Sei sulla pagina 1di 47

Cap.

4
L’iscrizione come monumento

L’estrazione della pietra. La pietra veniva estratta in cave (lapicidinae) coltivate o a ‘cielo
aperto’ (a giorno o a gradini) o in galleria, sulla base della posizione del sito, della profondità dei
giacimenti, del tipo e delle proprietà dei materiali, della necessità di sprecare meno materiale
possibile.
Più di frequente si adoperava l’estrazione a cielo aperto, in seguito alla prospezione e ai saggi per
individuare la qualità e la consistenza del giacimento e dunque alla rimozione dello strato di terreno
soprastante, nonché all’esame dei piani di sedimentazione e all’individuazione delle litoclasi ovvero
‘peli’, nel linguaggio dei cavatori, dall’orientamento delle quali sarebbe dipesa la disposizione del
fronte di cava.
L’estrazione procedeva a partire dalla testa del filone verso il basso, in modo da creare tagliate
sul fianco della montagna (le caesurae). Per l’abbattimento dei blocchi ci si inseriva all’interno
delle litoclasi: vi si praticavano fori quadrangolari, nei quali venivano inseriti o cunei metallici (i cd.
‘punciotti’) da battere fino al distaccamento del blocco o, più spesso, pali in legno secco, che
venivano poi bagnati in modo che, ampliando il proprio volume, rompessero lentamente il blocco
(se ciò non era sufficiente, ci si serviva anche di leve).
Qualora il giacimento fosse ad una certa profondità o si volesse sfruttare qualche cavità naturale,
si scavavano gallerie, avendo cura di risparmiare nella roccia dei piloni per il sostegno della galleria
medesima. I detriti di lavorazione erano solitamente ammassati in aree della cava non più utilizzate
e non più sfruttabili.
I blocchi erano dunque trasportati con l’ausilio di rulli e forse, per i piani inclinati, della ‘lizza’,
una slitta in legno frenata con funi e carrucole; per i pendii c’era la possibilità, sfruttata però
raramente, di far semplicemente scivolare i blocchi lungo di essi.
Queste prime operazioni erano svolte dagli exemptores, “cavapietre”.
Giunto sul piazzale di cava, il materiale subiva un primo lavoro di sbozzatura e squadratura
(attraverso strumenti come l’ascia bipenne, l’ascia a taglio curvo, la mazza, la subbia, lo scalpello e
la martellina), nonché di segagione (si utilizzavano semplici seghe per i materiali meno duri, per
quelli piuttosto duri come i calcari nastri non dentati o fili di ferro che tagliavano la pietra grazie
all’ausilio dell’azione abrasiva della mistura di acqua e sabbia che il filo stesso trascinava con sé nel
proprio movimento); per consentire un più agile sollevamento dei blocchi si creavano in essi dadi
sporgenti detti ‘tenoni’, ai quali erano agganciate le funi per il trasporto e il sollevamento, oppure si
!1
forava la pietra nei punti che avrebbero ospitato i ferrei forfices o le olivelle. Lo spostamento dei
blocchi avveniva mediante macchine come argani o gru, azionate da personale preposto, i
machinarii; del lavoro di rifinitura e taglio dei blocchi si occupavano i lapicidinarii ovvero serrarii.
Nella fase di prima rifinitura del blocco o forse già al momento stesso dell’estrazione ci si
premurava di scrivere su di esso, con la vernice o l’incisione a scalpello, le notae lapicidinariae,
ossia una serie di indicazioni quali il numero d’ordine del blocco, il settore della cava (locus), i
nomi degli addetti all’estrazione o dei funzionari responsabili, il nome della cava o dell’ente
proprietario.
Talora già nell’ambito della cava oppure in officine specializzate non distanti da essa si
procedeva alla semilavorazione o alla completa lavorazione del materiale: nelle cave sono stati
rinvenuti elementi architettonici (colonne, capitelli, architravi) e monumenti destinati all’incisione
(per esempio altari o cippi) già con un discreto grado di lavorazione.
Gli strumenti utilizzati nelle cave erano solitamente prodotti e eventualmente riparati all’interno
di fucine solitamente presenti nelle cave stesse.
Il cantiere era detto officina, il capocantiere officinator. La forza lavoro era suddivisa in brachia,
squadre corrispondenti ai fronti di taglio o alle gallerie. L’amministrazione della cava era affidata ad
un sovrintendente nominato dai magistrati locali se la cava era di proprietà di una città; se la cava
era imperiale, tale amministratore era un procurator, solitamente un liberto imperiale, ma talora un
cittadino romano di rango equestre.
La condizione sociale dei lavoratori era piuttosto varia: schiavi, uomini liberi e, nelle cave
pubbliche, condannati ad metalla (la condanna ad metalla era fra le più dure previste dal diritto
romano; veniva inflitta a persone di bassa estrazione sociale che si fossero rese responsabili di
delitti particolarmente esecrandi).
La realizzazione del monumento iscritto. Non è chiaro se esistessero officine specializzate
esclusivamente nella realizzazione di monumenti iscritti; più probabilmente essi erano realizzati in
laboratori dove si lavorava genericamente la pietra. Conosciamo vari lessemi indicanti le mansioni
svolte nell’ambito della produzione di un’epigrafe, ma l’unico ad essere per noi chiaro è scriptor,
attestato nei programmi elettorali pompeiani: lapidecaesor, lapicida, lapidarius, marmorarius,
sculptor potrebbero infatti indicare anche chi, genericamente, lavorasse materiali lapidei; analoghe
considerazioni vanno fatte in merito a due lessemi attestati in Sidonio Apollinare (Epistole, I, 9, 71;
III, 12, 5), epistaphista e quadratarius.
Più chiare sono invece le fasi di produzione del monumento iscritto: la scelta del monumento
semilavorato da parte del committente; la proposta del testo da incidere sempre da parte del
!2
committente, che predisponeva all’uopo una ‘minuta epigrafica’ ovvero, come la chiamavano gli
antichi, forma, o egli stesso o traendola da un album predefinito o su suggerimento del personale
dell’officina (ne è rimasta qualche rara traccia); l’ordinatio, ossia l’impaginazione del testo, che non
è chiaro se venisse eseguita da un apposito ordinator o se dalla stessa persona che lo avrebbe inciso,
e che veniva o ‘improvvistata’ sulla base dell’osservazione della minuta, con esiti più facilmente
infelici, come è evidente in epigrafi che presentano lettere ‘ammassate’ alla fine del testo o perfino
incise sulla cornice, o ‘preordinata’, attraverso la delineazione, a sgraffio o con il colore, il gesso, il
carbone o il piombo, di linee verticali per la delimitazione della superficie da incidere, oltre a
un’ulteriore eventuale linea centrale, e di cd. ‘linee guida’ orizzontali, generalmente a coppia, per
appoggiare le lettere, delle quali era segnato il contorno, forse utilizzato talora anche con il colore, a
mano libera o con l’ausilio di riga e compasso o con sagome e aste di lunghezza variabile così da
poter formare più lettere; l’incisione, con mazzuolo e scalpello, dall’alto al basso e dall’esterno
all’interno, con un’angolazione variabile dello strumento rispetto alla superficie (solitamente
intorno ai 45°), così da ottenere un solco dalla sezione a V, di profondità variabile (più ampia era la
distanza fra le lettere, più profondo era il solco). Di queste fasi alcune potevano essere trascurate,
per velocizzare l’esecuzione. Le esigenze produttive infatti facevano sì che numerosi fossero, nei
laboratori, i monumenti prelavorati, spesso già con la realizzazione dello specchio epigrafico (la
parte destinata a raccogliere il testo, appositamente delimitata da una cornice); talora venivano già
inserite le parti della scrittura tratte dai formulari di uso corrente prima del resto del testo.

I tipi di monumento

Iscrizione e supporto costituiscono un binomio inscindibile. Per una corretta interpretazione, essi
vanno esaminati insieme.

Altare o ara. I due termini non sono sinonimi, ma vengono comunque impiegati per indicare lo
stesso tipo di monumento, impiegato per la celebrazione di sacrifici agli dei, elevare preghiere o più
spesso per attestare lo scioglimento di un voto; in ambito sepolcrare serviva a celebrare i riti
prescritti durante le festività riservate ai defunti.
Le più consuete caratteristiche delle are sono: la base quadrangolare, cui l’ara è unita da grappe
metalliche (ma non mancano i casi nei quali l’ara poggia su basamenti piuttosto articolati, spesso a
gradini); la composizione in tre elementi, il fusto (di forma parallelepipeda, talora cilindrica, a
profilo solitamente verticale), lo zoccolo (che funge da base) e il coronamento, uniti al fusto da
!3
modanature; l’essere monolitica (non mancano però casi di are gli elementi delle quali erano
eseguiti separatamente o di are con un nucleo costituito da un conglomerato cementizio rivestito da
lastre e cornici in marmo o bronzo). Sulla parte superiore del coronamento si trova il focus
(“focolare”), destinato a contenere la fiamma sacrificale.
L’iscrizione compare sulla fronte dell’ara, solitamente sul fusto, inserita in una specchiatura
delimitata da cornici, che si ripete sulle varie facce del fusto, o essere incisa sull’intera superficie; le
due facce laterali solitamente presentano gli strumenti utilizzati durante il sacrificio, come la patera,
l’olpe, il coltello, la cassetta dell’incenso, oppure immagini della divinità o, ancora, scene relative ai
riti praticati.
Architrave ovvero epistilio. È un monolite di forma parallelepipeda, che poggia orizzontalmente
su colonne o pilastri in pietra, in muratura o in conglomerato cementizio rivestito di laterizi o lastre
marmoree; può talora essere composto da blocchi accostati e uniti fra loro da grappe metalliche.
L’iscrizione compare solitamente sul fregio o sulle fasce sottostanti, sia in edifici pubblici di
particolare rilevanza sia in edifici privati, specialmente di carattere sepolcrale. Il solco
dell’iscrizione è talora alveolato, perché conteneva lettere metalliche.
Base. La base serviva a sorreggere una statua o un manufatto a carattere votivo (e in questo caso
è facilmente confondibile con un’ara). Può poggiare su un basamento di altezza variabile, cui è
solidale mediante grappe metalliche. Il fusto è perlopiù di forma parallelepipeda, a profilo verticale
per il sostegno di statue pedestri, orizzontale per il sostegno di statue equestri o di gruppi statuari;
non mancano casi di fusti di forma cilindrica, troncopiramidale o prismatica. Come l’ara, può essere
monolitica o in conglomerato cementizio rivestito di lastre marmoree o bronzee.
L’iscrizione si trova sulla fronte, riquadrata da una cornice, mentre anche le due facce laterali
presentano specchiature.
Blocco. È un corpo monolitico di forma parallelepipeda impiegato in strutture murarie, che può
presentare un’iscrizione sulla faccia visibile. Può essere confuso con la lastra, dalla quale si
distingue per lo spessore notevolmente maggiore.
Cinerario o ossuario o urna. È destinato a raccogliere le ossa combuste del defunto, raccolte in
un’olla o semplicemente deposte al suo interno. Presenta grande varietà di forme e dimensioni.
L’iscrizione può trovarsi in un campo aperto, in uno specchio, in una tabula ansata (tavoletta con
manici a coda di rondine).
Cippo. Si tratta di un monumento caratterizzato da sviluppo verticale o più raramente
orizzontale, per diversi impieghi:

!4
a) sepolcrale, per delimitare l’area di un recinto sepolcrale o la presenza di una sepoltura,
solitamente con l’iscrizione delle dimensioni del sepolcro, eventualmente con il nome del
defunto o dei defunti (talora allo stesso scopo vengono utilizzate le steli);
b) sacro, per indicare l’appartenenza di un luogo o di un edificio o di un manufatto a una
divinità o a un contesto cultuale;
c) segnaletico, per indicare il possesso di un fondo, un diritto di transito concesso nelle sue
varie forme o il suo divieto, il passaggio di un confine o di una strada ecc., tipologia nella quale
rientrano i cippi cd. graccani, che testimoniano l’attività dei triumviri agris iudicandis
adsignandis creati con la legislazione di Tiberio Gracco, e i cippi gromatici, solitamente di
forma parallelepipeda e con una croce sulla parte superiore, che segnalano l’incrocio di un
kardo con un decumanus, riportandone il numero e la posizione nell’ambito del reticolato.
Non è semplice, talora, distinguere un cippo da un altare, specie se quest’ultimo è stato segato o
mutilato per essere riutilizzato (l’analisi del testo epigrafico può essere d’aiuto).
Cupa. Il termine è traslitterato dal latino cupa “botte”. Si tratta di un monumento sepolcrale,
solitamente monolitico, a forma di semicolonna, utilizzato come elemento di copertura di una
tomba, particolarmente documentato in Italia centro-meridionale, nella penisola iberica, in Africa,
in Sardegna, in Gallia, in Mesia e in Dacia. Nella letteratura specialistica è stato anche definito
cippo ‘a botte’, ‘a baule’, ‘a cassone’, ‘a sezione semicilindrica’, ‘a tumulo’, ‘ad arca lucana’, non
senza confusione.
L’iscrizione può essere incisa sulla superficie anteriore o talora su una delle due facce laterali o
in una tabella conformata a stele posta al centro del monumento o infine in una piccola lastra
marmorea inserita in uno spazio apposito ricavato nella cupa stessa.
Supporto di erma. Il supporto di erma è di forma troncopiramidale rovesciata o parallelepipeda,
inserito su una base o interrato o fra due transenne; le erme erano solitamente poste all’aperto in vie,
giardini, palestre o all’interno in abitazioni private o di associazioni professionali e potevano
raffigurare divinità, filosofi, personaggi storici o anche individui comuni, oltre che divinità; quando
avevano valore apotropaico a volte si trovano erme itifalliche (spesso il fallo eretto è però
scalpellato in età moderna).
L’iscrizione compare sulla fronte del supporto, con funzione di didascalia se si tratta di un
personaggio celebre o riportare il nome e la carriera nel caso di un privato.
Lastra. Solitamente monolitica, di spessore nettamente minore rispetto alla larghezza, può essere
posta all’interno o all’esterno degli edifici, inserita sulla parete mediante grappe o perni, o anche sul
pavimento, oppure può essere usata per il rivestimento di altari e basi in pietra, in laterizio o in
!5
conglomerato cementizio o per chiudere o coprire la chiusura della nicchia di un colombario.
Spesso nella forma imitano le tabulae ansatae.
L’iscrizione compare in campo libero o in una specchiatura delimitata da cornice a rilievo o da
graffiti.
Nell’esaminare la lastra è necessario verificare che non si tratti di un altro tipo di monumento: se
è ancora posta in opera bisogna chiedersi se non sia un blocco, se non lo è bisogna chiedersi se non
sia, per esempio, una parte di sarcofago o di un’ara segata.
Mensa. Si tratta di ripiano in pietra quadrangolare o circolare, posto in opera orizzontalmente su
due supporti detti trapezofori.
L’iscrizione, di contenuto sacro o funerario, può trovarsi su tutta la superficie o solo lungo il
bordo. In alcuni casi i due supporti sono uniti da una lastra verticale su cui compare l’iscrizione
oppure possono essere iscritti essi stessi sui due lati interni.
Un particolare tipo di mensa è la mensa podiale, impiegata in ambito sacrale a chiusura di un
bancone contenente un’urna con le ceneri dei defunti; in tal caso compare sulla superficie
l’infundibulum per le libagioni.
Miliario o pietra miliare o cippo miliario. Il nome deriva dall’espressione milia passuum.
Serviva ad indicare ai viaggiatori la distanza, in miglia romane (1 miglio = 1480 m ca.), fra due
località o della distanza già percorsa dal luogo di partenza o della distanza che restava da percorrere
per raggiungere la città più vicina. La forma principale è cilindrica o troncoconica, a volte
parallelepipeda o di lastra; talora raggiungevano grandi dimensioni. Miliari cilindrici
particolarmente grandi sono stati spesso reimpiegati nelle chiese o nelle dimore private come
colonne; un altro riutilizzo tipico è quello del sostegno dell’acquasantiera o di un altare, e non
mancano casi in cui ci si è serviti del miliario come paracarro o rullo per spianare i campi. Se si
trovano nel contesto originario, possono essere infissi nel terreno o poggianti su una base.
Vi compare al nominativo il nome del magistrato che ha curato la realizzazione della strada o il
suo restauro; con il tempo il cippo miliare assume però funzione celebrativa, a servizio della
propaganda imperiale: in tal caso si trova il nome dell’imperatore al dativo. In età tarda, la frequente
sostituzione dei miliari usati per la propaganda fa sì che come supporto si reimpieghino colonne
originariamente destinate o appartenenti ad altri edifici.
L’iscrizione si trova solitamente in campo aperto, talora racchiusa in una specchiatura
incorniciata. Per l’iscrizione spesso si usava il colore, anche solo per l’indicazione delle miglia,
sicché ci sono giunti molti miliari cd. ‘muti’. I miliari di età tarda hanno spesso iscrizioni reincise

