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CAPITOLO 1:

INTRODUZIONE. CRONOLOGIE E CAMBIAMENTO CULTURALE IN


EGITTO

Ian Shaw (pp.1-16)

La costruzione di una griglia cronologica per l’inquadramento della storia dell’antico


Egitto ha richiesto un tempo considerevolmente lungo. Fin da quando fu scritta la prima
storia dell’Egitto (secondo una concezione occidentale) da un sacerdote Egiziano di
nome Manetone nel III secolo a.C, “l’epoca faraonica” (dal 3100 al 332 a.C. circa) fu
suddivisa in una serie di periodi noti come “dinastie”, ognuna formata da una sequenza
di sovrani, accomunati in genere da fattori quali la parentela o la collocazione della loro
principale residenza regale. Questo approccio essenzialmente politico è risultato molto
utile negli anni perché divideva la cronologia egiziana in una serie di comode unità
temporali, ognuna con le sue caratteristiche distintive. Oggi però sta diventando sempre
più difficile conciliare questa cronologia basata su fattori politici con i cambiamenti
sociali e culturali identificati attraverso gli scavi archeologici a partire dagli anni
Sessanta.

Cronologia

Con l’aumento e la diversificazione dei dati archeologici e storici sull’Egitto antico, è


apparso sempre più evidente che il sistema di Manetone – per quanto semplice, durevole
e conveniente – stenta spesso a contenere le molteplici nuove teorie cronologiche che
vanno al di là della semplice definizione del passaggio del trono da un sovrano ad un
altro. Nuove ricerche mostrano che in svariate fasi storiche, l’Egitto era molto meno
centralizzato ed unito culturalmente rispetto a quanto si ritenesse in passato, e che spesso
cambiamenti culturali e politici avvenivano in momenti diversi nelle diverse regioni.
Altri studi dimostrano che alcuni eventi politici di breve durata, spesso considerati
fondamentali per la storia dell’Egitto, sarebbero stati in realtà molto meno significativi
rispetto ai graduali processi di cambiamento socio-economico che potrebbero aver
trasformato in modo più sensibile il paesaggio culturale a lungo termine. Così come si
sono iniziati a considerare i lunghi periodi “predinastici” della preistoria egiziana in
termini di sviluppo culturale più che politico, anche il Periodo Dinastico (così come il
Periodo Tolemaico e Romano) viene ora analizzato non solo in termini di una sequenza
di sovrani e dinastie regnanti, ma anche nell’ottica dell’individuazione di altri tratti
caratterizzanti, quali ad esempio le tipologie di fabbricazione della ceramica o la
decorazione dipinta applicata ai sarcofagi lignei. Le cronologie dei moderni egittologi
combinano tendenzialmente tre differenti approcci: in primo luogo ci sono i metodi di
datazione “relativa”, come lo scavo stratigrafico, o la “datazione in sequenza” dei
manufatti, ideata da Flinders Petrie nel 1899. Alla fine del XX secolo, quando gli
archeologi hanno sviluppato una sensibilità più acuta verso le dinamiche di sviluppo dei
materiali e delle forme dei manufatti egiziani nel corso dei secoli (in particolare la
ceramica), è diventato possibile applicare le seriazioni a svariate tipologie di documenti
archeologici.
Ad esempio la seriazione di Harco Willeims dei sarcofagi del Medio Regno ha portato
ad una comprensione migliore dei cambiamenti culturali nelle varie province dell’Egitto
della XI-XIII Dinastia, completando così il quadro delle informazioni disponibili sul
cambiamento politico nazionale di quel periodo. In secondo luogo ci sono le cosiddette
“cronologie assolute”, basate su registrazioni astronomiche e calenderiali presenti su
antichi testi. Infine ci sono i “metodi radiometici” (tra cui i più comunemente usati sono
la datazione al radiocarbonio e la termoluminescenza), attraverso i quali particolari
tipologie di manufatti o resti organici possono essere datati attraverso la misurazione del
decadimento o accumulo radioattivo.

Datazione al radiocarbonio e cronologia egiziana

La relazione tra il sistema cronologico radiometrico e quello calenderiale è stata


relativamente ambigua nel corso degli anni. A partire dalla fine degli anni Quaranta,
quando una serie di manufatti egiziani vennero usati come punto di riferimento per
testare l’affidabilità della nuova tecnica del radiocarbonio, è emerso un consenso
generale sul fatto che i due sistemi fossero largamente allineati. Il problema principale,
comunque, sta nel fatto che il sistema tradizionale di datazione calenderiale, nonostante
le sue mancanze, virtualmente ha sempre un margine d’errore minore rispetto alle
datazioni al radiocarbonio, che sono necessariamente riportate attraverso un’ampia
gamma di date (ovvero con una o due derivazioni standard), e non riescono mai ad
determinare con precisione la costruzione di un edificio o la creazione di un manufatto
rispetto ad un anno specifico (o anche ad una specifica decade). Di certo l’avvento delle
curve di calibrazione dendrocronologiche, che permettono di convertire gli intervalli
delle datazioni al radiocarbonio in effettivi anni calenderiali - rappresenta uno sviluppo
significativo in termini di precisione. Comunque, le varietà della curva ed il bisogno
continuo di considerare errori associati fanno sì che le datazioni debbano ancora essere
riportate attraverso una serie di possibilità piuttosto che come anni specifici. La
preistoria dell’Egitto, d’altra parte, ha beneficiato moltissimo dell’applicazione della
datazione radiometrica, dato che in passato essa si basava soprattutto su metodi di
datazione relativa (vedi Capitoli 2 e 3). Le tecniche radiometriche hanno permesso non
solo di collocare le “datazioni in sequenza” di Petrie nell’ambito delle datazioni assolute
(comunque imprecise), ma anche di spostare la cronologia egiziana indietro nel tempo
alle prime fasi del Neolitico e del Paleolitico.

Dalla Preistoria alla Storia: manufatti del Tardo Predinastico e la Pietra di


Palermo

Solo una limitata serie di manufatti del Tardo Periodo Predinastico può essere utilizzata
come fonte storica per documentare la fase di transizione verso uno stato pienamente
unificato. Questi comprendono stele funerarie, palette votive, teste di mazza cerimoniali
e piccole etichette (in legno, avorio o osso) in origine attaccate ad oggetti dei corredi
funerari d’élite. Chiaramente la loro funzione era quella di commemorare differenti atti
regali (soprattutto nel caso delle stele, palette e teste di mazza), quali la stessa morte e
sepoltura del sovrano o i suoi atti di devozione verso le divinità.
Alcune delle etichette antiche più piccole (in particolare quelle rinvenute di recente nella
“tomba regale” U-j del Tardo Predinastico ad Abido, vedi Capitolo 4) sono semplici
registrazioni della natura o origine dei beni funerari a cui erano attaccate, mentre altre
etichette più tarde, provenienti dalle tombe regali del Periodo Protodinastico ad Abido,
utilizzano un simile repertorio di rappresentazione degli atti regali per assegnare gli
oggetti in questione ad una data specifica di un determinato regno. Se lo scopo di questi
manufatti del tardo IV - inizi III millennio a.C era di classificare, commemorare e datare,
allora la loro decorazione si deve analizzare considerando i diversi messaggi che
l’oggetto poteva comunicare, a seconda che fosse tramite per la commemorazione rituale
o la registrazione di eventi storici. Ciò è stato dimostrato in particolare dallo studio di
Nick Millet sulla testa di mazza di Narmer, parte di un gruppo di oggetti votivi del Tardo
Predinastico e del Protodinastico (comprendente la paletta di Narmer e la testa di mazza
di Scorpione) rinvenuto da Quibell e Green nel recinto del tempio di Hierakonpolis.
L’analisi iconografica ed epigrafica di questi oggetti è resa più complessa dalla necessità
moderna di distinguere tra evento storico e rito. Ma gli egiziani avevano probabilmente
una scarsa inclinazione a distinguere le due cose: infatti si può

dedurre che l’ideologia egiziana del periodo faraonico – soprattutto quando legata alla
regalità - si basava proprio sul mantenimento di una certa confusione tra gli avvenimenti
reali e gli atti puramente rituali o magici. Per quel che riguarda le palette e le teste di
mazza, l’Egittologo Canadese Donald Redford ipotizza che dovette esserci un certo
bisogno di commemorare gli eventi unici dell’unificazione alla fine del III millennio a.C,
ma che questi furono appunto “commemorati” piuttosto che “narrati”. Questa distinzione
è cruciale: non si possono separare eventi “storici” da scene commemorative più che
descrittive – o, se lo si fa, spesso si corre il rischio di essere fuorviati. Una delle più
importanti fonti storiche per il Protodinastico (3000-2686 a.C.) e l’Antico Regno (2686-
2160 a.C.) è la Pietra di Palermo, stele frammentaria in basalto della V Dinastia (2400
a.C.), con annali regali inscritti su entrambi i lati che risalgono fino ai sovrani mitici
della preistoria. Il frammento principale è noto dal 1866 e si trova oggi nella collezione
del Museo Archeologico di Palermo, Sicilia, mentre gli altri frammenti sono conservati
al Museo Egizio del Cairo e al Petrie Museum di Londra. La stele in origine doveva
essere lunga circa 2,1 m e larga 0,6 m., ma la maggior parte è andata perduta e non ci
sono informazioni sulla sua provenienza. Questo documento - insieme con i “libri dei
giorni”, gli annali, le “liste dei re” incise sulle pareti dei templi, ed i papiri conservati
negli archivi di templi e palazzi - era sicuramente il tipo di documento che Manetone
potrebbe aver consultato durante la compilazione la sua storia o Aegyptiaca. La Pietra di
Palermo elenca gli annali dei sovrani del Basso Egitto, a partire dalle migliaia di anni di
regno relativi ai sovrani mitologici, fino all’epoca del dio Horus (che secondo la
tradizione avrebbe passato il trono d’Egitto al re umano Menes) e poi oltre fino alla V
Dinastia. Il testo è diviso in una serie di registri orizzontali divisi da linee verticali che
curvano in cima, forse ad imitazione del segno geroglifico per “anno di regno” (renpet),
indicando così gli eventi principali dei singoli anni di regno di ogni sovrano. La
situazione è però pesantemente confusa dal fatto che le date citate sulla Pietra di Palermo
sembrano riferirsi al censimento biennale del bestiame (hesbet) piuttosto che al numero
di anni di regno di ogni sovrano; quindi per ottenere l’effettiva durata di ogni regno si
dovrebbe raddoppiare la cifra citata negli annali.
Gli eventi registrati sulla Pietra di Palermo comprendono cerimonie cultuali, tasse,
creazioni di sculture, costruzione di edifici, e guerre, cioè esattamente la tipologia di
fenomeni registrata anche sugli avori ed etichette in ebano protodinastiche da Abido,
Saqqara e molti altri siti delle prime fasi storiche. L’introduzione del segno renpet sulle
etichette, nel regno di Djet, rende questo confronto ancora più stretto. Ci sono tuttavia
due differenze: in primo luogo, le etichette danno anche informazioni che non sono
presenti sulla Pietra di Palermo; mentre quest’ultima registra le inondazioni del Nilo, che
invece non sono presenti sulle etichette. Tuttavia sembra che entrambe le informazioni
avessero occupato lo stesso spazio fisico del documento, ovvero l’estremità inferiore.
Redford ipotizza che ciò dimostra che i genut dell’Antico Regno (ovvero gli annali
regali che si ritiene siano esistiti in questo periodo, ma che non sono sopravvissuti tranne
per il caso della Pietra di Palermo) elencassero soprattutto cambiamenti climatici o
idrografici, che, con le loro conseguenze cruciali per l’agricoltura e l’economia, erano
potenzialmente tra gli eventi più importanti di un regno, in quanto indissolubilmente
legati alla reputazione di ogni sovrano. Le informazioni di tipo idrografico, invece,
sarebbero state considerate irrilevanti per la funzione delle etichette attaccate ai beni
funerari.

Liste dei re, titolatura regale e sovranità divina

Altre importanti fonti storiche utilizzate dagli egittologi per ricostruire la cronologia
dell’Egitto sono: l’Aegyptiaca di Manetone (che sfortunatamente è sopravvissuta solo
attraverso brani compilati da autori successivi come Giuseppe Flavio, l’Africano,
Eusebio, e Sincello), le cosiddette liste dei re, alcune registrazioni datate di osservazioni
astronomiche, documenti testuali o artistici (come rilievi e stele) con descrizioni di
eventi storici (almeno all’apparenza), informazioni genealogiche ed alcune concordanze
con fonti non egiziane come ad esempio le liste dei sovrani assiri. Per quel che riguarda
il Periodo Tardo, una fonte importante connessa soprattutto agli eventi politici della
XXVIII-XXIX-XX Dinastia è la Cronaca Demotica, che in parte compensa la mancanza
di informazioni storiche da papiri e da monumenti dell’epoca e la vaghezza della storia
di Manetone, che riporta solo i nomi e gli anni di regno dei sovrani. Wilhelm
Spiegelberg e Janet Johnson hanno dimostrato che una traduzione ed interpretazione più
attenta degli “oracoli” contenuti in questo documento pseudo-profetico possono fare
nuova luce non solo sugli eventi storici dell’epoca (come ad esempio l’ipotizzata
correggenza tra Nectanebo I e suo figlio Tacho) ma anche sul contesto ideologico e
politico del IV secolo a.C. Come la maggior parte delle popolazioni antiche, gli antichi
egiziani datavano eventi importanti politici e religiosi non secondo il numero di anni
passati da un preciso momento nella storia (come il riferimento alla nascita di Cristo nel
moderno calendario Occidentale), ma secondo gli anni passati dall’ascesa al trono di
ogni sovrano (anni di regno). Quindi le date erano registrate nella tipica forma seguente:
“Giorno 2 del primo mese della stagione peret nel quinto anno di regno di Nebmaatra
(Amenhotep III)”. E’ importante sottolineare che per gli egiziani il regno di ogni nuovo
sovrano rappresentava un nuovo inizio, non solo filosoficamente ma praticamente, dato
che le date erano espresse in questi termini. Quindi ogni nuovo regno era un nuovo
punto d’origine: ogni sovrano rinnovava lo stesso mito universale della regalità
attraverso la politica del suo regno.
Un altro aspetto importante della sovranità egiziana per tutto il periodo faraonico fu
l’esistenza di una serie di differenti nomi per ogni singolo sovrano. Dal Medio Regno in
poi, ogni re aveva cinque nomi (la cosiddetta titolatura quintupla), ognuno dei quali
racchiudeva un particolare aspetto della sovranità: tre di questi testimoniavano il ruolo
del re come dio, mentre gli altri due sottolineavano la presunta divisione dell’Egitto in
due terre unificate. Il nome di nascita (o nomen), come Ramses o Mentuhotep, introdotto
dal titolo di “figlio di Ra”, era l’unico ad essere dato al faraone dal giorno in cui era
nato. Di solito questo era anche l’ultimo nella sequenza dei cinque nomi nelle iscrizioni
che identificavano il sovrano. Gli altri quattro nomi - Horus, nebty (“Colui delle Due
signore”), (Horus d’) Oro, e nesut-bity (“Colui del giunco e dell’ape”) – venivano
conferiti al sovrano con la sua ascesa al trono, ed i loro elementi a volte potevano
trasmettere aspetti dell’ideologia o dei propositi di governo del sovrano in questione. Per
quel che riguarda i sovrani della Dinastia 0 e dell’inizio del Protodinastico, si conoscono
solo i loro “nomi di Horus”, scritti di solito nel serekh (un riquadro rettangolare che
rappresentava l’entrata del palazzo regale), sul quale era posato il falco Horus. L’ultimo
sovrano della I Dinastia Anedjib (circa 2900 a.C.) introdusse nella titolatura regale il
nome di nesut-bity (Merpabia), ma fu solo nella IV Dinastia col regno di Snofru
(egiziano Sneferw, circa 2613-2589 a.C.) che questo nome fu per la prima volta incluso
nel cartiglio (una sorta di anello che forse stava a indicare l’infinita grandezza dei
domini regali). Il titolo nesut-bity è stato spesso tradotto come “Re dell’Alto e Basso
Egitto”, ma in realtà ha un valore più profondo e complesso. Nesu sembra si riferisse al
re divino ed immutabile (quasi la stessa regalità), mentre la parola bity descrive il
possessore corrente ed effimero della sovranità: ovvero il singolo sovrano in carica. Ogni
faraone era perciò una combinazione di divino e mortale, il nesu e il bity, così come il re
vivente era associato a Horus, ed i sovrani defunti (antenati regali) erano associati al
padre di Horus, Osiride. La tradizione del culto degli antenati regali e divini si sviluppò
in Egitto proprio come conseguenza

dell’identificazione di ogni sovrano con l’incarnazione di Horus. Questa convinzione,


attuata tramite l’omaggio del sovrano in carica ai suoi predecessori, sta alla base della
creazione delle cosiddette liste dei re, elenchi di nomi regali redatti sulle mura di templi
e tombe (in particolare sui templi della XIX Dinastia di Sethi I e Ramses II ad Abido),
ma anche su papiri, di cui oggi resta un unico esempio (il cosiddetto Canone di Torino),
o iscrizioni rupestri nel deserto, come quelle nelle cave di selce del Wadi Hammamat nel
Deserto Orientale). La continuità e la stabilità della regalità erano quindi conservate
tramite le offerte ai sovrani del passato considerati legittimi, come raffigurato ad
esempio nel tempio di Sethi I ad Abido. Anche le liste dei re potrebbero essere state
consultate da Manetone per compilare la sua storia. Il Canone di Torino, un papiro
ramesside databile al XIII secolo a.C, è la lista dei re egiziana più ricca di informazioni.
A partire dal Secondo Periodo Intermedio (1650-1550 a.C.) risale indietro nel tempo con
grande precisione fino al regno del primo sovrano della I Dinastia Menes (circa 3000
a.C.), ed anche oltre quello, fino all’epoca mitologica della preistoria quando gli dei
governavano l’Egitto. Di ogni regno sono riportati anni, mesi e giorni; ed inoltre sono
presenti anche alcuni elementi che supportano il sistema delle dinastie di Manetone,
come ad esempio la segnalazione di una rottura (dinastica?) alla fine della V dinastia
(vedi Capitolo 5).
Ma è bene sottolineare che le liste dei re non avevano finalità storiche, bensì erano
connesse alla venerazione degli antenati: il passato veniva presentato come una
combinazione di generale ed individuale, in cui la costanza ed universalità della regalità
erano celebrate attraverso l’elenco di specifici possessori della titolatura regale. Nel suo
studio sul II Libro di Erodoto, Alan Lloyd scrive: ”Dato che tutti gli studi storici hanno a
che fare con i concetti di generale e particolare, poiché cercano di collocare ogni singolo
fenomeno in uno sfondo di principio generale o legge, c’è sempre una tensione tra i due
elementi; tensione risolta in Egitto con la prevalenza del secondo”. Il conflitto tra
generale e particolare è senza dubbio un fattore importante nella cronologia e storia
dell’antico Egitto, dato che i testi e i manufatti alla base della storia egiziana di solito
contengono informazioni sia generali (mitologiche o rituali) che particolari (storiche). La
difficoltà nel costruire una narrativa storica sta proprio nel distinguere il più chiaramente
possibile questi due tipi di informazioni, considerando anche la tendenza egiziana a
rendere incerto il confine tra le due cose. L’Egittologo Svizzero Erik Hornung descrive
la storia egiziana come una sorta di “celebrazione” di continuità e cambiamento insieme.
Così come il re vivente poteva essere considerato un sinonimo del dio falco Horus, i suoi
sudditi (almeno dal Primo Periodo Intermedio in poi) iniziarono ad identificarsi con il
dio Osiride dopo la loro morte. In altre parole, gli egiziani erano portati a ritenere gli
uomini come una combinazione di generale e particolare; il loro peculiare senso della
storia, quindi, comprendeva sia lo specifico che l’universale in egual misura.

Il ruolo dell’Astronomia nella cronologia tradizionale egiziana

Spesso gli egittologi si trovano a dover mettere insieme tutte le evidenze storiche
disponibili, provenienti ad esempio dalle biografie individuali sulle pareti delle tombe,
dalle liste dei sovrani sulle mura dei templi, dai risultati provenienti dalla stratigrafia di
uno scavo archeologico, e così via. Per l’epoca faraonica ed il Periodo Tolemaico e
Romano, le cronologie assolute “tradizionali” si basano in genere su una complessa rete
di riferimenti testuali, che combinano vari elementi (nomi, date, informazioni
genealogiche) in una cornice storica complessiva, più chiara in certi periodi rispetto ad
altri. I cosiddetti Periodi Intermedi, ad esempio, sono risultati essere fasi particolarmente
difficili da ricostruire, in parte a causa della compresenza di dinastie o sovrani che
regnarono contemporaneamente in differenti regioni del paese. Ma

alcuni elementi, come le registrazioni di osservazioni dell’ascesa solare della stella-cane


Sirio, sono molto utili agli studiosi sia per la ricostruzione del calendario egiziano, che
come legame con la cronologia assoluta. La dea Sopdet, nota come Sothis nel periodo
Greco-Romano (332 a.C. - 395 d.C.), era la personificazione della “stella-cane”, che i
Greci chiamavano Seirios (Sirio). Era di solito rappresentata come una donna con una
stella sulla testa, sebbene le prime raffigurazioni, su una tavoletta d’avorio del re Djer
della I Dinastia (circa 3000 a.C.) da Abido, sembrano mostrarla come una vacca
accosciata(? Seated) con una pianta tra le corna. Dato che la raffigurazione di una pianta
era usata anche per l’ideogramma che significava “anno” nel sistema di scrittura
faraonico, gli egiziani potrebbero aver connesso l’ascesa della stella-cane con l’inizio
dell’anno solare già agli inizi del III millennio a.C.
Insieme al marito Sah (Orione) e al figlio Soped, Sopdet era parte di una triade che
formava un parallelo con la famiglia di Osiride, Iside e Horus; mentre nei Testi delle
Piramidi è descritta la sua unione con Osiride per dare alla luce la stella del mattino. Nel
calendario Egiziano Sopdet era la stella più importante tra le costellazioni note come
decani, ma la sua ascesa/nascita coincideva con l’inizio dell’anno solare solo una volta
ogni 1.460 anni (o più precisamente 1,456 anni). E’ noto che questa rara sincronia della
levata eliaca di Sopdet con l’inizio dell’anno civile Egiziano (o “anno errante” come
viene a volte descritto, dato che cade di solito oltre l’anno solare con una cadenza di
circa un giorno ogni quattro anni) accadde nel 139 d.C., durante il regno dell’imperatore
Romano Antonino Pio, evento commemorato dal conio di una speciale moneta ad
Alessandria. Altre ascese precedenti sarebbero accadute nel 1321-1317 a.C. e 2781-2777
a.C., quindi il periodo compreso tra queste due date è noto come ciclo Sotiaco. Due testi
egiziani che registrano l’ascesa di Sopdet (datati al regno di Senusret III ed Amenhotep
I) formano le basi della cronologia convenzionale dell’Egitto, che a sua volta ha
influenzato quella dell’intera regione del Mediterraneo. Questi due documenti sono una
lettera della XII Dinastia dal sito di Lahun, scritta il giorno 16 del IV mese della seconda
stagione nel 7° anno del regno di Senuseret III, ed un papiro medico tebano della XVIII
Dinastia (Papiro Ebers), scritto il giorno 9 del III mese della terza stagione del 9°anno di
regno di Amenhotep I. Assegnando delle date assolute ad ognuno di questi documenti
(1872 a.C. per l’ascesa di Lahun nel 7°anno di Senuseret III, e 1541 a.C. per l’ascesa del
papiro Ebers nel 9°anno di regno di Amenhotep I), gli egittologi sono riusciti ad
estrapolare una serie di datazioni assolute per l’intero periodo faraonico, basandosi sulla
lunghezza dei regni di altri sovrani del Medio e Nuovo Regno. Non è possibile,
comunque, affidarsi del tutto alle datazioni assolute sopra citate, dato che la precisione
nell’identificarle dipende dalla conoscenza degli storici della collocazione (o
collocazioni) del luogo in cui venivano fatte queste osservazioni astronomiche. Si ritiene
- senza reali prove – che le osservazioni venissero fatte a Menfi o forse Tebe, ma Detlef
Franke e Rolf Krauss hanno ipotizzato che potessero essere fatte tutte ad Elefantina.
William Ward, d’altra parte, ritiene più probabile che vi fossero distinte osservazioni
locali, che avrebbero potuto svolgersi in un particolare periodo in concomitanza di
festività religiose “nazionali” (e quindi sia le osservazioni che le festività religiose
potevano svolgersi in tempi e luoghi differenti del paese). Questa continua incertezza
testimonia la confusione degli studiosi riguardo all’antica astronomia, sebbene si debba
notare che le differenze tra cronologia “alta” e “bassa” (basate soprattutto su assunti
inerenti differenti luoghi di osservazione) sono per la maggior parte solo di qualche
decade al massimo.

Correggenze

Caratteristico della cronologia egiziana è il concetto di correggenza, termine moderno


che indica il regno contemporaneo di due sovrani, di solito caratterizzato dal sovrapporsi
di qualche anno tra la fine di un regno e l’inizio di un altro. Questo sistema potrebbe
essere stato usato almeno dal Medio Regno per assicurare che il trasferimento del potere
accadesse con la minore discontinuità ed instabilità possibile. Inoltre in questo modo si
permetteva al successore designato l’acquisizione di una certa esperienza
nell’amministrazione prima della morte del suo predecessore. Sembra, comunque, che i
sistemi di datazione durante le correggenze siano stati differenti da un periodo all’altro.
Quindi, ad esempio, i correggenti della XII Dinastia potrebbero aver usato ognuno delle
datazioni regali diverse, causando delle sovrapposizioni tra i regni dei sovrani, e creando
esempi di cosiddette doppie datazioni, ovvero l’uso di entrambi i sistemi di datazione per
datare un singolo monumento (vedi Capitolo 7). Nel Nuovo Regno non ci sono casi certi
di datazioni doppie, quindi potrebbe essere stato usato un differente sistema di datazione.
Nel regno di Tuthmosis III (1479-1425 a.C.) e Hatshepsut (1473-1458 a.C.), ad esempio,
le date sembrano fare riferimento all’ascesa al trono di Hatshepsut, come se ella fosse
diventata sovrano nello stesso periodo di Tuthmosis III. Restano dubbi sull’utilizzo di
datazioni separate nelle possibili correggenze di Thutmosis III - Amenotep II e
Amenhotep III - Amenhotep IV. Gli argomenti a favore e contro una correggenza tra i
due ultimi sovrani sono stati riesaminati con cura da Donald Redford e poi da William
Murname. Numerose controversie restano tuttora aperte sull’identificazione delle
effettive correggenze e della loro durata, tanto che alcuni studiosi (come Gae Callender
nel Capitolo 7 di questo testo) negano del tutto l’esistenza di correggenze in Egitto.

