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Capitolo 1 - La sindrome di Giona… (pp.

11- 29)

Prendete il largo! - Ninive, la grande città, metafora della megalopoli moderna,


multipolare, anonima, tentacolare…. E’ facile - come per Giona - trovare buoni
motivi per tenersi a distanza; a distanza dai ‘lontani’, a distanza dagli
‘indifferenti’. E’ facile dire che è sufficiente la “pastorale ordinaria” (come da
secoli la Chiesa ha sempre portato avanti). E’ più sicuro stare vicini al già noto,
all’ombra del campanile e non andare ‘verso’… è più facile ‘attendere’ piuttosto
che “pendere il largo”. Ma papa Giovanni Paolo II dice: “DUC IN ALTUM!” “
Prendete il largo!”

Non ‘conservare’ ma ‘progettare’ - Di fronte a una società così mutata e in


fretta, di fronte a una società che non è più ‘societas christiana’, può venire la
tentazione di una pastorale di ‘conservazione’ rassegnata, ritirata dalla
cultura contemporanea, oppure una pastorale che diventa aggressiva da parte
di chi coltiva il mito della cristianità perduta oppure - in carenza d’altro - farla
diventare pastorale pragmatico-organizzativa in un vortice di mille iniziative.
Sicuramente siamo (ma quando è che non lo è stata) - in una situazione
inedita: ed è in questa situazione che occorre avere il coraggio di fare progetti.

Occorre un progetto ‘culturale’ - A qualcuno la parola ‘culturale’ può fare


paura.
Non stiamo parlando della “pastorale della cultura” (ovvero di un aspetto della
pastorale), stiamo parlando di un progetto culturale che tutto investe ossia:
occorre ripensare la fede e il modo di proporla, come e dove proporla.
La pastorale ‘ordinaria’ potrebbe non considerare proprio compito occuparsi
ad esempio della scuola, della sanità, del lavoro, dei mezzi di comunicazione,
dell’arte.
I tutti gli ambiti dell’umano sono avvenute mutazioni, e sono questi ambiti
che devono poter essere raggiunti dalla parola di Gesù che, pur
rimanendo se stessa, (assolutamente!) deve trovare forme e modalità che
possano entrare in sintonia. Come ad esempio avviene nella radio: i programmi
vengono sì trasmessi, ma per udirli occorre entrare in sintonia.
“Progetto culturale” s’intende trovare le modalità per ‘entrare in
sintonia’ col mondo contemporaneo così diverso da quello che ci ha
preceduto. Siamo passati dalla modernità alla post modernità ed anche
l’annuncio deve trovare forme adatte e ‘sintoniazzate’.
Giovanni Paolo II ai parroci di Roma nel 1986 : “ La parrocchia deve
cercare se stessa fuori di se stessa….qui ci vuole ancora una metodologia. Si
deve prevedere una metodologia. Come andare incontro a questo mondo
secolarizzato, mondanizzato, ma non del tutto sradicato dal contesto cristiano”.

E’ tempo di ‘missione’ - Abituati all’ombra del campanile, con le persone che


‘venivano’, ora è tempo di ‘andare’. Ed è in questo ‘andare’ che consiste lo
sforzo di trovare modalità e metodologie per l’annuncio. E’ tempo di Missione.
Occorre una grande passione pastorale che poi è la passione per il Vangelo,
l’ansia dell’evangelizzazione. Ed il Vangelo è Lieto Annunzio.
E’ importante questo ‘lieto’: la gioia è infatti la caratteristica di chi ha trovato
un senso alla vita.
E’ Lieto il nostro annuncio? ( si chiede il prof. Lanza)
E’ lieta la nostra vita? Trasmettiamo questa gioia?
Siamo nell’epoca dell’allegria chiassosa da una parte, della gioia fugace e
momentanea (tutto è commercializzato e spettacolarizzato). La nostra epoca è

