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VITA DI MILAREPA

I SUOI DELITTI, LE SUE PROVE, LA SUA LIBERAZIONE


Jacques Bacot (a cura di).
VITA DI MILAREPA.
I SUOI DELITTI, LE SUE PROVE, LA SUA LIBERAZIONE. Titolo originale: "LE POETE
TIBETAIN MILAREPA. Ses crimes, ses épreuves, son nirvana".
Traduzione di ANNA DEVOTO.
Copyright 1980 Adelphi Edizioni S.p.A., Milano.
Su concessione Adelphi Edizioni.

INTRODUZIONE
Milarepa fu mago, poeta ed eremita. Lo fu successivamente e in modo così completo che
i Tibetani fanno fatica a non separare questi tre personaggi e, a seconda del loro punto
di vista di maghi, di laici o di religiosi, Milarepa è il loro più grande mago, poeta o santo.
Questo essere singolare visse nell'undicesimo secolo della nostra era e la sua memoria è
ancora viva nel Tibet come fosse di una personalità da poco scomparsa.
Le raffigurazioni dipinte o cesellate dei lama tibetani sono al tempo stesso immagini
devote e ritratti fedeli che riproducono la reale fisionomia. talvolta anche la bruttezza, dei
personaggi raffigurati.
Le immagini che si hanno di Milarepa lo mostrano quale egli apparirà all'inizio della sua
storia: un giovane bizzarro, dal carattere sconcertante, la cui carnagione livida si allea a
un vigore fisico che non conosce fatica, i cui lineamenti molli sono in contraddizione con
una tenacia straordinaria, la cui aria innocente (uno dei suoi maestri lo crederà idiota)
nasconde un'intelligenza astratta, unicamente rivolta all'assoluto.
Ilota volontario, Milarepa fu, come ogni grande santo e mistico, un «anormale». La
santità è infatti una stravaganza che suscita intorno a sé la diffidenza di coloro che son
soliti invocare i santi del passato. Nessuno fu mai un santo del proprio tempo, perché è
difficile essere santi senza dispiacere alla volgarità di cui si è circondati.
L'agiografia è fatta della storia delle resistenze mondane, familiari, a volte anche
religiose, di fronte alle vocazioni. Così, i grandi mistici non compaiono mai in una società
molto avanzata. Una semibarbarie è l'ambiente favorevole allo sviluppo dell'ascetismo.
Uscito dalla razza guerriera che, solo due secoli prima di lui, aveva invaso tutta l'Asia
centrale e la Cina occidentale, il dolce Milarepa è, perciò, una figura ancora più singolare.
Lui stesso ci fa sapere che sette generazioni soltanto prima di lui, cioè verso l'ottavo
secolo, il suo antenato era un lama, uno di coloro che per primi avevano visto Padma
Sambhava introdurre il buddhismo nel Tibet e fondare il lamaismo. Il figlio di questo
lama, di nome Gyose, della tribù Kyung po, fu un celebre stregone. Ascendenze simili, se
sono esatte, possono in parte spiegare la singolare carriera di questo figlio di barbari che
si sottomise alle prove più mortificanti per attingere la verità metafisica.
Nella sua giovinezza, Milarepa è uomo influenzabile, senza volontà propria per la scelta di
una via. Ma la sua volontà non ha più limiti quando si tratta di seguire un cammino che
gli sia stato tracciato.
Basta una parola di sua madre per farne un criminale, che si accanisce nella vendetta.
Basterà ancora una parola del suo maestro di sortilegi, preso dai rimorsi, per farne un
asceta, che si accanisce nel perseguire la santità. Questi due momenti segnano le sue

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due vite: la vita mondana carica di delitti, la vita religiosa colma di prove e di
meditazione. La sofferenza occupa un gran posto in queste due esistenze. Nella prima,
egli ha conosciuto soltanto la gioia maligna della vendetta. Nella seconda, dopo
l'annientamento dei sensi e la rinuncia a ogni felicità terrena, egli conosce finalmente le
delizie dell'estasi. La storia di Milarepa fu scritta nel dodicesimo secolo dal suo discepolo
Rechungpa. Nel Tibet ne esistono parecchie edizioni, ed essa fu tradotta anticamente in
mongolo e forse anche in cinese. In genere, la si trova accompagnata dai volumi dei
canti di Milarepa.
La forma data al racconto è complessa e richiede qualche spiegazione.
L'autore di quest'opera, il primo tra i discepoli di Milarepa, Rechung, incontra il maestro
soltanto quando questi è arrivato alla santità, alla fine della sua vita di durissime prove.
Per conoscere questa vita, Rechung chiede al maestro di fargliene il racconto.
Allora Milarepa prende la parola e comincia a narrare. Sarà dunque un'autobiografia, ma
incastonata nel testo di Rechung, che noi leggeremo. In primo luogo il discepolo espone
le circostanze che l'hanno condotto a chiedere a Milarepa la storia della sua vita. Il
maestro la racconta e noi, a mano a mano che procediamo nella lettura, finiamo col
dimenticarci della cornice in cui Rechung l'ha inserita.
Quando quest'ultimo, alla fine di ogni capitolo, riprende in poche parole il proprio
racconto per descrivere l'emozione degli ascoltatori, facciamo fatica a ritrovarci. Per
facilitare questi passaggi, abbiamo pubblicato il testo di Rechung in corsivo. Quest'opera
è considerata nel Tibet un grande classico. La letteratura che l'ha seguita vi ha tratto
sovente ispirazione. Il teatro tibetano, e perfino l'epopea popolare, hanno preso in
prestito da essa, per lo più sviluppandoli, un certo numero di elementi. Del resto, c'è una
tale densità di fatti nella storia di Milarepa che gli sviluppi non potrebbero trovarvi posto.
Da qui deriva anche l'asciuttezza dello stile. I fatti vi sono riferiti e mai giudicati, salvo per
alcuni pensieri che Milarepa ha nel momento stesso in cui tali fatti avvengono, e non
quando li racconta. Egli non pensa, per esempio, ad analizzare i propri sentimenti quando
rievoca la lunga prova delle umiliazioni che il suo maestro Marpa gli ha inflitto davanti
agli altri discepoli. Ed è anche per una tale omissione che ci si domanderà quale credito si
debba accordare all'intera storia che egli narra. La parte che si riferisce all'infanzia di
Milarepa, ha qualcosa di vissuto che toglie ogni possibile dubbio. Poi vengono i sortilegi
e, alla fine, la santità, raccontata con un iperbolismo ingenuo in cui non si distingue più la
verità. Il lettore dovrà fare lui stesso le parti tra ciò che e vero e ciò che non lo è,
tenendo tuttavia presente che il campo del verosimile, in un paese come il Tibet, è
necessariamente più ampio di quanto un europeo potrebbe immaginare. Le macerazioni
cui può abbandonarsi un eremita tibetano oltrepassano di molto, infatti, quanto la nostra
immaginazione concepisce come possibile. D'altronde, l'educazione vuole che il più
animale di tutti gli appetiti, cioè quello del cibo, sia il meno confessato, il più represso. Da
noi solo degli asceti potrebbero, sotto questo aspetto, raggiungere la dignità di
comportamento di un mulattiere tibetano.
Quel che, in quest'opera, potrebbe essere più facilmente attribuibile a un'invenzione
romanzesca è, innanzi tutto, il fatto che Milarepa presta agli altri personaggi della sua
storia dei pensieri che egli non poteva normalmente conoscere. In secondo luogo, che le
grandi linee della sua vita religiosa sono direttamente ispirate alla vita del Buddha: tale è
l'infelice esperienza della mortificazione spinta all'estremo limite. La parte profana di
questa autobiografia, quella iniziale, parrebbe invece la più vera. Anche il periodo passato
presso ii maestro Marpa è egualmente verosimile. I fatti minimi, di questo periodo, che ci

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vengono riferiti, e la cui poca importanza talvolta potrà stupire, hanno un significato
mistico che sarà poi rivelato nel seguito del racconto. Per agevolare la comprensione di
questo libro da parte di un lettore europeo, non basta definire alcuni termini e stabilire il
divario tra il senso orientale e il senso occidentale di ciascuno di essi. Niente è fallace
come questa trasposizione di termini da una religione a un'altra, da un pensiero a un
altro: l'uso, cioè, delle stesse parole per nozioni diverse. Qualche volta, anzi, parole molto
diverse designano una sola e medesima cosa. Occorre, dunque, ricordare sempre la
distanza enorme che separa il mondo intellettuale di un Milarepa da quello di un lettore
occidentale di oggi. Del resto, anche riguardo ai fatti non può non esserci qualche
malinteso. Poiché alla nostra critica dei fenomeni della mistica indiana mancherà sempre
la volontà, e anche la possibilità, di sperimentarli, in quanto essi richiedono condizioni per
noi irrealizzabili.
Prima di tutto, sarà bene notare che Milarepa - ed è la sua più grande originalità - ha
disdegnato le Scritture buddhiste, sebbene il suo maestro Marpa, questo santo
corpulento e terribile che gli ha inflitto ogni sorta di prove e di umiliazioni, ne fosse uno
dei traduttori.
Milarepa ha conservato del Mahayaana soltanto la quintessenza; ed è vissuto da cinico,
nudo, senza un tetto, senza libri. Marpa, che non era soddisfatto del buddhismo tibetano,
era andato molte volte in India a cercare la propria dottrina; questa viene ulteriormente
riformata da Milarepa, il quale respinge in blocco quasi tutti i testi. La sua dottrina, come
la setta da lui fondata e chiamata Kadjupa (tradizionale), deve direttamente all'India il
suo carattere essenziale, cioè la filiazione spirituale, il culto del padre mistico, la "bhakti"
(fede) spinta fino alla deificazione del maestro. Ma occorre anche rilevare che la dottrina
buddhista che ogni adepto della sua setta è tenuto a praticare, ha piuttosto l'aspetto di
uno yoga brahmanico umanizzato. E' infatti caratteristico delle dottrine tibetane aver
saputo riunire quel che di meglio offrivano il brahmanesimo e il buddhismo.
Marpa aveva vissuto una vita mondana, dando anche prova di molta attività ed energia.
Ma si trattava di una semplice concessione alla vita e al sentimento generale intorno a
lui. In India egli aveva imparato a rinunciare al frutto. Milarepa, però, rinuncia alle opere
stesse. Con il solo esempio della sua meditazione, scuote l'indolenza spirituale e converte
gli uomini. Nel suo insegnamento, egli tollera le opere mondane purché si sia penetrati
del senso della loro irrealtà. Ma egli rifiuta ogni pratica esteriore e resta su un terreno
puramente spirituale.
Quanto al principio stesso di quella meditazione in cui Milarepa si sprofonda durante la
maggior parte di una lunga vita, esso non trova una corrispondenza in nessuna delle
nostre pratiche né delle nostre filosofie. Da noi, contraddizioni irriducibili di sistemi, che
del resto influenzano ben poco il nostro modo di vivere: sistemi nati da un puro sforzo
intellettuale, dall'introspezione, sempre condizionata dalle sue molteplici contingenze e
dalla dualità sospetta soggetto- oggetto. Dall'altra parte, un'unica direzione di pensiero
nonostante la grande varietà di aspetti, e una sottomissione della vita alla convinzione
metafisica. Così Milarepa, per il quale il mondo sensibile non ha più realtà di un'immagine
in uno specchio, vive in conformità con questa idea, fondamento della sua legge morale,
mentre la stessa credenza, in occidente, è affatto teorica e non implica nessun distacco
dal mondo. Inoltre, l'individualità dell'eremita, facendo parte essa stessa del mondo
irreale, scompare come oggetto di conoscenza: l'io oggetto scompare nel soggetto, e si
confonde con esso. Ma questa identità si prepara solamente attraverso l'ascesi e non si

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realizza che nella contemplazione. E' dunque necessario l'oblio, la totale cancellazione
dell'io accidentale, dell'io individuale, per conoscere il sé nella sua realtà oggettiva.
Così stanno le cose in teoria. Ma in pratica, a che cosa può pensare un eremita immobile
per giorni, per mesi interi? In realtà, non pensa a nulla, o si sforza di non pensare a
nulla, senza per ciò cadere nel sonno o nel torpore. Se preferiamo una formula positiva,
egli pensa al nulla di ogni cosa o si sforza di pensarci e di sprofondarvici.
All'inizio, concentra il proprio pensiero, solo provvisoriamente, su un'unica idea, per
staccarla dai mille oggetti che la sollecitano e la disperdono. Per far questo è necessario
uno sforzo di volontà prodigioso. Per non pensare a niente, bisogna in prima luogo non
sentire né la fame né la sete, né il caldo né il freddo, non desiderare né temere nulla.
Una volta che i sensi siano messi a tacere, l'attività cerebrale, ultima manifestazione
dell'individualità, deve egualmente cessare. Allora subentra quello stato estatico che in
effetti è la realizzazione del sé reale nell'identità del soggetto e dell'oggetto, ma che il
linguaggio affettivo non esprime e che non è dato conoscere se non attraverso
l'esperienza personale.
Non c'è inoltre da stupirsi che le meditazioni di Milarepa siano accompagnate, e anche
determinate, da certe pratiche di carattere fisico. Nella storia che egli racconta, si parla
spesso della ritenzione, o del controllo, del respiro. Questa pratica, derivata dallo yoga, si
collega alla concezione buddhista dell'aggregato umano come composto di cinque o sei
elementi che si congiungono senza contrapporsi, dalla forma materiale fino alla
manifestazione spirituale più sottile ed evanescente. Questa concezione ha come
corollario una tendenza all'armonia tra gli elementi componenti, mentre al dualismo
occidentale fa riscontro un faticoso antagonismo tra la mente e il corpo. Il nostro spirito
analitico ha classificato e separato i fatti fisici e quelli psichici, con la conseguenza sia di
trascurare i primi quando esamina i secondi, sia di far sì che gli uni si sviluppino a
detrimento degli altri. La sintesi propria alla concezione orientale, l'armonia cercata e
trovata nell'ascesi buddhista, vogliono invece che una preparazione fisica preceda una
prolungata attività spirituale, che il controllo del corpo sia condizione del controllo della
mente. Non ci può essere dominio sul pensiero senza che in precedenza la volontà si sia
imposta sulla vita animale. E' in tal modo che il controllo del respiro comporta
automaticamente quello dell'attenzione. Nel freddo Tibet, del resto, il flusso regolato
dell'aria nei polmoni produce un effetto fisico che l'India, più calda, sembra aver ignorato
o trascurato. Implica un aumento di calore animale che permette agli eremiti di resistere
ai climi più rigidi. Il nome di Milarepa, "Mila vestito di tela", sottolinea appunto questa
particolarità: che egli meditava, vestito di solo cotone, ai confini delle nevi eterne.
Bisognerebbe ancora definire la pietà buddhista, che è l'essenza stessa di questo libro.
Bisognerebbe paragonarla a ciò che questa parola esprime nelle nostre lingue. Certo, non
è qui il caso di dimostrare che anche la nostra pietà ha un carattere molto soggettivo.
Essa si sforza di alleviare, di sopprimere certe sofferenze troppo indiscrete: non è tanto il
dolore che vuole impedire quanto l'urlo. La pietà buddhista, al contrario, non ha alcuna
relazione con la sensibilità. E' affatto oggettiva, fredda e legata a una concezione
metafisica. Non è mai spontanea, ma conseguente a lunghe meditazioni.
Quella forma di idealismo che tende a non far più differenza tra l'io e il non-io è
all'origine di questa pietà verso tutto ciò che vive e che è vittima dell'illusione. Essa
abbraccia tutti gli esseri travolti dalle proprie passioni nel ciclo delle rinascite. E'
universale, mentre la nostra è particolare. Partecipando dell'assoluto, essa non corre il
rischio di quegli improvvisi cedimenti cui è soggetta la legge dell'amore del prossimo. Il

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perdono di Milarepa verso i suoi parenti nemici (e gli odii familiari sono i più vivi!) è un
perdono logico, basato su una teoria immutabile della natura delle cose. Non è lasciato
alle mutevoli ragioni del cuore. Un perdono sostenuto dalla sola buona volontà non può
resistere a un sentimento più forte, all'impeto di una passione individuale e soprattutto
collettiva. Esso diventa immediatamente stoltezza, e anche delitto.
Così, forse, Milarepa ha ragione nel non separare la morale dalla metafisica e nel cercare
la via dell'uomo isolato piuttosto che quella dell'uomo nella società. La verità relativa
all'uno gli darà la soluzione per l'altro. Egli non predica la dolcezza in modo diretto, ma la
dimostra per assurdo, attraverso il nulla delle violenze, della vanità e di tutti i desideri.
Egli cerca di soddisfare la mente piuttosto che il cuore; o, se si preferisce, di soddisfare
soltanto la mente piuttosto che la mente per la via del cuore.
E' vero che anche il cristianesimo ha le sue figure puramente speculative, i suoi mistici
solitari, al margini della vita sociale.
Ma la Chiesa non li ha mai incoraggiati e li propone piuttosto come esempi da ammirare
che non da imitare. Per i buddhisti tibetani, al contrario, il misticismo resta l'ideale verso
cui essi devono indirizzare i loro sforzi. L'attenzione di chi ha scelto la via del misticismo,
dal momento in cui non è più dispersa né trattenuta dai sensi su quel miraggio che è il
mondo esterno, dal momento in cui si concentra e si ripiega su se stessa, sembra
avviarlo verso una conoscenza di sé del tutto nuova, indipendente dalle reazioni prodotte
da mondo esterno sui sensi, e che sarebbe appunto la coscienza del sé reale. L'estasi,
per un mistico tibetano, è un'esperienza provocata.
Nel mistico cristiano, invece l'attenzione non ricorre alla negazione del mondo
fenomenico per liberarsi; essa sembra naturalmente sviata sembra subire l'irresistibile
richiamo di un oggetto amato al di fuori del mondo fenomenico. Non è più un fatto di
volontà, ma di sensibilità. L'attenzione è catturata. E' ciò che la parola «rapimento»
esprime così bene, una parola che non ha posto, o almeno non lo stesso posto, nella
mistica orientale. Nella teoria della dottrina, come nella pratica dell'ascesi, la parte
dell'uomo è soprattutto passiva in occidente, più attiva in oriente.
Così le illuminazioni buddhiste, nonostante una grande esuberanza verbale, non hanno la
soavità del rapimento estatico. Ma la ricerca dell'asceta orientale, condizionata da una
fatica solitaria tremenda, perseguita a forza di volontà fino all'estasi, è un dramma
intenso toccante: come è il caso di Milarepa.
Volendo giudicare dei risultati pratici, non si può rifiutare il nostro apprezzamento a una
dottrina e a una ascesi che conducono a insegnamenti come questi di Milarepa: «Alcuni
si credono pieni di meriti perché sono fieri di essere buoni religiosi. Questo è soltanto
orgoglio mondano… Fare l'elemosina per ricevere dieci volte quanto si è dato,
nascondere agli occhi degli uomini la propria miseria morale, significa assorbire veleno
insieme agli alimenti… Perseguite soltanto la santità… La grandezza dell'uno è
l'umiliazione degli altri… Il silenzio su se stessi evita i conflitti… Respingete tutto ciò che
l'egoismo fa sembrare buono ma che nuoce alle creature… Fate ciò che sembra peccato,
ma è di profitto alle creature… In una parola, agite in modo di non arrossire di voi
stessi… A che scopo meditare sulla pazienza, se essa non è la risposta alle ingiurie?».
Legando insieme filosofia, morale e mistica, egli condensa in queste parole la propria
dottrina: La nozione del nulla genera la pietà.
La pietà abolisce la differenza fra sé e gli altri.
Il confondere sé con gli altri realizza la causa altrui. JACQUES BACOT. La traduzione di
Jacques Bacot della biografia di Milarepa è la prima apparsa in una lingua occidentale. In

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seguito si sono avute altre edizioni e traduzioni, sia della biografia, sia del libro dei canti.
che è l'insieme degli inni lasciati da Milarepa e appartenenti ormai alla tradizione
popolare. Esse sono: W. Y. Evans-Wentz, "Tibet's great Yogi Milarepa", Oxford 1928
(nuova edizione abbreviata, New York 1962); H. Clarke, "Message of Milarepa, New light
upon tibetan way", London 1958; G. C. C. Chang, "The Hundred Thousand Songs of
Milarepa", New York 1962. e J. W. de Jong, "Mila Ras Pa'ienam Thar", Leiden 1960
(prima edizione critica).
8u Milarepa, Bacot ha scritto in "Etudes Tibetaines", «Bull. de la soc. des Etudes
Indochinoises» 26., 1951. e in "Introduction à l'histoire du Tibet", Paris 1962 (Soprattutto
alle pagine 92-95). Su Marpa e Milarepa, nella prefazione a "La vie de Marpa le
traducteur", Paris 1937. Fondamentale è il breve studio di H. Hoffmann, "Milarepa",
Weilheim 1950.
Per l'aspetto storico relativo all'antico Tibet, oltre all'"Introduction à l'histoire du Tibet",
sopra citata, si possono consultare: J. Bacott, F.W. Thomas, C. Toussaint, "Documents de
Touen- Houang relatifs à l'histoire du Tibet", Paris 1940-46; C. N. Roerich, "Debther-
schon-po (Bleu annals)", Bombay 1949-53, P. Pelliot, "Histoire ancienne du Tibet", Paris
1961. Per l'aspetto religioso: C.
Bell, "The Religion of Tibet", Oxford 1931; R. Bleichsteiner, "Die gelbe Kirche", Wien
1935; G. Tucci, "Santi e briganti nel Tibet ignoto", Milano 1937; C. Hummel, "Lamaistiche
Studien", Leipzig 1949; G. Tucci, "Tibetan Painted Scrolls", Roma 1949; H. Hoffmann,
"Die Religionen Tibets", Freiburg 1956.

PARTE PRIMA

CAPITOLO 1
"Prima di tutto, il perché del nome patronimico di Mila; quale era l'origine dei suoi avi e
quale fu la sua nascita.
"Come, nella sua giovinezza, essendo morto il padre, i parenti prossimi si levarono nemici
contro di lui, e come, spogliato di tutti i suoi beni di fuori e di dentro, (1) egli conobbe
fino in fondo tutta la realtà del dolore.
"Come infine, incitato dalla madre, distrusse i suoi nemici per mezzo dei sortilegi della
stregoneria.
"Tali sono i primi tre capitoli di questa storia meravigliosa. Il primo capitolo è introdotto
dal seguente antefatto: O meraviglia!
All'epoca in cui io lo udii, il celebre Heruka (2) e potente eremita dal nome Venerabile-
Mila-Dordje-sbocciato, nel santo luogo di riposo chiamato Caverna-del-Villaggio-di-
Nyanang, stava in mezzo ai suoi discepoli: Corto-Mantello-Simile-al-Diamante, Repa-
Luce-di-Pace, Maestro Repa-di-Gnandzong, Eremita-di-Seban, Repa-Cacciatore, Repa-
Eremita-di-Hbri, Repa-Eremita-di-Klan, Repa-Buddha-Protettore, Repa- Eremita-di-Gjen,
Santo-dal-Respiro-Potente, Maestro-Sakya-Guna, e gli altri, suoi figli spirituali ed eremiti
perfetti; poi la donna Diamante-di-Gyen, dalle diecimila virtù, e gli altri, suoi ascoltatori e
ascoltatrici fortunati, le cinque nobili sorelle dalle lunghe vite e gli altri, e le Tara (3)
aeree dai corpi di arcobaleno e che hanno raggiunto il cielo; altri ancora, tutti eremiti
puri, Dei e uomini, uomini e donne riuniti. Mila stava in mezzo a loro e predicava la
dottrina del Mahayana. (4) "A quel tempo, il santo Rechung (Corto-Mantello) viveva in
preghiera nella sua cella. Durante un'intera notte fece il seguente sogno: in una contrada
felice e gradita all'anima, chiamata "Urgyen-Soggiorno- di-Dee, egli entrò in una grande

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città le cui case avevano mura e pavimenti di materie preziose. Gli abitanti di questa città
erano vestiti di seta e coperti di ornamenti d'osso (5) e pietre rare. I loro volti erano belli
ed essi erano solo piacevoli da vedere.
"Infatti non parlavano, ma rivolgevano sorrisi e scambiavano sguardi.
"Tra loro si trovava una discepola del lama Tephuba, chiamata Bharima, che una volta
Rechung aveva conosciuto nel Nepal. Essa indossava una veste rossa e pareva essere il
loro capo. Disse a Rechung: «Nipote, eccoti! Sii il benvenuto». Così detto, lo condusse in
una casa di pietre preziose, piena di ricchezze inesauribili. E lo onorò come un ospite con
un banchetto, ristorandolo abbondantemente con cibi e bevande. Poi disse:
"«In questo momento, il Buddha Mikiudpa (Immutevole) predica la dottrina a Urgyen.
Nipote, se tu desideri ascoltarlo, glielo chiederò».
"Desiderando molto ascoltarlo, Rechung rispose affermativamente.
Allora Bharima: «Ebbene, andiamo». E se ne andarono insieme.
"Al centro della città, Rechung vide un trono, largo e alto, fatto di materie preziose. Su
questo trono, il Bhaghavat Immutevole, più grande e sublime di colui su cui aveva
meditato tante volte, insegnava la dottrina in mezzo a un oceano di discepoli. A quella
vista, ebbro di felicità e di allegrezza, credette di cadere privo di sensi. Allora Bharima gli
disse: «Nipote, resta qui un momento. Vado a chiedere il consenso del Buddha».
"Andò e fu esaudita. Condotto da lei, Rechung giunse ai piedi del Buddha e si prosternò.
Gli chiese la sua benedizione e restò di fronte a lui, ascoltando la dottrina.
"Poiché il Buddha lo fissava un momento sorridendo, Rechung si disse:
«Egli pensa a me con misericordia». E quando udì la genealogia e la storia delle nascite e
delle opere dei Buddha e dei Bodhisattva (6) predicatori della legge, i suoi capelli si
rizzarono ed egli credette.
Alla fine, il Buddha raccontò la storia di Telo, Naro e Marpa, (7) più sorprendente ancora
delle precedenti. E gli ascoltatori, udendo ciò, sentivano che la loro fede aumentava.
"Quando ebbe finito, il Buddha aggiunse: «Domani dirò la storia di Milarepa, ancora
molto superiore a quelle che ho appena raccontato.
Venite tutti a udirla». Allora alcuni tra i discepoli dissero: «Se esistono opere superiori a
quelle che abbiamo appena udite, il loro prodigio passa ogni misura». Altri dissero: «Le
virtù di cui si è appena detto sono il frutto di molte rinascite accumulate e di purificazioni
successive. Milarepa, in una vita, in un corpo, ha raggiunto uguale perfezione». I primi
dissero ancora: «Ebbene, se noi non chiediamo, per il bene delle creature, un
insegnamento tanto meraviglioso, saremo cattivi discepoli. Perciò, è giusto chiederlo per
la causa delle creature e al fine di suscitare in noi i tre mezzi: sforzo, zelo e fiducia in se
stessi».
"Un altro disse: «Dove si trova in questo momento Milarepa?». Qualcuno rispose: «Si
trova a Gnöngah oppure a Ogmin, (8) e non altrove».
Allora Rechung pensò: «Le dimore del Maestro sono nel Tibet. Tutti questi discorsi non
hanno altro fine che risvegliare il mio ardore.
Così, devo assolutamente chiedere la storia del Maestro per la salvezza delle creature».
Mentre Rechung pensava così, Bharima gli prese la mano e la scosse dicendo: «Nipote,
tu hai capito! Nipote, tu hai capito!».
"Fu allora che Rechung si svegliò. E in quello stesso momento spuntava l'aurora.
Rechung sentì la sua intelligenza più limpida e la sua contemplazione più ferma che
innanzi. E, finito il sogno, egli continuò con queste riflessioni: «Ho udito il Buddha
Immutevole insegnare in mezzo agli Dei di Urgyen. In verità, questo è meraviglioso. Ma è

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ancora più meraviglioso, da ogni punto di vista, l'avere incontrato i mio venerato Maestro
Mila. Avere udito il Buddha Immutevole è una grazia del venerato Maestro. E' stato detto
che il Maestro si trova a Gnöngah o a Ogmin o in qualsiasi altro luogo». E Rechung
imprecava contro se stesso: «Tu, selvaggio, che pensavi che il Maestro si trovasse nel
Tibet! Significa metterti alla sua stessa altezza e averlo già disprezzato. E prima d tutto,
poiché il Maestro è Buddha, il suo corpo, la sua parola e la sua anima hanno dei poteri
inconcepibili. E tu, corpo di eretico, non pensavi che, proprio ovunque si trovi il Maestro,
là è sempre Ogmin e Gnöngah. Colui che nel mio sogno predicava la dottrina, coloro che
lo ascoltavano, Bharima e gli altri, mi hanno fatto intendere che devo chiedere al Maestro
la sua storia. Per questo io la chiederò». Così pensava. E provando per il Maestro una
venerazione straordinaria, lo pregava dal profondo del cuore e dal midollo stesso delle
sue ossa.
Mentre era assorto per qualche istante nella sua contemplazione, in un misto di torpore e
lucidità, egli vide disporsi davanti a sé cinque belle fanciulle. Esse portavano il diadema e
le vesti di Urgyen, l'una bianca, le altre azzurra, gialla, rossa e verde. (9) Una disse:
"«Poiché domani verrà raccontata la storia di Milarepa, andiamo a sentirla».
"Disse un'altra: «Chi la chiederà?». Un'altra rispose: «I suoi grandi discepoli la
chiederanno». E intanto i loro occhi sorridevano a Rechung.
"Una fanciulla disse ancora: «Poiché tutti saranno felici di udire un insegnamento così
meraviglioso, è bene che ognuna di noi lo richieda con preghiere». E un'altra ribatté:
«Spetta ai grandi discepoli chiedere la storia. Il compito nostro è di diffondere e
proteggere la dottrina». Dopo queste parole le fanciulle svanirono come l'arcobaleno.
"Allora Rechung si risvegliò dalla sua contemplazione. Il sole dell'aurora si alzava
splendente nel cielo. E Rechung pensò dentro di sé: «Comprendo anche gli avvertimenti
delle cinque sorelle dalle lunghe vite».
"Smettendo di meditare, si preparò il pasto. Quando fu saziato e confortato, andò a
trovare il suo Maestro. I monaci, i discepoli e gli ascoltatori, riuniti, stavano dinanzi a lui
in folla multicolore.
Rechung si prosternò e chiese al Maestro notizie della sua salute.
Poi, restando inginocchiato e giungendo le palme delle mani, rivolse al venerabile
Maestro questa preghiera:
"«Venerabile e prezioso Maestro, un tempo, in verità, i Buddha del passato hanno
raccontato per il bene delle creature l'incredibile storia dei loro dodici travagli e delle loro
opere. E' così che la dottrina del Buddha è stata diffusa nel mondo. E ai nostri giorni, i
fortunati convertiti hanno potuto essere condotti sulla via della salvezza perché Telo,
Naro, Marpa e i santi hanno così raccontato la loro propria storia.
"O Maestro prezioso, per la gioia nostra, di noi tuoi discepoli, per i fortunati che si
convertiranno e saranno tuoi discepoli nell'avvenire, infine per condurre sulla via della
salvezza le altre creature, Maestro prezioso dal cuore amorevole, dicci l'origine della tua
famiglia, raccontaci la tua storia e le tue opere». Così pregò. Allora il Maestro, con un
viso sorridente, rispose:" «Rechung, sebbene tu conosca molto bene la mia vita, ma
poiché tu la chiedi, esaudirò la tua preghiera.
La mia razza si chiama Kyungpo, la mia famiglia si chiama Gyose e io Milarepa. Nella
giovinezza ho commesso azioni nere. Nell'età matura ho praticato l'innocenza. Adesso, in
ugual modo liberato dal bene e dal male, ho esaurito ogni ragione d'agire e non ne avrò
mai più nel futuro. Se mi dilungassi oltre ci sarebbero a volte motivi di pianto e a volte
motivi di riso. A che scopo raccontarveli? Sono un vecchio.

8
Lasciatemi dunque tranquillo».
"Così parlò. Allora Rechung si prosternò e rivolse questa preghiera:
«O Maestro prezioso, prima di tutto grazie ad ascetismo e rassegnazione terribili tu hai
penetrato le verità nascoste.
Dedicandoti alla meditazione di questo unico oggetto, sei giunto all'evidenza della
relatività delle cose e della loro inanità. E, senza far nulla che ti possa legare per
l'avvenire, hai la serenità di coloro che non provano più niente. Per questo, esiste un
interesse senza paragone per la tua ascendenza di Kyungpo, per la tua famiglia di Gyose,
per i motivi del tuo nome di Mila, per i motivi di riso e di pianto che si fondano sulla
cattiva condotta della tua giovinezza e sulla virtù della tua età matura. Con cuore
amorevole pensando a tutte le creature, senza abbandonarti, corpo, parola e pensiero,
alla pigra indifferenza, va' innanzi a raccontarci la tua storia. Voi tutti, fratelli e sorelle in
religione, ascoltatori che la fede ha riunito in questo luogo, aiutatemi nella mia
preghiera».
"Dopo aver parlato così, salutò più volte. E i primi discepoli, i figli spirituali e i credenti
che ascoltavano, prosternatisi, fecero tutti la stessa preghiera di Rechung, chiedendo al
Maestro di far girare la ruota della Legge. (10) "Allora il venerabile Maestro parlò così:"
Poiché mi pregate con tanto pressante insistenza, non vi nasconderò più la mia vita, ma
ve la racconterò.
La mia tribù discende da un grande clan di pastori del Centro nord. Il suo nome è
Kyungpo. Uno dei miei antenati era un eremita, figlio di un lama "gnymapa" (11)
chiamato Gyose. Egli era seguace degli "Ydam" (12) ed era dotato di grande forza nella
parola. Era partito per visitare i luoghi santi del regno e i loro santuari.
Nel nord, nell'alto Tsang po, (12) fu accolto nel paese chiamato Chumbachi. In questo
paese sottomise i demoni malefici. Il potere della sua benedizione lo rendeva molto utile,
di modo che la sua influenza e l'importanza del suo ufficio aumentavano. Fu detto
Kyungpo-Gyose e restò alcuni anni in quel paese. Chiunque cadesse malato lo chiamava.
Una volta, c'era un terribile demone che non poteva avvicinare Gyose, ma al quale
nessun altro poteva resistere. Esso perseguitava una famiglia che non credeva molto in
Gyose. Questa famiglia convocò un altro lama per fare gli esorcismi. Ma il demone non
fece altro che riderne e beffarsene, senza smettere di molestare la famiglia.
Fu allora che un credente, parente di questa famiglia, le consigliò di far venire Gyose, di
nascosto dal demone. Costui diceva: «Se anche occorresse grasso di cane per guarire
una ferita, che si vada a cercare grasso di cane!». E Kyungpo-Gyose fu convocato.
Quando Gyose arrivò nei pressi della dimora del demone, si erse con fierezza e gridò con
voce potente: «Sono io che vengo, Kyungpo-Gyose.
Mangerò la carne dei demoni e berrò il loro sangue. Aspettate!». Così parlando, si
avvicinava rapidamente. Mentre si avvicinava, il demone ne fu spaventato, e gettava
queste grida di terrore: «Padre Mila!
Padre Mila!». (14) Quando Gyose fu entrato, il demone gli disse: «Io non sono mai
andato dove c'eri tu. Per questo, risparmia la mia vita!»
Gyose gli fece giurare di non nuocere più ad alcuno nel futuro e lo cacciò.
Allora il demone entrò in una famiglia di cui si fidava, e diceva:
«Mila! Mila! Non ho mai incontrato simile angoscia né simile pericolo!». Gli uomini della
famiglia gli domandarono: «Chi dunque è giunto?». Il demone rispose: «Kyungpo-Gyose
è venuto. Mi ha minacciato di morte e io ho promesso». Così detto, il demone se ne
andò.

9
Poiché tutti, da quel momento, per manifestare il potere delle virtù di Gyose, lo
chiamavano Mila, egli conservò Mila come nome di famiglia. Pure da allora, i demoni (15)
si accordarono per non nuocere più.
In seguito, Kyungpo-Gyose prese moglie ed ebbe un figlio. Questo figlio ebbe due figli e
chiamò il maggiore Mila-Leone-che-Insegna-i- Sutra. Questi ebbe un figlio chiamato Mila-
Leone-di-Diamante. (16) A partire da quel momento, ogni discendente non ebbe che un
solo figlio.
Mila-Leone-di-Diamante era abilissimo nel gioco dei dadi e poteva guadagnare molto.
Ora, in quel paese c'era un uomo di una famiglia potente, imbroglione e abile ai dadi. Un
giorno costui, per mettere a prova la forza di Leone-di-Diamante, dapprima giocò basso e
valutò il suo avversario. Quel giorno fece in modo di guadagnare. Leone-di- Diamante,
scontento, gli disse: «Domani, è giusto che mi prenda la rivincita».
L'imbroglione giocò più alto e si lasciò battere tre volte. Poi disse:
«E' giusto che anch'io mi prenda la rivincita». Messisi d'accordo ambedue sulla posta,
puntarono, come posta irrevocabile, i campi, le case e tutta la loro fortuna. Si
impegnarono con un contratto scritto e giocarono. Vinse l'imbroglione. Si impadronì dei
campi, delle case e di tutti i beni, e fece sì che anche i suoi parenti ne approfittassero.
Allora i due Mila, padre e figlio, abbandonarono il paese. Arrivati nel villaggio di
Kyagnatsa, nella Pianura Centrale del regno di Manyul, vi si stabilirono.
Il padre, Leone-che-Insegna-i-Sutra, veniva chiamato dagli abitanti per leggere i libri
sacri, offrire sacrifici, proteggere contro la grandine, salvare i bambini minacciati dai
vampiri. Molto richiesto, accumulava numerose offerte. Il figlio, Leone-di-Diamante,
d'inverno andava nel sud a vendere le mercanzie, nel Nepal, d'estate andava dai pastori
del nord. Per il piccolo commercio, andava tra il Manyul e la Pianura Centrale. Padre e
figlio ammassarono in questo modo grandi ricchezze.
A quel tempo, Leone-di-Diamante amava una fanciulla del paese e la sposò. Ebbero un
figlio che chiamarono Mila-Trofeo-di-Saggezza. Quando questo figlio era già grande, suo
nonno Leone-che-Insegna-i-Sutra morì. Dopo aver compiuto le cerimonie funebri, Mila-
Leone-di-Diamante accrebbe ancora con il commercio le sue ricchezze, e fu più ricco di
prima.
Nelle vicinanze di Tsa, (17) c'era un uomo chiamato Horma, che a Tsa possedeva un
campo di terra buona e di forma triangolare. Procuratosi dell'oro e delle mercanzie dal
nord e dal sud, Leone-di-Diamante comprò quel campo e lo chiamò Horma-Triangolare.
(18) Ai limiti del campo, c'erano i ruderi di una casa che apparteneva anch'essa a Horma.
Leone-di-Diamante comprò pure quella e pose le fondamenta di un castelletto. Durante
la costruzione del castelletto, Mila-Trofeo-di-Saggezza raggiunse il suo ventesimo anno.
A Tsa, nella nobile famiglia Nyang, c'era una fanciulla molto bella chiamata Bianca-
Ghirlanda. Era brava nel tenere la casa e assoluta nel suo amore per gli amici come nel
suo odio per i nemici. Trofeo-di- Saggezza la sposò e la chiamò Bianca-Ghirlanda-dei-
Nyang.
In seguito fu ripresa la costruzione del castelletto. Al terzo piano fu fatta una corte, con
un granaio e una cucina da una parte. (19) Questa casa, la più piacevole di Kyagnatsa,
aveva quattro colonne e otto travi. Padre e figlio vi abitarono, unendo felicità e buona
reputazione.
Qualche tempo dopo, a Chumbachi, il figlio del cugino primo di Leone- di-Diamante, di
nome Svastika-Bandiera-di-Vittoria, essendo venuto a sapere della buona reputazione del

10
padre e del figlio, lasciato il suo paese, giunse a Kyagnatsa insieme a donne e bambini, e
a sua sorella Figlia-di-Kyung-che-Rivaleggia-in-Gloria.
Leone-di-Diamante, pieno di amore verso i cugini, manifestò grande gioia. Dopo aver
dato i doni di benvenuto, Leone-di-Diamante insegnò loro le usanze del commercio per i
primi tempi del loro insediamento.
E con il commercio essi ammassarono moltissimo denaro.
Un giorno, siccome Bianca-Ghirlanda era rimasta incinta, Trofeo-di- Saggezza portò molti
prodotti dal sud. Partito verso la Punta-della- Tigre per venderli nel nord, vi indugiò per
un lungo periodo. Fu allora che, l'anno del Drago-d'acqua, all'inizio dell'autunno, il
venticinquesimo giorno della luna, (20) sotto una buona stella, mia madre mi partorì.
Essa inviò un messaggero a mio padre. La lettera diceva: «Ecco che nel periodo dei lavori
dell'autunno, ho dato alla luce un figlio. Vieni presto per dargli un nome e celebrare la
festa del nome». E il messaggero, mentre consegnava la lettera, raccontava anche tutti
questi avvenimenti.
Mio padre fu al colmo della gioia. Esclamò: «A meraviglia! Mio figlio ha già un nome.
Siccome nella mia famiglia non c'è mai stato che un solo figlio (per ogni generazione),
questo figlio che mi è nato, poiché la notizia porta gioia, io lo chiamo Buona-Novella. Ora
che ho terminato i miei affari, ripartirò». E tornò nel suo paese. Fu così che venni
chiamato Buona-Novella.
Dopo che fu celebrata una bella festa del nome, fui allevato con amore. Udendo soltanto
voci dolci, ero felice. Così, tutti gli uomini dicevano: «Questo Buona-Novella ha avuto il
nome giusto».
Quando ebbi raggiunto il quarto anno, mia madre diede alla luce una bambina che fu
chiamata Protettrice-Fortunata. Siccome il suo vezzeggiativo era Peta, il suo nome fu
Peta-Protettrice-Fortunata. Mi ricordo i nostri capelli, di noi due fratello e sorella, capelli
d'oro e capelli di turchese, che ci ricadevano sulle spalle.
In quel paese, noi eravamo influenti in virtù della parola, e onnipotenti. Così, i nobili della
regione erano nostri alleati e gli umili erano al nostro servizio. Mentre noi avevamo tutti
questi privilegi, la gente del villaggio, nei suoi conciliaboli, diceva in segreto: «Questi
stranieri sono venuti, attratti dal nostro paese. Non c'è nulla di più grande e di più ricco
di questa famiglia. Gli utensili per l'aia e per i campi, i gioielli degli uomini e delle donne,
sono uno spettacolo perfetto». Esauditi tutti i suoi desideri, Leone-di-Diamante morì. Con
larghezza furono celebrate le cerimonie funebri. "Così parlò Milarepa. E tale è il primo
capitolo, che è quello della sua nascita."

CAPITOLO 2
"Allora Rechung chiese: «O Maestro, hai detto di aver sofferto molte sventure dopo la
morte di tuo padre. Come ti sono capitati questi mali?». Così pregò, e Mila continuò:"
Quando io avevo circa sette anni, mio padre Trofeo-di-Saggezza era consumato da una
malattia terribile. I medici e gli stregoni, dopo aver predetto che non sarebbe guarito, lo
abbandonarono.
Anche i parenti e gli amici sapevano che non sarebbe vissuto. Lui stesso era sicuro di
morire.
I parenti, a cominciare da mio zio e mia zia, gli amici vicini o lontani, gli abitanti del
paese che lo amavano e i vicini importanti, si riunirono. Mio padre fu d'accordo di porre
sotto tutela la famiglia e i suoi beni. Poi fece un lungo testamento, disponendo che suo

11
figlio rientrasse in seguito in possesso del patrimonio. E lo lesse a voce alta perché tutti
lo udissero.
«In riassunto e con chiarezza, visto che in ragione di questa malattia non mi salverò e
visto che mio figlio è ancora piccolo, ecco le disposizioni per cui io lo affido a suo zio e
sua zia, che vengono primi fra tutti i parenti e amici: (21) I miei beni in montagna:
"yack", cavalli e montoni. Nella vallata: il campo Horma Triangolare, in primo luogo, e
molti altri appezzamenti che i poveri ci invidiano. Sotto la casa: le vacche, le capre e gli
asini. All'ultimo piano: gli utensili, l'oro, l'argento il rame e il ferro; le turchesi, le stoffe, la
seta, i deposito dei grani. In una parola, tutti quei ben che, essendo ricchezza di altri,
non dovranno essere bramati da nessuno. Prelevate una parte di questi beni per le spese
che seguiranno la mia morte. In quanto al resto, ve lo affido, a tutti voi che siete qui
riuniti, fino a che mio figlio non sia in età di tenere la sua casa. In modo particolare, lo
affido a suo zio e a sua zia.
Quando questo bambino sarà in età di sistemarsi che sposi Dzesse. E che mia nuora,
bene accolta, riceva tutti i miei beni senza eccezione, e mio figli entri in possesso della
sua eredità.
Nel frattempo, voi, zio, zia e parenti prossimi siate a conoscenza delle gioie e delle pene
dei mie due bambini e della loro madre. Non gettateli nella miseria. Dopo la morte, io vi
guarderò dalla tomba».
Avendo così parlato, morì.
Allora si celebrarono le cerimonie funebri. Ci si accordò su quanto rimase dei beni, e tutti,
in particolare i benevoli, dicevano:
«Bianca-Ghirlanda, amministra tu stessa i beni. Fanne ciò che sarà giusto». Ma lo zio e la
zia dissero: «Se già tutti sono vostri amici, i parenti vi saranno ancora più amici. Non
faremo alcun torto né alla madre né ai bambini. Secondo quanto dice il testamento,
amministreremo noi i beni».
Senza ascoltare le ragioni del fratello di mia madre né della famiglia di Dzesse, mio zio
prese i beni maschili, mia zia prese i beni femminili. Il resto fu diviso a metà. (22) Poi
dissero: «Voi, madre e figli, ci servirete a turno». E perdemmo ogni potere sui nostri
beni.
D'estate, all'epoca dei lavori nei campi, eravamo i servitori dello zio. D'inverno, quando si
lavora la lana, eravamo i servitori della zia. Il nostro cibo era quello dei cani, il lavoro
quello degli asini.
Per vestito, dei pezzi di cuoio tenuti da un legaccio d'erba erano buttati sulle nostre
spalle. Costretti a lavorare senza riposo, le nostre membra si piagavano. A forza di
cattivo nutrimento e cattivi vestiti, diventammo pallidi ed emaciati. I capelli, che una
volta cadevano in boccoli d'oro e di turchese, diventarono grigi e radi, pieni di pulci e di
lendini. Le persone sensibili, che vedevano o sentivano dire tutto questo, versavano
lacrime. Di nascosto da mio zio e mia zia, parlavano senza riguardo. Poiché eravamo
oppressi dalla miseria, mia madre disse a mia zia: «Tu non sei Figlia-di-Kyung-che-
Rivaleggia-in-Gloria, ma piuttosto una figlia-di-demone-che- rivaleggia-con-le-tigri».
Restò a mia zia; questo nome di Figlia-di- Demone-Emula-delle-Tigri. A quel tempo si
usava questo proverbio universale: «Finché il falso padrone è il padrone, il vero padrone
sta sulla porta come il cane da guardia». Questo proverbio si adattava bene a noi, madre
e figli.
In altri tempi, quando nostro padre Mila-Trofeo-di-Saggezza era ancora in vita, tutti, forti
o deboli, spiavano se i nostri visi fossero silenziosi, sorridenti o cupi. Dopo che lo zio e la

12
zia furono ricchi come dei re, era il loro viso, sorridente o cupo, che si guardava. Gli
uomini, criticando mia madre, dicevano: «E' proprio vero il proverbio:
"A marito ricco, moglie abile. A lana pura, panno fino". Ora che il marito non c'è più, è
come dice il proverbio. Una volta quando il suo sposo era il padrone, Bianca-Ghirlanda
era coraggiosa e saggia. La si diceva superiore. Adesso è per metà debole, per metà
accorta». Anche quelli che erano inferiori a noi dicevano il proverbio: «Agli uni il turno di
essere poveri, agli altri quello di chiacchierare». E si beffavano di noi.
I parenti di Dzesse mi diedero degli stivali e un veste nuova, e dicevano: «Se le ricchezze
passano, e dal momento che si dicono periture come la rugiada della prateria, non
credere di essere povero.
In altri tempi, i tuoi avi sono diventati ricchi solo molto tardi.
Anche per voi tornerà il tempo dell'abbondanza. E parlando così, ci consolavano.
Finalmente raggiunsi il quindicesimo anno. C'era allora un campo, dato in dote dai
parenti di mia madre, chiamato col brutto nome di Chrepetenchun (Tappetino-di-Pelle-di-
Bestia), che dava però un eccellente raccolto. Il fratello di mia madre l'aveva coltivato
personalmente, facendo tutto il dovuto per aumentarne la produzione.
In questo modo egli accumulò di nascosto il grano che eccedeva e comprò molta carne.
Con l'orzo bianco si fece della farina. Con l'orzo nero si fece della birra, e lui disse che era
per reclamare il patrimonio di Bianca-Ghirlanda e dei suoi figli. Poi mia madre prese a
prestito dei tappeti e li sistemò nella mia casa Quattro-Colonne-e- Otto-Travi.
Allora invitò mio zio e mia zia, che venivano per primi, poi i parenti prossimi, gli amici
intimi e i vicini, infine quelli che erano a conoscenza del testamento scritto da mio padre
Trofeo-di-Saggezza.
Allo zio e alla zia, offrì un animale intero; agli altri, secondo il loro rango, un quarto di
animale o un terzo di un quarto. E li festeggiò con birra in tazze di porcellana. Poi mia
madre si alzò dal mezzo del loro cerchio e parlò così:
«Dunque! Quando nasce un figlio, gli si dà un nome. Quando si è convocati a un festino
di birra, questo significa chiacchierare.
Anch'io ho due parole da dire. Ascoltate quindi tutti, voi che siete seduti in cerchio, a
cominciare dallo zio e dalla zia, e voi anziani che vi rammentate le ultime parole di Mila-
Trofeo-di-Saggezza al momento della sua morte». Così parlò. E il fratello di mia madre
lesse il testamento. Allora mia madre continuò:
«Non ho bisogno di spiegare agli anziani che sono qui i termini di questo scritto. Fino ad
ora, lo zio e la zia si sono presi cura di comandarci in ogni cosa, madre e figli. Adesso
mio figlio e Dzesse hanno l'età per avere la loro casa. Per questo, io vi prego di farci
restituire i beni che vi sono stati affidati, di lasciare che mio figlio sposi Dzesse e rientri in
possesso del suo patrimonio secondo il testamento».
Così parlò. Lo zio e la zia, che di solito non erano mai d'accordo, lo erano sempre per
divorare. Se, dalla mia parte, ero figlio unico, mio zio aveva invece molti figli. Così, mio
zio e mia zia, unendo le loro voci, risposero:
«Voi possedete dei beni? Dove sono? Una volta, quando Mila-Trofeo-di- Saggezza era in
buona salute, noi gli prestammo casa, campi, oro, turchesi, "dzos", (23) cavalli, "yack" e
montoni. Al momento della morte, ha restituito questi beni al loro padrone. C'è una sola
particella d'oro che tu possiedi? Una sola oncia di burro? Un solo vestito? Un solo pezzo
di seta? Non abbiamo neppure visto l'unghia di un animale. Chi ha scritto questo
testamento? Ho avuto la bontà di nutrirvi orfani miserabili, perché non moriste di fame.