Periodi “oscuri” ed altri problemi cronologici

I problemi cronologici con i quali egittologi devono confrontarsi sono, quindi, numerosi:
la difficoltà nell’associare datazioni specifiche alle osservazioni astronomiche,
l’incertezza sulle correggenze, e la discordanza tra il cosiddetto anno civile “errante”
egiziano di 365 giorni e l’effettivo anno solare. A questi esempi si aggiungono ulteriori
difficoltà, come la non disponibilità di alcune fonti (la storia di Manetone, ad esempio, di
cui non si conoscono né le fonti né il testo originale) e l’impossibilità di determinare
l’esatta durata di alcuni regni (per esempio il Canone di Torino assegna ai regni di
Senuseret II e III rispettivamente diciannove e trentanove anni di regno, mentre in
documenti coevi i loro anni di regno registrati sono solo sei e diciannove). Inoltre
l’Egitto, come altre culture, ha avuto periodi nella sua storia meno documentati di altri,
epoche che la scarsità di resti archeologici e testuali con datazioni differenti porta ad
considerare come “periodi intermedi”, in cui la stabilità sociale e politica sembra sia
stata temporaneamente messa in discussione. Si ritiene quindi che quei periodi di
continuità politica e culturale denominati Antico, Medio e Nuovo Regno siano stati
seguiti, ognuno, da periodi “oscuri”, in cui il paese era diviso e indebolito da conflitti
(sia guerre civili tra province che invasioni straniere). Questo scenario viene
contemporaneamente confermato e negato dalla storia di Manetone. Infatti negli
Aegyptiaca è presente un’ambigua aria di continuità nella successione di sovrani e
dinastie, attraverso l’assunto che solo un sovrano alla volta poteva occupare il trono
d’Egitto. Ma nello stesso tempo, la descrizione di alcune dinastie corrispondenti ai
periodi intermedi suggerisce che la sovranità stava cambiando di mano con allarmante
rapidità. Lo studio del Terzo Periodo Intermedio è diventato uno tra i più controversi
della storia egiziana, soprattutto a partire degli anni 1990, quando divenne oggetto di
attente analisi da parte di diversi studiosi. Tre aree di ricerca in particolare si sono
intensificate: in primo luogo molti aspetti della cultura dell’epoca (come ad esempio la
ceramica e i corredi funerari) sono stati analizzati attraverso il cambiamento di fattori
quali lo stile ed i materiali.
Inoltre sono stati intrapresi studi antropologici, iconografici e linguistici sull’identità
etnica “Libica” di molti dei sovrani delle XXI-XXIV Dinastie. Infine un piccolo gruppo
di studiosi ha ipotizzato che il periodo di 400 anni del Terzo Intermedio (ed anche altre
epoche “oscure” quasi contemporanee nel Vicino Oriente e Mediterraneo) sia stato
artificialmente aggiunto dagli storici. Essi ipotizzano che il Nuovo Regno non sia
terminato nel XI secolo ma nell’ VIII a.C., lasciando così un gap temporale molto più
limitato, circa 150 anni tra la fine della XX Dinastia e l’inizio del Periodo Tardo. Questa
ipotesi, comunque, è stata ampiamente rigettata, non solo perché egittologi, assiriologi
ed studiosi dell’Egeo hanno invalidato molte delle singole argomentazioni testuali ed
archeologiche a favore del cambiamento cronologico, ma anche e più significativamente
perché i sistemi di datazione scientifica (ovvero radiocarbonio e dendrocronologia)
hanno dato sempre prove solide per la cronologia convenzionale. Inoltre l’irrilevanza di
queste ipotesi all’interno della cronologia convenzionale, data la superiorità ed il
significato crescente delle datazioni scientifiche, è stata descritta molto bene
dall’archeologo classicista Anthony Snodgrass come “un po’ come uno schema
dettagliato per riorganizzare l’economia della Germania dell’Est, prodotto nel 1989 o
agli inizi del 1990”. Anche a livello culturale, il significato delle divisioni storiche di
base (ovvero la distinzione tra periodo Predinastico, Faraonico, Tolemaico e Romano) è
stato messo in dubbio per la prima volta. Da una parte, i risultati degli scavi degli anni
1980 e 1990 nelle necropoli di Umm el-Qa’ab (Abido) suggeriscono che prima della I
Dinastia ci fu anche una Dinastia 0, che risale ad un periodo non precisato al IV
millennio a.C. Ciò vuol dire che almeno gli ultimi due secoli (o solo l’ultimo) del
“Predinastico” furono probabilmente sotto molti aspetti già “Dinastici”, sia
politicamente che socialmente. Al contrario, la conferma della presenza di tipologie
ceramiche di Naqada III tra i manufatti ancora ampiamente utilizzati nel Protodinastico
dimostra che certi aspetti culturali del Periodo Predinastico continuarono nel periodo
faraonico (vedi Capitolo 4). Sebbene ci siano delle rotture politiche ben definite tra il
periodo faraonico e quello tolemaico (e tra questo e il periodo romano), l’aumento di dati
archeologici relativi al Periodo Tardo ha iniziato a far supporre che il processo di
cambiamento culturale potrebbe essere stato molto meno improvviso rispetto a ciò che
suggeriscono i documenti strettamente politici. Da ciò è chiaro che ci sono aspetti
dell’ideologia e della cultura materiale del periodo tolemaico che rimasero virtualmente
inalterati nonostante i cambiamenti politici. Invece di considerare, ad esempio, l’arrivo
di Alessandro Magno e del suo generale Tolomeo come un grande spartiacque nella
storia egiziana, si può anche ritenere che, come altri cambiamenti politici significativi tra
la prima metà del I millennio a.C e la prima metà del I millennio d.C, questo potrebbe
essersi inserito senza rotture nei più graduali processi di cambiamento economico e
sociale . Quindi elementi significativi della civiltà faraonica potrebbero essere
sopravvissuti relativamente intatti per molti millenni, solo grazie ad una piena
combinazione di trasformazioni culturali e politiche, fino all’inizio del Periodo Islamico
nel 641 d.C.
Cambiamento storico e cultura materiale

C’è stato un notevole incremento nello studio della ceramica egiziana alla fine del XX
secolo, sia per la quantità di nuovi frammenti analizzati (da un gran numero di siti), che
per le moderne tecniche scientifiche che permettono di estrarre nuove informazioni da
questo materiale. Inevitabilmente lo sviluppo nella conoscenza di questo prolifico
aspetto della cultura materiale egiziana ha avuto conseguenze anche

sulla struttura cronologica. Gli scavi di una parte della città di Menfi (il sito di Kom
Rabi’a) negli anni ‘80 sono un buon esempio del modo in cui approcci più sofisticati alla
ceramica hanno reso possibile una comprensione più approfondita di un processo di
cambiamento culturale. Il vasellame in ceramica può essere datato tramite sistemi di
datazione relativa, con tecniche tradizionali come la seriazione di materiale funerario o
l’analisi di grandi quantità di materiale stratificato in siti religiosi o domestici; ma
possono fornire anche datazioni assolute abbastanza precise, sia tramite il metodo
convenzionale di associazione con materiale inscritto o artistico (soprattutto per le
tombe), che con l’uso di nuove tecniche scientifiche come la datazione con la
termoluminescenza. Alcuni studiosi hanno iniziato lo studio delle modalità con le quali
cambiarono nel corso del tempo le tipologie di vasellame e della sua fabbricazione. In tal
modo si è riscontrato che la tipologia delle forme per pane in ceramica, ad esempio, vide
un cambiamento radicale alla fine dell’Antico Regno, ma non è chiaro ancora se la fonte
di questo cambiamento sia da cercare nella sfera economica, sociale o tecnologica, o se
sia stato il mero risultato di un cambiamento di “moda”. Queste analisi mostrano che il
processo di cambiamento nella cultura materiale avvenne per una serie complessa di
ragioni, di cui solo alcune connesse ai cambiamenti politici che tendono a dominare le
idee convenzionali sulla storia egiziana. Con questo non si vogliono negare le numerose
connessioni tra cambiamenti politici e culturali, come ad esempio la correlazione tra la
produzione centralizzata di ceramica dell’Antico Regno e l’emergenza di tipologie
ceramiche locali durante il Primo Periodo Intermedio, più frammentato a livello politico
(e poi la nuova omogeneizzazione della ceramica durante la più unita XII Dinastia).
Nello studio di alcune fasi della storia egiziana, come la nascita dello stato unitario
all’inizio del periodo faraonico o il declino e la fine dell’Antico Regno, gli studiosi
hanno a volte esaminato numerosi fattori ambientali e culturali per spiegare alcuni
importanti cambiamenti politici improvvisi. Uno dei problemi di questa attenzione
selettiva verso analisi storiche non prettamente politiche, comunque, è il fatto che si
conosce ancora così poco sui cambiamenti ambientali e culturali durante i periodi di
stabilità e prosperità (come Antico e Medio Regno), che è molto più difficile interpretare
questi fattori in periodi di crisi politica. Lo studio crescente del vasellame in ceramica ed
altri manufatti comuni (così come dei fattori ambientali come clima ed agricoltura) sta
iniziando a creare le basi per nuove versioni più olistiche della storia egiziana, in cui la
politica narrative (?) è considerata nel contesto dei processi di cambiamento culturale più
a lungo termine.
“Storia” egiziana

La produzione artistica e testuale di tutto il periodo faraonico continuò a conservare la


tensione Predinastica e Protodinastica tra registrazione e commemorazione, che può
anche essere considerata come la distinzione tra le etichette funzionali attaccate ai beni
funerari e gli oggetti votivi cerimoniali, come palette e teste di mazza. Infatti la funzione
delle etichette funerarie più antiche era di usare gli eventi storici come metodo di
datazione, mentre gli oggetti d’arte come palette e teste di mazza (così come le stele ed i
rilievi dei templi nel periodo faraonico) non registravano eventi storici, ma li
utilizzavano per commemorare particolari atti intrapresi da sovrani o funzionari regali.
Nel tempio funerario di Ramses III a Medinet Habu c’è una scena in cui il capo Libico
Meshesher è portato alla presenza del re. Il senso di questa raffigurazione è ovviamente
quello di registrare la resa di uno straniero particolarmente importante, la cui personale
umiliazione comprende la sconfitta del suo popolo; ma sul lato sinistro della scena si
vede anche il preciso accumulo e conteggio di una pila di mani di Libici: in questa
duplice funzione si può notare

chiaramente la differenza rispetto ad una raffigurazione storica occidentale più moderna.


Il rilievo si trova sulle pareti di un tempio funerario e quindi sta a dimostrare la
devozione del re verso gli dei. Infatti così come nel Nuovo Regno i privati facevano
inscrivere dei testi “autobiografici” sulle pareti delle cappelle delle loro tombe per
ricordare agli dei la loro pietà e beneficenza, allo stesso modo i rilievi nei templi funerari
regali simboleggiavano un tipo di procedura di conteggio, una quantificazione visiva dei
successi raccolti dal re sia per che grazie agli dei. Il senso egiziano della storia vede i riti
e gli eventi reali come inseparabili ed il vocabolario dell’arte e dei testi spesso non fa
distinzione tra reale e ideale. Quindi gli eventi della storia e del mito erano entrambi
parte del processo di stabilità, in cui il re dimostrava il mantenimento della Maat, o
armonia, davanti agli dei. Anche quando un monumento egiziano sembra essere una
semplice commemorazione di uno specifico evento storico, questo è spesso interpretato
come un atto simultaneamente mitologico, rituale ed economico.
CAPITOLO 3: IL PERIODO DI NAQADA (4000-3200 a.C.)

Béatrix Midant-Reynes (pp.44-60)

La seconda fase principale del Periodo Predinastico - la cultura di Naqada - deve il suo
nome al sito di Naqada, nell’Alto Egitto, dove nel 1892 Flinders Petrie scoprì una grande
necropoli di più di 3000 tombe. Colpito dall’inusuale natura di queste sepolture, le
comparò con altre già note in Egitto, attribuendole erroneamente ad un gruppo di
invasori stranieri. Infatti Petrie riteneva possibile l’esistenza di popolazioni straniere in
Egitto fino alla fine dell’Antico Regno, ed anzi supponeva che esse fossero state
responsabili della crisi che portò al declino di questo periodo. Al contrario di ciò che in
genere evoca l’architettura funeraria monumentale egiziana, le sepolture di Naqada
erano molto povere e caratterizzate spesso solo dal corpo del defunto in posizione fetale,
avvolto in una pelle d’animale, a volte coperto da una stuoia, e più spesso deposto in un
semplice pozzo scavato nella sabbia. Nessuna delle offerte che accompagnavano il
defunto corrispondevano agli elementi usuali della civiltà faraonica, come già compreso
all’epoca di Petrie. Infatti i vasi in ceramica con l’orlo nero ed il corpo rosso lucido, le
palette in scisto zoomorfe, i calici ed i cucchiai d’osso e avorio, i coltelli in selce ed altri
manufatti costituivano un gruppo molto peculiare di oggetti. Jacques de Morgan fu il
primo ad ipotizzare che essi potessero essere testimonianze di una popolazione
preistorica. Petrie allora decise di provare l’ipotesi di de Morgan al livello scientifico
attraverso lo scavo di migliaia di altre tombe da siti simili: fu così in grado di fissare la
prima cronologia dell’Egitto Predinastico. Per questo motivo Petrie è considerato senza
dubbio il padre della preistoria dell’Egitto.

Cronologia e geografia

Avendo attribuito le tombe scoperte al Predinastico, l’obiettivo successivo fu di


organizzare la gran quantità di materiale scoperto e collocarlo in una struttura
cronologica. Usando la ceramica proveniente da circa 900 tombe della necropoli di Hiw
e Abadiya, Petrie delineò un metodo di seriazione che formò la base del sistema di
“datazioni in sequenza”, in cui furono classificate nuove categorie di ceramica secondo
la loro forma e decorazione. In tal modo Petrie riuscì ad intuire, ad esempio, che il
vasellame ondulato con il manico era il prodotto di una graduale evoluzione dal
vasellame globulare con manici funzionali verso forme cilindriche in cui i manici erano
puramente decorativi. Questo concetto di evoluzione del design dei vasi ondulati con
manici fu alla base della prima cronologia derivata dalle “datazioni in sequenza”. Il
risultato fu una tavola di cinquanta datazioni in sequenza, numerate dal 30 in poi, per
lasciare spazio a culture più antiche che non erano state ancora scoperte. Essa si rivelò
una saggia precauzione, dato che in seguito gli scavi di Brunton a Badari portarono
all’identificazione del Periodo Badariano, la prima fase del Predinastico dell’Alto Egitto
(vedi Capitolo 2). La lunghezza delle singole fasi, ognuna rappresentata da una
datazione in sequenza (SD), era incerta ed il solo legame con una datazione assoluta era
quello tra le SD 79-80 e l’ascesa del re Menes all’inizio della I dinastia, verso il 3000
a.C. circa.
Le datazioni in sequenza furono suddivise in tre periodi: il primo era l’Amraziano (o
Naqada I), che deve il suo nome al sito rappresentativo di el-Amra, e che comprendeva
le SD 30-38. Questa fase corrispondeva al massimo sviluppo della ceramica rossa ad
orlo nero e del vasellame dipinto di bianco con motivi decorativi sul corpo rosso lucido.
Il secondo periodo era il Gerzeano (o Naqada II), da el-Gerza, che comprendeva le SD
39-60 ed era caratterizzato dalla comparsa di ciotole domestiche grossolane, vasellame
con manici ondulati e decorazioni fatte con pittura marrone su fondo crema. Infine vi era
il periodo di Naqada III, che comprendeva le SD 61-80 ed era caratterizzato dalla
comparsa del cosiddetto stile tardo, le cui forme già facevano presagire la ceramica
Dinastica.

Secondo Petrie fu durante la fase di Naqada III che una “Nuova Razza” Asiatica arrivò
in Egitto, portando con sé i semi della civiltà faraonica. Gli studiosi hanno spesso
elogiato il sistema delle datazioni relative di Petrie e, sebbene varie analisi lo abbiano
corretto e ne abbiano migliorato la precisione, le tre fasi principali del Tardo
Predinastico non sono mai state veramente messe in dubbio, ed ancora oggi
costituiscono il telaio su cui è intessuta la preistoria Egiziana. Ma nel corso del tempo si
è notato che l’attendibilità del corpus ceramico è fondamentale per la validità del
sistema. Ad esempio nel 1942 Walter Federn, un esule Viennese negli Stati Uniti, espose
delle crepe nel corpus di Petrie, notate durante il suo lavoro di classificazione del
vasellame proveniente dalla collezione di de Morgan nel Brooklyn Museum. Fu quindi
obbligato a rivedere i gruppi di Petrie, rimuovendone due dalla sequenza ed
introducendo un fattore che era stato ignorato da Petrie: la fabbrica del vasellame.
Divenne chiaro inoltre che un sistema basato su materiale proveniente dalle necropoli
dell’Alto Egitto non era necessariamente valido anche per le necropoli del nord o della
Nubia. A dispetto delle mancanze riscontrate, il lavoro di Petrie rappresentò l’unico
mezzo di organizzazione del Predinastico in fasi culturali fino al sistema ideato da
Werner Kaiser negli anni 1960, che comunque non riuscì realmente a sostituirlo. Kaiser
creò una seriazione della ceramica proveniente da 170 tombe delle necropoli 1400-1500
di Armant usando la pubblicazione del sito fatta da Robert Mond ed Oliver Myers degli
anni 1930. Il suo lavoro dimostrò che era presente anche una cronologia “orizzontale”
nella necropoli: infatti la ceramica ad orlo nero abbondava nella zona meridionale della
necropoli, mentre le forme “tarde” si concentravano soprattutto nell’estremità
settentrionale. Un’analisi molto dettagliata della classificazione, ancora basata sul corpus
di Petrie, gli permise di correggere e affinare il sistema di datazione in sequenza. Quindi
le tre fasi principali di Petrie furono confermate, ma vennero rifinite con l’aggiunta di
undici suddivisioni (o Stufen) da I-a a III-b. Nel 1989 la tesi di dottorato di Stan
Hendrickx permise al sistema di Kaiser di essere applicato a tutti i siti egiziani
dell’epoca di Naqada. Tutto ciò diede come risultato delle radicali modifiche soprattutto
nelle fasi di transizione tra Naqada I e II. Un ulteriore progresso importante per la
cronologia del Predinastico produsse dei sensibili vantaggi per la datazione assoluta.
Infatti sia le datazioni in sequenza di Petrie che gli Stufen di Kaiser costituivano un
sistema di datazione relativa: ovvero avevano un terminus ante quem al 3000 a.C. (la
datazione presunta per l’unificazione dell’Egitto), ma non davano nessuna datazione
assoluta per l’inizio e la fine di ognuna delle fasi del periodo di Naqada.
I legami necessari ccon la cronologia assoluta furono resi possibili nella seconda metà
del XX secolo grazie allo sviluppo di metodi di datazione basati sull’analisi dei
fenomeni fisici e chimici. Per quel che riguarda il Predinastico Egiziano, le tecniche di
datazione più innovative ed importanti furono la termoluminescenza (TL) ed il
radiocarbonio (C-14). Ad esempio le analisi di Libby provarono la precisione del sistema
di datazione del radiocarbonio su materiale proveniente dalla regione del Fayum,
rendendo così possibile la costruzione di una struttura cronologica piuttosto precisa, in
cui le tre grandi fasi di Petrie trovarono il loro posto. Infatti la prima fase di Naqada
(Amraziano) è stata collocata tra il 4000 ed il 3500 a.C., seguita dalla seconda fase
(Gerzeano), dal 3500 al 3200 a.C., e dalla fase finale Predinastica che va dal 3200 al
3000 a.C. Infine, nonostante la collocazione geografica dei siti di Naqada I sia
concentrata esclusivamente in Alto Egitto (da Matmar a nord fino a Kubbaniya e Khor
Bahan a sud), la situazione cambiò notevolmente durante la fase di Naqada II,
caratterizzata in particolare da un processo di forte espansione. Emergendo dal suo
nucleo meridionale, questa cultura si diffuse verso nord ed il ramo più orientale del
Delta, oltre che verso sud, dove entrò in contatto diretto col Gruppo A Nubiano.

Naqada I (Amraziano)

Petrie e Quibell scoprirono molte migliaia di sepolture Predinastiche (15000 per l’intero
Periodo Predinastico) e di conseguenza si può affermare che la conoscenza di questo
periodo fu basata - per oltre un secolo - quasi interamente sui resti funerari. Dall’analisi
di questa unica tipologia di documenti archeologici si è notato inoltre che l’Amraziano
non sembra essere molto differente dalla precedente cultura Badariana. I rituali di
sepoltura e la tipologia di offerte funerarie sono così simili che ci si è perfino chiesto se
quest’ ultima cultura non costituisse una versione regionale più antica della prima. In
generale, i defunti del periodo Amraziano erano sepolti in semplici pozzi ovali in
posizione contratta, posati sul fianco sinistro con la testa orientata verso sud e volta ad
ovest. Una stuoia era posta sul terreno sotto il defunto, ed a volte la testa si trovava sopra
una sorta di cuscino di paglia o pelle. Un’altra stuoia o pelle di animale (capra o
gazzella) copriva o avvolgeva il defunto e, nella maggior parte dei casi, anche le offerte
funerarie. I resti di vesti suggeriscono che l’usuale abbigliamento del defunto era
costituito da una sorta di fascia intessuta che cingeva i fianchi. Sebbene le sepolture
semplici di singoli individui fossero la maggioranza, erano frequenti anche sepolture
multiple, soprattutto comprendenti una donna (probabilmente la madre) e un bimbo
appena nato. Rispetto al periodo precedente, si nota la comparsa di grandi luoghi di
sepoltura, con sarcofagi di legno o argilla, ed un corredo funerario più abbondante. In
particolare le tombe Amraziane della regione di Hierakonpolis sono significative anche
per la loro forma rettangolare e dimensione inusuale (la più grande misura 2,50 m. x
1,80 m.), sebbene siano state tutte saccheggiate. Inoltre in almeno due casi la presenza di
teste di mazza in porfido a forma di disco indicano probabilmente le sepolture di
personaggi importanti. Quindi l’elemento che differenzia la cultura Amraziana dalla
Badariana è soprattutto la diversità delle tipologie di beni funerari e quindi una maggiore
gerarchia visibile, elemento che rende Hierakonpolis in particolare un sito molto
importante già da questo periodo. Questa differenza tra cultura Badariana e Amraziana si
può notare soprattutto nella cultura materiale: la ceramica rossa con l’orlo nero, ad
esempio, divenne sempre meno comune fino alla sua totale scomparsa alla fine del
Predinastico. Anche l’effetto increspato sulla superficie della ceramica divenne più raro,
come pure la ceramica nera lucida. Allo stesso tempo, però, la ceramica rossa lucida
continuò a fiorire in una gran varietà di forme, spesso incorporando differenti stili di
decorazione della superficie. Gli esempi migliori di decorazione comprendono sculture a
tutto tondo e disegni dipinti in bianco con motivi geometrici, vegetali ed animali,
elementi iniziali di un’iconografia che sarebbe poi divenuta il nucleo della civiltà
faraonica. La fauna rappresentata sul vasellame era essenzialmente fluviale, come
ippopotami, coccodrilli, lucertole e fenicotteri, ma a volte venivano raffigurati anche
scorpioni, gazzelle, giraffe, icneumoni e bovini. Questi ultimi, però, erano resi in modo
molto schematico, che rende quindi difficile la loro precisa identificazione. A volte
poteva essere rappresentata anche una barca, prefigurando uno dei motivi principali della
fase di Naqada II. Le figure umane, sebbene in questo periodo non molto frequenti,
erano tuttavia presenti nella visione Amraziana dell’universo. Ciò nonostante anche gli
esseri umani erano rappresentati in modo schematico, con una piccola testa tonda su un
torso triangolare che terminava in fianchi stretti e gambe sottili, spesso senza piedi,
mentre le braccia erano presenti solo quando la figura era raffigurata in qualche attività
particolare. Le scene che comprendevano figure umane possono essere divise in due
tipologie: la prima - e più frequente - è la caccia, mentre la seconda è quella del
guerriero vittorioso. Un buon esempio di scena di caccia è su un vaso di Naqada I al
Pushkin Museum of Fine Arts di Mosca (la “Ciotola di Mosca”). La scena mostra un
uomo che ha un arco nella mano sinistra, mentre nella destra tiene al guinzaglio quattro
levrieri. Questa immagine del cacciatore trionfante può essere confrontata con alcune
scene posteriori di sovrani che indossano la coda di un animale legata alla cintura (ad
esempio sulla cosiddetta Paletta del Cacciatore oggi al British Museum o sul manico di
coltello da Gebel el-Arak oggi al Louvre), che continuarono ad essere immagini dal forte
valore simbolico fino alla fine del periodo faraonico. Il tema del guerriero vittorioso si
trova, invece, sul corpo allungato di un vaso di Naqada I nella collezione del Petrie
Museum, University College Londra. La scena mostra due figure umane tra motivi
vegetali: la figura più grande, con steli o piume nei capelli, alza le braccia sopra la testa,
mentre la sua virilità è inequivocabilmente sottolineata da un pene o da un astuccio
pelvico. Alcuni nastri intrecciati tra le sue gambe potrebbero rappresentare una sorta di
veste decorata, mentre una linea bianca parte dal torace e si arrotola attorno al collo della
seconda figura, una persona molto più piccola con i capelli lunghi. Un rigonfiamento
sulla schiena della seconda figura potrebbe rappresentare le braccia legate. A dispetto di
una chiara protuberanza pelvica, la sessualità della figura più piccola resta ambigua: se
fosse una femmina allora sarebbe giustificata la piccola dimensione. Una scena simile
decora un vaso identico nel Brussels Museum, così come un altro dello stesso materiale
(? non dice nemmeno prima di che materiale sono fatti, p.49) ritrovato negli anni 1990
dagli archeologi Tedeschi ad Abido. La prevalenza della figura legata e l’assenza o
ostruzione delle braccia delle persone più piccole inducono ad individuare in queste
scene il tema del conquistatore e dello sconfitto, probabile prototipo delle tradizionali
scene di vittoria del periodo faraonico. E’ interessante notare che, già dalla fase di
Naqada I, il tema duale della caccia e della guerra - sempre intesa come vittoriosa - è ben
stabilito, ad implicare l’esistenza di un gruppo di cacciatori-guerrieri già investiti da
un’aura di potere.

Ciò nonostante le sepolture e le offerte funerarie indicano una gerarchizzazione non così
in crescita come invece la tendenza verso la diversità sociale nella cultura di Naqada I.
Le offerte in questa fase iniziale sembrano intese semplicemente come segno
dell’identità del defunto, mentre solo nella fase di Naqada II (ed ancora di più in Naqada
III) saranno chiaramente in evidenza grandi accumuli di manufatti funerari. A tal
proposito sono particolarmente significative le statuette funerarie: sia uomini che donne
sono rappresentati stanti, più raramente seduti, con grande enfasi sulle principali
caratteristiche sessuali. Solo poche delle migliaia di tombe scavate contenevano queste
statuette, e di solito se ne trova solo una per tomba, mentre i gruppetti di due o tre sono
abbastanza rari. Il numero più alto rinvenuto in un’unica tomba è stato un gruppo di
sedici figurine. Dall’analisi di altre tipologie di offerta si è notato che le tombe
contenenti molte statuette non erano particolarmente ricche in altri aspetti, e che queste
piccole figure scolpite erano a volte le uniche offerte presenti. E’ stato ipotizzato che
queste tombe potessero essere appartenute a scultori, ma qualunque sia il loro
significato, la presenza di questi oggetti indica una maggiore esclusività rispetto a tombe
con una maggiore quantità di beni funerari. L’uso del rame e di coltelli in selce come
offerte funerarie fa sorgere lo stesso tipo di incertezze per la fase Naqada II. Le teste di
uomini barbuti rese più o meno schematicamente sembrano costituire un’altra nuova
categoria di rappresentazioni umane della fase Naqada I, che si svilupperà ulteriormente
in Naqada II. Trovate su piccoli cilindretti d’avorio intarsiato o sulle punte di zanne di
ippopotamo o elefante, la loro principale caratteristica ripetuta è la presenza della barba
triangolare, spesso bilanciata da una sorta di copricapo “frigio” (phrygian ?, p.50) con un
foro da sospensione. A differenza delle donne, gli uomini non vennero più identificati
soltanto tramite le loro principali caratteristiche sessuali, ma anche da quelle secondarie
e dallo status sociale che queste gli conferivano. La barba era evidentemente un simbolo
di potere e, sottoforma di “barba posticcia” cerimoniale, diventerà in seguito riservata
soltanto al mento di sovrani e divinità. Un altro simbolo di potere che caratterizza la fase
Naqada I è la testa di mazza a forma di disco, di solito scolpita in pietra dura, ma a volte
anche su materiali più morbidi come calcare, terracotta, o anche ceramica non cotta, solo
raramente provvista di manico. Fu durante questa fase che iniziarono a svilupparsi le
tecniche per la lavorazione artigianale di pietra dura e non (ad esempio conglomerato,
granito, porfido, diorite, breccia, calcare ed alabastro Egiziano), che avrebbero permesso
in seguito alla cultura Egiziana di diventare la “civiltà della pietra” per eccellenza. In
particolare le palette per cosmetici in conglomerato divennero uno dei beni funerari più
variegati durante l’Amraziano. Le loro forme infatti si moltiplicarono sempre di più,
comprendendo semplici forme ovali, a volte incise con figure di animali, o forme
zoomorfe complete che includevano pesci, tartarughe, ippopotami, gazzelle, elefanti ed
uccelli (sebbene la gamma di animali raffigurati sul vasellame dipinto era senza dubbio
maggiore). La produzione di oggetti in osso e avorio, comprendenti punzoni, aghi,
punteruoli, calici e cucchiai, estese e sviluppò ulteriormente il repertorio della
precedente cultura Badariana. Non sono stati trovati molti utensili lavorati in pietra dura
nelle tombe di Naqada I, ma la rarità di questi ritrovamenti è compensata dalla loro
qualità. Queste delicate e lunghe (alcune fino a 40 cm.) lame erano scheggiate su
entrambe le facce e regolarmente seghettate. La loro caratteristica più inusuale era il
fatto di essere state tutte lucidate prima del ritocco.

Questo processo era usato anche su belle daghe con biforcate lame, che richiamano gli
strumenti a forchetta dell’Antico Regno noti come pesesh-kef usati nella cerimonia
funeraria dell’Apertura della Bocca. La steatite lucida, già nota nel periodo Badariano,
continuò ad essere utilizzata, mentre alla fase di Naqada I sembrano risalire i primi passi
nell’artigianato della faience Egiziana, in cui un nucleo di quarzo frantumato veniva
modellato nella forma desiderata e rivestito da una superficie lucida a base di patron,
colorata da ossidi metallici. La lavorazione del metallo mostra poche differenze rispetto
al periodo Badariano, tranne per l’estensione del repertorio, che comprendeva manufatti
quali spille semplici, arpioni, perline, spille ritorte per essere attaccate e bracciali, spesso
fatti con rame locale lavorato al martello. Le punte di lance biforcate provenienti da una
tomba di el-Mahasna, che imitano modelli lavorati in pietra, evocano confronti con le
tecniche di lavorazione del metallo delle regioni settentrionali di Maadi (vedi di seguito).
Il quadro che deriva dall’analisi delle tombe e del loro contenuto è quello di una società
strutturata e diversificata, con una tendenza verso l’organizzazione gerarchica, in cui si
possono già vedere in forma embrionale i tratti principali della civiltà faraonica. Rispetto
ai resti funerari molto significativi, le tracce rimaste degli insediamenti di Naqada I sono
scarse, non solo perché si sono conservati pochi siti del genere, ma anche per la natura
delle pratiche di sfruttamento terriero nel Predinastico. Inoltre, dato che le costruzioni
che formavano gli insediamenti erano costituite essenzialmente da una mescola di fango
e materiali organici (come legno, canne e palme), esse non si sono ben conservate, e
comunque il lavoro degli archeologi sarebbe stato troppo considerevole per ottenere un
minimo di dati. Tra le vestigia di capanne suddivise in più ambienti e fatte di terra
battuta (che non si possono con certezza definire abitazioni) sono state rinvenute fornaci
e fori per pali. Le aree abitate sono indicate da depositi di materiale organico spessi
dozzine di centimetri. L’unica struttura costruita rimastaci è stata scavata a
Hierakonpolis, dove una missione Americana ha scoperto una struttura bruciata fatta
dall’uomo che consisteva in un forno e una casa rettangolare, in parte circondata da un
muro, che misurava 4,00 x 3,50 m. Sebbene sia possibile che tali case fossero state
presenti in tutti gli insediamenti della Valle del Nilo di questo periodo, bisogna ricordare
che Hierakonpolis può essere considerata un’eccezione dato che già da tempo era un
centro importante, e da quest’epoca in poi fu sede di un gruppo d’élite, a giudicare dalle
sue sepolture in larga scala. La principale conseguenza della mancanza di insediamenti
scavati è la conoscenza imprecisa dell’economia di Naqada I. Le specie di animali
addomesticati sono rappresentate sui beni funerari e comprendono capre, pecore, bovini
e maiali, che si possono trovare anche sottoforma di offerte alimentari o piccole statuette
modellate in argilla. Per quel che riguarda la fauna selvatica, sembra siano state
abbondanti gazzelle e pesci, mentre si hanno prove della coltivazione di orzo, frumento,
piselli, veccia, frutti del giuggiolo e un possibile antenato dell’anguria.

Naqada II (Gerzeano)

Durante la seconda fase della cultura di Naqada avvennero dei cambiamenti


fondamentali che interessarono soprattutto il suo nucleo Amraziano ma che possono
essere considerati una naturale evoluzione piuttosto che il risultato di una rottura
improvvisa.

