Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Wilhelm, Reich
ISBN: 9788865765142
995
Wilhelm Reich
La funzione dell’orgasmo
Prefazione
Nota introduttiva
2. Peer Gynt
Note
Glossario
Tavola cronologica
Reich parla ancora al futuro
La funzione dell’orgasmo
L’amore, il lavoro e la conoscenza sono le fonti
Prefazione
Con la morte di Wilhelm Reich, la Peste Emozionale si è liberata del suo più
formidabile avversario. In tutta la storia tramandata, coloro che sono stati uccisi dagli
effetti di questo morbo tipicamente umano sono stati descritti immancabilmente come le
sue vittime «innocenti». Tuttavia, Reich non è divenuto una vittima innocentemente. È
stato il primo uomo che abbia studiato deliberatamente e compreso in modo
soddisfacente la base biopatologica di questo flagello creato dalla repressione della vita
sessuale su scala di massa. Per tutta la sua vita egli ha cercato un metodo pratico per
combatterlo. Non ha mai mancato di attirare l’attenzione sul fatto che la Peste
Emozionale era quella nemica dell’uomo, che fino a quando non fosse stata
adeguatamente compresa ed efficacemente combattuta avrebbe reso impossibile
l’eliminazione dell’agonia del bambino, dell’adolescente e delle masse di esseri umani
malati in senso biofisico ed emozionale. Di conseguenza, quando anch’egli si trovò a
essere vittima di questo morbo, non fu colto di sorpresa. Si rese conto del rischio
implicito e con il coraggio dell’autentico scienziato si espose ai suoi effetti distruttivi,
cercando nel processo, senza compromettere la verità scientifica, di trovare una via di
uscita dal pantano legale in cui la Peste lo aveva invischiato.
Dopo la morte di Reich si è verificata un’insistente richiesta dei suoi scritti, cosa
che mostra chiaramente come la Peste non sia riuscita a raggiungere il suo
obiettivo – l’occultamento della Verità. Gli attacchi diffamatori contro la sua persona, tesi
a screditarlo e quindi a deviare l’attenzione dalle sue importanti scoperte, hanno perso
buona parte – disgraziatamente non tutta – della loro violenza e ora sarà forse possibile
fare un serio esame del suo lavoro.
La funzione dell’orgasmo è stata la prima opera di Reich a essere tradotta in
inglese. Non è un trattato, ma più che altro è una biografia scientifica. «Un’esposizione
sistematica della materia non avrebbe permesso di mostrare al lettore come… problemi e
soluzioni si succedono ininterrottamente; né avrebbe potuto dimostrare che questo lavoro
non è pura invenzione e che ogni sua parte deve la sua esistenza al particolare corso della
logica scientifica.»
Il fatto che Wilhelm Reich, che fu lo strumento di questa logica, sia morto in un
penitenziario federale è una cosa abominevole. Il fatto che coloro che lo amavano fossero
impotenti, e il fatto che fossero molti quelli che sapevano e non se ne sono curati, è
tragico. Non è più possibile mettersi da parte e dire: «Perdonateli perché essi non sanno
quello che fanno». È venuto il momento di sapere tutti quello che facciamo e perché lo
facciamo. È venuto il momento di trovare una soluzione che ponga fine all’assassinio
cronico della vita e della conoscenza della vita. Questa conoscenza esiste e con la
ripubblicazione delle opere di Reich è divenuta nuovamente accessibile. Dobbiamo
imparare a tollerare la verità, dobbiamo imparare a comprendere e a rispettare la funzione
bioenergetica dello spasimo orgastico, e dobbiamo imparare a conoscere che cosa
diventiamo e che cosa facciamo quando questa funzione è frustrata e negata.
In questo libro vi è la conoscenza; e in questa conoscenza vi è la speranza.
Mary Higgins
Esecutrice testamentaria
The Wilhelm Reich Infant Trust Fund
1. Biologia e sessuologia prima di Freud
1. «Piacere» e «pulsione»
Basandomi sui miei studi biologici e partendo dalla definizione freudiana della
pulsione, affrontai una delle difficoltà inerenti al problema del piacere-non piacere.
Secondo Freud esisteva il singolare fenomeno che la tensione sessuale (contrariamente
alla natura generalmente non piacevole della tensione) aveva un carattere piacevole.
Secondo la concezione corrente, la tensione poteva soltanto essere non piacevole. Solo la
distensione procurava piacere. Nel campo della sessualità la cosa era diversa. Spiegai il
fenomeno in questi termini: nella fase preliminare del piacere (prepiacere) si crea una
tensione che dovrebbe essere sentita come non piacevole se non fosse seguita dal
soddisfacimento. Ma l’immaginazione del piacere che procurerà il soddisfacimento non
solo genera una tensione, ma soddisfa anche una piccola quantità di eccitazione sessuale.
Questo piccolo soddisfacimento e la prospettiva del grande piacere finale prevalgono sul
non piacere della tensione iniziale. Questa interpretazione costituì l’inizio della mia
successiva spiegazione funzionale dell’attività della pulsione sessuale. Giunsi così a
considerare la pulsione null’altro che l’aspetto motorio del piacere. Nella moderna
ricerca psicologica si era abbandonata la concezione secondo cui le nostre percezioni
sono soltanto esperienze passive che non implicano una partecipazione attiva dell’Io. Si
riteneva ormai più corretto affermare che alla base di ogni percezione vi è un
«atteggiamento» attivo dell’Io nei confronti dello stimolo (Wahrnehmungs-intention oder
-akt). Questo costituiva un importante passo avanti. Ora si poteva infatti spiegare come
gli stessi stimoli che di solito provocano un senso di piacere in altri casi, in cui il soggetto
ha un diverso atteggiamento interiore, non vengono percepiti. Per la sessuologia ciò
significa che in un individuo dolci carezze in una zona erogena suscitano un senso di
piacere, mentre in un altro ciò non si verifica; questi ha soltanto la sensazione di essere
toccato o sfregato. Qui si delineava la distinzione tra la piena sensazione orgastica di
piacere e la semplice sensazione di essere toccati, cioè in fondo la differenza tra potenza
orgastica e impotenza orgastica. Chi conosce i miei lavori elettrobiologici, sa che
nell’«atteggiamento attivo dell’Io nella percezione» agisce la carica elettrica
dell’organismo che fluisce verso la periferia.
Nel piacere distinsi una componente motoria-attiva e una sensoria-passiva che si
fondono entrambe in una. Mentre la componente motoria del piacere è vissuta
passivamente, nello stesso tempo è voluta attivamente la sensazione. A quel tempo il
pensiero scientifico si muoveva a un livello che potremmo definire buono, sebbene
impiegasse un linguaggio piuttosto complicato. Più tardi, imparai a esprimermi in termini
più semplici: una pulsione non era più qualche cosa che esiste qui e che cerca un piacere
là, ma era il piacere motorio stesso. Ma qui c’era una lacuna. Come si spiega il desiderio
di ripetizione del piacere una volta provatolo? Ricorsi alla teoria degli engrammi di
Semon: la pulsione sessuale non è altro che il ricordo motorio di un piacere già provato.
In tal modo il concetto della pulsione veniva ridotto al concetto del piacere. Rimaneva
aperto il problema della natura del piacere. In accordo con la tipica falsa modestia di quel
tempo, pronunciai un semper ignorabimus. Ciò nonostante continuai a occuparmi del
problema del rapporto tra quantità e qualità, tra pulsione e piacere. Secondo Freud, la
pulsione era determinata dalla quantità dell’eccitazione, cioè dalla quantità della libido.
Eppure avevo appena scoperto che l’essenza della pulsione era proprio il piacere, ed esso
era una qualità psichica. Secondo le concezioni di quel tempo, la quantità e la qualità
erano due cose nettamente distinte. Non sapevo come risolvere il problema. Eppure, del
tutto inconsciamente, avevo imboccato la via che successivamente mi avrebbe portato
all’unificazione funzionale della quantità dell’eccitazione con la qualità del piacere. Con
la mia spiegazione clinico-teorica della pulsione avevo quasi raggiunto i limiti del
pensiero meccanicistico che affermava: gli opposti sono semplicemente opposti, essi sono
inconciliabili. Più tardi mi accadde la stessa cosa con concetti come «scienza» e
«politica», o con la pretesa inconciliabilità tra constatazione di fatti e giudizio.
Oggi questo riesame del passato mi fornisce la prova che la corretta osservazione
clinica non porta mai fuori strada. Di conseguenza è la filosofia ad avere torto! La
corretta osservazione deve sempre condurre a formulazioni funzionali energetiche, se non
si traggono affrettate conclusioni. La paura che tanti bravi scienziati hanno del pensiero
funzionale rimane un mistero.
Riassunsi i risultati raggiunti in un breve saggio, dal titolo «Zur Triebenergetik», e
l’8 giugno 1921 li esposi alla Società psicoanalitica di Vienna. Nel 1923 quel saggio
venne pubblicato dalla Zeitschrift für Sexualforschung. Ricordo che non venne compreso.
Da quel momento evitai le trattazioni teoriche e mi occupai solo di problemi clinici.
Come medico psicoanalista ben presto mi feci una buona reputazione. Venivano
lodate la chiarezza e l’esattezza delle mie osservazioni, nonché la mia capacità di
sintetizzarle.
2. Sessualità genitale e non genitale
Gli schemi che seguono illustrano il problema del piacere nel meccanismo
pulsionale:
Schema sull’identità di pulsione e piacere
La prima figura mostra che nel prepiacere il soddisfacimento è sempre minore
della tensione e che anzi esso accresce la tensione stessa. Solo nel piacere finale la
scarica è uguale alla tensione accumulata.
Questa concezione mi ha guidato fino a oggi in tutte le mie riflessioni e in tutti i
miei scritti sessuoeconomici. Nel primo disegno è anche visibile l’ingorgo sessuale che si
produce nel caso di mancato soddisfacimento e che causa ogni genere di perturbazioni
dell’equilibrio psichico e vegetativo. Nel secondo disegno vediamo lo schema della
potenza orgastica, che assicura l’equilibrio energetico.
Le considerazioni teoriche che ho appena esposto erano il frutto di esperienze
cliniche precise. Ho già parlato del figlio di contadini afflitto da una totale incapacità di
erezione, che curavo a quel tempo. In tutta la sua vita non aveva mai avuto un’erezione.
La visita medica aveva dato risultato negativo. A quel tempo si faceva una rigorosa
distinzione tra disturbi mentali e fisici. Quando si riscontravano disturbi organici, la
psicoterapia veniva esclusa automaticamente. Naturalmente, in base alle nostre
conoscenze attuali, in linea di massima tutto ciò era sbagliato, sebbene fosse corretto
attribuire cause psichiche a malattie psichiche. Sui rapporti intercorrenti tra il
funzionamento psichico e quello somatico esistevano molte idee sbagliate.
Avevo curato quel paziente dal gennaio 1921 fino all’ottobre 1923, sei ore alla
settimana, senza raggiungere il minimo risultato. La mancanza di una qualsiasi fantasia
genitale in questo malato attirò la mia attenzione sulle diverse attività onanistiche in altri
pazienti. Saltava all’occhio che il modo di masturbarsi dipendeva da determinate fantasie
patologiche. Nessun paziente, compiendo l’atto onanistico, immaginava di provare
piacere attraverso l’atto sessuale normale. Esaminando più da vicino la fantasia dell’atto,
si constatava che i malati non ne avevano un’idea precisa. L’espressione «aver rapporti
sessuali» veniva impiegata in modo meccanico. Nella maggior parte dei casi
corrispondeva al desiderio di «dimostrare la propria virilità». Mascherava desideri
infantili come quello di trovarsi tra le braccia di una donna, di solito più anziana, o di
«penetrare in una donna». In breve, poteva avere qualsiasi significato, tranne quello del
piacere sessuale genitale. Questa era una novità per me. Non avrei potuto immaginare
l’esistenza di un disturbo di questa natura. Nella letteratura psicoanalitica si parlava
molto di disturbi della potenza, ma non si faceva alcun accenno a questi fenomeni. Da
quel momento analizzai con molta precisione i contenuti delle fantasie onanistiche e il
modo in cui veniva eseguito l’atto masturbatorio. Riscontrai una varietà infinita di
stranezze. Dietro le espressioni generiche e insignificanti come «mi sono masturbato ieri»
o «ho dormito con quello o con quell’altro» si celavano le pratiche più strane.
Potei ben presto distinguere due grandi gruppi. Il primo era caratterizzato dal fatto
che il pene come tale funzionava nella fantasia e che si verificava anche l’eiaculazione,
ma ciò non era teso alla realizzazione del piacere genitale. Il pene era un’arma omicida
oppure era un mezzo per «dimostrare» la potenza. I malati arrivavano all’eiaculazione
premendo il genitale contro il materasso. Nel farlo, il corpo era «come morto». Il pene
veniva stretto in un panno, schiacciato tra le gambe, sfregato contro una coscia. Solo una
fantasia di violenza carnale era in grado di provocare una forzata eiaculazione. In molti
casi essi impedivano del tutto l’eiaculazione o facevano in modo che avvenisse solo dopo
una o più interruzioni. In ogni caso, in questo gruppo il pene era in stato di erezione e
veniva impiegato attivamente.
Nel secondo gruppo non si riscontravano invece atti o fantasie che si potessero
chiamare genitali. Questi malati si schiacciavano il pene che «non era in stato di
erezione». Si stimolavano introducendo un dito nell’ano. Tentavano di prendere in bocca
il proprio pene. Lo solleticavano da dietro le cosce. Immaginavano di essere percossi,
legati o torturati, o di mangiare le feci. Oppure immaginavano che il loro genitale venisse
succhiato, nel qual caso rappresentava un succhiotto. In breve, benché queste fantasie
facessero un certo uso dell’organo genitale, esse erano, non di meno, fantasie con un fine
non genitale.
Queste osservazioni rivelavano che la forma dell’atto, nella fantasia e nella
manipolazione vera e propria, non era che una strada per avvicinarsi ai conflitti inconsci.
Esse mettevano anche in luce il ruolo della genitalità nella terapia delle nevrosi.
Contemporaneamente mi occupavo dei problemi inerenti ai limiti della memoria
del paziente durante l’analisi. Richiamare alla memoria esperienze infantili represse era
considerato il compito principale della terapia. Comunque lo stesso Freud era giunto a
considerare relativamente limitate le possibilità di apparizione di idee infantili,
accompagnate dalla sensazione che fossero già state vissute un tempo. Era già molto, egli
diceva, se i ricordi infantili apparivano in forma di fantasie in base alle quali si poteva
«ricostruire» la situazione originale. La ricostruzione di situazioni della prima infanzia
veniva considerata a giusto titolo come molto importante. Se non si fosse fatto per anni
questo meticoloso lavoro, non ci si poteva fare un’idea della molteplicità degli
atteggiamenti inconsci del bambino. Alla lunga, ciò era molto più importante dei rapidi
risultati superficiali.
Così facendo si era in seguito facilitati nell’applicazione della terapia. Nessuna
delle mie odierne concezioni sulle funzioni biologiche nella vita psichica sarebbe stata
possibile se non avessi svolto per anni particolari ricerche nel campo delle fantasie
inconsce. Oggi, come vent’anni fa, lo scopo del mio lavoro è lo stesso: far riemergere le
più remote esperienze infantili. Soltanto il metodo per ottenere questo è notevolmente
cambiato, tanto che non lo si può più chiamare psicoanalisi. Le osservazioni delle
manipolazioni genitali hanno influenzato in modo decisivo il mio punto di vista clinico e
mi hanno permesso di individuare nuove relazioni nella vita psichica. Tuttavia svolsi il
mio lavoro all’interno dell’esperienza psicoanalitica generale, anche per quanto riguarda
il campo della memoria.
Dopo circa tre anni di attività clinica mi resi conto che la memoria dei pazienti era
molto debole e insoddisfacente. Era come se una barriera insuperabile avesse bloccato
ogni accesso. Nel settembre del 1922 tenni una conferenza su questo argomento
all’Associazione. I miei colleghi erano più interessati alle mie esposizioni teoriche sul
déjà-vu, da cui presi l’avvio, che alle questioni tecnico-terapeutiche. Del resto, sul piano
pratico avevo poco da dire ed è troppo facile limitarsi a porre semplicemente dei
problemi.
Fondazione del «Seminario di terapia psicoanalitica» di Vienna.
1. Prime esperienze
Nel dicembre 1920 Freud mi mandò in cura un giovane studente che soffriva di
coazione a rimuginare, di coazione a calcolare, fantasie anali coatte, onanismo eccessivo
in connessione con gravi sintomi di nevrastenia, dolori alla schiena e all’occipite,
distrazione, nausee. Lo tenni in cura per diversi mesi. La coazione a rimuginare si
trasformò in coazione ad associare. Il caso sembrava proprio disperato. Poi affiorò una
fantasia incestuosa e, per la prima volta, il paziente si masturbò raggiungendo il
soddisfacimento. Tutti i sintomi sparirono di colpo. Nel giro di una settimana riapparvero
gradualmente. Il paziente si masturbò una seconda volta. I sintomi scomparvero come la
prima volta per ricomparire poi gradualmente. Ciò si ripeté per diverse settimane.
Finalmente si riuscì a scoprire il suo senso di colpa onanistico e ciò permise di correggere
alcuni suoi modi dannosi di comportarsi. Il suo stato migliorò visibilmente. Dopo nove
mesi di cura lo dimisi in condizioni molto migliori e in grado di lavorare. Per sei anni
ricevetti notizie sulle sue condizioni. Più tardi si sposò e continuò a stare bene.
Nello stesso periodo analizzavo anche il cameriere, di cui ho già parlato, che
soffriva di incapacità totale di erezione. Il trattamento procedette senza difficoltà. Al terzo
anno di analisi si arrivò alla perfetta ricostruzione della «scena originaria». Aveva circa
due anni. Sua madre partorì un altro figlio. Dalla stanza accanto egli poté osservare
perfettamente quanto accadeva. L’immagine di un grande buco sanguinante tra le gambe
gli si impresse violentemente. Di quanto accadde, nella sua coscienza, rimase soltanto la
sensazione di un «vuoto» nei propri genitali. Secondo le cognizioni psicoanalitiche del
tempo, collegai l’assenza di erezione soltanto con l’impressione gravemente traumatica
dell’organo genitale femminile «castrato». Ciò era indubbiamente esatto. Solo da pochi
anni ho incominciato a notare e a comprendere il «senso di vuoto nei genitali» nei miei
pazienti. Esso corrisponde a una sottrazione di energia biologica. A quel tempo diedi un
giudizio errato sull’atteggiamento del mio paziente nel suo complesso. Egli era molto
calmo, ordinato, «buono» e faceva tutto quello che gli si chiedeva di fare. Non si
inquietava mai. In tre anni di cura non aveva avuto un solo scatto d’ira, né aveva
formulato una critica. Secondo le concezioni del tempo aveva un carattere perfettamente
«integrato» e «adattato» con un solo grave sintomo («nevrosi monosintomatica»). Riferii
sul caso al Seminario tecnico. Fu lodato il corretto inquadramento della scena originaria
traumatica. Sul piano teorico ero riuscito a chiarire perfettamente il sintomo della
mancanza di erezione. Poiché il paziente era laborioso e inserito, «adattato alla
realtà» – come si soleva dire – nessuno di noi fu colpito dal fatto che proprio quella
quiete nella sua vita affettiva, quella assoluta imperturbabilità rappresentavano la base
caratteriale gravemente malata su cui poteva persistere l’impotenza erettiva. I miei
colleghi più anziani considerarono il lavoro analitico che avevo svolto completo e
corretto. Io, invece, mi allontanai dalla riunione con un senso di insoddisfazione. Se tutto
era così bene a posto, perché l’impotenza rimaneva immutata? Qui doveva esserci una
lacuna che nessuno di noi comprendeva. Alcuni mesi dopo dimisi il paziente senza che
questi fosse guarito. Egli accettò il fatto con lo stesso stoicismo con cui aveva accettato
tutto, per tutto quel tempo. Il lavoro su questo paziente mi permise di sviluppare
l’importante concetto analitico caratteriale di «blocco emozionale». Avevo così
individuato l’importantissima correlazione esistente tra l’odierna struttura caratteriale
umana, dovuta al raffreddamento emozionale, e la progressiva insensibilità genitale.
Era l’epoca in cui la psicoanalisi richiedeva tempi di cura sempre più lunghi.
Quando iniziai la mia attività, sei mesi erano ritenuti già tanti. Nel 1923 un anno di cura
era ormai considerato normale. Si diffuse l’opinione che due o più anni di cura sarebbero
stati meglio. Le nevrosi erano considerate malattie gravi e complicate. Freud aveva tratto
la sua Storia di una nevrosi infantile, un libro divenuto famoso, da un caso che aveva
richiesto cinque anni di cura. Certo, egli ne aveva ricavato la conoscenza di tutto il
mondo delle esperienze infantili. Gli psicoanalisti facevano invece di necessità virtù.
Abraham affermava che ci volevano anni per comprendere una depressione cronica. A
suo avviso la «tecnica passiva» era l’unica possibile. I miei colleghi scherzavano spesso
sulla sonnolenza che li coglieva durante le ore di analisi. Quando per ore e ore un
paziente non forniva alcuna associazione, bisognava fumare molto per non
addormentarsi. Certi analisti dedussero addirittura da questo stato di cose splendide
teorie: se il paziente taceva, la «tecnica perfetta» esigeva dallo psicoanalista, per ore e per
settimane, un identico silenzio. Ebbi sin dall’inizio la sensazione che questo modo di fare
fosse completamente sbagliato. Provai lo stesso ad applicare questa «tecnica». Non diede
alcun risultato. I pazienti manifestavano un profondo senso di scoramento, di disagio, e di
conseguenza diventavano cocciuti. Le storielle, come quella dell’analista che nel corso di
una seduta si sveglia da un sonno profondo e trova il divano vuoto, non servivano di certo
a migliorare la situazione.
Altrettanto inutili erano le dotte spiegazioni secondo le quali l’analista poteva
tranquillamente appisolarsi perché tanto il suo inconscio avrebbe continuato a vegliare,
profondamente preoccupato per il paziente. Il suo inconscio avrebbe avuto inoltre la
capacità, al momento del risveglio, di inserirsi proprio nel punto in cui era giunto il
discorso del paziente. La situazione era deprimente e appariva disperata. D’altra parte
Freud ammoniva di non lasciarsi prendere dall’ambizione terapeutica. Lo compresi solo
molti anni dopo. Le affermazioni degli psicoterapeuti erano false. Inizialmente lo stesso
Freud, dopo aver scoperto i meccanismi inconsci, aveva sperato di poter procedere nella
direzione di una sicura psicoterapia causale. Si era ingannato. La sua delusione deve
essere stata grande. La sua conclusione, che si doveva prima di tutto continuare a cercare,
era esatta. Le ambizioni terapeutiche premature non favoriscono la scoperta di fatti nuovi.
Ignoravo come chiunque altro quale sarebbe stato l’aspetto della terra inesplorata in cui
questa necessaria ricerca avrebbe finito per condurci. Non sospettavo neppure
lontanamente che era la paura delle conseguenze sociali della psicoanalisi a spingere gli
psicoanalisti ad assumere quel loro bizzarro comportamento di fronte al problema della
terapia. Si trattava delle seguenti questioni:
1. È completa la teoria freudiana dell’eziologia delle nevrosi?
2. È possibile una teoria scientifica della tecnica e della terapia?
3. La teoria freudiana delle pulsioni è esatta e completa? In caso contrario in che
punto e sotto quale aspetto è manchevole?
4. Da dove viene la necessità della rimozione sessuale, e quindi l’epidemia delle
nevrosi?
Queste domande contenevano allo stato embrionale tutto quello che in seguito si
sarebbe chiamato sessuoeconomia.
Oggi posso formulare retrospettivamente queste domande che, se fossero state
formulate coscientemente a quell’epoca, mi avrebbero trattenuto per sempre da ogni
ulteriore ricerca. Sono felice di essere stato all’oscuro di tutto, di non avere minimamente
sospettato quali sarebbero state le loro conseguenze, di essermi dedicato ingenuamente
all’attività psicoanalitica e al completamento della costruzione teorica psicoanalitica,
credendo di agire nel nome di Freud e per l’opera della sua vita. Profondamente attaccato
all’opera della mia vita, non rimpiango per un solo istante il fatto che questo mio
atteggiamento non molto consapevole mi abbia procurato in seguito molte sofferenze.
Esso è stato il presupposto delle mie successive scoperte.
2. Integrazione della teoria freudiana della nevrosi d’angoscia
Come ho già accennato, arrivai a Freud attraverso la sessuologia. Non c’è quindi
da stupirsi che la sua teoria delle nevrosi attuali, da me chiamate nevrosi da stasi
sessuale, mi sembrasse più simpatica e più scientifica dell’«interpretazione» del
«significato», dei sintomi nelle «psiconevrosi». Freud definiva nevrosi attuali quelle
malattie che nascevano a causa dei disordini della vita sessuale attuale. A suo avviso le
nevrosi d’angoscia e la nevrastenia erano invece malattie prive di una «eziologia
psichica», erano l’espressione immediata di un ingorgo della sessualità. Erano simili a
intossicazioni. Freud supponeva l’esistenza di «sostanze chimiche sessuali» che, se
irregolarmente «metabolizzate», provocavano palpitazioni, irregolarità del battito
cardiaco, stati ansiosi acuti, sudori improvvisi e altri sintomi vegetativi. Freud era ben
lungi dallo stabilire un rapporto tra la nevrosi d’angoscia e il sistema vegetativo. La
nevrosi d’angoscia – egli sosteneva, in base alle sue esperienze cliniche – sorgeva in
seguito all’astinenza sessuale o alla pratica del coitus interruptus. Essa doveva essere
distinta dalla nevrastenia, che al contrario era causata dall’«abuso sessuale», vale a dire
da una sessualità sregolata, per esempio da masturbazioni troppo frequenti, ed era
caratterizzata da mal di schiena, emicranie, generale irritabilità, turbe della memoria e
della capacità di concentrazione ecc. Freud classificava quindi talune sindromi non
comprese dalla neurologia e dalla psichiatria ufficiale, in base alla loro eziologia. Per
questo motivo a quel tempo venne criticato dallo psichiatra Löwenfeld, il quale, come
centinaia di altri psichiatri, negava totalmente l’eziologia sessuale delle nevrosi. Freud si
attenne alla terminologia clinica ufficiale. A suo avviso i sintomi citati non facevano
sospettare alcun contenuto psichico, a differenza delle psiconevrosi, e in particolare nel
caso dell’isteria e della nevrosi ossessiva. Queste malattie rivelavano nei sintomi un
contenuto tangibile, anch’esso invariabilmente sessuale. Si trattava semplicemente di
intendere il concetto di sessualità in senso lato e in modo sensato. Al centro di ogni
psiconevrosi vi era la fantasia d’incesto e la paura di lesioni ai genitali. Si trattava
beninteso di immaginazioni sessuali infantili e inconsce che si esprimevano nei sintomi
psiconevrotici. Freud distingue rigorosamente le nevrosi attuali dalle psiconevrosi.
Ovviamente nell’attività psicoanalitico-clinica le psiconevrosi occupavano un posto di
primo piano. Secondo Freud le nevrosi attuali potevano essere guarite eliminando le
pratiche sessuali dannose. La nevrosi d’angoscia si poteva quindi guarire sopprimendo
l’astinenza o il coitus interruptus, la nevrastenia sopprimendo l’eccessiva masturbazione.
Le psiconevrosi invece, secondo Freud, esigevano un trattamento psicoanalitico.
Nonostante questa rigorosa separazione, Freud ammetteva un rapporto tra i due gruppi di
malattie. Riteneva che quasi tutte le psiconevrosi facessero perno «attorno a un nucleo
nevrotico attuale». A quest’ultima frase, molto convincente, si riallacciarono le mie
ricerche sull’angoscia da stasi. In seguito Freud non pubblicò più nulla su questo tema.
Nella nevrosi attuale freudiana l’energia sessuale è diretta in modo sbagliato sul
piano biologico. Le è impedito l’accesso alla coscienza e alla motilità. L’angoscia attuale
e i sintomi nervosi determinati direttamente sul piano fisiologico sono in un certo senso
escrescenze maligne, alimentate dall’eccitazione sessuale non scaricata. Ma anche le
strane costruzioni psichiche delle nevrosi ossessive e delle isterie assomigliavano a
escrescenze maligne, biologicamente assurde. Dove attingevano la loro energia?
Indubbiamente dal «nucleo nevrotico attuale» dell’eccitazione sessuale ingorgata. Questa
doveva quindi essere anche la fonte di energia delle psiconevrosi. L’allusione di Freud
non poteva essere interpretata in altro modo. Solo questa risposta poteva essere quella
giusta. Infastidiva l’obiezione sollevata dalla maggioranza degli psicoanalisti contro la
teoria freudiana delle nevrosi attuali. Essi affermavano che le nevrosi attuali non
esistevano affatto. Anche questi disturbi dovevano avere un’«origine psichica». Anche
nella cosiddetta «angoscia diffusa» si potevano rilevare contenuti psichici inconsci. Il
portavoce di questa teoria era Stekel. A suo avviso tutti i tipi di angoscia e di disturbi
nervosi avevano cause psichiche e non somatiche come era stato affermato per le nevrosi
attuali. Al pari degli altri, Stekel non vedeva la differenza fondamentale tra il contenuto
psicosomatico e quello psichico di un sintomo. Freud non risolse questa contraddizione,
ma non rinunciò alla sua distinzione fra i due gruppi di nevrosi. D’altra parte notavo un
gran numero di sintomi organici svolgendo la mia attività all’Ambulatorio
psicoanalitico.1 Era però innegabile che anche i sintomi delle nevrosi attuali avevano una
sovrastruttura psichica. Le nevrosi attuali pure erano rare. La linea di demarcazione non
era così rigorosa come pensava Freud. Simili problemi specialistici possono apparire
irrilevanti al profano. Vedremo in seguito che in essi si celavano questioni decisive per la
salute dell’uomo.
La psiconevrosi aveva dunque indubbiamente un nucleo nevrotico da stasi e la
nevrosi da stasi aveva una sovrastruttura psiconevrotica, La distinzione aveva ancora un
senso? Non si trattava forse soltanto di aspetti quantitativi?
Mentre la maggioranza degli analisti attribuiva tutto ai contenuti psichici dei
sintomi nevrotici, eminenti psicopatologi – come, per esempio, Jaspers nella sua
Psicopatologia – negavano totalmente il carattere scientifico dell’interpretazione
psicologica e quindi anche quello della psicoanalisi. Il «significato» di un atteggiamento
o di un’azione psichica poteva essere compreso solo sul piano delle «scienze morali» e
non sul piano delle scienze naturali. Le scienze naturali si occupano solo di quantità ed
energie, mentre le scienze morali si occupano di qualità psichiche. Non esisteva un ponte
tra il quantitativo e il qualitativo. Si trattava di risolvere un problema decisivo: il carattere
scientifico della psicoanalisi e del suo metodo. In altri termini: è possibile una psicologia
scientifica nel senso stretto della parola? La psicoanalisi può pretendere di esserla? O
rappresenta soltanto uno dei tanti rami delle scienze morali? Freud non si preoccupò di
questi problemi metodologici e continuò tranquillamente a pubblicare le sue osservazioni
cliniche. Egli non amava le discussioni filosofiche. Io invece mi trovavo a dover
combattere simili argomenti sostenuti da avversari incompetenti. Costoro volevano
accomunarci agli spiritisti e liquidare così il problema. Ma noi sapevamo che per la prima
volta nella storia della psicologia stavamo operando nel campo delle scienze naturali.
Volevamo essere presi sul serio. Nel corso delle aspre lotte per la chiarificazione di questi
problemi, nella discussione con gli avversari vennero affilate le armi con cui più tardi
difesi la causa di Freud. Se soltanto la psicologia sperimentale è una «scienza naturale»
nel senso di Wundt, perché misura quantitativamente le reazioni, se la psicoanalisi non
svolge una ricerca scientifica perché non effettua misurazioni quantitative ma si limita a
descrivere e a interpretare sconnesse manifestazioni psichiche, allora – pensai – le
scienze naturali sono sbagliate. Infatti Wundt e i suoi allievi non sapevano nulla
dell’uomo nella sua lealtà vivente. Essi lo giudicavano in base al numero di secondi che
gli occorrevano per reagire alla parola «cane». Così fanno ancora oggi. Noi invece
giudicavamo un uomo in base a come affrontava i suoi conflitti nella vita, in base ai
motivi che lo spingevano ad agire. Per me, dietro questi argomenti si profilava la
domanda se fosse possibile cogliere più concretamente il concetto freudiano di «energia
psichica», o se fosse addirittura possibile inserirlo nel concetto generale di energia.
Non si possono controbattere le argomentazioni filosofiche con i fatti. Il filosofo e
fisiologo viennese Allers rifiutava di prendere in considerazione il problema della vita
psichica inconscia, poiché l’ipotesi di un «inconscio» era «filosoficamente sbagliata a
priori». Anche oggi vengono sollevate simili obiezioni. Quando affermo che sostanze
altamente sterilizzate sono in grado di vivere, mi si risponde che non è vero, che il vetrino
doveva essere sporco, o che si trattava del «movimento di Brown». Il fatto che sia facile
distinguere lo sporco del vetrino dai bioni e il movimento di Brown dal movimento
vegetativo non ha alcuna importanza. In breve, la «scienza obiettiva» rappresenta un
grosso problema.
In questa confusione mi vennero inaspettatamente in aiuto alcune osservazioni
che avevo fatto svolgendo la mia quotidiana attività clinica, come quelle effettuate sui
due malati di cui ho già parlato. Gradualmente divenne chiaro che l’intensità di una
rappresentazione psichica dipende dalla momentanea eccitazione somatica con cui è
connessa. L’affetto nasce dalle pulsioni, quindi dal somatico. La rappresentazione è
invece un prodotto estremamente «psichico», «non somatico». In che modo la
rappresentazione «non somatica» è quindi connessa alla eccitazione «somatica»? In
stato di piena eccitazione sessuale, la rappresentazione dell’atto sessuale è viva e
incalzante. Dopo il soddisfacimento, per un certo periodo di tempo, non può essere
riprodotta, è opaca, incolore e in un certo senso svanita. Proprio qui doveva celarsi
l’enigma del rapporto tra nevrosi d’angoscia fisiogena e psiconevrosi psicogena. Dopo il
soddisfacimento sessuale il mio paziente aveva perso momentaneamente tutti i sintomi di
coazione psichica. Quando tornava l’eccitazione tornavano anche i sintomi fino al
soddisfacimento successivo. Il secondo paziente aveva invece chiarito meticolosamente
tutti i suoi problemi sul piano psichico, ma continuò a non provare alcuna eccitazione
sessuale. Le rappresentazioni inconsce da cui dipendeva la sua impotenza erettiva non
erano state influenzate dal trattamento.
Il problema incominciò a prendere forma. Compresi ormai che una
rappresentazione psichica con una quantità minima di eccitazione può provocare un
aumento dell’eccitazione. L’eccitazione così provocata rende viva e incalzante la
rappresentazione. Se l’eccitazione cessa, anche la rappresentazione si dissolve. Se non si
verifica la rappresentazione cosciente dell’atto sessuale, come nel caso della nevrosi da
stasi, a causa dell’inibizione morale, allora l’eccitazione si associa ad altre
rappresentazioni che possono essere pensate più liberamente. Ne dedussi quanto segue: la
nevrosi da stasi è un disturbo «somatico», provocato da un’eccitazione sessuale mal
diretta perché insoddisfatta. Ma senza un’inibizione psichica, l’eccitazione sessuale non
avrebbe mai potuto essere mal diretta. Mi meravigliai che questa circostanza fosse
sfuggita a Freud. Una volta che un’inibizione ha provocato l’ingorgo sessuale, può
capitare facilmente che esso rafforzi l’inibizione e che riattivi rappresentazioni infantili al
posto di quelle normali. Esperienze infantili, che in sé non hanno nulla di patologico, a
causa di un’inibizione attuale possono caricarsi di un eccesso di energia sessuale. Una
volta che ciò è accaduto, esse divengono pressanti, entrano in contraddizione con
l’organizzazione psichica adulta e devono essere soffocate con la rimozione. Sorge così la
psiconevrosi cronica con i suoi contenuti sessuali infantili, sulla base di un’inibizione
sessuale determinata da circostanze attuali e che inizialmente appare «innocua». Questa è
la natura della «regressione nevrotica a meccanismi infantili» descritta da Freud. Tutti i
casi da me trattati rivelavano l’esistenza del suddetto meccanismo. Se la nevrosi non era
esistita sin dall’infanzia, ma era esplosa tardi, allora un’inibizione sessuale «normale» o
una difficoltà della vita sessuale avevano prodotto un ingorgo, e questo ingorgo aveva
attivato i desideri incestuosi e le angosce sessuali infantili.
