal Nord del
Mar Nero. Inizio dell'Età del Bronzo. Formazione della
provincia metallurgica circum-pontica. Disintegrazione
della civiltà di Cucuteni, comparsa del complesso Usa-
tovo-Gorodsk-Foltesti, un'amalgama di Cucuteni e Kur-
gan. Il complesso di Ezero in Bulgaria e la cultura di
Baden nella regione centrale del Danubio si formano
tramite l'incrocio del sostrato antico-europeo con ele-
menti orientali (Kurgan). Appare nell'Europa Centro-
Settentrionale la cultura dell'anfora globulare.
3000-2500: Nuovo mutamento radicale in tutta l'Europa Centro-
Orientale causato dalla terza ondata kurgan ( o «J am-
na» ), proveniente dalle steppe del basso Dnieper-basso
Volga. Mutamenti etnici in Boemia e nella Germania
Centrale, in Bosnia e sulla costa adriatica. Ampi sposta-
menti nell'Europa Occidentale della popolazione della
coppa a campana (probabilmente centro-europei kurga-
nizzati). Formazione tra il Reno e il Dnieper del com-
plesso del vasellame a bande, dalla fusione della cultura
dell'anfora globulare con quella della coppa dal collo a
imbuto, e con nuovi elementi orientali ( «Jamna» ), se-
guita da un'ampia dispersione dei portatori di vasellame
a bande nella Scandinavia Meridionale, nel Baltico
Orientale e in aree dell'alto Dnieper e dell'alto Volga.
382 Riane Eisler

Confronto tra la cultura dell'Antica Europa e quella kurgan.


(Fonte: Revisione del 1986 di Marija Gimbutas, per il presente volu-
me, della mappa apparsa originariamente in The Journal of Jndo-Euro-
pean Studies, inverno 1977, 5, n. 4, p. 283.)

Cultura
del'Antica Europa Cultura kurgan

Economia Agraria (senza cavallo), Pastorizia (con cavallo)


sedentaria

Habitat Vasti agglomerati Piccoli villaggi con case


di villaggi e cittadine. semisotterranee, capi che
Nessuna cittadella governano dalla cittadella

Stuttura Ugualitaria, matrilineare Patriarcale, patrilineare


sociale

Ideologia Pacifica, amore per l'arte, Bellicosa, uomo creatore


creatrice donna
Appendice 383

MARE DI CRETA

MEDITERRANEO

Principali siti della Creta minoica. (Fonte: adattamento da Jacquetta


Hawks, Dawn of the Gods: Minoan and Mycenaean Origins of
Greece, Random House, New York 1968, p.59)

Memphil

EGITTO

_____., Rotte commada.11 m.lcenee


• • • • • ._ Rotte conunacial.i minoiche

Rotte commerciali minoiche e micenee. (Fonte: adattamento da


Jacquetta Hawks, Dawn of the Gods: Minoan and Mycenaean
Origins of Greece, Random House, New York 1968, p.21)
Confronto cronologico tra Creta e altre civiltà antiche
00
"'
-""
Lo sviluppo della civiltà cretese si basa sulle cronologie di Sir Arthur Evans e Nicolas Platon,
ed è messo a confronto con i momenti culminanti di altre civiltà antiche (le date sono approssimative)

Datazione a Creta Creta Altre civiltà antiche


cronologia di Platon cronologia di Evans momenti culminanti in ordine cronologico

6000 Primo Neolitico I Primo Neolitico In Anatolia fiorisce çatal Hiiyiik.


Coltivazione del riso in Thailandia.
Sviluppo delle culture agrarie in Europa e nel Vicino Oriente.

5000 Primo Neolitico II Medio Neolitico Colonizzazione delle pianure alluvionali della Mesopotamia.
Sviluppo degli insediamenti agrari in Egitto.
Coltivazione del mais in Messico.

4000 Medio Neolitico L'economia neolitica giunge in Gran Bretagna.


Primi monumenti megalitici in Bretagna.
Domesticazione del baco da seta in Cina.

3000 Tardo Neolitico Tardo Neolitico Nel Mediterraneo si sviluppa la cultura cicladica.
Le tecniche di aratura si diffondono nell'Africa Centrale.
Prima ceramica nelle Americhe. Prima dinastia egizia.

2600 Pre-palazzi, Fase I Primo Minoico 1 Sviluppo della civiltà della valle dell'Indo.
Prima dinastia di Ur. ~
Costruzione della piramide di Cheope in Egitto.
.
~
tT1
u;·
2400 Pre-palazzi, Fase II Primo Minoico II Periodo accadico a Sumer.
Quinta dinastia egizia. "..,
2200 Pre-palazzi, Fase III Primo Minoico III Settima dinastia egizia. Periodo Neo-sumero.
::i:.
2000 Primi palazzi, Fase I Medio Minoico I Domesticazione dell'elefante nella valle dell'Indo. ~
Terza dinastia di Ur. !::--
.....
Regno Medio d'Egitto. "'
1900 Primi Palazzi, Fase II Medio Minoico II Prima dinastia di Babilonia.

1800 Primi Palazzi, Fase III Regno di Hammurabi a Babilonia.

1700 Secondi Palazzi, Fase I Medio Minoico III Invasione hyksos dell'Egitto.

1600 Secondi Palazzi, Fase II Tardo Minoico I In Cina si sviluppa la civiltà Shang.

1450 Secondi Palazzi, Fase III Tardo Minoico II Popolazioni di lingua ariana conquistano l'India.

1400 Post-Palazzi, Fase I Tardo Minoico III Ascesa dell'Impero ittita.

1320 Post-Palazzi, Fase II L'Assiria diventa una potenza militare.


Tribù ebree conquistano Canaan.

1260 Post-Palazzi, Fase III Crollo dell'Impero ittita.

1150 Sub-Minoico Sub-Minoico In Cina la dinastia Shang viene rovesciata.


Nel Mediterraneo crollo della civiltà micenea.
Sotto Tiglath-Pileser I si intensificano
le conquiste assire nel Vicino Oriente.

Fonti: Sir Arthur Evans, The Palace of Minos at Knossos, voli. I-IV, MacMillan & Company Ltd., Londra, 1921-1935; Nicolas Platon,
Crete, Nagel Publishers, Ginevra 1966; James Mellaart, The Neolithic of the Near East, Thames and Hudson, Londra 1975; enciclopedie e ""'
e;
atlanti di storia mondiale.
Postfazione per la nuova
edizione italiana
di Riane Eisler

Per questa edizione speciale de Il Calice e la Spada, abbiamo chiesto a


Riane Eisler un breve commento rispetto alla tensione ancora in atto nel
mondo tra i modelli 'dominatore' e 'mutuale' (o dipartnership) 1•

Dalla prima pubblicazione de Il Calice e la Spada nel 19872, sono


accadute molte cose: in questo breve periodo di meno di un quarto
di secolo il nostro mondo ha sperimentato cambiamenti sismici -
letteralmente, con terremoti e tsunami - e geopolitici, come la
caduta dell'impero sovietico; l'Africa postcoloniale si è frammen-
tata in una pletora di nuovi stati e si sono scatenati conflitti san-
guinosi tra gruppi etnici, come in Ruanda, Congo e Sudan; in
Europa, nei Balcani, sono esplosi combattimenti armati fra serbi,
bosniaci e croati. I: 11 settembre 2001, per la prima volta dopo la

1
Le parole usate da Riane Eisler per definire due modelli molto precisi nella
sua Cultura! Transformation Theory sono: dominator model e partnership
model. Dominator viene tradotto con dominatore e partnership con mutuale.
A volte si è scelto di lasciare la seconda parola in inglese per sottolineare il
riferimento al rapporto fra partner, in particolare fra uomo e donna, che Riane
Eisler considera il nucleo fondante e il punto di partenza di una possibile e
auspicabile trasformazione culturale del mondo. Dominatore, dominio, predo-
minio definiscono il dominator model, mentre mutuale, di partnership, coop-
erativo si riferiscono al partnership model. [NdTJ
2 La prima edizione americana: The Chalice and the Biade, Our History, Our

Future, San Francisco, HarperCollins, 1987. [NdTJ


388 Riane Eisler

Guerra Civile, migliaia di statunitensi, insieme a molti cittadini del


mondo, sono stati uccisi in patria quando i terroristi islamici hanno
fatto esplodere le Torri Gemelle del New York World Trade Center,
evento che ha poi portato sia alla guerra in Iraq che in Afghanistan.
Questi avvenimenti dimostrano come la teoria della trasformazio-
ne culturale presentata ne Il Calice e la Spada sia sempre uno stru-
mento molto utile per analizzare la situazione mondiale.
Globalmente, il movimento contro il dominio in tutte le sue forme
ha continuato a crescere e, allo stesso tempo, si è rafforzata anche
la resistenza a questo cambiamento fondamentale, dovuta al per-
durare dei vecchi modelli di dominio e violenza, che a volte assu-
mono forme estremamente regressive e brutali.