13
E' proprio vero il proverbio: "Appena ne hanno la possibilità, i malvagi vi misurano
l'acqua"».
Così detto, egli sbuffò, si soffiò il naso, si alzò bruscamente, schioccò le dita, scosse il
lembo della veste, batté il piede e disse:
«Per di più, questa stessa casa mi appartiene. Perciò, orfani, uscite di qui». Così dicendo,
schiaffeggiò mia madre. Ci colpì, mia sorella e me, con la manica del suo abito. (24)
Allora mi madre esclamò: «Padre Mila-Trofeo-di-Saggezza, vedi il destino dei tuoi figli.
Hai detto che dal fondo della tomba ci avresti guardato. Ecco giunto il momento di
vederci». Disse e, piangendo, cadde riversa e rotolò per terra. Noi due ragazzi non
potevamo far niente per lei se non piangere. Il fratello di mia madre, temendo i numerosi
figli di mio zio, non poteva lottare. Gli altri del paese, che ci amavano, dissero che
avevano pietà di noi. Non ce n'era uno che non piangesse. Gli altri testimoni sospiravano
forte.
Lo zio e la zia mi dissero: «Tu reclami i tuoi beni. Eppure li hai.
Avete preparato un banchetto per la gente del paese e per i vicini, dilapidando senza
risparmio la birra e la carne. Sono beni tuoi? No sono certo miei. Li avessi io, non ve li
darei, orfani. Così, se siete ricchi, fateci dunque la guerra. Se siete poveri, gettateci il
malocchio». E su queste parole uscì.
Dietro di lui uscirono anche i suoi partigiani. Mi madre non smetteva di piangere. Suo
fratello, i fratelli di Dzesse e i nostri amici restarono per consolarla. E bevendo gli avanzi
della birra, dicevano «Non piangere, le lacrime non servono a nulla. Chiedi qualche cosa
a tutti quelli che si sono riuniti qui per il banchetto. Tutti noi qui presenti ti daremo quello
che è necessario. Lo zio e la zia stessi ti daranno qualche buona cosa».
Il fratello di mia madre aggiunse: «Fa' così e manda tuo figlio a imparare un'arte. Poi, voi
due, madre figlia, venite ad abitare da me e coltivate i miei campi. E' meglio fare solo ciò
che è utile. In ogni modo, non dovete provare vergogna davanti allo zio e alla zia». Mia
madre rispose: «Spossessata di tutti i miei beni, non ho mai mendicato niente per
allevare i miei figli. Dallo zio e dalla zia non accetterò neppure una minima parte di quel
che è mio. Eppure, manderò mio figlio a fare i suoi studi. Perseguitati dallo zio e dalla zia,
noi dovevamo per giunta correre fin dal suono del tamburo, correre ancora quando
salgono le fumate. (25) Ci hanno coperto di obbrobri. Dopo questo, coltiverò io stessa il
mio campo».
Nel paese di Tsa, nel villaggio di Mithongeka (Precipizio-Invisibile), c'era un maestro
mago "gnymapa", molto richiesto nei villaggi e chiamato Colui-che-Conosce-le-Otto-
Sirene. Mia madre mi mandò da lui per imparare a leggere. Frattanto i nostri vicini,
offrendo dei loro propri beni, ci diedero ognuno due specie di cose. Soprattutto i parenti
di Dzesse mi portavano delle provviste, olio e legna da ardere, e mandavano anche
Dzesse, là dove imparavo a leggere, per consolarmi. Mio zio materno sostentava mia
madre e mia sorella perché non andassero a lavorare altrove e a mendicare. E poiché
suo fratello non la lasciava nella miseria, mia madre lavorava per altri, un giorno filando,
un giorno tessendo. Raccolse così qualche bene e le cose necessarie per i figli. Mia
sorella faceva dei servizi fuori casa per quanto era nelle sue possibilità.
Per guadagnare un po' di cibo e di vestiario, essa correva fin dal suono del tamburo,
correva quando salgono le fumate.
Soffrendo la fame, i vestiti a brandelli, l'animo scoraggiato, non siamo stati felici. "Così
parlo il Maestro. A questo punto, tutti gli ascoltatori, commossi e afflitti nel loro cuore,

14
rimasero un momento in silenzio versando lacrime. Tale è il secondo capitolo, che espone
il più alto grado della realtà del dolore."

CAPITOLO 3
"Allora Rechung disse: «Maestro, ci hai detto che in principio hai compiuto cattive azioni.
In che modo, ti prego, le hai commesse?».
«Ho accumulato i peccati per mezzo della magia e della grandine». (26) «Maestro, ti
prego, quali circostanze ti hanno portato a imparare le pratiche della magia e della
grandine?.
Allora il Maestro continuò:" Al tempo in cui studiavo a Mithongeka, accompagnai un
giorno il mio maestro nella bassa vallata di Tsa, dove egli era invitato a presiedere a una
grande festa. Bevendo molta birra, bevendo per di più quella che gli versavo io e quella
che gli versavano tutti i religiosi, il mio maestro si ubriacò. Mi fece andar via prima di lui
con i doni che aveva ricevuto. Anch'io ero ubriaco. Siccome i cantori continuavano, mi
venne il desiderio di cantare. E poiché avevo una bella voce, me ne andavo cantando. La
strada passava davanti alla mia casa, e così arrivai, sempre cantando fin sulla porta della
casa.
All'interno, mia madre stava abbrustolendo dell'orzo (27) e mi sentì:
«Cos'è?» si disse. «Questa voce somiglia alla voce di mio figlio.
Sulla terra non c'è nessuno più miserabile di noi. Non sta proprio bene che lui canti». E
non potendo crederlo, guardò. Avendomi riconosciuto, diede in un esclamazione di
sorpresa. La sua mano destra lasciò le molle; la sinistra lasciò il mestolo. E
abbandonando lì il grano a bruciarsi, con una mano prese un legno, con l'altra un pugno
di cenere. Scese gli scalini alti, saltò i piccoli, e fu fuori. Mi buttò la cenere i viso, mi batté
col bastone a grandi colpi sulla testa ed esclamò: «Padre-Mila-Trofeo-di-Saggezza, ecco il
figlio che hai generato. Tu non hai più discendenze. Guarda a quali fatiche sono destinate
madre e figlia. E rotolò a terra priva di sensi.
In quell'istante accorse mia sorella e disse: «Fratello maggiore, a che cosa pensi? Guarda
dunque nostra madre». E poiché piangeva, mi resi conto della realtà. Allora anch'io versai
molte lacrime. Sempre piangendo, sfregavamo le mani di nostra madre e la chiamavamo.
Dopo un momento, essa tornò in sé si alzò. Poi, fissando su di me gli occhi pieni di
lacrime, disse: «Allorché sulla terra non c'è nessun più infelice di noi, è forse conveniente
cantare? Quando ci penso, io, la tua vecchia madre, sono rosa dalla disperazione e non
posso che piangere». Allora, prorompendo in lamenti, ci mettemmo a piangere tutti e tre.
Dissi a mia madre: «Madre, hai ragione. Non essere così afflitta. Farò tutto quello che
desidererai io faccia».
«Quello che vorrei è che, sopra, tu fossi rivestito di un mantello da uomo. E che, sotto,
montato su un cavallo, i tuoi speroni tormentassero la nuca dei nostri odiati nemici. Ciò
non è possibile.
Ma potresti far del male servendoti di artifizi. Io desidero che tu, dopo aver imparato a
fondo la magia, l'affatturamento e la grandine, distrugga per primi tuo zio e tua zia, poi
la gente del paese e i vicini che ci hanno fatto del male. Desidero che tu distrugga la loro
razza fino al nono grado di parentela. Vedi un po' se ci andrai».
Risposi: «Vedrò, madre. Prepara il dono per il lama e il mio viatico».
Per farmi imparare la magia, mia madre vendette metà del campo Tappetino-di-Pelle-di-
Bestia. Con il ricavato comprò una turchese detta Grande-Stella-Scintillante; un cavallo

15
bianco di nome Leone-che- non-ha-Morso, amato nel paese; due carichi di tintura; due
carichi di zucchero che furono consumati subito. E poi terminò i preparativi della mia
partenza.
Per prima cosa, andai a stare qualche giorno in un caravanserraglio della Pianura
Centrale, chiamato Lhun djrub (Spuntato-fuori-da-Terra).
Lì mi cercai dei compagni di viaggio. Arrivarono cinque cari giovani, che dicevano di
venire da Gnarisdol e di andare nel Tibet Centrale e nello Tsang per studiare la dottrina e
la magia. Proposi di unirmi a loro dato che anch'io andavo a imparare la magia.
Acconsentirono. Io li condussi da mia madre, nella Pianura Centrale, e per alcuni giorni li
servii.
Mia madre, di nascosto da me, disse loro: «Questo mio figlio che vedete non ha alcuna
volontà. Voi, suoi compagni, stimolatelo, esortatelo, e che egli diventi abilissimo in
magia! Quando quel tempo sarà venuto, allora vi offrirò una buona ospitalità e
ricompense». Poi io caricai sul cavallo i due sacchi di tintura; portai la turchese su di me,
e ci mettemmo tutti in cammino. Mia madre ci accompagnò per un lungo tratto di strada.
Al momento di bere il vino dell'addio, mia madre fece ai miei compagni una quantità di
raccomandazioni. Ma soprattutto mi trasse in disparte.
Incapace di separarsi dal suo unico figlio, mi prese una mana e la tenne stretta fra le
sue. E col viso bagnato di lacrime e la voce spezzata dai singhiozzi, mi disse: «Considera
soprattutto la nostra sventura. Che in qualsiasi modo dei segni della tua magia si
manifestino nel paese! Poi torna. La magia dei tuoi compagni e la nostra non sono
uguali. La loro magia è quella di figli beneamati, fortunati e fieri. La nostra è quella di
sventurati. Per questo devi dimostrare una volontà caparbia. Se torni senza che nel paese
si siano manifestati dei segni della tua magia, io, la tua vecchia madre, mi ucciderò sotto
i tuoi occhi».
Allora io promisi e ci separammo. Assicurai mia madre del mio amore.
Guardavo continuamente indietro e versavo molte lacrime. E mia madre, che mi aveva
caro, restò a guardarmi piangendo finché poté vederci.
Nell'ardore del mio affetto, mi chiesi se tornare un momento da lei.
Presentii che non l'avrei mai più rivista. Quando infine non mi vide più, mia madre tornò
piangendo al paese.
Qualche giorno più tardi, correva voce che il figlio di Bianca- Ghirlanda era partito per
imparare la magia.
Prendemmo la via dello Tsang e della Provincia Centrale e arrivammo a Yadé, nella
vallata dello Tsang-Rong. Lì, vendetti il cavallo e la tintura a un uomo molto ricco. In
cambio ricevetti dell'oro che portai su di me.
Dopo aver traversato lo Tsang po, ci dirigemmo verso la Provincia Centrale. In un luogo
chiamata Thunluraka (Ovile-di-Thun), incontrammo un gran numero di monaci venerabili
della Provincia Centrale. Chiesi loro se nel Centro conoscessero un maestro abile in
magia, affatturamento e grandine. Uno dei monaci rispose: «Nel paese di Kiorpo, nello
Yar lung, abita un lama chiamato Nyag-Yung-tön-chrogyel (28) (Uomo-di-Nyag-Vincitore-
Irritato-che-Insegna-il-Male). Ha un enorme potere in fatto di sortilegi, affatturamenti e
terribili incantesimi». Questo monaco era un suo discepolo. Allora, messici in cammino
per andare dal lama Yung tön, arrivammo a Kiorpo nello Yarlung.
Quando ci presentammo dinanzi al lama, i miei compagni gli offrirono soltanto doni
infimi. Io gli diedi tutto, oro e turchese. E dissi: «Ti offro anche il mio corpo, la mia
parola e il mio cuore. Certi abitanti del mio paese e i miei vicini non possono sopportare

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la felicità altrui. Per pietà, concedimi il più potente sortilegio che possa manifestarsi nel
mio paese. E intanto, ancora per pietà, concedimi il nutrimento e le vesti». Il lama sorrise
e rispose: «Rifletterò a quanto mi hai detto». Ma non ci insegnò a fondo la magia.
Quando ci ebbe dato appena alcuni incantesimi per far cozzare insieme il cielo e la terra,
quando ci ebbe dato un po' di ogni sorta di formule e di pratiche utili, circa un anno era
trascorso. Tutti i miei compagni si prepararono a partire. Il lama diede a ciascuno una
veste ben cucita di stoffa fine di Lha-sa. Ma io non avevo fiducia. Quelle pratiche non
erano sufficienti per produrre qualche effetto nel mio paese. Pensando che, se fossi
tornato nel mio paese senza che si fossero manifestati i sortilegi, mia madre si sarebbe
uccisa, decisi di non partire e non mi preparai. I compagni mi chiesero: «Buona- Novella,
non parti?». Risposi: «Non ho imparato la magia a sufficienza per andarmene». Essi
replicarono: «Se sappiamo servirci dei "mantra", (29) queste sono le formule più
magiche. Lo stesso lama ha detto che non ne aveva altre. Noi abbiamo sollevato i nostri
dubbi a questo riguardo. Vai a vedere se il lama te ne darà delle altre». Dopo aver
ringraziato e salutato il lama partirono. Anch'io indossai la veste datami dal lama e li
accompagnai per una mezza giornata di cammino.
Dopo esserci augurati buona salute, essi ripartirono per il loro paese.
Mentre tornavo dal lama, per strada raccolsi escrementi di cavallo e di asino, sterco di
vacca e sterco di cane. Me ne riempii il lembo anteriore della veste. Scavato un buco nel
campo fertile e fecondo del lama vi nascosi tutto dentro. Il lama, che si trovava sulla
terrazza di casa sua, mi vide. Disse ad alcuni discepoli:
«Quanti discepoli sono già venuti dinanzi a me. Non ne è venuto nessuno più amoroso di
lui. E non ne tornerà mai un altro. Ne è prova il fatto che questa mattina non mi ha detto
addio ed è tornato. Quando venne qui per la prima volta, mi disse che la gente del suo
paese e i suoi vicini non potevano tollerare la felicità altrui. Mi chiese la magia e mi offrì il
suo corpo, la sua parola e il suo cuore. Sembra uno stupido. Se ha detto il vero e se non
compie sortilegi è da compiangere».
Uno dei monaci mi riferì queste parole. Mi dissi con gioia:
«Finalmente è fatta, avrò l'ultima parola della magia». E andai dal lama. Mentre lo
servivo egli mi disse: «Buona-Novella, perché non sei partito?». Allora restituii al lama la
veste che mi avevi dato. Posai il suo piede sulla mia testa e gli dissi «Lama prezioso, noi
siamo tre, mia madre, mia sorella ed io. Mio zio e mia zia, della gente del paese e alcuni
vicini sono diventati nostri nemici. A furia d trattamenti indegni, ci hanno gettato nella
miseria. Io non avevo la forza per difendermi. Per questo mia madre mi ha mandato a
imparare la magia. Se ritorno al paese senza che si sia manifestato, grazie a me, un
segno di magia, mia madre si ucciderà sotto i miei occhi. E' perché lei non muoia che io
non sono partito. E per questo ti chiedo l'ultima parola della magia».
Dopo aver parlato così, piansi. Il lama chiese: «In che modo ti ha danneggiato la gente
del tuo paese?». Singhiozzando, raccontai come morì mio padre Mila-Trofeo-di-Saggezza
e come, in seguito, lo zio e la zia ci oppressero di miseria. Allora le lacrime caddero a una
a una dagli occhi del lama. Poi disse: «Se è così, è ben deplorevole. La magia che pratico
io andrà bene. Ma non dobbiamo affrettarci. Per questa stessa magia, mi sono stati
offerti da centinaia e migliaia di persone l'oro e le turchesi dell'Alto Gnarikorsum; da
centinaia e migliaia, il tè, i vestiti e la seta delle Tre Colline del Basso Kham; da centinaia
e migliaia, gli "dzos", i cavalli, gli "yack" e i montoni del Kyayul, del Dagpo e del Kongpo.
Solo tu mi hai dato il tuo corpo, la tua parola e il tuo cuore. Ora esaminerò rapidamente i
tuoi discorsi».

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C'era allora presso il lama un monaco più veloce di un cavallo nella corsa e più forte di un
elefante. Il lama lo mandò nel mio paese a vedere. Il monaco andò e tornò rapidamente,
(30) e disse: «Lama prezioso, Buona-Novella ha detto il vero. Bisogna insegnargli molta
magia».
Il lama mi disse: «Se ti avessi insegnato subito la magia, avrei avuto paura che tu,
stupido, me l'avresti fatto rimpiangere. Ma adesso, giacché sei sincero, è necessario che
tu vada presso un altro maestro per dargli il mio segreto e in cambio impararne un altro.
Io posseggo una formula chiamata "Pianeta dalla figura rossa e nera". "Hum" è per far
morire, "Phed" è per far cadere senza conoscenza. (31) Nel paese chiamato Nub-
Khulung, nello Tsang rong, vive un lama dal nome Khulung pa Yontan Gyathso (Oceano-
di-Virtù-di-Khulung). E' un grande medico e un grande mago. Dagli la mia formula. Egli
ha il potere di dirigere la grandine col dito. Dopo che me l'ebbe insegnata siamo diventati
amici e soci. Quelli che vengono da me a imparare la magia, devo poi mandarli da lui.
Quelli che vanno da lui a imparare la grandine, deve poi mandarli da me. Unisciti a mio
figlio e andate tutti e due a trovarlo».
Il figlio del lama si chiamava Darma-Uang-Chug (Giovane-Potente). Come provviste per il
viatico, i lama ci diede un carico di stoffa fine di Lha-sa e di saia, piccoli doni e una
lettera. Giunti a Nub-Khulung, incontrammo il giovane lama di Nub. Gli offrimmo pezze
intere di lana, così come i doni e la lettera del lama. Io gli raccontai con precisione la mia
storia con tutte le circostanze. Lo pregai con insistenza di insegnarmi la magia. Il lama
rispose: «Il mio amico è un amico costante e fedele alla sua parola. Vi insegnerò ogni
specie di magia. Per questo costruite sulla cima di quella montagna una cella che vi
metta a sicuro dalla mano dell'uomo».
Costruimmo una casa che aveva tre piani sotto terra e uno solo al disopra del suolo.
Fornimmo questo piano di solide travi legate tra di loro. Lo circondammo di un muro
continuo in blocchi di pietra grossi come "yack", non lasciando intervalli, in modo che
nessun altro potesse scorgere un'entrata nella casa né scoprire il modo di assalirla. Allora
il lama diede l'incantesimo magico.
Dopo che ebbimo compiuto il sortilegio, passarono sette giorni. Poi il lama venne e disse:
«Una volta sette giorni bastavano; anche adesso devono bastare.» Risposi: «Siccome la
mia magia deve prodursi lontano, ti chiedo di continuare per sette giorni ancora.» Il lama
rispose:
«Ebbene, continuate». E noi continuammo.
La sera del quattordicesimo giorno, il lama tornò e disse: «Questa sera, intorno al cerchio
delle offerte ci sarà una dimostrazione di sortilegi». E quel stessa sera, gli Dei fedeli,
Guardiani degli Ordini, (32) ci portarono le trentacinque teste d'uomo, insieme ai loro
cuori sanguinanti, che erano state chieste. E dissero: «Da ieri, voi ci avete chiamati con
lunghe grida ripetute. Ecco quello che volevate». E ammucchiarono le teste tutt'intorno al
cerchio delle offerte.
L'indomani mattina, il lama tornò e disse: «Restano due persone da distruggere.
Dobbiamo distruggerle o lasciarle in vita?». Pieno di gioia io dissi: «Vogliate lasciarle in
vita perché riconoscano la mia vendetta e la mia giustizia».
E' così che furono risparmiati lo zio e la zia.
Rendemmo grazie ai fedeli Dei protettori con un sacrificio e uscimmo dal nostro ritiro.
Ancora oggi, a Khulung, si può vedere dov'era la nostra cella. Tuttavia io mi chiedevo in
che modo si fosse manifestato il sortilegio nel mio paese di Kyagnatsa.

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C'era un banchetto per le nozze del figlio maggiore di mio zio. Lì si erano riuniti i figli
dello zio e le sue nuore, giunti per primi insieme a degli uomini che ci odiavano, in tutto
trentacinque persone.
Gli altri convitati, che erano nostri partigiani, stavano arrivando e, in cammino, parlavano
così: «Il falso padrone è il padrone e il vero proprietario è messo alla porta, come dice il
proverbio è come agiscono questi senza-pietà. Se la magia di Buona-Novella è impotente
contro di loro, gli farà giustizia il cielo».
Mentre quelli, camminando insieme, erano sul punto di entrare nella casa, lo zio e la zia
erano usciti per prendere accordi sul cibo da servire loro e sul discorso con cui
rispondere. In quel momento, una mia antica schiava, che era diventata serva di mio zio,
era andata ad attingere acqua. Nella scuderia, (33) essa non vide i numerosi cavalli
legati, ma vide scorpioni, ragni, serpenti, rospi e girini. Vide uno scorpione grosso come
uno "yack" che, afferrando le colonne tra le sue pinze, le svelleva. A quella vista, la serva
fuggì spaventata. Era appena fuori che, siccome nella scuderia le giumente in calore e gli
stalloni erano legati insieme, questi coprirono le giumente. Tutti i cavalli, inalberati,
assestavano calci e le giumente, scalciando agli stalloni, colpivano le colonne, che
crollarono. Sotto le macerie della casa crollata, i figli di mio zio le sue nuore e gli altri, in
tutto trentacinque persone rimasero uccisi. L'interno della casa era pieno di cadaveri e di
una nuvola di polvere.
Mia sorella Peta, vedendo che tutti, fuori, si lamentavano, corse velocemente da mia
madre: «Madre, madre, la casa dello zio è crollata e molti uomini sono morti. Vieni a
vedere». Mia madre, chiedendo se fosse vero, ebbe un grido di gioia, si alzò e andò a
vedere. Vide la casa di mio zio ridotta a una nuvola di polvere e tutta la vallata immersa
nelle lacrime. Non meno felice che stupita, attaccò un lembo di veste in cima a un lungo
bastone e, agitandolo in aria, gridava ad alta voce: «Gloria a voi, Dei, Lama e Tre Gioielli!
(34) Ebbene! gente del paese e vicini, non ha un figlio Trofeo-di-Saggezza? Io, Bianca-
Ghirlanda, sono vestita di stracci, mangio cibo cattivo. Vedete adesso che era per nutrire
mio figlio? Una volta lo zio e la zia ci dicevano:
"Madre e figli, se siete numerosi, fateci dunque la guerra. Se siete poco numerosi,
gettateci il malocchio". Ed ecco che abbiamo ottenuto di più, poco numerosi, con la
magia, di quanto avremmo fatto, più numerosi, con la guerra. Guardate gli uomini che
erano su in casa, guardate il bestiame che era giù nella scuderia, guardate le ricchezze
che erano nel mezzo. Possa io vivere ancora a lungo, perché è venuto il momento di
contemplare un tale spettacolo offerto da mio figlio.
Vedrete quale sarà la mia felicità da oggi in poi!».
Anche tutti quelli che stavano nelle loro case udirono mia madre gridare la sua vendetta.
Alcuni dissero: «Ha ragione». Altri dissero:
«E' vero che ha ragione, ma parla troppo».
Avendo tutti udito per quale potere erano morti gli uomini, si riunirono e dissero: «Non
contenta di aver provocato questo disastro, per di più ne gioisce. E' troppo sconveniente.
Dopo che essa ha inviato questi molteplici dolori, bisogna strapparle, viva, il cuore
sanguinante». Gli anziani dissero: «A che pro ucciderla? Quello che ci succede è opera di
suo figlio. Perciò, dovete per prima cosa trovare suo figlio, e poi fare in modo di lapidarlo.
Dopo vi sarà facile uccidere la madre.» A queste parole, furono tutti d'accordo.
Lo zio, dopo aver sentito tale discorso, parlò: «I miei figli e figlie non hanno più da
morire. Almeno fossi morto anch'io!». E si mosse per andare a uccidere mia madre. Ma la
gente del paese lo fermò dicendo:

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«E' perché hai mancato alla tua parola di un tempo che al paese è capitata questa
sciagura. Se ora agisci così prima di aver ucciso il figlio, noi ti faremo la guerra». E non
lasciarono allo zio alcuna possibilità d'agire. Allora la gente del paese si concertò per
farmi uccidere.
Mio zio materno ando da mia madre e le disse: «Dopo le tue parole e la tua condotta di
ieri, la gente del paese è pronta a lapidarti, te e tuo figlio. Che cosa puoi tu contro di
loro? Il sortilegio era più che sufficiente!». Così la rimproverava duramente. Mia madre
gli rispose:
«La cattiva sorte non si è accanita contro di te. Tutto questo lo so bene. Ma dopo il modo
con cui hanno rubato i miei beni, è difficile tacere». E senza rispondere altro, pianse. Suo
fratello riprese: «In verità, hai ragione. Ma per tema che vengano gli assassini, chiuditi
bene dentro». Così detto, se ne andò. E mia madre, stando chiusa in casa, si mise a
pensare e a riflettere.
Intanto, la serva dello zio che in altri tempi era stata la mia, avendo udito la gente
deliberare tra loro, non poté, nel suo attaccamento verso la mia famiglia, tollerarlo. Di
nascosto andò a dire a mia madre ciò che era stato deciso in consiglio e le raccomandò di
vegliare sulla vita di suo figlio. Mia madre pensò tra sé: «Questa decisione pone tregua
per un momento alla mia gioia». Vendette metà del campo Tappetino-di-Pelle-di-Bestia e
ne ricavò sette once d'oro.
Siccome non c'era nessun uomo del paese da poter inviare, siccome non era arrivato
nessun corriere da qualche altra parte, mia madre pensava di venire lei stessa a
trovarmi, per portarmi delle provviste e darmi dei consigli.
A questo punto, un eremita della Provincia Centrale, che tornava da un pellegrinaggio nel
Nepal, si trovò a passare di lì mendicando. Mia madre gli chiese la sua storia. Egli era
adatto a fare il messaggero.
Mia madre gli disse: «Resta qui qualche giorno. Ho un figlio che si trova nello U-tsang e
ho qualche tizia da mandargli. Sii tanto buono da portargliele».
Intanto mia madre gli offriva una piacevole ospitalità. Poi, dopo aver acceso una lampada
a grasso, fece la seguente preghiera: «Il lama di Buona Novella e gli Dei protettori
facciano sì che, se il desiderio è esaudito, questa lampada bruci a lungo; che, se non è
esaudito, questa lampada muoia rapidamente». La lampada durò un giorno e una notte.
Ritenendo allora che il suo desiderio si sarebbe adempiuto, mia madre disse al pellegrino:
«Eremita, per percorrere i regni, la veste e gli stivali hanno grande importanza. Per
questo, fai delle pezze e delle suole». E gli diede un pezzo di cuoio per gli stivali. Lei
stessa mise le pezze al mantello usato che portava. All'insaputa dell'eremita, nascose le
sette once d'oro nel retro del mantello, in mezzo. Sopra vi cucì una pezza quadrata di
stoffa nera. Al centro, ricoprì questa pezza con delle stelle fatte con del grosso filo
bianco, rappresentavano la costellazione delle Pleiadi, ma in modo tale che all'esterno
non la si potesse vedere. Poi diede all'eremita un buon compenso, gli affidò una lettera
sigillata, in una scrittura cifrata, e lo congedò.
In seguito mia madre fece queste riflessioni: «Poiché non so quello che la gente del
paese ha determinato di fare nelle sue deliberazioni, bisogna che io assuma un'aria
minacciosa». Quindi fece la lezione a Peta: «Annuncia a tutti che quest'eremita mi ha
portato una lettera di tuo fratello». Ed ecco la lettera che mia madre fece come se
provenisse da me: «Certamente mia madre e mia sorella sono in buona salute e hanno
visto la manifestazione di magia. Se la gente del paese continua a dimostrarvi un odio
particolare, mandatemi per iscritto i loro nomi e quello della loro famiglia. Per mezzo dei

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sortilegi, mi sarà facile farli morire quanto lo è gettare in aria un pizzico di cibo. (35) Li
distruggerò così fino al nono grado di parentela. Se la gente del paese vi è in generale
ostile, partite, madre e figlia, e venite a raggiungermi qui. Distruggerò questo paese fino
alle sue vestigia. Ho benessere e viveri in abbondanza. Non vi preoccupate per il fatto
che io vivo in reclusione». Dopo aver scritto così, mia madre piegò la lettera. La mostrò
prima a suo fratello e ai suoi amici. Poi, lasciandola in mano al fratello, fece in modo che
la gente la vedesse. Allora tutti cambiarono atteggiamento. Rinunciando al proposito di
lapidarci, tolsero a mio zio il campo Horma-Triangolare e lo restituirono a mia madre.
Intanto l'eremita veniva alla mia ricerca. Avendo saputo che ero a Nub-Khulung, mi trovò
lì. Mi diede notizie di mia madre, di mia sorella e del paese. Mi consegnò la lettera, e io
mi trassi in disparte leggerla: «Spero, Buona-Novella, che tu sia in buona salute. Il
desiderio della tua vecchia madre di avere un figlio si è realizzato. La discendenza di tuo
padre Mila-Trofeo-di-Saggezza è assicurata. I segni della tua magia sono apparsi nel
paese. Trentacinque uomini sono rimasti uccisi sotto la casa crollata. A causa di ciò la
gente del paese è malevola verso noi due, madre e figlia. Per questo, fai cadere la
grandine fino al nono strato di muro di terra battuta. (36) Allora gli ultimi desideri della
tua vecchia madre saranno soddisfatti. La gente del paese dice che ti fa ricercare e che,
dopo aver ucciso te, ucciderà anche me. Reciprocamente, madre figlio, vegliamo sulla
nostra vita con la massima cura. Se i tuoi viveri sono esauriti, nel paese che guarda verso
Nord, dove è sospesa una nuvola nera, apparirà la costellazione delle Pleiadi. Sotto, ci
sono sette case di tuoi cugini. Dopo troverai tante provviste quante ne desideri. Prendile.
Se non capisci, dato che quest'eremita abita nel paese, non chiedere a nessun altro».
Non capivo il senso di quella lettera. Rimpiangevo la mia patria e mia madre. Poiché
avevo un gran bisogno di viveri, poiché non conoscevo il paese e non sapevo di nessun
parente, versai molte lacrime. Chiesi all'eremita: «Dato che tu conosci il paese, dove
abitano i miei cugini e qual è questo paese?». L'eremita rispose: «E' la Pianura Centrale
dello Gnaris».
«Non conosci altri paesi? Qual è il tuo?».
«Conosco molti altri paesi. Non conosco quello dei tuoi cugini. Io sono della provincia di
Lha-sa».
«Allora resta qui un momento, torno subito».
Andai a mostrare la lettera al lama e gli chiesi la spiegazione. Il lama scorse la lettera e
mi disse: «Buona-Novella, tua madre è ben astiosa. Questi uomini sono appena morti, e
lei chiede per di più che tu mandi la grandine. Quali sono i tuoi cugini del Nord?». Gli
risposi: «Non ne avevo mai sentito parlare. E' la lettera che ne parla. Ho chiesto
all'eremita, ma non li conosce».
La moglie del lama, che era marcata col segno delle Tara onniscienti, lesse la lettera ad
alta voce e mi disse: «Fai venire l'eremita».
Quando l'eremita le fu davanti, gli fece un bel fuoco e gli diede della birra eccellente. Poi,
tolto il mantello dalle spalle dell'eremita, se ne ricoprì e disse: «Ecco un mantello
simpatico per viaggiare di regno in regno». E dicendo così, camminava in lungo e in
largo. Poi salì sulla terrazza della casa. Li tolse l'oro dal mantello, ricucì la pezza come
prima, poi rimise il mantello sulle spalle dell'eremita.
Dopo aver servito all'eremita il pasto della sera, lo condusse nella sua stanza e gli disse:
«Vai a dire a Buona-Novella di venire dal lama». Arrivai, e lei mi diede le sette once
d'oro. Chiesi: «Da dove viene quest'oro?». La donna rispose: «Era nel mantello
dell'eremita.

21
Buona-Novella, hai una madre accorta. "Il paese di fronte al Nord dove non brilla il sole"
(37) significa il mantello dell'eremita dove il sole non penetra. "La nuvola nera sospesa"
significa la pezza nera e quadrata che vi è applicata. "La costellazione delle Pleiadi" che
apparirà, significa i punti cuciti con del filo bianco. E sotto, "le sette case di cugini"
significano le sette once d'oro. "Se non capisci, dato che l'eremita abita nel paese, non
chiedere a nessun altro". Questo vuol dire: se non capisci, visto che l'oro è nel mantello
dell'eremita, non cercare altrove».
Così parlò la moglie del lama. Allora il lama disse:
«Voialtre donne, si dice che siate piene d'artificio. E' proprio vero». E rideva.
Dopodiché, diedi un decimo di oncia d'oro all'eremita ed egli fu soddisfatto. Alla padrona
di casa offrii sette decimi di oncia. Al lama offrii tre once d'oro e gli dissi: «Ecco che la
mia vecchia madre chiede anche la grandine. Voglia tu prenderti a cuore
d'insegnarmela».
Il lama rispose:
«Se vuoi la grandine, vai a trovare il lama Vincitore-Irritato-che-Insegna-il-Male». E mi
consegnò una lettera con dei doni. Partii per il villaggio di Kyorpo nello Yarlung. Quando
giunsi dinanzi al lama, posai ai suoi piedi tre once d'oro, la lettera e i doni del lama. Gli
raccontai perché desiderassi la grandine. Mi domandò: «Sei riuscito nella magia?».
Risposi: «Ho avuto un completo successo con la magia. Trentacinque uomini sono stati
uccisi. Questa lettera chiede inoltre la grandine. Voglia tu prenderti a cuore
d'insegnarmela».
«Ebbene, sia» disse il lama.
E mi diede la formula. Andai a officiare nella mia antica cella.
Il settimo giorno, una nuvola invase la cella magica. Il fulmine balenò, il tuono e il
pianeta Rahula (38) brontolarono. Allora ritenni di poter dirigere la grandine col dito. Il
lama mi domandò, di seguito:
«Perché ci sia ragione d'inviare la grandine, quanto è alta ora la messe nel tuo paese?».
E io risposi, volta a volta:
«E' appena spuntata». Poi:
«E' alta appena per nascondere i palombi».
Il lama allora disse:
«E' ancora troppo presto». Poi:
«E ora a che punto è?».
Io risposi:
«Le spighe si sono appena spiegate».
«Allora è tempo di inviare la grandine» disse il lama.
Mi diede per compagno il corriere che era già andato nel mio paese.
Dopo esserci travestiti da monaci erranti, partimmo.
Al paese, i vecchi non si rammentavano un'annata così buona. Avevano fatto una legge
per la mietitura che proibiva di mietere quando si volesse. (39) Quando giungemmo noi,
avrebbero dovuto tagliare la messe l'indomani e il giorno dopo. Io mi stabilii nella parte
alta del paese. Dopo che ebbi enumerato gli incantesimi, una nuvoletta accorse, grande
appena come il corpo di un passerotto. Rimasi deluso. Invocai i santi con il loro nome. Li
scongiurai in nome della verità dei cattivi trattamenti che avevo ricevuto dalla gente del
paese. Gettai il mantello e mi misi a piangere. Allora, incredibili nuvoloni neri si
accavallarono improvvisamente nel cielo. Precipitarono in una sola massa e, in un istante,

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la grandine si abbatté sul raccolto e su tutta la vallata, fino all'altezza di tre strati di muro
di terra battuta.
Tutta la montagna si trasformò in torrenti. La gente del paese, non vedendo più messe,
singhiozzava.
Subito, un forte vento misto a pioggia soffiò. Poiché avevamo freddo, il mio compagno
ed io, andammo in una grotta la cui entrata guardava verso nord. Vi accendemmo un
fuoco di tamarischi e vi restammo. I giovani del paese tornavano dalla caccia la cui preda
doveva servire ai sacrifici di ringraziamento per il raccolto. E dicevano:
«Questo Buona-Novella ci ha inviato una sciagura che nessun altro avrebbe inviato.
Aveva già ucciso tanti uomini! Ora, grazie alla sua arte, non si vede più nulla del nostro
magnifico raccolto. Se ci capitasse fra le mani, gli strapperemmo il cuore vivo. E ognuno
di noi dovrebbe mangiare un pezzetto della sua carne e bere una goccia del suo
sangue».
Parlavano così perché la piaga del loro cuore era inguaribile.
Mentre discorrevano in questo modo discendendo la montagna, si trovarono a passare
davanti alla grotta. Un vecchio disse:
«Silenzio! Silenzio! Parlate a bassa voce! Del fumo esce dalla grotta.
Chi può essere?».
I giovani dissero:
«E' sicuramente Buona-Novella. Non ci ha visti. Se gli uomini del paese, dopo avergli
dichiarato guerra, non lo uccidono, egli finirà allora di annientare il paese».
Così dicendo, si allontanarono. Il mio compagno mi disse:
«Vai avanti. Io farò finta di essere te. Andandomene, dirò loro che è la mia vendetta. Ci
ritroveremo a quattro giorni di cammino, verso ovest, al caravanserraglio di Dingri».
Essendo cosciente della sua forza, restò solo e senza timore. A questo punto, pensai di
rivedere per una volta sola mia madre, ma, spaventato dai miei nemici, fuggii
rapidamente e corsi a Nyanang. Essendo stato morso da un cane alla gamba, non potei
arrivare a tempo all'appuntamento. Il mio compagno, quando fu assediato dalla gente del
paese, ruppe il loro cerchio e scappò. Finché lo stringevano da vicino, corse rapidamente.
Quando furono distanziati, rallentò la corsa. Siccome tiravano su di lui con le loro armi,
rispose colpo per colpo lanciando grosse pietre. E gridava loro:
«A colui che si arrischierà contro di me, getto il malocchio. Quanti uomini non ho già
ucciso per vendicarmi? E dov'è la vostra bella messe di cui non si scorge più niente? Non
è forse ancora la mia vendetta?
Perciò, se non siete buoni con mia madre e mia sorella, affatturerò tutto il vostro paese,
dall'alto fino in fondo alla vallata. Quelli che non saranno uccisi, vedranno la loro razza
distrutta fino alla nona generazione. Se la morte e la desolazione non colpiranno questo
paese, non sarà colpa mia. In ginocchio! in ginocchio!».
Parlando in questo modo, si allontanò. E loro, timorosi, si dicevano l'un l'altro:
«Rispondigli, rispondigli».
E, bisticciando, se ne tornarono indietro.
Il mio compagno arrivò a Dingri prima di me. Chiese al guardiano del caravanserraglio se
fosse venuto qualcuno di simile a un eremita. II guardiano rispose:
«Non è venuto. Ma chi dice eremita dice amante di vino schietto. Nel paese di fronte, c'è
una festa. Vacci. Se non hai una coppa, io posso imprestartene una».

23
E gli prestò una coppa fonda di colore grigio, enorme come la testa del dio della morte.
Portando con sé la coppa, il mio compagno andò nella casa dove c'era il festino e,
siccome io ero lì, in fondo alla fila dei convitati, venne a mettersi vicino a me. Mi disse:
«Perché non sei venuto all'appuntamento fin da ieri?».
«Ieri ero andato a mendicare. Un cane mi ha morso la gamba e non ho potuto
camminare in fretta. Ma non è niente». Ripartiti insieme, arrivammo a Kyorpo nello
Yarlung. Il lama ci disse:
«Ebbene, voi due, avete fatto un buon lavoro!».
«Nessuno ci ha preceduti. Da chi l'hai saputo?».
Il lama rispose:
«I santi Dei protettori, col viso raggiante come la luna piena, sono venuti. Li ho
ringraziati».
E parlando così, il lama dimostrava una grande gioia.
E'in questo modo che ho accumulato le azioni nere per rispondere ai miei nemici. "Così
parlò il Maestro. Tale è il terzo capitolo, quello della distruzione dei nemici. Tale fu
l'operato mondano di Milarepa." NOTE alla parte prima. Nota 1: Cioè i campi e la casa
con il suo contenuto. [Le note non contrassegnate da N.d.T. sono di Jacques Bacot].
Nota 2. Personificazione dell'aspetto maschile o positivo del potere d'illuminazione
[N.d.T.].
Nota 3: Letteralmente «i Sapori». Sono le prime divinità femminili autonome del
buddhismo. Il loro culto è di origine popolare. [N.d.T.] Nota 4: O «Grande Sentiero»: il
ramo più diffuso della religione buddhista e il solo ammesso nel Tibet. [N.d.T.] Nota 5:
Gli ornamenti di osso hanno un significato profondamente religioso. Le ossa, e più
particolarmente le ossa umane, hanno una parte rilevante nei riti religiosi tibetani.
[N.d.T.].
Nota 6: Esseri d'Illuminazione che in seguito diventeranno Buddha, cioè Illuminati
[N.d.T.].
Nota 7: Gli introduttori del buddhismo nel Tibet e i patroni della setta Kadjupa, o
tradizionale, fondata da Milarepa [N.d.T.].
Nota 8: Gnöngah è il paradiso d'Indra, dio del Cielo fin dall'epoca vedica; Ogmin è il
paradiso dell'Adi-Buddha, il Buddha primordiale, e il luogo in cui si può ottenere il
Nirvana, o Liberazione. [N.d.T.] Nota 9: Questi colori carichi di significati simbolici
indicano anche i cinque aggregati umani, o "Skanda": materia, sentimenti, percezioni,
impulsi, atti di coscienza. [N.d.T.] Nota 10: Cioè di raccontare gli avvenimenti della sua
vita e, attraverso l'esempio, chiarire la Dottrina. [N.d.T.].
Nota 11: «Antico», cioè seguace della più antica scuola buddhista, quella che riconosce
come fondatore Padmasambhava. [N.d.T.].
Nota 12: Oppure Yi dam. Dei tutelari equivalenti all'"ishta devata", «il dio che si
desidera», degli Indiani. Sono le divinità protettrici delle varie scuole monastiche che
combattono le forze ostili. [N.d.T.] Nota 13: Alto Brahmaputra.
Nota 14: Secondo il senso del racconto, sembrerebbe una interiezione di spavento, locale
e antica.
Nota 15: Questi demoni che vivono tra gli uomini sono i "Kuei", fantasmi di morti che,
invece di trasmigrare, rimangono legati alle forme di vita terrestri ed errano tra i vivi.
Nota 16: I Sutra gono i testi che si ritengono formulati dallo stesso Buddha. Diamante è
sinonimo di Grande Sentiero, o Mahayana. [N.d.T.] Nota 17: Abbreviazione per
Kyagnatsa.

24
Nota 18: Usanza tibetana di dare ai campi, alle case, ai cavalli o ai muli acquistati il nome
del precedente proprietario.
Nota 19: Le case tibetane hanno all'ultimo piano una corte interna su cui danno i granai e
la cappella.
Nota 20: Il computo degli anni, in Tibet come in Cina, è fatto servendosi di emblemi
animali. Questa data corrisponde all'agosto del 1052.
Nota 21:: Queste disposizioni sono normali. Nel Tibet vigono particolari regole familiari, e
i figli vengono normalmente allevati dagli zii. [N.d.T.].
Nota 22: Nel testo c'e una contraddizione tra le parole "phyedma" (associato) e "bgos"
(diviso). I beni possono dunque essere stati divisi a metà o anche non divisi.
Nota 23: Incrocio dello "yack" e della mucca.
Nota 24: Le maniche della "chuba" tibetana, quando non sono rimboccate sono molto più
lunghe del braccio.
Nota 25: Quest'antica espressione è interpretata in modo diverso dagli stessi Tibetani.
Alcuni intendono, come noi, «dal mattino presto fino a sera»; altri vi vedono un paragone
tra l'alacrità e il battere del tamburo, o il rapido dissolversi del fumo.
Nota 26: Magia e Grandine sono le due branche in cui si divide questo insegnamento. La
magia agisce sugli uomini, la grandine sulle forze della natura. [N.d.T.] Nota 27: Per fare
lo "tsampa": mistura di grano e di orzo abbrustoliti che poi si riducono in farina.
Nota 28: Il Nyag è un maligno demone prebuddhista legato al culto della montagna.
[N.d.T.].
Nota 29: I "mantra" sono formule magiche che, quando vengono pronunciate, producono
miracoli. I Tibetani adoperavano non solo i "mantra" tradizionali, ma anche alcuni "sutra"
buddhisti, come scongiuri magici. [N.d.T.].
Nota 30: Questo viaggio dovrebbe normalmente durare una quarantina di giorni.
Nota 31: Le lettere "Hum" e "Phed" sono supporti per la concentrazione mentale. "Hum"
ha come colore simbolico il blu o il nero, "Phed" il rosso. [N.d.T.].
Nota 32: Sono le divinità chiamate in sanscrito Dharma-Palas, cioè Guardiane del
Dharma, la Realtà suprema o la Dottrina. [N.d.T.].
Nota 33: La scuderia è il pianterreno dell'abitazione.
Nota 34: Buddha, Dharma (la Realtà Suprema, la Dottrina), Sangha (la Comunità, il
Clero). [N.d.T.].
Nota 35: Gesto abituale dei Tibetani, che prelevano una piccolissima parte loro cibo e lo
gettano come offerta alle divinità dello spazio.
Nota 36: La maggior parte delle case tibetane sono costruite in terra battuta, prima
compressa in casse di legno. Le gettate sovrapposte formano degli strati e rimangono
visibilmente segnate sui muri.
Nota 37: "Dove non brilla il sole" non si trova nella lettera della madre.
Nota 38: Rahula è la divinità che divora il sole e la luna provocando le eclissi.
Nota 39: Questa disposizione doveva servire a rendere per tutti uguali i rischi dovuti alle
intemperie.

PARTE SECONDA
"In questa seconda parte, Mila giunge al Nirvana della pace e della perfezione. Ecco
come:
"Per prima cosa, il disgusto e i rimorsi gli faranno cercare un lama veramente santo.

25
"Quando l'avrà trovato, subirà, sottomesso ai suoi ordini, tali incredibili prove da essere
lavato interamente dalla macchia del peccato.
"Poi, guadagnato l'affetto del lama, otterrà da lui la dottrina e la liberazione.
"Meditando questa dottrina alla presenza stessa del lama, vedrà nascere in sé il germe
della conoscenza.
"Allorché potrà servirsi delle formule coi suoi propri mezzi, per suggerimento di un sogno,
e in possesso della tradizione orale, si ritirerà dal cospetto del lama.
"Incontrando nuove prove della vanità del mondo farà voto di perfezione.
"Per realizzare l'insegnamento del lama, rinuncerà al mondo e mediterà nel deserto delle
montagne con una perseveranza e una concentrazione terribili.
"Grazie a tale meditazione acquisterà una penetrazione spirituale sempre più intensa e,
giunto al proprio al limite, renderà il frutto della propria perfezione utile alla dottrina e a
tutti gli esseri.
"Infine, avendo adempiuto le sue opere di salvezza per la conversione delle creature,
morirà Buddha nel seno stesso della religione."

CAPITOLO 1
"Allora Rechung domandò: «O lama, tu dici di aver compiuto azioni bianche riservate
unicamente alla santa dottrina. In che modo, Maestro, sei entrato in religione?». E il
venerabile continuò così:" Ero pieno di rimorsi per il male che avevo fatto con la magia e
la grandine. La Dottrina ossessionava la mia memoria, e per questo dimenticavo, di
giorno, di prendere cibo. Se uscivo, avevo voglia di restare. Se restavo, desideravo
uscire. La notte, rifuggivo dal sonno.
Non osavo confessare al lama la mia tristezza, né il mio desiderio di liberazione, né la mia
conversione. Mentre rimanevo al servizio del lama, senza tregua e con passione mi
chiedevo in che modo avrei potuto praticare la vera dottrina.
A quel tempo, il lama riceveva gli omaggi di un Capofamiglia che gli procurava tutte le
ricchezze di cui poteva aver bisogno. Costui era prostrato da una terribile malattia. Il
lama fu chiamato per primo a vegliarlo, e vi andò. Tre giorni dopo, il lama tornò
silenzioso e cupo. Gli domandai:
«Maestro, perché questo silenzio e questo viso cupo?».
Il lama mi rispose:
«Tutto ciò che è composto è effimero. Ieri è morto il mio eccellente ospite. Per questo la
trasmigrazione turba il mio cuore. Ma soprattutto, sono vecchio. E, dalla giovinezza dai
denti bianchi fino al vecchiaia dai capelli bianchi, io non ho fatto che nuocere per mezzo
di malefizi, affatturamenti e grandine. Tu pure, benché giovane, hai accumulato i crimini
della magia e della grandine. Questi stessi crimini ricadranno sulla mia testa».
Chiesi:
«Non hai forse condotto queste creature alla salvezza e al paradiso?».
Il lama rispose:
«Gli esseri agiscono secondo la loro natura. Io conosco bene la legge che li conduce al
paradiso e alla liberazione. Ma essi, di questa legge, ritengono soltanto la lettera. E
quando viene il momento di metterne a prova lo spirito, la legge non serve più. Ma ora io
applicherò lo spirito della dottrina. In ragione di questo, proteggi i miei discepoli. Sia che
io ti metta sulla via della salvezza e del paradiso, sia che tu pratichi la dottrina e mi
conduca sulla via salvezza, io ti aiuterò con tutti i miei mezzi».

26
I miei desideri erano esauditi e risposi che avrei praticato la dottrina. (1) «Ebbene, disse
il lama «giacché sei giovane, giacché il tuo ardore e la tua fede sono grandi, pratica la
dottrina più pura».
E mi diede uno "yack" con un carico di drappo fine dello Yarlung. Poi mi disse:
«Nel villaggio chiamato Hnar, nello Tsang rong, c'è un lama di nome Rontunlaga. La sua
scienza della dottrina "Perfettissima" l'ha condotto alla perfezione. Va' da lui a farti
spiegare questa dottrina e a purificarti». Seguendo gli ordini del lama, andai a Hnar, nello
Tsang rong e chiesi informazioni. La moglie del lama e alcuni monaci che si trovavano lì
mi dissero:
«Qui c'è il monastero grande. In questo momento il lama non c'è. E' nel piccolo
monastero sulla montagna dell'Alto Nyang». (2) «Ebbene,» dissi «sono un messaggero
inviato dal lama Vincitore-Irritato-che-Insegna-il-Male. Aiutatemi a incontrare il vostro
lama».
E raccontai loro per esteso la mia storia. La moglie del lama mi diede per guida un
monaco, e a Rinang nell'Alto Nyang incontrai il lama. Gli offrii in dono lo "yack" e la stoffa
fine.
Dopo avergli porto i miei ossequi, gli dissi:
«Colui che viene a te è un grande peccatore. Concedimi la dottrina che fin da questa vita
mi libererà dalla trasmigrazione».
Il lama rispose:
«La mia dottrina è la dottrina "Perfettissima". Essa rende padroni della radice. Fa
conquistare la vetta e maturare il frutto. Meditarla durante il giorno, vuol dire essere
Buddha del giorno. Meditarla durante la notte, vuol dire essere Buddha della notte. Per i
fortunati Bodhisattva che, senza bisogno di meditarla, hanno anche solo la possibilità di
udirla, questa dottrina felice è un mezzo sicuro di liberazione. Per questo, io te la darò».
E il lama mi diede consigli efficaci.
Allora pensai: «Un tempo, con i miei sortilegi ho ottenuto grandi risultati in quattordici
giorni. Per la grandine sono bastati sette giorni. Ecco ora una regola ancora più facile di
quelle della magia e della grandine. Se la medito di giorno, sarò purificato di giorno. Se la
medito di notte, sarò purificato di notte. Anch'io, grazie a questo incontro, sono uno di
quei fortunati Bodhisattva che, avendo avuto la possibilità di udirla, non devono neppure
meditarla». Così pensando, e trionfando, trascorsi il tempo a dormire senza meditare.
Poiché mettevo da una parte la religione e dall'altra la condizione umana, dopo qualche
giorno il lama mi disse:
«Quando sei venuto a salutarmi, mi hai detto che venivi come grande peccatore. E'
proprio vero. Orgoglioso della mia dottrina, ti ho parlato troppo presto. Io non farò la tua
salvezza. Recati al monastero d Chrouolung (Vallata-delle-Betulle) nella provincia Lhobrag
(Roccia-del-Sud). Lì, vive il così nominato Marpa, discepolo personale del perfetto
Naropa, dell'India, incarnazione divina e re dei Traduttori, (3) il quale ha appreso la
scienza dei moderni Tantra (4) e che non ha suo pari nelle tre regioni della Terra. Tu e
lui, siete in comunione spirituale dalle vostre vite anteriori. Per questo, vai da lui».
Avevo appena udito il nome del traduttore Marpa che mi sentii pieno di una felicità
ineffabile. Per gioia, i miei capelli ebbero un fremito.
Nella mia fervente adorazione, singhiozzai. Racchiudendo tutta l'anima in un unico
pensiero, portai con me il viatico e un libro. Senza distrarre il pensiero su un altro
oggetto, mi misi per via, ripetendomi continuamente: «Quando verrà, quando verrà il
momento in cui vedrò il lama di fronte a me?».