La domanda successiva era: l’inibizione sessuale che sta all’origine di ogni
nevrosi cronica e l’abituale negazione della sessualità sono «nevrotici» o «normali»?
Nessuno ne parlava. Sembrava che l’inibizione sessuale di una ragazza borghese bene
educata fosse del tutto ovvia. Anch’io la pensavo così, o meglio, in un primo tempo non
ci avevo nemmeno pensato. Se una donna giovane e piena di vita, a causa di un
matrimonio che la lasciava insoddisfatta sessualmente, sviluppava una nevrosi da stasi,
per esempio un’angoscia cardiaca nervosa, nessuno si chiedeva quale fosse l’inibizione
che le impediva, nonostante tutto, di raggiungere il soddisfacimento sessuale. Con
l’andare del tempo poteva svilupparsi una vera e propria isteria o una nevrosi ossessiva.
La causa prima della nevrosi era l’inibizione morale, la sua spinta era la sessualità
insoddisfatta.
A questo punto i problemi offrivano molte soluzioni. Chi intendeva affrontarli
rapidamente e decisamente si imbatteva però in una serie di grossi ostacoli. Per sette anni
credetti di lavorare completamente nel senso di Freud. Nessuno sospettava che ponendo i
problemi in questi termini si verificava un fatale intreccio di concezioni scientifiche che
erano sostanzialmente inconciliabili. La mia ingenuità mi aveva trascinato in un groviglio
di correlazioni di cui sento ancor oggi gli effetti.
3. La potenza orgastica
1. L’erezione è piacevole e non dolorosa come nel caso del priapismo («erezione a
freddo») o di spasmi del pavimento pelvico o dello spermidutto.
L’organo genitale non è sovraeccitato come nel caso di astinenza prolungata o nei
casi di eiaculatio praecox. Il sangue affluisce nel genitale femminile che, attraverso
un’abbondante secrezione delle ghiandole genitali, si inumidisce in modo specifico.
Cioè nel caso in cui la funzione genitale non sia disturbata, la secrezione ha
proprietà chimiche e fisiche specifiche che mancano quando la funzione genitale è
turbata.
Determinante è l’eccitazione delle mucose della vagina. Un’importante
caratteristica della potenza orgastica dell’uomo è la spinta a penetrare. Possono infatti
verificarsi erezioni senza questa spinta, come, per esempio, nel caso di alcuni caratteri
narcisistici erettivamente potenti, e nella satiriasi.
2. Uomo e donna sono affettuosi, senza impulsi contraddittori. Vanno considerate
deviazioni patologiche da questo comportamento: l’aggressività risultante da impulsi
sadici, come nel caso di certi nevrotici ossessivi con potenza erettiva, e l’inattività del
carattere passivo-femminile. Nel «coito onanistico» con un oggetto non amato, manca la
tenerezza. Normalmente l’attività della donna non si distingue in nulla da quella
dell’uomo. La passività della donna, tanto largamente diffusa, è patologica ed è spesso il
risultato delle fantasie masochistiche di essere violentate.
3. Il piacere, che durante gli atti preliminari si è mantenuto circa allo stesso
livello, aumenta improvvisamente in ugual misura – sia nell’uomo sia nella donna – con
la penetrazione del membro. Alla sensazione dell’uomo di «venire succhiato»
corrisponde la sensazione della donna di «succhiare il pene».
Schema delle fasi tipiche dell’atto sessuale con potenza orgastica nei due sessi
P = prepiacere (1, 2); Pe = penetrazione (3); I (4, 5) = fase del controllo volontario
dell’eccitazione, e nel quale il prolungamento non è ancora dannoso; II (6 a-d) = fase
delle contrazioni muscolari involontarie e dell’aumento automatico del piacere; III (7) =
improvvisa e rapida ascesa verso l’acme (A); IV (8) = orgasmo: le parti tratteggiate
rappresentano la fase delle contrazioni involontarie del corpo; V (9, 10) = rapida caduta
dell’eccitazione; R = rilassamento: durata, dai cinque ai venti minuti.
1. Difficoltà e contraddizioni
Prima di tutto devo descrivere i tratti fondamentali dei lavori preliminari. Questo
permetterà a molti di comprendere meglio la teoria sessuoeconomica del carattere e della
struttura, piuttosto che con un’esposizione sistematica come ho fatto nel mio libro
Charakteranalyse. Qui la teoria analitica del carattere può ancora apparire come un
ampliamento della teoria delle nevrosi di Freud. Presto entrò però in contraddizione con
essa. Si sviluppò nella lotta contro le concezioni meccanicistiche della psicoanalisi.
La terapia psicoanalitica doveva scoprire ed eliminare le resistenze, non
interpretare direttamente fatti inconsci. Per principio doveva quindi partire dalla difesa
psichica delle pulsioni inconsce compiuta dall’Io morale. Ma non si trattava soltanto di
spezzare uno strato della difesa dell’Io dietro il quale stava il grande regno dell’inconscio.
In realtà, i desideri pulsionali e le funzioni difensive dell’Io permeano, strettamente
intrecciati, l’intera struttura psichica.
In questo consiste la difficoltà reale. Lo schema freudiano dei rapporti tra
«inconscio», «preconscio» e «conscio» e il suo schema della struttura psichica costituita
dall’«Es», dall’«Io» e dal «Super-io» non combaciavano; spesso si contraddicevano.
L’«Inconscio» di Freud non è identico all’«Es». Quest’ultimo è più esteso; il primo
comprende i desideri rimossi e parti importanti del Super-io morale. Poiché il Super-io
deriva dal rapporto incestuoso figli-genitori, esso ne presenta anche i tratti arcaici. Esso
stesso è caratterizzato da una grande intensità pulsionale, di tipo soprattutto aggressivo e
distruttivo. L’«Io» non è identico con il sistema della «coscienza». La difesa dell’Io
contro desideri sessuali proibiti è essa stessa rimossa. Inoltre l’Io è soltanto una parte
particolarmente differenziata dell’Es, anche se più tardi – sotto l’influenza del Super-
io – entra in contrasto con l’Es, cioè con la sua propria origine. Se si comprende
esattamente Freud, ciò che appartiene alla «prima infanzia» non coincide senz’altro con
l’«Es» o l’«Inconscio», ciò che appartiene alla fase adulta non coincide con l’«Io» o il
«Super-io». Volevo mostrare solo alcune difficoltà della teoria psicoanalitica, senza
volerle discutere o risolvere. Questo compito lo lascio volentieri ai teorici della
psicoanalisi. La ricerca caratteriale sessuoeconomica ha comunque fornito alcune
importanti soluzioni a tali problemi. La sua concezione dell’apparato psichico non è di
natura psicologica bensì biologica.
Ai fini dell’attività clinica, la distinzione tra «rimosso» e «capace di diventare
cosciente» era di primaria importanza. Altrettanto dicasi per la distinzione delle singole
fasi infantili di sviluppo della sessualità. Con queste distinzioni si poteva operare sul
piano pratico. A quel tempo non si poteva operare con l’Es che non si riusciva a cogliere
e con il Super-io che era soltanto una costruzione e che si manifestava sul piano pratico
come angoscia della coscienza. Non si poteva operare neppure con l’inconscio in senso
stretto poiché, come osserva giustamente Freud, si manifesta soltanto nei suoi derivati,
cioè nelle manifestazioni già coscienti. Per Freud l’inconscio non è mai stato altro che
un’«ipotesi indispensabile». Immediatamente tangibili erano in pratica le manifestazioni
pulsionali pregenitali dei malati e le differenti forme di difesa morale o ansiosa delle
pulsioni. Il fatto che a quel tempo gli psicoanalisti nei loro lavori teorici non si rendessero
conto delle differenze fra teoria, costruzione ipotetica e dati di fatto praticamente visibili
e modificabili, che pensassero di cogliere praticamente l’inconscio, ha contribuito molto
a creare confusione. Ciò ha bloccato le ricerche sulla natura vegetativa dell’Es e quindi
l’accesso alla base biologica delle funzioni psichiche.
Mi trovai di fronte per la prima volta alla stratificazione dell’apparato psichico nel
caso già citato del giovane passivo-femminile, con sintomi isterici, incapacità di lavorare
e impotenza ascetica. Egli era molto cortese e, a causa della sua paura, estremamente
furbo. Era quindi remissivo in tutto. La cortesia costituiva lo strato visibile più esterno
della sua struttura. Forniva una gran quantità di notizie sul suo legame sessuale con la
madre. «Offriva in sacrificio» tutto ciò senza alcuna convinzione interiore. Non feci caso
a quanto diceva, ma accentrai tutta la mia attenzione sulla sua cortesia come difesa contro
ogni comprensione realmente affettiva. Nei suoi sogni l’odio nascosto andava
aumentando. Quando la sua cortesia diminuì, divenne offensivo. La cortesia non era
quindi stata altro che uno strumento per respingere l’odio. Lo lasciai esplodere
completamente distruggendo ognuno dei suoi freni. Fino a quel momento l’odio era stato
un comportamento inconscio. Odio e cortesia erano antitetici. L’eccessiva cortesia era
nello stesso tempo una velata espressione di odio. Le persone troppo cortesi sono
generalmente le più prive di scrupoli e le più pericolose.
L’odio liberato era a sua volta una difesa contro una profonda paura del padre.
Esso era quindi nello stesso tempo una parziale pulsione rimossa e una difesa inconscia
dell’Io contro l’angoscia. Più chiaramente appariva l’odio e più evidenti divenivano
anche le manifestazioni di angoscia. Infine l’odio cedette il posto a una nuova angoscia.
L’odio non era affatto il risultato di un’aggressività infantile primaria, ma si era formato
più tardi. La nuova angoscia che si era manifestata era l’espressione di una protezione
contro uno strato più profondo di odio distruttivo. Il primo aveva trovato soddisfazione
nella derisione e nella denigrazione. L’atteggiamento distruttivo più profondo si
componeva di impulsi omicidi nei confronti del padre. Si esprimeva in sensazioni e
fantasie, dopo che la paura di esso (Destruktionsangst) fu eliminata. Questo
atteggiamento distruttivo era quindi l’elemento rimosso soffocato dall’angoscia.
Ma nello stesso tempo esso era identico a questa angoscia di distruzione. Infatti
esso non poteva manifestarsi senza produrre angoscia, e l’angoscia di distruzione non
poteva manifestarsi senza tradire nello stesso tempo l’aggressività distruttiva. In tal modo
compresi l’unità funzionale antitetica della difesa e di ciò che è difeso, da cui uscì uno
schema importante. Solo otto anni più tardi seguì la pubblicazione.
La distruzione pulsionale contro il padre era a sua volta una protezione dell’Io
contro la distruzione da parte del padre. Quando incominciai a smantellarla e mostrai che
si trattava di una protezione, apparve l’angoscia genitale. Le intenzioni distruttive contro
il padre avevano quindi il compito di proteggerlo dalla castrazione da parte del padre. La
paura di venire castrato, mascherata dall’odio distruttivo per il padre, era essa stessa una
difesa contro uno strato ancora più profondo di aggressività distruttiva. Cioè quella di
privare il padre del membro e in tal modo di liberarsi di lui in quanto rivale presso la
madre. Il secondo strato di distruzione era soltanto distruttivo; il terzo era distruttivo con
un significato sessuale. Esso era tenuto in scacco dalla paura di castrazione, ma difendeva
uno strato molto profondo e forte costituito da un atteggiamento passivo, amoroso e
femminile verso il padre. L’essere donna nei confronti del padre equivaleva a essere
castrato, cioè a non avere il pene. Per questo l’Io del bambino doveva difendersi da
questo amore con una forte aggressività distruttiva contro il padre. Era il piccolo uomo
sano che si difendeva in questo modo. E questo piccolo uomo desiderava intensamente
sua madre. Quando fu eliminata la sua femminilità respinta, la stessa che nel suo carattere
affiorava in superficie, apparve il suo desiderio incestuoso, e con esso la sua piena
eccitabilità genitale. Per la prima volta divenne erettivamente potente, pur essendo però
ancora disturbato sul piano orgastico.
Per la prima volta, procedendo per strati, mi era riuscita un’analisi della resistenza
e del carattere, sistematica e ordinata.1 Con il concetto di «stratificazione dell’armatura»
(Panzerschichtung) si aprirono molte possibilità per il lavoro clinico. Le forze e le
contraddizioni psichiche non avevano più un aspetto caotico, ma si presentavano come un
tessuto ordinato, storicamente e strutturalmente comprensibile. La nevrosi di ogni
paziente rivelava una struttura particolare. La struttura della nevrosi corrispondeva al suo
sviluppo. Ciò che nell’infanzia era stato represso per ultimo si trovava più in superficie.
Ma le fissazioni della prima infanzia coperte da successive fasi conflittuali erano nello
stesso tempo dinamicamente profonde e superficiali. La fissazione orale di una donna per
suo marito, per esempio, che deriva da una profonda fissazione al seno materno, può
appartenere allo strato più superficiale, se essa si trova a dovere respingere l’angoscia
genitale nei confronti del marito. Dal punto di vista energetico, la difesa dell’Io non è
altro che una pulsione rimossa nella sua funzione rovesciata. Questo vale per tutti gli
atteggiamenti morali dell’uomo moderno.
Normalmente, la struttura della nevrosi corrispondeva allo sviluppo, con una
successione inversa. L’«unità antitetico-funzionale della pulsione e della difesa»
permetteva di cogliere contemporaneamente le esperienze attuali e quelle della prima
infanzia. Non esisteva più alcun contrasto tra storico e attuale. Tutta l’esperienza del
passato viveva nel presente sotto forma di atteggiamenti caratteriali. L’essenza di un
uomo è la somma funzionale di tutte le esperienze passate. Queste affermazioni, che
possono sembrare accademiche, sono decisive per la comprensione del cambiamento
della struttura dell’uomo.
Questa struttura non era uno schema che imponevo ai malati. La logica con cui si
scoprivano e si eliminavano, dissolvendo le resistenze, i vari strati dei meccanismi di
difesa mi diceva che la stratificazione esiste realmente e in modo obiettivamente
indipendente da me. Confrontai le stratificazioni caratteriali con quelle geologiche,
anch’esse storia solidificata. Un conflitto che in un certo periodo della vita è stato vissuto
fino in fondo lascia regolarmente una traccia, che si manifesta sotto forma di indurimento
caratteriale. Esso funziona automaticamente ed è difficile da eliminare. Il paziente non lo
sente come qualche cosa di estraneo, ma spesso come un irrigidimento o come una
perdita di vivacità. Ognuno di questi strati della struttura caratteriale rappresenta una fase
di vita vissuta, conservata in altra forma e sempre in altra forma attuale e operante. La
pratica dimostrava che, smuovendo questi strati, il vecchio conflitto poteva più o meno
facilmente rivivere. Se gli strati irrigiditi del conflitto erano particolarmente numerosi e
automatizzati, e se essi formavano un’unità compatta nella quale era difficile penetrare, li
si percepiva allora come un’«armatura» che circondava l’organismo vivente. Tale
armatura poteva trovarsi «in superficie» o «in profondità», poteva essere «molle come
una spugna» o «dura come un sasso». In ogni caso essa aveva la funzione di proteggere
dal dispiacere. Con questo l’organismo perdeva anche una parte della sua capacità di
provare piacere. Il contenuto latente dell’armatura era costituito dalle gravi esperienze
conflittuali. L’energia che teneva insieme l’armatura, nella maggior parte dei casi, era
mania distruttiva legata. Questo era dimostrato dal fatto che non appena l’armatura
veniva scossa, si liberava immediatamente l’aggressività. Da dove veniva questa
aggressività distruttiva e carica d’odio? Che funzione aveva? Si trattava di una mania di
distruzione originaria, biologica? Passarono molti anni prima che si trovasse la soluzione
a questi interrogativi. Notavo che le persone reagivano con profondo odio a ogni tentativo
di scuotere l’equilibrio nevrotico dell’armatura, cosa questa che costituiva una delle
maggiori difficoltà nel lavoro di ricerca sulla struttura caratteriale. La stessa mania
distruttiva non era mai libera. Era sempre coperta da atteggiamenti caratteriali opposti.
Quando nella vita erano necessarie aggressività, azione, decisione e presa di posizione,
dominavano invece il riguardo, la cortesia, la riservatezza, la falsa modestia, in breve
tutte le virtù maggiormente apprezzate. Un fatto però era indubitabile: esse paralizzavano
qualsiasi reazione razionale, qualsiasi impulso vivo e attivo nell’uomo.
Nei casi in cui appariva una naturale aggressività nelle azioni, essa era confusa,
senza un obiettivo preciso e nascondeva un profondo senso di debolezza o un morboso
egoismo. Si trattava quindi di un’aggressività patologica, non sana e priva di un preciso
obiettivo.
Gradualmente incominciai a comprendere l’atteggiamento di odio latente che non
mancava mai nei malati. Se non ci si arenava nelle associazioni prive di affetto, se non ci
si accontentava delle interpretazioni dei sogni e se si affrontava l’atteggiamento di difesa
caratteriale del malato, allora questi diventava cattivo. In un primo tempo la cosa era
incomprensibile. Il paziente si lamentava dell’aridità della sua vita emozionale. Ma se gli
si mostrava la medesima aridità con lo stesso tono con cui egli ne parlava, imitando la sua
freddezza, il suo modo di fare enfatico o falso, allora si arrabbiava. Riteneva il sintomo
(un mal di capo o un tic) qualche cosa di estraneo. Invece egli stesso era la sua essenza.
Se glielo si faceva notare diveniva inquieto. Per quale motivo l’uomo non poteva
percepire la sua propria essenza? Visto che egli stesso è tale essenza! Gradualmente
compresi che proprio questa essenza costituisce la massa resistente che ostacolava gli
sforzi analitici. Tutta l’essenza, il carattere, l’individualità opponevano resistenza. Per
quale motivo? Dovevano certo svolgere una funzione segreta di difesa e di protezione.
Conoscevo bene la teoria del carattere di Adler. Stavo forse seguendo anch’io la sua falsa
pista? Constatavo che l’autoaffermazione, il senso di inferiorità, la volontà di potenza non
tolleravano di essere messi in piena luce. C’erano anche la vanità e la tendenza a
nascondere le debolezze. Dunque Adler aveva ragione. Ma egli aveva affermato che il
«carattere», «non la sessualità» erano la causa della malattia psichica. Dov’era dunque il
nesso tra meccanismi caratteriali e meccanismi sessuali? Infatti non dubitai un solo
istante che la teoria delle nevrosi di Freud, e non quella di Adler, fosse la teoria giusta.
Passarono anni prima che le cose mi apparissero chiare: la mania di distruzione
legata nel carattere non è altro che rabbia per le frustrazioni subite nella vita e per la
mancanza di soddisfacimento sessuale. Andando in profondità, ogni impulso distruttivo
cedeva il posto a un impulso sessuale. Il piacere di distruzione era soltanto la reazione
alla delusione in amore o alla perdita d’amore. Quando si cerca l’amore o il
soddisfacimento di una prorompente sessualità e si incontrano ostacoli insormontabili,
allora si incomincia a odiare. Ma l’odio non può essere sfogato fino in fondo, deve essere
legato per evitare l’angoscia che esso provoca. L’amore frustrato causa quindi angoscia.
Anche l’aggressività frenata produce angoscia; e l’angoscia inibisce l’espressione sia
dell’odio sia dell’amore. Allora compresi teoricamente nella sua costruzione ciò che
avevo capito analiticamente nella scomposizione della nevrosi: era la stessa cosa, ma in
ordine inverso, e portava al risultato più importante: l’individuo insoddisfatto sul piano
orgastico sviluppa un carattere falso e la paura delle reazioni automatiche vitali, quindi
anche dell’autopercezione vegetativa.
In questo periodo, nella psicoanalisi, la teoria sulle pulsioni di distruzione
incominciò a occupare una posizione di primo piano. Nel suo saggio sul masochismo
primario, Freud aveva apportato una modifica importante a una precedente concezione.
Inizialmente si diceva che l’odio era una forza pulsionale biologica parallela a quella
dell’amore. La mania di distruzione era diretta in un primo tempo contro il mondo
esterno. Sotto l’influenza di questo mondo, si rivoltava contro la persona stessa e
diventava masochismo, quindi desiderio di sofferenza. La cosa appariva ora capovolta.
All’origine c’era il «masochismo primario» o «pulsione di morte». Esso era già presente
nelle cellule. Rivoltandosi contro il mondo, generava l’aggressività distruttiva, che a sua
volta poteva essere rivoltata contro l’Io sotto forma di masochismo secondario.
Si presumeva che il celato atteggiamento negativo del malato venisse alimentato
dal masochismo. Lo stesso accadeva, secondo Freud, per la «reazione terapeutica
negativa» e l’«inconscio senso di colpa». Per molti anni lavorai sulle varie manie di
distruzione che causano sensi di colpa e stati depressivi, poi cominciai a comprendere la
loro importanza per quanto riguarda l’armatura caratteriale e la loro dipendenza
dall’ingorgo sessuale.
Con il consenso di Freud, intendevo riassumere in un libro ciò che si sapeva a
quel tempo sulla tecnica psicoanalitica. Per fare questo dovevo chiaramente prendere una
posizione sul problema della distruzione. Personalmente non avevo alcuna idea precisa in
proposito. In un saggio dal titolo «Weiterer Ausbau der “aktiven Technik”» Ferenczi
polemizzava contro Adler. «Le analisi caratteriali» scrisse «anche oggi non vengono mai
messe in primo piano nella nostra tecnica.» Secondo lui esse svolgevano «un certo ruolo»
solo alla fine del trattamento: «… vi si fa ricorso solo quando determinati tratti abnormi,
paragonabili alle psicosi, turbano il normale decorso dell’analisi». Con queste parole egli
esprimeva correttamente l’atteggiamento che la psicoanalisi aveva nei confronti della
funzione del carattere. Ero immerso nelle ricerche sul carattere.
Adler a suo tempo aveva proposto la sostituzione dell’analisi della libido con
l’analisi del carattere.
Stavo cercando di sviluppare la psicoanalisi in direzione dell’«analisi
caratteriale». Solo l’eliminazione della base caratteriale dei sintomi poteva portare a una
reale guarigione. La difficoltà consisteva nell’individuare quelle situazioni analitiche che
non richiedono un’analisi dei sintomi, bensì un’analisi del carattere. La mia tecnica si
differenziava dai tentativi caratteriali di Adler perché consisteva nell’analisi caratteriale
attraverso l’analisi del comportamento sessuale e non come diceva Adler: «Non analisi
della libido, ma del carattere…». La mia concezione dell’armatura caratteriale non ha
nulla in comune con la formulazione di Adler sui singoli tratti caratteriali. Ogni
riferimento a Adler, quando si parla della teoria sessuoeconomica della struttura, è indice
di un profondo malinteso. Certi tratti caratteriali, come il «senso di inferiorità» o la
«volontà di potenza», sono solo manifestazioni superficiali nel processo che conduce alla
formazione dell’armatura nel senso biologico dell’inibizione vegetativa di funzioni vitali.
In Der triebhafte Charakter (1925) in base alle esperienze fatte con malati
pulsionali, ero giunto alla conclusione che bisognava estendere l’analisi dei sintomi fino
all’analisi del carattere. Ciò era logico, ma non sufficientemente fondato sul piano clinico
e tecnico. Non sapevo come arrivarci e mi attenni alla teoria freudiana dell’Io e del
Super-io. Non era possibile elaborare una tecnica dell’analisi caratteriale con questi
concetti psicoanalitici ausiliari. Era necessaria una teoria funzionale della struttura
psichica, che potesse basarsi su dati di fatto biologici.
Nello stesso periodo e in base all’esperienza clinica era risultato chiaramente che
il fine della terapia delle nevrosi doveva essere la realizzazione della piena potenza
orgastica. Conoscevo il fine, l’avevo raggiunto solo con pochi malati, ma non sapevo
nulla della tecnica necessaria per raggiungerlo sicuramente. Inoltre, quanto più divenni
sicuro sul fine terapeutico da raggiungere, tanto più dovetti ammettere l’inadeguatezza
della mia abilità tecnica. Invece di attenuarsi, la contraddizione tra il fine e le mie
capacità diventava sempre più grande.
Gli schemi freudiani della funzione psichica risultarono utilizzabili sul piano
terapeutico solo in modo limitato. L’accesso alla coscienza di desideri e conflitti inconsci
aveva effetti considerevoli solo quando si ristabiliva anche la genitalità. Del bisogno
inconscio di punizione non si sapeva proprio cosa fare. Infatti, se esiste una profonda
pulsione biologica a rimanere malati e a soffrire, qualsiasi terapia è in partenza
condannata all’insuccesso!
Erano molti quelli che erano naufragati a causa della miseria terapeutica. Stekel
negava il lavoro sulla resistenza psichica per scoprire l’inconscio, e «puntava tutto
sull’interpretazione dell’inconscio» come fanno ancora oggi molti psicoanalisti
«indipendenti». Era una situazione disperata. Egli negava le nevrosi attuali e il complesso
di castrazione. Voleva ottenere rapide guarigioni. Per questo si era allontanato dal
cammino lento ma sicuro di Freud.
Adler negava che si potesse venire a capo del senso di colpa e dell’aggressività
con la teoria sessuale. Finì per diventare un filosofo finalista e un moralista sociale.
Jung aveva talmente generalizzato il concetto di libido che essa aveva perso
completamente il suo significato di energia sessuale. Finì per approdare nell’«inconscio
collettivo» e quindi nel misticismo, che sostenne più tardi ufficialmente come
nazionalsocialista.
Ferenczi, un uomo dotatissimo e davvero straordinario sul piano umano, si rese
perfettamente conto della miseria terapeutica. Cercò la soluzione nella sfera somatica.
Sviluppò una «tecnica attiva» sugli stati di tensione somatica, ma non conosceva la
nevrosi da stasi e non prese sul serio la teoria dell’orgasmo.
Anche Rank era consapevole della miseria terapeutica. Ammetteva il desiderio di
quiete, di tornare nel grembo materno. Fraintese la paura che gli uomini hanno di vivere
in questo mondo terribile e la interpretò biologicamente come trauma della nascita;
questo, secondo lui, doveva essere il nucleo centrale della nevrosi. Non si pose mai la
domanda perché gli uomini desiderano fuggire dalla vita reale per rifugiarsi nel ben
protetto grembo materno. Entrò in conflitto con Freud, che continuava a sostenere la
teoria della libido, e si staccò da lui.
Tutti naufragavano a causa di una domanda che è determinante in ogni situazione
psicoterapeutica: che deve fare il paziente della sua sessualità naturale, una volta che è
stata liberata dalla rimozione? Freud non vi accenna neppure, e, come si vedrà in seguito,
non voleva nemmeno sentirne parlare. Infine lo stesso Freud, evitando questa domanda
centrale, creò difficoltà gigantesche teorizzando la pulsione biologica di sofferenza e di
morte.
Tali questioni non potevano essere risolte teoricamente. L’esempio di Rank,
Alfred Adler, Jung ecc. ammoniva a non fare affermazioni che non fossero fondate fin nei
minimi dettagli sul piano clinico. Da parte mia correvo il rischio di semplificare troppo
l’intera problematica affermando: «Lasciate che i pazienti, se vivono in astinenza,
abbiano rapporti sessuali, lasciate che si masturbino e tutto si risolverà!». Gli analisti
cercarono di dare questa interpretazione distorta alla mia teoria della genitalità. A quel
tempo molti medici e psichiatri parlavano effettivamente in questi termini ai loro pazienti.
Avevano sentito che Freud attribuiva la causa della nevrosi all’ingorgo sessuale, e allora
lasciavano che i pazienti «si soddisfacessero». Cercavano terapie rapide. Non si
rendevano conto che la nevrosi è caratterizzata proprio dall’incapacità di raggiungere il
soddisfacimento. L’essenza di questo problema, apparentemente facile ma in realtà molto
complesso, risiedeva nell’«impotenza orgastica». Sin dalla mia prima osservazione avevo
notato che il soddisfacimento genitale fa sparire i sintomi. L’esperienza clinica insegnava
d’altro canto che solo eccezionalmente l’energia genitale è disponibile nella misura
necessaria. Si trattava di ricercare i centri e i meccanismi nei quali era legata o nei quali
veniva deviata. Il desiderio patologico di distruzione – o semplicemente la cattiveria degli
uomini – costituiva una di queste deviazioni biologiche dell’energia genitale. Per
giungere a questa conclusione era necessario un lavoro minuzioso, teoricamente rigoroso.
L’aggressività dei malati era indirizzata in modo sbagliato, gravata da sentimenti di colpa,
sottratta all’attività reale e nella maggior parte dei casi, essa stessa profondamente
rimossa. La teoria freudiana della mania distruttiva biologica originaria rendeva più
difficile la soluzione. Infatti, se le manifestazioni di sadismo e di brutalità cui assistiamo
nella vita quotidiana, in forma rimossa o libera, fossero espressione di una forza
pulsionale biologica, quindi naturale, allora la terapia delle nevrosi, così come le tanto
apprezzate prospettive culturali, si troverebbero in cattive acque. E se poi le pulsioni di
autodistruzione fossero addirittura date come biologicamente immutabili, allora non
esisterebbe altra prospettiva che il reciproco massacro degli uomini. E in tal caso le
nevrosi sarebbero manifestazioni biologiche.
Ma per quale ragione esercitavamo allora la professione di psicoterapeuti?
Dovevo vederci chiaro e non volevo ricorrere alla speculazione. Dietro simili
affermazioni operavano blocchi affettivi che impedivano di giungere alla verità. Inoltre,
la mia esperienza mi aveva indicato una via che conduceva a un fine pratico: l’ingorgo
sessuale è la conseguenza del disturbo della funzione dell’orgasmo. In linea di massima
le nevrosi possono essere guarite eliminando la loro fonte energetica, cioè l’ingorgo
sessuale. Questa via conduceva in campi segreti e pericolosi; l’energia genitale era legata,
coperta e trasformata in molti luoghi e in vari modi. Il mondo ufficiale aveva bandito
questo tema. La tecnica della ricerca e della terapia doveva essere tolta dalla miseria in
cui si trovava. Solo un metodo psicoterapeutico dinamico e utilizzabile sul piano pratico
poteva evitare che si sbagliasse pericolosamente strada. L’analisi caratteriale in tal modo,
nei dieci anni successivi, divenne la tecnica che aiutava a trovare le fonti coperte
dell’energia genitale. Come metodo terapeutico essa aveva quattro compiti:
1. Elaborazione dei dettagli del comportamento umano, anche durante l’atto
sessuale.
2. Superamento e comprensione del sadismo umano.
3. Ricerca delle più importanti manifestazioni psicopatologiche che affondano le
loro radici in periodi che precedono la fase genitale infantile. Si doveva chiarire in che
modo la sessualità non genitale impedisce la funzione genitale.
4. Ricerca delle cause sociali dei disturbi genitali.
Comincio con la descrizione del secondo compito.
4. Distruzione, aggressività e sadismo
La paura dell’orgasmo viene sentita spesso come paura della morte o paura di
morire. Se esiste una paura ipocondriaca delle catastrofi, allora il decorso di ogni forte
eccitazione viene frenato. La perdita della coscienza si trasforma da esperienza piacevole
in esperienza angosciosa. Si deve quindi perennemente «stare in guardia» e «non perdere
la testa»; si rimane «vigili». Ciò si manifesta con un’espressione corrugata della fronte e
delle sopracciglia.
Ogni forma di nevrosi ha il suo relativo disturbo genitale. L’isteria nelle donne
con un locale disturbo dell’eccitazione vaginale è accompagnata da una generale
ipersessualità. Il loro tipico disturbo genitale è l’astinenza a causa della paura genitale.
Gli uomini isterici, nell’atto, soffrono di impotenza erettiva o di eiaculatio praecox. Le
nevrosi ossessive sono accompagnate da una rigorosa e ben razionalizzata astinenza
ascetica. Le donne sono frigide, e generalmente non eccitabili. Gli uomini sono spesso
dotati di potenza erettiva, ma mai di quella orgastica.
Nel gruppo delle nevrastenie potei distinguere una forma cronica caratterizzata da
spermatorrea e da una struttura pregenitale. Qui il pene ha perso completamente il suo
ruolo di organo che procura piacere penetrando. Rappresenta un seno offerto al bambino,
o un pezzo di feci che vengono espulse ecc.
Distinsi in un quarto gruppo quegli uomini che, per paura della donna e per
difendersi da fantasie omosessuali inconsce, sviluppano un’eccessiva potenza erettiva.
Essi dimostrano a se stessi la loro potenza e impiegano il pene come un organo di
perforazione accompagnando l’atto con fantasie sadiche. Sono uomini fallico-narcisistici
che si trovano sempre tra gli ufficiali, gli studenti nazionalisti, i seduttori dissoluti e i tipi
ossessivamente sicuri di sé. Tutti quanti soffrono di gravi disturbi orgastici. Per costoro
l’atto sessuale non è altro che uno svuotamento seguito da una reazione di disgusto. I tipi
di questo genere non abbracciano la donna, la «chiavano». Nelle donne il loro
comportamento sessuale suscita una profonda ripugnanza per l’atto sessuale. Le donne
non vogliono essere «chiavate».
Tenni una relazione su una parte di questi risultati clinici al congresso di Homburg
nel 1925, intitolata «Sulla nevrastenia ipocondriaca cronica». Trattai in particolare
l’«astenia genitale». Essa nasce quando non si permette che giungano al genitale le
eccitazioni causate da rappresentazioni genitali, ma solo quelle pregenitali. Presentai
separatamente la seconda parte della relazione con il titolo «Fonti dell’angoscia
nevrotica», che venne pubblicata nell’opuscolo commemorativo per il settantesimo
compleanno di Freud nel maggio 1926. In questo lavoro analizzai le differenze tra
l’angoscia che deriva dall’aggressività repressa, l’angoscia della coscienza e l’angoscia
da stasi sessuale. Il senso di colpa nasce dall’angoscia sessuale, passando attraverso
l’aumentata aggressività distruttiva. Introdussi la distruttività come una delle cause
dell’angoscia. Sei mesi più tardi anche Freud giunse alla conclusione che l’angoscia della
coscienza derivava dalla pulsione di distruzione rimossa, attribuendo però nello stesso
tempo a questa pulsione un minore effetto sull’angoscia sessuale. Secondo il suo sistema
ciò era logico; infatti egli concepiva la pulsione di distruzione come una pulsione
biologica originaria, parallela alla sessualità. Nel frattempo avevo dedotto l’intensità
della pulsione di distruzione dall’intensità dell’ingorgo sessuale, e avevo fatto una
distinzione tra l’«aggressività» e la «distruzione». Queste differenziazioni, che possono
sembrare esageratamente teoriche e specialistiche, sono di un’importanza fondamentale.
Esse conducevano in una direzione completamente diversa dalla concezione freudiana
della distruzione.