!6
per modificarne il testo o iscrizioni plurime sull’estremità opposta e capovolta o sul retro, segno del
loro reimpiego.
Sarcofago. Si articola in due elementi, cassa e coperchio. L’iscrizione compare di norma sulla
fronte della cassa in una specchiatura, talora a tabula ansata, talora retta da eroti funerari.
In non molti casi si pone il problema di sarcofagi di dimensione ridotte, per cui ci si pone il
problema se non si tratti di osteoteche o cinerari.
Spesso i sarcofagi sono stati reimpiegati in età medievale per la sepoltura di santi o di illustri
personaggi; in questi casi l’iscrizione è stata scalpellata ed eventualmente sostituita oppure
semplicemente affiancata da una recenziore: in fase di autopsia bisogna prestare massima
attenzione, anche con l’utilizzo della luce radente, ad individuare tali testimonianze.
Stele. Si tratta di una lastra sepolcrale di scarso spessore, a sviluppo verticale, infissa nel terreno.
Due sono le principali tipologie di stele:
a) le stele architettoniche ovvero a pseudoedicola, di dimensioni spesso notevoli, che possono
recare in apposite nicchie i ritratti dei defunti e contenere, nella parte inferiore, scene di vita
quotidiana legate al defunto; talora sono reimpiegate come copertura di cinerari a cassetta;
b) le stele rettangolari, talora cuspidate o centinate, non decorate o con apparato decorativo
ridotto.
In alcune aree, come in Campania o nel territorio di Adria, in Veneto, le stele possono avere
aspetto antropomorfo.
L’iscrizione appare generalmente sulla fronte della stele, in uno specchio delimitato da cornice
che nelle stele cd. ‘corniciate’ (profilgerahmte) circonda tutto il profilo della stele e, nelle stele
architettoniche, perfino il timpano. In alcuni casi la cornice non presenta il lato inferiore, perché
l’officina epigrafica o il committente intendevano riservarsi la possibilità di eventuali aggiunte; la
stessa motivazione è all’origine del fatto che molte epigrafi con cornice chiusa presentano
l’iscrizione nella sola parte alta dello specchio.
Termine. Talora confuso in bibliografia con il cippo, il termine serviva a segnalare la presenza di
un confine fra proprietà o aree di comunità limitrofe. La forma è varia (parallelepipeda,
troncoconica, cilindrica) e non mancano casi di semplici iscrizioni su un masso o su una parete
rocciosa.

!7
Scrittura e tecniche di scrittura

L’alfabeto delle iscrizioni. Fino al I sec. a. C. l’alfabeto latino era costituito da 21 caratteri:
ABCDEFGHILMNOPQRSTVX. Tale alfabeto continuò ad essere utilizzato fino alla fine del secolo
successivo, come testimoniano i manifesti elettorali di Pompei e Quintiliano, che afferma che X
nostrarum litterarum ultima.
Già agli inizi del I sec. a. C., in realtà, vengono utilizzate nelle epigrafi, per la sempre più
massiccia introduzione di lessemi e antroponimi greci, Y e Z, collocate nella serie alfabetica dopo
X.
Nel 47/8 d. C. Claudio introduce le cd. ‘lettere claudiane’ (Tacito, Annali, XI, 13): un digamma
inverso (simile ad una F capovolta e retroversa) per [w]; una lettera simile ad una H priva della
seconda asta per indicare l’oscillazione [i]/[u] in lessemi come maximus/maxumus e che di fatto finì
per sostituire Y; un antisigma, ossia una sorta di C retroversa per [bs] e [ps]. Il loro uso non
sopravvisse molto a Claudio (che morì nel 54 d. C.); peraltro, solo le prime due sono attestate nelle
epigrafi.
La scrittura ‘capitale’ e corsiva. La prima fu in seguito utilizzata nei manoscritti per indicare le
lettere iniziali (capita) di una pagina o di un capitolo. È una scrittura ‘posata’, realizzata con
strumenti appositi e secondo regole precise. Essa si sviluppa gradualmente dal IV sec. a. C. all’età
augustea e oltre. Le lettere sono armoniche, con tendenza alla geometrizzazione delle forme, con
angoli retti e con regolare proporzione fra altezza e larghezza, con eleganti apicature e ricerca di
effetti chiaroscurali; sono idealmente inseribili in un quadrato, al punto che si parla, riprendendo
Petronio (Satyricon, 29), di litterae quadratae. Dopo l’età augustea, si registra una sempre più
marcata tendenza alla realizzazione di lettere allungate.
Per l’influenza della scrittura abitualmente adoperata per la redazione degli acta quotidiani —
con pennello e vernice sui muri, con l’inchiostro su papiro e pergamena o su tavolette lignee, con lo
stilo sulle tavolette cerate— dal I sec. d. C. inizia ad essere utilizzata, prima sui monumenti pubblici
in bronzo, poi su quelli lapidei, la scrittura cd. actuaria ovvero ‘capitale rustica’, la cui maggiore
diffusione si segnala tuttavia a partire dal III sec. d. C. Le lettere sono allungate e sottili, gli angoli
arrotondati, le linee curve e morbide, i tratti discendenti delle aste che si allargano a spatola verso la
base, il chiaroscuro molto accentuato.
La scrittura corsiva è tipica di alcune classi di iscrizioni, come le tavolette cerate o i graffiti. Il
nome deriva dal verbo curro ed indica un’azione scrittoria veloce e non curata. Può essere
maiuscola o minuscola. È fortemente influenzato dalle modalità di scrittura: dal tipo di supporto
!8
coinvolto, dalla superficie da incidere, dallo strumento impiegato, dal contesto di scrittura e dalla
stessa persona dello scrivente. La forma delle lettere può essere decisamente varia e la lettura è
difficile.
Sebbene non manchino casi di scritture capitali che presentano alcuni caratteri corsivi,
soprattutto per A (Λ), E (II) e F (II), in genere la scrittura corsiva è oggi presente su appunti o
esercitazioni scrittorie di lapicidi o su trascrizioni di minute epigrafiche.
Tecniche di scrittura. Le tecniche impiegate dipendono da vari fattori: tipologia del monumento,
destinazione, disponibilità economica, desideri del committente, materiale da incidere, capacità
professionali del personale dell’officina epigrafica.
a) Solco a sezione triangolare ovvero ‘a V’. Con scalpello e mazzuolo si incidono le lettere
partendo dal profilo esterno verso l’interno, con un angolo di almeno 45°; si ripassa inseguito il
solco, passando sia dall’esterno all’interno sia dall’interno all’esterno. Questo metodo era il più
usato in quanto è quello di più semplice utilizzo e consente un’ottima leggibilità.
b) Solco a cordone ovvero “a U”. Con lo scalpello o preferibilmente la subbia o la sgorbia si
segue il profilo della lettera realizzando un solco piuttosto largo e poco profondo. È un sistema
poco usato, che si riscontra soprattutto in epigrafi di età repubblicana o iscritte da personale
poco specializzato.
c) Solco a punti. Le lettere vengono eseguite incidendo una serie di punti ravvicinati con un
punzone, con un bulino o con il trapano. Si tratta di una tecnica caratteristica delle iscrizioni su
metallo, ma riscontrata anche su quelle in pietra.
d) Solco alveolato. Si incidono nella pietra solchi larghi e profondi, uno per lettera (‘lettere
alveolate’, secondo la definizione di Di Stefano Manzella), all’interno dei quali si fissano con
cemento o mediante piombatura o stagnatura lettere mobili (spesso chiamate litterae aureae)
fuse in metallo (bronzo, bronzo dorato o rivestito d’oro, talora argento o oro), realizzate in
fonderie specializzate sulla base di modelli standardizzati; per facilitarne l’allettamento, si
praticavano nel solco fori ciechi per l’inserimento dei tenoni incorporati nelle lettere. Le
iscrizioni così prodotte erano destinate a spazi pubblici, in contesti di particolare prestigio. Una
variante poco frequente, detta ‘a caratteri applicati’ consiste nell’alloggiare i caratteri
direttamente sulla superficie, sulla quale non era stato tracciato il solco, ma soltanto i fori ciechi
per i tenoni. Nel medioevo e in età moderna le lettere metalliche sono state solitamente
asportate e pertanto la lettura del testo dipende dal tracciamento dei solchi o, faticosamente,
dalla posizione dei fori ciechi, qualora una scalpellatura abbia fatto abbassare la superficie della
specchiatura.
!9
Tratteggio, apicature, ombreggiatura. I nomi dei tratti con i quali il lapicida tracciava le lettere
sono tratti dal lessico tipografico: arco o curva, asta (verticale: B, D, E, F ecc.; montante: A, M;
discendente: M, N, V), braccio (orizzontale: E, F, L, T, Z —il tratto centrale della E e della F si
chiama anche cravatta—; discendente: Y), coda (tratto curvo o rettilineo di K, R e Q), occhiello
(spazio determinato da un arco in B, P e R, che può essere chiuso o aperto, in particolare in P),
traversa (tratto orizzontale di A e H).
Si definiscono apicature (errato il termine ‘apice’, accettabile ‘grazia’, usato in tipografia) le
punte con cui terminano le lettere nella scrittura capitale.
Nelle iscrizioni più accurate, si ritrova talora l’ombreggiatura, realizzata allargando al centro e
restringendo verso il basso e verso l’alto i tratti curvi delle lettere, in modo da creare effetti
chiaroscurali.
Lettere montanti e nane. Normalmente nelle iscrizioni le lettere presentano tutte il medesimo
modulo. Tuttavia, per una maggiore gradevolezza estetica, è possibile che alcune lettere,
tipicamente I, T e Y, presentino un modulo superiore: sono le lettere montanti o ascendenti, mentre
le altre sono dette lettere nane. Le lettere nane possono anche essere inserite all’interno di altre
lettere (lettere ‘incluse’) o nello spazio tra una lettera e un’altra o alla fine di una parola o nello
spazio interlineare; in questi ultimi tre casi, si tratta generalmente di aggiunte successive, per la
correzione di errori.
Lettere speciali. Nelle epigrafi è possibile imbattersi in:
a) ᴐ = mulier, nelle iscrizioni di liberti di donne;
b) > o 7 (a volte è simile a una S) = centurio o centuria, seguita da gentilizio o cognome al
genitivo, nelle iscrizioni di soldati;
c) M capovolta = mulier, di uso poco frequente;
d) Θ (cd. theta nigrum) = θνητός, opposto a V = v(ivus), deriva probabilmente dai ruolini
militari, dove in questo modo si indicavano i soldati deceduti in battaglia o durante il servizio;
si trova sulla iscrizioni sepolcrali dei soldati defunti, ma soprattutto negli albi di collegi
professionali o religiosi, negli elenchi di militari, nei fasti, nei graffiti e nei mosaici che
raffigurano combattimenti di gladiatori.
Vocali geminate. In alcune iscrizioni di epoca repubblicana, per contrassegnare la quantità
prosodicamente lunga delle A, delle E e delle V si ricorre alla loro geminazione; la più antica
attestazione è la lapide di Polla, risalente al 132 a. C., mentre le testimonianze più recenti non
vanno oltre la prima metà del I sec. a. C.

!10
Nessi e legature. È l’unione di due o più lettere aventi in comune almeno un tratto, per
risparmiare spazio e ovviare a errori o omissioni. Un particolare tipo di nesso è il monogramma, che
può riunire alcune o tutte le lettere di una parola o le iniziali di gruppi di parole, come il noto
χρισµόν. Impropriamente si parla spesso di nesso anche quando si tratti di lettere nane incluse.
La legatura consiste invece nell’aggiunta di qualche tratto per unire una lettera all’altra. È tipica
della scrittura corsiva, mentre nella capitale compare perlopiù quando il lapicida, per errore, incide
parte della linea guida alla base oppure accosta troppo le singole lettere.
La rubricatura. Si tratta della pratica di colorare, soprattutto in rosso, con il minio e con il
cinabro, ma anche con altri colori, i solchi delle lettere per renderli più evidenti. Con questo termine
si indica anche l’infelice pratica di colorare i solchi delle iscrizioni, con il rischio di alterarne il
testo, in età moderna, per ‘facilitarne’ la lettura.
Segni di interpunzione. Sono generalmente triangolari, ma non mancano altre forme (di virgola,
di parentesi acuta, di spina, di foglia d’edera, di palmetta); in età repubblicana, possono essere due o
tre allineati verticalmente o avere forma circolare o quadrata. Sono sempre a mezza altezza, a
separare le parole (in qualche caso separano le sillabe): se si trovano al piede della lettera
l’iscrizione è probabilmente un falso.
Apex e sicilicus. Il primo è un segno simile ad un accento acuto, posto sopra le vocali per
indicare che la loro quantità era lunga, soprattutto nel caso di omografi, ma nelle iscrizioni del
periodo I sec. a. C.-III sec. d. C. viene posto anche sulle vocali brevi o sulle consonanti, seguendo
forse una norma a noi ignota.
Il secondo è simile a una C retroversa o ad una piccola falce (sicilis). Isidoro (Etymologiae, I, 27,
29) ci informa del suo uso: veteres non duplicabant litteras, sed supra sicilicos adponebant, qua
nota admonebatur lector geminandam esse litteram. Le poche iscrizioni giunteci che lo riportano
sembrano confermare quest’uso.
È stato ipotizzato che apex e sicilicus derivino da uno stesso segno avente la funzione di indicare
la quantità vocalica lunga e la maggiore intensità consonantica, dato che la forma e l’uso di essi
risulta piuttosto simile.
Soprallineatura e barratura. Singole lettere o gruppi di lettere possono essere sormontati da una

linea, ad indicare che di tratta di una abbreviazione o per distinguere alcune sigle da altre (Dࠢ =

d(ominus)). Uguale funzione deve aver avuto la barra mediana orizzontale.


Segni numerali. Vd. pp. 109-111.

