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IN RICORDO DEL MERCOLED 18 GENNAIO 1978.
IL MESSAGGIO DI ERICH FROMM*
Boris Luban Plozza
Conobbi Erich Fromm nel 1970, quando aveva ancora una residenza
in Messico, a Cuernavaca. Tre anni dopo si stabil denitivamente a Muralto,
in Svizzera. La pergamena per la sua nomina di cittadino onorario recitava:
Scrut con amore i misteri delluomo percorrendo le vie del mondo. Scelse
e da qui irradi scienza e saggezza. Avevo il privilegio di incontrarlo alme-
no una volta la settimana: divenni suo allievo e - se oso dire - amico. Queste
note sono un tentativo di rievocare latmosfera in cui lavorava Erich Fromm
mentre gestiva Avere o Essere. Da anni ormai Fromm era considerato,
accanto a Sigmund Freud e a Carl Gustav Jung, uno dei pi importanti psi-
canalisti del nostro secolo.
Erich Fromm era nato nel 1900. Compiuti gli studi a Francoforte sul
Meno, sua citt natale, a Heidelberg, Monaco e Berlino, a 22 anni aveva gi
conseguito il dottorato a Heidelberg. Come membro della celebre Scuola
di Francoforte, fu costretto a emigrare per motivi razziali e, dopo un sog-
giorno di cura a Davos, nel 1934 si trasfer a Nuova York. Qui la sua fama si
estese rapidamente e ben presto il suo nome fu conosciuto anche fuori dei
conni degli Stati Uniti. Nel 1935, senza peraltro abbandonare la profes-
sione attiva di analista, Erich Fromm cominci a tenere lezioni in svariate
Universit, non esclusa quella assai rinomata di Yale. Nel 1940 ottenne la
cittadinanza americana. Nel Messico, a Cuernavaca, fond lIstituto di Psi-
coanalisi.
Ma ecco come Fromm stesso motiva questa sua scelta: I motivi per
cui il problema del movente delle azioni umane ha acquistato per me un
interesse cos dominante si potrebbero cercare nel fatto che sono glio uni-
co, con un padre ansioso e di carattere difcile e una madre con tendenza
depressive. Avevo quindi stimoli sufcienti per rivolgere il mio interesse alle
ragioni insolite e misteriose delle reazioni delluomo. Nel corso degli ultimi
cinquantanni, Erich Fromm scrisse almeno 20 libri e un centinaio di saggi,
la maggior parte dei quali ormai conosciuta in tutto il mondo. Dei suoi
libri sono state vendute, soltanto negli Stati Uniti, pi di 6 milioni di copie.
Molti di essi sono stati adottati come libri di testo in numerosi istituti e scuo-
le superiori.
Anche lesposizione scientica del pensiero di Fromm ha raggiunto
livelli di cui ben pochi altri studiosi viventi possono vantarsi. Cos, gi nel
1972 si contavano circa 30 lavori che si riferivano a Fromm e fra questi tutta
una serie era stata redatta da teologi cattolici. Erich Fromm infonde nelle
sue opere scientiche una qualit diventata sempre pi rara. Mentre quasi
tutti gli scienziati si concentrano su di ununica disciplina di cui possono
proclamarsi specialisti, Fromm tenta di ottenere una visione dinsieme che
comprenda i risultati conseguiti nei pi diversi rami dello scibile. Per questo
tiene conto, nelle sue indagini, dei sintomi di patologie analizzabili in sede
scientica, delle strutture sociali e delle decisioni di carattere politico.
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Mi sono interessato di politica - scrive - sin da quando avevo undici
o dodici anni: ne parlavo allora con un socialista che lavorava nella ditta di
mio padre, ma mi sono anche reso conto che, per temperamento, non ero
adatto alla politica attiva. Il bene integrale delluomo il motivo che lo
spinge a intervenire con gli scritti e con tutto il peso della sua personalit
per assicurare la pace a questo nostro pianeta nellera atomica. Sigmund
Freud scriveva nel 1893: Come mai (in medicina) gli uomini vedono sem-
pre e soltanto ci che hanno, a suo tempo, imparato a vedere? E come me-
raviglioso il fatto che si possano tutto a un tratto vedere come nuove (come
stati patologici nuovi) cose che probabilmente sono vecchie quanto luma-
nit. Goethe dice addirittura che luomo vede soltanto ci che conosce.
Per Fromm il problema fondamentale, quello di vedere luomo, di vedere
laltro uomo che accanto a noi, ma soprattutto di conoscere luomo che
in noi. La struttura del suo lavoro multidisciplinare risulta, ci sembra, preci-
samente dal tentativo di sistematizzare la vita utilizzando anche i presuppo-
sti del pensiero orientale, che conosceva perfettamente. Nella sua ricerca,
Fromm elabora i concetti con cui motivare e sorreggere lazione.
In ultima analisi, si tratta di far maturare nelluomo - non pi mezzo
ma ne - la facolt di scegliere, la capacit e la volont di essere protagonista
della propria vita, cio di liberarlo.
Occorre rendere conscio linconscio, disse Fromm ad Ascona nel 1977
alla prolusione del 5 Incontro Balint: cio sostituire ovunque sia possibile,
lirrazionale con la consapevolezza. Il punto chiave, per Fromm, che una
parte fondamentale della nostra personalit - precisamente il carattere - non
immutabile ma pu cambiare in due tempi, attraverso la cosiddetta opera-
zione liberante. In primo luogo, dobbiamo arricchire la nostra conoscenza
del mondo esterno se vogliamo impostare la nostra vita in modo consapevo-
le, maturo e dinamico. In secondo luogo, sforziamoci sempre di scoprire in
noi gli impulsi inconsci, le motivazioni profonde del nostro agire, che ten-
diamo a razionalizzare (cio a mascherare). In una parola, tentiamo sempre
di portare a livello di coscienza quanto possiamo del nostro subconscio. In
questo sforzo di penetrazione del mondo esterno e del nostro ego profondo
sta il tentativo di pervenire alla consapevolezza della realt. Per me e per
tutti coloro che lhanno visto anche solo pochi istanti, Fromm emanava
qualcosa di particolare. Forse era la sua radice culturale, quel suo saper di-
scutere, con il losofo di losoa, con il sociologo di sociologia, con il teolo-
go - soprattutto, direi - di teologia. Non dimentichiamo che il Professor Auer
della Facolt di Teologia a Tubingen al Simposio organizzato a Locamo per
i 75 anni di Fromm, aveva dichiarato: Fromm, non cattolico, il miglior co-
noscitore vivente del cattolicesimo. Certo era un uomo controverso, un mi-
noritario per vocazione (soprattutto dal prolo politico). Il mondo, tuttavia,
lo conosceva soprattutto come maestro della psicanalisi. Quando si ammal
nel settembre 1977, stava lavorando molto intensamente a un nuovo libro,
molto critico, sulla psicanalisi. Si deniva semplicemente studioso di carat-
terologia. Ma la sua spinta primaria era molto umana, semplice. Quando
si parlava con lui, si aveva limpressione che volesse soprattutto far luce sulla
malattia principale delluomo, che lo spinge a privarsi della libert. Quella
malattia che ha descritto, ma sempre con accento di speranza, nel suo libro
Fuga dalla libert.
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La libert, in questo contesto, basata sulla coscienza delle reali possi-
bilit e delle loro conseguenze, in contrasto con la credenza nelle possibilit
false o irreali, che sono un narcotico e distruggono il nostro potenziale di
libert. Bisogna diventare uomini liberi, liberi non solo dalle catene, ma di
fare dello sviluppo di tutte le potenzialit lautentico scopo della propria
vita: uomini che trovano il senso dellesistenza nello sforzo produttivo. Luo-
mo non ha un innato spirito di progresso, ma spinto dalla necessit di
risolvere la sua contraddizione esistenziale, che risorge ad ogni nuovo livello
di sviluppo. Questa contraddizione - o meglio le possibilit diverse e con-
traddittorie delluomo - costituisce la sua essenza.
I gusti delluomo vengono manipolati. Il carattere di homo consu-
mens, nelle sue forme pi estreme, un ben noto fenomeno psicopatologi-
co. Esso si riscontra in molti casi di persone depresse o ansiose che si rifugia-
no nel mangiar troppo, nel comprare in quantit eccessiva, o nellalcolismo
per compensare la depressione o lansiet nascoste. Lavidit consumistica
(forma estrema di ci che Freud chiamava il carattere orale-ricettivo!) sta
diventando la forza psichica dominante dellattuale societ industrializzata.
Lhomo consumens vive nellillusione della felicit, mentre inconsciamente
egli soffre della sua noia e della sua passivit. Pi potere egli ha sulle macchi-
ne, pi impotente diventa come essere umano; pi egli consuma, pi diven-
ta schiavo dei bisogni costantemente in aumento che il sistema industriale
crea e manipola. Egli scambia emozioni ed eccitazioni per gioia e felicit, e
la comodit materiale per vitalit, lavidit soddisfatta diventa il signicato
della vita, la lotta per raggiungerla una nuova religione. La libert di con-
sumare sta diventando lessenza della libert umana. Troppa libert sembra
per anche inibente, perch non si ha neanche pi il gusto di poter fare
cose proibite. Luomo non si libera se non si responsabilizza.
A Fromm, dente riformatore, le imperfezioni e deformazioni della
natura umana appaiono conseguenze deprecabili, ma non incurabili della
civilt. Non nelluomo, ma nella societ, in specie quella contemporanea,
la fonte del male e dellirrazionalit: di qui ha origine il conitto tra
loriginariamente sana natura delluomo e la societ malata (un modello
di societ sana era gi stato da Fromm delineato e discusso appunto in
The Sane Society, New York: 1955). La crisi dellimmagine della famiglia
come norma di realt ha aperto la porta allo studio critico della societ, che
ha trovato nel socratico Erich Fromm il suo esponente pi signicativo.
Amare, oltre uomo e libert, la grande parola, la terza grande parola
dellinsegnamento di Fromm. Egli ha teorizzato lamore in quel famosis-
simo libretto, tradotto praticamente in tutte le lingue (oltre 12 milioni di
copie) Larte di amare. Come dire che amore non qualcosa di gratuito,
ma soprattutto ricerca, conquista, conclusione di un processo nel quale ci
sentiamo coinvolti. Arrivare ad amare pienamente signica essere diventati
nalmente maturi, veri, attivi, completi e forse anche pi sani, o forse guari-
ti. Curare signica rimuovere gli ostacoli che impediscono agli impulsi verso
lamore di essere efcaci; ma non distinguendo - sottolinea Fromm - troppo
il malato dal sano, riabilitando soprattutto il nevrotico, o almeno quello che
noi chiamiamo il nevrotico, umanamente spesso meno inibito di quanti si
considerano normali e che noi chiamiamo sani. Il nevrotico non disposto
ad arrendersi nella battaglia per la difesa del proprio io, forse un io anche
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un po sbagliato. E il prodotto soprattutto di un mondo diventato sempre
pi insicuro. Eppure il nevrotico, forse pi dei normali continua a battersi,
pi degli altri riuta la fuga dalla libert. La psicoanalisi, si rallegra Fromm,
sta nalmente per ammalarsi ed un bene. Il suo futuro che torni a
diventare una teoria critica e criticata che aiuti non solo luomo cosiddetto
malato, ma anche luomo sano in una societ malata; che additi come quelli
delluomo i conitti del sistema, la patologia della Societ. Tornando cri-
tica la psicanalisi rischia di diventare di nuovo impopolare e quindi minori-
taria e combattuta. Proprio questo potrebbe essere il segno che ci troviamo
sulla strada giusta.
Il penultimo libro di Fromm tratta dellaggressivit. Luomo desidera
lasciare una traccia, produrre un effetto. Perno il bambino, senza nessuna
effettiva presa di coscienza, fa di tutto per farsi notare, grida, sporca, inventa
inesplicabili bizze pur di lasciare appunto una traccia di s soprattutto in
coloro che gli sono vicini e che gli vogliono bene.
*Intervento al Saluto inaugurale del Simposio Internazionale Nuovi orientamenti della
psichiatria e della psicoanalisi organizzato dalla International Foundation E. Fromm
(Presidente: B. Luban Plozza) al Centro Congressi, Montecatini Terme, 7-9 Ottobre, 1988.
N.B. - Riproponiamo questo articolo che mi diede B. Luban-Plozza, gi allievo di M. Balint
e di E. Fromm, nellanno 1989. Collaboratore Scientico della nostra Rivista stato mae-
stro ed amico del Dott. Fausto Agresta. E scomparso nel 2003, ad Ascona.
Psichiatra, Professore ad Honorem Universit di Heidelberge di altre Universit. Reparto
di Psicosomatica - Clinica S. Croce Orsolina (Locarno). Collaboratore Scientico della Ri-
vista N. Prospettive in Psicologia.
Indirizzo dellAutore: Prof. Boris Luban Plozza M. D.
P.zza Pedrazzini
CH - 6600 LOCARNO (Svizzera)
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TOSSICODIPENDENZA*
(da: Il linguaggio del corpo in psicoterapia)
Fausto Agresta
1. Introduzione. Il problema della tossicodipendenza ha come obiet-
tivo quello di enucleare vari aspetti di una visione sistemica, psicodinamica
e complessa: gli stati di tossicodipendenza vengono inquadrati negli aspetti
intrapsichici, simbolici e relazionali. Si presuppone che ogni fenomeno sia
un evento che acquista signicato allinterno di un sistema di riferimento
globale, che a sua volta va a costituire il senso dellevento stesso: questa
la visione olistica (Lorenz K., 1991; Prigogine I., 1981). Daltra parte, se le
tossicomanie pongono il problema dei rapporti fra psiche, soma e dipendenza
(Gilliron E., 1991) devono inoltre essere considerati, nelle loro inuenze
reciproche, il piano delle interazioni sociali, di quelle intrapsichiche (Berge-
ret J., 1983; Meltzer D., 1983) e interpersonali - familiari (Cancrini L., 1991;
Cirillo S., 1999), nonch quelle simboliche e dei miti che informano una
data cultura (Filippini R., 1990, 1991, 1992). Come nelle gravi patologie,
il paziente tossicomane deve essere inquadrato nel suo contesto familiare,
dove egli vive un nucleo simbiotico che ci riporta alla situazione fetale
e dove lorganizzazione dei bisogni primari molto semplice e si esplica
solo allesterno e la situazione tossicomanica si presenta come un blocco
di crescita o - come scrive R. Morelli - come una nascita mai avvenuta
(1985). Esamineremo, schematicamente e separatamente (solo per una
questione didattica), laspetto intrapsichico e laspetto familiare e gruppale.