Riassunsi la maggior parte delle mie scoperte cliniche nel libro La funzione
dell’orgasmo. Presentai il manoscritto a Freud, al quale l’avevo dedicato, recandomi a
casa sua il 6 maggio 1926. Leggendo il titolo ebbe una reazione spiacevole. Diede
un’occhiata al manoscritto, esitò un istante e disse con tono inquieto: «Così grosso?». Mi
sentii a disagio. Quella non era una reazione razionale. Di solito era molto cortese e non
usava mai un tono così pungente. In passato Freud aveva l’abitudine di leggere i
manoscritti in pochi giorni e di dare poi un giudizio scritto. Quella volta trascorsero più di
due mesi prima che ricevessi la sua lettera. Essa diceva:
Caro dottore, ci ho messo molto tempo, ma finalmente ho letto il manoscritto che
lei mi ha dedicato per il compleanno. Trovo il lavoro prezioso, ricco di materiale
d’osservazione e di idee. Come lei sa, non ho un atteggiamento negativo nei confronti del
suo tentativo di dimostrare che la nevrastenia è causata dalla mancata supremazia
genitale…
Riferendosi a un mio lavoro precedente sul problema della nevrastenia, Freud mi
aveva scritto:
Da tempo mi rendo conto che la mia formulazione e la mia concezione delle
nevrosi attuali è superficiale e richiede profonde correzioni. Al chiarimento avrebbero
dovuto contribuire ulteriori approfonditi esami. Ho la sensazione che i suoi sforzi aprano
una nuova strada ricca di prospettive… Non so se la sua ipotesi risolva realmente
l’enigma. Continuo a nutrire dei dubbi. Lei stesso non fornisce alcuna spiegazione di
alcuni dei sintomi più caratteristici, e tutta la sua concezione del transfert della libido
genitale non mi persuade ancora (ist mir noch nicht mundgerecht).2 Spero però che non
perderà di vista il problema e che giungerà a una soluzione soddisfacente…
Queste parole si riferivano a una soluzione parziale del problema della
nevrastenia che avevo formulato nel 1925, alla descrizione dettagliata del problema
dell’orgasmo e del ruolo dell’ingorgo sessuale somatico nella nevrosi. Il suo tono era
divenuto visibilmente più freddo. In un primo tempo non ne compresi il motivo. Per
quale ragione Freud rifiutava la soluzione della «teoria dell’orgasmo» accolta con
entusiasmo dalla maggior parte dei giovani analisti? Non immaginavo che fossero le
conseguenze che ne derivavano per l’intera teoria delle nevrosi a spaventarlo.
Nel giorno del suo settantesimo compleanno, Freud ci aveva detto che non
dovevamo fidarci del mondo. Tutte queste celebrazioni – egli disse – non significano
nulla. Si accettava la psicoanalisi solo per poterla distruggere meglio. Dicendo
«psicoanalisi» si riferiva alla teoria sessuale. Ma io avevo fornito un contributo decisivo
proprio per rafforzare la teoria sessuale. Perché Freud lo respingeva? Proprio per questa
ragione ritardai la pubblicazione del libro sull’orgasmo ancora alcuni mesi, in modo da
poter riflettere ancora una volta sul suo contenuto. Esso venne composto solo nel gennaio
1927.
Nel dicembre 1926 tenni una relazione sulla tecnica dell’analisi caratteriale alla
presenza di Freud e dei suoi più stretti collaboratori. Sollevai il problema se, in caso di
atteggiamento negativo latente del paziente, si dovesse procedere all’interpretazione dei
suoi desideri incestuosi o se fosse meglio aspettare che scomparisse prima la sua
diffidenza. Freud mi interruppe: «Perché non vuole interpretare il materiale nella
successione in cui appare? Naturalmente bisogna analizzare e interpretare i sogni
incestuosi appena affiorano!». Questo non me l’aspettavo. Esposi il mio punto di vista
fino in fondo. Esso era completamente estraneo a Freud. Egli non comprendeva perché
non si dovesse seguire la successione del materiale. Ciò era in contrasto con quanto era
stato detto sulla tecnica analitica in conversazioni private. In quella riunione si era creata
un’atmosfera pesante. I miei oppositori nel Seminario trionfavano e mi commiseravano.
Io rimasi calmo.
A partire dal 1926 i problemi della «teoria della terapia» occuparono un posto di
primo piano, Il rapporto ufficiale dell’Ambulatorio per gli anni 1922-1932 diceva: «Le
cause dei successi e degli insuccessi psicoanalitici, i criteri di guarigione, il tentativo di
una tipologia delle forme di malattia in base alle resistenze e alle possibilità di
guarigione, i problemi dell’analisi caratteriale, delle resistenze caratteriali, delle
“resistenze narcisistiche” e del “blocco affettivo” sono stati sottoposti a un esame clinico
e teorico, sempre sulla base di casi concreti. A questo proposito si sono anche tenute
relazioni su una serie di pubblicazioni dedicate a problemi tecnici».
La reputazione del nostro Seminario cresceva.
Distribuii i vari temi che erano scaturiti dai problemi che avevo posto, senza
rivendicarne la paternità. Presi molto sul serio il lavoro collettivo. Mi bastava essere
riuscito a mettere quei problemi al centro delle ricerche. Negli anni successivi ci furono
ingiustificate rivendicazioni di paternità da parte di alcuni zelanti collaboratori del
Seminario. Non valeva nemmeno la pena di occuparsene. Generalmente nel mondo
psicoanalitico si conosceva la provenienza delle idee fondamentali. Nemmeno uno dei
venti studenti del Seminario di Vienna ha continuato a seguire la via dell’analisi
caratteriale.
In una lettera, Freud riconobbe la novità del mio lavoro rispetto alla comune
teoria psicoanalitica. Questo però non era sufficiente per l’insegnamento del lavoro
pratico. Io sostenevo di applicare soltanto coerentemente i princìpi analitici allo studio
del carattere. Non sapevo di interpretare la teoria di Freud in un modo che egli avrebbe
presto respinto. Non mi rendevo ancora conto dell’inconciliabilità della teoria
dell’orgasmo con la successiva teoria psicoanalitica delle nevrosi.
5. Il carattere genitale e il carattere nevrotico
(Il principio di autoregolazione in campo psichico)
Con le mie intuizioni fisiologiche – a quel tempo non erano niente di più – non
potevo intraprendere nulla né sul piano teorico né su quello pratico. Mi dedicai quindi
all’elaborazione della mia tecnica dell’analisi caratteriale. La teoria dell’orgasmo era
abbastanza sicura clinicamente per poter fornire una solida base in questo campo.
Il mio libro Charakteranalyse apparve soltanto nell’aprile del 1933. Nel 1928
pubblicai il primo articolo su questo argomento dal titolo «Zur Technik der Deutung und
der Widerstandsanalyse», sulla rivista Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse.
Riprendeva in una forma più elaborata una conferenza che avevo tenuto alla fine
dell’anno nel Seminario tecnico.
Era il primo di alcuni articoli che nei cinque anni seguenti avrebbero costituito il
già citato volume Charakteranalyse. Esso avrebbe dovuto essere pubblicato
dall’Internationaler Psychoanalytischer Verlag. Stavo già rileggendo le seconde bozze,
quando la direzione dell’Associazione internazionale psicoanalitica decise che la sua casa
editrice avrebbe potuto pubblicarlo solo «su commissione»: Hitler aveva appena preso il
potere.
Partendo da tipici errori della comune psicoanalisi – la cosiddetta psicoanalisi
«ortodossa» – si sviluppò il principio della coerenza. La psicoanalisi seguiva la regola di
interpretare il materiale fornito dal malato così come veniva, senza tener conto della
stratificazione e della profondità. Io proposi un lavoro sistematico partendo da un punto
centrale, importante dal punto di vista attuale, della superficie psichica. La nevrosi
doveva essere minata muovendo da un punto sicuro. Ogni parte di energia psichica che
veniva liberata con l’eliminazione delle funzioni difensive doveva rafforzare le richieste
pulsionali inconsce e quindi renderle più accessibili. Un’eliminazione sistematica degli
strati dell’armatura caratteriale doveva tenere conto della stratificazione dei meccanismi
nevrotici. Le interpretazioni dirette del materiale pulsionale inconscio potevano solo
danneggiare questo lavoro, e quindi dovevano essere evitate. Per comprendere l’origine
dei nessi, il malato doveva prendere prima contatto con se stesso. Finché funzionava
l’armatura, nel migliore dei casi il malato poteva comprendere solo sul piano razionale.
Per esperienza, si sapeva che ciò aveva scarsi effetti terapeutici.
Un’altra regola era quella di partire coerentemente dalla difesa della sessualità e
di non toccare i desideri sessuali proibiti, se la difesa non era stata eliminata. Nell’analisi
delle resistenze proposi la massima coerenza, proposi cioè di insistere su quella parte di
difesa che appariva in quel momento più importante e più dannosa. Poiché ogni malato
possedeva un’armatura caratteriale corrispondente alla sua storia individuale, la tecnica di
distruzione dell’armatura doveva variare da caso a caso, doveva essere trovata e
sviluppata ogni volta di nuovo. Ciò escludeva l’impiego di una tecnica schematica. La
responsabilità del successo spettava in gran parte al singolo terapeuta. Poiché l’armatura
lega il malato, la sua incapacità di essere aperto fa parte della sua malattia e non è
determinata dalla cattiva volontà, come molti credevano a quel tempo. La corretta
eliminazione delle rigide armature psichiche deve infine condurre all’eliminazione
dell’angoscia. Una volta che l’angoscia da stasi è stata liberata, esistono tutte le
possibilità di far fluire liberamente l’energia e di realizzare la potenza genitale. Rimaneva
da chiarire se con l’individuazione dell’armatura caratteriale erano state individuate
anche le fonti ultime dell’energia psichica. Avevo alcuni dubbi in proposito e in seguito si
dimostrarono giustificati. La tecnica dell’analisi caratteriale rappresentava però
indubbiamente un notevole progresso nel trattamento delle nevrosi gravi e molto radicate.
L’accento non veniva più posto sul contenuto della fantasia nevrotica, bensì sulla
funzione dell’energia. Poiché la cosiddetta regola psicoanalitica fondamentale di «dire
tutto quello che viene in mente» nella maggior parte dei casi era inapplicabile, me ne
allontanai prendendo come punto di partenza non solo ciò che il malato mi comunicava,
ma tutto ciò che offriva, soprattutto il modo in cui avvenivano le sue comunicazioni e i
suoi silenzi. Anche i pazienti che tacevano comunicavano ed esprimevano qualche cosa
che si poteva gradualmente comprendere e risolvere. Esteriormente mettevo ancora il
come accanto al cosa della vecchia tecnica freudiana. Sapevo già che il come, il modo in
cui il paziente si comportava e comunicava, era molto più importante di quello che
diceva. Le parole possono ingannare. L’espressione non inganna mai. Essa è
l’esteriorizzazione immediata e inconscia del carattere dell’uomo. Con l’andar del tempo
imparai a comprendere che il modo stesso con cui venivano fatte le comunicazioni era
l’espressione immediata dell’inconscio. I tentativi di convincere e persuadere i pazienti
persero la loro importanza e divennero presto superflui. Ciò che il malato non
comprendeva spontaneamente e automaticamente non aveva neppure un valore
terapeutico. Gli atteggiamenti caratteriali dovevano essere compresi spontaneamente.
Alla comprensione razionale dell’inconscio fece posto la percezione della propria
espressione. Da anni i pazienti non mi avevano più sentito usare i termini tecnici della
psicoanalisi. Proprio per questo non avevano più la possibilità di nascondere un affetto
dietro una parola. Il paziente non parlava più del suo odio, ma lo sentiva; non poteva
neppure farne a meno, nella misura in cui io distruggevo correttamente la sua armatura.
I tipi narcisistici erano considerati inadatti al trattamento analitico. Mediante la
distruzione dell’armatura era possibile trattare anche questi casi. In tal modo potei
ottenere guarigioni di gravi disturbi caratteriali che a quel tempo venivano ritenuti
«inaccessibili» con il metodo corrente.
I transfert di amore e di odio sull’analista persero il loro carattere più o meno
accademico. Una cosa è parlare dell’erotismo anale infantile e ricordare di averlo provato
un tempo, e un’altra cosa è sentirlo attualmente, durante l’analisi, come bisogno di tirare
un peto o di dover cedere persino a una tale necessità. In questo caso non c’è bisogno di
alcuna opera di convinzione o di persuasione. Infine dovetti liberarmi dall’atteggiamento
accademico nei confronti del malato e convincermi che come sessuologo dovevo
comportarmi con la sessualità come l’internista con gli organi. In tal modo scopersi che il
lavoro veniva gravemente impedito dalla regola applicata dalla maggior parte degli
analisti, secondo cui il malato per tutta la durata del trattamento doveva vivere in
astinenza. Come si faceva in tal caso a comprendere e a eliminare i suoi disturbi genitali?
Questi dettagli tecnici, che si trovano ampiamente descritti nel mio libro
Charakteranalyse, non li menziono qui per motivi tecnici. Vorrei soltanto illustrare la
trasformazione della mia impostazione di fondo, che mi permise di scoprire, di formulare
e di utilizzare nel mio lavoro successivo il principio dell’autoregolazione sessuale nei
malati in via di guarigione (sexuelle Selbststeuerung).
Molte regole analitiche avevano uno spiccato carattere di tabù che non faceva che
rafforzare i tabù nevrotici dei malati in campo sessuale. Una di queste regole era, per
esempio, quella secondo cui l’analista non doveva essere visto, ma doveva rimanere, per
così dire, un foglio bianco sul quale il malato poteva scrivere i suoi transfert. Ciò non
eliminava, anzi rafforzava nel malato la sensazione di avere a che fare con un essere
«invisibile», «inavvicinabile», sovrumano e quindi – secondo il pensiero infantile – con
un essere asessuato. Come poteva il malato superare il timore del sesso che provava nella
vita e che lo rendeva malato? Trattata in questo modo, la sfera sessuale continuava a
rimanere una cosa diabolica e proibita che in tutti i casi doveva essere «condannata» o
«sublimata». Era proibito considerare l’analista come un essere sessuale. Come poteva il
malato esprimere le sue critiche umane? I malati erano ugualmente bene informati
sull’analista. Solo che con questo tipo di tecnica lo dicevano apertamente solo di rado.
Con me impararono prima di tutto a superare il timore di fare delle critiche nei miei
confronti. Il paziente doveva «solo ricordare» e non doveva assolutamente «fare
qualcosa». Ero d’accordo con Ferenczi nel rifiutare questo metodo. Naturalmente il
malato doveva poter «fare qualcosa». Ferenczi ebbe delle difficoltà con l’Associazione
psicoanalitica perché egli, seguendo una giusta intuizione, lasciava giocare i pazienti
come bambini. Da parte mia tentavo in tutti i modi di liberare i malati dalla loro rigidezza
caratteriale. Dovevano considerarmi un essere non autoritario, umano. Questa è una parte
del segreto dei miei successi che venivano riconosciuti. L’altro mio segreto consisteva nel
fatto che liberavo i miei pazienti dalle loro inibizioni genitali con tutti i mezzi disponibili,
compatibili con l’attività medica. Non consideravo guarito alcun malato che non fosse
almeno in grado di masturbarsi senza alcun senso di colpa. Attribuivo la massima
importanza al controllo della sua vita genitale per tutta la durata del trattamento. (Credo
che non ci sia bisogno di sottolineare che ciò non aveva nulla a che fare con la
superficiale terapia della masturbazione praticata da certi analisti «indipendenti».)
Procedendo in questo modo imparai a distinguere la pseudogenitalità dall’atteggiamento
genitale naturale. In questo modo, dopo anni di lavoro, riuscii a distinguere i tratti del
«carattere genitale», che poi contrapposi al «carattere nevrotico».
Superai il timore delle azioni dei malati e scoprii un mondo insospettato. In fondo
al meccanismo nevrotico, dietro tutte le fantasie e gli impulsi pericolosi, grotteschi e
irrazionali, trovai che una parte della loro natura era rimasta semplice, spontanea e
pulita. La trovai senza eccezione in ogni malato in cui ero riuscito a penetrare abbastanza
in profondità. Questo mi diede coraggio. Concessi ai malati una libertà d’azione sempre
maggiore e non ne fui deluso. È vero che di tanto in tanto si presentavano situazioni
pericolose. Va però ricordato che nella mia ricca e vasta attività non ho avuto un solo caso
di suicidio. Compresi solo molto più tardi i suicidi che si verificavano durante il
trattamento analitico: i malati si toglievano la vita quando le loro energie sessuali erano
state scovate, ma erano incapaci di scaricarle correttamente. La paura delle pulsioni
cattive, che domina tutto il mondo, aveva gravemente bloccato il lavoro analitico. Gli
psicoterapeuti avevano adottato senza riflettere l’assoluta antitesi di natura (pulsione,
sessualità) e cultura (morale, lavoro e dovere), e ne avevano dedotto la tesi che il «vivere
fino in fondo le pulsioni» era contrario alla guarigione. Ci volle molto prima che perdessi
la paura di queste pulsioni. Risultava infatti che le pulsioni asociali che permeano la vita
psichica inconscia sono cattive e pericolose solo finché è bloccata la scarica di energia
attraverso una naturale vita amorosa.
Altrimenti esistono in fondo solo tre soluzioni patologiche: la pulsionalità
selvaggia, autodistruttiva (mania, alcolismo, crimine determinato dal senso di colpa,
impulsività psicopatica, omicidio sessuale, stupro di bambini ecc.); le nevrosi del
carattere con inibizione pulsionale (nevrosi ossessiva, isteria d’angoscia, isteria di
conversione) e le psicosi funzionali (schizofrenia, paranoia e melanconia, pazzia
maniaco-depressiva). Non parlo qui dei meccanismi nevrotici che agiscono nella politica,
nella guerra, nella vita coniugale, nell’educazione dei bambini ecc., e che sono tutti
conseguenze dell’insoddisfazione genitale delle masse.
Acquistando la capacità di un completo abbandono genitale, i malati cambiavano
così profondamente e rapidamente la loro natura, che in un primo tempo non compresi
questa svolta. Non riuscivo a capire come l’ostinato processo nevrotico potesse
consentire una svolta così rapida. Non solo scomparivano i sintomi nevrotici di angoscia,
ma mutava tutta la natura del malato. In un primo tempo non riuscii a classificare questi
fenomeni teoricamente. Interpretai la scomparsa dei sintomi come sottrazione
dell’energia sessuale che fino a quel momento li aveva alimentati. La modificazione del
carattere sfuggiva alla comprensione clinica. Il carattere genitale sembrava funzionare
obbedendo ad altre leggi finora sconosciute. Vorrei illustrare la cosa facendo alcuni
esempi.
I malati incominciavano spontaneamente a sentire il moralismo dell’ambiente
circostante estraneo e incomprensibile. Per quanto rigorosamente potessero avere difeso
in passato la castità prematrimoniale, ora consideravano questa pretesa semplicemente
grottesca. La cosa non li riguardava più, li lasciava ormai del tutto indifferenti. Nel lavoro
sociale mutò il carattere delle loro reazioni. Se fino ad allora avevano lavorato
meccanicamente, non avevano mostrato alcun rapporto con il lavoro, l’avevano
considerato un male necessario che si deve subire senza pensarci su molto, ora
cominciavano a diventare esigenti. Se in passato non avevano lavorato a causa di disturbi
nevrotici, a questo punto sorgeva un profondo bisogno di un lavoro aderente alla realtà,
un lavoro che li interessasse personalmente. Se il lavoro che svolgevano era adatto ad
assorbire interessi psichici, essi rifiorivano. Se invece il lavoro era meccanico, come, per
esempio, quello dell’impiegato, del commerciante o dell’avvocato, esso diventava un
peso quasi insopportabile. In questi casi non mi era facile superare le difficoltà che si
presentavano. Infatti il mondo non era disposto a tener conto degli interessi umani per il
lavoro. Pedagoghi che fino allora erano stati liberali nell’educazione, pur senza avere un
atteggiamento profondamente critico, incominciarono a considerare doloroso e
insopportabile il modo abituale di trattare i bambini. In breve, la sublimazione delle forze
pulsionali nel lavoro era diversa a seconda del lavoro e dei rapporti sociali. Gradualmente
riuscii a distinguere due tendenze: la prima era una crescente immedesimazione personale
in un’attività sociale, la seconda era un’aspra protesta dell’organismo psichico contro
l’arido lavoro meccanico.
In altri casi osservai che i malati, raggiunta la capacità di soddisfacimento
genitale, avevano un crollo totale nel lavoro. Ciò sembrava dare ragione ai minacciosi
avvertimenti del mondo esterno, che sessualità e lavoro erano antitetici. Guardando la
cosa più da vicino, essa appariva un po’ meno spaventosa. Risultava che si trattava
regolarmente di malati che fino a quel momento avevano svolto il loro lavoro per un
senso del dovere coercitivo, in netto contrasto con i loro desideri interiori alla cui
realizzazione essi avevano rinunciato, desideri che non erano affatto di natura asociale, al
contrario. Un uomo che si sentiva molto adatto a fare lo scrittore doveva, se lavorava
nello studio di un avvocato, mobilitare tutte le sue forze per vincere la sua avversione e
per reprimere le sue vere aspirazioni. Imparai così la regola importante che non tutto ciò
che è inconscio è antisociale, e che non tutto ciò che è conscio è sociale. Al contrario,
esistono qualità e aspirazioni validissime e persino decisive sul piano culturale che
devono essere rimosse per motivi di sopravvivenza materiale. Esistono d’altro canto
attività profondamente antisociali che dalla società vengono ricompensate con la gloria e
gli onori. I problemi più difficili sorgevano con i seminaristi. Si verificavano sempre
gravi conflitti tra sessualità ed esercizio della loro professione. Decisi di non accettare più
in cura alcun prete.
Le trasformazioni in campo sessuale erano altrettanto violente. I pazienti che
prima di raggiungere la potenza orgastica frequentavano senza alcun conflitto le
prostitute divennero incapaci di farlo. Donne che fino a quel momento avevano tollerato
la convivenza con un uomo che non amavano e che avevano subito l’atto sessuale per
«dovere coniugale», non erano più in grado di farlo. Esse scioperavano, non volevano più
saperne. Cosa dovevo dire contro ciò? Questo era in contrasto con tutte le concezioni
ufficiali. Così, per esempio, il tacito accordo che la moglie deve ovviamente concedere il
soddisfacimento sessuale al marito finché dura il matrimonio, che lo voglia o no, che lo
ami o no, che sia o che non sia sessualmente eccitata. Questo mondo è sommerso da un
mare di menzogne!
Dal punto di vista della mia posizione ufficiale era imbarazzante quando una
donna, completamente liberata dai meccanismi nevrotici, incominciava a chiedere alla
vita il soddisfacimento dei suoi bisogni amorosi senza preoccuparsi più della morale.
Dopo alcuni timidi tentativi, non osai più parlare di questi fatti nel Seminario o
nell’Associazione psicoanalitica. Temevo la solita, insulsa obiezione, che ero io a imporre
le mie concezioni ai pazienti. In tal caso sarei stato costretto a rispondere a chiare lettere
che non ero io a esercitare un’influenza moralistica e autoritaria, bensì i miei oppositori.
Sarebbe anche stato inutile tentare di attenuare l’impressione suscitata da questi fatti,
citando cose più gradite alla morale ufficiale. Per esempio che alcune donne – sposate o
non sposate – che fino alla guarigione, ottenuta con la terapia dell’orgasmo, non avevano
alcuna difficoltà ad andare a letto con chiunque perché non sentivano nulla, avevano ora
acquisito una sensibilità e una serietà sessuali che impedivano loro di aprire
immediatamente le gambe. In altre parole, che esse erano divenute «morali» e che
volevano soltanto un partner che le amasse e le soddisfacesse. Ma non sarebbe servito a
nulla. Quando il lavoro scientifico è legato moralmente, esso non si attiene ai fatti, ma
alle regole vigenti.
Ciò che è più penoso in tutto questo è il fatto che per di più ci si vanta anche
dell’«obiettività scientifica». Quanto più si sprofonda nella dipendenza e tanto più ci si
proclama «scienziati obiettivi». Uno psicoanalista giunse al punto di inviarmi in cura una
donna afflitta da profonda melanconia, impulsi suicidi e acuti stati d’angoscia, con
l’esplicita raccomandazione di «non distruggere il suo matrimonio». La malata, come
venni a sapere nella prima seduta, era già sposata da quattro anni. Il marito non l’aveva
ancora deflorata, e si era invece dedicato a una serie di pratiche pervertite che la donna,
nella sua borghese ingenuità, aveva considerato come ovvi doveri coniugali. E l’analista
pretendeva che questo matrimonio non venisse turbato per nessun motivo! La paziente
interruppe la cura dopo solo tre sedute perché i suoi stati di angoscia erano troppo acuti e
perché viveva la situazione analitica come una situazione di seduzione. Io lo sapevo ma
non potevo fare nulla. Alcuni mesi dopo venni a sapere che si era tolta la vita. Questo tipo
di «scienza oggettiva» è una delle pietre al collo di un’umanità che sta affogando.
Le mie idee sul rapporto tra la struttura psichica e l’ordine sociale esistente
cominciavano a confondersi. I cambiamenti verificatisi nei miei malati rispetto a questo
ordine morale non erano né chiaramente negativi, né chiaramente positivi. La nuova
struttura psichica sembrava obbedire a leggi che non avevano nulla in comune con gli
abituali dettami e concezioni della morale. Essa obbediva a leggi che mi erano nuove e di
cui non avevo mai sospettato l’esistenza. Il quadro che esse fornivano alla fine
corrispondeva a un altro tipo di socialità. In essa si ritrovavano i migliori princìpi della
morale ufficiale, per esempio che non si violentano le donne e non si seducono i bambini.
Contemporaneamente emergevano atteggiamenti morali che, pur essendo perfettamente
validi sul piano sociale, erano in netto contrasto con le concezioni abituali. Per esempio la
dottrina secondo cui non era giusto vivere castamente in virtù di una costrizione esterna,
o rimanere fedeli solo per dovere. La dottrina che è insoddisfacente e brutto avere
rapporti sessuali con un partner contro la sua volontà era ineccepibile anche dal più
rigoroso punto di vista morale. Eppure essa era in contrasto con il principio, protetto dalla
legge, del «dovere coniugale».
Penso che questi pochi esempi possano bastare. Questo altro tipo di morale non si
fondava su un «tu devi» o su un «tu non puoi», ma risultava spontaneamente dalle
esigenze del piacere e del soddisfacimento genitale. Si evitava di commettere un’azione
insoddisfacente non per paura, ma a causa del valore della felicità sessuale. Queste
persone si astenevano dall’atto sessuale, anche quando avrebbero voluto compierlo,
quando le circostanze interne ed esterne non garantivano il pieno soddisfacimento. Era
come se i fattori morali sparissero completamente e a essi si sostituissero difese migliori e
più forti contro la dissociazione; difese che non erano in contrasto con i bisogni naturali,
ma che si basavano proprio sui princìpi della gioia di vivere. La profonda contraddizione
tra «io voglio» e «io non posso» veniva superata. A essa si sostituiva un ragionamento
che vorrei quasi chiamare vegetativo: «Avrei molta voglia di farlo, ma non ne trarrei una
grande soddisfazione, mi procurerebbe poco piacere»; indubbiamente si trattava di
qualche cosa di profondamente diverso. Le azioni si ordinavano secondo un principio
autoregolatore. Questa autoregolazione comportava a sua volta una certa armonia, poiché
eliminava e rendeva superflua la lotta contro una pulsione frenata ma che continuava a
farsi sentire. L’interesse veniva semplicemente spostato su un’altra meta o oggetto
amoroso che presentava meno difficoltà al raggiungimento del soddisfacimento. Il
presupposto era che l’interesse, naturale e sociale, non venisse rimosso – cioè sottratto
alla coscienza – né fosse condannato moralmente. Veniva semplicemente soddisfatto
altrove e in altre circostanze. Se un giovane amava una fanciulla «illibata», proveniente
da una cosiddetta «buona famiglia», si trattava certamente di un fatto naturale. Se voleva
avere rapporti con lei, la cosa non si accordava con la morale corrente, ma era sana. Se la
ragazza era abbastanza forte e sana per superare come compagna tutte le difficoltà interne
ed esterne, tutto andava bene, in contrasto con la morale ufficiale, ma in pieno accordo
con un comportamento sano e razionale. Se invece la ragazza si rivelava debole,
timorosa, interiormente dipendente dalle opinioni dei genitori e quindi nevrotica, dall’atto
sessuale non potevano che sorgere difficoltà. Il giovane in questione, se non era
moralmente inibito e non considerava un sacrilegio rendere felice una ragazza, poteva
riflettere se voleva trasmetterle la propria chiarezza o rinunciarvi. Nel secondo caso,
altrettanto razionale del primo, si rivolgeva in seguito a un’altra ragazza con cui non
esistevano queste difficoltà. Il giovane nevrotico morale nel senso tradizionale della
parola, nella stessa situazione, si sarebbe comportato in un modo completamente diverso.
Avrebbe desiderato la ragazza e nello stesso tempo avrebbe rinunciato alla realizzazione
del suo desiderio. In tal modo avrebbe creato una contraddizione permanente. La pulsione
avrebbe agito contro la negazione morale, finché la rimozione della pulsione avrebbe
posto fine al conflitto cosciente. A esso si sarebbe sostituito un conflitto inconscio. Il
giovane sarebbe venuto a trovarsi in una situazione difficile e sempre più intricata.
Avrebbe rinunciato sia alla possibilità di soddisfare la sua pulsione con la ragazza, sia a
cercare un altro soggetto. Ne sarebbe derivata necessariamente una nevrosi per entrambi.
L’abisso tra morale e pulsione avrebbe continuato a esistere. Oppure la pulsione si
sarebbe manifestata segretamente altrove e in modi più pericolosi. Il giovane avrebbe
potuto sviluppare fantasie coatte di stupro, reali impulsi di violenza carnale o i tratti di
una doppia morale. Avrebbe potuto frequentare le prostitute e correre il rischio di
contrarre una malattia venerea. In nessun caso si sarebbe potuto parlare di armonia
interiore. Da un punto di vista puramente sociale si sarebbero creati solo danni. Alla
«morale» non si sarebbe in alcun caso reso un buon servizio.
Questo esempio può essere variato a piacere. Esso si adatta alla situazione
matrimoniale come a ogni altra situazione della vita amorosa.
Confrontiamo la regolazione morale con l’autoregolazione sessuoeconomica.
La morale agisce come dovere. Essa è incompatibile con il soddisfacimento
naturale delle pulsioni. L’autoregolazione segue le leggi naturali del piacere e non solo è
compatibile con le pulsioni naturali, ma è anzi funzionalmente identica. La regolazione
morale crea una contraddizione psichica violenta e insolubile, quella tra natura e morale.
In tal modo essa aumenta la pulsione, che a sua volta richiede una maggiore difesa
morale. Essa esclude una circolazione organica dell’energia nell’uomo. L’autoregolazione
sottrae l’energia a un desiderio insoddisfabile, trasferendola su altri oggetti o partner.
Essa si regge su un continuo alternarsi di tensione e distensione, e si colloca quindi
nell’ambito di tutte le funzioni naturali. La struttura determinata da una morale coercitiva
esegue il lavoro sociale senza partecipazione interiore, sotto la pressione di un «dovere»
estraneo all’Io. La struttura regolata sessuoeconomicamente esegue il lavoro in accordo
con gli interessi sessuali che scaturiscono dal grande serbatoio dell’energia vitale. La
struttura morale verso l’esterno segue le rigide leggi del mondo morale, vi si adatta
esteriormente e vi si ribella interiormente. In tal modo essa si espone in altissimo grado
alla dissociazione, a una dissociazione inconscia, coercitiva e pulsionale. La struttura
sana, determinata dall’autoregolazione, non si adatta alla parte irrazionale del mondo e
afferma il proprio diritto naturale. Al moralista nevrotico essa appare malata e dissociata,
ma in realtà essa è incapace di compiere azioni dissociate. Essa sviluppa
un’autocoscienza naturale, basata sulla potenza sessuale. Normalmente la struttura
morale è debole da un punto di vista genitale ed è quindi costretta a cercare
compensazioni, cioè a sviluppare una coscienza di sé falsa e rigida. Essa mal sopporta la
felicità sessuale altrui, poiché essendo incapace di goderla, la sente come provocazione.
Per essa, gli atti sessuali sono essenzialmente dimostrazioni di «potenza». Per la struttura
genitale la sessualità è un’esperienza di piacere e nient’altro. Per essa il lavoro è
un’attività e una realizzazione gioiosa di vita. Per la struttura morale, il lavoro è un
dovere fastidioso o un semplice mezzo per assicurarsi i mezzi di sussistenza.
Anche il tipo dell’armatura caratteriale è differente. La struttura morale sviluppa
necessariamente un’armatura che comprime, che domina ogni azione e funziona
automaticamente, indipendentemente dalle situazioni esterne. Anche volendo,
l’atteggiamento non può essere modificato. Il burocrate moralista coatto rimane tale
anche nel letto matrimoniale. Il tipo invece dotato di un carattere sano dispone
liberamente della sua armatura, perché essa non serve a reprimere nulla di proibito.
Ho chiamato questi due tipi carattere «nevrotico» e carattere «genitale». Dedicai a
questo problema un saggio pubblicato sull’Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse
che fu salutato calorosamente dagli psicoanalisti e nel 1933 venne inserito nel mio libro
Charakteranalyse. A questo punto il compito terapeutico consisteva nella trasformazione
del carattere nevrotico in carattere genitale e nel sostituire l’autoregolazione
sessuoeconomica alla regolazione morale.
A quel tempo si sapeva bene che i freni morali hanno una funzione determinante
nella nevrosi. Si parlava di «distruzione del Super-io». Non riuscii a convincere gli altri
che questo non era sufficiente, e che il problema era più ampio e profondo. Non si può
distruggere la regolazione morale se non si è in grado di sostituirla con qualche cosa di
diverso e di meglio. Ma proprio questo qualche cosa di diverso ai miei colleghi sembrava
pericoloso, sbagliato, e contemporaneamente «noto da tempo». In realtà si temeva l’urto
violento con il mondo odierno, una specie di tritacarne che dispone e giudica tutto ciò che
esiste secondo il principio della regolazione morale coatta. Io stesso a quel tempo non mi
rendevo conto delle vaste conseguenze sociali che ciò avrebbe comportato. Seguivo
semplicemente la strada indicata dal mio lavoro clinico. Per la verità lo facevo in modo
molto deciso. Anche volendo non ci si può sottrarre a un determinato tipo di logica.
Solo pochi anni fa ho incominciato a comprendere perché un comportamento
libero e autoregolato suscita entusiasmo, ma nello stesso tempo incute una profonda
paura. L’atteggiamento fondamentalmente diverso nei confronti del mondo, delle proprie
esperienze, degli uomini ecc. che contraddistingue il carattere genitale, è semplice e
ovvio. Esso appare subito convincente, anche a quelli che strutturalmente ne sono molto
lontani. In ogni uomo vi è un ideale segreto, che è sempre lo stesso anche se lo chiama
con nomi diversi. Nessuno negherebbe di considerare desiderabile la capacità di amare o
la potenza sessuale. Nessuno oserebbe affermare che l’incapacità di amare o l’impotenza,
che sono il risultato di un’educazione autoritaria, rappresentano il fine delle aspirazioni
umane. L’ideale è essere spontaneamente sociali, e non sforzarsi di essere sociali lottando
contro gli impulsi criminali. Chiunque si rende conto che è meglio e più sano non sentire
affatto l’impulso alla violenza sessuale e non aver bisogno di doverlo poi frenare
moralmente. Eppure nessun altro punto della mia teoria ha messo così in pericolo il mio
lavoro e la mia esistenza, come l’affermazione che l’autoregolazione è possibile, che
esiste naturalmente e che è realizzabile universalmente. Certo, se mi fossi limitato a
formulare un’ipotesi su questo argomento con parole moderate ed eleganti, ricorrendo a
una fraseologia pseudo-scientifica, avrei raccolto solo onori e fama. La mia attività
medica richiedeva continui perfezionamenti della tecnica per modificare gli uomini, e
quindi mi spingeva a porre domande sempre più profonde: se le qualità del carattere
genitale sono talmente ovvie e desiderabili, per quale motivo si ignora l’intimo rapporto
tra socialità e completa sessualità? Perché proprio la concezione opposta domina oggi la
vita? Perché la concezione di una profonda antitesi tra natura e cultura, pulsione e
morale, corpo e spirito, diavolo e Dio, amore e lavoro è divenuta uno dei tratti più
marcati della nostra cultura e della nostra concezione della vita? Perché questa
concezione ha potuto mettere così profonde radici e viene tutelata con la punizione a
norma di legge di ogni trasgressione? Perché si seguiva con tanto interesse lo sviluppo
del mio lavoro scientifico per poi, quando il problema diventò serio, allontanarsene con
orrore e imboccare la via della calunnia e della diffamazione? Inizialmente credevo che si
trattasse di cattiva volontà, di tradimento dell’amicizia o di vigliaccheria sul piano
scientifico. Riuscii a capirlo solo dopo molti anni di amare delusioni.