!11
Gli errori e la loro correzione. Gli errori grafematici, che in epigrafia si dicono vitia
lapidariorum, sono motivati da varie ragioni:
a) incomprensione della minuta,
b) incomprensione o fraintendimento delle lettere tracciate sulla lapide in fase di
impaginazione,
c) la diversità linguistica di chi incide il testo o il suo grado di alfabetizzazione,
d) l’influsso della lingua parlata,
e) fattori momentanei, come la stanchezza, la distrazione, la noia.
Per la correzione si usavano varie modalità:
a) scalpellatura della lettera o delle lettere errate, con conseguente abbassamento della
superficie dello specchio epigrafico, che veniva poi levigata, e riscrittura;
b) copertura dell’errore con il gesso o con lo stucco, levigatura della superficie e riscrittura
(magari rinforzando l’effetto con il colore);
c) inserimento di lettere negli spazi interlineari, creazione di nessi, lettere incluse o impiego di
lettere nane;
d) forse si correggeva anche con il colore, sicché alcune iscrizioni oggi ci appaiono
particolarmente scorrette ma non lo erano in antico;
e) creazione di un monumento opistografo.
Nella trascrizione per indicare errori si usa il segno (!); nel solo CIL si usa sic in caratteri corsivi.
Non si interviene direttamente sul testo: le proposte risolutive vanno inserite nell’apparato critico;
altrimenti, la parola o la lettera inserita dall’editore vanno fra due mezze parentesi superiori. Le
lettere ripetute per errore vanno inserite fra parentesi graffe; le lettere o le parole omesse per
distrazione del lapicida, e non per ragioni linguistiche, vanno inserite da parentesi acute < >.
La damnatio memoriae. Si trattava di una condanna successiva alla morte di un personaggio
pubblico, consistente nell’abbattimento delle statue dedicategli e nella cancellazione dei suoi ritratti,
oltre che del suo nome sulle epigrafi mediante scalpellatura. Ciò rende il testo a volte illeggibile
(ma se la scalpellatura avveniva lettera per lettera la ricostruzione generalmente non lascia spazio a
notevoli dubbi).
Non mancano casi nei quali, in una diverse temperie politica, si decidesse di riabilitare un
personaggio colpito da damnatio memoriae: in tal caso si potevano fare riscrivere i testi
precedentemente incisi, come avvenuto per Commodo durante il principato di Settimio Severo, che
lo riabilitò.

!12
Lo scopo non era quello di cancellare il ricordo di un personaggio, ma per conservarne nel tempo
una valutazione negativa.
La trascrizione delle parti scalpellate avviene in questo modo: [[Fulvio Plautiano]] se le lettere
sono comunque leggibili, [[ [Fulvio Plautiano] ]] se l’integrazione si basa sul confronto con altri
testi.
Le iscrizioni su metallo. Quelle in bronzo avevano carattere pubblico o ufficiale, mentre quelle in
piombo o altri metalli avevano carattere magico o commerciale. Normalmente dapprima si
incidevano a sgraffio le linee guida, poi si procedeva alla cesellatura del testo, sulla base di una
minuta con il testo già impaginato (lo dimostra l’allineamento a sinistra e l’uso di rientri in molte
iscrizioni di questo tipo), a mano libera e apparentemente senza fasi preparatorie (le lettere sono via
via sempre più fitte verso la fine della riga e sono spesso presenti numerosi errori non emendati), su
lastre che venivano probabilmente prodotte in serie; altra modalità di esecuzione consisteva nel
ricavare il testo già durante la fusione della lastra; altra modalità ancora, in monumenti di carattere
privato, soprattutto se destinati ad ambiti sacri, le lettere potevano essere incise con la tecnica a
punti, impiegando un bulino o un punzone.
Le iscrizioni dipinte (tituli picti). In alcuni casi, si dipingeva il testo utilizzando vari colori
(principalmente rosso, bianco o nero). Sebbene nella letteratura specialistica titulus pictus indichi le
iscrizioni sui muri o sull’instrumentum inscriptum, questa tecnica era impiegata anche per le
iscrizioni su lastre, blocchi, are, tabelle di colombario o miliari. In alcuni casi le iscrizioni su pietra
potevano essere completate da parole dipinte, non soltanto nel caso dei miliari.

Iscrizioni false e copie

Già nell’antichità venivano prodotte iscrizioni false, per esempio a scopi politici (cf. Tito Livio,
IV, 16, 4).
La definizione di ‘falso epigrafico’ è però imprecisa, dato l’alto numero di tipologie di
falsificazioni esistenti. Troppo generica è la definizione di ‘falso’ per tutto ciò che non sia originale
e genuino; più precisa è la distinzione fra:
a) falso: iscrizione contraffatta consapevolmente a scopo di lucro o di frode, materiale o
intellettuale;
b) copia: riproduzione più o meno fedele per motivi di studio, per collezione, per esposizione,
per conservazione e chiaramente riconoscibile come tale;

!13
c) rielaborazione: rimaneggiamento di una o più iscrizioni genuine, anche attraverso la
creazione di veri e propri pastiches.
Le iscrizioni false presentano comunque un certo interesse: anche la falsificazione è un
fenomeno culturale che merita di essere studiato. È stata infatti realizzata, e continua ad essere
ampliata, una banca dati di iscrizioni false: Epigraphic Database Falsae (EDF), sul sito
www.edf.unive.it.
È necessario avere la massima attenzione per individuare i falsi. A tal proposito, si ricordi che
Scipione Maffei prima e Theodor Mommsen poi applicavano alle loro ricerche un principio
metodologico di per sé ineccepibile, sebbene severissimo: se un autore riporta un’iscrizione falsa,
tutte le altre della raccolta devono essere ritenute false o quantomeno sospette.
Falsi cartacei. Sono i falsi riportati nei manoscritti e nelle antiche edizioni a stampa. Sono
generalmente produzione di eruditi spregiudicati vissuti nel Seicento e nel Settecento, per
dimostrare, per esempio, le proprie tesi o la particolare antichità di una famiglia o di un culto,
attraverso sia l’interpolazione in iscrizioni esistenti o presenti in opere letterarie o la loro sia la pura
e semplice invenzione.
Falsi su pietra, metallo o argilla. Sono spesso realizzati su materiale antico e privo di iscrizione.
Gli scopi di realizzazione possono essere analoghi a quelli dei falsi cartacei, ma perlopiù la ragione
è commerciale.
I periodi più floridi per questo tipo di produzione sono quelli di grande fortuna del mercato
collezionistico, dunque soprattutto dalla fine dei Seicento alla prima metà del Settecento, e in
seguito a periodi di crisi sociale, politica o economica, come negli anni ’90 nella ex Jugoslavia.
Negli ultimi anni il fenomeno ha raggiunto dimensioni preoccupanti in ragione della capillare
diffusione di internet, ma anche le case d’asta spesso vendono questo genere di falsi.
Il riconoscimento dei falsi lapidei, in metallo o argilla è più semplice di quello dei falsi cartacei,
in quanto dipendente soprattutto dallo studio delle tecniche esecutive, dall’esame del testo e
dall’escussione della bibliografia.
Copie. Sono iscrizioni ricopiate su supporto antico o moderno con vari scopi, anche didattici o a
causa del deperimento dell’originale. Possono pertanto avere un certo valore ai fini del loro studio,
quando gli originali siano andati perduti. Nel CIL la copia è indicata come exemplum recens.
I calchi. Sono copie realizzate con la colatura in uno stampo ricavato direttamente dall’originale;
in passato si usava il gesso liquido, da tempi più recenti si utilizzano invece resine epossidiche,
lattice in gomma o gomma siliconica. Lo scopo può essere didattico o espositivo o motivato dalla
tutela degli originali: il loro valore, ai fini di studio, è analogo a quello degli exempla recentia.
!14
Il reimpiego. Il fenomeno si manifesta sin dal III sec. d. C., nonostante numerosi provvedimenti
legislativi, e riguarda sia monumenti anepigrafi sia iscritti, inseriti all’interno di strutture di edifici
civili o ecclesiastici. Le modalità di reimpiego sono essenzialmente tre:
a) funzionale,
b) ornamentale (con collocazioni di forte impatto visivo, spesso con la creazione di curiosi
pastiches),
c) ideologico (per esempio nelle chiese come simbolo di vittoria sul paganesimo: in questi casi
le iscrizioni sono spesso capovolte o ‘esorcizzate’ con la croce o il χρισµόν o poste
simbolicamente alla base di colonne o usate come capitelli; altre volte, se sono presenti ritratti,
vengono lavorati per far assumere loro le sembianze di martiri o santi).
I palinsesti epigrafici. Talvolta un testo viene completamente eraso, in modo che l’iscrizione sia
riutilizzabile. Il testo eraso è detto titulus prior, il testo nuovo titulus posterior; si parla anche di
palinsesto epigrafico.
Soluzioni alternative consistono nell’aggiunta del nuovo testo senza cancellare il precedente: per
esempio il nuovo testo può essere scritto nello spazio interlineare, o sulla parte posteriore del
monumento, che diviene dunque opistografo, magari capovolgendolo.

Cap. 5
L’iscrizione come documento: rilievo, schedatura, edizione

Prima fase: raccolta della documentazione

Fondamentale escussione di tutta la bibliografia reperibile sull’iscrizione, cominciando dalle


opere a stampa: sillogi epigrafiche e supplementi relativi, monografie e articoli scientifici
sull’iscrizione o sul territorio da cui provenga, carte archeologiche, quotidiani o opere divulgative
specialmente locali, qualsiasi valore scientifico abbiano, ecc.
Segue l’esame della documentazione manoscritta (partendo da quella citata in bibliografia nelle
sillogi epigrafiche).
Ricerche negli archivi e negli schedari delle Soprintendenze competenti per il territorio preso in
esame, nei musei civici (anche piccoli: vi si potrebbero trovare foto o disegni eseguiti nel passato),
negli enti di ricerca che abbiano operato nella zona; utili potrebbero essere anche gli archivi
parrocchiali o comunali e gli archivi privati, specie se appartenenti a famiglie di una qualche
importanza.
!15
Seconda fase: documentazione grafica

La fotografia delle iscrizioni. Migliorata con la fotografia digitale, che ha semplificato


procedimenti e migliorato i risultati (anche con telefoni di qualità medio-alta): permette di eseguire
riprese anche in ambienti scarsamente illuminati, di realizzare a costo zero moltissimi scatti e di
controllare immediatamente sul luogo la qualità della fotografia o se sia necessario apportare delle
modifiche, quanto a luminosità, inquadratura ecc.).
È necessario:
- eliminare delicatamente erbe o muschi o altre incrostazioni, senza staccare parti del
monumento;
- pulire il monumento con una spazzola morbida (setole vegetali o animali: mai in materia
plastica!), possibilmente evitando il lavaggio con acqua (che peraltro deve essere permesso in
uno scavo archeologico);
- collocare una scala metrica, a quadretti di 1 cm bianchi e neri alternati, di lunghezza
appropriata alle dimensioni del monumento (da 10 a 50 cm), senza coprire parte del testo o delle
decorazioni, ricorrendo eventualmente alla gomma pane o simili per il fissaggio su superfici
verticali (mai nastro biadesivo o plastilina!);
- illuminare l’iscrizione con luce radente o attendere la giusta posizione del sole, se all’esterno
(sono preferibili le ore serali), con un riflettore portatile con lampada di potenza media o un
illuminatore led (minimo 160 led) da porsi ad almeno tre metri di distanza e con un’orientazione
di circa 45° rispetto al monumento, o in alternativa un flash elettrico munito di diffusore, posto
anch’esso su sostegno e orientato a 45°, comandato da una fotocellula o collegato con l’apposito
cavo;
- disattivare il flash automatico;
- inquadrare l’iscrizione collocandosi perfettamente al centro e con la macchina parallela
all’iscrizione;
- impiegare un cavalletto o impostare la funzione che blocca eventuali vibrazioni della
fotocamera;
- avvicinarsi e allontanarsi con lo zoom ottico e non con quello elettronico, che tende a
deformare le immagini;
- inserire il dispositivo di messa a fuoco automatica;

!16
- eseguire diversi scatti, modificando leggermente distanza e angolazione della sorgente
luminosa;
- controllare subito il risultato, in particolare la leggibilità, la messa a fuoco e l’illuminazione;
- trasferire subito le immagini su un computer, in una cartella apposita;
- trasferire il prima possibile le immagini su un supporto mobile (penna USB, hard disk
portatile) e su una piattoforma cloud.
Elaborazione digitale delle immagini. È necessario:
- effettuare una copia di sicurezza di tutte le immagini in una cartella a parte (ogni modifica
registrata con lo stesso nome comporta la perdita dell’originale);
- aprire la cartella servendosi di un programma di visione delle immagini, sia commerciale sia
gratuito, in modo da effettuare una scelta delle foto da rielaborare, eliminare quelle non riuscite o
non soddisfacenti;
- aprire il file della foto con un programma di elaborazione delle immagini;
- ritagliare (non scontornare!) la fotografia, eliminando gli elementi non necessari;
- passare dalla modalità a colori alla modalità in bianco e nero;
- migliorare la foto agendo sulla luminosità e sul contrasto (un contrasto elevato consente
maggiore leggibilità, ma tende a non far vedere i dettagli);
- ridimensionare la foto, portandola ad almeno 300 pixel di definizione e ad un formato di 10 x
15 cm;
- memorizzare la foto, in formato TIFF, che conserva con esattezza tutte le caratteristiche, e in
formato JPEG, che riduce molto il peso del file ma può eliminare particolari utili a una corretta
lettura;
- dare all’immagine un nome che la renda facilmente identificabile.
La ripresa fotografica va sempre effettuata, ma può non essere sufficiente alla riproduzione
chiara e fedele del testo; l’uso della luce radente consente poi di riprodurre soltanto una parte dei
dettagli. È necessario integrare la fotografia con il disegno, il calco e il ricalco.
Il disegno. Il disegno epigrafico ha un’antica tradizione. Bisogna tener presente che si tratta di
una rappresentazione soggettiva, legata anche alle conoscenze epigrafiche di chi lo ha realizzato.
Può essere ‘diretto’, ossia realizzato sulla base dell’osservazione autoptica del monumento e in
quanto tale inevitabilmente dipendente dalle condizioni ambientali in cui è realizzato, o ‘indiretto’,
realizzato sulla base di una fotografia e in quanto tale dipendente dalla qualità di essa.
Sono frequenti i casi di lettere interpolate o omesse: il disegno va eseguito con molta cura,
dall’epigrafista medesimo o sotto la sua stretta supervisione.
!17
È sempre utile realizzare sul posto alcuni schizzi del monumento, con varie prospettive, e
dell’iscrizione da allegare alla scheda.
Il calco. Varie sono le tecniche e i materiali impiegabili per il calco epigrafico. Si tacerà qui di
quelle più invasive, oltre che meno semplici da impiegare sul campo: calco in gesso a colata, con
gomma siliconica, lattice di gomma, resine epossidiche.
Il calco cartaceo, che vanta una significativa tradizione (era la modalità prediletta da
Mommsen), è una tecnica solo apparentemente semplice. Si adagia un foglio di carta ben inumidito,
con l’eccezione di un’estremità (lasciata asciutta per poterlo maneggiare senza strapparlo), sullo
specchio epigrafico, accuratamente pulito in precedenza e bagnato con un nebulizzatore; lo si batte
con colpi sicuri, in modo che la carta penetri tutto il solco aderendovi perfettamente, ma senza
strapparsi (se ci sono bolle d’aria, vanno bucate con uno spillo e battute per farla uscire); rimuovere
il foglio una volta asciutto o farlo asciugare su una superficie rigida, senza esporlo però al sole o a
fonti di calore, perché causerebbero deformazioni durante l’asciugatura.
Consente una documentazione fedele e permette di studiare il monumento anche lontano dal
luogo in esso si trova; consente inoltre di realizzare buone fotografie della parte in rilievo (il retro) a
luce radente. È sconsigliabile nel caso di iscrizioni in pessimo stato di conservazione o su materiali
delicati o porosi. È difficile da mettere in pratica nel caso di iscrizioni particolarmente ampie, per le
quali vanno impiegati più fogli con precisi punti di riscontro, o con superfici non levigate o corrose.
In Italia è considerato un metodo invasivo, per il quale deve essere essere richiesto il parere degli
enti preposti alla conservazione del monumento.
Da evitarsi del tutto è invece il frottage, perché il foglio di rompe facilmente e la sostanza
colorante (grafite, erba, terra, carbone ecc.) rischia di finire facilmente sull’epigrafe.
Il calco con materiali plastici per modellazione (plastilina, pongo, DAS) è stata una tecnica
molto utilizzata in passato. Consiste nel cospargere l’iscrizione con talco, nel pressare sulla
superficie il materiale plastico, per poi distaccarlo ottenendo una copia al negativo, dalla quale è poi
possibile ottenere una copia fedele del monumento con gesso liquido, gomme siliconiche o resine
epossidiche. Il metodo è sconsigliabile, in quanto è applicabile soltanto ad iscrizioni con lettere ben
incavate e il rischio di distacco di materiale dal monumento è alto.
Il ricalco su acetato è una tecnica non invasiva che offre buoni risultati nel rilievo di iscrizioni su
superfici curve o molto danneggiate o nel caso di lettere evanide. Si fissa sulla superficie del
monumento un foglio di acetato o di altro materiale plastico con plastilina o nastro adesivo di carta
e con un pennarello nero con inchiostro indelebile si ricalca, lentamente e con particolare attenzione
alla distinzione fra segni casuali della pietra e segni dello scalpello, il solco delle singole lettere o,
!18
in alternativa, il loro profilo; si stacca dunque il foglio e lo si arrotola su un supporto cilindrico
rigido, evitando di stropicciarlo; rivolgendosi ad un laboratorio specializzato, si possono ottenere
dall’originale, cui si deve apporre in basso a destra una scala in centimetri, fotocopie o scansioni
digitali in scala ridotta, dalle quali si ricava un disegno da unire alla scheda che, inoltre, è già pronto
per la pubblicazione.
La rappresentazione è in ogni caso soggetta alla perizia sia di chi la ha eseguita sia di chi ne ha
realizzato la rielaborazione grafica e ai fattori ambientali nei quali è stata realizzata.
Il rilievo con il laser scanner, strumento di scansione normalmente utilizzato nell’ingegneria
civile e nel rilievo topografico e architettonico, consente di restituire una rappresentazione
tridimensionale, oggettiva e completa, perché priva di ogni interpolazione (del fotografo o del
rilevatore), i cui risultati possono essere visualizzati su qualsiasi piattaforma hardware e
memorizzati su ogni supporto digitale mantenendo l’informazione inalterata nel tempo. È altresì
possibile effettuare misure ad altissima precisione sul monumento e sulle lettere (dimensione e
profondità dell’incisione, per esempio), ruotare i punti luce nello spazio 3D, ingrandire particolari
ecc. L’unico vero ostacolo, attualmente, è costituito dai costi e dalla necessità di avere personale
altamente qualificato per svolgere queste operazioni.
La fotografia in 3D costituisce un’alternativa più economica, speditiva e accessibile. La tecnica
detta Image Base Modelling (IBM) consente di trasformare una fotografia bidimensionale in
un’immagine tridimensionale mediante l’uso di tecniche fotogrammetriche e basandosi sui principi
delle Structure for Motion (SfM; si ottiene la struttura tridimensionale di un oggetto a partire
dall’analisi dell’informazione del movimento attraverso una variabile temporale).
Se l’iscrizione che si deve schedare, invece, risulta dispersa o non più reperibile o non
accessibile al momento dell’autopsia, bisogna esaminare tutta la documentazione disponibile, che
può comprendere anche fotografie o disegni; i disegni, pur non essendo sempre fedeli, sono
comunque di notevole importanza per conoscere il tipo di monumento, apparato iconografico,
scansione in righe del testo o anche per risolvere dubbi di lettura.