La tossicodipendenza grave inserita nellarea delle perversioni, come per lanoressia e
la bulimia. Il paziente tossicomane, come un lattante dipendente totalmente
dalla madre, ha paura di stare da solo con s stesso, se non in una maniera
trasgressiva. Molti Autori sono dellavviso che la tossicomania sia legata al-
leccitazione psichica, al piacere delleccitazione e questo status psichico
rintracciabile allinizio dellattivit di fantasmatizzazione del lattante e del
bambino poi - capacit questa strettamente legata alla dipendenza (amo-
re - odio) dalla madre e poi dagli altri membri della famiglia, che interagi-
scono secondo le dinamiche consce e inconsce come avviene in un gruppo,
in stretto rapporto con la organizzazione psichica dei personaggi (legame e
ruolo dei genitori e dei nonni sia a livello reale che fantasmatico e simbo-
lico). Dagli studi pi recenti e dai risultati delle nostre esperienze cliniche
con centinaia di soggetti nel corso di 25 anni di attivit varia e molteplice
(psicoterapie con una gamma di pazienti che vanno dai bambini agli adulti,
dalle coppie alle famiglie, no ai gruppi), possiamo con sicurezza affermare
che lorganizzazione psichica della personalit si costruisce nei primi anni di
vita; limprinting, con i primi movimenti e le prime costruzioni della mente,
li ritroviamo nelle patologie gravi, in quelle che si estendono dallarea bor-
derline a quella narcisistica, dalle pre
psicosi, alle varie forme di perver-
sioni, no alle psicopatie e alle psicosi schizofreniche. Al di l di presunte e
poco dimostrate ipotesi genetiche - laspetto comunicazionale e simbolico,
quello relazione e il mondo intrapsichico dei genitori e dei nonni, senza
trascurare i condizionamenti contestuali, religiosi, culturali - tutto concorre
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a costruire una personalit che, nel tempo, ripropone alcuni schemi nei
rapporti, prima con la famiglia e, poi, con gli altri personaggi, pi o meno
importanti (insegnanti, professori, amici, sacerdoti, autorit varie). Nel
caso del tossicodipendente possiamo sostenere che il legame con la gura
materna di tipo piacere relazionale e dipendenza ed caratterizzata da
una forma stilizzata di anticipare le risposte alle richieste del bambino.
Scrivevo nel 1997: In questo caso la madre interviene anticipando sempre
il bisogno di fame del bambino (bisogno legato al piacere delleccitazio-
ne) (Agresta F., 1997). E. Gilliron, nei suoi studi sui legami precoci, del
parere che il fatto di dare il seno al bambino diminuisce leccitazione e se
ci permette di condividere un piacere, il processo di mentalizzazione, in
questo caso, non esiste pi. Il fatto di ritrovarsi in un rapporto condiviso e
agito (contemporaneamente) ha leffetto di diminuire questa situazione,
cio leccitazione che provoca la mentalizzazione. Lideale, nei rapporti ma-
dre bambino, dovrebbe specicarsi secondo questo schema (Fig. 1), dove
lintervento della madre dovrebbe avvenire dopo un certo tempo (Gilliron
E., cit. in Agresta F., 1997, pag. 265). Quando la madre arriva sempre in anticipo
non favorisce lesperienza dellattesa del bambino, nella misura in cui lei che rispon-
de al bisogno nascente del suo bambino, il quale ha bisogno di uno spazio e di un
tempo necessari ad esprimere le proprie necessit con giusta intensit e nel rispetto del
proprio tempo. Vediamo i tre schemi:
IL BAMBINO CHIAMA. LA MADRE ARRIVA:
Fig. 1 - Agresta F. (1997): Malattie Psicosomatiche e Psicoterapia Analitica; II ediz. 2004.
Se per costruire il fantasma c bisogno di: a. una immagine della
madre e b. dellarrivo della madre reale, di conseguenza avremo delle dif-
colt nei due casi estremi, cio quello del ritardo e quello dellanticipazione.
Abbiamo accennato al problema della anticipazione. Se la madre arriva sem-
pre in ritardo il bisogno si trasforma in dolore: infatti, essendo il bambino
esausto, snito nellattesa, ormai non piange pi. Il piacere, che la base
pulsionale eccitante dellattesa della venuta della madre, tende ad abbassa-
re la sua soglia normale di attesa (il piacere del desiderio attesa) da un
punto pi alto a uno pi basso in picchiata e pian piano, ci che era pia-
cere si trasforma in dolore (attesa dolorosa perch la madre non arriva!).
In questo modo il bimbo imparer a non erotizzare la relazione o il piacere
di mangiare (Gilliron E., 1991, pag. 22). Questo cortocircuito non permet-
te lesperienza dello sviluppo dellimmaginario in maniera semplice ed equi-
librata, come quando il bambino costruisce il fantasma dellarrivo della
madre nellesperienza del piacere dellattesa. Oppure, quando il bisogno
viene negato (il cibo e le cure di manipolazione, di pulizia, di carezze che
arrivano sempre in ritardo, o la soddisfazione dei bisogni sempre rinviati), la
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stessa attesa si trasformer in dolore e il bambino non vivr, in quel momen-
to, una esperienza piacevole, vivr una disconferma alle sue aspettative e
tender a negare sempre pi lo sviluppo dellimmaginario. A questo riguar-
do, in entrambi i casi, c una tendenza alla alessitimia: sia nel paziente tossi-
comane, sia come abbiamo visto nel paziente psicosomatico. Per esem-
pio, abbiamo riscontrato che diverse madri molto egocentriche non riesco-
no a decodicare e a comprendere i reali bisogni dei loro bambini: il loro
comportamento superciale o di tipo abbandonico. Dal lato opposto, pos-
sono essere molto iperprotettive o molto rigide o confuse: da queste situa-
zioni si svilupperanno altre patologie nelle relazioni precoci madre-bambi-
no, gi inserite, peraltro, nel triangolo pre edipico: madre bambino pa-
dre. Nelle madri egocentriche abbiamo notato che esse sono attente soltanto
alla loro persona e, di solito, il loro punto di vista sempre unilaterale. Altre
madri, pur se sono dedite ai bisogni dei bambini, si esprimono con rigidit,
con un pensiero ossessivo, con mancanza di espressione di emozioni; queste
sono legate stereotipicamente al solo rispetto delle regole e dei doveri e
sono incapaci di manifestare le proprie emozioni e affetti. Possiamo immagi-
nare che la madre la droga e leroina del bambino, senzaltro insostitui-
bile a quellet. Forse, non solo per questo, questa madre e quel padre
continuano a drogare il loro glio, ovvero insistono nel non dare nessun
vero attaccamento, di cui parla Bowlby, nel corso degli anni. Nella dinami-
ca del bisogno e piacere nella tossicodipendenza avviene il contrario del-
lanoressia: c la separazione tra piacere e bisogno e il tossicodipendente fa
come se il bisogno non esistesse; la conittualit basata solo sul piacere. Il
piacere ricercato e la conittualit tra il tossicodipendente e gli altri si basa
sulleccitazione, sul piacere. La madre del tossico si occupata del bambino
solo eccitandolo, mentre il rapporto di protezione, di bisogno, non ha fun-
zionato. C un rapporto di tipo erotico, ma non c protezione, c solo un
rapporto di tipo perverso nella relazione madre bambino. Il tossicomane
gioca con la droga, manipola una sostanza che eccita. Se il bulimico, come
vedremo, gioca e manipola il cibo, cio qualcosa legato al bisogno, laltro
manipola qualcosa legato al piacere, come letilista. Dunque il tossicomane
sempre al limite, gioca con tutto. Ma non un gioco normale, un gioco
auto distruttivo, nel senso che lui deve essere sempre vicino alla morte. La
droga mette in crisi il rapporto con gli altri, nega limportanza degli altri e
mette in evidenza il problema sociale e la rende ridicola. E una ideologia
basata sul piacere in s, non basata sullidea del rapporto con gli altri. In-
fatti un piacere di tipo narcisista, la negazione del rapporto degli altri:
ma questo tipo di atteggiamento conduce alla morte e lui accetta: un po
come lanoressica grave. Il tossicodipendente usa la droga contro la famiglia.
La famiglia immaginaria non esiste, negata, quindi anche quella reale. Egli
non riuscito ad aver questo legame. Paradossalmente egli dipendente,
spesso negandolo alla propria famiglia. Per questo aspetto, J. Bergeret
(1983) precisa che il comportamento di dipendenza si esplicita nellincapa-
cit di integrare certi aspetti ambivalenti e troppo angoscianti dellimmagi-
nario personale e degli elementi pulsionali che vi sono legati, particolar-
mente nel campo della violenza primitiva. Al contrario la violenza, cos
come allinizio della vita, deve in seguito globalmente integrarsi in un ca-
nale di elaborazione libidica che struttura la vita affettiva nella relazione
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diadica madre bambino. A questo punto il legame di interdipendenza
sano e reciproco pian piano fallisce, mentre contemporaneamente si assiste
ad un rinforzo di tutto ci che riguarda leccitazione e il piacere soggettivo
individuale; si tratta di una situazione ben diversa da quella di un piacere
condiviso, come quello che si sperimenta nella buona relazione madre bambi-
no, il facilitating environment di Winnicott D. (1951). Egli ha delineato, nei
suoi studi, anche i concetti di holding e handling, che esprimono il tenere in
braccio, il sostegno in chiave psicologica e il tenere in braccio a livello -
sico, corporeo, come esperienza del toccare. Secondo le ultime ricerche di
V. Ruggieri, la mancanza di queste esperienze nel primissimo periodo di vita
portano anche a delle modicazioni nellesecuzione dei comportamenti
istintivi come quello oro alimentare e sessuale: in particolare, nel primo
caso si hanno patologie da carenze di stop che dipendono proprio da una
mancanza di buone informazioni dalla periferia corporea (la cute) e quindi
dal contatto interpersonale madre bambino. Se scomponiamo gli elemen-
ti di questa relazione troviamo che, oltre allo sguardo, hanno un ruolo im-
portante informazioni tattili, di calore, di carezza, lesperienza integrata e
gestaltica dellabbraccio, il dondolamento del cullare e, soprattutto, per il
bambino, il potersi appoggiare. La madre rappresenta il sostegno solido e
caldo che consente al bambino di ridurre o di abolire del tutto, in risposta a
tali segnali tattili e tonico muscolari integrati, la tensione muscolare []
Noi riteniamo che le componenti relazionali del comportamento afliativo
siano un importante segnale di stop [] Per cui anche le informazioni della
vita di relazione (cute e muscoli) acquistano signicato di stop. E tra i segna-
li della vita di relazione non dimentichiamo lo sguardo, la voce, le parole
con i loro contenuti semantici, ed il sorriso (Ruggieri V., 2000). Il fallimen-
to di questi aspetti di evoluzione positiva e di integrazione a pi strati da
ascriversi a livelli di soggettivit preposta alla personalit della madre prima,
e a quella del padre, dopo. E la madre che non riuscita a risolvere il pro-
blema della propria separazione dal bambino, cos come non riuscita ad
elaborare lesperienza di amore e odio che tale problema risveglia in lei. E
la madre che non riuscita a separarsi dalla propria madre, dai livelli di
vissuti emozionali a livello profondo e inconscio e dai legami intergenerazio-
nali. Abbiamo avuto diversi casi che hanno confermato questo tipo di lega-
me, specialmente negli adolescenti con struttura borderline. Essi non hanno
sperimentato limportante fase della separazione individuazione secondo i
canoni ormai accreditati. In situazioni gravi abbiamo a che fare con soggetti
con una struttura di tipo perverso, spesso pre edipica, legata a fantasie ora-
li e sadico anali. Quando entra la droga entra unaltra madre, ben pi
pericolosa e molto pi distruttiva. La droga, come messaggio sintomatico,
spesso ha per scopo (espresso in maniera non immaginabile, dunque nem-
meno inconscio, ma puramente comportamentale), di rompere le relazioni
con laltro, intrattenendo uno stato di eccitazione simile allunico tipo di le-
game che unisce il tossicomane alla madre. Come psicoterapeuta, mi preme
sottolineare che gli operatori spesso si lasciano coinvolgere dalla situazione
sintomatica della tossicodipendenza nella sua drammaticit e nella sua vio-
lenza: cio essa viene considerata e interpretata solo dal punto di vista del
comportamento manifesto, mentre le basi latenti delle manifestazioni este-
riori della dipendenza sono messe in secondo ordine. Da un punto di vista
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sociale il tossicodipendente uno strumento nelle mani della societ; egli
preso nel tranello, come lo stato nella sua famiglia. Si crede onnipotente
perch lui capace di affrontare la morte; sembra proprio cos facile essere
contro la societ: come se fosse vincente. Anzi, lo , perch accetta di mo-
rire, pi forte degli altri. Egli rappresenta lonnipotenza della autodistru-
zione.
2. Alessitimia e tossicodipendenza. Questa problematica investe, in
linea generale, di pi larea nevrotica e psicosomatica che quella della per-
versione. In questi casi, le espressioni verbali e i pochi sogni, spesso dram-
matici riportati dai soggetti (nella terapia individuale, in quella familiare e
di gruppo) ripropongono in maniera gruppale le dinamiche pre - edipiche
non risolte (dipendenze gravi, gelosie profonde, violenze sessuali, seduzioni
patologiche, sentimenti di odio e amore mai elaborati, patologia della co-
municazione). Naturalmente, il ruolo del padre viene segnalato come secon-
dario. Sappiamo che quando linteriorizzazione del modello paterno, gi
nelle fasi pre-edipiche, subisce un rallentamento o una difcolt che come
specchio si riverbera anche sulla madre, il processo di identicazione inte-
riorizzazione fallisce proprio nelle fasi successive. Di conseguenza, la Legge
del Padre nei pazienti tossicodipendenti rimane lettera morta, non incide
nella dinamica patologica madre glio: la parola del padre, come nelle
famiglie ad andamento schizofrenico, passa per la tangente, non entra nel
campo dinamico madre gli. Ricordiamo che la squalica del genitore, in
questo caso il padre, pu avvenire anche da piccoli e per gioco.
3. Casi clinici. Segnaliamo il caso di un paziente tossicodipendente,
Nando, il quale ricordava che quando era piccolo diceva al padre stupido,
stupido per gioco e tutti si divertivano quando si rivolgeva cos al padre.
Questo perch il bambino era diventato un po balbuziente dopo la nascita
della sorellina; cos gli permettevano di dire tutto senza contraddirlo. Nel
corso degli anni non aveva pi cambiato questo atteggiamento: la madre pri-
ma scherzava, poi diceva al marito di non farci caso e di lasciar parlare senza
contraddire il glio perch era stato un po balbuziente e quindi rinforzava
sul piano reale lalleanza e il legame col glio a discapito della triangola-
zione edipica. La madre non ha mai rimproverato il glio per queste frasi,
mentre il padre lo faceva senza che le sue interdizioni castrassero il legame
diadico madre glio. La dinamica interpersonale riferita alla descrizione
della balbuzie del glio certo indicativa di un atteggiamento di fondo della
madre, ripetuto in mille altri eventi quotidiani, e connesso a dinamiche in-
trapsichiche della donna: ultima di diversi gli, era stata indotta a dominare
la propria madre e ad instaurare legami affettivi intensamente competitivi
e sottilmente aggressivi svalutanti e impercettibilmente ricattatori. Inol-
tre ella era rimasta orfana di padre n dallinfanzia. Dal canto suo il pap,
uomo educato in maniera troppo rigida e troppo rispettoso dei genitori (in
particolare della propria madre) non ha mai potuto ribellarsi a loro e dire
questo non va bene, anche se lo pensava. E signicativo ricordare che egli
continuava a rivolgersi ai propri genitori col voi.
Tornando al paziente, egli raccontava che da adulto era ormai convin-
to che suo padre fosse uno stupido, anche perch si era sentito sempre pi
forte di lui per il fatto che era spalleggiato dalla madre. Questo un esem-
pio di come la interiorizzazione della legge del padre nei casi di tossicodipenden-
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za rimane superciale ed esteriore, quasi impersonale, e squalica la relazio-
ne stessa padre glio. Ricordiamo che il tossicomane chiede i soldi per la
droga alla madre, succhia i liquidi alleroina madre come faceva da piccolo
senza che qualcuno abbia mai potuto dire: basta. Daltra parte la parola
del padre, quando dice basta, non riesce a scindere lalleanza ormai strut-
turata sul piano psichico e sul piano interpersonale. Nella visione olistica
della tossicodipendenza il corpo assume un valore non solo sintomatico,
come la parte brutta o cattiva che viene scissa dalla mente o dalla sostanza.