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stata definita come l’epoca delle passioni tristi. “Noi, malati di tristezza” diceva
un editorialista. Il futuro, che prima era ‘promessa’ ora è diventato ‘minaccia’.
Occorre, nuovamente, il Lieto Annuncio.
Un esempio di lieto annuncio l’abbiamo tra Maria e Elisabetta.
Occorre, prima ancora che la catechesi ( che è approfondimento e
maturazione), un primo annunzio della nuova e lieta novella che Dio ci ama.
Occorre ripensare il Vangelo e il modo di annunziarlo in questo contesto
culturale.
La dottrina cristiana, il kerygma, non può solo essere solo annunciato e
ritrasmesso tout-court, occorre qualcosa di prorompente, gioioso,
contagiante, che entri far parte del contesto e che dia risposte ai
problemi dell’uomo d’oggi:
 Ad una certa ‘tristezza esistenziale’ dovuta anche all’insicurezza occorre
dare speranza gioia
 La”frammentazione” abbisogna, richiama, l’esigenza del tutto, l’esigenza
di senso del tutto
 La fredda ragione matematica e commerciale richiede una vitale e calda
ragione che apra orizzonti più ampi, fino all’escatologia.

A ben guardare s’avverte in tutto il magistero di papa Ratzinger questo


grande impegno di trasmettere il senso della fede :
non come imposizione ma come opportunità
non come dovere ma grande chance di realizzazione
non come detrazione, ma aumento
come via per la felicità.

Occorre trovare le vie per trasmettere questo all’uomo contemporaneo,


all’uomo che abita questa cultura che non è più quella della societas christiana,
moderna, ma post-moderna, in qualche modo ‘post-cristiana’ o comunque
attorniata di pensiero e prassi non cristiane. Occorre cioè un ‘progetto
culturale’. Occorre far fronte alla ‘sindrome di Giona’ e rispondere con un
progetto.

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Capitolo 2 - Il progetto culturale come prospettiva pastorale (pp.31- 99) -

Inculturazione - Come si diceva, il termine stesso ‘progetto culturale’ ha


suscitato attenzione ma, in qualcuno, anche perplessità… ma non deve essere
così, perché non si tratta di una iniziativa che si aggiunge alle altre, né di un
percorso che semplicemente affianca la quotidiana fatica pastorale; afferma il
card. Ruini : “
“ Quando lavoriamo ad un progetto culturale orientato in
senso cristiano non facciamo altro che inserirci in quel
processo di incarnazione della fede nelle culture che
attraversa i tempi
e che è affidato anzitutto all’iniziativa dello Spirito di Dio
e subordinato alla libertà e creatività culturale dei
credenti”

E’ la realtà dell’inculturazione della fede: ossia il processo in cui la fede


prende forma secondo le modulazioni culturali diversificate mostrando la
sua plastica ricchezza e senza perdere ovviamente la propria specificità.
Il paradosso cristiano della sapienza della croce supera ogni limite
culturale, ma questa universalità deve fare i conti anche con lo sfondo
antropologico, la particolarità della cultura di un popolo. Ù
Giovanni Paolo II afferma che l’inculturazione è un processo non di perdita
di identità, non di assorbimento di una realtà nell’altra, non di compromesso,
ma di uno sforzo di penetrazione del messaggio di Cristo in un
determinato ambiente.
L’inculturazione non è opera di assorbimento o riverniciatura, ma intreccio
(come in Gesù) di due aspetti, di una universalità e di una particolarità, che
vengono a formare un tutt’uno; è reciproca illuminazione.
Inculturare non è privare una cultura di qualcosa, ma al contrario è
arricchirla, elevarla, purificarla dagli errori e dal peccato, svilupparla.

Inculturare è incarnare - Inculturare è incarnare nella storia il messaggio


evangelico. L’incarnazione del Verbo è stata una vera e propria inculturazione:
l’eterno è entrato nel tempo, il tutto nel frammento, Dio ha preso volto umano.
Il progetto culturale trova radice e motivazione proprio nella ‘legge
dell’incarnazione’.
Se amiamo l’umanità, come Dio l’ha amata, non possiamo guardare al mondo,
alla sua cultura, come qualcosa da fuggire o colonizzare, bensì come un nuovo
areopago in cui annunciare la lieta novella. Solo che per questo Lieto
Annuncio, che è quello di Gesù, sempre, non può venir intercettato in qualsiasi
forma.
Scrive Bartolomeo Sorge: “ Se il messaggio di liberazione di Dio all’uomo non si
traduce nei valori, nel costume, nel linguaggio e nei simboli della cultura, esso
rimane muto e incomprensibile per il destinatario”.

