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I saggi contenuti nel volume furono scritti originariamente, tra il

1988 e il 1998, in inglese, in tedesco, in italiano e in francese dal


medievista austriaco. L'autore affronta in essi la questione dei
processi etnici, dello sviluppo storico dei popoli europei, ed in
particolare delle formazioni ideologiche riguardo all'identità dei
popoli nazionali (es. Francia dai Franchi, Inghilterra dagli Angli e
Germania - in francese Allemagne - dagli Alamanni).

La descrizione mitologica e nazionalistica di un'Europa di popoli


definiti viene demolita alle radici da Pohl. Tutti i cosiddetti
"popoli" hanno "un'origine eterogenea" (un popolo germanico
nell'alto medioevo non esisteva, Franchi e Longobardi, Bavari e
Sassoni erano dei popoli autonomi di cui si può dire che alcuni in
modo vario e intrecciato presero parte al lungo processo reale
della formazione nazionale tedesca).

"Il fatto che Genserico, Clodoveo o Teodorico ebbero così tanto


successo come re dei Vandali, Franchi o Ostrogoti, non dipende
dall'unità etnica del loro seguito. Mostra piuttosto con quanto
successo piccoli gruppi adattarono vulnerabili tradizioni alle
necessità, per dare un punto di riferimento comune a unioni più
grandi e molto eterogenee". Si tratta di comprendere come
agirono e reagirono alle circostanze dei piccoli gruppi con
sentimenti di coesione, cioè delle gentes barbare, operando su
fondamenta romane e con delega imperiale.
Per comprendere quanto sia stata complessa la dinamica di
questa formazione, si veda per esempio l'etnografia dei Goti: nel
tempo gruppi diversi e sempre nuovi (e quindi antagonisti) si
servirono del nome di Goti: "contadini lungo il Mar Baltico nel II
secolo e schiere di pirati saccheggiatori nel III, un impero delle
steppe sul Mar Nero nel IV, eserciti federati concorrenti, spesso
solo poche migliaia di uomini, nelle province balcaniche fino alla
fine del V secolo, regni nella Gallia meridionale, nelle penisole
italiana e spagnola, ma anche coloni in Crimea, provinciali nei
monti Balcani, contingenti dell'esercito unno e unità regolari
dell'esercito romano". Essi furono designati non solo come Goti,
ma anche come "Gutoni, Greutungi, Tervingi, Vesi, Ostrogoti e
Visigoti, come Sciti, Geti, perfino come gli apocalittici Gog e
Magog della Bibbia". In questa etnogenesi, dice Pohl, non
possono essere distinte la percezione da parte dei Romani e
l'autocoscienza di questi nuovi soggetti, i popoli. Pohl, infatti,
esamina questa impossibilità, questo groviglio e commistione
ricorrendo ai criteri di distinzione etnica di Tacito, a Isidoro di
Siviglia, a Paolo Diacono ecc. Per esempio la lingua, che potrebbe
soddisfare ad una richiesta di distinzione, non lo fa: "La maggior
parte dei regni medievali era quanto meno bilingue, e Visigoti,
Longobardi e Franchi abbandonarono gradualmente la lingua
germanica senza alcuna crisi di identità percettibile". Neppure gli
autori contemporanei trovarono questo cambiamento degno
almeno di venire menzionato e neppure sentiamo mai parlare di
problemi di comunicazione in quell'epoca. Non vi è prova che la
lingua sia stata usata per individuare una specifica identità o per
definire un gruppo etnico.
Ed anche il criterio "distinzione/integrazione" nella fondazione
etnica appare piuttosto debole. Pohl scrive che "i nuovi regni
etnici dei Franchi, dei Goti o dei Longobardi erano cresciuti e
potevano solo crescere sul territorio romano". Cioè erano un
effetto della genialità politico-militare di Roma. A che cosa si
doveva esattamente la loro diversità (per esempio nel sud della
Gallia tra Visigoti, Burgundi, Ostrogoti e Franchi), al di là della loro
competizione, per avere uguali privilegi nelle società sub-
romane? Le comunità etniche che i Romani dell'età tarda
chiamarono Franchi o Goti non erano che "modi, altamente
astratti e costruiti dalla cultura, di categorizzare popolazioni che
potrebbero essere molto diverse tra di loro e potrebbero non
essere per niente così diverse da popolazioni che non cadono in
quella categoria". Un franco che viveva lungo la Mosa avrebbe
saputo riconoscere un uomo del sud della Gallia come straniero,
"ma sarebbe stato capace di dire dalla sua apparenza se era un
franco, un goto, un burgundo o un romano?"