Il corpo diventa loggetto della relazione tossicomanica e la tossicomania una chiara
manifestazione psicosomatica, in quanto coinvolge lunit psiche soma del
soggetto e quella del corpo - gruppo e famiglia (Agresta F., 1991; 1997).
Laspetto peculiare del nostro approccio consiste nella considerazione delle rela-
zioni fra i diversi piani citati, a un tempo costituite dal, e costituenti il, fenomeno in
oggetto. A ci siamo stati indirizzati dallesperienza clinica e dalla grande im-
portanza data ai primi colloqui di consultazione e di terapie brevi (Gilliron
E., 1998; Agresta F., 2000), senza tralasciare la diagnosi di organizzazione di
personalit che nel tossicodipendente acquista un signicato indispensabile
e progettuale prima di qualsiasi tipo dintervento. In particolare, una consi-
derazione complessa che tenga conto degli aspetti simbolici e mitici forniti
dal collettivo, si rivela indispensabile in quanto nella maggior parte della
personalit dei tossicodipendenti manca la capacit di elaborazione simbo-
lica intrapsichica e interpersonale (modalit di relazione tossicomanica e
alessitimica; Sifneos P., 1991). In questa area di studio e di ricerca abbiamo
riscontrato lincapacit di comunicare e di esprimere le proprie emozioni
e reazioni attraverso le parole, la negazione del mondo interiore e della
sofferenza psichica, la difcolt della elaborazione onirica e la tendenza alla
razionalizzazione degli stati comportamentali. Insomma: il gesto e la sua
ratio al posto della sensazione del proprio esistere. Tossico ci che indi-
cato come tale in ogni tempo dal mito corrente, dalle allusioni condivise e
non discusse di un dato gruppo culturale o sociale (Filippini R., 1991): pu
essere una sostanza stupefacente, una ideologia totalizzante, una relazione
interpersonale (Meltzer D., 1983): un persecutore che si presenti come
protettore da angoscia e da sgomento interiori, che monopolizzi ogni oncia
di attivit psichica e di realt esterna, e in cambio dia certezze, possibilit
di non pensare e rush momentanei di sensazioni di esistenza. In realt non
ben chiaro se lalessitimia nei disturbi di tossicodipendenza sia primitiva
o secondaria allabuso di sostanze psicoattive (Bellio G., Fiorin A., 1994).
Quello che ci preme sottolineare che lalessitimia , in ogni caso, un feno-
meno che si accompagna agli stati tossicomanici, instaurandosi con essi un
circuito ricorsivo come quelli descritti nei fenomeni complessi (A > processo
che porta ad A). Ogni tipo di intervento deve essere prima di tutto familiare
e / o gruppale, senza escludere il rapporto individuale. Alla luce di questa
impostazione teorico clinica gli A.A. riportano un caso clinico (tra i diversi
che abbiamo incontrato) trattato su tre livelli: 1. Approccio individuale; 2. ap-
proccio dinamico familiare (o situazione inversa) 3. psicoterapia analitica di gruppo.
In particolare si vuole dimostrare come il processo di mentalizzazione che si
avvia durante la psicoterapia sblocca lincapacit di esprimere le emozioni
o ricordare i sogni, tipico status dei tossicodipendenti nella fase pi difcile
o quando sono allinizio della terapia, quando lagire segnala la tipica espres-
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sione del comportamento tossicomanico a discapito della riessione o della
presa di coscienza: questo come indice della mancanza di una minima trac-
cia di mentalizzazione.
Caso Mario. Mario un giovane di venticinque anni venuto alla consul-
tazione perch inviato da un medico di famiglia. I primi incontri con la fa-
miglia hanno evidenziato una dinamica familiare classica, dove esiste unal-
leanza tra madre e glio e un riuto di colloquio tra glio e padre. Laltra
glia, pi grande di quattro anni, invischiata in maniera apertamente
seduttiva con la gura paterna. Si tratta di una famiglia cosiddetta scismati-
ca. Il trattamento familiare si protratto per circa un anno e il giovane ha
continuato per un altro anno con la terapia individuale. Poi, daccordo, ha
iniziato il percorso di ri - nascita in un gruppo di terapia. Con i primi sogni
nel gruppo, che allinizio non ricordava, Mario cominciava a vivere le sue
angosce prima represse e annebbiate dalleroina. Durante il trattamento
era lontano dalla droga ormai da due anni. Un sogno di inizio di terapia di
gruppo e di mentalizzazione questo: Mario racconta nel gruppo un sogno
di un grave incidente che gli era capitato due anni prima. Egli si era fatto
una dose, aveva preso la moto e subito dopo aveva subto un incidente stra-
dale. C stato un ricovero perch nellimpatto, oltre alla rottura di un brac-
cio, aveva perso sangue dal naso. Egli racconta questo sogno: Ho sognato che
avevo fatto lincidente, proprio come era accaduto, ho sentito un forte dolore alla testa
e ho perso sangue dal naso mentre sognavo. Il paziente si svegliato che perde-
va ancora sangue. Dopo questo episodio, un po alla volta, ha cominciato a
ricordare i sogni senza somatizzare il dolore, lansia e laggressivit, che pian
piano hanno perso il valore di intensit perch il processo di mentalizzazio-
ne in un soggetto alessitimico aveva preso corpo nella terapia di gruppo. Pi
aumentato il processo di mentalizzazione, meno M. agiva istintivamente e
tanto pi esprimeva le sue emozioni pi profonde. Altri sogni di ex-tossico-
dipendenti riguardano le immagini violente e pre-edipiche di una seduzione
materna con scene molto esplicite. Quando c la fase del distacco della
ri-nascita i sogni dei giovani e delle giovani esprimono la nostalgia del distac-
co. Carlo sognava che vedeva sua madre passargli davanti nuda ma col seno
afosciato. Andrea, uscito dal tunnel delleroina, sogna prima di avere rap-
prti sessuali con la propria madre e, pian piano, racconta sogni di distacco
e di crescita. Chiaramente, nella storia dei tossicodipendenti, ci sono, come
abbiamo detto, storie di fantasie di ricoprimento e di dipendenza reali
e immaginarie. Comunque una mancanza della presenza della funzione
genitoriale con una conseguente seduzione della gura materna e sogni in-
cestuosi. Da non dimenticare, putroppo il ruolo dei nonni che assume una
valenza negativa quando invadono la sfera privata dei genitori e, in parte,
responsabili del mancato svincolo come insegnano i terapeuti familiari.
Alcuni sogni di Romeo: 1. Sto in atteggiamenti intimi in un letto con
Stella e Virginia e ci sono i miei genitori che stanno intorno al letto come ad
osservare e commentare; 2. Sto a Roma, appare Giuliana, faccio petting; poi
faccio sesso con mia madre, lei ha il pancione (grasso-incinta) ed i seni rag-
grinziti, come svuotati; 3. Sto in intimit con Giovanna di J.., al momento
della penetrazione lei mostra una vagina dentata. Il desiderio bloccato
dalla paura: appare il Dott. Agresta che tenta di spiegare, dare lezioni;
4. C mia madre, io sono arrabbiato perch ho problemi a causa sua. La
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mando a ffanculo. Lei ringiovanisce; 5. Sto riparando un orologio, c
mio padre che mi mette fretta; lorologio fa fumo mi arrabbio e dico:
non mettermi fretta!; 6. Sono morto, c una ragazza; vuol fare un glio
(con me), se ne parla, sono resto (cos ho scritto sul diario quando mi
sono svegliato); 7. Sto vedendo la Tv con pap; appare sullo schermo una
ragazza con il seno lungo e grosso, poi due ragazze nude con un clitoride
molto grande, secernono un liquido (sul diario eiaculano) giallo e se lo
spalmano addosso. Provo schifo e cambio canale; 8. Sto a letto, c anche
mia madre; parliamo mentre guardiamo la Tv, mi sento a disagio e provo
ansia. Penso che tardi e che ho passato troppo tempo a letto. Penso a pap
che lavora; 9. Mamma vuole divorziare da pap. Questultimo, per reazione,
se ne vuole andare in casa in campagna, a Ripattoni. Io intervengo e dico a
pap che non pu, deve rimanere e parlare, lui si irrita e poi accendiamo il
camino (Interpretazione: accendere il camino, mantenere viva la famiglia, il
dialogo padre-glio, riferito al simbolo-funzione paterna); 10: Cammino per
il mio quartiere con R. (amico buono), ci troviamo dinanzi alla tabaccheria
dove ci sono ledicolante (donna) ed una bella ragazza che offrono da man-
giare. Prendiamo qualcosa, buono; 11: Vado a fare un giro per il mio paese
con una Jeep, la macchina si ferma e non riparte. Arriva zio B. (che abita di
fronte casa mia ed un po il centro di incontro del quartiere), T. (glio di
zia Maria), Giose, mio fratello ed una ragazza grassa. La jeep riparte, andia-
mo al quartiere vicino dove andavamo a giocare da piccoli. C un torneo di
tennis, lo vediamo. Io cerco delle ragazze ma non ne trovo; 12. Mi trovo in
un luogo simile al mio paese. Salgo delle scale al secondo piano, incontro
Giulio (cugino alla lontana che ha avuto problemi con leroina, andato in
comunit ma pare non abbia ancora risolto questi problemi) che si lamenta
e si pente del suo passato tossico. Io, scendendo le scale gli dico: vabb, ab-
biamo fatto la stronzata ma vediamo di andare avanti, abbiamo capito, ades-
so basta; 13. Mi trovo ad una festa a casa di mia nonna (e di mia zia Maria).
Ci sono amici di Roma; c Eliana, parliamo, le faccio cenno di uscire a fare
un giro con me. Le tocco il sedere, lei si sente acca, la prendo in braccio.
In una viuzza ci sono dei ragazzetti e delle ragazzette vestite punk, molto
colorito, sono tutti ubriachi e drogati. Me ne vado con Eliana in braccio,
cercando di farla riprendere.
Conclusioni. Si ribadisce limportanza della domanda daiuto del tossi-
comane che dovrebbe essere esaminata nella sua complessit di domanda
nascosta dal sintomo che la motiva e che dovrebbe implicare una ricostru-
zione della storia naturale della scelta tossicomanica. Tutto ci per solle-
citare le varie risposte terapeutiche possibili da incanalare, poi, sul piano
olistico della concezione mente corpo (transfert controtransfert) con
una interpretazione complessa e intersistemica rispetto a percorsi setto-
riali e riduzionisti, che contribuiscono solo a rinforzare difensivamente una
concezione dualista della struttura di personalit (scissione mente corpo
e terapie sintomatiche). Daltra parte, non esiste un unico prolo familiare
che sia patognomico della tossicomania: alcuni Autori hanno delineato e
individuato caratteristiche familiari comuni che possono essere individuate
e trattate soltanto con approcci di tipo olistico, che pongono in essere sia il
trattamento individuale e di coppia, che quello familiare e di gruppo.
PS. Un buon lavoro di prevenzione stato proposto sia nelle Scuole
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primarie, sia in quelle dove il fenomeno pi reale, come nelle Scuole me-
die e Superiori un lavoro concreto di crescita gruppo per docenti e famiglie,
non solo a livello di informazione ma, soprattutto, a livello di FORMAZIO-
NE con diverse tecniche psicologiche consolidate. Dal Training Autogeno
con Visualizzazione Guidate per i ragazzi, al Social dreaming per Docenti e i
genitori e ai Gruppi Balint per docenti. Colloqui preliminari di sostegno per
docenti, insegnanti e genitori per avviare eventuali psicoterapeie speciche.
BIBLIOGRAFIA
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Atti del XVII Congresso (a cura di M. Reda e D. Benevento), Universit di Siena, Facol-
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co Editore, Roma;
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Realt e Prospettive in Psicosiologia, A.S.P.I.C., Roma, n. 5/6/7, maggio;
20. Stanton M.D., (1982), The family of drugs abuse and treatment, Guilford, New York.
*dal libro: IL LINGUAGGIO DEL CORPO IN PSICOTERAPIA, Glossario di Psicosomatica,
Prefazione di Piero Parietti, Edizioni ALPES, Roma, 2010, pagg. 252, Euro 19,00.
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Fausto Agresta Psicologo e Psicoterapeuta analista, individuale e di gruppo. Libero
professionista dal 1976, per dieci anni ha insegnato prima nella Universit di LAquila e
poi di Chieti (Facolt di Psicologia G. dAnnunzio). Si specializzato in Psicoterapia
ad indirizzo psicosomatico e psicoanalitico presso la Scuola Quadriennale di Medicina
Psicosomatica e Psicoanalitica della SIMP Abruzzese (Dott.: R. Di Donato). Ha completato
la sua formazione psicoanalitica individuale e di gruppo in Italia, in Svizzera e in Francia,
ed ha avuto come formatori gli Psicoanalisti: S. Erba, L. Cofano, P.L. Sommaruga (SPI),
L. Tremelloni, E. Gilliron (IPA), P. Sifneos, K. Rohr. E, in pi, i noti rappresentanti della
Medicina Psicosomatica: P. Parietti B. Luban-Pozza, M. Sapir (SPF). E Didatta e Docente
IPAAE e conduttore G. Balint. Ha insegnato presso la Scuola Romana Analitica Balint (L.
Ancona) e presso lIREP (Dir. E. Gilliron). Attualmente docente di Psicosomatica pres-
so la SIPSI di Roma (Dir. D. Nesci). E membro e co-fondatore del Gruppo di Ricerca in
Psicosomatica (GRP) e Membership of International College of Psychosomatic Medecine
(ICPM). E socio e membro del Consiglio Direttivo della SIMP (Societ Italiana di Medici-
na Psicosomatica), Responsabile Nazionale Area Psicologi SIMP e Coordinatore Pescarese
della SIMP, gi socio, formato alla SGAI (Societ Gruppoanalitica Italiana). E autore di 16
libri ed ha prodotto, su diverse riviste scientiche nazionali, oltre 160 pubblicazioni e ricer-
che nel campo della psicologia dellet evolutiva, della psicosomatica e della psicoterapia
analitica individuale e gruppale. Malattie psicosomatiche e psicoterapia analitica, (Pref. E.
Gilliron), N. Prospettive in Psicologia, 2004; Problemi di Psicosomatica clinica, Quaderni del
CSPP, 2007; Quotidianit del medico e dello psicologo secondo la metodologia dei G. Balint (Pref.
K. Rohr), Quaderni del CSPP, 2007. Per le Edizioni Alpes, Roma: I sogni dei pazienti bor-
derline (con D. Agresta, P. Petrini). Ultimo libro: Il linguaggio del corpo. Glossario di Psicoso-
matica da cui stato tratto questo articolo. Nel 2005 ha fondato (con Colleghi) e dirige il
Centro di Psicologia, Psicosomatica Clinica e Psicoterapia Analitica e di Gruppo (CSPP). Esercita
privatamente a Pescara.