La tensione fra modello di 'partnership' e 'dominatore'


Nel 1989 cadde il Muro di Berlino e fu un presagio del crollo
dell'Unione Sovietica e della fine della Guerra Fredda. Le politi-
che di glasnost e perestroika attuate da Mikhail Gorbachev hanno
permesso e persino incoraggiato la ribellione aperta rispetto alle
rigide strutture gerarchiche piramidali e ad un governo centraliz-
zato. La sua partnership personale con la moglie Raisa, la sua idea
che fosse necessario un cambiamento fondamentale nei valori, la
sua riduzione unilaterale dei sistemi militari in Unione Sovietica,
il suo desiderio palese di un mondo più giusto, ugualitario 3 e
pacifico offrivano un'enorme speranza.
Chi conosceva meglio la realtà dell'Unione Sovietica fu meno
ottimista. Ci furono servizi sui sabotaggi economici che avveni-
vano dietro le quinte da parte dell'élite del Soviet e sulla delibe-
rata creazione di scarsità di cibo. Alcuni membri del Soviet, par-
ticolarmente nelle province, facevano ostruzionismo destabiliz-
zando in modo grave il sistema nascente pur di mantenere il loro
potere e il vecchio modello di controllo. Questa situazione portò
alla minaccia di un collasso economico totale, poiché all'ineffi-
cienza e alla corruzione già propri del sistema si aggiungevano le
inevitabili difficoltà create dal tentativo di trasformare un'econo-

3
Vedi nota 10, pp. 39-40.
Postfazione per la nuova edizione italiana 389

mia controllata dallo Stato in una cosiddetta economia di libero


mercato. Inoltre, venuta meno la paura di brutali rappresaglie,
l'impero sovietico cominciò a sgretolarsi e, alla fine, lo stesso
Gorbachev perse il potere.
Durante il periodo in cui Gorbachev e Yeltsin stavano ancora lot-
tando per la leadership, fui invitata a partecipare ad un incontro
con alcuni intellettuali e politici del Soviet. C'erano un collega di
Yeltsin, con una posizione piuttosto elevata, un economista, un
produttore televisivo e diversi membri dell'Accademia delle
Scienze sovietica. Fu un incontro interessante poiché mi aprì gli
occhi sulla grande illusione della maggioranza dei partecipanti
che se solo avessero potuto sostituire il comunismo con il capita-
lismo tutto sarebbe andato a posto.
Eventi successivi hanno naturalmente dimostrato la fallacia di
questa visione: il risultato è stato che la 'vittoria' del capitalismo
ha portato ad una ancor più vasta polarizzazione della ricchezza e
del reddito, sia fra nazioni che all'interno delle nazioni.
Anziché combinare i migliori elementi di socialismo e capitalismo
attraverso l'esplorazione intensiva di un percorso economico com-
pletamente nuovo, gli economisti russi scelsero quelle stesse rego-
le del capitalismo che avevano già causato nel mondo tante diffi-
coltà in molte aree in via di sviluppo, particolarmente per le
donne, i bambini e gli anziani. Se oggi esiste in Russia una ampia
classe media e una maggiore libertà di espressione, si è verificato
però anche un abbassamento degli standard di vita e di salute di
gran parte della popolazione. Al potere c'è una nuova élite di
governo e industriale. Non è avvenuta una vera democratizzazio-
ne nella famiglia, e quindi l'abuso e la violenza contro le donne
sono ancora un problema fondamentale, così come la prostituzio-
ne, la pornografia e i crimini violenti (in parte, si suppone, appog-
giati dal governo) che sono ancora parte della vita di ogni giorno.
Ciò che è accaduto nell'ex Unione Sovietica illustra una delle
principali tesi di questo libro, cioè che la vera scelta per il nostro
futuro non è fra capitalismo e comunismo, sinistra e destra, reli-
gioso o laico, o altre coppie di opposti che troviamo costantemen-
te sui giornali. Si tratta invece di una scelta fra un'organizzazione
sociale e ideologica che si orienta principalmente ad un modello di
390 Riane Eisler

società di partnership e un'altra che si colloca all'interno di un


paradigma dominatore.
Se osserviamo da questa prospettiva gli ultimi sviluppi in Russia,
vediamo che il fallimento rispetto ali' adozione di una vera forma
di democrazia non è radicato nel comunismo ma nelle tradizioni di
dominio presenti nella storia russa molto prima della 'dittatura del
proletariato' sovietica. Infatti, sotto i precedenti regimi feudali e
zaristi, i russi hanno conosciuto solo strutture autoritarie e gerar-
chiche nella famiglia e nello Stato. Nonostante l'entrata in massa
delle donne nel mercato del lavoro e nei livelli di governo bassi e
medi, come ho osservato in prima persona quando ho visitato
l'Unione Sovietica nel 1984, la Russia è ancora fortemente orienta-
ta al dominio e alla centralità del maschio, ed ha un credo forte
(sostenuto dalla prassi della violenza domestica) che nella famiglia
le donne devono essere deferenti e servire gli uomini.
Sfortunatamente questa ideologia della supremazia maschile non è
cambiata nemmeno durante gli anni di Gorbachev - quando la con-
danna da parte del Soviet del femminismo in quanto controrivolu-
zionario cominciò ad allentarsi - come illustrato in modo evidente
dalla rimozione di quella parte della famosa intervista americana
nella quale Gorbachev parlava della sua partnership con Raisa.
Finché rimane attivo questo modello per il quale nella nostra specie
il maschio è superiore e la femmina è inferiore, esso si rifletterà
anche nella mappa mentale ed emotiva che i bambini interiorizzano
precocemente, dove si equipara la differenza - a cominciare dalla
fondamentale differenza fra maschio e femmina - al fatto di venire
serviti o servire. Questo è il motivo per cui il dominio maschile è
un aspetto così fondante dei sistemi dominatori: offre un prototipo
emotivo per tutti gli orribili ismi - dal razzismo all'antisemitismo -
e fa sembrare normali l'ingiustizia e l'essere subalterni sia nelle
famiglie che nelle nazioni, sia in economia che in politica. Ma non
provoca soltanto questo: un modello di umanità che si basa sui con-
cetti di superiore-inferiore, gruppo-interno e gruppo-esterno della
specie, e che definisce l'altra come 'pericolosa' e 'inferiore' solo
perché femmina (come nella leggenda di Eva) è infatti un elemen-
to chiave nella costruzione di quella mentalità che ha bisogno di un
nemico per far perdurare i sistemi dominatori.
Postfazione per la nuova edizione italiana 391

Uinsorgenza di un fondamentalismo 'dominatore'


Vediamo in modo chiaro come la centralità dei ruoli e delle rela-
zioni fra la metà femminile e quella maschile dell'umanità viene
costruita nell'insorgere dei cosiddetti fondamentalismi in tutti i
quattro lati del mondo - sia orientali che occidentali, mussulmani
o cristiani, indù o ebraici. Questo fenomeno è generalmente
descritto come fondamentalismo religioso, quando in realtà si trat-
ta di unfondamentalismo dominatore. È la restaurazione - o il ten-
tativo di restaurazione - di un governo autoritario, nella famiglia,
nello Stato o nella tribù, attraverso un rigido dominio maschile e
tramite l'idealizzazione della violenza come mezzo di controllo
(come in tutte le 'guerre sante' fondamentaliste contro altre reli-
gioni e gruppi etnici). In realtà il 'ritorno' delle donne al loro posto
subordinato 'tradizionale' è il tratto principale del fondamentali-
smo. Lo vediamo tristemente evidenziato nell'idea che )"onore'
dell'uomo dipende dal controllo sui corpi delle donne nella sua
famiglia. Questo viene esemplificato in modo brutale dalle barba-
rie contro le donne in Afghanistan, dalla lapidazione delle donne in
Pakistan e Iran, e dal fatto che l'assassinio in nome dell'onore non
viene tutt'ora perseguito legalmente e condannato nella maggior
parte del mondo islamico. Così mentre alla stampa piace definire
puritano il fondamentalismo, in realtà non si tratta affatto di que-
sto: gli uomini non sono puniti per le loro attività sessuali, purché
non infrangano la proprietà di un marito sul corpo di sua moglie,
né vengono loro proibite relazioni sessuali molteplici. In realtà il
fondamentalismo non è altro che il mantenimento o la restaurazio-
ne di un rigido dominio maschile.
Naturalmente, il mantenimento o la restaurazione di un rigido
dominio maschile non dipende dal fatto di essere mussulmano. La
cosiddetta destra cristiana negli Stati Uniti condivide la stessa
ossessione per il dominio maschile. Inoltre, la prassi di picchiare le
mogli, dello stupro e di altre forme di violenza contro le donne
continua in tutto il mondo. In molte cosiddette 'culture' di ogni
continente la 'mascolinità' è ancora definita principalmente in ter-
mini di dominio e conquista, come evidenziato dal bombardamen-
to contemporaneo dei mass media - compresi videogame brutali -
che esaltano la violenza maschile. Poiché la violenza è il modo in
392 Riane Eisler