27
La notte che precedette il mio arrivo nella Vallata-delle-Betulle, Marpa vide in sogno il
"pandit" Naropa.
Questi lo benedì. Gli porgeva uno scettro (5) a cinque braccia, di lapislazzuli e lievemente
macchiato. Insieme gli dava un vaso d'oro colmo di nettare, e gli diceva:
«Lava la sporcizia del "vajra" nell'acqua di questo vaso, poi innalzalo in cima a una
bandiera di vittoria. (6) Fai questo per te e per gli altri; per il piacere degli Dei e per la
felicità delle creature».
Dopo aver parlato così, Naropa si dileguò nello spazio. Secondo l'ordine del suo maestro,
Marpa lavò lo scettro nell'acqua del vaso e lo innalzò in cima a una bandiera di vittoria.
Allora lo splendore di quello scettro illuminò tutto l'universo. Subito, gli esseri delle sei
classi, (7) colpiti dalla sua luce, furono liberi dal dolore e felici.
Salutavano il venerabile Marpa e la sua bandiera di vittoria, e gli offrivano la loro
adorazione. E i Buddha consacravano un tempio al Trofeo di vittoria.
Dopo aver sognato così, e un poco sorpreso, Marpa si svegliò. Si sentiva pieno di gioia e
di amore. A questo punto, sua moglie venne a servirgli la bevanda calda del mattino. Gli
disse:
«O lama, questa notte ho fatto un sogno. Due fanciulle, le quali dicevano di venire da
Urgyen, nel nord, portavano un reliquiario (8) di cristallo. Questo reliquiario lasciava
vedere sulla superficie qualche macchia d'impurità. E le fanciulle dicevano: "Naropa
ordina al lama di consacrare un tempio a questo "stupa" e di collocarlo sulla cima di una
montagna. E tu esclamavi: "Sebbene la consacrazione di questo "stupa" sia già stata
compiuta dal Signore Naropa, devo obbedire al suo ordine!". E lavavi lo "stupa" nel vaso
dell'acqua lustrale e compivi i riti della consacrazione. Poi lo collocavi sulla cima di una
montagna. E dallo "stupa" si irradiavano miriadi di luci splendenti come il sole e la luna,
che riflettevano l'immagine del medesimo "stupa". E le due vergini servivano tutti questi
templi su tutte queste cime di montagna. Tale fu il mio sogno. Qual è il suo significato?».
Marpa pensò: «I nostri sogni coincidono». La gioia del suo cuore fu estrema. E disse:
«Non so chi mi abbia inviato questo sogno. Vado ad arare giù in basso, vicino alla strada.
Prepara quello che ci vuole».
La moglie rispose:
«Ma è ciò che fanno i lavoratori. Se tu, un grande lama, fai questo lavoro, tutti ci
biasimeranno. Quindi ti prego di voler restare».
Senza ascoltare, il lama se ne andò dicendo:
«Portami molta birra».
E ne portò via un orcio pieno, aggiungendo:
«Questa birra, la berrò io. Porta altra birra da offrire a un ospite».
Avendo portato con sé un altro orcio pieno, lo sotterrò e lo coprì col suo cappello. Poi,
mentre arava sorvegliava [la strada]. E sebbene la birra fosse bevuta tutta, egli
rimaneva. Intanto io stavo arrivando. Fin dal fondovalle della Roccia-del-Sud, chiedevo a
tutti i passanti dove abitasse il venerabile e sapiente Marpa. Ma nessuno lo conosceva.
Mentre raggiungevo un colle da cui si scorgeva il monastero della Vallata-delle-Betulle,
chiesi di nuovo a un uomo che passava. Questi rispose:
«C'è sì uno di nome Marpa. Ma non c'è nessuno di nome Sapiente-Marpa-Incarnazione-
Divina».
«Allora dove si trova la Vallata-delle-Betulle?».
«La Vallata-delle-Betulle è là di fronte».
E me la indicava col braccio. Domandai ancora:

28
«Chi abita nella Vallata-delle-Betulle?».
«E' costui di nome Marpa che vi abita».
«E non ha altro nome?».
«Alcuni lo chiamano il lama Marpa».
«E' certo lì la dimora del lama. E questo colle, come si chiama?».
«Si chiama Collina-della-Religione».
Allora pensai con gioia: «E' un felice presagio quello di vedere la dimora del lama dalla
Collina-della-Religione».
Proseguendo il cammino, domandai ancora. C'erano molti pastori e li interrogai. Gli
anziani rispondevano che non sapevano. Tra loro, c'era un grazioso bambino, dai begli
abiti, dalla voce gioiosa e i capelli ben oliati e pettinati. Egli disse:
«Parli forse di mio padre? Se è lui, ha comprato dell'oro con tutte le nostre ricchezze, e
con esso è partito per l'India. Ne ha riportato in dono molti libri coperti di pietre preziose.
Prima non lavorava. Ma oggi ara il suo campo».
Mi chiesi: «A giudicare in base alle convenienze, non sembra essere lui. Un grande
dottore arerebbe da sé il suo campo?». E proseguii il cammino.
Al margine della strada, un monaco alto di statura e corpulento, dagli occhi larghi e
dall'aspetto terribile, arava un campo. L'avevo appena scorto che mi sentii pieno di
un'indicibile gioia e di un'inconcepibile felicità. Per un attimo, rapito da questa visione,
rimasi immobile. Poi dissi:
«Maestro, mi hanno detto che il sapiente traduttore Marpa, discepolo personale del
glorioso Naropa, abita in questo paese. Dov'è la sua dimora?».
Lui mi squadrò dalla testa ai piedi per un lungo momento; poi disse:
«Chi sei?».
Risposi:
«Sono un grande peccatore e vengo dall'Alto Tsang. Marpa ha una fama così grande che
sono venuto implorare da lui la sua dottrina».
«Ebbene, vado ad avvertire Marpa. Intanto, ara il campo».
Tirò fuori dal terreno il vaso di birra che aveva nascosto sotto il suo cappello e me lo
diede. Quella birra aveva un buon sapore.
«Ara con cura» disse ancora e se ne andò via.
Dopo aver bevuto quanto restava della birra, arai meglio che potei.
Passato qualche tempo, il bambino che mi aveva dato le informazioni in mezzo alle
greggi, venne a cercarmi:
«Vieni a casa per il servizio del lama» disse con mia grande gioia.
Siccome era impaziente di introdurmi presso il lama, gli dissi:
«Io sono impaziente di finire di arare».
E arai quel poco che Testava da fare. Siccome quel campo aveva fornito l'occasione per il
mio incontro con il lama, lo chiamai Campo-dell'-Incontro.
D'estate si segue il margine del campo. In pieno inverno lo si traversa direttamente. Mi
accompagnai al bambino ed entrammo in casa.
Lo stesso monaco di poco prima era seduto su un doppio cuscino quadrato e col gomito
si appoggiava su altri tre guanciali. Si era asciugato il viso. Le sopracciglia, le narici, i
baffi e la barba, non asciugati, erano ancora coperti di terra. E consumava il suo pasto.
Pensai «Questo monaco è quello di poco fa. Dove può essere il lama?».
Ma il lama disse:
«E' vero, tu non mi conosci. Io sono Marpa. Prosternati!».

29
Allora mi prosternai e posai il suo piede sulla mia testa:
«Lama prezioso, sono stato un grande peccatore di Gnimalatôd. (9) Ti offro il mio corpo,
la mia parola e il mio cuore. Ti chiedo il cibo, le vesti e l'insegnamento. Voglia tu
insegnarmi la via che fin da questa vita conduce alla perfezione».
Il lama rispose:
«Se tu sei un grande peccatore, non venire ad accusarti presso di me.
Peccando, non mi hai offeso. Quali peccati hai commesso?».
Allora confessai per intero la storia dei miei delitti. Il lama mi disse:
«Comunque sia, accetto il dono del tuo corpo, della tua parola e del tuo cuore. Ma non ti
darò il cibo e le vesti insieme all'insegnamento.
Se ti dò il cibo e le vesti, allora chiederai a un altro l'insegnamento. Se ti dò
l'insegnamento, cercati altrove il cibo e le vesti. Scegli fra le due cose. Ma, se scegli che
io ti dia la dottrina, dipenderà solo dalla tua forza d'animo che fin da questa vita tu
giunga o no alla Bodhi». (10) Risposi:
«Ebbene, giacché sono stato mandato da te per la dottrina, permetti che chieda a un
altro il cibo e le vesti».
E siccome posavo il mio libro nella sua cappella, disse:
«Togli quello sporco libro; il suo odore farebbe tossire i miei idoli». (11) «Risponde così,»
pensai «perché il mio libro contiene della magia».
Fui attento a metterlo altrove. Rimasi ancora alcuni giorni. La moglie del lama mi offriva
buoni pasti. "Così parlò Milarepa. E' così che incontrò il suo Maestro. Tale è il primo
capitolo delle sue buone azioni."

CAPITOLO 2
Mendicavo in tutta la regione, dall'alto fino in fondo alla vallata.
Raccolsi in questo modo ventun misure d'orzo. Con quattordici misure, comperai una
marmitta a quattro anse, monda da ruggine, liscia dentro e fuori. Presi una misura per
comprare carne e birra. Infine, rovesciai sei misure in un grande sacco. Poi, caricando la
marmitta sopra il tutto, tornai nella stanza dal lama.
Con le gambe che cedevano per la fatica, lasciai cadere pesantemente il mio fardello, e la
stanza ne tremò. Il lama stava consumando il suo pasto. Sussultò e smise di mangiare.
«Ometto,» disse «sei molto vigoroso. Hai anche intenzione di inabissarci con la tua magia
sotto le rovine della casa? Sei troppo odioso. Porta via il tuo orzo!».
E lo respingeva col piede. Mentre trascinavo fuori il sacco, mi dicevo semplicemente,
senza cattivi pensieri «Questo lama è irritabile.
Bisogna che stia attento al modo di servirlo e di comportarmi». E, prosternandomi, gli
offrii la marmitta vuota. Egli la prese tra le mani e restò così un momento, gli occhi
pensosi. Poi delle lacrime gli caddero dagli occhi. E disse:
«Il tuo dono è di buon augurio. Lo offro al "pandit" Naropa».
E lo alzò in offerta. Poi, scotendo gli anelli del vaso lo fece tintinnare per apprezzarne il
suono e lo portò nella sua cappella. Lo riempì col grasso delle lampade d'altare. In quel
momento, ero pieno di ansia e bruciavo dal desiderio della religione. Di nuovo supplicai il
lama di istruirmi.
Mi rispose:

30
«Da Utsang, vengono a me in gran numero i discepoli credenti. Gli abitanti di Yabrog,
nello Stalung, e gli abitanti di Ling li assalgono e li spogliano dei viveri e dei doni. Ricopri
di grandine questi due paesi. Sarà opera religiosa. Dopo, ti istruirò».
Mandai in quei due paesi una violenta grandine. Poi chiesi al lama di istruirmi. Il lama
rispose:
«Per tre chicchi di grandine che hai mandato darò io una dottrina che con grandi fatiche
ho portato dall'India? Se vuoi la mia dottrina, ebbene, i montanari del passo del Lhobrag
assalgono i miei discepoli che vengono da Nialloro. Se la ridono di me. Tu che ti dici un
grande mago, invia sortilegi a questi montanari, e se manifesterai la tua magia, ti darò la
formula di Naropa per raggiungere la Bodhi in vita e in un sol corpo».
Dopo che ebbi gettato loro il malocchio, i montanari si batterono tra di loro e molti tra i
più litigiosi perirono di spada. A quella vista, il lama disse:
«E' vero che sei un grande mago».
Da allora mi chiamò Grande-Mago. Io gli chiesi la formula della Bodhi.
Ma rispose:
«Eh! Eh! Sarebbe per ricompensare il cumulo tuoi crimini che io sono andato in India a
rischio della vita! Dici di voler quelle formule per le quali, sprezzando le ricchezze, ho
offerto l'oro senza risparmio, quelle formule scaturite dalla bocca stessa delle Dee. E' uno
scherzo così sconveniente che fa ridere. Un altro, al mio posto, se mai ti ucciderebbe.
Adesso va' a restituire il suo raccolto al paese di Yabrog e a guarire i montanari. Dopo, ti
istruirò. Se non lo fai, non tornare qui».
Così il lama mi parlava duramente e si prendeva gioco dei miei doni.
Accasciato dal dolore, piansi. La moglie del lama mi consolava. (12) Il giorno dopo, il
lama venne in persona e mi disse:
«Ieri sera ti ho strapazzato molto, ma non te ne affliggere. Sii in pace. Dare l'istruzione è
cosa lunga. Tu sei forte per lavorare.
Costruisci dunque il castelletto che voglio donare a Darma Dode (Giovane-uomo-raccolta-
di-Sutra). (13) Quando l'avrai finito ti istruirò. Preleverò per te il cibo e le vesti».
«E se nel frattempo muoio senza religione, che cosa ne sarà di me?».
«Ti garantisco che non morirai nel frattempo. La mia dottrina si esprime in poche parole.
Se sarai in grado di meditare la mia dottrina con ostinata perseveranza, dimostrerai se
puoi raggiungere o no la Bodhi fin da questa vita. I miei figli spirituali seguono una
disciplina benedetta che in nulla è simile a quella degli altri».
Dopo questi eccellenti consigli, mi sentii pieno di gioia:
«Allora,» dissi «voglia tu dirmi qual è la pianta del castelletto».
(14) Tutti i cugini di Marpa da parte di padre avevano fatto giuramento tra di loro di non
costruire nessuna casa fortificata. Ma Marpa non aveva giurato. Ora, pensando di
costruire un castelletto, trovò il modo di ingannare i nobili del paese e nello stesso tempo
di farmi espiare le mie colpe. E mi disse:
«Costruisci una torre così e così sulla cima orientale della montagna».
E io costruii una torre rotonda. Quando fui arrivato a metà, il lama venne e disse:
«L'altro giorno non avevo riflettuto bene. Demolisci questa torre fino alla base. Riporta la
terra al posto e le pietre al loro posto».
Così feci. Un'altra volta, sulla cima occidentale la montagna, il lama fece come se fosse
ubriaco e disse:
«Fai una torre così».
E feci una torre a mezzaluna. Ero appena arrivato a metà che il lama tornò e disse:

31
«Non va ancora bene. Demolisci e riporta la terra al suo posto e le pietre al loro posto».
Così feci.
Questa volta andammo sulla vetta della montagna a settentrione, e il lama mi disse:
«Grande-Mago, o fratello maggiore, l'altro giorno ero ebbro di vino, non ti ho dato buoni
consigli. Fai qui una bella torre».
Risposi:
«Demolire in questo modo mentre si sta costruendo è assai faticoso. Il materiale e il cibo
per me sono delle spese inutili. Voglia tu ben riflettere, prima».
Il lama ribatté:
«Oggi non sono affatto ubriaco. Ho riflettuto attentamente. Questa torre si chiamerà
Torre-dei-Tantra. Dovrà essere triangolare. (15) Costruiscila. Non sarà demolita».
Feci una torre triangolare. Ero circa a un terzo, quando il lama venne e disse:
«Grande-Mago, per chi è questa torre che stai costruendo? Chi ti ha dato istruzioni?».
Risposi:
«E' il lama in persona che mi ha ordinato questa torre per suo figlio».
«Non ricordo di averti dato simili ordini. Se sei tu ad aver ragione, sarei io forse pazzo?
Avrei dunque perso completamente la memoria».
«Io mi ricordo molto chiaramente che, sospettando che sarebbe successo così, ti chiesi
con rispetto e dolcezza di ben riflettere. E tu hai risposto che ogni riflessione era fatta e
che questa torre non sarebbe stata demolita».
«Ebbene, chi hai per testimone? Forse pensi di rinchiuderci nella tua torre triangolare, in
tutto simile a un triangolo magico, e di affatturarci con la magia. Eppure noi non abbiamo
rapito il tuo patrimonio. Non abbiamo mangiato i beni di tuo padre. Ma se non è così e tu
desideri la religione, siccome hai reso scontenti gli Dei del paese, vai a rimettere questa
terra al suo posto e queste pietre al loro posto. Dopo, se vorrai la dottrina, te la darò. Se
non fai così, vattene».
E parlando in questo modo, fremeva di collera.
Accasciato dal dolore e sempre assetato di religione obbedii. Riportai al loro posto sia la
terra che le pietre della torre triangolare. Fu allora che mi venne una piaga sulle spalle.
Pensai: «Se la mostrassi al lama, egli non farebbe che insultarmi. Se la mostrassi a sua
moglie, avrei l'aria di criticare il mio compito». E senza far vedere la piaga, chiesi
piangendo alla moglie del lama di venire in mio aiuto per ottenere l'insegnamento. La
madre andò dal lama e gli disse:
«L'inutile lavoro per queste costruzioni ha come risultato sicuro il dolore del Grande-
Mago. Abbi pietà di lui e concedigli l'insegnamento».
Il lama rispose:
«Preparagli un buon pasto e conducimi il Grande Mago».
La madre preparò il pasto e mi condusse dal lama. Questi disse:
«Grande-Mago, non dimostrare tu stesso la mala fede di cui accusi me.
Giacché desideri la religione te la darò».
E mi diede le leggi volgari della salvezza e i doveri da compiere.
(16) E continuò:
«Questa è la legge comune per tutti. Ma se vuoi la formula segreta, ecco ciò che bisogna
fare».
E mi diede una storia di Naropa con un sunto delle sue opere di penitenza.
«Progredire su questa via è difficile».

32
Mentre diceva queste parole, la mia fede aumentò talmente che versai delle lacrime. E
giurai a me stesso di compiere tutto ciò che aveva detto il lama.
Trascorsi alcuni giorni, il lama mi portò a fare una passeggiata.
Giungemmo nel territorio proibito, sorvegliato dai cugini. Il lama mi disse:
«Fai qui una torre bianca di nove piani e con un pinnacolo. Non sarà mai demolita.
Quando l'avrai finita, ti darò il segreto. Poi ti ritirerai per meditare. Durante il ritiro ti darò
dei viveri».
«Allora,» dissi «non sarebbe bene che la moglie del lama sia testimone a tutte queste
promesse?
«Molto bene» disse il lama.
Poi disegnò sul terreno il tracciato delle mura. Io invitai la moglie del lama a venire, e
parlai in loro presenza:
«Ho già costruito tre torri e le ho distrutte. La prima volta, il lama disse che non aveva
riflettuto. La seconda volta, disse che era ubriaco. La terza volta, si chiese se fosse
pazzo, se avesse perso la memoria e se non si rammentasse più di nulla. Quando gli
ricordai le istruzioni che mi aveva dato, mi chiese chi fosse il mio testimone e, per di più,
mi subissò di rimproveri. Ora che vi ho chiamata come testimone delle sue nuove
promesse, vi prego di essere la mia testimone».
La madre rispose:
«Posso essere una buona testimone. Ma sarà difficile far riconoscere una testimonianza.
In primo luogo, il lama costruisce senza ragione di costruire e demolisce senza ragione di
demolire. E soprattutto, questo terreno non ci appartiene; è in comune. Sarà motivo di
litigi. Parla, il padre lama non ti ascolterà»
Il lama disse alla moglie:
«Tu fatti garante come testimone. Io agirò come ho promesso. Se non hai fiducia e non
vuoi farti garante, ebbene, vattene».
Allora posi le fondamenta di una torre quadrata mentre innalzavo le mura, i discepoli
Gnogtön di Jung, Tsurtön di Dol e Metön dello Tsang rong, facendo rotolare una grossa
pietra per divertimento, la posarono come pietra angolare.
Quando fui arrivato al secondo piano, ai due lati della porta grande, venne il lama e
ispezionò tutto con attenzione. Indicando la grossa pietra che i tre discepoli avevano
fatto rotolare, disse:
«Grande-Mago, da dove viene questa pietra?».
Risposi:
«L'hanno portata per divertimento i tuoi tre discepoli e figli spirituali».
«Ebbene, non ci devono essere pietre loro in una costruzione che fai tu. Quindi toglila e
riportala dov'era prima».
«Hai promesso che questa torre non sarebbe stata demolita».
«Proprio così. Non hai il diritto di farti servire dai miei discepoli dei due ordini, eremiti e
contemplativi. Non demolire tutto, togli soltanto la pietra e riportala dov'era».
Allora demolii tutto dalla cima e riportai la pietra al suo posto.
«Ora, disse il lama «riprendila e tu stesso posala di nuovo come pietra angolare».
La riportai. Da solo dovetti impiegare altrettanta forza che i tre discepoli. Nonostante che
avessi tolto io stesso la pietra, avevo già chiamato quella torre la mia «Pietra gigante».
Mentre costruivo le basi della torre sulla cima la montagna, i cugini tennero consiglio. I
più lenti dicevano:
«Marpa costruisce una torre sulla montagna del giuramento. Bisogna impedirglielo».

33
Gli altri dicevano:
«Marpa è diventato pazzo. Come novizio, ha un montanaro molto forte.
Su ogni monticello, su ogni cima di montagna, questi ha costruito senza sapere in che
modo si costruiscono le torri. Giunto appena metà, doveva demolire e riportare al loro
posto terra e pietre. Nello stesso modo sarà demolita anche questa. Se non la demolisse,
allora potremo impedirgli di continuare. Stiamo soltanto a vedere quello farà».
Ben lungi dal demolire, io continuavo a innalzare la torre. Quando fui al settimo piano, mi
venne una piaga alle reni. I cugini allora dissero:
«Ormai non demolisce più. Le demolizioni precedenti erano soltanto tranelli in vista di
questa istruzione. La demoliremo noi stessi».
E prepararono la guerra. Allora il lama fece fantocci rivestiti di armature come soldati, e
ne mise dappertutto, dentro e fuori la torre.
I nemici dicevano:
«Ma donde ha fatto venire tutti, questi soldati il dottore Marpa?».
E, presi da timore, essi non osarono attaccare. Ma ognuno, in segreto, si prosternava e
offriva i suoi omaggi. E tutti si assoggettarono a Marpa e divennero suoi protetti. A quel
tempo, Metöntshonpa dello Tsang rong venne a chiedere la consacrazione dell'Ydam
Sambara. (17) La moglie del lama mi disse:
«Adesso provati con tutti i mezzi a ottenere anche tu l'insegnamento».
E pensai in cuor mio: «Dopo che ho fatto una torre simile, senza che neppure un
compagno portasse una sola pietra grossa come una testa di capra, un solo cesto di
terra, un solo secchio d'acqua, un solo mastello di calcina, adesso riceverò la
consacrazione».
Allora, dopo aver salutato il lama, mi sedetti in mezzo agli ascoltatori. Il lama mi
interpellò:
«Grande-Mago, quale compenso mi porti?».
Risposi:
«Ti ho fatto omaggio della torre per tuo figlio. Mi hai promesso di darmi la dottrina e la
consacrazione. Per questo sono qui».
«Hai fatto una torretta grande appena come un braccio. Non vale certo una dottrina che
con difficoltà ho portato dall'India. Se hai il prezzo della mia dottrina, portalo. Altrimenti,
non restare in mezzo agli iniziati alla dottrina segreta».
Così detto, il lama mi prese a schiaffi e, tirandomi per i capelli, mi buttò fuori. Avrei
voluto morire e piansi tutta la notte. Allora, la moglie del lama venne da me per
consolarmi:
Il lama ha detto che tutti dovranno diffondere, per il bene delle creature, la dottrina da
lui riportata dall'India. Quand'anche si presentasse un cane gli insegnerebbe la dottrina e
gli farebbe dono della consacrazione. Perché poi si rifiuti a te, non lo so. Comunque, non
avere per questo cattivi pensieri».
Dopo avermi consolato, se ne andò. L'indomani mattina, il lama venne in persona:
«Grande-Mago, lascia stare la continuazione della torre. Costruisci una loggia bassa (18)
con dodici colonne e un santuario. Dopo, ti darò la dottrina segreta».
Posi le fondamenta e costruii la loggia. La moglie del lama mi portava continuamente del
cibo ben condito e della birra, senza interruzione, tanto da ubriacarmi. Mi consolava in
questo modo ed era piena di bontà.
Quando stavo per finire, Tsurtön uang di Dol venne a chiedere la consacrazione alla
dottrina mistica.

34
La moglie del lama mi disse:
«Ora, figlio mio, devi ottenere tutto quello che desideri».
E mi diede, affinché li presentassi al lama, un carico di burro, una pezza di stoffa e una
piccola marmitta di rame.
Dopo aver offerto i miei doni, mi tenni in mezzo agli ascoltatori. Il lama mi chiese:
«Grande-Mago, per metterti nel numero degli ascoltatori, quale compenso mi porti?».
«Questo carico di burro, questa pezza di stoffa e questa marmitta di rame».
«Tutte queste cose mi sono già state date dal tale e dal talaltro. Non voglio che tu mi dia
in pagamento i miei propri beni. Se hai qualche cosa darmi, vai a prenderla. Altrimenti,
non restare in mezzo agli ascoltatori».
E, alzatosi, mi buttò fuori a calci insultandomi.
Avrei voluto sparire sotto terra.
Era quello il castigo per i delitti commessi con i sortilegi e per le numerose messi perdute
a causa della mia grandine? «Forse il lama sa che non avrò mai la religione? O è per
mancanza di pietà che non mi istruisce? Comunque sia, a che scopo questo corpo
d'uomo senza religione, che non fa altro che accumulare peccati? Devo uccidermi?
Devo uccidermi?». Mentre pensavo così, la moglie del lama portò la mia parte del pasto.
(19) Si prodigò in consolazioni e se ne andò. Eppure, non provai gusto a mangiare e
passai tutta la notte a piangere.
L'indomani mattina, il lama venne e disse:
«Adesso, termina di costruire la loggia e la torre. Dopo ti darò la consacrazione e ti
inizierò».
Allora finii la torre, poi mi accinsi a terminare la loggia. A questo punto mi venne una
piaga sulla schiena. Pus e sangue colavano da tre ferite. Mostrai alla moglie del lama la
mia schiena, che era tutta una piaga. La supplicai di venirmi in aiuto ricordando al lama
le sue promesse al momento della fondazione della torre e chiedendogli di istruirmi. La
madre osservò le piaghe, e lacrime le colarono dagli occhi.
«Lo dirò al lama» disse.
E, dopo essere andata alla presenza del lama, parlò così:
«Lama prezioso, il lavoro che fa il Grande-Mago gli ha screpolato e scorticato tutte le
membra. La sua schiena ha tre piaghe da cui colano sangue e pus in modo incredibile.
Che i cavalli e gli asini avessero piaghe sul dorso, l'avevo sentito dire e l'avevo anche
visto. Ma che gli uomini avessero piaghe sulla schiena, non l'avevo sentito dire né l'avevo
ancora visto. Se altri uomini vedessero o sentissero dire una cosa simile, ne avrei
vergogna. Ma da parte di un grande lama come te, la vergogna è anche maggiore.
Poiché è degno di pietà veramente, dai una religione a questo ragazzo. All'inizio, dicesti
che gli avresti insegnato la dottrina quando avesse innalzato la torre».
Il lama rispose:
«Ho detto proprio così. Ho detto che gli avrei dato la mia dottrina quando avesse
costruito una torre di dieci piani. Dove sono i dieci piani?».
«Ha fatto più di dieci piani. Ha costruito una loggia bassa».
«Non parlare tanto. Se ha fatto dieci piani, lo istruirò. Ha delle piaghe?».
«Giacché hai voluto così, abusando del tuo potere, puoi essere pienamente soddisfatto.
Non resta quasi più nulla della sua schiena che non sia una piaga».
Dopo aver parlato con dolore in questo modo, essa si affrettò alla mia volta:
«Ebbene, vieni!» mi disse.
Per strada, pensavo: «Mi istruirà?».

35
Il lama mi disse:
«Grande-Mago, mostrami la schiena».
Gliela mostrai, e quando ebbe finito di esaminarla attentamente:
«Le dodici grandi prove del mio maestro Naropa, perfino le sue dodici piccole prove,
superano la tua. Ed egli inflisse al suo corpo ventiquattro mortificazioni diverse da
questa. Io stesso, senza pensare ad amare la mia vita né ad aver cura delle mie
ricchezze, le ho lasciate al maestro Naropa. Per questo, se desideri la dottrina, sii
modesto e continua il lavoro della torre».
Pensai tra me che aveva ragione.
Egli fece della mia veste uno staccio per le ferite (20) e disse:
«Giacché lavori alla maniera dei cavalli e degli asini, serviti di uno staccio per le ferite e
trasporta la terra e le pietre».
Risposi:
«In che modo lo staccio per le ferite guarirà piaghe sulla schiena?».
«Non sfregando più contro la terra, le piaghe guariranno».
Pensando che fosse un ordine, trasportai la terra in un vaso che tenevo davanti a me, e,
mentre stavo facendo della calcina, il lama mi vide e pensò: «Questa sottomissione a
tutto ciò che gli ho ordinato è prodigiosa». E versò lacrime di nascosto.
Poiché le mie piaghe si erano infettate, caddi malato. Lo dissi alla moglie del lama. Essa
chiese per me, se non l'iniziazione, almeno il permesso di riposarmi per guarire le piaghe.
Il lama rispose:
«Finché la torre non sarà finita, non avrà niente. Se può lavorare, che faccia il possibile.
Se non può non merita nulla più del riposo».
La madre mi disse:
«Finché le piaghe non saranno guarite, riposati».
Siccome, per tutto quel tempo, essa mi riempì di bevande e cibi corroboranti, per qualche
giorno assaporai la felicità di non pensar più al mio dolore per non aver ottenuto
l'istruzione. Allora le mie piaghe guarirono perfettamente. Senza parlare di dottrina, il
lama mi disse:
«Grande-Mago, è tempo che tu riprenda il lavoro della torre».
Siccome contavo di farlo, la moglie del lama mi disse:
«Tra noi due, troviamo un mezzo per ottenere l'istruzione».
Dopo esserci intesi, legai il mio libro e i miei pochi oggetti sopra un piccolo carico di
farina. E, facendo in modo di esser visto dal lama, chiesi a sua moglie di aiutarmi, come
se partissi. Allora essa disse a voce alta:
«Se chiedi al lama, ti darà l'insegnamento, te lo darà. Nonostante tutto, resta qui».
E faceva finta di trattenermi.
«Vedendo ciò, il lama chiese:
«Moglie, che cosa fate lì tutti e due?».
Essa rispose:
«Il Grande-Mago dice di esser venuto un giorno da un lontano paese per imparare la
dottrina. Invece della dottrina, ha ottenuto solo male parole e schiaffi. Temendo di
morire senza religione, va a cercare un altro lama e porta via il suo bagaglio. Grazie alle
mie suppliche e alla promessa che otterrà la religione, sono riuscita a ritardare la sua
partenza».
Il lama disse:
«Ho capito».

36
E uscì e mi diede una quantità di schiaffi.
«Quando sei arrivato qui, mi hai dato subito il tuo corpo, la tua parola e il tuo cuore.
Dunque, adesso dove vai? Non partirai sicuro. E siccome mi appartieni, io potrei tagliarti,
corpo, parola e cuore, in cento pezzi. E se, nonostante questo, te ne vai, dimmi perché
porti via questa farina».
Mentre parlava così, mi teneva sotto i suoi colpi. Poi mi strappò il sacco di farina e lo
riportò in casa. La mia disperazione era quella di una madre che perde il suo unico figlio.
Per consiglio della madre e poiché il lama aveva un aspetto terribile, rientrai tremando in
casa e mi misi a piangere. La donna mi disse:
«Qualunque sia il mezzo, il lama non ti darà l'istruzione subito.
Comunque e quando che sia, finirà per dartela. Aspettando, ti istruirò io».
Mi diede il metodo per meditare la dea Dorje phagmo. (21) Non era ancora il sublime,
ma quella meditazione fu salutare alla mia anima e mi occupava la mente. Dimostrai la
mia gratitudine alla moglie del lama per i suoi favori.
Pensavo che essa, come moglie del lama, purificasse dai peccati.
D'estate, mentre mungeva le vacche, le servivo da sgabello. Se abbrustoliva il grano, le
servivo da sgabello. Le rendevo così servizio in ogni cosa. Fu allora che pensai di cercare
un altro lama.
Poi feci tra me e me queste riflessioni: «La formula per diventare Buddha in una vita e
con un solo corpo, se non ce l'ha questo lama, non l'avrà certo nessun altro. Se non
divento Buddha subito, almeno ho cessato di accumulare le azioni che fanno rinascere
agli inferi.
Quando avrò patito per la religione le stesse prove di Naropa, questo lama mi annuncerà
- con quale gioia! - che avrò meritato il precetto.
Allora lo mediterò e voglio così ottenere la Bodhi fin da questa vita». Dopo aver pensato
così, trasportai delle pietre e della terra.
Mentre io continuavo a fare la calcina per la loggia e il santuario, Gnotön Chö dor di Jung
venne col suo seguito, recando numerosi doni, a chiedere la grande iniziazione di Hai
Vajra. (22) La moglie del lama mi disse:
«Se il lama non si accontenta della costruzione della torre e se desidera ricchezze, offrigli
un dono e ottieni tu stesso che ti conceda l'iniziazione.
Offrigli questo e chiedigli prima tu. Se rifiuta, chiederò poi io per te».
Mi diede una grande turchese a sesto rosso (23) che possedeva di nascosto, e io la offrii
al lama dicendo:
«Ti prego, concedi anche a me l'insegnamento di Oggi».
E mi tenni in mezzo agli ascoltatori. Il lama esaminava la turchese rigirandola tra le mani:
«Dove ha preso questo il Grande-Mago?».
Risposi:
«Me l'ha dato la madre».
Il lama sorrise e disse:
«Vai a cercare la padrona».
Pregai la madre di venire. Il lama le disse:
«Padrona, come mai abbiamo questa turchese?»
Dopo aver molto salutato, la madre rispose:
«Questa turchese non ti riguarda. Quando ti fui data in moglie dai miei parenti, si sapeva
che eri un uomo collerico. Allora i miei parenti mi dissero: "Se mai tu e il tuo sposo
doveste divorziare, siccome ti troveresti nel bisogno, metti questo da parte senza

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mostrarlo a nessuno". E di nascosto mi diedero la turchese. Io l'ho data a questo
ragazzo, che mi fa un'intollerabile pietà.
Accettala e concedi al Grande-Mago l'iniziazione. Lama Gnogpa e il suo seguito, voi che
conoscete suo dolore per essere escluso dall'iniziazione, aiutatemi nella mia preghiera».
Così detto, salutò più volte. Il lama era così terribile che Gnogpa e il suo seguito non
osarono pronunziare una preghiera. Ma si limitarono ad approvare e a salutare insieme
alla moglie del lama.
Questi disse:
«Grazie alle attenzioni della donna, la bella turchese andava a finire nelle mani di uno
straniero».
E attaccandosela al collo, continuò:
«Padrona, tu non rifletti. Se io sono il tuo padrone in tutto, sono anche padrone della
turchese. Grande-Mago, se possiedi qualche bene, portalo, e che tu sia iniziato. Ma
questa turchese è mia».
Pensando che la madre, con il suo ardore nell'offrire la turchese, avrebbe rinnovato la
preghiera, rimasi. Allora il lama, furioso, si levò con un balzo:
«Benché cacciato, rimani. Quale audacia è la tua!».
E mi gettò col viso a terra come nella notte. E mi rivoltò sul dorso come in un'aurora.
(24) Poi afferrò un bastone. Mentre Gnogpa lo tratteneva, io, spaventato saltai fuori nel
cortile. Il lama aveva fatto mostra essere fremente di collera.
Non mi ero fatto male. Ma, pieno di dolore, pensavo di morire, quando la moglie del
lama, in lacrime, mi raggiunse e mi disse:
«Grande-Mago, non ti affliggere. Non c'è discepolo più fedele né più amoroso di te. Se
vuoi chiedere la dottrina a un altro lama, preparerò quello che sarà necessario per
presentarti. Ti darò i viveri e i doni». E così dicendo, mi consolava.
Prima di allora, la padrona ci teneva molto a essere presente a tutte le riunioni intorno al
lama. Quella sera, essa venne a piangere con me per tutta la notte. L'indomani mattina il
lama mi fece chiamare.
Andai, domandandomi se mi avrebbe istruito. Mi chiese:
«Non sei scontento del mio rifiuto a istruirti e non hai cattivi pensieri?».
Risposi:
«Ho fede nel lama e non ho detto una parola di ribellione. Penso anzi che sono
nell'oscurità a causa dei miei peccati. Io sono l'autore della mia miseria».
Così detto, piansi. E lui ribatté:
«Per quali servigi vogliono protestare le tue lacrime? Dillo.
Altrimenti vattene».
Mi ritirai. Nel mio cuore, il dolore si univa all'amarezza.
E pensai: «Al tempo in cui facevo il male, avevo da offrire viveri e doni. Al momento di
praticare la religione, non possiedo alcun bene.
Se avessi soltanto la metà dell'oro che davo per compiere il male, otterrei iniziazione e
dottrina segreta. Ora, senza doni, questo lama non mi insegnerà la dottrina.
Quand'anche andassi da un altro lama, non c'è nessuno che non voglia doni. La religione
è proibita al povero. Privo di religione, l'uomo è soltanto un essere che ammucchia
peccati e che farebbe meglio a uccidersi. Cosa fare? Cosa fare? Andare a servire un uomo
ricco per raccogliere del denaro e mutarlo in doni per chiedere la dottrina? Oppure, potrei
ormai ritornare al mio paese, visto che i sortilegi si sono manifestati. Mia madre sarebbe
felice di rivedermi e potrei guadagnare un po' di denaro. In ogni modo, prima di cercare

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la religione, bisogna che vada a cercare denaro. In quanto a rubare la farina del lama, è
u'azione vergognosa che non commetterò». Presi i miei libri e me ne andai senza dir
nulla neppure alla moglie del lama. Per strada, mi ricordai della sua benevolenza e
l'avevo cara. A mezza tappa dalla Vallata-delle-Betulle, mi fermai per consumare il pasto.
Mendicai dello "tsampa" e chiesi in prestito un vaso. Dopo aver raccolto legna secca, feci
cuocere il mio pasto e mangiai. Mezzogiorno passò. Tra me facevo queste riflessioni: «La
metà del mio lavoro consisteva nel servizio dovuto al lama. L'altra metà nel per pagarmi il
nutrimento. Quest'unico pasto che preparo è una cosa difficile. La moglie del lama
cuoceva e condiva il mio cibo tutti i giorni. E io non le ho neppure detto addio, malvagio
che sono. Devo tornare?».
Non avevo il coraggio di tornare. Mentre andavo a restituire la marmitta, un vecchio mi
disse:
«Giovanotto, sembra che tu possa lavorare. Piuttosto che mendicare, se sai leggere, vai a
dire le preghiere nelle case. Se non sai leggere, offriti come servitore per guadagnarti il
cibo e le vesti. Sai leggere?».
Risposi:
«Non sono un mendicante. E so leggere».
«Tanto meglio. Ebbene, dirai le preghiere in casa mia e ti darò una buona paga».
Ero tutto contento. E fermandomi lì, lessi le Ottomila Strofe. (25) Poi lessi la storia di
Tagtugnu (Colui-che-piange-eternamente). (26) Pensai: «Anch'egli senza denaro,
Tagtugnu dava per la religione il corpo, la vita e l'anima. Avrebbe strappato e venduto il
suo cuore, e l'avrebbe anche spartito, se questo non portasse alla morte. Se faccio un
paragone con me, io non ho dato niente per la religione. Può darsi che il lama Marpa mi
dia l'istruzione. Se non me la dà lui sua moglie mi ha promesso di farmi incontrare un
altro maestro» Questo pensiero mi diede il coraggio di tornare, e ripartii.
Dal lama, dopo la mia partenza, la moglie gli aveva detto:
«Il tuo irriducibile nemico è partito. Sei contento?».
«Chi è partito?».
«Ebbene, a chi dunque se non al Grande-Mago hai inflitto pene come a un nemico?».
A quelle parole, il viso del lama diventò nero e si bagnò di lacrime:
«Lama Kadjupa, Protettori della religione che andate attraverso lo spazio, restituitemi il
mio figlio primogenito».
Dopo aver pregato così, si coprì la testa col mantello e restò immobile.
In quel momento arrivai dinanzi alla moglie del lama e la salutai.
Tutta contenta, esclamò:
«Arrivi proprio a proposito. Sembra che il lama ti istruirà. Gli ho detto della tua partenza
e lui ha esclamato: "Restituitemi il mio figlio diletto!". Ed è immerso nelle lacrime. Pare
che tu abbia piegato il suo amore».
Ma io pensavo tra me: «La padrona culla il mio cuore. Se fosse proprio vero che egli ha
versato delle lacrime, che ha detto "diletto", sarei pienamente felice. E se, invece, ha
detto "restituitemelo" per rifiutarmi l'istruzione e l'iniziazione, sono soltanto uno
sventurato.
Non ho nessun altro luogo dove andare. Resterò dunque qui, infelice, anche senza
ottenere la dottrina?».
Intanto la madre diceva al lama: «Il Grande-Mago non ci ha abbandonato. E' tornato.
Può venire a salutarti?».
Il lama rispose:

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«Non è vero che non abbia abbandonato noi. E' se stesso che non ha abbandonato.
Mandalo qui a salutarmi».
Andai, e lui mi disse:
«Grande-Mago, se desideri dal profondo del cuore la religione con tanta impazienza e
inquietudine, bisogna che tu dia la vita. Innalza la torre di tre piani e io ti istruirò.
Altrimenti, siccome non ci costi poco quanto a nutrimento e siccome hai dove andare,
vacci subito».
Non potei rispondere nulla e uscii. Dissi alla moglie del lama:
«Rimpiango mia madre. Il lama non mi istruirà ancora. Se dovesse istruirmi quando avrò
terminato la torre, resterei. Ma se, terminata la torre, decide di non istruirmi, non avrò
niente da fare. Chiedo perciò di ripartire per il mio paese. Che tu e il lama vi conserviate
in buona salute».
Mi prosternai e, portando via i miei libri, mi preparai a partire.
Allora la madre disse:
«Figlio mio, hai ragione. Come ti ho promesso una volta, troverò il modo di farti istruire
da Gnogtön che è un grande discepolo ed è iniziato. Resta ancora un po' e fai mostra di
lavorare».
Con gioia restai e lavorai. Siccome Naropa era solito celebrare il decimo giorno di ogni
luna con l'offerta di un grande sacrificio per questa ragione anche Marpa celebrava il
decimo giorno della luna. Con un carico d'orzo che aveva, la padrona fece bollire tre
grandi misure di birra per le libagioni.
Ne fece una forte, una chiara, una media. Per le libagioni diede la birra leggera. Ai
monaci diede in grande abbondanza la birra forte affinché ne offrissero da bere al lama.
La padrona e io stesso gliene versavamo. I monaci bevvero la birra media. La madre,
bagnandosi appena le labbra con la birra leggera, ne bevve pochissima. Io feci come lei e
non fui ebbro. I monaci furono ebbri. In quanto al lama, prese tanta e tanta birra, e
tanta gliene fu offerta, che fu completamente ebbro e si addormentò profondamente.
(27) Nel frattempo, sua moglie gli portò via dalla stanza i doni: i gioielli di Naropa e il
sigillo di rubini. Poi imitò le prescrizioni del lama. Appose il sigillo su una lettera preparata
prima e l'avvolse in una stoffa preziosa. Sigillò il tutto con la cera e me lo diede dicendo:
«Fai come se queste cose fossero mandate dal lama. Vai a offrirle al lama Gnogpa e
chiedigli di istruirti».
E mi mandò a Jung. Riponendo le mie speranze nel lama Gnogpa, partii.
Due giorni dopo, il lama Marpa disse alla moglie:
«Che cosa fa in questo momento il Grande-Mago?».
«E' per strada. Non so nient'altro».
«Dov'è andato?».
«Mi ha detto che, quand'anche avesse terminato il lavoro della torre, tu non gli avresti
dato l'istruzione, ma l'avresti caricato di botte e di rimproveri. Disse che andava in cerca
di un altro lama. E si è preparato a partire. Ho pensata che avrei avuto un bell'avvisarti,
non ne avresti tenuto conto. L'avresti di nuovo picchiato. Per evitare questa pena, non ti
ho detto niente. Ho fatto di tutto per ritardare la sua partenza. Ma se ne è andato senza
ascoltare».
Con un viso nero, il lama domandò:
«Quando è partito?».
«E' partito ieri».
Il lama restò un momento pensieroso. Poi disse:

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«A quest'ora, mio figlio non deve essere molto lontano». A quell'ora, io arrivavo al monte
Khyung Ding, nello Jung. Il lama Gnogpa stava spiegando ai suoi discepoli «Le Due
Ricerche». (28) Il suo discorso fu interrotto su queste parole: «Io sono il vostro
commentatore e la vostra dottrina. - Io sono l'ascoltatore che vi ha riuniti. - Sono io che
realizzo l'insegnamento nel mondo. - Io sono i mondi che si succedono e passano. - La
mia felicità nacque con me».
Mentre pronunciava queste parole, lo salutai da lontano. Rispose togliendosi il copricapo.
(29) E disse:
«Questo è il modo di salutare dei discepoli di Marpa. E le parole su cui mi sono interrotto
sono di buon augurio. (30) Perché quest'uomo sarà il maestro di tutte le dottrine. Andate
e chiedetegli chi è».
Uno dei monaci mi venne incontro e mi riconobbe:
«Perché sei venuto?» disse.
«Siccome il lama Marpa è molto occupato, io sono il solo che egli non abbia avuto tempo
di istruire. Vengo a chiedere qui l'insegnamento.
Porto in dono i gioielli di Naropa e la sua corona tutelare di rubini».
Il monaco ritornò dal maestro e gli disse:
«E' il valoroso Grande-Mago». E riferì le mie parole.
Il lama fu pieno di gioia. Esclamò:
«I gioielli e la corona del signore Naropa nella mia dimora, questo è raro e meraviglioso
come il fiore Udumvara! Bisogna andar loro incontro. Per oggi fermiamoci a questo passo
così felice della nostra lezione. Monaci, andate in fretta a prendere un parasole, stendardi
e cembali. E fate aspettare il valoroso Grande-Mago».
Mentre ero fermo dove avevo salutato, un monaco venne e mi ripeté quelle parole. Quel
posto dove avevo salutato fu chiamato Monticello- del-Saluto.
Allora aspettai. E presto i monaci mi vennero incontro, e, formando una processione col
parasole, gli stendardi e i cembali, entrammo nella casa del lama. Salutai e consegnai la
lettera con i doni. Gli occhi pieni di lacrime, il lama si portò i doni alla fronte, chiedendo la
loro benedizione. Disponendoli graziosamente sull'altare come offerta, diede loro il posto
più Importante.
Poi lesse la lettera: «A Gnogpa-Diamante-che-realizza-il-Nirvana. Io mi sono chiuso in
reclusione e il Grande-Mago non ha pazienza. Così, lo mando da te a chiedere
l'istruzione. Dagli l'iniziazione e la dottrina. A testimonianza del mio permesso a fare
questo, ti mando i gioielli e la corona di Naropa».
Allora il lama mi disse:
«Giacché è l'ordine di Marpa, ti istruirò. Avevo pensato di farti chiamare, ma per fortuna,
con la misericordia di Marpa, sei venuto da solo. Molti discepoli vengono a me dal Kham,
dal Dagpo, dal Kongpo e dallo Yarlung. La gente malvagia dei villaggi Yepo e Yemo, nel
Dol, li spogliano di tutto il loro viatico. Vai e colpiscili con la grandine.
Dopo, avrai iniziazione e dottrina».
Allora pensai: «Sono destinato alle cattive azioni. Mi accosto alla santa religione inviando
la grandine! Ovunque io vada, è per fare il male. Se non invio la grandine, andrò contro
gli ordini del lama e non udirò l'insegnamento. Non posso evitare di inviare la grandine».
Dopo aver riunito le cose necessarie, le caricai di potere magico e le portai con me.
Giunto nella regione di Dol, mi sistemai per il mio lavoro e mi preparai a far cadere la
grandine. A Yepo abitavo da una vecchia, e lì stavo nascosto. La tempesta accorse. Il

41
tuono scoppiò. Le nuvole si accavallarono e, a uno a uno poi a due a due, i chicchi di
grandine cominciavano a cadere. La vecchia proruppe:
«Quando il mio raccolto sarà colpito dalla grandine che cosa avrò da mangiare?».
E piangeva. Mi dissi: «Quello che faccio è criminale». E alla vecchia:
«Ospite, presto, disegna la forma del tuo campo!».
«E' fatto così».
E disegnò un triangolo con una punta allungata. Riprodussi questa forma e la coprii con
un bacile. L'estremità della punta, che usciva un po' fuori, fu cancellata dal vento. Allora
uscii per verificare con i miei occhi.
Le montagne dietro ai due villaggi si erano trasformate in torrenti.
Di tutti gli altri campi non restava più niente. Solo il campo della vecchia era intatto e
fertile. L'estremità del triangolo, raggiunta dalla grandine, era stata portata via
dall'inondazione. Rassicurai la vecchia che, in seguito, il suo campo sarebbe stato sempre
protetto e che non avrebbe dovuto pagare l'imposta per la protezione contro la grandine.
Avrebbe dovuto soltanto pagare per l'estremità che l'inondazione aveva portato via.
Ripartii. Per strada incontrai due pastori, un vecchio e un bambino, i cui greggi e montoni
erano stati trascinati via dall'inondazione.
Dissi loro:
«Sono io che ho fatto questo. Non assalite più monaci del lama Gnogpa.
Se li assalirete ancora sarete ogni volta colpiti dalla grandine nello stesso modo».
Essi riferirono queste minacce e i due paesi si sottomisero rispettosamente al lama. Per
diventare fedeli, andarono a offrirgli i loro servigi.
Ai piedi dei cespugli, trovai molti uccellini morti. Lungo il cammino raccolsi corpi di uccelli
e di topi. Ne riempii il cappuccio e il lembo del mio mantello da pioggia, e quando arrivai
rovesciai tutto ai piedi del lama:
«Lama prezioso, ero venuto qui per la santa religione; ed ecco che faccio solo peccati.
Abbi pietà del grande peccatore che io sono».
Parlando così, piangevo. Il lama rispose:
«Fratello Grande-Mago, non temere in questo modo. Per i seguaci di Naropa e di Maitri,
(31) il grande peccatore raggiunge la Bodhi con un mezzo potente. Questa formula è
un'unica fionda che caccia cento uccelli. (32) Tutte queste bestie, uccise ora dalla
grandine, in avvenire rinasceranno intorno a te e ti faranno corteo quando entrerai nelle
dimore perfette del Nirvana. Rallegrati che, fino a quel momento, non dovranno, grazie a
me, rinascere agli inferi. Se non mi credi, che sia dunque così».
E dopo essersi raccolto un momento, fece schioccare le dita. E subito i corpi, rianimati, si
levarono. In un istante, gli uni presero il volo nel cielo, gli altri corsero sulla terra e di
nuovo raggiunsero le loro dimore. Pensai: «Ho visto un Buddha reale. Allora, meglio,
meglio, se molte creature sono morte così».
Allora mi diede la consacrazione del diagramma di Hai Vajra. (33) Dopo che mi ebbe dato
le formule, sistemai una grotta abbandonata, tagliata a picco nella roccia, orientata verso
sud e da cui si poteva scorgere la dimora del lama. Mi murai dentro, lasciando una
piccola apertura attraverso la quale il lama mi istruiva. Meditavo senza posa. Ma poiché
non avevo l'"exeat" (34) di Marpa, non provavo alcuna gioia.
Un giorno, il lama mi disse:
«Fratello Grande-Mago, com'è il tuo segno?».
«Non ho alcun segno».