Indirizzo dellAutore: Dott. Fausto Agresta - Via Bologna, 35 - 65121 - Pescara
E-mail: fagresta@hotmail.com
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IL DIALOGO DEGLI INCONSCI:
LASCOLTO MEDIATO DA RAPPRESENTAZIONI
MENTALI EMERGENTI
Marco Alessandrini
1. Da un inconscio allaltro
In uno scritto del 1915, Linconscio, Freud accenna un tema che nella
sua opera si affaccia in altre ricorrenze, sebbene apparentemente occasiona-
li. Scrive: assai interessante che lInc di una persona possa reagire allInc
di unaltra eludendo il C (Freud S., 1915, pag. 78). A questo riguardo, gi
nel 1913 aveva precisato: Ma io ho alcuni buoni motivi per sostenere che
ogni uomo possiede nel suo inconscio uno strumento con il quale in gra-
do di interpretare il modo in cui si esprime linconscio degli altri (Freud S.,
1913, pag. 238).
Da queste pur brevi notazioni in realt possibile trarre un procedi-
mento tecnico, o meglio una disposizione mentale, tale da ampliare ci che
in psicoanalisi o in psicoterapia analitica viene denominato ascolto o revrie
del terapeuta.
Sempre Freud, su questo tema, prescrive al terapeuta unattenzione
uttuante, specicando: La regola per il medico pu essere espressa nel
modo seguente: Si tenga lontano dalla propria attenzione qualsiasi inusso
della coscienza e ci si abbandoni completamente alla propria memoria in-
conscia, oppure, in termini puramente tecnici: Si stia ad ascoltare e non ci
si preoccupi di tenere a mente alcunch (Freud S., 1912, pag. 533).
La memoria inconscia, allora, intesa freudianamente come stru-
mento in grado di interpretare le modalit di espressione dellinconscio
degli altri, diventa il concetto e lapproccio cruciali grazie a cui lascolto da
parte del terapeuta pu essere in grado di attingere a quel livello mentale
che Ferenczi, a sua volta, denisce dialogo degli inconsci (Ferenczi S.,
1915, pag. 151). Se per sia Freud che Ferenczi precisano che tale capacit
inconscia elude il C (ossia la coscienza), il terapeuta dovr invece essere in
grado, proprio tramite la sua coscienza e quindi intenzionalmente, di dispor-
visi e di attivarla. Dovr disporre di tale capacit coscientemente, in modo da
eleggerla a strumento di dialogo con ci che di profondo, inconscio e radi-
cale abita, in un determinato istante, il dire e lesistere del paziente. Occorre
in pratica che la coscienza del terapeuta si disponga a uttuare in sintonia
con il proprio inconscio, producendo rappresentazioni che condividano, at-
tenuando labituale reciproca delimitazione, la logica del processo primario
(inconscia) e quella del processo secondario (cosciente).
Le conseguenti rappresentazioni avranno dunque una struttura parti-
colare, in quanto loro natura possedere le peculiarit dello strumento
che, nellinconscio del terapeuta, nel commisto alla coscienza grazie allat-
tenzione uttuante, reagisce allinconscio del paziente interpretandolo.
Le peculiarit di queste rappresentazioni, che insorgono in tale livello
mentale raggiunto dallattenzione uttuante, sono soprattutto due: da un
lato, lestrema capacit di ragionare tramite condensazioni, vale a dire
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integrando, in una sola rappresentazione, molteplici informazioni; dallaltro
lato il prevalere di un impatto sensoriale. In sostanza, le rappresentazioni
tramite cui il terapeuta pu attingere al proprio inconscio, a sua volta in
dialogo con linconscio del paziente, contengono in forma condensata
molteplici informazioni, e possiedono inoltre una natura prevalentemente
sensoriale. In generale, daltronde, la sensorialit risponde a una logica
emotivo-intuitiva e inconscia, e per suo tramite perci possibile ricollegare
la coscienza ai pi ampi, e per essa impensabili, processi inconsci.
2. Tra vuoto e revrie
A questo proposito Marion Milner, in uno scritto del 1975, nel discu-
tere una tesi di Masud Khan scrive: [la] mente profonda [] inafferra-
bile da parte della mente di supercie, non per la rimozione di contenuti
sgradevoli ma per la sua struttura; e [] proprio per questa sua peculiare
struttura, essa pu adempiere a compiti di integrazione che superano di
molto le capacit dellattivit mentale conscia di supercie (Milner M.,
1975, p. 346). In pi, la Milner aggiunge che per queste sue caratteristiche
lattivit della mente profonda o inconscia viene percepita dalla mente
di supercie come una lacuna della coscienza (ibidem). Si pu allora pro-
porre unanalogia con il concetto di O formulato da Wilfred Bion: il segno
O, che equivale a origine, indica secondo questo autore la realt assoluta
e inconoscibile in atto in qualunque situazione, in questo caso nellincontro
tra analista e paziente (Bion W.R., 1965). Ne deriva pertanto, come scrivono
alcuni commentatori del pensiero bioniano, che lo psicoanalista dovrebbe
riuscire a creare la cornice mentale in cui poter essere ricettivo rispetto a O;
e questo dipender, sempre nel linguaggio di Bion, dalla sua capacit di
essere at-one-ment [ossia allunisono] con O (Grinberg L., Sor D., Tabak de
Bianchedi E., 1991, pag. 111). Bion ritiene tuttavia che O sia percepibile
attraverso modalit non sensoriali. In realt, le rappresentazioni in grado di
cogliere O, vale a dire capaci di raccogliere l interpretazione che il pro-
prio inconscio offre dellinconscio del paziente, hanno una veste sensoriale.
per vero, concordando con quanto afferma Bion, che in tali rappresenta-
zioni la sensorialit soltanto il tramite dei procedimenti condensati, intuiti-
vi e al di l della pura sensorialit, peculiari della mente profonda.
Resta il fatto che la coscienza, per consentire a simili rappresentazioni
di emergere, deve disporsi ad accettare, come afferma la Milner, una lacu-
na o un vuoto, un non-pensare, anzi unimpossibilit a capire e a pensare.
O, infatti, impensabile agli occhi della mente conscia di supercie, poi-
ch possiede una struttura differente: una struttura condensata e plurisigni-
cante, e poi sensoriale. Sebbene la sensorialit, bisogna ribadirlo, sia qui
soltanto il velo attraverso cui si affaccia unintuizione di per s non sensoria-
le. Intuizione che poi il porre in forma, da parte del proprio inconscio,
linconscio del paziente, vale a dire il nucleo profondo sottostante, in un
determinato momento, al discorso cosciente del paziente. Inne, le rappre-
sentazioni che in questo modo aforano possono anche essere considerate
una particolare variante del controtransfert, l dove si vericano, da parte
del paziente, la scissione di parti di s e il loro conseguente trasferimento
nella mente dellanalista. Sarebbe insomma in gioco, da parte del paziente a
livello inconscio, un bisogno comunicativo consistente nel far sperimentare
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al terapeuta aspetti di s mai giunti a un sufciente grado di mentalizza-
zione. Ecco allora che proprio lo scarso grado di elaborazione psichica di
questi aspetti del S, una volta che linconscio del terapeuta li abbia accolti,
richiede da parte del terapeuta stesso, afnch essi possano giungere alla
sua coscienza, strumenti mentali strutturalmente vicini ai processi primari
dellinconscio. Tali strumenti mentali possono consistere proprio nelle rap-
presentazioni plurisignicanti e sensoriali aforanti dallinconscio del tera-
peuta in contatto con linconscio del paziente.
3. Le rappresentazioni mentali emergenti
Viene cos a delinearsi, in base a queste considerazioni, una particola-
re modalit di ascolto. Disporsi in O, secondo la terminologia di Bion, o in
un sentimento di vuoto e di lacuna della coscienza, in base alle denizioni
della Milner, la prima tappa cui il terapeuta dovrebbe sottoporsi in fasi
della seduta avvertite come stagnanti, o viceversa critiche. Il terapeuta pu
sottoporvisi in realt in qualunque altro momento, anche soltanto sotto lur-
genza di una spontanea spinta a farlo.
Qui innanzitutto richiesta, al terapeuta, la capacit di tollerare le
proprie reazioni emotive suscitate dal momentaneo non-capire. Sempre
Bion, riformulando a proprio modo lo schema delle posizioni evolutive
kleiniane (Klein M., 1957), ha sottolineato la necessit per il terapeuta di at-
traversare, prima di formulare uninterpretazione, ora un vissuto schizo-pa-
ranoide, nel quale pu assalirlo il timore che il non-capire sia frutto di una
sorta di opposizione malevola da parte del paziente, ora un vissuto depres-
sivo, in cui il non-capire invece avvertito come soverchiante, e soprattutto
come conseguenza di una propria colpa. Bion parla perci della necessit di
attraversare una crisi emotiva (Bion W.R., 1992, pag. 291). A voler tuttavia
seguire le citazioni freudiane di apertura, e soprattutto a trarre ispirazione
da concrete esperienze cliniche, non obbligatoriamente il non-capire, con
la correlativa crisi emotiva, il motore portante della particolare modalit di
ascolto qui proposta. Lo piuttosto, azzardandosi a coniare una denizione,
un apertura allinconscio, anzi un desiderio di inconscio: una semplice
attitudine a lasciar uttuare la propria attenzione. E questa anche e soprat-
tutto unattitudine, per dirlo parafrasando il titolo di un libro di Ogden, a di-
sporsi al conne del sogno (at the Frontier of Dreaming) (Ogden T.H., 2001).
esattamente questo il punto, ossia la condizione mentale, in cui
possibile lemersione delle suddette, peculiari rappresentazioni. E queste
possono assumere, per esempio, forma visiva, presentandosi in pratica come
immagini, scenari, fantasie, dove solitamente, anche se non sempre, risulta
protagonista il paziente. Possono tuttavia anche possedere forme sensoriali
diverse, vedi la veste di frasi uditive mentali, di vissuti somatici, o via prose-
guendo. Per meglio comprendere a quale ordine di rappresentazioni occor-
re disporsi, pu essere particolarmente utile la denizione di immagine
fornita dal neuroscienziato Antonio Damasio. Questultimo scrive: Con il
termine immagine intendo una congurazione mentale con una struttura
composta di elementi di ciascuna delle modalit sensoriali: visiva, uditiva, ol-
fattiva, gustativa e somatosensitiva. La modalit somatosensitiva comprende
svariate forme di sensorialit: tattile, muscolare, della temperatura, del dolo-
re, viscerale e vestibolare. La parola immagine non indica soltanto unimma-
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gine visiva e non suggerisce neanche qualcosa di statico (Damasio A.R.,
1999, pag. 382). dunque laforare di una vasta congerie di immagini,
e vasta perch, secondo quanto affermato da Damasio, polimorfa e multi-
sensoriale, ci a cui la mente del terapeuta deve disporsi. Poi per in ogni
terapeuta, cos come in qualunque persona, tender a prevalere, e perci a
ricorrere, una sola tipologia o modalit di rafgurazione.
Possono comunque aforare, occorre ripeterlo, stimoli uditivi, come
brani musicali o frasi mentali, o altrimenti sensazioni somatiche, per esempio
di dolore o di piacere a varia localizzazione, o ancora sensazioni tattili, gusta-
tive, olfattive. Per di pi, i differenti elementi sensoriali possono raccogliersi
e contemperarsi, dando luogo a spezzoni compositi di carattere quasi lmico.
Per un utile raffronto, inne opportuno ricordare che in ambito
freudiano lunico terapeuta ad aver tratteggiato un procedimento in parte
afne, sebbene limitato a rappresentazioni visive, Roberto Speziale-Ba-
gliacca (Speziale-Bagliacca R., 1997, pp. 237-243; 2010, pp. 252-259).
4. Il senso di ESSERE
Alcune esemplicazioni cliniche possono adesso offrire un breve spac-
cato di qualche possibile evenienza.
In una prima situazione clinica, durante la seduta con una paziente
che chiamer Alessandra, come di regola, distesa sul lettino, mi dispongo,
sia mentalmente, secondo quanto indicato pi sopra, sia sicamente, tra-
mite un intenzionale rilassamento, ad accogliere eventuali rappresentazioni
emergenti. Mi accade cos, allimprovviso, di visualizzare Alessandra mentre
supina e a gambe leggermente divaricate affonda in un mare dalle acque
scure. un mare cupo e intenso che ricorda quello dove, con i miei geni-
tori, mi recavo in estate durante la prima infanzia. Limmagine ha carattere
visivo ma nel contempo si lega a sensazioni somatiche e a vissuti affettivi:
vissuti di pesantezza, di stagnazione, di nostalgia. Potrei dire che il mio sen-
timento complessivo, riguardo a ci che vedo mentalmente, insieme non
avvertire via duscita e un grande dolore, in particolare da stasi e da lutto,
anzi da sprofondamento in un interminabile e vischioso lutto. Nella mia
immagine, daltronde, Alessandra pur se viva come se fosse morta, perch
in effetti quella posizione, qualora nella realt dovesse accadere a qualcuno
di assumerla in acqua, verrebbe comunemente denita fare il morto. Ales-
sandra, dopo alcuni secondi e senza che io le abbia comunicato nulla di ci
che andavo rappresentandomi, dice: come se dovessi accettare che ci
che nellinfanzia, da parte di mia madre, mi mancato, incolmabile, non
recuperabile. Subito aggiunge: come se in me la bambina, da allora,
fosse rimasta l ad attendere che qualcuno vada a curarle le ferite. Penso in
quel momento che la mia revrie abbia rafgurato questa sua plumbea passi-
vit, la passiva, dolorosa attesa di lei immersa - come a fare il morto - nelle
emozioni buie e ferite dellinfanzia. Restando vicino alla rappresentazione
aforata, le dico: La tua vita in questi anni stata come un cadere sempre
pi a fondo senza fare nulla. Risponde: Il fatto che io penso che nes-
suno la vada a prendere [la bambina ferita] sento che cos e sento
che questa bimba come se si aspettasse qualcosa, qualcuno che si accorga
di lei. Prosegue: Ora vedo limmagine di questa bambina che mi tende le
braccia, come se mi chiedesse di fare qualcosa. Domando: Che cosa puoi
- 20 -
fare?. E lei: La posso prendere in braccio, la posso abbracciare. Allora
concludo: Ora comunque la stiamo accogliendo anche noi qui. A
questo punto, Alessandra scoppia a piangere. Dice: La bambina per nella
mia immagine molto gioiosa, molto giocosa proprio giocosa, come se
tutte queste cose non le avesse vissute molto felice, come se mi aspettas-
se, come se avesse aspettato questo momento.