cui il sistema dominatore mantiene la gerarchia dell'uomo sulla


donna, dell'uomo sull'uomo, di una religione su un'altra, di una
nazione su un'altra.
Di conseguenza il fondamentalismo idealizza la violenza. Di
nuovo, lo vediamo chiaramente nel terrorismo islamico, prima
contro gli israeliani ed ora anche contro gli occidentali, gli indiani,
i kenioti ed altri - dove ai kamikaze maschi che si fanno esplode-
re, uccidendo donne uomini e bambini, viene detto che saranno
ricompensati da Allah in paradiso con quarantadue vergini. Vediamo
lo stesso collegamento fra divinità e violenza nelle visioni di alcuni
fondamentalisti cristiani dell'Occidente. Per esempio, George Bush,
il cristiano rinato, ex-presidente degli Stati Uniti, ha affermato che è
stato Dio ad avergli detto di lanciare l'invasione dell'Iraq nel 2003
(fra l'altro, non fu mai provato che Saddam Hussein avesse real-
mente quelle 'armi di distruzione di massa' delle quali Bush parlava
in continuazione).
Le invasioni e le guerre sono parte del nostro 'patrimonio' domi-
natore; la violenza maschile è stata tradizionalmente idealizzata
sia in Oriente che in Occidente, come ci dimostrano alcune delle
più amate epiche - dall'Iliade di Omero alle famose storie di Re
Artù e dei suoi cavalieri, o al Mahabharata indù, oppure allo
Shahnameh di Firdusi, scritto in persiano intorno al 1000. Così la
violenza del fondamentalismo non è in realtà uno sviluppo nuovo:
è semplicemente parte di una regressione verso una forma più rigi-
da e brutale del sistema dominatore.

Il movimento continuo verso la 'partnership'


Fortunatamente questa non è tutta la storia. C'è anche un rifiuto
crescente della violenza nell'opinione pubblica mondiale attraver-
so i movimenti di pace e quelli contro la violenza sulle donne e i
bambini. Questo sviluppo è un aspetto importante del movimento
verso la partnership. C'è poi la tendenza a condannare brutalità e
violenza nella giurisprudenza internazionale, dalle convenzioni e
dichiarazioni delle Nazioni Unite alla sezione dello Statuto di
Roma sui crimini contro l'umanità. Ancora, vediamo la crescita di
sfide non-violente ai regimi autoritari che mantengono il loro
dominio con la forza e alimentano la paura. Ricordiamo il tragico
Post/azione per la nuova edizione italiana 393

esempio delle dimostrazioni pacifiche degli studenti cinesi a


Piazza Tienanmen (1989), che utilizzarono significativamente il
simbolo della Dea Democrazia e che furono purtroppo represse in
modo così drammatico; pensiamo al movimento democratico a
Burma (ora Myanmar) ispirato e guidato da Daw Aung San Suu
Kyi, che nel 1991 ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace. Più di
recente lo abbiamo visto nella cosiddetta Primavera araba (2011 ),
dove i regimi autoritari, prima in Tunisia e poi in Egitto, sono stati
abbattuti da dimostrazioni di massa non-violente.
Anche in questi casi, però, come nell'ex Unione Sovietica, il pro-
blema nasce da un sostrato culturale che ha forti tradizioni di domi-
nio. Infatti, considerato il potere crescente del fondamentalismo
islamico in Egitto, Tunisia e in altre nazioni mussulmane, il risulta-
to potrebbe essere una regressione ad un autoritarismo ancora più
virulento e brutale, sotto le mentite spoglie della democrazia. Le ele-
zioni non portano necessariamente ad una vera democrazia - come
abbiamo visto a Gaza, quando il governo fondamentalista di Hamas
ha preso il controllo. Per una vera democrazia è necessaria una tra-
sformazione rilevante verso il lato partnership del continuum, e un
pre-requisito affinché questo accada è quello di lasciarsi alle spalle
le tradizioni di dominio maschile. Comunque, purtroppo, nel
momento in cui scrivo, le donne che sono state così visibili e attive
nelle dimostrazioni contro il governo sia in Tunisia che in Egitto ven-
gono già ricacciate nei loro ruoli 'tradizionali' di sudditanza.
Ecco perché è così importante il movimento internazionale delle
donne che ha portato un'attenzione sempre maggiore nel mondo
sulla predominanza, troppo a lungo ignorata, della violenza sulle
donne: violenza domestica, stupro, mutilazione genitale, infantici-
dio delle bambine, o il fare morire di fame in modo 'selettivo' le
bambine. Per dare potere alle donne nel mondo, questo movimento
punta a un nuovo approccio sistematico alla vera democrazia, alla
giustizia e alla non-violenza.
In modo simile, come illustrato dalla Convenzione delle Nazioni
Unite sui diritti dei bambini e dalla designazione del 1994 come
anno della famiglia, c'è una condanna crescente di ciò che una
volta veniva anche socialmente accettato, cioè la violenza contro i
minori, con la consapevolezza che l'abuso e la violenza sui bambi-
394 Riane Eisler

ni hanno un ruolo fondamentale nel perpetrare istituzioni sociali


repressive e inique. In breve, c'è una coscienza emergente che le
cosiddette sfere pubbliche e private sono inestricabilmente intercon-
nesse; la gente in tutto il mondo sta diventando consapevole che non
ci potranno essere cambiamenti sostenibili senza trasformare i rap-
porti fondanti fra uomini e donne e genitori e figli.
Negli ultimi anni è stato dimostrato che il modo migliore e più eco-
nomico di investire per lo sviluppo è quello di permettere alle donne
di studiare, particolarmente in quelle nazioni del mondo dove la per-
centuale di scolarizzazione fra uomini e donne è pari a due uomini
rispetto a una donna.
Questa attenzione alla metà femminile dell'umanità - che in molti
luoghi significa considerazione per il benessere dei bambini, giacché
le donne sono spesso le principali responsabili non solo della loro
cura ma anche del loro mantenimento - si comincia a manifestare
anche in aiuti non governativi o di sviluppo privato a imprese rurali
di donne in tutto il mondo. E questo riflette ancora un'altra tenden-
za di partnership: il crescente numero di donne che entrano in
posizioni dirigenziali non solo governative. La rappresentanza
delle donne rimane ancora più alta nelle nazioni scandinave che,
non per coincidenza, sostengono come prioritarie politiche consi-
derate in modo stereotipato 'femminili' - come la salute, il welfa-
re e l'educazione - piuttosto che focalizzarsi su priorità considera-
te in modo stereotipato 'maschili', come la armi e la guerra.
Anche nelle corporazioni, strutturate secondo il modello domina-
tore tradizionale o il modello militare di una rigida gerarchia di
comando dall'alto in basso, ci sono segni di un movimento verso
la partnership. Sebbene non accada ovunque, c'è una percezione
sempre maggiore che le strutture rigidamente gerarchiche - siano
esse burocrazie socialiste centralmente pianificate o apparati
aziendali capitalistici - sono inefficienti in un'era di rapidi cam-
biamenti tecnologici ed economici. E, sebbene ancora come postil-
la, si discute anche del fatto che queste strutture siano distruttive
delle potenzialità umane.
Un altro cambiamento significativo è stato il sostegno al movi-
mento ambientalista, che enfatizza la partnership con la natura
piuttosto che la sua conquista. Con le minacce crescenti del riscal-
Post/azione per la nuova edizione italiana 395

<lamento globale sempre più persone si rendono conto che non è


possibile che gli 'affari' continuino come prima. Una parte di que-
sta consapevolezza comincia a fare breccia nelle politiche di gover-
no ed economiche. C'è inoltre un crescente movimento di investi-
tori e di imprese consapevoli dell'ambiente e si svolgono molti
congressi sui cambiamenti climatici e su altri temi che riguardano
l'ecosistema.