Lavoro reattivo
Lavoro sessuoeconomico
Il lavoro è meccanico, febbrile, sterile; esso serve al soffocamento del bisogno
sessuale ed è in profondo contrasto con esso. Solo piccole parti di energia biologica
possono essere soddisfatte dall’interesse per il lavoro. Il lavoro è sostanzialmente
spiacevole. Le fantasie sessuali sono intense e disturbano il lavoro; devono quindi essere
rimosse e creano meccanismi nevrotici che diminuiscono ulteriormente la capacità
lavorativa. Questa diminuzione carica ogni impulso amoroso di un senso di colpa. La
fiducia in se stessi diminuisce. Questo porta a fantasie nevrotiche di grandezza.
Qui l’energia biologica oscilla costantemente tra lavoro e attività sessuale. Lavoro
e sessualità non sono antitetici, ma sisostengono a vicenda, fondandosi su una sempre
maggiore fiducia in se stessi. L’interesse in entrambi i casi è inequivocabile e
concentrato, sorretto dal senso di potenza edalla capacità di abbandono.
Le innumerevoli, scottanti questioni che erano sorte nel mio lavoro sociale di
sessuologo mi spinsero a consultarmi con Freud. Nonostante le sue parole incoraggianti
durante un precedente colloquio, sul mio progetto di fondare centri di consulenza
sessuale per persone prive di mezzi, non ero sicuro di ottenere la sua approvazione. Nella
Associazione psicoanalitica la situazione era alquanto tesa. Cercai di costringere i
colleghi ad assumere una chiara posizione poiché ero consapevole della portata sociale
del mio lavoro e non volevo farne mistero. Mi erano giunte all’orecchio le prime
diffamazioni di carattere sessuale che circolavano sul mio conto.
Dopo la pubblicazione dei miei articoli riguardanti l’educazione sessuale dei
bambini sulla Zeitschrift für Psychoanalische Pädagogik, cominciarono a circolare voci
secondo le quali facevo assistere i miei bambini ai rapporti sessuali e che, abusando della
situazione di transfert, avevo rapporto sessuali con le mie pazienti durante le sedute
analitiche ecc.
Era la tipica reazione di persone sessualmente bacate alla lotta condotta dalle
persone sane per la felicità amorosa. Sapevo che non c’è niente di paragonabile, come
odio e amarezza, a questa reazione, e che non c’è nulla al mondo che possa uguagliare
questa causa muta e micidiale della sofferenza umana. L’assassinio in guerra dà alle
vittime la sensazione di una sofferenza eroica. Le persone con un sano senso della vita
portano in silenzio il marchio dell’oscenità che, per senso di colpa e paura, viene loro
impresso da coloro che sono afflitti da fantasie pervertite. Nella società non c’era nessuna
organizzazione che sostenesse un rapporto naturale con la vita. Cercavo a tutti i costi di
spostare la discussione dal piano personale su quello oggettivo. Era chiaro a cosa
miravano queste voci calunniose.
Il 12 dicembre 1929 tenni una relazione sulla profilassi delle nevrosi davanti a
Freud e a un ristretto gruppo di suoi collaboratori. A queste riunioni mensili in casa di
Freud potevano partecipare soltanto i funzionari dell’Associazione. Tutti sapevano che
durante quelle riunioni venivano pronunciate parole che avevano una vasta eco, e che vi
si prendevano importanti decisioni. Bisognava riflettere attentamente su quello che si
diceva. La psicoanalisi era diventata un movimento molto discusso che operava su scala
mondiale. La responsabilità era grande. Era impossibile limitarsi a dire mezze verità.
Dovevo esporre il problema com’era realmente, oppure tacere. Ma non era nemmeno più
possibile tacere. Il mio lavoro sessuopolitico seguiva ormai leggi proprie. Migliaia di
persone venivano alle mie conferenze per sentire cosa aveva da dire la psicoanalisi sulla
miseria sociale e sessuale.
Le domande che seguono sono tipiche. Sono state poste in riunioni pubbliche da
persone di ogni ambiente sociale e di ogni professione, e tutte hanno avuto risposta.
Cosa si deve fare se una donna ha la vagina asciutta, ma psichicamente desidera il
rapporto sessuale?
Con quale frequenza si dovrebbero avere rapporti sessuali? Si possono avere
rapporti sessuali durante le mestruazioni?
Cosa si deve fare quando la propria donna va con un altro uomo?
Cosa si deve fare se l’uomo non riesce a soddisfare la donna, se l’atto dura troppo
poco?
Si possono avere rapporti sessuali da dietro?
Perché viene punita l’omosessualità?
Cosa deve fare la donna se l’uomo vuole e lei no?
Cosa si può fare per combattere l’insonnia?
Per quale motivo gli uomini amano tanto parlare dei loro rapporti con le donne?
Nell’Unione Sovietica sono puniti i rapporti sessuali tra fratello e sorella?
Un operaio aveva la moglie gravemente malata. Per anni non poté alzarsi dal
letto. C’erano tre bambini piccoli e una figlia diciottenne. Sostituiva la madre, aveva cura
dei bambini e si occupava del padre. Tutto andò bene per anni. Andava a letto con il
padre. Tutto andava bene. Continuava a occuparsi della famiglia. Il padre lavorava e
faceva tutto quanto era necessario per la moglie malata. La figlia si comportava molto
bene con i fratelli. Poi incominciarono a correre delle voci. Intervenne la polizia del buon
costume. Il padre venne arrestato, accusato di incesto e condannato a diversi anni di
prigione. I bambini furono mandati in istituti pubblici. La famiglia venne distrutta. La
figlia dovette trovarsi un lavoro. Perché le cose vanno in questo modo?
Cosa si deve fare quando si vogliono avere rapporti sessuali e nella stessa stanza
dormono altre persone?
Perché i medici non vogliono intervenire quando una donna è incinta e non vuole
o non può avere il bambino?
Mia figlia ha solo diciassette anni e ha già un ragazzo. È un male? Il ragazzo non
la sposerà certamente.
È molto grave se si hanno rapporti sessuali con diverse persone?
Le ragazze fanno tante storie. Che cosa devo fare?
Sono terribilmente sola, vorrei tanto avere un amico, ma quando ne trovo uno, ho
paura.
Mio marito va con un’altra. Cosa devo fare? Vorrei farlo anch’io. È possibile?
Vivo con venti scellini alla settimana. La mia ragazza vuole andare al cinema. I
soldi non bastano. Cosa devo fare per impedire che la ragazza che amo vada con un altro?
Vivo già da otto anni con mia moglie. Ci amiamo. Ma sul piano sessuale le cose
non vanno bene. Desidero un’altra donna. Cosa devo fare?
Il mio bambino ha tre anni e gioca sempre con il membro. Tento di punirlo ma
non serve. La cosa è grave?
Mi masturbo tutti i giorni, certi giorni anche tre volte. È pericoloso per la salute?
Zimmermann (un riformatore svizzero) dice che per non avere bambini bisogna
impedire l’eiaculazione, cosa che un uomo può fare evitando di muoversi nella donna. È
giusto? Però è doloroso!
Ho letto in un libro, destinato alle madri, che si devono avere rapporti sessuali
solo quando si vuole avere un bambino. È una sciocchezza. Non è vero?
Perché esistono tante proibizioni per tutto ciò che riguarda il sesso?
Se si introdurrà la libertà sessuale non scoppierà il caos? Temo che in tal caso
perderei mio marito!
La donna è per natura diversa dall’uomo. L’uomo è portato alla poligamia, la
donna alla monogamia. Mettere al mondo dei figli è un grosso impegno. Lei tollererebbe
che sua moglie andasse con altri?
Lei parla di salute sessuale. Lei permette ai suoi figli di masturbarsi? Sono certo
di no.
Alle conferenze i nostri mariti si comportano in modo diverso che a casa. A casa
sono dei brutali tiranni. Che cosa si può fare per impedirlo?
Perché i nostri capi non ci dicono nulla di queste cose?
Lei è sposato? Ha figli?
La libertà sessuale non significa totale distruzione della famiglia?
Si dice che in Russia vengono tolti i figli alle madri. In tal caso mi rifiuterei di
mettere al mondo un bambino.
Com’è la situazione delle scuole materne in Russia? Noi donne operaie saremmo
contente di poter lasciare da qualche parte i nostri figli durante le ore di lavoro. Perché
qui da noi non si fa nulla?
Soffro di emorragie all’utero. Il medico della mutua è un uomo rozzo e io non ho
soldi per andare da un medico privato. Cosa devo fare?
Le mie mestruazioni durano sempre dieci giorni e sono dolorosissime. Cosa devo
fare?
A che età si può cominciare ad avere rapporti sessuali?
La masturbazione è dannosa? Si dice che faccia incretinire!
Perché i genitori sono tanto severi con noi? Non posso mai tornare a casa dopo le
otto di sera! Eppure ho già sedici anni.
Quando vado alle riunioni (sono un funzionario e mi interesso molto di politica)
mia moglie si ingelosisce. Cosa devo fare con lei?
Mio marito esige sempre da me l’atto sessuale. Io non ne ho voglia. Cosa devo
fare?
Sono fidanzata e capita che nell’atto sessuale il mio ragazzo non trovi il posto
giusto, cosicché ci stanchiamo prima di raggiungere il soddisfacimento e smettiamo
subito. Vorrei sottolineare che il mio fidanzato ha ventinove anni e non ha mai avuto
rapporti sessuali.
I semimpotenti possono sposarsi?
Cosa devono fare le persone brutte che non trovano un amico o un’amica?
Che cosa deve fare una donna non più giovane e ancora illibata? Essa non può
offrirsi a un uomo!
Un uomo che vive come un asceta, che fa ogni giorno bagni freddi, ginnastica,
sport ecc. può fare a meno di rapporti sessuali?
È dannosa l’interruzione dell’atto sessuale?
La continua interruzione dell’atto sessuale conduce all’impotenza?
Quali devono essere i rapporti tra i giovani in una colonia estiva?
K. ha affermato in una conferenza che un giovane può avere rapporti sessuali
quando le cartilagini epifisarie si sono ossificate. È vero?
I rapporti sessuali nell’adolescenza possono essere causa di disturbi mentali?
È dannoso interrompere la masturbazione poco prima dell’eiaculazione?
La leucorrea è una conseguenza della masturbazione?
Durante le serate dedicate alla profilassi delle nevrosi e al problema della cultura,
Freud espresse per la prima volta chiaramente le posizioni che furono pubblicate nel
1930, in Das Unbehagen in der Kultur (Il disagio della civiltà), e che spesso sono in netto
contrasto con le concezioni espresse in Die Zukunft einer Illusion (Il futuro di
un’illusione). Io non avevo «provocato», Freud, come alcuni mi dicevano con tono di
accusa. I miei argomenti non erano nemmeno «dettati da Mosca», come affermavano
altri. Nello stesso periodo lottavo con questi argomenti contro gli economisti del
movimento socialista che con il loro «ferreo corso della storia» e con i loro «fattori
economici» distruggevano l’uomo che sostenevano di voler liberare. Mi ero
semplicemente sforzato di chiarire le mie posizioni, e oggi non me ne pento.
Mi difendevo dai sempre più numerosi tentativi di liquidare la teoria sessuale
psicoanalitica e di evitare le sue conseguenze sociali.
Come premessa pregai i presenti di considerare quanto mi accingevo a dire alla
stregua di comunicazioni private e personali, poiché non avevo ancora pubblicato nulla
su quell’argomento. Quattro domande attendevano urgentemente una risposta:
1. Dove si arriva portando fino in fondo la teoria e la terapia psicoanalitiche?
Dove si arriva se si continua a sostenere la fondamentale importanza delle cause sessuali
delle nevrosi?
2. È possibile continuare a occuparsi delle nevrosi di singoli individui, così come
si presentano nello studio privato dello psicoanalista? La malattia psichica è un’endemia
della popolazione che opera in modo sotterraneo. Tutta l’umanità è psichicamente malata.
3. Che posto deve occupare il movimento psicoanalitico nell’ingranaggio
sociale? Non ci sono dubbi sul fatto che esso debba occupare un posto ben determinato.
È in gioco il grande problema sociale dell’economia psichica; essa è identica
all’economia sessuale, nella misura in cui la teoria sessuale viene portata fino in fondo
senza alcuna limitazione.
4. Perché la società produce nevrotici en masse?
Risposi a queste domande in base alle mie esperienze tanto spesso descritte in
altri punti. Secondo indagini statistiche che avevo condotto in diverse organizzazioni e
gruppi giovanili, risultava che le informazioni date da persone appartenenti a differenti
strati sociali, riferentisi solo ai sintomi nevrotici noti, quindi facendo esclusione delle
nevrosi del carattere a loro sconosciute, permettevano di concludere che circa il 60-80
per cento soffriva di gravi disturbi nevrotici. Questa percentuale era ancora più elevata
nelle assemblee spiccatamente sessuopolitiche – più dell’80 per cento – poiché, com’era
immaginabile, i nevrotici vi affluivano particolarmente numerosi. L’argomento che solo i
nevrotici frequentano tali assemblee poteva essere contraddetto dal fatto che nelle
assemblee di organizzazioni «chiuse», senza quindi una particolare affluenza di nevrotici
(organizzazioni di liberi pensatori, gruppi scolastici, assemblee operaie, gruppi politici
giovanili di ogni genere ecc.), la percentuale delle nevrosi con sintomi accertabili era
inferiore del 10 per cento in media rispetto a quella delle assemblee aperte al pubblico.
Nei sei centri di consulenza sessuale di Vienna di cui ero responsabile, circa il 70 per
cento di tutti coloro che si presentavano avevano bisogno di essere curati. Solo il 30 per
cento circa dei visitatori affetto da nevrosi da stasi in forma leggera poteva essere curato
con consigli e assistenza sociale. Ciò significava che se ci fosse stata un’assistenza
sessuoigienica per tutta la popolazione, nel migliore dei casi solo il 30 per cento circa
avrebbe potuto essere curato con un rapido intervento medico. Il resto della popolazione,
cioè il 70 per cento circa (più donne che uomini), richiedeva un trattamento approfondito
che in ogni caso – e con esito incerto – avrebbe richiesto in media due o tre anni di
tempo. Porre un simile obiettivo social-politico al proprio lavoro era insensato. L’igiene
psichica, su questa base individuale, era soltanto una pericolosa utopia.
La situazione richiedeva chiaramente larghe misure sociali per la prevenzione
delle nevrosi. In effetti, i suoi princìpi e mezzi possono essere dedotti dalle esperienze
fatte sul singolo malato, così come si può tentare di combattere un’epidemia basandosi
sulle esperienze fatte su un singolo individuo infetto. La differenza è però enorme. Il
vaiolo si può prevenire con una rapida vaccinazione. La prevenzione delle nevrosi, per
quanto riguarda le misure necessarie da adottare, presenta invece un quadro
semplicemente tragico. È assolutamente impossibile farne a meno. Il successo può essere
dato soltanto dalla distruzione delle fonti da cui sgorga la miseria nevrotica.
Dove si trovano le fonti dell’epidemia delle nevrosi?
Prima di tutto nell’educazione familiare autoritaria e sessuorepressiva con il suo
inevitabile conflitto sessuale bambini-genitori e l’angoscia genitale. Proprio perché Freud
aveva ragione sul piano clinico, erano inevitabili le conclusioni a cui ero giunto. Per di
più avevo risolto un problema che fino allora era rimasto oscuro: il rapporto tra la
relazione sessuale bambini-genitori e la generale repressione sociale della sessualità. Si
trattava di un dato di fatto che caratterizzava tutta l’educazione: i termini del problema
venivano spostati.
Era ormai chiaro il fatto che gli uomini erano nevrotici en masse. Non era chiaro e
richiedeva una spiegazione il fatto che gli uomini, date le condizioni dominanti
dell’educazione, potessero rimanere sani! Per risolvere questo problema molto più
interessante, bisognava esaminare il già citato rapporto tra educazione familiare
autoritaria e repressione sessuale.
I genitori reprimono inconsciamente la sessualità dei bambini piccoli e degli
adolescenti in nome della società autoritaria e meccanizzata. Poiché i bambini sono
impediti nella loro attività vitale dall’ascetismo e in parte dall’inattività, sviluppano un
attaccamento ai genitori caratterizzato dall’impotenza e dal senso di colpa. Ciò a sua
volta impedisce loro di liberarsi dalla situazione infantile con tutte le sue angosce sessuali
e inibizioni. I bambini educati in questo modo, che divenuti adulti sono a loro volta
caratterialmente nevrotici, riproducono la malattia psichica nei loro figli. E così la
malattia si trasmette di generazione in generazione. In questo modo si riproduce anche la
tradizione conservatrice che ha paura della vita: in che modo, ciò nonostante, gli uomini
possono diventare sani e rimanere tali?
La risposta viene fornita dalla teoria dell’orgasmo: circostanze casuali o
socialmente determinate rendono possibile in certi casi la realizzazione del
soddisfacimento genitale che a sua volta elimina la fonte energetica della nevrosi e
attenua anche il legame alla situazione infantile. Così, nonostante la situazione familiare
nevrotica, possono esistere individui sani. La vita sessuale della gioventù del 1940 è
fondamentalmente più libera ma anche più piena di conflitti della gioventù del 1900.
L’individuo sano non si distingue da quello malato per non aver vissuto il conflitto
familiare o la repressione sessuale; si tratta piuttosto di uno strano insieme di circostanze,
abbastanza anormale in questa società e in primo luogo nella collettività industriale del
lavoro, che permette all’organismo di liberarsi da queste due morse con un modo di
vivere sessuoeconomico. Rimane la domanda su quale sarà la sorte di questi individui
sani. Certamente essi non avranno una vita facile. A ogni modo, con l’aiuto
dell’«organoterapia spontanea della nevrosi» – così chiamai la soluzione orgastica delle
tensioni – essi superano sia il legame patologico familiare sia gli effetti della miseria
sessuale sociale. Sparsi nella società esistono certi individui che vivono e lavorano senza
alcun rapporto tra loro: si tratta dello strato dei caratteri genitali dotati di una sessualità
naturale. Si trovano frequentemente nel proletariato industriale.
L’epidemia di massa delle nevrosi nasce in tre tappe fondamentali della vita
umana: nella prima infanzia, a causa dell’atmosfera nevrotica della casa paterna, nella
pubertà, e infine nel matrimonio coatto, basato su una concezione rigorosamente
moralistica.
Nella prima tappa hanno un effetto pesantemente negativo la severa e prematura
educazione alla pulizia, all’«ubbidienza», all’assoluto autocontrollo, a un comportamento
tranquillo e silenzioso. Queste misure preparano il bambino a ubbidire alla più importante
proibizione del periodo successivo: la proibizione della masturbazione. Vi possono essere
anche altre limitazioni dello sviluppo infantile, ma quelle citate sono tipiche. I freni posti
alla naturale sessualità infantile in tutti gli strati della popolazione costituiscono il terreno
fertile della fissazione alla casa paterna nevrotica e alla sua atmosfera, all’ambiente natio.
Nasce così la mancanza d’indipendenza nel pensiero e nell’azione degli uomini. La
mobilità e il vigore psichico vanno di pari passo con la vitalità sessuale e ne costituiscono
la premessa. Allo stesso modo l’inibizione e la pesantezza mentale sono la premessa
dell’inibizione sessuale.
Nella pubertà viene applicato per la seconda volta il dannoso principio educativo
che conduce all’inaridimento psichico e alla formazione dell’armatura caratteriale.
Questa ripetizione avviene sulla solida base dei freni precedenti posti agli impulsi
infantili, il problema della pubertà poggia su basi sociali, non biologiche o sul conflitto
figli-genitori, come sostiene la psicoanalisi. Infatti, gli adolescenti che trovano la via a
un’autentica vita sessuale e lavorativa spezzano il legame nevrotico con i genitori che si
era sviluppato nell’infanzia. Gli altri, duramente colpiti dalla reale frustrazione causata
dalla repressione sessuale, ricadono ancora di più nella situazione infantile. Per questo
motivo la maggior parte delle nevrosi e delle psicosi esplode nella pubertà. Indagini
statistiche condotte da Barasch sulla durata dei matrimoni in relazione al periodo in cui si
è iniziata la vita sessuale genitale, confermano lo stretto rapporto esistente tra matrimonio
e ascetismo: quanto prima l’adolescente comincia ad avere rapporti sessuali
soddisfacenti, tanto più diventa incapace di sottostare alla rigida richiesta «solo un
partner, e per tutta la vita». Qualunque sia l’atteggiamento di fronte a questa
constatazione, essa è un dato di fatto innegabile. Essa dice: la richiesta di ascetismo
rivolta ai giovani ha lo scopo di renderli influenzabili e atti al matrimonio. Ed è quello
che fa. Ma essa crea proprio l’impotenza sessuale e a sua volta distrugge i matrimoni e
aggrava la crisi matrimoniale.
È pura ipocrisia permettere legalmente a un giovane di sposarsi la sera del suo
sedicesimo compleanno, dimostrando quindi che in questo caso i rapporti sessuali non
sono dannosi, ma esigendo nello stesso tempo l’«ascetismo fino al matrimonio», anche se
questo potrà essere contratto solo a trent’anni. In questo caso si scopre improvvisamente
che «i rapporti sessuali in giovane età sono dannosi o immorali». Nessuna persona
ragionevole può essere d’accordo con questo, e neppure con le nevrosi e le perversioni
che ne derivano. Punire più moderatamente la masturbazione è una comoda scappatoia. Il
problema è il soddisfacimento dei bisogni fisiologici degli adolescenti. La pubertà è il
processo di maturazione sessuale, e inizialmente nient’altro. I discorsi sulla cosiddetta
«pubertà culturale» delle psicologie estetiche, per esprimersi con moderazione, sono
soltanto chiacchiere. Garantire la felicità sessuale dei giovani che stanno maturando è
un punto centrale della profilassi delle nevrosi.
La gioventù ha la funzione di rappresentare di volta in volta una fase successiva
della civiltà. La generazione dei genitori cerca ogni volta di fermare la gioventù al
proprio livello culturale. I motivi sono prevalentemente di natura irrazionale: a suo tempo
essa si è dovuta rassegnare e si sente provocata quando la gioventù dimostra di saper fare
cose che essa non è stata capace di realizzare. La tipica ribellione dei giovani contro i
genitori non è quindi un problema nevrotico della pubertà, bensì la preparazione alla
funzione sociale che questa gioventù dovrà svolgere successivamente quando sarà
divenuta adulta. Essa deve ogni volta conquistarsi la possibilità di compiere un
progresso. Quali che siano i compiti culturali e civilizzatori di ogni nuova generazione,
ciò che frena è sempre la paura che i vecchi hanno della sessualità e della combattività
dei giovani.
Sono stato rimproverato di sostenere una concezione utopistica e cioè di volere
eliminare dal mondo il dispiacere e garantire soltanto il piacere. Ma ciò è contraddetto
dalla mia affermazione, spesso ripetuta, che l’educazione tradizionale rende l’uomo
incapace di provare piacere corazzandolo contro il dispiacere. Il piacere e la gioia di
vivere sono impensabili senza lotta, le esperienze dolorose e la spiacevole lotta con se
stessi. Né la teoria della non-sofferenza sostenuta dagli yoghi e dai buddhisti, né la
filosofia edonistica di Epicuro,1 né la rinuncia del monachismo caratterizzano la salute
psichica, ma l’alternarsi della lotta spiacevole e della felicità, dell’errore e della verità,
del passo falso e della riflessione, dell’odio razionale e dell’amore razionale, in breve, la
piena vitalità in tutte le situazioni della vita. La capacità di sopportare il dispiacere e il
dolore senza irrigidirsi va di pari passo con la capacità di amare e di rendere felici. Per
dirla con Goethe: chi vuole imparare a «esultare fino a toccare il cielo con un dito» deve
essere anche pronto a «soffrire fino alla morte». La nostra concezione sociale europea e la
nostra educazione hanno invece trasformato i giovani, a seconda della loro posizione
sociale, in bambocci avvolti nella bambagia o in automi dell’industria e del business,
aridi, incapaci di provare piacere, cronicamente scontenti.
Bisogna comprendere chiaramente la questione del matrimonio. Il matrimonio
non è soltanto una questione d’amore, come sostengono gli uni, né un’istituzione
puramente economica, come sostengono gli altri. È una forma che è stata imposta da
processi socio-economici ai bisogni sessuali.2 Bisogni sessuali ed economici, in
particolare da parte della donna, si fondono con il desiderio del matrimonio, a prescindere
dall’ideologia acquisita nella prima infanzia e dalla pressione morale della società. I
matrimoni si guastano a causa di una contraddizione sempre più profonda tra bisogni
sessuali e condizioni economiche. I bisogni sessuali possono venire soddisfatti solo per
un periodo di tempo limitato con il medesimo partner. I legami economici, le pressioni
morali e l’abitudine contribuiscono invece in modo determinante a rendere durevole la
relazione. Da ciò deriva la miseria matrimoniale. L’ascetismo prematrimoniale dovrebbe
preparare al matrimonio. Ma questo stesso ascetismo genera disturbi sessuali e mina così
il matrimonio. La piena capacità sessuale può rendere felice un matrimonio. Ma questa
stessa piena capacità sessuale contraddice ogni aspetto della richiesta moralistica del
matrimonio monogamico a vita. Questo è un dato di fatto indiscutibile. Su questo
argomento si può assumere l’atteggiamento che si preferisce, ma non si dovrebbe essere
ipocriti. Le contraddizioni citate, aggiunte a cattive condizioni interne ed esterne, portano
alla rassegnazione. Questa richiede che si frenino fortemente gli impulsi vegetativi. Ciò
fa emergere dal profondo tutti i meccanismi nevrotici disponibili. Alla partnership
sessuale e al cameratismo si sostituisce nel matrimonio un rapporto paterno-materno e
una reciproca dipendenza, in breve, un incesto larvato. Queste sono cose trite e ritrite,
ormai note da tempo e sono rimaste sconosciute solo a molti pastori, psichiatri,
riformatori sociali e uomini politici.
Questi danni interni della struttura psichica, di per sé già molto gravi, vengono
ulteriormente aggravati dalle condizioni sociali esterne che li hanno prodotti. L’odierno
disordine sessuale non si prefigge la miseria psichica, ma ne fa essenzialmente parte.
Infatti, il matrimonio coatto e la famiglia coatta riproducono la struttura umana di
questa epoca meccanizzata economicamente e psichicamente. Dal punto di vista
dell’igiene sessuale, in questo ordinamento, è tutto sbagliato. Biologicamente, un
organismo sano ha bisogno di 3000-4000 atti sessuali nell’arco di una vita genitale di 30-
40 anni. L’amore per i figli viene soddisfatto da 2-4 bambini. Anche nel matrimonio il
moralismo e l’ascetismo ammettono il piacere sessuale solo al fine della procreazione, il
che significa, portando questo discorso alle estreme conseguenze, al massimo quattro
volte nella vita. Le autorità approvano tutto ciò, gli uomini soffrono in silenzio, non ne
tengono conto e diventano ipocriti. Ma nessuno lotta energicamente per eliminare dal
mondo questa assurdità che arriva fino al genocidio. Questa assurdità si manifesta nel
divieto ufficiale o morale di fare uso degli anticoncezionali. Questo provoca disturbi
sessuali e, da parte delle donne, paura di rimanere gravide, che a loro volta ridestano
angosce sessuali infantili e distruggono il matrimonio. Logicamente gli elementi del
disordine si intrecciano. La proibizione di masturbarsi nell’infanzia alimenta la paura che
si intervenga nella vagina o che la si tocchi. Questo è il motivo per cui le donne hanno
paura di usare gli anticoncezionali. Fiorisce in tal modo l’«aborto criminale», che a sua
volta crea innumerevoli punti d’appoggio alla nevrosi. La paura della gravidanza
impedisce sia alla donna sia all’uomo di raggiungere il soddisfacimento. Circa il 60 per
cento della popolazione maschile adulta pratica il coitus interruptus. Questo genera
ingorghi sessuali e nervosismo en masse.
E su tutto questo la scienza e i medici non dicono nulla. Inoltre essi impediscono
ogni serio tentativo scientifico, sociale o medico di porvi rimedio con sotterfugi,
accademismo, teorie sbagliate, e mettendo in pericolo la stessa vita. Si hanno buone
ragioni di indignarsi quando si sente parlare in termini estremamente dignitosi e autoritari
delle «indicazioni morali», del carattere innocuo dell’astinenza e del coitus interruptus
ecc. Non dissi queste cose in casa di Freud, ma la mia obiettiva descrizione dei fatti non
poteva non suscitare indignazione.
A tutto questo si aggiunge il problema della penuria degli alloggi. Statistiche
viennesi del 1927 rivelavano che più dell’80 per cento della popolazione viveva in una
stanza con quattro o più persone. Ciò significava che per l’80 per cento della popolazione
un soddisfacimento ordinato e fisiologicamente corretto era disturbato, se non addirittura
impossibile, anche con le migliori condizioni interne. Su questo argomento tacevano
tanto la medicina quanto la sociologia.
L’igiene psichica e sessuale presuppone una vita ordinata e materialmente sicura.
Chi non sa come assicurare il proprio sostentamento non è in grado di provare il piacere e
diviene facilmente uno psicopatico sessuale. Chi è dunque d’accordo sulla profilassi delle
nevrosi deve aspettarsi un rovesciamento radicale di tutto ciò che genera le nevrosi.
Questo spiega perché la profilassi delle nevrosi non è mai stata posta in discussione e
perché non è nemmeno mai stata presa in considerazione. Che lo volessi o no, le mie
asserzioni dovevano sembrare una provocazione. I fatti in se stessi erano alquanto
provocatori. Non citai neppure la pretesa legale del «dovere coniugale» e
dell’«obbedienza dei figli nei confronti dei genitori fino alla sopportazione della
punizione corporale». Negli ambienti accademici non si usava farlo e lo si considerava
«non scientifico».
Benché nessuno fosse disposto ad ascoltare i fatti che illustravo, nessuno era in
grado di negarli. Tutti sapevano perfettamente che la terapia individuale era socialmente
irrilevante, che non ci si poteva aspettare nulla dall’educazione e che le idee e le
conferenze sull’educazione sessuale da sole non erano sufficienti. Questo conduceva con
logica inesorabile al problema della cultura in generale.
Fino al 1929 il rapporto tra psicoanalisti e «cultura» non era stato discusso. Non
solo gli psicoanalisti non vi avevano visto alcuna contraddizione, ma avevano addirittura
presentato la teoria di Freud come «promotrice della cultura» e non come critica della
cultura. Tra il 1905 e il 1925 gli avversari della psicoanalisi avevano sempre additato il
«pericolo della cultura» che ci si doveva presto aspettare dalla psicoanalisi. Gli avversari
e il mondo che aveva teso le orecchie avevano attribuito alla teoria psicoanalitica molto
di più di quanto essa avesse effettivamente intenzione di fare. Questo si spiega con il
profondo bisogno di chiarezza sulla vita sessuale che tutti sentivano, e con la paura del
«caos sessuale» espressa dai «portatori della cultura». Freud pensava di poter scongiurare
il pericolo con le sue teorie della sublimazione e della rinuncia alla pulsione. Il tono della
protesta si smorzò gradualmente soprattutto dopo la fioritura della teoria della pulsione di
morte e il ripudio della teoria dell’angoscia da stasi. La teoria della volontà biologica di
sofferenza offriva molte comode vie di uscita. La sua esistenza dimostrava che la
psicoanalisi non era in contrasto con la cultura. Ora, questa concordia era messa in
pericolo dai miei lavori. Per non compromettersi, dichiaravano che le mie concezioni
erano vecchie e scontate, oppure sbagliate. Non avevo certamente affrontato i problemi
con superficialità. Non mi ero limitato ad affermare che la psicoanalisi contraddiceva la
cultura esistente e che era «rivoluzionaria». La faccenda era molto più complicata di
quanto non si possa immaginare oggi.
Non era affatto semplice liquidare la cosa. I clinici impiegavano sempre più la
teoria genitale della terapia. Non la si poteva negare; tutt’al più se ne poteva sminuire
l’importanza. Essa confermava il carattere rivoluzionario della teoria scientifica della
sessualità. Non era stato forse appena proclamato che Freud aveva aperto una nuova
epoca della cultura? Tanto meno potevano essere accettati correttamente e praticamente i
miei punti di vista. Ciò sarebbe stato in contrasto sia con la sicurezza borghese degli
psicoanalisti sia con l’altra affermazione che la psicoanalisi non faceva che «promuovere
la cultura». Nessuno si chiedeva cosa di questa «cultura» fosse minacciato e cosa fosse
invece promosso. Si trascurava il fatto che il «nuovo», per il suo stesso sviluppo, critica e
nega il vecchio.
I maggiori esponenti delle scienze sociali in Austria e in Germania rifiutavano la
psicoanalisi e si ponevano in concorrenza con essa per quanto riguarda la chiarificazione
dei problemi dell’esistenza umana. Non era semplice aprirsi un varco. È stupefacente che
a quell’epoca non abbia commesso qualche errore madornale. Sarebbe stato infatti
comprensibile se avessi formulato qualche giudizio affrettato o se avessi trovato
rapidamente una soluzione sul piano pratico; per esempio quella che le scienze sociali e
la psicoanalisi potevano conciliarsi facilmente, oppure quella che la psicoanalisi era
esatta come psicologia individuale, ma che non rivestiva alcuna importanza sul piano
sociale. Così parlavano i marxisti che vedevano di buon occhio la psicoanalisi. Invece le
cose non stavano affatto così. Io ero troppo psicoanalista per poter essere superficiale, ed
ero troppo interessato a un libero sviluppo del mondo per potermi accontentare di una
risposta banale. In un primo momento mi sarei accontentato di poter inserire la
psicoanalisi in sé nelle scienze sociali, anche se inizialmente solo sul piano
metodologico.3 Le incessanti accuse di essere troppo precipitoso, rivoltemi da amici e
nemici, non mi preoccupavano, anche se spesso mi facevano arrabbiare. Sapevo che
nessuno di loro aveva lavorato quanto me sul piano teorico e pratico; i miei manoscritti
stavano per anni nel cassetto prima che fossi sicuro di poterli pubblicare. La saccenteria
l’avevo sempre lasciata agli altri.
Il rapporto tra psicoanalisi e cultura cominciò a chiarirsi quando un giovane
psichiatra tenne in casa di Freud una relazione su «Psicoanalisi e Weltanschauung». Ben
pochi sanno che Das Unbehagen in der Kultur di Freud nacque in seguito a queste
discussioni sulla cultura, per confutare il mio lavoro che stava prendendo corpo e per
scongiurare il «pericolo» che ne derivava. Il libro contiene frasi che Freud impiegò nella
discussione per controbattere i miei punti di vista.
In questo libro, che apparve solo nel 1931, Freud confermava il piacere sessuale
naturale come fine della vita umana e della tendenza alla felicità, ma nello stesso tempo
tentava di dimostrare l’insostenibilità di questo principio. La sua formula base teorica e
pratica era sempre: l’uomo normalmente procede – e deve procedere normalmente – dal
«principio di piacere» al «principio di realtà». Egli deve rinunciare al piacere e adattarsi.
Freud non metteva in discussione ciò che vi era di irrazionale nella
«realtà» – irrazionalità che oggi celebra vere e proprie orge di distruzione – né
distingueva quale piacere fosse conciliabile con la socialità e quale non lo fosse.
In Das Unbehagen in der Kultur si trovano le concezioni che Freud rivolse contro
di me quando nella discussione sostenni il mio punto di vista. Oggi considero una fortuna
per il movimento politico culturale che siano state dette queste parole. In tal modo si
chiarirono le cose e si evitò che la psicoanalisi potesse continuare a presentarsi come
teoria capace di «rovesciare la cultura», senza criticare e modificare sul piano pratico le
condizioni dell’educazione. Altrimenti che significato potrebbe avere l’ormai abusata
parola «progresso»?