La fase del Gerzeano fu caratterizzata principalmente da una grande espansione, che


dalla sua fonte a Naqada si diffuse verso nord fino al Delta (Minshat Abu Omar) e verso
sud fino alla Nubia. Ci fu una chiara accelerazione degli usi funerari già riscontrata
nell’Amraziano, soprattutto per l’utilizzo di sepolture più grandi ed elaborate che
contenevano offerte più abbondanti e ricche, di cui la necropoli T a Naqada e la Tomba
100 (la cosiddetta Tomba Dipinta) a Hierakonpolis sono buoni esempi. Le necropoli del
Gerzeano comprendevano un’ampia tipologie di tombe, a partire da piccoli pozzi ovali o
tondi con poche offerte, fino a sepolture in vasi di ceramica o alla costruzione di pozzi
rettangolari suddivisi da partizioni in mattoni crudi, con specifici compartimenti per le
offerte. Erano presenti sarcofagi in legno e ceramica asciugata al sole ( air-dried ?, p.53),
così come le prime tracce dell’avvolgimento del corpo in strisce di lino. I primi esempi
di “mummificazione” di questo tipo sono attestati in una doppia tomba ad Adaïma, un
sito dell’Alto Egitto vicino a Hierakonpolis, scavato a partire dal 1990 dall’Istituto
Archeologico Francese al Cairo. Le sepolture di Naqada II in genere rimasero semplici,
mentre le sepolture multiple si diffusero in modo più sensibile, contenendo fino a cinque
persone. I riti funerari probabilmente divennero più complessi, a volte comprendendo la
disarticolazione del corpo, una pratica non attestata nella fase precedente. Nella tomba
T5 a Naqada una serie di lunghe ossa e cinque crani furono deposti lungo le mura, e ad
Adaïma ci sono esempi di teschi staccati dal loro corpo. La possibilità di sacrifici umani
fu ipotizzata da Petrie a Naqada, mentre due casi di taglio della gola seguito dalla
decapitazione furono identificati ad Adaïma. Sebbene sparse e disseminate, queste
possibili prove di “suicidi” potrebbero essere il preludio alla massa di sacrifici umani
riscontrati attorno alle tombe regali del Primo Periodo Dinastico ad Abido, che
rappresentano una svolta nella nascita della monarchia Egiziana del Periodo Dinastico.
Compaiono in questo periodo anche due nuove tipologie di ceramica: in primo luogo la
ceramica “grezza”, che è stata trovata in tombe databili a questo periodo ma che in
seguito verrà trovata in contesto domestico, ed in secondo luogo le “ciotole di marna”
fatte in parte con argilla calcarea derivata dai wadi del deserto piuttosto che dalla Valle
del Nilo. La ceramica di marna, a volte decorata con pittura color ocra-marrone su fondo
crema, sostituisce gradualmente le ciotole rosse con pittura bianca di Naqada I. Sul
vasellame di questo periodo ci sono due tipi di motivi decorativi: geometrici
(comprendenti triangoli, linee a zig-zag, spirali, motivi a scacchi e linee ondulate) e
rappresentazioni. Il repertorio di queste ultime è limitato a circa dieci elementi,
combinati secondo un sistema di rappresentazione simbolica che non è stato ancora
compreso appieno. Il motivo predominante nell’arte di rappresentazione di questo
periodo è la barca: la sua onnipresenza indica l’importanza del fiume, non solo come
fonte di pesce e uccelli, ma anche come prima via di comunicazione indispensabile per
l’espansione verso nord e sud della cultura di Naqada. Attraverso la navigazione fluviale
si ottenevano anche le materie prime come avorio, oro, ebano, incenso, pelli di animali
selvatici del sud, rame, oli, pietra, e conchiglie dal nord ed est, destinate soprattutto
all’élite, la cui posizione sociale si stava sempre meglio definendo dal resto della
popolazione. In queste raffigurazioni le barche rappresentano sia un mezzo per viaggiare
che uno status symbol. E’ chiaro che da questo periodo in poi il Nilo, scorrendo da nord
a sud, fu trasformato anche in un fiume mitico sul quale avevano navigato le prime
divinità, stabilendo così già i legami tra l’ordine umano e quello cosmico.

Durante la fase Naqada II ci fu anche uno sviluppo considerevole nella tecnologia della
lavorazione della pietra: varie tipologie di calcare, alabastro, marmo, serpentino, basalto,
breccia, gneiss, diorite e gabbro furono scoperte e sfruttate lungo tutta la Valle del Nilo
così come nel deserto, soprattutto nel Wadi Hammamat. Le abilità crescenti nella
lavorazione del vasellame in pietra prepararono il terreno per i grandi successi
dell’architettura in pietra faraonica. I coltelli scheggiati e ondulati di questo periodo sono
tra gli esemplari più accurati di lavorazione della selce di tutto il mondo. Le palette per
cosmetici si ridussero di numero, evolvendosi verso forme semplici rettangolari e
romboidali, ma allo stesso tempo iniziarono ad essere decorate con rilievi, sviluppando
gradualmente lo stile decorativo- narrativo della fase di Naqada III. La testa di mazza a
forma di disco del periodo Amraziano fu sostituita dalla tipologia a forma di pera, di cui
due esempi erano già comparsi in un periodo precedente nell’insediamento Neolitico di
Merimda Beni Salama. Dalla fase di Naqada II in poi le teste di mazza divennero quasi
inspiegabilmente simboli di potere, portati in genere dal re vittorioso per tutto il periodo
faraonico. La lavorazione del rame si intensificò, non più limitata a piccoli oggetti ma a
manufatti che gradualmente divennero sostituti di oggetti in pietra, come asce, lame,
bracciali e anelli. Oltre allo sviluppo della produzione in rame, ci fu anche una crescita
nell’uso dell’oro e dell’argento, ed alcuni documenti provenienti da siti come Adaïma
suggeriscono che la crescente richiesta di metalli potrebbe essere stata la causa dei
saccheggi avvenuti nel Periodo Predinastico. Il quadro della società della fase Naqada II
si rivela quindi attraverso lo sviluppo di una classe di artigiani che si erano specializzati
nei servizi per l’élite. Ciò ebbe due implicazioni: in primo luogo era necessaria
un’economia che potesse supportare gruppi di artigiani non autosufficienti, almeno
durante un periodo dell’anno, ed in secondo luogo erano necessari centri urbani in cui si
concentrassero clienti, laboratori, apprendisti artigiani e mezzi per lo scambio culturale.
Questo processo di sviluppo culturale fu sempre strettamente legato al Nilo: infatti, come
dimostrato da Michael Hoffman nella sua interpretazione dei resti Predinastici di
Hierakonpolis, l’insediamento si trovava vicino al fiume, che supportava le terre
coltivate, dove le semplici tecniche di irrigazione potevano avvantaggiarsi dall’annuale
inondazione. L’intera Valle del Nilo era coperta da una striscia di villaggi, che sono noti
spesso semplicemente dai resti delle loro necropoli. Ci sono prove di consumo di
differenti specie di orzo, frumento, lino, vari frutti (come angurie e datteri) e verdure.
Come nel periodo precedente, capre, pecore e maiali facevano parte della fauna
domestica. Tra gli animali addomesticati, il cane aveva uno status particolare, a
giudicare dalle sue sepolture all’interno dell’insediamento di Adaïma. Anche il pesce
aveva un ruolo importante nella dieta, ma la caccia di grandi mammiferi del fiume e del
deserto (come ippopotami, gazzelle e leoni) divenne sempre più ristretta, finché fu
prerogativa solo dei gruppi dominanti di élite. Sorsero tre grandi centri nell’Alto Egitto:
Naqada, la “città d’oro” alla bocca del Wadi Hammamat; Hierakonpolis, più a sud, e
Abido, dove sarebbe sorta in seguito la necropoli dei primi faraoni. Due grandi zone
residenziali vennero scoperte a Naqada da Petrie e Quibell nel 1895: la “Città
Meridionale” (nella zona centrale del sito) e la “Città Settentrionale”. La Città
Meridionale comprendeva una grande struttura rettangolare in mattoni crudi che
misurava 50 x 30 m., che potrebbe essere ciò che resta di un tempio o di una residenza
regale. A sud di questa grande struttura è possibile che si trovassero una serie di case
rettangolari ed un muro di cinta, elementi tipici delle città emergenti di Naqada II.

Da questo quadro si evince una mancanza nell’evidenza primaria archeologica per gli
insediamenti di questo periodo, che forse può essere compensata dalla presenza di due
manufatti provenienti da contesti funerari. Il primo è un modello di casa in terracotta da
una tomba del Gerzeano a el-Amra (British Museum), mentre una tomba dell’Amraziano
da Abadiya ha invece procurato un secondo modello (Oxford, Ashmolean Museum) che
rappresenta un muro merlato, dietro al quale ci sono due figure stanti. La datazione
all’Amraziano del secondo modello suggerisce che le abitazioni di questo tipo iniziarono
ad essere usate già in un periodo più antico.

Culture Settentrionali (compresa la Cultura di Maadi)

La cultura di Maadi (un sobborgo della moderna Cairo) è stata solo recentemente portata
alla luce, tramite gli scavi della sua necropoli e dell’insediamento, oltre che di un’altra
dozzina di siti. Questa cultura comparve durante la seconda parte di Naqada I e continuò
fino alle fasi di Naqada IIc/d, quando fu eclissata dalla diffusione della cultura di Naqada
II, di cui si hanno esempi nelle necropoli di el-Gerza, Haraga, Abusire el-Melek e
Minshat Abu Omar. I primi siti Neolitici furono scoperti in questa zona della Valle del
Nilo, nella regione del Fayum e a Merimda Beni Salama e el-Omari (vedi Capitolo 2), e
sono questi i siti che rappresentano la tradizione dalla quale emerse la cultura materiale
di Maadi, che si differenzia in tutte le sue caratteristiche da siti di simile datazione
dell’Alto Egitto. Infatti, contrariamente alla situazione dei siti della cultura di Naqada, le
necropoli sono molto meno prevalenti nella documentazione archeologica, mentre la
maggior parte della conoscenza deriva invece dagli insediamenti. A Maadi, i resti
Predinastici coprono quasi 18 ettari, compresa la necropoli, di cui fu scavata un’area di
circa40.000 m2 nella prima metà del XX secolo. La profondità dei depositi archeologici
è di quasi 2 m., comprendendo anche cumuli di scarti conservati in situ, la cui
stratigrafia è complessa. Le strutture scavate mostrano che ci sono tre tipologie di resti
insediativi, una delle quali è unica nel contesto Egiziano e ricorda fortemente gli
insediamenti a Beersheba nella Palestina meridionale. Questa comprende delle case
scavate nella roccia viva di forma ovale che misurano 3 x 5 m. in area e 3 m. in
profondità, ognuna delle quali aveva come accesso un passaggio scavato; le mura di una
di queste case sotterranee erano rivestite da pietre e mattoni crudi di fango del Nilo, ma
questo è l’unico caso noto dell’uso di mattoni crudi a Maadi. La presenza di fornaci,
giare mezze sepolte e detriti domestici suggerisce che esse erano abitazioni permanenti.
Gli altri tipi di strutture domestiche di Maadi sono già stati documentati altrove in
Egitto: in primo luogo delle capanne ovali con fornaci esterne e giare per lo stoccaggio
mezze sepolte, ed in secondo luogo delle case rettangolari, di cui restano solo le strette
trincee di fondazione delle mura, probabilmente fatte di materiale vegetale. In genere la
ceramica di Maadi è globulare, fatta in parte con argilla alluvionale, con una base larga e
piatta, un collo più o meno stretto e l’orlo svasato. Ci sono pochi esemplari decorati,
tranne alcune eccezioni in cui si nota la presenza di segni incisi applicati dopo la cottura.
E’ interessante notare che gli strati più antichi dei siti del Tardo Predinastico di Buto
(Tell el-Fara’in), Tell el-Iswid, e Tell Ibrahim Awad hanno conservato dei frammenti
decorati con impronte che ricordano la ceramica Saharo-Sudanese.

I legami con l’Alto Egitto, che si datano al periodo precedente la cultura di Maadi, sono
indicati dalla presenza di frammenti di vasellame importato rosso con orlo nero, che si
confondono con le pallide imitazioni fatte localmente. Per contro, i contatti commerciali
con la Palestina della Prima Età del Bronzo sono caratterizzati dalla presenza di
ceramica fatta con una fabbrica di argilla calcarea, con particolari basi d’appoggio, collo,
bocca e manici decorati en mamelons, in genere utilizzata per contenere prodotti
importati (oli, vini, resine). Da questi elementi si deduce che la cultura di Maadi fu un
crocevia culturale, soggetto alle influenze del Deserto Occidentale (forse
un’associazione estremamente antica), del Vicino Oriente, e dei principati emergenti di
Naqada al sud. L’influenza Palestinese è facilmente riscontrabile anche nelle selci
lavorate presenti della cultura di Maadi, che si affiancano alla locale industria della
selce, che essenzialmente utilizzava la tecnologia della pressione delle schegge. Gli
assemblaggi di Maadi comprendono anche grandi raschiatoi spaccati da grandi nuclei
con superfici lisce, che sono ben noti in tutto il Vicino Oriente. Nei siti di Maadi sono
presenti anche delle belle lame appuntite con costolature lineari, note come “lame
Canaanite”: queste si tramuteranno poi nei “rasoi” del periodo faraonico (in realtà doppi
raschiatoi) che furono elementi del corredo funerario regale fino alla fine dell’Antico
Regno, a volte lucidati e a volte riprodotti in rame ed oro. I pezzi a doppia lama sono
abbastanza rari, ma comprendevano punte di proiettili, daghe e lame a falcetto. Queste
ultime erano prodotti della tradizione locale (falcetti a doppia lama del Fayum) e furono
gradualmente sostituiti da una tipologia di falcetti montati su una lama proveniente dal
Vicino Oriente. La relativa rarità delle palette per cosmetici in conglomerato importate
dall’Alto Egitto è forse un’indicazione della loro limitata disponibilità e quindi della
natura lussuosa dell’oggetto. Le palette in calcare più numerose, d’altra parte, mostrano
segni di consumo che indicano il loro regolare uso quotidiano. Le teste di mazza in
pietra dura sono invece della tipologia a forma di disco caratteristica della cultura
Amraziana e Gerzeana. Oltre agli svariati calici importati dall’Alto Egitto, gli oggetti in
osso ed avorio lucidati comprendevano il tradizionale repertorio di aghi, arpioni, spille e
punteruoli. Lische di pesce gatto, comprendenti la prima spina della pinna pettorale e
dorsale, sono state ritrovate in gran quantità, soprattutto in giare che venivano
probabilmente immagazzinate per l’esportazione. Ci sono molte indicazioni del
coinvolgimento di Maadi nei contatti interculturali e nel commercio. A tal proposito, il
ruolo del rame è particolarmente significativo, dato che gli oggetti in metallo sembrano
essere stati molto comuni a Maadi, non soltanto per quel che riguarda piccoli oggetti
come aghi o arpioni, ma anche bastoni, spatole ed asce. Queste forme di manufatti si
ritrovano in pietra nelle culture del Fayum e di Merimda, ma a Maadi erano in metallo.
Questa situazione ha paralleli nella Palestina durante lo stesso periodo, dove le asce
lucidate in pietra scomparvero del tutto e furono sostituite da versioni in metallo,
sebbene con l‘utilizzo di tecniche diverse da quelle di Maadi. Questa sostituzione della
pietra col metallo non può essere stata una pura coincidenza, ma deve essere stato il
risultato di un progresso tecnologico che implica una simbiosi genuina tra le due regioni.
Grandi quantità di rame trovate a Maadi, in seguito alle analisi, hanno rivelato una
probabile origine nella regione di Timna o Fenan, entrambi siti di estrazione di rame del
Wadi Arabah, all’estremità sud-orientale della penisola del Sinai.

Ma piuttosto che lavorato nella stessa Maadi, il rame era probabilmente importato
principalmente per essere lavorato nella produzione dei cosmetici, e le prime fasi di
questa lavorazione dovevano essere intraprese nelle vicinanze delle miniere. A dispetto
del coinvolgimento della popolazione di Maadi in una rete di contatti con il Vicino
Oriente, la loro cultura era soprattutto pastorale-agricola e sedentaria. Ci sono poche
tracce di fauna selvatica a controbilanciare l’enorme quantità di resti di animali
addomesticati (maiali, buoi, capre, pecore) che, tranne per il cane, comprendevano la
dieta di base di carne della comunità. L’asino senza dubbio era utilizzato come trasporto
per le merci. Chili di grano trovati in giare e pozzi di stoccaggio comprendevano
frumento e orzo (Triticum monococcum, Triticum dicococcum, Triticum aestivum,
Triticum spelta, Hordeum vulgare) così come legumi (lenticchie e piselli). Comparata
alla buona evidenza di attività agricola a Maadi, la sepoltura dei defunti era
relativamente non intrusiva, ad indicare una comunità che aveva evidentemente
affrontato pochi cambiamenti sociali dal Neolitico e mancava chiaramente di
stratificazione o gerarchia. Sono state scoperte a Maadi un totale di 600 tombe, contro le
circa 15000 Predinastiche del sud. Fattori geografici e geologici contribuiscono a questa
disparità: le necropoli settentrionali, collocate in zone nel pieno dell’inondazione,
potrebbero essere state sepolte da spessi strati di argilla del Nilo. Questo comunque non
spiega tutto, perché c’è anche un contrasto nella qualità e quantità dei corredi funerari
nel nord, se paragonato alla situazione dell’Alto Egitto. Le tombe del Basso Egitto sono
caratterizzate da un’estrema semplicità, e sono costituite da semplici pozzi ovali con il
defunto deposto in posizione fetale, coperto da una stuoia o da tessuto, ed accompagnato
da solo uno o due vasi in ceramica o a volte da nulla. Ciò nonostante, considerando lo
sviluppo delle Culture Settentrionali (che consiste in tre fasi che approssimativamente
corrispondono alle necropoli di Maadi, Wadi Digla e Heliopolis), alcune tombe
sembrano meglio fornite di altre, senza però avere cospicui elementi di lusso come quelli
trovati nell’Alto Egitto. Può essere notata inoltre una graduale tendenza alla
stratificazione sociale, ed è possibile che il mischiarsi delle tombe di cani e gazzelle con
quelle umane sia parte di questo processo. La fase finale della cultura di Maadi,
rappresentata dai primi livelli stratigrafici di Buto, è equivalente alla fase mediana di
Naqada II (livelli IIc-d). Nell’eccezionale sito di Buto ci sono molti strati archeologici
successivi in cui può essere osservata la transizione tra le fasi di Maadi e la
sovrapposizione Protodinastica. Durante questo passaggio ci fu un aumento percettibile
degli stili ceramici di Naqada, mentre la ceramica di Maadi scomparve
progressivamente. Così la fine della cultura di Maadi non fu un fenomeno improvviso,
come lo stesso sito di Maadi suggerirebbe, ma invece fu un processo di assimilazione
culturale. E’ infatti probabile che, per la sua collocazione fluviale e marittima, Buto
fosse situata in una posizione favorevole ai principali commerci, e che comprendesse nel
suo territorio anche un palazzo per i signori locali. Anche se i dati archeologici da Buto
sono meno impressionanti rispetto a quelli provenienti da Naqada, ci fu un simile
processo di sviluppo culturale che portò, allo stesso modo, all’aumento della complessità
sociale, producendo così una società caratterizzata da credenze, riti, miti ed ideologie
proprie. Questa fu la condizione necessaria per il grande passo successivo in avanti nella
storia dell’Egitto, che avvenne nella fase di Naqada III e nel Primo Periodo Dinastico.

CAPITOLO 4: LA NASCITA DELLO STATO EGIZIANO (3200-2686 a.C. circa)

Kathryn A. Bard (p.61-88)

Secondo la revisione di Kaiser delle datazioni in sequenza di Petrie la fase Naqada III
(circa 3200-3000 a.C.) chiude il Periodo Predinastico. In quest’epoca l’Egitto fu per la
prima volta unificato in un unico grande stato, espressione del consolidamento politico
che successivamente portò alla fondazione delle prime due dinastie (Primo Periodo
Dinastico). Recentemente sono state riscontrate prove dell’esistenza di ulteriori sovrani
che precedettero quelli della I Dinastia, a formare quella che oggi viene chiamata
“Dinastia 0”, le cui sepolture si trovano ad Abido, nelle vicinanze della necropoli regale
della I Dinastia. Sulla Pietra di Palermo (una lista di sovrani della fine della V dinastia;
vedi Capitolo 1) la presenza di nomi e raffigurazioni di sovrani nei registri superiori (in
frammenti) suggerisce la registrazione di sovrani precedenti a quelli della I Dinastia. Ciò
nonostante, sono ancora molto dibattuti diversi fattori, quali la precisa natura del
processo di unificazione, la data in cui avvenne, e l’origine della Dinastia 0.

Formazione dello stato ed Unificazione

A partire dalla fase Naqada II le sepolture nelle necropoli dell’Alto Egitto (ma non nel
Basso Egitto) iniziarono a presentare svariate differenze tra loro: in particolare le tombe
d’élite contenevano una maggiore quantità di beni funerari, a volte fatti con materiali
esotici come oro e lapislazzuli. Queste sepolture sono il simbolo di una società sempre
più gerarchizzata e rappresentano probabilmente un processo di competizione e
ingrandimento delle politiche locali dell’Alto Egitto, accompagnato dallo sviluppo
dell’interazione economica e del commercio a lunga distanza. Il controllo della
distribuzione delle materie prime esotiche e la produzione di beni artigianali di lusso
avrebbero quindi rafforzato il potere dei capi dei centri Predinastici, rendendo questi
beni importanti status symbol. A dispetto della mancanza di prove archeologiche, è
verosimile che le città più importanti del Predinastico in Alto Egitto stessero
sviluppando sempre di più le tecnologie di produzione artigianale, divenendo così veri
centri specializzati. Alcuni di questi si ingrandirono fino ad essere difesi da mura di
cinta, come ad esempio la Città Meridionale di Naqada documentata da Petrie. Inoltre,
sebbene l’area centrale della cultura di Naqada fosse l’Alto Egitto, nella fase di Naqada
II iniziarono a stabilirsi per la prima volta anche nell’Egitto settentrionale siti di questa
cultura. Petrie scavò una necropoli di Naqada II a el-Gerza nella regione del Fayum,
dalla quale derivò il termine Gerzeano (Naqada II) per la sua fase mediana del
Predinastico. Successivamente vennero ritrovate altre sepolture della cultura di Naqada
ancora più a nord: nel sito di Minshat Abu Omar nel Delta. Queste evidenze
suggeriscono un movimento graduale di popolazioni dell’Alto Egitto verso nord
avvenuto nella fase di Naqada II. I principali siti dell’Alto Egitto erano molto più ricchi
di risorse naturali rispetto ai siti del Basso Egitto (dal Deserto Orientale si otteneva ad
esempio oro e vari tipi di pietre): l’antico nome di Naqada era Nubt (“[città] dell’oro”) e
non è un caso che avesse la più grande necropoli Predinastica.

Anche l’agricoltura dei cereali veniva praticata con crescente successo nelle pianure
dell’Alto Egitto: ciò creò un surplus che poté essere scambiato per beni d’artigianato, la
cui produzione stava diventando altamente specializzata. Probabilmente i primi
meridionali a spostarsi verso nord furono quindi commercianti, forse seguiti
successivamente da colonizzatori, grazie all’aumento dell’interazione economica. Non ci
sono evidenze archeologiche per dimostrare lo spostamento verso nord di popolazioni (al
contrario dei manufatti), ma se questa migrazione avvenne, sembra più probabile che sia
avvenuta pacificamente piuttosto che militarmente, almeno nelle prime fasi. Un altro
fattore di motivazione per l’espansione della cultura di Naqada verso nord potrebbe
essere stato il desiderio di controllare direttamente il commercio con le altre regioni del
Mediterraneo orientale, che si era già sviluppato nel IV millennio a.C. Ciò avrebbe
portato ad una migliore comunicazione sul Nilo e quindi a scambi commerciali su larga
scala, obiettivi raggiungibili anche attraverso lo sviluppo della tecnologia nella
costruzione di grandi barche. Per questo era necessario il legname (cedro) che però non
si trovava in Egitto, ma proveniva dalla zona del Levante oggi corrispondente al Libano.
Come indicato anche nella trattazione sulla cultura di Maadi (Capitolo 3), il Basso Egitto
del IV millennio a.C non era affatto un vuoto culturale, quindi è probabile che
l’espansione di Naqada incontrò una qualche resistenza. Ma le evidenze archeologiche
nel nord dell’Egitto dimostrano solo che la cultura di Maadi fu rimpiazzata ad un certo
punto da quella di Naqada. A Maadi l’occupazione terminò nella fase di Naqada II c/d, e
l’evidenza stratigrafica nel Delta settentrionale, come a Buto, Tell Ibrahim Awad, Tell
el-Rub’a e Tell el-Farkha, dimostra che c’erano strati più antichi che contenevano solo
vasellame locale e di Maadi, sui quali era stata rinvenuta solo ceramica della cultura di
Naqada III e forme più tarde della I Dinastia. A Tell el-Farkha un livello di transizione
formato da sabbia eolica suggerisce l’abbandono dell’insediamento da parte della
popolazione locale per motivi sconosciuti (intimidazione?) ed una successiva
rioccupazione del sito durante la Dinastia 0 da parte di popolazione della cultura di
Naqada, che da quel momento si era diffusa in tutto l’Egitto. Tra la fine della fase di
Naqada II (3200 a.C. circa) e gli inizi di Naqada III ci fu una progressiva scomparsa
della cultura materiale indigena del Basso Egitto, che fu sostituita da manufatti
(soprattutto vasellame in ceramica) che provenivano dall’Alto Egitto e dalla cultura di
Naqada. Questi dati archeologici sono stati spesso considerati come un indizio
dell’avvenuta unificazione politica dell’Egitto, ma ciò non è sostenibile senza dubbio
poiché l’evidenza materiale non implica necessariamente un’organizzazione politica
(unificata), mentre si possono proporre una serie di fattori socio-economici alternativi
per spiegare questo cambiamento. Inoltre, dato che l’evidenza archeologica delle
sepolture d’èlite nei tre maggiori centri del Predinastico dell’Alto Egitto (Nqaqda, Abido
e Hierakonpolis) suggerisce la presenza di politiche separate (e forse in competizione)
per la fase di Naqada II, è verosimile ritenere che la prima unificazione delle politiche
dell’Alto Egitto avvenne all’inizio di Naqada III. Essa fu probabilmente il risultato di
una serie di alleanze o di guerre (o forse una combinazione di entrambe), seguite poi
dall’unificazione politica del nord e del sud dell’Egitto e dalla nascita della Dinastia 0,
verso la fine della fase di Naqada III. Ma le sepolture di questa fase nella più grande
necropoli predinastica a Naqada e nella Necropoli T d’élite sono più povere rispetto alle
prime sepolture di Naqada II di questo stesso sito.

Inoltre 6 km. più a sud furono scavate due grandi tombe in mattoni crudi con nicchie ed
una necropoli del Primo Periodo Dinastico da Jacques de Morgan alla fine del XIX
secolo. La creazione di questa nuova necropoli e l’improvvisa comparsa di un nuovo
stile di sepoltura “regale” alla fine di Naqada III, insieme alle sepolture settentrionali più
povere precedenti, suggeriscono una rottura con la politica della Città Meridionale
(situata solo 150 m. a nord-est della grande necropoli Predinastica), probabilmente
coincidente con l’assorbimento della politica di Naqada in una più grande. Per contro
nella regione di Umm el-Qa’ab (Abido) le tombe di una zona (Necropoli U e B e la
“necropoli regale”) si evolsero da sepolture quasi indifferenziate nelle prime fasi di
Naqada in una necropoli d’élite nella fase finale di Naqada II, ed infine al luogo di
sepoltura dei sovrani della Dinastia 0 e della I Dinastia. Una tomba di Naqada III, U-j,
databile al 3150 a.C. circa, comprendeva dodici camere a coprire un’area complessiva di
66,4 m2. Sebbene saccheggiata, conteneva molti manufatti in osso ed avorio, una gran
quantità di ceramica Egiziana, e circa 400 giare importate dalla Palestina che potevano
in origine aver contenuto vino. Le 150 piccole etichette trovate in questa tomba sono
inscritte con quelli che sembrano essere i primi geroglifici noti. Secondo l’archeologo
Gűnter Dreyer, tracce di una cassa di legno nella camera sepolcrale ed un modello di
scettro in avorio dimostrano che questa era la tomba di un capo, forse il Re Scorpione, le
cui proprietà potrebbero essere elencate su una serie di etichette e che regnò
probabilmente nel XXXI secolo a.C.

Gli scavi nella “Località 6” a Hierakonpolis, a 2,5 km sul Grande Wadi, hanno rivelato
numerose grandi tombe, ognuna di circa 22,75 m2 di area, contenenti ceramica di
Naqada III. La Tomba 11, sebbene depredata, conteneva ancora perline di cornalina,
granato, turchese, faience, oro ed argento; frammenti di manufatti in lapislazzuli ed
avorio, ossidiana, lame in cristallo ed un letto di legno con dei piedi a forma di toro. Un
corredo così ricco suggerisce che dei personaggi d’élite di ricchezza considerevole
furono seppelliti a Hierakonpolis, sebbene probabilmente non fossero ancora alla stregua
dei capi di Abido. Il quadro che se ne ricava comprendente tre centri principali: la città
di Naqada, politicamente insignificante nel Primo Periodo Dinastico; Abido, che era il
centro più importante di culto del re defunto, e Hierakonpolis, che rimase un importante
centro di culto associato al dio Horus, simbolo del sovrano vivente. Nella lotta per il
potere nell’Alto Egitto del tardo Predinastico è possibile ritenere che la forza politica di
Naqada fosse stata sconfitta, con una conseguente presa di potere sull’intero Egitto da
parte dei capi originari di Abido, forse anche grazie ad alleanze con gruppi di élite meno
potenti di Hierakonpolis (i cosiddetti Seguaci di Horus), che erano senza dubbio in una
posizione strategica a causa delle materie prime di valore che provenivano dal sud. In
seguito l’unificazione finale dell’Alto e Basso Egitto potrebbe esser stata raggiunta
attraverso una o più conquiste militari al nord, di cui però non esistono molte prove,
tranne alcune scene a contenuto simbolicamente militare a rilievo su una serie di palette
cerimoniali databili stilisticamente al tardo Predinastico (Naqada III/Dinastia 0), come
ad esempio la paletta frammentaria dei Tjehenu (Libici), quella del Campo di Battaglia e
quella del Toro. L’interpretazione di queste scene è problematica, perché questi
manufatti non hanno provenienza nota e le scene (frammentarie) sono probabilmente
rappresentazioni simboliche di conflitti, senza riferimento ad effettivi eventi storici.

Fortunatamente sono stati trovati a Hierakonpolis tre importanti manufatti con scene a
rilievo di questo periodo: la Testa di Mazza del Re Scorpione, la Testa di Mazza e la
Paletta del Re Narmer. Questi oggetti cerimoniali furono trovati nelle vicinanze della
zona descritta come “Deposito Principale” da J. E. Quibell e F. W. Green, nel corso
degli scavi del tempio di Horus a Hirakonpolis. Forse rappresentavano donazioni regali
al tempio, a suggerire che Hierakonpolis fosse un centro ancora importante alla fine
della fase di Naqada III. E’ difficile interpretare le scene presenti sulla Paletta di Narmer
come rappresentazione dell’unificazione dell’Alto e Basso Egitto, dato che essa in effetti
mostra genericamente nemici morti e popolazioni e/o insediamenti sconfitti. Le scene ed
i segni sulla Testa di Mazza di Narmer rappresentano allo stesso modo prigionieri e
bottino di guerra, mentre popolazioni conquistate sono raffigurate anche sulla Testa di
Mazza del Re Scorpione. Queste scene suggeriscono che la guerra giocò un ruolo
importante ad un certo punto della creazione del primo stato in Egitto. Anche se non ci
sono livelli di distruzione databili alla fase di Naqada III nei siti d’insediamento del
Delta, è ancora ritenuto possibile che la guerra abbia contribuito a consolidare il primo
stato egiziano e la sua espansione in Bassa Nubia e Palestina del sud, che avvennero agli
inizi della I Dinastia. Inoltre, a partire da Petrie, è stato regolarmente ipotizzato che, a
dispetto dell’evidenza delle culture Predinastiche, la civiltà Egiziana della I Dinastia
apparve all’improvviso e quindi dovette essere stata introdotta da una “razza” di stranieri
invasori. Dagli anni 1970, comunque, gli scavi ad Abido e Hierakonpolis hanno
chiaramente dimostrato le origini indigene, Alto Egiziane della prima civiltà in Egitto,
ed è stato possibile anche appurare che le prove certe di contatti stranieri nel IV
millennio a.C. non furono probabilmente di natura militare. La ceramica proveniente
dagli scavi dei siti dell’Egitto settentrionale e della Palestina meridionale ora rendono
possibile il coordinamento di periodi culturali specifici nelle due regioni, e dimostrano la
continuazione dei contatti anche quando la cultura di Maadi al nord fu sostituita da
quella di Naqada. Mentre la fase di Naqada IIb corrisponde agli inizi dell’Età del Bronzo
(EBA) I-a in Palestina, le fasi Naqada II c-d e Naqada III/Dinastia 0 sono evidentemente
contemporanee alla cultura EBA I-b. Inoltre si è scoperto che i contatti tra l’Egitto
settentrionale e la Palestina in questo periodo erano via terra, come dimostrano le
evidenze nel Sinai settentrionale. Tra Qantar e Raphia, infatti, sono stati identificati circa
250 antichi insediamenti dalla Missione del Sinai Settentrionale dell’Università Ben
Gurion, con l’80% della ceramica Egiziana databile alle fasi di Naqada II-III e alla
Dinastia 0. Il modello di insediamento consisteva in pochi siti grandi principali
intervallati tra loro da accampamenti stagionali e stazioni intermedie. Gli archeologi
Israeliani ritengono questi insediamenti prove della rete commerciale stabilita e
controllata dagli Egiziani già nella fase EBA I-a, fattore fondamentale nella nascita degli
insediamenti urbani trovati successivamente nella Palestina del EBA II. Lo studio di
Naomi Porat sulla tecnologia ceramica dei siti del EBA nella Palestina meridionale
dimostra chiaramente che negli strati EBA I-b molta della ceramica usata per la
preparazione del cibo fu prodotta da Egiziani che usavano tecnologia Egiziana ma argille
locali Palestinesi. Inoltre negli strati del EBA I-b sono state trovate anche molte giare da
stoccaggio fatte di argilla del Nilo e vasellame di marna, che dovevano essere stati
importati dall’Egitto.