Punto-contrappunto
Rimane comunque da verificare se tutto questo porterà a reali cam-
biamenti strutturali, anche se è confortante vedere come alcune
multinazionali che già controllano una parte maggioritaria della
ricchezza del mondo stiano mettendo in atto delle politiche soste-
nibili per l'ambiente. Molto di ciò, però, è spesso pura retorica che
vanta le virtù di pratiche ecologicamente valide, di un lavoro di
gruppo più ampio, di stili direzionali più mutuali e di cura consi-
derati in modo stereotipato 'femminili'.
Ovunque ci volgiamo vediamo il punto-contrappunto della spinta
in avanti verso la partnership e la forte resistenza del modello
dominatore. Di particolare importanza è la diversa attenzione
rispetto all'esplosione demografica mondiale, così come si può
notare dal cambiamento su questo tema dal primo incontro inter-
nazionale sulla popolazione a Bucarest nel 1974 ad oggi. Si rico-
nosce sempre di più che una qualche speranza rispetto alla stabi-
lizzazione della popolazione mondiale viene dall'attenzione verso
le cosiddette questioni femminili: non solo il libero accesso per le
donne alla pianificazione delle nascite, ma anche l'accesso a pari
opportunità nell'educazione e nell'occupazione, affinché la loro
sicurezza e il loro status non dipendano in modo così considerevo-
le dal fatto di avere figli maschi.
Purtroppo il Vaticano e diverse nazioni hanno costruito una forte
azione contraria, che è stata poi rafforzata dalla convinzione che il
controllo delle nascite è una cospirazione imperialista
dell'Occidente che mira al genocidio delle nazioni più povere e
popolose. Così, mentre scrivo, la questione demografica è quasi un
tabù nella maggior parte dei circoli ambientalisti - nonostante che
dati scientifici riportati dal Worldwatch Institute e da altre autore-
396 Riane Eisler

voli fonti ci indichino che stiamo rapidamente eccedendo la capa-


cità di sopportazione del nostro pianeta e che, se non rallentiamo
la crescita esponenziale della popolazione, avremo drastiche
carenze e conflitti sull'acqua e altre risorse essenziali.
Un'altra area dove vediamo chiaramente come il percorso verso la
partnership è cooptato e frenato da una resistenza dominatrice
spesso inconscia si trova nella nozione di relativismo culturale,
così di moda ora, sotto la maschera di pensiero post-coloniale e
post-moderno. Sebbene quest'idea sia sostenuta da molti che si
considerano liberali e progressisti, si tratta in realtà di un concetto
davvero reazionario che agisce come una cortina fumogena giusti-
ficando la violazione dei diritti umani, specialmente la violazione
dei diritti di donne e bambini, come 'tradizioni culturali'.
Eppure, allo stesso tempo, si riconosce l'assurdità di parlare solo di
'diritti delle donne' e di 'diritti dei bambini' sganciandoli dai 'diritti
umani' in senso lato. Questo è stato il tema di molti miei articoli, da:
'Human Rights: Toward an lntegrated Theory for Action', pubblicato
in The Human Rights Quarterly nel 1987, al più recente 'Protecting
the Majority of Humanity: Toward an Integrated Approach to Crimes
against Present and Future Generations' in corso di stampa per la
Cambridge University Press, nel volume Securing the Rights of
Future Generations: Sustainable Development and the Rame Statute
of the Jnternational Criminal Court.
Ad ogni modo, il movimento continuo verso la partnership in tutte
queste differenti sfere non proviene dalle leadership e dai capi di
governo, ma dalla pressione continua sulle organizzazioni gover-
native e internazionali ad opera di una miriade di gruppi di base
non governativi - gruppi che ora si stanno diffondendo ovunque.
Credo infatti che lo sviluppo più importante a lungo termine per il
nostro mondo di oggi sia proprio questo movimento di base per la
partnership. Poiché è qui che la politica, come s'intende conven-
zionalmente, comincia ad essere ridefinita e a focalizzarsi sugli
squilibri di potere non solo in cima alla piramide del paradigma
dominatore (relazioni economiche e politiche tradizionalmente
limitate a rapporti fra maschi), ma anche nelle nostre relazioni fon-
damentali (genitore e figlio/a, donna e uomo, uomo e uomo, donna
e donna) dove, nelle società strutturate secondo il paradigma domi-
Post/azione per la nuova edizione italiana 397

natore, le persone imparano che la violazione dei diritti umani è 'il


modo in cui vanno le cose'.

La mia vita e il mio lavoro dopo 'Il Calice e la Spada'


Il libro che ho scritto dopo Il Calice e la Spada si intitola Sacred
Pleasure4 e si focalizza sui rapporti interpersonali e intimi - in par-
ticolare sull'interrelazione fra sessualità, spiritualità, politica ed
economia - e, oltre a ciò, su come la costruzione sociale del dolo-
re e del piacere sia molto diversa nelle società che si orientano pri-
mariamente alla partnership piuttosto che al dominio. Infatti, in
quelle che si orientano al dominio, il dolore e il sacrificio vengono
esaltati e idealizzati, mentre nelle società di partnership sono fon-
damentali il benessere e il piacere sia nel corpo che nello spirito,
che non vengono visti come scissi ma come parte di un continuum
e di un'unità dell'essere. Come per Il Calice e la Spada, la ricerca
e la scrittura per questo secondo libro hanno arricchito molto la
mia vita, espandendo i miei orizzonti intellettuali ed anche perso-
nali, e lo hanno fatto in un senso profondamente emotivo e spiri-
tuale che non avevo previsto.
È su questa nota più personale che desidero concludere questa
postfazione.
Sono stata incredibilmente fortunata in questi anni perché ho avuto
l'opportunità di fare un lavoro che mi impegna in modo così appas-
sionato e anche perché attraverso Il Calice e la Spada ho avuto il
privilegio di entrare in contatto con alcune delle persone più straor-
dinarie che abbia mai incontrato. Migliaia di donne e uomini mi
hanno scritto per dire come Il Calice e la Spada ha trasformato le
loro vite, molti mi hanno detto che è uno strumento utile nel loro
lavoro orientato ad una fondamentale trasformazione sociale e
ideologica. È come risposta ad alcune delle loro richieste - ed
anche al fatto che Il Calice e la Spada è stato adottato da profes-
sori universitari e insegnanti di scuola per le loro lezioni - che

4
Prima edizione americana: Sacred Pleasure. Sex, Myth, and the Politics of the
Body. New Paths to Power and Love, San Francisco, HarperCollins, 1996. La
traduzione italiana, Il piacere è sacro, sarà ripubblicata nel 2012 da Forum.
[NdT]
398 Riane Eisler

insieme a mio marito e partner, lo psicologo sociale David Loye ho


scritto The Partnership Way: New Too/s /or Living and Learning
(pubblicato anche da Harper San Francisco), un volume pratico
che si accompagna a Il Calice e la Spada.
Il Calice e la Spada è stato ora tradotto in italiano, francese, spa-
gnolo, urdu, arabo, ebraico, svedese, tedesco, portoghese, greco,
danese, ceco, coreano, finlandese, giapponese, russo, norvegese e
cinese. È uscita un'edizione britannica con distribuzione anche in
Australia e in India. Nell'ottobre del 1992 ho visto un sogno rea-
lizzarsi: si è tenuta a Creta, con gli auspici dell'ex first lady greca
Margarita Papandreou, la prima conferenza internazionale sulla
partnership alla quale hanno partecipato cinquecento persone pro-
venienti da oltre quaranta paesi. Nell'ottobre del 1993 ho ca-pre-
sieduto una conferenza che portava l'attenzione sul!' importanza
cruciale di focalizzarsi sui diritti umani della metà femminile del-
1'umanità. Questa conferenza, seguita da quasi mille persone pro-
venienti da molte regioni degli Stati Uniti, è stata organizzata da un
comitato di volontari che, in accordo con i principi della partner-
ship, era composto anche da molti uomini.
Nel 1993, a Beijing, si è formato un gruppo di ricerca cinese sulla
partnership, a cui è seguita la pubblicazione de Il Calice e la
Spada a cura del!' Accademia delle Scienze Sociali cinese. Ad oggi
vi sono oltre un centinaio di libri che utilizzano il modello della
partnership introdotto da Il Calice e la Spada, come, ad esempio,
The Chalice and the Biade in Chinese History scritto da un grup-
po di studiosi cinesi coordinati dal professor Min Jiayin.
Il Calice e la Spada ha anche ispirato la formazione del Center /or
Partnership Studies. Fondata nel 1987, questa impresa senza scopo
di lucro e di pubblico interesse si dedica alla ricerca, all'educazio-
ne e alla consulenza legale, alla difesa e promozione dei diritti
umani per accelerare il cambiamento dal modello dominatore alla
partnership nel mondo. Uno dei nostri progetti di ricerca ha por-
tato alla pubblicazione nel 1995 della monografia Women, Men,
and the Global Quality ofLife, che documenta come lo status delle
donne sia di fondamentale importanza per la qualità della vita di
una nazione. Come parte del nostro lavoro educativo c'è la forma-
zione di una rete di oltre venti centri per l'educazione alla part-
Post/azione per la nuova edizione italiana 399

