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ARCHEOLOGIA GRECA Lippolis

Archeologia classica (Università degli Studi di Catania)

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ARCHEOLOGI
A GRECA

PARTE SECONDA

Il SECOLO DI ATENE
LE POLEIS DEL V SECOLO

La cultura urbanistica del V secolo presenta indirizzi e occasioni attuative diverse: da una parte si assiste alla
risistemazione di impianti più antichi, irregolari oppure ortogonali, dall’altra emerge l’esigenza di nuove
fondazioni regolari.
Nel primo caso, un esempio importante dello sviluppo urbano può essere offerto dalla città di Thasos. Alla
fine del VI secolo la città si dota di un porto attrezzato e di una cinta muraria complessa. Le fasi più antiche
dell’agorà hanno restituito strutture di VI e di V secolo e la cosiddetta stele del porto. Questa stabilisce
norme comuni per la gestione di un’area pubblica delimitata dal santuario delle Cariti da altri edifici
pubblici. In questo periodo continua il processo di formazione urbana, con la costruzione o la
monumentalizzazione di santuari e la realizzazione di quartieri residenziali, La forte urbanizzazione in questa
fase comporta una serie di problemi legati al buon funzionamento delle strutture urbane. Fin da subito,
infatti, la città si dota di un complesso sistema per il drenaggio delle acque e di regolamenti che disciplinano
pulizia e altre esigenze.
Sempre nello stesso periodo, Mileto presenta una struttura ortogonale. I recenti scavi tedeschi hanno
dimostrato che in questa occasione in realtà si riprese l’impianto regolare tardo-arcaico. I due santuari
arcaici di Apollo, presso la Baia del Leone, e Atena, più a sud, sembrano essere rimasti i punti di riferimento
più importanti nel sistema degli isolati, di dimensioni diverse nei due quartieri principali: tra i due è infatti in
quello meridionale che gli isolati hanno sviluppo maggiore. Non è possibile stabilire se la differenza tra le
aree corrisponda anche a una differenza di funzioni; bisogna, tuttavia, notare che la parte a nord sembra più
legata alla presenza dei porti, che inducono allo sviluppo di assi attrezzati e possono spiegare la griglia viaria
più stretta. Sono meno noti gli spazi pubblici ma è probabile che abbiano occupato la zona di cerniera tra i
due quartieri. Lo schema urbano di Mileto è composto, quindi, da una successione paratattica di isolati
regolari.
Il rifacimento del V secolo a Mileto era stato considerato in passato la prima esperienza urbanistica dell’età
classica; ora la scoperta della fase arcaica riduce il significato culturale della ricostruzione, invitando a
guardare ad altre fondazioni urbane del periodo. Tra queste emerge il caso del Pireo, che formalmente è un
demo di Atene: lo sviluppo dell’abitato a impianto regolare però sembra essere avvenuto gradualmente, con
un forte incremento edilizio concentrato nel IV secolo. Lo schema viario, conosciuto solo parzialmente, si
organizza intorno a tre poli principali: 1) quello dei quartieri residenziali 2) quello delle strutture pubbliche
che si sviluppano intorno ai porti e delle relative agorai 3) quello dei santuari posti presso gli assi principali.
Il porto occidentale aveva funzioni commerciali; l’area intorno al bacino portuale (Emporion), probabilmente
con funzioni amministrative, era separata tramite un muro continuo dal resto dell’impianto urbano.
I rinvenimenti nell’area a est di Emporion hanno permesso di individuare dodici isolati di forma
quadrangolare. Ogni isolato accoglieva al suo interno otto unità abitative. Nella zona sud-occidentale si è
potuta ricostruire una griglia analoga attraverso pochi ma diffusi resti. In questo caso la pianta presenta
diverse varianti nella grandezza degli isolati e della maglia stradale, perdendo l’omogeneità che sembra aver
caratterizzato il settore centrale. I due principali spazi pubblici, quello commerciale di Emporion e la zona
militare con gli arsenali, si adeguano all’impianto ortogonale. Si ò ricostruire così un sistema di strade di
larghezze diverse (5 e 8 m). Cippi di confine iscritti distinguevano le diverse zone della città, delimitando le
aree pubbliche, l’agorà, le zone portuali. Rispetto all’esperienza di Mileto, l’organizzazione dell’impianto e la
rete viaria mostrano quindi una maggiore articolazione, ottenuta attraverso la diversa modulazione della
larghezza delle strade; queste creano aree distinte delineando così quartieri abitativi e spazi pubblici

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secondo elementi gerarchici. Il sistema è legato all’opera di Ippodamo di Mileto, che Aristotele identifica
come responsabile della pianificazione.
Analoga organizzazione hanno riconosciuto le ricerche a Thourioi. Secondo il racconto di Diodoro Siculo la
polis fu fondata nel 444, su iniziativa di Pericle. La scelta del luogo fu fatta sotto gli auspici dell’oracolo di
Delfi. Diodoro descrive la struttura urbana dell’insediamento come divisa nella sua lunghezza da quattro
strade (Eraclia, Afrodisia, Olimpia e Dionisia) e in larghezza da altre tre strade (Eroa, Turia e Turina). Gli scavi
hanno identificato sinora un’importante arteria larga 100 piedi che verso nord incrocia una seconda strada e
a sud una plateia di 50 piedi. Questa unità urbanistica è ulteriormente suddivisa al suo interno da stenopoi
(strade secondarie), che delimitano blocchi quadrati occupati di ciascuno da unità abitative. Thourioi crea
così una zonizzazione della città in quartieri composti da un sistema di isolati omogenei, secondo
un’organizzazione proporzionale delle misure.
Rispetto al sistema innovativo del Pireo e di Thourioi in altri casi si continua ad adottare la rete ortogonale
più tradizionale, come a Mileto o a Olinto. Questa città fu ampliata con un nuovo quartiere aggiunto al
vecchio insediamento dopo il 432. Gli scavi, condotti tra il 1928/38, hanno portato alla luce l’impianto di età
classica, privo di trasformazioni successive. L’abitato originario occupava la sommità di una bassa collina
presso il fiume Resetnikia (South Hill), dove è stato riconosciuto un tessuto irregolare con una griglia viaria
basata su due strade principali con andamento nord-sud. La nuova fondazione regolare occupa, invece, la
collina nord (Nord Hill) con isolati allungati. A est, verso valle, è stato individuato un successivo
ampliamento della struttura urbana con isolati simili a quelli della città alta. La zona più meridionale della
North Hill è occupata da una piazza rettangolare sulla quale si affacciavano stoai e fontane. Le abitazioni,
fitte e distinte in serie, prevalgono sui limitati spazi pubblici.
Analogo è l’impianto di Pella, nuova capitale di Macedonia a partire dal regno di Archelao. Diverse ancora
sono le fondazioni peloponnesiache; Sparta sembra essere stata ampiamente ricostruita dopo un terremoto
devastante che colpì l’insediamento nel 464, ricordato da Tucidide e Plutarco. La mancanza di ricerche
sistematiche non perette il riconoscimento chiara della struttura urbana, che sembra costituita da almeno
due aree a impianto regolare, ma differenti tra loro.
Le nuove fondazioni di V secolo non sono numerose, ma rispecchiano il dibattito che si stava sviluppando
intorno al problema della forma urbana a partire dalle prime annotazioni di Erodoto, per coinvolgere poi gli
storici o scienziati e filosofi-urbanisti come Ippodamo di Mileto. Questo è il più rilevante nel dibattito antico
e moderno sull’urbanistica di età classica, anche se la sua opera è ancora oggetto di discussione a causa
della scarsità e dell’ambiguità delle fonti antiche.

LA CULTURA ARCHITETTONICA E ARTISTICA TRA TEMISTOCLE E PERICLE

LA TRASFORMAZIONE MONUMENTALE

Ad Atene, dopo la fase segnata dalla preminenza di Temistocle, che vede la prima ricostruzione della città e
del suo porto, con l’ascesa di Cimone, nel 468, le accresciute disponibilità economiche consentono lo
sviluppo di programmi più organici di risistemazione urbana; a questa fase sono ascrivibili alcuni significativi
interventi nell’agorà del Ceramico come la Thòlos, luogo di riunione e ricevimento, e la Stoà Poikìle,
destinata a celebrare le vittorie ateniesi. Tuttavia, uno tra gli interventi cimoniani politicamente più
significativi per la sua valenza propagandistica è la costruzione del Thesèion nell’agorà antica.
Al decennio successivo sembra che si possano riferire altri monumenti: soprattutto il tempio di Atena ed
Efesto sul Kolonos Agoraios, un periptero esastilo interamente in marmo.
L’attività edilizia nel Peloponneso dopo le guerre persiane rivela una consistente ripresa, attestata in
Corinzia dalla ricostruzione del tempio di Poseidone a Isthmia, dove presso l’agorà vengono realizzati
numerosi edifici a carattere politico, tra i quali una sala ipostila e un ampio theatron tagliato nella roccia.
L’intervento più rilevante sotto l’aspetto architettonico deve però essere riconosciuto nel tempio dedicato a
Zeus nel santuario di Olimpia; l’edificio, uno dei maggiori peripteri dorici del Peloponneso, realizzato entro il
457 da Libone di Elis allo scopo di ospitare la grande statua crisoelefantina del dio opera di Fidia, si pone in

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continuità con la tradizione costruttiva locale. I suoi caratteri più evidenti sono da riconoscere 1) nelle
proporzioni della peristasi con 6x13 colonne, sollevate su una crepidine di tre gradini, 2) nella presenza della
contrazione angolare, 3) nella tripartizione del nucleo interno in pronao, cella tripartita in navate da due file
di colonne su due ordini sovrapposti, opistodomo. L’ordine dorico della peristasi esprime pienamente lo
stadio di elevata maturità raggiunto dall’architettura dorica peloponnesiaca in questa fase e presenta un
rapporto proporzionale tra colonna e trabeazione tale da suscitare quell’impressione di equilibrio e solidità
che costituisce un tratto distintivo dell’ordine dorico nel V secolo.
Dopo la fine della seconda guerra persiana, la difficile situazione politica delle poleis greche d’Asia non
consente una reale ripresa dell’attività edilizia.
In Occidente, la prima metà del V secolo è segnata dallo sviluppo delle tirannidi di Agrigento e soprattutto di
Gela e Siracusa determinando processi di trasformazione. Il decennio tra il 480 e il 470 segna una svolta
significativa nel linguaggio architettonico che emerge in forma evoluta soprattutto nell’ambiente siracusano,
con la costruzione del tempio detto di Atena sull’acropoli di Ortigia; si tratta di un periptero dorico che si
discosta significativamente da quanto finora prodotto in ambiente siceliota. L’edificio, impreziosito da un
tetto di marmo di Paros, viene replicato con poche varianti nel tempio “della Vittoria” a Himera. Con
l’introduzione dell’opistodomo e della doppia contrazione angolare, la nuova tipologia si diffonde molto
presto nelle città greche d’Occidente proprio per il tramite delle officine itineranti cicladiche, la cui attività
nella prima metà del secolo è molto intensa per via della crescente richiesta di coperture in marmo.
Un’eccezione a questo panorama è il tempio di Zeus Olympios di Agrigento: il colossale edificio si
configurava come un grande recinto chiuso, scandito da semicolonne doriche alternate a giganteschi
telamoni, posti a sostegno della trabeazione.

LO SVILUPPO ARTISTICO DELL’ETA SEVERA

Il periodo delle guerre persiane è considerato tradizionalmente l’inizio di un processo di rinnovamento


stilistico-formale del linguaggio espressivo delle poleis greche, il cui esito è l’affermazione dello stile classico.
Anche per la grecità d’Occidente, il conflitto con i Cartaginesi si conclude con la battaglia di Himera: i due
eventi vengono proposti consapevolmente in un’ottica panellenica, motivo di uniformità nello stile e nelle
scelte figurative.
La portata del fenomeno ha ripercussioni a vari livelli sulla produzione artistica del periodo: la costruzione di
edifici nei santuari costituisce il banco di prova di maestranze che specializzano le loro capacità, acquisendo
tecniche e linguaggi formali comuni; la necessità di restituire i simulacri distrutti o rubati dai Persiani
favorisce lo sviluppo di tecniche specifiche, come gli acroliti crisoelefantini (statue composte da uno
scheletro in legno e un rivestimento in oro per le parti vestite e in avorio per quelle nude). La rilevanza delle
statue di culto e i grandi donari di committenza pubblica nei santuari panellenici contribuiscono alla
notorietà degli artisti.
A ciò si accompagna anche una diversificazione nell’uso dei materiali in funzione delle nuove esigenze
rappresentative; per la statuaria a tutto tondo viene preferito il bronzo; rimane costante l’uso del marmo di
Paros per le sculture frontali, i fregi e le sculture acroteriali; in Attica, il marmo dell’Imetto sembra subire
una flessione nell’uso mentre la pietra nera di Eleusi è l’oggetto di maggiore sfruttamento; avorio e oro
divengono costanti nella realizzazione delle statue di culto.
Questo processo di trasformazione si afferma attraverso una fase di sperimentazione che è stata circoscritta
dalla critica al secondo trentennio del secolo (480-50) e definita stile severo. Nella scultura la
manifestazione più appariscente è l’elaborazione di un nuovo linguaggio nella rappresentazione della figura
umana. Elementi caratterizzanti sono: 1) una più articolata resa del corpo, sia nei rapporti tra le singole
componenti sia nella resa più naturale dell’anatomia; 2) l’abbandono della frontalità grazie a inclinazione e
torsione della testa rispetto al tronco; 3) la maggiore compattezza di volumi nella struttura; 4) la visione
frontale e quella di profilo, non più rese per piani separati.
La difficoltà di datazione puntuale delle sculture rinvenute nella cosiddetta Colmata Persiana sull’Acropoli
non consente di definire con certezza l’inizio di questo processo, forse già avviato al momento