Terza fase: compilazione della scheda

Lo scopo della schedatura è quello di raccogliere e ordinare tutte le informazioni reperibili che
riguardino l’iscrizione in esame. Ci si può servire di una scheda cartacea o di una elettronica,
compilabile anche sul posto.
Esistono vari tipi di schede, che sempre devono però contenere:
!19
- parole chiave o di identificazione del reperto;
- tipo di monumento e sua descrizione, indicandone lo stato (completo, mutilo di una parte, con
lacune, se è isolato o presenta frammenti e se essi sono ‘contigui’ o ‘solidali’, ecc.);
- materiale;
- stato di conservazione (danneggiamenti, fori, incassature, stuccature, scalpellature, presenza o
traccia di elementi metallici, interventi di restauro antichi o moderni; nel caso di lacune o di stato
frammentario, si deve procedere ad un’esatta descrizione e definizione);
- apparato iconografico;
- misure (altezza x larghezza x spessore, in cm; si riportano solo le misure massime);
- posizione, forma, tipo di eventuali modanature e misure massime dello specchio epigrafico, se
presente;
- altezza delle lettere (in cm, riga per riga; solo le misure massime e si segnala la misura di
eventuali lettere sormontanti o nane; nel caso in cui le lettere di una riga fossero interessate da
lacune, la misura deve essere seguita dalla dicitura ‘restanti’);
- data, luogo e circostanze del rinvenimento (prestando attenzione a non confondare il luogo di
ritrovamento con la provenienza, specie nel caso di reimpiego o di appartenenza a qualche
collezione privata o pubblica);
- spostamenti e passaggi di proprietà del monumento;
- luogo di collocazione e modalità di esposizione (sala, magazzino, giardino) ed eventuale
numero d’inventario (se il monumento è di proprietà di un ente statale o museale) ed eventuali
negativi fotografici;
- bibliografia di riferimento relativa al monumento in esame, mentre vanno definiti ‘inediti’ i
monumenti non pubblicati scientificamente;
- data dell’autopsia, riportando se si è eseguito il rilievo e con quali modalità;
- trascrizione in lettere maiuscole senza scioglimenti e integrazioni, lettera per lettera e riga per
riga, indicando posizione e forma (triangolare, circolare, hedera distinguens) dei segni
d’interpunzione;
- trascrizione interpretativa, con scioglimenti e integrazioni, usando i segni diacritici;
- apparato critico, giustificando eventuali proposte di lettura e segnalando varianti rispetto alle
fonti bibliografiche;
- analisi paleografica;
- proposta di datazione.
La trascrizione interpretativa: scioglimenti, integrazioni, segni diacritici. Vd. pagg. 137-139.
!20
La datazione. Si basa su elementi interni o esterni all’iscrizione stessa.
Elementi interni sono:
- datazione consolare—> consoli eponimi (primi due dell’anno; raramente si indicavano i
consoli suffetti); dalla fine del IV sec. d. C. entra in uso la fomula post consolatum (spesso con
siglia PC) seguita dal genitivo dei due consoli eponimi (o di uno dei due) dell’anno precedente;
- analisi della titolatura imperiale;
- menzione di magistrati locali eponimi;
- era provinciale e locale—> gli anni trascorsi dalla data, vera o presunta, dell’istituzione della
provincia o della deduzione della colonia, o della fondazione della città;
- indizione—> ciclo di quindici anni a partire dal 313 d. C.; è più frequente nell’epigrafia
cristiana;
- riferimenti ad avvenimenti, a personaggi, a istituzioni civili e militari, a cariche pubbliche, a
culti databili in base ad altra iscrizioni o ad altre fonti (numismatiche, letterarie, papirologiche).
Altri elementi di datazione interna, da impiegare con cautela, sono:
- elementi dell’onomastica;
- formule ed abbreviazioni (per esempio l’adprecatio agli dei Mani compare per esteso come
Dis Manibus tra la fine del I sec. a. C. e la prima metà del I sec. d. C., come DM dalla seconda
metà del I sec. fino al IV d. C.);
- lingua e stile (prestando attenzione, per esempio al fatto che alcune forme arcaiche, come i
genitivi e i dativi in -ai, possono in realtà essere impiegate a fini stilistici come arcaismi, anche in
iscrizioni del II sec. d. C.).
Elementi esterni sono:
- tipo di monumento (alcune classi di monumenti iscritti sono state oggetto di dettagliati studi
che hanno portato all’elaborazioni di cronologie piuttosto ristrette);
- iconografia (tenendo conto di fenomeni come l’ ‘attardamento’ o la rielaborazione in ambito
locale);
- aspetti paleografici (le uniche lettere databili con sicurezza sono le lettere claudiane e quelle
usate da Furio Dioniso Filocalo nel IV sec., al tempo di papa Dàmaso I, che usava lettere
particolarmente eleganti in numerose iscrizioni cristiane: è facile confondere la qualità delle
lettere realizzate con l’appartenenza ad un’epoca);
- materiale: la data d’introduzione o di diffusione di un particolare litotipo può essere
impiegata, con cautela, come terminus post quem;

!21
- contesto architettonico (prestando attenzione al fatto che l’iscrizione debba essere coeva
all’edificio su cui è posta);
- contesto archeologico (dati derivanti dalla stratigrafia dei materiali rinvenuti insieme
all’epigrafe), soprattutto nel caso di instrumenta inscripta.

Cap. 7
Le carriere

Età repubblicana. Cursus honorum regolato dalla Lex Villia annalis (180 a. C.) e dalla Lex
Cornelia de magistratibus (82 a. C.): QUAEST, AED/AID/AEDIL oppure TRIB PL/TR PL,
PRAET/PR, COS; prima però: una carica del vigintivirato (decemviristilitibus iudicandis,
quattuorviri viarum curandarum, triumviri capitales, triumviri monetales) e poi quella di tribunus
militaris laticlavius.
In età imperiale Augusto prima (18-13 a. C.) e Caligola poi (38 d. C.) separano senatori e
cavalieri e i rispettivi cursus honorum. Per entrare in uno dei due ordines sono posti requisiti
censitari (1.000.000 di sesterzi per senatori, 400.000 per i cavalieri) e morali e civici. Possibilità di
ingresso di un cavaliere nell’ordine senatorio mediante l’adlectio (nomina diretta da parte di un
magistrato o per deliberazione straordinaria del senato).
Cursus honorum senatoriale in età imperiale. Aver ricoperto una delle quattro cariche del cursus
honorum in età imperiale consente l’accesso ad incarichi di vario tipo; si distinguono viri
quaestorii, praetorii e consulares. Per esempio, i praetorii potevano essere nominati quaestorii
legati pro praetore o quaestorii imperatoris (QUAEST LEG PR PR o QUAEST IMP), i consulares
proconsoli (PROCOS) o curatores (per esempio CUR ALV TIB ET RIP, da Settimio Severo CUR
ALV TIB ET RIP ET CLOAC URB, oppure CUR VIAE/VIAR oppure LEG AUG PR PR PROV
oppure PRAEF URB); ai senatori erano accessibili diversi incarichi sacerdotali (AUG augur o
PONT).
Prima della carriera il tribunato militare laticlavio poteva essere sostituito da un anno di servizio
presso un’amministrazione pubblica. A giovani facoltosi l’imperatore talora affidava, prima della
questura e al di fuori del vigintivirato, il ruolo di seviri equitum Romanorum (VIVIR EQ R), con
funzioni censitarie in occasione della transvectio equitum. Per il cursus vero e proprio vd. pag. 172.
I designati dall’imperatore ad una carica sono indicati come candidatus (CANDID, CAND, C,
KAND, K).

!22
Consolato: entrata in ruolo dei consoli eponimi il 1 gennaio, designazione dei suffetti il 9.
Distinzione fra COS, COS DES e COS SVF.
Fine della censura in età imperiale. Fino a Domiziano la esercita l’imperatore, poi gli imperatori
affidano ad alcuni senatori la cura ad census accipiendos.
Abbreviazioni di appartenenti a famiglie senatorie:
CV clarissimus vir
CF clarissima femina
CMV clarissimae memoriae vir
CI clarissimus iuvenis
CP clarissimus puer/clarissima puella
Cursus honorum equestris. In età repubblicana classe censitaria di tutti coloro che potevano
permettersi un cavallo e la relativa armatura. Plebiscito claudiano (238 a. C.) inibisce i senatori
dall’esercizio di attività commerciali e dagli appalti pubblici. Possibilità di essere cavalieri con
cavallo pubblico (EQ P/PUB), che da cavallo da guerra mantenuto dallo Stato diviene simbolo
dell’appartenenza all’ordo equestris in età imperiale, con l’anello d’oro, la vesta ornata di
angusticlavius e altro.
Sostanziale divisione in tre gruppi, corrispondente all’ordine del cursus:
a) milizie equestri (cariche militari propedeutiche) e incarichi giudiziari; PRAEF FABR
(comandante di truppe grossomodo corrispondenti all’odierno genio; da taluni considerato una
milizie vera e propria), poi milizie vere e proprie (PRAEF PR COH, TRIB MIL LEG, PRAEF/
PR ALAE, TRIB MIL VIGIL/URBAN/PRAET, PR);
b) procuratele (stipendio annuale da 60000 a 300000 sesterzi: sexagenarii, centenarii,
ducenarii, trecenarii; molti tipi diversi di incarico, con carriere non sistematiche, per esempio a
bibliothecis, ab epistulis Graecis, ab epistulis Latinis, procurator aquarum, praefectus classis
Germaniae ecc.);
c) prefetture (vigilum, annonae, praetorii, Aegypti, stipendio annuale da 300000 a 500000
sesterzi).
Possibilità di accedere a sacerdozi riservati ai cavalieri.
Abbreviazioni:
EV egregius vir (uso corrente da Adriano)
EMV egregiae memoriae vir
VP vir perfectissimus (per praefecti annonae, classis, Aegypti, dai Severi anche per procuratori
di grado elevato)
!23
VE vir eminentissimus (per praefectus praetorii da Marco Aurelio)
A partire dal IV sec. Nuova gerarchia:
a) VC viri clarissimi
b) VC ET S, C ET SP viri clarissimi et spectabiles
c) VC ET INL, C ET INL viri clarissimi et inlustres
Il cursus honorum diventa unico, per la sempre più frequente pratica dell’adlectio.
Carriere locali. Grande autonomia delle entità locali, ma imitazione delle istituzioni di Roma.
Età repubblicana:
a) colonie latine: questori, edili, pretori e censori in numero variabile, i ‘consoli’ locali erano
detti duoviri;
b) colonie romane: in origine, dato il piccolo numero di coloni, solo due praetores, a partire da
un certo periodo detti anche praetores duoviri, a partire dal I sec. a. C. duoviri e le magistrature
meno rilevanti sono costituite da aediles e quaestores;
c) municipi: prima della guerra sociale (91-88 a. C.) magistrature simili a quelle di Roma
(dictator, aediles, praetores) e in alcuni casi octoviri (Amiternum, Interaemna Praettuttiorum,
Nursia, Trebula Matuesca); dopo la guerra sociale, a parte casi di duoviri in municipi dell’Italia
meridionale (quasi certamente di origine locale), diffusione di un sistema con quattuorviri
(IIIIVIR), due iure dicundo (IVR DIC, I D) due aedilicia potestate (AED POT, A P) o aediles.
Età imperiale:
a) colonie: normalmente due duoviri + due aediles,
b) municipi: quattuorviri, due iure dicundo + due aedilicia potestate.
Con il censimento, che avveniva ogni cinque anni, i duoviri e i quattuorviri venivano detti
quinquennales (QVINQ, QQ). Nel caso in cui uno di questi magistrati si assentasse oppure quando
la magistratura veniva conferita a titolo onorifico dall’imperatore o a un membro della domus
Augusta, si parlava di praefectus, che poteva essere iure dicundo o iure dicundo quinquennalis.
Un’importante carica locale, che si qualificava come munus, era quella di quaestor, detto talora
curator arkae (CVR ARK) o curator pecuniae publicae (CVR P P): compito di amministrazione
della cassa cittadina. Al termine del mandato ingresso nell’ordo.
Ordo: senato locale, costituito da decuriones (DEC, D), in numero variabile da città a città.
Cursus honorum locale: QUAEST, AED o IIIIVIR AED POT (o A P), IIVIR o IIIIVIR IVR D (o
I D). La carriera si concludeva con l’ingresso nell’ordo decurionum, in casi particolari con l’avvio
della praefectura fabrum e quindi della carriera equestre.

