Sei sulla pagina 1di 6

Il karma e i sogni

Chépadorjé Rinpoche
Conferenza pubblica

Sommario:
Il Karma: l’attività; l’ineluttabile legge di causa - effetto.
I sogni: il riconoscimento e il controllo dei sogni; la trasformazione di sé grazie alle
istruzioni trasmesse dal Maestro spirituale; l’esperienza di felicità-vacuità.

In primo luogo,vi ringrazio d’essere venuti questo pomeriggio.


Il tema affrontato oggi sarà duplice: l’attività in senso ampio o il karma da una parte,
e, dall’altra, il sogno. Il sogno ordinario, ovvero il sogno in quella fase di transizione
tra due eventi che si chiama il bardo del sogno.
Ho già detto sul bardo in quanto fase transitoria, in particolare sui 6 bardo dei quali fa
parte il bardo del sogno. Tuttavia, desidero aggiungere delle precisazioni.
Il primo bardo è quello della nascita e dell’esistenza. Saper riconoscere
la vita al di à di quello che sembra essere, come semplicemente una fase
transitoria tra due eventi, è particolarmente importante. Se non abbiamo questa
percezione della vita come inserita in uno dei 6 bardo, noi passeremo accanto
all’esperienza, all’abilità necessaria per capire cos’è il bardo del sogno. Dunque, i due
sono connessi.
Comincerò parlando dell’attività, le sue cause e i suoi frutti.
Come si colloca l’attività nella vita di un essere, come può lasciare un segno?
C’è l’essere nella sua componente spirituale. C’è il mondo o l’apparenza cui esso si
rapporta. Il legame tra lo spirito e il mondo al quale si rapporta rientra nella sfera dell’
attività. La traccia, l’impronta, lasciate nel suo spirito da questo rapporto col mondo
fenomenico, è dell’ordine della causa.
C’è dunque continuità incessante di segni, di tracce che s’imprimono nello spirito,
poiché il legame tra il mondo e lo spirito è costante. C’è sempre un mondo nel quale si
deve fare l’esperienza. Che si riveli piacevole, spiacevole o neutra, l’attività che si
svolge lascia sempre un’eco nel nostro spirito, ecco ciò che s’intende per attività.
Queste impronte ( baktchak in tibetano ) giocano un ruolo fondamentale nella vita di
un individuo, poiché talvolta tornano a galla nella nostra vita.
L’individuo ha avuto diverse esperienze, gli anni passano, ciò è dimenticato … ma d’un
tratto, per una serie complessa di circostanze, il passato riemerge: sono proprio quelle
impronte che ritornano, che riaffiorano nell’esistenza di quest’essere.
Bisogna comprendere ciò anche se, non uscendo dalla nostra condizione di esseri
ordinari, noi non lo comprendiamo con precisione, non ne cogliamo tutti gli annessi e
connessi. Istante dopo istante, un’esperienza ci segna e noi ne accumuliamo ancora e
ancora, questa è l’attività.
A questo punto, ciò che finora avevo chiamato “impronte” le chiamerò “perturbazioni”.
Sulla base di una di quelle se ne vengono a formare, a consolidarsene altre, che
saranno a loro volta supporto per le successive.
Noi entriamo, così, in una struttura circolare chiusa che chiamiamo ciclo delle
esistenze. Così le impronte lasciate da noi si autoalimentano, si auto-riproducono, e ci
si rinchiude nel ciclo dell’esistenza.
Questa reclusione non avviene necessariamente nel mondo umano, poiché la vita può
prendere altre forme. Queste differenti forme di vita possono essere predisposte alla
felicità o, al contrario, farci incontrare la sofferenza. Dunque le esistenze ci faranno
vivere diverse forme d’affettività, così come, nella nostra vita, il giorno lascerà posto
alla notte,alla quale seguirà un nuovo giorno. Nella nostra esistenza c’è questo
miscuglio tra sofferenza e felicità.
E’ necessario, quando noi vogliamo intraprendere la via indicata dal Buddha,
comprendere i legami tra causa ed effetto: i segni, se questi devono lasciar posto alla
felicità, lasceranno posto alla felicità; se essi devono lasciar posto in ultima istanza
alla sofferenza, lasceranno posto alla sofferenza. Sta a noi comprendere questi
meccanismi.
Se, ad esempio, sappiamo che recandoci in tale o tal’altro luogo incontreremo
qualcuno che vuole nuocerci, noi non ci ritorneremo. Allo stesso modo, comprendendo
questi meccanismi, il praticante deve saper usare i suoi talenti affinché questi
sviluppandosi portino alla ricerca della virtù o non-sofferenza.
Se comprendiamo questi meccanismi, comprendiamo le leggi della causalità karmica