Non sarebbe stato semplice, perché quella confusione, che


diventa talvolta indecifrabilità nell'appparenza, era in corso da
molto tempo. Già verso la fine del IV secolo più della metà degli
ufficiali romani era di origine barbarica. "Barbari romanizzati
come il vandalo Stilicone, lo svevo Ricimero, il burgundo
Gundobaldo o lo sciro Odoacre dominarono i giochi di potere in
Occidente per tutto il V secolo".
Lo storico contemporaneo Orosio aveva definito Alarico, che nel
410 d. C. aveva condotto i Visigoti a saccheggiare Roma, rispetto
ad altri barbari, come un cristiano, e molto più simile ad un
romano. Ma i Vandali di Genserico non ottennero un responso
così favorevole, probabilmente per il loro arianesimo. Mentre,
nella ricca rassegna dei tentativi di identificazione etnica
esaminata da Pohl, per gli autori bizantini i Franchi (Clodoveo era
stato tempestivo nell'inscenare la conversione al cattolicesimo e
a presentarsi come alleato del lontano imperatore di
Costantinopoli) divennero i Germani per eccellenza dato che si
trovavano a dominare su gran parte degli altri popoli germanici,
mentre la Cronaca del 754 spagnola chiama l'esercito di Carlo
Martello che sconfisse i Saraceni a Poitiers semplicemente
Europenses, Europei. Nel regno franco molte usanze
dell'amministrazione e della giurisdizione romana furono
continuate e modificate e il latino non ebbe rivali come lingua
dello Stato e continuò ad essere usato. Ma d'altro canto, se le
elites civili regionali dell'antica civiltà stavano scomparendo, i
vescovi, che di queste elites erano parte, trovavano comunque
ampie opportunità di dominare la vita pubblica. "Gregorio di
Tours verso la fine del VI secolo, fornisce abbondanti prove del
fatto che le lotte di potere tra vescovi potevano essere spietate e
perfide quanto quelle dell'aristocrazia franca". E, nel suo
complesso, lo Stato "barbarico" dei Franchi non appare
storicamente essere stato più ingiusto o più violento del mondo
tardo-romano e la condizione dei lavoratori agricoli non subì
cambiamenti a causa dell'avvicendamento nella proprietà della
terra dei guerrieri franchi.
Romani e barbari divenivano sempre più difficili da distinguere.
Gli Stati erano sia romani che barbarici. Dunque l'etnogenesi dei
popoli altomedievali, se non era una questione di sangue, doveva
essere stata una questione di tradizioni e istituzioni condivise (i
modi di vita tardo-romani e barbarici seppero integrarsi, perlopiù
su una struttura sostanzialmente romana).

In uno dei saggi del volume che tratta di due popoli, Alamanni e
Franchi, Pohl mostra come i rapporti etnici tra di essi fossero
aperti, e, ancora di più, come siano fragili le tesi storiografiche
sulla nascita e sulla scomparsa di quei popoli (e di altri popoli).
Evidentemente complicata si presenta la questione dell'origine
degli Alamanni (il cui stesso nome è designazione romana,
essendo Alamannia il nome dato alla regione) connessa ed
associata con gli Svevi, ed anche problematica rispetto agli
Jutungi, che a loro volta si confondono con i Semnoni ed
entrambi con i primi. Queste sovrapposizioni fecero cadere in
errore già Gregorio di Tours e Giordane che confusero gli
Alamanni con gli Svevi spagnoli, l'uno, e con gli Svevi della
Pannonia, l'altro. Nel periodo carolingio si arrivò
all'identificazione degli Alamanni con gli Alani e i Vandali. Pohl
problematizza le ragioni della supremazia franca sugli Alamanni e
ne trova ragione nella "gallicizzazione dei Franchi, al di qua e al di
là del Reno", e nella decisione romana, una decisione a lungo
termine, di preferire i Franchi agli Alamanni, per esempio nella
carriera militare, oltre che nell'argomento della conversione.
Sia dei Franchi che degli Alamanni i contemporanei parlavano a
volte di gens, al singolare, a volte di nationes, di gentes, di populi.
"Nessun nome di popolo altomedievale designa un'area etnica
omogenea. Inoltre si si presenta il quesito per quale di questi
uomini fosse particolarmente significativo essere franchi,
alamanni, romani, salii, suebi o altri e in quali situazioni".