!24
Gerarchicamente intermedio fra il populus e i decuriones era l’ordine dei seviri Augustales
(SEXVIR AVG, VIVIR AVG, IIIIIIVIR AVG) o sexviri.
Sacerdozi locali, con gli stessi nomi di quelli di Roma: pontifices (PONT), augures (AVG),
flamines (FLAM, F) e flaminicae (FLAMINIC, FLAM, F), che si curavano del culto di divinità
tradizionali o, soprattutto, del culto imperiale.

Cap. 8
Tipologie di iscrizioni e loro classificazione

Iscrizioni sacre = dedica a divinità, a volte ricordano l’erezione di un edificio sacro


elementi caratteristici:
a) dativo (o gen.) + SACRVM/SACR/SAC (+ epiteti, come augustus, aeternus, dominus,
magnus ecc.)
b) nominativo del dedicante (a volte con elementi del cursus e con altri elementi della famiglia)
c) motivo della dedica: ex iussu, ex monitu, ex imperio, ex visu, somnio admonitus, pro salute,
valetudine recuperata, gravi morbo liberatus
d) verbo: D(edit), D(ono) D(edit), F(ecit), FAC(iundum) CUR(avit), P(osuit), V(otum) S(olvit),
V(otum) S(olvit) L(ibens) M(erito), V(otum) S(olvit) L(aetus) L(ibens) M(erito)
A volte si precisa il luogo di erezione (in foro, in templo, loco dato decreto decurionum, solo
privato), rara l’indicazione cronologica.
Solitamente grande semplicità in età repubblicana, maggior complessità in età imperiale;
rilevanza delle decorazioni a bassorilievo nelle iscrizioni a Mitra (soprattutto sacrificio del toro).

Iscrizioni magiche = legate a pratiche magiche


Varie tipologie:
a) Sortes:
a) tavolette o bastoncini a sezione quadrangolare in legno, osso o metallo,
b) frasi ambigue o oscure;
c) impiegate in vario modo in occasione della consultazione di un oracolo;
d) i due gruppi più noti provengono da Fornovo (Parma) e da ‘Bahareno della
Montagna’ (forse vicino a Padova) e queste ultime presentano un foro, forse per una
cordicella.
b) Defixiones o defixionum tabellae (defigo “inchiodo, immobilizzo (un nemico)”):
!25
a) lamine in piombo con il testo (spesso corsivo) di una maledizione (come ‘messaggio’ per
gli dei Mani) redatto da uno stregone, ripiegate più volte e trapassate da un chiodo, gettata
in tombe, corsi d’acqua, nel mare o in sorgenti termali;
b) elementi caratteristici: il nome della persona, solitamente con patronimico o perfino
matronimico (necessità di identificarla chiaramente), formule di maledizione con vbb. come
deprimere, occidere, vulnerare, cruciare, nome della divinità o dei demoni;
c) sostanzialmente contro 1) ladri e calunniatori, 2) rivali in amore, innamorati o coniugi
fedifraghi o che abbandonano, 3) aurighi, cavalli da corsa e gladiatori, 4) rivali o testimoni
in un processo;
d) a volte accompagnate da sigilla, figurine in argilla, piombo, cera, lana o altre fibre, talora
contenenti elementi organici della vittima;
e) pena capitale (decollazione, crocifissione o damnatio ad bestias a seconda dello status).
c) Defixiones: preghiera a una divinità, non necessariamente infera, per chiedere giustizia per
qualche torto subito; nome della divinità, esposizione dell’accaduto, promessa di una
ricompensa.
Per difendersi dalle pratiche magiche si usavano i φυλακτέρια, striscioline di papiro o di metallo
prezioso con formule di invocazione, arrotolate e inserite in capsule da portare al collo.

Iscrizioni onorarie = in onore di un individuo


Di solito sulla base di statue o su colonne o archi.
Età più antica: nom. dell’onorato + cariche rivestite + resoconto delle imprese compiute; si
differenziano dagli elogia funebri solo per il diverso contesto.
Elementi caratteristici:
a) dat. dell’onorato (a volte nom. o acc.);
b) personaggio o istituzione che ha posto l’iscrizione;
c) motivi della dedica (per es. patronus optimus, H(onoris) C(ausa), ob eximium amorem erga
cives, ob merita, ob insignem munificentiam, pro pietate sua, quod templum longa vetustate
delapsum sua pecunia restituerit);
d) il tipo di monumento (statua, signum, arcum);
e) vb. come F(ecit), P(osuit), conlocavit, decrevit.
A volte anche LDDD (locus datus decreto decurionum), in foro, DD (decreto decurionum), PEC
PUB/PP (pecunia publica), publice, ex aere collato, pecunia sua, HCSPP (honore contentus sua
pecunia posuit), HVIR (honore usus impensam remisit).
!26
Nelle iscrizioni onorarie per un imperatore solitamente ci sono i solchi delle lettere metalliche;
talora scalpellatura del nome per damnatio memoriae; linguaggio formale, stereotipato e enfatico.

Iscrizioni su opere pubbliche = per ricordare ricostruzioni, restauri o ampliamenti


In questo ambito rientrano anche tutte le iscrizioni relative alle infrastrutture, inclusi i miliari.
a) nome/i di chi ha curato la costruzione dell’opera o privati che l’hanno finanziata, in età
imperiale era permesso incidere solo il nome dell’imperatore o del finanziatore (Digesto, L, 10);
b) tipo di edificio;
c) vbb. come facere, faciundum curare, reficere, renovare, restituere, probare (eseguire il
collaudo);
d) ob honorem, ob benevolentiam civium, in memoriam, nomine;
e) SP (sua pecunia), PP (pecunia publica), pecunia fanatica;
f) a volte EX S C (ex senatus consulto), DD, iussu imperatoris, TFI (testamentum fieri iussit),
LDDD o in foro.

Iscrizioni sepolcrali
Le più frequenti, grande varietà di supporti e tecniche scrittorie.
Spesso decorazioni con raffigurazioni di utensili (archipenzolo, squadra, compasso, pes, dal
valore simbolico spesso non chiaro) o ritratti dei defunti o scene di vita quotidiana.
Sono sepolcrali anche le iscrizioni relative al recinto della sepoltura o che indicano le modalità di
accesso al sepolcro (eventuali servitù di passaggio).
Esistenza di iscrizioni sepolcrali per animali (solitamente cani e cavalli; in quest’ultimo caso a
volte erano gli amatores che ricordavano i fantini per cui tifavano).
Scopo: non far cadere nell’oblio il defunto; rimanere sine nomine, sine titulo era considerata cosa
peggiore della morte stessa (frequenti inviti a fermarsi a leggere, panchine vicino al sepolcro).
Contenuti vari, in relazione al messaggio che si voleva lasciare di sé.
Sacralità della sepoltura: res religiosa, consacrata agli dei Mani (D M (S)= Dis Manibus
(sacrum), per esteso fino alla metà del I sec. d. C., abbreviata dalla seconda metà del I al III).
a) Nome del defunto al nom., sottinteso H S E (hic situs est), a volte con V F (vivus/a fecit, vivi
/ae fecerunt) se il sepolcro è stato realizzato già quando erano vivi;
b) ossa o cineres o L M (locus monumenti) o L S (locus sepolturae) o adprecatio agli dei Mani
o, a partire dal III sec. d. C. B M (bonae memoriae) o M/Q AET (memoriae o quieti aeternae) +
nome del defunto al gen.;
!27
c) nome del defunto al dat. (dedica al defunto).
Si possono trovare anche altri elementi: condizione giuridica del defunto; luogo di nascita, di
domicilio o di residenza; professione o mestiere svolto; per i soldati, unità di appartenenza e
servizio svolto; per i magistrati locali e romani, cursus; sacerdozi, eventuale appartenenza a un
collegio e cariche ricoperte al suo interno; V ANN o V A (vixit annis); vincoli di parentela e
amicizia; aggettivi come amabilis, bene merens, carus, castus, dulcis, fidus, frugi, honestus ecc.;
circostanze della morte; saluti ai passanti (salve, vale) o espressioni rivolte al defunto come S T T L
(sit tibi terra levis) o O T B Q (ossa tua bene quiescant); riflessioni sulla vita e sulla morte, spesso in
versi.
Le iscrizioni sepolcrali possono contenere l’indicazione delle misure sulla fronte e in profondità
(IN FRONT PED, IN FR PED; IN AGR PED, IN A P; RETR PED, RP retro pedes; Q Q V P
quoquoversus pedes); L D D D o D D, P, solo privato, ex arbitratu, permissu; il testamento o parti di
esso relative alla costruzione del sepolcro; donazioni testamentarie relative alla cura e gestione del
sepolcro o partecipazione a feste dedicate ai defunti (Violaria, Rosalia, Vindemialia, Parentalia); H
M H N S hoc monumentum heredem/heredes non sequetur o proibizione di introdurre altri defunti o
di saccheggiare il sepolcro; minacce o maledizioni contro eventuali violatori della sepoltura o
contro coloro che la usassero come latrina.

Iscrizioni parietali
Possono essere tituli picti o graffiti.
I tituli picti:
a) vernice rossa o nera sui muri, prima imbiancati con intonato (dai dealbatores), realizzate da
scriptores, spesso in scrittura actuaria;
b) contenuto: edicta munerum (annunci di spettacoli gladiatorii), annunci economici (per es.
proposte di affitto), promesse di ricompensa per oggetti perduti o ritrovati, insegne di bottega,
ma soprattutto candidatorum programmata;
c) importanza delle testimonianze pompeiane;
d) caratteristiche dei programmi elettorali: nome del candidato, carica a cui aspirava, O V F
(oro vos faciatis, spesso lettere unite in nesso), a volte indicazioni come V B (vir bonus) o D R
P (dignus rei publicae) e eventuale indicazione di sostenitori (personaggi singoli o gruppi di
lavoratori, come aurifices, caupones, muliones, pomarii, thurarii).
Ci sono però anche iscrizioni con sostenitori come i dormientes o i furunculi o i seribibi. Altre
volte si invita a non cancellare i manifesti, con la minaccia di futuri malanni.
!28
I graffiti
Fenomeno ricordato anche nelle fonti letterarie, corrispondono ai nosti graffiti.
Non soltanto un’antica toilette literature, ma soprattutto ‘letteratura di strada e piazza’, forma di
esecuzione nella quale esecutore e ideatore coincidono. Importante anche per studiare il livello di
alfabetizzazione della società romana o la diffusione di opere letterarie.
Lingua: sermo vulgaris, diastraticamente marcata; molti prestiti, soprattutto dal greco. Gli
‘errori’ ortografici sono spesso la spia di usi linguistici locali.
Scrittura: normalmente corsiva. La grafia risente della cultura del suo autore, della sua
condizione sociale, del suo stato d’animo, della collocazione del graffito, dello strumento
impiegato.
Varie tipologie:
a) tituli memoriales: si vuole lasciare memoria di sé, traccia del proprio passaggio, ricordare
momenti piacevoli o avventure sessuali vissute in quel luogo, o viaggiatori che esprimono
ammirazione per qualche monumento visitato; a volte accompagnati da ritratti o caricature;
b) invettive, saluti, acclamazioni (questi ultimi solitamente a imperatori o figure importanti o
anche a intere comunità);
c) sportivi, che riflettono la grande passione per i giochi gladiatorii o le corse di cavalli, a volte
con disegni dei beniamini del momento;
d) notazioni di vita quotidiana (conti, liste della spesa, promemoria, calendari, elenchi dei
giorni di mercato, noia espressa dai soldati durante i turni di guardia nelle caserme, avvisi di
prostitute);
e) amorosi (qui si nota la più ampia e singolare varietà di registri, da espressioni colte a
espressioni colorite sconfinanti nella pornografia, a seconda della condizione dell’innamorato);
f) scuola e reminiscenze scolastiche: scritti da studenti o docenti, spesso sono versi delle grandi
opere, a volte parodie di essi, altre volte giochi di parole o versi palindromi (mnemotecniche
tipiche della scuola romana);
g) religiosi: sulle pareti dei templi, dei santuari o di piccoli sacelli campestri o anche nelle case
private, vicino a larari o altari privati. Quando consistono solo nel nome del fedele, si
distinguono dai tituli memoriales unicamente per il contesto.

Iscrizioni rupestri
Iscrizioni in montagna, in luoghi poco facilmente raggiungibili o su grandi massi erratici, perciò
poco studiate, se non a partire dagli studi di Lidio Gasperini. Difficoltà a effettuare calchi e a
!29
reperire le fonti: spesso riviste locali a scarsa diffusione e con scarsa attendibilità scientifica (al
punto che letture errate sono finite anche nel CIL, con iscrizioni non rupestri scambiate per rupestri
o iscrizioni su cippi o lastre scambiate per rupestri). A volte il toponimo in cui si trovano ne indica
la presenza (Pietrascritta, Sasso Scritto, Sasso della Strega, Fantiscritti).
Contenuto: analogo a quello di quasi tutte le altre tipologie di iscrizioni.

Iscrizioni musive
Iscrizioni inserite in mosaici, molto diffuse dal III sec. a. C. fino alla tarda antichità.
Contenuto: testi appartenenti a quasi tutte le tipologie di iscrizioni, sia in edifici pubblici che
privati; a volte didascalia dell’immagine raffigurata nel mosaico.

Iscrizioni metriche
Iscrizioni con il testo in versi; in larghissima maggioranza iscrizioni funebri (spesso inviti al
passante a fermarsi e a leggere). A volte citazioni, non sempre corrette, di autori come Virgilio o
Ovidio. Più rare le iscrizioni sacre.
A volte parte in prosa solitamente all’inizio o alla fine, con i dati anagrafici e bibliografici del
defunto, mentre parti significative della vita o le convinzioni religiose o filosofiche venivano
espresse nella parte in versi.
Grande ricorrenza di formule anche in contesti geograficamente distanti: probabile esistenze di
formulari o album predefiniti nelle officine epigrafiche.

Atti pubblici e privati


Gli atti pubblici solitamente su tavole bronzee.
L’epigrafia giuridica costituisce un ambito di studio a sé stante, per la grande varietà e
testimonianza di iscrizioni che la riguardano.
Leggi
Una lex poteva essere: rogata (sottoposta a voto), dicta (stabilita da un magistrato che dicebat
legem), data (una legge rogata imposta dall’esterno a una città o provincia).
Struttura della legge:
a) index: nome della legge, derivato dal nome del magistrato proponente (o dei due magistrati,
nel caso di una lex consularis);
b) praescriptio: nome/i del/i magistrato/i proponente/i, data e luogo di approvazione da parte
dei comizi, nome della prima tribù chiamata al voto;
!30
c) rogatio: testo della proposta avanzata dal magistrato, talora distinto in paragrafi;
d) sanctio: pene per chi violasse la legge e norme transitorie per la regolazione dei rapporti con
la legislazione esistente.
Senatus consultum
Decreti o delibere del senato romano, con forza di legge; includono decisioni in caso di arbitrato
per controversie internazionali, allargamenti del pomerium o sorveglianza delle rive del Tevere.
Struttura:
a) praescriptio: nome/i del/i senatore/i proponente/i, data e luogo di approvazione;
b) relatio: testo della questione sottoposta al senato, solitamente iniziante con Quod verba facta
sunt de illa re e terminante con Q D E R F P quid de ea re fieri placet;
c) sententia: comincia con D E R I C de ea re ita censuerunt, segue la deliberazione del senato,
divisa in paragrafi introdotti dalla congiunzione utei

Documenti redatti dall’imperatore


Il potere legislativo è esercitato dall’imperatore sia indirettamente, attraverso le leges rogatae e i
senatus consulta, mediante un’oratio principis, sia direttamente mediante le constitutiones, che
potevano essere:
a) edicta, disposizioni di carattere generale con forza di legge;
b) decreta, con le sentenze emesse dall’imperatore in quanto giudice;
c) mandata, ordini e disposizioni impartiti ai funzionari;
d) epistulae e rescripta, indirizzate le prima a magistrati e funzionari e le altre a privati
cittadini, in risposta ai loro quesiti.