(legami che uniscono le azioni ai loro effetti). Sapremo che dobbiamo far maturare in
noi le qualità da sviluppare nei rapporti con gli altri, quali l’altruismo, l’etica, la
generosità, tutte attitudini che andranno subito a generare in noi felicità, così da
abituarci ad agire in questo modo.
Nondimeno, c’è una sorta di schiavitù nei riguardi del mondo: una volta ben compresi
i meccanismi, vediamo che il modo in cui reagiamo al mondo ci assoggetta ad esso.
Nell’istante in cui abbiamo saputo liberarci da questi meccanismi di causa-effetto, ci
liberiamo dalla prigione del ciclo delle esistenze. Il nostro spirito allora non indugia più
nel mondo, ma in qualche modo si riappropria di sè stesso. Se ne è liberato.
Prima di riuscire a raggiungere il pieno controllo del proprio spirito, ci sono fasi
intermedie. Se accettiamo d’essere schiavi del mondo in cui viviamo e ci facciamo
schernire da esso, allora chi è affabile susciterà in noi un moto d’affetto, mentre chi ci
detesta e ci parla duramente ci renderà animosi e aggressivi. O agiamo così,
mostrandoci non padroni del nostro spirito, oppure agiamo in modo equanime, non
lasciandoci condizionare dall’atteggiamento altrui. La raggiunta imperturbabilità
dimostra il pieno controllo del nostro spirito.
Anche se noi non crediamo in queste leggi di causalità karmica, l’esperienza lascia
immancabilmente una impronta e ne nasce un frutto. Dunque, alla fine, noi faremo
quest’esperienza. Comunque sia, a prescindere dalla reale veridicità delle leggi di
causalità karmica, quand’anche fossimo convinti che queste non esistano, ciò non
toglie che al momento del nostro trapasso, ad esempio, le cose non andranno
esattamente come noi avremmo sperato.
Anche i tipi più duri sono in qualche misura segnati da una certa insicurezza. Uno tra i
materialisti più intransigenti, Mao Tsé Toung, affermava che il karma fosse una
fesseria. Ma talvolta questa certezza così radicata sembrava minata dal fatto che si
circondasse di indovini e astrologi, accanto ai quali amava parlare d’altro rispetto alle
certezze che ostentava di solito.
Ciò che è certo, è che noi non possiamo raggiungere una certezza definitiva. Non c’è
in questi argomenti una possibile conclusione definitiva. Nessuno potrà essere
fermamente convinto nel sostenere che le leggi della causalità karmica non esistono,
che non c’è niente al di là di questo: è impossibile da provare.
L’assenza di fiducia, di convincimento che possiamo nutrire verso le principali
tradizioni religiose in senso lato (non necessariamente il Buddhismo), non toglie
tuttavia a coloro che professano questo modo di fare la capacità di soffrire
interiormente. In Francia, ad esempio, dove molte forze sono state impiegate nel
corso della sua storia per sviluppare il progresso tecnologico, può non esserci alcuna
convinzione spirituale o religiosa. Ma non è il progresso che può risolvere il tormento,
il mal di vivere, l’angoscia che si può sperimentare nel mondo. La sola convinzione nel
progresso non ci evita di fare l’esperienza della sofferenza. Che ci sia o no
accettazione delle leggi di causalità, le leggi ineluttabili che le reggono non cambia il
fatto che appaiano trame complesse di cause.
Alcune metafore mostrano come si producano queste leggi di causalità.
La più utilizzata è quella del seme piantato che, per poter dare al termine della sua
germinazione un frutto o una pianta, deve essere un seme di buona qualità, deve
trovare terra fertile, un contesto favorevole che apporti il necessario (sole, pioggia,
etc.). Quando ci saranno tutte queste condizioni il seme potrà trasformarsi, entrare
nel processo di causalità, dare un frutto.
Così è anche per l’essere umano: c’è da un lato il principio cosciente o la sua
coscienza, dall’altro il mondo con cui si rapporta. Il legame che si crea tra lui e il
mondo è sia di asservimento, sia liberatorio, a seconda che sviluppino i difetti oppure
che si accumuli virtù.
Ciò vale nei periodi diurni. Nel nostro quotidiano, ciò si registra nella nostra esistenza
ma si prolunga anche nel mondo del sogno.
La capacità dello spirito di rinchiudere queste impronte ritorna durante il sogno.
Tutto ciò che è vissuto nello stato di veglia si perpetua durante il sogno.
C’è dunque una connessione tra i due, ed è per questo che comprendere l’uno