Quindi non soltanto gli Egiziani stabilirono dei campi e stazioni intermedie nel Sinai
settentrionale, ma l’evidenza ceramica indica anche che stabilirono una rete altamente
organizzata di insediamenti nella Palestina meridionale, dove risiedeva una popolazione
Egiziana. L’importanza del Delta per i contatti Egiziani con l’Asia sud-occidentale è
anche suggerita dalle enigmatiche evidenze provenienti da Buto. Negli strati predinastici
del sito furono trovate da Thomas von der Way alla fine degli anni 1980 due inaspettate
tipologie di ceramica: chiodi in argilla e un cosiddetto Grubenkopfnagel (un cono
affusolato con un’estremità concava cotta), che richiamano manufatti usati nella cultura
Mesopotamica di Uruk per decorare le facciate dei templi. Von der Way ipotizza che un
contatto con la rete culturale di Uruk potrebbe essere avvenuto attraverso la Siria
settentrionale, dato che gli strati più antichi del Predinastico a Buto hanno conservato
frammenti decorati con strisce biancastre caratteristiche della ceramica ‘Amuq F Siriana.
Ciò nonostante i chiodi in argilla e il Grubenkopfnagel non sono associati con nessun
tipo di architettura (in mattoni crudi) dei livelli Predinastici, cosa che ci si aspetterebbe
se l’ipotesi di von der Way fosse corretta, mentre è ancora possibile che gli scavi in
corso a Buto possano fornire ulteriori dati sulle connessioni tra il Delta e l’Asia sud-
occidentale nel IV millennio a.C. Alcuni sigilli cilindrici sia importati che Egiziani, una
tipologia di manufatti indiscutibilmente inventata in Mesopotamia, sono stati trovati in
poche tombe d’ élite delle fasi Naqada II e III. Perline e piccoli manufatti in lapislazzuli,
che possono provenire solo dall’Afghanistan, sono stati trovati per la prima volta in
tombe del Predinastico dell’Alto Egitto. Alcuni motivi Mesopotamici appaiono nell’Alto
Egitto (e Bassa Nubia), compreso il motivo dell’ heros dompteur (una figura umana
vittoriosa tra due leoni/bestie), dipinto sulle pareti della Tomba 100 a Hierakonpolis,
datata alla fase di Naqada II. Altri motivi tipicamente Mesopotamici, come la facciata di
palazzo a nicchie e le barche dall’alta prua, sono stati trovati anch’essi su manufatti di
Naqada II e III ed anche nell’arte rupestre. Gli stili di questi motivi sono più caratteristici
dell’arte glittica di Susa dell’Iran sud-occidentale che non della cultura di Uruk, ed il
fatto che tali manufatti non siano stati trovati in Basso Egitto ha fatto emergere la
possibilità della presenza di una rotta meridionale di contatti tra Susa e l’Alto Egitto, la
natura dei quali è però ancora sconosciuta oggi. In Bassa Nubia ci sono molte sepolture
della cultura Gruppo A (contemporanea grossomodo alla cultura di Naqada) che
contengono molti beni artigianali di Naqada. Le ciotole del Gruppo A sono molto
diverse da quelle di Naqada, quindi i prodotti Egiziani erano ottenuti probabilmente
tramite commerci e scambi. E’ stato proposto da Bruce Williams che la necropoli d’ élite
del Gruppo A a Qustul in Bassa Nubia possa appartenere a capi Nubiani che avevano
conquistato e unificato l’Egitto, fondando così il primo stato faraonico, ma la
maggioranza degli studiosi non condivide quest’ipotesi. La teoria che meglio spiega
l’evidenza archeologica è quella che vede l’accelerarsi dei contatti tra le culture
dell’Alto Egitto e della Bassa Nubia nel tardo Predinastico. Le materie prime di lusso,
come avorio, ebano, incenso e pelli di animali esotici, tutte largamente richieste
nell’Egitto Dinastico, provenivano per la maggior parte da una zona dell’Africa più
meridionale, passando attraverso la Nubia. Alcuni capi del Gruppo A dunque dovettero
trarre dei benefici economici dal commercio delle materie prime, come evidentemente
chiaro dalle ricche sepolture scavate a Qustul e Sayala, ma la complessità socio-politica
attestata nell’Alto Egitto all’epoca non è verosimile da ipotizzare anche per la Nubia.

La pianura alluvionale del Nilo è molto più stretta nella Bassa Nubia rispetto all’Alto
Egitto, ed inoltre la Bassa Nubia semplicemente non aveva il potenziale agricolo per
sostenere maggiori concentrazioni di popolazione e specialisti a tempo pieno come
artigiani e amministratori di governo. Il fatto che la cultura materiale di Naqada fu
trovata successivamente nell’Egitto settentrionale senza elementi Nubiani sembra inoltre
un argomento contrario a qualunque origine Nubiana dello stato Egiziano unificato.

Lo Stato della I Dinastia

Nel 3000 a.C. circa era ormai nato in Egitto il Primo Stato Dinastico, che controllava la
maggior parte della Valle del Nilo, dal Delta fino alla prima cateratta ad Aswan, per una
complessiva lunghezza di più di 1000 km. Mentre la presenza della cultura di Naqada è
chiaramente evidente nel Delta alla fine dell’epoca di Naqada II e in Naqada III,
l’estensione del controllo politico Egiziano verso sud durante la I Dinastia è dimostrata
dai resti di una fortezza sul punto più alto delle rive dell’Isola di Elefantina, regione già
occupata da popolazioni del Gruppo A nel Predinastico. Durante la I Dinastia l’obiettivo
dello sviluppo si spostò da sud a nord, ed il primo stato Egiziano fu rappresentato da una
politica centralmente controllata dalla regione di Menfi da un re (-dio). La peculiarità
veramente unica del primo stato Egiziano è la presenza del potere in una regione
geografica estesa, in contrasto con le politiche contemporanee in Nubia, Mesopotamia e
Siria-Palestina. Sebbene ci siano prove certe di contatti stranieri nel IV millennio a.C., il
Primo Stato Dinastico che era nato in Egitto era unico e di carattere indigeno. E’
verosimile che una lingua comune, o dialetti di quella lingua, avessero facilitato
l’unificazione politica, ma in realtà non si conosce nulla della lingua parlata, mentre i
primi esempi di scrittura danno informazioni specifiche sulla natura molto concisa a
questo punto del suo sviluppo culturale. Una delle conseguenze dell’espansione della
cultura di Naqada in tutto l’Egitto settentrionale sarebbe stata un’amministrazione
(statale) molto elaborata, che dagli inizi della I Dinastia fu diretta in parte attraverso
l’uso di una scrittura arcaica, presente su sigilli ed etichette affisse ai beni statali. Le
evidenze archeologiche del controllo statale sul territorio consistono nei nomi dei
sovrani della I Dinastia (serekh) su ceramica, sigilli, etichette (in origine attaccate ai
contenitori), ed altri manufatti trovati nei principali siti Dinastici in Egitto. Queste prove
suggeriscono anche che il sistema di tassazione statale era già applicato dalle prime
dinastie. A Menfi gli strati archeologici più antichi scavati risalgono al Primo Periodo
Intermedio, mentre gli strati della città del Primo Periodo Dinastico potrebbero essere
stati sepolti da molti depositi alluvionali. Più ad ovest, alcuni sondaggi fatti da David
Jeffreys hanno rivelato ceramica sia dell’Antico Regno che del Primo Periodo Dinastico.
Le sepolture e tombe di questa regione sono databili dalla I Dinastia in poi, quindi è
possibile che la città fu fondata attorno ad esse. Tombe di alti funzionari sono state
trovate nelle vicinanze di Saqqara Nord, mentre funzionari di ogni livello furono sepolti
in altri siti della regione di Menfi. Queste evidenze funerarie suggeriscono che la regione
di Menfi era il centro amministrativo dello stato ed indicano anche che il primo stato
Egiziano era molto stratificato nella sua organizzazione sociale. Al sud, Abido rimase il
centro di culto più importante, ed è stato ipotizzato che durante la I Dinastia i piccoli
insediamenti predinastici, che hanno lasciato evidenze archeologiche più effimere,
furono rimpiazzati da una città costruita in mattoni crudi.

Inoltre i sovrani della I Dinastia furono sepolti ad Abido, altra indicazione dell’origine
Alto Egiziana di questo stato. Dall’inizio del Periodo Dinastico l’istituzione della
monarchia fu un elemento forte e potente e sarebbe rimasto così per tutti i principali
periodi storici. In nessun altro luogo del Vicino Oriente antico in quest’ epoca così
remota la monarchia fu così importante e centrale per il controllo dello stato nascente.
Probabilmente si fondarono e svilupparono altre città, centri amministrativi dello stato in
tutto l’Egitto, ma l’organizzazione spaziale delle comunità rimase ben distinta da quella
contemporanea della Mesopotamia meridionale, dove enormi città furono create attorno
a grandi centri di culto. D’altra parte l’Egitto delle prime fasi storiche non fu nemmeno
“una civiltà senza città”, come ipotizzato un tempo. Le città Egiziane ed i piccoli centri
potrebbero essere stati organizzati nello spazio in modo più sparso rispetto a quelli della
Mesopotamia: e la stessa residenza regale cambiò diverse volte la sua collocazione nel
corso del tempo. Per una serie di fattori, le città ed i piccoli centri dell’antico Egitto non
si sono ben conservati, oppure sono sepolti sotto un profondo stato di deposito
alluvionale o moderni insediamenti e quindi non possono essere scavati. Comunque sono
sopravvissute alcune prove archeologiche delle prime città. A Hierakonpolis, ad
esempio, una facciata in mattoni crudi con elaborate nicchie all’interno della città (Kom
el-Ahmar) è stata interpretata come entrata di un “palazzo”, forse un centro
amministrativo del primo stato. A Buto, nel Delta, un edificio rettangolare in mattoni
crudi databile agli inizi della I Dinastia, che fu costruito su livelli precedenti di Naqada
II e III e della Dinastia 0, potrebbe essere ciò che resta di un tempio all’interno della
città. La maggioranza degli Egiziani del Primo Periodo Dinastico (ed anche di tutti gli
altri periodi successivi) erano comunque contadini che vivevano in piccoli villaggi, dato
che l’agricoltura dei cereali era la base economica dell’antico stato Egiziano. Per tutto il
IV millennio a.C. i villaggi divennero sempre più dipendenti dalla coltivazione del
frumento e dell’orzo, che era particolarmente produttiva nell’ambiente della pianura
alluvionale del Nilo in Egitto. Inoltre è probabile che già dal Primo Periodo Dinastico si
praticasse l’irrigazione tramite semplici bacini, estendendo così la quantità di terra
coltivabile e ottenendo sempre più prodotti. A dispetto in pratica di qualunque altro
sistema di irrigazione del mondo, la salinizzazione non comparve in Egitto, perché
l’inondazione annuale del Nilo portava via i sali. Dato che a quell’epoca le piogge erano
rarissime, la piena annuale dava anche la giusta umidità nel giusto periodo dell’anno –
Luglio ed Agosto – in modo che il grano potesse essere seminato a Settembre dopo che
la piena era rientrata. Le specie di grano che furono introdotte in Egitto maturavano
durante i mesi invernali e potevano essere raccolte prima della primavera, quando il
ritorno delle alte temperature e la siccità avrebbero altrimenti fatto seccare il grano. In
questo ambiente erano possibili grandi quantità di surplus agricolo, e, quando esso venne
controllato dallo stato, poté supportare la fioritura della civiltà Egiziana che comparve
durante la I Dinastia.
La necropoli regale di Abido

Le peculiarità della nascente civiltà Egiziana furono espressa soprattutto attraverso


l’architettura monumentale, in particolare le tombe regali ed i recinti funerari ad Abido,
e le grandi tombe degli alti funzionari a Saqqara Nord.

I differenti stili dell’arte formale, tipicamente Egiziani, emersero anch’essi nel periodo
Naqada III/Dinastia 0 e nel Primo Periodo Dinastico. Le principali caratteristiche
dell’architettura monumentale e dell’arte commemorativa egiziana (come nella Paletta di
Narmer) riflettono il lavoro degli artigiani ed operai a tempo pieno sostenuti dalla
corona. Manufatti suggestivi della più alta qualità artigianale sono stati trovati in tombe
regali e d’élite dell’epoca, tra i quali vi sono dischi in steatite intarsiati con alabastro
Egiziano (con rilievi di caccia a due gazzelle, dalla Tomba 3035 a Saqqara) e bracciali
con perline d’oro, turchese, ametista e lapislazzuli (dalla Tomba di Djer ad Abido). Un
simile standard di artigianato così elevato si può notare anche nei manufatti in avorio ed
ebano e negli utensili e vasi in rame trovati nelle tombe d’élite, tutti segni evidenti del
sostegno da parte della corte. La presenza di manufatti in rame nelle tombe fu
probabilmente il risultato di spedizioni regali nelle miniere di rame nel Deserto Orientale
e/o di un commercio più sviluppato con le regioni delle miniere di rame nel Negev/Sinai,
così come dello sviluppo della lavorazione del rame in Egitto. Sebbene in passato si
ritenesse che i sovrani della I Dinastia fossero stati sepolti a Saqqara Nord, dove Bryan
Emery aveva scavato le grandi sovrastrutture in mattoni crudi con elaborate facciate a
nicchie, oggi la maggior parte degli studiosi ritiene che queste tombe appartengano ad
alti funzionari della I e II Dinastia, mentre la necropoli dell’area di Umm el-Qa’ab ad
Abido sia il luogo di sepoltura dei loro sovrani. Infatti solo ad Abido è presente un
numero di grandi tombe corrispondente ai sovrani (e alle regine) di questa dinastia, e
solo ad Abido vi sono i resti dei recinti funerari per tutti i sovrani della dinastia tranne
uno, come dimostrato dagli scavi di David O’Connor negli anni 1980 e 1990. Nella
necropoli regale di Abido è evidente l’ideologia della monarchia, simboleggiata nel culto
funerario. Lo sviluppo dell’architettura monumentale rappresenta infatti un ordine
politico su nuova scala, che prevede una religione di stato guidata da un dio-sovrano, in
modo da legittimare il nuovo ordine politico. Attraverso l’ideologia, e la sua forma
materiale simbolica nelle tombe, le credenze largamente condivise riguardanti la morte
riflettono l’organizzazione sociale gerarchica dei vivi e lo stato guidato dal sovrano: una
trasformazione del sistema di credenze motivata politicamente con dirette conseguenze
sul sistema socio-economico. Al sovrano era destinata la sepoltura più elaborata,
simbolo del suo ruolo di mediatore tra i poteri del mondo ultraterreno ed i suoi antenati
regali defunti, e proprio questo tipo di credenza nell’ordine terreno e cosmico creò
probabilmente una certa coesione sociale nel Primo Stato Dinastico. Sette complessi di
tombe della I Dinastia furono scavati per la prima volta da Émile Amélineau negli anni
1890 e poi di nuovo scavati con più cura da Petrie. Essi appartenevano ai seguenti
sovrani: Djer, Djet, Den, Anedjib, Semerkhet, Qa’a ed alla Regina Merneith, che
potrebbe essere stata la madre di Den e forse anche reggente durante la prima parte del
suo regno. Queste tombe non soltanto furono saccheggiate ma ci sono prove anche del
fatto che furono intenzionalmente bruciate.

Nel Medio Regno le tombe furono scavate e ricostruite per il culto di Osiride, e la tomba
di Djer fu trasformata in un cenotafio per il dio. Considerando questa storia, è
significativo che il lavoro di Petrie negli anni 1899-1901 e gli scavi intrapresi
dall’Istituto Tedesco di Archeologia a partire dagli anni 1970 abbiano portato alla
ricostruzione di queste tombe antiche. Sebbene restino solo le camere sotterranee in
mattoni crudi, le tombe in origine dovevano essere coperte da un soffitto e poi da una
sorta di tumulo di sabbia davanti al quale dovevano essere state poste delle stele in pietra
con il nome del sovrano a rilievo (molte delle quali si sono conservate). File di tombe
secondarie circondavano ogni tomba regale. Nell’area a nord-est della necropoli regale,
chiamata Necropoli B, c’è il complesso funerario di Aha, oggi considerato il primo
sovrano di questa dinastia. Nella Necropoli B sono state identificate da Werner Kaiser le
tombe degli ultimi tre sovrani della Dinastia 0: Iri-Hor, Ka e Narmer. Queste sepolture
sono formate da doppie camere, anche se il complesso di Aha è costituito in effetti da
molte camere separate costruite in tre fasi con una serie di tombe secondarie verso nord-
est. Sebbene saccheggiato, si può notare nel complesso funerario di Aha una nuova
dimensione della sepoltura: tracce di grandi scrigni in legno sono state trovate in tre
camere e in trentatrè tombe secondarie che contenevano resti di giovani maschi di 20-25
anni, forse uccisi quando il re fu sepolto. Vicino ad una di queste tombe secondarie ci
sono anche resti di sepolture di almeno sette giovani leoni. Tutte le altre tombe regali
della I Dinastia ad Abido avevano delle sepolture secondarie con sarcofagi in legno.
Questo è l’unico periodo dell’antico Egitto in cui vennero sacrificati degli esseri umani
per le sepolture regali. Nancy Lovell, che ha esaminato gli scheletri provenienti da
alcune di queste tombe secondarie, ha notato che i loro denti mostrano tracce di morte
per strangolamento. Forse funzionari, sacerdoti, cortigiani e donne della famiglia furono
tutti sacrificati per servire il loro sovrano anche nella vita ultraterrena. Stele
grossolanamente a rilievo coi nomi dei defunti accompagnavano molte di queste
sepolture, che hanno conservato anche alcuni beni funerari, come ceramiche, vasellame
in pietre, utensili in rame e manufatti in avorio. Nani (che forse erano impiegati per il
divertimento del re) e cani, che potevano essere stati cacciati o addomesticati, sono stati
anch’essi trovati in queste tombe. La tomba di Djer aveva il maggior numero di
sepolture secondarie (338), ed in generale le tombe regali successive ne avevano molte
di meno.

Per ragioni non note, questa pratica sembra sia proseguita in modo discontinuo dopo la I
Dinastia, ed in epoche successive delle piccole statuette di servitori e poi gli ushabty
(figurine funerarie) potrebbero essere divenuti sostituti più accettabili. Tutte le tombe
della I Dinastia ad Abido contenevano scrigni in legno in cui avveniva l’effettiva
sepoltura. Il complesso funerario di Djer è il più grande e copre un’area di 70 x 40 m.
(comprese le file di sepolture secondarie). La sepoltura regale era situata al centro di una
camera rivestita di mattoni crudi, che misurava 18 x 17 m. (306 m2 di area) ed era
profonda 2,6 m., con piccole mura perpendicolari ai tre lati della camera sepolcrale, a
formare delle camere-magazzino separate. Sebbene questa tomba sia stata in seguito
trasformata in un santuario per il dio Osiride, Petrie rinvenne un braccio avvolto in
bende di lino con bracciali, che proveniva in apparenza dalla sepoltura originale: questo
braccio oggi non è più conservato, ma la gioielleria si trova nel Museo Egizio del Cairo.

A partire dal regno di Den, alla metà della I Dinastia, si può notare una grande
innovazione nella pianta delle tombe regali: l’aggiunta di una scala. Ciò rendeva
possibile costruire l’intera tomba, compreso il tetto, durante la vita del sovrano, e
rendeva più semplice l’opera di costruzione all’interno di un pozzo molto profondo. Al
centro della scala c’era una porta di legno, e dietro di essa, all’entrata della camera
sepolcrale, c’era una grossa lastra di pietra che bloccava l’ingresso ai saccheggiatori. La
tomba e le 136 sepolture secondarie coprono un’area di circa 53 x 40 m., mentre la
camera sepolcrale misurava 15 x 9 m. ed era profonda 6 m. La pianta della tomba e la
decorazione sono tra le più elaborate di Abido: il pavimento della camera sepolcrale era
rivestito da lastre di granito rosso e nero provenienti da Aswan, che rappresentano il
primo utilizzo noto in vasta scala di questa pietra molto dura. Una piccola camera a sud-
ovest, con la sua piccola scala, potrebbe rappresentare un primo esempio di serdab (una
camera in cui venivano collocate statue del defunto). Gli scavi dell’Istituto Tedesco nei
detriti degli scavi antichi indicano che tra i beni funerari c’erano molte ceramiche con
impronte di sigillo, vasellame in pietra, etichette con iscrizioni, ed altri manufatti a
rilievo in avorio ed ebano, così come intarsi da cassette o mobilio. A sud della camera
della tomba, le insolitamente lunghe camere secondarie contenevano molte giare, che
forse all’origine contenevano vino. Nella tomba regale successiva appartenente a
Semerkhet, Petrie trovò la rampa d’entrata (non una scala come per la tomba di Den)
impregnata fino a “tre piedi” di profondità di oli aromatici. Quasi 5000 anni dopo la
sepoltura, l’odore era ancora così forte che permeava l’intera tomba. Durante gli scavi
dell’Istituto Tedesco di Archeologia nella sepoltura appartenente all’ultimo re della I
Dinastia, Qa’a, furono trovate trenta etichette inscritte che descrivono l’invio di olio.
Molto probabilmente questi oli erano importati dalla Siria-Palestina, e potevano essere
stati fatti da resine o bacche di alberi locali. La presenza di una quantità così elevata di
olio nella tomba di Semerkhet (forse utilizzata nel corso della sua cerimonia funebre)
certamente suggerisce una commercio con l’estero su larga scala controllato dalla
corona, ed indica anche l’importanza di questi beni di lusso per le sepolture regali. Le
tombe regali di Abido si trovano nel basso deserto (Umm el-Qa’ab). A nord-est, vicino
al limite delle coltivazioni, ci sono i recinti funerari, chiamate “fortezze” dai primi
scavatori, dove avvenivano i culti di ogni sovrano, perpetuati dai sacerdoti ed altro
personale dopo la sepoltura nella tomba regale, come era d’uso anche nei complessi
funerari regali successivi. Il recinto funerario meglio conservato, oggi noto come Shunet
el-Zebib, apparteneva a Khaskhemuy, ultimo sovrano della II Dinastia. Le sue mura
interne con nicchie si sono conservate per un’altezza di 10-11 m., racchiudendo un’area
di circa 124 x 56 m. Nel 1988 O’Connor scoprì un grande tumulo di sabbia e ghiaia
coperto da mattoni crudi, approssimativamente quadrato in pianta, quasi al centro del
recinto. Questo tumulo era situato più o meno nella stessa zona della Piramide a Gradoni
del re Djoser della III Dinastia all’interno del suo complesso funerario a Saqqara (che in
origine era una struttura a “mastaba” bassa e solo nella sua quarta fase di costruzione fu
estesa ad una struttura a gradoni). Sia il complesso di Khasekhemuy che quello di Djoser
erano circondati da enormi mura di cinta a nicchie, con soltanto un’entrata a sud-est. Il
complesso di Djoser fu costruito 40-50 anni dopo quello di Khasekhemuy, ed il tumulo
nel Shunet el-Zebib potrebbe essere la prova di una struttura o tumulo “proto-piramide”.
Non è noto se i tumuli siano stati costruiti anche nei primi recinti funerari della I
Dinastia ad Abido, ma sembra del tutto probabile.

Quindi è chiaramente possibile seguire l’evoluzione del culto funerario regale e della sua
forma monumentale attraverso l’analisi dei monumenti di Abido. A partire dalla III
Dinastia, il culto funerario regale iniziò a riflettere un nuovo ordine di potere, che
impiegava grandi risorse e forza lavoro per innalzare il primo monumento del mondo
interamente costruito in pietra. Agli inizi degli anni 1990, dodici “sepolture per barche”
furono scoperte da O’Connor a sud-est del recinto funerario di Djer e poco fuori il muro
nord-est del recinto di Khasekhemuy. Queste sepolture erano dei pozzi contenenti scafi
in legno di barche lunghe circa 18-21 m., ma alte solo 50 cm. Dei mattoni crudi erano
stati posti all’interno degli scafi ed anche attorno ad essi, a formare delle strutture lunghe
oltre i 27,4 m. La ceramica associata alle barche è databile tutta al Primo Periodo
Dinastico, ma fino ad oggi non si è riusciti ancora a datare le barche alla I o alla II
Dinastia. Sembra che siano state costruite tutte nella stessa epoca, e forse saranno
scoperte nuove sepolture per barche quando gli scavi in quest’ area verranno estesi.
Sepolture più piccole per barche sono state trovate associate alle tombe del Primo
Periodo Dinastico degli alti funzionari di Saqqara ed Helwan. Gli esempi più noti per
l’Antico Regno sono le due barche integre associate alla Piramide di Khufu a Giza. Lo
scopo di queste sepolture per barche non è noto: forse le barche erano effettivamente
usate nella cerimonia funebre oppure potrebbero essere state sepolte simbolicamente per
il viaggio nell’oltretomba. Gli esempi ad Abido sono le prove più antiche di associazione
tra barche e culto funerario regale. Le evidenze di Abido mostrano anche l’enorme spesa
da parte dello stato per i complessi funerari – sia tombe che recinti funerari – dei sovrani
della I Dinastia. Questi re avevano il controllo di enormi beni, compresi i prodotti
artigianali dei laboratori regali, beni esotici, materie prime importate in grandi quantità
dall’estero e probabilmente anche di forza lavoro coatta (così come di persone che
potevano essere sacrificate per la sepoltura con il sovrano). Il ruolo dominante del re è di
certo espresso da questi monumenti, ed i simboli del culto funerario regale che si
svilupparono ad Abido divennero in seguito sempre più elaborati fino ai complessi
piramidali dell’Antico e Medio Regno.

Le tombe degli alti funzionari a Saqqara Nord ed altrove

Le tombe degli alti funzionari della I Dinastia a Saqqara Nord sono molto massicce, ma
la loro grandezza non è paragonabile ai monumenti combinati (tomba e recinto
funerario) che i sovrani della I Dinastia costruirono ad Abido. Le tombe di Saqqara Nord
sono molto solide e le sovrastrutture in mattoni crudi con nicchie elaborate (non presenti
nelle tombe regali di Abido) sono veramente impressionanti; inoltre sono molto meglio
conservate rispetto alle tombe regali di Abido: infatti alcune presentavano ancora tracce
di disegni geometrici dipinti sulle facciate e le camere sepolcrali avevano ancora il
pavimento rivestito in legno quando furono scavate. Anche se alcune tombe di Saqqara
Nord avevano file di sepolture secondarie, queste sono in numero minore rispetto alla
necropoli regale di Abido. E’ possibile che le tombe di Saqqara Nord combinassero in
una sola struttura i due monumentali status symbols di Abido: una tomba sotterranea ed
un recinto esterno con nicchie. Ad esempio la Tomba 3357, datata al regno di Aha
dell’inizio della I Dinastia, è una sovrastruttura elaborata con nicchie circondata da due
mura in mattoni crudi, che misura 48,2 x 22 m.

I sotterranei sono divisi da mura in mattoni crudi in cinque camere, con soffitto in legno,
mentre la sovrastruttura contiene ventisette camere aggiuntive per il corredo funerario. A
nord c’è il cosiddetto “modello di proprietà” con camere in piccola scala, tre strutture a
forma di granai, una sepoltura per barca in mattoni crudi e tracce di un giardino. Le
centinaia di vasi in ceramica trovati in questa tomba sono iscritti col nome del sovrano
ed altre informazioni riguardanti il loro contenuto. Sebbene il possessore della tomba sia
sconosciuto, è probabile che fosse uno dei funzionari più importanti del regno, come
indicato non solo dalle dimensioni della sovrastruttura e dal suo contenuto ma anche
dalle strutture aggiuntive e dalla sepoltura per barca. Nel corso del tempo la pianta della
tombe di Saqqara divenne sempre più elaborata, con una sistemazione più complessa
delle camere, sia sotterranee che interne alla sovrastruttura o al recinto. Come ad Abido,
anche a Saqqara Nord vennero introdotte delle scalinate che portavano all’interno della
tomba. Due tombe costruite alla fine della I Dinastia avevano delle basse sovrastrutture
in mattoni crudi, rettangolari e a gradoni, che in seguito vennero circondate da mura con
nicchie. Emery riteneva che la Piramide a Gradoni di Djoser fu un’evoluzione di queste
due strutture a gradoni, ma è più verosimile che gli elementi del primo complesso
piramidale derivino dai recinti funerari e dalle tombe regali ad Abido. Sebbene grandi
tombe con facciate a nicchie siano state trovate anche in altri siti (Tarkhan, Giza e
Naqada), il numero maggiore – e quelle più dalle dimensioni più grandi – si concentrano
a Saqqara Nord, quindi sono la prova dell’esistenza di un’importante gruppo di
funzionari statali. Inoltre potrebbero anche essere state i monumenti più importanti dello
stato al nord, e quindi il simbolo dello stato centralizzato governato molto efficacemente
dal re e dai suoi amministratori. Il fatto che un’enorme quantità di beni artigianali
fossero fuori dalla circolazione economica e fossero invece presenti all’interno di tombe
è indicativo della ricchezza di questo stato nascente, ricchezza condivisa da un’intera
classe di funzionari. Chiaramente il culto funerario era di grande importanza anche per i
privati, quindi gli elementi delle sepolture regali furono emulati in forma più modesta in
questa necropoli di Saqqara Nord. Tranne per le sepolture secondarie (di cortigiani o
servitori?), non ci sono evidenze per la I Dinastia a Saqqara Nord di sepolture più
piccole di funzionari di medio e basso livello: essi furono sepolti altrove, come ad
esempio nella necropoli vicino al villaggio di Abusir. Inoltre la necropoli di Saqqara
Nord si trova su un prominente crinale in calcare elevato rispetto alla valle, e la presenza
di queste grandi sovrastrutture con nicchie elaborate certamente sottolineava lo status
sociale dei funzionari di Menfi. Tombe più piccole e semplici sepolture a pozzo databili
alla I Dinastia sono state trovate in tutto l’Egitto, indicazione non solo di una complessa
stratificazione sociale ma anche dell’importanza del culto funerario per tutte le classi. Le
sepolture più semplici di questo periodo sono pozzi scavati nel basso deserto, come
quelli nella “Necropoli del Forte” a Hierakonpolis. Queste sepolture non hanno sarcofagi
ed il corredo funerario consiste per la maggior parte in poche ceramiche. Le sepolture di
alto rango erano più grandi e fornite di una gran quantità e varietà di beni funerari. A
volte queste sepolture erano rivestite in legno o mattoni crudi e coperte da soffitti, come
nel caso delle tombe che Petrie scavò a Tarkhan. Una tomba più elaborata di questo tipo
fu trovata a Minshat Abu Omar nel Delta, dove il pozzo funerario era diviso da mura in
mattoni crudi in due o tre camere e conteneva fino a 125 oggetti del corredo funerario;
mentre la tomba più grande tra queste misura 4,9 x 3,25 m.