In questo esempio, dunque, la rappresentazione emersa, con la sua
piena intensit visiva, cenestesica ed emotiva, sembra aver raccolto linterpre-
tazione, da parte del mio inconscio, di un particolare stato inconscio della
paziente. E a questo riguardo si potrebbe anche proporre un paragone, pur
se a titolo puramente euristico, con molte tradizioni meditative quali quelle
orientali, dove in genere occorre visualizzare mentalmente determinate im-
magini, spesso rafguranti speciche divinit. Si ritiene infatti che tramite
una tale tecnica di meditazione, durante la quale ci si identica poi con
limmagine della divinit visualizzata, sia possibile sperimentare un corrispon-
dente stato coscienziale, del quale limmagine, anzi la divinit, sarebbe in
pratica lespressione e il tramite (Landaw J., Weber A., 1993; Von Brck M.,
Von Brck R., 1996, pp. 75-84). Perci, seguendo questa possibile analogia,
il frammento clinico relativo alla seduta con Alessandra attesterebbe che la
rappresentazione emersa in me, quale terapeuta che vi si era disposto, ha
consentito a entrambi una sintonizzazione (o identicazione) con una
divinit, o contenuto mentale (coscienziale) inconscio, emergente in
quel momento nella relazione, o volendo, nella comunicazione tra il mio
inconscio e quello della paziente. Inoltre, in tali tradizioni limmagine che
lo sguardo interiore visualizza non deve essere osservata nel suo solo aspetto
manifesto, ma contemporaneamente come trasparente, aperta sul fonda-
mento illimitato e senza forma dal quale si suppone scaturisca. In effetti,
sempre accettando unipotetica analogia, anche il dialogo con Alessandra
sembra aver condotto ben al di l dellimmagine stessa in me aforata. Infatti
le sue associazioni libere, a loro volta di carattere visivo, non solo hanno crea-
to lopportunit, da parte mia, di offrire a lei laccoglimento emotivo da esse
implicitamente richiesto, ma le hanno permesso di essere e di percepirsi,
percependo, in sostanza, un fondamento narcisistico preriessivo: un senti-
mento del S, anzi di essere un S, e per anche di essere un S in rappor-
to di duciosa continuit con loggetto, in questo caso con me. Si tratterebbe
perci di un fondamento situato al di l dellimmagine: al di l della dicibilit
e della rafgurabilit coscienti. Un fondamento presumibilmente paragona-
bile, in quanto stato mentale irrafgurabile e matriciale, a ci che Winnicott
denisce elemento femminile o essere. Scrive infatti Winnicott: La mia
idea che [] il puro elemento femminile ha rapporto con il seno (o con la
madre) nel senso che il bambino diventa il seno (o la madre), nel senso che loggetto
il soggetto. [] [e] nessun senso di s potr emergere se non sulla base di questo esse-
re in rapporto nel senso di ESSERE (Winnicott D.W., 1971, pp. 142-143).
Io, di fatto, non ho comunicato ad Alessandra limmagine aforata
in me, eppure lei sembra aver prodotto unimmagine analoga nello stesso
istante, o per lo meno un vissuto speculare e afne. I miei commenti hanno
seguito a quel punto il lo comune della mia e della sua immagine, dispo-
nendo me e lei a una sensazione nella quale, come dice Winnicott, logget-
to il soggetto: ossia in cui io ero lei, per lei, e lei era me, per me. Uno sta-
- 21 -
to non solo di simbiosi, ma piuttosto di co-costruzione, in forma cosciente,
di un vissuto circolante nel suo inconscio e da l nel mio.
5. Da conitti e pulsioni ai bisogni primari
Sorge per spontaneo domandarsi quale ruolo svolga, in processi di
questo genere, la soggettivit del terapeuta. Si pu rispondere che trattan-
dosi di processi controtransferali occorre postulare, come annotano Cecilia
Albarella e Mario Donadio (Albarella C., Donadio M., 1986, pag. 19), che
latteggiamento dellanalista (il suo controtransfert) sia una sorta di com-
promesso tra le sue personali tendenze e le richieste del paziente. Perci
nel gioco tra nuclei inconsci del paziente e del terapeuta, sempre compito
di questultimo possedere la disponibilit a lasciarsi eventualmente toccare
l dove, a suo tempo, la propria analisi personale non sia giunta, o dove co-
munque rimangano nodi irrisolti.
Citando allora un secondo esempio clinico, ecco che mentre ascolto
Giovanni, un paziente affetto da depressione e tormentato, ma anche sor-
retto, da imperativi superegoici colpevolizzanti, dopo essermi predisposto ad
accogliere eventuali rappresentazioni mentali, mi appare, in unimprovvisa
revrie, in piedi nelle vesti e nellattitudine di una sorta di fabbro. Nellimma-
gine, lui martella il ferro sopra a unincudine, tuttavia come fosse svogliato,
disinteressato, apatico. Dico allora: Lei forse fa le cose senza appassionarsi,
quasi meccanicamente. Lui risponde: S, vero, proprio cos. E in
quel momento, al di l di questo scambio di battute, avverto in realt quanto
la sua condizione vada a incontrare un mio nucleo depressivo, riattivando
la relativa tendenza, che in forme diverse anche di Giovanni, a pensare
che le situazioni e la mia stessa vita siano senza uscita, costrette a ripetersi,
a trascinarsi passivamente. Mi chiedo allora: la revrie parla di lui o di me?
In realt, parla della nostra relazione e di ci che a livello inconscio vi si
svolge: di una condivisione, o di un restare insieme, in unarea di decit e
di trauma, con il rischio di arrestarsi in questa irrisolta condizione comune,
ma anche con la potenzialit, da parte mia, di evitare io il mio e il suo ar-
resto, mobilizzando pulsioni aggressive e risorse narcisistiche, sia in me che
poi, da l, in lui. Ma allora, come sempre, piuttosto in gioco la relazione, e
allinterno di questa, accanto allarea dellinterpretazione che riguarda pul-
sioni e conitti, larea dei bisogni primari, relativi alla coesione e alla consi-
stenza del S. Larea dellESSERE, insomma, di cui come si detto parla
Winnicott, o anche larea pre-istintuale, come la denisce invece Gaddini
(Gaddini E., 1975). Unarea dove fondamentale la capacit dellanalista di
far s che la relazione fornisca vissuti di volta in volta adeguati ai livelli e ai
bisogni spesso arcaici, poco mentalizzati, che abitano il proprio S e il S del
paziente.
allora questa una breve, ultima descrizione di quanto il genere di
revrie e di rappresentazioni cui n qui si accennato possa essere effetto
e al tempo stesso causa di processi riguardanti larea pre-istintuale o del-
lESSERE. Processi consistenti, in altri termini, in una modalit di ascolto
in grado di collocarsi a livello del dialogo degli inconsci, e di mantenervisi
fornendo, a quel punto, non solo ascolto ma mentalizzazione e soddisfaci-
mento a bisogni primari, sia pure insieme ad associazioni e interpretazioni
relative a pulsioni e conitti.
- 22 -
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1974, pp. 119-150.
Marco Alessandrini Psichiatra, Psicoterapeuta analista, Responsabile dellUnit Opera-
tiva Trattamenti Integrati del Centro di Salute Mentale di Chieti, professore a contratto
presso la Laurea Magistrale della Facolt di Psicologia dellUniversit di Chieti. direttore
scientico della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Psicodinamica Breve di Chieti
(riconosciuta dal M.I.U.R.). direttore della Collana Psicopatologia ieri e oggi delle Edi-
zioni Scientiche Ma.Gi. di Roma. autore di numerosi articoli in riviste scientiche e in
volumi, oltre che traduttore e curatore di testi psicoanalitici, letterari e di arti gurative.
Ha al suo attivo 8 volumi: Presente assenza, o la visibile invisibilit delle psicosi (Roma 2000);
Tra teatro e follia (Roma 2001); Eco a me stesso. La metamorfosi schizofrenica di Holderlin in eco
(Roma 2002); Immagini della follia. La follia nellarte gurativa (Roma 2002); Vedere il Sosia. Le
emozioni come Doppio impensabile (Roma 2003); Ripensare la schizofrenia (Roma 2004); Un treno
per le stelle. Psichiatria e psicoanalisi senza (Roma 2006); La mente spiegata da Edvard Munch.
Psicoanalisi in dialogo con un artista (Roma 2009).
Indirizzo dellAutore: lucesegreta@libero.it
- 23 -
INTERVISTA
CONVERSAZIONE PARIETTI - MINERVINO*
*Questa conversazione, reperibile sul sito www.simpitalia, sostituisce la
serie delle nostre Interviste ai Personaggi. Siamo lieti di poter riproporre
questa conversazione a proposito del prossimo XXXIII Congresso Nazionale
della SIMP dal titolo Pregiudizio e Terapie, che si terr a Parma a maggio
2011.
PARIETTI: Parliamo del XXXIII Congresso Nazionale della SIMP che
stai organizzando a Parma per maggio 2011 e al quale hai dato il titolo di
Pregiudizio e terapie.
MINERVINO: Un congresso su pregiudizio e terapie e non solo sul
pregiudizio perch in questo caso larea tematica sarebbe stata pi difcile
da circoscrivere. Lidea nasce dallevidenza che qualunque atto terapeutico
ha a che fare tanto con lo specico meccanismo dazione quanto con tutta
una serie di variabili che possiamo indicare come aspeciche ma non per
questo meno importanti. Fra questi elementi cosiddetti aspecici uno molto
caro a noi della Simp la relazione, allinterno della quale quellatto tera-
peutico viene prescritto e ricevuto. Altri invece si riferiscono proprio alla
dimensione del pregiudizio. Pregiudizio in chi prescrive o propone latto
terapeutico e pregiudizio in chi quellatto terapeutico lo chiede e lo riceve.
PARIETTI: Pertanto il pregiudizio ha valenze tanto in senso positivo
che in senso negativo.
MINERVINO: Pregiudizio nel senso letterale di una valutazione preli-
minare, un giudizio che sta prima e che pu essere tanto un giudizio negati-
vo quanto un giudizio positivo.
PARIETTI: Ci si potrebbe chiedere che relazione c fra pregiudizio e
placebo.
MINERVINO: Il pregiudizio ha a che fare con il placebo tanto quanto
ha a che fare con qualunque altra forma o altro atto terapeutico. Infatti il
placebo viene usato come un atto terapeutico propriamente detto, quindi
pi suggestiva lidea che la dimensione del pregiudizio giochi molto sul
placebo ma senza avere una particolare specicit rispetto a quanto non lo
possa avere per qualunque altro atto terapeutico. E pur vero che il placebo
viene comunemente inteso come un atto terapeutico, la prescrizione e la
somministrazione di qualcosa che in teoria dovrebbe essere neutro, ma che
in realt produce un risultato. E noto invece che il placebo produce risulta-
ti tant che fa da riferimento in quasi tutte le sperimentazioni dei farmaci
e il valore riferito alluso del placebo sempre un numero signicativo il
che vuol dire che esattamente neutro non . Quindi il discorso del placebo
rimanda di pi agli elementi aspecici di una terapia piuttosto che al discor-
so del pregiudizio. Si pu pensare al placebo come allintenzionale volont
di un terapeuta di indicare o prescrivere un atto terapeutico che non faccia
nulla valutando pregiudizialmente lesito di questa azione.
- 24 -
PARIETTI: Il pregiudizio ha delle correlazioni col contesto culturale,
ambientale in cui si pu svolgere la terapia?
MINERVINO: Sicuramente il contesto e la cultura hanno uninuenza
sul pregiudizio. Si pu immaginare per esempio che in alcune culture anco-
ra improntate alla dimensione rurale o contadina determinati convincimen-
ti inducano a pensare pregiudizialmente che certi atti terapeutici siano pi
accettabili o meno accettabili, consentiti o non consentiti, rispetto ad altri
contesti culturali per esempio industrializzati o metropolitani allinterno dei
quali il pregiudizio si muove in direzione completamente opposta.
PARIETTI: Molto interessante diventa da questo punto di vista lanalisi
dei ussi dei migranti che attraversano lItalia e lEuropa.
MINERVINO: Certamente pregiudizio e terapie confrontati con il
fenomeno dei ussi dei migranti pongono questioni impegnative legate al-
lincontro non sempre felice fra culture molto diverse. Spesso succede che
noi, detentori della cultura ospitante rispetto alla cultura migrante, invece
di aprirci alla conoscenza dellaltro riteniamo che sia (pregiudizialmente)
corretto, dovuto, etico imporre allaltro quelli che sono i dispositivi che
connotano la nostra cultura ed il nostro modo di fare. Quando tutto ci poi
si trasforma nelle pratiche delle salute e quindi nelle terapie i problemi
possono diventare drammatici perch anche nelle culture che ospitiamo
esistono pregiudizi in termini positivi o negativi di cui noi non siamo asso-
lutamente a conoscenza. Di quelle culture per noi straniere non solo non
conosciamo gli elementi costituitivi ma ne ignoriamo anche i risvolti pratici
e comportamentali. Da ci nasce il bisogno di assumere atteggiamenti di
distanza prodotti quindi dalla nostra ignoranza e dalla paura del diverso.
C troppa poca curiosit e troppa poca cultura dellaccoglienza e la scena
spesso si riempie di sordi e di muti. I migranti sono portatori di un bisogno
di salute spesso difcile da interpretare; esprimono, quando ce la fanno e
per quanto distorte, domande che se prese in considerazione ci consentono
di imparare a conoscere i nostri pregiudizi, a conoscere i loro e a creare un
dialogo.
PARIETTI: Proprio per questo motivo parte dei lavori del congresso
sar ad impronta antropologica e sociologica.
MINERVINO: Infatti noi dobbiamo chiedere alle altre culture e alle
altre scienze umanistiche di aiutare i professionisti della salute a creare un
contesto allinterno del quale i propri atti terapeutici ed i propri comporta-
menti ritrovino un senso che non sia solo quello di una magica ed onnipo-
tente capacit tecnologica, ma anche quello di una capacit di accoglienza.
PARIETTI: Un Congresso di psicosomatica che si porr lobiettivo, fra
gli altri, di produrre nuovi stimoli e nuove aperture.
MINERVINO: E un Congresso che vuole ripescare uno dei paradigmi
fondanti la psicosomatica italiana, la psicosomatica secondo la Simp: il pa-
radigma relazionale. La relazione col proprio paziente, ma anche le relazioni
con le altre discipline, con le altre culture, con gli altri saperi. Potremmo
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dire che in fondo coltiviamo lambizione di un nuovo Rinascimento nella
misura in cui rinascimentale un atteggiamento che mette insieme culture,
saperi, esperienze attorno alla dimensione umana.
PARIETTI: Superare quindi anche il pregiudizio verso la psicosomatica.
MINERVINO: Questo certamente un passaggio molto importante. Il
pregiudizio sulla psicosomatica sempre stato quello che faceva della psico-
somatica una disciplina il cui oggetto era in sostanza lignoranza della medi-
cina. La psicosomatica come disciplina che si occupa della sofferenza delles-
sere umano per difetto, nel senso di occuparsi di tutto ci che la scienza non
riesce a ricondurre nelle proprie categorie diagnostiche o negli ambiti della
propria conoscenza. Questa ignoranza diventa lelemento costitutivo della
psicosomatica. Naturale quindi che loggetto della psicosomatica, nato dal-
lignoranza, susciti disprezzo e difdenza cos come poco amati sono sempre
stati i cosiddetti pazienti psicosomatici e poco amata stata la diagnosi psi-
cosomatica dai pazienti. E forse pi naturale pensare che si abbia a che fare
con la paura suscitata dallavere a che fare con fenomeni che non rientrano
nella nostra conoscenza. Questo atteggiamento pregiudiziale ha impedito
per troppo tempo al sapere psicosomatico di essere utilizzato come una
risorsa per approcciare una vasta dimensione della sofferenza delluomo. Di-
mensione resa esplicita dai dati epidemiologici che indicano quanto alta sia
la presenza di questo genere di sofferenza nei circuiti della sanit.
PARIETTI: Dobbiamo quindi lavorare per una nuova prospettiva che
dia alla psicosomatica la possibilit di esprimere tutte le proprie potenzialit
con ricadute positive in ambito sanitario, sociale ed economico, visto che
un approccio psicosomatico consente non solo una efcace azione di pre-
venzione e di cura ma anche un contenimento dei costi data la presenza di
numerosi pazienti psicosomatici fra i cosiddetti alti utilizzatori.