42
«Che cosa dici? Senza il simbolo del voto solenne, la mia discendenza spirituale non
potrebbe avere la forza di mantener fermo il proprio pensiero nel più profondo della
meditazione. Sei venuto a me in buona fede. Ma se non hai l'"exeat" del maestro Marpa,
i suoi doni e la sua lettera non hanno alcun senso. Come può essere? Comunque sia,
medita con perseveranza».
Rimasi pieno di paura. Mi chiedevo se avrei detto tutta la verità. Ma senza avere il
coraggio di parlare pensai: «In ogni modo, Marpa dovrà venirlo a sapere». E mi
sprofondai nella meditazione.
Nel frattempo, Marpa aveva terminato la torre per il figlio e mandò una lettera a Gnogpa:
«La torre di mio figlio è al punto giusto in cui ci vuole del legno per le decorazioni.
Mandami quanti più carichi di legna ti è possibile. Quando avrò messo il fregio e il
pinnacolo, vieni anche tu per consacrare la torre e celebrare la maggiore età di
Dodebum. (35) Porta un certo uomo malvagio che mi appartiene».
Il lama Gnogpa venne al mio finestrino e mi mostrò la lettera. E mi disse:
«E' proprio come dice la lettera. Questo uomo malvagio di cui parla la lettera non è stato
inviato da Marpa».
Risposi:
«In realtà, l'ordine non veniva dal lama in persona. E' la moglie del lama che mi ha
consegnato lettera e doni e mi ha mandato qui».
«Eh! Eh! Se è così, non abbiamo nessuna ragione di lavorare insieme.
Senza l'"exeat" del lama, tu manchi di forza. Un lavoro inopportuno è senza efficacia. Ti
si dice di andare. Andrai o no?».
«Chiedo di accompagnarti come servitore».
«Ebbene, quando avrò mandato la legna per la decorazione, invierò qualcuno per
accordarsi sul giorno della festa. Fino a quel momento, resta in reclusione».
Allora, quello che era andato per accordarsi sul giorno della festa tornò e si avvicinò al
finestrino della mia cella:
«La cerimonia per la consacrazione della torre e quella per la maggiore età del figlio di
Marpa sono state discusse nei particolari».
«Si è parlato di me?».
«La moglie di Marpa mi ha chiesto che cosa facevi. Le ho risposto che eri in stretta
reclusione. Mi ha chiesto che cosa facevi oltre a ciò.
Ho risposto che vivevi in un luogo deserto. Ha chiesto anche se avevi dimenticato questo.
Ha detto che con questo ti saresti divertito durante la reclusione e mi ha ordinato di
dartelo. Ecco ciò che mi ha consegnato».
E sciogliendo la cintura, ne trasse un dado d'argilla e me lo diede.
Pensando che quell'oggetto veniva dalle mani della moglie del lama, gli chiesi la
benedizione. (36) L'uomo se ne andò. Siccome ero di umore adatto per giocare col dado,
giocai. Poi pensai: «Quando ero presso la moglie di Marpa, non ho mai giocato ai dadi.
Ora dunque essa non ha pietà di me. Sono proprio i dadi che in altri tempi hanno
scacciato dalla loro patria i miei antenati».
E facendolo girare sopra la testa, buttai il dado lontano. Si ruppe e ne uscì un rotolino di
carta, che lessi: «Adesso il lama ti darà l'iniziazione e l'insegnamento. Torna dunque col
lama Gnogpa».
Tanto grande fu la mia gioia che mi misi a danzare, facendo balzi da una parte all'altra
della mia cella. Poi il lama Gnogpa venne a dirmi:
«Valoroso Grande-Mago, esci e preparati alla partenza».

43
Obbedii. Il lama Gnogpa non solo portò con sé i doni dati da Marpa, ma portò anche oro,
turchesi, sete e vesti, e tutti gli utensili della casa, da donare insieme al suo corpo, la sua
parola e il suo cuore. Mi fece lasciare lì una vecchia capra che aveva una gamba rotta e
non poteva seguire il gregge. Ma portò tutti gli altri animali della scuderia e della
prateria. Quando fummo pronti per partire, mi disse:
«Giacché mi sei stato utile, prendi questa seta, questa turchese per offrirle al lama
Marpa. Prendi questo sacco di formaggio (37) per offrirlo alla nobile padrona, sua
sposa».
Allora, il lama Gnogpa, sua moglie e il seguito dei servitori, arrivammo tutti alla Vallata-
delle-Betulle nel fondovalle. Gnogpa mi disse:
«Fratello Grande-Mago, vai avanti e di' alla moglie di Marpa che stiamo arrivando. Vedi
se ci porta un po' di birra».
Andai avanti. Incontrai per prima la moglie del lama. La salutai e le offrii il sacco di
formaggio.
«Il lama Gnogpa sta arrivando» dissi. «Voglia andare alla sua presenza con della birra».
Tutta contenta, mi rispose:
«Il lama è nella sua stanza. Vai tu stesso a chiederglielo».
Ci andai. Il lama era sulla terrazza, il viso volto verso oriente, che faceva le sue
devozioni. Mi prosternai e gli offrii la seta e la turchese. Egli voltò la testa dall'altra parte
e guardò a occidente.
Andai da quella parte e salutai di nuovo. Egli guardò a sud.
«O maestro,» esclamai «è giusto che per castigo tu respinga le mie offerte. Ma il lama
Gnogpa arrivando con l'offerta del suo corpo, della sua parola e del suo cuore; con oro e
turchesi, "dzos", cavalli e tutti i suoi beni stimabili. Egli spera soltanto che si vada a
riceverlo con un po' di birra. Perciò te la chiedo».
Fremente di collera, facendo schioccare le dita, il lama gridò con voce terribile:
«Dal Tripitaka innumerevole dell'India ho estratto l'essenza dei quattro Tantra. (38)
Quando ne riportai la formula, nessuno mi è venuto incontro, neppure un uccellino. E
poiché arriva Gnogpa, spingendo davanti a sé qualche bestia fiacca, vuole che io, grande
Lotsava, (39) gli vada incontro. Non ci andrò, e adesso vattene».
Tornai a riferire tutto ciò alla moglie del lama. Mi disse:
«Il lama ha parlato nella collera: ma Gnogpa è un grande personaggio, bisogna andare a
riceverlo. Andiamo tutti e due, madre e figlio».
Risposi:
«Il lama Gnogpa e la sua sposa non sperano che si vada loro incontro.
Chiedono l'offerta del benvenuto, e andrò a recarla io solo».
Ma quando alcuni monaci ebbero portata molta birra, la moglie del lama si mosse
incontro.
Intanto, numerosi abitanti della Roccia-del-Sud si erano riuniti, invitati a una grande festa
per la maggiore età del figlio di Marpa e la consacrazione della casa.
E Marpa, in mezzo a loro, cantò questo canto di ringraziamento e di lodi: «Rivolgo questa
preghiera al mio maestro pieno di grazie.
Preziosi antenati spirituali Immunizzati contro il peccato, Voi che siete benedetti,
benediteci. Arcani della dottrina profonda, Breve e infallibile via, Voi che siete benedetti,
benediteci. Io stesso, Lotsava Marpa, Che detengo l'essenza di quei profondi arcani, Che,
benedetto. io vi benedica. Santi, Ydam e Dei dello spazio Colmati di benedizioni, Voi che
siete benedetti, benediteci. Figli spirituali e corte di discepoli, Felici della vostra fede e dei

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vostri voti, Voi che siete benedetti, benediteci. Miei donatori, vicini e lontani, Fortunati
padroni di ricchezze, Voi che siete benedetti, benediteci. Che tutte le vostre opere, che
tutte le vostre azioni.
Pure e destinate al bene altrui, Siano benedette e ci benedicano. Dei e geni del mondo
visibile, Fedeli alle nostre reciproche promesse, Voi che siete benedetti, benediteci. Dei e
uomini, raccolti in questo luogo Per dei voti di felicità, Voi che siete benedetti,
benediteci». Così cantò Marpa. Subito dopo, il lama Gnogpi gli offrì i suoi doni dicendo:
«Lama prezioso, dato che sei già padrone di tutto il mio essere, corpo parola e pensiero,
io ti offro, in modo più particolare, tutti i miei beni, eccetto una capra a pelo lungo che
posseggo, di cui una zampa è rotta, l'antenata di tutte le mie capre e quindi decrepita, la
quale non poteva venire fin qui sulla zampa rotta ed è rimasta a casa. In cambio,
concedici con misericordia tutte le tue eccellenti formule segrete, soprattutto quelle "che-
si-scrivono-su-rotoli-di-carta».
(40).
E salutò. Marpa, con aria allegra, rispose:
«Molto bene. Ma se è così, le mie dottrine segrete e il cammino più breve del Vajrayana,
(41) che fin da questa vita conduce alla Bodhi senza fare attendere durante innumerevoli
"kalpa"; (42) soprattutto i precetti da scrivere sulle pergamene, mi sono stati affidati
dagli Dei medesimi. Per questo, se non mi offri quella vecchia capra, nonostante la sua
età e la zampa rotta, sarà difficile che i precetti giungano fino a te. In quanto alle altre
dottrine, te le ho già insegnate tutte tempo fa».
Tutto l'uditorio scoppiò a ridere. E Gnogpa replicò:
«Se la capra viene portata qui e se te la offro, mi svelerai i precetti?».
«Se, dopo averla portata tu stesso, mi offrirai la capra, allora sì».
Ritiratisi i convitati, Gnogpa partì da solo l'indomani. Ricondusse la capra sulle spalle e
l'offrì a Marpa. Questi esclamò pieno di gioia:
«Mi sembri in grado di adempiere i voti di un discepolo iniziato! Io non so che cosa
farmene di questa capra. Ho solo voluto sottolineare l'importanza della dottrina che ti
do».
E promise di dargli la consacrazione e l'iniziazione eminenti. E le diede.
Allora essendosi riuniti dei monaci venuti da lontano e alcuni altri del paese stesso, si
disposero in fila per fare il sacrificio delle loro offerte. Nella loro fila, Marpa depose vicino
al suo seggio un lungo bastone d'acacia. E guardando Gnogpa con occhi a triangolo, e
indicandolo, disse:
«Gnog tön chö dor, perché hai conferito la consacrazione e l'iniziazione a quest'uomo
malvagio nome Buona-Novella?».
Così dicendo, ammiccava verso il suo bastone. Gnopa ebbe paura e, con atteggiamento
supplichevole rispose:
«Lama prezioso, tu stesso mi hai scritto di consacrare e iniziare il Grande-Mago. E mi hai
dato i gioielli di Naropa e il suo sigillo di rubini. Dunque ho eseguito il tuo ordine. Non mi
rimprovero niente e non ho vergogna né rimorsi».
E, così parlando, alzava timorosamente gli occhi. Furioso, Marpa chiese, indicandomi:
«Come avevi questi oggetti?».
Il mio cuore mi fece male come se mi fosse strappato. Ero muto di terrore. Con voce
tremante, confessai che me li aveva dati la madre.

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Il lama fece un balzo. E, brandendo il bastone d'acacia, uscì per picchiare sua moglie.
Questa, che era all'erta, aveva ascoltato: si alzò. Si rifugiò nel tempio e vi si chiuse
dentro. Il lama scosse la porta, poi tornò a sedersi sul suo seggio. Disse a Gnogpa:
«Gnog tön chö dor, indegno di fiducia, vai a prendere subito i gioielli di Naropa e il suo
sigillo di rubini».
Poi si coprì la testa col mantello e rimase immobile.
Dopo aver salutato, Gnogpa uscì immediatamente per cercare i gioielli di Naropa e il suo
sigillo rubini. Io rimpiansi di non esser fuggito con la moglie del lama.
E mentre, avendo voglia di piangere, nascondevo le lacrime, Gnogpa mi vide. Gli chiesi di
seguirlo come servitore. Mi rispose:
«Se ti porto via senza l'"exeat" del lama, sarà sempre la stessa cosa di oggi. Siccome è
offeso con noi due, per adesso rimani. Se in seguito ti darà congedo senza averti
ammesso come discepolo, allora avrò pieno potere di aiutarti».
«Ebbene, poiché tu e la moglie di Marpa avete simili tribolazioni a causa dei miei peccati,
poiché con l'attuale corpo non ottengo la dottrina e non faccio altro che accumulare i
peccati, mi ucciderò. Che io possa, nell'aldilà, rinascere con un corpo degno della
religione!».
Siccome stavo per uccidermi, Gnogpa mi trattenne. E disse piangendo:
«Valoroso Grande-Mago, non farlo. Secondo i migliori insegnamenti segreti di Buddha, le
facoltà e i sensi di ognuno di noi non potrebbero liberarsi dagli Dei. Se muori prima del
tempo, commetti il crimine di uccidere un dio. Per questo il suicidio è un crimine così
grave. Anche nei Sutra non c'è peccato più grande che quello di troncare la propria vita.
E giacché tu li conosci, rinuncia a ucciderti. E' ancora possibile che il lama ti dia
l'insegnamento. Se non te lo dà lui, te lo darà sicuramente un altro lama».
Mentre egli mi teneva questo discorso, siccome gli altri monaci non potevano tollerare la
mia sventura, gli uni salivano a vedere se era venuto il momento di chiedere al lama; gli
altri tornavano presso di me e mi consolavano. Nonostante questo, pensai con dolore: «Il
mio cuore è dunque di ferro? Perché se non lo fosse, sarebbe scoppiato e io sarei
morto».
E' in ragione dei crimini della mia giovinezza che sopportai un simile dolore per cercare la
religione. "Così parlò Milarepa.
A questo punto, non c'era nessuno tra gli ascoltatori che non piangesse singhiozzando.
Alcuni, soffocati dal troppo dolore, persero i sensi.
Tale è il secondo capitolo, quello in cui Mila e purificato dalla macchia del peccato per
mezzo del dolore.

CAPITOLO 3
"Allora parlò Rechung:
«Maestro, in che modo fosti ammesso come discepolo dal lama Marpa?».
Mila continuò:" Dopo che i monaci furono andati avanti e indietro per un po' di tempo tra
me e il lama, questi si lasciò impietosire e si alzò. L'animo raddolcito, egli chiamò la
padrona. Questa, invitata a venire, si presentò. Il lama chiese:
«Dove sono andati Gnog chö ku dorje e gli altri monaci?».
«Il lama Gnogpa, secondo il tuo ordine di riportare subito i gioielli di Naropa e il suo
sigillo di rubini, è andato a prenderli ed è fuori».

46
E riferì dettagliatamente quello che il fratello Grande-Mago aveva domandato a Gnogpa e
che Gnogpa aveva risposto. Aggiunse che eravamo lì. Il lama Marpa versò qualche
lacrima e disse:
«Tali sono i discepoli della dottrina segreta di cui avevo bisogno.
Giacché li ho ed essi sono da compatire, chiama tutti i miei discepoli».
Disse, e un monaco invitò Gnogpa:
«Adesso il lama è placato. Mi ha mandato a invitarti e ti prego di venire».
Esclamai:
«Felici coloro che continuano! In quanto a me, peccatore, sebbene il lama sia placato,
non avrò la gioia di presentarmi davanti a lui.
Perché, se vi andassi, non farebbe che insultarmi e battermi».
E, piangendo, rimasi. Gnogpa, rimanendo anche lui, disse al monaco:
«Vai a dire al lama che cosa succede al Grande-Mago. Vai a vedere se può presentarsi.
Se non resto presso di lui nel frattempo, c'è da temere che egli giunga a qualche
estremo».
Il monaco riferì a Marpa tutte queste circostanze. Marpa rispose:
«Una volta, avrebbe avuto ragione. Ma oggi non farò lo stesso. Il Grande-Mago è il primo
degli ospiti che ho invitato. Che la padrona vada a cercarlo».
La padrona, sorridente e insieme timorosa, giunse e mi disse:
«Fratello Grande-Mago, sembra che adesso il lama ti prenda come discepolo. Egli pare
profondamente scosso dalla compassione. Ha detto che sei il primo dei suoi ospiti e mi
ha mandato a cercarti. Neppure a me ha fatto rimbrotti. Rallegriamoci e andiamo».
Mi chiesi se fosse vero e, a torto pieno d'inquietudine, entrai. E il lama parlò:
«Se ben considero, in nessuno di noi c'è falsità. Ho messo a prova il Grande-Mago solo
per purificarlo dai suoi peccati, giacché, se il lavoro per la torre avesse dovuto soddisfare
i miei desideri, avrei dato gli ordini con dolcezza. Ero dunque sincero. La padrona ha
agito come fanno in genere le donne. Tuttavia, sebbene abbia dimostrato, nella sua
troppo grande de pietà di donna, una sincera indulgenza, l'inganno mediante i doni e la
lettera menzognera era cosa grave.
Gnogpa ha avuto ragione di credere alla tua parola. Vai nondimeno a cercare quella
lettera. Dopo ti istruirò. Il Grande-Mago, bruciato dal desiderio della religione, ha avuto
ragione di usare tutti i mezzi possibili per ottenerla.
Gnogpa non sapeva che la padrona avesse mandato una lettera falsa. Per questo, ha
dato consacrazione e iniziazione al Grande-Mago. Così, non cercherò il modo di punirlo.
Sebbene colui che abbia mentito una volta sia sempre sospettato in seguito di menzogna,
io faccio una eccezione a questa regola comune.
Comunque sembrino essere, le mie azioni sono sempre di ispirazione religiosa. Io seguo
sempre la via naturale dei Bodhisattva. Voialtri, ascoltatori ignoranti, non lasciatevi
ingannare.
In particolare, se questo ragazzo di gran fede avesse subito nove prove, non dovrebbe
più rinascere e sarebbe Buddha. Ma non è stato così. La padrona, con la sua debolezza, è
causa della lieve macchia di peccato che gli resta. Tuttavia, i suoi peccati gravi sono stati
cancellati dagli otto grandi atti di fede (43) e dai molteplici piccoli meriti. Ora io ti accolgo
e ti darò il mio insegnamento, affine al mio cuore di vecchio. Prenderai anche il mio
viatico, e rinchiudendoti per meditare, assaporerai la felicità».
Mentre diceva queste parole, io mi chiedevo: «E' un sogno o sono sveglio? Se è un
sogno, vorrei non svegliarmi mai». A questo pensiero, la mia felicità era senza limiti.

47
Versando lacrime di gioia, mi prosternai. La padrona, Gnogpa e gli altri pensavano:
«Quale potere ha il lama quando vuole cancellare i peccati! Quale misericordia quando
vuole ammettere un discepolo! Il lama medesimo ha la natura di un Buddha». E la loro
fede si faceva ancora più grande.
Dopo che io ebbi reso grazie, piangendo, al lama per la sua compassione, tutti, ridendo
per la grande gioia, si riunirono in cerchio. La sera di quel giorno, preparammo un
sacrificio sul luogo stesso dell'assemblea. Marpa mi disse: «Ti do il voto comune di
liberazione». (44) E mi tagliò i capelli. Quando ebbi trasformato il mio corpo, il lama mi
disse:
«Il tuo nome mi è stato rivelato in sogno da Naropa al tempo in cui sei venuto qui».
E mi diede nome Mila-Trofeo-di-Diamante. Mi legò col voto del noviziato e mi diede i
comandamenti del Bodhisattva. Il nostro cuore si rinsaldò comunicandoci l'un l'altro con il
cranio per le libagioni.
(45) E noi tutti vedemmo chiaramente agitarsi una luce dai cinque colori. Allora Marpa
fece offerta all'Ydam, poi bevve. Subito dopo mi porse la coppa. E io bevvi il resto senza
lasciare una goccia.
Il lama disse:
«Questo è un presagio favorevole. Il mio nettare è più squisito di quello di qualsiasi altro
lama, sia egli pur rivestito delle quattro consacrazioni. (46) Da domani ti inizierò al potere
di far maturare le verità nascoste».
Poi, dopo aver tracciato un "mandala" di sessantadue geni, (47) lo designò per la
consacrazione. Nello stesso tempo mostrava col dito il diagramma in polvere di colori:
«Questa» disse «è solo l'immagine del "madala". Il modello è lassù». E indicava il cielo. E
noi scorgemmo chiaramente i ventiquattro regni di Sakrasambara, i trentadue luoghi
santi e gli otto grandi misteri circondati di eroi e di Dei dai colori cangianti. Nello stesso
momento e a una sola voce, il lama e Dei del cielo mi chiamarono Glorioso-Vajra-
sbocciato-che-porta-il-segno- magico.
Il lama, elargendomi i precetti dei Tantra, (49) mi svelò fino in fondo i mezzi per
ricordare e praticare le formule. Poi, posandomi le mani sulla testa, mi disse:
«Figlio mio, fin dalla prima ora sei stato un discepolo in grado di essere istruito. La notte
che precedette il tuo arrivo qui, un sogno mi apprese che eri destinato a servire la
dottrina del Buddha. La padrona, in un sogno simile e ancora più notevole, vide una
fanciulla, guardiana di un tempio, e gli Dei pontefici della religione. E' così che tu mi sei
stato inviato dagli Dei come discepolo, e per questo sono venuto a incontrarti sotto
l'aspetto di un contadino. (50) Hai bevuto tutta la birra che ti avevo dato. Quella birra e il
lavoro che tu terminasti significavano che, penetrando nel recinto della dottrina, l'avresti
percorso interamente. Poi, il bacile di rame a quattro anse significava l'arrivo dei miei
quattro grandi discepoli.
Il suo lieve appannamento senza sporcizia significava che, se la tua anima era
leggermente offuscata, il tuo corpo avrebbe saputo generare il santo calore del fuoco
interiore. (51) La marmitta vuota simboleggiava la povertà del tuo nutrimento quando
fosse venuto il momento di raggiungere la perfezione. Ma per significare anche la
ricchezza della tua età matura e quella dei tuoi discepoli; per significare la gioia del
discepolo avido di saziarsi del succo della dottrina, ho riempito il bacile con l'olio delle
lampade d'altare.
L'ho fatto tintinnare per significare la tua fama futura. Per purificarti dalle tenebre del
peccato, ti ho caricato del lavoro via via più terribile delle torri.

48
Ogni volta che ti scacciavo crudelmente dal numero degli ascoltatori e che ti colmavo di
dolore, tu non avevi pensieri cattivi contro di me.
Per questo, innanzitutto, i tuoi discepoli avranno zelo, saggezza e pietà, compimento di
ogni discepolo. In secondo luogo, poco desiderosi dei beni di questa vita, a forza di
mortificazioni e di energia, sopporteranno la meditazione sulla montagna. Infine, avendo
acquistato esperienza di ogni cosa, saranno misericordiosi, diventeranno tutti lama
predestinati. La dottrina Kadjupa sarà simile alla luna crescente. Per questo, rallegrati».
Sospiri! Esaltazione! Questo fu l'inizio della mia felicità. "Così parlò Milarepa. Tale è il
terzo capitolo, quello in cui egli ottenne la consacrazione e l'iniziazione alla dottrina
segreta."

CAPITOLO 4
"Rechung allora disse: «Maestro, dopo aver ascoltato la dottrina, sei andato subito nel
deserto o sei rimasto presso il lama?». E Mila continuò." Il lama mi prescrisse di applicare
progressivamente le sue lezioni. Mi preparò i viveri necessari e mi murò per la
meditazione nella Tana- delle-Tigri della Roccia-del-Sud. Riempì allora d'olio una lampada
d'altare e l'accese. Poi me la pose sulla testa. E' così che, senza muovermi per timore di
spegnere la lampada, meditai giorno e notte.
Trascorsero undici mesi. Il lama e la moglie allora vennero, portandomi buoni viveri in un
cerchio di offerte. Il lama esclamò:
«Ebbene, figlio mio, meditare per undici mesi senza lasciar raffreddare il proprio sedile è
molto soddisfacente. Adesso demolisci la porta della cella e vieni a riposarti presso di me.
Discorrerai con me seguendo la tua ispirazione».
Pensai tra me: «La mia salute non ha sofferto; ma poiché è un ordine del lama, bisogna
andare».
Cominciai a demolire la porta. Si vedeva appena dall'altra parte, quando mi fermai un
attimo, non osando più continuare. In quel momento sopraggiunse la moglie del lama e
chiese: «Vieni, figlio mio?» Risposi che non osavo demolire la porta. La madre ribatté:
«Ma non c'è pericolo. E' il presagio della parola segreta. Soprattutto perché il lama
andrebbe in collera, e perché il presagio non può mentire, demolisci la porta e vieni».
La demolii. E pensando che la madre aveva detto il vero, uscii. Il lama disse:
«Noi due, padre e figlio, meditiamo insieme. Padrona, tu prepara un banchetto».
Mentre ne facevamo offerta, il lama mi disse:
«Figlio mio, quale conoscenza hai tratto dal mio insegnamento? (52) Dimmi senza timore
in che modo sono apparsi alla tua mente il senso vero e l'oggetto reale».
Con un atto di fede e di venerazione ardenti verso il lama, mi inginocchiai e giunsi le
palme delle mani. Gli occhi offuscati dalle lacrime, gli feci omaggio di ciò che avevo
compreso e cantai questo canto in sette stanze: «Tu che ti riveli sotto diverse
incarnazioni Al peccatore che si converte.
Tu che appari Buddha e Bene Supremo Ai soli Bodhisattva, io ti saluto. Saluto in te il
Verbo unico Che ha dato la legge a ogni popolo nella sua lingua, In ottantaquattromila
parole Attraverso sessanta voci distinte. Saluto infine lo spirito del Buddha Assoluto,
Immutevole e Onnisciente.
Come se fosse liberato dalle tenebre della notte Nel cielo luminoso del suo Nirvana. Mi
prosterno ai piedi della Padrona e Madre Che ha generato un Buddha delle Tre Epoche
(53) Dal corpo illusorio, immutevole e perfetto, Nel santo palazzo che è la regione

49
dell'idea pura. Con un rispetto senza finzione, io saluto I figli spirituali che hai riunito, I
discepoli che eseguono i tuoi comandamenti, E la folla dei tuoi servitori. Dinanzi a te
porgo in offerta il mio corpo E ciò che di buono contengono per i sacrifici Tutte le regioni
del mondo. Prego che tutti i miei peccati siano espiati a uno a a uno, Che tutti gli esseri
siano segnati dalla felicità E che la dottrina sia predicata lontano. Prego che il lama
glorioso viva Finche gli esseri non siano distolti dalla trasmigrazione. Che ogni mia azione
sia di giovamento alle creature». Dopo aver pregato così in sette stanze, fondando la
grazia di non trasmigrare sul potere della benedizione di una misericordia senza limiti e
sull'efficacia dell'opera del Buddha che Tiene-la-Folgore, del lama, della madre e del figlio
uniti inseparabilmente, il discepolo offrì al maestro le sue deboli conoscenze del senso
reale delle formule nella seguente supplica:
«Voglia tu ascoltare la mia preghiera senza mutare la tua disposizione d'animo. Io ho
capito questo: nel nostro corpo sono riuniti gli effetti dell'ignoranza e le dodici cause del
Samskara. (54) Il corpo materia fatto di carne e di sangue, che è frutto delle nostre
opere anteriori e di cui abbiamo coscienza, è la nave felice delle anime fortunate che
aspirano alla liberazione.
Ma è anche la guida che conduce alla dannazione i peccatori che accumulano crimini.
Conoscendo l'enormità del profitto o della perdita connessi, ahimè, con la felicità o la
dannazione eterna sulla frontiera del bene e del male, e come sia difficile sfuggire
all'Oceano della trasmigrazione, fonte di ogni dolore, adesso mi appoggio sulla tua forza
di guida delle creature per giungere alla liberazione.
Avendo chiesto innanzitutto la protezione dei tre Gioielli, ho studiato secondo ciò che mi
hai insegnato. Da questo studio, e perché tu sei il lama dispensatore di ogni felicità,
accogliendo con devozione ogni parola che dici, ho capito che era importante soprattutto
di non rompere il mio voto.
Inoltre, l'umanità (55) è uno stato difficile da raggiungere. Quando la nostra mente è
scoraggiata dalla considerazione terribile della morte improvvisa, delle conseguenze dei
nostri atti e dei castighi della trasmigrazione, nel desiderio di sfuggirvi è assolutamente
necessario fare assegnamento sul voto della propria liberazione. Tale è il terreno sul
quale bisogna appoggiarsi.
Così protetti, salendo progressivamente il Veicolo, (56) bisogna vigilare sugli obblighi del
proprio voto come sui globi dei propri occhi.
Ma se, dopo un cedimento, ci si è risollevati; se si desidera liberare dalla trasmigrazione
tutte le creature, contrariamente al Piccolo Veicolo che è la preoccupazione della
tranquillità personale, si diventa Bodhisattva. Ho capito che il Grande Veicolo è di
sacrificarsi, a forza di pietà e di commiserazione, alla causa di tutte le altre creature.
Quando si è respinta la via di ascoltare se stessi, si entra nella via del Grande Veicolo.
Quando si è adottata come base la contemplazione interiore, ci si addentra nella via
mistica.
Per insegnare tale contemplazione ci vuole un lama segnato dalla predestinazione, che
possieda i riti delle quattro sante iniziazioni (57) e sia abile nell'indicare l'errore. Una volta
consacrati e iniziati alla contemplazione della dottrina profonda, allora si medita secondo
la progressione. Ho voluto dunque trovare la rinuncia all'io, che è comune sia alla
dottrina privilegiata sia alla dottrina volgare.
Avendo cercato nei comandamenti e nei precetti mediante esempi e prove molteplici, ho
concepito l'oblio di se stessi e il nulla dell'individualità. E' così che ho voluto dimenticare il
mio essere perituro e placare la mia mente per la contemplazione. Quando, per mezzo di

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molteplici argomenti, ebbi placato la mia mente, la continua preoccupazione del mio
pensiero si interruppe, e nel medesimo tempo l'io pensante perse coscienza di sé.
Sono rimasto in stato di incoscienza un numero di anni, di mesi e di giorni che io ignoro e
che altri hanno dovuto valutare. (58) Mantenuto in questa incoscienza [affettiva] dalla
coscienza intellettuale, senza abbandonarmi al torpore, ho sollecitato la mia intelligenza.
Non accordare una realtà propria alle apparenze, né prestare attenzione alle cose visibili;
l'idea nuda e pura, chiara e limpida tale è il carattere dello stato di serenità.
Sebbene si scambi questa serenità per la contemplazione, (59) ma siccome la
contemplazione vera non può manifestarsi all'uomo comune, ho pensato che il primo
stadio della perfezione fosse di arrivare a tale contemplazione. Così, dopo aver
concentrato l'attenzione sulla vacuità delle cose, si fa scaturire e si mantiene la nozione
della loro illusione.
Per altri, il pensiero dello stato di serenità consiste soltanto nella rappresentazione
corporea degli Dei che essi meditano. Io ho pensato che non fosse affatto questa
l'essenza della serenità.
Riassumendo, sollecitare il pensiero in uno stato perfetto di serenità e sottometterlo al
controllo di un esame severo, queste sono le condizioni necessarie per ottenere la
contemplazione. Penso che ciò sia simile ai primi gradini di una scala che si salga: tutti
coloro che meditano in stato di serenità devono avere precedentemente sollecitato se
stessi alla pietà e alla misericordia, prima di qualsiasi altra operazione, speculativa o no.
In un primo tempo ci si abbandona a un sentimenti di interesse per esseri determinati
che ci si rappresenta. Poi, la chiaroveggenza depura questo sentimento di qualsiasi
legame con le immagini concrete.
Infine, si rimane in uno stato permanente di preghiera disinteressata, astratta e generale,
a profitto di tutte le creature. Ho capito che questa è la migliore di tutte le vie.
Come un uomo affamato che non si nutre solo della conoscenza dei cibi, ma desidera
anche mangiarne, nello stesso modo, colui che pensa alla non-realtà (60) non si
accontenta di conoscerne il senso, desidera anche meditarla. (61) Comprendendo questo,
ho compreso più in particolare che è necessario compiere senza sosta le opere buone e
le purificazioni negli intervalli della meditazione, come mezzo per giungere alla
contemplazione.
Riassumendo, ho capito che le nozioni acquisite dall'eremita sul nulla delle cose, sulla
loro non-differenziazione, sui loro appellativi vuoti e sulla loro unità, sono i precetti della
progressione del Veicolo Vajra che corrispondono alle quattro consacrazioni.
Per manifestare a me stesso queste conoscenze ho sottoposto all'obbedienza il mio corpo
misurandogli il cibo e, dopo aver stabilito la sua azione nella mia mente, mi sono
conformato alle apparenze del mondo. (62) In questo compito avendo provato di tutto,
fino a poterne morire, non sono venuto dinanzi al lama e alla padrona, miei padre e
madre dalla bontà insuperabile, per offrir loro in cambio i miei servigi e delle ricchezze.
Ma offrendo l'offerta di tutto ciò che di meglio sarò in grado di compiere finché vivrò,
chiedo ancora loro di accettare la conoscenza del fine, che avrò acquisita quando
raggiungerò in cielo le vette della scienza. Grande lama Che-reggi-lo-Scettro, Padrona
madre nata da un Buddha, E voi, incarnazioni di regali bambini, Vi offro da ascoltare
queste brevi parole Della conoscenza nata dal mio cuore, Vi prego di sopportare con
pazienza le mie colpe, Le mie ignoranze, le mie eresie e i miei errori Vogliate correggerli
secondo la Dottrina. E il loto della mia anima si schiuderà Sotto la benedizione degli
ardenti raggi Caduti dal sole della vostra misericordia. Di questo profumo che emana

51
dalla conoscenza, Poiché non possiedo nulla che eguagli la mia gratitudine, Io vi faccio
perpetuo omaggio. Che i frutti della mia meditazione siano giovevoli alle creature Per
raggiungere i limiti della perfezione.
Vogliate ascoltare la voce del vostro discepolo che osa implorarvi». Pregai così. Il lama
allora disse: «Figlio, mi auguro che sia così».
Ed era pieno di esultanza. Poi Ia madre disse:
«Questo mio figlio ha forza d'animo sufficiente perché sia così».
E il padre e la madre, dopo molti discorsi religiosi rientrarono in casa. Quanto a me,
murai di nuovo dietro le mie spalle, con del fango, l'entrata della cella. A quel tempo, il
lama partì per il nord della regione centrale. Una sera, in visita da Marpa Goles, dopo la
riunione dell'uffizio, una Tara gli rivelò nel sonno che egli ignorava ancora una certa
lezione simbolica di Naropa, e lo esortò con un gesto. Il lama ritenne di dover partire per
incontrare Naropa.
Quando egli fu tornato nella Vallata-delle-Betulle per passarvi alcuni giorni, anche a me
una notte a parve in sogno una fanciulla, azzurro cielo, bella con la sua veste di broccato
e i suoi ornamenti d'osso, dalle sopracciglia e ciglia scintillanti d'oro.
Essa mi disse: «Figlio mio, la tua dottrina Mahamudra (63) conduce alla Bodhi attraverso
una lunga meditazione. La tua formula è quella dei sei dogmi. (64) Tu non hai quella che
fa resuscitare nella Bodhi meditandola un solo istante. Chiedila». Disse e scomparve.
Pensai tra me: «Questa fanciulla indossava il costume delle Tara. E' un avvertimento
degli Dei? E' una malignità del demonio? Non so.
Comunque sia, il mio maestro, che è Buddha del passato, del presente e del futuro, non
dovrebbe forse saperlo? E lui non conosce una cosa soltanto, ma ogni cosa, dalla formula
per diventare Buddha, alla sommità, fino, giù in basso, alla formula per rimettere insieme
una brocca rotta. Se è un avvertimento degli Dei, devo chiedere la dottrina
"Resurrezione"». (65) Disfeci il muro della cella e mi recai presso il lama. Egli esclamò:
«Perché tu non rimanga in severa reclusione, significa che è successo qualche cosa.
Perché vieni?».
Raccontai com'era la fanciulla e quello che mi aveva detto, e domandai:
«E' un avvertimento, è un malefizio? Non so. Se è un avvertimento, sono venuto per
chiederti la dottrina "Resurrezione". E te la chiedo».
Il lama rifletté un momento e disse:
«E' proprio un avvertimento degli Dei. Quando io me ne andai dall'India, il "pandit"
Naropa annunciava: "Spiegazione della dottrina 'Resurrezione'". Siccome stavo per
partire, non l'ho appresa. Perciò noi la cercheremo leggendo tutti i libri dell'India.
Giorno e notte, maestro e discepolo, cercammo con ardore il libro «Resurrezione».
Trovammo molte opere sulla trasmigrazione. Ma non trovammo la minima parola sulla
«Resurrezione». Il lama mi disse:
«L'avvertimento che ho ricevuto nel nord del Tibet Centrale mi esortava a porre la stessa
domanda. Siccome ci sono altre formule che non conosco, andrò quindi a chiederle».
Gli feci presente le ragioni della sua età avanzata. Ma non riuscii a dissuaderlo. Dopo
aver cambiato in oro i doni dei suoi discepoli, ne portò con sé una coppa piena e partì
per l'India. Naropa era morto. Ma volendo trovarlo a rischio della vita, Marpa consultò
numerosi presagi, e gli fu presagito che l'avrebbe incontrato. E recitando preghiere, partì
alla sua ricerca. Lo incontrò in una foresta vergine. Lo invitò ad andare nel monastero
Phul-la- Hari. E là gli chiese la formula «Resurrezione». Il "pandit" Naropa rispose:
«Ti ricordi? Hai avuto un avvertimento».

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«Non mi ricordo. Non ho mai avuto avvertimenti. E' un mio discepolo, Buona-Novella, che
ha ricevuto un avvertimento dagli Dei ed è venuto a chiedermi dottrina».
«O meraviglia!» esclamò Naropa. «Nel Tibet tenebroso, questo discepolo è simile al sole
che sorge sulle nevi».
Così detto, levò le mani giunte sopra la testa e fece questa preghiera: «Io ti saluto, o
discepolo chiamato Buona-Novella, Simile al sole che sorge sulla neve, Nelle tenebre
dell'oscuro settentrione». Così dicendo, chiuse gli occhi e chinò tre volte testa. E le
montagne dell'India e gli alberi si chinarono tre volte dalla parte del Tibet.
Ancora oggi, gli alberi della montagna di Phul-la-Hari hanno la cima inclinata dalla parte
del Tibet. Naropa insegnò interamente le formule trasmesse dagli Dei. Poi consultò i
presagi. Il modo di salutare di Marpa gli presagiva una discendenza breve. Ma la dottrina
affidata mia mediazione preannunziava una discendenza spirituale più lunga del corso di
un fiume. Marpa tornò poi nel Tibet. Si celebrava l'anniversario della morte di suo figlio
Darma Dode, avvenuta secondo il presagio. Dopo che tutti i monaci e i discepoli si furono
riuniti per le cerimonie, i grandi discepoli chiesero a Marpa:
«Lama prezioso, tuo figlio è ora simile a un Buddha delle tre epoche, la nostra occasione
è mancata. Tu stesso diventi vecchio. In che modo si trasmetterà la preziosa dottrina
Kadjupa? Indicaci quale deve essere la nostra disciplina e il nostro compito»
Il lama rispose:
«Io e tutta la discendenza del "pandit" Naropa, abbiamo il potere di presagire attraverso i
sogni. Naropa ha fatto una giusta profezia che riguarda la dottrina Kadjupa. Voi, grandi
discepoli, andate e aspettate i sogni».
Allora i discepoli che avevano avuto dei sogni li raccontarono. Benché tutti avessero
avuto sogni felici, non riuscivano a trarne un presagio. Io avevo sognato di quattro
colonne. Così raccontai il mio sogno alla presenza del lama: «Secondo l'ordine del lama
Reggi-Scettro, ho fatto un sogno per tre notti. Presento al lama la sua storia Voglia egli
prestarvi orecchio.
Ho sognato che nel vasto Nord del mondo Una montagna di neve si innalzava, dalla
massa imponente.
La sua cima di neve toccava il cielo.
Il sole e la luna le giravano intorno.
La sua luce riempiva lo spazio.
E la sua base ricopriva la Terra.
Fiumi scendevano verso i quattro punti cardinali.
A quei fiumi tutte le creature si dissetavano.
E tutte quelle acque si gettavano nel mare.
Ogni specie di fiori risplendeva.
Tale è, nel suo insieme, il sogno che io feci.
Lo dico al lama Buddha delle tre epoche.
Ma, in particolare, ho sognato che su quell'alta montagna, dalla massa imponente, A Est
si ergeva una grande colonna.
In cima a quella colonna un grande leone dominava.
La sua criniera di turchese si riversava da ogni parte.
Allargava gli artigli nella neve.
I suoi occhi guardavano in alto.
E correva sulla neve.

53
Lo dico al lama Buddha delle tre epoche. Ho sognato che a Sud una grande colonna si
ergeva, In cima a quella colonna una tigre ruggiva.
Il suo pelo irto la ricopriva interamente.
Sorrise tre volte.
Allargava gli artigli sulle foreste.
I suoi occhi guardavano in alto.
E camminava fieramente nelle dense foreste.
E i cedri della foresta erano aggrovigliati.
Lo dico al lama Buddha delle tre epoche. Ho sognato che a Ovest una grande colonna si
ergeva.
In cima a quella colonna si librava un grande "garuda". (66) Le ali di quel "garuda" erano
spiegate.
Le sue corna si rizzavano nel cielo.
I suoi occhi guardavano in alto.
E l'uccello si slanciò nello spazio.
Lo dico al lama Buddha delle tre epoche. Ho sognato che a Nord una grande colonna si
ergeva.
In cima a quella colonna si librava un avvoltoio.
Le sue ali appuntite erano spiegate.
Il suo nido era in cima a una rupe.
Quell'avvoltoio aveva un piccolo.
E il cielo era pieno di uccellini (67) L'avvoltoio guardava in alto.
E si slanciò nello spazio.
Lo dico al Buddha delle tre epoche.
Tale è il presagio del mio sogno.
Pensai che fosse un presagio felice.
E mi sono rallegrato di questa fortuna.
Voglia tu dirmi il suo significato». Parlai così, e il lama rispose pieno di gioia:
«Questo sogno è un sogno felice. Padrona, prepara un bel cerchio di offerte».
E la madre raccolse le cose necessarie.
Allora, dopo che i discepoli e i figli spirituali si furono riuniti intorno al cerchio di offerte, il
lama disse loro:
«Che sogno meraviglioso ha fatto Mila-Trofeo-di-Diamante!».
I grandi discepoli chiesero:
«Poiché hai chiarito il senso e i significati di questi sogni, voglia tu dirci qual è la loro
profezia».
Allora il lama, grande avatara e traduttore, cantò ai discepoli questo canto che svela i
sogni: «Signore Buddha delle tre epoche, "Pandit" Naropa, io mi prosterno ai tuoi piedi;
Voi tutti, discepoli che sedete in questo luogo, Ascoltate lo straordinario presagio di
avvenire Espresso dai sogni, Che io, vecchio, sto per dirvi.
Quella cima del mondo a Settentrione E' la dottrina del Buddha che si diffonderà nel
Tibet Quella montagna di neve gelata E' il vecchio traduttore Marpa E la futura dottrina
Kadjupa.
Quel picco di neve che tocca il cielo E' la dottrina Senza-Pari.
Il sole e la luna che girano intorno alla sua cima Sono la meditazione luminosa e la carità
onnisciente.
La luce che riempie lo spazio E' la pietà che dissipa le tenebre dell'ignoranza.

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La sua base che ricopre tutta la terra E' la fatica del mondo come fondamento.
I quattro fiumi che scorrono nelle quattro direzioni Sono le formule delle quattro
consacrazioni della salvezza. Quei fiumi che dissetano tutti gli esseri Sono la salvezza per
i convertiti.
Tutte quelle acque che finiscono nel mare Sono la riunione della madre e del figlio.
Tutti quei fiori svariati che brillano Sono il godimento del frutto senza macchia. (68) Il
sogno, nel suo insieme, non è cattivo ma felice. Ma, o monaci e discepoli riuniti in questo
luogo, In particolare, su quell'alta montagna di neve, dalla massa imponente, La grande
colonna ritta a Est E' Tshur-tön Uang-ge di Dol.
Il leone che domina sulla cima di quella colonna Vuol dire che Tshur-tön ha la natura del
leone.
La sua criniera di turchese che si riversa E' l'insegnamento della parola armoniosa.
I suoi quattro artigli allargati nella neve Sono il possesso dei quattro attributi infiniti.
Il suo sguardo rivolto al cielo E' un addio al mondo delle creature.
Il suo cammino fiero sul candore delle nevi E' l'arrivo nel paese della liberazione.
Il sogno dell'Est non è cattivo. E' felice.
O monaci e discepoli riuniti in questo luogo. La grande colonna ritta a Sud E' Gnog-tön
cho-dör di Jung.
La tigre che ruggisce su quella colonna Vuol dire che Gnog-tön ha la natura della tigre.
Il suo pelo irto su tutte le membra E' l'insegnamento della parola armoniosa.
Le tre volte che ha sorriso Sono la conoscenza dei tre corpi.
I suoi quattro artigli allargati sulle foreste Sono il compimento dei quattro servizi religiosi.
Il suo sguardo rivolto in alto E' un addio al mondo delle creature.
Il suo cammino fiero nelle dense foreste E' l'arrivo al paese della liberazione.
I cedri della foresta aggrovigliati Significano una discendenza di nipoti eredi.
Il sogno del Sud non è cattivo. E' felice.
O monaci e discepoli riuniti in questo luogo. La grande colonna ritta a ponente E' Me-tön
Tson-po dello Tsang rong.
Il grande "garuda" che si libra sulla colonna Vuol dire che Me-tön ha la natura del
"garuda".
Le ali spiegate di quel "garuda" Sono l'insegnamento della parola armoniosa.
Le sue corna rizzate verso il cielo Significano la meditazione nella solitudine.
Lo sguardo rivolto alle altezze E' un addio al mondo delle creature.
Il suo volo attraverso l'immensità dello spazio E' l'arrivo nel paese della liberazione.
Il sogno dell'Ovest non è cattivo. E' felice.
O monaci e discepoli riuniti in questo luogo. La grande colonna ritta a Nord E' Milarepa
del Kung thang.
L'avvoltoio che si libra su quella colonna Vuol dire che Mila è simile all'avvoltoio.
Le sue appuntite ali spiegate Sono l'insegnamento della parola armoniosa.
Il suo nido sul dirupo Vuol dire che la sua vita sarà più dura della roccia.
Il piccolo nato da quell'avvoltoio Vuol dire che egli sarà senza rivali.
Gli uccellini che riempiono lo spazio Significano la diffusione della dottrina Kadjupa.
Il suo sguardo rivolto alle altezze E' un addio al mondo delle creature.
Il suo volo nell'immensità dello spazio E' l'arrivo nel paese della liberazione.
Il sogno del Nord non è cattivo. E' felice.
Lo dico a voi che siete qui radunati.
La mia opera di vecchio è terminata.

55
La vostra ora, o discepoli, è venuta.
Se la mia parola di vecchio è profetica, La dottrina perfetta che si trasmette Si diffonderà
nell'avvenire». Così parlò. Allora tutti coloro che assistevano furono colmi di gioia.
E il lama aprì ai suoi grandi discepoli il tesoro della dottrina e delle sentenze. Egli ci
istruiva durante il giorno. La notte, poi, rinchiusi si nel ritiro, ne proseguivamo
felicemente la meditazione.
Una sera che la padrona faceva la sua iniziazione il lama pensò:
«Bisogna che dia a ognuno dei miei discepoli la sua legge particolare e il suo dovere da
compiere. Domani consulterò i presagi dell'aurora».
L'indomani, nei fuochi dell'aurora, vide i suoi grandi discepoli:
Gnog-tön cho-dör di Jung commentava il libro dell'Ydam Hai Vajra.
Tshur-tön Uang-ge di Dol meditava la «Migrazione dell'anima». Me-tön- Tson-po dello
Tsang rong meditava l'«Illuminazione». In quanto a me, meditavo il calore mistico. Così il
lama apprese quale fosse il compito di ognuno di noi.
Diede quindi a Gnogpa le spiegazioni sull'uso sei fini e dei quattro metodi, (70) disposti
come un di perle vere, i sei gioielli di Naropa, la sua corona di rubini, un cucchiaio per
sacrifici e il libro dei «Commentari indiani». Poi gli disse:
«Agisci secondo i miei insegnamenti per il bene delle creature».
A Tshur-tön Uang-ge di Dol diede la «Migrazione dell'anima», simile a un uccello che
prende il volo da una finestra aperta; delle ciocche di capelli di Naropa, delle unghie di
Naropa; delle pillole di nettare e i diademi di cinque materie diverse. Poi disse:
«Medita la "Migrazione dell'anima"».
A Me-tön Tson-po dello Tsang rong diede l'«Illuminazione» simile a un fuoco acceso nelle
tenebre, il campanello e il "vajra" di Naropa, il "damaru" di Naropa e il suo "kapala" (71)
di madreperla. E gli disse:
«Liberati dal limbo».
A me, diede la legge eminente del calore mistico, simile a un fuoco di legna ben ordinata;
il copricapo di Maitripa e le vesti di Naropa. Poi mi disse:
«Vai a vagare nei deserti di orrore e di nevi, e sprofondati nella contemplazione».
Infine, a tutti i monaci riuniti in cerchio intorno alle offerte, disse:
«In conformità del dono che vi ho fatto delle mie istruzioni, d'accordo con i presagi, è ai
miei discendenti spirituali che ho dato, in primo luogo, il loro rispettivo compito, così
come il largo profitto delle mie lezioni. Perché ora mio figlio Darma Dode Bum non c'è
più. Così, vi ho affidato come eredità paterna le formule della mia dottrina Kadjupa e la
trasmissione della mia benedizione. Per questo, siate pieni di zelo. E il bene delle
creature aumenterà».
Allora ogni grande discepolo partì per il suo paese. Il lama mi disse:
«Tu resta alcuni anni presso di me. Ti darò ancora una consacrazione e un'iniziazione
speciali. Bisognerà che tu mi esponga le ricerche della tua mente. Per questo, rimani in
perfetto ritiro».
Mi ritirai nella grotta chiamata Grotta-di-Rame della profezia di Naropa. Il padre e la
madre mi diedero una parte del loro pasto per la mia scodella di offerte. E lo fecero con
molto amore. "Così parlò Milarepa. Tale è il quarto capitolo. Quello in cui Milarepa fa
germogliare la giovane spiga del suo pensiero meditando presso il lama.