Le tombe con sovrastrutture in mattoni crudi, come quelle che George Reisner scavò
nella Necropoli 1500 a Nag ed-Deir, sono state trovate sia nell’Alto che nel Basso
Egitto. Le sovrastrutture di questo tipo, che a volte avevano nicchie, coprivano un
semplice pozzo funerario o sotterranei più elaborati da una a cinque camere. In queste
tombe era spesso rinvenuto il corpo in posizione contratta in sarcofagi di legno o
ceramica ed una gran quantità di beni funerari. Dato che la maggior parte delle evidenze
archeologiche per la I Dinastia è di tipologia funeraria, le informazioni riguardanti
l’organizzazione economica e socio-politica sono dedotte soprattutto da questi dati. Ma
mano a mano che nuovi “tell” vengono scavati nel Delta, diventano disponibili nuovi
dati sui primi insediamenti di questo periodo. Dalle evidenze attuali si può identificare
un modello che vede lo stabilirsi di molti nuovi insediamenti e delle loro necropoli
associate su entrambe le rive del Nilo nella regione di Menfi, dato che il centro socio-
economico si era spostato a nord a partire dalla I Dinastia. Nuovi siti emersero anche nel
Delta orientale senza dubbio connessi al commercio crescente e ad altre spedizioni
all’estero.

Espansione dello Stato Egiziano nella Palestina meridionale ed in Nubia.

Durante la Dinastia 0 ed i primi anni della I Dinastia ci sono prove dell’espansione


Egiziana in Bassa Nubia e di una presenza Egiziana continua nel Sinai settentrionale e
nella Palestina meridionale. La presenza Egiziana nella Palestina meridionale terminò
alla fine del Primo Periodo Dinastico, mentre la penetrazione Egiziana in Nubia causò la
scomparsa della cultura indigena del Gruppo A, alla fine della I Dinastia. La fonte della
ricchezza del Gruppo A era il commercio di materie prime esotiche che provenivano
dalle regioni meridionali, destinate attraverso la Nubia all’Alto Egitto. Con
l’unificazione dell’Egitto in un grande stato territoriale, la Corona sentì probabilmente la
necessità controllare in maniera più diretta questo commercio, attraverso una serie di
incursioni militari Egiziane nella Bassa Nubia. Una scena del tardo Predinastico a rilievo
su una roccia del Gebel Sheik Suliman vicino al Wadi Halfa suggerisce una sorta di
vittoria militare degli Egiziani, e forse una campagna Nubiana può essere stata
raffigurata su un’etichetta d’avorio da Abido. A causa del dispiegamento delle forze
militari Egiziane, la popolazione del Gruppo A potrebbe aver semplicemente lasciato la
Bassa Nubia per spostarsi altrove (verso sud o le regioni desertiche), dato che non ci
sono evidenze di popolazioni indigene che vivevano in Bassa Nubia fino alla cultura del
Gruppo C, a partire dalla fine dell’Antico Regno. Tuttavia non è noto come l’Egitto
controllasse la Bassa Nubia nel Primo Periodo Dinastico. A Buhen Nord sono state
trovate delle evidenze di un’istallazione Egiziana in strati che forse si possono datare alla
II Dinastia, mentre dati più certi per questo sito sono costituiti da sigilli di sovrani della
IV e V Dinastia. Più incerta è invece la presenza di forti Egiziani permanenti o centri
amministrativi/commerciali in Nubia nel Primo Periodo Dinastico. In Palestina alcune
città fortificate sono state datate al periodo EBA II e sono state connesse alla I Dinastia,
un legame che dipende dalle prove scavate da Petrie in due tombe regali ad Abido
(quelle di Den e Semerkhet). Petrie infatti trovò dei frammenti di ceramica importata con
disegni dipinti, che interpretò come “Egei”. Questa ceramica è stata denominata
“Vasellame di Abido”, e le sue derivazioni dalla cultura EBA II della Palestina
meridionale sono state confermate.

Nello strato III del sito di Ain Basor nella Palestina meridionale sono stati trovati
novanta frammenti di impronte di sigillo di sovrani Egiziani, associati ad un piccolo
edificio in mattoni crudi e a ceramiche soprattutto Egiziane, comprendenti frammenti di
forme per il pane. Le impronte di sigillo sono fatte di argilla locale ed evidentemente
appartenevano a funzionari regali della I Dinastia. Sono attestati quattro nomi regali
(Djer, Den, Anedjib e forse Semerkhet) e la ceramica e le impronte di sigillo
suggeriscono un commercio organizzato dallo stato e diretto dai funzionari Egiziani che
risiedevano in questo insediamento, almeno per la maggior parte della I Dinastia. Alan
Schulman, che ha identificato le impronte di sigillo, ritiene che il sito fosse un punto di
controllo di frontiera Egiziano, antico prototipo di quelli descritti in due papiri databili al
Periodo Ramesside. Tuttavia evidenze simili nella Palestina meridionale mancano per la
II Dinastia, forse perché i contatti attivi via terra potrebbero essere stati interrotti con
l’intensificarsi del commercio marittimo con il Libano. Dato che le materie prime
provenienti da questa regione (legno, oli, e resine di alberi coniferi) erano importate in
quantità crescente, che forse poteva essere trasportata solo via mare, la rotta terrestre
verso la Palestina potrebbe essere stata gradualmente sostituita. E’ probabilmente
significativo che l’evidenza testuale più antica riguardante sovrani Egiziani nel sito
Libanese di Byblos appartenga al regno di Khasekhemuy, ultimo sovrano della II
Dinastia.

Invenzione ed uso della scrittura

Non avendo ancora fissato con precisione la data della nascita dello stato Egiziano, il
primo uso noto della scrittura (nella tomba U-j ad Abido) potrebbe anche essere
precedente all’unificazione politica del nord e del sud. Certamente a partire dalla
Dinastia 0 la scrittura era usata da scriba ed artigiani dello stato Egiziano. Sebbene
alcuni studiosi ritengano che il sistema di scrittura Egiziano fu inventato nel tardo IV
millennio a.C. con stimoli provenienti dalla Mesopotamia (dove è stato rinvenuto il
primo esempio di scrittura), i due sistemi di scrittura sono così diversi che sembra più
verosimile che siano stati entrambi il risultato di invenzioni indipendenti. La prima
codifica dei segni avvenne probabilmente nel periodo di Naqada III/Dinastia 0. Come la
scrittura Egiziana del Periodo Dinastico, questi primi geroglifici erano elementi di segni
ideografici e fonetici. La decifrazione di molte iscrizioni del Primo Periodo Dinastico
resta però ancora oggi incerta. L’uso della scrittura agli esordi dello stato Egiziano ebbe
un contesto regale, e fu un’innovazione di grande importanza per questo stato.
Probabilmente anche per la scrittura, così come per l’arte, si codificò uno stile
istituzionale strettamente legato alla corte in seguito all’unificazione. Il primo stato usò
la scrittura in due contesti: per scopi economici - amministrativi e nell’arte regale. La
funzione economica della scrittura si sviluppò probabilmente come le altre risorse dello
stato che erano sotto il controllo regale. I geroglifici apparvero su impronte di sigilli
regali, etichette, e sulla ceramica per identificare beni e materiali prodotti per e dallo
stato, così come sui sigilli dei funzionari dello stato. A volte sono registrati anche i titoli
dei possessori di questi beni ed i luoghi d’origine. A partire dalla Dinastia 0 compaiono
anche i serekh regali. Il serekh è la prima forma del nome del sovrano in geroglifico, e
comprende segni fonetici in una sorta di cornice a forma di “facciata di palazzo”,
sormontata dall’immagine di un falco.

I serekh sono stati trovati inscritti o dipinti su giare ed etichette ed impressi sui sigilli
delle giare. Questi contenitori erano probabilmente giare da stoccaggio, per prodotti
agricoli immagazzinati dallo stato (forse tasse), ed alcuni di questi beni venivano
commerciati o esportati all’estero attraverso il Sinai settentrionale fino alla Palestina
meridionale. Da questo uso economico della scrittura si può dedurre che già nella
Dinastia 0 c’era un sistema amministrativo funzionante. Agli inizi della I Dinastia si
sviluppò una forma più complessa di scrittura, con la presenza di una combinazione di
geroglifici e arte grafica sulle etichette. In assenza di testi composti da segni ordinati
grammaticalmente, non noti se non successivamente, le informazioni contenute sulle
etichette, soprattutto quelle disposte in registri, si devono leggere probabilmente come
testi che contengono informazioni storiche (nome di un anno). Donald Redford ha
ipotizzato che le informazioni veicolate dalle etichette regali fossero parte di un sistema
di annali. L’aggiunta del segno dell’anno a partire dalla metà della I Dinastia rappresenta
un sistema più specifico per registrare gli anni di regno rispetto alle etichette più antiche.
La seconda funzione della scrittura era nell’arte commemorativa regale, come ad
esempio sulla Paletta di Narmer. I geroglifici identificavano quindi persone specifiche e
forse luoghi in simboliche scene di rappresentazione della legittimità del re al potere. In
queste scene il re è mostrato in un doppio ruolo, sia reale che simbolico, basato su una
nuova ideologia: l’istituzione della monarchia Egiziana. Segni numerici, come quelli
sulla Testa di Mazza di Narmer, rappresentano bottino e prigionieri catturati, e sono
probabilmente molto esagerati, come spesso accade nei più tardi testi storici Egiziani.
L’iconografia del potere è chiaramente visibile in questa arte istituzionale e sviluppa
gradualmente le sue importanti convenzioni. Il re ed i suoi funzionari sono raffigurati in
abiti particolari legati ai loro incarichi, mentre i loro nemici conquistati non indossano
nulla. La gerarchia delle classi sociali è evidente anche dalla grande dimensione del re,
che è seguito dal suo portatore di sandali più piccolo, e poi dai suoi funzionari ancora più
piccoli, fino alle figure più piccole in assoluto dei nemici conquistati, contadini e servi. Il
re è spesso mostrato che calpesta i nemici. I primi segni Egiziani quindi non descrivono
le situazioni mostrate nelle scene, ma servono da etichette per i nomi delle persone e dei
luoghi. Parte del problema della comprensione del modo in cui si sviluppò la scrittura
nel Primo Egitto Dinastico è legato sia alla tipologia di manufatti sui quali apparve la
prima scrittura, che al loro contesto archeologico. La maggior parte degli esempi di
prima scrittura sono associati al culto funerario e non sono registrazioni di attività
economiche che provengono da insediamenti. Quindi le prime etichette iscritte con
geroglifici sono state trovate in tombe regali e d’élite. Dalla necropoli regale di Abido
provengono stele con i nomi dei sovrani nei serekh e stele più piccole inscritte associate
alle sepolture secondarie. L’unica stele funeraria con un testo più lungo, proveniente
dalla tomba della fine della I Dinastia di Merka a Saqqara, è semplicemente una lista dei
suoi titoli. Il primo stato probabilmente teneva delle registrazioni economiche di qualche
sorta per facilitare il suo controllo amministrativo ed economico, ma di ciò esistono solo
evidenze indirette sottoforma di etichette inscritte.

Centri di culto del Primo Periodo Dinastico

Alcune delle etichette inscritte della I Dinastia mostrano anche strutture come templi o
santuari, come ad esempio il recinto per la dea Neith raffigurato nel registro superiore di
un’etichetta in legno proveniente dalla tomba di Aha ad Abido. La prima tipologia di
scrittura compare anche su alcuni piccoli manufatti votivi, che erano probabilmente
offerte o doni per centri di culto. Il vasellame in pietra del Primo Periodo Dinastico era a
volte inscritto, ed alcuni di questi segni suggeriscono la provenienza da centri di culto.
Una serie di vasi in pietra potrebbero essere stati usurpati da un centro (o centri) di culto
degli dei e poi sepolti nella Piramide a Gradoni di Djoser a Saqqara. Queste evidenze
portano ad ipotizzare l’esistenza di templi di culto al di fuori del culto funerario regale
nel Primo Periodo Dinastico, ma ci sono pochi dati archeologici riguardanti questo tipo
di architettura. Forse gli esempi più impressionanti di una prima arte templare sono le tre
colossali figure in calcare di un dio della fertilità (Min?) che Petrie scavò a Koptos. Una
di queste figure, restaurata ed oggi conservata all’Ashmolean Museum, è alta più di 4 m.
Stilisticamente i colossi sembrano essere databili sia alla Dinastia 0 che agli inizi della I
Dinastia. Inoltre sono state rinvenute delle figurine (forse oggetti votivi) in un profondo
deposito sotto al pavimento del tardo tempio di Iside e Min, che si ritiengono databili
all’Antico Regno, insieme a frammenti di ceramica che appartengono chiaramente a
vasellame del tardo Predinastico (Naqada). Queste evidenze suggeriscono fortemente
l’esistenza di un tempio o santuario in questo sito già dal Predinastico. Data la grande
dimensione dei colossi, si può ipotizzare una loro collocazione originaria in un cortile
del tempio, sebbene non siano stati trovati resti di nessun tipo di struttura. Le operazioni
di cava, trasporto, scultura ed erezione di questi grandi pezzi di pietra implicavano
un’organizzazione (comunitaria) in larga scala per il rinnovo e l’approvvigionamento di
un centro di culto. Dato che un tale investimento di energia è molto più evidente per il
culto funerario regale durante la I Dinastia, l’associazione dei colossi di Koptos con un
centro di culto è molto significativa. Durante gli anni 1980 e 1990, gli scavi dell’Istituto
Tedesco di Archeologia sull’isola di Elefantina, all’altezza della prima cateratta, hanno
rivelato i resti di un santuario databile al Primo Periodo Dinastico, una fortezza costruita
durante la I Dinastia ed un grande muro fortificato che circondava la città durante la II
Dinastia. Non è stato identificato il culto che veniva praticato in questo antico santuario,
ma se ne è scoperta l’originaria collocazione sotto un tempio in pietra della XVIII
Dinastia dedicato alla dea Satet. L’antico santuario è molto semplice e comprende solo
alcune strutture in mattoni crudi larghe meno di 8 m. all’interno di una sorta di nicchia
naturale formata da massi di granito. Sotto il tempio della XVIII Dinastia furono trovati
centinaia di piccoli manufatti votivi, soprattutto figurine umane ed animali in faience, di
cui molti databili all’Antico Regno, ma anche al Primo Periodo Dinastico, compreso un
frammento di una piccola statua di un re seduto con un segno che è stato identificato
come il nome di Djer. Una tale concentrazione di figurine votive realizzate nel corso di
circa sei dinastie (circa 800 anni) suggerisce la presenza di un laboratorio artigianale
associato a questo tempio dove i fedeli e o gli adoratori potevano ottenere questi
manufatti da lasciare poi durante la loro visita. Figurine simili sono state trovate anche in
alcuni depositi ad Abido, sotto una struttura dell’Antico Regno che è stata identificata
come un possibile tempio del dio Khenti-amentiu o anche come una cappella per il ka
del sovrano della VI Dinastia Pepi II.

Probabilmente alcune di queste figurine derivano da un più antico tempio del Primo
Periodo Dinastico. A Hierakonpolis Quibell e Green rinvennero nel “Deposito
Principale” (al di sotto di un tempio successivo) altre figurine di animali in faience,
argilla cotta e pietra, che appartengono stilisticamente al tardo Predinastico e al Primo
Periodo Dinastico. Dallo stesso contesto archeologico (vicino al Deposito Principale)
provengono anche la Testa di Mazza del Re Scorpione, la Paletta di Narmer e la Testa di
Mazza di Narmer, così come un’altra paletta cerimoniale (la Paletta dei Due Cani, che
sembra essere stilisticamente più antica di quella di Narmer), una serie di piccoli avori
inscritti coi nomi di Narmer e Den, due statue del re della II Dinastia Khasekhemuy, e
vasi in pietra inscritti prodotti durante il suo regno. Nella stessa zona sono state trovate
anche evidenze archeologiche di questo antico santuario, in cui probabilmente un
rivestimento ovale basso di blocchi di arenaria (circa 42 x 48 m.) circondava un tumulo
di sabbia sterile che era stata portata nel sito dal deserto. Questa struttura fu realizzata
probabilmente tra il tardo Predinastico e la III Dinastia: era collocata all’interno di un
recinto murario, che O’Connor ha ipotizzato fosse una struttura templare simile in pianta
al recinto funerario con tumulo di Khasekhemuy ad Abido. Se l’ipotesi di O’Connor
fosse esatta, allora ciò significherebbe che i templi di culto principali del Primo Periodo
Dinastico ad Abido, Hierakonpolis ed Elefantina non sono ancora stati identificati e
scavati. Ciò nonostante, l’evidenza archeologica porta a confermare la presenza di
strutture templari di culto all’interno delle città. Questi templi avevano una funzione
diversa rispetto a quelli associati ai complessi funerari, che erano situati al di fuori delle
città. Le evidenze architettoniche dei culti Egiziani (di divinità non note) del Primo
Periodo Dinastico sono molto meno impressionanti rispetto ai resti contemporanei dei
templi nella Mesopotamia meridionale. Comunque, i centri di culto delle città Egiziane
del Primo Periodo Dinastico potrebbero aver avuto la funzione di integrare la società in
città e nomos in un sistema condiviso di credenze che forse era di più immediato
significato per la vita della popolazione locale rispetto ai culti funerari delle necropoli
regali e d’ élite.

Lo stato della II Dinastia

Ci sono molte meno evidenze per i sovrani della II Dinastia rispetto a quelli della I
Dinastia, almeno fino agli ultimi due regni (Peribsen e Khasekhemuy). Considerando ciò
che si conosce degli inizi dell’Antico Regno della III Dinastia, la II Dinastia dovette
essere un periodo in cui vennero create le fondamenta economiche e politiche di uno
stato fortemente centralizzato, che si sviluppò con molte risorse. Una transizione così
importante, tuttavia, non può essere dimostrata in modo chiaro attraverso le evidenze
archeologiche della II Dinastia. Nel 1991-2 la tomba dell’ultimo sovrano della I Dinastia
ad Abido, Qa’a, fu oggetto di un nuovo scavo da parte dell’Istituto Tedesco di
Archeologia, e vi furono trovate le impronte di sigillo di Hetepsekhemuy, il primo
sovrano dalla II Dinastia. Gli archeologi Tedeschi hanno interpretato questo
ritrovamento come prova del fatto che Hetepsekhemuy completò la tomba del suo
predecessore e che non vi fu rottura nella successione dinastica. Dove siano stati sepolti i
sovrani della II Dinastia non è certo, dato che non vi sono evidenze delle loro tombe ad
Abido. Gli unici monumenti della II Dinastia ad Abido sono due tombe e due recinti
funerari che appartenevano a Peribsen e Khasekhemuy.

Anche un grande recinto con nicchie, noto come “Forte di Hierakonpolis”, all’entrata del
Grande Wadi, è stato datato alla II Dinastia, in particolare al regno di Khasekhemuy per
un architrave in pietra inscritto. La funzione e la datazione di questa unica struttura a
Hierakonpolis non possono essere facilmente identificate, ed anche l’ipotesi che la
riconosce come un secondo recinto funerario per Khasekhemuy non è verificabile. A
Saqqara sono state trovate a sud del complesso della Piramide a Gradoni di Djoser due
enormi serie di gallerie sotterranee, ognuna lunga oltre 100 m. Associate a queste
gallerie sono alcune impronte di sigillo dei primi tre sovrani della II Dinastia
(Hetepsekhemuy, Raneb e Ninetjer), i cui nomi sono anche elencati sulle spalle di una
statua in granito di un sacerdote della II Dinastia, chiamato Hetepdief (trovata nelle
vicinanza di Mitrahina ed oggi al Museo Egizio del Cairo). Le sovrastrutture di queste
tombe di Saqqara non sono rimaste, ma è possibile che due dei sovrani di questa dinastia
siano stati sepolti qui. Due serie di gallerie sotterranee sono state trovate anche sotto il
cortile settentrionale del complesso della Piramide a Gradoni, e potrebbero essere state
create per sepolture regali della II Dinastia. Quando il monumento di Djoser fu costruito
nella III Dinastia, le sovrastrutture delle due tombe precedenti potrebbero essere state
rimosse. Una tale ricostruzione degli eventi non è impossibile, data l’enorme quantità di
vasellame in pietra della I e II Dinastia, probabilmente usurpato da precedenti complessi
funerari e/o centri di culto, che fu trovato nei sotterranei del complesso di Djoser. La
tomba di Peribsen (forse noto anche come Horus Sekhemib) nella necropoli regale di
Abido è abbastanza piccola (16,1 x 12,8 m.). La camera sepolcrale centrale è fatta in
mattoni crudi, a differenza delle camere sepolcrali della I Dinastia, che erano rivestite in
legno. Quando il nome di Peribsen è scritto nel serekh, esso è sormontato non dal solito
falco Horus (come lo è il nome di Sekhemib) ma dall’animale di Seth, una creatura
simile ad uno sciacallo con una lunga e larga coda. Questo cambiamento drammatico
nella forma del nome regale è stato interpretato come la raffigurazione di una sorta di
ribellione, che fu schiacciata o sedata dall’ultimo sovrano della dinastia, Khasekhemuy,
il cui nome compare nei serekh sormontati sia dal falco Horus che dall’animale di Seth.
Un conflitto del genere potrebbe essere stato reso simbolico nella mitologia Egiziana,
come nel caso del racconto letterario La contesa di Horus e Seth. E’ tuttavia incerto se
mitologie, note da testi molto più tardi, e simboli nei serekh dei due sovrani della fine
della II Dinastia rappresentino l’effettiva realtà storica. Un epiteto da un’impronta di
sigillo di Khasekhemuy, “I Due Signori sono in pace in lui”, però, tende a supportare la
teoria secondo la quale egli risolse alcuni conflitti interni, nel caso in cui i “Due Signori”
possano riferirsi ad Horus e Seth (e ai loro seguaci). L’ultima tomba costruita nella
necropoli regale di Abido fu quella di Khasekhemuy, che era noto anche come
“Khasekhem” agli inizi del suo regno. La sepoltura è molto più grande di quella di
Peribsen, ed ha anche una diversa pianta, che comprende una galleria lunga 68 m. e larga
39,4 m., divisa in cinquantotto camere con una camera sepolcrale centrale fatta di
calcare di cava. La camera sepolcrale (circa 8,6 x 3 m., ed oggi alta 1,8 m.) è la prima
costruzione in larga scala in pietra nota. Sebbene la maggior parte degli oggetti in essa
contenuti furono rimossi da Amelineau, furono tutti ben registrati, e Petrie li descrisse
nella sua pubblicazione del 1901. Il corredo funerario comprendeva grandi quantità di
utensili e vasellame in rame, vasi in pietra (alcuni con rivestimento in oro), utensili in
selce, e vasellame in ceramica pieno di grano e frutta.

Petrie descrisse anche dei piccoli manufatti smaltati, perline di cornalina, modelli di
utensili, ceste ed una gran quantità di sigilli. Dato il gran numero di camere-magazzino,
probabilmente questa tomba in origine conteneva moli più beni funerari di tutte le altre
tombe della I Dinastia di questa necropoli. Gli alti funzionari dello stato continuarono ad
essere sepolti a Saqqara Nord durante la II Dinastia. Vicino alla piramide del sovrano
della V Dinastia Unas, Quibell scavò cinque grandi tombe con gallerie sotterranee,
scavate nella roccia calcarea, ed ipotizzò che rappresentassero una sorta di casa per il
mondo ultraterreno, con zone per uomini e donne, una “camera da letto” per il signore
della sepoltura e perfino bagni con latrine. La maggiore delle cinque, la Tomba 2302,
aveva ventisette camere sotto alla sovrastruttura in mattoni crudi, che copriva un’area di
58 x 32,6 m. Le sovrastrutture di queste tombe della II Dinastia non avevano più le
elaborate nicchie sui quattro lati come per la I Dinastia, ma erano progettate con due sole
nicchie sul lato est, forse ad indicare i luoghi dove le offerte potevano essere lasciate dai
sacerdoti o dai membri della famiglia dopo la sepoltura (caratteristica architettonica che
in seguito si sarebbe trovata nelle tombe private per tutto l’Antico Regno). Le piante
delle tombe d’élite della II Dinastia possono chiaramente essere ritenute un’evoluzione
delle tombe degli “alti funzionari” della I Dinastia a Saqqara Nord. Dato che la piana di
Saqqara era fatta di una buona qualità di calcare, queste tombe della II Dinastia furono
progettate con camere per il corredo funerario scavate direttamente nella roccia, dove
potevano essere meglio protette dal saccheggio rispetto a quando si trovavano all’interno
della sovrastruttura. Le tombe della fine della II Dinastia a Saqqara, probabilmente
appartenenti a funzionari di medio livello, sono simili in pianta alle tombe a mastaba
standard dell’Antico Regno, che consistevano in un condotto verticale scavato nella
roccia e che portava ad una camera sepolcrale murata. Sopra al condotto e alla camera
c’era una piccola sovrastruttura in mattoni crudi con due nicchie sul lato est. Ad Helwan,
sulla riva orientale del Nilo, gli scavi hanno restituito circa 10.000 tombe databili dal
periodo di Naqada III alla I e II Dinastia, e probabilmente anche agli inizi dell’Antico
Regno. Queste tombe erano in qualche modo più modeste per dimensioni ed
appartenevano a funzionari di medio livello. Una caratteristica distintiva delle tombe
della II Dinastia ad Helwan è la presenza di stele collocate nel soffitto della tomba, che
presentavano a rilievo la raffigurazione del possessore della tomba seduto, con il suo
nome, titoli e la cosiddetta formula di offerta. I corti sarcofagi in legno per sepolture in
posizione contratta, che sono stati trovati solo nelle tombe d’élite della I Dinastia,
divennero molto più comuni nelle tombe della II Dinastia, come ad esempio ad Helwan.
A Saqqara, Emery e Quibell trovarono dei corpi della II Dinastia avvolti in bende di lino
intrise di resine, evidenza di un probabile primo tentativo di preservare il corpo, in una
fase in cui le tecniche di mummificazione dovevano ancora essere sviluppate. Tali
misure si rivelavano necessarie per le sepolture in sarcofagi, in opposizione alle
sepolture del Predinastico, in cui il corpo era disidratato naturalmente dalla sabbia calda
in un pozzo del deserto. L’uso crescente di legno e resina nelle sepolture di medio livello
della II Dinastia probabilmente testimoniano i crescenti contatti e commerci con la
regione Libanese in questo periodo.

Conclusioni

L’architettura, l’arte e le credenze associate degli inizi dell’Antico Regno furono il


risultato di un graduale sviluppo delle forme del Primo Periodo Dinastico. Nel
complesso della Piramide a Gradoni di Djoser è chiara la trasformazione delle tombe del
Primo Periodo Dinastico nel primo monumento del mondo completamente costruito in
pietra – in scala davvero enorme. Dato che questo monumento è anche il simbolo
dell’enorme controllo esercitato dalla Corona, è evidente lo sviluppo esponenziale di
questo potere durante la I e II Dinastia, a seguito dell’unificazione avvenuta nel periodo
tra Naqada III e la Dinastia 0. Il Primo Periodo Dinastico fu caratterizzato dal
consolidamento degli enormi vantaggi dell’unificazione, che potrebbero facilmente
essersi annullati quando in seguito la burocrazia statale fu organizzata ed espansa
portando l’intero paese sotto il controllo regale (?). Questo fu esercitato attraverso le
tasse, necessarie a supportare la Corona ed i suoi progetti su vasta scala, che
comprendevano anche spedizioni per l’approvvigionamento di beni e materie prime nel
Sinai, Palestina, Libano, Bassa Nubia e Deserto Orientale. Probabilmente fu messa in
atto anche una sorta di coscrizione per costruire i grandi monumenti funerari e per
procurare soldati per le spedizioni miliari. L’uso della prima scrittura senza dubbio rese
più facile questa organizzazione statale. Ci furono delle ovvie ricompense per coloro che
divennero burocrati dello stato, come dimostrano chiaramente le prime necropoli su
entrambe le rive del fiume nella regione di Menfi. La credenza nei benefici del culto
funerario, in cui grandi quantità di beni erano costantemente esclusi dalla circolazione
economica, fu un fattore di coesione che aiutò l’integrazione di questa società sia al nord
che al sud. Durante le prime dinastie, quando la Corona iniziò ad espandere un enorme
controllo su terra, risorse e lavoro, l’ideologia del re-dio rese legittimo questo controllo e
divenne sempre più efficace come sistema di credenze unificatrici. La fioritura della
prima civiltà in Egitto fu il risultato di fondamentali trasformazioni nell’organizzazione
economico-socio-politica e nell’ideologia, e ciò è davvero significativo, considerando
che le politiche contemporanee nel Vicino Oriente erano molto più piccole per territorio
e popolazione. E’ sorprendente anche la straordinaria longevità di questo stato – un
totale di circa 800 anni fino alla fine dell’Antico Regno – che è in parte dovuta
all’enorme potenziale dell’agricoltura dei cereali della pianura alluvionale del Nilo, ma è
anche il risultato delle abilità organizzative Egiziane e dell’istituzione fortemente
sviluppata della monarchia.
CAPITOLO 5: ANTICO REGNO (2686-2160 A.c. CIRCA)

Jaromir Malek

Il termine “Antico Regno” fu imposto alla cronologia egiziana dagli storici del XIX°
secolo, ma le sue implicazioni possono risultare fuorvianti, poiché riflettono un
approccio alla periodicità della storia sul quale oggi si nutrono notevoli riserve. Gli
antichi Egiziani non lo usarono mai e avrebbero trovato difficili da comprendere le
differenze tra il Periodo Protodinastico (3000-2686 a.C.) e l’Antico Regno (2686-2160
a.C.). L’ultimo sovrano del Periodo Protodinastico ed i primi sovrani dell’Antico Regno
erano, sembra, legati alla Regina Nimaathap, definita “madre dei figli del re” durante il
regno di Khasekhemuy e (!!!) ‘madre del Sovrano dell’Alto e Basso Egitto’ all’epoca di
Djoser 2667-2648 a.C. Per gli Egiziani era molto più importante il fatto che il luogo
della residenza regale non era cambiato, ma rimasto alle Mura Bianche (Ineb-hedj), sulla
riva ovest del Nilo a sud della moderna Cairo.