permette di dominare l’altro.
C’è un legame indivisibile tra lo stato di veglia e quello del sogno. Noi dobbiamo saper
sperimentare o studiare, quando siamo fuori dalla fase-sogno, ciò che è chiamato le
due forme del corpo immaginario, di cui uno è puro e l’altro impuro.
Le istruzioni dirette o essenziali sono legate a queste pratiche dell’apparenza pura o
dell’apparenza impura del corpo inesistente e devono essere praticate durante dei ritiri
intensivi di sei mesi o un anno. Grazie ad esse, noi potremo acquisire l’esperienza che
ci permetterà d’utilizzare il sogno come meglio ci sembra e ciò attraverso, appunto,
queste istruzioni specifiche di meditazione.
Quando arriviamo a padroneggiare queste istruzioni al termine di questi ritiri intensivi,
noi diciamo che l’illusione del sogno, durante il sogno, è auto liberatrice. E giungiamo
al punto di sentirci nel sogno capaci di controllarlo. Diciamo inoltre di detenerne il
tenore, di essere capaci di tramutare o cancellare l’illusione propria del mondo
onirico. Prima bisogna comprendere, se vogliamo intraprendere questo tipo di pratiche
che ci permetteranno di controllare i nostri sogni, che occorre riconoscere il mondo
onirico da cui traiamo l’esperienza. E ciò è possibile solo attraverso l’acquietamento
dello spirito (“shiné”o “shamata”), acquietamento necessario se si pretende di voler
controllare il mondo onirico.
Ognuno fa l’esperienza del sogno. Alcuni sognano molto, restando succubi dei loro
sogni. Altri pensano di non farlo perché dimenticano i loro sogni, ma in realtà tutti
fanno quest’esperienza .
Perché il sogno sia percepito come un momento d’illusione e perchè questo momento
possa essere trasformato e controllato, occorre innanzitutto saper pacificare il nostro
spirito. E’ questa attitudine alla shiné, alla calma mentale che ci permette d’agire con
forza sul mondo onirico. Ci sono anche, per coloro che tendono a dimenticarli, dei
metodi in grado di far riapparire i sogni (per controllarli occorre che ne ridivengano
coscienti). Una volta fatto ciò, bisognerà dominarli.
Con queste istruzioni si riacquista, per chi non ha memoria dei propri sogni, la
coscienza della loro profusione. Dapprima ci si sveglia pensando di non aver sognato;
poi, si ha di nuovo coscienza che l’attività onirica è stata importante durante la notte,
anche se non si vedono chiaramente tutti i dettagli; infine, sempre attraverso le
istruzioni, si possono descrivere al risveglio tutte le esperienze notturne per filo e per
segno.
Man mano che otteniamo la capacità di vedere con chiarezza i nostri sogni e di
rammentarli, diventa facile controllarli, vale a dire esser capaci d’apprezzare il mondo
che ci circonda in cui noi dormiamo.
Abbiamo la capacità di vederci mentre sogniamo, di vedere il nostro corpo mentre fa
questa esperienza, inspirare ed espirare tranquillamente. Ci vediamo sul nostro letto.
Possiamo estendere la nostra visione a un ambiente più ampio, al di là del letto in cui
dormiamo: è tutta la casa o l’appartamento dove ci troviamo che ora è visibile.
Man mano, acquisteremo la capacità di vedere oltre questo semplice ambiente. E’ il
nostro quartiere, la nostra città, il nostro paese, la totalità degli abitanti che entrano
nel nostro campo di visione. Ne abbiamo una visione completamente chiara.
Si dice che durante questo sogno, quando ne abbiamo il controllo, abbiamo la capacità
di vedere l’universo nella sua totalità; nonostante dormiamo, stando distesi nel nostro
letto, possiamo sperimentare l’universo nella sua totalità con tutti gli esseri che vi si
trovano.
Queste esperienze sono sempre acquisite attraverso le istruzioni fornite dal Maestro,
istruzioni che consentono di divenire coscienti del mondo in cui ci troviamo.
Altre istruzioni ci consentono di modificare il sogno. Nel sogno abbiamo un corpo che
non è fatto di carne e sangue e la sua apparenza può essere modificata. Finché siamo
svegli, durante il giorno, siamo limitati dal nostro involucro corporale e, salvo nella
meditazione, non abbiamo la capacità di trasformarlo nello ”yidam”, nella divinità di
meditazione per cui ci sono state date istruzioni dal Maestro spirituale.
Nel mondo onirico al contrario, essendo assente la costrizione corporale, potremo
trasformare questo corpo nel corpo”yidam”, della divinità. Una volta padroni del