Importanza di una analisi e conseguente coraggio - Un ripensamento della


fede per la sua attualizzazione richiede dunque una lucida analisi della
situazione. S’impone ai credenti di comprendere la cultura moderna nei suoi
elementi caratteristici, nelle sue attese e nei suoi bisogni in rapporto alla
salvezza portata da Gesù. Qui si inserisce la sfida del progetto culturale che
richiede coraggio e decisione; il coraggio di un esame di coscienza e quello di
intraprendere nuovi cammini non tanto per “rifarsi di posizioni perdute” ma
per “ profezia cristiana”.

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Ogni uomo è inserito in una cultura e da essa dipende e su di essa influisce.
Ogni uomo è figlio e padre della cultura in cui è immerso: dunque la cultura ha
in sé la possibilità di accogliere la rivelazione divina.
Giovanni Paolo II afferma : “ Una fede che non diventa cultura è una fede
non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente
vissuta” .

Una nuova evangelizzazione - Già Giovanni XIII col suo programma


culminato nel Vaticano II presagiva questo doveroso ed urgente aggiornamento.
Paolo VI lo ha fatto nella sua splendida esortazione Evangelii Nuntiandi.
L’episcopato italiano lo ha fatto in questi anni in molti documenti.
La percezione della novità della situazione si fa del tutto chiara con l’appello
alla Nuova Evangelizzazione lanciato da Giovanni Paolo II: siamo di fronte ad
una situazione inedita, non bastano semplici aggiustamenti, ma esige lo
slancio di una corrispondente novità.

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Capitolo 4 - Come dire il Vangelo all’uomo contemporaneo

Dunque occorre annunciare la Lieta Novella all’uomo d’oggi, inserito in una


società complessa e mutata. Giovanni XXIII aveva intuito la necessità
dell’aggiornamento e indisse il Concilio.
Paolo VI con l’Evangelii Nuntiandi e le conclusioni del Concilio ha portato
avanti questa esigenza. Giovanni Paolo II ha lanciato la nuova
evangelizzazione. Benedetto XVI con la sua prima enciclica Deus caritas est
ha messo a fuoco il nucleo centrale della vita della chiesa e del cristiano: la
carità che è Dio, la carità vita della chiesa e del cristiano.

G. P. II scrive:nella Novo Millennio Ineunte ( Manifesto della Nuova


Evangelizzazione) scrive:

“Ho tante volte ripetuto in questi anni l’appello alla NUOVA


EVANGELIZZAZIONE. Lo ribadisco ora, soprattutto per indicare che occorre
riaccendere in noi lo slancio delle origini, lasciandoci pervadere dall’ardore della
predicazione apostolica seguita alla Pentecoste… Guai a me se non predicassi il
Vangelo”

“Questa passione non mancherà di suscitare nella Chiesa una NUOVA


MISSIONARIETA’ che non potrà essere demandata ad una porzione di
specialisti, ma dovrà coinvolgere tutti i membri del Popolo di Dio..”

“Occorre un NUOVO SLANCIO APOSTOLICO che sia vissuto quale impegno


quotidiano delle comunità e dei gruppi cristiani.
Ciò tuttavia avverrà NEL RISPETTO dovuto al cammino sempre diversificato di
ciascuna persona e nell’attenzione PER LE DIVERSE CULTURE in cui il
messaggio cristiano deve essere calato…
Il cristianesimo del terzo millennio dovrà risponde sempre meglio a questa
esigenza di INCULTURAZIONE: restando pienamente se stesso…esso porterà
anche il volto delle tante culture e dei tanti popoli in cui è radicato….
Mi sono fatto tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno…”

ORIZZONTE PASTORALE
Dunque siamo in una situazione ‘inedita’.
Non siamo più in una situazione di cristianità sociale omogenea; ma neppure
c’è una forte estraneità nei confronti del cristianesimo come nel tempo pagano;
siamo in una situazione ‘sospesa’ (con retaggi storici positivi e negativi) che
non agevola la recezione del messaggio evangelico.
Siamo in una situazione in cui il fatto cristiano appare scarsamente
rilevante.
Il processo di secolarizzazione mette in discussione o fuori gioco o ‘fuori
ambiente’ il cristianesimo.
Assistiamo a una ‘marginalizzazione della fede’, una sorta di privatizzazione
della fede con scarsa incidenza fede nel progetto personale, sociale, politico,
economico, artistico, insomma “culturale”.
Non si può dire che siamo in un’epoca post-cristiana (sarebbe troppo) ci
sono ‘venature’ sensibili di cristianesimo, ma questa marginalizzazione e
privatizzazione delle fede richiede da parte della Pastorale una lucida riflessione
e una coraggiosa nuova svolta di impostazione.