56
CAPITOLO 5
"Allora Rechung chiese: «Maestro, quali circostanze ti portarono a ritirarti dal cospetto di
Marpa? Questi anni che Marpa ti ordinò di restare presso di lui, quanti furono?». Il
Maestro rispose:" Non vi rimasi molti anni. La causa fu il mio ritorno al paese.
Stavo allora in reclusione e sentivo una devozione ardente. Di solito non dormivo mai. Ma
una volta mi assopii verso il mattino e feci un sogno. Arrivavo nel mio paese di
Kyagnatsa. La mia casa Quattro- Colonne-e-otto-Travi era screpolata come le orecchie di
un vecchio asino. All'interno, la pioggia gocciolava sugli oggetti e sul «Tesoro- della-
Legge». (72) Il mio campo Horma-Triangolare era invaso dalle erbacce. I miei parenti e
la mia vecchia madre erano morti. Mia sorella se n'era andata errando e mendicando.
Poiché i miei parenti si erano levati nemici contro la madre e il figlio, io ero stato
separato, fin dalla giovinezza, da mia madre, e non l'avevo più rivista. Questo pensiero
mi causò un immenso dolore. Chiamai col loro nome mia madre e mia sorella, e piansi.
Mi svegliai e il cuscino era bagnato di lacrime.
Mi misi a riflettere, evocai il ricordo di mia madre Piansi abbondantemente e decisi di fare
di tutto per rivedere mia madre.
Allora venne giorno. Disfeci la porta della mia cella e andai a parlare al lama. Il lama era
addormentato. Mi avvicinai a lui e, umilmente inchinandomi alla testata del suo letto, gli
cantai questo canto: «O Signore Compassionevole e Che-Non-Muta, Mandami nel mio
paese come mendicante.
Nel paese di Korun-dalle-Erbe-Cattive, Noi siamo, madre e figli, nemici dei nostri parenti
E da anni viviamo separati.
Il mio amore non può più sopportare la separazione.
Concedimi di rivedere mia madre una sola volta.
E subito dopo io tornerò». Tale fu la mia preghiera. Il lama si svegliò e,
contemporaneamente, il sole si alzò nello spazio: dalla finestra, un raggio colpì la testa
del lama. La mogli del lama entrò con il pasto del mattino. Tutto ciò accadde nello stesso
momento. Il lama parlò:
«Figlio mio, quale motivo ti ha fatto lasciare così presto il tuo santo ritiro? E'
sopraggiunta qualche diavoleria o qualche malefizio.
Torna indietro e rimani in reclusione».
Di nuovo, così gli presentai il racconto del mio sogno: «O Signore Compassionevole e
Che-Non-Muta, Mandami nel mio paese come mendicante.
Nel mio paese di Kyagnatsa Korun, Più nulla resta dei miei beni.
Ecco ciò che io penso con amore:
Vedrò se la mia casa Quattro-Colonne-e-Otto-Travi E' ancora in piedi o è crollata.
Vedrò se la pioggia cade sempre a goccia a goccia Sul "Tesoro-della-Legge".
Vedrò se il fertile campo Triangolare-Horma E' sempre invaso dalle erbacce.
Questo scrigno che è il corpo della mia vecchia madre, Vedrò se è in buona salute.
Vedrò se mia sorella Peta-Protettrice-Fortunata E' sempre errante o non più errante.
Vedrò se la diligente Dzesse E' capace di tenere la casa.
Vedrò se i vicini e mio zio Svastika-Bandiera-di-Vittoria Ci sono sempre o non sono più.
Vedrò se mia zia Diavolessa-che-rivaleggia-con-le-Tigri E' morta o viva.
Vedrò se il sacrificatore Kön chog Lha bum E' sempre laggiù o non vi è più.
Ma soprattutto di mia madre, che mi ha generato corpo e anima, Il rimpianto non mi è
tollerabile.

57
Concedimi di andare al paese una sola volta.
E rapidamente tornerò a prostrarmi ai tuoi piedi». Pregai così, e il lama rispose:
«Come, figlio mio? Quando sei venuto presso di me la prima volta, affermasti di non
voler più amare il tuo paese né i tuoi vicini.
Adesso ami molte cose. Se vai nel tuo paese, difficilmente vedrai tua madre. In quanto
agli altri, non so se ci siano. Nel Centro e nello Tsang hai trascorso alcuni anni. Anche qui
hai trascorso molti anni.
Se vuoi partire, ti lascerò andare. Ma se fai conto di tornare, sappi che la tua venuta qui,
per presentarmi la tua richiesta, e il sonno in cui mi hai trovato presagiscono che in
questa vita noi non ci vedremo più.
Tuttavia, il sole che si alzava nello spazio presagisce che farai risplendere la dottrina di
Buddha come il sole. Soprattutto il raggio che ha colpito la mia testa presagisce che la
dottrina Kadjupa sarà diffusa lontano. L'arrivo della padrona che recava il pasto significa
che sarai nutrito con l'alimento spirituale. Io non posso che lasciarti partire. Padrona,
prepara il sacrificio».
Il lama preparò il cerchio delle offerte e la padrona le dispose. Poi il lama mi diede
l'ultima iniziazione alla tradizione orale, rivelata dagli Dei medesimi, così come
l'insegnamento orale delle formule, sconosciute agli altri, per la via della salvezza. Poi
disse:
«In verità, queste formule mi sono state date dal Signore Naropa perché era predetto
che ti sarebbero state trasmesse. E tu trasmetti al migliore dei tuoi discepoli, designato
dagli Dei, questa tradizione orale che non dovrà cessare per tredici generazioni spirituali.
Se darai queste formule in cambio di viveri o di beni da godere in questa vita, infrangerai
l'ordine degli Dei. Senza svelarle, conservale piuttosto nel tuo cuore. Se viene a te un
discepolo predestinato, quand'anche non avesse niente da offrirti, legalo a te con la
consacrazione e sviluppa la sua istruzione. Quante prove Telo ha fatto subire a Naropa!
Se tu ne farai subire come ho fatto io con te, esse non saranno di giovamento alle anime
non predestinate; giudica se siano degne o no di essere istruite. Dei nove rami meno
segreti rivelati dagli Dei in India, (73) te ne ho dati quattro. Gli altri cinque, giacché la
mia discendenza è estinta, chiedili ai discendenti di Naropa. Saranno di giovamento alle
creature. Imparali per quanto puoi.
Se credi che, per mancanza di doni da offrirmi, non hai ricevuto tutto il mio
insegnamento, sappi che non ci tengo ai doni. E' l'offerta della tua perfezione e del tuo
zelo che io desidero. Sii dunque ardente e alza lo stendardo della perfezione.
Tra le formule del dottore Naropa, ce n'è una superiore, che gli altri grandi discepoli non
hanno. E' la tradizione orale rivelata dagli Dei, e io te la verso come da un boccale pieno.
Che i venerati Ydam mi siano testimoni che non ti ho ingannato e che non c'è altra
formula».
Dopo aver fatto così giuramento, egli cantò questo canto: «Gloria a voi che siete pieni di
grazie, io vi prego.
Se tu pensi alla storia degli avi pieni di grazie, E' questa ad essere la formula stessa.
Desiderarne troppo, offusca l'anima.
Con cura conserva nel tuo cuore la parola importante che ti ho dato.
Tutte insieme, le altre non valgono questa.
Molti alberi non portano frutti.
Scienza non è sempre verità.
Imparare tutto questo non è sempre vedere quello.

58
Molte cose sono inutili da dire.
Ciò che è giovevole al cuore è una santa ricchezza.
Se desideri essere ricco così, concentrati nella mia dottrina.
La religione è la via che permette di vincere la corruzione.
Per tenere il giusto cammino, concentrati nella mia dottrina.
Una mente che sa accontentarsi è un maestro.
Se desideri un buon maestro, concentra il tuo pensiero nella mia dottrina.
Questo basso mondo è in lacrime. Rinuncia dunque alla gioia.
Le case dei nostri avi erano delle caverne.
Un luogo deserto e solitario è un soggiorno divino.
La mente è per la mente un incomparabile cavallo da cavalcare.
Il tuo proprio corpo è un santuario.
Una devozione costante è il migliore dei rimedi. mio figlio pieno di saggezza Ho dato la
formula che racchiude ogni saggezza.
Io, la formula e la tua fede, siamo una trinità.
Possano, messi nella mano di mio figlio, Il ramo e il suo frutto svilupparsi Senza
corrompersi, né disperdersi, né disseccare». Cantò così. Poi, posandomi le mani sulla
testa, aggiunse:
«Figlio, la tua partenza mi spezza il cuore. Tutti i composti essendo soltanto delle
apparenze, noi non ci possiamo far niente. Rimani però ancora qualche giorno. Rifletti
alle formule e, se hai delle incertezze, chiariscile».
Allora rimasi alcuni giorni, secondo l'ordine del lama, e chiarimmo le oscurità delle
formule. Il lama allora disse:
«Padrona, prepara un festino e offerte eccellenti. Ecco che Mila sta per partire e io devo
dargli congedo».
La madre offrì un sacrificio agli Ydam, offerte agli Dei protettori della religione, e ai
fratelli in religione un eccellente pasto che aveva preparato. Al centro della nostra fila, il
lama mostrò le forme degli Ydam Hai Vajra, di Sambara dalla ruota e degli altri Ydam
mistici; (74) mostrò i simboli della campanella di diamante, della ruota preziosa, del loto,
della spada e gli altri simboli; le lettere "O", "Ah", e "Hum", bianca, rossa e azzurra; e
tutti i diagrammi luminosi, altrove invisibili. Poi disse:
«Queste cose sono delle trasformazioni apparenti, spontanee. Sebbene inutili, hanno qui
la loro ragione. Le ho mostrate per la partenza di Milarepa».
Quando vidi che il lama aveva la natura di un Buddha, fui colmato da una gioia immensa.
Pensai che alla fine delle mie meditazioni avrei dovuto saper fare anch'io delle
trasformazioni in modo simile.
Il lama mi chiese:
«Figlio, hai visto? Credi?».
Risposi:
«Ho visto. Non potrei non credere. Penso che alla fine delle mie meditazioni potrò fare lo
stesso».
«Figlio, è vero. Parti dunque. Giacché ti ho mostrato tutte le cose sotto forma di
fantasmagorie, prendile per tali. Rifugiati nella solitudine dei deserti delle nevi o delle
foreste. Nelle montagne solitarie, c'è il Monte-Sri-dalle-gloriose-solitudini, che è stato
benedetto dai più grandi santi dell'India. Vai lì per meditare. C'è il Ti-se nevoso, la
montagna di neve di cui ha parlato il Buddha e palazzo dell'Ydam Sakrasambara. Vai lì
per meditare. C'è il La-chi Kangra, che è il Guadavari, uno dei ventiquattro paesi. Vai lì

59
per meditare. C è il Ri-wo pal-bar del Mang-yul e lo Yol-mo Gang-ra del Nepal, che sono i
luoghi santi profetizzati nei Mahayana Sutra. Vai lì per meditare. C'è il Chrin-gi chu-bar,
luogo di riunione delle Tara che percorrono lo spazio, quando si riposano. Vai lì per
meditare.
Medita in ogni altro luogo deserto e propizio, e piantavi uno stendardo della perfezione.
A levante, ci sono anche i grandi luoghi santi Wi-Ko-ti e Tsa-ri riuniti. Il tempo di aprirli
non è venuto. In avvenire, vi si stabilirà la tua discendenza spirituale. Ma prima, vai tu
stesso a meditare in quei luoghi santi profetizzati. Se mediti, servirai il tuo lama,
dimostrerai la tua gratitudine a tuo padre e a tua madre, e farai la felicità delle creature.
Se non potrai meditare, non ti resteranno che le cattive azioni accumulate durante una
lunga vita.
Per questo, respingi il legame delle passioni della vita presente e, senza parlare a
chiunque si preoccupi di questa vita, non avere altro scopo che la meditazione». Mentre
diceva queste parole, le lacrime colavano dai suoi occhi. «Giacché noi, padre e figlio, non
ci rivedremo più in questa vita, io non ti dimenticherò. Neanche tu, non dimenticarmi. In
modo che, nell'aldilà, incontrandoci nel paradiso, la nostra gioia non avrà esitazione. Un
giorno la tua contemplazione urterà contro un ostacolo. Allora, guarda questo. Non
guardarlo prima».
Il lama mi diede un rotolo di carta sigillato con la cera. Mi impressi nel cuore queste
ultime parole del lama, così incoraggianti. In seguito, il ricordo di ciascuna di queste
parole servì a rafforzare la mia devozione. Infine, il lama disse:
«Padrona, prepara la partenza di Mila-Trofeo-di Diamante per domani mattina. E' giusto
essere tristi, così voglio accompagnarlo». E a me:
«Tu vieni a dormire vicino a me questa sera. Il padre e il figlio avranno ancora un
colloquio».
E dormii vicino al lama. Allora entrò la madre. Piangeva e si lamentava. Il lama le disse:
«Padrona, perché piangi? Per il fatto che egli ha ottenuto dal suo lama la formula della
tradizione orale e la mediterà nel deserto, c'è forse di che piangere? Quello che fa
piangere è il pensiero che tutte le creature potrebbero essere Buddha, e invece non lo
sanno e muoiono nel dolore; soprattutto il pensiero che, una volta giunte alla condizione
di uomini, muoiono senza ideale. Se è per questo che piangi, allora bisogna piangere
continuamente».
La madre rispose:
«Tutto questo è verissimo. Ma è difficile provare in continuazione simile pietà. Ora che il
figlio nato da me è in grado di diventare Buddha, tra lui e le creature ci sarà la
separazione della morte.
Mentre lui, pieno di fede, di fervore, di saggezza e dolcezza, il figlio che obbediva a tutto
ciò che gli si ordinava, assolutamente senza difetti, sta per lasciarci da vivo. Per questo,
non ho la forza di sopportare il mi dolore».
Dopo aver parlato così, raddoppiò i suoi lamenti. In quanto a me, ero soffocato dai
singhiozzi. Lo stesso lama versava lacrime. Maestro e discepolo, noi soffrivamo nel nostro
reciproco affetto, e i nostri pianti ci toglievano la parola.
L'aurora dell'indomani si levò. Portando con sé un buon viatico, tredici discepoli all'incirca
mi accompagnarono col Maestro per una mezza giornata di cammino. Durante questo
tempo, essi camminavano con la tristezza dei cuori che amano, dicendo parole affettuose
e mostrando un atteggiamento d'amore. Poi, su un colle da cui si poteva vedere la

60
Collina-della-Religione, ci sedemmo in cerchio per un sacrificio. E il lama, prendendo la
mia mano tra le sue:
«Figlio mio, tu vai nello Tsang Centrale. A Silma, nello Tsang, ci sono molte probabilità di
incontrare dei briganti. Avevo pensato di non lasciarti partire se non con un buon
compagno. Ma è venuto il momento che tu vada solo. Tuttavia, prego i venerabili Ydam e
ordino agli Dei protettori della religione di far sì che per strada mio figlio non incontri
incidenti. Da parte tua, è importante che tu stia in guardia durante il cammino. Da qui,
vai dal lama Gnogpa.
Confrontate le vostre formule e vedetene le differenze. Dopo, riparti immediatamente.
Non restare nel tuo paese più di sette giorni, e raggiungi poi subito il deserto. E' per il
bene tuo e di tutte le creature».
Io offrii al lama questo canto di partenza per lo Tsang: «O Signore Reggi-Scettro-Che-
non-Muta.
Per la prima volta come mendicante vado verso lo Tsang.
Per la prima volta come discepolo vado nel mio paese.
Per grazia del padre e signore lama, Sulla cima dei colli di Silma nello Tsang, Le dodici
Dee delle montagne mi verranno incontro.
A loro, potenti e benedette, rivolgo la mia preghiera:
"Ripongo la mia fiducia nei Tre Gioielli.
Ho la scorta degli Dei dei tre luoghi santi.
Camminerò con i Bodhisattva come compagni.
Ci sono le otto classi di Furie. (75) Senza temere le loro collere nemiche, Io vi porgo la
mia supplica.
Vogliate venirmi incontro e guidarmi.
Vogliate sviare da me i pericoli.
Vogliate proteggere il mio corpo, la mia parola e la mia anima.
Vogliate prendervi cura della realizzazione dei miei voti.
Vogliate iniziarmi al potere della Misericordia.
Vogliate rafforzarmi con la parola dei Tantra.
Concedetemi una vecchiaia senza malattia".
Tu che conosci le gioie e le pene del mendicante, Benedicimi, perché io abbia la forza di
andare nel deserto». Pregai così e il lama rispose:
«Figlio mio, così sarà. Conserva nella tua memoria, senza dimenticarle, le ultime parole
che vengono dal cuore del tuo vecchio padre».
Poi, dopo avermi posato la mano sulla testa, cantò questo canto: «Salute ai lama
venerabili.
Che mio figlio laborioso e religioso Giunga alla Bodhi eterna. Che i gustosi nettari delle
formule Vajra recitate Realizzino i presagi dei suoi corpi celesti di Bodhisattva. Che il suo
tronco Bodhisattva dalla radice spirituale Stenda lontano i suoi rami di Buddha incarnati.
(76) Che le parole di diamante del tuo lama Abitino il tuo cuore, mai dimenticate. Che la
benedizione dei divini Ydam Abiti la radice stessa della tua vita. Che il rifugio degli Dei
protettori della religione Ti custodisca, mai deserto. Che il voto della profezia segreta Sia
rapidamente realizzato. Che la pietà di tutti i religiosi Ti sostenga nel passato, presente e
futuro. Sul colle di Silma nello Tsang Le dodici Dee andranno a incontrarti. Domani, sul
tuo cammino, Gli Eroi divini ti esorteranno. Nel campo e nella casa amati della tua patria
C'è il "guru" delle illusioni effimere. (77) Tua zia, tua sorella e i parenti prossimi Hanno il
"guru" che distrugge l'illusione. (78) Nella grotta del deserto Muterai la trasmigrazione in

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liberazione. Nel monastero del tuo corpo La tua anima forte sarà il tempio dove si
riuniranno gli Dei giunti alla Bodhi. In buona salute, avrai come offerte e cibo Il nettare
preferito dagli Dei. La direzione dei veicolo magico Sarà per te la cultura del prezioso
frutto [della Bodhi]. In quel paese in cui tu ami poco la gente Sarai un eremita lasciato
innanzitutto in pace. Nella severa reclusione, senza un uomo, senza un cane, Avrai la
torcia per scorgere presto i segni. Senza viveri, avrai per nutrimento I resti incantati della
tavola degli Dei. Nel palazzo di cristallo degli Dei, che non conosce l'ombra, Avrai lo
spettacolo della tua propria vittoria. Dovrai realizzare l'opera pura dei tuoi voti Senza
testimoni, ma per i soli Dei. Nel coltivare l'adempimento dei miei ordini, Avrai la miniera
di tutte le realizzazioni. Nella dottrina, essenza della vita degli Dei, Avrai la frontiera che
separa la trasmigrazione dalla liberazione. I discepoli del "pandit" Marpa Beneficeranno
della loro elegante parola. La forza d'animo di Milarepa Avrà l'albero di vita della dottrina
di Buddha. Che il figlio di colui che ha l'albero di vita Sia chiamato a una bella
discendenza.
Che sia chiamato a essere lama Kadjupa.
Che abbia il segno di un buon Ydam.
Che sia destinato alla gioia dell'amore e della verità.
Che sia destinato a una santa dottrina.
Che sia segnato dall'essenza della vita divina.
Che sia segnato dagli Dei benevoli.
Che lo sia dagli Dei dei tre mondi. (79) Che sia segnato da un dio protettore della fede E
dalla dea Durgsol. (80) Che sia destinato ad avere buoni discepoli.
Che sia segnato per adempiere agli ordini.
Che la mia discendenza riceva e dia felicità.
Che la felicità non muti ma sia costante!
Non dimenticare questi voti e trattienili nella memoria». Così parlando, il lama mostrava
grande gioia. In seguito, la madre mi diede un buon viatico, una veste e stivali nuovi. Poi
disse:
«Figlio mio, queste cose sono soltanto beni materiali che io ti do come addio terrestre.
Poiché è la fine della nostra unione, della madre e del figlio, in questa vita, desidero che
tu parta in buone condizioni. Prego perché nell'aldilà ci possiamo ritrovare nel cielo beato
di Urgyen. (81) Come addio religioso, ti dico di non dimenticare queste parole che
vengono dal cuore di tua madre».
Mi diede un "kapala" e un vaso pieno di nettare. E cantò questo canto: «Mi prosterno ai
piedi di Marpa pieno di grazie.
O figlio mio, che hai la sopportazione dei forti E la fedeltà perseverante.
O tu, figlio fortunato, Il nettare del lama è un vino di saggezza.
Bevine a sazietà e assimilalo.
Possa tu, nei campi benedetti dell'aldilà, Riconoscere il lama e andare a lui. Senza
dimenticare tuo padre e tua madre Senza sosta invocali nei tuoi lamenti.
Il cibo delle formule che giovano al cuore, Mangiane a sazietà e assimilalo.
Possa tu, nei campi benedetti dell'aldilà, Riconoscere il lama e andare a lui. Senza
dimenticare tuo padre e tua madre pieni di grazie, Attingi coraggio nella gratitudine.
L'abito del respiro profondo degli Dei, (82) Indossalo con calore e assimilalo.
Possa tu, nei campi benedetti dell'aldilà, Riconoscere il lama e andare a lui. Senza
dimenticare le creature deboli, Mettile sul cammino della Bodhi.
Il grande veicolo che porta la dottrina spirituale, Amplialo e assimilalo.

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Possa tu, nei campi benedetti dell'aldilà, Riconoscere il lama e andare a lui. Figlio mio,
non dimenticare e trattieni nel cuore Le esortazioni della padrona fortunata.
Che tua madre le abbia sempre presenti alla mente.
E che noi, madre e figlio, accordando i nostri cuori, Nei campi benedetti dell'aldilà, Ci
possiamo riconoscere e andare l'uno all'altro!
Possa il mio voto essere realizzato!
Che la religione ti circondi dei suoi benefici!». Mentre parlava così, versava molte lacrime.
E tutti coloro che assistevano, piangendo nello stesso modo, mostravano un
atteggiamento di dolore. E io, prosternandomi ai piedi del padre e della madre, posai il
loro piede sulla mia testa. Chiesi la loro benedizione.
Facendo tutto il possibile per non guardare il lama in viso, partii camminando all'indietro.
Tutti coloro che assistevano, in pianto, mi guardavano e non osavano più andarsene.
Infine, senza aver guardato né il lama né la madre, mi voltai e partii, attraversai una
valletta e gettai uno sguardo indietro. Il lama e il suo seguito, sempre allo stesso posto,
formavano una massa scura. Mi chiesi se sarei tornato.
Ma feci tra me queste riflessioni: «Ho finito per ottenere le formule.
Non farò mai più, in nessun posto, opera profana. Potendo meditare nel punto più
elevato senza lasciare il lama, ho per giunta la certezza di ritrovarlo nei campi benedetti
dell'aldilà. Una volta che avrò visto la madre che mi ha generato, corpo e anima, potrò
tornare dal lama».
Questo pensiero pose fine alla mia tristezza, e mi rimisi in cammino.
Arrivai dal lama Gnogpa. Confrontammo le nostre formule. Come numero di parole, lui ne
aveva più di me. Come formule riassunte, eravamo pari. Ma come tradizione orale degli
Dei io lo superavo. Dopo esserci salutati ed esserci fatti gli auguri, partii per il mio paese.
Vi arrivai in tre giorni. (83) Pensai: «Anche in questo il respiro interno è fonte di gioia».
Ed ero fiero di me. "Così parlò Milarepa. Tale è il quinto capitolo, in cui egli ottenne tutte
le dottrine generali che desiderava; in cui fu incoraggiato dai significati dei suoi sogni; in
cui ottenne le formule della tradizione orale e lasciò il lama per andare nel suo paese.

CAPITOLO 6
"Allora Rechung chiese: «Maestro venerabile, quando giungesti nel tuo paese natale, le
cose stavano secondo il sogno oppure ritrovasti tua madre?». Il venerabile rispose:
«Come nel mio brutto sogno, non ebbi la gioia di rivedere mia madre». Allora Rechung
riprese: «Raccontaci, venerabile, come giungesti a casa tua e quale accoglienza ti fece la
gente del paese». E Milarepa continuò:" «Anzitutto incontrai, nella parte alta della
vallata, da dove potevo scorgere la mia casa, molti pastori. Fingendo ignoranza, chiesi
loro il nome dei poderi, chiesi quali ne fossero i proprietari. Mi risposero con esattezza.
Indicando, allora, la mia propria casa:
«E quel podere in basso, come si chiama? Come si chiama il suo proprietario?».
«Quella casa in basso si chiama Quattro-Colonnee-Otto-Travi. Di proprietari non ne ha,
nemmeno il più povero diavolo».
«Sono morti i suoi abitanti o hanno lasciato il paese?» domandai con maggior precisione.
«In altri tempi, il padrone di quella casa era molto ricco. Aveva un unico figlio e morì
prima del tempo, lasciando questo figlio ancora piccolo. Ma, contrariamente alle
disposizioni del testamento, i cugini, dopo la morte del padre, carpirono tutti i beni del
figlio.

63
Quando quest'ultimo fu adulto, in compenso del fatto che non gli furono restituiti i beni
reclamati, egli inviò dei sortilegi e la grandine, distruggendo questo paese».
«Tutti gli abitanti temono il suo dio protettore!» esclamai.
Avevo un gran desiderio di correre verso la mia casa e il mio campo.
Osavo appena guardarli, Il pastore continuò:
«In quella casa ci sono fantasmi, e il cadavere della madre di quel figlio. Una sorella che
egli aveva se ne è andata non si sa dove, abbandonando il cadavere della madre, ed è
scomparsa. Lui stesso, sarà forse morto? Non c'è neppure da domandarselo. Se un
eremita osa entrare in quella casa, vai tu stesso a vedere: si dice che ci sia un libro
santo».
«Quanto tempo è passato da tutti questi avvenimenti?».
«Sono circa otto anni che è morta la madre. Dei sortilegi e della grandine non resta che il
ricordo. Io l'ho sentito solo raccontare da altri».
In questo modo essi avevano paura del mio dio protettore.
Pensai che non avrebbero osato nuocermi. Ma la certezza che la mia vecchia madre era
morta, che mia sorella era errante, mi riempiva di dolore. Fino al tramonto del sole rimasi
nascosto a piangere. Quando il sole fu rosso, mi decisi a entrare nel paese.
Era proprio come nel mio sogno. Il campo era invaso dall'erbaccia. La casa e la cappella
erano piene di crepe. (84) Entrai. Pioggia e terra erano cadute sul «Tesoro-della-Legge».
Gli uccelli e i topi, che avevano ricoperto i libri dei loro escrementi, vi avevano fatto il
nido. A quella vista rimasi cogitabondo e il mio cuore si riempì di tristezza.
Entrai nella stanza centrale. I resti del fuoco, misti a terra, formavano un monticello su
cui spuntavano e crescevano delle piante.
C'erano molte ossa sbiancate e fragili. Capii che erano le ossa di mia madre. Al suo
ricordo, incapace di sopportarne il dolore, smarrito, la voce strozzata dalla commozione,
persi conoscenza.
Subito dopo, mi rammentai la dottrina del lama. Questo pensiero si unì al ricordo di mia
madre. Poi vi si unì anche la saggezza del lama Kadjupa. Allora preparai un letto per le
ossa di mia madre. Dopo, senza esser turbato un solo istante nel corpo, nella parola o
nel pensiero, rimasi in contemplazione. Seppi con certezza che mio padre e mia madre
erano liberati dal dolore della trasmigrazione.
Passarono sette giorni, e io uscii dalla contemplazione. Mi misi a riflettere: «Convinto del
nulla delle creature, farò fare un reliquiario per le ossa di mia madre e in pagamento
darò il libro di "Preziosa Costruzione". (85) Dopo, voglio raggiungere, vivo o morto, la
Roccia-Bianca-Dente-del-Cavallo e lì, senza distinguere il giorno dalla notte,
abbandonarmi alla contemplazione e uccidermi se mai dovessi pensare alle otto leggi del
mondo. (86) Se soccombo alla legge del desiderio, che gli Dei protettori della religione si
prendano la mia vita. Ne faccio terribile giuramento dal profondo del cuore».
Riunii le ossa di mia madre e i libri e, dopo averli ripuliti dal sudiciume della terra e dagli
escrementi d'uccello, resi loro omaggio.
Siccome le gocce di pioggia non avevano danneggiato molto i libri rimasti puliti, mi
caricai i volumi più importanti sulla schiena. E portando via le ossa di mia madre nel
lembo della veste, prostrato da un dolore senza limiti, penetrato del nulla delle creature,
cantai singhiozzando questo canto sull'essenza delle cose: «O Signore misericordioso
Che-non-Muta.
Secondo gli ordini del traduttore Marpa, Nella mia patria, prigione dei demoni, Ho trovato
il maestro che insegna le illusioni effimere.

64
Che questo stesso maestro eccellente Mi benedica affinché io m'imbeva di queste verità.
Tutte le leggi del mondo visibile Sono effimere e fragili.
A parte questo, tutto ciò che appare nel mondo della trasmigrazione è nulla.
Poiché ho compiuto opera illusoria Ora compirò opera religiosa e reale. Dapprima,
quando io avevo un padre, lui non mi aveva come figlio.
Quando lui ebbe un figlio, io non ebbi più padre.
Il nostro incontro fu illusione.
Io, figlio, praticherò la legge della realtà.
Andrò a meditare nella Roccia-Bianca-Dente-del-Cavallo. Quando io avevo una madre, lei
non mi ebbe come figlio.
Ora che io sono venuto, la mia vecchia madre è morta.
Il nostro incontro fu illusione.
Io, figlio, praticherò la legge della realtà.
Andrò a meditare nella Roccia-Bianca-Dente-del-Cavallo. Quando io avevo una sorella, lei
non aveva fratello.
Ora che suo fratello è venuto, lei va errando.
Il nostro incontro fu illusione.
Io praticherò la legge della realtà.
Andrò a meditare nella Roccia-Bianca-Dente-del-Cavallo. Quando avevo dei libri santi,
non tributavo loro alcun culto.
Ora che il culto è tributato loro, la pioggia li colpisce a goccia a goccia.
Il nostro incontro fu illusione.
Io praticherò la legge della realtà.
Andrò a meditare nella Roccia-Bianca-Dente-del-Cavallo. Quando io avevo una casa, essa
non aveva padrone.
Ora che il padrone è venuto, essa è in rovina.
Il nostro incontro fu illusione.
Io praticherò la legge della realtà.
Andrò a meditare nella Roccia-Bianca-Dente-del-Cavallo. Quando io avevo un campo
fertile, esso non aveva padrone.
Ora che il padrone è venuto, esso è invaso dall'erbaccia.
Il nostro incontro fu illusione.
Io praticherò la legge della realtà.
Andrò a meditare nella Roccia-Bianca-Dente-del-Cavallo. Patria, casa, campo paterni
Appartengono a un mondo senza realtà.
Chiunque li vuole li prenda.
Eremita, vado a cercare la liberazione.
O Padre pieno di grazia, dottore Marpa, Benedici il mio ritiro nel deserto». Dopo aver
cantato così il mio dolore, partii verso l'abitazione del maestro che in altri tempi mi aveva
insegnato a leggere. Era morto.
Allora offrii a suo figlio i volumi più importanti della «Preziosa- Costruzione», e gli dissi:
«Ti offro dal primo all'ultimo questi libri santi. Consacra degli "stupa" (87) di terra alle
ossa della mia vecchia madre».
Egli rispose:
«Non desidero che il tuo dio protettore accompagni il tuo libro. Ti aiuterò solo a costruire
gli "stupa"».
«Il mio dio protettore non seguirà i miei doni».

65
«Allora va bene» disse.
E aiutato da me, fece degli "stupa" con le ossa di mia madre. (88) Eseguimmo le
cerimonie di consacrazione e, dopo aver deposto le ossa in uno "stupa", mi preparai ad
andarmene.
Il figlio del mio maestro disse:
«Giacché ti ho servito del mio meglio, resta qui qualche giorno».
Risposi:
«Non ho tempo per discorrere. Mi preme meditare».
«Allora resta per questa sera. Partirai domani e ti darò il tuo viatico».
Restai. Allora lui continuò:
«Quando eri giovane, vincesti i tuoi nemici per mezzo della magia. Ora che sei nel vigore
degli anni, la religione che professi è meravigliosa. In futuro diventerai un grande santo.
Da quale lama, quali formule hai ottenuto?».
Tali sono le domande precise che venne a farmi. Risposi:
«Ho ottenuto la dottrina "Perfettissima". Ma soprattutto, ho incontrato Marpa».
«Straordinario! Se è così, sarebbe bene che tu rimettessi a posto la tua casa in rovina,
che sposassi Dzesse e che continuassi la storia del tuo lama».
Risposi:
«Il lama Marpa ha preso moglie per il bene delle creature. Ma io non ho né l'intenzione
né il mezzo di agire in simile modo. E' come se una lepre volesse saltellare sulle tracce di
un leone. Cadrebbe nell'abisso e sarebbe sicura di morire. Afflitto dalla trasmigrazione del
mondo, non ho mai avuto altro pensiero che meditare i precetti del lama. E la base
stessa del suo insegnamento è che questa meditazione sia fatta nel deserto. Ed è in
questo modo che continuerò la sua storia. Solo la mia meditazione lo soddisferà. Essa
sarà di giovamento alla dottrina e alle creature. Essa salverà anche mio padre e mia
madre. E realizzerà il mio proprio fine. Non so fare nient'altro che meditare e non farò
nient'altro.
Io non ho altro pensiero. Sono tornato nel mio paese dove i miei parenti avevano avuto
casa e residenza. Poiché il resto dei miei beni è scomparso, ho concepito il desiderio di
meditare, e questo desiderio brilla nel mio petto come una lampada accesa. Gli altri non
hanno conosciuto sventura simile alla mia. Per quelli che non pensano al dolore della
morte e degli inferi, la legge della felicità è sufficiente. Ma io, io sono incalzato dal
pensiero di giungere alla rinuncia del cibo, delle vesti e della parola. Tali sono le mie
ragioni».
E scosso dai singhiozzi, cantai questo canto: «Mi prosterno ai piedi di Marpa incarnato.
Benedici il mendicante che rinuncia.
Ahimè, ahimè! Miseria, miseria!
Quando penso a coloro che si abbandonano alle leggi del mondo, Sono invaso dalla
tristezza; Agire con loro smuove il fondo stesso del dolore; Mescolarsi a loro precipita nel
fondo stesso della trasmigrazione.
Tale è la tristezza di queste tribolazioni.
Cosa fare, cosa? Fuori della religione, nulla è bene.
O Signore Reggi-Scettro-che-non-Muta.
Benedici il mendicante che va nel deserto.
Verso la città dal miraggio effimero, Fu lungo il cammino del viaggiatore su cui si innalzò
il mio dolore.

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Nella vallata che circonda la Pianura Centrale mirabile, Le mie greggi, la mia ricchezza
sono l'erba di cui si nutrono le capre; Oggi essa è preda degli esseri egoisti.
Anche questo è un esempio di miraggio effimero.
Quest'esempio mi farà praticare l'ascetismo.
La stanza centrale di Quattro-Colonne-e-Otto-Travi E' oggi simile alla mascella superiore
del leone. (89) La mia torre a quattro angoli, quattro mura e nove pinnacoli, E' oggi
simile all'orecchio di un asino.
Anche questo è un esempio di miraggio effimero.
Quest'esempio mi basta per ritirarmi nel deserto. Il mio fertile campo Triangolare-Horma
E' oggi diventato una distesa di giunchi.
I miei vicini, i parenti prossimi, i cugini, Oggi si sono levati nemici per farmi la guerra.
Anche questo è un esempio di miraggio effimero; Quest'esempio mi basta per ritirarmi
nel deserto. Il mio buon padre Mila-Trofeo-di-Saggezza Oggi non è più. Di lui non resta
più traccia.
Mia madre Figlia-di-Nyang-Bianca-Ghirlanda Non è più che uno scheletro consunto.
Anche questo è un miraggio effimero.
Quest'esempio mi basta per ritirarmi nel deserto. Il Sacrificatore Centomila-Gioielli-divini
(90) E' oggi servo degli uomini. Il libro santo "Tesoro-della-Legge" Oggi serve da nido ai
topi e ai sorci.
Anche questo è un esempio di miraggio effimero.
Quest'esempio mi basta per ritirarmi nel deserto. Mio zio e vicino Svastika-Trofeo-di-
Vittoria E' oggi rimasto mio furente nemico.
Mia sorella Peta-Protettrice-Fortunata Non ha rifugio di cui si possa ritrovare la traccia.
Anche questo è un esempio di miraggio effimero.
Quest'esempio mi basta per ritirarmi nel deserto.
O Signore Misericordioso-Che-non-Muta, Benedite il mendicante che si ritira nel deserto».
Così cantai queste strofe piene di dolore. Il figlio del mio maestro, meravigliato, esclamò:
«E' proprio vero!». Ed emetteva profondi sospiri. Sua moglie, che era lì, piangeva
abbondanti lacrime. E così che, lasciando vedere quale fosse lo spettacolo che aveva
avuto del mio paese, senza ambagi davo libero sfogo alle mie promesse di praticare la
meditazione. Ma perché ne avevo sempre conservato il desiderio nel cuore non dovevo
pentirmi di non aver ancora meditato. "Cosi parlò Milarepa. Tale è il sesto capitolo, in cui,
di nuovo illuminato sul nulla del mondo, fece voto sincero di meditare."

CAPITOLO 7
"Allora Rechung domandò: «In quale luogo innanzitutto il Maestro ha cominciato la sua
opera di mortificazione e ha esercitato l'ascetismo?
E Milarepa continuò:" L'indomani mattina, il figlio del mio maestro mi disse:
«Prendi questo come dono di viveri per il tuo ritiro e conserva in fondo al cuore il nostro
ricordo».
Mi diede un sacco di farina e condimenti eccellenti. Per meditare, mi ritirai in una grotta
della montagna situata dietro la mia casa.
Siccome risparmiavo i viveri, il mio corpo si indeboliva. Comunque, potei resistere a
parecchi mesi di ardente meditazione.
Ma quando ebbi esaurito i viveri e non ebbi più niente da mangiare, non potei resistere a
lungo.

67
E pensai: «Mendicherò i condimenti dai pastori dell'alta vallata e i cereali nelle coltivazioni
della valle bassa. Consumandoli lentamente, bisognerà che io continui la mia
meditazione». E andai a mendicare dai pastori.
All'entrata di una tenda, pregai:
«Vogliate far l'elemosina di condimenti a un eremita».
Ero capitato nell'accampamento di mia zia (Che-rivaleggia-in-Gloria).
Quando essa mi ebbe riconosciuto, cominciò, furiosa, a incitare i suoi cani! Mi difesi a
colpi di pietre e di bastone. Allora mia zia, prendendo un piolo da tenda, mi gridò:
«Figlio degradato di un eccellente padre, disonore della tua famiglia, demone distruttore
del tuo paese, che cosa vieni a fare qui? Un simile figlio per un padre così buono!».
Così parlando, mi minacciava. Io indietreggiai. Ma ero dimagrito e senza forze. Urtai
contro una pietra e caddi in un pantano pieno d'acqua. E benché fossi vicino a morire, la
zia inveiva. Feci il possibile per rialzarmi. E, appoggiandomi sul bastone, cantai a mia zia
questo canto: «Mi prosterno ai piedi di Marpa pieno di grazie.
Nel mio paese di Karun-dalle-Erbe-Cattive, Noi abbiamo, madre e figli, come nemici i
parenti; Siamo come delle fave disperse da un bastone.
Zio e zia, ci avete dispersi voi?
Riflettete! Mentre erravo mendicando in capo al mondo, Mia madre è stata uccisa dalla
spada del dolore.
Mia sorella è partita alla ventura per mendicare cibo e vesti.
Siccome non avevo rinunciato all'amore di mia madre e mia sorella, Sono tornato nella
prigione che è la patria.
Ho trovato morta la mia amata madre E la mia miserabile sorella va errando ai confini
della terra. Tristezza e amarezza traboccano dal mio seno.
Questo dolore della madre e dei figli, O voi, cugini, non vi siete messi d'accordo per
affliggercene?
Ma è questo intollerabile dolore Che mi ha richiamato alla vita religiosa.
Mentre meditavo in assoluto ritiro Le sentenze di Marpa pieno di grazie, Il mio corpo,
illusione dei sensi ingannati, fu privato di cibo.
E quando sono andato a mendicare, Simile a un insetto morente all'entrata di un
formicaio, Sono giunto davanti alla porta di mia zia.
Come messaggero, essa m'inviò un cane carnivoro; E io mi battei con un corpo
indebolito.
Le sue imprecazioni, cattive parole e maledizioni Fecero traboccare di dolore il mio cuore.
Armata di un piolo come bastone, Tormentò il mio corpo malato di sofferenze.
Benché io sia vicino a perdere la vita; Benché abbia il diritto di essere il più adirato, Io
adempirò gli ordini del lama, O Zia, placa la tua collera, E fammi elemosina di viveri per il
mio ritiro.
O nobile Marpa, Signore Misericordioso, Benedici il tuo discepolo e placa la sua collera».
Così cantai questi armoniosi lamenti. Una figlia di mia zia, che la seguiva, piangeva. La
stessa zia era vergognosa e tutte e due rientrarono nell'accampamento.
La zia consegnò per me alla fanciulla una forma di burro e un pugno di formaggio
invecchiato ridotto a farina. Andai a mendicare nelle altre tende. Non c'era nessuno che
conoscessi. Ma tutti sapevano chi ero io.
Ognuno mi guardò con curiosità e mi diede una buona elemosina.
Portando con me la mia colletta, corsi via.

68
Sapendo che lo zio avrebbe fatto come la zia, pensai tra me: «Devo dunque evitare di
andare dalla sua parte». Ma andando a chiedere l'elemosina ai paesani della vallata di
Tsa, (91) giunsi alla porta della casa dove mio zio si era da tempo trasferito.
Questi mi riconobbe.
Benché simile a un vecchio cadavere, mi gridò: «To', ecco quello che ti ci vuole!».
E mi lanciò una pietra micidiale che mi sfiorò. A mia volta, riconobbi lo zio e fuggii. Egli
lanciava pietre con tutte le sue forze e io continuai a fuggire. Mio zio tornò con l'arco e le
frecce:
«Figlio snaturato! Disonore dei tuoi! Non hai tu causato la rovina del tuo paese? Tutti gli
abitanti ti cacceranno a forza. Vattene in fretta».
Così parlando, mi lanciava frecce. Alcuni giovani del paese cominciarono anche loro a
gettarmi pietre. Ma, poiché tutti, senza eccezione, temevano gli effetti dei miei sortilegi,
mi venne l'idea di minacciarli. E gridai:
«Padre lama Kadjupa! Oceano santo che bevi il sangue! I nemici dell'eremita dedito alla
religione sono arrivati. Torna in mio aiuto.
Se io muoio, non morirà il mio protettore».
Allora, spaventati, gli uomini afferrarono mio zio e, diventati miei partigiani, si fermarono.
Quelli che avevano lanciato pietre si scusarono con dei doni. Solo mio zio non volle dar
nulla. Tutti gli altri abitanti mi portarono ciascuno la sua elemosina. Ma poiché la mia
permanenza nel paese avrebbe addensato in loro la collera, decisi di andarmene.
La sera, feci un sogno che mi presagiva un evento favorevole se mi fossi fermato qualche
giorno. Rimasi dunque alcuni giorni, e Dzesse venne a sapere del mio arrivo nel paese.
Essa venne a trovarmi, portando viveri e birra eccellente. Quando me li ebbe consegnati
si mise a piangere. Mi raccontò come fosse morta mia madre, come mia sorella fosse
andata errando. E anch'io, prostrato dal dolore, versai molte lacrime.
Le dissi:
«Perché, da allora, non ti sei ancora sposata?».
Rispose:
«Avevano paura del tuo dio protettore, e nessuno mi ha voluta. Ma anche se qualcuno mi
avesse chiesta, avrei rifiutato. Il fatto che tu sia entrato in religione è una cosa
meravigliosa. Che cosa farai della casa e del campo?».
Compresi il suo pensiero e dissi tra me: «Se non mi sono sposato, è per grazia del
traduttore Marpa. Dal punto di vista religioso, posso dire una buona preghiera. Ma dal
punto di vista terreno, bisogna che dica a Dzesse una parola di rassegnazione». E le
dissi:
«Se ritrovo mia sorella, le darò la casa e il campo. Nell'attesa, disponi tu del campo. Se
diventerà certo che mia sorella è morta, prenditi la casa e il campo».
«Ma tu, non li vuoi dunque più?».
«In quanto a me, il mio nutrimento ascetico sarà quello dei ratti di campagna e degli
uccelli; non ho quindi bisogno del campo. La mia dimora sarà una caverna deserta; non
ho quindi bisogno di casa. Si fosse anche padroni dell'universo, al momento di morire si
deve lasciare tutto. Se vi si rinuncia fin da ora, si vive sempre sereni.
Per questo rifuggo dal commercio degli uomini. Per questo non sperare nulla da me».
Essa mi rispose:
«Allora, voi uomini religiosi, rinunciate tutti al mondo?».
«Prima di tutto, si comincia col riporre la propria speranza nei beni del mondo. Si
studiano dei libri. Poi, si è contenti dei propri successi e ci si rallegra delle sconfitte altrui.

69
Si porta il nome dei monaci più famosi e più ricchi di tesori accumulati. Si indossa la
veste gialla. Tali sono quelli che io evito, che sempre eviterò.
Ma quelli che fanno altrimenti, seguendo la loro propria regola e all'opposto dei primi,
costoro vanno d'accordo con me, e non saprei voltar loro la schiena. Ma quelli che non
approvo, li fuggo».
«Ma io non ho ancora mai visto monaci peggiori dei monaci mendicanti come te. A quale
Grande Veicolo appartiene questa regola?».
«E' la regola del migliore di tutti i veicoli. E' chiamato il Veicolo- dell'-Annullamento-delle-
Otto-Leggi-per-giungere-alla-Bodhi-fin-da- questa-vita».
Dzesse ribatté:
«E' vero che tu volti la schiena a quelli che agiscono nel modo che hai detto. Ma uno dei
due modi deve essere sbagliato. Se sono veri ambedue, preferisco quello degli altri».
«Io non amo la tua legge dell'amore del mondo. Sebbene io, e coloro che condividono la
mia dottrina, indossiamo la veste bruna, siamo sottomessi a una piccola parte delle otto
leggi del mondo. Anche senza questo, si raggiunge la Bodhi con una rapidità o una
lentezza inconcepibili, che tu non puoi sapere. Perciò, se puoi, pratica la religione. Se non
puoi, vai e prendi possesso della mia casa e del mio campo come una volta».
Dzesse rispose:
«Non voglio né la casa né il campo. Fanne dono a tua sorella. Io praticherò una dottrina
religiosa. Ma non posso seguire una dottrina come la tua».
Disse e se ne andò.
La zia venne a sapere che non facevo più conto del campo e della casa.
Poi passò qualche giorno. Allora essa fece questa riflessione:
«Giacché egli ha detto che agirà seguendo l'ordine del suo lama, non potrò avere io
questo campo?».
Venne a trovarmi, portandomi "tsampa", birra, condimenti e legumi. Mi disse:
«L'altro giorno ho agito senza sapere che cosa dicevo. Ma poiché mio nipote è un uomo
di religioso che mi perdoni. Ora io, tua zia, irrigherò il tuo campo e ti porterò di che
sopravvivere».
Risposi:
«Ebbene, che mia zia mi porti ogni mese un sacco di farina. Che tenga per sé quello che
avanza e acquisti il campo».
«Farò così».
Per soli due mesi mi consegnò la farina com'era convenuto. Poi venne e mi disse:
«Tutti dicono che, se coltivo il campo, il dio protettore di mio nipote farà malefizi contro
di noi. Forse non ne farà».
Risposi:
«Perché dovrebbe farne? Giacché egli è favorevole, che mia zia tenga il campo e mi porti
di che sopravvivere».
«Allora, dato che per mio nipote è indifferente e a me sarà gradito, che mio nipote presti
giuramento».
Non sapevo quale fosse il suo pensiero. Ma riflettei che far piacere ad altri fosse
conforme alla dottrina e prestai giuramento. Allora, tutta contenta, mia zia se ne tornò
via.
Dopo che ebbi concentrato le mie forze spirituali, poiché non riuscivo a mettermi nello
stato beato di calore interiore favorevole alla meditazione, e mentre mi chiedevo quello
che bisognasse fare, una sera ebbi il seguente sogno: aravo una striscia del mio campo.

70
La terra era arida e mi domandavo se avrei smesso. Allora il Reverendo Marpa mi
apparve nel cielo e mi disse:
«Figlio mio, rafforza la tua volontà, abbi coraggio e ara il campo. E avanzerai attraverso
la terra arida e dura».
Così parlando, Marpa mi guidava e io aravo. Allora spuntò una messe fitta e abbondante.
Mi svegliai pieno di gioia e pensai: «Se gli stessi pazzi non prestano fede all'insanità dei
loro sogni, sarò io più insensato dei pazzi?». Pensai tuttavia che quello fosse il presagio
della virtù generata da una meditazione efficace e cantai queste riflessioni sul significato
del mio sogno: «Io ti prego, Maestro pieno di grazie.
Benedici il mendicante perché compia il suo ritiro nel deserto.
Tu hai fecondato con fede vigorosa La mia via attraverso il campo dell'uguaglianza di
ogni cosa; E hai seminato la semenza di un'anima bianca e pura.
Il terribile tuono della tua preghiera rumoreggia.
E la pioggia delle tue benedizioni cade senza sforzo.
Con la coppia di buoi, senza esitazione, Mi fai intendere di arare con i miei mezzi e la mia
saggezza.
Tuo figlio, senza attenzione per le illusioni, Con ostinazione tiene l'aratro.
Con zelo e ardore terribili fa schioccare la frusta, E rivolta il campo delle cinque miserie
della corruzione. (92) Egli getta via le pietre dell'egoismo E corregge tutti gli errori.
Taglia le spighe, frutto delle sue opere, E raccoglie la messe della propria storia.
E riempie del frutto delle formule Un granaio vuoto di provviste.
E l'eccellente grano abbrustolito e macinato per gli Dei Sarà il mio nutrimento di asceta
solitario.
Tale è la spiegazione del mio sogno.
Ma le parole non possono esprimere il senso profondo delle cose.
Il pensiero lo concepisce appena.
Possano i futuri Bodhisattva Meditarlo con tutta la potenza della mente. (93) Avendo
concentrato fortemente la loro austera energia, Attraverso una difficile meditazione
otterranno il successo più raro.
I monaci, figli di questi Bodhisattva, Mediteranno senza ostacoli». Dopo aver pronunciato
queste parole, decisi di andare a meditare nella caverna Roccia-Bianca-Dente-del-Cavallo.
Lo stesso giorno, mia zia mi portò tre carichi di farina, un mantello di pelliccia usato, una
veste completa di buona tela e condimenti di burro misto a grasso. E mi disse:
«Ecco il prezzo del tuo campo. Portatelo via, ma cerca di andare in un paese che i miei
occhi non abbiano mai visto, di cui le mie orecchie non abbiano mai sentito parlare.
Altrimenti, ecco quello che succederà: tutti gli uomini del paese mi hanno detto: "Ma
come! Dopo la sciagura causata da Buona-Novella, sei tu che lo mantieni! Se vuole
uccidere anche i sopravvissuti, vi faremo morire tutti e due". Per questo, sarà meglio che
mio nipote fugga in un altro paese. In ogni caso, se non parti, non avranno alcun motivo
di uccidere me. Ma per quanto riguarda mio nipote, non esiteranno a ucciderlo».
Pensai tra me: «Certamente, gli uomini del paese non hanno detto questo. Ma
supponiamo che io non agisca secondo la religione: come considerazione generale, io
non ho giurato di non fare sortilegi contro chi mi rapisce il campo. Più in particolare, il
giuramento di un eremita è un sogno senza realtà. Niente mi impedirebbe di rovesciarti a
gambe all'aria. Ma non farò così. E poi, come si potrebbe esercitare la propria pazienza
senza un motivo di collera? Se io morissi questa sera, che cosa ne farei di tutto questo e
del mio campo?