Comunque, gli Egiziani erano consapevoli del contributo rivoluzionario dato dai
costruttori del re Djoser all’architettura funeraria regale. I grandi progetti edilizi a
carattere statale ebbero un profondo ed immediato effetto sull’economia e la società
egiziana. Per noi, questa è la principale giustificazione della divisione tra il Periodo
Protodinastico e l’Antico Regno, sebbene sia il progresso nell’architettura e non
cambiamenti di regno a marcare questa fase di passaggio.

Considerazioni cronologiche e caratteristiche principali dell’epoca

Grazie alle informazioni ricavate da una lista di sovrani di epoca ramesside, scritta su un
papiro oggi al Museo Egizio di Torino, il cosiddetto Canone di Torino, ci sono pochi
punti deboli nell’ordine e nella (!!!) datazione dei sovrani dell’Antico Regno. Tra i
sovrani cronologicamente importanti, solo i regni di Menkaura (2532-2503 a.C., ma
forse anche meno) e Neferirkara (2475-2455 a.C, ma questo lasso temporale è
certamente troppo lungo) presentano difficoltà più serie (!!!). Non ci sono date certe
basate (!!!) sull’osservazione astronomica contemporanea, ed i calcoli fatti per gli altri
periodi possono cambiare la posizione relativa dell’Antico Regno nello schema
cronologico nella storia antica egiziana. Il grado di attendibilità che assegniamo alle
fonti antiche e la nostra comprensione del sistema di datazione egiziano sono anch’essi
molto importanti. Comunque si può dire che il 2686 a.C come inizio del regno di Nebka
(il primo sovrano della Terza Dinastia secondo Manetone, sebbene la sua posizione nella
dinastia sia stata recentemente messa in discussione) sia sicuro con un margine di errore
di circa venticinque anni.

La fine del periodo, circa cinque secoli e mezzo più tardi, è più oscura, ma gli antichi
egiziani e i moderni storici sono abbastanza in accordo tra loro sulle sue caratteristiche.
Per gli egiziani, il trasferimento della residenza regale lontano da Menfi fu rappresentato
da una netta divisione nelle loro liste dei re. Poiché questo evento coincise
approssimativamente con profondi cambiamenti politici, economici e culturali nella
società egiziana, è conveniente seguire il loro esempio.

Ciò nonostante la mancanza di precisi indicatori cronologici è scoraggiante, ed il grado


di incertezza è così alto che molte delle vivaci (!!!) polemiche, allo stato attuale della
nostra conoscenza, sono puramente accademiche.

Sebbene la divisione dei sovrani egiziani in dinastie (casate regali), introdotta dallo
storico Tolemaico Manetone nel terzo secolo a.C, sia comunemente accettata, i suoi
punti deboli risultano raramente tanto evidenti come nel caso dell’Antico Regno.
Nonostante possiamo stabilire motivazioni attuali per quasi tutte le rotture tra dinastie,
difficilmente possiamo difenderle come solidi criteri storici o come cause per la
discontinuità della successione regale. In ogni caso, in assenza di un’alternativa radicale,
il sistema di Manetone fornisce un utile schema cronologico che consente di evitare
datazioni assolute più incostanti (in anni a.C).

Durante l’Antico Regno, l’Egitto conobbe un periodo ininterrotto di prosperità


economica e di stabilità politica, in continuità col Periodo Protodinastico e si trasformò
velocemente in uno stato centralizzato, governato da un re ritenuto in possesso di poteri
sovrannaturali. Il paese era amministrato da un’elite colta selezionata, almeno in parte, in
base a criteri di merito. L’Egitto sperimentò un’autosufficienza e una sicurezza quasi
totale all’interno dei suoi confini naturali; nessun rivale esterno minacciava il suo
predominio sull’Africa nord-orientale e sulle aree immediatamente adiacenti dell’Asia
Occidentale. Progressi nel pensiero religioso ebbero immediato riflesso nell’arte e
nell’architettura.

Progetti di costruzione in larga scala come indicatori di cambiamento

Il re Djoser, noto dai suoi monumenti come Neterykhet (i suoi nomi di Horus e di
Nebty), è uno dei più famosi sovrani della storia egiziana. Sul Canone di Torino, il suo
nome è preceduto da una rubrica in inchiostro rosso. Molto più tardi durante il regno di
Tolomeo V Epifane (205-180 a.C.), quasi 2500 anni più tardi, la Stele della Carestia
sull’isola di Sehel, nella regione della prima cateratta, ancora testimoniava la sua
immagine come quella di un sovrano saggio e pio (Djoser significa sacro). Sebbene la
stele si debba considerare un testo tendenzioso e spurio al livello storico, creata dai
sacerdoti della divinità locale Khnum, la sua importanza sta più nella consapevolezza
che essa testimonia – in un epoca tanto più tarda - dell’importanza della figura di Djoser,
che nella storicità degli eventi che riporta. Gli annali conservati sulla Pietra di Palermo
registrano la costruzione di un edificio in pietra chiamato Men-netjeret già durante il
regno di Khasekhemuy, l’ultimo sovrano della II dinastia, o predecessore di Djoser,
Nebka (2686-2667 a.C.). Non sappiamo null’altro su questo edificio sebbene ci siano
buone possibilità che esso sia la struttura nota come Gisr el-Mudir a Saqqara Nord, a
sud-ovest della piramide di Djoser. La sua costruzione non andò oltre la fase iniziale,
cosicché il merito per il primo edificio in pietra portato a compimento dall’uomo va a
Djoser. La sovrastruttura della tomba di Djoser è il risultato di sei varianti del progetto,
adottate a mano a mano che veniva compresa la piena potenzialità del nuovo materiale
da costruzione. Prima di Nebka e Djoser, la pietra era stata utilizzata solo in modo
limitato per alcuni elementi architettonici nelle tombe in mattoni.

La struttura finale è una piramide a sei gradoni, con un’area di base di 140x118 m ed
un’altezza di 60 m. Si trova all’interno di una cinta che misura 545x277 m, le cui mura
probabilmente imitavano la facciata del palazzo regale. Il corpo del re fu sepolto in una
camera costruita sotto la piramide, al di sotto del livello del terreno. Mentre per noi
questa nuova forma architettonica introduce un nuovo periodo storico, contiene anche un
chiaro collegamento col passato. Nel suo progetto iniziale era infatti una mastaba di
forma rettangolare, una tipica tomba regale del Periodo Protodinastico. Elementi
caratteristici della cinta sono il grande cortile aperto ed il complesso di cappelle ed altri
edifici, repliche in pietra di strutture che, durante la vita del re, dovevano essere costruite
in materiali leggeri e deperibili in occasione delle feste-sed (giubilei regali). Qui Djoser
sperava di continuare a celebrare, nella sua vita ultraterrena, questi riti periodici in
occasione dei quali la sua energia ed il suo potere, così come la sua capacità di
governare, potevano essere rinnovate. Nella zona meridionale della cinta, c’è un edificio
(chiamato Tomba Sud) che imita i sotterranei della piramide. La sua funzione non è
chiara, ma potrebbe essere paragonata alle piramidi satellite dei complessi piramidali
successivi. Secondo la tradizione, Imhotep (in greco: Imouthes) fu l’architetto della
piramide di Djoser e l’inventore della costruzione in pietra. In seguito fu divinizzato e
considerato come il figlio del dio Ptah e patrono degli scribi e medici, equiparato al dio
Greco Asklepios. La sua storicità è stata confermata dalla base di una statua di Djoser
che porta anche il nome di Imhotep. La sua tomba fu probabilmente costruita a Saqqara,
forse al limite della piana desertica ad est della piramide del suo signore, ma non è
ancora stata identificata e così offre una delle più eccitanti prospettive per le ricerche
future. Il fatto che Imhotep fosse un alto sacerdote di Heliopolis è la dimostrazione
dell’importanza, già in un’epoca così antica, del dio-sole Ra (o Ra-Atum). La residenza
regale ed il centro amministrativo dell’Egitto erano situati nell’area dove il dio Ptah era
il principale dio locale, ma è probabile che Heliopolis (in egiziano Iunu, la biblica On), a
nord-est della capitale dell’Antico Regno e sulla riva orientale del Nilo (oggi un
sobborgo del Cairo), fosse riconosciuta come la capitale religiosa del paese anche prima
dell’Antico Regno. Djoser fu il primo sovrano a dedicare una piccola cappella lì. La
tendenza alla monumentalità, poi applicata alla sepoltura regale, si può identificare già
nei primi anni del regno di Djoser; d’altra parte essa rispecchia l’idea predominante
dell’epoca sulla posizione del sovrano nella società egiziana. Questa visione potrebbe
essersi ulteriormente rafforzata, proprio quando ebbe trovato, nell’architettura funeraria,
la sua espressione più piena. Nel corso dei due secoli successivi l’approccio a questa
tematica fu esplorato fino alle estreme conseguenze tanto da divenire un forte
catalizzatore dello sviluppo della società egiziana. La piramide a gradoni venne quindi
adottata come modello per la tomba regale, ma nessuna di quelle progettate dai
successori di Djoser fu mai completata. La piramide di Sekhemkhet (2648-2640 a.C) fu
iniziata a sud-ovest di quella di Djoser ed il suo progetto fu ancora più ambizioso. Un
graffito sulla cinta menziona Imhotep, che potrebbe essere stato ancora attivo.
L’attribuzione della piramide fu dedotta dalla presenza del nome di Sekhemkhet su
alcune impronte di sigillo nelle sue camere sotterranee. Sebbene la camera sepolcrale
della piramide contenesse un sarcofago scolpito in alabastro egiziano, esso fu trovato
vuoto, ed è chiaro che la sovrastruttura fu abbandonata quando aveva raggiunto
un’altezza di circa 7m. Una struttura incompleta simile, a Zawyiet el-Aryan, a nord di
Saqqara, è stata attribuita, senza certezza assoluta, a Khaba (2640-2637 a.C).

La breve durata dei regni di questi due sovrani (solo sei anni ognuno) fu quasi
certamente la causa del mancato completamento delle due piramidi. Poco si può dire con
certezza sulle relazioni familiari tra i sovrani della III Dinastia, ma i primi due, Nebka e
Djoser, potrebbero essere stati fratelli.

La IV Dinastia (2613-2494)

Durante il regno di Snofru (Horus Nebmaat, 2613-2589 a.C) la forma esterna della
tomba regale si trasformò in una piramide regolare; cambiamento questo che potrebbe
essere interpretato come naturale sviluppo architettonico della precedente struttura a
gradoni, se non fosse per altri profondi cambiamenti che interessano le nuove sepolture.
All’impianto generale, vennero aggiunti elementi completamente nuovi che andarono a
costituire il complesso piramidale. Un nuovo orientamento fu applicato alla struttura
(l’asse principale era ora orientato da est ad ovest, mentre in passato aveva predominato
l‘orientamento nord-sud). Il tempio della piramide, che fungeva da punto focale del culto
funerario, fu costruito contro la facciata orientale della piramide (mentre quello di Djoser
era a nord); fu inoltre collegato per mezzo di una rampa ad un “tempio a valle” più ad
est, fornendo così l’intero complesso di una monumentale entrata al limite delle
coltivazioni. Una piccola piramide satellite fu situata vicino alla facciata sud della
piramide. Queste innovazioni architettoniche dovevano essere il diretto risultato di
cambiamenti nella dottrina riguardante la vita ultraterrena del sovrano. Sembra che i
primi concetti astronomici legati all’orientamento delle stelle furono gradualmente
modificati con l’introduzione di nuove idee centrate sul dio-sole Ra. Sebbene manchino
delle prove testuali, già in questa prima fase le credenze riguardanti Osiride iniziarono
ad influenzare l’idea egiziana della vita ultraterrena.

Snofru, probabilmente più come risultato di un errato progetto che per scelta, costruì due
piramidi a Dahshur, a sud di Saqqara. La più meridionale è la Piramide Romboidale,
l’angolo di inclinazione delle cui facciate fu cambiato a circa due terzi della sua altezza,
in seguito ad alcuni cedimenti strutturali scoperti durante la costruzione. L’altra è la
Piramide Rossa (così chiamata per il colore dei blocchi di calcare utilizzati nel nucleo
della struttura), in cui Snofru fu sepolto. Lo stesso sovrano potrebbe anche aver iniziato,
e verso la fine del suo regno completato, una terza struttura a Meidum, ancora più a sud.
Alcuni visitatori che la videro nella XVIII dinastia, circa 1200 anni più tardi, resero noto
in alcuni graffiti che essa era attribuita a Snofru. E’ possibile che all’origine fu concepita
come una piramide a gradoni per il predecessore di Snofru, Huni (più propriamente noto
come Nysuteh, e forse anche identificato con l’Horus Qahedjet, 2637-2613 a.C), ma un
contributo così sostanziale alla piramide di un predecessore sarebbe unico nella storia
egiziana. La reputazione successiva di Snofru come sovrano pioniere potrebbe essere
dovuta anche all’etimologia del suo nome, dato che “snefer” significa “rendere bello”.

Il volume di materiale relativo all’attività edilizia di Snofru è maggiore di quello di ogni


altro sovrano dell’Antico Regno. Il Canone di Torino identifica la lunghezza del suo
regno in 24 anni, sebbene alcuni graffiti di operai trovati sui blocchi all’interno della sua
piramide più settentrionale (e più tarda) a Dahshur potrebbero suggerire un regno più
lungo.

Il problema troverebbe facile soluzione, se si potesse dimostrare che le occasioni


eponime di censimento (del bestiame), utilizzate a scopi cronologici (l’anno di regno di
un dato sovrano era l’anno dell’ennesimo censimento, o l’anno successivo a quello
dell’ennesimo censimento) e che sono note per essere state regolarmente biennali
durante il periodo protodinastico, erano divenute in quest’epoca occasioni più frequenti
ma meno regolari. Il contemporaneo sistema di datazione probabilmente si serviva di
annali o documenti simili ai quali riferirsi per calcolare accuratamente le date.

Manetone fa iniziare una nuova dinastia, la IV, con Snofru. Ancora una volta, sembra
siano stati i mutamenti nell’architettura a fornire (a Manetone) il criterio per un cambio
di dinastia. La perfezione del disegno e della costruzione della piramide raggiunse il suo
apice durante il regno del successore di Snofru, Khufu (il Cheope di Erodoto, Horus
Medjedu, 2589-2566 a.C), il cui nome completo era Khnum-Khufu, cioè “il dio Khnum
mi protegge”. Khnum era il dio locale di Elefantina, vicino alla prima cateratta del Nilo,
ma la ragione della scelta di questo nome rimane oscura. Le informazioni sul regno e
sullo stesso sovrano sono piuttosto scarse. Doveva essere un uomo di mezz’età quando
salì al trono, ma ciò non interferì col progetto del suo grandioso monumento funerario.
La Grande Piramide di Giza, con un lato di base di 230 m ed un’altezza di 146,5 m, è la
più grande d’Egitto. Diversamente dal solito, la camera funeraria è situata nel nucleo
della piramide, e non sotto o al livello del suolo. Il progetto fu cambiato in corso
d’opera, ma recenti ipotesi suggeriscono che la sovrastruttura fosse stata prevista così sin
dall’inizio. L’ammontare di circa 2.300.000 blocchi da costruzione dal peso medio di
circa 2,5 tonnellate può essere approssimativo, ma probabilmente non lontano dalla
realtà. Il tempio a valle e quello della piramide e la rampa che li collegava erano
decorati, in origine, a bassorilievo con scene legate all’idea della regalità egiziana e
registravano in anticipo alcuni eventi che il sovrano sperava di vivere nella sua vita
ultraterrena, come le feste-sed. I rilievi sono purtroppo quasi del tutto andati perduti.

Una barca smontata, lunga circa 43,3 m e costruita principalmente in cedro, scoperta in
una fossa vicino la facciata sud della piramide, è stata scavata e restaurata con successo.
Un’altra barca del genere si trova in una fossa nelle vicinanze, ma non si è ben
conservata. Sembra probabile che queste barche fossero intese come mezzo di trasporto
del re defunto durante il suo viaggio attraverso il cielo in compagnia degli dei. Due fosse
per barche più grandi furono scavate nella roccia di fronte alla facciata est della
piramide, ed una quinta fu situata lungo l’estremità superiore della rampa.

Tre piramidi che contenevano le sepolture delle regine di Khufu sono allineate ad est
della piramide; nella stessa area fu scoperta anche una fossa con oggetti appartenenti alla
madre di Khufu, Hetepheres. Era integra e conteneva alcuni degli esempi più
ragguardevoli di corredo funerario, ma il corpo della regina non era presente. Un
insediamento di sacerdoti e artigiani, legato a culto funerario del sovrano, crebbe
probabilmente vicino ai templi a valle della maggior parte delle piramidi. Il tempio a
valle di Khufu si trova sotto le abitazioni del popoloso villaggio moderno di Nazlet el-
Simman, a valle del plateau di Giza, ma le attuali condizioni non consentono uno scavo
completo.

Il responsabile della completa realizzazione del progetto prima della fine dei 23 anni di
regno di Khufu fu il suo visir Hemiunu, che fu sepolto in un’enorme mastaba nella
necropoli ad ovest della piramide. Il padre di Hemiunu, il Principe Nefermaat, era stato il
visir di Snofru e potrebbe aver supervisionato la costruzione delle sue piramidi. Le due
linee familiari, quelle dei re e dei visir, andarono in parallelo per almeno due
generazioni. La datazione della piramide e la sua funzione di tomba non sono in dubbio,
a dispetto del fatto che il corpo del re e tutto il corredo funerario furono saccheggiati e
scomparvero senza lasciare tracce. Comunque, le sue enormi dimensioni, le straordinarie
proprietà matematiche del suo progetto, la perfezione e l’accuratezza della sua
costruzione ancora ispirano spiegazioni non scientifiche. Potrebbe essere stata la scala
della piramide a contribuire alla reputazione di Khufu come despota, tramandata nella
letteratura egiziana e riportata da Erodoto.

I lunghi regni di Huni, Snofru e Khufu ed il grande numero di eredi regali complicarono
la successione. Uno di loro, il figlio di Khufu, Hardjedef, è noto da molte fonti egiziane.
La sua tomba è stata identificata a Giza, ad est della piramide di suo padre. Hardjedef
ebbe fama di uomo saggio e fu probabilmente autore di un’opera letteraria nota come Gli
insegnamenti di Hardjedef, che continuò ad essere letta, e tramandata su papiro, per tutto
il resto della storia egiziana. Kawab, il primo figlio avuto da Khufu dalla sua regina
principale, Mertiotes, morì prima di suo padre, e così il trono passò ad altri eredi di
Khufu, avuti probabilmente da una regina secondaria.

La piramide dell’immediato successore di Khufu, Djedefra (Horus Kheper, 2566-2558


a.C), fu iniziata ad Abu Rawash, a nord-ovest di Giza. Un’altra piramide, a Zawyiet el-
Aryan, a sud di Giza, appartiene ad un sovrano il cui nome, sebbene attestato da
numerosi graffiti di operai, resta incerto (sono state ipotizzate letture come Nebka, Baka,
Khnumka, Wehemka, ed altre). Anche la sua collocazione all’interno della IV dinastia è
in dubbio. Djedefra fu il primo ad usare l’epiteto di “figlio del dio Ra” e ad incorporare
il nome di Ra nel suo. Entrambe le piramidi vennero abbandonate durante la prime fasi
della loro costruzione (sebbene pare che entrambe siano state usate come sepolture). Il re
Khafra (Chefren di Erodono, Horus Weserib, 2558-2532 a.C), il cui nome potrebbe forse
essere pronunciato Rakhaef, era un altro figlio di Khufu. Egli e suo figlio Menkaura
(Micerino di Erodono, Horus Kakhet, 2532-2503 a.C) costruirono entrambi una piramide
a Giza. I progetti, le misure e i materiali da costruzione sono diversi rispetto alla
piramide di Khufu e mostrano ulteriori sviluppi delle concezioni associate a questi
monumenti. Le dimensioni della base (con un lato di 214,5 m) e l’altezza (143,5 m) della
piramide di Khafra la rendono la seconda piramide più grande d’Egitto, e un’attenta
scelta della sua collocazione, su un terreno più alto di quella di Khufu, dà l’impressione
che siano uguali.

Il complesso della piramide di Khafra ha una caratteristica non ripresa altrove,


un’enorme statua a guardia del sito situata a nord del tempio a valle, vicina alla rampa
ascensionale del tempio della piramide. E’ un leone accucciato con le testa antropomorfa
oggi noto come la Grande Sfinge (un termine greco che potrebbe derivare dalla frase
egiziana shesep ankh: “Immagine vivente”). Le sue misure - lunghezza circa 72 m e
altezza circa 20 m - ne fanno la statua più grande del mondo antico.

La Sfinge non fu adorata fino agli inizi della XVIII dinastia, quando venne considerata
come l’immagine della forma locale del dio Horus (Horemakhet, il greco Harmachis,
Horus sull’Orizzonte). Di fronte ad essa, anche se in apparenza non legato ad essa, c’era
un edificio costruito secondo un progetto inusuale, con un cortile aperto, che è stato
interpretato come un primo esempio di tempio solare. L’epiteto di “figlio di Ra” diviene
ora parte integrante della titolatura regale e sia Khafra che Menkaura seguirono
l’esempio di Djedefra nell’incorporare il nome del dio nel loro.

La piramide di Menkaura presenta un ampio uso del granito, un materiale da costruzione


più pregiato rispetto al calcare, ma fu costruita scala minore (lato 105 m e altezza 65,5
m), a suggerire che l’usanza delle costruzioni grandiose aveva ormai superato il suo
culmine. Egli fu il precursore delle piramidi più piccole e costruite con meno cura della
V e VI dinastia. Le piramidi di Giza mostrano una chiara relazione con la conformazione
del sito, ma ciò fu probabilmente dovuto più alle tecniche utilizzate nella ricognizione
iniziale che ad un progetto così concepito fin dall’inizio.Una teoria che spiega la
posizione delle piramidi di Giza come riflesso delle stelle di Orione nel cielo non sembra
decisamente plausibile. Il complesso della piramide di Menkaura fu in apparenza
completato da suo figlio e successore Shepseskaf (Horus Shepseskhet, 2503-2498 a.C).
Questi fu l’unico sovrano dell’Antico Regno ad abbandonare la forma piramidale per
costruire una tomba a forma di sarcofago-mastaba a Saqqara Sud, la cui base misura
100x72 m. Il monumento è noto come Mastabat el-Fara’un. Khentkawes, una probabile
regina di Menkaura, ebbe una tomba simile a Giza, ma per lei fu costruito anche un
complesso piramidale ad Abusir. La motivazione della scelta di Shepseskaf di
abbandonare la forma piramidale per una forma a sarcofago-mastaba ci sfugge, e si può
solo tentare di spiegarla come un segno di incertezza religiosa, se non di crisi. Il Canone
di Torino inserisce un regno di due anni dopo Shepseskaf, ma il nome del re è andato
perduto (forse è il Thamphthis di Manetone) e non è stato possibile confermare la sua
presenza da monumenti contemporanei. Sembra, inoltre, che tutti i sovrani della IV
dinastia fossero discendenti di Snofru. L’idea del figlio che seppelliva il padre e gli
succedeva è sempre stata presente in Egitto, ma non era una condizione necessaria per la
successione regale e non conferiva automaticamente tale diritto.
La precisa collocazione del Muro Bianco (Ineb-hedj), la capitale dell’Egitto fondata per
tradizione dal re Menes all’inizio della storia egiziana, non è stata ancora identificata.
Potrebbe trovarsi vicino al moderno villaggio di Abusir, nella Valle del Nilo,
approssimativamente a nord-est della piramide di Djoser. La motivazione della scelta di
Zawyiet el-Aryan, Meidum, Dahshur, Saqqara, Giza ed Abu Rawash come siti per la
costruzione di piramidi della III e IV dinastia è lungi dall’essere compresa. La
collocazione dei palazzi regali e la disponibilità di un sito da costruzione vicino alla
piramide del predecessore del sovrano in carica potrebbero aver giocato un ruolo
importante in questa decisione.

Regalità e Vita ultraterrena

Per un uomo moderno, che soprattutto non abbia conosciuto l’esperienza religiosa e una
profonda fede, non è facile comprendere le motivazioni di progetti così grandiosi, come
la costruzione delle piramidi. Questa mancanza di comprensione è riflessa nel gran
numero di teorie esoteriche sul loro scopo e funzione. La profusione di queste
interpretazioni è aiutata anche dalla quasi totale reticenza da parte dei testi egiziani
sull’argomento.

Nell’antico Egitto, il re aveva un ruolo particolare di mediatore tra gli dei e gli uomini,
un’interfaccia tra il divino e l’umano, ed era responsabile di fronte ad entrambi. Il suo
nome di Horus lo identificava con il dio-falco (di cui era manifestazione), ed il suo nome
di nebty (“le due signore”) lo legava alle due divinità tutelari dell’Egitto, Nekhbet e
Wadjet. Egli condivideva la designazione di netjer con gli dei, ma era qualificato
ugualmente anche come netjer nefer, dio minore (sebbene l’espressione si possa anche
interpretare come “dio perfetto”). Dal regno di Khafra in poi, fu introdotto un altro nome
attraverso il titolo di “Figlio di Ra”. Il re doveva essere scelto ed approvato dagli dei e
dopo la sua morte si ritirava in loro compagnia. Il contatto con gli dei, raggiunto
attraverso dei rituali, era la sua prerogativa, sebbene per scopi pratici gli elementi più
mondani del rito erano delegati ai sacerdoti. Per il popolo d’Egitto, i suoi sovrani erano
garanti dell’ordine che regolava il mondo: il costante alternarsi delle stagioni, il ritorno
della piena annuale del Nilo, e i movimenti prevedibili dei corpi celesti, ma anche la
salvezza dalle forze della natura così come dai nemici al di fuori dei confini dell’Egitto.
L’efficacia del re nel tener testa a tutte queste responsabilità era quindi di vitale
importanza per il benessere di ogni egiziano. Il dissenso interno era quasi nullo, ed il
supporto al sistema era spontaneo e diffuso. I meccanismi di stato coercitivi, come la
polizia, erano presenti ma il popolo si occupava della terra e del controllo sugli altri
attraverso le comunità locali che erano chiuse ai forestieri.

Il ruolo del re non terminava con la sua morte: per i suoi contemporanei, che erano
sepolti nelle vicinanze della sua piramide, e per quelli coinvolti nel suo culto funerario la
loro relazione col sovrano continuava per sempre. Era perciò interesse di tutti
salvaguardare la posizione del re ed il suo status dopo la morte così come durante la sua
vita. In questo periodo della storia egiziana, la monumentalità era importante per
esprimere questo concetto. Dato il livello di prosperità economica raggiunto dal paese, la
disponibilità di risorse di manodopera, e l’alto standard di organizzazione, non c’e da
dubitare che gli egiziani fossero perfettamente in grado di portare a termine con successo
i progetti delle piramidi. Voler cercare motivi e forze estranei a questi è futile e non
necessario.

Le tombe dei membri della famiglia regale, sacerdoti e funzionari della III dinastia,
erano separate dalle zone riservate alle piramidi regali. Quasi tutte queste tombe
continuarono ad essere costruite in mattoni crudi, sebbene alcuni esempi molto antichi di
mastabe private in pietra potevano già esistere a Saqqara.

E sicuramente nella IV dinastia, mastabe private, ora costruite in pietra, circondavano le


piramidi, come se le stesse tombe facessero parte dei complessi sepolcrali regali (ed è in
questo modo che esse erano percepite dagli egiziani). Poiché molte di esse erano doni
del re ed erano costruite da operai ed artigiani regali, il volume delle attività edilizie era
ancora maggiore di quanto potrebbeo suggerire le sole piramidi. Grandi distese di
mastabe costruite secondo un piano prestabilito, separate da strade che s’intersecano ad
angolo retto, sono peculiari alla IV dinastia: ci sono necropoli private intorno alla
piramide di Meidum, alla piramide più settentrionale di Snofru a Dahshur e alla piramide
di Khufu a Giza. Non va dimenticato, tra l’altro, che i contesti funerari costituiscono per
noi il grosso dell’evidenza archeologica usata per la ricostruzione della storia dell’Antico
Regno, con le conseguenze che ne possono derivare. Gli insediamenti dell’Antico Regno
infatti raramente si sono conservati fino ad oggi e rararamente sono stati scavati (le città
di Elefantina ed Ayn Asil sono delle eccezioni). Lo stato della tecnologia si può dedurre
dai progetti ai quali fu applicata, ma dettagliate informazioni purtroppo ci mancano.
Quindi, ad esempio, solo delle fonti posteriori all’Antico Regno rendono chiaro che i
costruttori delle piramidi non usarono veicoli con ruote (sebbene la ruota fosse
conosciuta).

Economia ed amministrazione nell’Antico Regno

L’enorme volume di lavori di edilizia portato avanti durante i due secoli in cui regnarono
i sovrani della III e IV dinastia di Manetone ebbe un profondo effetto sull’economia e la
società del paese. Sarebbe sbagliato sottovalutare il considerevole apporto
dell’esperienza acquisita nelle costruzioni delle grandi mastabe del Periodo Arcaico, ma
la costruzione delle piramidi in pietra elevò tale esperienza ad un livello completamente
differente. Il numero di operai specializzati necessari doveva essere molto elevato ,
soprattutto se si considerano tutti coloro che erano coinvolti nel lavoro di cava e
trasporto dei blocchi di pietra, nella costruzione delle rampe necessarie, e nella logistica
che comprendeva gli approvvigionamenti di cibo e acqua, oltre che tutta un’altra serie di
necessità, quali per esempio la manutenzione degli attrezzi e altri compiti correlati.

L’economia egiziana non era basata sul lavoro schiavile. Anche se si permetteva che la
maggior parte di questi lavori procedessero anche quando l’inondazione annuale rendeva
impossibile il lavoro nei campi, una grande parte della forza lavoro necessaria alla
costruzione delle piramidi doveva essere presa ed allontanata dal lavoro agricolo e dalla
produzione alimentare. Ciò naturalmente esercitava una forte pressione sulle risorse
esistenti e dava anche un potente stimolo per l’incremento della produzione agricola e
dell’amministrazione del paese, e per sviluppare un modo efficiente di esigere le tasse e
cercare fonti addizionali di manodopera all’estero.

La richiesta di produzione agricola in Egitto cambiò drammaticamente con


l’inaugurazione della costruzione delle piramidi a causa della necessità di sostentare
coloro che erano stati rimossi dal loro lavoro di produzione alimentare. I consumi e le
aspettative di coloro che erano entrati a far parte dell’elite organizzativa crebbero
parallelamente al loro nuovo status. Comunque le tecniche agricole rimasero le stesse.

Il contribuito principale dello stato fu l’organizzazione, che comprendeva la prevenzione


da carestie locali con la distribuzione di risorse in surplus provenienti da altre zone, il
contenimento di calamità naturali (come le piene insufficienti), l’eliminazione dei
conflitti locali dannosi per mezzo della giustizia, e il miglioramento della sicurezza. I
lavori di irrigazione erano responsabilità degli amministratori locali ed i tentativi di
aumentare la produzione agricola si concentravano soprattutto sull’espansione delle terre
coltivate per le quali lo stato era in grado di provvedere a forza lavoro ed altre risorse.