nership negli Stati Uniti; gruppi auto-organizzati e auto-finanziati


che promuovono l'applicazione dei principi della partnership nelle
loro comunità.
Inoltre, con una sede in Italia, presso l'Università di Udine, è nato
nel 1998 il Partnership Studies Group, unico centro di ricerca
internazionale sulla partnership attivo in Europa, ideato e presie-
duto dalla professoressa Antonella Riem, che ringrazio anche per
questa riedizione italiana de Il Calice e la Spada, da lei fortemen-
te voluta. Il Partnership Studies Group è composto da studiosi e
studiose di numerose università e centri di ricerca internazionali
che portano avanti un significativo lavoro di studio e di ricerca
sulla partnership nelle world literatures (anglofone, francofone,
ispanofone) e nella formazione dei giovani nelle scuole e all'uni-
versità5.
Ho impegnato molto del mio tempo nel sostenere questo genere di
iniziative, anche dando consigli a chi si è ispirato alla mia teoria
della trasformazione culturale per scrivere la sua tesi di dottorato;
ho tenuto lezioni presso università e aziende, come ad esempio il
corso di laurea on-fine per il California Institute of Integrai Studies,
sono intervenuta in conferenze sull'alternativa di partnership, dedi-
candomi a rafforzare il movimento verso la partnership nel mondo.
Nel 1993, quando per l'editore Goldmann in Germania uscì l'edi-
zione paperback de Il Calice e la Spada, con un'introduzione di
Daniel Goeudevert, ex presidente del consiglio di amministrazione
della Volkswagen, sono andata varie volte in Germania per tenere
conferenze. Particolarmente significativa per me fu la seconda
volta - quando fui invitata a Bonn per un incontro introdotto dalla
professoressa Rita Suessmuth, presidente del Bundestag tedesco.
La presenza di un così alto membro del governo tedesco dimostra-
va infatti un profondo interesse per il mio lavoro. Inoltre, essere
ricevuti, mio marito ed io, in modo così gentile, fu un'esperienza
terapeutica, considerando che fui quasi uccisa, da bambina, quan-
do il governo della Germania era in mano ai Nazisti.
In quello stesso viaggio, quando mi trovai di fronte al Muro di

5 Per i molti volumi pubblicati sul tema si vedano i link a pagina 415.
400 Riane Eisler

Berlino, non potei fare a meno di pensare quanto sarebbe stata


diversa la mia vita, e l'intero corso della storia, se negli anni 1939
e 1949 ci fossero state persone come la professoressa Suessmuth,
con il coraggio di assumere una posizione forte.
Nel 1994, ho avuto l'opportunità di esprimere la mia gratitudine ad
un paese che aveva scelto di prendere una tale posizione forte. In
quell'anno Il Calice e la Spada è stato pubblicato in Danimarca, il
solo paese europeo nel quale la gente si è unita insieme in modo
non violento per resistere agli ordini di Hitler e, a cominciare dal
Re Christian, ha semplicemente rifiutato di collaborare allo ster-
minio nazista di coloro ai quali era capitato, come a me, di essere
nati da genitori ebrei. Quella pubblicazione, per la quale ho scritto
un epilogo speciale che onorava il coraggio dei danesi, è stata
intensa e piena di significato per me; è stata una dimostrazione che
se abbastanza persone fra noi si uniscono possiamo fermare la
deriva all'indietro verso il modello dominatore, che se teniamo
fede alla nostra risoluzione, possiamo mettere in atto la nostra
visione e creare un mondo di partnership.
Il tema di trasformare in azione la propria visione sta alla base dei
miei tre libri più recenti.
In Tomorrow s Children: A Blueprint far Partnership Education in
the 21 51 Century, che ha vinto diversi premi, ho applicato la mia
ricerca alla formazione, focalizzandomi principalmente sui cambia-
menti necessari nei metodi di insegnamento, nei curricula, e nelle
strutture per le scuole dalla materna alla superiore. Questo libro
multi/inter/culturale pone un forte accento sull'equità fra i generi ed
ha influenzato molti/e insegnanti e scuole di tutto il mondo.
The Power of Partnership: Seven Relationships that Will Change
Your Life è stata un'incursione nel regno del self-help e nel 2002
ha vinto il premio Nautilus come miglior libro per lo sviluppo per-
sonale, anche se è molto diverso da altre pubblicazioni di questo
tipo. Applica i modelli partnership e dominatore a tutto lo spettro
delle nostre relazioni - dal modo con cui ci rapportiamo con noi
stessi, con le persone più intime, a livello nazionale, internaziona-
le, spirituale sino al modo con cui ci relazioniamo con la nostra
Madre Terra. Disseminato da molte delle mie esperienze è forse il
più personale dei miei volumi stampati.
Post/azione per la nuova edizione italiana 401

Il mio libro seguente, e il più recente, è The Real Wealth ofNations:


Creating a Caring Economics. Pubblicato nel 2007, propone un
nuovo approccio all'economia che dà visibilità e valore al lavoro
umano più essenziale: prendersi cura delle persone e del nostro
ambiente naturale. È stato salutato dall'Arcivescovo Desmond Tutu
come «un modello per migliorare il mondo che abbiamo cercato con
tanta urgenza», ed ha portato ad un nuovo obiettivo per il Center far
Partnership Studies: la nostra Campagna per un 'economia della Cura
(Caring Economics Campaign - CEC).
Come Presidente del CPS, sono profondamente coinvolta in questa
campagna, che offre risorse online sul sito www.partnershipway.org
e che, sempre online, presenta un programma di successo per il tiro-
cinio alla leadership di partnership o cooperativa, oltre che una pio-
nieristica iniziativa di politica pubblica che si focalizza sullo svi-
luppo e l'implementazione di una nuova serie di indicatori di ric-
chezza sociale per integrare le misure economiche convenzionali
come il Prodotto Interno Lordo (PIL) con altri fattori di crescita
che normalmente non vengono inseriti, come, ad esempio, il lavo-
ro nel volontariato 6. Una parte fondamentale della Campagna per
un 'economia della Cura è l'Alleanza per un'economia della cura
(Alliance far a Caring Economy - ACE), una rete di organizzazio-
ni rurali, di ricerca, di formazione, ambientaliste ed altro, che
sostengono il movimento verso un'economia della cura.
Oltre a queste attività ho scritto oltre 300 articoli in diverse pubbli-
cazioni, come ad esempio Brain and Mind, Behavioral Science,
Politica! Psychology, Christian Science Monitor, UNESCO Courier,
Human Rights Quarterly, International Journal ofWomen s Studies,
Futures, e la World Encyclopedia ofPeace. Ho tenuto discorsi in sedi
nazionali e internazionali - ivi compresa l'assemblea generale delle
Nazioni Unite - oltre a conferenze in università internazionali. Ho
anche avuto l'onore di ricevere molti premi, fra cui quello della
Nuclear Age Peace Foundation nel 2009, il Distinguished Peace
Leadership Award, e titoli onorari di dottorato.

6
Si veda Riane Eisler: The Real Wealth of Nations, San Francisco: Berrett-
Koehler, 2007. [NdT]
402 Riane Eisler

Tutto ciò mi ha messo in contatto con migliaia di persone straordi-


narie che operano per una trasformazione sociale e mi ritengo for-
tunata perché mi viene costantemente ricordato che il movimento
verso la partnership è vivo in tutto il mondo e che ciascuno/cia-
scuna di noi può - e deve - avere il suo ruolo nel cambiamento.
Insieme possiamo costruire il futuro più equo e sostenibile di cura
e partnership che tanto vogliamo e di cui abbiamo bisogno.

Carmel-by-the-Sea, California, Agosto 2011

Traduzione di Antonella Riem Natale

Riane Eisler può essere contattata: center@partnershipway.org.


Glossario mutuale 1

a cura di Stefano Mercanti

Altro/a/alterità: nei sistemi sociali basati sul modello di dominio, la diversità


corrisponde all'opposizione binaria 'superiorità/inferiorità', e per estensione al
binomio 'dominatore/dominato', rappresentando l'alterità come identità 'al di
fuori' di un gruppo o sistema. Ciò instaura un meccanismo di svalutazione del-
1'altro, mentre nei sistemi sociali basati sul modello mutuale è proprio la diver-
sità a costituire la base per una dialettica coevolutiva di unione tra identità mol-
teplici, o pluridentità.
Amore: nei sistemi sociali organizzati in base al modello mutuale, l'amore
costituisce la massima espressione dell'evoluzione della vita sul nostro pianeta
e il più alto potere unificante universale.
Androcentrico: sistema di organizzazione sociale caratterizzato dal predomi-
nio dell'uomo e dalla subordinazione della donna, in cui la polarizzazione tra i
sessi, e per estensione la 'diversità', corrispondono all'opposizione superio-
rità/inferiorità. Nell'attribuire un ruolo dominante all'uomo, la donna viene
marginalizzata e sottomessa, consentendo ai valori maschilisti di rappresentare
la norma.
Androcrazia: dalla radice greca andros (uomo) e kratos (governato), sistema
sociale retto dagli uomini con la forza, con la violenza e con la minaccia.
Azioni di aiuto-reciproco: azioni di cura rivolte al rispetto e alla cooperazione
reciproca, definite da Nel Noddings other-regarding, attraverso cui la modalità
di relazione basata sul modello razionale-obiettivo viene continuamente rifor-
mulata a partire da un rinnovato legame personale, evitando in questo modo di
ignorare i bisogni, le necessità e le urgenze delle persone reali.