71
E' detto che la pazienza è il mezzo migliore per ottenere la Bodhi. Il sostegno della mia
meditazione è mia zia. Lo devo allo zio e alla zia se sono entrato in religione. A
testimonianza della mia riconoscenza, io non cesserò di pregare perché abbiano accesso
alla Bodhi. Così, in questa vita, posso pure dar loro non solo il campo ma anche la casa».
Ed esprimendo il mio pensiero ad alta voce, dissi a mia zia:
«Siccome non voglio far nulla che non sia conforme alle istruzioni del mio lama per
diventare Bodhisattva su questa terra, prenditi, zia, non solo il campo ma anche la casa».
E cantai questo canto: «Grazioso maestro lama, che conosci le gioie e le pene del
mendicante che va nel deserto.
Stanco della fatica della trasmigrazione universale, Se io me ne insudicio, spezzo l'arteria
vitale della liberazione. L'agricoltura è opera di peccato.
Se io mi ci dedico, patirò i dolori dell'inferno. L'amore per la famiglia è una fortezza di
demoni.
Se io la costruisco, sarò sprofondato in un braciere. I beni di colui che li tesaurizza
Saranno preda dei suoi propri nemici. Il tè e la birra tanto bramati sono veleni potenti.
Se io ne bevo, spezzo l'arteria vitale della liberazione. II prezzo pagato per il mio campo
è il bene dell'avarizia, Se io lo mangio, rinascerò nell'inferno degli affamati. I discorsi di
mia zia sono la voce della collera.
Se io usassi lo stesso linguaggio, ci distruggeremmo l'un l'altro. Zia, prendi la mia casa e
il mio campo. rendili e sii felice. Con questo dono religioso sarai al sicuro dalla
maldicenza, E io andrò a meditare nel tempio ideale. E' con la misericordia che io nuoccio
ai demoni.
Il male è gettato al vento.
Il bene guarda verso l'alto. O grazioso signore Che-non-Muta, Benedici il mendicante
perché abbia la forza di andare nel deserto». Siccome cantavo così, la zia rispose:
«Mio nipote è ciò che si dice un buon religioso. Ne sono molto lieta».
E tutta contenta, se ne ando. Allora, turbato da questo avvenimento, fui oppresso da una
terribile tristezza. Nello stesso tempo, ero lieto della certezza per quanto riguardava la
mia casa e il mio campo. Di nuovo pensai di andare a meditare alla Roccia-Bianca-Dente-
del- Cavallo, come mi dettava il cuore. Siccome la grotta in cui mi trovavo era il luogo in
cui fondai la mia rinuncia, la chiamai Grotta-della- Fondazione. L'indomani mattina, presi
con me l'equivalente del campo e alcune altre piccole cose che mi restavano. Arrivai alle
grotte della Roccia- Bianca-Dente-del-Cavallo senza che nessuno ne venisse a
conoscenza.
Nel Dente-del-Cavallo c'era una grotta piacevole dove mi fermai. Come tappeto per la
meditazione, disposi a terra una piccola stuoia rigida, e lì stabilii la mia dimora. Feci voto
di non scendere in un luogo abitato. Finché non avessi raggiunto lo stato di spiritualità,
(94) non dovevo scendere per assaporare il cibo datomi per carità, né quello offerto ai
morti, anche se in quel deserto fossi morto di fame.
Non dovevo scendere per vestirmi, anche se fossi morto di freddo. Non dovevo provare
alcun turbamento, anche se fossi morto di tristezza.
Non dovevo scendere per cercare un medicamento, anche se fossi morto di malattia. Ma,
senza tremare davanti all'opera di questa vita, sarei diventato Buddha con il corpo, la
parola e il pensiero.
«O lama Ydam, benedicimi perché io adempia tutte queste promesse. Che gli Dei
protettori della religione esercitino il loro potere.

72
Piuttosto che violare i miei giuramenti, possa il mio corpo d'uomo, negligente del proprio
dovere, aver la fortuna di morire; e l'Oceano dei santi voglia spezzare subito la mia vita
di spergiuro. Che nella mia prossima vita il lama Ydam mi faccia incontrare la religione e
mi benedica affinché io rinasca con un corpo d'uomo capace di diventare Buddha».
Dopo aver pronunciato questi voti, cantai questo canto di promesse e preghiere: «O
Figlio del Signore Naropa, benedici il mendicante Perché nel deserto compia il cammino
della liberazione. Accresci la profondità della mia meditazione, Al riparo dall'agitazione del
mondo. Possa io non essere soddisfatto del lago beato dell'incoscienza.
Ma che in me nascano i fiori dell'illuminazione. Che sotto l'irrequietezza dei desideri, Io
veda moltiplicarsi le foglie della mia impassibilità. Che il dubbio non abiti la mia cella.
Ma che maturi il frutto della certezza. Senza che i demoni possano ostacolarmi, Che la
fede governi la mia mente. Che, senza esitare sulla strada delle risorse, Il figlio la
percorra tutta sulle orme del padre. O Signore Compassionevole-che-non-Muta, Benedici
il mendicante perché, nel deserto, raggiunga la perfezione. Dopo aver pregato così, mi
sostentai col solo profumo della farina che avevo scaldata, (95) ed entrai in meditazione.
Sebbene pieno di fiducia nella grande Mudra, (96) non riuscii a controllare il mio respiro a
causa dell'indebolimento del corpo; nessun calore interiore mi riscaldò, e sentii un freddo
intenso.
Allora rivolsi una pressante preghiera al lama e, una sera, mi apparve una luce celeste.
Una voce mi disse: «Marpa ti ha esaudito». Un cerchio di fanciulle era intorno a me:
«Ebbene, Milarepa, se non senti un caldo ardore, attiva gli speciali poteri del corpo, della
parola e della mente, così come te l'ha insegnato Marpa».
Dissero queste parole, e mi mostravano il cerchio magico. Allora cercai il benessere del
corpo nella posizione accoccolata che riunisce i sei fuochi interiori. (97) Cercai la maniera
esatta di pronunciare le parole realizzando le condizioni di una respirazione regolatrice.
Cercai la serenità della mente realizzando le condizioni dell'affrancamento di me stesso
che dominano l'immaginazione. Ben presto, il calore interiore cominciò a invadermi. Poi
trascorse un anno.
Mi venne allora il desiderio di andare a rivedere il paese e di prendere aria. Mi preparai a
uscire. Ma mi rammentai del mio voto di un tempo, e rivolsi a me stesso i colpi di frusta
di questo canto: «O Incarnazione di Marpa Reggi-Scettro.
Benedici il mendicante perché compia il suo ritiro nel deserto. Milarepa, o superbo, non
hai che i tuoi propri consigli.
E non c'è più nessuno che ti parli da amico. Guarda. La vallata dei desideri è una vallata
deserta.
Scaccia il dolore. L'oggetto dei tuoi desideri è un miraggio. Non distrarre la tua mente,
non la distrarre, ma resta dove sei.
Se la distrai, richiamerai tutte le tue pene. Non tentennare, non tentennare, ma rafforza
la tua mente.
Se esiti, la tua meditazione sarà dispersa dal vento. Non partire, non partire, ma premi il
tuo letto di pace.
Se parti, il tuo piede urterà contro una pietra. Non volgere la testa, non volgerla, ma
abbassala.
Se volgi la testa, andrai alla ventura e senza scopo. Non addormentarti, non
addormentarti, ma medita.
Se ti addormenti, i cinque veleni della corruzione ti affliggeranno». Dopo essermi
flagellato in questo modo, meditai senza distinguere il giorno dalla notte. Crescevo in

73
santità, e trascorsero così ancora tre anni. Ogni anno avevo consumato uno dei miei
carichi di farina. E se non avessi avuto più niente per continuare a nutrirmi, la mia vita
sarebbe finita. Gl uomini del mondo, se trovano uno o due decimi d'oncia d'oro e se,
dopo essersi rallegrati, giungono a perderlo, si disperano.
Questo non è neppure da paragonare alla morte senza aver'ottenuto la Bodhi. Perché
una vita che conduce alla Bodhi è più preziosa di un mucchio di tremila once d'oro. E mi
chiesi che cosa fare: se violare il giuramento di un tempo o se continuare a meditare, a
costo di morire. E mi dissi: «Non scenderò in un paese abitato. Anche se per un fine
religioso, non violerò il mio giuramento. Ma è necessario che cerchi qualche cibo da
asceta».
E uscii di fronte alla Roccia-Bianca. Lì, il sole era caldo e c'era dell'acqua eccellente.
Crescevano molte ortiche. Il sito era aperto e la vista si estendeva lontano. Con gioia mi
ci trasferii.
Sostentandomi con delle ortiche, rimasi lì e continuai la mia meditazione. Le ortiche mi
procuravano un riparo per l'esterno del corpo; per il nutrimento interno, mi davano una
farina senza sapore.
Così che il mio corpo diventò simile a uno scheletro e prese il colore dell'ortica. Quando
anche il mio pelo fu verde, presi lo scritto che mi aveva dato il lama e me lo posi sulla
testa. Da quel momento, sebbene senza mangiar nulla, mi sentii il ventre pieno e in
bocca il sapore degli alimenti. Mi venne l'idea di rompere il sigillo dello scritto e guardare.
Ma un segno mi avvertì di non aprire, e lasciai stare lo scritto. Poi trascorse circa un
anno. Dei cacciatori del mercato di Kirang, che non avevano ucciso animali, giunsero in
quel luogo. Come prima cosa, vedendomi, esclamarono: «E' uno spettro!». E fuggirono.
Spiegai loro che ero un uomo e un eremita.
«Non sembra,» dissero «è meglio andare a vedere».
E, tornati indietro, invasero la grotta. Mi chiesero:
«Dove sono le tue provviste? Allungacele. In seguito te le restituiremo in natura e con
profitto. Se rifiuti, ti uccideremo». E dicendo queste parole mi minacciavano.
«Io non ho niente da mangiare» dissi loro. «Per vedere se ho da mangiare, sollevate
dunque l'eremita. Non temo che mi derubiate».
«Non ti deruberemo. Che cosa succederebbe se sollevassimo l'eremita?».
«Ne avreste del bene».
«Allora solleviamolo».
Dopo avermi afferrato al petto, a turno mi fecero cadere più volte per terra. Nonostante
che il mio corpo, dedito all'ascetismo, fosse malato, provai per loro una terribile e
intollerabile pietà. Versai delle lacrime.
Uno dei cacciatori, che era rimasto senza farmi del male, disse agli altri:
«Ehi! voialtri! Quest'uomo è un grande santo. Anche se non lo fosse, dopo quanto fate a
un uomo così magro, una persona comune non vivrebbe. Non è lui il responsabile della
nostra fame. Non agite così!» E a me disse: «Ammiro moltissimo gli eremiti. Siccome io
non ti ho causato dolore, pensa a me nelle tue preghiere».
Gli altri dissero:
«E noi, che ti abbiamo sollevato, proteggi anche noi».
Il primo disse ancora:
«Sì, ma ci sono diverse maniere di proteggere. Ve lo garantisco io». E scoppiando a
ridere, se ne andò. Non pensai di servirmi del mio potere. Ma essi ricevettero una
penitenza divina. Il capo del paese puniva i cacciatori. Egli faceva uccidere i bracconieri

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e, a eccezione di quello che aveva detto «non agite così», agli altri fece strappare gli
occhi. Poi trascorse un anno. Quando ebbi consumato tutte le mie vesti, anche il vecchio
mantello di pelliccia datomi dalla zia come prezzo del campo era a brandelli. Pensai di
cucire insieme la tela del sacco della farina esaurita e la tela delle mie vesti per farmene
un cuscino. «Ma se morissi questa sera,» mi dissi «sarebbe più vantaggioso meditare che
fare questa cucitura inutile». Dopo aver quindi rinunciato a cucire, ricoprii interamente il
mio letto con la pelliccia, da cima a fondo. Con le pezze del sacco, mi coprii ovunque
fosse necessario. Siccome quella tela era del tutto insufficiente a coprirmi, pensai di
cucirla. Ma senza preparare né ago né filo, presi i tre teli che componevano il sacco,
usandone uno per il busto, uno per la vita e uno per il basso ventre. Di cordicelle legate
insieme, feci delle cinture annodandone i capi, e fui vestito per il giorno.
Avvolsi il mio letto con i pezzi della pelliccia, e fui a posto per la notte. E così meditando,
passai ancora un anno.
Numerose voci umane si fecero sentire. Guardai. Alcuni cacciatori carichi di selvaggina
arrivarono sulla soglia della grotta. Mi videro, esclamarono: «C'è uno spettro!» e i primi
presero la fuga. Quelli che venivano dietro, dissero: «In pieno giorno, non ci sono
fantasmi da temere. Guardate bene. C'è ancora?».
I primi risposero:
«C'è ancora».
Da dietro sopraggiunsero dei vecchi cacciatori e anche loro presero paura. A lungo
spiegai come io non fossi un fantasma ma un eremita in meditazione su quella
montagna, come la mancanza di cibo avesse ridotto il mio corpo in quello stato.
«Vedremo se è vero o falso» dissero, ed entrarono nella grotta.
Da mangiare non c'era nient'altro che ortiche. Tutti si convinsero e mi offrirono molta
carne insieme agli avanzi delle loro provviste. E dissero:
«La tua opera è ammirevole. Salva dall'inferno le creature che abbiamo ucciso. E anche
noi, lavaci dai nostri peccati».
Così detto mi resero omaggio e se ne andarono.
«Ecco» mi dissi con gioia «che ho del cibo che mangiano gli uomini».
Dopo aver mangiato carne e legumi, il mio corpo rimase in una serena immobilità. La mia
salute migliorò, la mia intelligenza diventò più vivida e la mia devozione più vigorosa.
Ebbi un ritorno di intima felicità. Pensai che avevano acquistato maggior merito i
cacciatori, con una piccola elemosina durante la mia meditazione nel deserto, di tutti
coloro che mi avevano dato molto nelle città.
Mangiavo la carne con molta parsimonia. Ma finì per essere piena di vermi. Contavo di
continuare a mangiarne togliendo i vermi. Poi pensai tra me: «Questo non è né una
buona occasione né un mio diritto. Non è giusto che io tolga ai vermi il loro cibo. Non la
voglio più». Lasciai quindi la carne in pasto ai vermi e ripresi il mio ascetico nutrimento di
ortica. Una notte, un uomo giunse con la speranza che io avessi dei viveri.
Esplorò tutto l'interno della grotta. Io scoppiai a ridere e dissi:
«Là dove io non trovo niente in pieno giorno, prova tu a trovare qualcosa in piena
notte!». Allora l'uomo, ridendo anche lui, se ne andò. Passato un altro anno,
sopraggiunsero dei cacciatori di Tsa, che non avevano ucciso niente. Ero rivestito del
sacco diviso in tre teli ed ero sprofondato nella meditazione. Vedendomi, i cacciatori
tesero gli archi e dissero:
«E'un uomo o uno spettro? E' uno spaventapasseri? A giudicare dalle vesti, pare che sia
uno spettro».

75
Sorrisi e dissi loro: «Sono io, sono un uomo».
Mi riconobbero vedendo i miei denti radi.
«Sei Buona-Novella?».
«Sono io».
«Allora oggi ti chiediamo qualche cosa da mangiare. In seguito ti riporteremo
l'equivalente. Sono molti anni che non sei venuto al paese. Da allora, sei sempre rimasto
in questo luogo?».
«Sono sempre rimasto qui. Non ho niente di buono da mangiare per voi».
«Dacci quello che mangi tu stesso. Ci basterà».
«Ebbene, accendete un fuoco e cuocete dell'ortica».
Quando ebbero acceso un fuoco e cotto dell'ortica chiesero del sugo per condirla.
Risposi:
«Se avessi del sugo, il mio cibo potrebbe dirsi gustoso. Ne ho fatto a meno per anni.
Come sugo, prendete il succo dell'ortica».
«Allora vogliamo della farina».
«Se avessi del grano, il mio cibo non potrebbe dirsi senza sostanza.
Ne ho fatto a meno per anni. Come farina, prendete ancora dell'ortica».
«Allora, senza sale è impossibile nutrirsi».
«Se avessi avuto del sale, il mio cibo non potrebbe dirsi insipido. Ne ho fatto a meno per
anni. Come sale, prendete ancora dell'ortica».
«E' sicuro che non avrai mai un aspetto diverso con simile modo di nutrirti e di vestirti.
Non sei un uomo. Ogni uomo che lavora, mangia secondo la propria fame e porta un
vestito caldo. Sulla terra non c'è un solo uomo più miserabile e commiserevole di te».
«Eh, voialtri, non parlate così. Sono nato il più fortunato degli uomini. Ho incontrato il
dottore Marpa della Roccia-del-Sud. Da lui ho ottenuto la formula che mi permette di
diventare Buddha in una vita e in un sol corpo. In contemplazione su questa montagna
solitaria, e meditando, realizzo il solo fine sicuro e durevole. Avendo sopportato la
privazione di cibo, di vesti e di parola, sono in grado in questa vita di combattere la
corruzione nemica. Sulla terra non c'è uomo più coraggioso né più accorto di me. Per
questo, sebbene siate nati in un paese dove la dottrina del Buddha è stata diffusa, un
eremita è troppo per voi. Non siete neppure capaci di ascoltare la dottrina. Non c'è
condotta più pericolosa che accumulare gli errori a piccole dosi e regolarmente per
riempire la profondità e la durata dell'inferno. Ora, per sempre tranquillo, avrò
un'immensa beatitudine. Così, da adesso, sono sicuro della felicità. Per questo, ascoltate
il mio canto». E cantai loro questo canto sulle cinque felicità: «Mi prosterno ai piedi di
Marpa pieno di grazie.
Benedici la mia rinuncia in questa vita.
La Roccia-Bianca-Dente-del-Cavallo è la rocca del giusto mezzo.
Sulla cima della rocca del giusto mezzo, Io, l'eremita tibetano Vestito-di-Tela, Ho
rinunciato al cibo e alle vesti in questa vita, Per diventare Buddha perfetto.
Sono felice del duro cuscino sotto di me.
Sono contento della tela di cotone che mi ricopre.
Sono felice della corda di meditazione che lega le mie ginocchia, (98) Di questo corpo di
fantasma senza appetiti e sempre sazio, Del mio pensiero che contempla se stesso.
Non è vero che io non sia felice. Sono felice, Se vi sembra che lo sia, fate come me.
Se non avete la fortuna di essere religiosi, Ma considerando la felicità vera e duratura Di
tutti gli esseri, vostra e mia, Non vi impietosite a torto.

76
Ecco che il sole tramonta.
Ritornate ciascuno a casa vostra.
Fra non molto morirò in solitudine.
Perché io diventi Buddha perfetto, Non ho tempo da perdere in vane parole.
Per questo lasciatemi alla mia contemplazione». I cacciatori risposero:
«Hai detto molte cose belle. Sicuramente la tua voce è quella della felicità. Ma per
quanto raccomandabile sia il tuo esempio, noi non lo seguiremo».
E dette queste parole, se ne andarono. Ogni anno c'era a Kyagnatsa una grande festa
per la modellatura delle figurine. (99) In quell'occasione i cacciatori, che facevano dei
cori, cantarono il canto delle cinque felicità. Mia sorella Peta, che mendicava dove c'era la
festa, udì il canto. Essa esclamò:
«Colui che ha detto queste parole è un Buddha!».
Uno dei cacciatori disse:
«Eh, eh! Fa un complimento a suo fratello».
Un altro aggiunse:
«Che tuo fratello sia Buddha o semplice creatura, questo è il canto di tuo fratello sul
punto di morire di fame».
Peta replicò:
«Già da tempo sono morti mio padre e mia madre. I nostri cugini si sono levati nemici
contro di noi. Mio fratello va errando ai confini del mondo. Io, mendicante, che non lo
rivedrò mai, non voglio rallegrarmi».
Mentre diceva queste parole e versava molte lacrime, sopraggiunse Dzesse e disse:
«Non piangere. Tuo fratello è vivo. L'ho incontrato una volta. Vai alla Roccia-Bianca-
Dente-del-Cavallo e guarda se è lì. Se c'è, vi ritroverete».
Peta pensò che fosse vero. Portò con sé un orcio pieno di birra mendicata di porta in
porta, un piccolo vaso pieno di farina e di condimenti misti, e giunse alla Roccia-Bianca-
Dente-del-Cavallo. Dalla soglia, guardò dentro. Il mio corpo era consumato
dall'ascetismo. Gli occhi erano sprofondati nelle orbite. Tutte le mie ossa sporgevano. La
carne era secca e verde. La pelle che ricopriva le ossa scarnite sembrava cera. Il pelo era
diventato ispido e verde. I capelli si riversavano da ogni parte in una spaventosa
inondazione. Le mie membra stavano per staccarsi.
A quella vista mia sorella, spaventata, pensò dapprima che ero forse uno spettro. Le
parole che aveva udito: «E' tuo fratello sul punto di morire di fame! la fecero esitare.
«Sei un uomo o un fantasma?» disse.
«Sono Mila-Buona-Novella».
Riconobbe la mia voce. Entrò e mi prese nelle sue braccia: «Fratello maggiore, fratello
maggiore!» gridò.
E priva di sensi, cadde svenuta.
Avevo riconosciuto Peta. Ero contento e insieme triste. Feci del mio meglio per farla
tornare in sé. E dopo un momento essa riprese i sensi. Mise la testa tra le mie ginocchia
e, coprendosi il viso con le mani, disse tra i singhiozzi:
«Nostra madre è morta di dolore e di rimpianto per suo figlio. Nessuno è venuto ad
assisterla. Disperata, ho dovuto lasciare la casa. Sono andata a mendicare in un altro
paese. Mi chiedevo se anche tu fossi morto o se, vivo, avessi più fortuna. Ma ecco,
proprio qui, il destino di mio fratello! Ed ecco il dolore di tua sorella! Non c'è nessuno
sulla terra più infelice di noi due, fratello e sorella».

77
E chiamava per nome nostro padre e nostra madre. E piangeva. Tutte le mie consolazioni
erano inutili. Allora, anch'io pieno di tristezza, cantai a mia sorella questo canto: «Salute
ai venerabili lama.
Benedite il mendicante perché porti a termine il suo ritiro nel deserto.
O sorella, creatura appassionata del mondo, Solitamente, tutte le gioie e le pene sono
effimere.
Ma particolarmente, se ti affliggi così, Sono certo che esiste una felicità duratura.
Per questo ascolta il canto di tuo fratello maggiore Per rendere grazie come è loro dovuto
Ai miei padre e madre che sono tutti gli esseri, Io compio opera religiosa in questo luogo.
Questo luogo è simile al covo delle bestie selvagge Alla sua vista, altri sarebbero frementi
di sdegno.
Il mio cibo è quello dei cani e dei porci; Alla sua vista, altri sarebbero presi dalla nausea.
Il mio corpo è simile a uno scheletro; Alla sua vista, anche un nemico furioso
piangerebbe La mia condotta appare quella di un insensato; E mia sorella ne arrossisce di
vergogna.
Ma il mio spirito è veramente Buddha; Alla sua vista, il Vittorioso si rallegra.
Sebbene sul suolo di fredde pietre Le mie ossa abbiano bucato la carne, ho perseverato.
Il mio corpo, dentro e fuori, ha la natura dell'ortica.
Non muterà più il suo colore verde.
Nella grotta solitaria Il recluso non conosce alcuna distrazione.
Il mio cuore fedele non si separa mai Dal lama Buddha delle tre epoche.
Grazie alla forza della meditazione, così stimolata, Il mio pensiero investigatore non
conosce il dubbio.
E quando si è raggiunta la maturità dello spirito, Si ha per di più la felicità in questa vita.
E la Bodhi assicurata nell'aldilà.
Per questo chiedo a mia sorella Peta Di fare penitenza con fede e dolore Per la causa
della religione». Peta mi rispose:
«Se è così, le tue parole sono sorprendenti, e sembra difficile che sia vero. Perché se è
vero, gli altri religiosi, sebbene agendo in modo diverso, perseguono lo stesso fine, e non
ne ho mai visto alcuno ridursi in uno stato tanto miserabile».
Così detto, mi diede il cibo e il vino. Mangiai e bevvi, e immediatamente la mia
intelligenza si rischiarò. Quella sera la mia devozione ne trasse un gran vantaggio.
L'indomani, dopo la partenza di Peta, il mio corpo che non aveva mai avuto un simile
nutrimento, conobbe la pace ma anche la sofferenza di essere indisposto. Siccome la mia
mente passava da un'alternativa all'altra di pace e di turbamento, ebbi un bel meditare
con tutta la forza della mia anima, non ottenni alcun risultato.
Qualche giorno dopo, Dzesse venne a trovarmi insieme a Peta, portandomi carne, burro
rancido "tsampa" e molta birra. Io ero andato a cercare dell'acqua e le incontrai. Siccome
le mie vesti erano strappate, al vedermi esse arrossirono, eppure restarono lì e
piangevano. Mi offrirono la carne, il burro e la farina, tirarono fuori la birra e, intanto che
io bevevo, Peta; disse:
«Da qualunque parte si guardi mio fratello maggiore, non si può dirlo un uomo. Per
questo, è necessario che tu chieda l'elemosina e che a poco a poco mangi il cibo che
mangiano gli esseri umani. Io ti darò di che farti una veste».
Dzesse disse:
«Qualunque cosa tu faccia per l'elemosina del cibo, anch'io ti darò una veste».
Risposi loro:

78
«Ignoro quando morirò e non ho né tempo né motivo di andare a mendicare e a
procurarmi il mio sostentamento. Dovessi anche morire di freddo, giacché sarebbe per la
religione, non ne avrei molto rimpianto. Dopo aver abbandonato la meditazione, aver
mangiato il cibo ottenuto con tanta difficoltà, indossato una buona veste, vedrei affollarsi
intorno a me parenti e amici. Ma la mia anima non potrebbe essere soddisfatta
sottostando alla legge del piacere, della carne, delle bevande e delle risa. Non voglio
quindi né le vostre vesti, né visitatori che vengano a trovarmi. Io non vi ascolterò e non
andrò a mendicare».
Peta ribatté:
«Allora, fratello maggiore, come pensi di essere soddisfatto? Non ci sono risorse più
amabili della miseria per soddisfarti?».
Risposi:
«I tre inferi sono infinitamente più terribili della mia miseria.
Numerose sono le creature che inseguono questo dolore dell'inferno.
Ecco come io raggiungerò la felicità».
E cantai questo canto sul modo di giungere alla perfezione: «Prego il venerabile lama in
persona di benedire il mendicante perché porti a termine il suo ritiro nel deserto.
Felice senza l'aiuto dei miei alleati, Miserabile senza l'aiuto dei miei nemici, Se posso
morire nel deserto, Solitario, avrò raggiunto il colmo dei miei desideri. Vecchio e senza
l'aiuto dei miei amici, Malato e senza l'aiuto di mia sorella, Se posso morire nel deserto,
Solitario, avrò raggiunto il colmo dei miei desideri. Morente e senza l'aiuto degli uomini,
Cadavere senza l'aiuto degli avvoltoi, Se posso morire nel deserto, Solitario, avrò
raggiunto il colmo dei miei desideri. La mia carne corrotta succhiata dalle mosche, Le
vene e i nervi mangiati dai vermi, Se posso morire nel deserto, Solitario, avrò raggiunto il
colmo dei miei desideri. Senza traccia d'uomo sulla porta, Senza traccia di sangue
all'interno, (100) Se posso morire nel deserto, Solitario, avrò raggiunto il colmo dei miei
desideri. Senza assistenza intorno alla mie spoglie, Senza pianti intorno alla mia morte,
Se posso morire nel deserto, Solitario, avrò raggiunto il colmo dei miei desideri. Senza
nessuno cui chiedere dove io sia andato, Senza nessuno per indicare che sono qui, Se
posso morire nel deserto, Solitario, avrò raggiunto il colmo dei miei desideri. Nella grotta
della vallata deserta, Che questa preghiera del mendicante morente Sia di giovamento
alle creature, E i miei desideri saranno colmati». Dzesse mi disse:
«La tua condotta di oggi è coerente con le tue parole di un tempo. E ne sono
grandemente meravigliata».
Peta ribatté:
«Quali che fossero le parole di mio fratello, non posso tollerare L'assoluta privazione di
cibo e di vesti. Un buon nutrimento e una buona veste non ti impediranno di meditare.
Quindi ti porterò di che farti un mantello. Non vuoi chiedere l'elemosina. Se è così, muori
allora di miseria e senza cure in questo deserto, secondo il tuo desiderio. Ma se non
muori, ti porterò di che farti una veste».
Se ne andarono e io mangiai i buoni cibi che avevano portato. Le alternative di piacere e
sofferenza che il mio corpo risentì, assorbivano la mia attenzione in modo tale da non
poter più meditare.
Pensai che non ci fosse per me ostacolo maggiore che l'incapacità a meditare. Dopo aver
rotto il sigillo del rotolo di carta datomi dal lama, guardai. Conteneva l'essenza di una
preghiera per rimuovere gli ostacoli, delle formule per mutare il vizio in virtù, e

79
soprattutto, per il momento presente, il consiglio di ricorrere a una buona alimentazione.
Ritrovai il mio antico coraggio e riuscii a meditare.
Le mie vene, per via dell'uso di cibi e bevande cattivi, si erano tutte annodate e non
potevano sostenersi. Quindi la birra di Peta le rianimò un poco. Le offerte di Dzesse
finirono per rianimarmi del tutto. In questo modo, conformemente alle prescrizioni del
rotolo di carta, (101) mi sforzai di realizzare le condizioni di corpo, respiro e pensiero. I
nodi delle vene piccole, come quelli delle vene principali, medie e inferiori, si sciolsero.
(102) Le mie concezioni e i miei pensieri torbidi ritornarono chiari e si espressero come
una volta. La ragione essendone così rafforzata, diventai particolarmente capace di una
speculazione del tutto diversa per la sua solidità. Una volta rimosso l'ostacolo, trasformai
il pericolo in vantaggio e, credendo soltanto all'instabilità del mondo sensibile, cominciò
ad apparire il mio corpo nirvanico.
In modo generale, conoscendo nei loro effetti tutte le leggi della liberazione dalla
trasmigrazione, la mia mente, fonte di tutte le mie illusioni, era conscia in ugual modo di
queste due leggi: guidare se stessi per mezzo della vista sul cammino dell'errore,
conduce alla trasmigrazione perpetua; guidare se stessi per mezzo della mente sulla via
superiore, conduce alla liberazione. Io possedevo la luminosa certezza della non realtà,
essenza di queste due verità. Più in particolare, questa qualità prima della mia
comprensione era il frutto delle mie meditazioni anteriori. Constatando il risultato del
nutrimento e dell'istruzione segreta del lama, capii che la via delle inclinazioni sensuali,
che è la via dei Tantra, non poteva essere una via normale praticata da tutti. Per il fatto
che ne ero debitore a Peta e a Dzesse, la mia riconoscenza si esprimeva in preghiere,
affinché il merito di ambedue contribuisse al loro perfezionamento; e cantai queste
profezie essenziali: «Mi prosterno ai piedi di Marpa della Roccia-del-Sud, Che benedica il
mendicante perché porti a termine il suo ritiro nel deserto. I servigi resi dalle mie
donatrici Assicureranno la loro salvezza e la mia. Questo corpo difficile da ottenere, facile
da distruggere, Ha ritrovato la salute grazie al nutrimento. Il succo della terra angusta E
la pioggia dell'immensità azzurra Sono presagio di bene per le creature.
E l'essenza di questo presagio è la religione degli Dei Il mio corpo sottile nutrito da mio
padre e mia madre E l'insegnamento del santo lama Sono presagio della mia entrata
nella religione degli Dei E l'essenza di questo presagio è la mia perseveranza. Questa
grotta rocciosa nella vallata deserta E la mia sincera devozione Presagiscono la
realizzazione di tutti i miei desideri E l'essenza di questo presagio è la non realtà. La
meditazione paziente di Milarepa E la fede degli esseri delle tre Regioni (103) Sono un
presagio favorevole per tutte le creature.
E l'essenza di questo presagio è la misericordia. Il solitario che medita fra le rocce E le
benefattrici che gli portano di che sostentarsi Presagiscono che essi saranno ugualmente
Buddha.
E l'essenza di questo presagio è la benedizione. La misericordia del buon lama E la
meditazione paziente del suo discepolo Presagiscono la fede nella dottrina di Buddha.
E l'essenza di questo presagio è il mio voto solenne. La consacrazione di una rapida
benedizione Con le preghiere di una fede e una devozione intense Presagiscono che noi
ci ritroveremo presto.
E l'essenza di questo presagio è la felicità. O Reggi-Scettro essenzialmente Immutevole,
Tu conosci le gioie e le pene del mendicante». Cantai così e, raddoppiando lo zelo,
meditai.

80
Di giorno cambiavo il mio corpo a volontà. La mia mente immaginava innumerevoli
trasformazioni volando nel cielo, le due parti del corpo disgiunte. Di notte, in sogno,
potevo esplorare liberamente e senza ostacoli l'intero universo, dall'inferno fino alla
sommità. E trasformandomi in centinaia di forme corporee e spirituali diverse, sotto ogni
forma visitai ciascuno dei cieli dei diversi Buddha e ascoltai la loro predicazione. Potevo
predicare la legge a una moltitudine di creature. Il mio corpo poteva
contemporaneamente accendersi di fiamme e riversare acque.
Dopo aver così compiuto un numero incredibile di trasformazioni, trasportato
dall'esultanza e dal coraggio, meditai con ardore. E in realtà potevo volare nello spazio.
Essendo così volato fino al palazzo delle Nuvole-che-Accorrono, vi meditai. Allora sorse in
me un divino calore interiore, ancora sconosciuto e inconcepibile. Poi, mentre tornavo
alla Roccia-Bianca- Dente-del-Cavallo, passai sopra un paesino chiamato Londah, davanti
al Dente-del-Cavallo. Il il fratello della cognata di mio zio, che un tempo era rimasta
uccisa sotto le macerie della casa, lavorava la terra insieme al figlio. Il figlio conduceva i
buoi. Il padre, afferrato l'aratro, lavorava il campo. Il figlio mi vide volare nell'aria ed
esclamò:
«Padre, guarda questo prodigio. Un uomo vola nell'aria!».
Fermatosi, il padre guardò in alto.
«Come possono prodursi un prodigio e uno spettacolo simili? E' il figlio di quella scaltra
Bianca-Ghirlanda-Figlia-di-Nyang. E' quello stregone Mila, rovinato e mal nutrito. Che la
sua ombra, passando, non cada su di noi! Ariamo».
Il padre, per timore di essere toccato dall'ombra, curvava la schiena e la testa. Suo figlio
gli disse:
«Se egli, rovinato o no, è capace di volare, lo spettacolo di un uomo rovinato è meno
grande di quello di un uomo volante. Dunque guarda». E continuava a guardare.
Pensai: «Qualsiasi cosa io abbia già fatto per le creature, devo continuare a fare tutto ciò
che può essere loro di giovamento». E mi rammentai la profezia dell'Ydam: «Secondo la
tua promessa, prima di ogni altra cosa in questa vita, adempi la volontà del lama. Non c'è
niente di più importante che servire la dottrina di Buddha e salvare le creature». E
pensai: «Se medito finché vivo, in avvenire i miei discepoli fortunati rinunceranno al
mondo e mediteranno con quella perfezione di cui avrò dato loro esempio». Ed ebbi la
certezza che il fine perfetto della mia meditazione fosse di estendere ancora di più la mia
dedizione alla dottrina e alle creature. Poi pensai anche:
«Ecco che sono rimasto a lungo i questo luogo. Durante questo tempo ho fatto bella
mostra della mia religione davanti a coloro che mi hanno visitato. Giunto alla spiritualità
suprema, degli uomini mi vedono volare nell'aria. Se resto qui ricado sotto l'influenza del
mondo.
Corro il rischio che i demoni provocatori di desideri e le otto leggi del mondo turbino la
mia meditazione. E' necessario che vada a meditare a Nechu bar, secondo il presagio del
lama».
Allora, prendendo con me il vaso per cuocere le ortiche, abbandonai la Roccia-Bianca-
Dente-del-Cavallo. Ma, indebolito dalle privazioni di una lunga meditazione, il mio piede
ricoperto di sozzura scivolò sulla soglia della porta, e caddi. L'ansa del vaso si ruppe.
Questo rotolò lungo la discesa e io corsi per fermarlo. Dal vaso rotto, i residui stratificati
depositati dall'ortica uscirono in un solo blocco verde che aveva la forma del vaso. (104)
Mi consolai pensando che ogni composto è perituro. Comprendendo che anche

81
quest'incidente era un'esortazione a meditare e prima ammirandolo, poi arrivando a
esserne certo, cantai: «In questo stesso istante avevo un vaso e non ce l'ho più.
Questo esempio dimostra tutta la legge della caducità delle cose.
Soprattutto mostra quale sia la condizione umana.
Se questo è sicuro, io, l'eremita Mila, Mi sforzerò di meditare senza distrazione Il vaso
desiderabile che contiene le mie ricchezze, Nel momento stesso in cui si spezza diventa
mio maestro.
Questa lezione sulla fatale caducità delle cose è meravigliosa». Mentre cantavo così,
arrivarono alcuni cacciatori per fare la sosta pomeridiana. Mi dissero: «Eremita, il tuo
canto è armonioso. Ora che hai rotto il vaso di terra, che cosa farai del vaso di ortica?
Come mai questa magrezza del corpo e questo colore verde?».
Risposi:
«Per il fatto che non ho più niente per sostentare il mio corpo».
«E' straordinario. Ebbene, alzati e vieni»
E mi diedero una parte del loro pasto. Durante il pasto, un giovane cacciatore disse:
«Tu sei un uomo industrioso (?). (105) Se, invece di questa miseria, avessi vissuto di vita
mondana, simile a un giovane leone, monteresti un eccellente cavallo. Saresti cinto di tre
generi d'armi e vinceresti i tuoi nemici. Ricco e opulento, avresti la gioia di proteggere dei
parenti dolcissimi. Oppure, praticando il commercio avresti la gioia di essere il padrone di
te stesso. Infine, anche se servo di qualcuno, ma grazie a un buon nutrimento e a buone
vesti, saresti più sano di corpo e di mente. Prima non lo sapevi, ma adesso fai come ti
dico».
Un vecchio cacciatore ribatté:
«E' molto probabile che egli sia un buon eremita. Non c'è pericolo che obbedisca al
richiamo del mondo. Quindi, tacete. O tu, la cui voce è così gradevole, voglia tu, per il
bene delle nostre anime, cantarci un canto».
Risposi:
«Ai vostri occhi appaio troppo miserabile. Voi non sapete che al mondo non c'è nessuno
più felice di me. Giacche i vostri desideri di felicità sono conformi ai miei, ascoltate
dunque». E cantai loro questo canto dell'eremita che corre a cavallo: «Mi prosterno ai
piedi di Marpa pieno di grazie Nel monastero di montagna che è il mio corpo, Nel tempio
del mio petto, Al vertice del triangolo del mio cuore, Il cavallo che è la mia anima vola
come il vento Se lo fermo, con quale laccio lo fermerò?
Se lo lego, a quale piolo lo legherò?
Se ha fame, quale pastura gli darò?
Se ha sete, a quale fiume dissetarlo?
Se ha freddo, in quale recinto chiuderlo?
Se lo fermo, lo fermerò con il laccio dell'assoluto.
Se lo lego, sarà al piolo della meditazione profonda.
Se ha fame, lo nutrirò con i precetti del lama.
Se ha sete, lo disseterò alla perpetua corrente del ricordo.
Se ha freddo, lo chiuderò nel recinto del nulla.
Per sella e per morso, lo doterò di risorse e di scienza.
Lo guarnirò della solida camarra dell'Immutabilità.
Gli metterò la briglia dell'energia attinta nell'ispirazione profonda.
Il figlio della scienza lo cavalcherà.
Per elmo, porterà il sigillo del Mahayana.

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La sua armatura sarà fatta di attenzione, riflessione e meditazione.
Porterà sulla schiena lo scudo della pazienza.
Terrà la lancia della contemplazione.
La spada della saggezza sarà appesa al suo fianco.
Se il bambù, che è la sua mente, è flessibile, Lo raddrizzerà senza ribellione.
Lo rivestirà del pennacchio delle quattro virtù infinite. (106) Gli applicherà l'acuta punta
della saggezza.
Avendo inserito la cocca profonda della misericordia Nell'arco dell'irrealtà delle cose, E
misurando a braccio teso la concentrazione mentale, Arciere, egli lancerà le sue frecce
attraverso tutti i mondi.
Ciò che raggiungerà, saranno i credenti.
Ciò che ucciderà, sarà il loro egoismo.
E così, nemico, domerà la corruzione.
Amico, proteggerà le sei classi di creature.
Se galoppa, galopperà nelle pianure della felicità immensa.
Se insegue, raggiungerà il rango di vincitore.
Correndo in basso, taglia la radice della trasmigrazione.
Correndo in alto, raggiunge la sponda dei Bodhisattva.
Cavalcando un simile cavallo, si raggiunge la Bodhi.
Considerate se la vostra felicità è paragonabile.
Il mondo non offre felicità desiderabile». Dissi. E i cacciatori, toccati dalla fede, si
ritirarono.
Essendo arrivato a Dingri, sulla strada per Chubar che passa attraverso Peku, mi ero
coricato sul ciglio della strada. Alcune graziose fanciulle, ornate di gioielli, che andavano
a Snog mo, videro il mio corpo consumato dall'ascetismo. Una di loro disse:
Olà! Guardate che miseria! Voglia il cielo che io non rinasca mai un essere simile!».
Un'altra disse:
«Che pietà! Un tale spettacolo solleva anche lo sdegno».
Ma io pensai: «Ho compassione di queste creature limitate». E, preso da pietà, mi
sollevai e dissi loro: «Fanciulle, non parlate così. Non c'è di che affliggervi tanto. Avreste
un bel desiderare di rinascere simili a me, non lo potreste. Giacché siete così inclini alla
pietà, guardatevi voi stesse e trasferite su di voi la vostra compassione.
Ascoltate il canto che sto per dire».
Allora cantai questo canto: «Prego il Signore. O pieno di grazie, Marpa, vogliate
benedirmi.
Le creature sprofondate nel peccato Non vi si vedono, ma vi vedono il loro prossimo.
Le fanciulle peccatrici hanno fede solo nel mondo.
Ma il cattivo pensiero della contentezza di sé brucia come il fuoco.
Ho pietà di voi, infatuate di voi stesse.
Nel tempo impuro dei cattivi "kalpa", (107) L'Ydam ingannatore è onorato come gli Dei.
L'orpello è preferito all'oro e alle gemme.
E i religiosi sono sospinti via come le pietre sul cammino.
Ho pietà delle creature inintelligenti.
Voi, belle fanciulle, e le vostre sorelle, Insieme a Milarepa del Khungthang, Noi proviamo
vergogna l'uno di fronte all'altro; Proviamo pietà l'uno dell'altro.
Paragoniamo la nostra pietà.
E vediamo quale sarà vittoriosa in futuro.

83
A chi gli rivolge ignoranti sproloqui Milarepa risponde con l'insegnamento dei precetti.
Egli rende vino per acqua.
Egli rende bene per male». Parlai così. La fanciulla che aveva avuto pietà di me, rispose:
«E' colui che si chiama Milarepa. Noi tutte proviamo una grande compiacenza di noi
stesse. Abbiamo detto molte cose da non dirsi. Ora chiediamogli perdono».
Incoraggiai la fanciulla che parlava così a convertirsi. Allora essa mi offrì sette conchiglie
(108) e, salutandomi, tutte le fanciulle mi chiesero perdono. In risposta alla loro richiesta
di essere istruite, cantai loro questo canto: «Prego il Signore pieno di grazie.
Riassumo la santa dottrina in brevi strofe.
In alto, nel beato palazzo degli Dei, Si rifiuta il senso mistico, si ama il senso comune
delle cose.
In basso, nel palazzo del Naga, (109) Si rifiuta la legge profonda, si amano i beni del
mondo.
Nel mezzo, sulla Terra degli uomini, Si rifiuta la scienza religiosa, si ama la menzogna.
Nei quattro regni dello Tsang centrale, Si rifiuta la meditazione, si ama la parola.
Nel tempo impuro dei cattivi "kalpa", Si rifiutava l'uomo buono, si amava il cattivo.
Nel paese delle belle fanciulle, Si scaccia l'eremita, si cerca l'uomo bello.
L'orecchio delle giovani vergini Non ascolta il cimbalo religioso, ascolta le belle canzoni.
Ecco le formule cantate.
E' la mia risposta al dono delle sette conchiglie.
E' la celebrazione del vostro perdono». Cantai così. E le fanciulle credettero in me e se ne
andarono.
Allora anch'io partii per il paese di Chrin. Avevo sentito parlare di due piacevoli grotte a
Nechu bar. Mi fermai in quella chiamata Torre- del-Sole e vi meditai.
Lì trascorsero alcuni mesi, mentre io crescevo in santità. Poiché gli uomini che cercavano
di me mi avevano portato, una o due volte, tutto il necessario, in quanto a viveri e
bevande, questo fu nocivo alla fermezza della mia anima e mi suggerì queste riflessioni:
«Sono già rimasto troppo tempo in questo luogo. Ora, il mio fervore aumenta. Se attiro
tanti uomini, c'è pericolo che arrivi a perdere tutta la mia energia. Bisogna che vada in
una vallata dove gli uomini non vengono.
Seguendo l'ordine del lama, bisogna che vada a Laphyi». Mentre io avevo questi pensieri,
Peta aveva tessuto la lana e il pelo di capra che aveva raccolto, e mi portava una stoffa
pesante. Arrivò alla Roccia-Bianca-Dente-del-Cavallo e non mi trovò più. Partì alla mia
ricerca, interrogando tutti quanti. A Khungthanteu, le fu riferito che un eremita simile a
un bruco d'ortica, (110) aveva lasciato la vallata fertile per l'alta montagna, verso il sud.
Stando a queste parole, Peta si decise e partì. A Dingri, vide il lama "pandit" Pari, alto su
un trono e al riparo sotto un parasole, vestito di ricche vesti di seta. Quando i monaci,
suoi discepoli, ebbero soffiato dentro alcune grandi conchiglie, una folla di gente si
radunò intorno a lui e lo colmava di offerte di tè e di birra.
Peta pensò tra sé: «Così fanno gli altri per il loro lama. Per la miseria di mio fratello, gli
altri provano soltanto disprezzo. I suoi congiunti non fanno che arrossirne. Se trovo mio
fratello, bisogna che gli consigli, e gliene dia i mezzi, di entrare al servizio di questo lama.
Avendo pensato così, interrogò alcuni degli uomini radunati. Venne a sapere che ero a
Chrin, decise di andarvi e arrivò alla felice grotta in cui mi trovavo. Mi disse:
«La religione di mio fratello maggiore non gli dà niente da mangiare né da vestirsi. Così,
la sua nudità fa arrossire e non è più tollerabile. Fatti un perizoma con questa stoffa. Gli
altri religiosi hanno per lama un "pandit" di nome Pari. Gli hanno eretto un trono, lo

84
riparano sotto un baldacchino e, avendolo rivestito di seta fine, gli offrono il tè e la birra.
Poi i suoi discepoli, imboccate le trombe, vi soffiano dentro per adunare una gran folla di
gente. E la gente gli offre doni inimmaginabili. Egli è utile a chi gli sta intorno e ai suoi
congiunti; soddisfa i loro desideri. E' in questo modo che la religione è una cosa
eccellente. Considera se vuoi che ti conduca da questo lama per entrare al suo servizio.
Se sì, anche se tu fossi l'ultimo dei suoi monaci, saresti felice. Se no, grazie alla religione
di mio fratello e alla mia debolezza, noi non potremo più, fratello e sorella, sostentare la
nostra vita».
Mentre parlava così, piangeva. Le risposi: «Non parlare così. La nudità che sono solito
non rivestire, vi fa arrossire. Prima di tutto, è questa virilità che mi ha permesso di
diventare un religioso. Non devo quindi arrossirne. Poi, è nudo che sono nato da mia
madre senza che ci sia da arrossirne. Perché se si sapesse che è un peccato , questo
significherebbe affliggere sfrontatamente i propri genitori.
Coloro che carpiscono i beni del lama e dei Ratnas, (111) coloro che, per soddisfare i
propri desideri, nuocciono alle creature per mezzo di artifici maligni, si fanno del male
reciprocamente; coloro che irritano gli Dei e i santi, quelli sì hanno vergogna e
arrossiscono.
Soprattutto, se arrossisci del corpo, dovresti piuttosto arrossire delle tue mammelle
gonfie che non avevi quando sei nata dal corpo di tua madre. Tu credi che sia per
mancanza di elemosine se medito nella privazione di vesti e di cibo; non è vero. Temo
innanzitutto i dolori dell'inferno della trasmigrazione. Il terrore è simile a quello di uomini
immersi vivi nel fuoco. Quando si vedono le contese che dominano il mondo
dell'agitazione e del tumulto, si resta disgustati come un uomo che si è ingozzato di cibo
e lo vomita. L'anima è inorridita come alla vista di un parricida. Per questo io ho fatto
rinuncia.
Ma soprattutto, il lama Marpa della Roccia-del-Sud mi ha dato questo precetto: "Tu
rinuncerai al rumore e all'agitazione che governano il mondo. Povero, rinuncerai al cibo,
alle vesti e alla parola. Ti ritirerai in qualche luogo solitario. E prima di ogni altra cosa
porterai a compimento la terribile risoluzione di meditare per tutta la vita". E'
quest'ordine' che io adempio. E adempiendolo, non solo assicuro la felicità terrestre ad
alcune creature che mi circondano, ma anche la felicità eterna a tutte le altre creature. E
siccome l'ora della morte è incerta, ho rinunciato alle opere di questa vita e ai mezzi delle
otto leggi che governano questo mondo. In confronto alla mia meditazione, non solo il
servizio presso il lama Pari sarebbe molto inferiore; ma essere ciò che lui è, è inferiore a
ciò che sono io. Volendo ottenere la Bodhi in questa vita, con ardore io mi sono
consacrato alla meditazione. Anche tu, Peta, rinuncia alle otto leggi del mondo e,
seguendo tuo fratello maggiore, vieni a meditare in mezzo alle nevi. Se, dopo aver
rinunciato alle otto leggi del mondo, sei in grado di meditare, allora per noi due sorgerà
l'aurora della nostra felicità. Ascolta questo canto di tuo fratello: Signore Buddha delle tre
epoche, protettore degli uomini, Tu che il peccato delle otto leggi non ha insozzato, Tu
che benedici la tua discendenza spirituale, Traduttore Marpa, io mi prosterno ai tuoi
piedi.
Ascoltami, sorella e fanciulla Peta, Consumata dai desideri di questa vita terrestre.
In primo luogo, metti un pinnacolo d'oro splendente in cima al parasole.
E in secondo luogo, contornalo di frange di seta di Cina.
In terzo luogo, solleva le nervature del parasole, belle come la ruota di un pavone.
In quarto luogo, alzane il manico di acacia rossa.