Ciò andò di pari passo al bisogno di una migliore organizzazione amministrativa per il
paese e di un modo più efficace di raccogliere le tasse. I principali centri abitativi, spesso
proprietà statali, ora divennero capitali amministrative di distretti (nomos), che, con la
capitale del paese collocata strategicamente al vertice del Delta, creavano equilibrio tra
l’Alto Egitto (ta shemau) nel sud ed il Basso Egitto (ta mehu) nel nord. Le città
dell’Antico Regno sono, per la maggior parte, coperte da insediamenti più tardi e,
soprattutto nel Delta, si trovano spesso sotto l’attuale livello dell’acqua. Per cui questi
primi insediamenti sono praticamente sconosciuti a livello archeologico; anche la
capitale dell’Egitto non è stata ancora scavata, e città come Elefantina o Ayn Asil
nell’Oasi di Dakhla sono dei casi eccezionali. Le prime comunità semi-autonome dei
villaggi persero la loro indipendenza e la proprietà privata della terra sparì quasi del
tutto, rimpiazzata da possedimenti regali. L’arcaico censimento rudimentale fu
trasformato in un sistema fiscale omnicomprensivo.

L’Egitto durante la maggior parte dell’Antico Regno fu uno stato amministrato in modo
centralizzato, guidato dal sovrano che era il possessore ideale di tutte le sue risorse e i
cui poteri erano praticamente assoluti. Era in grado di comandare il popolo, di imporre
lavori di corvée, richiedere tasse e rivendicare diritti su qualsiasi risorsa della terra,
sebbene in termini pratici ciò era limitato da una serie di restrizioni. Durante la III e la
IV dinastia, molti dei funzionari di stato più importanti erano membri della famiglia
regale, in diretta continuazione del sistema di governo del Periodo Protodinastico. La
loro autorità derivava dagli stretti legami con il re. La carica più alta era quella del visir
(parola convenzionalmente usata per tradurre il termine egiziano tjaty), che era
responsabile della supervisione di tutti i dipartimenti di stato, esclusi gli affari religiosi.
Fu sotto i regni dei sovrani della IV dinastia che una serie di principi regali ebbero la
carica di visir con grandi risultati. I titoli dei vari funzionari rappresentano la principale
fonte d’informazioni sull’amministrazione egiziana. Testi espliciti e dettagliati, come
quello del funzionario Metjen degli inizi della IV dinastia, sono eccezioni. L’intensità
del controllo statale su ogni individuo crebbe enormemente ed il numero di funzionari di
tutti i livelli dell’amministrazione aumentò in proporzione. Una conseguenza di ciò fu
che la carriera burocratica fu aperta a homines novi competenti e istruiti non legati alla
famiglia regale. Questi funzionari vennero ripagati dei loro servigi in modi diversi, ma il
più significativo era la concessione ex officio di una terra di proprietà statale (regale),
poderi generalmente forniti di personale agricolo che vi risiedeva. Tali proprietà
producevano praticamente tutto ciò che serviva al loro personale – il commercio interno
a questo livello dell’economia era limitato a scambi occasionali – e la remunerazione ex
officio ne rappresentava il surplus.

Al termine dell’incarico del funzionario, queste terre ritornavano, almeno in teoria, al re,
per poter poi essere di nuovo assegnate ad altri funzionari. In un sistema economico che
non conosceva il denaro, questo era un metodo davvero efficace per pagare i funzionari,
ma rappresentava anche un’erosione significativa delle risorse del sovrano.

Culto funerario regale

L’effetto della costruzione delle piramidi non si esauriva con il completamento della
struttura stessa. Ogni complesso piramidale era il fulcro del culto del re defunto che
avrebbe dovuto durare in eterno. Ciò era necessario per provvedere ai bisogni del
sovrano e, meno direttamente, anche a quelli dei suoi dipendenti – ovvero i membri della
sua famiglia e i suoi funzionari e sacerdoti sepolti nelle tombe vicine. Il primo
benefattore era lo stesso sovrano che durante la vita terrena provvedeva a donare
all’istituzione della sua piramide terra o contributi del tesoro di stato. L’organizzazione
del culto prevedeva in primo luogo la presentazione di offerte, sebbene è possibile che
solo una parte ridotta dei prodotti disponibili di queste istituzioni fosse destinata agli
altari e alle tavole d’offerta (e anche questa piccola parte non era lasciata a marcire ma
veniva riciclata e consumata dal personale del tempio o ridistribuita in modo diverso).
La maggior parte di questi prodotti erano destinati ai sacerdoti e ai funzionari coinvolti
nel culto funerario, agli artigiani della città delle piramidi, o a chi era incaricato di
presiedere ai riti funerari delle tombe non regali. Questo era un modo particolare degli
antichi egiziani di redistribuire le risorse del paese, ed i suoi benefici arrivavano così a
tutti gli strati della società egiziana. Comunque, le donazioni di terra per le fondazioni
delle piramidi erano protette per sempre da decreti regali che le rendevano permanenti e
inalienabili, ed il risultato fu una graduale riduzione del potere economico del sovrano.

L’organizzazione del culto funerario regale era attuata anche nelle province. Il culto di
Snofru potrebbe essersi concentrato in una serie di piccole piramidi a gradoni, ognuna
con una base di circa 20 m di lato (?), di cui sono note almeno sette esemplari (ad
Elefantina, Edfu, el-Kula, Ombos, Abydos, el-Seila e Zawyiet el-Meytin). Solo una di
queste, a el-Seila, si può datare con precisione al regno di Snofru per una stele ed una
statua.
I grandi progetti edilizi rendevano necessarie anche spedizioni all’estero per assicurarsi
minerali e risorse non disponibili in Egitto. Queste erano organizzate dallo stato:
nessun’altra forma di commercio a lunga distanza è noto prima della VI dinastia. I nomi
di Djoser, Sekhemkhet, Snofru e Khufu sono stati ritrovati in iscrizioni rupestri nelle
miniere di turchese e rame del Wadi Maghara nella penisola del Sinai. Djoser fu
probabilmente preceduto in questo da Nebka, se con tale nome si può identificare
l’Horus Sanakht. La Pietra di Palermo contiene una serie di registrazioni di quaranta
navi che portarono legno da una regione anonima estera durante il regno di Snofru. I
nomi di Khufu e Djedefra furono inscritti nelle cave di gneis nel pieno Deserto
Occidentale Nubiano, a 65 km a nord-ovest di Abu Simbel. Conglomerato e selce (?) per
le statue provenivano dal Wadi Hammamat, tra Koptos (moderna Qift) ed il Mar Rosso.

Il commercio o la diplomazia spiegano la presenza di oggetti egiziani a Byblos, a nord di


Beirut, durante i regni di Khufu, Khafra e Menkaura, ed anche a Tell Mardikh (Ebla) in
Siria al tempo di Khafra.

Nessun serio pericolo minacciò l’Egitto dall’esterno durante la III e IV dinastia. Le


campagne militari nei paesi stranieri, soprattutto in Nubia e Libia, vanno interpretate
nell’ottica di uno sfruttamento delle zone vicine alla ricerca di nuove risorse. Soggiogare
i nemici esterni all’Egitto era uno dei doveri principali del re egiziano, cosicché la
dottrina della regalità in questo caso coincideva con la Realpolitik. La maggior parte
della documentazione sulle spedizioni all’estero proviene dal regno di Snofru, ma questo
potrebbe essere semplicemente un caso. Una politica estera così aggressiva sembra sia
stata comune a tutta la IV dinastia, quando l’economia del paese fu probabilmente
sfruttata all’estremo. La Nubia fu la destinazione di grandi spedizioni mandate da Snofru
per cercare alcune risorse, prigionieri e capi di bestiame, o materie prime come il legno.
La Pietra di Palermo registra una numero di 7000 prigionieri e 200000 capi di bestiame.
Queste campagne distruggevano gli insediamenti locali e spopolavano la Bassa Nubia
(tra la 1° e la 2° cateratta del Nilo), in apparenza col risultato di far scomparire la cultura
locale nota come Gruppo A (vedi Capitolo 4). Durante la IV dinastia, fu istallato un
insediamento meridionale a Buhen, nell’area della 2° cateratta.

Gli edifici monumentali fornivano occasioni senza precedenti agli artisti, soprattutto
coloro che scolpivano statue e bassorilievi. L’esperienza di opere in pietra di piccole
dimensioni, acquisita durante le epoche precedenti, si mutò in scultura in grande scala
con brillanti risultati. I complessi delle piramidi regali erano decorati con statue,
soprattutto del re, a volte accompagnate da divinità. Sebbene per noi le loro qualità
estetiche siano eccezionali, queste opere d’arte erano concepite con una precisa
funzione. Infatti la prima statua regale conservata, quella di Djoser, fu trovata nel suo
tempio della piramide a Saqqara. Era collocata in un serdab (“camera per la statua”,
dalla parola araba per cella), sul lato nord della piramide, ed era intesa come
manifestazione secondaria del ka (spirito) del sovrano dopo il suo stesso corpo. Un
motivo simile doveva essere stato ideato per le statue funerarie dei privati.

Il numero di statue regali collocate nei templi crebbe durante la IV dinastia. La statua in
gneis di Khafra, protetto da un falco (appollaiato sullo schienale del suo trono come
manifestazione del dio Horus, col quale il re era identificato) è un capolavoro che fu
spesso imitato nei periodi successivi, ma mai uguagliato. Le statue delle divinità erano
anch’esse rappresentate nei templi delle divinità locali, ma difficilmente ci sono rimaste.
I templi e le rampe d’accesso associati alle piramidi erano decorati con bassorilievi
superbi, e lo stesso accadeva anche per le cappelle di molte tombe dalla metà della IV
dinastia. Questi rilievi non erano pure decorazioni ma rappresentavano concetti come la
regalità nei monumenti regali, o il soddisfacimento dei bisogni nell’aldilà nelle tombe
non regali, e la loro inclusione nei templi e nelle tombe ne garantiva l’eternità. I pannelli
in legno della tomba del funzionario di Djoser, Hesyra, a Saqqara (oggi al Museo Egizio
del Cairo) mostra un alto livello di decorazione a rilievo in un’epoca molto antica.
Questi rilievi erano creati dagli stessi artisti che lavoravano ai monumenti regali e che,
come le tombe e le loro statue, erano doni del sovrano.

La scrittura dei geroglifici divenne un sistema pienamente sviluppato utilizzato per scopi
monumentali. La sua controparte corsiva, chiamata ieratico dagli Egittologi, era
utilizzata per scrivere su papiro, ma ritrovamenti di documenti del genere datati a prima
della V dinastia restano molto scarsi.

Templi solari e l’ascesa del dio Ra

Sino a pochi anni fa, l’ascesa della V dinastia di Manetone veniva descritta sulla base di
un testo letterario noto in Egittologia come Papiro Westcar. Si tratta di una raccolta di
storie incompleta, compilata probabilmente durante il Medio Regno e trascritte qualche
tempo dopo. L’ambientazione da “Mille e una notte” di queste storie è la corte del re
Khufu, dove i principi regali intrattengono il proprio irritabile padre con storie. La storia
del Principe Hardjedef profetizza la nascita di tre gemelli, i futuri re Userkaf, Sahura e
Neferirkara a Radjedet, la moglie di un sacerdote del dio Ra a Sakhbu (nel Delta) come
risultato della sua unione col dio-sole. A dispetto di Khufu, questi bambini sono destinati
a rimpiazzare i suoi discendenti sul trono d’Egitto. L’inizio della nuova dinastia di
Manetone, la V, sembra così essere legato a grandi cambiamenti religiosi in Egitto e,
come mostra il Papiro Westcar, la linea di separazione potrebbe riflettere la tradizione
antico-egiziana.

Il primo sovrano della nuova dinastia è Userkaf (Horus Irmaet, 2494-2487 a.C), il cui
nome è dello stesso tipo di quello dell’ultimo (o forse penultimo) sovrano della IV
dinastia, Shepseskaf. E’ stato ipotizzato che Userkaf fosse un nipote di Djedefra, ma,
sebbene ci siano indubbiamente dei legami familiari tra lui ed i sovrani della IV dinastia,
la loro precisa natura è incerta. Non sappiamo nulla sulla storia del regno di Userkaf e
non ci sono prove contemporanee a supportare la versione degli eventi descritta nel
Papiro Westcar. L’edificio principale del regno di Userkaf sopravvissuto fino ad oggi è
un tempio specificamente dedicato al dio-sole Ra. Questo fu l’inizio di una
consuetudine; sei dei primi sette re della V dinastia di Manetone (Userkaf, Sahura,
Neferirkara, Raneferef, Nyuserra e Menkauhor) costruirono questi templi nei successivi
ottanta anni. I nomi di questi templi sono noti dalla titolatura dei loro sacerdoti, ma solo
due di essi sono stati identificati e scavati, quelli di Userkaf e di Nyuserra. Il tempio
solare costruito da Userkaf è ad Abusir, a nord di Saqqara (sebbene sembra che recenti
scavi confermino che la divisione tra Abusir e Saqqara sia stata fatta dai moderni
archeologi e non era presente nell’antichità).

La piramide di Userkaf è a Saqqara Nord, vicino all’angolo nord-est del recinto di


Djoser. Una rivalutazione sostanziale della rigida monumentalità fu intrapresa a partire
da quell’epoca, a giudicare dalla piccola taglia della piramide (lato 73,5 m ed altezza 49
m), dal metodo di costruzione meno attento e dall’evidente tendenza ad improvvisare (il
principale tempio della piramide è stranamente costruito contro la facciata sud della
piramide, forse per non interferire con una struttura già esistente). Userkaf, il cui regno
durò per soli sette anni, potrebbe essere giunto al trono già in età avanzata.

La costruzione dei templi solari fu l’inizio di un’ascesa graduale dell’importanza del dio-
sole Ra divenuto il più vicino equivalente egiziano di un dio di stato. Ogni sovrano
costruì un nuovo tempio solare e la loro vicinanza ai complessi piramidali, così come la
loro somiglianza, nella pianta, ai monumenti funerari regali, suggerisce che furono
costruiti per l’aldilà più che per la vita terrena. Un tempio solare comprendeva un tempio
a valle connesso con una rampa al tempio superiore. La caratteristica principale del
tempio superiore era un massiccio piedistallo con un obelisco, un simbolo del dio-sole.
Un altare era collocato in un cortile a cielo aperto. Non c’erano rilievi nella costruzione
di Userkaf, il primo dei templi solari, ma in quello di Nyuserra erano moltissimi. Da un
lato, essi enfatizzavano il ruolo del dio-sole come donatore della vita e delle forze della
natura, e dall’altro stabilivano il ruolo del re nel ciclo eterno degli eventi mostrando la
sua periodica celebrazione della festa sed. Una grande replica in mattoni crudi di una
barca solare fu costruita nelle vicinanze. I templi erano quindi monumenti personali
grazie ai quali ogni sovrano continuava il suo rapporto col dio-sole nella vita
ultraterrena. Come i complessi piramidali, i templi solari erano dotati di terre, ricevevano
doni in natura nei giorni di festività ed avevano il proprio personale.

La V dinastia

La spiegazione delle origini della V dinastia data nel Papiro Westcar può essere
confrontata con le prove contemporanee dei regni di Sahura e Neferirkara. La Regina
Khentkawes è identificata da un unico titolo nella sua mastaba di Giza: “madre dei due
sovrani dell’Alto e Basso Egitto”. Lo stesso titolo è noto dalla sua piramide
(recentemente scoperta dagli archeologi Cechi), che si trova vicino alla piramide di
Neferirkara ad Abusir. Se la Khentkawes di Giza e quella di Abusir sono la stessa
persona, i due figli ai quali il suo titolo si riferisce dovrebbero essere Sahura (Horus
Nebkhau, 2487-2475 a.C) e Neferirkara (Kakai, Horus Userkhau, 2475-2455 a.C), ed il
Papiro Westcar risulterebbe in parte corretto. Le piramidi di questi due sovrani si
trovano ad Abusir, come quasi tutte le piramidi di chi costruì templi solari (è verosimile
che anche il complesso di Shepseskara, 2455-2448 A.C si trovasse nella stessa area). La
rampa che collega il tempio a valle con quello della piramide del complesso di Sahura
era decorata con rilievi molto complessi che anticipavano i meglio noti rilievi del re Unis
(2375-2345 a.C). Questi sovrani di Abusir formano un gruppo molto unito ed i loro
monumenti mostrano molte similitudini tra loro.

Il tempio della piramide di Neferirkara conservava il più importante gruppo di papiri


amministrativi noti dell’Antico Regno. Questi documenti gettano luce sul funzionamento
quotidiano delle fondazioni delle piramidi ed includono dettagliate registrazioni di
prodotti consegnati, liste di sacerdoti in carica, inventari di equipaggiamento per il
tempio e lettere. Il complesso della piramide, comunque, fu lasciato incompiuto ed il
tempio a valle e la rampa furono in seguito incorporati da Nyuserra nel suo complesso
piramidale.

Il re Shepseskara (Horus Sekhemkhau, 2455-2448 a.C) è il più effimero dei sovrani di


Abusir;, di un suo eventuale tempio solare non sono state trovate prove né testuali né
archeologiche. Ciò è probabilmente dovuto alla brevità del suo regno.

Quello di Reneferef (Isi, Horus Neferkhau, 2448-2445 a.C) fu ancora più breve. Sebbene
la sua piramide non sia stata costruita oltre i primi corsi di muratura, nell’annesso tempio
sono stati recentemente rinvenuti papiri paragonabili a quelli trovati nel tempio di
Neferirkara.

Il tempio solare del re Nyuserra (Iny, Horus Setibtawy, 2445-2421 a.C) si trova ad Abu
Ghurab, a nord di Abusir. L’ultimo sovrano che costruì un tempio solare fu Menkauhor
(Ikauhor, Horus Menkhau, 2421-2414 a.C). La sua piramide non è stata ancora
identificata, ma le tombe dei suoi sacerdoti ed altre indicazioni suggeriscono che si
potesse trovare nella zona meridionale di Abusir o di Saqqara Nord.

Il più importante sviluppo nell’amministrazione egiziana durante l’Antico Regno fu il


ritiro di membri della famiglia regale dagli incarichi più importanti. Un’altra
caratteristica fu l’abilità con la quale i templi solari vennero introdotti nel sistema
economico del paese. Alcune cariche sacerdotali dei templi solari erano puramente
nominali e fatte per concedere dei benefici derivanti da tali incarichi, tra i quali terre dei
templi. Lo stesso poteva accadere per il personale delle fondazioni delle piramidi. Non
c’era contraddizione tra le necessità del mondo degli dei e dei defunti e quelle dei vivi.
Si può dunque immaginare un sistema in cui, in teoria, la maggioranza dei prodotti
nazionali era destinata ai bisogni dei sovrani defunti, dei loro templi solari e ai santuari
delle divinità, ma, in pratica, supportava la maggioranza della popolazione egiziana.

Le credenze religiose degli antichi egiziani erano diverse per regioni e stratificate
socialmente. In pratica ogni area dell’Egitto aveva le sue divinità locali, che per i loro
abitanti erano considerate le divinità principali, per cui l’elevazione di Ra al livello di un
dio di stato non ebbe grande effetto su questo stato di cose. Anzi, gli annali mostrano che
ora i sovrani iniziano a prestare molta più attenzione alle divinità locali in ogni regione
del paese attraverso donazioni, spesso di terre, ai loro santuari, oppure esentandoli dalle
tasse e dalle corvée.
Le spedizioni continuarono ad essere intraprese nei tradizionali luoghi al di fuori
dell’Egitto, soprattutto per approvvigionarsi di turchese e rame dal Wadi Maghara
(Sahura, Nyuserra, Menkauhor) e Wadi Kharit (Sahura) nel Sinai, e di gneis dalle cave a
nord-ovest di Abu Simbel (Sahura e Nyuserra). Durante i regni di Sahura e Nyuserra, ci
sono riferimenti ad una spedizione intenta a procurare beni esotici (malachite, mirra ed
elettro, una lega di oro e argento) da Punt, un paese africano non ben identificato tra le
rive più alte del Nilo e la costa della Somalia. I contatti con Byblos furono mantenuti
(Sahura, Nyuserra, Neferirkara). La scoperta di oggetti con i nomi di molti sovrani della
V dinastia nel sito di Dorak, vicino al Mare di Marmara restano ambigui.

Durante la V dinastia ci fu un aumento del numero di sacerdoti e funzionari in grado di


assicurarsi tombe con i propri mezzi. Alcuni di queste mastabe sono tra le più grandi e
meglio decorate di tutto l’Antico Regno, come quella di Ty (Saqqara) e Ptahshepses
(Abusir), entrambe probabilmente datate al regno di Nyuserra. Molte di queste tombe
erano parte di necropoli provinciali piuttosto che delle necropoli vicine alle piramidi
regali.

L’allentarsi della dipendenza dal favore regale fu inevitabilmente accompagnato da un


incremento nella varietà delle forme e della qualità artistica di statue e bassorilievi. I testi
“autobiografici” che apparvero in queste sepolture sono, per gli storici, importanti fonti
sulla società contemporanea. La maggior parte di questi testi sono composti da frasi
convenzionali e argomenti meno usuali legati spesso alla relazione del defunto col
sovrano. Questa tendenza era destinata a continuare per tutto il resto dell’Antico Regno.

I sovrani dei testi delle Piramidi

I segni premonitori del cambiamento erano nell’aria dopo la morte di Menkauhor, ma le


sfumature di questo processo ci sfuggono. Un notevole grado di standardizzazione e
razionalizzazione permeava l’attività edilizia regale. I successori di Menkauhor non
costruirono templi solari, sebbene la posizione del dio-sole Ra rimase inalterata. Il lungo
regno di Djedkara (Isesi, Horus Djedkhau, 2414-2375) collegò il gruppo di Abusir ai
sovrani seguenti. Alcuni dei suoi funzionari furono sepolti nella necropoli di Abusir,
attestando così più una continuità che una rottura, ma la piramide del re fu costruita a
Saqqara sud. Le sue modeste misure (lato 78,5 m2 altezza 52,5m.) furono adottate, ad
eccezione del suo diretto successore Unis, da tutti gli altri sovrani successivi dell’Antico
Regno (Teti, Pepi I, Merenra e Pepi II). Le massime di Ptahhotep, il testo letterario
principale dell’Antico Regno, che riassume le regole di condotta di un funzionario
efficiente, sono state attribuite ad un funzionario di Djedkara.

Il regno del re Unis (Horus Wadj-tawy, 2375-2345 a.C) fu anch’esso di lunga durata. La
sua piramide si trova all’angolo sud-ovest della cinta di Djoser, ma è anche più piccola
di quella del suo predecessore. La sua lunga rampa, che raggiungeva quasi 700 m, era in
origine decorata con rilievi significativi, oggi purtroppo in stato molto frammentario, che
andavano oltre il modo stereotipato di rappresentare la regalità egiziana, o almeno la
rendevano in un modo nuovo. Essi comprendevano registrazioni di eventi del regno di
Unis, come il trasporto di colonne dalle cave di granito di Aswan al complesso
piramidale del re. Ma l’innovazione principale del regno di Unis, e caratteristica delle
successive piramidi dell’Antico Regno (comprese quelle di alcune regine), fu
l’introduzione dei Testi delle Piramidi iscritti sulle pareti della camera sepolcrale e di
altri locali interni. I Testi delle Piramidi rappresentano la composizione religiosa più
antica nota dell’Egitto antico; alcuni dei loro elementi furono creati già prima del regno
di Unis e tracciano lo sviluppo della religione egiziana dal periodo predinastico in poi. Il
defunto sovrano Unis è identificato con gli dei Ra e Osiride e viene denominato
“l’Osiride Unis”. La dottrina religiosa osiriaca è di certo la più importante dei Testi delle
Piramidi, ma le concezioni associate al dio-sole sono anch’esse rilevanti, così come
concetti legati all’orientamento delle stelle ed altri ancora, probabilmente più antichi.
Comunque, la complessità dei Testi delle Piramidi rende l’interpretazione di alcune
formule difficile, e la comprensione della loro relazione biunivoca è particolarmente
ardua. La ragione della loro inclusione all’interno della piramide aveva come scopo di
fornire al re defunto testi considerati essenziali per la sua sopravvivenza e per il suo
benessere nella vita ultraterrena. La loro sola presenza era probabilmente sufficiente a
renderli efficaci.

Sebbene la dislocazione dei Testi delle Piramidi all’interno della struttura non fosse
accidentale, non sono stati dimostrati legami diretti tra la loro posizione e lo sviluppo dei
rituali durante le cerimonie funebri.

La credenza che dopo la morte i defunti entrassero nel regno del dio Osiride diviene ora
estremamente diffusa. Osiride, in origine una divinità locale del Delta Orientale, era un
dio ctonio (legato alla terra) associato all’agricoltura e agli eventi annuali della natura.
rappresentò probabilmente la scelta ideale come dio universale dei morti, dato che i miti
riguardanti la sua resurrezione rispecchiavano la rinascita della terra egiziana dopo
l’annuale piena del Nilo (che continuò a verificarsi fino alla costruzione di una diga ad
Aswan agli inizi di questo secolo e della Grande Diga negli anni 1960).

I primi stadi di sviluppo del culto di Osiride non sono molto chiari: quale giusta
controparte del dio-sole Ra, la sua ascesa potrebbe essere stata causata da alcune
conseguenti considerazioni. Le nostre fonti scritte, comunque, sono inadeguate a
stabilire con esattezza quando ciò si verificò. Nelle loro tombe, i defunti venivano
descritti come imakhu (“onorati”) da Osiride: in altre parole le loro necessità nella vita
ultraterrena venivano soddisfatte grazie dalla loro associazione col dio. Il termine
imakhu (che si può anche tradurre con “essere provvisto di”), esprimeva un concetto di
alto valore morale, che pervadeva tutti i livelli della società egiziana e correggeva i casi
estremi di ineguaglianza sociale: era dovere di una persona ricca ed influente infatti
prendersi cura dei poveri e dei disagiati sociali come se fosse stata il capo della famiglia
responsabile di tutti i suoi membri.

La VI dinastia

Secondo Manetone, il regno di Unis concludeva la V dinastia, ed il sovrano successivo,


Teti (Horus Sehetptawy, 2345-2323 a.C) fu il fondatore della VI dinastia. Non si hanno
informazioni precise sulle relazioni personali tra Teti ed i suoi predecessori, ma la sua
regina principale Iput era probabilmente una figlia di Unis. Il visir di Teti, Kagemni
iniziò la sua carriera sotto Djedkara e Unis. Comunque il Canone di Torino segnala una
rottura a questo punto dopo la lista ininterrotta di sovrani da Menes (primo re della I
dinastia) ed Unis. Ciò può dare da pensare, dato che il criterio per queste divisioni nel
Canone di Torino seguiva inevitabilmente il cambiamento di capitale e residenza regale.

La capitale originaria “Le Mura Bianche”, fondata all’inizio della I dinastia, fu


gradualmente rimpiazzata in importanza dai più popolosi sobborghi merdionali,
sviluppatisi ad est della della piramide di Teti. Djed-isut, il nome di questa parte della
città, derivava dal nome della piramide di Teti e da quello della città della sua piramide.
I palazzi regali di Djedkara e Pepi I (e forse anche quello di Unis) potevano comunque
già essere stati trasferiti più a sud, lontano dai rumori e odori di una città affollata, in
luoghi situati nella valle ad est dell’attuale Saqqara sud e separati da Djed-isut da un
lago. Ciò spiegherebbe la scelta di Saqqara sud come sito delle piramidi di Djedkara e
Pepi I.

Parallelamente a ciò che era avvenuto per la città nei pressi della piramide di Teti, il
nuovo insediamento prese il nome Mennefer (greco Menfi) dal nome della piramide di
Pepi I e della sua città. Probabilmente già alla fine dell’Antico Regno essa era
fisicamente collegata agli insediamenti attorno al tempio del dio Ptah più ad est, e la città
nel suo insieme iniziò ad essere nota come Mennefer. Il sito della residenza regale e
della stessa città dovettero quindi cambiare tra la fine della V e gli inizi della VI dinastia
e ciò potrebbe spiegare la divisione nel Canone di Torino, poi riflessa nella storia di
Manetone (il padre di Pepi I, Teti, fu incluso nella nuova linea di sovrani). Ma qui si
entra nel campo delle speculazioni e solo future ricerche e scavi potranno gettare nuova
luce su questa parte di storia.

Teti fu probabilmente seguito dal re Userkara (2323-2321 a.C) sebbene la sua esistenza
sia ancora oggetto di discussione. La confusione potrebbe in parte essere dovuta al fatto
che Pepi I (Horus Merytawy, 2321-2287 a.C), figlio di Teti e della Regina Iput, fu
chiamato Nefersahor nella prima parte del suo regno. Questo era il “prenome” o “nome
di incoronazione” dei sovrani egiziani, era preceduto dal titolo nswt bity (“colui del
giunco e dell’ape”) e scritto all’interno di un cartiglio ovale. In seguito egli cambiò il suo
nome in Meryra. Invece il “nome” o “nome di nascita”, Pepi (il numero che per
convenzione segue è nostro, e non fu mai usato dagli antichi egiziani), era più antico
della sua ascesa al trono. Questo nome era, per tutti i sovrani, introdotto dal titolo sa Ra
(“figlio del dio Ra”) ed era scritto anch’esso in un cartiglio.

La situazione interna dell’Egitto in questo periodo iniziò a cambiare. La posizione del


sovrano rimase teoricamente la stessa, ma non ci sono dubbi che iniziarono ad apparire
delle difficoltà. Quest’impressione può essere in parte spiegata dall’aumento del volume
e della qualità delle informazioni che permettono una visione più profonda nella società
egiziana, al di là della facciata monumentale e monolitica dei periodi più antichi. La
persona del re non era più intoccabile: il testo biografico di Weni, un alto funzionario di
corte, menziona un complotto non riuscito contro Pepi I ispirato da una delle sue regine
nelle fasi finali del suo regno. Il nome della regina non è indicato, ma le politiche
matrimoniali erano ben note: negli anni finali del suo regno, il re sposò due sorelle,
entrambe chiamate Ankhnes-meryra (“Il re Meryra [Pepi I] vive per lei”). Il padre di
queste ultime, Khui, era un funzionario influente di Abido. Nonostante la drammaticità
degli eventi descritti da Weni, la crescita del potere e dell’influenza degli amministratori
locali (soprattutto nell’Alto Egitto, più lontano dalla capitale) e l’indebolimento
conseguente dell’autorità regale potrebbero aver avuto conseguenze meno drammatiche
ma potenzialmente più gravi. La nuova carica di “Supervisore dell’Alto Egitto” fu creata
proprio alla fine della V dinastia.

I sovrani della VI dinastia ebbero un’intensa attività edilizia ed eressero santuari per tutte
le divinità locali dell’Egitto, ma questi furono riutilizzati successivamente come
materiale da costruzione o non furono mai rinvenuti. I templi dell’Alto Egitto, come
quello di Khenti-amentiu ad Abido, Min a Coptos, Hathor a Dendera, Horus a
Hierakonpolis, e Satet ad Elefantina furono particolarmente favoriti. Donazioni a questi
templi, esenzione dalle tasse e dai servizi di corvée si moltiplicarono.