mondo onirico, potremo altresì aiutare l’altro a eliminare ciò che è fonte di ostacolo e
d’insidie. Possiamo porre fine a ciò che crea difficoltà, in ciò consiste il nostro potere.
E inoltre, il mondo del sogno non è retto dalle stesse leggi temporali cui dobbiamo
sottostare fuori del sogno. Quali che siano gli sforzi che possiamo mettere nei voti e
nelle preghiere per ricevere gli insegnamenti direttamente dal Buddha (o per un
cristiano dal Cristo) e, parimenti, quale che sia la tradizione spirituale, non ne
abbiamo la capacità, poiché apparteniamo a momenti della storia differenti.
Invece nel sogno niente più vincoli temporali. Colui che conosce i segreti del mondo
onirico, è colui che riceve direttamente dal Buddha le istruzioni, colui che riceve
direttamente le direttive, gli incoraggiamenti dal Maestro spirituale.
Capacità ugualmente acquisita dallo yogi di trasferirsi nelle terre pure, manifestandosi
nelle vesti di coloro che sono a capo di queste terre .
Così vediamo nella biografia di Milarepa, come a un certo punto un suo discepolo,
Rechungpa, attraveso le istruzioni del suo Maestro diventa in grado di controllare il
mondo onirico e di recarsi nelle terre pure. Si reca nella terra retta da Mityopa,
”l’irremovibile”. Riceve, tra le altre istruzioni, quella di domandare al suo Maestro
spirituale la sua biografia. Una volta tornato nel mondo ordinario, egli si reca dal suo
Maestro e lo supplica di esporre le esperienze evocative della sua vita.
Ecco dunque le diverse fasi che attraversa il praticante, sempre seguendo le istruzioni
del suo Maestro:
- dapprima il riconoscimento, la padronanza del sogno,
- poi la capacità di trasformarsi per recarsi nelle terre pure e trasfigurare il proprio
corpo in quello della divinità ”ydam”.
In questo contesto del sogno, niente può intaccare l’integrità della persona, poiché ciò
che normalmente lo consente è il suo corpo deperibile. Ma, per definizione, non c’è il
corpo: non si può violare una persona in un corpo che non esiste. Quand’anche si
tuffasse in un braciere spaventoso, non potrebbe rimanere intaccato!
Nel sogno non possiamo morire poiché non c’è questo corpo veicolo della deperibilità.
Anche se all’inizio ci può essere timore (poiché ancora non abbiamo realizzato un
perfetto controllo dei nostri sogni), in seguito questo timore svanisce. Infine possiamo
essere anche travolti dai flutti più tumultuosi senza che ciò possa nuocere alla nostra
persona, poiché non abbiamo un corpo.
Man mano che attraverseremo il sogno, che avvertiremo la nostra persona come
inattaccabile, noi faremo un’altra esperienza: quella della felicità unita alla vacuità.
Il mondo onirico è quello della vacuità, cui si mescola la felicità, perché?
Noi otteniamo la conquista di non essere più fragili. La fragilità non fa più parte di noi.
Che siano gli animali, i flutti più tumultuosi, o gli abissi più profondi, niente potrà
intaccare il nostro corpo, è l’esperienza della felicità.
Il mondo è un mondo onirico vissuto come tale: è l’esperienza della vacuità; dunque,
c’è questa esperienza molto profonda della felicità - vacuità. E’un’esperienza
singolare. Non è come sentirsi bene o altro, non è uno stato di eccitazione affettiva
come si verifica in una relazione duale. Non c’è intolleranza, né presa, né
attaccamento verso questa esperienza. Questa esperienza è il nostro essere. Il nostro
corpo non esiste più, siamo giunti alla convinzione che non esiste più: di qui si
comincia a comprendere la vacuità. Il nostro corpo non è più vulnerabile come prima e
questo è fonte di felicità. Il nostro essere si è fatto esperienza dell’unione tra felicità e
vacuità. Naturalmente ciò è possibile solo se si è pienamente padroni del proprio
spirito. In tal caso, il mondo degli inferi e i livelli più bassi del ciclo dell’esistenza non
sono più oggetto di terrore e le terre pure, cioè l’esatto opposto, non sono più oggetto
di attaccamento. Non si genera né terrore per il mondo del dolore, né attaccamento
per le terre pure. Si è semplicemente nell’esperienza profonda dell’unione tra felicità e
vacuità.
Ecco ciò che accadrà a tutti coloro che sapranno dominare i propri sogni, che sapranno
usare le istruzioni per controllare il mondo onirico al fine di elevarsi spiritualmente.