A proposito dei nomi etnici Pohl, in un saggio dedicato alle


Identità etniche nelle isole britanniche, ne rivela l'opacità e la
contraddittorietà della storia che narrano.

"La storia degli etnonimi delle isole britanniche è, come in ogni


altro luogo, piena di paradossi. Oggi i loro abitanti possono essere
chiamati british (Britanni) anche se hanno ben poco a che fare
con coloro che avevano questo nome nella tarda antichità e che
poi sparirono gradualmente dalla storia. I Britanni che
mantennero la loro identità presero il nome di Welsh, derivato dal
termine germanico che designa le popolazioni romanze, benché
avessero da tempo smesso di parlare latino; solo in Europa
continentale rimase un paese britannico chiamato Bretagna.
Scotti, il nome che nell'alto medioevo designava gli Irlandesi, si
spostò verso la Scozia; il termine per la lingua celtica (gaelico)
preservato nell'Irlanda moderna è legato al nome dell'antica
Gallia. Il nome English risale a uno dei gruppi di conquistatori del
V secolo, mentre quello dei Sassoni sopravvive come radice dei
termini gallese e gaelico (Saeson) per inglese. Gli ultimi invasori,
che fondarono il regno moderno, chiamati normanni (benché
provenissero da Sud), non riuscirono a dare il loro nome al regno
come avevano fatto in Normandia, da dove provenivano."
Va detto che questi paradossi terminologici si riscontrano anche
altrove, come nel caso dei Tedeschi chiamati "Germans dai
Britannici, Allemands dai Francesi e Niemeci (o nomi simili) dai
loro vicini Slavi", e non si chiamano francesi nonostante lo Stato
tedesco si sia sviluppato a partire dal regno franco orientale
(dove si conservò la lingua franca, mentre in Francia la lingua
romanza fu chiamata francese).

"La Britannia altomedievale costituisce certo un ottimo esempio


dell'ambiguità dei nomi etnici e della difficoltà del trovare termini
appropriati per delle unità etniche o territoriali che estendevano
ben altre l'orizzonte della maggioranza dei propri membri". Beda
che ricostruiva le origini etniche degli Angli (e dei Sassoni e degli
Juti) percepisce questo popolo come una pluralità di popoli, e
riferisce che derivavano dai Fresones, Rugini, Danai, Hunni,
Antiqui Saxones, Boructuarii, mescolando stereotipi classici e
informazioni contemporanee.

Molti discorsi mitologici, e poi ideologici, sull'origine,


sull'etnogenesi dei popoli europei possono essere invertiti, ed
hanno subito delle inversioni. Per esempio i miti di migrazione,
relativi ai popoli della Britannia, sono stati rovesciati da una
direzione all'altra. "Beda ritiene che i Britanni provengano dalla
Bretagna e i Sassoni dal continente, mentre secondo una
redazione degli Annali di corte carolingi, i Bretoni di Bretagna
provengono dalla Britannia, e sia la Translatio S. Alexandri -
composta da Ruodolf nel IX secolo - che le Res Gestae Saxonicae
di Viduchindo ci dicono che furono i Sassoni continentali a
migrare dalla loro patria britannica".
In un certo senso, in un senso sovrano si potrebbe dire, è la
scrittura a definire un popolo, come nel caso dei Burgundi, che
non furono definiti dal sangue, ma da coloro che scrissero su di
loro, come riferisce Pohl citando la frase tratta da The
Merovingian Kingdoms di Ian Wood.

Dunque, questa è una prima conclusione, i processi etnici non


potevano che essere "aperti alla modificazione e alla
rimodificazione politica e personale, alle costruzioni e
ricostruzioni delle identità etniche".