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E’ cresciuto il numero dei non credenti, dei non praticanti, di chi non conosce
Gesù, degli indifferenti il tutto in una società più complessa.
E dunque?
Domande:
 Quale la sfida pastorale in questa situazione? Come attuare,
concretamente, la nuova Evangelizzazione? Come incarnare
dunque il ‘Progetto culturale’ nel senso di inculturazione
dell’annuncio e del metodo dell’annuncio?

La PRAEPARATIO EVANGELICA - Il primo annuncio - La tradizionale


‘catechesi’, frutto maturo e fecondo della societas christiana, non appare
più in grado di fronteggiare la nuova situazione. Perché la catechesi è
maturazione della fede mediante la conoscenza organica ed integrale della
verità cristiana. Ma nella maggior parte non c’è più questa fede, molti non
conoscono Gesù o sono indifferenti, occorre quindi una PRAEPARATIO
EVANGELICA che possiamo chiamare anche ‘Primo Annuncio’ secondo
una espressione di Paolo VI che nella Evangelii nuntianti scrive:

n. 5l. Rivelare Gesù Cristo e il suo vangelo a quelli che non li


conoscono, questo è, fin dal mattino della pentecoste, il
programma fondamentale che la chiesa ha assunto come ricevuto
dal suo Fondatore. Tutto il nuovo testamento, e in modo speciale
gli Atti degli apostoli, testimoniano un momento privilegiato e, in
un certo senso, esemplare di questo sforzo missionario che si
riscontrerà poi lungo tutta la storia della chiesa. Questo primo
annuncio di Gesù Cristo, essa lo realizza mediante un’attività
complessa e diversificata, che si designa talvolta col nome
di "pre-evangelizzazione", ma che è già, a dire il vero,
l’evangelizzazione, benché al suo stadio iniziale ed ancora
incompleto. Una gamma quasi infinita di mezzi, la
predicazione esplicita, certamente, ma anche l’arte,
l’approccio scientifico, la ricerca filosofica, il ricorso
legittimo ai sentimenti del cuore umano possono essere
adoperati a questo scopo.

A chi è rivolto questo Primo annuncio?

52. Se questo primo annuncio si rivolge specialmente a coloro, che non


hanno mai inteso la buona novella di Gesù, oppure ai fanciulli, esso si
dimostra ugualmente sempre più necessario, a causa delle situazioni di
scristianizzazione frequenti ai nostri giorni, per moltitudini di persone che
l’hanno ricevuto il battesimo ma vivono completamente al di fuori della
vita cristiana, per gente semplice che ha una certa fede ma ne conosce
male i fondamenti, per intellettuali che sentono il bisogno di conoscere Gesù
Cristo in una luce diversa dall’insegnamento ricevuto nella loro infanzia, e per
molti altri.

Io - dice il prof. Lanza - preferisco chiamare questo Primo Annuncio, questa


pre-evangelizzazione come PRIMA EVANGELIZZAZIONE (praeparatio
evangelica).

Paolo VI nella Evangelii nuntiandi afferma che per questa prima


evangelizzazione ci sono tanti e diversi mezzi: dalla predicazione esplicita,

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all’arte, all’approccio scientifico, la ricerca filosofica, ecc…; ed è un primo
annuncio rivolto a chi non conosce Gesù, agli indifferenti, ai non credenti.

Questa pre-evangelizzazione, prima evangelizzazione, primo annuncio è


una novità richiesta alla pastorale da questa situazione inedita della nostra
società mutata. Ma è solo il primo passo di questa ‘conversione di Giona’
perché anche tutto il resto che segue dovrebbe subire una svolta pastorale
rispetto a quella che nei decenni passati s’è vissuta.
Occorre una ‘svolta culturale’ per questa svolta pastorale; l’impianto
pastorale tutto imperniato sulla catechesi è arrivato al capolinea.