85
Se prepari queste quattro cose, tuo fratello è pronto, Ma tuo fratello ha rinunciato alle
otto leggi del mondo.
E perché egli ha rifiutato le otto leggi, il sole della felicità si è levato per lui.
Per questo, rinuncia alle otto leggi, o mia sorella Peta.
Rinuncia e ritirati a Laphyi, fra le nevi.
Fratello e sorella, uniamoci e ritiriamoci dietro alla montagna, fra le nevi. In primo luogo,
il suono della conchiglia bianca che porta lontano; In secondo luogo, il soffio potente
dell'abile suonatore di conchiglia; In terzo luogo, gli ornamenti della conchiglia in
multicolore seta di Cina; In quarto luogo, i numerosi monaci che si riuniscono.
Se prepari queste quattro cose… (Lo ripeterò sei volte). In primo luogo, il piccolo
monastero variopinto dietro la città mondana; (112) In secondo luogo, i discorsi dei
giovani lama eloquenti; In terzo luogo, il vino, il tè cinese nella cucina; In quarto luogo, il
monaco più giovane che si affretta a servire.
Se prepari queste quattro cose… In primo luogo, la grande moda delle rogazioni, gli
esorcismi e la divinazione; In secondo luogo, la grande sacerdotessa, badessa del culto
esteriore; In terzo luogo, il cerchio di tutti coloro che fanno offerte solo per nutrirsene; In
quarto luogo, il maestro che fa cantare canti fallaci.
Se prepari queste quattro cose… In primo luogo, la possente e alta torre della fortezza di
terra; In secondo luogo, l'intensa coltura del campo fertile e fecondo; In terzo luogo, i
viveri e i tesori ammassati dall'avaro; In quarto luogo, i seguaci che aumentano e la
moltitudine dei servitori.
Se prepari queste quattro cose… In primo luogo, la testa alta e fiera del cavallo Yerling;
(113) In secondo luogo, gli ornamenti di cangianti pietre preziose ai due lati della sua
sella, In terzo luogo, la scorta variopinta dei soldati cinti delle tre armi; In quarto luogo,
l'ardore nel sottomettere i nemici e nel difendere gli amici.
Se prepari queste quattro cose… Non rinunciando alle otto leggi del mondo, Non
andando a Laphyi, tra le nevi, L'amore di parenti e amici nutrendo il tuo cuore, I tuoi
discorsi profani turbano la mia devozione.
Soprattutto, nessuno, una volta nato, sa quando morirà.
Così, non abbandonerò la mia meditazione Come se avessi tempo di meditare più tardi.
Mi esercito nella meditazione senza distrarmi.
Le formule del lama mio padre sono salutari all'anima.
Quando avrò meditato queste formule salutari, Otterrò la liberazione beata.
Per questo mi ritiro in mezzo alle nevi.
Tu, sorella, scegli le otto leggi del mondo.
Accumula i peccati a piccole dosi e regolarmente.
Attaccati alla trasmigrazione generale dei tre mondi.
Agisci più in particolare per ottenere i tre inferi. (114) Ma se temi le trasmigrazioni a
centinaia, Rinuncia alle otto leggi del mondo.
E insieme andiamo a Laphyi, tra le nevi.
Fratello e sorella fortunati, uniamoci e chiudiamoci nell'eremo delle nevi». Così cantai, e
Peta rispose:
«Sono proprio queste otto leggi del mondo di mio fratello che si chiamano la felicità. Noi
non dobbiamo più rinunciarvi. Hai perfettamente ragione dicendoti sicuro che non
assomiglierai mai al lama Pari. Hai inoltre predetto molte verità. Perché io non andrò a
Laphyi per comperare la miseria, la privazione di cibo e di vesti. Non so neppure dove sia
Laphyi. Fuggito come una bestia selvaggia inseguita dai cani, tu sei attratto dalle rocce e

86
vi resti. Rimanendo nello stesso posto, la meditazione aumenta e la riflessione diventa
più facile. E mi sarà più facile ritrovarti.
Senza restare qui in eterno, resta comunque alcuni giorni. Aiutami cucendoti con questa
stoffa un perizoma per il basso ventre. Tornerò presto».
Mantenni la promessa di restar fermo lì alcuni giorni.
Intanto che mia sorella era andata a mendicare nel Dingri, con la stoffa di mia sorella mi
feci un copricapo, avvolsi ciascuna delle mie dita e mi calzai i piedi. Poi nascosi il basso
ventre. Mia sorella tornò dopo qualche giorno. Domandò:
«Fratello mio, hai cucito la stoffa?».
«L'ho cucita».
E mostrai come avevo rivestito separatamente ciascuna delle mie membra. Essa esclamò:
«Ecco che mio fratello non ha più niente di un uomo! Non contento di non conoscere più
il pudore, ha per di più distrutto la stoffa che avevo tessuto con tanta fatica. A volte non
ha tempo di fare altro che meditare, a volte ne ha anche troppo».
Risposi:
«Io sono, al contrario, l'essenza di ciò che rende un uomo santo.
Sapendo arrossire, resterò fedele al mio voto e alla mia santa promessa. Tu sei la sola,
sorella mia, ad arrossire della mia nudità.
Quand'anche io volessi sopprimere la mia virilità, non potrei farlo.
Ho confezionato vesti pudiche come mi avevi detto, sebbene questo disturbasse la mia
meditazione. Ho pensato che le varie parti del corpo si equivalessero. Non ho fatto
differenza per questa. Perciò, ho fatto a tutte delle guaine. Senza aver distrutto la stoffa,
indosso una veste pudica. Ma siccome il tuo pudore è più grande del mio, se arrossisci
dei miei attributi, arrossisci nello stesso modo dei tuoi.
Perché possedere ciò di cui si ha vergogna? Meglio non averlo. Suvvia Sopprimilo!».
Mentre io dicevo queste parole, il suo viso si incupì. Continuai:
«Arrossisci allora piuttosto dei mondani che non conoscono più la vergogna. Giacché non
arrossisci della menzogna e dell'ipocrisia, e giacché ignori ciò che è veramente
vergognoso, ascolta dunque questo canto del tuo amato fratello».
E le cantai questo canto sul modo di provare vergogna: «Salute ai venerabili lama.
Benedite il mendicante perché egli sappia arrossire.
Fanciulla Peta, legata dal pudore, Ascolta un momento il canto di tuo fratello.
Il tuo pudore ignora ciò che è il pudore.
Tu arrossisci di ciò che non è vergognoso.
Ma io, eremita, so ciò che è vergognoso.
Abusare del corpo, della parola e del pensiero, mi costringe a un estremo rossore.
Se si finisse di distinguere i sessi, Chi si accorgerebbe dei segni che li differenziano?
I guardiani della modestia e del pudore Non sono la maggioranza degli uomini del
mondo.
Vergognosa è la vergine comperata a peso d'oro.
Vergognoso è il bambino tenuto in braccio.
La cupidigia e la malvagità, frutti dell'eresia, La cattiva condotta e l'astuzia e il ratto, I
parenti di cui ci si è fidati e che hanno ingannato:
Ecco la vergogna. Ma nessuno vi presta attenzione.
Tutti gli eremiti che hanno rinunciato a questa vita Conoscono meglio il senso profondo
delle cose.
Con la pratica della dottrina del Vajra L'uomo nasce alla vita religiosa.

87
Li non c'è vergogna forgiata da se stessi.
Per questo, non preparare la tua propria miseria, Peta, e placa la tua mente». Cantai
così. Peta, il viso incupito, mi offrì i condimenti e i viveri che aveva mendicato. Poi disse:
«Qualunque cosa io faccia, mio fratello non ascolta i miei consigli.
Ma poiché non abbandono mio fratello, mangia tutte queste cose. Adesso cercherò di
raccogliere qualche cosa.
E si preparava a partire. Mi chiedevo se sarei riuscito a convertire Peta. Le dissi: «Finché
dureranno questi viveri, anche senza compiere opera religiosa, rimani qui senza fare
peccati». Durante il tempo in cui si fermò, le spiegai la legge delle cause e degli effetti,
per quel tanto che poteva ascoltare. La disposizione di mia sorella per la fede religiosa si
era un po' accresciuta.
Intanto mio zio era morto e, da quel momento, mia zia aveva provato un rimorso
sincero. Dopo aver caricato una pezza di stoffa su uno "yack", ed essersi decisa dopo
molte esitazioni, partì. Venne nel paese di Chrin. E qui, messo al sicuro lo "yack", si
caricò di più roba che poté e arrivò.
Peta, che stava sulla porta, la scorse.
Quando ebbe riconosciuto la zia, esclamò:
«E' perché la zia ci ha inflitto ogni sorta di dolori che madre e figli sono stati separati!».
Allora Peta ritirò la passerella che portava all'entrata della grotta.
E contemporaneamente la zia arrivò dall'altra parte.
«Nipote mia,» disse «non ritirare la passerella. E' tua zia che è venuta».
Peta rispose:
«E' proprio per questo che l'ho ritirata».
«Nipote mia, hai ragione. Ma ora è sorto in me un, rimorso terribile.
Sono venuta per ritrovarvi, fratello e sorella. Per questo, rimetti a posto la passerella. Se
non la rimetti a posto vai a dire a tuo fratello che sono venuta».
Io, dall'altra parte della passerella, mi ero avanzato su un promontorio di roccia
fermandomi sulla cima. La zia mi salutò protestando ripetutamente il suo desiderio di
rivedermi. Pensai tra me: «Sebbene non riceverla subito non sia agire da religioso,
bisogna prima che la metta alla prova». E le dissi:
«In generale, non mi prendo cura di nessun parente. Ma più in particolare non mi prendo
cura di mio zio e mia zia. Prima di tutto, mi hanno sprofondato nella miseria. Quando poi,
entrato in religione, sono venuto a mendicare, mi hanno maltrattato. Per questo, non mi
prendo cura né dello zio né della zia. Te lo proverà il canto che sto per dire. Ascoltalo».
E cantai questo canto di vergogna per mia zia: «O benevolo verso tutti e
compassionevole, Marpa traduttore, mi prosterno ai tuoi piedi.
Sii la famiglia del mendicante che non ha più famiglia.
O zia, ti ricordi di ciò che hai fatto?
Se l'hai dimenticato, ascolta da un cuore sinceramente pentito Il canto che con chiarezza
te lo rammenterà.
Nel paese di Kyagnatsa del Korun, Noi perdemmo, madre e bambini, il nostro eccellente
padre.
Allora ci furono tolti i numerosi beni e ci furono date le miserie.
E noi fummo dispersi come un mucchio di chicchi di grano con un bastone.
Voi, zio e zia, ci avete mandato disgrazie.
Da quel giorno ho disperato di tutti i miei parenti.

88
Ma in particolare, mentre erravo ai confini del mondo, Mi ricordai di mia madre e mia
sorella, e tornai al paese.
Mia sorella viveva, ma errava lontano.
Sotto il peso della tristezza e dello sconforto, Entrai in meditazione profonda.
Allora si fece sentire la fame per gli alimenti necessari alla vita.
E, andando a mendicare, giunsi alla porta di mia zia.
Nel vedere un vile eremita mendicante Pronta alla collera e alla cattiveria, Essa incitò e
spinse il suo cane contro di me.
Di un piolo da tenda facendosi un bastone, Percosse il mio corpo come si battono le
spighe.
Caddi a faccia in giù in una pozza d'acqua.
Mentre io stavo per perdere la vita preziosa, Essa gridò che mi avrebbe cavato il midollo
dalle ossa.
Mi chiamò vergogna della famiglia.
Il mio cuore oppresso da queste spaventose parole, Fu disperato di dolore e fremente di
indignazione.
Il respiro affannoso, io non potevo parlare.
Benché io non li voglia più, tu hai rubato con mille inganni la mia casa e i miei campi.
L'anima di un demone abita il corpo di mia zia.
Da quel giorno ho disperato di mia zia.
Poi quando arrivai davanti alla porta di mio zio, Egli mi gridò queste parole cattive, indice
di un animo perverso:
"Ecco il demone distruttore del paese".
E chiamò in aiuto i vicini per uccidermi.
Per tre volte mi ingiuriò.
E una pioggia di pietre mi fu lanciata.
E un ponte di frecce fu gettato fino a me.
Il mio cuore fu colpito da un male che non poté sopportare.
A quel punto, io stavo per morire.
L'anima di un boia abita il corpo di mio zio.
Da quel giorno ho disperato di lui.
Egli fu l'astioso nemico del suo debole nipote.
Poi, quando meditavo sulla montagna La fedele Dzesse Non mi abbandonò, ma ebbe
pietà e venne a vedermi.
Le sue parole sagge e amorevoli Consolarono la mia anima dolente.
Con saporite vivande Spense la mia fame e la mia sete di miserabile mendicante.
Io ho per lei una profonda gratitudine.
Ma essa non è discepolo che faccia opera pia.
Dzesse venne, ma non aveva alcun interesse a ritrovarmi.
La zia ha ancor meno ragione di rivedermi.
Ecco che ora torna a me.
Ma sarebbe stato meglio venire a me in passato». Parlai così. La zia, piangendo e
salutando ripetutamente, implorò:
«Da allora tu hai avuto sempre ragione. Io chiedo di essere perdonata e con sincerità mi
accuso. Il mio rimorso è terribile. Senza rinunciare all'amore di coloro che mi sono vicini,
sono venuta a trovare mio nipote. Non importa come, ho voluto rivedervi, o fratello e
sorella. Se non mi ricevete come è mio desiderio, mi ucciderò e morta resterò qui».

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Non osando rifiutarglielo, misi a posto la passerella. Ma Peta mi disse a bassa voce che
non voleva incontrare la zia e che, anche se l'avessi ordinato io, non mi avrebbe
obbedito. Le risposi:
«L'uomo che trasgredisce alle sue promesse, in generale, è come coloro che bevono
l'acqua di una stessa vallata: è contaminato. Ma io non violerò il mio voto religioso. E
perché sono un religioso, riceverò la zia».
Così parlando, misi a posto la passerella. Ricevetti mia zia come era suo desiderio. Le
prodigai le lezioni sulla legge delle cause e degli effetti. Essa si convertì nel cuore come
nella parola, e diventò una eremita che fa la sua propria salvezza con la pratica della
religione e la meditazione delle formule. "Così parlò il Maestro.
"A questo punto Repa-Luce-di-Pace domandò al Maestro:
"«Maestro, quando chiedevi l'istruzione religiosa, dimostravi per il lama una grande
devozione. Ottenuta l'istruzione, hai meditato con grande forza d'animo sulla montagna.
Qualunque sia lo sforzo del nostro pensiero, esso non può concepire l'estensione della
tua opera.
Ma, se vi pensiamo, ci troviamo ben lontani dal praticare simile legge, e allora non
giungeremo mai alla liberazione».
"Mentre parlava così, piangeva abbondantemente. Il Maestro gli rispose:" Quando si
pensa ai dolori della trasmigrazione e degli inferi, non ci sarebbe nessun rischio ad
accrescere ancora sia questa devozione sia questa forza d'animo. I coraggiosi che hanno
udito la legge delle cause e degli effetti, e che credono in essa, sono tutti capaci di una
simile forza d'animo. Coloro che, non credendo, sono in balia dell'errore, non rinunciano
alle otto leggi del mondo. Per questo è importante credere alla legge delle cause e degli
effetti. Ma quando si ha continuamente dato prova di poca fede nelle cause e negli
effetti, si avrebbe un bel prodigare i precetti e le lezioni sulla vacuità; proprio per quello
sarebbe difficile credere alla vacuità e averne sia pure la minima nozione. Quando però si
crede alla vacuità, sapendo che questa è effetto e causa di se stessa, il saggio metterà
tutto il suo zelo nel separare in causa ed effetto la sua rinuncia al male e la sua adozione
del bene. E crederà che le cause e gli effetti sono la base stessa di ogni legge. Per
questo, è molto importante praticare strettamente e con zelo il rifiuto del male e il
compimento del bene.
Dapprima io sono stato incapace di concepire l'essenza della vacuità, nonostante credessi
alle cause e ai loro frutti. Per questo, dopo aver accumulato i crimini, ho avuto paura di
non poter evitare le pene dell'inferno. Ho quindi reso omaggio e devozione a un lama. Da
quel momento non potevo mancare di ardore per la meditazione.
Anche voi fate come vi dico, seguendo gli insegnamenti segreti che vi do adesso. Andate
a vivere solitari nel deserto. E io, ormai vecchio, vi prometto che sarete liberati dalla
trasmigrazione. "Allora il maestro Bhiraja, di Gnan dzong, domandò: «Maestro prezioso,
mi sembra che tu sei il Reggi-Scettro incarnato sotto forma umana e che queste opere
sono state compiute per la causa delle creature.
(115) Anche se non fosse così, queste opere accumulate durante innumerevoli 'kalpa'
sono quelle che compiono i Mahasattva (116) e che evitano loro di regredire nella
trasmigrazione. Pertanto, tu hai assunto il compito di rivivere e di dedicarti all'ascetismo.
Il Venerabile Maestro dà molteplici prove di ciò che dico. Perché infine, nessuno di noi
poveri uomini può abbracciare col pensiero qualcosa che assomigli alle opere di
devozione che tu hai prodigato davanti al tuo lama, né all'ascetismo che tu pratichi per la
Dottrina. Chi si caricherebbe di un simile fardello? Se, per assurdo, si presentasse un

90
uomo simile, il suo corpo non potrebbe sopportare tale prova. Per questo, è sicuro che
prima tu eri qualche Buddha o Bodhisattva. Ed è così che noialtri, sebbene incapaci di
religione, e le creature che vedono il tuo viso e ascoltano la tua parola, noi pensiamo che
saremo liberati dalla trasmigrazione. Per questa ragione, o Venerabile Maestro, ti prego
di dirci se sei il Reggi-Scettro, o di quale altro Bodhisattva sei la incarnazione».
Il Maestro rispose:" Notizia su chi io incarnassi non ho mai avuto. Quand'anche incarnassi
i tre inferi, voi dovete vedere in me dovunque il Reggi-Scettro e gli altri Bodhisattva, e
ricevere devotamente la loro benedizione. Questo credere che io sia un'incarnazione è
una buona opinione di me. Ma non c'è eresia più grande di questa credenza. E' perché
non conoscete gli effetti della mia dottrina. Prima di tutto, la legge è così vasta che
chiunque sia stato un gran peccatore, come lo fui io nella mia giovinezza, e, avendo in
seguito creduto alle cause e agli effetti, abbia rinunciato al mondo e abbia meditato nella
pace del corpo, della parola e del pensiero, non sarebbe lontano dal raggiungere la
Bodhi.
Ma più in particolare, se si ha avuto la possibilità di meditare sotto la direzione di un lama
segnato dalla santità, dopo aver ottenuto da lui le formule e il potere di spiegare, senza
renderli oscuri con idee preconcette ma fino a riuscire a vederli a nudo, il senso reale e
l'insegnamento del cammino più breve delle formule segrete, allora non si avranno più
dubbi se si sarà o no Buddha in questa vita.
Ma se, colpevoli dei dieci vizi e dei cinque peccati non espiabili, (117) si muore
improvvisamente, non si devono aver dubbi se si rinascerà o no nei tormenti dell'inferno.
E questo perché, se non si crede alle cause e agli effetti, si manca di forza morale.
Ma colui che agisce in conformità con la sua fede; crede alle cause e agli effetti. Egli avrà
timore dei dolori dell'inferno. Nel suo desiderio di ottenere la Bodhi, offrirà il suo omaggio
a un lama. Poi si sforzerà di meditare le formule. Infine si applicherà a mantenersi nello
stato di spiritualità. E allora potrà fare anche più di me. Se un simile uomo si presenta, lo
si prenderà ugualmente per un'incarnazione di Buddha o di Bodhisattva. E' la prova che
voi non credete al metodo breve della salvezza per mezzo delle formule segrete. Prestate
dunque fede alle cause e agli effetti. Ricordatevi le cause e gli effetti della storia che vi
ho raccontato, i castighi della vita mondana, la pena per ottenere la condizione umana,
l'ignoranza dell'ora della nostra morte.
Penetratevi del senso delle formule segrete. Anch'io mi sono inflitto la privazione di cibo,
di vesti e di parola. Ho fortificato la mia anima. E senza preoccuparmi delle prove
imposte al mio corpo, andai a meditare nelle montagne deserte. Allora si manifestò la
virtù dello stato di spiritualità. Anche voi seguite il mio esempio con tutto il vostro cuore.
"Così parlò il Maestro. Tale è il settimo capitolo in cui, per obbedire ai comandi del suo
lama, egli rinuncia a questa vita e, coltivando un'austerità e un ascetismo terribili. si ritira
per meditare nelle montagne."

CAPITOLO 8
"Allora Rechung domandò:
"«Maestro, niente è più straordinario delle tue opere, ma esse non hanno nulla di allegro.
Finora, abbiamo avuto motivo di piangere e gemere. Voglia tu ora dirci quali sono le
azioni che danno motivo di ridere». (118) Il Maestro rispose:" «I motivi di riso sono i
risultati della mia meditazione ostinata. Io sono stato utile alla dottrina del Buddha per il

91
tramite di uomini e non-uomini che ebbero la fortuna di convertirsi e di entrare sulla via
della salvezza».
"Rechung domandò:
«Maestro, quali furono i primi di questi uomini e non-uomini?».
Il Maestro rispose:" «Dapprima vennero a tormentarmi i non-uomini. Dopo vennero gli
uomini raccolti come discepoli, poi le forme incarnate della dea Tseringma.
(119) Infine vennero gli altri discepoli uomini. Tseringma fu la propagatrice non-uomo
della mia dottrina; i propagatori, furono uomini del Tibet Centrale».
"Così parlò il Maestro. Allora Repa di Seban domandò:
"«Maestro, i tuo eremitaggi più importanti furono Laphyi e Chubar. A parte questi due
ritiri e i precedenti, dove hai inoltre meditato?».
Milarepa rispose:" «Sul monte Jolmo Gangsra del Nepal; in sei "dzong" (120) esterni,
celebri in ogni luogo, in sei "dzong" personali senza fama, in sei "dzong" segreti, che
fanno diciotto. Poi in altri due "dzong", cioè venti in tutto. In quattro grandi caverne
famose in ogni luogo, in quattro caverne senza fama; queste ultime comprendono le mie
dimore anteriori. Infine, ho meditato nelle altre piccole grotte e luoghi solitari in cui si
trovano riunite le condizioni favorevoli. E così, componendo in una sola cosa l'oggetto
meditato, l'azione di meditare e il soggetto che medita, non so più quello che è stata mia
meditazione».
"Allora Rechung:
"«Il Maestro prova pietà per tutte le cose che finiscono nel nulla.
Noi, tuoi discepoli e soggetti, ti dobbiamo molta gratitudine per la nostra gioia di
comprendere e gustare definitivamente un po' di quello che è verità e certezza.
"Voglia tu dirci, come esempio per l'istruzione di chi si convertirà in futuro, ogni nome
delle grandi caverne, degli "dzong" conosciuti o sconosciuti e degli "dzong" segreti dove
hai meditato».
"Il Maestro rispose:" «I sei "dzong" esterni, universalmente famosi, sono gli "dzong" del
nulla Roccia-Bianca-Dente-del-Cavallo, Smin K'yugs gribma, Blocco-di- Roccia-Rossa,
Dzong-Perfetto-di-Ragma, Cielo-ornato-di-Banderuole, Vajradi-Roccia-Grigia. I sei
"dzong" ignorati sono: Cheu lung Khiung, Sole-di-Gioia, il Cuculo-Solitario, "Dzong" dei-
Banani-della-Grotta- di-Cristallo, Dzong-dei-Cavoli-Saporiti, Dzong-della-pianta-del-piede-
di-pietra. I sei "dzong" segreti sono: Dzong-del-Cielo-pieno-di-segni- terribili, Leone-della-
Caverna-della-Tigre, Dzong-della-Caverna- nascosta, Loto-della-Grotta, Naga-della-Porta-
degli-Elefanti, Vajra- di-bronzo-vittorioso. Gli altri due "dzong" sono: Sole-della-grotta-
felice e Cielo-delle-vette.
Le quattro grandi caverne universalmente famose sono: La-Grotta- Stomaco-di-Nyanang,
Sconfitta-dei-Demoni-di-Chi, Lingua-dello-Yack-di- Chin, Grotta-delle-Apparizioni-del-
monte-Kailas. Le quattro grotte senza fama: La Grotta-del-Piede-che-prende-Radice,
Luce-di-Ron, Mantello-di-seta-del-Monte-delle-Capre, Grotta-di-Kuthang-e-di-Ron.
Se andate a meditare in questi luoghi vi troverete tutti i vantaggi del deserto. Affinche la
trasmissione della mia dottrina sia benedetta, andate dunque a meditare». "Quando il
Maestro ebbe così parlato, tutti i discepoli presenti, uomini e Dei, e tutti gli ascoltatori
stranieri, pieni di tristezza, sentirono nascere nel loro cuore un pentimento, una fede e
una pietà senza limiti.
"Dopo aver ripudiato l'amore per le vanità terrene delle otto leggi, si consacrarono alle
gioie della dottrina pura. I grandi figli spirituali innalzarono lodi alla dottrina dei tre mezzi
(121) e alle creature, e si sottomisero all'ascetismo e alla mortificazione. Fecero voto di

92
meditare senza sosta nelle montagne, con ardore e abnegazione terribili. Gli ascoltatori
divini promisero di proteggere la dottrina.
"Anche tra gli ascoltatori stranieri, i migliori rinunciarono alla vita mondana. Molti uomini
e donne che avevano seguito il Maestro per servirlo, si fecero eremiti meditanti, convinti
dell'inanità del mondo. Gli ascoltatori di mezzo fecero voto di meditare per qualche mese,
per qualche anno. Anche gli ultimi, sia che rinunciassero per sempre ai loro vizi, sia che
facessero voto di praticare per sempre la virtù, arrivarono tutti allo scopo. "Dopo aver
fissato per iscritto tutte queste parole che il Maestro ha detto, e dopo averle sistemate
sotto forma di 'sutra' delle opere che giovano alla dottrina e alle creature, e anche come
parole pronunciate dallo stesso Maestro, adesso le svilupperò un poco. (122) "Ci furono
tre grandi classi di seguaci: i non-uomini esorcizzati dalla loro dannosità; la setta dei felici
figli spirituali, condotti alla conversione e alla liberazione; infine, gli ascoltatori stranieri e
liberi, di ogni specie, che girarono la ruota della legge. (123) Tutti crebbero di numero.
"Prima di tutto, come furono soggiogati i non-uomini? Col canto «Lamadendrug», Mila
soggiogò il re demone Binayaka nella vallata della Roccia Rossa. In seguito andò a Laphyi
per obbedire a Marpa. A Chuzan di Laphyi, egli cantò il canto che soggiogò il grande
genio Ganesha.
L'anno seguente, in occasione del suo viaggio nel capoluogo di Laphyi, cantò il celebre
canto delle nevi. Poi, volendo andare, per obbedire al lama, sul monte Palbar nel
Mangyul e a Yalmo Kangsra nel Nepal, passò di nuovo per il Kongt hang. Lì fu attratto
dalla Roccia Lingua.
Vi si fermò un momento e cantò il canto del demone femminile delle Rocce di Lingua.
Poi, nello Dzong-Perfetto-di-Ragma, vicino al monte Palbar, cantò il canto che soggiogò
la dea del luogo e il genio che abitava lo 'dzong' Ragma.
"In seguito si fermò nello "dzong" di nome Cielo-Ornato-di-Banderuole.
Vi fece opera utile a numerosi non-uomini e uomini. Poi, essendo andato sul monte
Yalmo Gangsra, si fermò in un rifugio di leoni chiamato Caverna-della-Tigre, nel cuore di
una fitta foresta nell'isola di Ceylon. Vi fece opera utile ad alcuni uomini e non- uomini.
Poi obbedì a questa profezia: «Andrai nel Tibet e, meditando nella solitudine delle
montagne, agirai per il bene delle creature»
Andato dunque nel Tibet, si fermò in una grotta della Pianura Centrale e cantò il canto
dei colombi. "In secondo luogo, come incontrò i suoi figli spirituali? Quando abitava nello
"dzong" Vajra-di-Roccia-Rossa, mentre faceva opera utile alle creature, la madre eremita
Vajra gli predisse in generale l'arrivo dei suoi discepoli e in particolare quello del
discepolo Rechung-Simile-al-Diamante che avrebbe ereditato le formule di origine divina.
E mentre era nel Kung thang, nella Grotta-del-Mantello-di-Seta sul monte La-Capra,
incontrò il suo figlio spirituale Rechung. Siccome Rechung era poi andato in India per
curare una malattia, Maestro e discepolo si incontrarono di nuovo.
"Poi incontrò Tsaphurepa nella grotta dove Risplendono-le-Colombe.
Andato in seguito nello Dzong-Perfetto-di-Ragma, vi incontrò Repa- Buddha-Protettore.
Essendo ripartito, si fermò nella grotta di Nyanang, dove indirizzò sulla via della
liberazione Sakia-gun-che- mostra-Dolore, già convertito, e gli diede la investitura.
"Poi andò a Tago, nel Nord. Incontrò Centomila-Bandiere-di-Gloria sulle tre balze della
scarpata di Chung.
"Tornato al Caravanserraglio di Yäru, nel Nord, incontrò Repa di Seban.

93
"In seguito, durante l'autunno, essendo andato a mendicare, incontrò Repa-Luce-di-Pace
alla sorgente delle Centomila-Monete-d'argento. Poi, a Chen-lung, dopo aver cantato la
sua canna di bambù, incontrò Repa- che-scaccia-il-male.
"Poi, mentre era sul monte Laphyi, le dee lo incoraggiarono secondo la profezia del lama.
Sulla strada per il monte Kaïlas, incontrò Santo- dal-Potente-Respiro. Arrivato lì, mentre
faceva il giro della cima del' Lovo-korore, incontrò Garchung Repa.
"Poi, mentre svernava sui pendii nevosi in cima al Hbri del Purangs, incontrò Repa dad
ma uang djug. In primavera, essendo andato sul monte Kaïlas, cantò il Kaïlas, dove egli
gareggiò con il mago Naro Bon chong.
"In seguito, ridisceso, dimorò di nuovo nel Vajra-di-Roccia-Grigia e incontrò Rongchong
Repa. Poi, incoraggiato dagli Dei, vide mentre era in cammino lo Dzong-della-Caverna-
Nascosta. Fermatosi lì qualche giorno, fu seguito da un pastore che fu chiamato Repa-
Pastore-di- Montoni e che diventò un saggio. In seguito incontrò Repa-eremita-di- Gjen
nello 'dzong' Loto-della-Grotta. Poi, finché restò nello Dzong- della-Caverna-Nascosta,
questi due uomini lo servirono.
"In seguito, facendo il giro di Chorodjrig, incontrò Rechungma. Poi, mentre era presso i
Mon a Gnychang gurta, incontrò Repa-Cacciatore. E' quest'ultimo che diffuse la fama del
Maestro nel Nepal. E, incoraggiato da un avvertimento degli Dei, il re Khatmandu onorò il
Maestro.
"Poi, invitato da Rechung e da Repa-Eremita-di-Gjen, il Maestro si fermò nella grotta Do
nyan yon di Laphyi e, l'anno dopo, abitò il dirupo di Chen lung.
"Poi, andato a Chubar, pronunciò volta a volta i suoi tre incantesimi per soggiogare
Zeringma. In seguito essendo disceso a Chrinding, incontrò Repa-Scettro-Potente.
Mentre Maestro e discepoli abitavano nella grotta Stomaco-di-Nyanang, incontrarono
Dharma-bodhi dell'India nello 'dzong' del Nepal. E Dharmabodhi rese omaggio al
Maestro. Ma, per invidia, Darlo contestò che la sua fama fosse una prova di vera santità.
E il Maestro lo confuse con dei prodigi. In seguito a questo, cantò dei canti su Rechung e
Tibu. Intanto incontrò Megonrepa alla Caverna-a-forma-di-Stomaco. Al Falco-Nero di
Nyanang, incontrò Repa- Luce-Brillante.
"In seguito il Maestro si ritirò sulla cima della Roccia-Rossa. Scorse Rechung che tornava
dall'India e gli andò incontro. Questa fu l'occasione del canto del Corno-di-Yack e del
canto dell'Emione.
Poi, andato a Chubar, incontrò Repa-Eremita-di-Glen di Dagpo. Sulla collina della Beata-
Felicità, incontrò il medico senza uguali di Dagpo, che è il 'gelong' Vajradhara, (124)
Bodhisattva reincarnato sotto forma umana per la causa delle creature.
"Mentre si trovava al Piccolo-Tamarisco-di-Chubar, incontrò il monaco Lotun che prima lo
contraddiceva e che diventò suo discepolo. Poi, mentre era nello "dzong" Sole-della-
Grotta-Felice, incontrò Dretun Krachis bar. Tra i monaci non contemplativi, incontrò
Likorphyaru, che l'aveva seguito per servirlo. "Tali sono le circostanze per cui il Maestro
incontrò tra i suoi discepoli otto figli spirituali, tredici discepoli intimi e quattro sorelle di
questi, i quali dovevano tutti diventare venticinque santi, secondo la profezia. "In terzo
luogo, ecco gli incontri negli "dzong" segreti, cantati senza ordine né precisione. Prima di
tutto cantò alcune risposte a domande di discepoli e di ascoltatori. Al tempo di Gampopa
(125) cantò il canto della montagna dei Bonpo. (126) Poi, andato nel Nyanang, cantò la
consacrazione e l'investitura. In seguito, a Tsarmar, cantò Chendormo e Legssebum.
(127) Poi cantò il canto 'Chidrod thigs chagsma'.

94
"Poi, quando andò a Laphyi con Rechung, cantò la caverna Sottomissione-dei-Demoni e
la sua passeggiata fuori dalla caverna.
"Risalito alla caverna, cantò La-Grotta-sul-Punto-di-Crollare.
"Infine, su invito degli ascoltatori, mentre si trovava nella grotta Stomaco-di-Nyanang, il
Maestro raccontò la sua storia e cantò la partenza di Rechung per il Centro. (128) Aiutato
dal dio La-cui-metà- superiore-del-corpo-è-di-Leone, cantò il suo incontro con Tamba a
Thongla. A Lasching, cantò un canto di pietà per i morti, come testimonianza di
riconoscenza verso sua madre. Poi cantò il suo testamento agli ascoltatori di Zarma e agli
abitanti di Nyanang.
Durante un viaggio a Chubar, cantò il canto di Lhadje yang de, abitante di Dingri.
Quando fu arrivato a Chubar, cantò la nuova partenza (di Rechung) per il Centro. Cantò il
donatore Chrachis tseg di Lhabro-del-Chrin. Sul torrione di Roccia-di-Chrin, cantò
Dissebum e gli ascoltatori, a cominciare da Konbyng.
"In cima alla Roccia-Rossa, riuscì vittorioso dei demoni. Là, ebbero luogo le domande e le
risposte sugli incantesimi. E tutti i suoi discepoli furono pieni di gioia. Poi fece delle
trasfigurazioni corporee. E mentre girava la ruota della Legge famosa in ogni luogo e
quella che è sconosciuta, con dei mezzi inimmaginabili portò i discepoli maturi verso la
consacrazione, felici di sconfinata gioia.
Coloro che erano appena appena maturi per la consacrazione, furono messi sulla via della
liberazione. Anche gli ultimi, che aspiravano alla perfezione, furono uniti in vincolo
spirituale con i maestri e discepoli Bodhisattva. Gli sventurati, infine, rinunciando alle
passioni, si sforzarono di osservare le leggi divine e umane in vista del paradiso
temporale.
"Pieno di una compassione vasta come il cielo, e rendendo luminosa come il giorno la
dottrina del Buddha, il Maestro protesse le creature dai molteplici dolori della
trasmigrazione e dell'inferno.
"Tutti questi canti si trovano per esteso nel Gurbum. (129) "Tale è l'ottavo capitolo, in cui
il Maestro si rende utile alla dottrina e alle creature con il frutto delle sue meditazioni.

CAPITOLO 9
"Al tempo in cui queste opere furono compiute, viveva nella cittadella di Chrin un Maestro
chiamato il Geshe (130) Tsaphua, molto ricco e influente. Questi era a capo degli abitanti
di Chrin. Al momento faceva finta di onorare il Maestro. Ma poi, soccombendo all'invidia e
desiderando confondere il Maestro davanti alla folla dei donatori, simulava dei dubbi e gli
poneva molteplici domande. Alla prima luna dell'autunno dell'anno della Tigre-di-Bosco, il
Maestro era stato invitato a presiedere a una grande festa a Chrin. Vi si recò anche il
Geshe Tsaphua. Egli salutò il Maestro, sperando che il Maestro rispondesse al suo saluto
in presenza della folla. Il Maestro non aveva mai salutato nessuno se non il suo lama, né
aveva mai risposto al saluto di nessuno. Secondo il suo solito, non rispose al saluto.
"Il Geshe pensò: «Ma come! Un donatore e dottore sapiente come me saluta uno sciocco
ignorante e non riceve risposta! Gli farò pagare la mia confusione». E gli porse un
trattato di dialettica dicendo:
«Maestro, voglia tu dissipare la mia incertezza e spiegarmi questo parola per parola».
"Il Maestro rispose:
"«Tu conosci bene la spiegazione di queste dialettiche. Il significato e che colui che ha
rinunciato alle otto leggi del mondo è sereno; avendo vinto i suoi appetiti, è indifferente

95
alla morte e medita nel deserto trionfando sulla soggettività delle cose. A parte ciò,
queste frasi imparate a memoria alle quali tu domandi una risposta, queste frasi che si
succedono, non sono necessarie. Io non le ho mai imparate. Le ignoro completamente.
Se le sapessi, le dimenticherei.
Ascolta il mio canto in prova di questo: "Salute al traduttore Marpa.
Che mi benedica perché io eviti la controversia.
Che la benedizione del mio signore penetri la mia mente. "Che la mia mente non sia
turbata da queste cose.
Dopo aver meditato la dolcezza e la pietà, Ho dimenticato la differenza tra me e gli altri.
Dopo aver meditato il mio lama in vetta alla mia anima, Ho dimenticato coloro che
comandano con la loro influenza.
Dopo aver meditato contemporaneamente il mio Ydam, Ho dimenticato il grossolano
mondo dei sensi.
Dopo aver meditato le formule della tradizione orale, Ho dimenticato i libri di dialettica.
Avendo conservato la scienza comune, Ho dimenticato le illusioni dell'ignoranza.
Dopo aver meditato la formazione dei Tre Corpi (131) in se stessi, Ho dimenticato di
pensare alla speranza e ai timore.
Dopo aver meditato questa vita e l'aldilà, Ho dimenticato la paura della nascita e della
morte.
Dopo aver gustato le gioie della solitudine, Ho dimenticato l'opinione dei fratelli e amici.
Dopo aver composto versi per i discendenti, Ho dimenticato di prendere parte alle
polemiche dottrinali.
Dopo aver meditato ciò che non ha inizio, né negazione, né luogo, Ho trascurato tutte le
forme di convenzione.
Dopo aver considerato il corpo nirvanico delle apparenze, Ho omesso di meditare le
creazioni della mente.
Dopo aver disdegnato senza finzione il discorso, Ho dimenticato l'uso dell'ipocrisia.
Dopo aver scelto il corpo e il linguaggio degli umili, Ho dimenticato il disprezzo e
l'arroganza dei personaggi importanti.
Dopo aver fatto del corpo il mio proprio monastero, Ho dimenticato il monastero della
città.
Dopo aver adottato lo spirito senza curarmi della lettera, Ho dimenticato di sezionare le
parole.
Fai tu, giacché sei Maestro, la dimostrazione del tuo trattato». "Parlò così. Il Geshe
ribatté:
«E' possibile che questo sia il linguaggio abituale di voialtri eremiti. Ma se lo ostacolassi
con la mia sapiente argomentazione, il tuo discorso non potrebbe più andare avanti.
Speravo che tu fossi un galantuomo. Per questo ti avevo salutato».
"Questo discorso non piacque ai donatori. Gli dissero tutti a una sola voce:
"«Maestro Geshe, qualunque sia la tua scienza religiosa, quali che siano coloro che
professano la tua dottrina sulla terra, tutti insieme voi pesate meno di un poco di
lanugine del Maestro. Rimani dunque alla nostra testa mantenendo il silenzio. Arricchisciti
finché puoi. Ma il minimo profumo di religione tu non l'hai».
"Siccome tutti erano unanimi, non poteva lottare nonostante la sua crescente irritazione,
e il suo viso diventò nero. Pensò: «Milarepa agisce e scherza come un insensato che non
sa nulla. Con le sue menzogne e la sua impostura, avvilisce la dottrina. Ottiene numerosi
regali inducendo in errore le creature. Io che ho acquistato tanta scienza, benché sia il

96
più ricco e il più influente del paese, in materia religiosa conto meno di un cane. Bisogna
che ci rifletta su».
"Promise alla sua concubina una grande turchese che possedeva. Poi mescolò del veleno
a del latte cagliato e mandò la sua concubina a portarlo alla Roccia-di-Chrin, dove il
Maestro si trovava. Il Maestro sapeva che i suoi fortunati discepoli erano ormai sicuri
della liberazione e che, anche se non avesse preso il veleno, era giunto per lui il tempo di
morire. Sapeva anche che quella donna non avrebbe avuto la turchese prima che egli
avesse bevuto. Per questo, le disse:
"Non berrò subito questa pozione. Riportala più tardi e la berrò».
"Chiedendosi se il Maestro la sospettasse, inquieta e vergognosa, la donna se ne tornò
via.
"«Geshe,» disse «grazie alla doppia vista, il Maestro ha avuto sospetto e non ha bevuto».
"«Se avesse la doppia vista, non ti avrebbe detto di riportarla, ma ti avrebbe detto di
bere tu stessa. Se non ha detto questo e se ti ha detto di riportarla, questo prova che
non ha la doppia vista. Prendi la turchese, vai a trovare il Maestro e fai in modo che
beva».
"E le diede la turchese. Essa rispose:
"«Tutti credono che egli abbia la doppia vista, quindi di è certo. E' per questa ragione che
non ha bevuto la pozione. Ti garantisco che adesso non berrà. Io non voglio la turchese.
Avrei troppa paura per agire con la necessaria sicurezza. Perciò, non andrò di certo».
"Il Geshe rispose:
"«I laici sono persuasi che egli abbia la doppia vista perché non hanno letto i libri e
perché le sue menzogne li hanno sviati. Nei miei libri, gli uomini dotati della doppia vista
non sono così. Ti garantisco che non ha la doppia vista. Se avrò la prova che gli hai dato
la pozione, ci sposeremo. Perché noi viviamo insieme da molto tempo e non c'e una gran
differenza a mangiare poco oppure molto aglio. Oltre a questa turchese, tu disporrai di
tutti i miei beni di fuori e di dentro, e divideremo le gioie e i dolori. Sii dunque accorta».
"Lei, sperando che queste parole sarebbero state realizzate, mescolò il veleno al latte. E
lo portò al Maestro che si trovava a Bodekrachigang. Il Maestro sorrise e prese [il vaso]
nelle mani. Lei pensò: «Come ha detto il Geshe Tsaphua, non sembra che abbia la
doppia vista». Mentre pensava così, il Maestro le disse:
"«E' questa la turchese che ti ricompensa dell'azione che fai?».
"Confusa e spaventata, essa si prosternò.
"E disse con voce piangente e tremante:
"«Ho avuto la turchese. Non prendere questo. Ridammelo. Sono una donna che fa le
cose senza pensare».
"«Che cosa vuoi farne?».
"«Lo berrò io, colpevole quale sono».
"Il Maestro replicò:
"«Prima di tutto, ho troppa compassione per dartela da bere. Sarebbe contrario agli
insegnamenti dei Bodhisattva e per punizione ricadrei all'ultimo grado. Ma soprattutto, il
mio tempo di prova è finito ed il momento è giunto di andare in un altro mondo. Il tuo
veleno, in se stesso, non mi farà alcun male ed è indifferente che lo beva o non lo beva.
Ma se l'avessi bevuto la prima volta, tu non avresti avuto la turchese come ricompensa
del tuo delitto, per questo non l'ho bevuto.
Ora che la turchese è nelle tue mani, berrò, per soddisfare il desiderio del Geshe e
perché tu ti sia guadagnata la turchese.

97
"In quanto agli accordi che avete preso per dopo, non succederà come tu speri. Il Geshe
ha detto molte cose sulla mia condotta. Siccome non ha detto una sola parola vera, in
futuro avreste occasione di pentirvene. Pentiti fin da questa vita, purificati e medita. Se
non puoi farlo, almeno finché vivi non commettere più simili delitti.
Prega per me e per la mia discendenza spirituale con cuore sincero.
Voi due avete rinunciato per sempre alla felicità e avete acquistato il dolore. Io vedrò se
posso cancellare fin da ora il vostro delitto.
Non parlare a nessuno di questo finché non sarò morto. Dopo, tutti lo sapranno. Benché
tu non abbia ancora visto con i tuoi occhi né sentito con le tue orecchie che le mie parole
antecedenti erano vere, ricordati bene queste e considera se siano vere quando sarà
venuto il momento di credere in me».
"Avendo così parlato, bevve. La donna riferì queste parole al Geshe Tsaphua. Egli
osservò:
"Non ogni parola è verità. Non tutto ciò che è grasso viene ammazzato.
A me basta che abbia preso il veleno. Ora ricordati bene di tacere». "Il Maestro parlò
così:
"«Voi, uomini di Nyanang e di Dingri, prima di tutto, poi tutti i donatori e i credenti che
siete legati a me, portate delle offerte e tornate presso di me. E tutti gli altri uomini nel
mondo, che senza essere legati a me desiderano incontrarmi, vengano anche loro».
"Tutti i discepoli diffusero queste parole. Molti di quelli che le udirono non credettero che
il Maestro le avesse dette. Ma gli ascoltatori, i discepoli e i credenti legati alla dottrina, e i
fortunati che desideravano incontrare il Maestro, si riunirono a Chubar. allora, per
numerosi giorni, il Maestro parlò della legge delle cause e degli effetti per chiunque e del
senso assoluto dell'essenza delle cose.
Nel frattempo, alcuni fortunati discepoli, tra gli ascoltatori, videro chiaramente il cielo
pieno di Dei in ascolto della parola del Maestro.
Molti altri ebbero l'intuizione che il cielo e la terra fossero pieni di Dei e di uomini in
ascolto della dottrina, ed erano esultanti. Agli occhi di tutti apparve con evidenza la volta
di un arcobaleno in un cielo limpido. Strumenti di sacrificio, parasoli e stendardi
innumerevoli sotto forma di nubi di cinque colori empivano il cielo.
Una pioggia di fiori di cinque colori diversi cadeva. Si udivano musiche incantevoli e si
sentivano profumi ancora sconosciuti. Gli ascoltatori di mezzo, che avevano coscienza di
questi prodigi, chiesero al Maestro:
"«Abbiamo l'idea che il cielo e la terra siano pieni di Dei e di uomini in ascolto della
parola, e ne siamo ebbri di felicità. Qual è la ragione di questi prodigi?».
"Il Maestro rispose:
"«Qui c'e poca gente oltre a voi ascoltatori che avete ottenuto la condizione umana, e
agli ascoltatori fortunati. Gli ascoltatori celesti che riempiono lo spazio, offrendomi i
cinque omaggi divini, fanno sorgere in voi la gioia. Tale è la causa dei prodigi di cui avete
la sensazione e di quelli che vedete chiaramente».
"«Allora,» dissero a perché non vediamo certi prodigi?».
"«Tra gli Dei ci sono degli Anagamin (Coloro-che-non-rinascono-più) e molti hanno
raggiunto i dieci gradi. (132) "Per vederli, non c'è mai bisogno dell'occhio fisico. Ma si
deve assolutamente riunire le due accumulazioni e reprimere le passioni delle due
ignoranze. (133) Se voi vedeste i primi tra gli Dei, quelli che hanno ottenuto i dieci gradi,
vedreste la corte degli Dei che li seguono. Se volete vedere gli Dei, sforzatevi di
accumulare [dei meriti] e di purificarvi. Se fate questo sforzo, vedrete gli Dei in voi

98
stessi». E cantò questo canto sul modo di vedere gli Dei: "«Salute, o Marpa pieno di
grazie!
Benedici la tua discendenza perché sia numerosa.
Gli ascoltatori divini Venuti dalla dimora fortunata degli Dei Per ascoltare l'eremita
Milarepa, E che riempiono un cielo senza confini; Eccetto i possessori di cinque occhi,
(134) Quali uomini comuni li potrebbero vedere?
Io li vedo tutti chiaramente.
Tuttavia per la maggioranza degli uomini Ci sono omaggi resi agli Dei, signori degli
uomini; Il cielo è riempito dallo splendore dell'arcobaleno; Una pioggia di fiori cade in
omaggio agli dei; Il profumo dell'incenso olezza e una musica armoniosa si fa udire.
Tutti provano una felice stima gli uni per gli altri. "Tale e la grazia del lama Kadjupa.
"Se volete che questa grazia vi faccia vedere gli Dei e i geni che ascoltano la mia parola,
ascoltate il mio canto: "Per la forza dei peccati accumulati nelle vostre vite anteriori, Voi
amate il peccato dal giorno in cui siete nati.
Rifiutando ogni virtù, Anche nella vecchiaia la vostra mente è perversa.
Voi raccogliete il frutto delle vostre opere Se vi chiedete se i vostri peccati vi saranno
rimessi.
Il vostro desiderio di virtù cancella i peccati.
Ma colui che commette il peccato scientemente Riceve un ago di cibo in cambio della
vergogna. (135) Colui che si pone a guida degli altri E non sa lui stesso dove andare, Fa
torto a se stesso e agli altri.
Se volete fermamente evitare il dolore, Evitate ogni malevolenza verso il prossimo.
Ma la confessione dei vostri peccati anteriori Ai piedi degli Dei e di un lama, La promessa
di non commetterne più in futuro, Sono la formula per purificarsi rapidamente.
La maggior parte dei peccatori è scaltra, Essi amano tergiversare ed errare.
Se non mostrano alcuna disposizione religiosa, Questo prova che sono ancora carichi di
peccati.
Che costoro facciano ancora e poi ancora penitenza E che si sforzino senza sosta Di
accumulare meriti e dissipare le loro tenebre.
Se farete così, non soltanto vedrete Gli Dei venuti ad ascoltare con benevolenza, Ma
anche il più eccellente di tutti gli Dei, Il Buddha che è in voi stessi.
Se vedrete questo, vedrete anche Lo spettacolo della trasmigrazione e della liberazione.
E avrete portato a termine ogni opera». "Tra gli ascoltatori, Dei e uomini, radunati in quel
luogo, i migliori giunsero a una visione duratura e precisa del loro corpo nirvanico.
Quelli di mezzo ebbero la chiara nozione dell'illusorietà e furono messi sulla via della
liberazione. Non c'era nessuno che non progredisse spiritualmente verso la perfezione.
Allora il Maestro disse loro:
"«O voi monaci e discepoli, Dei e uomini radunati, il nostro incontro è stato la risposta ai
voti delle nostre esistenze anteriori. Ci siamo riconosciuti dal nostro comune ideale. Ora
che sono vecchio, non so se vi rivedrò di nuovo in un'età ancor più avanzata. Trattenete
coraggiosamente nel cuore gli insegnamenti che vi ho dato. Se farete così, ovunque io sia
nei campi della Bodhi, voi rinascerete, primi tra i miei discepoli. Dunque rallegratevi».
Parlò così.
"Gli ascoltatori di Nyanang si chiesero se questo modo di parlare del Maestro non
significasse che la sua dipartita per la causa degli altri fosse prossima. Immediatamente
lo pregarono che, se le cose stavano così, volesse partire per il cielo da Nyanang. E che,
se le cose non stavano così, volesse comunque tornarci una volta. In tal modo pregando,

99
pieni di fede e d'amore, gli afferravano i piedi e facevano udire pianti e gemiti. Anche gli
ascoltatori di Dingri pregarono con insistenza il Maestro di andare nel loro paese. Il
Maestro disse loro:
"«Sono vecchio e non andrò né a Nyanang né a Dingri. Aspetterò la morte dalle parti di
Chrin e di Chubar. Andate e pregate. Ci ritroveremo nella patria degli Dei».
"«Allora, se il Maestro non viene, che preghi affinché questi paesi in cui il Maestro è
passato un tempo siano benedetti; affinché coloro che hanno visto il suo viso e udito la
sua parola, un giorno lo ritrovino.
Che egli preghi per tutte le creature».
"Il Maestro rispose loro:
"«Vi ringrazio dei viveri di cui mi avete fatto elemosina per fede in me. Vi ho ringraziati
col formare il vostro spirito e col predicare la Legge. Poiché sono un eremita che ha
realizzato le verità che ho detto, è giusto che faccia una preghiera per la vostra felicità in
questo mondo e nell'altro».
"E cantò questo canto: "«Mi prosterno ai piedi del traduttore Marpa, Padre protettore
delle creature e dispensatore della loro salvezza.
O miei discepoli qui adunati, ascoltatemi.
Verso di me siete stati pieni di grazie.
Anch'io sarò per voi pieno di grazie.
Che Maestro e discepoli, ugualmente riconoscenti, Si ritrovino nel paradiso d'Indra.
Che tutti i donatori qui presenti, Abbiano vita lunga e felicità.
Che senza essere indotti al male, Agiscano solo secondo la Dottrina.
Che questo paese sia fortunato, Senza malattia né guerra, Ma con ricche messi e
crescenti possibilità.
Che compia sempre opera di religione.
Possa io ritrovare nel paradiso d'Indra I miei visitatori e ascoltatori, Coloro che si
ricorderanno la mia storia, Coloro che l'hanno soltanto udita, così come il mio nome.
Che coloro che imiteranno la mia storia, Coloro che la chiederanno e l'ascolteranno,
Coloro che la leggeranno e la venereranno, Coloro che la continueranno nella loro vita, Mi
ritrovino nel paradiso d'Indra.
Che tutti gli uomini dell'avvenire, Se sono capaci di meditare, Non ne siano impediti
Come lo fui io a forza di ascetismo.
Coloro che praticano l'ascetismo per la dottrina, Raccolgono innumerevoli meriti.
Per colui che esorta a entrare in questa via La gratitudine è immensa.
Colui che ha udito la mia storia Riceve una benedizione infinita.
Poi che questa triplice benedizione assicura la salvezza Per aver ascoltato la mia storia, Il
solo desiderio di udirla possa realizzare anche la liberazione; Che le mie dimore e i miei
luoghi di riposo, Che i piccoli oggetti che possiedo, Là dove andranno, portino la felicità.
Possa io abbracciare tutto lo spazio Come esso stesso abbraccia la terra, l'acqua, il fuoco
e il vento.
Che gli Dei, i naga e le otto classi di geni, Che la folla dei geni locali, Senza proferire
parole nocive, Esaudiscano i desideri in armonia con la Dottrina.
Che gli esseri viventi, gli insetti, Senza che uno solo cada nella trasmigrazione, Siano tutti
salvati da me!». "A queste parole, gli ascoltatori, mostrando grande gioia, dubitarono che
il Maestro dovesse morire. Gli ascoltatori di Nyanang e di Dingri gli chiesero la sua
benedizione e pregarono con maggior fervore di quanto non avessero mai fatto. Gli

100
ascoltatori rientrarono ognuno nella sua dimora, e subito l'arcobaleno e le altre visioni
svanirono.
Allora la gente di Chrin, avendo fatto appello all'influenza di Repa- Lucè-di-Pace e degli
altri figli spirituali, li incalzavano con le loro preghiere. E il Maestro si stabilì in una grotta
di meditazione che aveva costruito in cima a una roccia velenosa, che era la testa eretta
del naga che nuoceva a Chrin. Quando ebbe finito di predicare ai donatori di Chrin, il
Maestro disse:
"«Se qualche monaco ha dei dubbi da chiarire circa i miei insegnamenti, che si affretti,
perché non sono sicuro di rimanere ancora a lungo».
"Allora nelle file dei monaci radunati intorno al Maestro per interrogarlo, Repa-Eremita-di-
Hbri e Repa-Eremita-di-Seban chiesero:
"«a giudicare dalle parole del Maestro, non crediamo che egli debba morire. Forse la sua
vita non è finita».
"«La mia vita è finita e il mio compito è esaurito. Vi mostrerò i segni che io devo
emigrare».
"Alcuni giorni dopo, il Maestro mostrò dei segni di malattia. "Repa- di-Gnandzong gli
disse:
"«Per questa malattia, noi, discepoli e soggetti, offriremo sacrifici agli Ydam, agli Dei e ai
protettori. Sarebbe anche bene che offrissimo al Maestro dei medicamenti con delle
cerimonie».
"E stava chiamando i donatori per cominciare i preparativi, quando il Maestro gli disse:
"«Visto che, in generale, per ogni eremita, la malattia è un'esortazione alla virtù, senza
compiere alcuna cerimonia seguirò la mia via, malattia o morte. In particolare, poiché io,
Milarepa, ho compiuto da lungo tempo le cerimonie cui era uso il mio grazioso maestro
Marpa, non ho bisogno di alcun soccorso né di folla. Poiché ho indotto nemici a diventare
amici affettuosi, io non ho bisogno di cerimonie. Non voglio né vittime espiatorie né
richiami di tamburo. I demoni delle malattie, che hanno mostrato la loro faccia, hanno
adempiuto alle loro funzioni e sono diventati protettori della religione. Non ho dunque
bisogno di esorcismi. Non voglio un medicamento composto di sei semplici, perché la
malattia dei cinque veleni diventa per me l'aurora delle cinque saggezze celesti. (136)
Non voglio quindi medicamenti. Ora che il mio tempo è giunto, il mio corpo deve
trasformarsi e non ha bisogno di alcuna cerimonia. Gli uomini del mondo devono espiare i
loro peccati quaggiù per mezzo del dolore della nascita, della vecchiaia, della malattia e
della morte.
Non lo evitano né con i medicamenti né con le cerimonie. Devono patirlo
inesorabilmente, senza alcun mezzo per trarsi indietro, né grazie alla potenza del re, alle
prodezze degli eroi, alla beltà del corpo, ai beni del ricco, né grazie alle risorse
dell'intelligenza, oppure a un'abile arringa. Se, spaventati da questo dolore, si desidera la
gioia, io possiedo un mezzo e un rito segreto per evitare questo dolore e ottenere la
felicità eterna».
"«Voglia tu darceli!».
"«Ebbene! Poiché le azioni temporali si disperdono, le opere sono distrutte, le unioni
scisse, poiché ciò che è nato deve morire, bisogna fin dal principio che vi convinciate che
questo dolore inevitabile è la vostra propria opera. Senza ammassare, né costruire, né
unire, ma adottando soltanto le verità non contingenti, seguendo la direzione di un lama
eminente, questo è il mezzo e il rito migliore.
Inoltre, vi lascerò più tardi il mio testamento. Non lo dimenticate».