1
Mutuale traduce la parola partnership. Si veda in proposito la nota 1 a pagina 387.
404 Stefano Mercanti

Centri di relazioni di cura: termine coniato da Nel Noddings per delineare


come le persone estendono la propria capacità di cura, che può essere focaliz-
zata verso se stessi/e, le persone più intime, colleghi e conoscenti, sino ad
abbracciare persone lontane, animali, l'ambiente fisico, oggetti, strumenti e
idee.
Coltivare la conazione: lo sviluppo della volontà di agire. Un'educazione effi-
cace deve tener conto non solo dell'allenamento della capacità umana di pen-
sare (cognizione) e sentire (emozione), ma anche della capacità di compiere
un'azione (conazione).
Competenze di cura: secondo Nel Noddings, gli insegnanti devono sostenere
gli studenti nel trattare vari interessi e temi attraverso modalità che abbiano
significato per loro; è necessario soprattutto collegare gli studi scolastici alle
grandi domande esistenziali.
Componenti dell'educazione di 'partnership': contenuto (ciò che si inse-
gna), struttura (dove si insegna) e processo (come si insegna).
Componenti della mutualità: indicano le quattro categorie su cui si struttura-
no le culture pacifiche e di cura: le relazioni nell'infanzia, le relazioni di gene-
re, le relazioni economiche e l'insieme di storie, credenze e spiritualità tra-
smesse culturalmente.
Conflitto: in base al modello dominatore, il conflitto corrisponde ad un'oppo-
sizione dualistica incentrata sul potere di dominio e altre forme di disugualian-
za e di oppressione attraverso cui le persone e i sistemi sociali sono divisi in
'noi' e 'gli altri', in 'vincitori' e 'perdenti'. li conflitto viene ulteriormente
rinforzato dall'uso di metafore violente legate al combattimento e alla guerra,
invece che di metafore che diano valore alla cooperazione e all 'interconnessio-
ne. Una società mutuale o di partnership, invece, si basa su relazioni di reci-
procità, aperte alla risoluzione e alla coesistenza pacifica. Nel modello mutuale
il conflitto è invece orientato verso la ricerca di nuovi contesti di convivenza -
non distruttivi, ma produttivi- nei quali l'elemento fondamentale è il dialogo fra
diversità e non la forzata e violenta risoluzione definitiva dei conflitti. Secondo
Riane Eisler, lo scopo è dunque quello di trasformare il conflitto, anziché repri-
merlo o farlo sfociare nella violenza.
Connessione di cura: una delle pulsioni umane più elementari. Si riferisce al
concetto di interdipendenza e interconnessione, non solo come espressione spi-
rituale, ma anche come fondamento della biologia. Rende evidente quanto le
azioni degli esseri umani contribuiscano al progresso dell'evoluzione della spe-
cie e al rispetto del nostro pianeta.
Co-produzione: termine coniato da Edgar Cahn per indicare uno strumento
capace di trasformare l'interscambio unilaterale convenzionale tra produtto-
re/consumatore in una co-gestione solidale e reciproca, che usi la cura e l'al-
truismo come catalizzatori per auto-convalidare e auto-gestire contributi, servi-
Glossario mutuale 405

zi e responsabilità tra i fruitori di una comunità. Come strategia economica già


attuata negli Stati Uniti, Svezia, Giappone e Canada, la 'moneta sociale' (time
dollars) è una valuta comunitaria che serve come strumento efficace dico-pro-
duzione: le persone mettono a servizio degli altri i propri talenti, abilità e risor-
se per poi utilizzare la 'moneta sociale' guadagnata e spenderla per beneficiare
a loro volta di servizi e risorse per se stessi o per le proprie famiglie.
Coraggio spirituale: tradurre l'amore in azione anche quando ciò implica il
rifiuto di collaborare con norme e istituzioni stabilite in base al modello di
dominio.
Cultura contraffatta: una cultura il cui 'bene' e 'valore' istituzionalizzati sono
radicati nel modello dominatore e quindi non soddisfano i bisogni fondamenta-
li della società come il nutrimento, la cura, il supporto e l'assistenza.
Dea Madre: il divino femminile primordiale che rappresenta il potere creativo
della pienezza, del donare e del ricevere, fonte rigeneratrice di tutte le forme di
vita. Magna Mater nel mondo medio-orientale e greco-romano, e Dea Triuna
nelle sue molteplici manifestazioni (Vergine, Amante/Madre, Vecchia Saggia),
simboleggia la fonte della vita, dell'amore, della saggezza e della prosperità.
Dimensione della diversità: termine che indica l'importanza e il riconosci-
mento di ogni aspetto della differenza, come ad esempio l'eredità culturale, gli
stili di apprendimento, la classe economica e il credo spirituale o religioso.
Dolore: nel modello di dominio, infliggere dolore o minacciare di farlo è una
componente strutturale del sistema sociale e pertanto 'sacralizzato', a differen-
za del piacere che caratterizza invece i sistemi sociali basati sul modello mutua-
le e che viene invece demonizzato nelle culture androcratiche.
Dominio: modello di dominio o di controllo operante alla base di un sistema
sociale caratterizzato da un altro grado di paura, abuso e violenza, strutturato
essenzialmente sul rango come principio organizzativo. Le gerarchie sociali
basate su questo modello sono caratterizzate dal predominio del sesso maschi-
le e dalla subordinazione di quello femminile con una forte idealizzazione della
forza e della violenza attraverso miti, storie, credenze e istituzioni improntate
sulla virilità e aggressività.
Economia di cura: una serie di nuove pratiche, norme e misure economiche
inclusive incentrate sui valori dell'avere e dare cura. Chiamata anche partneri-
sm dalla Eisler per indicare una teoria economica che non solo incorpori gli ele-
menti di partnership presenti nel capitalismo e nel socialismo, ma che vada
oltre sino a riconoscere la cura di sé, degli altri e della natura come valori fon-
danti dell'economia.
Economia mutuale: una nuova economia in cui il prendersi cura di sé e degli
altri è integrato nello spettro delle varie attività economiche e abbraccia le atti-
vità legate al sostegno della famiglia, delle comunità, sino alla cura della natu-
ra. L'economia mutuale, o di partnership, intende sostituire l'attuale 'economia
406 Stefano Mercanti

duale', caratterizzata dal dominio maschile che ottiene denaro, posizione socia-
le e potere attraverso lo 'sfruttamento' come fonna strutturata di guadagno
all'interno del sistema sociale ed economico.
Educazione mutuale (o di 'partnership'): approccio multi e interdisciplinare
per promuovere l'acquisizione di strumenti, conoscenze, competenze e com-
portamenti e permettere l'esl?ressione di rapporti empatici e di uguaglianza tra
gli esseri umani e la natura. E costituito da tre componenti principali: contenu-
to (cosa si insegna), struttura (dove si insegna) e processo (come si insegna).
Era comune: nel rispetto delle diverse religioni del mondo, è preferibile utiliz-
zare i tennini neutrali E.C. (Era Comune) e P.E.C. (Prima dell'Era Comune) a
quelli giudaico-cristiani a.C. (avanti Cristo) e d.C (dopo Cristo) che pongono
l'evento della nascita di Gesù Cristo come unico spartiacque della storia.
Femminile: tennine che non ha nessun collegamento con i tratti del sesso fem-
minile o maschile, ma sta a indicare gli stereotipi sessuali socialmente costrui-
ti in una società basata sul modello dominatore in cui il maschio è identificato
con il dominio e la conquista mentre il femminile viene fatto corrispondere alla
passività e alla sottomissione.
Gaia: dea primordiale della Terra dell'antica religione greca (nota anche con il
nome di Gea), e secondo gli studiosi James Mellaart, Marija Gimbutas e
Barbara Walker, manifestazione più tarda della Dea Madre pre-indoeuropea. Si
riferisce anche alla teoria di Gaia fonnulata dal chimico britannico James
Lovelock basata sull'assunto che tutte le componenti geofisiche del pianeta
sono strettamente collegate e costituiscono un unico sistema di auto-regolazio-
ne complessa in grado di mantenere le condizioni di vita.
Genere umano: in base al modello gilanico di partnership, il tennine descrive
più accuratamente le due metà dell'umanità a differenza dei termini
'uomo/uomini'. Lo stesso in inglese: 'humankind' invece di 'mankind', o
'human kin' invece di 'fellow man'.
Genere/'gender': si riferisce alle differenze e ai vari significati socio-culturali
della sessualità e dell'identità di genere, da intendersi diversamente rispetto alla
tradizionale divisione in uomini e donne sulla base delle loro differenze biolo-
giche, così come maschio e femmina non corrispondono a maschilità e femmi-
nilità poiché sono una costruzione sociale dinamica e relativa.
Gerarchia: tennine comunemente utilizzato per indicare la struttura di un siste-
ma sociale dell'umanità basato sulla forza o sulla minaccia della forza. Poiché
tutti i sistemi (famiglie, scuole, governi, ecc.), in quanto gerarchici, richiedono
dei foci di responsabilità, Riane Eisler distingue tra gerarchie di dominio (auto-
ritarie e androcratiche) e gerarchie di attuazione (cooperative e gilaniche).
Gerarchie di attuazione: gerarchie di sistemi sociali basate sul potere di crea-
re, sostenere e nutrire, 'potere con' (per realizzare insieme), offrendo maggiori
possibilità di un futuro evolutivo di gran lunga più sostenibile rispetto a quello
Glossario mutuale 407