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dell’occupazione persiana di Atene sia nelle statue di kouroi, come quello a cui appartiene la testa detta
“efebo biondo”, tra 490-80, che nelle korai.
Per il secondo quarto del secolo tradizione letteraria e testimonianze epigrafiche attestano l’attività di
esperti bronzisti, le cui opere, perdute, sono state però in parte identificate in alcune repliche in marmo
della tradizione copistica di età romana. L’insieme della documentazione mostra una fore presenza di artisti
riconducibili all’ambito ateniese e al contesto peloponnesiaco, anche con specifici rapporti di discepolato.
Hegias, ateniese, bronzista, nato attorno al 530 e attivo almeno fino a dopo il 480, è ricordato dalle fonti
come maestro di Fidia, insieme con Euenor e Ageladas maestro di Policleto. Una scuola di bronzistica è
ricordata a Egina fin dall’età arcaica e ancora altre scuole sono ricordate in Magna Grecia.
Oggetto dell’attività di questi bronzisti sono le importanti committenze nei santuari o negli spazi pubblici
delle poleis. Occasione sono spesso le vittorie negli agoni atletici, come è il caso del gruppo di cui doveva far
parte l’Auriga bronzeo di Delfi ma anche la celebrazione di vittorie belliche, di cui le comunità vogliono
eternare il ricordo in un’ottica celebrativa che esalta i valori della grecità e della comunità committente.
Come donario panellenico si è proposto di interpretare il grande bronzo da capo Artemisio raffigurante Zeus
Poseidone nell’atto di scagliare il fulmine o tridente, opera forse di Onatas o di Ageladas.
Ad Atene invece la necessità di sostituire il gruppo dei Tirannicidi uccisori di Ipparco, collocato nell’agorà e
trafugato da Serse, è il motivo di una nuova realizzazione affidata a Kritios e Nesiotes; l’opera, nota da
repliche di età romana, presenta i due eroi affiancati, convergenti verso un’unica direzione con gesti
complementari: Aristogitone, il più anziano, nell’atto di alzare il braccio coperto dal mantello a protezione
del giovane Armodio, che sferra il colpo con il braccio sollevato.
Nuovi canoni per la realizzazione della figura umana in movimento sono sperimentati da Mirone di
Eleutherai, scultore e bronzista esperto che lavora a Efeso e a Samos, a Olimpia, in Beozia e nella stessa
Atene. Il suo Discobolo, forse raffigurante il giovane amato da Apollo, elabora un tipo iconografico
innovativo in cui l’atleta è fissato nel momento immediatamente precedente il lancio del disco.
Un’altra sua realizzazione sull’Acropoli è stata riconosciuta in un gruppo raffigurante Atene e Marsia: le
figure della dea e del satiro, di origine beota, sono isolate ma in stretta connessione graxie alla
complementarietà dei gesti e degli sguardi convergenti sul flauto, che, abbandonato dalla dea e raccolto da
Marsia, sarà causa della futura condanna del satiro.
Di più difficile definizione è la figura di Kalamis, bronzista della prima metà del V secolo, di origine beota ma
attivo ad Atene. Una sua statua di Apollo esistente nell’agorà del Ceramico viene identificata in un tipo noto
da repliche di età romana, caratterizzato dal contrasto tra il corpo teso e vigoroso e la testa piccola.
Complessa è l’interpretazione dei due bronzi rivenuti nel 1972 nel mare di Riace (Calabria). Riconosciute
come frutto di una committenza pubblica, è motivo di discussione l’interpretazione come statue
indipendenti l’una dall’altra o l’appartenenza a un donario unico, che si è variamente identificato come
quello di Maratona opera di Fidia a Delfi, con quello dedicato agli Achei a Olimpia e realizzato da Onaas di
Egina o con n gruppo raffigurante la spedizione dei Sette contro Tebe nell’agorà di Argo. Pur nell’analogia
dello schema figurativo (ritmo incrociato tra arti portanti e arti liberi) sono stati evidenziati caratteri diversi
nella resa e nella relazione tra le parti anatomiche, che hanno fatto ipotizzare anche un’anteriorità del
Bronzo A (460-50), forse ancora di età severa, rispetto al Bronzo B (430-20).
Nel settore dei grandi cantieri edilizi si registra un forte incremento della scultura architettonica. Le fonti
legano l’inizio della costruzione del tempio di Zeus nel santuario di Olimpia alla vittoria degli Elei su Pisatide
e Triphylia avvenuta tra 480-70; l’apparato scultoreo in marmo pario, ricco e complesso, è adeguato
all’importanza dell’edificio. Metope figurate decorano la fronte di pronao e opistodomo valorizzando i due
ambienti come spazi idonei alla trasmissione di un messaggio figurato, che ripropone le fatiche di Eracle.
Nel frontone est la scena narrativa ripropone il mito locale della gara di corsa con i carri tra Enomao e
Pelope; nel frontone ovest è invece la lotta tra Centauri e Lapiti scoppiata durante le nozze del re Piritoo.
Considerazioni sulle vicende politiche contemporanee all’erezione del tempio inducono a leggere nel
programma iconografico anche un più specifico intento celebrativo della polis di Elide, in quegli anni oggetto
anche di un sinecismo patrocinato da Atene.

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Nell’insieme, metope e frontoni mostrano una meditata realizzazione sia per quanto concerne l’aspetto
compositivo sia per la resa formale. Nelle metope l’interazione tra il protagonista e l’oggetto dell’impresa
offre l’opportunità di una serie di schemi compositivi sempre diversi; nei frontoni l’iconografia della scena
orientale, centrata sulla statua di Zeus, è caratterizzata dalla giustapposizione di figure stanti e si
contrappone al dinamismo della scena occidentale, focalizzata su Apollo, ma segnata da gruppi di
combattenti. La presenza di segni di riferimento nelle sculture frontonali, il ridotto spessore di queste ultime
in rapporto alla limitata profondità della cornice orizzontale, le correzioni ottiche applicate per migliorare la
visuale dal basso testimoniano di un’esperienza consolidata nella realizzazione di sculture architettoniche da
parte dell’officina artefice dell’apparato decorativo.
La collocazione di uno scudo d’oro sul frontone est, posto dai Lacedemoni in seguito alla vittoria sugli
Atenesi nel 457, propone un terminus post quem per il completamento dell’apparato frontonale; più
complessa invece è l’identificazione della personalità che progettò l’intero programma decorativo; la critica
ha preferito definirla per convenzione come “Maestro di Olimpia”, ponendo in dubbio le attribuzioni riferite
da Pausania, rispettivamente del frontone ovest ad Alkamenes, di quello est a Paionios di Mende.
L’attribuzione a quest’ultimo è stata respinta per motivi di mancata concordanza cronologica (lo scultore
sembra essere attivo dopo il 460) e spiegata con un fraintendimento di Pausania; la seconda attribuzione è
stata più recentemente riconsiderata anticipando la cronologia dell’artista, attivo tra gli anni sessanta e
trenta del V secolo. Lo scultore, lemnio e ateniese, avrebbe lavorato nell’ambito dell’officina di Fidia.
L’adozione di estesi sistemi figuratici a complemento degli edifici templari è attestata nei cantieri degli anni
immediatamente precedenti la metà del secolo ad Atene e in Attica; i temi esaltano la figura di Teseo e di
Atena.
Nello stesso periodo, frontoni a soggetto narrativo sono attestati nel tempio di Era a Capo Licinio presso
Crotone e nei templi di Zeus Olympios ad Agrigento. La concentrazione delle attestazioni nel secondo
venticinquennio del secolo in contesti, soprattutto la Sicilia, dove sembrano essere stati privilegiati altri
spazi per la comunicazione, come metope e acroteri, mostra che nelle nuove scelte deve aver giocato un
ruolo la suggestione esercitata dalle grandi imprese edilizie dei santuari in madrepatria. Continua, in
contemporanea, l’uso di metope figurate, che aveva trovato una cospicua documentazione a Selinunte. Il
tempio E della collina orientale è decorato da metope con miti legati alla tematica del matrimonio con
evidente finalità educativa delle giovani generazioni della polis.
Nella statuaria a tutto tondo, la Dea in trono da Taranto, unisce all’iconografia ionica dell’abbigliamento
elementi del panneggio di derivazione attica, consentendo di attribuire la realizzazione a uno scultore
atticizzante del 460-50. Di più complessa interpretazione è la statua di efebo da Mozia, in marmo. La figura,
costruita secondo una progressiva rotazione del corpo per elementi giustapposti, e il trattamento di volto e
acconciatura hanno indotto a una datazione nel secondo venticinquennio del secolo. Problematici
rimangono ancora l’identificazione scultore che l’avrebbe realizzata e il luogo di destinazione.

LA PITTURA

Le informazioni sulla grande pittura derivano soprattutto dalle descrizioni conservate. In mancanza degli
originali, completamente persi, la ceramografia e le fonti permettono di ricostruire solo in parte degli
schemi e le iconografie; rari originali, come le lastre della tomba del Tuffatore di Poseidonia, lasciano solo
intravvedere meglio il rapporto figurativo e cromatico tra pittura e ceramografia.
Caratteristiche del periodo sono le megalografie articolate per settori e singole scene all’interno di
composizioni complesse, concepite come decorazioni di edifici pubblici. Il tempio di Atena Arèia a Platea era
decorato con i dipinti di Polignoto di Thasos, attivo ad Atene tra il 480-50 e dipinse l’esercito greco schierato
davanti a Troia nella Stoà Poikilè dell’agorà del Ceramico. Nella Lèsche degli Cnidi a Delfi sempre Polignoto
realizzò invece l’Ilioupersis e la discesa di Odisseo agli inferi. Un altro celebre monumentato ateniese
provvisto di pitture era il Thesèion, il santuario dell’eroe, dove Mikon avrebbe collaborato con Polignto.
Entrambi i pittori dipingevano non direttamente sul muro ma su supporti che venivano poi fissati alle pareti.
Nello stesso tempo inizia a svilupparsi anche lo specifico settore della scenografia teatrali; Agatharchos di

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Eudemos aveva lavorato, per esempio, alla progettazione delle scene teatrali per le rappresentazioni del
tragediografo Eschilo.

LA CERAMICA ATTICA DELLA PRIMA META DEL V SECOLO

Tra la fine delle guerre persiane e l’inizio della guerra del Peloponneso, la crescita costante della potenza e
della prosperità di Atene e l’estensione del controllo su gran parte della Grecia e dell’Egeo allargano
ulteriormente il mercato. La storia della ceramografia di età classica è soprattutto il susseguirsi di grandi
raggruppamenti stilistici, per i quali è talora incerta la reale aggregazione in botteghe. In questo periodo la
pittura vascolare cessa di essere una forma espressione autonoma. I programmi decorativi sono sempre più
spesso la trasposizione di quelli dettati dall’arte ufficiale nei grandi cicli pittorici di età cimoniana e periclea.
Non tutte le officine partecipano in uguale misura del rinnovamento; i cosiddetti Manieristi scelgono di
proseguire una produzione tardoantica di maniera, contraddistinta da figure slanciate con teste piccole e
decorativismo eccessivo nelle vesti, che attraversa tutto il V secolo con molti pittori suddivisi nelle fasi
Earlier (come con il Pittore del Porco e di Agrigento), Later (come con il Pittore di Nausica o di Oreste) e
Latest (Pittore dell’Accademia).
A eccezione del Pittore di Pan si tratta di ceramografi di medio valore, che si dedicano prevalentemente a
scene dionisiache, di komos e simposio, ma anche mitiche, riprese dal repertorio tardoantico.
Limitrofa ai Manieristi è l’attività di Hermonax cui sono attribuiti numerosi stàmnoi, pelikai e crateri a
campana con le solite tematiche simposiache e comastiche e con una predilezione, tra i temi mitici, per
quelli in cui le divinità risultano impegnate nella sfera erotica.
Nel secondo venticinquennio del V secolo altri gruppi procedono nell’assimilazione di formule che si
possono immaginare desunte dalle megalografie.
Opere come il cratere a calice da Orvieto con Argonauti da un lato e strage dei Niobidi dall’altro, eponimo
del Pittore dei Niobidi, per l’ampio respiro e la complessità d’impostazione della scena, sono quanto di più
vicino alle descrizioni delle pitture di Polignoto di Taso. Al Pittore dei Niobidi e al Pittore di Altamura
(definito da Beazley “fratello maggiore” del primo per il suo stile più pacato) fa capo un folto gruppo di
ceramografi attivi nel secondo quarto del secolo, di preferenza su vasi grandi con complesse composizioni di
soggetto mitologico, ma anche scene di vita quotidiana, trattate con un’impostazione tradizionale.
Agli effetti coloristici della pittura su tavola rimandano anche le kylikes a fondo bianco del Pittore di
Pistoxenos e i migliori esemplari a figure rosse del Pittore di Pentesilea, con raffinate suddipinture in blu,
violetto e giallo. Se le scene del primo risultano ancora perfettamente calibrate per il tondo interno dei vasi,
quelle del Pittore di Pentesilea mostrano una più decisa ricerca di monumentalità.
La maggior parte della produzione del Pittore di Pentesilea consiste di opere più convenzionali,
corsivamente decorate da scene di genere (giovani con cavalli, corteggiamenti, fanciulle). Alla bottega di cui
è protagonista fanno capo una ventina di ceramografi e più di 1500 vasi, decorate a più mani, con un
procedimento di organizzazione e velocizzazione del lavoro certamente connesso all’elevata richiesta del
prodotto.

L’ETA DI PERICLE
L’ARCHITETTURA DELLA DEMOCRAZIA

Il quadro storico della seconda metà del V secolo risente di alcuni avvenimenti occorsi nel decennio
presente; ad Atene, le incomprensioni con Sparta e l’ostracismo di Cimone determinano il rafforzamento del
partito democratico, consentendo a Pericle di occupare la scena politica in modo continuativo sino al 432-
31. La pace con la Persia e la pace con Sparta segnano l’egemonia politica e culturale della polis.
Il polo principale del rinnovamento edilizio è l’Acropoli; si dà inizio a un vasto programma di ricostruzione
che coinvolge tutti i principali santuari: il primo, a partire dal 447, è il Partenone affidato a Fidia;
interamente realizzato in marmo pentelico, il tempio, un periptero dorico di 8x17 colonne, mostra una
soluzione planimetrica senza precedenti, essendo gli ottastili in genere dipteri o pseudodipteri.

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La scelta deriva dall’eccezionalità dell’immagine di culto, la colossale statua crisoelefantina di Atena


Parthenos per la quale il tempio era stato progettato: la planimetria prescelta consente di ottenere una cella
di ampiezza significativamente maggiore di quella di periptero esastilo e l’organizzazione del colonnato
interno, disposto a Π, contribuisce a dare ulteriore risalto alla statua della dea. Sul retro l’opistodomo si
articola come un vestibolo, dando accesso a un’ampia sala posteriore, la cui copertura è sorretta da quattro
colonne, forse ioniche.
Il monumento, che si configura come un tempio-tesoro, deve dunque la sua eccezionalità alle esigenze
connesse alla realizzazione di un ambizioso programma iconografico, di cui la statua della dea doveva
costituire il fulcro. All’esterno si avvale di vari cicli figurativi in larga parte volti all’esaltazione della comunità
e a rivendicare il ruolo campione nella lotta contro i barbari che Atene rivendica presso i Greci.
Nel 437, mentre nel Partenone si completano i frontoni, viene aperto il cantiere dei Propilei, destinati a
dotare il complesso sacro di un accesso monumentale adeguato alle ambizioni della polis. L’incarico è
affidato a Mnesicle, il quale integra in un unico edificio il propileo vero e proprio, una sala da banchetti a
nord e un vestibolo al santuario di Atena Nike a sud. A causa dell’orografia del sito, l’edificio centrale
presenta quote diverse a est e a ovest; il dislivello comporta lo sfaldamento della parte anteriore rispetto a
quella posteriore, con entrambe coperte con tette a due falde, determinando così un doppio frontone sul
prospetto ovest. Alla parte anteriore del corpo centrale si legano l’ala nord, che ospita un ampio
hestiatorion, e l’ala sud che adotta una planimetria irregolare determinata dai vincoli imposti dal temenos di
Atena Nike. Il progetto non viene tuttavia portato a compimento: a nord-est e a sud-est erano prvisti infatti
altri due ambienti, arrestati da numerose evidenze.
L’imminenza della guerra del Peloponneso non impedisce di porre mano alla realizzazione di un nuovo
tempio nel santuario di Atena Nike. La costruzione viene intrapresa intorno al 427 con l’edificazione di un
anfiprostilo terrastilo ionico; la tipologia affonda le sue origini in modelli cicladici medio e tardoarcaici e
diviene largamente diffusa ad Atene e in Attica in età protoclassica e classica. Il tempio è infatti espressione
di un’architettura ionica affermatasi in Attica con forme ormai autonome; i tratti più caratteristici si possono
rilevare sia nelle proporzioni dell’ordine, con colonne e trabeazione relativamente pesanti, sia negli
elementi morfologici di ascendenza cicladica o asiatica.
L’ultimo edificio realizzato sull’Acropoli è l’Eretteo, la cui costruzione (421-405) inizia durante la pace di
Nicia. Le sue apparenti irregolarità e complessità rispondono a vincoli determinati dalla peculiare
concentrazione nell’area di attività e testimonianze sacre. Ai culti di Poseidone ed Efesto si vengono infatti
aggiungere il Kekropion e il Prostomiaion, la sorgente d’acqua salata fatta scaturire da Poseidone, mentre il
Pandroseion viene annesso in un recinto subito a ovest.
Anche l’Eretteo è dunque una costruzione complessa, in cui il corpo principale è suddiviso in due aree
separate tra loro e aperte su quote diverse; mentre a est, infatti, la cella si raccorda con il piano dell’Acropoli
e fronteggia l’antico altare, i vani a occidente si aprono a 3 m più in basso, su una corte a nord e su
Pandroseion. Addossata al suo angolo sud-ovest, presso la tomba di Kekrops, è la “loggia delle Cariatidi”,
con figure femminili stanti in luogo di colonne che riveste la funzione di heroon del mitico prima re
dell’Attica. Sostanzialmente in controtendenza è l’architettura, che se da un lato recupera soluzioni
protoclassiche, dall’altro introduce un estremo decorativismo, estraneo alla cultura architettonica cicladico-
attica.
L’impegno edilizio non si limita naturalmente all’Acropoli; alle pendici sud viene infatti ristrutturato il teatro,
ancora con un theatron rettilineo mentre poco più a est è eretto un edificio destinato allo svolgimento di
agoni musicali, l’Odeion.
Nell’agorà, in occasione della concessione della parziale cittadinanza ateniese ai suoi abitanti, viene
trasferito il culto panellenico di Zeus Eleutherios. Entro lo scorcio del V secolo è datata anche la costruzione
della stoà meridionale, un portico dorico a due navate che introduceva a quindici hestiatòria e del nuovo
bouleuterion.