MINERVINO: Ci sono molti aspetti da questo punto di vista che van-
no riportati allattenzione di tutti. Il primo quello che citavi tu: introdurre
buone pratiche nellerogazione delle prestazioni sanitarie, nelle risposte
alla sofferenza. Si tratta di introdurre quella che potremmo indicare come
una formula felice, per la quale il portatore di un bisogno trova una risposta
compiuta e lerogatore della risposta trova unefcacia in ci che fa con un
incremento della soddisfazione professionale. Ancora oggi spesso la formula
piuttosto quella che produce infelicit dato che lincontro tra chi porta
un bisogno spesso poco compreso e lerogatore di una prestazione spesso
troppo poco efcace. Formula che produce soprattutto alti consumatori dei
sistemi sanitari e burn out. Dedicare un congresso al tema del pregiudizio e
delle terapie consente di portare attenzione a fenomeni di questo tipo. Ma
attenzione va data anche al pregiudizio su certe categorie di farmaci, come
i farmaci per la salute mentale o per altre patologie. Ci comporta una li-
mitazione del loro uso appropriato e dellaccesso a questo genere di risorsa
da parte di pazienti che ne avrebbero bisogno. Il pregiudizio getta ombra
sulluso di molte terapie non solo farmacologiche ma anche siche: ancora
troppo poco apprezzate sono le potenzialit della medicina sica e quanti-
stica. Quanti di noi conoscono, pur avendoci a che fare quotidianamente,
limportanza dellacqua? Ma il pregiudizio esercita analoga forza anche ne-
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gli atteggiamenti e nei comportamenti dei portatori del bisogno di terapia.
Ci si rif al discorso iniziale: chi entra nel circuito delle prestazioni sanitarie
ritiene di sapere a secondo del proprio percorso, della propria cultura, della
propria famiglia che determinate cose che possono essere fatte per fargli
riconquistare la salute sono buone o non buone, chiedibili o non chiedibili.
Chi opera nella sanit spesso si dimentica che esiste una cultura della salute
che tipica della famiglia. Ogni famiglia crea una cultura della salute per cui
nei suoi armadietti dei farmaci o nelle sue pratiche della salute esistono cose
che sono tipiche per lei e che per i suoi componenti costituiscono un costan-
te riferimento. Si tratta di una variabile importante che incide sulla possibi-
lit che quello che io prescrivo sia pi o meno sintonico con quellambiente
culturale e familiare e che pu renderlo efcace o no, accessibile o no.
PARIETTI: Parliamo ora del pregiudizio verso la psicoterapia, pregiu-
dizi presenti tanto negli operatori quanto nei pazienti legati alla difcolt ad
aprirsi a dimensioni psicologiche, emotive e relazionali. E non bisogna igno-
rare i pregiudizi presenti anche nellambito della psicoterapia come quelli
esercitati da un approccio psicoterapico nei confronti di altri approcci. La
stessa psicoanalisi stata allinizio oggetto di pregiudizi anche molto ostili,
di cui anche la psicosomatica ha risentito.
MINERVINO: Certamente bisogner porre attenzione alle psicoterapie
e tener conto delle evidenze sempre pi forti della efcacia dei trattamenti
integrati. Daltro canto bisogner impegnarsi e portare attenzione al pregiu-
dizio esercitato su alcune categorie diagnostiche: per citarne solo alcune si
pu indicare la follia, il dolore, il cancro. Sicuramente si tratta di categorie
che prestano molto pi facilmente il anco allazione del pregiudizio. In
realt bisogna evitare il rischio di lasciare in ombra il discorso per il quale
ogni forma di sofferenza e di malattia pu risentire negativamente dellazio-
ne del pregiudizio. Bisogna quindi puntare per insistere su un discorso caro
allapproccio psicosomatico secondo la Simp, per il quale in una relazione
consapevole e competente che il rischio del pregiudizio pu stemperarsi.
La competenza relazionale un dispositivo che pu far s che gli elementi
di pregiudizio, presenti tanto nel terapeuta quanto nel paziente, possano
essere portati alla visibilit, alla trasparenza, alla consapevolezza. Se gli attori
della scena della terapia sono in una dimensione dellincontro e sono in un
ambiente relazionale sufcientemente sano allora gli aspetti pregiudiziali e
pregiudizievoli si stemperano. Quindi lambizione non solo quella di in-
crementare la dimensione del sapere rispetto alla questione del pregiudizio
ma di trasformare questa consapevolezza del sapere in un atto, in uno stare
in terapia che tenga conto di queste cose.
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RIFLESSIONI E COLLOQUI
IN UN CENTRO DI TERAPIA DEL DOLORE*
Pierluigi Ciritella
1. Introduzione
Il dolore uno dei problemi pi importanti dellumanit. Il dolore
acuto utile perch avverte lindividuo di qualsiasi anormalit e costituisce
un mezzo diagnostico per il medico; tuttavia nella sua forma patologica cro-
nica, impone gravi sollecitazioni emozionali e siche al paziente ed alla sua
famiglia (Bollica J., 1984). Ci ancora pi vero e pressante quando ad amma-
larsi e a soffrire un bambino: al dolore del bambino ladulto non preparato.
Lospedalizzazione del bambino unesperienza molto stressante sia per il
bambino sia per i genitori; lidea della malattia e della sofferenza associata
al bambino difcile da accettare, assurda. La possibilit che un bambino
possa essere in pericolo di vita a causa di una grave malattia, possa soffrire,
risulta a chiunque crudele e del tutto inaccettabile e per gli adulti spesso
difcilmente comprensibile, e non lascia emotivamente indifferente nemme-
no chi, per scelta professionale, si confronta quotidianamente con questa
realt. Prova n che, nonostante i primi studi sulle reazioni psicologiche
del bambino allesperienza della malattia e del dolore risalgano agli anni 30
con le osservazioni di Anna Freud, linteresse per la conoscenza del dolore
nel bambino e per il suo trattamento risale solo allultimo decennio. Infatti,
se per ladulto sono state condotte ricerche sempre pi approfondite, per il
bambino sono ancora in vigore i miti secondo i quali la sensibilit infantile
al dolore sarebbe minore di quella delladulto e il bambino non sarebbe ca-
pace di memorizzare tali percezioni n di organizzare adeguate reazioni di
difesa contro di loro. Tutto ci ha fatto s che il dolore del bambino fosse ne-
gato con il risultato che le istituzioni non hanno creato, se non in pochissimi
casi, strutture dedicate al problema. Eppure il bambino possiede gi in et
molto precoce coscienza della propria condizione di malattia e della gravit
del proprio stato, la sente nel corpo e pi ancora la riconosce nellespres-
sione degli adulti signicativi per lui. Pertanto il trattamento del dolore del
bambino rappresenta una vera e propria sda vista la quasi totale assenza
di punti di riferimento e di esperienze ma, soprattutto, per lintenso carico
emozionale ad esso legato. Affrontare il dolore del bambino vuol dire tener
presenti diverse prospettive: intorno al bambino che soffre ruota una galassia
di persone, ciascuna con i suoi stati danimo, e ciascuna di esse apporta pi
o meno inconsapevolmente sollievo o altra sofferenza. I genitori vivono la
malattia del loro glio come un disperato bisogno di dare amore (ma anche
di riceverne e di essere sostenuti a loro volta), il che si traduce spesso in una
forma di iperprotezione; si trovano nellincapacit di comprendere ed accet-
tare le comunicazioni dei sanitari: sono disorientati ed increduli, impotenti
e disperati. Si difendono nella negazione: lincredulit alla diagnosi si espri-
me nel suo riuto ed il genitore oppone tutte le energie alla realt dolorosa
e spesso anche a coloro che la propongono con altrettanta veemenza. Ci
pu rendere difcili i rapporti con i medici e gli infermieri, facile bersaglio
di critiche nella disperata ricerca di trovare disconferme alla realt. Quando
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inizia a farsi strada una qualche accettazione della realt i genitori comincia-
no a cercare delle spiegazioni sulle cause della malattia: incomprensibile
che il loro glio sempre sano sia ora cos malato e soffra cos tanto.
2. Genitori e bambini
Nei casi in cui possibile individuare una causa specica i genitori si
interrogano sul perch tutto questo stia accadendo proprio al loro bambino,
quando invece leziologia sconosciuta si aggiunge altra incertezza ed ansia
per il non sapere - n loro n i curanti - esattamente cosa stia succedendo.
Sotto il peso di queste penose emozioni il genitore regredisce, diventa de-
bole, vulnerabile e indifeso, bisognoso egli stesso di sostegno e protezione,
vittima di un aggressore esterno indistinto e indistinguibile al quale non pu
sottrarsi, n sa come farvi fronte. Il reparto, i medici, gli infermieri, sono
facilmente fatti oggetto di queste ansie persecutorie e accusati di volta in
volta di essere freddi, insensibili, distanti e punitivi, col rischio che si venga
a creare un clima di conittualit. E necessario che nel colloquio queste
ansie siano verbalizzate e comprese, accettate e non restituite con aggres-
sivit, come spesso accade, mascherate sotto forma di regole e divieti solo
in apparenza tesi ad una migliore assistenza sanitaria al bambino e che im-
pediscono, invece, ai genitori di collaborare attivamente alla gestione delle
pratiche terapeutiche e alle cure corporali del glio. Per contrastare tali rea-
zioni necessario incoraggiare i genitori a stare vicino al proprio bambino;
questo rafforza la loro ducia nella capacit di essere ancora bravi genitori,
amorevoli, efcaci e competenti. Attraverso la rassicurazione e la conferma
delle loro competenze genitoriali si favoriscono inoltre lalleanza terapeuti-
ca, la capacit di collaborare con il personale, evitando cos che il bambino
sia strumentalizzato dai bisogni degli adulti: di controllo, di onnipotenza, di
sicurezza, di stima. Il colloquio diventa dunque unoccasione per offrire so-
stegno ai genitori sollecitandoli allassistenza del bambino, ed insegnandogli
le modalit diverse di prendersi cura e comunicare col loro glio, inconsa-
pevolmente sollievo o altra sofferenza.
3. Il corpo: il nemico esterno
Qualunque cosa avvenga negli organi interni, o qualunque cosa acca-
da al suo corpo, le esperienze di dolore, tensione, bisogno, disagio, il bambi-
no tender ad attribuirle ad agenti esterni e a viverle in modo persecutorio.
Il bambino non sente in altre parole i suoi dolori sici come la conseguenza
di accadimenti interni, ma di unaggressione o, quantomeno, di una man-
canza di protezione da parte dellesterno e perci si sente nel dolore trattato
male, minacciato, punito, in pericolo. Dolori sici anche molto intensi, tera-
pie invasive, la stessa ospedalizzazione, possono essere meglio sopportati dal
bambino nch non siano caricati di angosce e di paure legate ai signicati
che al dolore stesso sono attribuiti (abbandono, riuto, punizione, colpa,
ecc.). Quando langoscia aumenta, il dolore diventa per il bambino un avve-
nimento traumatico e insopportabile, del quale si ricorder a lungo e contro
la cui ripetizione cercher di proteggersi con meccanismi di evitamento o di
tipo fobico. Di fronte allesperienza di malattia e dolore il bambino tende
a regredire, si fa pi piccolo, bisognoso di maggiore protezione e conteni-
mento anche sico da parte della madre, solitamente lunica in grado di
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salvaguardarlo e di difenderlo. Questa regressione ha come conseguenza
un aumento della dipendenza, anche quando un certo grado di autonomia
era gi stato raggiunto (es. perdita del controllo snterico, bisogno di essere
lavato, imboccato, ecc). La malattia induce una brusca trasformazione del
modo di considerare e trattare il corpo del bambino: prima oggetto di tene-
rezza e cure delicate, ora assoggettato a disposizioni incomprensibili, fatto
bersaglio di misure terapeutiche, talora con scarso rispetto delle esigenze di
riservatezza e di gestione autonoma del proprio corpo. Anche le manovre te-
rapeutiche sono percepite come attacchi alla propria incolumit, il bambino
reagisce in genere nella fase iniziale opponendosi energicamente ai tratta-
menti con angosciosa protesta, rabbia, sentimenti dira e vendetta, fa seguito
un migliore adattamento quando entrano in azione i meccanismi di difesa e
in particolare la funzione protettiva della regressione simbiotica. Al protrarsi
delle cure, inoltre, possono subentrare sentimenti di angoscia legati al timo-
re che la situazione non abbia ne, vissuti che si traducono in abbattimento,
stati depressivi, sensi di colpa e atteggiamenti di sottomissione passiva. Simili
reazioni si osservano in genere quando prevale nei bambini il sentimento
di essere inutilmente aggrediti anzich curati ed a ci reagiscono con un
atteggiamento di chiusura, riuto, disperazione. Ladolescente, invece, vive
la sua sventura in maniera particolare: ci potr essere un abbandono pi
o meno totale di ogni tentativo di autonomia e il ragazzo ritorner bambi-
no instaurando di nuovo quei rapporti di dipendenza parentale che aveva
abbandonato o stava per abbandonare, altrimenti si sentir offeso, tradito
e tenter di colpevolizzare ladulto riutando tutto quanto proviene da lui,
con il solo risultato di chiudersi in un ostinato e tragico isolamento. Qualsia-
si rapporto con gli altri caratterizzato da improvvisi cambiamenti dumore,
pu essere aggressivo e disperato, indifferente o timido, riutare qualsiasi
forma di conforto, oppure lasciarsi andare a lunghi pianti silenziosi. Lango-
scia del ragazzo pi profonda e grave di quella del bambino: egli vive senza
poterla comunicare, la paura della malattia e della morte. Uno dei drammi
pi sconvolgenti per ladolescente, costituito dal fatto che la malattia e le
cure che questa comporta ledono la sua integrit corporea, la sua bellezza;
spesso perde i capelli a causa della chemioterapia, talvolta quel corpo cui tie-
ne tanto deturpato da cicatrici, il dimagrimento, la spossatezza, la febbre,
il dolore stesso, accano ogni sua voglia di fare.
4. Le relazioni con gli altri
Ogni tentativo di relazione sociale viene in questo modo abolito e la
malattia vissuta con rabbia e disperazione. Gli operatori non tollerano di
essere percepiti solamente come aggressori, ma intanto, lemotivit del bam-
bino espressa in modo dilagante induce loperatore non psicologicamente
formato ad essere aggressivo. Questo si realizza in vari modi: attuando rispo-
ste punitive sul piano sico (manovre costrittive e violente durante lesecu-
zione delle procedure o scarsa o nulla attenzione al dolore), su quello verba-
le (affermazioni che mirano ad ottenere la collaborazione del bambino ma
che hanno un tono o un contenuto minaccioso, per es. se non smetti di agitarti
ti far ancora pi male) o su quello emotivo (procedure effettuate in un clima
di distacco, freddezza, silenzio difensivo). In tal modo il medico e linfermie-
re vanno davvero ad impersonare il ruolo fantasticamente attribuito loro dai
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bambini, che vedono cos confermati e rinforzati i loro sentimenti di timore
e di rabbia. Queste vicende, e soprattutto le procedure mediche, sono in
grado di produrre reazioni comportamentali patologiche anche durature.