androcratico. Un esempio di tali gerarchie è dato dalla biologia, in cui la pro-


gressione da ordini più bassi di cellule a quelli più alti ha il compito di aumen-
tare al massimo il potenziale di funzionamento dell'organismo vivente.
Gerarchie di dominio: gerarchie basate sulla violenza o sulla minaccia impli-
cita o esplicita della violenza, tipiche delle società dominate da valori andro-
cratici. Inibiscono la creatività personale e producono sistemi sociali in cui sono
valorizzate e quindi potenziate le qualità umane più basse e vili, mentre vengo-
no sistematicamente represse le più alte aspirazioni dell'umanità, come ad
esempio la compassione, la sensibilità e la giustizia. La violenza, componente
strutturale di sistemi sociali basati sul modello di dominio, è istituzionalizzata
e rafforzata attraverso varie forme di predominio, forza, aggressione e sotto-
missione, dalla violenza domestica sino a quella globale come la violazione dei
diritti umani e le guerre.
Gilania: indica l'uguaglianza di status tra i due sessi come presupposto per
un'evoluzione culturale intrecciata che tenga conto della totalità della società
umana; è una struttura di pensiero e di organizzazione sociale che ha caratte-
rizzato civiltà fiorenti come quella cretese-minoica, contraddistinta da rispetto,
solidarietà e interconnessione creativa fra uomo e donna. Il termine deriva dalla
combinazione dei prefissi greci 'gi' (gyné) 'donna', e 'an' (andros) 'uomo',
generalmente utilizzati per significare il maschile e il femminile, e connessi dal
fonema'!', iniziale del termine inglese linking (unione), e in greco dal verbo
lyein (spiegare o risolvere) o lyo (sciogliere o liberare).
Identità attiva/passiva: mentre nelle società gerarchiche piramidali basate sul
predominio maschile gli individui sono costretti alla sottomissione e all'osser-
vanza passiva di credenze e istituzioni culturali rigide, in quelle strutturate sul
modello mutuale le persone godono di rapporti attivi tra loro, che consentono
diversità e flessibilità di decisione e possibilità d'azione con le istituzioni (e non
per le istituzioni).
Intelligenza di dominio: termine usato da Rob Koegel per descrivere la capa-
cità di esprimere relazioni strutturali basate sul predominio e la subordinazio-
ne. Impone e rinforza la logica delle gerarchie di dominio limitando gli indivi-
dui ad obbedire passivamente, inibendo allo stesso tempo l'attuazione di rela-
zioni basate sulla cura e la reciprocità.
Intelligenza emotiva: un insieme di attitudini, capacità e competenze emotive e
sociali che consente di imparare a comprendere i propri sentimenti e quelli degli
altri, di motivare se stessi, di sviluppare una grande capacità di adattarsi e gestire
opportunamente le proprie emozioni per promuovere le relazioni con gli altri.
Secondo Daniel Goleman, l'intelligenza emotiva è costituita da cinque compo-
nenti: consapevolezza di sé, dominio di sé, motivazione, empatia e abilità sociale.
Intelligenza mutuale o di 'partnership': termine coniato da Rob Koegel per
indicare la capacità di esprimere una coscienza empatica e un potenziale umano
orientato alla reciprocità. L:intelligenza mutuale non percepisce il sé come sepa-
408 Stefano Mercanti

rato dagli altri, ma riconosce che tutti fanno parte della stessa rete interdipen-
dente di relazioni la quale costituisce fonte di arricchimento. Ciò favorisce lo
sviluppo di capacità volte al bene degli altri invece che a loro discapito (intelli-
genza di dominio).
Lavoro da donna: nel modello di dominio, si riferisce, in modo dispregiativo,
a valori femminili stereotipati e alle attività comunemente attribuite alle donne
quali la cura dei figli, degli anziani, della salute e dell'ambiente; le stesse atti-
vità sono invece valorizzate e rispettate in società basate sul modello mutuale
come lavoro di cura riguardante entrambi i sessi.
Linguaggio mutuale: un linguaggio alternativo a quello androcratico (sessista,
razzista, classista) attraverso cui i valori mutuali del rispetto, della cura e del-
1'amore trovano espressione per valorizzare l'uguaglianza in tutti i sistemi
sociali. Le parole sono usate per descrivere e promuovere il legame tra i sessi
(donna/uomo, uomo/uomo, donna/donna) in modo da attuare un passaggio dal
modello di dominio a quello mutuale come ad esempio nelle seguenti coppie di
termini: target, termine/data; sesso opposto/altro sesso; regola/linee guida;
razza/popolo; leadership/partnership; gentil sesso, sesso debole/donne; coman-
do, controllo, govemance/guida, amministrazione; a buon cavaliere non manca
lanciala buon cavaliere non manca l'ingegno.
Mascolinità: nei sistemi sociali organizzati sulla base del modello di dominio,
il termina indica gli stereotipi sessuali androcratici comunemente associati al
maschio quali la forza, il predominio e la conquista. Ciò impone ai 'veri uomi-
ni' di non essere 'effemminati', vale a dire gentili, pacifici e affettuosi, crean-
do sofferenza soprattutto a chi non aderisce allo stereotipo violento e aggressi-
vo della mascolinità.
Matriarcato: si riferisce ad un sistema sociale organizzato in base al modello
di dominio in cui le donne rivestono un ruolo centrale autocratico. Per Riane
Eisler sia il matriarcato che il patriarcato corrispondono alle due facce della
stessa medaglia, poiché in entrambi i rapporti sono basati sul predominio di una
metà dell'umanità sull'altra, e non sono pertanto auspicabili. Queste due pola-
rità convenzionali sono invece superate con i termini partnership e gilania, a
indicare l'uguaglianza dei due sessi basata sull'unione.
Matrilineare: si riferisce a un sistema sociale in cui l'eredità e la discendenza
della prole viene trasmessa per via della propria madre, come ad esempio nella
cultura dei Nair o Nayar del Kerala (India) caratterizzata da forme di discen-
denza matrilineari (Marumakkathayam).
Modello di dominio: generalmente detto patriarcale (o matriarcale), si riferi-
sce ad un sistema di organizzazione caratterizzato da una struttura economica
e sociale autoritaria e non ugualitaria basata su rigide gerarchie di dominio in
cui prevalgono un alto grado di paura, abuso e violenza sociale, e la suprema-
zia di una metà dell'umanità sull'altra. Secondo questo modello sociale, il
mondo delle donne è considerato subordinato o sussidiario a quello degli uomi-
Glossario mutuale 409