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Ancora negli ultimi anni del secolo, durante la tirannide dei Trenta, si pone mano alla ristrutturazione
dell’ekklesiastèrion sulla Pnice, con l’inversione dell’orientamento del theatron originario.
Significativi appaiono anche gli interventi nei demi attici: in particolare a Eleusi, forse il più grande cantiere
dell’età di Pericle dopo quello dell’Acropoli, dove, viene ricostruito il Telestèrion e viene sistemato un nuovo
tempio di Demetra e Kore. Interventi sono comunque attestati anche in altri siti della regione: a Ramnunte
viene eretto tra il 430 e il 420 un periptero dorico interamente in marmo dedicato a Nemesi; Thorikos vede
invece l’ampliamento del teatro; ancora nel santuario di Artemide a Brauron, oltre al restauro del tempio, si
procede alla costruzione di un vasto complesso di hestiatòria.
Anche presso il santuario di Apollo a Delos vi sono attestazioni dell’intraprendenza di Atene, documentata
dalla dedica di un edificio di particolare ricchezza, il cosiddetto “tempio degli Ateniesi”. La planimetria è
quella di un anfiprostilo esastilo dorico; anche in questo caso, la funzione di tempio-thesauròs dell’edificio.
Destinato ad accogliere nella cella un gruppo di sette statue, richiede uno spazio interno particolarmente
ampio.
Verso la fine del V secolo si assiste a una ripresa dell’attività edilizia nel Peloponneso che si intensificherà poi
nel corso del IV secolo. Testimonianze del santuario di Poseidone a Isthmia attestano trasformazioni nello
stadio e la realizzazione di una struttura teatrale con orchestra trapezoidale e thèatron rettilineo.
Contestualmente, nel santuario extraurbano di Era ad Argo inizia la ricostruzione del tempio dedicato alla
dea. La progettazione dell’edificio, un periptero dorico di 6x12 colonne, viene affidata a Eupolemos di Argo,
ma rivela in molti aspetti influenze dell’architettura ateniese di età periclea, visibili nella snellezza delle
colonne e nella presenza del colonnato a Πnella cella.
Molto originale appare il tempio di Apollo Epikoùrios edificato nel cuore dell’Arcadia. Si tratta di un
periptero dorico di 6x15 colonne con nucleo interno costituito da pronao e opistodomo e cella
contraddistinta da un ordine disposto a Πcon semicolonne ioniche. L’edificio, attribuito da Pausania a
Ictino, si rivela opera di maestranze peloponnesiache e mostra numerose particolarità, sia planimetriche, sia
pertinenti agli ordini interni, che presentano capitelli ionici a quattro facce e un capitello protocorinzio,
invenzioni destinate a influenzare significativamente l’architettura del periodo successivo.
La seconda metà del V secolo vede anche l’ultima produzione architettonica significativa delle poleis greche
d’Occidente; la situazione di maggiore interesse è quella di Agrigento, dove continua l’opera di
trasformazione monumentale della città con l’edificazione dei templi peripteri F, G e I; dai loro caratteri
emerge chiaramente la continuità con il rinnovato architettonico delineatosi nella prima metà del secolo.
Segni importanti di attività edilizia sono presenti anche a Selinunte ma più interessanti sono gli interventi
attestati a Segesta, dove in un contesto italico sono costruiti edifici chiaramente riconducibili alla tradizione
ellenica.
Negli ultimi anni del secolo, gli eventi drammatici collegati alla nuova offensiva cartaginese in Sicilia e la
coeva recessione che colpisce le poleis della Magna Grecia determinerà una prolungata stasi dalla quale il
mondo occidentale uscirà dopo oltre settanta anni profondamente modificato.

LA RIVOLUZIONE CLASSICA

La teorizzazione, da parte dello scultore Policleto, di un canone basato su precisi rapporti di misura per la
resa della figura umana e il programma di trasformazione dell’Acropoli, messo in atto da Pericle con la
collaborazione di Fidia, sono le esperienze più significative della seconda metà del V secolo; il valore
paradigmatico riconosciute a entrambe ha determinato la definizione di “classico” per il periodo cronologico
e per il linguaggio stilistico che è loro proprio.
Le sperimentazioni nella ponderazione della figura umana che avevano caratterizzato l’età severa trovano la
loro compiutezza nelle opere di Policleto, bronzista originario di Argo, attivo nel Peloponneso a partire dal
465 e ad Atene tra il 440 e il 430. La tradizione letteraria lo ricorda come l’autore del Canone, un trattato
teorico che lo scultore deve aver esemplificato nella statua doryphoros (che porta la lancia) (450) nota da
una serie di repliche di età romana. La figura sviluppa lo schermo a ritmo incrociato (cosiddetto “chiasmo”)
ed è frutto di complessi rapporti matematici che regolano le proporzioni tra le parti del corpo.

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Specializzato nella rappresentazione di dei, eroi e atleti vincitori, Policleto elabora versioni differenti del
medesimo schema, lavorando sempre sul bilanciamento degli arti e costruendo figure dai ritmi complessi
quali il diadoùmenos, l’atleta che si cinge il capo con la benda della vittoria, ma sperimenta anche
l’applicazione del suo metodo normativo alla figura femminile, quale la statua di Amazzone ferita. Il suo
canone costituirà un modello imprescindibile per le elaborazioni successive e darà esito, nel IV secolo, a una
scuola di scultori specializzati nella rappresentazione della figura maschile in nudità atletica.
Il programma di ricostruzione dell’Acropoli monopolizza l’attività delle officine ateniesi nella seconda metà
del V secolo, conformandole nell’uso di un linguaggio formale omogeneo.
Coinvolto nel progetto pericleo come epìskopos (sovraintendente) e artefice dei lavoratori è Fidia, ateniese,
che aveva già realizzato diverse commissioni per l’Atene di età cimoniana. L’artista doveva essere esperto
nella pittura, nella lavorazione del marmo e nella fusione del bronzo; tra le sue prime commissioni
pubbliche è il simulacro dell’Atena Arèia. Per Atene realizza tra il 460 e il 450 dediche votive in bronzo:
sull’Acropoli l’Apollo Parnòpios (preservatore dalle cavallette), l’Atena Pròmachos (che combatte in prima
linea) e la statua del poeta Anacreonte; a Delfi, invece, è autore del gruppo degli eroi vincitori di Maratona,
composto da 13 figure. Una seconda statua di Atena in bronzo, la Lemnìa mostra la scelta di un modello
diverso per l’iconografia della dea umanizzata in una pensosa concentrazione.
La realizzazione in un lasso di tempo di circa dieci anni di un così grande numero di sculture in bronzo
testimonia della possibilità da parte di Fidia di disporre di un’officina altamente specializzata e organizzata.
Complesse dovettero essere l’organizzazione del cantiere Partenone e la gestione delle diverse officine
specializzate nella lavorazione del marmo; i rendiconti di spesa che si sono conservati attestano le modalità
di procedimento del cantiere nella messa in opera delle diverse partiture decorative, a cominciare dalla
realizzazione del fregio dorico esterno per poi passare a quello ionico lungo i muri esterni della cella e infine
ai frontoni.
L’insieme delle tematiche scelte risponde a un preciso programma iconografico teso a esaltare il ruolo di
Atene in quanto simbolo della grecità vittoriosa contro i Persiani; altrettanto unitario appare il linguaggio
stilistico, sebbene l’esecuzione materiale dell’apparato scultoreo sia il risultato della cooperazione di
numerose officine di scalpellini. Nelle metope gli schemi privilegiano la composizione a due figure e si
avvalgono di motivi peculiari come l’uso frequento dei mantelli. Nel fregio è evidente che si tratta di due
diverse processioni, che si congiungono sul lato est con la rappresentazione dell’offerta del peplo e le
divinità sedute. In entrambe viene messa in scena una rappresentazione della società ateniese per ruoli e
funzioni. I partecipanti hanno espressioni e pose sempre diverse; le figure sono realizzate con un aggetto
estremamente ridotto, salvo la loro parte superiore, più sporgente per migliorare la veduta dal basso.
Nei frontoni, la composizione è affollata di figure realizzate a tutto tondo, che convergono idealmente verso
il centro; caratteristico è il trattamento del nudo maschile con varianti coloristiche nella resa delle figure
giovanili o anatomie potenti in quelle più mature; infine, peculiare è il trattamento dei panneggi delle figure
femminili, mossi, segnati da pieghe di diverso spessore.
Nella cella orientale, l’acrolito crisoelefantino di Atena Parthènos (438) raffigurava la dea in epifania, con la
destra tesa a sostenere Nike e la sinistra posata sullo scudo; il mito di Pandora, sulla base, era rappresentato
tramite figure di marmo bianco applicate su lastre di pietra nera di Eleusi.
La statua di Amazzone ferita presenta a Efeso (tra 438 e 432) è riconosciuta come una delle opere più tarde
dello scultore, insieme con la statua di anadoùmenos. L’Amazzone, dalle proporzioni sottili e allungate, è in
un equilibrio precario, esaltato dalla fitta modulazione delle pieghe del chitone sollevato a mostrare la
ferita; l’anadoùmenos ripropone invece spunti policletei.
All’attività di Kresilas, bronzista attivo a Delfi, nell’Argolide e ad Atene, si deve il ritratto di Pericle. L’effigie, in
bronzo, riproponeva il tipo iconografico dello stratega, una figura in nudità eroica con mantello, lancia ed
elmo rialzato sul capo, distintivo delle rappresentazioni di coloro che rivestivano tale magistratura. Il volto di
Pericle mostra, pur se ancora ideale, un iniziale tentativo di caratterizzazione, percepibile nei tratti del volto
e nel dettaglio del cranio allungato, considerato dalle fonti come un tratto peculiare della sua fisionomia.
L’interesse per la caratterizzazione fisionomica dell’individuo viene accolto e sviluppato dallo scultore

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Demetrios; la sua ricerca sembra però rivolta all’elaborazione di una tipicità di categorie generali (vecchiaia,
magrezza, obesità) anziché a una somigliante individualizzazione.

LA PRODUZIONE DEL CLASSICISMO

L’esperienza artistica del Partenone segna anche la produzione artistica dell’ultimo trentennio. Il linguaggio
formale distintivo di questa fase rielabora i motivi propri dell’arte fidiaca già divenute tradizione. Oggetto
particolare di studio sono le figure dai movimenti incisivi, esaltati da panneggi complessi, che si articolano
attorno al corpo con soluzioni elaborate, segnate dal contrasto tra stoffe pesanti e veli impalpabili che
formano virtuosistici drappeggi improntanti a un decorativismo che ha determinato la definizione di “stile
ricco” con cui vengono indicati i decenni finali del secolo e il primo ventennio del successivo (425-380).
Il fregio del tempio di Atena Nike riprende lo schema del fregio partenonico con divinità stanti sul lato
orientale e scene narrative (Amazzonomachia e lotta contro i Persiani) sugli altri lati e ripropone sui frontoni
temi mitici (Gigantomachia e Amazzonomachia); la balaustra impegnate in una serie di attività cerimoniali
scandite da Atena seduta; le figure, ad alto rilievo e completate da attributi in bronzo dorato, sono
rappresentate in vivace movimento, accentuato dai panneggi mossi, sottili e aderenti. La tradizione fidiaca
delle basi bicrome dei simulacri è a sua volta amplificata nel fregio ionico dell’Eretteo, le cui figure di marmo
bianco applicate sul fondo di pietra nera di Eleusi testimoniano di una tecnica consolidata. Infine, le korai
poste a protezione della tomba di Kèkrops nella loggia meridionale dell’edificio ripropongono il tipo della
peplophòros sviluppato nell’età severa e sono destinate a divenire il simbolo della classicità ateniese nelle
rielaborazioni romane di età augustea e adrianea.
Nelle realizzazioni a tutto tondo significativa è la concentrazione di acroteri con figure femminili in volo. Le
officine ateniesi ripropongono il tipo non solo in ambito locale ma anche in contesti esterni significativi
dell’influenza politica e culturale della città, quali Delos nell’acroterio centrale del frontone est del “tempio
degli Ateniesi”.
In ambito peloponnesiaco la Nike di Paionios di Mende amplifica lo schema della figura in volo esasperando
il contrasto tra la stoffa aderente al corpo e lo sfondo scuro dell’himàtion dispiegato a vela.
Nella statuaria, oggetto di elaborazione di nuovi tipi iconografici sono le figure di Atena e di Afrodite.
Lo stile classico diviene un modello di riferimento per la coeva produzione artistica al di fuori dell’Attica. Alle
esperienze della scultura architettonica dei suoi cantieri si rifanno le sculture degli edifici templari nel
Peloponneso e in Arcadia. L’apparato decorativo del tempio di Era ad Argo per quanto frammentario mostra
nelle proporzioni, nell’articolazione dei corpi e nei panneggi gli stilemi dell’arte fidiaca, mentre l’acroterio a
volute vegetalizzato ripropone quello partenonico; il fregio interno alla cella del tempio di Apollo Epikoùrios
a Bassai, in marmo peloponnesiaco, attesta invece soluzioni compositive peculiari, come la presenza di
figure di collegamento tra i vari gruppi di combattenti e di panneggi esasperati; nell’insieme il fregio è stato
interpretato come opera di maestranze locali che rielaborano modelli attici.1
A Taranto la presenza di motivi iconografici della plastica in marmo ateniese in un periodo immediatamente
precedente la metà del V secolo è testimoniata dalla Dea in trono; l’influenza dell’arte partenonica si
manifesta invece in un testa di Atena nel tipo della Parthènos e in alcune testine votive che riproducono la
dea con elmo attico. L’occorrenza del fenomeno in esemplari riconducibili a statue di culto di committenza
pubblica è indicativa della volontà di rifarsi al modello ateniese che concentra le proprie forze
nell’esaltazione delle divinità poliadi. Anche l’acrolito, attribuito a un sito della Sicilia greca, che è stato
identificato con Morgantina o Enna e interpretato come Afrodite o Demetra, mostra una diretta ispirazione
alle creazioni dello “stile ricco” ateniese; in particolare, il ritmo ascendente della figura e l’esasperazione del
panneggio mostra stringenti analogie con la statua di Afrodite dall’Agorà testimoniandone l’esecuzione da
parte di uno scultore locale attento ai modelli della plastica ateniese dell’ultimo ventennio del secolo.

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LA PITTURA
La seconda metà del secolo vede la fortuna di Parrhasios di Efeso e del pittore Panainos; di questo si
conosce poco, a parte le notizie relative alla collaborazione con Fidia nello Zeus di Olimpia e nell’Atena
Parthènos di Atene.
Con entrambi collabora invece Parrhasios, al quale si dovrebbe il disegno della Centauromachia dello scudo
dell’Atena Promachos; egli diventa il pittore più celebrato del primo classicismo, esibendo una chiara
consapevolezza del proprio ruolo di artista e sviluppando una grande capacità disegnativa.
Alla fine del secolo sono attivi altri celebri pittori. Apollodoro di Atene sembra essere stato impegnato in
opere importanti, preferendo la pittura su tavola e possedendo la capacità di dipingere in modo
chiaroscurale, prediligendo all’uso della linea di contorno le macchie di colore.
Zeuxis di Herakleia è però forse il pittore più complesso del periodo. Probabilmente gli si deve la sintesi tra
tradizione disegnativa di Parrhasios e il contrasto cromatico di Apollodoro. Della sua attività rimangono solo
alcuni accenni, sia celebrativi, come la descrizione di Luciano di un quadro con una famiglia di Centauri, sia
critici, come nel caso di Aristotele che ne sottolinea la mancanza di ethos.