Domande-Risposte

D .- In questa conferenza, c’erano due soggetti, il karma e i sogni. Non ho ben


capito in che modo il karma influisca sul sogno. Se vediamo le tracce karmiche
apparire nei sogni, che si può fare se non constatarlo?
R .- Bisogna sapere che le nostre azioni, da svegli, lasciano una traccia e
riappariranno. E un momento particolare del riaffiorare di queste azioni è
appunto il sogno. E’ il risorgere, il prolungamento di quelle abitudini, di quelle
attività svolte da svegli. Si può dire, al limite, che se non ci fosse attività non si
sognerebbe.
D .- Qual è il legame tra lo stato di veglia e quello onirico?
R .- Il legame sta nel poter fare da svegli ciò che ci serve per controllare il mondo
onirico. Lo si sperimenta grazie alle istruzioni dateci dal Maestro spirituale. Il tema
enunciato precedentemente (il corpo puro e impuro) fa parte delle istruzioni che
possono essere trasmesse dal Maestro spirituale.
In sostanza, bisogna cercare un Maestro che sia padrone di queste tecniche di
meditazione, perché lui solo può trasmetterci quelle istruzioni attraverso le quali
possiamo agire sul mondo onirico. C’è dunque un legame possibile, sperimentabile tra
questi due mondi.
D .- Quando, in un sogno, riceviamo un’iniziazione o delle istruzioni, come essere certi
che si tratti davvero di un insegnamento e non di un proiezione mentale?
R .- Il percorso per dominare i sogni è pieno di insidie. Perché possiamo raggiungere
lo scopo, dobbiamo essere in contatto quotidiano con un Maestro esperto. Solo
attraverso domande e risposte potremo evitare le insidie. Solo il Maestro potrà dire se
si tratti di esperienze attendibili oppure fasulle.
D .- … al nostro livello, il sonno ha un’altra funzione oltre a quella del ristoro fisico?
R . - Non c’è differenza tra il buddhismo e il comune sapere: una notte è
semplicemente ristoratrice. Il corpo è costituito da quattro elementi fondamentali. I
differenti organi interferiscono gli uni con gli altri quando siamo svegli. La stanchezza,
che nasce da questa interferenza, rende necessario il riposo notturno. Ma lo spirito
non ha bisogno di riposo. Esso, durante il sonno mentre il corpo si riposa, vivrà
esperienze singolari rispetto al solito.
D .- (domanda non udibile. NB - concerne il tempo di ritiro necessario ai fini della
pratica)
R . - I ritiri non sono assolutamente necessari; sono le istruzioni ad esserlo piuttosto.
Una volta ricevute dette istruzioni da un Maestro qualificato, occorre sperimentarle in
sei mesi, un anno, due … può darsi che sia anche necessario richiederle, se non
abbiamo avuto un risultato.
Il tempo necessario per impadronirsi di queste istruzioni varia secondo le persone.
D . - (Domanda non udibile)
R . – Effettivamente c’è un potere purificatore della capacità di controllare i sogni, le
tracce che lasciano in noi le attività karmiche. Durante il sogno, abbiamo visto che
non c’era forma corporea, che l’essere era inattaccabile e che il fuoco, gli animali
selvaggi, gli oggetti contundenti non potevano attentare alla nostra vita. Non
possiamo più allora immagazzinare queste tracce e ci liberiamo, man mano, delle
impronte che la causalità karmica ha lasciato in noi.
Tutto ciò che è impronta è sempre in relazione con la sofferenza. Ma da quando, nel
sogno, abbiamo saputo comprenderne l’uso, la sofferenza è integrata come un luogo,
un affetto che in superficie sembra preoccupante, ma di fatto è vacuità. Questa
vacuità è la sola esperienza di chi ha saputo padroneggiare i sogni, esperienza
congiunta alla felicità.
Anche la sofferenza si cancella controllando i sogni, la sofferenza legata alla causalità
karmica, alle impronte.
D. - (Domanda non udibile)
R. - Tutti i veli del karma sono della sfera dell’intangibile. Non sono reali, ma sono il
riflesso della nostra incapacità di comprendere la natura delle cose. Dal momento in
cui cominciamo a comprendere che la vacuità è l’essenza di tutto e, tra l’altro,
l’essenza della sofferenza e del karma (anche di quello vecchio), il karma comincia a
sfilacciarsi.

Potrebbero piacerti anche