La seguente concezione corrispondeva all’atteggiamento degli accademici di
allora. La scienza, essi dicevano, si occupa dei problemi di ciò che è e la Weltanschauung
di ciò che dovrebbe essere. «Ciò che è» («scienza») e «ciò che dovrebbe essere»
(«politica») sarebbero due cose inconciliabili. Dalla constatazione di un fatto non ne
consegue un «dovrebbe essere», cioè nessuna indicazione su un obiettivo al quale si
dovrebbe tendere. Con la constatazione scientifica era possibile ogni orientamento
politico. Io polemizzai contro questi logici etici che dalla realtà si rifugiavano nelle
formule astratte. Se constato che un giovane diventa nevrotico e incapace di lavorare a
causa dell’ascetismo a cui lo si obbliga, allora questo è «scienza». Secondo la «logica
astratta» si può dedurre sia che il giovane debba continuare a vivere asceticamente, sia
che debba rinunciare all’ascetismo. Questa deduzione è «Weltanschauung politica» e la
sua realizzazione è la pratica politica. Ma, dicevo, esistono constatazioni scientifiche da
cui viene dedotta praticamente solo una cosa e mai l’altra. Ciò che sul piano logico
appare giusto può essere sbagliato sul piano pratico-obiettivo. Se oggi qualcuno
constatasse pubblicamente che l’ascetismo è dannoso per l’adolescente, senza trarne la
conclusione che si deve rinunciare all’astinenza, egli verrebbe semplicemente deriso. Per
questo motivo è tanto importante porre praticamente i problemi. Un medico non deve
mai ragionare in termini astratti. Chi rifiuta il «ciò che dovrebbe essere» che deriva dalla
citata constatazione deve necessariamente, che lo voglia o no, fare un’affermazione errata
di «natura puramente scientifica». Egli dovrà affermare «con autorità scientifica» che
l’ascetismo non danneggia l’adolescente, in breve, nascondere la verità e comportarsi da
ipocrita per difendere la sua pretesa dell’astinenza. Ogni constatazione scientifica ha una
premessa nella Weltanschauung e una conseguenza pratico-sociale.
A quel tempo, per la prima volta, divenne evidente l’abisso che esisteva tra il
pensiero logico astratto e il pensiero funzionale scientifico. La logica astratta ha spesso la
funzione di ammettere dati di fatto scientifici, ma di non dedurne alcuna conseguenza
pratica. Quindi preferii il funzionalismo pratico.
Freud assunse il seguente punto di vista: il rapporto dell’«uomo comune» con la
religione è comprensibile. Un famoso personaggio disse una volta:
Wer Wissenschaft und Kunst besitzt
La rappresentazione visiva è indubbiamente un processo psichico. Esistono
rappresentazioni inconsce che possono essere dedotte da manifestazioni esterne. Secondo
Freud, l’inconscio stesso non può essere colto. Ma se esso si «immerge» nella sfera
biofisiologica, allora deve essere afferrabile con un metodo che colga il fattore comune
che domina tutto l’apparato biopsichico. Questo fattore comune non può essere il
«significato» e nemmeno il «fine». Essi sono funzioni secondarie. Da un punto di vista
coerentemente funzionale, in campo biologico non esistono uno scopo, un fine, ma
soltanto una funzione e uno sviluppo che seguono determinate leggi. Rimaneva la
struttura dinamica, il gioco delle forze. Ciò vale in tutti i campi. Questo era qualcosa su
cui ci si poteva appoggiare. Ciò che la psicologia chiama «tensione» e «distensione» è un
contrasto di forze. La mia idea della vescica, per quanto fosse semplice, corrispondeva
perfettamente all’idea di unità della sfera psichica e somatica. Oltre all’unità esiste,
contemporaneamente, un’antitesi. Questa idea rappresentava in embrione la mia teoria
della sessualità.
Nel 1924 avevo supposto che nell’orgasmo si concentra un’eccitazione alla
periferia dell’organismo, soprattutto negli organi genitali, che poi rifluisce nel centro
vegetativo dove si spegne. Inaspettatamente si era chiuso il cerchio. Ciò che in
precedenza era apparso come eccitazione psichica ora si rivelava come corrente
biofisiologica. In fondo la pressione interna e la tensione di superficie di una vescica non
sono altro che funzioni del centro e della periferia di un organismo. Sono funzionalmente
antitetiche, e si contraddicono a vicenda. Dal loro rapporto reciproco dipende la «sorte»
della vescica, così come la salute psichica dipende dall’equilibrio energetico in campo
sessuale. La «sessualità» non poteva essere che la funzione vivente dell’espansione
(«fuori di sé») dal centro verso la periferia. A sua volta l’angoscia non poteva essere
altro che la direzione opposta, dalla periferia verso il centro («ritiro in sé»). La sessualità
e l’angoscia sono direzioni opposte del medesimo processo di eccitazione.
Presto si stabilì il nesso di questa teoria con una quantità di fatti clinici.
Nell’eccitazione sessuale i vasi periferici sono dilatati. Nell’eccitazione angosciosa si
sente una tensione centrale interna come se si stesse per scoppiare; i vasi periferici si
contraggono. Sessualmente eccitato, il pene si allunga, angosciosamente intimorito, si
rimpicciolisce. Nel «centro energetico biologico» si trovano le fonti dell’energia in
azione. Alla periferia si svolgono le sue funzioni in contatto con il mondo, nell’atto
sessuale, nella scarica orgastica, nel lavoro ecc.
Questi risultati andavano già oltre la psicoanalisi. Essi rovesciavano numerose
concezioni. Gli psicoanalisti non erano in grado di seguirmi, e la mia posizione era troppo
esposta perché la mia opinione potesse tranquillamente esistere nella stessa
organizzazione. Freud aveva respinto il tentativo di inquadrare i processi della libido nel
sistema autonomo vitale. Come psicoanalista che sosteneva posizioni molto avanzate, i
miei rapporti con gli psichiatri ufficiali e con altri clinici non erano particolarmente
buoni. A causa del loro modo di pensare meccanicistico e male orientato sul piano
analitico, compresero ben poco. Così la nuovissima teoria della sessualità si trovò isolata,
immersa nel vuoto. Mi sentii consolato dalla quantità di conferme che trovai a sostegno
della mia teoria nella fisiologia sperimentale. Essa sembrava in grado di ricondurre a un
denominatore comune ciò che avevano elaborato generazioni di fisiologi. Al centro stava
l’antitesi tra il vago e il simpatico.
4. Cos’è l’«energia biopsichica»?
Dopo circa sessant’anni di ricerche sessuali, quarant’anni di psicoanalisi e quasi
vent’anni di lavoro personale sulla teoria dell’orgasmo, questo problema si presentava
ancora insoluto al clinico che doveva curare i disturbi sessuali, cioè le nevrosi.
Ricordiamoci del punto di partenza della teoria dell’orgasmo. La nevrosi e la psicosi
funzionale vengono alimentate da energia sessuale eccedente, non scaricata in modo
adeguato. In un primo tempo fu chiamata «energia psichica». Cosa fosse realmente non lo
si sapeva. La radice delle malattie psichiche stava indubbiamente nel «soma». Doveva
trattarsi di un ingorgo di energia che alimentava escrescenze psichiche patologiche. Solo
quando veniva eliminata questa fonte energetica della nevrosi, realizzando la piena
potenza orgastica, il malato pareva al sicuro da una ricaduta. Non c’era da pensare a una
profilassi di massa delle malattie psichiche, se non se ne conoscevano le basi biologiche.
Era un fatto assodato che «in caso di vita amorosa soddisfacente non esistono disturbi
nevrotici». Naturalmente questa affermazione aveva conseguenze sia individuali sia
sociali. L’importanza del problema è evidente. Ma, nonostante Freud, la scienza ufficiale
si rifiutava di includere la sessualità. La stessa psicoanalisi arretrava sempre più di fronte
a questo problema. Inoltre, esso confinava anche troppo con le innumerevoli
manifestazioni di una «sessualità» patologica, distorta, e sempre per qualche verso
pornografica, che domina la vita umana. La rigorosa distinzione tra manifestazioni
sessuali «naturali» e manifestazioni sessuali patologiche, prodotte dalla civiltà, tra
pulsioni «primarie» e «secondarie», permise di perseverare e di non perdere di vista il
problema. La semplice riflessione non avrebbe portato a una soluzione e nemmeno il
compendio di tanti magnifici spunti che cominciarono ad apparire in numero crescente, a
partire dal 1925 circa, nella moderna letteratura fisiologica, e che vennero raccolti nel
libro Die Lebensnerven di Müller.
Come sempre, anche questa volta fu l’osservazione clinica a permettermi di
procedere correttamente. A Copenaghen, nel 1933, ebbi in cura un paziente che opponeva
una particolare resistenza al tentativo di mettere in luce le sue fantasie omosessuali
passive. Ciò si manifestava in un’estrema rigidità del collo e della nuca
(«testardaggine»!).2 In seguito a un energico intervento sulla sua difesa, egli cedette
improvvisamente in modo allarmante. Per tre giorni fu scosso da gravi manifestazioni di
shock vegetativo. Il colore del volto mutava rapidamente dal bianco, al giallo, al blu. La
pelle era maculata e di diversi colori. Soffriva di intensi dolori alla nuca e all’occipite; il
cuore batteva rapidamente ed era sforzato ipertonicamente; aveva la diarrea, si sentiva
stanco e disfatto. Ero preoccupato. In verità avevo visto spesso simili sintomi, ma mai
così violenti. Qui era accaduto qualcosa che in qualche modo era legato alla terapia, ma
che non riuscivo a comprendere. Dopo che il paziente aveva ceduto nel suo
atteggiamento di difesa psichico erano emersi somaticamente certi affetti. La nuca rigida,
che sottolineava una vigorosa mascolinità, aveva evidentemente legato energie somatico-
vegetative che ora esplodevano in modo incontrollato e disordinato. Un uomo con
un’economia sessuale equilibrata è incapace di una simile reazione. Per arrivare a questo
era necessaria una continua azione frenante e un’accumulazione di energia biologica. La
muscolatura poteva svolgere la funzione dell’azione frenante. Quando i muscoli della
nuca cedettero, eruppero potenti impulsi come proiettili da una molla. L’alternarsi del
pallore e del rossore del viso non poteva essere che il flusso e il riflusso dei liquidi del
corpo, una rapida dilatazione e contrazione dei vasi sanguigni. Questo si accordava
perfettamente con le mie concezioni – precedentemente descritte – del funzionamento
dell’energia biologica. La direzione «fuori di sé – verso il mondo» si alternava
rapidamente e incessantemente con la direzione opposta «via dal mondo – ritiro in sé».
La tensione muscolare è in grado di impedire il fluire del sangue, in altri termini di
ridurre al minimo il movimento dei liquidi del corpo.
Controllai il fenomeno su alcuni altri casi e ripensai a certi pazienti che avevo
curato in passato: i conti tornavano. In breve disposi di una quantità di fatti che potevano
essere riassunti nella breve formula: l’energia vitale sessuale può essere legata da
continue tensioni muscolari. Anche l’ira e la paura possono essere frenate dalle tensioni
muscolari. Da quel momento ogni qual volta eliminavo un freno o una tensione
muscolare, esplodeva una delle tre eccitazioni biologiche fondamentali del corpo:
angoscia, odio o eccitazione sessuale. Vi ero già riuscito da tempo eliminando inibizioni
e atteggiamenti puramente caratteriali. Ma ora le esplosioni di energia biologica erano più
piene, vissute meglio, più intense e avvenivano più rapidamente. I freni caratteriali
sparivano spontaneamente. Pubblicai le mie osservazioni del 1933 in modo incompleto
soltanto nel 1935 e in forma compiuta nel 1937.3 Presto si chiarirono alcuni problemi
decisivi del rapporto tra psiche e soma.
Ora le armature caratteriali si rivelarono funzionalmente identiche all’ipertonia
muscolare. Il concetto di «identità funzionale», che dovetti introdurre ex novo, significa
semplicemente che gli atteggiamenti muscolari e caratteriali nell’ingranaggio psichico
hanno la stessa funzione; possono influenzarsi reciprocamente e sostituirsi
vicendevolmente. In fondo sono inseparabili e nella loro funzione sono identici.
Ipotesi che risultano dall’unificazione di dati di fatto portano subito oltre. Se
l’armatura caratteriale poteva essere espressa nell’armatura muscolare e viceversa, allora
l’unità delle funzioni psichiche e somatiche era stata colta in linea di massima e poteva
essere orientata sul piano pratico. Da quel momento potei servirmi a volontà sul piano
pratico di questa unitarietà. Se un freno caratteriale non reagiva a un’influenza psichica,
ricorrevo al corrispondente atteggiamento somatico e viceversa. Se avevo difficoltà a
sciogliere un atteggiamento somatico-muscolare disturbatore, allora agivo sulla sua
espressione caratteriale e riuscivo ad allentarla. Un tipico sorriso cordiale che ostacolava
il mio lavoro poteva essere eliminato sia descrivendo l’espressione sia intervenendo
direttamente sull’atteggiamento muscolare, come, per esempio, abbassando il mento. Era
un enorme passo in avanti. L’ulteriore sviluppo della tecnica verso l’odierna vegeto-
terapia richiese sei anni.
L’allentamento dei rigidi atteggiamenti muscolari provocava nei malati strane
sensazioni somatiche: tremiti involontari, tic della muscolatura, sensazioni di caldo e di
freddo, pruriti, formicolii, pizzicori, brividi e sensazioni somatiche di angoscia, ira e
piacere. Dovevo rompere con tutte le vecchie concezioni del rapporto tra psiche e soma
se volevo comprendere queste manifestazioni. Non erano «conseguenze», «cause»,
«fenomeni concomitanti» di processi «psichici», ma semplicemente questi stessi processi
psichici nell’ambito somatico.
Riassunsi nel concetto di «correnti vegetative» tutte queste manifestazioni
somatiche che, al contrario della rigida armatura muscolare, sono caratterizzate dal
movimento. Si pose immediatamente la domanda: queste correnti vegetative sono
soltanto movimento di liquidi o sono qualcosa di più? Non potevo accontentarmi della
risposta che si tratta soltanto di movimenti meccanici di liquidi. Questi potevano spiegare
le sensazioni di caldo e di freddo, il pallore e il rossore, il «ribollire del sangue» ecc., ma
non certo i formicolii, i pizzicori, i brividi, le dolci sensazioni preorgastiche di piacere
ecc. Il grande problema dell’impotenza orgastica continuava ancora a rimanere insoluto:
gli organi genitali possono riempirsi di sangue senza la minima traccia di una
sensazione di eccitazione. Quindi l’eccitazione sessuale non può affatto essere
identificata con il solo movimento del sangue o esserne l’espressione. Esistono stati di
angoscia senza un particolare pallore del volto o dell’epidermide. Il senso di «angustia»
nel petto (angustiae – angoscia), il senso di «soffocamento», non poteva essere ricondotto
soltanto all’ingorgo del sangue negli organi centrali. Altrimenti dopo un buon pasto,
quando il sangue è concentrato nell’addome, si dovrebbe provare una sensazione di
angoscia. Al movimento del sangue si aggiunge qualche cosa che, a seconda della sua
funzione biologica, provoca angoscia, ira o piacere. Il movimento del sangue vi può
svolgere soltanto il ruolo di «mezzo» essenziale. Forse questo «qualche cosa» ignoto non
si verifica quando i liquidi del corpo si muovono male nei vasi sanguigni. Questi erano i
miei ragionamenti, un po’ dilettantistici, di allora.
5. La formula dell’orgasmo: tensione → carica → scarica → distensione
L’ignoto «qualche cosa» che cercavo non poteva essere altro che la bioelettricità.
Questo mi venne in mente un giorno mentre cercavo di comprendere sul piano fisiologico
lo sfregamento sessuale tra membro e mucosa della vagina durante l’atto sessuale. Lo
sfregamento sessuale è un processo biologico fondamentale. Si verifica sempre nel regno
animale ogni qual volta la procreazione avviene per mezzo di due sessi distinti. Le
superfici di due corpi sfregano l’una contro l’altra; questo provoca un’eccitazione
biologica, e in pari tempo il riempimento, l’espansione, l’«erezione». Sulla base di
esperimenti che aprivano nuovi orizzonti, l’internista berlinese Kraus aveva constatato
che il corpo è governato da processi elettrici. Esso si compone di innumerevoli «superfici
limitrofe» tra membrane e liquidi elettrolitici di diversa densità e composizione. Secondo
una nota legge fisica, ai limiti tra liquidi conduttori e membrane si creano tensioni
elettriche. Poiché i rapporti di concentrazione e la disposizione delle membrane
differiscono, si verificano differenze tra le tensioni delle superfici limitrofe, e queste
differenze danno cadute di potenziale di diversa intensità. La caduta di potenza significa
all’incirca la differenza di energia in due corpi che si trovano ad altezze differenti.
Cadendo, il corpo che si trova più in alto è in grado di svolgere più lavoro di quello che si
trova più in basso. Lo stesso peso, per esempio di un chilogrammo, cadendo da
un’altezza di tre metri, conficca più profondamente un piolo nel terreno di quanto non
faccia cadendo da un metro di altezza. L’«energia potenziale di posizione» è maggiore, e
di conseguenza aumenta anche l’«energia cinetica» che si crea liberando questa energia
potenziale. Il principio della «differenza di potenziale» può essere applicato senza
difficoltà alle differenze nelle tensioni elettriche. Se si congiunge con un filo un corpo
fortemente caricato con uno meno caricato, allora la corrente passa dal primo al secondo.
L’energia elettrica statica si trasforma in corrente elettrica. Si verifica inoltre un
livellamento tra le due cariche, proprio come accade con l’acqua in due vasi comunicanti.
Il livellamento dell’energia presuppone una differenza nell’energia potenziale. Il nostro
corpo si compone di miliardi di tali superfici potenziali con un’energia potenziale
diversa. Di conseguenza, l’energia nel corpo è in continuo movimento dai luoghi a
potenziale più alto verso i luoghi a potenziale più basso. I portatori delle cariche
elettriche nel continuo processo di livellamento sono le particelle dei liquidi del corpo: gli
ioni. Sono atomi che posseggono una determinata quantità di carica elettrica e, a seconda
che si muovano verso il polo negativo o quello positivo, si chiamano cationi e anioni.
Cosa ha a che fare tutto questo con il problema della sessualità? Moltissimo!
La tensione sessuale viene sentita in tutto il corpo, ma in modo particolarmente
intenso nel cuore e nell’addome. Gradualmente l’eccitazione si concentra negli organi
genitali. Essi si riempiono di sangue, e cariche elettriche raggiungono la superficie degli
organi genitali. Sappiamo per esperienza che toccando delicatamente una parte
sessualmente eccitata del corpo, si trasmette l’eccitazione ad altri organi. La tensione o
l’eccitazione aumenta con lo sfregamento. Essa raggiunge l’acme nell’orgasmo, uno stato
in cui avvengono contrazioni involontarie della muscolatura dei genitali e di tutto il
corpo. È noto che la contrazione muscolare è accompagnata dalla scarica di energia
elettrica. La scarica dei muscoli in fase di contrazione può essere misurata e raffigurata
graficamente da una curva. Taluni fisiologi ritengono che l’eccitazione dei nervi carichi il
corpo di energia e le contrazioni muscolari la scarichino; non il nervo, ma solo il
muscolo, che è in grado di contrarsi, può scaricare l’energia. Durante lo sfregamento
sessuale viene dapprima accumulata energia nei due corpi, energia che poi viene
scaricata nell’orgasmo. L’orgasmo non può essere altro che una scarica elettrica. La
struttura fisiologica negli organi genitali è particolarmente adatta a questo scopo: grande
vascolarità, densità dei gangli nervosi, capacità di erezione, una muscolatura
particolarmente adatta all’esecuzione di contrazioni spontanee.
Se si esamina più attentamente il processo, allora si scopre uno strano ciclo a
quattro tempi nel decorso dell’eccitazione:
1. Gli organi si riempiono di liquido: erezione con tensione meccanica.
2. Questo comporta una forte eccitazione che, come supponevo, era di natura
elettrica: carica elettrica.
3. Nell’orgasmo la contrazione muscolare scarica la carica elettrica e cioè
l’eccitazione sessuale: scarica elettrica.
4. Ciò è seguito da una distensione dei genitali attraverso un rifluire dei liquidi del
corpo: distensione meccanica.
Questo ciclo a quattro tempi, tensione meccanica → carica elettrica → scarica
elettrica → distensione meccanica, l’ho chiamato formula dell’orgasmo.
Possiamo rappresentare praticamente questo processo con un’immagine molto
semplice. Per fare questo, torno alla funzione di una vescica piena e dilatabile che avevo
immaginato sei anni prima di trovare la formula dell’orgasmo.
Immaginiamo due sfere, una rigida di metallo, l’altra (una vescica di maiale)
dilatabile come quella di un organismo vivente, un’ameba, una stella marina, o un cuore.
La sfera di metallo sarebbe vuota e la vescica di maiale o l’organismo
racchiuderebbero invece un complicato sistema di liquidi e di membrane di diversa
densità e conduttività elettrica. La sfera di metallo riceverebbe la sua carica elettrica
dall’esterno, per esempio da uno stimolatore elettrico; la vescica di maiale conterrebbe
invece al centro un caricatore automatico, quindi si caricherebbe spontaneamente
dall’interno. Secondo le leggi fondamentali della fisica, la carica elettrica della sfera di
metallo sarebbe distribuita in modo uniforme sulla superficie, e soltanto su di essa. La
vescica di maiale piena, a causa delle differenze di densità e del genere dei liquidi e delle
membrane, sarebbe invece elettricamente carica in tutte le sue parti, ma in modo
diseguale. In questa vescica di maiale ideale, le cariche elettriche sarebbero in continuo
movimento dai luoghi a potenziale più alto ai luoghi a potenziale più basso. Ma in
generale prevarrebbe una direzione:
Energia elettrica
Energia elettrica
quella dal centro, dove agisce la fonte delle cariche elettriche, alla periferia. Per
questo motivo la vescica si troverebbe preferibilmente nello stato di estensione ed
espansione. Ogni tanto, come l’infusorio, tornerebbe alla forma sferica in
cui – rimanendo immutato il contenuto del corpo – la tensione di superficie è ridotta al
minimo. In caso di eccessiva produzione interna di energia, attraverso alcune contrazioni,
la vescica potrebbe scaricare l’energia verso l’esterno, cioè regolarla. Questa scarica di
energia sarebbe estremamente piacevole, poiché essa libera da una tensione accumulata.
Nello stato di espansione longitudinale, la vescica potrebbe eseguire diversi movimenti
ritmici, per esempio un movimento ondulatorio in cui si alternano espansione e
contrazione: è questo il movimento vermicolare o il movimento peristaltico intestinale:
Oppure essa potrebbe descrivere con tutto il corpo una linea ondulatoria, il
movimento serpentino:
In questo movimento l’organismo della vescica elettrica costituirebbe un’unità. Se
esso fosse in grado di provare delle sensazioni, sentirebbe come piacevole il ritmico
alternarsi di estensione, espansione e contrazione. Si sentirebbe come un bambino piccolo
che salta ritmicamente dalla gioia. Durante questi movimenti l’energia elettrica vegetativa
si troverebbe costantemente in uno stato di tensione-carica e scarica-distensione. Essa
potrebbe convertirsi in calore, in energia meccanica, cinetica, o in lavoro. Una simile
vescica, proprio come un bambino piccolo, si sentirebbe tutt’uno con l’ambiente, con il
mondo, con le cose. Tra le diverse vesciche esisterebbe un contatto immediato, ognuna di
esse identificherebbe il proprio movimento e il proprio ritmo con quelli delle altre. Non
sarebbero capaci di comprendere perché si debbano disprezzare certi movimenti naturali,
né perché si debbano compiere azioni innaturali. Attraverso la continua riproduzione
interna di energia, sarebbe dato e assicurato lo sviluppo, come il germogliare dei fiori o
come la progressiva divisione dell’ovulo dopo l’apporto di energia dato dalla
fecondazione. Inoltre, lo sviluppo non avrebbe fine. Il lavoro si svolgerebbe nell’ambito
dell’attività biologica generale e non contro di essa.
L’espansione longitudinale per periodi prolungati fisserebbe questo stato e
condurrebbe allo sviluppo di un apparato di sostegno nell’organismo. Questo renderebbe
impossibile il ritorno alla forma sferica, ma le contrazioni attraverso la flessione e
l’espansione continuerebbero indisturbate. In tal modo il ricambio energetico sarebbe
assicurato. Certo, un apparato di sostegno fissato costituirebbe già una premessa a una
minore protezione contro i freni nocivi della mobilità. Ma di per sé non costituirebbe
affatto un freno. Un simile freno potrebbe soltanto essere paragonato a un serpente che
sia stato legato in una parte del corpo. Anche se fosse legato in una parte qualunque del
corpo, un serpente perderebbe immediatamente il ritmo e l’unità del movimento
ondulatorio organico anche nelle parti del corpo ancora libere:
Il corpo animale e quello umano possono essere paragonati alla vescica appena
descritta. Per completare il quadro, dobbiamo ancora introdurre una pompa automatica,
un cuore artificiale che faccia circolare il liquido con ritmo regolare e cioè dal centro alla
periferia e ritorno: il sistema cardiovascolare. Anche negli stadi di sviluppo inferiori, il
corpo animale dispone di un apparato centrale per la produzione di elettricità. Sono i
cosiddetti «gangli vegetativi», gruppi di cellule nervose che, disposte a intervalli regolari,
dominano le funzioni vitali involontarie e sono collegati a sottilissimi cordoni a tutti gli
organi e alle loro parti. Essi sono gli organi delle sensazioni e delle percezioni vegetative.
Costituiscono un’unità congiunta, un cosiddetto «syncytium», e si dividono in due gruppi
con funzioni opposte: il vago e il simpatico.
La nostra vescica artificiale può estendersi e contrarsi. Potrebbe espandersi
straordinariamente e poi distendersi con poche contrazioni. Potrebbe essere floscia, tesa,
distesa o eccitata. Potrebbe concentrare le cariche elettriche assieme ai liquidi che le
portano, più in un luogo e meno altrove. Potrebbe tenere determinate parti in continua
tensione, altre in continuo movimento. Se la si comprimesse in un punto, si
verificherebbero immediatamente sovratensione e sovraccarica in un altro.
Se la si comprimesse poi su tutta la superficie, e cioè le si impedisse di espandersi
mentre interiormente la produzione di energia prosegue, essa proverebbe continuamente
angoscia, cioè un senso di oppressione e di angustia. Se potesse parlare, implorerebbe di
«essere liberata» da questo stato di affanno. La vescica sarebbe indifferente a ciò che le
accade, a una condizione: che il movimento, la trasformazione subentrino al suo stato
rigido e compresso. Essa stessa non può farlo. Lo deve fare qualcun altro al suo posto:
gettandola qua e là (ginnastica), manipolandola (massaggio), se necessario forandola
(fantasia di essere forati, di scoppiare), ferendola (fantasia masochistica di essere battuti,
harakiri) e, se tutto ciò non bastasse, dissolvendola e annientandola (nirvana, olocausto).
Una società che fosse costituita da simili vesciche sarebbe la creatrice delle
filosofie più perfette sull’ideale dello «stato privo di sofferenza». Poiché ogni espansione
verso il piacere o causata da stimoli piacevoli verrebbe percepita solo come dolorosa, la
vescica svilupperebbe un senso di paura delle eccitazioni piacevoli (paura
dell’eccitazione sessuale) e inoltre teorie sugli aspetti «cattivi», «dannati» e «distruttivi»
del piacere. In breve, essa sarebbe un asceta del ventesimo secolo. Infine essa temerebbe
ogni ricordo della possibilità della tanto desiderata distensione, poi la odierebbe e infine
la perseguiterebbe con la pena di morte. Si unirebbe con altri esseri rigidi ed elaborerebbe
rigide regole di vita. Queste regole avrebbero unicamente la funzione di garantire la
minore produzione possibile di energia all’interno, quindi di mantenere la calma, l’ordine
stabilito e le normali reazioni. Essa tenterebbe di dominare in modo inadeguato le
eccedenze di energia interna che non potessero essere eliminate attraverso il piacere e il
movimento naturali. Essa introdurrebbe, per esempio, azioni sadiche insensate o
cerimoniali molto meccanici e inutili (azioni religiose coatte). I fini reali hanno uno
sviluppo autonomo e quindi costringono chi li segue al movimento e all’irrequietezza.
La vescica potrebbe essere scossa da improvvise convulsioni in cui verrebbe
scaricata l’energia accumulata. Essa sarebbe quindi colta da attacchi isterici o epilettici.
Essa potrebbe anche irrigidirsi e isterilirsi completamente come nel caso della
schizofrenia catatonica. In ogni caso questa vescica avrebbe sempre paura. Dalla paura
deriva tutto il resto: la religione mistica, la fede nel capo, l’assurda disposizione alla
morte. Poiché nella natura tutto si muove, si trasforma, si sviluppa, si espande e si
contrae, nei confronti della natura la vescica corazzata si comporterebbe in modo
estraneo e ostile. Essa si considererebbe qualcosa di «molto speciale», «appartenente a
una razza superiore», per il fatto di avere il colletto bianco o di indossare un’uniforme.
Rappresenterebbe la «cultura» e la «razza» che non si accordano con la «natura». La
natura verrebbe considerata «bassa», «demoniaca», «animale», «incontrollata»,
«volgare». Ma nello stesso tempo la vescica, che sente ancora in sé le ultime tracce della
natura, dovrebbe idealizzarla, renderla Kitsch, parlando, per esempio, di «amore sublime»
o di «ribollire del sangue». Concepirla in termini di contrazioni del corpo sarebbe già
blasfemo. Contemporaneamente essa creerebbe un’industria della pornografia, senza
accorgersi della contraddizione.
La funzione della tensione-carica riassumeva vecchie idee apparse a suo tempo
nello studio della biologia classica. Era necessario verificarne la validità teorica. Sul
piano fisiologico, la mia teoria veniva confermata dal fatto ben noto che i muscoli si
contraggono spontaneamente. La contrazione muscolare può essere provocata da stimoli
elettrici. Però essa si verifica anche quando – come, per esempio, ha fatto Galvani – si
ferisce il muscolo in un punto e si collega l’estremità del nervo tagliato con il punto in cui
il muscolo è stato ferito. La contrazione è accompagnata dalla manifestazione misurabile
della cosiddetta corrente d’azione elettrica. Nei muscoli feriti esiste anche una corrente
normale. Essa si rivela quando il centro della superficie del muscolo viene collegato
all’estremità ferita per mezzo di un conduttore elettrico, per esempio un filo di rame.
Lo studio delle contrazioni muscolari costituisce da decenni un vasto campo di
indagine della fisiologia. Non comprendevo perché la fisiologia muscolare non riuscisse a
trovare il collegamento con la teoria della generale elettricità animale. Se si
sovrappongono due preparati nervo-muscolo in modo che il muscolo dell’uno tocchi il
nervo dell’altro, e si provoca una contrazione nel primo muscolo trasmettendo una scossa
elettrica al suo nervo, si contrae anche il secondo muscolo. Il primo si contrae reagendo
allo stimolo elettrico, sviluppando a sua volta una corrente biologica d’azione. Questa
agisce anch’essa a sua volta come stimolo elettrico sul secondo muscolo. Quest’ultimo
reagisce con una contrazione, sviluppando nello stesso tempo una seconda corrente
biologica d’azione. Poiché nel corpo animale i muscoli stanno uno accanto all’altro e
attraverso il liquido del corpo sono collegati con tutto l’organismo, ogni azione
muscolare deve esercitare un’influenza stimolante su tutto l’organismo.
Tale influenza naturalmente varierà a seconda della posizione del muscolo, dello
stimolo iniziale e della sua intensità; ma avrà sempre un effetto su tutto l’organismo. Un
esempio di questa influenza si ha nella contrazione orgastica della muscolatura genitale,
che è tanto intensa che si trasmette a tutto l’organismo. Non trovai nulla di tutto ciò nella
letteratura; eppure la cosa sembrava rivestire un’importanza decisiva.
Osservando più attentamente la curva dell’azione cardiaca, venne confermata la
mia ipotesi che il processo di tensione-carica dirige anche la funzione cardiaca, sotto
forma di un’onda elettrica che dall’atrio va all’apice. Presupposto dell’inizio della
contrazione è che l’atrio si riempia di sangue. Il risultato della carica e della scarica è
l’evacuazione del sangue attraverso l’aorta, in seguito alla contrazione del cuore.
I medicinali che aumentano il proprio volume nell’intestino hanno un effetto
lassativo. Il gonfiamento agisce sui muscoli come uno stimolo elettrico. Essi si tendono e
si distendono con un moto ondulatorio ritmico (movimento peristaltico), svuotando
l’intestino. Lo stesso vale per la vescica. Se la si riempie di liquido, essa si contrae
vuotandosi del suo contenuto.
Questa descrizione ha involontariamente mostrato un dato di fatto estremamente
importante, che può essere fatto valere come paradigma nella confutazione del pensiero
finalistico nella biologia. La vescica non si contrae «per adempiere alla funzione di
evacuare l’urina», per volontà divina o di forze biologiche ultraterrene. Essa si contrae
per un principio causale molto poco divino: perché il suo riempimento meccanico
provoca una contrazione. Questo vale indistintamente per ogni altra funzione. Non si
hanno rapporti sessuali «per procreare», ma perché l’eccesso di liquido carica
bioelettricamente i genitali e spinge verso la scarica. Nella distensione vengono scaricate
le sostanze sessuali. Quindi, «la sessualità non è al servizio della procreazione», ma la
procreazione è un risultato quasi casuale del processo di tensione-carica nei genitali. Per
quanto ciò possa essere deprimente per la filosofia morale eugenetica, è vero.
Nel 1933 mi capitò tra le mani un lavoro sperimentale del biologo berlinese
Hartmann. In base a speciali esperimenti sulla sessualità condotti sui gameti, egli era
riuscito a dimostrare che nella copulazione la funzione maschile e femminile non è fissata
a priori. Un gamete maschile più debole nei confronti di un gamete maschile più forte
può assumere un comportamento femminile. Hartmann lasciò aperto il problema da che
cosa è determinato il raggruppamento di gameti dello stesso sesso, il loro
«accoppiamento» se così lo vogliamo chiamare. Egli supponeva l’esistenza di «certe
sostanze» non ancora scoperte. Compresi che si trattava di processi elettrici. Alcuni anni
più tardi riuscii a confermare, mediante esperimenti elettrici, il raggruppamento dei bioni.
Sono forze bioelettriche che fanno sì che il raggruppamento nella copulazione dei gameti
avvenga in un modo piuttosto che in un altro. Nello stesso periodo mi venne inviato un
ritaglio di giornale in cui si parlava di esperimenti effettuati a Mosca. Uno scienziato (ho
dimenticato il suo nome) era riuscito a dimostrare che dagli ovuli femminili e dagli
spermatozoi, a seconda della carica elettrica, risultano individui maschili o femminili.
La procreazione è quindi una funzione della sessualità e non viceversa, come si
era creduto fino a quel momento. Freud lo aveva affermato per la psicosessualità, quando
aveva separato i concetti di «sessuale» e «genitale». Ma poi, per un motivo che rimane
per me incomprensibile, egli aveva infine posto di nuovo «la genitalità nella pubertà al
servizio della procreazione». Nel campo della biologia, Hartmann aveva dimostrato che
la sessualità non è una funzione della procreazione, ma viceversa la procreazione è una
funzione della sessualità. Le conseguenze per la valutazione moralistica della sessualità
sono evidenti: la sessualità non può più essere considerata un’aggiunta indesiderata della
conservazione della specie. Da parte mia potei fornire un terzo argomento che poggiava
sulle ricerche sperimentali di diversi biologi: la divisione dell’ovulo, come la divisione
della cellula in generale, è un processo orgastico. Essa è dominata dalla funzione
tensione-carica.
Quando l’ovulo femminile è fecondato, quando ha assorbito l’energia dello
spermatozoo, inizialmente si tende. Esso assorbe liquido, la membrana diviene molto
tesa. Ciò significa che la tensione di superficie cresce di pari passo con la pressione
interna. Quanto più aumenta la pressione del contenuto della vescica (rappresentata
dall’ovulo), tanto più difficile è per la superficie «tenere insieme» tutto. Questi sono
processi che risultano ancora interamente dalla contraddizione tra pressione interna e
tensione di superficie. Una vescica puramente fisica, se dilatata ulteriormente,
scoppierebbe. Nel caso dell’ovulo, a questo punto inizia invece il processo che è tanto
caratteristico per la funzione della materia vivente: l’espansione genera una contrazione.