KERIGMA e ANNUNCIO

Il Kerigma, ossia il cuore dell’annuncio: Cristo è morto e risorto.


“La rivelazione - afferma Jeremias - non avviene tra le dieci e le undici della
domenica mattina, durante il sermone”, come a dire, occorre prendere le
distanze dalle concezione dell’ex opere operato nell’annuncio e passare
ad una teologia della Parola.
Il kerigma (l’annuncio del Kerigma) è un aspetto, una parte dell’annuncio.

Lo stesso Paolo VI sempre nell’evangelii nuntiandi afferma:


Questo annuncio - Kerigma, predicazione o catechesi - occupa un tale posto
nell’evangelizzazione che ne è divenuto spesso sinonimo. Esso tuttavia non
ne è che un aspetto”.

Quindi l’annuncio del kerigma non esaurisce il primo annuncio.


La parola dell’annuncio non è inscindibile dall’evento, dal
comandamento, dalla comunità, così come la sua ricezione intreccia
indissolubilmente ragione, storia e vita. La rivelazione avviene sempre
GESTIS VERBISCQUE.

Il Kerigma non è mai solo ‘reportage’ e - aggiunge - non ha perso vigore


l’antico precetto “Non nominare il nome di Dio invano”.
La teologia kerigmatica - prende in considerazione solo il messaggio (il
kerigma) senza riguardo all’altro polo rappresentato dalle diverse forme
culturali e dall’importamneza della ‘udibilità’
La fede non viene dall’annuncio ma dall’ascolto.
Si può parlare - scrive il professore di 3 momenti:
 il Logos prima delle parole
 il Logos dentro le parole
 il Logos dopo le parole
IL LOGOS PRIMA DELLE PAROLE (praeparatio evangelica)

E’ la praeparatio evangelica - rivolta soprattutto al mondo dei non


credenti, o di chi non conosce Gesù o degli indifferenti ed ha una
molteplicità di approcci - come dice Paolo VI nella Evangelii nuntiandi - .
Annuncio che crea interesse, domanda, prepara la recettività, prepara il
luogo entro cui ‘annunciare, crea la sintonia, la sete, ecc….
Questa pre-evangelizzazione - dice Paolo VI - ha tanti mezzi (multisque
modis): dalla predicazione esplicita, all’arte, all’approccio scientifico, la
ricerca filosofica, ecc….

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IL LOGOS DENTRO LE PAROLE- - sono i prolegomena fidei -

“Anche la più bella testimonianza - continua Paolo VI nella Evangelii


nuntiandi - si rivelerà a lungo impotente se non è illuminata, giustificata
(dare ragione) esplicitata da un annuncio chiaro e inequivocabile del Signore
Gesù. La buona novella proclamata dalla testimonianza di vita, dovrà dunque
essere - presto o tardi - annunziata dalla Parola di Vita. Non c’è vera
evangelizzazione se il nome, l’insegnamento, la vita, le promesse, il regno, il
mistero di Gesù di Nazareth, figlio di Dio, non siano proclamati”.

Con l’annuncio chiaro ed esplicito nasce l’esigenza di un


approfondimento organico, sistematico, integrale della fede. L’intellectus
fidei. E qui trova il suo posto la catechesi
Sempre l’Evangelii nuntiandi dice:

23. L’annuncio, in effetti, non acquista tutta la sua dimensione, se non


quando è inteso, accolto, assimilato e allorché fa sorgere in colui che l’ha
ricevuto un’adesione del cuore. Adesione alle verità che, per misericordia, il
Signore ha rivelate. Ma più ancora, adesione al programma di vita - vita
ormai trasformata - che esso propone. Adesione, in una parola, al regno, cioè
al "mondo nuovo", al nuovo stato di cose, alla nuova maniera di essere, di
vivere, di vivere insieme, che il vangelo inaugura. Una tale adesione, che non
può restare astratta e disincarnata, si rivela concretamente mediante un
ingresso visibile nella comunità dei fedeli. Così dunque, quelli, la cui vita si
è trasformata, penetrano in una comunità che è di per sé segno di
trasformazione e di novità di vita: è la chiesa, sacramento visibile della
salvezza. Ma, a sua volta, l’ingresso nella comunità ecclesiale si esprimerà
attraverso molti altri segni che prolungano e dispiegano il segno della
chiesa. Nel dinamismo dell’evangelizzazione, colui che accoglie il vangelo come
parola che salva, lo traduce normalmente in questi gesti sacramentali:
adesione alla chiesa, accoglimento dei sacramenti, che manifestano e
sostengono questa adesione mediante la grazia, che conferiscono.