LA CERAMICA ATTICA DELLA SECONDA META DEL V SECOLO

A partire dalla metà del V secolo i vasi presentano sempre più spesso figure di carattere monumentale e
tracciate con maggiore naturalezza ed espressività dovute all’uso più morbido della linea, che produce
effetti di chiaroscuro e sfumato. La tendenza è ben documentata dai due principali raggruppamenti del
periodo, quello del Pittore di Achille e dei ceramografi specializzati nella produzione di lekythoi funerarie a
fondo bianco e quello del Gruppo di Polignoto, concentrato, al contrario, su vasi di grandi dimensioni nella
tecnica a figure rosse.
La pittura a linea di contorno su fondo bianco ravvivata da tocchi policromi diviene molto popolare nella
seconda metà del secolo. Il Pittore di Achille la adopera per realizzare figure gravi e dalla grandiosa
statuaria.
Connesso al Pittore di Achille è il Gruppo del Cannetto, che, negli ultimi decenni del secolo, quando la
tecnica del fondo bianco è ormai decisamente riservata alle lèkythoi funerarie e le tematiche si concentrano
su scene di culto funerario o vita domestica del defunto, realizza esemplari con personaggi disegnati in
rosso sul fondo bianco resi in maniera patetica grazie all’uso del chiaroscuro.
Notevole influenza sulla prima produzione a figure rosse dell’Italia meridionale e della Sicilia ha invece il
Gruppo di Polignoto, che comprende una lunga sequenza di ceramografi accomunati da strette
corrispondenze stilistiche, attestati per tutta la seconda metà del V secolo. Si passa da una prima fase
strettamente connessa al Pittore dei Niobidi, a una seconda generazione (435-400) che apre
progressivamente alle tematiche del IV secolo. La ricca iconografia comprende soggetti partenonici, con
Centauromachie e Amazzonomachie spesso riassunte, ma anche episodi del ciclo troiano e tebano, nonché
scene di vita quotidiana. Caratteristica è l’attenzione per i soggetti teatrali, soprattutto nella produzione
italiota.
Nei ceramografi della seconda generazione le scene della quotidianità femminile e le raffigurazioni
dionisiache divengono predominanti.
Nel periodo della guerra del Peloponneso, il repertorio appare più ristretto, anche se la qualità, nella
manifattura come decorazione, resta elevata. La dimensione eroica diviene secondaria e il diffuso
vagheggiamento della pace determina un ripiegamento verso soggetti intimistici, legati soprattutto al
mondo muliebre; viene meno l’interesse per il simposio e per le divinità olimpiche in genere. La gamma dei
soggetti rimane ampia, ma ci si concentra su alcuni, mentre altri sono affrontati episodicamente.
Ad esempio, il Pittore di Meidias (dal nome del ceramista che firma la celebre hydrìa) con ratto delle
Leucippidi e di Eracle nel giardino delle Esperidi) ha un repertorio vasto, ma la maggior parte delle sue
opere presenta scene del mondo femminile.
La mano del Pittore di Meidias è riconoscibile su poche decine di vasi grandi su cui dispiega grandi
composizioni spesso ambientate in giardini, con figure in pose statuarie o in movimento vivace, sempre con

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panneggi leggeri e che assecondano le forme del corpo. Lo stile è ricco e talora ridondante per l’eccessivo
uso di sovraddipinture e dorature per gioielli e vesti. La maniera del Pittore di Medias influenza molti pittori
e gruppi che gravitano nella sua cerchia, così stilisticamente affini da essere indistinguibili e quindi
accomunati nella definizione di “submeidiaci”.

LA CERAMICA ITALIOTA

La ceramica attica costituisce un’esperienza produttiva e commerciale di dimensione mediterranea, che


contribuisce a costruire un linguaggio comune. A questo modello si ispirano produzioni locali minori,
riconosciute anche in altri centri della Grecia, come a Corinto o nella Grecia nord-occidentale. Se in
quest’ultimo caso si tratta di un artigianato del IV secolo che elabora poche forme, a Corinto è necessario
pensare al lavoro di un’officina animata da ceramisti di esperienza attica. L’attività si concentra negli ultimi
decenni del V secolo.
Nello stesso arco di tempo il fenomeno si registra anche in Italia meridionale, dove un ceramografo indicato
convenzionalmente come Pittore di Pisticci attiva in un centro dell’arco ionico più interna un’officina che
produce vasi a figure rosse di tipo attico. Sono stati chiaramente riconosciuti gli stretti rapporti formali tra
questo artigiano e il cosiddetto “Gruppo di Polignoto” che lavora in Attica, e in particolare con uno dei suoi
ceramografi, il Pittore di Christie. Il Pittore di Pisticci, al confronto, presenta intorno al 440 un linguaggio
disegnativo esemplificato e più lineare, concentrandosi su scene ripetitive nell’elaborazione iconografica, tra
le quali si distinguono le rappresentazioni del ratto di una fanciulla da parte di un eroe.
Da questa officina italiota, però, si sviluppa una tradizione produttiva locale che acquista ben presto
caratteri di grande originalità, ma che soprattutto assume dimensioni quantitative e qualitative che
superano ampiamente la ceramica attica coeva a figure rosse. Il successo della produzione a figure rosse
dell’Italia porta alla nascita di diversi centri di produzione: questi realizzano manufatti molto vari per forme
e impegno figurativo e conoscono nel tempo una diffusione anche all’esterno della penisola.
Le dimensioni del fenomeno hanno aperto un dibattito ancora in corso all’origine di queste officine. E’
necessario valorizzare soprattutto il ruolo della committenza locale, che evidentemente rappresenta il
motivo della crescita produttiva delle scuole ceramografiche italiote e siceliote. La fondazione della colonia
di Thourioi in Calabria, nel 444/443 in un primo tempo era stata considerato l’occasione materiale che aveva
permesso il trasferimento di alcuni artigiani attici in Occidente. Gli scavi della città hanno mostrato invece
una scarsa diffusione dei prodotti figurati relativa alle fasi più antiche. E’ invece il distretto compreso tra
Metaponto e Taranto, da tempo sede di officine ceramiche di diverso impegno che attesta le fasi più
antiche. A Taranto la continuità dell’esportazione di ceramiche figurate attiche è attestata per tutto il V
secolo e sono presenti prodotti del Gruppo di Polignoto e in particolare del Pittore di Christie.
La conoscenza della ceramica italiota si deve soprattutto all’impegno di ricerca di Arthur Trendall che è stato
completato da una monumentale classificazione dei prodotti in collezioni pubbliche e private e di quelli da
scavo regolare. Nonostante l’utilità e l’accuratezza di questo lavoro, molti problemi restano ancora irrisolti e
la ricerca sui contesti che si è affermata soprattutto negli ultimi decenni permette di acquisire nuovi
elementi e prospettive.
In una fase iniziale, “proto-italiota”, appaiono già due diverse tradizioni produttive indicate come “proto-
lucana” e “proto-apula”, che si sviluppano negli ultimi quattro decenni del V secolo. Nel caso della scuola
proto-lucana mancano elementi sicuri per l’ubicazione dell’atelier del Pittore di Pisticci, come per la seconda
generazioni di artigiani; ma le ricerche condotte da Francesco d’Andria nel quartiere ceramico di Metaponto
hanno permesso di individuare gli scarichi di produzione relativi alla terza generazione. E’ più complessa
invece la situazione degli esordi della scuola apula, per la quale mancano invece dati diretti. Vari elementi
però indicano in Taranto il luogo di elaborazione e di sviluppo del fenomeno produttivo.

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VIVERE NELLA CITTA DEMOCRATICA

Il forte cambiamento nella cultura abitativa tra la fine del VI e il V secolo coincide con un ulteriore sviluppo
della struttura urbana e con la necessità di incrementare la qualità delle aree residenziali. Al V secolo si
datano alcune abitazioni di un isolato dell’Areopago di Atene costruite in mattoni crudi su uno zoccolo in
pietra, con pavimenti di terra battuta e copertura in tegole. Le case più occidentali riprendono modelli tipici
del VI secolo, mentre le due unità abitative del lato orientale hanno una struttura differente. L’aulè è, in
questo caso, l’elemento centrale sul quale si aprono diverse stanze. Si documenta contemporaneamente
una più chiara separazione degli spazzi, per sesso o per funzioni. Nello stesso tempo altre abitazioni ateniesi
sembrano mettere in atto quella diversificazione tra area privata abitativa e area di lavoro che invece
mancava nelle case più antiche.
Gli scarsi rinvenimenti si riferiscono generalmente a dimore che emergono dalle normali abitudini abitative
e spesso lo studio di tali casi è condizionato dalla ricerca di tipologie abitative che appartengono a un livello
cronologico più recente. E’ molto difficile, quindi, riconoscere i diversi modelli culturali e sociali e tentare
un’esegesi non solo formale. Soprattutto ad Atene l’espansione delle classi subalterne condiziona
certamente le fonti differenze negli impianti abitativi.
La ricerca ha insistito molto su una sistemazione tipologica che deriva principalmente dalla lettura del VI
libro del trattato sull’architettura di Vitruvio, in cui le case a peristilio vengono distinte da quelle a pastàs o a
prostàs, termini che indicano ambienti di cerniera tra la corte a cielo aperto e gli appartamenti privati. La
casa a prostàs è stata identificata con lo schema riconosciuto a Priene (Ionia); all’interno di una struttura
allungata si distinguono due settori: a nord il corpo di fabbrica con gli ambienti principali, cui si accede da un
portico (prostàs) che immette nell’andròn; a sud si trova invece la corte, occupata da ambienti aperti sia
verso la strada sia all’interno.
Questa planimetria ritorna con varianti minime anche in altri siti ed è già in nuce in alcune strutture di
Smirne datate al VI secolo. Nel secolo successivo a un angolo della corte vengono aggiunte torri
quadrangolari, che avevano al piano terra un ambiente con porta decentrata e stucco alle pareti,
identificabile con un andròn, e un secondo piano, forse di servizio.
Di tradizione più antica le case a pastàs hanno la loro codificazione classica nelle abitazioni di Olinto,
caratterizzate dalla presenza di un grande ambiente di soggiorno (oìkos) al cui interno a volte è
l’installazione per la cucina. L’eccezionalità dei rinvenimenti di questa pòlis ha permesso di effettuare analisi
incrociate su abitazioni analoghe per forme e per cronologia, dimostrando l’interfunzionalità delle diverse
strutture abitative, che possono accogliere indistintamente spazi privati o di lavoro. Si tratta di un modello
sempre meno diffuso nelle grandi città come Atene, in cui la separazione tra abitazione e spazio di lavoro
diventa più marcata.
A Himera (Sicilia), all’interno di un’organizzazione urbana regolare si trovano unità abitativa con corte
allungata, su cui si aprono diversi ambienti senza un’apparente gerarchizzazione o specializzazione. A
Kassope, in Epiro, le case presentano una pianta particolare: l’entrata introduce direttamente in una piccola
corte che dà accesso a tre aree differenti: l’andròn sulla destra, l’oìkos di fronte, ma con la porta non
allineata a quella principale, e un terzo di ambiente di incerta identificazione. Questa tipologia, tuttavia, pur
in una differente organizzazione spaziale, mantiene ferma quella differenziazione tra ambienti privati e di
rappresentanza che appare accentuata in alcune dimore particolarmente ricche, che addirittura
differenziano le due aree con corti separate: l’andronìtis (androceo) e la gynaikonìtis (gineceo).
La Casa dei Mosaici di Eretria offre un esempio di residenza ricca, con un numero di ambienti superiori alla
norma e con una nuova organizzazione dello spazio. Le stanze sono sistemate intorno a due corti: quella
occidentale dà accesso ad ambienti di diversa ampiezza, di cui due probabilmente sono andrònes; quella
orientale, invece, doveva assolvere anche funzioni di servizio.
Le fonti antiche parlano di case signorili soprattutto ad Atene e al Pireo. L’orazione Per l’uccisione di
Eratostene di Lisia lascia, invece, l’importante descrizione di un’abitazione più modesta, divisa su due piani,
di cui quello superiore destinato alla donna; essa è stata confrontata con la casa nella strada dei Marmisti

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del cosiddetto “Quartiere industriale” di Melite ad Atene, nel tentativo di rintracciare il modello-tipo di
un’abitazione “media” ateniese. Nonostante il livello delle testimonianze, tuttavia, continua a essere difficile
comprendere il diverso ruolo degli ambienti nelle case di età classica, anche per la mancanza di informazioni
dettagliate sugli arredi rinvenuti durante gli scavi. In questo senso sono importanti le ricerche condotte a
Halieis. Elementi caratteristici delle abitazioni di Halieis sono le presse per le olive e le installazioni di
smaltimento dei rifiuti.
Durante questa fa, le abitazioni si strutturano in modo complesso, con spazi diversificati per funzione,
distribuiti su due livelli. Il secondo piano accoglieva gli ambienti più privati, riservati al mondo muliebre.
Allo stato attuale sembra quindi che si debba sementire una troppo facile tipizzazione dell’edilizia privata,
invertendo la tendenza a proporre modelli-tipo come testimonianza di un’architettura democratica.

LA CULTURA POLITICA
GLI SPAZI PUBBLICI

In età tardoclassica, in parallelo con lo sviluppo della pòlis, si assiste alla progressiva maggiore definizione di
tipologie edilizie legate all’attività politica.
Ad Atene, nella seconda metà del IV secolo, sulla collina della Pnice si riorganizza l’ampia struttura di tipo
teatrale realizzata sullo scorcio del VI e destinata a ospitare le riunioni dell’ekklesìa: l’ekklesiastèrion viene
ulteriormente ampliato e dotato di un’orchestra semicircolare attorno alla quale si dispone in curva lo
spazio per gli spettatori; il bèma è ora ricavato dal taglio del banco di roccia naturale necessario per lo
stesso ampliamento del thèatron. Forse per offrire riparo ai frequentatori, lo stesso programma costruttivo
comprendeva due lunghe stoài, ma la loro costruzione non venne portata a compimento.
Sale assembleari possono ospitare riunioni di federazioni o leghe di etnie o pòleis, come il Thersìlion
realizzato a Megalopoli intorno al 370 per ospitare i diecimila membri dell’assemblea federale dell’Arcadia.
L’illuminazione e l’areazione interna di queste ampie sale possono essere state incrementate inserendo
nella copertura a padiglione una lanterna.
Le riunioni del consiglio cittadino, la boulè, trovano posto in edifici dedicati, i bouleutèria. Sono grandi sale
coperte, allestite all’interno con gradinate, disposte su tre lati rettilinei contigui oppure seguendo uno
schema semicircolare, come nella seconda fase del nuovo bouleutèrion dell’agorà di Atene.
Il teatro, sede delle rappresentazioni drammatiche connesse al culto di Dioniso, è tra le strutture
maggiormente interessate dal processo di rinnovamento e monumentalizzazione; in età arcaica e classica
questo era costituita da un’orchestra trapezoidale nella quale avveniva l’azione scenica e da un thèatron, la
zona riservata agli spettatori. L’evoluzione della tipologia avviene ad Atene nel secondo quarto del IV secolo
ed è riconducibile alla ristrutturazione del teatro presso il tèmenos di Dioniso Eleutherèus. Il nuovo impianto
probabilmente ispirato al rinnovato ekklesiastèrion, viene realizzato con i settori delle gradinate disposti in
curva attorno a un’orchestra ormai pienamente circolare migliorando visibilità e acustica. Inoltre si utilizza il
muro di fondo della stoà situata subito al di là dell’orchestra come edificio scenico a fare da sfondo alle
rappresentazioni. Ulteriori trasformazioni in età ellenistica comporteranno una modificazione dell’edificio
della skenè, ora inquadrata da due avancorpi a racchiudere uno spazio rialzato rispetto all’orchestra, il
logèion, sul quale agisce il protagonista dell’azione.
Nell’ambito del processo di specializzazione delle funzioni, anche la formazione civica e militare dei cittadini
richiede spazi dedicati: affidata infatti a un’istituzione, il ginnasio, l’educazione fisica e culturale dei giovani
(paidèia), divisi in fasce di età (pàides, nèoi, èpheboi), si svolge in ampi complessi di solito esterni al nucleo
urbano. Anche il ginnasio riveste valenza religiosa e i suoi vasti spazi porticati possono racchiudere altare,
fonti e boschetti sacri. Nel corso del IV secolo, le semplici forme disperse dei ginnasi arcaici e classici,
costituiti da vasti spazi aperti e alberati, ricevono un’organizzazione architettonica più definita, con strutture
specializzate per lo svolgimento degli esercizi fisici e per la formazione culturale, tanto che il ginnasio da
questo momento può essere accolto nel centro urbano. Un prototipo può essere consdierato il rifacimento
del ginnasio del Liceo ad Atene, realizzato per volontà di Licurgo.