101
"Repa-Luce-di-Pace e Repa-di-Gnandzong replicarono:
"«Se il Maestro fosse in buona salute, vivrebbe ancora per la causa delle creature. Anche
se egli non aderisce a questa preghiera, noi gli chiediamo di fare un incantesimo e di
prendere dei medicamenti rituali; affinché noi non abbiamo rimorsi».
"Il Maestro rispose:
"«Se non fosse giunto il mio tempo, potrei fare come voi due mi dite.
Ma fare potenti incantesimi per prolungare la propria vita senza che sia di beneficio alle
creature, vuol dire offendere gli Dei della saggezza come un re che si facesse scendere
dal suo trono per scopare.
"Non usate mai, per voi stessi, in questa vita, delle formule segrete.
Le creature non illuminate non mancano. Ho usato continuamente formule segrete per la
causa delle creature quando ero nel deserto. Ormai, basta.
"La mia mente non può più cambiare natura. Questo rito è sufficiente.
I medicamenti di Marpa estirpano i cinque peccati dalle loro radici.
Questi medicamenti mi basteranno.
"Ma se non avete seguito la via delle prove, se, essendo religiosi, non ve ne
accontentate, se il vostro tempo non è ancora venuto e se non giungete alla perfezione,
allora non è peccato usare i medicamenti e le cerimonie. Essi sono opportuni per
rimediare a un incidente improvviso. così che un tempo Bhagavat, pensando alle creature
sofferenti, mostrò la sua mano al dottore Jonnu (Kumara) e prese i suoi medicamenti. Ma
quando fu venuto il suo tempo, benché Buddha, morì. Anche per me è venuto il mio
tempo. Per questo, non avrò né medicamenti né cerimonie».
"Così parlando, non prese alcun medicamento. Allora i due discepoli Repa domandarono:
"«Se il Maestro sicuramente ci lascia per la causa delle creature, come onorare i suoi
funerali e rendere omaggio al suo cadavere? In che modo fare le figurine e gli "stupa"?
Chi mettere al posto del Maestro e quale offerta fargli al suo anniversario? Voglia tu dirci
espressamente quali dovranno essere i discorsi, i pensieri e le meditazioni dei tuoi
discepoli».
"Il Maestro rispose:
"«Per grazia di Marpa ho compiuto l'opera di liberazione. Non è certo che un eremita
liberato dai tre mezzi (corpo, parola e pensiero) persista sotto forma di cadavere. Non ho
dunque bisogno di "stupa" né di figurine di terra. Io non ho titoli su nessun monastero,
dunque non ho nessuna sede da lasciare in eredità. Scegliete per voi le montagne aride,
coperte di neve e disabitate. Consacratevi all'amore degli esseri delle sei classi. Invece di
fare figurine, consacratevi alla meditazione delle quattro parti del giorno. Come "stupa",
innalzate i vessilli della perfezione attraverso tutte le dottrine. Come celebrazione
d'anniversario, pregate dal profondo del cuore. Come via da seguire dopo la mia morte,
respingete tutto ciò che l'egoismo fa sembrare buono e che nuoce alle creature. Al
contrario, fate ciò che sembra peccato ma è di profitto alle creature, perché è opera
religiosa. Colui che, sapendo queste cose, le dimentica e commette scientemente gli
errori, sarà precipitato nelle profondità dell'inferno. Per questo, meditate il pensiero che
la vita è breve e la morte non si annuncia. Decidete o rifiutate di rischiare la vostra vita a
seconda che sappiate esservi virtù o peccato. In una parola, agite in modo di non
arrossire di voi stessi. Se agirete così, quand'anche vi opponeste ad alcuni libri, ma se
non vi opporrete al pensiero dei miei predecessori, il che riassume tutto ciò che vi ho
insegnato, avrò realizzato, ormai vecchio, i miei desideri. Se queste cose hanno colmato i

102
miei desideri, esse saranno anche sufficienti a terminare l'opera della vostra liberazione.
A parte questo, tutto ciò che soddisfa i desideri di questo mondo è inutile».
"Cosi detto, cantò questo canto delle cose inutili: "«Mi prosterno ai piedi del Traduttore
Marpa.
Discepoli radunati in questo luogo, Ascoltate il canto di testamento Del vecchio eremita
Milarepa.
Io, eremita Milarepa, Per grazia di Marpa della Roccia-del-Sud, Ho compiuto tutte le mie
opere.
Voi tutti, discepoli e monaci, Agite secondo la parola che udirete.
E adempirete in questa vita Un grande compito per voi stessi e per gli altri, Al fine di
realizzare l'intento mio e dei miei predecessori.
A parte questa, nessun'altra azione Conviene alla causa propria e degli altri.
Perché se voi non soddisfate il mio desiderio, A che scopo chiedere l'iniziazione A un lama
erede della tradizione?
A che scopo la lettera dei Tantra, Senza lo spirito della dottrina?
A che scopo meditare delle formule, Se non si rinuncia alle opere del mondo?
A che scopo le cerimonie, Senza sottomettere corpo, parola e pensiero alla dottrina?
A che scopo meditare sulla pazienza, Se essa non è la risposta alle ingiurie?
A che scopo i sacrifici, Se non si rinuncia alla parzialità e all'odio?
A che scopo le elemosine, Se non si estirpa la radice dei propri desideri?
A che scopo tenere al proprio rango, Se non si conosce la parentela tra le sei classi di
esseri?
A che scopo erigere degli 'stupa' Se nella vostra anima non cresce la fede?
A che scopo modellare delle figurine, Se non si possono meditare le quattro parti del
giorno?
A che scopo celebrare il mio anniversario, Se non pregate dal profondo del cuore?
A che scopo patire il dolore, Se non conservate i miei precetti nelle vostre orecchie?
A che scopo contemplare le mie reliquie, Senza rispettare ciò che è stata la mia vita?
Senza disgusto del mondo né pentimento, A che scopo la virtù della rinuncia?
Senza meditare sull'anteporre gli altri a se stessi, A che cosa serve la pietà con le buone
parole?
Senza rinuncia ai desideri cattivi, A che scopo rendere servigi?
A che scopo discepoli numerosi, Se non obbediscono a tutte le mie parole?
Tralasciate ogni azione inutile, Non potrebbe che nuocere.
Eremita che ha adempiuto la sua missione Io non ho più bisogno di niente». "Da queste
parole, i discepoli furono convinti.
"Mentre il Maestro mostrava dei segni di malattia sempre più gravi, il Geshe Tsaphua
portò un po' di carne e di birra, e facendo finta di interessarsi alla sua salute, disse al
Maestro:
"«E' veramente doloroso che una simile malattia colpisca un santo quale è il Maestro. Se
è possibile spartirla, spartiscila tra i tuoi discepoli. Se c'è modo di scambiarla, puoi
passarla a un uomo come me.
Ma siccome è impossibile, che cosa fare?»
"Il Maestro sorrise e disse: «Tu sai benissimo se la mia malattia non ha causa e se non e
stata provocata. Per prima cosa, la malattia di un uomo normale non assomiglia a quella
di un religioso. Per questo soltanto avrei ragione di tenermela. Ma soprattutto, la mia
malattia è un ornamento».

103
"Così detto, il Maestro cantò: "«Il mondo e la liberazione sono visibili in piena luce.
Le mie mani sono legate nel loro gesto Dall'impronta del grande sigillo. (137) Io ho la
superiorità dell'indifferenza.
La mia audacia non conosce ostacoli.
Le malattie, gli spiriti malvagi, i peccati, le miserie, Adornano l'eremita quale io sono.
Sono in me arterie, semenza e fluidi.
I doni sono per me l'ornamento di simboli.
Possa il malvagio essere assolto dai suoi crimini.
Questa malattia, che mi adorna grandemente, Io posso trasferirla, ma non ho ragione di
farlo». "Il Geshe pensò: «Ha il sospetto che io gli abbia dato il veleno. Non ne è sicuro.
Sebbene abbia motivo di trasferire la sua malattia, non lo può certo fare». Così
pensando, disse:
"«Se io conoscessi la causa della malattia del Maestro, e se fosse uno spirito maligno, lo
esorcizzerei. Se fosse un'afflizione del corpo, ti guarirei. Ma ignoro quello che hai. Se
dunque puoi trasferire la tua malattia, trasferiscila a me».
"E il Maestro, prendendosi gioco di lui, disse:
"«Una certa famiglia è posseduta dal demone dell'invidia, che è il più grande di tutti. E'
lui che ha turbato la mia salute. Tu non potresti né esorcizzare il demone né guarire la
malattia. Se spartissi la mia malattia con te, non potresti sopportarla un solo istante. Non
la trasferirò».
"Il Geshe pensò: «Non può trasferirla e dissimula». E insisté:
«Trasferiscimela lo stesso».
"«Ebbene, non la trasferirò a te, ma a quella porta. Guarda attentamente».
"E la trasferì alla porta della cella. Subito la porta scricchiolò e, sul punto di spezzarsi, si
incurvò in tutti i sensi. Intanto il Maestro era guarito. Il Geshe si chiese se fosse un
miraggio dei suoi occhi e disse:
"«Strano! Trasferiscila dunque a me».
"«Ebbene, ne farò assaggiare un po' al Geshe».
Riprese alla porta il male e lo passò a Tsaphua. Questi venne meno dal dolore.
Paralizzato, soffocando, era sul punto di morire. Allora il Maestro riprese una gran parte
della malattia e disse:
"«Puoi sopportare soltanto la metà della mia malattia?».
"Il Geshe, pieno di rimorsi per avere inflitto una sofferenza simile, si gettò ai piedi del
Maestro singhiozzando:
"«O Prezioso Maestro, o santo, è proprio come hai detto, è un indemoniato che ti ha
inflitto questo male. Io ti offro tutti i miei beni, e voglia tu evitarmi il castigo per il mio
crimine».
"A questa sincera confessione, il Maestro, pieno di gioia, riprese al Geshe il resto della
malattia e disse:
"«Durante la mia vita, ho rifiutato i beni e i poderi. Ora che sto per morire, non desidero
né poderi né beni. Riprendi i tuoi doni. Da ora in poi, non violare più la dottrina, anche a
costo della vita.
Pregherò perché tu non sia punito per il tuo misfatto».
"E il Maestro cantò: "«Mi prosterno ai piedi di Marpa predestinato.
Possano anche i cinque peccati inespiabili Essere cancellati con il pentimento.
Che siano cancellati i peccati di tutti gli esseri, Con la virtù dei miei meriti E con quella dei
Buddha delle tre epoche.

104
Che tutti i tuoi dolori Siano presi e cancellati da me.
Ho pietà di colui che offende Il suo maestro, suo padre e sua madre.
Che il castigo per la sua condotta Sia preso e cancellato da me.
Che in ogni tempo e in ogni circostanza Egli eviti i compagni di vizio.
Ma che nelle vite a venire Incontri dei compagni di virtù.
Che eviti, sotto l'apparenza ingannatrice, I pensieri malvagi che distruggono i meriti.
Che tutte le creature giungano Alla perfezione della loro anima». "A queste parole, il
Geshe fu colmo di gioia e disse:
"«Come ha ordinato il Maestro, in futuro non farò niente che sia contrario alla dottrina,
ma troverò la pace nella meditazione. Un tempo, ho peccato a causa delle ricchezze.
Quindi non voglio più i miei beni. Se il Maestro li rifiuta, bisogna che li prendano i suoi
discepoli come aiuto per la loro meditazione».
"Siccome il Maestro non li accettava, li accettarono i discepoli.
Questi beni furono successivamente impiegati per celebrare l'anniversario della morte del
Maestro a Chubar. In seguito, il Geshe Tsaphua rinunciò al mondo e diventò un buon
religioso. Il Maestro allora disse:
"«Ho voluto restare in questo luogo per costringere al pentimento questo peccatore e per
convertirlo. Ma per un eremita morire in una città sarebbe come per un re morire in una
casa del volgo. Ora vado a Chubar».
"Repa di Seban disse:
"«Il Maestro si stancherebbe troppo a causa della malattia. Lo trasporteremo su un
palanchino». Il Maestro rispose:
"«Non c'è realtà nella mia malattia. Non c'è realtà nella mia morte.
Qui ho mostrato le apparenze della malattia. A Chubar mostrerò le apparenze della
morte. Per questo non c'è bisogno di palanchino.
Giovani Repa, qualcuno di voi mi preceda a Chubar».
"Allora alcuni dei giovani Repa partirono per Chubar. Ma il Maestro era arrivato per primo
alla grotta Brilche. Un altro Milarepa era partito, servito dai vecchi monaci. Un altro era
alla Roccia- Avvelenata e mostrava le apparenze della malattia. Un altro era servito dagli
ascoltatori venuti a Chubar per incontrarlo. Un altro predicava ai donatori su un'altura,
alla Roccia-Rossa. All'interno delle case, un Milarepa si trovava di fronte a ogni abitante
che gli presentasse delle offerte.
"Allora quelli che erano partiti per primi verso Chubar dicevano:
"«Il Maestro è arrivato a Chubar prima di noi!».
"I vecchi monaci dicevano:
"«Durante il cammino l'abbiamo servito noi».
"A mano a mano che gli altri arrivavano, ognuno diceva:
"«Il Maestro è arrivato. E' stato servito da noi».
"Alcuni dissero:
"«E' in casa mia».
"Gli ascoltatori dicevano:
"«Sta predicando sulla Roccia-Rossa».
"Ognuno degli adoratori diceva:
"«L'ho invitato in casa mia perché ricevesse delle offerte».
"Tutti portavano notizie diverse. Allora si rivolsero al Maestro e il Maestro rispose loro:
"«Avete tutti ragione. Sono io che vi ho giocati».
"Poi si fermò alla Roccia Brilche mostrando i segni della malattia.

105
"A questo punto, si videro nel cielo di Chubar e sulla cima delle montagne gli stessi segni
che si erano visti al tempo del primo sermone, l'arcobaleno e il resto. Allora tutti furono
certi che il Maestro stava per andarsene in un altro mondo.
"Repa-Luce-di-Pace, il maestro Gnandzong e Repadi-Seban chiesero:
"«In quale mondo il Maestro pensa di andare? E noi, dove andremo a pregare? Quali
sono le ultime istruzioni del Maestro? Quale regola dobbiamo seguire?».
"Il Maestro rispose loro:
"«Pregate là dove sarete. Ovunque pregherete con fede, io sarò dinanzi a voi. Tutto ciò
che domanderete, l'otterrete. Fra un istante, io andrò nel paradiso d'Indra per ritrovare il
Bhagavat Immutevole. Ecco il testamento che vi ho promesso: dopo la mia morte,
consegnerete a Rechung, che deve venire fra poco, i beni che sapete essere miei, il
bastone e il vestito di tela. Per lui saranno il pegno della meditazione del respiro. (138)
Finché Rechung non sarà giunto, non toccate il mio corpo. Questo copricapo del signore
Maitreya, (139) questo bastone d''agaru' nero, siccome sono il presagio di uno che sarà
custode della dottrina grazie alla meditazione degli Dei, datelo senza fallo a Upatönpa.
Luce-di-Pace, prendi questa coppa di legno.
Ngnan-Dzongtönpa, prendi questo cranio a forma di coppa. Repa-di- Seban, prendi
questo acciarino. Repa-Eremita-di-Hbri, prendi questo cucchiaio di osso. Gli altri discepoli
istruiti prendano ognuno un lembo della mia veste. Non sono grandi ricchezze, ma sono
altrettanti presagi.
"Ecco ora il mio testamento capitale per le cose che voi, discepoli e ascoltatori, non
conoscete. Nascosto sotto il focolare, c'è tutto l'oro che ho ammassato nella mia vita e
uno scritto che lo spartisce tra voi. Dopo la mia morte, guardate e fate come è scritto.
"In quanto alla regola per la meditazione, alcuni si credono pieni di meriti perché sono
fieri di essere buoni religiosi. E' soltanto orgoglio mondano. Non bisogna abbandonarcisi.
Fare l'elemosina per ricevere dieci volte quanto si è dato; come nascondere agli occhi
degli uomini la propria miseria morale, sebbene questo offenda gli Dei che hanno gli
occhi della saggezza, come cercare avidamente i nettari di questo mondo, significa
assorbire veleno insieme agli alimenti.
Senza bere il veleno del desiderio di gloria, non cercate di qualificare come religioso ciò
che l'orgoglio mondano vi fa fare.
Perseguite soltanto la santità».
"I Repa domandarono:
"«Se queste pratiche esteriori fossero giovevoli alle creature, potremmo darci ad esse?».
"Il Maestro rispose:
"«Se non c'è attaccamento al proprio desiderio, allora lo potete. Ma è difficile. Coloro che
sono pieni di desideri mondani, non possono niente per la causa altrui. Non giovano
niente neppure a se stessi. E' come se un uomo trascinato via da un torrente
pretendesse di salvare gli altri. Nessuno può far niente per le creature senza conoscere
l'essenza delle cose. Simili a ciechi guidati da ciechi, si rischierebbe di scivolare verso i
desideri. Giacché lo spazio è illimitato, giacché le creature sono innumerevoli, avrete
sempre l'occasione di agire a vantaggio delle creature quando sarete in grado di farlo.
Cominciate con l'amare il vostro prossimo e col desiderare di diventare Buddha per la sua
causa. Occupate l'ultimo posto.
Rivestiti di stracci, rinunciate alle vesti, al cibo, alla parola.
Caricate il vostro corpo di fatiche, e la vostra mente di doveri. Tale è la causa degli altri.
Per dirigervi su questa via, ricordate bene tutto ciò».

106
"E cantò questo canto: "«Salute al Signore Traduttore Marpa.
Coloro che desiderano conoscere la dottrina e praticarla, Senza affidarsi a un lama
predestinato, Se non fanno che rispettarlo, solo poco saranno benedetti.
Senza chiedere l'iniziazione profonda, Senza prendere a testimoni i Tantra Ma legati dalla
lettera delle loro formule, Trovano nelle pratiche esteriori soltanto motivo di smarrirsi.
Colui che non medita le formule mistiche, E dice di rinunciare al mondo, è tormento a se
stesso.
Colui che non combatte la miseria morale Dice soltanto parole sterili e vuote; Colui che
non conosce il metodo mistico, Nonostante i suoi sforzi, sarà senza coraggio; Colui che
non conosce l'importanza e le difficoltà della dottrina profonda, Nonostante il suo
coraggio, rimarrà a lungo in cammino.
Colui che non raccoglie nessuno merito, E non pensa che alla sua salvezza, raccoglie la
trasmigrazione; Colui che non distribuisce ciò che ha ammassato, Avrebbe un bel
meditare, rimarrebbe senza virtù.
Colui che non trae la propria contentezza da se stesso Accumula solo per arricchire gli
altri; Colui che non signoreggia il demone dell'ambizione Non trova che rovine e conflitti
nel suo desiderio di gloria.
Il desiderio di piacere agita i cinque veleni.
I desideri temporali separano gli amici più cari.
La grandezza dell'uno è l'umiliazione degli altri.
Il silenzio su se stessi eviterà i conflitti.
Proteggere la propria calma e allontanare il turbamento Porterà al solitario dei compagni.
Occupate l'ultimo posto e arriverete al primo.
Colui che va lentamente arriverà presto.
La rinuncia produce grandi effetti.
Conservare la via segreta è giungere per la strada più breve.
La nozione del nulla genera la pietà.
La pietà abolisce la differenza fra sé e gli altri.
Il confondere sé con gli altri realizza la causa altrui.
Colui che realizzerà, la causa altrui mi ritroverà.
Colui che mi avrà ritrovato sarà Buddha.
Io, Buddha e discepoli, Preghiamo senza distinzione con una sola preghiera». "Cantò
così. Poi aggiunse queste parole:
"«Non so se ho ancora molto da vivere. Ora che mi avete udito, fate come ho fatto io
stesso».
"Disse e rimase immobile "E' così che, giunto all'età di ottantaquattro anni, il
quattordicesimo giorno dell'ultimo mese dell'inverno dell'anno della Lepre di Bosco, (10)
sotto la ottava costellazione lunare, al sorgere del sole, il Maestro mostrò i segni della
morte. [L'opera non finisce con la morte di Milarepa. Non è l'opera con le sue preghiere
preliminari e la sua pia conclusione che ci proponiamo di far conoscere, ma la biografia di
Milarepa. Abbiamo dato la biografia integrale. Riassumeremo il seguito, che è stato fatto
per l'edificazione dei fedeli, e ne prenderemo dei frammenti di racconti o di canti postumi
che meritano di essere conosciuti]. (Nota di Bacot). "Subito dopo la morte del Maestro, i
prodigi si moltiplicarono nel cielo. I discepoli e gli ascoltatori dei diversi paesi in cui il
Maestro ha insegnato, si disputano il suo cadavere. Ma una voce celeste li placa: «A che
scopo disputarvi le sue reliquie giacché il Maestro è nell'assoluto? Egli non ha corpo se
non il corpo nirvanico, un corpo spirituale. La vostra insensata disputa ha per oggetto

107
un'apparenza. Pregate tutti e allora riceverete le vere reliquie, sebbene l'assoluto non
generi niente, ma per la virtù dei vostri meriti».
"I discepoli, placati, elevano il rogo e vi depongono il corpo.
Siccome il corpo ringiovaniva e si riduceva rapidamente, i discepoli, che dovevano
aspettare il ritorno di Rechung, ebbero paura che il corpo sparisse e si affrettarono ad
appiccare il fuoco alla pira. Ma il corpo non si consumava. Allora le voci riunite delle Dee
spiegano questo prodigio ai discepoli stupefatti. Esse confermano l'ordine dato da
Milarepa di aspettare il ritorno di Rechung. Insegnano loro l'inanità delle cerimonie in
onore di un Buddha che esse non possono più raggiungere. Comandano loro di
mantenere segreta la dottrina mistica. Essa non è giovevole alle creature se non praticata
nel silenzio e nella solitudine. Divulgarla significherebbe avvilirla senza profitto.
"Intanto Rechung si trovava nel monastero di Lorodol. Il Maestro gli apparve nel sonno e
gli parlò. Allora Rechung, al suo risveglio, capì che il Maestro doveva essere morto e si
affrettò a partire.
"Miracolosamente superò in qualche istante una distanza che richiede «due mesi di
strada su di un asino». Partito al canto del gallo, arrivò al sorgere del sole sul colle dello
Spodje, fra Dingri e Chrin.
Sulla cima del Djoborjang, le Dee gli annunciano la morte di Milarepa.
Ma, mentre si avvicina a Chubar, il Maestro gli appare e Rechung, senza sapere che cosa
pensare, arriva a Chubar e vi trova una folla immersa in lamenti. I giovani monaci che
non lo conoscono gli impediscono di avvicinarsi alla pira. Allora Rechung rivolge al
Maestro un canto di lamenti pieni di rimpianto e di amore.
"Subito la freschezza del viso scompare e il corpo viene consumato dal fuoco. A questo
segno, i discepoli riconoscono Rechung. E il Maestro, apparendo con il corpo mistico, si
sollevò sulla pira, un ginocchio piegato, soffocando la fiamma con la mano destra e
sostenendosi la guancia con la sinistra.
"Con una voce che usciva dal fondo del petto, cantò queste sei strofe essenziali e
supreme: "Rechungpa simile al mio cuore, Ascolta questo canto di precetti e di ultime
volontà. "Nell'oceano della trasmigrazione dei tre mondi, Il corpo irreale è il grande
peccatore.
Non c'è rinuncia al mondo, Finché ci si preoccupa del cibo e della veste.
Rinuncia al mondo, o Rechungpa.
Nella città dei corpi irreali, L'anima irreale è la grande peccatrice.
Sottomessa alla carne e al sangue del corpo, Non ha mai nozione della propria natura.
Distingui la natura dell'anima, o Rechungpa. "Ai confini dello spirito e della materia (141)
La conoscenza creata da noi stessi è la grande colpevole.
Passando improvvisamente da un'impressione a un'altra, Essa non ha il tempo di rendersi
conto Che queste impressioni non hanno alcuna origine propria.
Mantienti sul fermo suolo della non-oggettività delle cose. "Nella reciproca dipendenza di
questa vita e anche dell'altra, La memoria è negli inferi la grande colpevole.
Privata del corpo, essa cerca di associarsi a un corpo. (142) Non ha il tempo di scoprire la
non-realtà del mondo sensibile.
Giungi al riconoscimento del vuoto, o Rechungpa. "Nella città illusoria delle sei classi di
esseri, L'accecamento del peccato è immenso.
La mente segue l'impulso dell'amore e dell'odio.
Non ha il tempo di percepire l'identica inanità delle cose.
Respingi amore e odio, o Rechungpa.

108
Nel seno dello spazio immateriale Il Buddha giunto a compimento suscita immagini
ingannatrici, Egli ha insegnato per mezzo della seduzione del mondo apparente.
La mente non ha tempo di concepire il mondo reale.
Trascura questo insegnamento indiretto o Rechungpa. (143) "Prega insieme, come
un'unica trinità, Lama, Ydam e Dei, Riunisci in un solo tutto Contemplazione, meditazione
e consunzione.
Abituati a fare una sola cosa Di questa vita, della prossima e del limbo.
Questo è il mio ultimo insegnamento.
Questa è la fine del mio testamento:
Dopo non c'è più niente, o Rechungpa». "Pronunciate queste parole, subito la pira si
trasforma in un mausoleo meraviglioso sormontato da uno "stupa" di cristallo.
"Gli Dei cantano le lodi di Milarepa.
"Le reliquie di cui le dee prendono possesso, sono oggetto delle preghiere di Rechung e
di Repa-Luce-di-Pace. Dal Nirvana, il Buddha trascendente, che Milarepa è diventato,
risponde loro. E li impegna a distinguere il vero dalle apparenze. E siccome lo "stupa" di
cristallo veniva anch'esso portato via dagli Dei in un'apoteosi, i discepoli proferivano
parole disperate.
"Allora una voce immateriale simile a quella del Maestro si fece udire nello spazio:
"Che i discepoli non si affliggano, ma cerchino ai piedi della roccia la pietra funeraria
Amolika e la conservino come reliquia». Ai nostri giorni, questa pietra si trova a Chubar.
"Infine, i discepoli cercano sotto il focolare, secondo l'ordine del Maestro. Non c'era
dell'oro, ma una pezza quadrata di seta di Benares, un coltello affilato, una palla di
zucchero e questo scritto:
"«Dividete la seta e lo zucchero con questo coltello e distribuiteli alle creature. Non si
esauriranno mai. Coloro che gusteranno di questo zucchero e si rivestiranno di questa
seta saranno salvi dal dolore.
Questo nutrimento e questa veste sono stati i miei durante le mie estasi…
Questo è il mio nutrimento di meditazione. L'ho mangiato durante la mia lunga vita. E' il
nutrimento di compassione, e la sua virtù è doppia. Coloro che ne mangiano non entrano
nell'inferno della fame.
Questa seta bianca è la veste della saggezza e del calore interiore.
Coloro che se ne cingono il corpo o le spalle non entreranno nell'inferno del caldo e del
freddo…». "I discepoli fecero come era scritto.
"Lo zucchero diviso si riformava; e la stoffa distribuita fra le creature ridiventava
quadrata.
"Le creature furono liberate dal dolore in questa vita e nell'altra.
"Cadde una pioggia di fiori. Gli uni, che toccavano terra ed erano afferrati dagli uomini,
sparivano subito. Gli altri restavano sospesi nello spazio fuori della i portata degli uomini,
i quali non potevano saziarsi di contemplarli.
"I discepoli di Milarepa si moltiplicarono, in seguito, come le stelle del cielo. NOTE alla
parte seconda.

Note
Nota 1: La conversione di Milarepa situa l'apparizione della mistica nel buddhismo
tibetano. Si scorge qui una prima lotta tra due concezioni religiose opposte nel campo

109
chiuso della coscienza individuale, in un paese in cui la filosofia e la morale del
buddhismo si erano sovrapposte meccanicamente alle pratiche della magia.
Nota 2: Ogni grande lama, oltre al proprio monastero, ne ha quasi sempre un altro
privato, più piccolo, o ritiro, in alto sulla montagna.
Nota 3:. La pleiade dei Traduttori dei libri sanscriti. Le traduzioni, iniziate nel settimo
secolo, non erano ancora terminate al tempo di Milarepa.
Nota 4: Dottrina che è all'origine di tutte le forme gnostiche del buddhismo e che nel
Tibet costituisce la base speculativa della meditazione mistica. [N.d.T.].
Nota 5: "Vajra": strumento di bronzo o di ottone adoperato nelle diverse cerimonie
iniziatiche; ricorda nella forma il fulmine, ma la parola letteralmente significa "diamante".
Carico di significati esoterici, esso indica indefettibilità della conoscenza e l'integrità
assoluta dell'essenza divina. [N.d.T.].
Nota 6: Di solito si traduce "rgyal mt'sen" con bandiera di vittoria, secondo antica
accezione. Anche la parola «trofeo», con cui abbiamo tradotto quest'espressione nel
nome Mila-Trofeo-di-Saggezza, va bene.
Le "rgyal mt'sen" arrotolate e avviluppate nella stoffa nera sono poste normalmente in
cima agli edifici religiosi.
Nota 7: Cioè: gli Dei, gli "asura" o geni nemici degli Dei, gli uomini, gli piriti, gli animali, i
demoni degli inferi. [N.d.T.].
Nota 8: "Stupa": le sue forme e i suoi molteplici significati religiosi si chiariranno nel
corso della narrazione.
Nota 9: Espressione geografica che indica l'ovest.
Nota 10: La Bodhi è una nozione chiave del buddhismo che significa Saggezza,
Onniscienza, e il cui senso nella speculazione mistica è:
Essenza che si deve fare resuscitare dentro di sé. Qui equivale a Illuminazione. [N.d.T.].
Nota 11: Con la parola idolo indichiamo, per semplicità, le immagini che non sono
adorate.
Nota 12: Questo passo può sembrare straordinario. Prima d'istruire Milarepa, Marpa lo
sottomette a molteplici prove per fargli espiare i suoi delitti. Perché fargliene commettere
di nuovi? L'omicidio ordinato da Marpa può spiegarsi soltanto con il carattere filosofico e
non sociale della morale buddhistica. Si deve supporre che Marpa non provi alcuna
soddisfazione nella vendetta e nel castigo dei suoi nemici, ma voglia, a scopo di
insegnamento, mettere alla prova obbedienza del discepolo.
Nota 13: Figlio di Marpa. Il dono di una casa da parte del padre corrisponde al
riconoscimento dell'emancipazione e dell'indipendenza del figlio. [N.d.T.].
Nota 14: Si tratta sia di un castelletto o abitazione fortificata, sia di una quelle torri di
difesa che in genere sono molto elevate. In questo paese, in cui le vie di comunicazione
sono rare e spesso incassate nella montagna, tali edifici permettono di controllare una
zona assai vasta. All'epoca di Milarepa, era scomparsa l'autorità dei re tibetani e non si
era ancora stabilita l'autorità cinese.
Nota 15: Questa forma è deliberatamente assurda. Tuttavia le torri "sifan", nel Tibet
orientale, sono a forma di stella. Tale forma deriva dalla preoccupazione di offrire piani
sfuggenti ai colpi del nemico.
Nota 16: Le leggi volgari della salvezza consistono nella conoscenza della santa verità del
dolore, dell'origine del dolore, dell'estinzione del dolore, della via che porta all'estinzione
del dolore. I doveri da compiere sono le preghiere, le ingiunzioni e i voti [N.d.T.].
Nota 17: Sambara, o Sanvara, è uno dei più celebri Ydam tibetani.

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Avere questa consacrazione significa essere ritenuti maestri in uno dei quattro cicli di
studio fondamentali, che si chiama appunto Sanvara. [N.d.T.].
Nota 18: La parte meno elevata della costruzione, destinata al seguito quando la parte
centrale è occupata dal lama o dal signore.
Nota 19: Le offerte fatte durante l'uffizio vengono in seguito distribuite ai monaci.
Nota 20: Gli animali da soma che viaggiano parecchi mesi di seguito hanno sempre
orribili piaghe sul dorso. I mulattieri fanno nel panno dei buchi per isolare ogni piaga. Il
lama fa la stessa cosa con la veste di Milarepa.
Nota 21: Una delle quattro dee tutelari tantriche. [N.d.T.].
Nota 22: Nome di un'altra dea tutelare tantrica. La grande iniziazione a cui si allude è
una delle più profonde e segrete di tutta la dottrina tantrica. [N.d T.].
Nota 23: Nome di una specie di turchese. I Tibetani dicono che si riconoscono le buone
turchesi per il fatto che diventano rosse quando le si strofina.
Nota 24: Equivale alla nostra espressione «far vedere le stelle».
Nota 25: La "Prajnaparamita", cioè i testi che trattano della perfetta saggezza. E'
tradizione che questi testi siano stati rivelati dallo stesso Buddha, ma che, troppo difficili
per venire compresi, fossero conservati dai Dragoni negli Inferi, finché Nagarjuna, il più
gran teologo del buddhismo, non li riportò agli uomini. [N.d.T.].
Nota 26: Uno dei tanti eroi ("Ahrant") della "Prajnaparamita". La sua storia ha qualche
punto di contatto con quella di Milarepa. [N.d.T.].
Nota 27: L'ubriachezza in questo senso e voluta e rituale.
Nota 28: "Tak-nyi". Titolo di un trattato speculativo. [N.d.T.].
Nota 29: I Tibetani laici portano copricapi di feltro. Disfare la treccia e togliersi il
copricapo è il primo gesto del saluto.
Nota 30: Quando un arrivo inaspettato interrompe una lettura o citazione, le ultime
parole pronunciate hanno un'influenza sul destino dell'arrivato.
Nota 31: Nome di un grande maestro indiano.
Nota 32: Immagine tratta dalla formula tantrica: «Una sola pietra gettata in mezzo a
cento uccelli, fa loro prendere il volo».
Nota 33: Vedi la nota 22.
Nota 34: I predestinati alla Bodhi e i Buddha viventi hanno un segno normalmente sulla
pianta dei piedi o nella palma della mano.
Nota 35: Figlio di Marpa.
Nota 36: Cioè: «Mi benedissi portandomelo alla fronte.» Si compie lo stesso gesto con i
libri sacri, oltre che con ogni oggetto a cui è dovuta grande venerazione.
Nota 37: Il formaggio tibetano è molto secco, duro, tagliato in pezzetti grossi come una
noce.
Nota 38: Il Tripitaka è il Canone religioso buddhista. I quattro Tantra sono le quattro
principali classi della Dottrina. [N.d.T.].
Nota 39: Cioè Maestro. [N.d.T.].
Nota 40: Preghiere o formule scritte su strisce di carta arrotolate che si portano nei
reliquiari.
Nota 41: Veicolo del Diamante. E' la dottrina tantrica ancora più segreta di quella ambita
da Milarepa quando chiedeva l'iniziazione e consacrazione. E' il metodo diretto per
ottenere l'Illuminazione.

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Nota 42: Un "kalpa" è la durata di tempo che va dall'origine alla distruzione di un sistema
del mondo. La lunghezza di un "kalpa" è generalmente suggerita mediante una immagine
o calcolata con un numero simbolico. [N.d.T.].
Nota 43: Cioè dall'aver superato otto gravi patimenti e dolori.
[N.d.T.].
Nota 44: Voto che permette di trasformarsi in "Ge-nyen", cioè fratelli laici. [N.d.T.].
Nota 45: "Kapala", parola sanscrita. I Tibetani chiamano così la coppa libagioni ricavata
da una calotta cranica.
Nota 46: Cioè giunto all'ultimo grado dell'iniziazione. [N.d.T.].
Nota 47: Il "mandala", o cerchio magico, è un supporto per la meditazione e oggetto
centrale di tutto il rituale tibetano. Il "mandala" di sessantadue geni, o Ydam, serve per
l'invocazione delle principali di divinità legate ai riti del ciclo fondamentale di Sambara
(vedi la nota 17). [N.d.T.].
Nota 48: Sono le suddivisioni, trattandosi di un diagramma geometrico, dei sessantadue
geni del "mandala". [N.d.T.].
Nota 49: Dandogli, cioè, libero accesso ai Tantra. [N.d.T.].
Nota 50: Questo sotterfugio, per dare un segno nascosto del proprio rispetto, mostra che
tutti gli atti di questa storia hanno il loro significato. Più si va lontano per incontrare un
visitatore, tanto maggiore è l'onore. Marpa non poteva dimostrare deferenza più grande.
Nota 51: "Gtum mo": interpretazione mistica di un fenomeno naturale, cioè il calore
interno provocato dalle inspirazioni profonde durante la meditazione.
Nota 52: Insegnamento di proposizioni e formule il cui senso è più meno velato. La
meditazione profonda permette di penetrarne il senso vero e di liberare la conoscenza.
Nota 53: Le epoche passate, presenti e future a cui corrispondono più specificamente i
Buddha Dipankara, Sakyamuni e Maitreya. [N.d.T.].
Nota 54: Le dodici cause che mettono in moto la ruota della nascita e della morte.
[N.d.T.].
Nota 55: Cioè la Bodhi, l'Essenza che si deve fare resuscitare in sé.
[N.d.T.].
Nota 56: Il Sentiero della Bodhi. Per progredire si dispone del Piccolo Veicolo e del
Grande Veicolo. [N.d.T.].
Nota 57: I quattro gradi dell'iniziazione corrispondenti a quattro insegnamenti particolari.
[N.d.T.].
Nota 58: La coscienza individuale abolita è quella affettiva, e con essa anche il senso del
tempo. A questo stato succede una coscienza superiore puramente intellettuale, prima
tappa verso la conoscenza del sé reale.
Nota 59: Qui «contemplazione» equivale a «estasi».
Nota 60: La non-realtà del mondo esterno, compresa l'individualità.
Nota 61: La parola qui usata, "sgom", è un termine generale che comprende ogni
operazione e ogni grado della meditazione.
Nota 62: Letteralmente: a seguire le apparenze. Sebbene il mondo sensibile sia
apparente, queste apparenze sono anch'esse legate tra di loro dalla relazione di causa ed
effetto. Per questo l'eremita, dopo aver disciplinato il suo pensiero con la meditazione ed
essersi convinto della vanità delle apparenze, deve conformare la propria vita alle leggi
della causalità che reggono queste apparenze.
Nota 63: Letteralmente: Grande Simbolo. Uno dei principali sistemi meditazione della
scuola Kadjupa [N.d.T.].

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Nota 64: I sei dogmi, o Verità, secondo il trattato dal medesimo titolo. Essi sono: il calore
vitale, il corpo illusorio, i sogni, la chiara luce, lo stato intermedio, il passaggio da un
corpo all'altro.
[N.d.T.].
Nota 65: La parola «Resurrezione» è impropria, ma è usata qui per indicare una
trasmigrazione volontaria, da vivi, nel corpo di un uomo o di un animale morto.
Nota 66: Specie di aquila. [N.d.T.].
Nota 67: Uccelli parassiti che stanno intorno ai rapaci. Immagine che vuole significare i
discepoli.
Nota 68: La conoscenza chiara, frutto della meditazione.
Nota 69: Adorazione, sacrificio, preghiere propiziatorie, esorcismi.
Nota 70: Le regole per la meditazione estatica. [N.d.T.].
Nota 71: Il "damaru" è un piccolo tamburo fatto di due calotte craniche. Il "kapala" è un
cranio per le libagioni; eccezionalmente si usavano delle imitazioni fatte con materie
preziose.
Nota 72: Titolo di un libro di formule religiose: il "Ratnakuta".
Nota 73: Cioè nove testi fondamentali. Bisogna ricordarsi della particolare importanza di
Marpa come traduttore dei testi sacri indiani. [N.d.T.].
Nota 74: Cioè dei "mandala". [N.d.T.].
Nota 75: L'insieme di tutte le divinità demoniache. [N.d.T.].
Nota 76: Questi tre distici sono relativi ai tre corpi del Buddha.
Nota 77: Allusione al cadavere abbandonato di sua madre.
Nota 78: Queste predizioni velate si realizzeranno in seguito.
Nota 79: Cielo, Terra. Inferi. Oppure, simbolicamente: i centri psichici del cuore, della
gola, del cervello. [N.d.T.].
Nota 80: Grande Dea simbolo dell'Energia primordiale e negativa dell'universo. [N.d.T.].
Nota 81: Urgyen-Soggiorno-di-Dee.
Nota 82: Allusione al calore interno che favorisce la meditazione.
Nota 83: Milarepa fa in tre giorni un viaggio che altre volte aveva richiesto parecchi mesi.
Nota 84: Ogni casa tibetana, anche poverissima, ha un piccolo tempio- biblioteca, in cui
si concentrano le cose di qualche valore.
Nota 85: Uno dei più noti testi delle Scritture buddhiste. [N.d.T.].
Nota 86: Cioè le leggi che regolano le manifestazioni dei fenomeni e la cui conoscenza
permette di non soccombere a nulla di contingente.
[N.d.T.].
Nota 87: Steli votive. [N.d.T.].
Nota 88: Le ossa vengono pestate e mescolate all'argilla con cui si plasmano figurine o
più spesso piccoli "stupa".
Nota 89: Questa immagine si riferisce alle effigi di animali con cui terminano gli spioventi
dei tetti.
Nota 90: Sinonimo di Buddha. [N.d.T.].
Nota 91: In generale le distanze e le differenze d'altezza tra le vallate coltivabili e
l'altipiano sono molto considerevoli e separano completamente le popolazioni nomadi
dalle sedentarie. Qui abbiamo invece un esempio di vita mista, agricola e pastorale, in
una stessa popolazione.
Nota 92: Il corpo, il sentimento, gli impulsi, le emozioni, gli atti di coscienza. [N.d.T.].
Nota 93: Le tre forme della saggezza: parola, pensiero, meditazione.

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Nota 94: "Nyams rtogs": stato che permette la penetrazione della materia, la levitazione.
E' proprio dei Bodhisattva.
Nota 95: Prendendone cioè pochissima.
Nota 96: Grande Mudra significa non solo l'atteggiamento del corpo, ma anche l'insieme
dei mezzi fisici che favoriscono la concentrazione della mente.
Nota 97: «fuochi interiori» sono stati di calore concentrato che corrispondono a
particolari punti del corpo umano [N.d.T.].
Nota 98: Corda che lega le membra per impedire all'eremita di accasciarsi a terra durante
la profonda meditazione.
Nota 99: Immagini di devozione in terra battuta, modellate in stampi di rame o di legno.
Nota 100: Cioè senza essere stato fatto a pezzi secondo l'usanza tibetana.
Nota 101: Cioè delle sacre scritture. Più esattamente la "Prajnaparamita". [N.d.T.].
Nota 102: "Risa" significa vena, ma anche nervo. Qui i nodi sono i plessi nervosi la cui
costrizione e dovuta a una cattiva igiene e che una buona alimentazione e gli esercizi
respiratori "sciolgono".
Nota 103: Cioè del Cielo, della Terra, degli Inferi. [N.d.T.].
Nota 104: Questa reliquia è stata oggetto di particolare culto da parte dei lama della
setta Kadjupa. [N.d.T.].
Nota 105: «Un uomo che ha le vene negli occhi».
Nota 106: Le quattro classi della Dottrina. [N.d.T.].
Nota 107: Le epoche di oscuramento. L'equivalente del sanscrito "Kali- Yuga". [N.d.T.].
Nota 108: Moneta o immagine delle sette coppette d'acqua che si dispongono sugli altari.
Nota 109: Serpente o Dragone, divinità degli Inferi. [N.d.T.].
Nota 110: Grosso insetto che ha il colore dell'ortica, su cui vive.
Nota 111: Letteralmente: le Pietre Preziose. Sono i grandi Maestri della Dottrina. [N.d.T.].
Nota 112: I monasteri si costruivano sulle alture alle spalle della città.
Nota 113: Stallone di gran razza.
Nota 114: Cioè la rinascita nei mondi inferiori. [N.d.T.].
Nota 115: Il discepolo crede che Milarepa sia già uscito dalla trasmigrazione, ma che si
sia poi reincarnato per la causa delle creature.
Nota 116: Cioè i Grandi Maestri divinizzati, gli Ydam. [N.d.T.].
Nota 117: Cioè di tutti gli atti empi e dei peccati che prolungano il ciclo delle rinascite.
[N.d.T.].
Nota 118: Milarepa dice all'inizio che la sua storia sarà motivo di pianto o di riso.
Nota 119: Letteralmente «Lunga Vita». Una delle dodici dee protettrici del Tibet,
chiamate "sten-mas". [N.d.T.].
Nota 120: Oppure "zon". Sono i monasteri e le cappelle fatti oggetto di pellegrinaggio o
che ospitano importanti reliquie. [N.d.T.].
Nota 121: Corpo, parola, pensiero.
Nota 122: Quanto segue, fino alla fine del capitolo, non è raccontato da Milarepa stesso,
ma dal suo biografo Rechung. La lunga serie di nomi, di uomini e di luoghi, che seguirà
poche righe più avanti è l'indice del libro dei canti di Milarepa.
Nota 123: Che fecero cioè progredire la Dottrina. [N.d.T.].
Nota 124: In altri tempi discepolo del Buddha.
Nota 125: Cioè di Vajradhara. [N.d.T.].
Nota 126: Seguaci dell'antica religione prebuddhista nel Tibet.
[N.d.T.].

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Nota 127: Nomi di due discepoli.
Nota 128: Cioè l'inizio della predicazione del suo discepolo e erede spirituale in tutto il
Tibet. [N.d.T.].
Nota 129: Il libro dei canti di Milarepa.
Nota 130: «Amico della Virtù». Titolo di alcuni grandi lama, equivalente al termine
indiano "pandit". [N.d.T.].
Nota 131: Il Dharma-Kaya (Divino Corpo di Verità), il Sambhoga-Kaya (Divino Corpo di
perfetta Virtù), il Nirmana-Kaya (Divino Corpo d'Incarnazione). Il primo è l'essenziale, il
secondo il riflesso, il terzo: l'aspetto pratico attraverso cui l'Unica Saggezza si manifesta.
[N.d.T.].
Nota 132: Il punto massimo dell'iniziazione, che consente di venire liberati dalla Ruota
delle rinascite. [N.d.T.].
Nota 133: Le due ignoranze, o oscuramenti, consistono nel non considerare il mondo
come Maya, illusione, e nel non voler riconoscere la catena dei passaggi dell'io attraverso
incalcolabili esperienze di reincarnazione. Le due accumulazioni sono le empietà e i
peccati che ritardano la liberazione dell'io. [N.d.T.].
Nota 134: Le facoltà di percezione interiore, cioè gli occhi dell'istinto, gli occhi celesti, gli
occhi della Verità, gli occhi divini, gli occhi della Saggezza da Buddha. [N.d.T.].
Nota 135: Cioè fa uno scambio svantaggioso.
Nota 136: Le cinque saggezze celesti sono i Buddha Vairocana (lo Splendente), Askhobya
(l'Imperturbabile), Ratna Sambava (il Nato da Gioiello), Amithaba (l'Infinita Luce) e
Amogadddhi (l'Immancabile Successo). I cinque veleni sono gli aggregati di cui è
composto il corpo umano. I sei semplici sono sei spezie o panacee usate per guarire le
malattie. [N.d.T.].
Nota 137: Mudra, sigillo, indica anche la posizione rituale del corpo.
[N.d.T.].
Nota 138: Condizione estatica favorita dal controllo del respiro.
Nota 139: Uno dei più famosi maestri indiani. [N.d.T.].
Nota 140: Anno 1115.
Nota 141: Nel mondo esterno.
Nota 142: Il corpo dei parenti.
Nota 143: Il Buddha ha indicato il metodo negativo, che fu la dottrina volgare; Mila
consiglia ai suoi discepoli il metodo diretto dell'esoterismo, che e un insegnamento
positivo.

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