Le procedure terapeutiche, infatti, hanno per il bambino una valenza nega-
tiva e producono un effetto di disagio e, di conseguenza, una reazione op-
positiva. Di solito il bambino si aspetta di ricevere stimoli avversivi sulla base
del proprio comportamento, qui invece, la sofferenza incomprensibile,
quasi gratuita. Inoltre i comportamenti del bambino usualmente efcaci nel
produrre la cessazione di uno stimolo avversivo, come ad esempio piangere,
protestare, o mostrarsi condiscendenti, non hanno adesso efcacia nellevi-
tare le valenze vissute come inspiegabilmente punitive delle procedure me-
diche. Gli stimoli avversivi che il bambino riceve sono quindi indipendenti
dalla risposta: qualsiasi cosa far non avr modo di sottrarsi a loro, n potr
in alcun modo prevedere quando levento negativo si vericher. Inoltre
poich il personale medico - infermieristico ad effettuare le procedure,
esso diventa di per s un elemento negativo e gi da solo sar in grado di
provocare la reazione oppositiva del bambino che comincer a piangere e a
dimenarsi disperatamente anche alla sola vista di un camice bianco. Qui la
soluzione non tanto ridurre gli stimoli avversivi (le cure devono comunque
essere effettuate secondo schemi e protocolli per il suo bene), ma piutto-
sto aumentare il numero di stimoli positivi che sono forniti (contatti visivi,
interazioni verbali, gesti di affetto) in modo che il personale non sia legato
solo ad esperienze negative.
5. Esperienze nel Centro
Verr qui proposta lesperienza in un centro di terapia del dolore del-
let pediatrica ed evolutiva. Il Centro stato costituito nellottobre 2002 e
lavora con bambini ospedalizzati per gravi malattie. Al momento della stesu-
ra di questa relazione, sono stati presi in carico 15 pazienti di et compresa
fra 4 e 17 anni, 9 maschi e 6 femmine, affetti da malattie ematologiche (leu-
cemie e linfomi) o neoplasie solide. Tutti i piccoli pazienti lamentavano do-
lore di vario tipo ed intensit. La pi anziana di questo piccolo gruppo di
ammalati, della quale si dir pi estesamente dopo, presentava anche unim-
portante condizione di depressione reattiva. Il lavoro con il bambino amma-
lato pi complesso e sensibilmente differente rispetto al trattamento del
dolore nelladulto. Mentre questultimo si rivolge direttamente al terapeuta,
per il bambino lintervento richiesto in genere da altri medici. Nelladulto
il rapporto medico - paziente diretto e non vi sono interferenze importan-
ti, nel bambino tale rapporto diventa medico - famiglia e le interferenze co-
stituiscono la prassi. Perci al momento della richiesta di consulenza algolo-
gica partecipano sempre, in una prima fase preliminare, il bambino, i geni-
tori ed il medico del reparto che lo ha in carico. Sono cos presenti tutte le
gure signicative che curano il bambino. Molto spesso il medico del repar-
to, che peraltro viene periodicamente informato dello svolgimento della te-
rapia del dolore e dei risultati, vede con soddisfazione lintervento dellalgo-
logo e volentieri diluisce con lui la responsabilit e il peso, non solo terapeu-
tico ma anche e soprattutto emotivo, del caso. Il coinvolgimento dei geni-
tori fondamentale sia nellinstaurare la necessaria collaborazione per il
buon esito della terapia, sia perch sostenendoli con un ascolto emotiva-
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mente partecipe ed un comprensivo accoglimento, si ottiene un comporta-
mento meno aggressivo, meno ansioso ed ansiogeno a tutto vantaggio del
benessere del bambino. Il colloquio si svolge in una stanza tranquilla e con-
fortevole dove il bambino ed i suoi genitori si trovano a loro agio. Voluta-
mente non indosso il camice, n divise di lavoro: non servono ma, soprattut-
to, il bambino pu percepire la mia presenza come quella di un dottore di-
verso dagli altri. Lilluminazione diffusa nelle ore pomeridiane mentre
unampia nestra consente lingresso di luce naturale nelle ore diurne. Lar-
redamento sobrio ed in colori pastello, una sala giochi attrae lattenzione
dei pi piccoli. In ogni caso il colloquio si svolge alla presenza di entrambi i
genitori e del piccolo paziente e la sua durata non pi lunga di 30-35 mi-
nuti. Durate superiori affaticano gli interlocutori e possono dare la sensazio-
ne di voler sapere tutto e decidere tutto, tutto in una volta e una volta per
tutte: il giorno dopo si pu sicuramente continuare ed anche la frequenza
degli incontri favorisce la crescita di una relazione. In genere, superata una
breve fase sociale di conoscenza reciproca, i genitori descrivono i sintomi
del loro piccolo ed in particolare le caratteristiche del dolore. I pi grandi-
celli descrivono qualche volta da soli il loro problema. In questa prima fase
pongo lattenzione sulla postura degli adulti e del bambino e sugli aspetti
emotivi con cui informazioni apparentemente solo tecniche, vengono
espresse. C chi espone tutto in maniera meticolosa, chi, invece, tralascia i
particolari, descrive a grandi linee i problemi e si chiude nel silenzio, o, in-
vece, preso dallangoscia, esplode in un pianto dirotto e cerca solo conforto
e rassicurazioni. Attraverso laiuto di semplici scale algometriche, fra cui
lanalogo visivo del dolore (VAS), cerco di quanticare, per quanto possibi-
le, il livello di dolore avvertito dal piccolo paziente. Questo espediente un
semplice ed orientativo punto di riferimento per una verica longitudinale,
nel tempo, dellandamento della terapia, ma soprattutto un pretesto per
cominciare a parlare col bambino e non pi del bambino. Anche in questa
fase osservo i comportamenti del piccolo paziente. In questo modo, cercan-
do di conquistare la ducia di bambino e genitori, il colloquio va avanti. La
necessit di trattare il dolore richiede da subito una prescrizione farmacolo-
gica. Lefcacia di tale prescrizione costituir un altro momento di incontro
e di discussione. Ultimata la serie iniziale di colloqui, in genere due o tre, la
cadenza diventa bisettimanale e poi settimanale. Inizialmente le richieste dei
genitori sono di rassicurazione, di sostegno, di ulteriori informazioni. In se-
guito, una volta ottenuto un ruolo attivo e collaborativo, i colloqui serviran-
no a vericare landamento della terapia e ad accompagnare bambino e ge-
nitori lungo la difcile strada dellevoluzione della malattia che, purtroppo,
non sempre trova un esito positivo. Il colloquio per la terapia del dolore in
apparenza non si discosta molto dal colloquio medico convenzionale. Anche
qui come l si raccolgono dati anamnestici, informazioni cliniche e di labo-
ratorio, immagini radiologiche e di altri esami, ma qui lattenzione anche
orientata ad un ascolto di ci che emotivamente viene trasmesso con la pre-
sentazione dei dati. Lattenzione al bambino durante il colloquio costante
anche se spesso non possibile condurre con lui un vero e proprio dialogo,
ma i suoi atteggiamenti, il pianto o il suo modo di lamentarsi indirizza alla
giusta comprensione della dimensione del problema. Altre volte si osserva
una discrepanza fra lentit del dolore e la sua espressione. Dolori allappa-
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renza lievi o moderati (ad es. uniniezione) sono vissuti con angoscia, e non
si tratta solo di bassa soglia al dolore! Spesso lansia dei genitori scatena inar-
restabili crisi di pianto disperato che, a loro volta, determinano un ulteriore
aumento dellansia in un circolo vizioso che possibile spezzare solo con un
comportamento da parte del medico comprensivo e nello stesso tempo au-
torevole (non autoritario!) in una relazione che afanchi alla modalit ma-
nipolativa (io so quello che bene per te) anche quella identicatoria
(mi metto nei tuoi panni). Alcune settimane dopo lapertura del Centro,
nellincontro mattutino con i colleghi del Reparto, mi viene proposto un
caso difcile. Si tratta di Laura, una ragazza di 17 anni ricoverata per una
brutta recidiva di leucemia, malattia di cui aveva gi sofferto sette anni pri-
ma superandola senza grossi problemi. Aveva ripreso la scuola e la vita di
tutti i giorni. La fase di remissione era durata sette anni: un periodo cos
lungo da far pensare ad una guarigione denitiva. Invece la febbre, la spos-
satezza, il sanguinamento dalle gengive e dal naso, avevano drammaticamen-
te riportato Laura a quando, sette anni prima, ancora bambina, fu ricoverata
durgenza dal padre medico, angosciato e impotente. Allora non capiva
bene cosa le stesse accadendo, era solo tanto spaventata. Ma adesso Laura
vive in prima persona il suo dramma ed ogni passaggio della sua malattia e
della necessaria terapia hanno il sapore di un amaro e pauroso dej vu. I col-
leghi che le curano la leucemia sono molto preoccupati, colgo in loro la s-
ducia e quasi la rassegnazione: il trattamento delle recidive spesso non co-
ronato da successo, in pi la forma di Laura sembra anche essere particolar-
mente resistente alla terapia; a tutto questo si aggiunge che la ragazza riuta
le cure! Sarebbe necessario impiantare sotto pelle un piccolo catetere in sili-
cone per infondere direttamente in una grossa vena del torace i potentissimi
farmaci chemioterapici. Un intervento che dura non pi di mezzora, ma
che Laura ostinatamente riuta di effettuare. Raccolgo queste informazioni
in maniera distratta, quello che mi colpisce pensare alla sfortuna di Laura,
al suo dolore, alla sua rabbia e mi chiedo quale sia il signicato del riuto di
curarsi, e cosa posso fare io per lei. Laura una bella ragazza, ha lunghi ca-
pelli castani ed un paio di occhioni neri che risaltano ancora di pi nel volto
reso pallido dalla leucemia. distesa sul letto della sezione sterile, girata su
un anco, assistita dal padre che ha laria stanca e spaventata. Ha combattu-
to tanto insieme alla glia ma alla ne deve arrendersi di fronte ad un nemi-
co invisibile, incomprensibile, imbattibile. Mi dice che Laura non vuole sa-
perne di mettere il catetere venoso, ha paura, sono giorni che non parla. Mi
presento a Laura e le chiedo, banalmente, come sta; la sua prevedibile rispo-
sta male!. Provo a chiederle della scuola: frequenta il liceo classico. Non
faccio altre domande, n lei le fa a me. Rimango ancora un po in silenzio
accanto a lei. Prima di andare via le passo una mano sui capelli. Quel gesto
spontaneo ed istintivo non lha infastidita, anzi ho avuto la sensazione che lo
avesse gradito. La saluto, saluto il padre rimasto in anticamera e preannun-
cio che ci saremmo visti lindomani. Il giorno successivo ritorno da Laura:
ha la febbre alta e le guance sono rosse e congeste. Ho pensato molto allin-
contro ed alla carezza e penso che lunico sistema per comunicare con Lau-
ra sia il contatto: per un quarto dora le accarezzo i capelli, il volto, il collo,
le braccia, le mani, le gambe. Lei mi fa fare, il padre non capisce, ma la sua
sensibilit gli fa intuire che qualcosa accade: Laura non riuta il contatto,
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pur nel suo silenzio. Ogni giorno per un quarto dora il mio incontro era
ormai codicato: un appuntamento con il suo corpo tornato quello di una
bambina piccolissima, di pochi mesi incapace di parlare, che ora come allo-
ra ha bisogno di essere accudito e accarezzato. Mentre laccarezzo le parlo,
proprio come potrebbe fare una mamma mentre fa il bagnetto al suo picco-
lo. Le parlo dellinverno, di quello che succede fuori della sua cameretta
sterile, ma anche di lei e del fatto che mi piace star l con lei. Dopo quattro
giorni di incontri mi assento per due giorni di ferie ma dimentico di prean-
nunciarle la mia assenza. Quando ritorno Laura arrabbiata con me, vuol
sapere perch sono andato via senza dirglielo e che aveva fatto chiedere di
me nel timore che non tornassi pi. Mi scuso con lei e le faccio notare che
non tutti i mali vengono per nuocere visto che le ritornata la parola. Lei
accenna ad un sorriso. Riprendo le carezze e questa volta scoppia in lacrime
confessandomi tutta la paura di morire e di morire nel dolore, mi dice con
disperazione questa volta non ce la faccio. La sua angoscia tagliente, non
resisto pi di un quarto dora con lei. Lindomani ritorno a trovarla mentre
devastata dalla febbre scuotente. uno straccio, mentre laccarezzo sento
che brucia, la sua pelle mi sembra anche pi sottile. Le propongo di mettere
il catetere. Non mi risponde ma il suo silenzio questa volta ha un senso diffe-
rente. Il giorno dopo Laura mi accoglie con una maschera di disperazione,
io sono inquieto, so che se non comincia subito la terapia, non avr ancora
molto tempo e ancora una volta le ripropongo limpianto. Questa volta lei
acconsente ma alla condizione che sia io stesso ad effettuarlo.
6. Conclusione e riessioni
Dopo limpianto Laura comincia la terapia che, per, come previsto
dai colleghi, non molto efcace, anzi una grave complicanza si aggiunge
alla leucemia minacciandole gravemente i polmoni. La ragazza rischia seria-
mente di morire non tanto per la leucemia ma per laspergillosi polmonare.
Il padre disperato: si sente impotente come padre e fallito come medico.
I suoi sensi di colpa lo rodono, pensa di essere responsabile per non aver
saputo proteggere e curare la glia. Dopo il quarto dora con Laura, mi trat-
tengo nella mia stanza col padre per ascoltare il suo dolore e la sua angoscia.
Con me dice di sentirsi meglio, sa che non potr fare molto per Laura, ma
sa anche che ci che sto facendo forse lunica cosa da fare. Intanto levolu-
zione della malattia di Laura continua, non d segni di arresto. Adesso la
ragazza avverte anche forti dolori ossei e muscolari e necessita di analgesici
sempre pi forti, respira male, a fatica, il conne tra la vita e la morte ades-
so diventato sottile. Continuo a vedere Laura e, nella mia stanza, il padre.
Ogni volta questi incontri mi lasciano privo di forze, come se le mie si trasfe-
rissero a loro ed io ne rimanessi svuotato. In uno dei nostri incontri, sempre
di poche parole, fatti soprattutto di contatti, Laura si interessa a me e chiede
incuriosita perch ho un approccio tanto diverso dagli altri medici a lei ed
alla sua malattia. La invito a fare delle fantasie, le chiedo perch le sembro
diverso. Mentre parla dice di avere dolore e vuole un dosaggio supplementa-
re di analgesico e quindi chiama linfermiera. Continua a parlare e parla di
s, della scuola che le manca, della voglia di andare sulla neve, del fatto che
le sono simpatico; per la prima volta Laura parla e, soprattutto non parla
della sua malattia. Dopo un po arriva linfermiera con lanalgesico, ma non
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serve pi, Laura dice che non ha pi dolore e che le bastato parlare per
sentirsi meglio. Da quel giorno Laura ha gradualmente, insperatamente, co-
minciato a migliorare il suo stato di salute e dopo oltre tre mesi di degenza
ha lasciato lospedale con una remissione della leucemia ed un nettissimo
miglioramento della polmonite. Prima di andar via voluta venire a salu-
tarmi nel mio studio per ricambiare almeno una delle tante visite: com-
pletamente calva a causa della chemioterapia, si reggeva a mala pena a due
stampelle, ma il suo volto era di nuovo illuminato da un sorriso. La mente
e il corpo in ununica visione, globale e sincretica: calva e col sorriso, mi
ripetevo nei diversi giorni dopo lultima volta che lho vista.
Per quanto riguarda la concezione dellunit psicosomatica vorrei con-
cludere con le parole del libro Dottore, posso guarire?, di G. Gastaldo e M.