Diplomi militari
Ricevuto al termine della ferma dai soldati che avevano prestato servizio nelle coorti pretoriane e
urbane, nelle truppe ausiliarie, nella flotta e che avevano ricevuto l’honesta missio (congedo
onorevole), era il documento con cui l’imperatore faceva particolari concessioni (per esempio
diritto di matrimonio per pretoriani e urbaniciani o cittadinanza romana per i peregrini). Pare che i
soldati legionari non ricevessero tali privilegi, salvo pochi casi noti di soldati provenienti da legioni
costituite da uomini originariamente facenti parte della marina (legio I Adiutrix e legio II Adiutrix).
La disposizione veniva scritta su una tavola bronzea, affissa fino all’88 d. C. in Campidoglio, dal
90 dietro il tempio del divino Augusto, con i nomi dei soldati beneficiari; ogni soldato riceveva un
estratto del documento ufficiale, il diploma militare (δίπλωµα “piegato due volte”), costituito da due
!31
tavolette bronzee unite da un triplice filo metallico che passava attraverso i fori predisposti e
ricoperto dai sigilli di sette testimoni garanti. Il testo era all’interno di seguito sulle due tavolette ed
esternamente solo su una delle due, con caratteri ridotti, in modo che se fosse stato necessario
verificare la conformità di un testo con l’altro lo si potesse fare dopo aver rotto i sigilli.
Scrittura omogenea, con nome dell’imperatore, elenco delle unità interessate dal beneficio,
provincia di guarnigione per gli ausiliari, nome del comandante, meriti acquisiti, carattere dei
privilegi concessi, data, nome/i dei beneficiari, luogo di affissione dell’originale, elenco dei sette
testimoni garanti.

Documenti emanati da città


Documenti emanati dai decurioni, con la stessa struttura dei senatoconsulti; liste dei decurioni;
leggi e disposizioni relative a appalti e concessioni; tabulae patronatus con cui si conferiva il
patrocinium a qualche membro della comunità locale (l’onorato l’affiggeva nella propria casa);
piante catastali della città e del territorio, esposte pubblicamente, redatte a fini amministrativi e
fiscali.

Fasti e calendari
Fasti: elenchi dei giorni fasti, indicati con F, distinti dai giorni nefasti, indicati con N, e dai giorni
comitiales, indicati con C. Gli intercisi o endotercisi erano fasti solo nelle ore centrali della giornata
(IN, EN).
Sia su intonaco sia su lastre bronzee.
Prima colonna con le prime otto lettere dell’alfabeto (litterae nundinales), per indicare ogni nono
giorno la data delle nundinae (il giorno di mercato).
Seconda colonna con KAL (kalendae), NON (nonae), EID o ID (idus), seguite dalla nota diei
(indicazione se il giorno era fasto, nefasto, comiziale ecc.); seguivano le indicazioni delle feste
religiose.

Fasti consolari e trionfali


Fasti erano anche gli elenchi dei magistrati, soprattutto quelli eponimi.
Varie tipologie: fasti consulares (nomi dei consoli, dei dittatori, dei magistri equitum, dei tribuni
militari con potere consolare, dei censori), fasti trionfali (insigniti del trionfo, con data e luogo e
nomi dei popoli sconfitti, a volte con indicazioni come l’avvenuta uccisione del comandante
nemico).
!32
Su lastre bronzee o lapidee, sia a Roma sia altrove.

Atti privati
Generalmente venivano scritti su tabellae ceratae, quindi in larghissima parte perduti, legate,
unite e chiuse da un sigillo apposto da un testimone. Ritrovati perlopiù nell’impianto minerario di
Alburnus Maior (Romania), in Campania, soprattutto nei centri dell’area vesuviana.
Tra questi ultimi, grande interesse dei documenti relativi all’attività del banchiere Lucius
Caecilius Iucundus e quelli dell’archivio puteolano dei Sulpicii.

Cap. 9
L’instrumentum inscriptum

Instrumentum inscriptum: sostituisce instrumentum domesticum, espressione usata dalla II metà


dell’800, a sottolineare la non minore potenzialità informativa di queste fonti.
Grande varietà di supporti: anfore, lucerne, laterizi, vasellame in ceramica e metallo, lingotti,
tubature d’acquedotto (fistulae), timbri (signacula), strumenti di misurazione, etichette, armi, ceppi
d’ancora, attrezzi da lavoro, strumenti di misura, strumentario chirurgico, macine da mulino, matrici
e stampi, salvadanai, notae lapicidinarum, strumenti scrittori, utensili da cucina, suppellettili da
mensa, oggetti di ornamento e da toeletta, strenne beneauguranti, tesserae, tavole da gioco ecc.
NON defixiones, devotiones, phylakteria e sortes (tradizionalmente cosiderate instrumenta
inscripta, sono però iscrizioni magiche!).
Grande varietà di materali impiegati.
Grande varietà di tecniche scrittorie.

Studi sull’instrumentum inscriptum.


Cinquecento: Pirro Ligorio (disegni di tegole con marchio di fabbrica e di tubi di acquedotto
iscritti, con dati di scavo) e Martin Smetius nella sua silloge; prima sezione esclusivamente dedicata
a iscrizioni operum et locorum publicorum nel Corpus di Jan Gruter, con fistulae aquariae e bolli
doliari e poco altro.
Seicento: dai primi anni del Seicento gli oggetti iscritti di piccole dimensioni e impiegati nella
vita quotidiana vengono raccolti nelle Wunderkammern dai collezionisti.
Raccolte di disegni, ‘musei cartacei’, di pezzi di varie collezioni, come il Museum chartaceum di
Cassiano dal Pozzo.
!33
Primi cataloghi, come le Antiquitates suppellectilis portiuncula di Paul Pétau o le Note overo
memorie del Museo di Lodovico Moscardo.
Primi studi monografici, come lo studio sulle tesserae hospitalitatis di Giacomo Filippo
Tomasini (1647) o quello dedicato alle lucerne di Fortunio Liceti (1621 e 1652).
Nella silloge di Raffaello Fabretti tutto il VII cap. è dedicato all’instrumentum inscriptum.
Settecento: persiste nella prima metà del sec. l’atteggiamento che vede nell’instrumentum
inscriptum oggetti di curiosità.
Importanti raccolte di Muratori e Maffei: il primo pubblica instrumenta inscripta senza
commento e alla rinfusa nel Novus Thesaurus, il secondo dedica uno spazio autonomo nel Museum
Veronense, ma limitato a tre marchi su tegola, quindici signacula, e qualche esempio di vasellame
bronzeo.
Francesco Bianchini e Bernard de Montfaucon costituiscono un’eccezione: il primo raccoglie
calchi di marchi su laterizi trovati a Roma, rimasti purtroppo inediti, il secondo non solo pubblica,
ma fa anche considerazioni di carattere economico-sociale.
Gaetano Marini: primo vero cambiamento nell’approccio, con la preparazione di uno studio
(1798-99) dedicato a ‘acquedotti di piombo’, ‘antiche iscrizioni doliari’ e ‘sigilli di bronzo’ che
rimane inedito fino al 1884, quando Giovan Battista de Rossi e Heinrich Dressel pubblicano i primi
due.
Ottocento: aumento di interesse, soprattutto nella II metà del sec.
Nel CIL, anche se Mommsen non pensa a una sezione specifica per l’instrumentum, vengono
inseriti manufatti di ogni genere, editi in base al contenuto.
Heinrich Dressel: prima significativa svolta, nell’ambito del CIL (due tomi del vol. XV, editi da
Dressel, soprattutto pars III del II tomo). Dressel pone le basi dello studio scientifico delle iscrizioni
su anfore e delle anfore stesse intese come loro supporto (imprescindibile ancora oggi la tabula II
riservata alle forme delle anfore).
Novecento: Tuttavia persistere di un certo pregiudizio su questa ‘epigrafia minore’, anche nel
Novecento, nonostante la sua rilevanza negli studi di storia economico-sociale.
Ripresa di vigore a partide dagli anni ’70, con numerosi convegni. Emersione di due problemi:
necessità di competenze approfondite sia in ambito archeologico, archeometrico e tipologico sia
epigrafico (problema risolvibile solo con stretta collaborazione di archeologi ed epigrafisti),
mancanza di strumenti di consultazione aggiornati, a fronte di numerosissimi esempi (ci sono
praticamente soltanto il CIL e Corpus vasorum Arretinorum, giunto alla II ed., CVArr). Strada
praticabile è dunque costituita dall’approntamento di corpora dedicati a specifiche classi di
!34
materiali o cataloghi di singole collezioni museali oppure la schedatura informatizzata dei materiali
conservati in ambito regionale o nazionale per la costituzione di banche dati online.

Modalità di schedatura di instrumenta inscripta (vd. pp. 236-239)

Tipologie
Impossibili da indicare tutte, qui solo un elenco delle principali.
Laterizi. Produzione molto importante nell’economia del mondo romano per la soddisfazione
della richiesta del settore edile.
Marchi impressi prima della cottura, iscrizioni tracciate a mano prima della cottura, graffiti,
molto raramente tituli picti. I marchi possono essere a lettere incavate o rilevate, con un cartiglio
che può essere rettangolare o a tabula ansata, semicircolare (talora con orbicolo interno), circolare
(senza orbicolo, talora con centro rilevato), lunato (con orbicolo che oltrepassa il centro), orbicolare
(anche con centro rilevato). Per figure vd. p. 240.
L’uso di imprimere marchi si diffonde già in età repubblicana, con nomi di divinità o di
magistrati provinciali o locali, in relazione all’edificazione di edifici cultuali o di carattere civile;
all’inizio del principato cominciano a diffondersi i marchi con i nomi di privati cittadini,
probabilmente i proprietari delle cave di argilla e degli impianti di produzione, uniti a quelli degli
officinatores (servi o liberti) che si curavano di condurre materialmente l’attività produttiva. Nomi
solitamente al gen. (sott. tegula), abbreviati (spesso con tre lettere in nesso) o per esteso: sovente
difficile interpretazione; oppure derivato del gentilizio del proprietario in -ana (per es. Cinniana).
Interpretazione non univoca (anche perché solo una percentuale limitata di laterizi era
contrassegnata): forse sistema per riconoscere i propri lotti avviati a una fornace comune o a un
metodo con cui il dominus o l’amministrazione locale o statale controllava tutta la filiera produttiva
o una forma di garanzia del prodotto.
Iscrizioni tracciate a mano libera prima della cottura: notazioni sovente accompagnate da
numerali, relative alle varie fasi della produzione.
Graffiti: anch’essi perlopiù con numerali, per operazioni di stoccaggio, trasporto e vendita.
Rari tituli picti: spesso indicazioni numeriche applicate in magazzino o nelle fasi di posa in
opera.
Inoltre i laterizi costituivano spesso l’opportunità di prove di scrittura epigrafica, motti spiritosi,
invettive, trascrizione di versi famosi.

!35
Bolli doliari urbani. Sono quelli a lettere rilevate (più raramente incavate) impressi con un
punzone in legno o in metallo prima della cottura sui laterizi e su altri manufatti in ceramica (dolia,
mortaria, fistulae lavorati nelle medesime officine), prodotti nelle fornaci del bacino meridionale
del Tevere e impiegati nelle costruzioni di Roma e delle località vicine (sopratutto Ostia), più
raramente in altre città sulla costa tirrenica.
Questo tipo di marchio presenta caratteristiche proprie a partire dalla metà del I sec. d. C.:
cartigli circolari, semicircolari o lunati; verso la fine del sec. e fino ai primi decenni del III sec. d. C.
(fino a quando cioè rimangono in uso) cartiglio orbicolare con scrittura da sinistra a destra. Nel
tempo, progressiva riduzione dell’orbicolo e aumento delle righe del testo.
Elemento che possono comparire nel testo: opus doliare (il laterizio; a volte compare il termine
tegula), i praedia (proprietà) o le figlinae (cave di argilla? officine?), nome del proprietario o dei
proprietari (a volte nome prediale in -anum), il termine officina, il nome dell’officinator, il nome di
un negotiator, la datazione con la menzione di una coppia consolare.
Importanza della sezione XV del CIL, curata da Dressel nel 1891, per lo studio dei bolli doliari;
importanza del Supplementum di Herbert Bloch (1947) dedicato ai marchi, non presenti in Dressel,
e ulteriori aggiornamenti di Margareta Steinby negli anni seguenti.
Importanza dello studio dei bolli doliari per la storia economica di Roma e perché riportano
spesso personaggi di grande spicco, inclusi l’imperatore e l’Augusta (progressivo affermarsi del
monopolio imperiale in questo settore, completatosi in età severiana), ma difficoltà per la grande
quantità di materiale ancora inedito, per le frequenti omonimie, per il formulario usato (non è chiaro
se praediae e figlinae siano sinonimi oppure no, né cosa indichino esattamente), per la difficoltà di
datazione, a meno che non si indichi la coppia consolare eponima.
Non è chiaro poi come venissero gestite le officinae, quale rapporto esistesse fra officinator
(responsabile dell’officina) e dominus (proprietario terriero), se gli officinatores, che erano perlopiù
schiavi e liberti, si servissero di schiavi per il lavoro che loro gestivano o se lo svolgessero
personalmente, se il lavoro veniva amministrato e seguito anche dal dominus.
Anfore. Utilizzo: trasporto di derrate alimentari e non solo, a volte reimpiegate per la sepoltura, o
per contenere i resti del defunto o come segnacolo, o impiegate nella bonifica e nel drenaggio di
terreni, nella costruzione di vespai, di volte, di canalizzazioni idrauliche. Le capacità di carico delle
navi erano calcolate in amphorae.
Grande varietà morfologica, in relazione al luogo di produzione, al tipo e alla quantità di
sostanze da trasportare, all’evoluzione cronologica. Prima classificazione tipologica dovuta a