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La struttura acquisita dal ginnasio in questo periodo è quella compatta di un quadriportico chiuso attorno a
un vasto spazio aperto, la palestra, e accessibile tramite un propileo. Attorno al portico si aprono vani che
ospitano molteplici funzioni: sale di riunioni aperte sui portici, la più importante delle quali prende il nome
di ephebèion; vani dedicati alle attività ginnico-sportive, alla lotta o al pugilato; sale per la conservazione
dell’olio per ungersi o per l’unzione stessa. Tutti questi spazi, non facilmente identificabili, sono testimoniati
dalle fonti più che dai dati archeologici. Gli apprestamenti del loutròn, ambiente per il bagno che faceva
seguito agli esercizi ginnici, sono invece più concretamente riconoscibili per la presenza di impianti idraulici.
Tra gli esempi più antichi è il ginnasio di Delfi, del 334, il cui impianto comprende anche un loutròn esterno;
sulla terrazza sovrastante è inoltre sistemata una pista protetta da un portico per gli allenamenti della corsa,
raddoppiata da una pista scoperta. Impianti per i bagni indipendenti da strutture ginnasiali sono attestati in
Grecia fin dal V secolo.
Spesso in connessione con i santuari, altre tipologie vedono in questo periodo un maggiore definizione
architettonica: nel 426 Tucidide con il termine katagoghèion indica un edificio dell’Hèràion di Platea che,
quadrato e circondato da vani su due livelli, era destinato a ospitare i fedeli. Il tipo non è attestato prima di
quella data e sembra aver avuto una maggiore diffusione a partire dalla seconda metà del IV secolo.
Anche gli hestiatòria assumono a partire da questo periodo una considerevole monumentalità: il cosiddetto
ginnasio di Epidauro, più recente interpretato come un grande complesso per banchetti, datato tra la fine
del V e gli inizi del IV secolo, si presenta infatti come una vasta corte porticata sulla quale si affacciano
numerosi vani, alcuni dei quali, si configurano come ampie esedre, mentre altri, sono veri e propri
hestiatòtia. Le occasioni conviviali della collettività potevano essere ospitate anche in un altro genere di
edifici, come dimostra la grande stoà realizzata alla fine del V secolo su una bassa terrazza che affaccia sul
lato sud dell’agorà di Atene.

LA COMUNICAZIONE SCRITTA

Il mondo greco ha prodotto una grandissima quantità di testi, tra cui le centinaia di migliaia di iscrizioni
destinate a ogni campo della vita di relazione: questo vasto ed eterogeneo corpus di testi è oggetto di
analisi da parte dell’epigrafia. Lo studio introduttivo che meglio di altri consente un accesso affidabile a
questa disciplina si deve a Margherita Guarducci.
I primi documenti in scrittura alfabetica greca appaiono nella seconda metà dell’VIII secolo. Fino alla metà
del secolo successivo i testi epigrafici sono prodotti esclusivamente in ambito privato, quale espressione di
un ambiente culturale di tipo prettamente aristocratico, così come aristocratica è la pòlis.
L’affacciarsi della scrittura nella vita pubblica della città greca, invecem è un fenomeno non documentabile
prima della metà del VII secolo. In tale ambito cronologico si collocano i primi documenti epigrafici di tipo
legislativo, provenienti da alcune città cretesi, Dreros e Gortina su tutte. Sul piano strettamente materiale
questi testi cretesi si caratterizzano per il fatto di essere incisi direttamente sulle pareti esterne di edifici
sacri, pratica che poi resterà una caratteristica diffusa dell’epigrafia pubblica cretese.
Questa modalità di esposizione del testo è stata da più parte intesa quale indizio di una sostanziale
mancanza di autonomia del dispositivo legale scritto. In questa fase i testi pubblici non sono propriamente
“pubblicati” bensì “esposti”. La scrittura pubblica arcaica, pertanto, sembra avere una preponderante finalità
simbolico-rituale, di certo utile a convalidare nel tempo un pronunciamento della città, che però non offre
prova sicura dell’esistenza di un canale di comunicazione aperto tra istituzioni e cittadini. A questo riguardo
sono state condotte alcune riflessioni in merito al grado di alfabetizzazione delle genti cretesi di età arcaica,
notando che Creta offre solo pochissimi esempi di utilizzo della scrittura in ambito privati; il che tende a
escludere la possibilità che il suo utilizzo fosse capillarmente diffuso tra la popolazione. Atene, dal canto
suo, ha restituito testimonianze molto numerose di epigrafia privata di età arcaica; non sembra però
conoscere l’uso dell’epigrafia pubblica monumentale. Livello di alfabetizzazione dei cittadini e utilizzo
pubblico della scrittura non sono dunque due parametri direttamente proporzionali.
In altre regioni della Grecia è attestata invece l’introduzione di supporti realizzati esclusivamente allo scopo
di ricevere il testo scritto. Inizialmente si tratta di cippi parallelepipedi, iscritti su tutte le facce. Questa

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tipologia di supporti monumentali testimonia una pubblicazione dello scritto finalizzata a uno scopo
realmente comunicativo. Il testo diviene così il protagonista del monumento, anzi viene monumentalizzato
esso stesso. Analoghe caratteristiche di leggibilità avevano le tabelle bronzee, per lo più di piccole
dimensioni, supporti per testi pubblici e sacri da affiggere negli edifici della città. L’ideazione di supporti
scrittori autonomi rispetto a preesistenze monumentali determina una concezione del testo epigrafico come
esplicito veicolo di comunicazione e non solo di esposizione simbolico-rituale dei provvedimenti.
Accanto all’epigrafia monumentale esisteva un gruppo di documenti che costitutiva gli archivi delle pòleis
greche, realizzati nella maggior parte dei casi su supporti scrittori deperibili, che non hanno permesso la
loro conservazione: si pensi a tavole lignee imbiancate o al papiro. Vista la sostanziale assenza di
documentazione diretta su questi archivi è oggi molto difficile stabilire il momento in cui la pratica è entrata
nell’uso amministrativo delle città greche. In ogni caso una volta che l’uso degli archivi ha caratterizzato la
pressi della pòlis, l’epigrafia pubblica monumentale diviene l’esito di una selezione dei documenti più
eminenti. Il passaggio, ad esempio, da cippo alla stele è indice di una modalità di monumentalizzazione del
testo. Un indizio in tal senso può essere rintracciato nei supporti lignei di natura non precisata delle leggi
soloniane che probabilmente erano supporti girevoli adatti essi stessi a una fruizione diretta da parte di un
lettore.
Quando, nel corso del V secolo e in momenti differenti, l’uso della scrittura entra a far parte della comune
pratica amministrativa, viene prodotta una grande quantità di documenti scritti che iniziano a comporre gli
archivi. E’ presumibile che la maggior parte di essi fosse conservata al chiuso, consultabile all’occasione da
qualunque cittadino. Quando, però, gli organi istituzionali valutano che certi pronunciamenti hanno una
singolare rilevanza pubblica, si procede alla loro redazione su supporti durevoli da esporre in pubblico in
maniera permanente.
Per Atene è possibile seguire questo processo in maniera precisa. Non si conoscono documenti pubblici
databili prima degli anni 510-500 a.C. e la grande proliferazione si ha a partire dagli anni 460-450, L’acribia
del linguaggio burocratico fa sì che sulle stele di pietra spesso si leggano anche le disposizioni relative alla
trascrizione del documento del marmo e alla sua collocazione in pubblico, così come dovevano apparire nel
testo d’archivio.
Benché la selezione operata dagli amministratori statali abbia comportato una cospicua perdita di
documentazione, l’epigrafia pubblica ateniese è quanto mai varia. Non si tratta soltanto di copie di
documenti d’archivio ma anche di quella categoria di testi afferente al gruppo del cosiddetto instrumentum
publicum, che annovera al suo interno una grande serie di oggetti recanti brevi o brevissime iscrizioni, come
i cocci di ostracismo recanti il nome del personaggio da esiliare.

ECONOMIA E MONETA

Il sistema economico posteriori ai “secoli bui” mostra un modello autarchico fondato sulla proprietà
terriera, basato principalmente sull’agricoltura e in misura minore sull’allevamento, mentre la produzione
artigianale si limita ad assicurare l’autosufficienza dell’òikos.
L’aumento demografico e il fenomeno della colonizzazione tra VIII e VI secolo determinano, però, una
sensibile trasformazione delle strutture economiche, comportando uno sviluppo del commercio e
dell’artigiano volto all’esportazione.
Non è possibile osservare, comunque, all’interno della preistoria monetaria del mondo ellenico, un
processo evolutivo unitario. Prima dell’introduzione della moneta è possibile individuare piuttosto un
complesso di utensili metallici cui venivano attribuita la valenza di unità di conto. Questo insieme di
manufatti si comportava di spiedo, tripode, lebete, scure e bipenne e circolava parallelamente a “gocce” e
pani di metallo misurati a peso e rispondenti a un’analoga funzione. L’impostazione rigidamente
evoluzionistica che dal baratto giungeva alla moneta è stata successivamente riconsiderata alla luce delle
indagini storiche e antropologiche. Gli utensili metallici, affermatisi originariamente come mezzi di scambio
per il loro valore “qualitativo” sociale e religioso piuttosto che materiale, sarebbero poi divenuti, in forza
della loro valenza “quantitativa”, veicolo di scambio economico nell’ambito delle comunità che ne

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riconoscevano la nuova funzione.


Allo stato attuale delle conoscenze, le monete greche più antiche furono prodotte in elettro (lega naturale di
oro e argento) degli Ioni attorno al 640/30 a.C. Tra le prime testimonianze si colloca il deposito del tempio di
Artemide a Efeso.
Poiché la variabilità della proporzione di oro, argento e rame nell’elettro rendeva incerto la stima del suo
valore, già attorno al 600 a.C. subentrò una lega artificiale e, forse, sotto il regno lidio di Creso, venne
introdotto un sistema di coniazione bimetallico, con monete d’oro e d’argento. Tale sistema fu mantenuto
dai Persiani che conquistarono l’Asia Minore nel 546, mentre durante la rivolta degli Ioni l’alleanza delle città
greche guidata da Mileto tornò a coniare monete di elettro.
Nella madrepatria la coniazione impiegava in primo luogo l’argento. Le monete più antiche in questa zona
appartengono a Egina, il cui rilevante ruolo monetale trova riscontro nelle stesse fonti greche. Le prime
emissioni posteriori al 580 ripropongono il tipo della tartaruga marittima e adottano un sistema ponderale
di tipo peloponnesiaco. Da questo momento è possibile seguire un omogeneo sviluppo delle unità monetali,
basate su una scala di valori definita, comprendente oboli, dracme come unità di riferimento (pari a 6 oboli),
stateri (pari solitamente a 2 dracme).
Probabilmente attorno alla metà del VI secolo fioriva un’altra ricca coniazione, recante il tipo del Pegaso
alato sul dritto e la testa di Atena nel quadrato incuso riferibile alla città di Corinto.
L’autorità emittente si proponeva attraverso sèmata riconducibili a elementi caratteristici del luogo, a saghe
mitiche e culti locali, segni che richiamavano il nome della città; l’iscrizione rivestiva, invece, un valore
secondario.
Alla fine del VI secolo l’importanza di Corinto ed Egina fu adombrata da Atene. Nel 700 la società ateniese
era percorsa da forti tensioni, dovute al disagio delle classi agricole, non ché a una crescente polarizzazione
del divario tra ricchi e poveri. Le riforme di Solone costituirono una parziale soluzione a questi problemi,
comportando l’abolizione della schiavitù per debiti, la divisione della popolazione in quattro classi in base
all’entità del raccolto e infine una riforma degli standard metrologi, con l’abbandono del sistema ponderale
monetario eginetico e l’adozione di quello attico-euboico.
Il successivo governo ateniese, retto dalla tirannide pisistratide tentò di rispondere efficacemente alle
esigenze degli strati più disagiati della cittadinanza attraverso il potenziamento dell’artigiano, anche per
l’esportazione, e di conseguenza del commercio. L’ascesa economica ateniese risultò peraltro nettamente
favorita dalla presenza delle miniere di argento del Laurion, alle quali Atene, unica tra le città greche poteva
attingere direttamente.
Le note civette ateniesi, destinate a configurarsi come la moneta più duratura dell’antichità, riproducevano
la testa di Atena sul dritto e la civetta nel quadrato incuso nel rovescio e riportavano la legenda AOH,
abbreviazione di Athenàion, l’etnico nazionale, in quanto introdotte con la caduta dei Pisistratidi nel 511/10
quali simboli della nuova democrazia. Precedentemente erano impiegate le monete a stemma, didrammi in
argento recanti oggetti come l’anfora, la ruota, il cavallo, la civetta.
Grazie anche alla ricchezza derivante dal possesso statale delle miniere, Atene poté allestire la flotta artefice
della vittoria sui Persiani, cui è ricollegabile la comparsa della corona di olivo sull’elmo di Atena nel dritto
delle monete. L’esito della vittoria fu la costituzione della Lega navale delio-attica, che determinò attorno al
450/425 a.C. l’instaurazione di un monopolio monetario ateniese in forza del divieto di coniazione
autonoma per le città alleate. L’egemonia ateniese veniva infinita ribadita dalla sottomissione di Egina nel
456.
Nel 413, durante la guerra del Peloponneso, Sparta (che non coniò moneta fino al III secolo) spezzò il
collegamento di Atene con il Laurion e la città si vide costretta al passaggio alla monetazione di rame, con il
conseguente venir meno della corrispondenza tra valore e titolo. Atene si riprese lentamente dalla sconfitta
e una nuova produzione di tetradrammi, cominciata all’inizio del IV secolo si caratterizzò ancora per l’estesa
circolazione; tuttavia l’aumento della quantità di moneta non accompagnato da un incremento della
produzione di beni determinò effetti inflazionistici. Alla fine della guerra del Peloponneso sorsero
nell’Oriente greco nuove coniazioni d’argento e bronzo; con la rifondazione di Egina nel 404 riprese la

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monetazione egenetica. Si deve segnalare, infine, l’effimera coniazione della Lega beotica.
In età classica si può affermare che gli interventi statali erano limitati né furono istituiti monopoli statali fino
all’età ellenistica. Per quanto riguarda la finanza pubblica pare non ci fosse un bilancio preventivo e
risultavano assenti voci di spesa relative all’amministrazione, insegnamento mentre parte delle spese
pubbliche era infine sostenuta da privati cittadini in forma di liturgie. Le entrate statali derivano
essenzialmente da eventuali dazi doganali, dall’impostazione fiscale sulla coniazione, sulle prostitute, sulla
liberazione degli schiavi.
Un aspetto di particolare rilievo riguarda, infine, l’inquadramento dello spazio sacro nel sistema economico
della polis. Il santuario custodiva infatti risorse finanziarie, liquide o in veste di oggetti che in taluni casi
costituivano una vera e propria forma di tesaurizzazione delle ricchezze cittadine. Emblematico è sempre
l’esempio ateniese, con l’Atena Parthènos crisoelefantina che costituì per la cittadinanza una riserva cui
attingere in momenti di difficoltà finanziaria, quando furono sostituite le parti auree con altre realizzate in
materiale meno prezioso.
Il santuario era un soggetto economico dotato di ampia autonomia, possedeva terre e nel caso di tèmene
particolarmente rilevanti, imponeva tasse e dazi alla polis. Era, in determinati casi, in grado di
autofinanziarsi e persino di sostenere la città mediante le proprie risorse monetarie. Il santuario costituiva
altresì un datore di lavoro su larga scala e, a ulteriore conferma della complessità delle sue attività
economiche, giova a sottolineare l’abituale uso della moneta quale unità di conto per le transazioni
registrate nella contabilità dei temène.
La connessione tra luoghi di culto e diffusione della moneta trova riscontro poi nelle funzioni di tipo
bancario svolte da alcuni di essi. A tal proposito, l’Apollònion di Delos erogava finanziamenti a diverse città
dell’Egeo, Delos inclusa, nonché a privati cittadini; non sembra tuttavia essersi trattato di un’attività a fini di
lucro, se è vero che non di rado i prestiti non venivano restituiti, senza che ciò comportasse sanzioni a carico
dei debitori.