La crescita dell’ovulo è dovuta all’intenso assorbimento di liquido e arriva sempre solo
fino a un certo punto. Il nucleo della cellula comincia a «irradiare», cioè a sviluppare
energia. Gurvitch chiamò il fenomeno «radiazione mitogenetica». Mitosi significa
divisione del nucleo, mitotische Kernfigur. Più tardi riuscì a osservare e a giudicare la
vitalità delle colture di bioni in base al grado di determinati fenomeni di radiazione
all’interno delle formazioni. All’interno della cellula l’estremo riempimento, la tensione
meccanica, è accompagnato da una carica elettrica. A un certo punto la membrana
incomincia a contrarsi, e precisamente laddove la sfera ha la massima circonferenza e
dove esiste la massima tensione. Si tratta sempre dell’equatore o, se si vuole, di un
qualsiasi meridiano della sfera. Questa contrazione non è, come si può osservare, un
processo graduale e costante, ma è un processo contraddittorio. La tensione della
membrana sul luogo della contrazione lotta contro la pressione interna, che proprio per
questo diventa sempre più forte. È facilmente comprensibile come la pressione interna e
la tensione di superficie si accentuino a vicenda. Da ciò risulta la visibile vibrazione,
ondulazione e contrazione:
Pressione interna e tensione di superficie nella divisione dell’ovulo
I. Equilibrio tra tensione di superficie (TS) e pressione interna (PI) nel processo
di tensione-carica → inizio del gonfiamento; II. PI > TS: la tensione di superficie
reagisce alla pressione interna con la strozzatura; III. Divisione; TS>, = PI; equilibrio
fra TS e PI attraverso l’ingrandimento della superficie; IV. Distensione; TS = PI; lo
stesso volume è distribuito su due sfere con una superficie più grande.
La strozzatura continua ad avanzare, la tensione interna aumenta sempre più. Se
l’ovulo potesse parlare, tradirebbe la sua paura. Esiste una sola possibilità di risolvere
questa tensione interna (oltre a quella di esplodere): la «divisione» di una grande vescica
con superficie tesa in due vesciche più piccole, nelle quali lo stesso contenuto
volumetrico è circondato da una membrana di superficie molto più grande e quindi meno
tesa. La divisione dell’ovulo corrisponde quindi a una soluzione della tensione. Il nucleo
passa prima dell’intera cellula attraverso il processo di avvolgimento a spirale (fusi).
L’avvolgimento a spirale è considerato da numerosi biologi come un fenomeno elettrico.
Se potessimo misurare lo stato elettrico del nucleo dopo la divisione della cellula, con
ogni probabilità potremmo constatare che esso si è scaricato. La «divisione riduttiva» in
cui la metà dei cromosomi (il cui numero si era raddoppiato nella formazione dei fusi)
viene espulsa, fornisce un’indicazione in questo senso. Ora ognuna delle due cellule-
figlie contiene lo stesso numero di cromosomi. La procreazione è compiuta.
La divisione della cellula segue quindi anch’essa il ciclo a quattro tempi della
formula dell’orgasmo: tensione → carica → scarica → distensione. È il processo più
importante della biologia. La formula dell’orgasmo potrebbe quindi anche essere
chiamata «formula della vita».
In quegli anni non volevo pubblicare nulla su tutto ciò. Mi limitai ad accenni
nell’ambito di esposizioni cliniche, e pubblicai soltanto un breve scritto, Die
Fortpflanzung als Funktion der Sexualität (1935), basato sugli esperimenti di Hartmann.
La cosa mi pareva di importanza così decisiva che non intendevo pubblicare nulla prima
che la mia ipotesi fosse confermata o confutata da particolari esperimenti.
Più tardi riuscii a esemplificare chiaramente le correnti vegetative, le contrazioni,
l’alternarsi della tensione di superficie e della pressione interna con l’immagine della
vescica organica membranosa e carica di energia.
6. Piacere e angoscia: contraddizione di base della vita vegetativa. Espansione e
contrazione biologica nei sistemi nervosi autonomi (unità e antitesi psicosomatica)
Simpatico
Calcio (gruppo)
Adrenalina
Colesterina
Ioni OH
Disidratazione
sistolico/vasocostrittore
Intestino frenato
Vago
Potassio (gruppo)
Colina
Lecitina
Ioni H
diastolico/dilatatorio
Intestino stimolato
Sindrome dell’angoscia
Vasi periferici
contratti
dilatati
Azione cardiaca
accelerata
rallentata
aumentata
abbassata
Pupilla
dilatata
ristretta
Secrezione di saliva
diminuita
aumentata
Muscolatura
paralizzata o spastica
tonificata, rilassata
Dispiacere
Sessualità
Angoscia
Vago
Simpatico
Potassio
Calcio
Lecitina
Colesterina
Organo
Inibizione del muscolo sphincter pupillae (dal simpatico del collo). Stimolazione
del m. dilatator pupil (3º nervo cervicale). Risultato: Dilatazione delle pupille
Muscolatura dell’iride
Risultato:
«Occhi asciutti»
Stato depressivo
Ghiandole lacrimali
«Occhi lucidi»
Gioia
«Bocca asciutta »
Ghiandole salivali
«Acquolina in bocca»
«Sudore freddo»
Ghiandole sudorifere
«Pelle asciutta»
Impedisce la minzione
Vescica urinaria
Vagina asciutta:
Vago
Simpatico
Gonfiamento, espansione
Restrizione
Maggiore turgore (tensione di superficie)
Minore turgore (tensione di superficie)
Bassa tensione centrale
Tensione centrale elevata
Apertura
Chiusura
«Verso il mondo, fuori di sé»
«Via dal mondo, ritiro in sé»
Eccitazione sessuale; epidermide calda, rossa
Angoscia, pallore, sudore freddo
«Flusso» dal centro alla periferia
«Flusso» dalla periferia al centro
Parasimpateticotonia,
Processo vitale
Simpateticotonia,
←
→
rilassamento
oscillante tra
ipertensione
Schema c): Unità e antitesi nel sistema nervoso vegetativo
Il tentativo di mettere ordine in ciò che sembrava un caos riuscì quando cominciai
a esaminare l’innervazione vegetativa di ogni organo sul piano delle funzioni biologiche
dell’espansione e della contrazione di tutto l’organismo.
In altre parole, mi chiesi come questo o quell’organo avrebbe normalmente
funzionato nello stato di piacere e nello stato di angoscia, e quale tipo di innervazione
autonoma si sarebbe riscontrato di volta in volta. Così, l’apparente innervazione
contraddittoria, se esaminata sul piano della funzione di tutto l’organismo, si rivelò
perfettamente ordinata e comprensibile.
Questo può essere dimostrato in modo convincente dall’innervazione
antagonistica del «centro» (cuore) e della «periferia» (vasi sanguigni e muscoli). Il vago
stimola il flusso del sangue verso la periferia dilatando i vasi, ma inibisce l’azione
cardiaca; viceversa, il simpatico inibisce il flusso del sangue verso la periferia
restringendo i vasi, ma stimola l’azione cardiaca. Considerando l’organismo nel suo
insieme, questa innervazione antagonistica è comprensibile, poiché nello stato di
angoscia il cuore deve superare la restrizione periferica, mentre nello stato di piacere può
lavorare tranquillamente e lentamente. Esiste un’antitesi funzionale tra centro e periferia.
Il fatto che lo stesso nervo (il simpatico) inibisca le ghiandole salivali e stimoli
contemporaneamente la secrezione di adrenalina generando così uno stato di angoscia, è
significativo per quanto riguarda la funzione di angoscia unitaria del simpatico.
Analogamente vediamo che nel caso della vescica urinaria, il simpatico stimola il
muscolo che impedisce la minzione, il vago svolge un’azione opposta. È altrettanto
significativo, per quanto riguarda l’insieme, che in stato di piacere le pupille, in seguito
all’azione del vago, si contraggano agendo come il diaframma di una macchina
fotografica e acuendo così la vista. Viceversa, in uno stato di paralisi angosciosa,
l’acutezza della vista è diminuita a causa di una dilatazione delle pupille.
La riconduzione dell’innervazione autonoma alle funzioni biologiche
fondamentali dell’espansione e della contrazione di tutto l’organismo era naturalmente un
importante passo avanti, e nello stesso tempo era un’importante conferma della mia
ipotesi biologica. Il vago stimola quindi sempre gli organi – indifferentemente nel senso
della tensione o dell’allentamento – quando tutto l’organismo si trova in uno stato di
piacevole espansione. Il simpatico stimola invece gli organi in un modo biologicamente
significativo quando tutto l’organismo si trova in uno stato di contrazione angosciosa. Il
processo vitale, in modo particolare la respirazione, può dunque essere inteso come un
costante stato di pulsazione in cui l’organismo continua a oscillare – come un
pendolo – tra espansione vagale (espirazione) e contrazione simpatica (inspirazione). Nel
fare queste considerazioni teoriche avevo in mente il comportamento ritmico di una
medusa o di un cuore. La funzione della respirazione è troppo complicata per essere
presentata brevemente in questa sede sulla base di queste nuove scoperte.
Correnti di plasma nell’ameba nello stato di espansione e di contrazione
Nel lavoro di analisi caratteriale tentiamo per prima cosa di isolare in modo
coerente e sistematico gli atteggiamenti caratteriali aggrovigliati, e di smascherarli
progressivamente, a seconda della loro importanza attuale e della loro efficacia, come
funzioni di difesa. Il nostro scopo è quello di liberare gli affetti allentando le incrostazioni
caratteriali che in passato si erano formate a causa di gravi inibizioni e legami. Ogni
riuscito scioglimento di un’incrostazione caratteriale libera in un primo tempo affetti di
ira o di angoscia. Trattando anche gli affetti di ira o di angoscia come difese psichiche,
riusciamo infine a ridare al paziente la sua mobilità sessuale e la sua sensibilità biologica.
Quindi, allentando gli atteggiamenti caratteriali cronici, riusciamo a ottenere reazioni
del sistema nervoso vegetativo. La penetrazione nel campo vegetativo è tanto più
completa ed efficace quanto più meticolosamente trattiamo nello stesso tempo non solo
gli atteggiamenti caratteriali, ma anche gli atteggiamenti muscolari corrispondenti. In tal
modo una parte del lavoro si sposta dal campo psichico e caratteriale all’immediata
scomposizione dell’armatura muscolare. Già in precedenza si era constatato che
l’irrigidimento muscolare, dovunque esso si manifesti, non è una «conseguenza»,
un’«espressione» o una «manifestazione concomitante» del meccanismo di rimozione;
alla fine non potei sottrarmi all’impressione che l’irrigidimento fisico rappresentasse la
parte essenziale nel processo di rimozione. I nostri pazienti riferivano senza eccezione
che nell’infanzia avevano attraversato periodi in cui, attraverso determinate pratiche che
influenzavano le loro funzioni vegetative (trattenere il respiro, tendere la muscolatura
addominale ecc.), avevano imparato a reprimere i loro impulsi di odio, angoscia e amore.
Fino a quel momento la psicologia analitica si era preoccupata soltanto di sapere che
cosa reprimevano i bambini e quali motivi li spingevano a imparare a dominare i loro
affetti. Non si badò al modo in cui i bambini usano lottare contro i loro impulsi affettivi.
Proprio il processo fisiologico della rimozione merita la nostra massima attenzione. Ogni
volta è sorprendente vedere come lo scioglimento di un irrigidimento muscolare non solo
libera energia vegetativa, ma riproduce anche quella situazione nella memoria in cui la
repressione della pulsione si era verificata. Possiamo dire: ogni irrigidimento muscolare
contiene la storia e il significato del suo sorgere. Non è quindi necessario dedurre dai
sogni o dalle associazioni in che modo si è formata l’armatura muscolare; si tratta
piuttosto della forma in cui l’esperienza infantile continua a esistere come elemento
dannoso. La nevrosi non è soltanto l’espressione di un disturbo dell’equilibrio psichico,
ma in un senso molto più profondo e giustificato, essa è l’espressione di un disturbo
cronico dell’equilibrio vegetativo e della mobilità naturale.
Durante gli ultimi anni delle nostre ricerche, l’espressione «struttura psichica»
acquistò un significato particolare. Per struttura psichica intendiamo la caratteristica delle
reazioni spontanee, la condizione tipica per l’uomo determinata da forze sinergiche e
antagonistiche. La struttura psichica è quindi contemporaneamente una determinata
struttura biofisiologica, essa rappresenta una determinata condizione del gioco delle
forze vegetative che agiscono nell’individuo. È indubbio che la maggior parte di ciò che
si usa definire «predisposizione» o «costituzione pulsionale» si rivelerà come
comportamento vegetativo acquisito. La ristrutturazione che realizziamo non è altro che
una modificazione del gioco delle forze dell’apparato vitale vegetativo.
Gli atteggiamenti muscolari assumono anche un altro significato per la terapia
analitico-caratteriale. Essi danno infatti la possibilità di evitare, se necessario, la
complicata deviazione attraverso le strutture psichiche, e di penetrare direttamente
dall’atteggiamento corporeo nel campo degli affetti pulsionali. Così facendo l’affetto
rimosso appare prima del ricordo corrispondente. In tal modo la liberazione dell’affetto è
garantita, a patto che si riesca a cogliere e a sciogliere l’atteggiamento muscolare cronico.
Nel tentativo di liberare gli affetti procedendo solo dal campo psichico, la produzione di
affetti è affidata al caso. Il lavoro analitico-caratteriale sugli strati della incrostazione
caratteriale è tanto più efficace, quanto più completamente esso si serve dello
scioglimento dell’atteggiamento muscolare corrispondente. In moltissimi casi un freno
psichico sparisce solo con l’allentamento diretto della tensione muscolare.
L’atteggiamento muscolare è identico a ciò che chiamiamo «espressione
corporea». Molto spesso non si è in grado di dire se un malato è muscolarmente
ipertonico o no. Eppure, nell’insieme o in singole parti del suo corpo, egli esprime
«qualcosa». La sua fronte appare «piatta»; oppure il suo bacino esprime una paralisi
sessuale; le spalle possono apparire «dure» o «morbide». È molto difficile dire cosa ci
permette di renderci conto in modo così immediato dell’espressione somatica di un uomo
e di descriverla con parole appropriate. A questo proposito viene in mente la «perdita di
spontaneità» dei bambini: la prima e più importante manifestazione della definitiva
repressione sessuale tra il quarto e il quinto anno di età. Questa perdita di spontaneità
viene sempre vissuta inizialmente come sensazione di «morire», di «essere rinchiusi in
un’armatura» o di «essere murati». Più tardi questa sensazione di «essere morti» può
venire in parte compensata da funzioni psichiche di copertura, per esempio da una
superficiale allegria o da una socievolezza priva di contatti reali.
L’irrigidimento della muscolatura è l’aspetto somatico del processo di rimozione
e la base della sua conservazione duratura. Non sono mai singoli muscoli che entrano in
uno stato di tensione; si tratta sempre di complessi di muscoli che appartengono a
un’unità funzionale vegetativa. Per reprimere un impulso al pianto, non si contrae
soltanto il labbro inferiore, ma anche tutta la muscolatura orale e mascellare, nonché la
corrispondente muscolatura del collo, cioè tutti quegli organi che entrano in azione in
quanto unità funzionale in caso di pianto. A questo proposito ci viene in mente il noto
fenomeno che le persone isteriche non delimitano i loro sintomi somatici in base a zone
anatomiche ma in base a zone funzionali. Un rossore isterico non segue le ramificazioni
di una determinata arteria, ma coinvolge, per esempio, esclusivamente il collo o la fronte.
La funziona somatica vegetativa non conosce le delimitazioni anatomiche che noi
stabiliamo artificialmente.
L’intera espressione somatica può abitualmente essere ridotta a una formula che
prima o poi appare spontaneamente nel corso dell’analisi caratteriale. Stranamente, si
tratta quasi sempre di formula e termini presi dal regno animale, come «volpe», «maiale»,
«serpente», «verme» e simili.
Il complesso irrigidito di muscoli svela la sua funzione solo quando il lavoro di
districamento la raggiunge «in modo logico». Si tenterà invano di dissolvere, per
esempio, una tensione addominale subito all’inizio. Lo scioglimento di un irrigidimento
muscolare segue una legge che non è ancora possibile comprendere completamente per la
mancanza di tutti i necessari presupposti. Nella misura in cui possiamo permetterci di
dare un giudizio in base alle esperienze fatte finora, lo scioglimento dell’armatura
muscolare inizia abitualmente nei punti più distanti dall’apparato genitale, nella maggior
parte dei casi nella testa. L’atteggiamento del viso è il più evidente. L’espressione del viso
e la voce sono anche quelle funzioni che il malato stesso osserva e sente il più delle volte
con maggiore attenzione; l’atteggiamento del bacino, delle spalle e dell’addome è quasi
sempre nascosto.
Vorrei ora descrivere le più importanti caratteristiche e i meccanismi di alcuni
atteggiamenti muscolari tipici; l’elenco è ben lungi dall’essere esauriente.
Testa e collo: In molti pazienti si riscontra il sintomo di violenti mal di testa. Sono
spesso localizzati sopra la nuca, sopra gli occhi e sulla fronte. In psicopatologia questi
mal di testa vengono chiamati «sintomi nevrastenici». Come si producono? Si provi a
tendere fortemente per un periodo prolungato la muscolatura della nuca, come se ci si
volesse difendere da una presa minacciosa alla nuca; presto si sentiranno sorgere dolori
occipitali, e precisamente sopra il punto in cui la muscolatura è tesa. I dolori occipitali
sono quindi da ricondurre a un’ipertensione della muscolatura della nuca. Questo
atteggiamento esprime una costante paura che possa accadere qualcosa di pericoloso alle
nostre spalle: che si venga afferrati da dietro alla nuca, che si riceva un colpo sulla testa
ecc.
Il mal di testa sulla fronte, sopra le sopracciglia, che viene sentito come un
«cerchio attorno alla testa», si produce quando le sopracciglia vengono alzate
cronicamente. Chiunque può condurre questo esperimento su se stesso, alzando le
sopracciglia per un periodo prolungato. Così facendo anche la muscolatura della fronte,
come l’intera muscolatura della calotta cranica, si trova in uno stato di tensione continua.
Questo atteggiamento esprime una continua attesa ansiosa negli occhi. Pienamente
sviluppata, questa espressione corrisponderebbe a sbarrare gli occhi per lo spavento.
In fondo questi sintomi causati dai due citati atteggiamenti del capo appartengono
alla stessa categoria. In caso di spavento improvviso, gli occhi vengono sbarrati e
contemporaneamente si tendono i muscoli della calotta cranica. Esistono pazienti con
un’espressione del volto che si potrebbe definire «arrogante». Smantellandola, essa si
rivela un atteggiamento di difesa teso a nascondere l’espressione di spavento o di
angosciosa attenzione del loro volto. Alcuni pazienti ostentano una «fronte da pensatore».
Raramente si troverà tra costoro qualcuno che nell’infanzia non abbia avuto la fantasia di
essere un genio. Generalmente questo atteggiamento sorge come difesa contro stati di
angoscia, quasi sempre di natura masturbatoria; l’atteggiamento spaventato del capo si è
trasformato nell’«atteggiamento da pensatore». In altri casi riscontriamo una fronte
«liscia», «piatta» o «inespressiva», come se il malato avesse ricevuto una botta in testa. Il
motivo di questa espressione è normalmente la paura di essere battuti sulla testa.
Molto più importante, e anche più frequente, è l’irrigidimento delle zone intorno
alla bocca, al mento e al collo. In molte persone l’espressione del volto è simile a quella
di una maschera. Il mento è spostato in avanti e dà un’impressione di larghezza; il collo
sotto il mento «non vive». I due muscoli laterali del collo che vanno allo sterno spiccano
come due grossi cordoni; il pavimento della bocca è teso; questi pazienti hanno spesso
conati di vomito. La loro voce è normalmente bassa, monotona, e ha un suono «sottile».
Anche questo atteggiamento può essere sperimentato su se stessi. Si immagini di dover
reprimere un impulso al pianto. Per fare ciò si tenderà fortemente il pavimento della
bocca, tutta la testa si troverà in un continuo stato di tensione, il mento verrà spostato in
avanti e la bocca diverrà sottile.
In questo stato si tenterà invano di parlare con una voce alta e sonora. Spesso i
bambini, nella primissima infanzia, acquisiscono un simile atteggiamento, quando sono
costretti a reprimere violenti impulsi al pianto.
La concentrazione continua dell’attenzione su una determinata parte del corpo ha
sempre come conseguenza una fissazione dell’innervazione corrispondente. Se
l’atteggiamento in questione è lo stesso che si assume anche in una situazione emozionale
differente, allora si verifica spesso un accoppiamento delle due funzioni. Ho riscontrato
con particolare frequenza un accoppiamento dei conati di vomito con l’impulso al pianto.
Un esame più approfondito rivela che in entrambi i casi l’atteggiamento del pavimento
della bocca è quasi uguale. È del tutto vano volere eliminare i conati di vomito se non si
scopre la tensione del pavimento della bocca. In questo caso i conati di vomito sono la
conseguenza di un altro impulso frenato, cioè quello di voler piangere e di non poterlo
fare. Solo la completa liberazione del freno che impedisce il pianto può anche eliminare
la cronica sensazione di nausea.
Per quanto riguarda la testa e il viso, sono particolarmente importanti le
caratteristiche espressive del linguaggio. Nella maggior parte dei casi sono da ricondurre
a irrigidimenti della muscolatura della mascella e della gola. In due pazienti potei
osservare un violento riflesso di difesa alla gola che si verificava non appena si toccava,
anche se in modo impercettibile, la regione della laringe. In entrambi i casi si
riscontravano fantasie di essere feriti al collo, con una stretta o con un taglio.
L’espressione del viso nel suo insieme deve essere osservata molto attentamente,
indipendentemente dalle singole parti. Conosciamo l’espressione depressa del
melanconico. È curioso come l’espressione di lassezza possa accompagnarsi a una forte e
continua tensione della muscolatura. Esistono persone con un’espressione costantemente
e artificialmente raggiante; altre con le guance «tese» o «cascanti». Di solito i pazienti
trovano da soli l’espressione corrispondente, se si indica loro ripetutamente
l’atteggiamento e se lo si descrive esattamente o lo si imita. Una paziente con le guance
«tese» disse: «Le mie guance sono appesantite dalle lacrime». Il pianto trattenuto
conduce facilmente a un irrigidimento della muscolatura facciale che rende il volto simile
a una maschera. Già molto presto i bambini sviluppano la paura delle smorfie che in
precedenza amavano fare. Un freno agli impulsi corrispondenti fa sì che essi tengano
rigidamente «sotto controllo» l’espressione del viso.
2. La tensione addominale
Tralascio per il momento la descrizione dei sintomi nel petto e nelle spalle perché
ritengo più utile parlarne dopo aver esaminato gli atteggiamenti della muscolatura
addominale. Non esiste un malato nevrotico che non riveli una «tensione nell’addome».
Avrebbe poco senso elencare e descrivere qui i sintomi, senza comprenderne la funzione
nella nevrosi.
Il trattamento della tensione addominale è divenuto tanto importante nel nostro
lavoro odierno che mi sembra oggi quasi incomprensibile come sia stato possibile curare
anche solo approssimativamente le nevrosi senza conoscere la sintomatologia del plesso
solare. I disturbi della respirazione nelle nevrosi sono sintomi conseguenziali delle
tensioni addominali. Si cerchi di immaginare di essere stati spaventati o di trovarsi in uno
stato di angosciosa attesa di un grande pericolo. Involontariamente si tratterrà il respiro e
si rimarrà in questa posizione. Poiché non si può cessare completamente di respirare,
presto si espirerà nuovamente, ma l’espirazione non sarà completa e profonda, ma
leggera; non si espirerà pienamente, ma solo a tratti. In uno stato di attesa angosciosa si
spingono involontariamente le spalle in avanti e si rimane in questo atteggiamento rigido.
A volte le spalle vengono anche alzate. Se si mantiene a lungo questo atteggiamento, si
comincia ad avvertire una pressione alla fronte. Ho curato diversi pazienti in cui non
riuscivo a eliminare la pressione alla fronte che dopo avere scoperto l’atteggiamento di
attesa angosciosa nella muscolatura toracica.
Che funzione ha l’atteggiamento descritto della «respirazione leggera»? Se
guardiamo la posizione degli organi interni e il loro rapporto con il plesso solare,
comprendiamo immediatamente di cosa si tratta. Quando si è spaventati si inspira
involontariamente; viene fatto di pensare all’inspirazione involontaria di quando si sta per
annegare e che è la causa principale della morte; il diaframma si contrae e comprime
dall’alto il plesso solare. La funzione di quest’azione muscolare diventa pienamente
comprensibile solo quando si prendono in considerazione i risultati dell’esame analitico-
caratteriale dei precedenti meccanismi di difesa infantili. I bambini combattono
solitamente i continui e penosi stati di angoscia che sentono nello stomaco trattenendo il
respiro. Essi fanno la stessa cosa quando provano sensazioni di piacere nell’addome o nei
genitali e ne hanno paura.
Trattenere il respiro e mantenere il diaframma contratto è forse uno dei primi e
più importanti atti che hanno lo scopo sia di sopprimere le sensazioni di piacere
nell’addome sia di soffocare sul nascere l’«angoscia addominale». A questo trattenere il
respiro si aggiunge poi l’effetto della pressione addominale. Tutti conoscono le
sensazioni vegetative nell’addome. Vengono di solito descritte in modi diversi. I pazienti
si lamentano di un’insopportabile «pressione» nell’addome o accusano la presenza di una
cintura attorno allo stomaco, che li «stringe». In altri, esiste un certo punto del ventre che
è molto sensibile. Tutti hanno paura di ricevere un colpo nel ventre. Questa angoscia del
colpo nel ventre diventa il centro di nutrite fantasie. Altri hanno la sensazione di avere
qualche cosa racchiuso nel ventre: «C’è qualcosa nel ventre che non riesce a uscire»; «mi
sembra di avere un piatto nel ventre»; «il mio ventre è morto»; «devo tenere il mio
ventre» ecc. Quasi tutte le fantasie infantili sulla gravidanza e la nascita si raggruppano
intorno alle sensazioni vegetative del ventre.
Se, senza spaventare il paziente, si preme lentamente con due dita circa tre
centimetri sotto lo sterno, prima o poi si osserva una tensione di resistenza di riflesso o
una resistenza costante. Il contenuto del ventre viene protetto. Pazienti che si lamentano
di un continuo senso di pressione o di stretta, simile a quella di una cintura, rivelano una
muscolatura della parte superiore dell’addome estremamente rigida e tesa. Esiste quindi
una pressione dal davanti contro il plesso solare, come dall’alto attraverso il diaframma.
Una pressione diretta e una profonda inspirazione riducono il potenziale elettrico della
pelle dell’addome in media di dieci-trenta MV.1
Una volta avevo una paziente che era sull’orlo di una grave forma di melanconia.
La sua muscolatura era altamente ipertonica, era depressa e per un anno non si riuscì a
farle esprimere la minima traccia di affetto. Per molto tempo non compresi come potesse
affrontare le situazioni più gravi senza mostrare la minima traccia di affetto. Alla fine la
situazione cominciò a chiarirsi. Al minimo segno di un affetto, essa «si aggiustava nel
ventre», tratteneva il fiato e guardava dalla finestra con l’occhio fisso, lo sguardo
all’infinito. I suoi occhi assumevano un’espressione vuota, come se avessero guardato
dentro di sé. Tendeva la superficie addominale e stringeva le natiche. Più tardi essa disse:
«Faccio morire il ventre, così non sento più nulla; altrimenti il mio ventre ha la coscienza
sporca». Ciò che intendeva dire era: «Piacere sessuale e quindi coscienza sporca».
Il modo in cui i nostri bambini riescono a «bloccare le sensazioni nel ventre» con
la respirazione e la pressione addominale è tipico e universale. La vegetoterapia deve
duramente lottare contro questa tecnica del controllo affettivo, che è identica
all’universale cultura yoga.
Come era possibile che questo blocco della respirazione potesse reprimere o
eliminare completamente gli affetti? Questa domanda era decisiva. Era infatti divenuto
chiaro che il freno della respirazione costituiva il meccanismo fisiologico della
repressione degli affetti e la rimozione degli affetti era quindi anche il meccanismo
fondamentale della nevrosi in generale. Una semplice riflessione ci faceva ricordare che
la respirazione ha biologicamente la funzione di apportare ossigeno e di eliminare
biossido di carbonio dall’organismo. L’ossigeno contenuto nell’aria immessa permette la
combustione nell’organismo dei cibi digeriti. In termini chimici, combustione è tutto ciò
che comporta la formazione di composti con l’ossigeno. Nella combustione si crea
energia. Senza ossigeno non c’è combustione e di conseguenza neppure produzione di
energia. Nell’organismo l’energia si crea attraverso la combustione degli alimenti.
Durante questo processo vengono generati calore ed energia cinetica. La bioelettricità
viene prodotta durante questo processo di combustione. Se la respirazione è ridotta, si
introduce meno ossigeno, praticamente solo quella quantità necessaria alla conservazione
della vita. Se nell’organismo viene prodotta meno energia, allora le eccitazioni vegetative
sono minori e quindi anche più facili da dominare. La respirazione frenata dei nevrotici
ha quindi, biologicamente parlando, la funzione di ridurre la produzione di energia
nell’organismo, e quindi anche la produzione di angoscia.
3. Il riflesso dell’orgasmo
Prima di conoscere questi fatti, ero costretto a far superare ai pazienti almeno in
parte l’inibizione del movimento pelvico facendo eseguir loro «esercizi». La parzialità
dei risultati mi spinse a rinunciare alle misure artificiali e a cercare le inibizioni della
mobilità naturale. La difesa contro il riflesso dell’orgasmo causa una serie di disturbi
vegetativi, come per esempio la stitichezza cronica, i reumatismi muscolari, la sciatica
ecc. In molti casi la stitichezza, anche se è durata decenni, sparisce con la comparsa del
riflesso dell’orgasmo. La sua piena realizzazione è spesso preceduta da nausea e da
vertigini, come pure da crampi al collo, contrazioni isolate della muscolatura addominale,
del diaframma, del bacino ecc. Tutti questi sintomi scompaiono però non appena il
riflesso dell’orgasmo si manifesta pienamente. Il bacino «rigido, morto, ritratto» è uno
dei più frequenti disturbi vegetativi dell’uomo. Esso è causa sia della lombaggine sia
delle affezioni emorroidali. Dimostreremo altrove il suo rapporto con un’altra malattia
molto frequente: il cancro ai genitali delle donne.
Il «far morire il bacino» ha quindi la stessa funzione del «far morire il ventre»,
cioè di evitare gli impulsi affettivi, in particolar modo le sensazioni di piacere e di
angoscia. Il «centro vegetativo» è chiuso tra gli organi che lo attorniano. La liberazione
avviene allentando la morsa che lo stringe.
Ora che le varie forme e manifestazioni degli atteggiamenti del corpo sono
diventate chiare in rapporto al riflesso dell’orgasmo e alla sua difesa, diventano
comprensibili nel lavoro terapeutico molti processi che in precedenza erano oscuri.
Mi ricordo3 di un tic al diaframma in una donna di quarantacinque anni che ho
avuto in cura circa quattordici anni fa all’Ambulatorio psicoanalitico di Vienna, che ho
parzialmente guarito rendendole possibile la masturbazione. Sin dalla pubertà, quindi per
oltre trent’anni, la paziente aveva sofferto di vibrazioni molto fastidiose al diaframma,
accompagnate da rumori. Il tic diminuì notevolmente quando la misi in condizione di
masturbarsi. Oggi comprendo chiaramente che tale miglioramento corrispondeva a una
soluzione parziale del blocco respiratorio del diaframma. A quel tempo potevo dire
soltanto, molto genericamente, che il soddisfacimento sessuale aveva eliminato una parte
dell’ingorgo sessuale, indebolendo in tal modo anche il tic. Non sarei però stato in grado
di dire nulla sulla forma in cui si era fissato l’ingorgo, sul punto in cui si era scaricato e
sul modo in cui il soddisfacimento sessuale aveva diminuito l’ingorgo.
Le esperienze odierne mi riportano alla mente i casi di epilessia in cui il corpo
viene scosso da convulsioni spasmodiche accompagnate da aura addominale, senza che
allora fossi in grado di dire in quale punto del corpo e con quale nesso rispetto al sistema
nervoso ciò avvenisse. Ora diveniva chiaro che gli attacchi epilettici sono convulsioni
dell’apparato vegetativo, in cui l’energia biopsichica ingorgata viene scaricata
esclusivamente attraverso la muscolatura, e non per via genitale. L’attacco epilettico è un
orgasmo extragenitale, muscolare.4
Allo stesso modo ora divennero chiari i casi in cui durante il trattamento si
possono osservare qualche volta «Bauchflattern», cioè contrazioni involontarie e non
coordinate della muscolatura addominale; esse rappresentano tentativi dell’organismo di
allentare la tensione addominale.
In molti casi avevo la sensazione di trovarmi di fronte a una sorta di cattiveria
trattenuta senza che fosse mai esplosa. Del resto non sarei mai stato in grado di dire dove
fosse localizzata. Il trattamento del comportamento vegetativo permette di localizzare
somaticamente la cattiveria. Ci sono pazienti che con gli occhi e le guance esprimono
gentilezza, che però è in netto contrasto con l’espressione del mento e della bocca.
L’espressione della parte inferiore del viso è del tutto diversa da quella della parte
superiore. Lo smantellamento dell’atteggiamento della bocca e del mento libera un’ira
incredibile.
In altri casi si sente la falsità della cortesia convenzionale; essa nasconde il
contrario: una cattiveria perfida, che, per esempio, si manifesta in una stitichezza che
dura ormai da decenni. L’intestino è inattivo e la sua funzione dev’essere costantemente
stimolata con il ricorso a purganti. Questi pazienti da bambini hanno spesso dovuto
controllare la loro ira e «imprigionare nel ventre la loro cattiveria». Il modo in cui i
pazienti descrivono le proprie sensazioni corporee riproduce, quasi regolarmente, frasi
che sono state dette durante l’infanzia dai loro educatori. Per esempio: «La pancia è
cattiva quando fa “put”». Quando viene educato «molto correttamente», il bambino prova
una forte tentazione di reagire con un «put». Ma egli deve presto reprimere questa sua
tentazione, e lo può fare solo «imprigionando il “put” nella pancia». Per fare ciò, il
bambino deve reprimere ogni eccitazione che si manifesta nell’addome, quindi anche
l’eccitazione sessuale genitale, ritirandosi in se stesso, «facendo ritirare la pancia in se
stessa». L’addome diviene duro, teso e ha «imprigionato la cattiveria».
Varrebbe la pena di descrivere molto dettagliatamente, storicamente e
funzionalmente, i complicati sviluppi di tali sintomi di atteggiamento somatico dei diversi
pazienti. Mi limiterò per il momento ad accennare ad alcuni fatti tipici. È estremamente
istruttivo vedere come il corpo – che funziona come organismo unitario – sia in grado di
scindersi in parti, di cui una funziona nel senso del vago, l’altra nel senso del simpatico.
Avevo una paziente che in una determinata fase del trattamento era già completamente
sciolta nella parte superiore dell’addome; aveva le note sensazioni di corrente, la parete
addominale poteva essere facilmente schiacciata ecc. Tra la parte superiore dell’addome,
il petto e il collo non c’era più alcuna interruzione della sensazione. Ma il basso ventre si
comportava come se fosse nettamente separato da una linea di demarcazione.
Comprimendo la parete addominale si sentiva un gnocco duro, grande circa come la testa
di un bambino. Sarebbe oggi impossibile indicare anatomicamente con precisione come
si produce un simile gnocco, cioè quali organi partecipino alla sua formazione, ma lo si
può inequivocabilmente sentire al tatto. In una fase successiva del trattamento c’erano
giorni in cui il gnocco alternatamente appariva e spariva. Esso si formava ogni qual volta
la paziente combatteva per paura l’eccitazione genitale che stava sorgendo; scompariva
quando essa si sentiva in grado di permettere l’eccitazione genitale.