!36
Heinrich Dressel nel 1879 (tavola già citata del CIL), ulteriormente precisata grazie a studi
intensificatisi dopo la Seconda guerra mondiale.
Apparato epigrafico: sia testi impressi prima della cottura sia graffiti e tituli picti. I marchi
compaiono sull’orlo, sulle anse, sul collo, sulla spalla o sul fondo (più raramente), realizzati con un
punzone in legno, metallo o ceramica, a lettere rilevate o incavate.
Testo: indicazione onomastica solitamente al gen., o nome di schiavo o liberto al nom. seguito
dal nome del dominus o del patronus al gen. Iscrizioni effettuate prima della cottura: perlopiù
simboli o sigle o indicazioni numeriche o calendariali o nomi da riferirsi alle varie fasi di
produzione; tituli picti: informazioni sulla vita commerciale del recipiente e del suo contenuto
(quantità, qualità del prodotto, luogo di provenienza ecc.); graffiti: informazioni analoghe ai tituli
picti, frequente T(esta) P(ondo) + indicazione numerica per indicare il peso dell’anfora, e altre
informazioni come i dati dello stoccaggio o indicazione della coppia consolare dell’anno per
indicare l’annata del vino. Casi particolari delle anfore Dressel 20, con olio prodotto nella Betica
per l’approvvigionamento di Roma e degli eserciti, perché sottoposte a una complessa prassi
amministrativa. Le anfore potevano anch’esse costituire strumento per esercitazioni scrittorie.
Coperchi: finora poco studiati. Spesso realizzati a matrice. Possono presentare il nome di una
persona, perlopiù abbreviato, o bolli con nomi o simboli o sigle, più raramente iscrizioni graffite (i
nomi erano o del produttore o di chi si curava del trasporto delle anfore).
Perché venivano marchiate: anche in questo caso non chiaro, forse identificazione del produttore
dell’anfora, forse del proprietario del fundus in cui si trovava l’officina; inoltre il marchio doveva
fornire indicazioni all’acquirente in merito alla qualità del prodotto e informazioni di natura fiscale
e commerciale, contro eventuali frodi.
Lucerne. In metallo o ceramica; principale strumento di illuminazione nell’antichità.
Varietà morfologica, dovuta alle variazioni cronologiche; tipologia anche qui in CIL XV, 2 tab.
III (1879), poi rielaborata da Siegfried Loeschke dopo la pubblicazione delle lucerne rinvenute nello
scavo di Windisch (Vindonissa, 1919), in Svizzera.
Dapprima modellata a mano, poi al tornio, poi stampo in due matrici.
Dall’età augustea inizia l’impressione di marchi (prima uso attestato solo in una produzione
norditalica al tornio, probabilmente aquileiese, fra 150 e 50 a. C.); dalla metà del I sec. a. C., sulla
base di lucerne prodotte a matrice compaiono nomi tracciati a mano libera o marchi di fabbrica a
lettere impresse o rilevate.
Anche nel caso delle lucerne si registrano casi di scrittura graffita dopo la cottura, con
espressioni beneauguranti o conviviali, dediche a una divinità o dono votivo.
!37
Firmalampen (lucerna con marchio di fabbrica): lucerne con canale, aperto o chiuso, che unisce
beccuccio e disco, tipica della produzione della pianura padana dalla II metà del I sec. d. C. (alcune
officine identificate: Aquileia, Modena, Forlì, Angera). Sulla base bollo a lettere rilevate con nome
del proprietario dell’officina al gen. o al nom., a volte con F(ecit), raramente con la località di
produzione; spesso presenti cerchi in numero e posizione variabile, probabilmente da riferirsi alle
varie fasi della produzione. Grande richiesta di queste lucerne nel nord Italia, ma anche nell’Europa
continentale: apertura di filiali oltralpe, e attestazione di falsificazione con l’uso di matrici ricavate
dalle originali e servendosi del surmoulage.
Vasellame ceramico. Varie modalità di scrittura:
a) marchi (dunque prima della cottura), su vari punti del recipiente (anche all’interno), con
informazioni di vario genere riferibili alla produzione (per es. tria nomina indicati per esteso o
iniziali);
b) iscrizioni tracciate a mano libera prima della cottura, con indicazioni numeriche, simboli e
sigle, non sempre perspicue, riferibili alle fasi di produzione, raramente prove scrittorie, motti
di spirito o perfino composizioni in versi;
c) tituli picti, rari, con indicazioni relative al tipo di contenuto, alla quantità o qualità o
espressioni scherzose o benauguranti;
d) graffiti, quasi esclusivamente sulla superficie esterna, con indicazioni onomastiche in gen.
(solitamente nome del proprietario) o sul contenuto o sul peso del recipiente, pieno o vuoto; se
compaiono sul fondo esterno sono spesso indicazioni relative alle fasi di stoccaggio;
I frammenti di vasellame costituivano inoltre un ottimo mezzo per esercitazioni scrittorie o
annotazioni.
I marchi su terra sigillata: ‘terra sigillata’ è espressione usata già nell’ambito dell’erudizione
settecentesca a indicare un tipo di vasellame fine da mensa decorato con piccole figure a rilievo
(sigilla). Produzione concentrata soprattutto a Arretium (Arezzo), come testimoniano anche fonti
letterarie, ma anche località. Tecniche di fabbricazione: al tornio o a matrice (nel caso di vasi con
decorazioni a rilievo).
Molto spesso marchi impressi con un punzone prima della cottura, in un cartiglio quadrangolare
e disposti a raggiera sul fondo interno del vaso a gruppi di tre o quattro dalla metà del I sec. a.C.
fino all’inizio dell’età augustea, poi un unico bollo in cartiglio rettangolare al centro, con testo
disposto su due righe, poi testi su una sola riga e a cartigli circolari o a tabula ansata o a foglie
trilobate, poi intorno al 15 d.C. e fino alla fine del secolo bollo con cartiglio a planta pedis
(solitamente destro, a volte sinistro o entrambi vicini). Nei vasi prodotti a matrice il marchio poteva
!38
comparire in cartiglio rettangolare rilevato sulla parte esterna o il nome del fabbricante si estendeva
su tutta la superficie del vaso.
Testo dei marchi su terra sigillata: tria nomina di un ingenuo o liberto o nome di schiavo + nome
del dominus; non è chiaro se siano nomi degli officinatores o dei figuli.
Funzione del marchio su terra sigillata: non chiara, forse riconoscere i vasi prodotti nelle diverse
officine, ma cotti in fornaci comuni; forse consentire al proprietario di più officine di controllare la
produzione di ciascuna; forse garanzia di qualità per l’acquirente; nel caso di vasi di pregio, voluta
manifestazione (in questi casi infatti è di solito sulla superficie esterna).
L’analisi dei marchi ci dice come funzionava la produzione: numero di schiavi specializzati in
numero mai superiore a venti, i quali apponevano il proprio nome sul vaso; a volte spostamenti di
questi schiavi da un’officina all’altra, quindi non si può escludere che esistessero anche piccoli
laboratori gestiti direttamente dal proprietario e forse coordinati fra loro.
Theodor Mommsen diede l’avvio allo studio sistematico di questi manufatti con la sezione vasis
cretaceis inscripta; importanza del CVARR (realizzato fra 1912-1943, edito nel 1968 da Howard
Comfort, dopo la morte di Oxé) di Auguste Oxé: c’è una raccolta di tutti i nomi presenti sui bolli,
ordinati alfabeticamente e per aree di produzione; seconda ed. del CVARR curata da Philip
Kendrick nel 2000, con annesso database su CD-ROM.
Vetri. Impressione di marchi a partire dalla fine del I sec. d.C., in seguito all’introduzione della
soffiatura in stampo.
Il marchio serviva a identificare il fabbricante, soprattutto nel caso di prodotti di pregio.
Più diffusi i marchi sul fondo di recipienti (solitamente bottiglie a sezione quadrata per oli,
balsami, essenze e forse vino di pregio): non è chiaro se indicasse il produttore o il commerciante o
il fabbricante del recipiente di vetro.
Bolli sul fondo di balsamari nei quali si fa menzione del fisco o del patrimonio imperiale:
documentazione del controllo di funzionari imperiali sulla produzione e vendita di alcuni prodotti.
La superficie era utile anche per la scrittura incisa, perlopiù con tecnica a puntini, solitamente
didascalie a raffigurazioni presenti sui vetri.
Signacula. Strumenti in ceramica, legno o metallo per contrassegnare, con indicazioni relative al
proprietario o al produttore o al venditore, merci e prodotti di ogni genere, inclusi animali e uomini.
I più noti sono i signacula aenea o ex aere per imprimere a freddo (c’è un anello non isolato,
quindi certamente non lo si faceva a caldo) un nome o una frase su materiali molli o semiduri
(argilla, pani di cera, di calce o di colore, prodotti alimentari come il pane, raramente laterizi); non è

!39
esclusa l’applicazione su superfici semidure o dure (per esempio stoffa, pellame, legno, papiro),
previa applicazione di colore.
Fabbricati in fusione a matrice. Morfologia: piccola targa rettangolare, più raramente circolare, o
a delfino, a planta pedis, a foglia, a croce o a cuore. Sull’anello possono esserci decorazioni o le
iniziali del nome del proprietario o di uno schiavo o di un liberto.
Iscrizione: lettere rilevate o incavate, retrograde (più raramente progressive), spesso unite in
nesso e separate da segni interpuntivi triangolari o a forma di edera, di caduceo, di palma, di croce.
Grande diffusione fra i collezionisti—> grande dispersione (complici le aste online) e numerose
falsificazioni—> difficoltà nello studio (per es. nello stabilire il luogo di rinvenimento).
Più rari i signacula per l’impressione a caldo su botti, pelli, generi alimentari, animali e uomini
(schiavi fuggitivi, colpevoli di reati, soldati). Perlopiù in ferro, con manico lungo inserito in
un’impugnatura in legno; cartiglio rettangolare con elementi onomastici completi o abbreviati o
nomi di unità o di reparti.
Sigilli per oculisti: non è chiaro se i personaggi citati fossero effettivamente oculisti o preparatori
del medicamento (non si può escludere che però le due figure talora coincidessero). Tavolette
parallelepipedi di moderato spessore in steatite, scisto, ardesia e serpentino (è noto un unico
esemplare in bronzo), con un’iscrizione a lettere retrograde incavate. Venivano impressi sui
bastoncini di collirio.
Testo: nell’ordine, nome in gen. per prep. del farmaco, denominazione del preparato (solitamente
in greco traslitterato in caratteri latini), indicazioni delle affezioni per cui era indicato.
Catalogo pressoché completo edito da Jacques Voinot, corredato da buone immagini (1999).
Tesserae. Oggetti di piccole dimensioni, di varia forma e di vari materiali, iscritti su una o più
facce. Impiego nella contabilità (nummulariae), nel gioco (lusoriae), per l’accesso agli spettacoli
(theatrales), ai banchetti (conviviales), alle distribuzioni di grano (frumentariae), come segno di
riconoscimento in ambito militare (militares), come segno di riconoscimento in associazioni o
collegi o fra persone legate da vincoli di ospitalità (hospitales).
Il termine tesserae nummulariae è stato coniato da Rudolph Herzog nel 1919 in sostituzione
dell’errata definizione di tesserae gladiatoriae; meno usato tesserae consulares. Sono bastoncini a
sezione quadrangolare in osso o avorio, con un’estremità arrotondata, separata da una strozzatura e
attraversata da un foro; con un laccio o un cordone la si fissava a una borsa il cui contenuto era stato
controllato in peso e tipo di monete da personale specializzato (secondo Herzog erano i nummulari,
ma ciò è discusso), in modo che i pagamenti si potessero effettuare senza dover sempre contare le
monete. Testo: ognuna delle facce presenta, normalmente: nome di uno schiavo/liberto/ingenuo,
!40
nome del dominus/patronus al gen., vb. SP o SPECT (spectavit) con indicazione del giorno o del
mese, coppia consolare eponima. Gli esemplari sono rari (poco più di 150 quelli noti), quasi tutti
provenienti dall’Italia, fatte eccezione per i 13 provenienti dal sito di Alt-Virunum sul
Magdalensberg (Austria), e si datano nel periodo 96 a.C.-88 d.C. Rischio elevato di imbattersi in
falsi (grande richiesta da parte dei collezionisti nei secc. XVII e XVIII).
Le tesserae hospitales sono perlopiù un unico oggetto metallico a forma di animale (ariete,
delfino, maialino) segato longitudinalmente in due parti; sulla parte interna nome di una o di
entrambe le persone che avevano contratto il rapporto il ospitalità, in lettere incise o a rilievo.
Etichette. Sottili e piccole lamine metalliche (solitamente piombo, a volte bronzo) quadrangolari
(raramente circolari) con la presenza, all’estremità, di uno o più fori pervii, per il passaggio di una
corda, un filo metallico o un laccio per poterle unire all’ansa di un’anfora o al collo di una bottiglia
o a altri contenitori.
Iscrizioni solitamente su entrambi i lati, dei quali una ruotata di 180° per agevolare la lettura a
chi le girasse, a sgraffio. Frequenti abbreviature, sinteticità dei testi: sovente difficile
interpretazione.
Scrittura: corsiva maiuscola, a volte minuscola. Spesso intervento di più mani.
Armi. Le armi spesso riportano iscrizioni incise accuratamente con cesello profilatore (solco
triangolare), a bulino (serie di punti impressi) o a sgraffio, a volte con lettere rilevate (come nelle
ghiande missili, che erano fuse a matrice) o impresse a caldo con punzoni.
Contenuto: estremamente vario: nomi delle officine produttrici (a volte nello stesso ambito della
legione), nome in gen. del soldato che la utilizzava, spesso con il nome del reparto o dell’unità. A
volte più nomi: segno che le armi erano di proprietà dell’esercito e passavano di soldato in soldato,
infatti a volte compare soltanto il nome della legione o del reparto che le aveva in dotazione.
Le glandes missiles plumbee, ossia i proiettili scagliati dai frombolieri, hanno spesso iscrizioni a
sgraffio o graffite. Rinvenimenti più cospicui a Ascoli Piceno e Fermo (dove si combatté la guerra
sociale) o a Perugia (guerra civile fra Cesare e Pompeo). Contenuto: vario, dal nome del
comandante alle invettive contro i nemici all’invito al dardo a colpire. Lo studio delle ghiande
missili provenienti da musei o da collezioni e non direttamente da scavi va effettuato con grande
cautela: la grande richiesta dei collezionisti generò nel secondo Ottocento a Ascoli Piceno una
grande industria di falsificazione, con il risultato che centinaia di falsi sono tuttora nei musei (i
prodotti sono spesso di elevata qualità e non facili da distinguere dagli originali); il principali autore
di questi falsi, Giuseppe Vincenzini, usava originari anepigrafi sui quali apponeva iscrizioni
mediante due matrici in legno duro. Si generò una polemica accesa i cui protagonisti furono
!41
principalmente Ernest Desjardins, Theodor Bergk e Theodor Mommsen; Karl Zangemeister si recò
sul posto per condurre un’indagine approfondita, potendo così discernere ghiande genuine, false e
dubbie, segnando così il punto definitivo sulla questione.
Fistulae aquariae e altri elementi di acquedotto. Nelle città romane l’acqua veniva distribuita
dall’amministrazione statale o locale soltanto per gli usi pubblici; i privati che volevano usufruire
del ius aquae ducendae ex castello (alla propria abitazione) dovevano avere l’autorizzazione dagli
uffici preposti e pagare le spese dell’allacciamento. Indi la necessità di contrassegnare le condutture
idriche, solitamente fistulae aquariae, con iscrizioni impresse a matrice che indicassero
l’appartenenza pubblica (statale o municipale) o i nomi dei proprietari delle abitazioni,
concessionari del diritto; spesso compaiono anche i nomi dei plumbarii, i fabbricanti delle fistulae,
a volte con la località di produzione; nel caso in cui l’adduzione dell’acqua fosse legata a iniziative
evergetiche o alla costruzione di ville sontuose, nome dell’imperatore o di appartenenti alla domus
Augusta o di magistrati.
Possono anche esserci sigle alfabetiche o numeriche, con calibro della tubatura o posizione
nell’ambito dell’impianto.
Iscrizioni anche sui calices (bocchettoni di raccordo fra il tubo proveniente dal castellum aquae e
i tubi di prelievo, che fungevano da misuratori della portata e da decantatori), sulle saracinesche, sui
rubinetti, sulle valvole.
Importanza delle iscrizioni su fistulae in aree extraurbane, relative a impianti termali, santuari o
ville residenziali: possibilità di risalire ai proprietari.
Lingotti. Necessari per il trasporto dei metalli estratti dai giacimenti. Forme diverse per i diversi
metalli: larghi e spessi dischi per il rame, ampie aperture per il trasporto per lo stagno, barre
parallelepipedi o a sezione triangolare o trapezoidale per il piombo. Sulla superficie dei lingotti
marchi a lettere rilevate, ottenuti nel momento della colatura nella matrice, o a lettere incavate,
impressi a freddo con un punzone. Nei lingotti di piombo, i primi presentano i nomi degli individui
o delle società che sfruttavano l’impianto minerario di estrazione, i secondi (che iniziano a apparire
in età augustea) sarebbero riferibili alle fasi del commercio del metallo. A volte presenza di graffiti,
perlopiù numeri che di solito indicano il peso del lingotto ai fini del trasporto, della
commercializzazione e probabilmente anche a scopi amministrativi.