COMPORTAMENTI DI GUERRA

La società greca è costituita fin dall’arcaismo da cittadini in armi e l’elemento guerriero continua ad avere
una notevole importanza nelle utopie politiche del IV secolo. Già le vittorie contro i Persiani avevano
contribuito a organizzare il pensiero politico della polis intorno all’ideologia militare.
La rappresentazione dei cittadini in armi appare fin dal periodo tardo-geometrico sulla ceramica o nei rilievi
in bronzo, ma solo alla fine del periodo geometrico si datano la corazza e l’elmo di bronzo rinvenuti in una
tomba ad Argo. L’affermarsi dell’oplitismo moltiplica la dedica di armi nei santuari. Si tratta di panoplie
(elmo, corazza, mitra, schinieri) o di singoli elementi di notevole pregio artistico. Le armi difensive greche
subiscono relativamente poche modifiche fino al 350, quando il sistema della guerra cambia notevolmente,
con l’introduzione della falange macedone.
L’arma di difesa principale è il grande scudo circolare (hòplon o aspìs) in legno a volte foderato
esternamente di metallo. Il torso era protetto da una corazza, il pezzo più costoso dell’intera panoplia, cui si
aggiungevano gli schinieri che riparavano la gamba e un elmo in bronzo a protezione della testa, paramento
di cui esistono diverse tipologie; tra le più diffuse, quella corinzia, che lasciava liberi solo gli occhi, limitava la
vista e l’udito. Le armi da offesa comprendevano soprattutto la lancia, lunga circa 8 piedi e la spada,
attestata in una variante corta. L’intero equipaggiamento oplitico in età classica doveva costare tra 75 e 100
dracme, limitando così solo alle classi benestanti il sistema di difesa completo. Alle formazioni oplitiche
vengono affiancate, a partire dal V secolo, unità di cavalleria e truppe armate alla leggera che usavano armi
da lancio.
In età arcaica la guerra era per lo più campale, ma a partire dal V secolo la poliorcetica registra innovazioni
importanti, come la presenza di torri e la costruzione di porte di notevole impegno come quelle del Dìpylon
e delle Muse ad Atene. Proprio questa città, infatti, nella prima metà del V secolo costruisce un complesso
fortificato che comprende la parte bassa, il Pireo e lo spazio intermedio tra i due, difeso dalle Lunghe Mura.
La realizzazione dei singoli elementi è stratificata nel tempo, tra il 493 e il 459 ma tutti gli interventi

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sembrano partecipare a un disegno unitario. Il modello ateniese delle Lunghe Mura viene esportato anche
in altre pòleis già nel 460.
E’ con la guerra del Peloponneso che la poliorcetica conosce un importante sviluppo in Grecia e nelle regioni
di influenza greca. Le necessità della guerra concorrono alla costruzione di fortificazioni imponenti e di
grande impatto visivo e nel contempo le tecniche militari si sviluppano. Sia i sistemi di difesa sia quelli di
assalto subiscono rilevanti innovazioni, dovute alla crescita della scienza militare, ma anche alle diverse
condizioni di sviluppo delle strutture urbane. La spinta allo sviluppo di complessi sistemi di fortificazioni è
attuata per esempio ad Atene durante la guerra del Peloponneso, con la costruzione di forti di controllo.
Alla fine del secolo Dionisio, tiranno di Siracusa, costruisce opere difensive innovativa e sperimenta
macchine di artiglieria. Per la prima volta all’interno del circuito difensivo vengono inserite grandi porzioni
di territorio non abitato, progettando così il prototipo delle cinte tipo Gelandemauer (mura-recinto) che
saranno poi comuni tra le realizzazioni del secolo successivo. Si tratta di difese poderose con cortine
generalmente in opera isodoma e con poche aperture. I circuiti di queste realizzazioni sono notevoli e
necessitano di importanti guarnigioni per la difesa, ma restano poco permeabili per la scarsità di aperture,
fatto che può costituire un limite per i difensori.
Strutture politiche sovraurbane come la satrapia di Caria attuano un processo di progressiva militarizzazione
del paesaggio che, oltre alle imponenti cinte urbane, coinvolge anche piccoli phroùria, torri isolate e villaggi,
con un evidente scopo politico rappresentativo oltre che di difesa.
Il fenomeno è tuttavia generale. Sulla base dell’archivio del Copenhagen Polis Centre, Hansen ha catalogato
per il IV secolo 869 centri urbani identificati, di cui 438 con un circuito murario, a volte a protezione della
sola acropoli, ma più spesso esteso alla città bassa; a questi si aggiungono 90 siti per cui il sistema difensivo
è attestato dalle fonti letterarie. Il conflitto del Peloponneso ha cambiato le regole della guerra, non solo
perché l’armamento oplitico è modificato e le truppe acquistano in leggerezza e manovrabilità ma anche
perché la pòlis stessa si trasforma. Ne scaturisce un sistema altamente visivo e simbolico, in cui la natura
stessa della città è rappresentata dall’insieme architettonico dei suoi monumenti e la distruzione delle
Lunghe Mura di Atene, episodio conclusivo della lunga guerra tra Atene e Sparta.
L’apparato poliorcetico monumentale tardo-classico tuttavia diventa obsoleto già nella prima età ellenistica.
Se le grandi città reali mantengono il loro apparato di fortificazioni, nelle poleis il sistema entra in crisi. La
soluzione scelta è quella della creazione di strutture murarie più permeabili, con aperture minori e postierle
che permettono l’uscita di contingenti per una difesa più attiva, cui si accompagna la riduzione del circuito
murario con opere di fortificazione intermedie o la creazione di phroùria fortificati più facilmente difendibili.
La crescita delle tecniche di assedio e la progettazione di macchine sofisticate diminuiscono di molto le
capacità difensive delle antiche mura e aprono un capitolo nuovo anche dal punto di vista dei rapporti di
forza.

REGNI E FEDERAZIONI
LO SVILUPPO URBANO NEL IV SECOLO

Nel IV secolo, dagli anni settanta fino al 338, le grandi pòleis della Grecia centrale cercano di continuare a
gestire la politica internazionale attraverso il sistema delle leghe a carattere militare: la ricostituzione della
Leda delio-attica mostra il tentativo di Atene di riaffermare il suo ruolo, soprattutto nell’Egeo. La battaglia di
Leuttra segna l’inizio dell’egemonia tebana, che si conclude nel 338, con la sconfitta inflitta da Filippo II di
Macedonia. Nei decenni compresi tra i due eventi, la città diventa il centro politico più importante della
Grecia continentale, ma dal punto di vista archeologico questa fase non emerge ancora in maniera
proporzionata al ruolo rivestito. Per una comprensione più organica, quindi, è necessario affidarsi alla
descrizione restituita da Pausania, nel II secolo d.C. Il IV secolo è un periodo in cui poleis tendono a
diversificarsi maggiormente per strutture e funzioni e in alcuni casi si pongono all’interno di un quadro
economico e sociale più ampio. Nello stesso tempo, le comunità urbane continuano a crescere dal punto di
vista architettonico e, sul modello dell’Atene periclea, sviluppano in maniera più monumentale le loro aree

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sacre e politiche. Soprattutto le mura diventano in alcuni casi la struttura più imponente del centro abitato.
Indicazioni più significative giungono dalle nuove fondazioni urbane promosse dalla Lega tebana come città
create dopo il 371, Messene e Megalopoli. La prima, fondata nel 369, presenta un centro costituitosi in un
lungo arco di tempo; la sequenza di spazi pubblici, dal teatro all’agorà, prosegue più a sud con l’importante
santuario dedicato ad Asclepio e infine il ginnasio, la palestra e lo stadio.
Mantinea ha subito una ricostruzione dopo la distruzione spartana, sempre per opera dei Tebani. Le mura
descrivono una forma urbana ellisoide con un complesso monumentale centrale. Tuttavia la ricerca
topografica non è riuscita a ricostruire il tessuto viario.
Al di fuori dell’area di influenza tebana le indicazioni sono ridotte; in Argolide è noto l’impianto della città di
Halieis: un porto fortificato e un’importante cinta muraria difendono l’abitato, in cui i quartieri sotto
l’acropoli si organizzano secondo un impianto ortogonale, ma seguendo assai divergenti, come forse
potrebbe essere ricostruita la pianificazione di Sparta.
Un’altra importante area di sviluppo è ai margini dell’Egeo greco, in Caria e nelle isole antistanti; la Caria, in
particolare, è una satrapia occidentale dell’impero persiano, governata dalla dinastia locale degli Ecatomnidi
e interessata da un forte processo di ellenizzazione. L’aspetto greco delle forme si sovrappone tuttavia a un
mondo che partecipa in pieno, nei suoi aspetti amministrativi e culturali, ala vita dell’impero. In pochi anni
una regione divisa in piccoli potentati, con un’economia legata alle risorse locali, viene trasformata da un
forte potere centrale che punta sulla promozione dei centri portuali e si apre maggiormente alle attività
commerciali.
Il centro principale è Alicarnasso, che diventa la capitale della nuova satrapia. La città di origine greca,
rifondata dopo il 377, è disposta sulle pendici di una collina che degrada verso il mare e prospetta su un
bacino portuale. La nuova città si caratterizza per la visibilità dell’organizzazione spaziale che supera il
dislivello tra l’acropoli e il porto attraverso una serie di piani terrazzati con monumenti importanti. La zona
bassa ospitava le strutture portuali e presso di queste si apriva l’agorà, mentre sul promontorio di Zephiria si
trovavano il palazzo costruito da Mausolo e il santuario di Apollo. Al centro della città, un’imponente
sostruzione reggeva la grande terrazza che ospitava il Mausoleo, grandioso monumento funerario della
famiglia dinastica. Nella parte superiore, infine, trovava posto la terrazza del santuario di Ares. A nord
dell’agorà correva la principale arteria cittadina che univa le due maggiori porte urbiche della cinta muraria,
la Porta di Mylasa e quella di Myndos. L’importante circuito difensivo era tipo Gelandemauer.
Il resto della forma urbana di Alicarnasso è fornito dalla lettura della descrizione che ne ha lasciato Vitruvio.
Plinio sostiene che l’abitato era simile alla parte curva del teatro, fraintendendo il termine greco
theatroeidès. Il termine, infatti, sembra essere una definizione legata non tanto all’aspetto fisico
dell’insediamento, quanto alla sua funzione monumentale, indicando immagini di una struttura politica che
si rappresenta attraverso edifici altamente significativi.
Il modello delle città “teatroidi” è attestato nell’area di influenza caria: Cnido, Kos, Priene e probabilmente
anche Rodi. Priene viene organizzata su terrazze intorno ad alcuni poli monumentali: dal basso verso l’alto, il
ginnasio, l’agorà e il tempio di Zeus e Asclepio, il santuario di Atena Poliàs, il teatro, il santuario di Demetra.
Una cinta muraria molto estesa inglobava anche la cima della Teloneia che sovrastava la città. La
fortificazione ha poche porte poste in corrispondenza degli assi principali e torri quadrangolari soprattutto
nella parte alta, mentre verso valle assume un andamento a cremagliera che offre vantaggi analoghi in
modo meno dispensioso.
Una struttura a terrazze altamente scenografica e un impianto viario ortagonale presenta anche Cnido.
L’interessamento della dinastia caria sulla città è affermato con chiarezza dalle fonti, così come Kos, dove
intorno al 366/5 viene pianificata, in un momento di forte instabilità politica, la nuova capitale dell’isola.
Più complessa è invece la vicenda di Rodi. Nel 408, in un periodo di grande crisi politica, è attestato un
sinecismo fra le tre pòleis arcaiche e generalmente a questa data si riferisce anche la fondazione della città
comune di Rodi. Tuttavia, la ricerca archeologica non ha trovato elementi di una pianificazione urbana
risalente a questa fase e le prime tracce di mura appartengono solo alla metà del IV secolo. Pare che
l’insediamento abbia conosciuto una significativa crescita urbana sotto la direzione degli Ecatomnidi.

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La rete viaria ortogonale presenta strade di dimensioni diverse, di cui le maggiori erano larghe 10 m e una in
particolare raggiungeva forse 16 m. Il sistema sembra riprendere quelli del Pireo e di Thourioi, con aree
quadrate distinte dalle strade principali e suddivise nella rete di isolati. Lo stesso processo di formazione
della città, dovuto a un sinecismo tra comunità prima distinte, di formazione della città, dovuto a un
sinecismo tra comunità prima distinte, potrebbe aver condizionato la complessa articolazione dell’impianto
urbano. Già in antico era chiara una certa analogia tra Rodi e Alicarnasso, per quanto riguarda la
disposizione degli edifici e la monumentalità del sistema. Città theatroeidès nelle fonti, Rodi organizza la
propria realtà urbana intorno al porto e a edifici particolarmente rappresentativi, in un crescendo di ampie
e basse terrazze. Purtroppo non si hanno molti elementi dell’organizzazione urbana prima del III secolo e
sfuggono quindi alcune dinamiche che avrebbero potuto chiarire diversi punti oscuri nella progettazione
dell’impianto.
Oltre che nel distretto marittimo, la Caria conosce una forte urbanizzazione anche nelle regioni interne,
dove riprendono i caratteri delle pòleis costiere, adattandoli alla diversa struttura orografica.
Il risultato della politica degli Ecatomnidi in Caria durante il IV secolo è quello di aver creato uno stato
complesso, che ha organizzato le sue risorse in funzione del controllo marittimo dell’Egeo meridionale
attraverso i porti. L’aspetto principale da sottolineare, comunque, è quello dell’integrazione, culturale e
amministrativa, tra le comunità greche e quelle carie, con la creazione di un linguaggio che adotta il lessico
formale ellenico, dalla lingua all’architettura, per esprimere esigenze e situazioni originali, tipiche di una
cultura nuova, che anticipa per alcuni versi le esperienze dell’ellenismo.

LO SVILUPPO URBANO DI KOS

Il modello urbanistico ricostruibile con maggiore completezza tra le diverse fondazioni e ampliamenti del IV
secolo è senza dubbio quello di Kos; la città, frutto del sinecismo nel 366, viene costruita a sud-est del capo
Scandarion.
Come a Thasos e a Rodi, la fortificazione è formata da un circuito principale, sul quale si innestano due
bracci separati che circondano la baia del porto, creando un porto chiuso. All’interno della cerchia principale
la città si conforma sulla base di un piano urbano, in cui è possibile scorgere una netta distinzione tra i
quartieri residenziali e una vasta zona destinata a uso pubblico che circonda la collina dell’acropoli.
Nei quartieri sud e sud-orientali l’impianti si basa su una griglia di isolati rettangolari orientati in senso nord-
sud, ampi 106 piedi attici e separati da una rete viaria in cui è possibile distinguere tra vie principali- una
grande platèia est-ovest a sud dell’acropoli- e una maglia generalizzata di vie secondarie più strette. Mentre
il settore nord-est della griglia mostra qualche irregolarità dovuta alla maggiore larghezza dell’arteria a est
dell’agorà, il settore urbano a sud della platèia presenta isolati regolari.
I quartieri occidentali evidenziano invece uno scarto direzionale della griglia; questo determina a sua volta
l’orientamento di un ginnasio a cui nel II secolo si aggiunge una delle palestre porticate più vaste del mondo
antico. Il quartiere del porto, fuori dal circuito murario principale, mostra invece una diversa logica
distributiva in cui gli edifici pubblici sono orientati in modo radiale attorno all’insenatura.
All’agorà, lungo ca 350 m viene riservato uno spazio pari a sedici isolati del settore orientale. Per la sua
costruzione si realizza un terrazzamento artificiale che solleva il piazzale interno rispetto alla più bassa quota
della zona portuale; in più fasi, inoltre, vengono edificati portici di ordine dorico sui lati est, ovest e nord,
mentre un accesso diretto conduce tramite una rampa a un’ulteriore piazza porticata sul porto; nell’area
meridionale dovevano essere gli edifici destinati alla vita civica e religiosa, come il santuario di Hèstia e gli
altari di Zeus Agoràios e di Dioniso. Il piazzale terminava a sud sull’ampia platèia, l’importante via
processionale verso il santuario extraurbano di Asclepio.
La ricostruzione dell’impianto urbana nella sua completezza permette di apprezzarne la complessità e le
caratteristiche progettuali e di misurazione a terra, mostrando che la città è concepita ormai come un
grande cantiere costruttivo.