ni, così come le qualità comunemente considerate 'femminili' quali l'affetto,


l'empatia e l'affiliazione, mentre i 'valori virili' dell'uomo legati alla forza e
alla violenza hanno la supremazia.
Modello mutuale: anche modello gilanico o di partnership, sistema sociale in
cui le relazioni tra individui si basano principalmente sull'unione e non sul pre-
dominio. In questo modello, a partire dalla più fondamentale differenza della
nostra specie, quella tra maschio e femmina, diversità non significa né inferio-
rità né superiorità, ma coesistenza pacifica centrata sulla diversità come cata-
lizzatore di cambiamento. Le strutture sociali basate su questo modello sono
caratterizzate da istituzioni eterarchiche che consentono diversità e flessibilità
di decisione e d'azione. Il modello mutuale è costituito da quattro componenti
principali: struttura sociale (ugualitaria, gerarchie di attuazione), relazioni di
genere (parità tra uomini e donne), basso grado di violenza (fiducia reciproca)
e sistema di credenze (relazioni di reciprocità e rispetto dei diritti umani).
Mutuale: modello di sistema sociale basato sull'unione (partnership) fra le due
metà dell'umanità, ove i rapporti umani sono centrati sulla cura e l'empatia, e la
diversità dei due sessi costituisce il fondamento per una loro evoluzione intrec-
ciata.
Partnerismo indica una teoria economica che non solo incorpori gli elementi di
partnership del capitalismo e del socialismo, ma che vada oltre sino a ricono-
scere la cura di sé, degli altri e della natura come valori fondanti dell'economia.
Patriarcato: sistema sociale in cui il potere e l'autorità dell'uomo predomina-
no su quello della donna. La discendenza è trasmessa per linea paterna (patrili-
neare) e il controllo degli individui viene esercitato in base al modello di domi-
nio caratterizzato dalla forza e dalla violenza. Anziché patriarcato, Riane Eisler
propone il termine androcrazia come termine più preciso per descrivere un
sistema sociale retto da uomini con la violenza, o con la sua minaccia.
Piacere: mentre nel modello di dominio, il piacere del contatto nei rapporti ses-
suali e in quelli tra genitori e figli è associato al controllo e alla forza, nel
modello mutuale le relazioni sociali sono basate su sentimenti di piacere, cura
e amore reciproco: l'impulso umano innato a gioire nel dare e ricevere piacere
è incoraggiato attraverso una sessualità improntata all'unione, vissuta come
riaffermazione del sacro legame tra gli esseri umani e tra ogni forma di vita.
Politica mutuale: strategie volte alla promozione di un piano d'azione per una
politica di partnership articolata attraverso quattro componenti principali: le
relazioni nell'infanzia (comprendere, sperimentare e valorizzare la partner-
ship), le relazioni di genere (uguaglianza e unione tra i sessi), le relazioni eco-
nomiche (incoraggiare l'empatia e la creatività, valorizzare la cura di sé, degli
altri e della natura) e l'insieme di storie, credenze e spiritualità trasmesso cul-
turalmente (promuovere e rafforzare la partnership e scartare il modello di
dominio).
410 Stefano Mercanti

Potere di attuazione: il potere di nutrire, sostenere, creare e realizzare insie-


me (potere con), a differenza del potere di dominare, infliggere dolore e
distruggere (potere su o contro) tipico del modello di dominio.
Potere di dominio: corrisponde al potere coercitivo e letale della Spada, il
potere di togliere anziché donare la vita, il potere fondamentale per istituire e
rafforzare il predominio. Per mantenere la sottomissione, le gerarchie di domi-
nio sono sostenute con la violenza o con la sua minaccia, invece che attraver-
so il piacere e l'amore (come nelle gerarchie di attuazione). In questo modo l'e-
spressione di relazioni empatiche e di cura di sé e dell'altro/a è inibita e distor-
ta; si è portati a vedere l'altro/a come un/a nemico/a o un/a rivale.
Ricchezza: secondo Riane Eisler la 'vera' ricchezza non è solo finanziaria, ma
include anche l'apporto degli individui e le risorse dell'ambiente; si riconosce
così il valore sociale ed economico della cura come attività essenziale per gli
esseri umani e l'intero pianeta.
Ricostruzione: muovendo dall'attuale decostruzione della critica postmoder-
na, le categorie tradizionali dell'organizzazione sociale, le relazioni di genere,
la spiritualità e la creatività sono analizzate in base ai modelli di partnership e
di dominio per mettere in luce le configurazioni proprie alle società androcra-
tiche. Dalla decostruzione delle categorie di dominio tradizionali, è possibile
dunque avviare nuovi approcci per una 'ricostruzione' dei sistemi sociali orien-
tati sul modello più olistico e ugualitario della partnership.
Sensibilità morale: definita dallo psicologo sociale e futurista David Loye con
il termine di mora/ sensitivity, corrisponde all'attitudine innata degli esseri
umani di nutrire e aver cura di sé e degli altri. Attraverso una ricerca approfon-
dita sulle annotazioni originali di Charles Darwin, Loye ha dimostrato che lo
scienziato, nella sua teoria dell'evoluzione, aveva espresso l'importanza di
esercitare le capacità umane più evolute quali l'amore e la morale.
Sessualità: nel modello di dominio, la scelta del partner, la procreazione e i
rapporti sessuali sono caratterizzati dalla coercizione, con la conseguente ero-
tizzazione del predominio e repressione del piacere attraverso la paura. In base
a questo modello, la funzione principale della sessualità corrisponde alla pro-
creazione del maschio e al suo soddisfacimento sessuale. Nel modello mutua-
le, la scelta del partner, il rapporto sessuale e la procreazione sono basati inve-
ce sul rispetto reciproco e sulla libertà di scelta per entrambi i sessi: le funzio-
ni primarie della sessualità corrispondono all'unione tra i sessi attraverso un
rapporto reciproco del dare e ricevere amore, vissuto come riaffermazione del
sacro legame tra gli esseri umani e tra ogni forma di vita.
Sfera di nutrimento: termine coniato da Bruce Novak per indicare la sfera
della coscienza umana dell'attenzione e della cura, concetto che amplia l'idea
di 'noosfera' di Pierre Teilhard de Chardin.
Sistema sociale: guida di un'organizzazione sociale basata sia sul modello di
Glossario mutuale 411

dominio (rigido, piramidale; gerarchie dal basso verso l'alto) sia sul modello
mutuale (flessibile, ugualitario; gerarchie di attuazione). Questi due modelli di
sistema sociale trascendono le categorie convenzionali binarie come destra/sini-
stra, religioso/laico, antico/moderno, capitalista/socialista e orientale/occiden-
tale.
Spiritualità: nel modello di dominio, l'uomo e la spiritualità- intesa nel senso
di idealizzazione del 'Paradiso' e demonizzazione della 'Terra' - occupano una
posizione di supremazia rispetto alla donna e alla natura, e questo giustifica il
predominio e lo sfruttamento di entrambe. I poteri che governano l'universo
sono immaginati come entità punitive che richiedono di essere ritualmente pla-
cate. Nel modello mutuale sono invece valorizzati gli aspetti spirituali della
donna (e della Terra) legati al donare e al sostenere la vita e la natura, ugual-
mente riconosciuti anche negli uomini; la spiritualità è caratterizzata dall'em-
patia e dall'uguaglianza in cui il divino appare attraverso simboli e miti basati
sull'amore incondizionato.
Sviluppo delle capacità umane: un mezzo per promuovere lo sviluppo e la
costruzione sostenibile di abilità, relazioni e valori che consentono a gruppi,
organizzazioni e individui di migliorare la capacità di esprimere cura, empatia,
conoscenza e creatività, insita negli esseri umani.
Teoria della trasformazione culturale: secondo Riane Eisler, la storia è il
risultato dell'interazione tra due movimenti evolutivi. Il primo è la tendenza dei
sistemi sociali a svilupparsi da uno stato primitivo verso forme organizzative
più complesse, attraverso fasi legate a cambiamenti tecnologici; il secondo è il
movimento di cambiamenti culturali generati dall'interazione tra due modelli
fondamentali alla base dell'organizzazione di un sistema sociale e ideologico,
da lei definito androcrazia (di dominio) e gilania (mutuale o di partnership).
La sua teoria si affianca all'analisi di filosofi della scienza e della teoria dei
sistemi come Ervin Lazio. Questi studiosi ritengono che il mondo ha oggi rag-
giunto un punto di biforcazione cruciale della storia e che un ulteriore cambio
di direzione verso un modello di partnership possa contribuire efficacemente
ad una svolta e ad un significativo cambiamento del sistema attuale.
Ugualitario: indica le relazioni sociali in una società mutuale, in cui si attri-
buisce uguale importanza alle donne e agli uomini (nonché al 'femminile' o al
'maschile'), a differenza del termine più comune egualitario, tradizionalmente
legato solo al concetto di uguaglianza tra uomo e uomo, come testimoniano,
oltre alla storia moderna, gli scritti di Locke, Rousseau, e altri filosofi dei 'dirit-
ti dell'uomo'.
Valori mutuali (o di 'partnership'): valori sociali e culturali, coltivati come
auspicabili e interiorizzati come norma sociale, che promuovono lo sviluppo
delle potenzialità umane come l'empatia, il dare e ricevere cura, l'amore, la non-
violenza e il benessere da condividere con tutti i sistemi di vita del pianeta.
412 Stefano Mercanti

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