!42
Cap. 3
Storia dell’epigrafia latina

Medioevo. Il Codex Einsidelnensis 326 (IX sec.), scoperto da Jean Mabillon nel 1683 nella
biblioteca del monastero di Einsiedeln, in Svizzera; contiene iscrizioni di Roma e di Pavia.
Nonostante scioglimenti e integrazioni fantasiosi, il riscontro con le epigrafi che restano mostra una
certa fedeltà agli originali.
Negli anni seguenti la diffusione della scrittura gotica fa sì che la comprensione delle iscrizioni
sia ancora più difficile. Nessun interesse storico per le iscrizioni, che vengono incluse nei Mirabilia
urbis Romae.
1347: Cola di Rienzo legge pubblicamente il testo della Lex de imperio Vespasiani, utilizzandolo
e manipolandolo per dimostrare la continuità fra senato romano e Sacro romano impero.
Francesco Petrarca inserisce nelle sue opere iscrizioni latine, riportate con precisione, sebbene
attribuisca a Tito Livio l’iscrizione funeraria del liberto T. Livius Halys, rinvenuta a Padova.
XV sec. Prime raccolte dedicate unicamente alle iscrizioni, non più intese come corollario alla
descrizione dei monumenti di Roma: per es. quella di Nicolò Signorili o quella di Poggio
Bracciolini, che realizza una silloge con iscrizioni vedute personalmente a Roma e trascritte in
caratteri maiuscoli, senza scioglimenti o integrazioni, poi completata con altre iscrizioni ricavate da
un manoscritto rinvenuto in Svizzera (una copia del Codex Einsiedelnensis 326), riportate in
caratteri minuscoli per distinguerle.
Artisti che giungono a Roma per disegnare i monumenti disegnano anche le iscrizioni: Antonio
da Sangallo, Jacopo Bellini e Andrea Mantegna. Anche dipinti di Bellini e Mantegna riportano
iscrizioni.
Attività di Ciriaco d’Ancona, mercante, che nei suoi viaggi copia direttamente dai monumenti
centinaia di epigrafi, con trascrizioni quasi sempre fedeli, senza interventi o interpretazioni
personali. Tutto il materiale confluisce nei Commentaria che andarono perduti nell’incendio della
Biblioteca Sforza di Pesaro (1514), ma dei quali esistono parti copiate da altri.
Giovanni Marcanova, medico, bibliofilo e collezionista di antichità, autore della silloge
Antiquitates et inscriptiones Romanae (1460 ca.), con la trascrizione di epigrafi della sua collezione,
di epigrafi viste personalmente altrove e di epigrafi riportate da altri; esistono due stesure
dell’opera, una conservata a Berna e l’altra a Modena, entrambe con numerosi disegni. La redazione
della stesura modenese è divisa in due parti, la prima sulla antichità di Roma, la seconda sulle
iscrizioni di altre località, e è attribuita tutta o in gran parte a Felice Feliciano, che fece importanti
!43
studi sulla ricostruzione grafica delle lettere romane, confluiti nell’Alphabetum Romanum. Sua è poi
una silloge, dedicata a Mantegna, sia con trascrizioni fedeli di testi visti personalmente sia con
raffinati centoni, misti di iscrizioni vere e false. Si ricordi anche la Iubilatio, narrazione di una gita
compiuta con Giovanni Marcanova e Andrea Mantegna lungo le sponde del lago di Garda alla
ricerca di iscrizioni da trascrivere.
Fra’ Giovanni Giocondo, veronese, intellettuale poliedrico tipicamente rinascimentale, dedica a
Lorenzo il Magnifico la sua raccolta di iscrizioni, costituita in gran parte da epigrafi viste
personalmente a Roma e in altre località italiane. Riporta solo i testi di seguito, senza riproduzioni
dei monumenti.
Prime sillogi a stampa. Fine XV, inizio XVI sec. La più antica è una piccola raccolta edita in
appendice al De amplitudine, eversione et restauratione urbis Ravennae di Desiderio Spreti.
Dedicate esclusivamente alle epigrafi sono invece alcune raccolte tedesche, fra le quali le due delle
iscrizioni di Augusta Vindelicorum (Augsburg) curate da Konrad Peutinger (1505 e 1520), che si
distinguono per eleganza. La prima silloge a stampa pubblicata in Italia sono invece gli
Epigrammata antiquae Urbis (1521), curata da Giacomo Mazzoc(c)hi e derivata in gran parte dalla
raccolta di fra’ Giocondo, con le epigrafi raffigurate insieme al monumento o inseriti in eleganti
cornici, raggruppate sia per tipologia dei monumenti sia topograficamente.
Iscrizioni di Roma e d’Italia, oltre che di altri territori, quasi sempre desunte da altri testi, sono
riportate in lettere capitali nelle Inscriptiones sacrosanctae vetustatis di Pietro Apiano e Bartolomeo
Amando; degni di nota l’ordinamento topografico e gli elenchi delle abbreviazioni, ma poco vigile è
il vaglio critico, così che non mancano le iscrizioni false.
Pirro Ligorio e la falsificazione epigrafica. Iscrizioni vere e false o interpolate sono nei
Quaranta libri delle antichità di Pirro Ligorio, che non pubblicò (sono infatti disseminati in varie
biblioteche), ma che godettero di ampia fama e ai quali attinsero generazioni di eruditi
acriticamente, con grande diffusione di testi falsi o interpolati che passarono di raccolta in raccolta.
Primi strumenti di consultazione (seconda metà del XVI sec.). Inizia a affermarsi l’idea che le
epigrafi siano utili mezzi per lo studio del mondo romano in tutti i suoi aspetti: due tipi di
ordinamento nelle sillogi, per tipologia di monumento e per contenuto o per personaggi menzionati,
mentre scarso peso ha il luogo di provenienza dell’iscrizione.
Primi esempi di sillogi così concepite: quelle di Martino Smezio, delle quali fu pubblicata solo la
II, con integrazioni di Giusto Lipsio, con il titolo Inscriptionum antiquarum quae passim per
Europam liber, che presenta notevole attenzione per il controllo autoptico dei monumenti, pur non
mancando letture errate e soprattutto iscrizioni false.
!44
Il primo corpus (inizi del XVII sec.). Inscriptiones antiquae totius orbis Romani in corpus
absolutissimum redactae di Giuseppe Giusto Scaligero, portato a compimento da Jan Gruter, con
più di 12000 inscrizioni, trascritte da sillogi precedenti o trasmesse a Scaligero o a Gruter dai loro
corrispondenti. Purtroppo è raro il controllo autoptico, quindi inclusione di falsi. Ordinamento:
raggruppamento per genere (rinuncia al criterio topografico: dannoso distacco dell’epigrafe dal suo
contesto), con un cap. dedicato a spuria et suppositia e uno all’instrumentum inscriptum.
L’opera di Gruter rimane per lungo tempo l’unico testo di riferimento; apparizione però di
numerose raccolte di carattere generale o locale, che miravano a completare il lavoro di Gruter:
lavori di Thomas Reines, Giovan Battista Doni, Johann Georg Graeve, Marquard Gude, Carlo
Cesare Malvasia e Raffaello Fabretti (che concede ampio spazio all’instrumentum inscriptum),
mentre ampiamente ignorata nonostante la qualità, perché quasi completamente inedita, fu l’opera
di Francesco Bianchini, ‘presidente delle antichità di Roma’ sotto Clemente XI (nelle migliaia di
pagine di appunti, conservati nella Biblioteca capitolare di Verona, disegni di iscrizioni, spesso
correttamente inserite nel loro contesto archeologico e numerosi calchi, specie di bolli laterizi).
Ultimi tentativi eruditi (inizi del XVIII sec.). Sempre più viva esigenza di sostituire il lavoro di
Gruter con opere più aggiornate. Ludovico Antonio Muratori cercò di raccogliere e riunire
organicamente tutte le iscrizioni sparse nelle sillogi precedenti (giudicava importante il controllo
autoptico, ma non praticabile nella sua opera: numerose iscrizioni interpolate o false), ma il progetto
fallì e si limitò a pubblicare il Novus thesaurus veterum inscriptionum, in realtà un supplemento a
Gruter; l’opera venne poi integrata da Sebastiano Donati con l’Ad novum thesaurum veterum
inscriptionum L. A. Muratorii supplementum, con l’aggiunta, nel I vol., dell’edizione postuma
dell’Ars critica lapidaria di Scipione Maffei, nella quale sosteneva che il controllo autoptico fosse
una necessità imprescindibile (egli stesso compì cinquantasettenne un viaggio in tutta Europa a
questo scopo) e enfatizzò il carattere di fonte storica diretta e propugnò l’idea della corretta
interpretazione dell’iscrizione come documento storico.
1732: Maffei, con la collaborazione di Jean-François Séguier, concepì un nuovo corpus, cui
furono invitati a partecipare diversi studiosi italiani e stranieri, ai quali inviò un Prospectus
universalis collectionis Latinarum veterum, ac Graecarum, Etnicharum et Christianarum
inscriptionum. L’opera doveva essere in più volumi, il primo sulle iscrizioni greche, il penultimo su
quelle cristiane, l’ultimo con gli indici; i testi dovevano essere resi in facsimile, ma accompagnati
da una trascrizione in lettere minuscole e con segni di interpunzione; spazio autonomo era garantito
a graffiti, tituli picti e marchi di fabbrica, come anche (con sezioni autonome) a iscrizioni metriche e
iscrizioni false. L’ambizioso piano non ebbe successo, nonostante le ampie raccolte di Maffei in
!45
Europa, Italia, Roma, Africa e Asia Minore: il risultato non fu una collectio universalis, ma il
Museum Veronense, con titolo riduttivo e fuorviante che è risultato nocivo per la diffusione
dell’opera.
A Maffei si deve altresì l’istituzione del primo museo epigrafico aperto al pubblico
(nell’accezione elitaria da dare a questo termine nel Settecento): il Museo lapidario maffeiano a
Verona. Concepito come museo didattico per la formazione degli epigrafisti, con le iscrizioni divise
per classi omogenee, venne inaugurato nel 1745 e divenne subito una delle mete preferite del Gran
tour.
Primi studi scientifici sull’instrumentum inscriptum. Gli atti e monumenti de’ Fratelli Arvali di
Gaetano Marini, primo Custode della Biblioteca apostolica vaticana, in seguito alla scoperta di due
tavole degli atti del collegio nel 1778. Marini non si limita a un esame antiquario, ma propone un
commento molto approfondito sulla base del confronto con centinaia di iscrizioni, molte delle quali
inedite. Di Martini è anche Iscrizioni antiche doliari, primo studio organico sui bolli laterizi della
zona di Roma (1798-99), rimasto inedito fino al 1884, quando lo pubblico Giovanni Battista de
Rossi, con alcune osservazioni di Heinrich Dressel.
All’inizio del secolo successivo Johann Caspar Orelli diede alle stampe la silloge Inscriptionum
Latinarum selectarum amplissima collectio ad illustrandam Romanae antiquitatis disciplinam, per
fornire agli studiosi un ampio numero di iscrizioni. Nonostante le numerose iscrizioni false, grande
fortuna; nel 1856 Johann H. W. Henzen pubblicò un vol. di supplemento, con correzioni e indici.
Bartolomeo Borghesi (prima metà dell’800). Seppe trasformare gli studi di epigrafia portandoli
dall’antiquaria erudita alla scienza. La grande conoscenza letteraria e numismatica, oltre che
epigrafica, gli permetteva di interpretare le iscrizioni e di inserirle correttamente nel loro contesto;
numerosi studiosi i rivolgevano a lui, fra questi Mommsen che lo visitò a S. Marino e lo
considerava suo magister, patronus, amicus; per volere di Napoleone III i suoi scritti furono raccolti
nelle Oevres complètes, tuttora preziosa opera di consultazione.
Progetti per la creazione di un corpus. 1815: Berthold Georg Niebuhr preparò il progetto di un
Corpus inscriptionum da sottoporre all’esame della Königlich Preussische Akademie der
Wissenschaften di Berlino, con il proposito di raccogliere iscrizioni greche, latine, dell’Italia
preromana e di altri popoli dell’impero, ma la complessità era tale che Niebuhr e i suoi
collaboratori, fra i quali merita di essere ricordato August Blöckh, a concentrarsi su pubblicazioni
settoriali, soprattutto su un Corpus inscriptionum Graecarum.
Alla stessa accademia e con il supporto economico del governo danese, Olaus Kellermann le
sottopose un progetto di corpus accompagnato da un computo delle iscrizioni note che, tenendo
!46
conto anche delle iscrizioni cristiane fino all’VIII sec. d.C., avrebbero a suo avviso superato le
80000; si ribadiva l’importanza dell’esame autoptico e si optava per l’ordinamento già seguito da
Gruter. Il progetto non andò in porto per la prematura scomparsa di Kellermann.
In Francia alcuni anni dopo il ministro dell’istruzione Abel-François Villemain promosse un
progetto di redazione di un corpus di iscrizioni latine, pagane e cristiane fino al VI sec., con
l’appoggio dell’Académie des Inscriptions di Parigi; all’inizio ci si propose di coinvolgere
unicamente studiosi francesi, ma poi si abbandonò quest’idea, creando una rete di studiosi residenti,
fra i quali spiccava Borghesi. Era quasi tutto pronto quando, nel 1846, Villemain, anche per
polemiche all’interno e intorno alla commissione creata per il progetto, si dimise e il progetto fallì.
1847: Theodor Mommsen riprende in parte il progetto di Niebuhr, forte dell’esperienza di
viaggio (1843-46) in Italia centro-meridionale e dell’osservazione diretta di numerose iscrizioni,
propone alla Königlich Preussischen Akademie der Wissenschaften di Berlino un piano dettagliato
(Über Plan und Ausführung eines Corpus inscriptionum Latinarum): raccolta dei testi epigrafici
mediante escussione di tutta la bibliografia (manoscritta e a stampa) e autopsia, se l’iscrizione non
era andata perduta, e in tal caso si sarebbe dovuta fare un’edizione critica; ordinamento delle
iscrizioni, su base anzitutto topografica e poi secondo una serie di categorie estremamente
dettagliate; il terzo punto riguardava la critica delle iscrizioni, in modo particolare dei falsi su pietra
e su carta, e la trascrizione; il quarto era riservato agli indici; il quinto alle modalità di attuazione
del progetto. L’opera doveva essere redatta interamente in latino. Nel 1853 Mommsen pubblicava le
Inscriptiones Regni Neapolitani Latinae, quasi uno specimen, e il progetto venne approvato; nel
1863 uscì il primo vol., sulle iscrizioni ‘repubblicane’, ossia precedenti al 44 a.C., edito auctoritate
et cura della Königlich Preussischen Akademie der Wissenschaften di Berlino.
L’opera fu la “galera epigrafica” di Mommsen, che a essa dedicò tutta la sua esistenza,
avvalendosi della collaborazione di Giovan Battista de Rossi (esperto di epigrafia e archeologia
cristiana) e di Wilhelm Henzen, segretario dell’Istituto di corrispondenza archeologica di Roma.
Suoi sono i voll. III, VI, IX e X, gli altri furono affidati a altri studiosi, perlopiù molto giovani ma
destinati a divenire molto apprezzati, come Eugen Bormann, Heinrich Dressel, Hermann Dessau,
Karl Zangemeister. I loro lavori venivano diretti, controllati e corretti da Mommsen.

!47

Potrebbero piacerti anche