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REGALITA E ARISTOCRAZIA MACEDONE

La Grecia settentrionale sino al V secolo appare meno coinvolta nei processi di sviluppo più avanzati del
mondo greco; Tessaglia, Macedonia ed Epiro si pongono ai margini di un’area interessata da una forte
crescita culturale, economica e politica. La pòlis si afferma prevalentemente in Tessaglia, con una
formazione che risale alle fasi del geometrico per i centri più importanti, come Larisa, oppure appare solo
per effetto di un movimento migratorio che da Eretria, Corinto, Atene, interessa le zone più settentrionali. In
particolare, tutta l’area costiera dalla penisola calcidica sino allo stretto dei Dardanelli è una regione abitata
da tribù tracie, che presenta caratteri etnici, linguistici e strutturali propri.
La Tessaglia si distingue in quattro distretti che tendono a organizzarsi in maniera unitaria, con l’emergenza
dei centri più importanti di Larisa, Farsalo e Pherai, in cui predomina un’aristocrazia a indirizzo fortemente
oligarchico. La classe dei cittadini di pieno diritto si arroga diritti esclusivi anche nella frequentazione delle
agorài, precluse a tutti coloro che svolgevano attività lavorative manuali; alla base della scala sociale sono i
penèstai, legati a una specie di servitù della gleba; essi vengono ritenuti i discendenti degli originari abitanti
della regione. Alcune famiglie mostrano la capacità di gestire il potere con una certa continuità e in alcuni
casi si determinano fenomeni tirannici, come a Pherai, sede della dinastia di Giasone. A partire dal IV secolo
Larisa emerge tra i vari centri, divenendo sede definitiva del consesso federale dei Tessali. La crescente
ricchezza della regione nella seconda metà del IV secolo è testimonianza dall’eccezionale cratere in bronzo
dorato rappresentante le nozze di Dioniso e Arianna.
Anche in Macedonia e in Epiro prevale un’organizzazione cantonale, ma lo sviluppo insediativo a lungo
sembra privo delle forme articolate e complesse della pòlis. In maniera analoga, alcuni gruppi gentilizi
sembrano mantenere un’autorità molto forte sulle diverse comunità. E’ solo a partire dagli ultimi anni del V
secolo, comunque, che si accelera lo sviluppo culturale ed economico, in stretta connessione a una sempre
maggiore emergenza politica. Un effetto significativo è rappresentato dalla fondazione di una nuova capitale
che adotta la forma della polis, Pella. La sede tradizionale del potere dinastico era invece il centro di Aigai.
Anche in questo caso, comunque, lo sviluppo urbano e monumentale non è anteriore alla seconda metà del
IV secolo, quando sul trono macedone siede Filippo II. Capace stratega grazie all’educazione ricevuta a Tebe
e statista di ampie vedute, il sovrano si impegnò nel consolidamento dello stato e della sua forza bellica,
ampliandone possedimenti e aree di influenza.
In un secondo momento Filippo si volse contro la Grecia centrale, riuscendo a ottenere prima il controllo
della Tessaglia e poi sconfiggendo a Cheronea nel 338 le forze di Tebani e Ateniesi. A seguito della vittoria fu
creata una federazione tra le poleis greche con lo scopo di condurre la guerra alla Persia. Nel 336 il sovrano,
però, veniva ucciso ad Aigai e saliva al trono il giovane figlio Alessandro III il Grande. Con l’affermazione della
Macedonia sulle altre comunità greche inizia una nuova fase culturale, si formano nuovi centri di potere e si
crea una committenza che incrementa un nuovo e forte sviluppo artistico e artigianale.
La figura del dinasta costituisce il centro del sistema e la stabilità del potere richiede la creazione di un
comportamento e di una specifica cultura di corte, L’esibizione della ricchezza costituisce una forma di
affermazione privilegiata del potere attraverso gli apparati cerimoniali legati alle occasioni matrimoniali o
funerarie. Ai comportamenti della famiglia reale si uniformano quelli degli aristocratici che fanno parte del
circolo di corte più ristretto.
Della cultura urbana del periodo rimane poco: l’impianto di Pella mostra una sistemazione urbanistica
regolare abbastanza tradizionale, estesa su uno spazio limitato ai margini di una profonda ansa portuale con
una piccola isola circolare, difesa verso terra da una cinta muraria. All’età di Cassandro appartiene la
fondazione di Tessalonica, nella parte più orientale del golfo Termaico e questa fase compresa tra la fine del
IV secolo e gli inizi del successivo, sino allo stabilizzarsi della famiglia reale antigonide, sembra quella
interessata da un intenso sviluppo urbanistico. Le città macedoni mostrano quindi una crescita che si
concentra soprattutto a partire da questo momento.
Anche ad Aigai la terrazza più alta è occupata dal palazzo reale di Filippo e se non è completamente
riconoscibile la forma originaria, di particolare importanza appare invece la sua posizione dominante, in

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stretta relazione con il teatro. Su di esso si affaccia infatti la dimora reale, come se costituisse parte
integrante del sistema rappresentativo della corte.
Le testimonianze più significative di questo centro, però, provengono dalle ricche necropoli in cui spiccano
le sepolture delle famiglie emergenti e soprattutto le tombe della stessa famiglia reale. Al margine di un
esteso campo di tumuli funerari databili sin dall’età geometrica, quello di maggiori dimensioni scavato da
Manolis Andronikos custodiva ancora quattro eccezionali costruzioni funerarie ipogee, di cui due non
depredate. Tra queste emerge soprattutto una grande tomba a camera.
Si tratta di una costruzione in blocchi nascosta dal tumolo di terra che la ricopriva e provvista di una facciata
monumentale che imita l’ingresso a un palazzo; decorazione architettonica e pittorica arricchiscono sia la
facciata che l’interno, costituito da due ambienti, un’anticamera e una seconda stanza quadrangolare.
Ingresso e comunicazione tra i due vani sono difesi da porte a due ante in marmo, con borchie e battenti in
bronzo dorato. La sepoltura, sviluppandosi dalla tipologia delle tombe a cassa di grandi proporzioni note sia
in Tessaglia che in Macedonia intorno alla metà del secolo, le trasforma in un vero e proprio edificio
praticabile, offrendo una copia ridotta della residenza dinasica; l’introduzione della copertura a volta
assume certamente un significato simbolico, alludendo alla dimensione cosmica in cuui viene a trovarsi il
defunto dopo la morte e lo stesso rituale tende ad accomunarlo a un eroe. Proprio cercando nella
tradizione epica del mito, quindi, si trovano gli elementi più idonei a rappresentare lo status eroico.
La scoperta del grande tumulo di Aigai ha quindi riportato alla luce la tomba più importante del gruppo
custodito al suo interno. In un primo momento coperta da un suo specifico tumulo, essa fu utilizzata
certamente nella seconda metà del IV secolo e custodiva le ceneri di due individui, forse una giovane donna
sepolta nell’anticamera e un uomo adulto deposto nella camera principale: l’ipotesi più accreditata in
questo caso è che si tratti della stessa sepoltura di Filippo II. Le ricerche condotte sui resti combusti, infatti,
hanno permesso di ricostruire un uomo di età matura forse ferito al sopracciglio destro, proprio come
Filippo. Entrambe le urne, chiuse all’interno di teche di marmo, contenevano anche corone auree, mentre
all’esterno era stato offerto un ricco corredo di oggetti, vasellame da simposio in bronzo e argento ma anche
un corredo di armi difensive e offensive. Questo appare un caso eccezionale rispetto al costume greco di
seppellire senza armi, ma trova precedenti nella tradizione macedone. Così si conservano due scudi, uno in
bronzo e rivestito in argento dorato e avorio, con un epìsema centrale che raffigura Achille e Pentesilea.
Ancora una volta, quindi, la figura di Achille assume un valore quasi emblematico, in un contesto culturale
che introduce un vero e proprio stemma dinastico, quello della stella a otto punte, da questo momento
ampiamente diffusa come segno distintivo del mondo macedone. Anche le corazze sono due, una in ferro e
l’altra in bronzo, e a esse si aggiungono un collare di tradizione tracia in ferro rivestito d’oro, e un gòrytos
(contenitore per frecce).
Le altre tombe del tumolo presentano una situazione diversa; in una si conservava ancora il corredo e la
deposizione entro un’urna cineraria in argento che conteneva i resti di un giovane per il quale si è fatto il
nome di Alessandro IV; le altre due, invece, erano fortemente compromesse dai saccheggi e dalle
distruzioni.
In tutti i sepolcri del tumolo un tratto distintivo è quello della decorazione pittorica. Nella tomba detta di
Filippo si conserva un fregio con una caccia reale, mentre nella tomba a semi-camera gli affreschi
rappresentavano Demetra, la Moirai e il rapimento di Kore. Scorci, descrizione del pathos, immediatezza del
tratto segnalano la rapidità causata delle esigenze funerarie, ma mostrano la qualità di un artista o di
un’officina di corte, rivelando per la prima volta un esempio della grande pittura greca, completamente
persa negli originali.
Per i defunti del grande tumulo, quindi, si mette a punto una rappresentazione funeraria che punta sul tema
dell’eroizzazione; la tomba diviene simile a una dimora ultraterrena e ne evoca i caratteri più significativi; la
pittura introduce temi legati alle concezioni misteriche o allusive del ruolo del dinasta, come la pratica della
caccia, strumento di educazione del principe e dritto poi del sovrano.
La Macedonia si popola rapidamente di grandi sepolture simili che mostrano un accrescimento della
ricchezza e lo sviluppo di una tradizione che raggiunge livelli ancora maggiori nella scala monumentale. Ad

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Aigai, immediatamente a sud del teatro, due tombe parallele, la tomba Rhomaios e la tomba del trono,
potrebbero appartenere ancora all’entourage dinastico. E’ Mieza, però, a restituire alcune delle realizzazioni
più eccezionali, databili a partire dal 300, in una città caratterizzata dalla fondazione di un ginnasio-museo in
cui era stato chiamato Aristotele per insegnare al giovane principe Alessandro il Grande e ai suoi nobili
compagni.
La facciata della tomba del Giudizio imita un palazzo a due piani raggiungendo 8,6 m di altezza; a un fregio
dorico con Centauromachia nelle metope abbina un fregio ionico superiore con un dipinto raffigurante lo
scontro tra Macedonia e orientali. Il proprietario del sepolcro, un generale, viene introdotto da Ermes nel
mondo degli Inferi e presentato a Radamante ed Eaco per il giudizio, insistendo ancora una volta su un tema
di chiara origine platonica. La tomba (delle palmette dorata), invece, mostra un’eccezionale decorazione del
soffitto del vestibolo, con un intreccio vegetale composto in maniera simmetrica su una struttura prevalente
di grandi girali a doppia S contrapposti.

L’ARCHITETTURA DEL IV SECOLO

La fine della guerra del Peloponneso (404) registra una stasi nell’attività edilizia di Atene e parallelamente
una forte ripresa nelle città peloponnesiache e della Grecia centrale. Alla fine del V secolo le colonie
occidentali, con le sconfitte di Selinunte e Agrigento subite a opera dei Cartaginesi, e la Magna Grecia,
pressata dalle popolazioni italiche vicine, entrano in una crisi, durata per gran parte del secolo successivo,
tale da determinare l’assenza di una attività edilizia di rilievo. In Asia Minore, invece, dopo la pace di
Antalcida, si assiste a una significativa ripresa economica che si riflette anche in ambito artistico.
L’architettura del tardo classicismo vede dunque nel Peloponneso e nella Grecia microasiatica le aree di
maggiore sviluppo.
Il tempio di Apollo a Bassai anticipa per più aspetti l’architettura peloponnesiaca del periodo, la quale, a
fronte di dimensioni relativamente contenute, rivolge ora una maggiore attenzione agli spazi interni, in cui è
sempre più presente l’ordine ionico, spesso impreziosito dall’inserimento di capitelli corinzi.
Questa linea di tendenza appare chiaramente nella tholos realizzata, all’inizio del IV secolo, nel santuario di
Atena della Marmarità, a Delfi. L’edificio è attribuito a Teodoro di Focea, o di Focide; una sobria peristasi di
20 colonne doriche circonda la cella, accostate alla parete e sollevate su un podio, che nel capitello corinzio
si legano alla tradizione di Bassai. Sempre a Delfi, la ricostruzione dello stesso tempio di Apollo, distrutto nel
373, viene affidata a un architetto proveniente da Corinto, il quale nell’elevato applica i motivi di una
tradizione peloponnesiaca che ora si fa propositiva di un generale rinnovamento del linguaggio degli ordini.
Non meno importanti per la definizione della tipologia templare del periodo sono i templi dorici peripteri
esastili di Atena Alea a Tegea e di Zeus a Nemea, datati rispettivamente alla metà e al terzo quarto del
secolo. Così come a Delfi, l’esigenza di replicare l’impianto precedente determina a Tegea l’adozione di una
peristasi di 6x14 colonne, insolitamente allungata per il periodo, che vede piuttosto l’affermazione di 6x12;
più in linea con questa tendenza generale, il tempio di Nemea presenta una peristasi di 6x12 colonne e un
nucleo interno privo di opistodomo.
L’ordine dorico evidenzia proporzioni tipiche di questa fase, inserite in una linea di tendenza che ha visto un
costante processo di snellimento dei fusti e assottigliamento delle trabeazioni, in cui il fregio assume però
un’importanza crescente rispetto all’architrave.
Gli ampi vani interni dei due edifici sono impreziositi da ordini di semicolonne il primo e colonne molto
ravvicinate alle pareti il secondo. I capitelli corinzi degli ordini interni, attribuiti a Skopas, si distinguono da
quelli di Bassai e Delfi per proporzioni più pesanti e per una maggiore plasticità della decorazione vegetale.
La stessa partecipazione a entrambi i cantieri di uno scultore erede della cultura artistica ionico-cicladica
apre interessanti prospettive sul ruolo di tramite svolto da artisti e maestranze itineranti nella diffusione di
forme e modelli architettonici.
Una conferma della capacità innovativa della produzione architettonica del Peloponneso, e in particolare
dell’Argolide, è riconoscibile nell’elaborazione di un ordine ionico peloponnesiaco che introduce elementi
inediti come il capitello corinzio o il capitello ionico a quattro facce. La loro fortuna del Peloponneso è