Le manifestazioni somatiche della schizofrenia, in particolar modo nella loro
forma catatonica, saranno più utilmente trattate a parte, sulla base di nuovo materiale. Le
stereotipie, le perseverazioni, gli automatismi catatonici di ogni genere devono essere
ricondotti all’armatura muscolare e all’esplosione di energia vegetativa; ciò vale in primo
luogo per gli attacchi di furore catatonico. Nella nevrosi semplice esiste soltanto un
irrigidimento superficiale della mobilità vegetativa che lascia spazio alle eccitazioni
interne e alle scariche nella «fantasia». Se l’armatura si estende in profondità, se blocca le
zone centrali dell’organismo biologico, se coinvolge completamente la muscolatura,
allora rimane soltanto la via d’uscita dell’esplosione violenta (furore che viene vissuto
come liberazione) o il progressivo inaridimento dell’apparato vitale.
In questo campo rientra anche la problematica di una serie di malattie organiche
come l’ulcera gastrica, il reumatismo muscolare e il cancro.
Indubbiamente, svolgendo la loro attività clinica, gli psicoterapeuti possono
osservare un gran numero di tali sintomi. Eppure essi non sono analizzabili isolatamente,
ma soltanto nell’ambito di tutte le funzioni biologiche del corpo e del loro rapporto con le
funzioni del piacere e dell’angoscia. È impossibile affrontare con successo la ricca
problematica delle espressioni e degli atteggiamenti somatici, se si considera l’angoscia
solo come causa, e non in primo luogo come conseguenza dell’ingorgo sessuale.
«Ingorgo» non significa altro che un freno dell’espansione vegetativa e un blocco
dell’attività e della mobilità degli organi vegetativi centrali. In tal caso la scarica
dell’eccitazione è bloccata e l’energia biologica è legata.
Il riflesso dell’orgasmo è una contrazione unitaria di tutto il corpo. Nell’orgasmo
noi non siamo altro che una massa di protoplasma che si contrae. Dopo quindici anni di
ricerche sull’orgasmo ero finalmente riuscito a individuare il nucleo biologico delle
malattie psichiche. Il riflesso dell’orgasmo si riscontra in tutti gli esseri viventi che si
accoppiano. In una serie di orgasmi biologici fra i più primitivi, per esempio nei protozoi,
esso esiste sotto forma di contrazioni del plasma. Lo stadio più basso in cui si verifica è la
divisione della cellula.
Non fu facile rispondere alla domanda di cosa si sostituisca alla contrazione in
forma sferica quando l’organismo non può più assumere la forma sferica come nei
protozoi. A partire da un certo stadio dell’evoluzione, i metazoi possiedono una struttura
ossea che li sorregge. Ciò impedisce la funzione, caratteristica dei molluschi e dei
protozoi, di assumere la forma sferica nella contrazione. Immaginiamo che la nostra
vescica biologica si sia trasformata in un tubo elastico. Introduciamo, per il lungo, un
bastone flessibile solo in una direzione, e immaginiamo che esso rappresenti la spina
dorsale. Facciamo sorgere nella vescica allungata l’impulso a contrarsi. Possiamo vedere
che alla vescica rimane soltanto una possibilità, se vuole contrarsi nonostante la sua
incapacità di assumere la forma sferica: essa deve rapidamente piegarsi alle estremità.
Sul piano biologico, il riflesso dell’orgasmo non è nient’altro che questo. Questo
atteggiamento somatico è caratteristico in molti insetti e soprattutto negli atteggiamenti
embrionali.
Negli individui isterici, si verificano crampi muscolari prevalentemente nelle parti
dell’organismo che hanno una muscolatura anulare, soprattutto nel collo e nel tratto
finale dell’intestino. Ma queste due parti, dal punto di vista ontogenetico, corrispondono
alle due aperture dell’intestino primitivo:
Altrettanto importante è la muscolatura anulare all’ingresso e all’uscita dello
stomaco. Qui si verificano spasmi isterici che hanno spesso gravi conseguenze per lo
stato generale. Queste parti del corpo, particolarmente predisposte a contrazioni croniche
e che corrispondono biologicamente a fasi di sviluppo molto primitive, sono molto spesso
la causa di contrazioni nevrotiche. Se il collo e il tratto finale dell’intestino sono bloccati,
la contrazione orgastica è impossibile. Il «ritrarsi» somatico si esprime nell’atteggiamento
opposto a quello del riflesso dell’orgasmo: la schiena è arcuata, la nuca è rigida, l’ano è
bloccato, il petto è spinto in fuori, le spalle sono tese. L’arc-de-cercle dell’isterico è
esattamente il contrario del riflesso dell’orgasmo ed è il prototipo della difesa contro la
sessualità.
Ogni impulso psichico è funzionalmente identico a una determinata eccitazione
somatica. La concezione secondo cui l’apparato psichico funziona isolatamente e
influenza l’apparato somatico – il quale funziona a sua volta isolatamente – non può
corrispondere alla situazione reale. Un salto dal campo psichico a quello somatico è
inconcepibile, poiché viene a mancare il presupposto dell’esistenza di due campi separati.
Allo stesso modo il contenuto di una funzione psichica – come, per esempio, la
rappresentazione di picchiare – non può assumere un’espressione somatica, se esso stesso
non è già espressione di un impulso vegetativo di movimento. La nascita di una
rappresentazione da un impulso vegetativo rientra nei problemi più difficili della
psicologia. In base alle esperienze cliniche, è accertato che sia il sintomo somatico sia la
rappresentazione psichica inconscia sono conseguenza di un’innervazione vegetativa
contraddittoria. Ciò non è contraddetto dal fatto che si può eliminare il sintomo somatico
rendendo cosciente il suo contenuto psichico, perché ogni modificazione nel campo delle
rappresentazioni psichiche a sua volta deve essere necessariamente funzionalmente
identica con le modificazioni dell’eccitazione vegetativa. Non è quindi solo il diventar
cosciente di una rappresentazione che guarisce, ma il cambiamento del decorso
dell’eccitazione.
Abbiamo quindi in campo somatico la seguente successione di funzioni mentre
agiscono le rappresentazioni psichiche:
a) L’eccitazione psichica è funzionalmente identica all’eccitazione somatica.
b) La fissazione di un’eccitazione psichica avviene attraverso la fissazione di un
determinato stato di innervazione vegetativa.
c) Il mutato stato vegetativo modifica la funzione dell’organo.
d) Il «significato psichico del sintomo organico» non è altro che l’atteggiamento
somatico in cui si esprime il «significato psichico». (La riservatezza psichica si esprime
in uno stato di contrazione vegetativa; l’odio psichico si esprime in un determinato
atteggiamento vegetativo di odio. Le due cose sono identiche e inseparabili.)
e) Lo stato vegetativo fissato si ripercuote sullo stato psichico.
La percezione di un pericolo reale funziona in modo identico a un’innervazione
simpatico tonica; questa accresce a sua volta l’angoscia; l’angoscia accresciuta esige
un’armatura che equivale a un legame di energia vegetativa nell’armatura muscolare.
Questa a sua volta disturba la possibilità di scarica e aumenta la tensione ecc.
La psiche e il soma funzionano vegetativamente come due sistemi unitari e nello
stesso tempo condizionantisi l’un l’altro.
Cercherò di rendere ancora più chiaro ciò che ho detto in base al seguente
concreto caso clinico:
Una paziente, estremamente carina e sessualmente attraente, si lamentava di
sentirsi brutta, poiché non sentiva il suo corpo in modo unitario. Descrisse il suo stato nel
modo seguente: «Ogni parte del mio corpo agisce indipendentemente. Le mie gambe
sono qui e la mia testa è là, e non so mai bene dove siano le mie mani. Non sento mai il
mio corpo tutto assieme». Essa soffriva quindi dei ben noti disturbi di autopercezione,
che si esprimono in modo particolarmente acuto nella spersonalizzazione schizoide. Ora,
durante il trattamento vegetoterapeutico si manifestò un rapporto molto strano tra le
diverse funzioni dei suoi atteggiamenti muscolari del volto. Sin dall’inizio del trattamento
notai l’espressione «indifferente» del suo viso. Gradualmente l’espressione di
indifferenza divenne così marcata che la paziente cominciò a soffrirne in modo
particolare. Anche quando si parlava con lei di cose molto serie, essa guardava con
un’espressione indifferente in un angolo della stanza o fuori della finestra. I suoi occhi
avevano un’espressione vuota. Dopo che tale espressione indifferente fu scomposta nelle
sue parti e smantellata, sul suo viso apparve un tratto nuovo di cui in precedenza si era
potuto vedere solo qualche traccia. La regione della bocca e del mento aveva
un’espressione diversa da quella degli occhi e dalla fronte. Dopo che l’espressione del
volto si era evidenziata, divenne chiaro che la bocca e il mento erano «cattivi», mentre gli
occhi e la fronte erano «morti». Queste parole rispecchiavano le sensazioni interiori della
paziente. Cominciai a separare gli atteggiamenti della bocca e del mento. Durante
l’intervento si svilupparono reazioni incredibilmente violente di impulsi a mordere, fino
allora trattenuti, che ella aveva sviluppati nei confronti del marito e del padre, senza per
altro aver mai dato loro libero sfogo. Gli impulsi di ira, che si manifestavano
nell’atteggiamento del mento e della bocca, erano stati coperti fino al momento del
trattamento da un atteggiamento di indifferenza su tutto il volto; infatti, soltanto
l’eliminazione dell’indifferenza aveva portato alla luce l’espressione di ira della bocca.
Per la paziente l’indifferenza aveva la funzione di non esporsi costantemente alla penosa
sensazione di odio sulla bocca. Dopo circa due settimane di trattamento della regione
della bocca, l’espressione cattiva scomparve completamente in seguito alla scoperta di
una violenta reazione di delusione. Uno dei suoi tratti caratteriali era la coazione a esigere
continuamente amore e ad arrabbiarsi quando le sue pretese insoddisfabili non venivano
soddisfatte. Dopo che l’atteggiamento della bocca e del mento fu sciolto, apparvero
contrazioni preorgastiche in tutto il corpo, dapprima sotto forma di movimenti ondulatori
serpentini che coinvolgevano anche il bacino. Ma l’eccitazione genitale veniva frenata in
un determinato punto. Durante la ricerca della funzione frenante, l’espressione della
fronte e degli occhi si fece via via più pronunciata. Apparve uno sguardo cattivo,
osservatore, critico e attento. Solo a questo punto la paziente poté rendersi conto che in
fondo non era mai capace di «perdere la testa»: doveva costantemente «stare in guardia».
Il modo in cui gli impulsi somatici vegetativi appaiono e divengono più evidenti è
forse uno dei fenomeni più singolari che si possono osservare nella vegetoterapia. È
difficile descriverlo, bisogna viverlo nell’esperienza clinica.
La fronte «morta» aveva quindi coperto la fronte «critica». La domanda
successiva fu quale funzione avesse la fronte «critica, cattiva». L’analisi della sua
funzione di eccitazione genitale rivelò che la fronte stava «attenta a ciò che faceva il
genitale». Storicamente, l’espressione severa degli occhi e della fronte risultava da
un’identificazione con il padre, un personaggio molto morale e ascetico. Sin da piccola
suo padre le aveva continuamente ripetuto che era pericoloso cedere ai desideri sessuali;
in particolare egli le aveva descritto soprattutto le distruzioni che il corpo subisce in
seguito alla sifilide. La fronte faceva quindi la guardia al posto del padre quando ella
voleva cedere a uno stimolo sessuale.
L’interpretazione secondo cui ella si era identificata con il padre non era
sufficiente. La domanda successiva era per quale motivo ella avesse compiuto
l’identificazione proprio sulla fronte e che cosa mantenesse attualmente operante tale
funzione. Dobbiamo fare una netta distinzione tra la spiegazione storica di una funzione e
la sua spiegazione dinamica attuale. Si tratta di due cose completamente diverse. Non si
elimina un sintomo organico limitandosi a spiegarlo storicamente. Non si può fare a
meno della conoscenza del rapporto attuale delle funzioni. (Da non confondere con il
«conflitto attuale»!) La deduzione dell’espressione attenta della fronte
dall’identificazione infantile con il padre critico non scuoterebbe minimamente il disturbo
orgastico.
Il successivo decorso del percorso di guarigione di questa paziente ha dimostrato
che questa concezione è esatta. Infatti, nella misura in cui l’espressione critica e
osservatrice si sostituì all’espressione «morta», in un primo tempo si accentuò tutta la
difesa contro la genitalità. Gradualmente, l’espressione severa si alternò con
un’espressione serena, un po’ infantile, della fronte e degli occhi, a seconda se la paziente
accettava o rifiutava il suo desiderio genitale. Con la sostituzione dell’atteggiamento
critico della fronte con quello sereno, scomparve anche il freno dell’eccitazione genitale.
Ho descritto questo tanto dettagliatamente perché è caratteristico di tutta una serie
di disturbi del processo di tensione-carica dell’apparato genitale. Il «non perdere la testa»
è, per esempio, un atteggiamento molto diffuso.
La nostra paziente aveva la sensazione di possedere un corpo diviso in varie parti,
disarticolato, sconnesso. Per questo motivo le mancava anche la coscienza e la possibilità
di percepire la sua grazia sessuale e vegetativa.
Com’è possibile che un organismo, che costituisce un tutt’uno, possa «scomporsi»
nella percezione? Il termine «spersonalizzazione» non ci dice nulla, poiché esso stesso
necessita di una spiegazione. Com’è possibile – dobbiamo chiederci – che parti organiche
possano funzionare da sole, staccate da tutto l’organismo? Qui le spiegazioni
psicologiche non ci sono di aiuto, perché la psiche nelle sue funzioni affettive dipende
totalmente dalle funzioni di espansione e di contrazione dell’apparato vitale vegetativo.
Per sua struttura, esso è un sistema non omogeneo. Le esperienze cliniche rivelano che il
processo di tensione-carica può cogliere tutto il corpo come pure singoli gruppi isolati di
organi. L’apparato vegetativo è in grado di essere ipertonico in modo vagale nella parte
superiore dell’addome e in modo simpatico nel basso ventre. È in grado di produrre una
tensione muscolare nelle spalle, e un allentamento o persino una mollezza nelle gambe.
Esso ha questa capacità soltanto perché non è un apparato omogeneo. Durante un’azione
sessuale, la regione della bocca può essere eccitata mentre il genitale può essere
completamente non eccitato, o persino negativo o viceversa.
Questi dati ci forniscono una solida base per valutare se una funzione è
sessuoeconomicamente «sana» o sessuoeconomicamente «malata». Indubbiamente la
caratteristica fondamentale della salute psichica e vegetativa è la capacità
dell’organismo vegetativo di seguire in modo unitario e totale la funzione di tensione-
carica. Per converso, dobbiamo considerare patologica ogni non-partecipazione di singoli
organi o persino di gruppi di organi alla totalità e all’unitarietà della funzione vegetativa
di tensione-carica, quando essa è cronica e disturba l’intera funzione in modo continuo.
L’esperienza clinica insegna inoltre che i disturbi dell’autopercezione scompaiono
realmente solo quando il riflesso dell’orgasmo è pienamente sviluppato in modo unitario.
In tal caso è come se tutti gli organi e sistemi di organi del corpo fossero raccolti
unitariamente in un’unica funzione della percezione, sia della contrazione sia
dell’espansione.
Da questo punto di vista la spersonalizzazione si rivela come non-carica, cioè
come disturbo dell’innervazione vegetativa di singoli organi o sistemi di organi, della
punta delle dita, delle braccia, della testa, delle gambe, del genitale ecc. La non unitarietà
nell’autopercezione è dovuta anche al fatto che la corrente di eccitazione nel corpo è
interrotta qua e là. Ciò vale soprattutto per due punti del corpo: uno è il collo, che a causa
della sua contrazione impedisce all’onda di eccitazione di passare dal torace alla testa; il
secondo è la muscolatura del bacino che, quando è contratta, interrompe il passaggio
dell’eccitazione dal ventre ai genitali e alle gambe.
In base alle ricerche compiute nel campo della psicologia analitica comprendiamo
la storia individuale di una nevrosi, le circostanze esterne che l’hanno causata, il motivo
interiore del conflitto psichico e infine le conseguenze della rimozione sessuale, come,
per esempio, i sintomi e i tratti caratteriali nevrotici. Ma non comprendiamo il
meccanismo per cui un episodio infantile, un trauma esterno o un conflitto psichico
interno vengono fissati cronicamente in una reazione patologica.
Vediamo donne che, pur vivendo nelle migliori condizioni sessuali ed
economiche, non si liberano dalla loro nevrosi. Vediamo bambini di tutti i ceti sociali che,
a volte nelle più favorevoli condizioni sessuoeconomiche, non solo diventano nevrotici,
ma rimangono anche tali. Vediamo inoltre la «coazione a ripetere», considerata finora una
manifestazione mistica e quindi descritta come tale, cioè la coazione caratteristica di tante
persone a mettersi ripetutamente in situazioni dannose. Nessuno di questi fenomeni può
essere spiegato con le concezioni finora note.
La funzione della fissazione di una nevrosi si manifesta in modo impressionante
alla fine di un trattamento, quando si tenta di realizzare la capacità orgastica di
abbandonarsi. Proprio nel momento in cui il paziente dovrebbe «acquistare» la salute, si
verificano le più violente reazioni contro di essa. La paura del piacere che domina il
malato è in netto contrasto con il principio di piacere.
La paura della punizione per azioni sessuali che il malato ha provato da bambino
si è ancorata cronicamente sotto forma di paura del piacere. Ricordiamoci che il piacere,
se viene frenato durante il suo decorso, ha la caratteristica di tramutarsi in dispiacere. Se
nonostante una fortissima eccitazione sessuale non si riesce mai a raggiungere il
soddisfacimento finale, gradualmente nasce la paura non solo del soddisfacimento finale,
ma anche della precedente eccitazione. Il processo piacevole dell’eccitazione diviene
fonte di dispiacere. La sensazione di piacere, normalmente sentita come corrente, viene
frenata da un crampo muscolare che può diventare estremamente doloroso e che inoltre
provoca un aumento dell’ingorgo. Il rifiuto dell’attività sessuale da parte di bambini e di
adolescenti si spiega con la fissazione di un crampo fisiologico nei genitali che trasforma
ogni eccitazione piacevole nel suo opposto, pur mancando una giusta predisposizione
intellettuale ed emotiva. Questo è collegato all’incapacità di sopportare la benché minima
eccitazione. La base fisiologico-strutturale della rassegnazione caratteriale e della
modestia va ricercata nel crampo muscolare che si produce durante l’aumento del
piacere.
Gli stati e sintomi psicopatologici sono quindi le conseguenze di un disturbo
dell’equilibrio energetico vegetativo (= sessuoeconomico).
Ogni disturbo della piena sensazione somatica riguarda contemporaneamente sia
l’autopercezione sia l’unitarietà della sensazione somatica. Nello stesso tempo esige una
«compensazione» del disturbo. La sensazione vegetativa della propria interezza, che è la
migliore base naturale di una forte percezione, è disturbata in tutti gli individui nevrotici.
Questo disturbo si manifesta nelle forme più svariate fino alla completa scissione della
personalità. Non esistono sostanziali differenze nelle manifestazioni che vanno dalla più
semplice sensazione di essere freddi e rigidi fino alla dissociazione schizofrenica, alla
mancanza di contatto e alla spersonalizzazione, ma solo differenze quantitative che si
esprimono anche qualitativamente. La sensazione di un immediato contatto con il mondo
è connessa con la sensazione della propria interezza. Con la realizzazione dell’unitarietà
del riflesso dell’orgasmo si ristabiliscono anche le sensazioni di profondità e serietà
andate perdute a suo tempo. In questo contesto i pazienti ricordano anche il periodo della
prima infanzia in cui l’unitarietà delle loro sensazioni somatiche non era ancora
disturbata. Raccontano commossi come da bambini si sono sentiti tutt’uno con la natura,
con tutto ciò che li circondava, come si sono sentiti «vivi», e come tutto ciò è stato
successivamente distrutto dall’educazione. Nella frantumazione dell’unitarietà della
sensazione somatica attraverso la repressione sessuale e nella costante aspirazione di
ristabilire il contatto con sé e il mondo, risiede la radice soggettiva di tutte le religioni
sessuonegative. «Dio» è la rappresentazione mistica dell’armonia vegetativa dell’Io con
la natura.
Lascerò ad altri studiosi, più esperti di civiltà indiana e cinese, il compito di
trovare i singoli nessi. I fatti clinici che ho cercato di descrivere aprono un’ampia
prospettiva alla comprensione di quelle civiltà umane in cui un rigido patriarcato
familiare, una severissima repressione sessuale, nei bambini piccoli e negli adolescenti, e
un’ideologia della «riservatezza e dell’autocontrollo» costituiscono un’unità in tutta
l’area culturale. Questo è innanzi tutto il caso degli indiani, dei cinesi e dei giapponesi. Se
un rigido patriarcato sessuonegativo vuole riprodursi, deve reprimere violentemente le
pulsioni sessuali dei bambini; da ciò nascono profonda paura e ira. Questo è in
contraddizione con la cultura familiare patriarcale e richiede l’ideologia
dell’autocontrollo, della capacità di rimanere impassibili anche di fronte ai più violenti
dolori; e ancora più, esige il superamento della vita affettiva in generale, sia del piacere
sia della sofferenza. Questo corrisponde pienamente all’ideologia buddhista dell’assenza
di dolore; e quindi diventano comprensibili anche gli esercizi di respirazione degli yoghi.
La tecnica respiratoria yoga è l’esatto contrario della tecnica respiratoria che applichiamo
ai nostri malati per liberare gli stimoli affettivi vegetativi. La pratica respiratoria yoga ha
lo scopo di combattere gli stimoli affettivi, di raggiungere la calma. Il rito ricorda le
azioni coatte e il loro dualismo. L’assenza di affetto a cui si tende, come mi è stato detto,
non è che l’arte di raggiungere uno stato di benessere, e persino di estasi, mediante una
determinata tecnica respiratoria. L’espressione rigida del volto, simile a una maschera di
un tipico indiano, cinese o giapponese, trova il suo limite estremo nella capacità di
sprofondare in un’estasi priva di conoscenza. Il fatto che la tecnica dello yoga abbia
potuto diffondersi anche in Europa e in America è dovuto alla necessità che gli uomini di
tutti i ceti sociali hanno bisogno di un mezzo per dominare i loro naturali stimoli
vegetativi e per eliminare contemporaneamente i loro stati di angoscia. Probabilmente
non sono troppo lontani dal sospettare in loro una funzione vitale orgastica.
Trascurando l’indispensabile meticolosità vorrei indicare qui un altro fenomeno
che svolge un ruolo distruttivo nel nostro attuale ordinamento sociale: si tratta del
prescritto «portamento militare» che viene propagandato e ottenuto dai fascisti. Il
«portamento rigido» militare è proprio il contrario della posizione naturale, sciolta e
mobile. La nuca deve essere rigida, la testa portata in avanti; gli occhi devono fissare
immobili e diritti il vuoto; il mento e la bocca possibilmente devono assumere
un’espressione «virile»; il torace deve essere spinto in avanti; le braccia devono aderire
strettamente al corpo; le mani tese devono toccare la piega dei calzoni. Probabilmente il
segno più tipico dello scopo sessuorepressivo di questa tecnica militare è la prescrizione
generale che il ventre e il bacino devono essere tirati «in dentro». Le gambe sono dure e
rigide. Immaginiamo per un momento la posizione assunta dai malati durante il
trattamento mentre combattono violentemente i loro stimoli affettivi sforzandosi di
dominarli. Le loro spalle sono rigide, la nuca tesa, bacino e ventre sono tirati in dentro, le
braccia aderiscono rigidamente al corpo, le gambe sono tese. L’identicità non consiste
solo in questo: le caviglie tese sono un tipico segno clinico che indica un’artificiale
repressione affettiva. La tensione delle caviglie viene anche severamente prescritta nel
passo di parata prussiano. Le persone i cui atteggiamenti somatici vengono educati e
addestrati in questo modo non sono capaci di avere naturali stimoli vegetativi. Esse
diventano macchine che eseguono, senza opporre la minima resistenza, gesti meccanici,
che senza battere ciglio dicono «Sissignore», che sparano meccanicamente sui propri
fratelli, padri, madri e sorelle: l’educazione a un rigido atteggiamento innaturale è uno dei
mezzi essenziali dell’ordinamento sociale dittatoriale teso a creare organismi che
funzionino automaticamente, che non abbiano una propria volontà. Non si tratta di un
«problema individuale» ma di un problema che riguarda la formazione strutturale
dell’uomo odierno nella sua essenza. Esso coinvolge vasti ambienti culturali, distrugge la
gioia di vivere e la capacità di raggiungere la felicità di milioni e milioni di persone.
Esiste così un diretto legame fra l’esercizio del bambino che trattiene il respiro per non
masturbarsi, il blocco muscolare dei nostri malati e l’atteggiamento militare dei
nazionalsocialisti e di tutti i militaristi fino alla distruttiva tecnica artificiale di
autocontrollo di vastissimi ambienti culturali.
Devo accontentarmi di questo breve abbozzo. Non vi è alcun dubbio che
l’importanza dell’atteggiamento del corpo per la riproduzione strutturale
dell’ordinamento sociale un giorno verrà affrontata su vasta scala e praticamente risolta.
I bambini, per quanto desiderino essere vivi vegetativamente e liberi, ne hanno
paura e reprimono volontariamente i loro stimoli se non trovano un ambiente adatto in cui
realizzare, relativamente con pochi conflitti, il loro fresco desiderio di vivere. È uno dei
grandi segreti della psicologia di massa il fatto che l’uomo medio, il bambino medio,
l’adolescente medio preferiscono di gran lunga rinunciare alla felicità quando la lotta per
la gioia di vivere produce troppi dolori. Propagandare la felicità senza comprendere e
realizzare le condizioni psichiche e sociali per una vita realmente «viva» significherebbe
quindi parlare a vanvera. Non è utile a nessuno se «caratteri particolarmente ribelli»
«tuonano» contro l’educazione; sono invece necessari:
1. Un’esatta comprensione dei meccanismi con cui viene realizzato il controllo
patologico degli affetti.
2. Una vasta esperienza di lavoro pratico con i bambini per comprendere come
essi stessi si comportano nei confronti dei loro naturali stimoli affettivi in determinate
circostanze.
3. Realizzazione delle condizioni educative per raggiungere l’equilibrio tra
vivacità vegetativa e socialità.
4. Creazione delle generali premesse sociali ed economiche per raggiungere
questo obiettivo.
L’uomo ha fatto passi da gigante nel costruire e nel controllare le macchine. Sono
appena quarant’anni che egli tenta di comprendere se stesso. La peste psichica che
affligge il nostro secolo non potrà essere eliminata senza pianificare l’energia biologica
umana. La via della ricerca e della soluzione scientifiche delle questioni vitali è lunga e
difficile, proprio il contrario dell’ignoranza e dell’arroganza dei politicanti. Ci sono
buone ragioni per sperare che un giorno la scienza riuscirà a dominare l’energia biologica
così come oggi domina l’energia elettrica. Solo allora la peste psichica degli uomini sarà
sconfitta.
6. Tipiche malattie psicosomatiche: conseguenze della simpaticotonia cronica
Ora siamo orientati a sufficienza sulla natura della simpaticotonia per poter avere
un’idea sommaria su una serie di malattie organiche che devono la loro esistenza
all’impotenza orgastica degli uomini. La paura dell’orgasmo crea la simpaticotonia
cronica, che a sua volta genera l’impotenza orgastica, che a sua volta, come in un circolo
vizioso, mantiene la simpaticotonia. La sua caratteristica fondamentale è l’atteggiamento
inspiratorio cronico del torace e la limitazione della piena espirazione (vagale).
L’atteggiamento di inspirazione simpaticotonico ha essenzialmente la funzione di
impedire il sorgere di sensazioni organiche e di affetti che l’espirazione normale
provocherebbe.
Dall’atteggiamento cronico di angoscia dell’organismo risultano:
1. L’ipertonia cardiovascolare. I vasi periferici sono costantemente costretti e
limitati nel processo di espansione e di contrazione cosicché il cuore deve
ininterrottamente compiere uno sforzo maggiore per pompare il sangue attraverso i vasi
irrigiditi. La tachicardia, un’alta pressione del sangue e la sensazione che manchi l’aria
nel petto, fino all’angoscia cardiaca, sono anche i sintomi del morbo di Basedow. Vien
fatto di chiedersi fino a che punto il disturbo della funzione tiroidea sia originario, o fino
a che punto sia soltanto un sintomo secondario di una simpaticotonia generale. Anche
l’arteriosclerosi, caratterizzata dalla calcificazione dei vasi sanguigni, si riscontra molto
spesso in individui che hanno sofferto per anni di ipertonia funzionale. È molto probabile
che persino certi disturbi delle valvole cardiache e altre forme di malattie cardiache
organiche costituiscano una reazione dell’organismo all’ipertonia cronica del sistema
vascolare.
2. Reumatismo muscolare. L’atteggiamento cronico di inspirazione alla lunga non
è sufficiente per dominare le eccitazioni bioenergetiche del sistema vitale autonomo. A
ciò si aggiunge la tensione cronica dei muscoli, l’armatura muscolare, per sorreggere
l’ipertonia vascolare. L’ipertonia della muscolatura, se dura anni e decenni, conduce a
una contrazione cronica e alla formazione di noduli reumatici come risultato della
sedimentazione di sostanze solide nei fasci muscolari. In quest’ultimo stadio il processo
reumatico è ormai irreversibile. Nella vegetoterapia del reumatismo si nota che esso è
tipico di quei gruppi di muscoli che hanno il compito di reprimere gli affetti e le
sensazioni organiche. Il reumatismo muscolare si concentra nella muscolatura della nuca
e tra le scapole, dove l’azione muscolare tipica è quella di tirare indietro le spalle, ciò che
in termini analitico-caratteriali significa «autocontrollo» e «riservatezza». Di preferenza
la malattia colpisce i due grossi muscoli del collo che vanno dall’occipite alla clavicola
(muscoli sternocleidomastoidei). Questi muscoli vengono a trovarsi in uno stato di
ipertonia cronica quando la rabbia viene inconsciamente repressa in continuazione. Un
paziente che soffriva di reumatismi definì i gruppi muscolari in questione con il termine
molto indicativo di «muscoli della caparbietà». A questi si devono aggiungere anche i
muscoli della mascella, la cui contrazione cronica conferisce un’espressione caparbia e
ostinata alla parte inferiore del viso.
Nella parte inferiore del corpo sono colpiti con particolare frequenza i muscoli
che ritraggono il bacino, generando in tal modo una lordosi. Sappiamo già che la
ritrazione cronica del bacino ha la funzione di non far sorgere l’eccitazione genitale. A
questo proposito la lombaggine merita un esame più approfondito. La si trova molto
spesso in pazienti la cui muscolatura del sedere è cronicamente tesa, per trattenere le
sensazioni anali. Un altro gruppo di muscoli spesso colpito da reumatismi è quello degli
adduttori superficiali e profondi delle cosce, che servono a «stringere le gambe». Essi
hanno la funzione, soprattutto nelle donne, di reprimere l’eccitazione genitale. Nella
vegetoterapia sono stati chiamati «muscoli della moralità». L’anatomista viennese Julius
Tandler usava chiamarli scherzosamente «custodes virginitatis». Nei pazienti affetti da
reumatismi muscolari ma anche in moltissimi nevrotici caratteriali, questi gruppi di
muscoli si presentano al tatto come grossi cordoni sensibili alla pressione che non si
possono allentare, nella parte superiore interna delle cosce. Alla stessa categoria
appartengono anche i muscoli flessori del ginocchio che vanno dall’osso inferiore del
bacino fino alla parte superiore della gamba. Essi si contraggono cronicamente quando si
vogliono reprimere sensazioni organiche nel pavimento pelvico. I grandi muscoli
anteriori del torace (pettorali) sono cronicamente tesi e duri quando l’atteggiamento di
inspirazione è cronicamente fissato. Le nevralgie intercostali derivano da ciò e possono
essere eliminate. 3. Ci sono buone ragioni per ritenere che l’enfisema polmonare, in cui il
torace si gonfia a forma di botte, sia una conseguenza di un cronico atteggiamento di
inspirazione. Non bisogna dimenticare che ogni fissazione cronica di un determinato
atteggiamento muscolare danneggia l’elasticità dei tessuti; nel caso dell’enfisema ciò
riguarda le fibre elastiche dei bronchi. 4. Asma bronchiale nervosa; i suoi rapporti
rispetto alla simpaticotonia non sono ancora chiari. 5. Ulcera gastrica. Secondo la tabella
di p. 249, la simpaticotonia cronica è accompagnata da un eccesso di acidi. Questa è la
causa dell’iperacidità dei succhi gastrici. L’alcalizzazione è ridotta. La mucosa dello
stomaco è esposta all’azione degli acidi. L’ulcera gastrica si trova normalmente circa nel
mezzo della parete posteriore dello stomaco, proprio nella regione dietro la quale si
trovano il pancreas e il plesso solare. Ci sono buone ragioni per ritenere che i nervi
vegetativi della parete posteriore nello stato di simpaticotonia si ritirino, diminuendo in
tal modo la resistenza della membrana mucosa agli attacchi degli acidi. L’ulcera gastrica
è così nota come manifestazione di un disturbo affettivo cronico che non si può più
dubitare della sua natura psicosomatica. 7. Spasmi di ogni genere dei muscoli anulari
6. a) Gli attacchi spastici alla bocca dello stomaco, il cardiospasmo, che genera la
cardialgia, e il pilorospasma all’uscita dello stomaco. b) La costipazione intestinale
cronica, causata dalla cessazione o dalla riduzione della funzione della tensione-carica
nell’intestino. Essa è sempre accompagnata da una generale simpaticotonia e da un
atteggiamento inspiratorio cronico. È una delle malattie croniche più diffuse. c) Le
emorroidi sono la conseguenza di uno spasmo cronico dello sfintere anale. Il sangue nelle
vene periferiche dello sfintere anale contratto è meccanicamente ingorgato, le pareti
vascolari in certi punti si dilatano e formano dei nodi. d) Il vaginismo è espressione di
una contrazione della muscolatura anulare della vagina. 7. Una serie di malattie del
sangue, come la clorosi e certe forme di anemia, in quanto malattie simpaticotoniche
vengono trattate da Müller nella sua nota opera Die Lebensnerven. 8. L’eccesso di
biossido di carbonio nel sangue e nei tessuti. In seguito agli studi fondamentali compiuti
dallo studioso viennese Warburg sull’eccesso di CO2 nei tessuti cancerosi, è apparso con
evidenza che l’espirazione cronicamente ridotta a causa della simpaticotonia svolge un
ruolo essenziale nella predisposizione al cancro. La respirazione esterna limitata ha come
conseguenza una respirazione interna insufficiente. Gli organi con una respirazione
cronicamente insufficiente e una ridotta carica bioelettrica sono più facilmente esposti
agli stimoli che generano il cancro, di quelli con una buona respirazione. Il nesso tra
l’inibizione espiratoria dei nevrotici caratteriali simpaticotonici e i disturbi respiratori
degli organi cancerosi, scoperto da Warburg, divenne il punto di avvio delle ricerche
sessuoeconomiche sul cancro. Questo tema non può essere più diffusamente trattato in
questa sede. In questo libro va soltanto sottolineato l’importantissimo fatto che il cancro
nelle donne colpisce prevalentemente gli organi genitali. Il rapporto con la frigidità è
evidente e noto a molti ginecologi. Inoltre, la costipazione intestinale cronica costituisce
molto spesso la base del cancro nel tratto intestinale.