IL LOGOS DOPO LE PAROLE


Il Kerigma che non si riveste di fatti viene meno alla propria struttura
costitutiva originaria (gestis verbisque) , La verità del Kerigma è
indissolubilmente speculatativa e pratica.
Il Kerigma si fa storia.

Concludendo: non basta dunque ripetere verbalmente la formula del kerigma


(Cristo è morto e risorto) senza un adeguato sforzo di ritraduzione del messaggio
e di una sua intelligente e creativa inculturazione.
Occore dunque studiare le condizioni dell’essere e diventare cristiani oggi è
pertanto un compito intrinseco della nuova evangelizzazione proprio perché la
persona e la comunità cristiana si trovano oggi al centro di un complesso di
trasformazioni.
I misteri della vita del Signore rimangono il centro, ne costituiscono la
sostanza, ciò tuttavia non significa che ci si possa limitare alla ripetizione
materiale.

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L’annuncio deve essere non solo detto, ma udito, e dunque udibile,
convincente, deve incontrare il cuore dell’uomo d’oggi. Non si può
nominare il nome di Dio invano. Sarebbe un Dio afono.

ORIZZONTI DI RIFLESSIONE PER APRIRE PISTE PASTORALI

1. Di fronte alla debolezza del pensare, le ragioni della fede:

L’itinerario della ragione ha portato nella post-modernità al pensiero


debole e dunque la questione principale è quello della Verità e
dell’Assoluto. Viene compresso l’orizzonte metafisico, nascono pseudo-
metafisiche, religioni atee, il sacro anonimo, interesse per l’occulto.
L’insidia del pensiero debole costituisce un banco di prova per il credente
che ha bisogno di ‘ripensare la fede’ e darle nerbo, evidenziando tutta la
capacità ha di svelare il senso il valore l’integrità della vita.

2. Di fronte alla frammentazione: dialogo e identità :

Oggi vacilla la calma del villaggio attorno alla chiesa, la compiutezza di una
città chiusa nei suoi bastioni, l’unità di una società centrata su istituzioni
riconosciute e intangibili… le antiche identità collettive si disintegrano.
Tutto questo prova un forte impatto anche sull’identità personale. Di fronte
a questa situazione occorre irrobustire l’identità, la personalità cristiana
e porsi in dialogo. Identità e dialogo sono i due pilastri costruttivi nella
situazione odierna. Il pensiero debole non dialoga, restringe la parola
all’immediato. Il dialogo ha bisogno di una sincera ricerca della verità.

3. Di fronte alla restrizione dell’orizzonte: varcare la soglia della


speranza :

Il futuro si è fatto incerto, da ‘promessa’ è divenuto ‘minaccia’. L’attimo


fuggente non è solo il titolo di un film, ma una percezione assai diffusa.
L’evento dell’Incarnazione trasforma e qualifica i tempo. La storia
umana ha una direzione e un senso. Non obbedisce alla legge dell’eterno
ritorno, ma scopre e realizza il disegno di Dio.

4. Di fronte al disagio della ripetizione: cose antiche e cose nuove - LA


COMUNITA’ “ACCOGLIENTE”:

La chiesa del passato ha saputo trovare con coraggiosa inventiva una prassi
pastorale e catechistica. E’ necessario il coraggio e la capacità di
innovazione che caratterizzò la stagione postridentina per una autentica
‘trasmissione della fede’ e una compiuta educazione cristiana. Di fronte poi
alla frammentazione si profila un’immagine della pastorale chiara e non
dispersiva, nello stesso tempo capace di percorsi articolati e differenziati.
C’è inoltre una minaccia che corrode la fede dall’interno: il teismo e la gnosi
che svuota il mistero centrale dell’incarnazione.
Occorrono COMUNITA’ CAPACI DI ACCOGLIERE - sono atteggiamenti
pastorali di una nuova prassi: non luoghi burocratici - non luoghi non luoghi
(dove si consuma), ma una comunità che accoglie, addirittura una comunità
che precede la domanda, è attenta ai bisogni, che va alla ricerca, sollecita.