L'identità dei Goti d'Italia era una ricostruzione, il prodotto di una


nuova sintesi. La cultura tardo-romana e bizantina potevano
offrire "una moltitudine di spazi e modelli distinti" dove riuscire a
collocare, nel contesto dato cristiano e imperiale, un'identità
barbarica, pure con la sua diversità. Le strategie militari gote
erano le stesse dei bizantini; erano esperti dell'assedio e della
difesa di fortificazioni come i Romani e impararono anche le
tattiche di guerra navale. Si può aggiungere inoltre che gli eserciti
di Belisario e di Narsete erano più scitici di quelli comandati dagli
ostrogoti, per il gran numero di Unni che ne facevano parte.
In un altro saggio (Carriere barbariche durante e dopo la guerra
gotica) Pohl ritorna su questo concetto riportando le parole di
Giordane, lo storico contemporaneo dei Goti, sull'impossibilità di
distinguere i barbari dai Romani. Neppure i nomi propri
forniscono indizi sicuri, per esempio il figlio di Mundo, un gepido-
unno al servizio dell'impero, si chiamava Maurizio, ma il figlio di
questi, Teudmundo. Agazia, un greco dell'Asia Minore
riconosceva che i Franchi sono "come noi". Tuttavia il tentativo di
integrazione stabile nell'amministrazione romana, nelle ultime
fasi della guerra gotica, perdeva il suo fascino, anche per i ritardi
consueti alla consegna del soldo. Infine la capitolazione degli
ultimi re ostrogoti favorì la nascita di nuove alleanze tra guerrieri:
"le truppe alamanno-franche di Bucellino e di Leutari, la
coalizione franco-gotica di Vidingo e di Amingo, il regno erulo-
breone del generale rinnegato Sindualdo e, infine, l'esercito
multietnico del re longobardo Alboino".

Nel saggio Vivere in conflitto: Romani e barbari nell'alto


Medioevo, Pohl scrive che "i conflitti tra lo stato tardo romano-
bizantino e i capi barbarici erano in generale collocati all'interno
di relazioni contrattuali" perché con lo strumento del foedus,
l'impero disponeva di una forma giuridica molto flessibile per
regolare i rapporti con i popoli all'interno e all'esterno dei propri
confini. In un certo senso i popoli barbarici appartenevano alla
statualità romana. E anche gli Unni e i loro indiretti successori, gli
Avari, fecero parte del sistema tardo romano. Per l'aristocrazia
militare formatasi attorno alla leadership di Attila, dopo la sua
morte, si aprirono tutte le porte dell'impero romano, cioè si
passa da un campo all'altro (questo per Exodus, il capo dei ribelli
Bagaudi, per Oreste, padre dell'ultimo imperatore d'Occidente,
per Edekon, padre di Odoacre).
Gli attacchi dei barbari non arrivavano come fulmini a ciel sereno;
di solito prima venivano avanzate delle richieste e scambiati degli
inviati, quando le trattative fallivano, iniziava la guerra. "Soltanto
una minima parte dei continui conflitti portava poi effettivamente
alla guerra". D'altronde nessuna delle ragioni che provocavano la
guerra e nessuna delle richieste che un capo barbarico di volta in
volta formulava costituivano realmente la causa del conflitto. "Il
re di un esercito barbarico non poteva mai essere soddisfatto a
lungo; altrimenti egli avrebbe reso superflui se stesso e la sua
posizione di forza. Il conflitto, al quale egli innanzitutto doveva la
sua posizione, doveva essere costantemente mantenuto, anche se
le armi potevano riposare per anni".

La doppiezza non si mostrava da un lato soltanto. Gli inviati


bizantini erano frequentemente incolpati di menzogne e tentativi
di corruzione. "Che i Romani non aspettassero altro che mettere
un popolo barbaro contro un altro, apparteneva certamente
all'idea che i barbari avevano dei Romani". In fin dei conti nè gli
Unni né gli Avari avevano come scopo la totale distruzione
dell'impero, "ai cui pagamenti essi dovevano la loro esistenza".

Ora, ciò che appare assodato attraverso l'analisi di Pohl è che lo


studio di quei popoli richiede una grande flessibilità: "molti
Germani adottarono il costume unno, i Bizantini le armi avare, gli
Slavi titoli avari e perfino nei conventi bavaresi dell'VIII secolo
comparivano nomi dal suono avaro". E' difficile dire chi era Avaro
e chi no, chi era Franco e chi no, ecc.

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