Ottobre: Non esiste una funzione del Sistema Nervoso che non implichi,
direttamente o indirettamente, anche le funzioni degli altri apparati. Non
esiste un mutamento di qualsiasi altro apparato che non inuenzi il S.N.,
non esiste nessun mutamento di questultimo che non comporti un riassetto
dellintero nostro essere (2002).
BIBLIOGRAFIA
1. Agresta F., (2010), Il Linguaggio del Corpo in Psicoterapia. Glossario di Psicosomatica, Al-
pes, Roma;
2. Anzieu D., (1994), LIo-pelle, Borla, Roma;
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sione, Boringhieri, Torino;
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8. Gastaldo G., Ottobre M., (2002), Dottore, posso guarire?, Armando, Roma, rist. 2007.
P.L. Ciritella Medico, Anestesista e Counselor di indirizzo psicanalitico. tra i soci
fondatori dellASSIR, Referente del Centro di Terapia del dolore e dellet pediatrica ed
evolutiva dellIRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di S. Giovanni Rotondo (FG).
* La presente relazione, aggiornata e rivisitata, stata presentata al II Convegno Mente-
Corpo, Francavilla a mare (CH) il 25/26 aprile 2003, organizzato dalla SIMP Abruzzese e
Pescarese (Dott. R. Di Donato e F. Agresta e Coll.), Hotel Villa Maria, San Silvestro (Pesca-
ra). Atti del Convegno (a cura) di F. Agresta, R. Di Donato, Atti del Convegno in, Prospet-
tive in Psicologia (Supplemento, n. Aprile, 2003).
Indirizzo dellAutore: Dott. Pierluigi Ciritella
Via Trieste, 46 - 71100 Foggia
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DALLA MITOLOGIA ALLANTROPOLOGIA:
LA RISATA DEGLI DEI PUO FAR RIFIORIRE LA TERRA?... *
Alfonso M. di Nola
(a cura di) Andrea Mosca
Ride Apollo, ride Hermes, ride ciascuno degli di
e il loro riso trasmette sostanza alle cose intramondane
e d energia ai legamenti di esse
Platone, Timeo
In molti miti, quando la divinit diventa triste e cessa di ridere i campi
si seccano e le messi muoiono; solo il riso del dio far rinascere la terra. Ed
una risata il mezzo con cui, in tradizioni diverse, luniverso viene creato.
Il discorso antropologico sul riso non facile, n agevolmente riassumibile.
Il riso, infatti, diviene signicante non come manifestazione siologica, ma
come segnale psicologico e culturale. La modicazione del piano mimico-
facciale o anche dellintero piano organico (scuotimento del corpo a causa
del riso) diviene rilevante a livello di psicologia individuale e di intercomu-
nicazione sociale soltanto perch esprime messaggi che ne sono prelimine
e contenuto. In tale senso gli animali non ridono o, se anche atteggiano la
propria immagine corporea a variazioni muscolari simili al riso umano, non
ci trasmettono particolari messaggi, n possiamo immaginarli come preli-
mine del loro presuntivo ridere. Le strutture siologiche proiettano cio, un
universo interno, emozionale, ideativo, che dovrebbe essere di volta in volta
decodicato per essere compreso al di l del riso che veicola.
In effetti, le diverse espressioni facciali sono connesse alle diverse
emozioni (Ekman, 1992; Izard, 1971, 1997). Queste non solo indicano lo
stato emotivo di una persona ma ne inuenzano anche le componenti sio-
logiche soggettive. In uno studio classico, i ricercatori dissero ai partecipanti
di contrarre i muscoli facciali in particolari modi (Ekman et al., 1983), ad
esempio nella tipica congurazione indicante lespressione di felicit: i sog-
getti mantennero queste congurazioni per dieci secondi, durante i quali
furono misurati due parametri siologici, il battito cardiaco e la temperatu-
ra delle dita. I ricercatori trovarono una relazione causale sorprendente tra
il semplice atto di modicare lespressione facciale e gli schemi di risposta
autonoma. Altre ricerche documentano sia unattivit EGG diversa in corri-
spondenza delle differenti pose sia modicazioni nellesperienza soggettiva
che accompagnano i cambiamenti del volto (Ekman e Davidson, 1993; Izard,
1990; Lanzetta et al., 1976).
G. H. Luquet, nel 1930, osservava correttamente: Il riso non in s
uno stato psichico, ma un insieme di fenomeni siologici che presuppongo-
no una grande variet di impulsioni psichiche, onde impossibile ridurre
a ununica specie tutte le forme di riso (Le rire dans les lgendes ocanniennes,
in Journal de Psycologie normale et pathologique, XXVII, 1930, pagg. 268-
288). Lo stesso Luquet, infatti, ne elenca un arco notevolmente ampio, a
seconda che il riso sia provocato da solletico, da travestimento, da gesti e mi-
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miche grotteschi, da soddisfazione, da sorpresa, da sensazione dellinatteso,
da astuzia, da atti sconvenienti o da altro. Pi recentemente Fabio Ceccarelli
ha indagato in uno studio di grande rigore e in direzione biontropologica
questi fenomeni, giungendo a una precisa elencazione delle forme in cui il
messaggio psichico si avvale del piano sico del riso (Sorriso e riso. Saggio di
antropologia biosociale, Torino, Einaudi, 1988). Un risultato particolarmente
importante dagli studi sul fenomeno la constatazione che il riso o la ri-
sata esprimono, quasi sempre, a livello siologico, un processo interiore di
degradazione e superamento dei fattori ansiogeni e angoscianti. Si fa qui ri-
ferimento a situazioni di tensione individuale o collettiva, nelle quali il riso,
provocato da specici eventi, determina luscita dalla tensione. Di tale dina-
mica del riso abbiamo celebri esempi mitici, che riettono sicuramente par-
ticolari esperienze umane. In alcuni miti, distanti nel tempo e appartenenti
a culture diverse, emerge uno stato di radicale crisi individuale o cosmica.
Per esempio, nel VI-VII secolo a.c. la dea Demetra, emblema della crescita
dei cereali, entra in una condizione di depressione e di lutto poich le
stata rapita la glia Kore dal dio degli Inferi; e tale depressione, signicata
subito attraverso il non ridere (la dea, in questa fase della storia mitica
chiamata Agelasa, la non-ridente) comporta linaridimento delle messi e il
decadere dellintera natura. La gura divina esce dalla crisi e la produttivit
agricola torna alla normalit, quando la dea scoppia in una grande risata,
dopo che le vengono esibiti, in una tarda versione mitica, gli organi sessuali
da un altro personaggio, chiamato Baubo (strettamente connesso a termini
che indicano la vagina). Analogamente in Egitto, documenti del XIV-XV se-
colo a.C. riferiscono il tema del dio solare Ra- Harakhte che, entrato in col-
lera, si ritira nelle sue tende celesti e provoca la rovina della terra egiziana.
Esce dalla sua iraconda solitudine soltanto quando unaltra dea, il cui nome,
Hathor, signica vulva, esibisce la sua sessualit, provocandogli il riso. Un
testo giapponese di epoca tarda (VI-VII secolo d. C.)
,
ma testimonianza di
tradizioni molto arcaiche, riferisce che la dea del Sole, Ama-Terasu, si chiu-
de, per essere stata offesa dal dio del Mare Susa-No-Wo, in una caverna cele-
ste, mentre la terra e i campi di riso inaridiscono.
Il Poseidone nipponico le ha imbrattato di sterco le sacre stanze e
per buona misura vi ha squartato un cavallo al contrario! Non si conosce il
motivo di tanta sudicia e truculenta insolenza, fatto sta che (anche stavolta)
la dea si ritira in unimpenetrabile caverna, sorda a ogni richiamo, con il
(solito) risultato di oscurare il creato con conseguente catastrofe planetaria.
Ancora una volta una schiava a risolvere la tenebrosa faccenda: davanti
agli di (otto milioni!) assiepati sulla soglia della caverna, lancella Ameno-
Uzeme-No-Mikoto, improvvisamente, sciolti i lacci della veste, si denuda:
allo spettacolo, del tutto incongruo per la situazione, tutti si sganasciano
dal ridere: otto milioni di divine risate simultanee! Ama-Terasu, incuriosita
da tanta ilarit, fa capolino; lesto un dio ad afferrarla per i capelli e trarla
fuori dalla caverna. In un attimo il mondo torna alla luce. Qui la cessazione
della crisi ottenuta indirettamente (sono altri a ridere), ma lepisodio ci
fornisce un elemento in pi: il riso contagioso e spinge alla curiosit chi
non ne preda.
I miti appena esposti presentano sostanzialmente la stessa struttura: c
un evento che innesca una crisi cosmica; c una donna che ostenta la sua
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nudit; c una risata liberatoria che mette ne alla catastrofe. Potremmo
cos sintetizzare che: morte + riso (sesso) = resurrezione della vita. Dunque
per far ridere gli di c bisogno di unoscenit, del basso mostrato impu-
dicamente e allimprovviso. Non curioso che entit cos elevate risolvano
le loro crisi nel rapporto (diremmo provocatorio) con il corpo, il basso, con
una schietta risata? In presenza di una morte generalizzata, c bisogno di
spingere le divinit allo sghignazzo, per sospendere il lutto e riconsiderare la
carne, il sangue, il sesso. Cos il riso di queste divinit viene interpretato da
altri autori come la gioia che si manifesta davanti alla rivelazione del sesso,
in quanto simbolo del piacere, dal quale scaturisce la creazione della vita.
questa, dunque, la connotazione divina del grembo della donna, cio lim-
pulso alla creazione insito nel piacere sessuale. Lalto degli di si tocca con
il basso del corpo: il cerchio della vita si chiude grazie ad una risata (Fiora-
vanti S., Spina L., La Terapia del Ridere, RED Edizioni).
Avremmo in tutti questi casi (A.M. Di Nola, Antropologia religiosa, Roma,
Newton Compton, 1984) una qualicazione del riso come un corto circuito
solutorio, che si verica nella conittualit fra emergenza di un nucleo emo-
zionale serio (ansia da crisi) e un evento banale o triviale (oscenit),
che funge da atto incongruente o non atteso. A. Schopenhauer (Il mondo
come volont e rappresentazione, trad. ital. di Savi-Lopez e G. Di Lorenzo, libro
1,13) osservava che il riso volta per volta nasce da unincongruenza, im-
provvisamente percepita, fra un concetto e gli oggetti reali che erano pensa-
ti. la medesima tesi della descending incongruity (la incongruit degradante,
liberante, sminuente) di H. Spencer e di molti altri pensatori. Ed una tesi
che possiamo vericare quotidianamente nelle esplosioni di riso cui assi-
stiamo. evidente, per esempio, che le azioni, i comportamenti, gli atteg-
giamenti operativi sono assoggettati da uneconomia della nostra ideazio-
ne, che in forma previsionale costruisce, senza fermarsi sui singoli movimenti
costituenti la serie degli atti, lintero processo nalistico che conduce al loro
compimento nale. lelemento inatteso a provocare la risata; una leg-
ge mentale che riguarda la seriazione della quale si compongono le azioni
complessivamente intese: nellosservare il camminare, per esempio, mental-
mente noi prevediamo landamento comportamentale di chi cammina e le
sue diverse attivit muscolari dirette al ne deambulatorio, senza soffermarci
sopra ciascuna di esse. Se, nello sviluppo della seriazione prevista, interviene
un elemento casuale ed estraneo alla previsione, e in tale senso incongruo,
come una buccia di banana lungo il percorso, con conseguente caduta, si
verica quella incongruit che determina il riso. Gi Kant scriveva, nella Cri-
tica del giudizio che il riso unaffezione, Affekt, che si origina dallimprovviso
mutarsi di unattesa in nulla, e cio nellinterrompersi improvviso di quan-
to ci aspettavamo avvenisse. E proprio in ci lefcacia delle storielle e delle
gestualit che appartengono alla comicit, e che sono fondate sullemergere
inatteso di quanto non attendevamo.
In unaltra prospettiva di approfondimento in una materia i cui termi-
ni possono appena essere qui accennati, il riso si congura come esplosione
di vitalit, di pienezza, di vigore, di libido ed Eros in senso freudiano (gli dei,
in Grecia e in India creano, ridendo, il mondo!), opposta a Thanatos, al senso
del crollo del s e del mondo. In questo senso mi sembra signicativa una
mia diretta esperienza di lavoro sul campo durante la preparazione di una
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mia ricerca sui signicati del lutto. Il lutto, lo si sa, una situazione ango-
sciante determinata dalla perdita delloggetto di investimento affettivo che
stimola un vissuto di crollo e ne del mondo avvertito come senza futuro
e speranza, situazione psichica, del resto, analoga a quella depressiva o ma-
linconica secondo i risultati di celebri pagine freudiane. Ora, in vari ambiti
di culture di contadini, da me studiate in Italia (ma con referenti analoghi in
molte culture europee) si realizzano, durante il lutto, certe situazioni desti-
nate a determinare il riso del gruppo di luttuati, attraverso la narrazione di
episodi osceni durante la veglia funebre o anche attraverso toccamenti ses-
suali (E. De Marino ignorava i casi molto frequenti italiani e si era rifatto a
un esempio rumeno!). Addirittura in alcune narrazioni popolari sarde, sici-
liane e calabresi si legittimano questi comportamenti, destinati a provocare
il riso e il detensionamento, ricorrendo a modelli sacrali. La stessa Vergine,
si dice, avrebbe incongruamente riso quando era calata nel lutto radicale
sotto la croce, perch un animale, ora la tartaruga, ora il rospo, le si presen-
ta, esprimendo la meraviglia per il dolore cos intenso di lei, quando, rospo
o tartaruga, perdono continuamente i loro nati senza piangere. E come se i
sistemi sociali che spiegano il lutto abbiano contrapposto alla crisi deterio-
rante del dolore e della disperazione una terapia del riso, come veicolo di
risalita alla normalit del vivere e a quella elaborazione denitiva del cordo-
glio segnalata dallo stesso Freud. Negli aspetti qui studiati, che potrebbero
essere integrati da molti altri punti di osservazione del fenomeno, il riso, che
gi Aristotele specicava come qualit propria del uomo (diviene uomo il
fanciullo che ride per la prima volta, dice il losofo), assume aspetti di un
riattingimento della vitalit repressa o attraversata da mali psichici e riapre
luomo alla speranza. Esso la gioia medesima del vivere. Non a caso, del
resto, le antiche liturgie cattoliche, no alla ne del Settecento, osservavano
un risus pascalis, che il predicatore doveva far esplodere, anche attraverso la
narrazione di barzellette, nei fedeli, dopo la liturgia della Resurrezione del
Cristo, nelle chiese o dal pulpito, quasi a signicare la vittoria sulla morte e
sul male cosmico.
dunque lecito parlare di funzione apotropaica del riso che caratte-
rizza, ad esempio, anche la commedia di Menandro (IV sec. a. C.). Senza
dubbio, il commediografo greco inuenz la commedia Romana di Plauto
e soprattutto di Terenzio e, indirettamente, la commedia europea moderna,
a partire dal Rinascimento. Tuttavia, la commedia greca ha una valenza ben
diversa da quella che noi moderni intendiamo oggi. Il termine comico in-
tendeva un momento in cui il nostro riso nel senso siologico del termine,
che viene denito da Kant come una discordanza discendente esplode,
liberando la nostra forza nervosa accumulatasi in ununica, scrosciante risata
(Guidorizzi G., Il mondo letterario greco, Einauidi, 2004). Laggettivo apotro-
paico deriva dal greco