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rapida e già a partire dal secolo successivo questi nuovi modelli si diffonderanno in altre aree, quali la
Macedonia ma anche nei principali centri dell’Occidente greco e, per il loro tramite nel mondo italico.
Nell’architettura templare del IV secolo sono molto rappresentate le tipologie prostile: il tempio esastilo
dorico di Atena Prònaia propone all’ingresso della cella un diaframma di due pilastri articolati con
semicolonne ioniche. La stessa tipologia prostila viene applicata al tempio di Dioniso Eleutherèus ad Atene
e, più tardi, al tempio di Artemide nell’Asklepieion di Epidauro, datato verso la fine del IV secolo, un prostilo
dorico. Nello stesso santuario, intorno al 360, ha inizio la costruzione di una thòlos. L’edificio presenta una
peristasi di 26 snelle colonne doriche, intorno a una cella al cui interno è un giro di 14 colonne corinzie su
base attica, distaccate dalla parete. L’edificio è caratterizzato da una decorazione particolarmente ricca, cui
contribuisce la bicromia, marmo bianco-pietra nera; motivi decorativi floreali scolpiti invadono i lacunari del
soffitto degli ambulacri, mentre il capitello corinzio delle colonne interne fonde in una soluzione più evoluta
le proporzioni allungate del capitello di Bassai e la resa plastica degli esemplari di Tegea e Nemea.
Altrettanto interessante è la trabeazione ionica interna, il cui fregio si presenta sagomato con un inusuale
profilo a gola diritta.
Che il santuario di Epidauro per tutto il IV secolo sia stato un fecondo laboratorio di sperimentazione è
d’altra parte riscontrabile nel piccolo tempio di L, tradizionalmente attribuito ad Afrodite e datato alla fine
del secolo: si tratta di un edificio prostilo tetrastilo ionico, che nelle semicolonne addossate lungo tutto il
perimetro esterno ripropone la tipologia pseudoperiptera.
Alla fine del periodo tardoclassico caratteri peloponnesiaci appaiono ancora nel monumento che Filippo II di
Macedonia dedica a Olimpia per celebrare la vittoria di Cheronea del 338. Il Philippèion si presenta come
una thòlos periptera, con 18 snelle colonne ioniche. Le pareti interne della cella sono articolate da
semicolonne corinzie sollevate su un alto podio, che creano la cornice su cui si stagliano le statue
crisoelefantine dei componenti della famiglia di Filippo.
Da un punto di vista architettonico, la particolarità più interessante della costruzione consiste nell’ordine
della stessa peristasi che costituisce la prima attestazione della compresenza di fregio continuo e cornice a
dentelli.
La marcata ellenizzazione formale delle regioni costiere dell’Asia Minore si evince in questo periodo anche
dalle architetture funerarie dei dinasti della Caria e della Licia. L’abbandono della tipologia locale della
tomba a pilastro si lega allo sviluppo di altre soluzioni, tra le quali la tomba “a tempio” sembra raggiungere
nel IV secolo risultati compositivi piuttosto interessanti: il Monumento delle Nereidi a Xanthos del 390-80,
che mostra un vero e proprio tempio periptero di 4x6 colonne ioniche, o l’heròon di Limyra, in Licia,
costituiscono attestazioni importanti dell’influenza dei modelli attici, come evidenziano i capitelli del
monumento di Xanthos o le figure femminili del monumento di Limyra. Lo schema anfiprostilo, d’altronde,
richiama la produzione attica di età classica.
E’ questo il contesto culturale in cui i satrapi di Caria, gli Ecatomidi, commissionano ad artisti greci la
realizzazione di edifici di prestigio, come lo stesso grande monumento funerario di Mausolo ad Alicarnasso,
iniziato nel 353. La costruzione si trova in posizione preminente nel centro della città. La restituzione
dell’impianto architettonico non vede concordi gli studiosi e rimane ancora in parte ipotetica; quel che
sembra certo è che il monumento doveva comprendere più podi sovrapposti, coronati secondo le fonti da
una peristasi di 9x11 colonne ioniche, a sorreggere una trabeazione bipartita in architrave e cornice a
dentelli; l’edificio era concluso da un alto tetto piramidale a gradoni, di suggestione orientale, coronato
all’apice da una quadriga. L’insieme sembra concepito per fornire spazio adeguato al ricco apparato
scultoreo, affidato ad alcuni tra gli artisti più noti del periodo.
L’architettura templare microasiatica di età tardoclassica è invece ben rappresentata dal tempio di Atena
Poliàs a Priene, in Ionia, realizzato intorno al 350. Collocato su una delle terrazze in cui si articola l’impianto
urbano, in un tèmenos accessibile tramite un propileo distilo in antis, l’edificio è un periptero di 6x11
colonne ioniche, con nucleo interno tripartito in pronao, cella e opistodomo, una novità per le tipologie
templari microasiatiche di chiara influenza dorica.

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Al completamento dei lavori partecipa nel 334 con un consistente finanziamento lo stesso Alessandro il
Grande, che contribuisce pure al rifacimento di altri importanti luoghi di culto. In questo stesso periodo,
infatti, in Asia Minore, la ritrovata stabilità politica e la maggiore ricchezza economica fanno sì che si possa
intraprendere il restauro o il rifacimento di più antichi e venerabili edifici. Tra questi, il tempio di Artemide a
Efeso viene ora ricostruito sulla base di un impianto planimetrico pressoché identico, ma con un apparato
decorativo e scultoreo ancora più ricco. Il monumento, un dipinto ottastilo con fronti tristile, per una
lunghezza totale di ca. 120 m, avrà una tale risonanza da essere annoverato tra le sette meraviglie del
mondo antico.

GLI SCULTORI DEL IV SECOLO

Il contesto storico e sociale che è alla base dell’esperienza artistica del IV secolo è complesso e diversificato.
Cambia, in primo luogo, il ruolo assunto da Atene e, con le mutate condizioni, anche la sua supremazia
artistica entra in crisi. Sono ora le leghe confederali, gli stati periferici e soprattutto le dinastie greche e
anelleniche a proporsi quali importanti referenti per il mercato artistico. I luoghi in cui si impiantano i
cantieri principali sono i santuari della Grecia continentale, per la costruzione degli edifici templari o per le
realizzazioni celebrative delle nuove potenze emergenti come i sovrani macedoni ma attive in questo senso
sono anche le ricche regioni greco-iraniche della costa anatolica.
Nello stesso tempo, il nuovo contesto politico mette in crisi l’impronta fortemente egualitaria che era
riflessa nell’arte delle grandi committenze pubbliche. Testimonianza concreta di queste nuove istanze sono i
rilievi funerari e la grande fioritura dei rilievi votivi, che privilegiano un’ottica sempre più concentrata sul
singolo individuo.
In questi ambiti ricopre un ruolo ancora centrale l’esperienza ateniese, favorita dalla stratificazione della
società e dalla ritrovata disponibilità delle officine artistiche della città che si offrono sul mercato. Per
quanto riguarda i materiali, torna a essere preferito il marmo.
In questo diverso contesto, cambiano anche figura e ruolo dell’artista che si connota come personalità
individuale, con propri paradigmi di valori.
Nel primo trentennio del secolo, la scultura architettonica trova una significativa formulazione nel tempio di
Asclepio nel santuario di Epidauro; l’edificio ospita il simulacro del dio, raffigurato in trono con gli attributi
che gli sono propri: lo scettro, il serpente e un cane; la descrizione di Pausania e il riferimento alle
dimensioni della statua, pari alla metà dello Zeus di Olimpia, confermano che il modello era il colosso di
Fidia. I rendiconti di spesa del tempio forniscono informazioni sui costi, la ripartizione dei lavori e le
maestranze che avrebbero partecipato. Dei quattro artisti responsabili dell’esecuzione delle sculture
frontonali e degli acroteri, Timotheos, è considerato autore dell’intero progetto dell’apparato decorativo,
composto da frontoni figurati con Amazzonomachia a ovest, Ilioupersis a est e ricchissimi acroteri
raffiguranti Nikai in volo e figure femminili che cavalcano verso il centro. Nel solco della tradizione attica si
collocano i soggetti mitici e le iconografie, che si ispirano alle figure dai panneggi movimentati dello stile
ricco, ma cambia il linguaggio formale: la composizione frontonale segue un movimento serrato, a linee
spezzate; la figura recupera la saldezza della struttura e coordina la disposizione dei panneggi all’azione
compiuta nello spazio. Tutto l’apparato scultoreo è improntato a un intenso decorativismo, che segna le
acconciature e alcuni dettagli dell’abbigliamento. Tratti distintivi sono la tensione che segna le figure e
l’equilibrio sottile, che è fisico ma anche emotivo, e trova confronto nelle realizzazioni a tutto tondo
attribuite allo scultore, quali una statua di Igea da Epidauro.

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Ad Atene nel primo trentennio del secolo (375) la committenza pubblica si esprime attraverso la
collocazione nell’agorà dell’Eirène e Ploùùtos, opera di Kephisodotos. Il gruppo bronzeo raffigura la
personificazione della pace che tiene in braccio quella della ricchezza, simboleggiata da un bimbo. Nella
resa formale, l’artista abbandona lo “stile ricco” a favore di un’iconografia che riprende la tradizione
protoclassica della peplophòros maestosa nello spazio circostante, ma nello stesso tempo stempera tale
solennità mediante l’accentuazione del colloquio tra la dea e il fanciullo. Segno del nuovo clima culturale è
la scelta di dare forma monumentale a un concetto astratto e di dedicarne l’immagine in uno spazio
pubblico.

È Kephisodotos è il primo personaggio noto di una famiglia di scultori, di cui l’esponente più noto è
Prassitele, nato nel 400 ca. e attivo fino al 330. La tradizione letteraria gli attribuisce circa 40 opere, eseguite
per lo più ad Atene; la sua committenza sembra identificabile con la classe dirigente ateniese, legata a quei
valori di eleganza e sobrietà delle forme a cui lo scultore aggiunge un intimismo concentrato.
I caratteri della sua produzione sono evidenti già nella prime opere, realizzate ancora in bronzo: il Satiro
versante (370) e l’Apollo Sauroktnos (360) dal soggetto inconsueto e variamente interpretato del dio
adolescente che fissa la lucertola arrampicata sul tronco d’albero, preparandosi a trafiggerla con la freccia.
Si evince una predilezione per le divinità giovanili così come per alcune figure minori del pantheon greco, i
Satiri in particolare, nella resa dei quali prevale la natura umana su quella ferina. Distintiva della costruzione
delle sue figure è l’ampiamento laterale dell’azione compiuta dai protagonisti delle sue opere, che ha come
conseguenza l’esistenza di un punto di vista unico e obbligato per l’osservatore; anche la torsione della testa
delle sue figure e lo sguardo concentrato, che non intercetta quello dell’osservatore, sono elementi
ricorrenti che isolano i suoi personaggi rispetto alla realtà esterna.

Come originale di Prassitele è stata riconosciuta una testa femminile, identificata con la statua di Artemide
Brauronìa ricordata da Pausania. Particolarmente celebrata dalla tradizione letteraria è la statua di Afrodite
realizzata per il santuario della dea a Cnido: la raffigurazione in nudità integrale è l’occasione per elaborare

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un tipo iconografico nuovo, che sfrutta le possibilità offerte dalla grazia del corpo femminile.

Artemide Afrodite

Opera di Prassitele o della sua bottega sono considerate tre lastre con le Muse che assistono alla gara tra
Apollo e Marsia, pertinenti alla base di un gruppo raffigurante la triade apollinea. Innovative sono le
soluzioni proposte nella disposizione delle acconciature e dei panneggi delle figure femminile. Alla fine della
produzione dello scultore viene inquadrato il discusso Hermes con Dioniso bambino dal santuario di
Olimpia, forse dedicato in ricordo di un’alleanza tra gli Elei e gli Arcadi nel 343. A causa della mancata
rifinitura della parte posteriore della statua si è anche avanzata l’ipotesi che si tratti della copia di un
originale di Prassitele.

Ad alcuni anni prima del 353 risale la costruzione della tomba monumentale di Mausolo. Non è nuova la
concezione del sema funerario come tramite attraverso cui si manifestano l’apoteosi e l’eroizzazione del
dinasta. Il monumento delle Nereidi a Xanthos, in Licia, realizzato tra 380 e 370, celebra nel duplice fregio
dello zoccolo, nel fregio interno della cella e sui frontoni temi di genere (combattimenti, scene di caccia e o
omaggio) tesi all’esaltazione del dinasta, mentre colloca negli intercolumni figure di Nereidi dai ricchi
drappeggi. A sua volta, il Mausoleo sviluppa il concetto su una scala grandiosa.
L’edificio era dotato di un ricchissimo apparato scultoreo, che è stato calcolato a più di 300 statue a tutto
tondo ripartite in tre gruppi con collocazioni su piani diversi del podio, oltre a fregi figurati con
Centauromachia, Amazzonomachia e corsa di carri; secondo una delle ipotesi di ricostruzione una statua
colossale di Mausolo, seduto e con drappeggio color porpora, era collocata al centro del lato orientale.
Come artefici dell’apparato scultoreo le fonti ricordano tutti i più noti artisti dell’epoca: Timotheos, Skopas,
Bryaxis e Leochares; si è voluta confermare la loro partecipazione attraverso l’esame stilistico delle lastre del
fregio con Amazzonomachia. Problematico è l’esame delle sculture a tutto tondo, che rivelano differenze di
stile dovute alle diverse officine che le hanno realizzate. Al di là della ricerca delle attribuzioni, il Mausoleo si
configura come una delle più importanti esperienze artistiche del periodo, realizzato per celebrare un

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singolo dinasta anziché una collettività, segno del cambiamento dei tempi.

Ricostruzione mausoleo di Alicarnasso

Degli artisti del Mausoleo, Skopas, è scultore e architetto; viene considerato autore dell’apparato scultoreo
e del progetto del tempio di Atena Alea a Tegea (340). L’apparato scultoreo comprendeva metope figurate
su pronao e opistodomo, frontoni scolpiti con la caccia al cinghiale calidonio a est e il duello tra Achille e
Telefo nella piana del Caico a ovest, miti legati al contesto locale; acroteri raffiguranti figure femminili in volo
concludevano la composizione. Le teste delle sculture conservate mostrano i tratti caratteristici dello stile
dello scultore: i volti ostrano un’accentuata espressività, ottenuta con l’espediente tecnico di infossare
profondamente l’angolo interno dell’occhio, gonfiando la palpebra superiore all’estero; l’effetto è
amplificato dalla repentina direzione dello sguardo verso l’alto e dalla bocca semiaperta. Anche la
concezione della figura mostra la scelta di schemi specifici che restituiscono una figura in forte movimento;
lo schema caratterizza le statue acroteriali del tempio e trova la sua piena realizzazione nella cosiddetta
Menade di Dresda.

Leochares è scultore in marmo e bronzo; tra le sue prime opere è il ratto di Ganimede a opera di Zeus sotto
forma di aquila. La sua attività al Mausoleo, riferita dalle fonti, è stata riconosciuta in alcune sculture, tra cui
una testa di Apollo dall’espressione patetica che presenta elementi di confronto con l’Apollo detto del
Belvedere.

Anche la figura di Demetra seduta, dal santuario della dea a Cnido, è stata proposta come una sua
realizzazione. Un tratto distintivo è stato riconosciuto nel colorismo che trasfonde soprattutto nei volti, oltre
a una costruzione scenografica delle figure.
Leocare è anche autore di ritratti; esperto nella lavorazione dell’oro e dell’avorio, realizza le statue

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crisoelefantine della famiglia di Filippo II nel Philippèion di Olimpia. Lo scultore deve aver lavorato in più
occasione per la casa regnante macedone: a lui è stato attribuito il ritratto di un giovane Alessandro il
Grande dall’Acropoli; anche la serie di ritratti miniaturistici in avorio da due klinai delle tombe reali di
Verghina è stata messa in relazione con la sua attività, volendo riconoscere in essi i volti del re e di
Alessandro.

Scultore eclettico e una delle maggiori personalità della corrente classicistica del periodo è Euphranor; le
fonti ricordano i diversi campi in cui si esplica la sua personalità: pittura, realizzazione di statue maggiori del
vero in bronzo e marmo, modelli di piccolo dimensioni. Nella statua di Apollo Patròos a lui attribuita,
rinvenuta nel complesso degli archivi del lato ovest dell’agorà del Ceramico, la ricchezza coloristica del
panneggio è stata riconosciuta come un tratto caratteristico della produzione. Per tale aspetto a Euphranor
sono state anche riferite le statue bronzee raffiguranti Atena e Artemide rinvenuti al Pireo; la salda
impostazione della struttura, ancora di tradizione classicista, e il panneggio corposo ma ricco di notazioni
luministiche trovano elementi di confronto con quelli dell’Apollo Patròos.

Più difficile da definire è la personalità di Bryaxis, anch’egli ricordato tra i maestri che partecipano
all’impresa del Mausoleo; sembra aver lavorato prevalentemente in Asia per committenze dinastiche. Sua è
la formulazione della statua di Serapide, figura divina nata dall’unione sincretistica di Zeus e Apis.
Conseguenza del rinnovato sentimento individualistico e dell’importanza della singola personalità è
l’interesse per la ritrattistica. Nei decenni immediatamente precedenti la metà del IV deve inquadrarsi la
prima redazione del ritratto di Socrate.
Nei suoi tratti distintivi- calvizie, naso camuso, occhi piccoli e ravvicinati- il ritratto era iconograficamente

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affine alle teste dei Sileni.

Serapide

A Silanion, ateniese, bronzista, si devono invece il ritratto di Platone e quello del pugile Satyros, vincitore
probabilmente tra il 334 e il 340. In quest’ultimo i tratti individuali dell’atleta, occhi piccoli, capelli e barba
irsuti e arricciati, si accompagnavano alle modifiche apportate al volto dallo sport praticato: naso deforme e
padiglioni auricolari visibili.

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