Disordine sociale della vita sessuale
Funzione della tensione-carica
Atteggiamento inspiratorio cronico
Angoscia di piacere
Simpaticotonia cronica
Malattie psichiche Malattie somatiche Impotenza e frigidità Nevrosi sintomatica
Nevrosi del carattere Perversione Psicopatia Psicosi Criminalità nevrotica Debilità
Disposizione al cancro (eccesso di C02) Ipertonia cardiovascolare Ipertiroidismo (morbo
di Basedow) Enfisema Reumatismo muscolare e artrite Stitichezza ed emorroidi Disturbo
generale
dell’equilibrio vegetativo Chorea Morbo di Parkinson Epilessia Morbo di Raynaud
Clorosi Ulcera gastrica Tic Obesità Schema delle cause sociali delle malattie in seguito
al blocco della funzione tensione-carica Questo elenco sommario non si propone affatto
di sostituire la necessaria elaborazione dettagliata che non potrebbe mai essere effettuata
da un singolo individuo, e che richiede invece la collaborazione di molti medici e
studiosi. Mi premeva soltanto indicare un grande campo della patologia organica che è in
stretto rapporto con la funzione dell’orgasmo. Questo schema ha solo lo scopo di
sottolineare nessi finora trascurati e fare appello alla coscienza dei medici, perché
prendano nella dovuta considerazione le malattie sessuali degli uomini e facciano sì che
gli studenti di medicina imparino correttamente la teoria dell’orgasmo e la sessuologia
generale, per metterli in condizione di soddisfare un bisogno enorme della popolazione. È
necessario che lo studioso di medicina non si fermi a ciò che vede sotto il microscopio,
ma sia in grado di collegarlo con la funzione vitale autonoma dell’organismo nel suo
insieme; egli deve dominare questa funzione complessiva nelle sue componenti
biologiche e psichiche, e infine comprendere che l’influenza che la società esercita sulla
funzione della tensione-carica dell’organismo e dei suoi organi ha un’importanza decisiva
per la salute e la malattia di coloro che egli deve curare. In tal caso la medicina
psicosomatica, di cui oggi si occupano specificamente appassionati e specialisti, potrebbe
essere presto ciò che essa promette di diventare: la cornice generale della medicina del
futuro. È ovvio che questa cornice generale non potrà essere raggiunta finché si
continuerà a confondere la funzione sessuale dell’organismo vivente con le
manifestazioni patologiche di individui nevrotici e con i prodotti dell’industria
pornografica.
9. Dalla psicoanalisi alla biogenesi
Fino al 1934 mi ero limitato ad applicare la mia teoria clinica, sorta nel campo
della sessuoeconomia, al campo biofisiologico generale. Con ciò il lavoro non era affatto
concluso. Al contrario, ora più che mai tutto sembrava spingere in direzione della
dimostrazione sperimentale dell’esattezza della formula dell’orgasmo. Nell’estate del
1934 venne da me in Danimarca, per partecipare a un corso che tenevo a certi colleghi
scandinavi, tedeschi e austriaci, il dottor Schjelderup, direttore dell’Istituto di psicologia
dell’Università di Oslo. Egli voleva imparare la tecnica dell’analisi caratteriale. Poiché
non poteva proseguire il suo lavoro in Danimarca, accettai volentieri la sua proposta di
continuare i miei esperimenti all’Istituto di psicologia dell’Università di Oslo. Mi trasferii
a Oslo a insegnare all’Istituto dell’Università l’analisi caratteriale, e come contropartita
ebbi la possibilità di realizzare i miei esperimenti fisiologici.
Prevedevo di dover ricorrere inizialmente a ogni passo all’aiuto di specialisti
tecnici. Un primo colloquio con l’assistente dell’Istituto di fisiologia di Oslo mi persuase
che con lui ci si poteva intendere. La mia teoria lo convinse. Il problema di fondo era
quello se gli organi sessuali durante l’eccitazione avrebbero rivelato un aumento della
loro carica bioelettrica. In base alle mie indicazioni teoriche, il fisiologo elaborò il
progetto di un apparecchio. La grandezza dei fenomeni da misurare era ignota.
Esperimenti di questo genere non erano mai stati effettuati. Le cariche di superficie delle
zone sessuali sarebbero state di un millesimo o di mezzo volt? Nella letteratura
fisiologica non si trovava nessun punto di riferimento per rispondere a simili domande.
Non si sapeva nemmeno che esistesse una carica elettrica alla superficie dell’organismo.
Quando nel dicembre del 1934 chiesi al direttore dell’Istituto di fisiologia di Londra
come si potesse misurare la carica elettrica della pelle, trovò molto strana la mia
domanda. Ma già alla fine del secolo, Tarchanoff e Veraguth avevano scoperto il
«fenomeno psico-galvanico»: le eccitazioni psichiche si manifestano sulla pelle come
oscillazioni di potenziale. Il piacere sessuale non era mai stato misurato.
Dopo alcuni mesi di riflessione si decise di costruire un apparecchio costituito da
una serie di valvole elettroniche. Le tensioni elettriche del corpo avrebbero dovuto
disturbare la corrente normale delle valvole («corrente anodica»), avrebbero dovuto
essere trasmesse amplificate dall’apparecchio su un oscillografo elettromagnetico e rese
visibili in forma luminosa su una striscia di carta con l’aiuto di uno specchio. Nel
febbraio 1935 l’apparecchio era pronto. Gli esperimenti vennero effettuati su alcuni dei
miei amici e discepoli norvegesi e su me stesso.
Fu sorprendente vedere che le curve dell’azione elettrica cardiaca erano
estremamente piccole rispetto alle oscillazioni delle cariche di superficie. Dopo una serie
di esperimenti preliminari in cui si procedette a tastoni, cominciammo a vederci chiaro.
Non mi dilungherò ora sui particolari delle ricerche e degli errori, e parlerò solo dei
risultati più importanti. Gli esperimenti si conclusero dopo circa due anni. Alla fine del
1936 pubblicai i risultati in una monografia1 che potrà servire di orientamento a chi si
interessa dei dispositivi tecnici e degli esperimenti di controllo.
L’intera superficie dell’organismo costituisce una «membrana porosa». Questa
membrana rivela un potenziale elettrico rispetto a ogni parte del corpo in cui l’epidermide
è stata scalfita. In circostanze normali, l’epidermide intatta possiede una carica statica o
di base. Questa rappresenta il potenziale biologico statico della superficie del corpo. Esso
è simmetrico sulle due metà del corpo e ha approssimativamente gli stessi valori su tutto
il corpo. Tra un individuo e l’altro le variazioni sono minime (10-20 MV). Il potenziale
statico appare nell’elettrogramma come una linea regolare e orizzontale. A esso si
sovrappongono, a distanza regolare, le punte dell’elettrocardiogramma. Le punte
corrispondono a una variazione del potenziale statico dell’epidermide, causata dalla
pulsazione elettrica del cuore (tav. 4, p. 330).
Esistono determinate zone della superficie che nel loro comportamento si
differenziano fondamentalmente dal resto della superficie epidermica. Si tratta delle zone
sessuoerogene: le labbra, la mucosa anale, i capezzoli, la superficie del pene, la mucosa
della vagina, i lobi delle orecchie, la lingua, il palmo delle mani, e – stranamente – anche
la fronte. La loro carica può essere uguale a quella del resto della pelle, ma può anche
avere un potenziale statico molto più alto o molto più basso del resto della pelle. Negli
individui vegetativamente liberi il potenziale di una stessa zona sessuale è raramente
costante; in tali zone sessuali si possono osservare oscillazioni fino a 50 MV e più. Ciò
corrisponde pienamente al fatto che le zone sessuali sono dotate di un’intensità di
sensazioni e di una capacità di eccitazione eccezionali ed estremamente variabili.
Soggettivamente, l’eccitazione delle zone sessuali viene percepita come corrente, come
prurito, come ondate di sensazioni, come piacevole senso di calore o come sensazione
«dolciastra». Le zone epidermiche non specificamente erogene possiedono queste
caratteristiche in misura molto minore, oppure non le possiedono affatto.
Mentre la pelle normale rivela l’intensità della sua carica bioelettrica in una linea
orizzontale abbastanza regolare (tav. 3, p. 330), il collegamento dei diversi potenziali
delle zone erogene forma una linea dolcemente ondulata, che sale o scende più o meno
ripidamente. Chiamiamo «escursione» questo costante mutamento del potenziale (tav. 5,
p. 330).
Il potenziale delle zone erogene si sposta nella misura in cui non corrisponde al
livello del resto della pelle: può salire o scendere. Quando la curva ondulatoria sale indica
un aumento, quando scende, una diminuzione della carica di superficie. Il potenziale
delle zone erogene non aumenta se in quel determinato punto non viene percepito il
flusso di una piacevole sensazione di corrente. Per esempio, un capezzolo può trovarsi in
stato di erezione senza che si sia verificato un aumento di potenziale. L’aumento del
potenziale in una zona sessuale è sempre accompagnato da un aumento della sensazione
di piacere e, viceversa, la diminuzione del potenziale da un calo della sensazione di
piacere. Durante alcuni esperimenti riuscii a indicare in base alle mie sensazioni
organiche cosa registrava l’apparecchio nella stanza accanto.
Questo risultato sperimentale conferma la formula tensione-carica. Esso rivela che
l’afflusso di liquido o il turgore di un organo non sono sufficienti da soli a provocare la
sensazione vegetativa del piacere. Per rendere percepibile la sensazione di piacere,
all’afflusso meccanico di liquido nell’organo deve aggiungersi un aumento della carica
bioelettrica. L’intensità psichica della sensazione di piacere corrisponde alla quantità
fisiologica del potenziale bioelettrico.
Gli esperimenti di controllo effettuati su materia non vivente hanno provato che la
lenta «escursione» organica del potenziale è una caratteristica specifica della materia
vivente. La materia non vivente non reagisce affatto agli «stimoli», oppure, come nel
caso di corpi elettricamente carichi, per esempio una torcia elettrica, reagisce con salti
meccanicamente angolosi, discontinui e disordinati del potenziale (tavv. 8 e 9, pp. 331-
332).
Chiamiamo potenziale preorgastico il potenziale che aumenta durante
l’escursione. Esso varia in momenti diversi nello stesso organo sessuale. Esso varia anche
sullo stesso organo da individuo a individuo. Esso corrisponde all’eccitazione o alla
corrente preorgastica nell’organo vegetativamente attivo. L’aumento della carica è la
risposta dell’organo a uno stimolo piacevole.
Se una zona erogena, su cui l’elettrodo poggia regolarmente e senza esercitare una
pressione, viene sollecitata con un batuffolo di cotone asciutto in modo da provocare una
sensazione piacevole, il potenziale rivela un’oscillazione ondulatoria, il cosiddetto
«fenomeno del solletico» (da K a * nella tav. 10, p. 332). Il solletico produce una specie
di sfregamento sessuale. Lo sfregamento sessuale è un fenomeno fondamentale nel
campo della materia vivente. In questo campo rientra anche la sensazione di prurito;
infatti essa suscita automaticamente lo stimolo a grattare e sfregare. Questi ultimi sono
affini allo sfregamento sessuale.
Dall’esperienza clinica orgasmo-terapeutica noi sappiamo che non sempre le
sensazioni di piacere sessuale possono essere provocate coscientemente. Del resto,
neppure un’eccitazione bioelettrica di una zona erogena può essere provocata senz’altro
da stimoli piacevoli. Dipende esclusivamente dalla disposizione dell’organo se esso
risponde allo stimolo con un’eccitazione. Questa caratteristica va osservata attentamente
durante gli esperimenti.
Il fenomeno del solletico avviene in tutti i punti della superficie dell’organismo.
Esso non si verifica quando si sfrega un materiale inorganico inumidito con un batuffolo
di cotone asciutto. I lati ascendenti positivi dell’oscillazione del solletico sono quasi
sempre più ripidi di quelli discendenti. La linea ondulatoria del fenomeno del solletico in
zone non specificamente sessuali è più o meno orizzontale. Nelle zone sessuali,
l’oscillazione del solletico si sovrappone all’eccitazione elettrica in fase di spostamento,
proprio come le punte dell’azione cardiaca.
Ogni genere di pressione riduce la carica di superficie. Se la pressione diminuisce,
la carica torna esattamente al livello originario. Se un’«escursione» piacevole ascendente
del potenziale viene interrotta dalla pressione, il potenziale cala fortemente e l’escursione
continua, cessata la pressione, esattamente al livello in cui era stata interrotta (tav. 11, p.
333).
L’entità dell’aumento di un’eccitazione elettrica in una zona sessuale dipende
dalla dolcezza dello stimolo: quanto più è dolce, tanto più è ripida. Essa dipende inoltre
dalla disposizione psico-fisica a reagire allo stimolo. Quanto più grande è questa
disposizione, tanto più ripida, cioè veloce, è l’ascesa.
Gli stimoli piacevoli che provocano una sensazione di piacere producono
regolarmente un aumento del potenziale, mentre gli stimoli che provocano angoscia o
dispiacere riducono più o meno rapidamente e notevolmente la carica di superficie.
Naturalmente anche questa reazione dipende dalla reattività dell’organismo. Individui
effettivamente bloccati e vegetativamente irrigiditi, per esempio i catatonici, non
reagiscono affatto o solo molto debolmente: l’eccitazione biologica delle zone sessuali
rimane al livello della restante superficie epidermica. Per studiare questi fenomeni di
oscillazione elettrica bisogna quindi scegliere soggetti adatti. Reazioni negative di
angoscia sotto forma di una rapida diminuzione della carica di superficie sono state
constatate sulla mucosa della vagina, sulla lingua e sul palmo della mano. A questo scopo
lo stimolo migliore è costituito da un inatteso spavento suscitato con grida, facendo
scoppiare improvvisamente un palloncino o con un improvviso e violento colpo di gong
ecc.
Come l’angoscia e la pressione, anche la rabbia riduce la carica bioelettrica nelle
zone sessualmente eccitabili. Nello stato di angoscia di attesa tutte le reazioni elettriche
sono ridotte. Non si riesce ad aumentare positivamente la carica di superficie. Le reazioni
di angoscia sono normalmente più facili da ottenere delle reazioni di piacere. Più evidenti
di tutte sono le diminuzioni di carica provocate dallo spavento (tavv. 12 e 13, p. 333).
Il pene, quando è molle, può avere un potenziale molto minore del resto della
pelle. La compressione della radice del pene e la formazione di un ingorgo di sangue nel
pene stesso non producono un mutamento del potenziale. Questo esperimento di controllo
conferma che solo l’eccitazione piacevole è accompagnata da una carica.
Dopo uno spavento è molto più difficile provocare reazioni di piacere. È come se
l’eccitazione vegetativa fosse divenuta «prudente». Se una soluzione zuccherina
concentrata viene usata come liquido elettrolitico sulla lingua, il potenziale della lingua
aumenta rapidamente. Se subito dopo si usa una soluzione salina, il potenziale cala in
direzione opposta, negativa (tavv. 14 e 15, p. 334).
Se dopo l’esperimento con il sale, si ritorna allo zucchero, non si ottiene più un
aumento del potenziale. La lingua è diventata «prudente» o «delusa». Se si mette
ripetutamente sulla lingua di una persona solo zucchero, l’aumento del potenziale cala a
ogni nuovo esperimento. È come se la lingua si fosse «assuefatta» allo stimolo piacevole.
Gli organi delusi e assuefatti reagiscono pigramente anche agli stimoli piacevoli.
Se viene tolto l’elettrodo dalla zona sessuale in esame, facendo una derivazione
indiretta, si verificano gli stessi fenomeni. Se un soggetto maschile e uno femminile
intingono entrambi il dito di una mano in un liquido elettrolitico collegato con
l’oscillografo, il contatto delle labbra nel bacio rivela un forte aumento positivo del
potenziale (tav. 16, p. 334).
Il fenomeno è quindi indipendente dal luogo in cui si applica l’elettrodo. Se
invece una delle due persone esegue malvolentieri l’azione, il medesimo stimolo provoca
una reazione discendente di dispiacere invece della reazione ascendente di piacere. Si
perviene agli stessi risultati quando le due mani ancora libere dei soggetti si toccano. Se
le mani si accarezzano dolcemente, si verificano oscillazioni positive. La pressione o un
forte sfregamento del palmo delle mani provocano una diminuzione della carica.
In che modo l’energia bioelettrica si muove dal centro vegetativo alla periferia
vegetativa e viceversa? Secondo la concezione tradizionale, l’energia bioelettrica
dovrebbe seguire le fibre nervose; si presuppone che queste fibre nervose non siano
contrattili. Tutte le osservazioni fatte finora rendono invece necessaria l’ipotesi che lo
stesso plesso sinciziale dei nervi vitali sia contrattile, cioè capace di allungarsi e di
contrarsi. Questa ipotesi più tardi è stata confermata dall’osservazione microscopica. Si
possono osservare molto bene al microscopio movimenti di espansione e di contrazione
in piccoli vermi translucidi. Questi movimenti dell’apparato vitale autonomo avvengono
indipendentemente dai movimenti di tutto il corpo e li precedono. Secondo queste
osservazioni, l’ameba continua a esistere negli animali e nell’uomo, sotto forma del
sistema nervoso autonomo contrattile.
Se un soggetto inspira profondamente o spinge come andare di corpo, mentre ha
un elettrodo differenziale sopra l’ombelico al centro dell’epidermide addominale, il
potenziale di superficie cala in maggiore o minore misura durante l’inspirazione e
aumenta nuovamente durante l’espirazione. In un gran numero di persone il risultato era
sempre lo stesso, tranne che nelle persone fortemente bloccate affettivamente o
eccezionalmente irrigidite nei muscoli. Questo fatto, unitamente all’osservazione clinica
della riduzione degli affetti causata dall’inspirazione, condusse all’ipotesi seguente:
Durante l’inspirazione il diaframma si abbassa ed esercita una pressione sugli
organi addominali; esso restringe la cavità addominale. Durante l’espirazione, invece, il
diaframma si alza, la pressione sugli organi addominali diminuisce; la cavità addominale
si allarga. Durante la respirazione la cavità toracica e quella addominale si allargano e si
restringono alternativamente; questo è un dato di fatto che verrà trattato in altra sede.
Poiché la pressione diminuisce regolarmente il potenziale, il calo del potenziale
dell’epidermide durante l’inspirazione non ha nulla di particolare. È soltanto strano il
fatto che il potenziale cali, benché la pressione non venga esercitata in superficie, ma al
centro dell’organismo.
Il fatto che la pressione interna appaia sull’epidermide addominale si spiega
soltanto con l’esistenza di un campo continuo di eccitazione bioelettrica tra il centro e la
periferia. La trasmissione della bioenergia non può essere legata alle sole vie nervose;
essa segue piuttosto tutte le membrane e liquidi dell’organismo. Ciò si concilia
perfettamente con l’immagine della vescica membranosa che rappresenta l’organismo, e
conferma la teoria di Fr. Kraus.2
Questa ipotesi venne ulteriormente confermata quando dalle ricerche condotte su
alcuni malati disturbati affettivamente e con un’espirazione limitata, risultò che
l’oscillazione della carica sull’epidermide addominale era estremamente ridotta o
addirittura inesistente.
Riassumendo i dati descritti riguardanti il nostro problema centrale, possiamo
affermare quanto segue:
Solo e unicamente un aumento della carica bioelettrica produce il piacere
biologico, accompagnato dalla sensazione di corrente e di voluttà. Tutte le altre
eccitazioni, il dolore, lo spavento, l’angoscia, la pressione, la rabbia e la depressione
sono accompagnate da una diminuzione della carica di superficie dell’organismo.
In linea di massima esistono quattro tipi di diminuzione della carica alla periferia
dell’organismo:
1. Una riduzione della carica di superficie, prima di una forte carica intenzionale.
Questa reazione può, per esempio, essere paragonata alla tensione trattenuta di una tigre
prima del salto.
2. La scarica orgastica, contrariamente all’eccitazione preorgastica, rivela una
diminuzione del potenziale. La curva bioelettrica dell’orgasmo corrisponde alla curva
della percezione.
3. Nello stato di angoscia diminuisce la carica periferica.
4. Con la morte i tessuti perdono la loro carica; abbiamo reazioni negative. La
fonte di energia si estingue.
Carica di superficie
Aumento
Diminuzione
Morte (estinzione
della fonte di energia)
Quando si scoprì che la formula della tensione-carica valeva per tutte le funzioni
involontarie della materia vivente, ci si pose la domanda se essa fosse applicabile anche
ai processi della natura inanimata. Né nella letteratura né nelle discussioni con i fisici si
riusciva a trovare una funzione inorganica in cui una tensione meccanica (dovuta
all’afflusso di liquido) si convertisse in una carica elettrica e quindi in una scarica
elettrica e in una distensione meccanica (attraverso lo svuotamento del liquido). Nella
natura inorganica si trovano effettivamente tutti gli elementi fisici della formula, ma solo
isolati e non nella particolare disposizione in cui si trovano nella materia vivente.
Esistono la tensione meccanica attraverso il riempimento, e la distensione attraverso lo
svuotamento; esistono anche la carica e la scarica elettrica.
La conclusione era che la particolare combinazione delle funzioni meccanica ed
elettrica doveva costituire il carattere specifico del funzionamento della materia vivente.
Ero ora in grado di fornire un contributo sostanziale all’antichissima disputa tra vitalisti e
meccanicisti. I vitalisti affermavano da sempre che la materia vivente è
fondamentalmente diversa da quella non-vivente. Per rendere comprensibile il
funzionamento specifico della materia vivente, adducevano sempre un principio
metafisico, per esempio l’«entelechia». I meccanicisti affermavano invece che sul piano
fisico-chimico la materia vivente non si differenzia affatto dalla materia non-vivente e
che semplicemente non è stata studiata a sufficienza. I meccanicisti negavano quindi una
differenza di fondo tra la materia vivente e quella non-vivente. La formula della tensione-
carica dava ragione a entrambe le tendenze, anche se in un modo diverso da quello che
avevano immaginato.
La materia vivente funziona effettivamente sulla base delle stesse funzioni fisiche
della materia non-vivente, come affermano i meccanicisti. È in pari tempo
fondamentalmente diversa dalla materia non-vivente, come affermano i vitalisti, perché
le funzioni della meccanica (tensione-distensione) e quelle dell’elettricità (carica-scarica)
sono disposte in un modo specifico che non si ritrova nella materia non-vivente. Questa
diversità non può però essere ricondotta – come credono i vitalisti – a un principio
metafisico esistente al di là della materia e dell’energia. Essa può piuttosto essere
compresa in base a leggi materiali ed energetiche. Nelle sue funzioni la materia vivente è
nello stesso tempo identica e diversa dalla materia non-vivente.
C’è da aspettarsi che i vitalisti e gli spiritualisti confuteranno questa constatazione
adducendo l’argomento che la coscienza e l’autopercezione rimangono tuttora inspiegate.
Questo è vero, ma ciò non giustifica l’assunzione di un principio metafisico; del resto si
può contare su una prossima definitiva chiarificazione della questione. Gli esperimenti
elettrici hanno provato che l’eccitazione biologica di piacere e di angoscia è
funzionalmente identica con la sua percezione. È quindi giustificato presumere che anche
gli organismi più primitivi abbiano sensazioni organiche di piacere e angoscia.
3. L’«energia biologica» è energia atmosferica (cosmica) orgonica
Sono giunto alla fine della mia esposizione della teoria dell’orgasmo.
Concludendo, mi limiterò a dare solo un breve cenno al vasto campo in cui hanno
condotto le ricerche sull’orgasmo. Gli esperimenti bioelettrici hanno sollevato un
problema inaspettato e straordinariamente importante: il problema della natura
dell’energia bioelettrica che si manifesta in questi esperimenti. Appare chiaro che non
poteva trattarsi di alcuna delle forme di energia note finora.
La velocità dell’energia elettrica elettromagnetica è pari a quella della luce, cioè
circa 300000 km al secondo. Osservando le curve e i tempi che caratterizzano il
movimento dell’energia bioelettrica, si è constatato che il carattere dei movimenti
dell’energia bioelettrica si differenzia fondamentalmente dai ben noti tempi e movimenti
dell’energia elettromagnetica. L’energia bioelettrica si muove con straordinaria lentezza,
ed è misurabile in millimetri per secondo. (La sua velocità è indicata dal numero delle
punte che appaiono sull’elettrocardiogramma; vedi per esempio tav. 10, p. 332.) La forma
del movimento è quella di una lenta ondulazione. Il carattere del movimento dell’energia
biologica assomiglia a quello di un intestino o di un serpente. Il movimento corrisponde
anche al lento sorgere di una sensazione organica o di un’eccitazione vegetativa. Una
spiegazione potrebbe essere quella che è la grande resistenza dei tessuti animali a
rallentare la velocità dell’energia elettrica nell’organismo. Ma essa è insoddisfacente.
Applicando al corpo uno stimolo elettrico, questo viene percepito immediatamente e
suscita una reazione.
Inaspettatamente, la conoscenza della funzione biologica della tensione-carica mi
condusse alla scoperta di processi energetici nei bioni, che sono ancora in fase
sperimentale, nell’organismo umano e nella radiazione solare.
Nell’estate del 1939 pubblicai una breve relazione3 sulle seguenti osservazioni:
una determinata coltura di bioni tratta dalla sabbia marina influenzava la gomma o il
cotone in modo tale che queste sostanze facevano oscillare notevolmente un elettroscopio
statico. Allo stesso modo i corpi umani non disturbati vegetativamente, e ancor più
marcatamente l’addome e i genitali, influenzano la gomma e il cotone, che di per sé non
producono alcuna reazione misurabile con l’elettroscopio, in modo tale che dopo quindici
o venti minuti di influenza da parte del corpo, essi provocano un’oscillazione
dell’elettroscopio. I bioni, sorti in ultima analisi dai granelli di sabbia arroventati e
dilatati, non erano altro che energia solare immobilizzata. Questo ci indusse a esporre ai
roventi raggi del sole la gomma e il cotone, dopo aver verificato che non producevano
alcuna oscillazione sull’elettroscopio. Ne risultò che il sole emette un’energia che stimola
la gomma e il cotone allo stesso modo della succitata coltura di bioni e l’organismo
umano in uno stato vegetativamente non disturbato, dopo una buona respirazione.
Chiamai orgone questa energia che carica sostanze organiche isolanti.
I bioni sono vescicole microscopiche cariche di energia orgonica che nascono
dalla materia inorganica arroventata e dilatata. Si riproducono come batteri. Nascono
anche spontaneamente nel suolo, o, come nel cancro, dalla materia organica disintegrata.
Nel mio libro Die Bione (1938) si può leggere quale importanza ha la formula della
tensione-carica per le ricerche sperimentali sull’organizzazione naturale della materia
vivente.
La presenza dell’energia orgonica è dimostrabile visivamente, termicamente ed
elettroscopicamente nel suolo, nell’atmosfera e negli organismi vegetali e animali. Il
tremolio che si nota nel cielo – che alcuni fisici attribuiscono al magnetismo terrestre – e
lo scintillio delle stelle nelle notti chiare e asciutte sono l’espressione immediata del
movimento dell’orgone atmosferico. Le «tempeste elettriche» dell’atmosfera, che
disturbano le apparecchiature elettriche nei periodi di maggiore attività delle macchie
solari, sono – come si può dimostrare sperimentalmente – un effetto dell’energia orgonica
atmosferica. Fino a questo momento essa è percepibile soltanto come disturbo di correnti
elettriche.
Il colore dell’energia orgonica è azzurro o grigio-azzurro. Nel nostro laboratorio
l’orgone atmosferico viene accumulato o concentrato con apparecchi costruiti
appositamente a questo scopo. Una disposizione particolare dei materiali ha permesso di
renderlo visibile. Il freno dell’energia cinetica dell’orgone si manifesta in un aumento
della temperatura. La sua concentrazione o densità si esprime nelle variazioni di velocità
della scarica negli elettroscopi statici.
Ciò che i fisici chiamano «natural leak», cioè la carica spontanea negli
elettroscopi in aria non ionizzata, è un effetto dell’orgone atmosferico e non ha nulla a
che fare con l’umidità.
La radiazione orgonica si compone di tre tipi di raggi: folate grigio-azzurre simili
alla nebbia, puntini luminosi blu-violetto intenso che si espandono e si contraggono, e
raggi lineari e puntiformi di color giallo chiarissimo che si spostano rapidamente.
L’azzurro del cielo e il grigio-azzurro della foschia atmosferica nelle calde giornate estive
riproducono direttamente il colore dell’orgone atmosferico. Anche le aurore boreali
grigio-azzurre, i cosiddetti fuochi di sant’Elmo e le formazioni azzurrognole che gli
astronomi hanno recentemente osservato nel cielo nei periodi di aumentata attività delle
macchie solari, sono manifestazioni dell’energia orgonica.
La formazione delle nubi e dei temporali – fenomeni rimasti finora
inspiegati – dipende da mutamenti della concentrazione dell’orgone atmosferico. Ciò si
può dimostrare molto semplicemente misurando le velocità di scarica elettroscopiche.
L’organismo vivente contiene energia orgonica in ognuna delle cellule che lo
compongono, e si carica in continuazione orgonoticamente dall’atmosfera, con la
respirazione. I globuli «rossi» del sangue, ingranditi di duemila volte al microscopio,
rivelano uno scintillio azzurrognolo; sono minuscole vescicole cariche di energia
orgonica che portano l’energia biologica dalla superficie degli alveoli polmonari ai tessuti
del corpo. La clorofilla delle piante, che è simile alla proteina ricca di ferro del sangue
animale, contiene orgone e lo assorbe direttamente dall’atmosfera e dalla radiazione
solare.
L’esistenza dell’energia orgonica nelle cellule e nei colloidi, se ingranditi più di
duemila volte, è provata dal colore azzurro (grigio-azzurro o verde-azzurro) del
protoplasma e del contenuto delle vescicole organiche. Tutti i cibi cotti consistono di
vescicole azzurre, contenenti orgone. L’orgone è contenuto anche nelle vescicole
dell’humus, in tutte le specie di cellule seminali e di vescicole di energia o bioni, che si
ottengono scaldando sostanze inorganiche fino all’incandescenza e facendole dilatare.
Anche i protozoi, le cellule cancerose ecc. si compongono di vescicole di energia
azzurrognole contenenti orgone.
L’orgone ha un effetto vagotonico e carica i tessuti viventi, soprattutto i globuli
rossi del sangue. Esso uccide le cellule cancerose e molte specie di stafilococchi. I nostri
esperimenti terapeutici sul cancro si basano su queste caratteristiche biologiche. Esistono
numerose osservazioni fatte da biologi (Meisenheimer, Linné e altri) che cercano di
spiegare la colorazione azzurra delle rane durante l’eccitazione sessuale o il luccichio
azzurrognolo dei fiori delle piante come eccitazione biologica (orgonotica)
dell’organismo.
La coltura di bioni ottenuta dalla sabbia marina, che mi permise di scoprire nel
gennaio del 1939 la radiazione orgonica, impressionò pellicole a colori, nel buio più
assoluto, esattamente come la luce solare, cioè di un colore azzurro.
L’organismo umano è circondato da un campo energetico orgonotico la cui
estensione varia a seconda della vitalità vegetativa individuale. La dimostrazione è
semplice. L’orgone stimola le sostanze organiche, per esempio la cellulosa. Mettiamo una
lastra di cellulosa della superficie di uno square foot4 a circa 3-5 centimetri di distanza da
un elettrodo d’argento collegato con la griglia di un oscillografo: i movimenti della
sostanza inorganica davanti alla lastra di cellulosa non provocano alcuna reazione
sull’oscillografo (a condizione che si muova la sostanza inorganica in modo tale che
nessuna delle parti del nostro organismo venga spostata). Ma se muoviamo avanti e
indietro davanti alla lastra di cellulosa le nostre dita o la nostra mano a una distanza di
0,5-3 metri, senza che esista alcun collegamento metallico, otteniamo vivaci oscillazioni
dell’indicatore luminoso o dell’indicatore galvanometrico. Se allontaniamo la lastra di
cellulosa, l’effetto dell’azione a distanza scompare completamente o quasi. A differenza
dell’energia elettromagnetica, l’energia orgonica viene trasmessa esclusivamente da
sostanze organiche isolanti.
Il secondo volume di questo libro esporrà il modo in cui la ricerca sui bioni
condusse alla scoperta dell’energia orgonica atmosferica, i modi in cui l’esistenza
dell’orgone può essere obiettivamente dimostrata e il significato della sua scoperta per la
comprensione delle funzioni biofisiche.
A ogni modo, la coerente ricerca del fenomeno orgastico biologico ha condotto
alla scoperta dell’orgone, cioè della specifica energia cosmica biologicamente attiva.
Giunto alla fine di questo volume, il lettore, come lo stesso autore, non riuscirà a
sottrarsi all’impressione che la ricerca sull’orgasmo, questa Cenerentola delle scienze
naturali, ci ha svelato sconvolgenti segreti della natura. Le ricerche sulla materia vivente
hanno superato i limiti della psicologia del profondo e della fisiologia; hanno condotto in
un territorio biologico ancora inesplorato. Il tema della sessualità è diventato tutt’uno con
quello della «materia vivente». Esso ha aperto una nuova via per affrontare il problema
della biogenesi. La psicologia è diventata biofisica, e un’autentica scienza naturale
sperimentale. Il suo obiettivo rimane sempre lo stesso: il mistero dell’amore, al quale
dobbiamo la nostra esistenza e il nostro divenire.
Tavole
1. Amplificatore a elettrodi d’argento
3. Oscillografo, apparecchio a striscia di carte ed elettrodo
3. Potenziale medio della pelle (pelle dell’addome, destra e sinistra)
14. Reazione della lingua allo zucchero (circa + 70 MV; in questo esperimento la
prima applicazione di zucchero provocò una reazione fuori dal campo: I, freccia)
15. Reazione della medesima lingua al sale (– 60 MV)
1
W. Reich, Reich parla di Freud (1967), trad. it., Sugar editore, Milano 1970, p.
41.
2
Cfr. S. Freud, Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), in Opere vol. iv,
Boringhieri, Torino 1970.
3
W. Reich, Reich parla di Freud (1967), cit., p. 39.
4
Ivi, p. 68.
5
Ivi, p. 279.
6
Ibidem.
7
F. Capra, Il punto di svolta (1982), trad. it., Feltrinelli, Milano 1996, pp. 285-
286.
Nota introduttiva
1
Vedi Glossario, «Energia orgonica».
2
Vedi Glossario, «Bioni».
3
Vedi Glossario, «Democrazia del lavoro».
2. Peer Gynt
1
Vedi W. Reich, Der triebhafte Charakter.
1
Psychiatrische Universitätsklinik, Zürich.
2
Questo caso è descritto dettagliatamente nel mio libro, Der triebhafte Charakter.
4. Lo sviluppo della teoria dell’orgasmo
1
I numeri arabi (1-10) nel testo corrispondono ai numeri arabi della didascalia
dello schema.
2
Vedi i miei libri, Die Sexualität im Kulturkampf (ediz. it. La rivoluzione
sessuale), Der Einbruch der Sexualmoral, Die Massenpsychologie des Faschismus.
1
Per una descrizione dettagliata di questo caso, vedi il mio libro
Charakteranalyse.
2
Ho trattato dettagliatamente il problema della riforma sessuale, nel mio libro Die
Sexualität im Kulturkampf; per questo motivo non ne parlo in questa sede.
1
Impiego qui il termine nella sua accezione corrente. In realtà, Epicuro e la sua
scuola, con la cosiddetta «filosofia epicurea della vita», hanno in comune solo il nome.
La seria filosofia della natura di Epicuro è stata interpretata dalle masse semicolte o del
tutto incolte in modo distorto: ha finito con il significare il soddisfacimento degli impulsi
secondari. Non ci si può difendere dalle distorsioni delle idee esatte. La sessuoeconomia
corre lo stesso pericolo da parte degli esseri umani che soffrono di angoscia di piacere e
da parte di una scienza che ha paura della sessualità.
2
Vedi L. Morgan, Ancient Society.
3
Vedi Wilhelm Reich, Dialektischer Materialismus und Psychoanalyse, 1929.
4
In italiano nel testo. [N.d.T.]
5
Wilhelm Reich, Geschlechtsreife, Enthaltsamkeit, Ehemoral, 1930.
6
Vedi i miei libri, Massenpsychologie des Faschismus, 1933; Der Einbruch der
Sexualmoral, 1935; Die Sexualität im Kulturkampf, 1936.
7
Feltrinelli.
1
Vedi il capitolo seguente.
2
Ho descritto questo caso nell’articolo «Der Tic als Onanieäquivalent»,
pubblicato su Zeitschrift für Sexualwissenschaft, 1924.
3
Vedi Wilhelm Reich, «Ueber den epileptischen Anfall», Internationale
Zeitschrift für Psychoanalyse, 17, 1931.
4
Vedi Wilhelm Reich, Die Bione, Sex-Pol-Verlag, 1938.
1
Experimentelle Ergebnisse über die elektrische Funktion von Sexualität und
Angst, Sex-Pol-Verlag, 1937.
2
Vedi Capitolo 7.
3
Drei Versuche am statischen Elektroskop. Klinische und experimentelle Berichte,
n. 7, Sex-Pol-Verlag, 1939.
4
1 square foot corrisponde a 929 cm2.
Glossario