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Anche gli ambienti parlano e creano atmosfera, si aprono all’incontro o si
chiudono muti, suscitano emozioni o disagio.

5. La liturgia ‘frontiera’ di prima evangelizzazione

Come si diceva prima occorre una revisione, una verifica dell’impostazione


della catechesi, come ‘infrastruttura ermeneutica’ del mistero celebrato. La
Liturgia e vita sono strettamente collegate. Quando si scollano si opera un
disagio, una disaffezione, una incomprensione. Non a caso il Concilio ha
messo la liturgia la primo posto nella sua agenda. Lo stile celebrativo, il
linguaggio, la disposizione dell’assemblea, gli arredi, le luci, tutto si fa
contesto entro il quale la partecipazione si fa o non si fa possibile. La
partecipazione dei fedeli, il canto, i silenzi. La creatività non ha nulla a che
spartire con la ripetizione pedissequa o l’innovazione superficiale. Occorre
trovare forme concrete di comunicazione che rispettino la sensibilità dei
presenti, rispettino la natura liturgica senza pretendere di ingessarla. E poi
la Liturgia, in sommo grado è la celebrazione della Parola che si fa cibo,
sacrificio, offerta. Eucaristia.

6. LA CARITA’ COME VANGELO - La dottrina sociale per la città


dell’uomo -

La via della carità è la via del Vangelo.


L’avete fatto a me.
Logicamente va tolto l’equivoco che la carità si identifica con le opere di
carità. L’obolo o la creazione di un corpo speciale di volontari della carità
rimuove il problema, tacita l’inquietamento, sarebbe un approccio
assistenziale; no alla chiesa come fornitrice di servizi sociali sul territorio e
non…. Ma una Chiesa costitutivamente generata ed animata dalla
carità.

E’ la COMUNITA’ COMUNIONE - CONDENSATO CRISTOLOGICO


ESISTENZIALE - che diventa soggetto non solo perché prendono vita
iniziative e opere di carità, ma perché prende forma in essa una vera
CULTURA DELLA COMUNIONE, nel cui ambito tutti si sentono
responsabili della solidarietà fraterna.
E’ importante al proposito la seconda parte dell’Enciclica Deus caritas est!

LA CARITA’non si riduce a prestazione ma VIVE e VIVIFICA LA


RELAZIONE.
E’ l’ora di una nuova stagione della fantasia della carità (Novo
Millennio ineunte)

La carità inoltre NON HA PREZZO E NON HA CONFINI.

Inoltre è necessario che la carità operosa ESPRIMA CHIARAMENTE LA


DIMENSIONE DI SPERANZA CHE LA SOSTANZIA E LA CONSISTENZA DI
FEDE CHE LA SOSTIENE.

LA CARITA’è LA VERA FORZA MOTRICE DELL’EVANGELIZZAZIONE.


In quest’ambito può riprendere vigore la CARITA’ INTELLETTUALE : dove il
sapere si comunica come energia propulsiva di cultura e di vita; l’AMORE
CHE DIVENTA CULTURA, la cultura dell’amore, la Civiltà dell’amore. E’
il rapporto tra Carità e Verità. E qui torna quella splendida espressione di
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Giovanni Paolo II : Una fede che non diventa cultura è una fede non
pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta. La
carità diventa poi SOCIALE e POLITICA. Cultura, economia, politica: il
Vangelo della carità è ispiratore di una nuova coscienza morale.
Inculturazione del Vangelo, incarnazione del Vangelo. Il logo dentro le
cose, le situazioni, gli ambiti.

Non si deve lasciare spazio alle false alternative, ridurre cioè la sequela di
Gesù ad un avvenimento che ha luogo nel cuore, nelle menti, nel privato
delle relazioni interpersonali, e svuota così la croce di Cristo. In principio
era il Verbo, il verbo era presso Dio, il Verbo era Dio. Questo Verbo si è fatto
carne, tempo, storia.

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