I templi delle piramidi della tarda V ed inizi VI dinastia includono scene che appaiono
talmente realistiche, che si potrebbe essere tentati di considerarle registrazioni di eventi
effettivamente accaduti. Invece, una scena che mostra, per esempio, la sottomissione di
capi Libici durante il regno di Pepi II, risulta essere la copia fedele di una raffigurazione
presente nei templi di Sahura, Nyuserra e Pepi I (e sarà ripetuta circa 1500 anni dopo nel
tempio del re Taharqa a Kawa in Sudan). Queste scene rappresentavano le prerogative
universali del sovrano ideale che poco avevano a che fare con la realtà. La loro
inclusione nei templi ne garantiva la continuità.La stessa spiegazione si può dare per le
scene di barche che ritornano da spedizioni in Asia e da un raid in Palestina contro i
nomadi, mostrate nella rampa di Unis. Altre fonti dimostrano comunque che eventi
simili accadevano veramente. Il testo di Weni già citato descrive azioni militari in
grande scala contro gli Aamu della regione Siro-palestinese. A dispetto del modo in cui
sono rappresentate, esse vanno considerate più come raid preventivi o punitivi che come
campagne difensive.

Lo sfruttamento delle risorse minerarie nei deserti al di fuori dell’Egitto continuò. Il


turchese ed il rame continuarono ad essere estratti nel Wadi Maghara nel Sinai
(Djedkara, Pepi I e II), l’alabastro egiziano ad Hatnub (Teti, Merenra, Pepi I e II),
conglomerato e siltite nel Wadi Hammamt (Pepi I, Merenra) nel Deserto orientale, e
gneis nelle cave a nord-ovest di Abu Simbel (Djedkara). Spedizioni vennero mandate a
Punt da Djedkara e contatti commerciali e diplomatici furono mantenuti con Byblos
(Djedkara, Unis, Teti, Pepi I e II e Merenra) ed anche con Ebla (Pepi I).

La Nubia divenne particolarmente importante durante la fine della VI dinastia e furono


fatti diversi tentativi per migliorare la navigazione nella regione della prima cateratta al
tempo di Merenra. L’area cominciò ad essere ora influenzata da nuovi popolazioni (il
cosiddetto Gruppo C Nubiano) provenienti dal sud, tra la terza e la quarta cateratta, con
centro a Kerma. Ci furono degli scontri occasionali con queste popolazioni quando
l’Egitto tentò di prevenire una potenziale minaccia per salvaguardare i propri interessi
economici e di sicurezza. Furono organizzate delle spedizioni carovaniere in tutto il
territorio Nubiano (terre di Wawat, Irtjet, Satju e Iam) dagli amministratori delle
province egiziane più meridionali (Elefantina) come Harkhuf, Pepynakht Heqaib e
Sabni. I beni di lusso africani che raggiunsero l’Egitto in tal modo comprendevano
incenso, legno duro (ebano), pelli di animale, ed avorio ma anche nani danzanti ed
animali esotici. L’arruolamento di Nubiani, soprattutto nelle unità di polizia di confine e
come mercenari nelle spedizioni militari ebbe inizio proprio in quest’epoca.

Il Deserto Occidentale era attraversato da vie carovaniere. Una di queste lasciava il Nilo
nella zona di Abido per raggiungere l’Oasi di Kharga e poi procedeva verso sud lungo la
rotta ora nota come Darb el-Arbain (in arabo:”rotta di 40 giorni”) verso l’Oasi di Selima.
Un’altra partiva da Kharga diretta ad ovest verso l’Oasi di Dakhla, dove si trovava un
importante insediamento noto come Ayn Asil, vicino all’odierna Balat, soprattutto
durante il regno di Pepi II.

Il declino dell’Antico Regno

Pepi I fu succeduto da due dei suoi figli, prima Merenra (Merenra-nemtyemsaf, Horus
Ankh-khau, 2287-2278 a.C) e poi da Pepi II (Horus Netjerkhau, 2278-2184 a.C).
Entrambi i sovrani salirono al trono molto giovani ed entrambi costruirono le loro
piramidi a Saqqara sud. Il regno di Pepi II di circa 94 anni (ereditò il trono all’età di sei
anni) fu il più lungo di tutto l’Egitto antico, ma la seconda metà fu probabilmente non
effettiva, dato che le forze che avevano eroso le fondamenta teoriche dello stato egiziano
divennero manifeste. La crisi era inevitabile, dato che i suoi semi erano già presenti nello
stesso sistema. Infatti fu in primo luogo una crisi ideologica perché il re, il cui potere
economico si era indebolito, non poteva più continuare nel ruolo assegnatogli dalla
dottrina della regalità egiziana. Le conseguenze di ciò per l’intera società egiziana
furono gravi; il sistema di remunerazione non funzionò più in modo efficace ed il
sistema fiscale era probabilmente al limite del collasso.

Alcune cariche divennero in realtà ereditarie e furono conservate dalla stessa famiglia
per generazioni. Nel Medio ed Alto Egitto, le tombe rupestri in siti come Sedment,
Dishasha, Kom el-Ahmar Sawaris, Sheikh Said, Meir, Deir el-Gebrawi, Akhmim (el-
Hawawish), el-Hagarsa, el-Qasr wa’l Saiyad, Elkab ed Aswan (Qubbet el-Hawa)
testimoniano le aspirazioni degli amministratori locali, ora quasi governatori semi-
indipendenti. Conosciamo poco delle necropoli corrispondenti nel Delta, sebbene siti
come Heliopolis, Kom el-Hish, e Mendes provano la loro esistenza. La vicinanza della
capitale potrebbe aver reso il movimento verso per la conquista di una maggiore
autonomia più difficile, ma la ragione principale della mancanza di prove è da ricercare
nella geografia e geologia locale. I livelli dell’Antico Regno sono vicini o sottostanti al
contemporaneo livello dell’acqua e ciò rende gli scavi molto difficili. Sappiamo di più
sugli amministratori locali dell’Oasi di Dakhla che vivevano nell’insediamento di Ayn
Asil e che furono sepolti in grandi tombe a mastaba nella necropoli locale (Qilat el-
Dabba).
Il governo centrale cessò di esistere e tutti i vantaggi di uno stato unificato furono persi.
La situazione fu aggravata maggiormente da fattori climatici, soprattutto da una serie di
piene del Nilo insufficienti e dal declino delle precipitazioni che colpì le aree vicine alla
Valle del Nilo e produsse una pressione sui confini egiziani da parte di nomadi. Il fatto
che molti potenziali successori regali aspettassero la fine dell’eccezionale e lungo regno
di Pepi II probabilmente contribuì alla situazione caotica che seguì.

Pepi II fu seguito al trono da Merenra II (Nemtyemsaf), dalla Regina Nitokris (2184-


2181 a.C) e da altri 17 re effimeri che rappresentano la VII ed VIII dinastia di Manetone.
Le divisioni che lo storico tolemaico pone tra le dinastie sono difficili da spiegare tranne
che come interruzioni casuali nelle liste dei re. La maggioranza di questi sovrani sono
poco più che nomi per noi, ma molti di loro sono noti per i decreti a protezione del
tempio di Min a Coptos. Qakara Iby è l’unico di questi sovrani di cui sia stata trovata la
piccola piramide (lato 31,5 m2) a Saqqara Sud. Quindi fu soprattutto la residenza a
Menfi e la rivendicazione al trono di tutto l’Egitto ad accomunare questi sovrani ai
grandi re delle fasi precedenti dell’Antico Regno.

Il totale del Canone di Torino di 955 anni che separarono Menes, all’inizio della I
dinastia, dall’ultimo di questi sovrani effimeri conclude la linea dinastica dei sovrani
Menfiti ed il periodo da noi chiamato Antico Regno.
Il Primo Periodo Intermedio (pp. 118-147)

(ca 2160-2055 a.C.)

Stephan Seidlmayer

Gli egittologi tradizionalmente suddividono la storia faraonica in periodi, determinandoli


in base alla situazione politica del paese. I “regni” – definiti come epoche di unità
politica e forte governo centralizzato – si alternano a “periodi intermedi”, che sono al
contrario caratterizzati da (instabilità politica e) rivalità tra governatori provinciali nella
loro lotta per il potere. Il Primo Periodo Intermedio si fa iniziare dopo una lunga
sequenza di sovrani, corrispondenti all’VIII dinastia, che (pur privi di un reale potere)
avevano continuato a governare il paese da Menfi. Lo scettro passa successivamente
nelle mani di una serie di governatori originari di Herakleopolis Magna, nel Medio
Egitto settentrionale, collocata non lontano dall’ingresso dell’oasi del Fayum. Questi
sovrani corrispondono alla IX e X dinastia, erroneamente suddivise in due tronconi, in
fase di trasmissione dell’originale di Manetone (per la discussione sull’Aegyptiaca di
Manetone, vedi il Capitolo 1).

Lo spostamento della residenza regale da Menfi a Herakleopolis deve aver costituito per
gli egiziani il reale momento di cesura, ed infatti i compilatori del Canone di Torino
(risalente alla XIX dinastia), inseriscono un sub-totale per la prima parte della storia
egiziana dopo la lista dei re dell’VIII dinastia. Inoltre, la lista incisa nel tempio di Sethi I
ad Abydos non registra alcun nome regale per il periodo compreso tra l’VIII dinastia e
l’inizio del Medio Regno.

Gli heraklepolitani in realtà non ebbero mai il controllo (effettivo) sull’Alto Egitto
meridionale. Qui, nel corso delle prolungate lotte tra principi locali, una famiglia di
nomarchi tebani riuscì a prevalere sugli altri, assumendo i titoli della regalità: questi
dinasti furono registrati nella lista regale di Manetone come XI dinastia. Da questo
momento in poi, due stati si confrontarono sul territorio egiziano finché, ponendo
termine ad un lungo periodo di guerre, il re tebano Nebhepetra Mentuhotep II riuscì a
sconfiggere il suo rivale herakleopolitano e a riunificare il paese sotto il controllo
tebano, dando inizio così al Medio Regno.

Problemi cronologici (p. 119)

A differenza di quanto avviene per la seconda parte del Primo Periodo Intermedio -
quella relativa alla rivalità tra herakleopolitani e tebani, che durò dai 90 ai 110 anni -
sulla quale siamo relativamente ben informati, la prima parte del periodo - cioè la fase
herakleopolitana precedente all’avvento della dinastia tebana - rimane a tutt’oggi
piuttosto oscura. La scarsità di informazioni di carattere cronologico dipende sia dalla
perdita, nel Canone di Torino, della maggior parte dei nomi dei governatori
herakleopolitani e di tutte le durate dei loro regni, sia dallo stato insoddisfacente della
ricerca archeologica nel Medio Egitto settentrionale e nel Delta, le aree di influenza del
regno herakleopolitano.

A causa della penuria di dati direttamente connessi a questo “principato”, si era persino
ipotizzato che non fosse esistito un periodo durante il quale gli herakleopolitani erano
stati al potere (almeno nominalmente) da soli e si suggerì che essi dovessero essere stati
interamente contemporanei all’XI dinastia. Ciò risulta però poco plausibile, perché
abbiamo documenti relativi a personalità di rilievo ed importanti eventi politici, che
possono essere collocati solo in un periodo tra l’VIII e l’XI dinastia.

Studi approfonditi sulla successione dei titolari di alti uffici amministrativi e religiosi in
numerose città dell’Alto Egitto, così come analisi dell’evoluzione della cultura
materiale, suggeriscono che il periodo tra l’VIII e l’XI dinastia debba aver avuto una
durata ragionevolmente lunga, probabilmente comprendente almeno tre o quattro
generazioni. Inoltre, la cifra che Manetone riporta per la sua X dinastia può essere
addotta come prova della durata di almeno due secoli del Primo Periodo Intermedio, una
stima che sarebbe perfettamente compatibile con la documentazione prosopografica e
archeologica.

La natura del Primo Periodo Intermedio (pp. 119-120)

Il Primo Periodo Intermedio non fu comunque solo un periodo di disordini in termini di


successione sul trono d’Egitto; fu anche un periodo di crisi e di nuovo sviluppo,
entrambi fattori che influenzarono interamente società e cultura egiziane. Questo punto è
facilmente apprezzabile se ci rivolgiamo all’evidenza monumentale. Nell’Antico Regno,
i complessi funerari dei re e degli alti funzionari nelle necropoli della capitale, Menfi,
giocano un ruolo fondamentale nella ricostruzione della nostra idea di Stato egiziano. La
monumentalità degli edifici di culto si interrompe dopo il regno di Pepi II e viene
riportata in vita solo da Mentuhotep II con il suo tempio funerario a Deir el Bahari (Tebe
ovest).
Proprio in base all’evidenza monumentale, tra l’altro, il limite cronologico superiore del
Primo Periodo Intermedio viene talvolta innalzato fino a includere i tre decenni durante i
quali gli ultimi re della dinastia menfita dopo Pepi II dovettero tenere il potere. Anche
volendo considerare con una certa elasticità lo schema della divisione della storia
egiziana in dinastie, questo approccio non è del tutto ingiustificato. Infatti, edifici di
grandi dimensioni possono essere interpretati come testimonianza dell’esistenza e del
funzionamento delle istituzioni fondamentali dello stato. L’indiscutibile lacuna
nell’evidenza monumentale durante il Primo Periodo Intermedio suggerisce dunque che
il sistema sociale si è frammentato, sia nella sua organizzazione politica, sia nei suoi
modelli culturali.

E’ altrettanto evidente, comunque, che la documentazione archeologica ed epigrafica del


Primo Periodo Intermedio indichi l’esistenza di una fiorente cultura collegata a gruppi
tradizionalmente meno privilegiati della società, così come uno sviluppo sociale
considerevole nelle città provinciali dell’Alto Egitto. Piuttosto che configurarsi come un
crollo completo della società egiziana e della cultura nel suo insieme, il Primo Periodo
Intermedio rappresenta forse un importante, anche se solo temporaneo, spostamento dei
centri di attività e dinamismo.

Per comprendere sia la crisi dello stato faraonico, sia i processi che condussero in ultima
analisi a ristabilire un’organizzazione politica unitaria su nuove basi, è fondamentale
analizzare i modi in cui le istituzioni politiche erano radicate nella società. Molto della
ricostruzione della storia egiziana tende a ruotare intorno alla residenza regale, al re e
alla “cultura di corte”, ma per scrivere la storia del Primo Periodo Intermedio è
necessario concentrarsi invece sulle città provinciali e sulle persone che costituivano il
tessuto connettivo dei diversi livelli della società.

La capitale e le province (pp. 120-121)

Lo stato faraonico nacque come sistema centralizzato. Sin dall’’inizio, le sue istituzioni
chiave – il sovrano e la corte – erano stabilmente insediati nella capitale. Anche l’élite
sociale era concentrata lì, così come i centri dell’amministrazione e le istituzioni di
controllo della cultura. Inoltre, le fondazioni religiose di stato e il culto del re e dei suoi
antenati divini erano dislocati nelle immediate vicinanze della capitale.
L’amministrazione del paese era controllata da emissari del sovrano, che dovevano
gestire e controllare estese aree della Valle del Nilo. Benché tali emissari si occupassero
delle province, essi rimanevano comunque legati alla residenza regale e continuavano a
ritenersi membri della società elitaria della capitale.

Almeno fino alla fine della V dinastia, nulla dello splendore e della grandeur dell’Antico
Regno era visibile al di fuori della regione menfita. Vi era un profondo iato sociale e
culturale tra la provincia e i suoi amministratori.

Nel corso della V dinastia, cominciano ad intervenire nel sistema profondi mutamenti
che giungono a compimento con la fine della VI dinastia. Da questo periodo in poi, gli
amministratori provinciali vengono nominati per ogni singolo nomo e prendono a
risiedere stabilmente nei loro distretti. Come in altri rami dell’amministrazione, membri
della stessa famiglia si succedono frequentemente l’uno all’altro nelle cariche. Benché
questo mutamento politico sia stato dettato probabilmente dall’esigenza di rendere più
efficiente l’amministrazione provinciale, esso era destinato ad avere conseguenze
drammatiche ed imprevedibili. In primo luogo, comportò sostanziali mutamenti dei
modelli socio-economici che minarono al cuore il sistema. In origine, le risorse
economiche erano concentrate nella residenza regale, per essere poi redistribuite ai
beneficiari da parte dell’amministrazione centrale. Ora, invece, i nobili residenti nelle
province erano in grado di accedere direttamente ai prodotti della terra. La rivalità tra il
centro e le province cominciò a funzionare come fattore di disgregazione all’interno del
gruppo dell’élite dei funzionari, precedentemente omogeneo.

L’aristocrazia provinciale ci teneva ad assicurarsi un tenore di vita di pari stile rispetto a


quello della corte. Questo è reso evidente dalle tombe monumentali decorate che
cominciarono ad apparire nelle necropoli dei centri provinciali in tutto il paese. Repertori
iconografici e testuali, conoscenze della religione e del rituale si riversarono dai centri
della cultura di corte alle periferie. Il re stesso inoltre fornì manodopera specializzata,
sacerdoti ritualisti formatisi a corte e merci pregiate per mantenere e rafforzare i vincoli
di lealtà dell’aristocrazia provinciale verso la Capitale.

Queste tombe comunque sono solo la punta dell’iceberg; nella realtà dei fatti, le élite
provinciali e i loro funzionari agivano come entità autonome rispetto alla politica dello
stato sostenendo artigiani specializzati e trattenendo una quantità sempre maggiore del
prodotto regionale per uso locale (piuttosto che consentire che questo fosse sfruttato
dalla corte); ciò condusse ad un cambiamento notevole della struttura sociale e
economica delle province. L’Egitto rurale divenne economicamente più ricco e
culturalmente più complesso.

L’ambiente delle province (pp. 121-122)

La trasformazione culturale ed economica delle province influenzò l’intera società. Tale


processo può essere facilmente osservato nei notevoli cambiamenti della
documentazione archeologica, già individuabili nella VI dinastia e il cui apice viene
raggiunto nella prima metà del Primo Periodo Intermedio. Ancora una volta dobbiamo
rivolgerci alle necropoli per i dati fondamentali – in parte per la sfortunata assenza di
scavi di insediamenti di questo periodo, ma soprattutto per l’intrinseco valore della
documentazione relativa al culto funerario.

Se paragoniamo la situazione dell’inizio dell’Antico Regno con quella della fine dello
stesso periodo e degli inizi del Primo Periodo Intermedio, appare immediatamente
evidente un cambiamento nel numero delle sepolture. Per il periodo più recente, è noto
un numero molto maggiore di necropoli, e, laddove una specifica regione è stata
indagata sistematicamente, ne è emerso un marcato incremento del numero delle tombe.
Due fattori devono essere presi in considerazione se si vuole spiegare questo fenomeno.
In primo luogo l’aumento del numero delle tombe dimostra una crescita demografica
durante l’Antico Regno, le cui cause principali sono probabilmente da addebitare a
situazioni locali, laddove per esempio l’incremento demografico fu probabilmente
accompagnato e accentuato da un uso più intensivo e più efficiente delle risorse agrarie
disponibili. Secondo, durante il tardo Antico Regno e il Primo Periodo Intermedio, le
tombe ordinarie divennero considerevolmente più ampie e le sepolture cominciarono ad
essere fornite con corredi di qualità molto superiore. Queste tombe non solo sono state
individuate e datate più facilmente (a causa delle loro maggiori dimensioni e del
contenuto più differenziato), ma hanno anche interessato un numero maggiore di
studiosi. I cimiteri provinciali della prima parte dell’Antico Regno erano infatti
considerati dai primi archeologi poco promettenti in termini di rapporto
impegno/risultati.

Così come l’apparizione delle tombe monumentali decorate in Alto Egitto, l’aumento del
numero delle sepolture nelle necropoli provinciali riflette un sostanziale cambiamento
nel modello dei consumi. Questo fenomeno risulta particolarmente evidente nella
documentazione archeologica di ambito funerario, ma non è certamente limitata a questa
sfera. Gli oggetti di valore sempre più abbondanti e ampiamente rappresentati nelle
tombe dell’inizio del Primo Periodo Intermedio – vasi in pietra per cosmetici, ornamenti,
amuleti di pietre semipreziose e persino oro – non sono più, come in precedenza, oggetti
di uso quotidiano, ma vengono ora realizzati per esclusivo uso funerario.

Appare dunque evidente che, tra il tardo Antico Regno e il Primo Periodo Intermedio, le
province andarono incontro a condizioni economiche più favorevoli.

La distribuzione delle necropoli può anche fornirci alcune indicazioni sui modelli
insediativi. Il paesaggio fu disseminato di villaggi, mentre i siti delle capitali dei nomoi
sono marcati non solo da gruppi di tombe rupestri o da tombe a mastaba appartenenti
all’aristocrazia locale, ma anche da cimiteri molto estesi di “cittadini comuni”. Le tombe
della popolazione urbana non differiscono, in linea di principio, da quelle degli abitanti
dei villaggi; comunque esse sono spesso più grandi e meglio equipaggiate. Fu dunque
una struttura di tipo urbano che determinò il modello insediativo nelle province e non
solo dal punto di vista politico e sociale, ma anche dal punto di vista demografico ed
economico.

Cambiamenti nello stile e nelle forme come segni di sviluppo sociale e culturale (pp.
122-125)

Il periodo che seguì la fine dell’Antico Regno è caratterizzato da cambiamenti


fondamentali nella cultura materiale. Durante il Primo Periodo Intermedio infatti quasi
tutti i manufatti presentano forme nuove. Possiamo passare in rassegna alcuni degli
aspetti più rilevanti di questo processo.

Dal punto di vista dell’archeologo, la ceramica è il manufatto di gran lunga più


significativo. Sin dal Periodo Protodinastico e durante tutto l’Antico Regno, il repertorio
dei recipienti era stato dominato, per quanto concerne l’aspetto morfologico, dalle forme
ovoidali: il punto della massima circonferenza di un vaso si trovava poco al di sopra
della metà della sua altezza. Durante il Primo Periodo Intermedio, questa caratteristica fu
presto abbandonata. Ora, cominciano a predominare forme carenate, a borsa o a goccia.
Non è difficile identificare l’elemento trainante di questo processo. Lo scopo era
chiaramente quello di modificare le forme dei vasi in modo da ottenere il massimo
vantaggio dalle potenzialità del tornio. Nel caso di recipienti ovoidali, una buona parte
della superficie esterna doveva essere rifinita a mano dopo aver modellato il recipiente.
Nel caso di vasi a forma di borsa, la quantità di lavoro poteva essere considerevolmente
ridotta. E’ interessante, comunque, che questo processo sia avvenuto solo 200 anni
(circa) dopo la prima introduzione del tornio nei laboratori egiziani, durante la V
dinastia. Sembra cioè che soltanto con l’inizio del Primo Periodo Intermedio i vasai si
decisero ad abbandonare i modelli tradizionali per dare preferenza a modi più efficienti
di produzione.

Inoltre, durante questo periodo, divenne popolare nelle sepolture provinciali un’intera
serie di nuove categorie di oggetti. Nell’Antico Regno, i corredi delle sepolture più
povere venivano costituiti interamente da beni e prodotti scelti tra quelli di uso
quotidiano, ma nel Primo Periodo Intermedio i corredi cominciarono ad essere formati
da oggetti creati appositamente per uso funerario. Chiari esempi di questa tendenza sono
figurine in legno, grossolanamente lavorate, rappresentanti portatori di offerte,
imbarcazioni e persino modelli di interi laboratori artigianali.

Altro esempio è la comparsa e l’uso sempre più frequente di maschere colorate di gesso
e lino (cartonnage) per coprire le teste dei corpi mummificati. Divenne inoltre sempre
più comune l’uso di semplici stele a lastra per segnalare il luogo della deposizione delle
offerte nelle sovrastrutture di piccole tombe a mastaba o nelle cappelle di semplici tombe
rupestri.

La comparsa di questi oggetti dimostra che, nelle città provinciali, sia la domanda sia i
mezzi a disposizione erano ora sufficienti a giustificare e sostenere un artigianato
specializzato nella realizzazione di prodotti “non-funzionali”. Ancora più importante,
comunque, risulta il fatto che i prototipi di questi oggetti avevano la loro origine nella
cultura d’élite dell’Antico Regno. Le figurine funerarie rappresentanti uomini intenti in
vari compiti possono essere ricondotte direttamente ai repertori di scene della vita
quotidiana dipinte nelle mastabe dell’Antico Regno. Sembra che dal Primo Periodo
Intermedio quei fattori, che avevano precedentemente inibito la comunicazione culturale
tra strati sociali, ora cessava di esistere.

Il passaggio dalle tradizioni della cultura d’élite ad un circolo più ampio di fruitori si
accompagnò ad una marcata mancanza di qualità artistica. Non era raro che motivi
iconografici fossero fraintesi ed iscrizioni contenenti formule erroneamente interpretate.
Se da un lato l’arte del Primo Periodo Intermedio mostra spesso un impressionante grado
di originalità e creatività (come apparirà chiaro più avanti in questo capitolo), non si può
negare d’altra parte che molte opere sono semplicemente brutte e realizzate senza
competenza. Questo aspetto in particolare ha colpito l’attenzione degli storici ed è stato
preso come segno di un declino culturale generalizzato durante il Primo Periodo
Intermedio. Per quanto ovvia possa apparire quest’ultima interpretazione, assumere che
questo sia stato solo un periodo di decadenza culturale potrebbe significare trascurare
due importanti processi: in primo luogo, l’assimilazione a livello “nazionale” di modelli
culturali sviluppati dalla élite culturale dell’Antico Regno, e, in secondo luogo,
l’emergenza dei consumi di massa.

Le idee religiose (pp. 125-126)

Alcuni cambiamenti nella cultura materiale sono indicativi anche di sviluppi nelle
credenze religiose e nelle pratiche rituali, come nel caso dell’introduzione della
maschera funeraria. Tuttavia l’insieme più importante di evidenze sulle credenze
religiose delle società provinciali durante il Primo Periodo Intermedio e il Medio Regno
è costituito dal vasto corpus dei Testi dei Sarcofagi, formule magiche e liturgiche iscritte
principalmente sulle pareti dei sarcofagi di legno. Mentre è evidente che la maggior
parte di questi testi risale al Medio Regno, alcuni - seppur non numerosi - esempi
dimostrano chiaramente che essi erano già stati introdotti durante il Primo Periodo
Intermedio. Le origini testuali dei Testi dei Sarcofagi sono ancora oggetto di
discussione, sia per quanto riguarda la data, sia per ciò che concerne la provenienza
geografica. Ovviamente, il corpus dei Testi delle Piramidi dell’Antico Regno, che furono
talvolta anche iscritti sui sarcofagi accanto agli stessi Testi dei Sarcofagi, devono aver
fornito un importante modello, ma questi ultimi includevano nuovo materiale e concetti
originali.

Esistono solo pochi esempi di Testi dei Sarcofagi del Primo Periodo Intermedio, e il
possesso di sarcofagi iscritti rimase comunque sempre riservato al livello più elevato
della società provinciale. Talvolta, tuttavia, sembra possibile connettere idee
esplicitamente espresse nei Testi dei Sarcofagi con l’evidenza archeologica. Solo così
infatti divengono evidenti la grande antichità e popolarità di alcuni di questi concetti.
Tale osservazione consente di sostenere l’ipotesi che fu l’ambiente provinciale del Primo
Periodo Intermedio a svolgere un ruolo fondamentale nella origine e formazione dei
Testi dei Sarcofagi e contribuì al suo contenuto concettuale.

Alcune di queste formule erano per esempio designate come formule per “ricostituire la
famiglia di un uomo nell’Aldilà”. Il numero di persone coinvolte è considerevole; i testi
non menzionano solo parenti stretti ma anche servitori, “dipendenti” e amici. La stessa
esigenza è espressa nello sviluppo dei modelli delle tombe dalla VI dinastia. Le tombe
egiziane erano concepite in origine per ospitare solo una sepoltura, ma verso la fine
dell’Antico Regno vennero costruite mastabe comprendenti numerosi locali, concepite
per ospitare un’intera famiglia o persino una famiglia allargata, nel senso più sopra
definito. L’architettura delle tombe mostra una certa gerarchia all’interno di questi
gruppi, nella misura in cui alcuni pozzi sono più profondi ed alcuni locali più ampi di
altri, permettendo così sepolture più lussuose. Ed in effetti, dovunque le sepolture sono
conservate, entrambi gli aspetti di questa nuova situazione – le dimensioni dei gruppi
familiari coinvolti e l’ineguaglianza tra le persone all’interno di questi gruppi – sono
particolarmente evidenti, dal momento che i diversi locali venivano usati per sepolture
multiple successive secondo modalità piuttosto regolari.
Gli usi funerari del Primo Periodo Intermedio pongono dunque l’accento sull’importanza
fondamentale delle relazioni interpersonali ad un livello primario dell’organizzazione
sociale. Questa tendenza del pensiero religioso riflette molto da vicino il ruolo che la
famiglia allargata aveva come unità base della struttura sociale. Le formule funerarie in
questione enfatizzano l’autorità del capo-famiglia sui suoi membri, ma sottolineano
anche la sua capacità di proteggerli dalle pretese di estranei. Così la famiglia, come unità
solidale e di responsabilità collettiva agiva da interfaccia con i livelli più elevati della
struttura sociale e politica. Grazie a questo ruolo, la famiglia allargata appare anche
come istituzione riconosciuta in testi giuridici dalla VI all’VIII dinastia.

Stile regionale e identità (pp. 126-127)

Uno degli aspetti più interessanti dell’archeologia relativa al Primo Periodo Intermedio è
la variazione stilistica tra le differenti regioni. Mentre le differenze tra gli stili ceramici
dell’Egitto settentrionale e meridionale sono certamente molto nette, gli argomenti sono
molto meno definiti quando si parla di differenze tra diverse regioni dell’Alto Egitto o
variazioni regionali in termini di altri tipi di manufatti. In realtà alcuni tipi di oggetti
sembrano essere stati maggiormente influenzati dalle variazioni regionali rispetto ad
altri, e sembra che in generale la cultura materiale egiziana non fu suddivisa in una serie
scollegata di varianti locali.

C’è un aspetto della variazione regionale, comunque, che sembra essere particolarmente
significativo. Durante l’Antico Regno, l’architettura delle mastabe in Alto Egitto seguiva
modelli uniformi e un continuo percorso di sviluppo. Ma durante la VI dinastia e il
Primo Periodo Intermedio, ha inizio la costruzione di tombe secondo tradizioni locali
distinte. Esempi di questi stili architettonici locali includono le tombe a saff (di cui si
discuterà più oltre) e le tombe a mastaba con facciata a nicchie e lunghe e inclinate
rampe di accesso conducenti a camere sotterranee, che sono state trovate a Dendera.

Questi tipi locali sono così differenti dagli stili architettonici principali dei periodi
precedenti che difficilmente il cambiamento può essere spiegato in semplici termini di
sviluppo di tradizioni locali. Sembra invece plausibile che queste innovazioni
architettoniche siano state deliberatamente introdotte dalle élite locali allo scopo di
esprimere la propria identità regionale.

Società e Governo (pp. 127-128)

Anche questa sintetica ricognizione della documentazione archeologica fornisce ampia


evidenza degli importanti cambiamenti che intervennero nelle province tra il tardo
Antico Regno e il Primo Periodo Intermedio. Allo stato attuale della ricerca, il
significato di molti dei fenomeni archeologici discussi (e i meccanismi che li
produssero) sono scarsamente compresi. Ciononostante le nostre attuali conoscenze
consentono di suggerire che forze dinamiche interne e potenti influenze esterne (in
particolar modo l’impatto della politica provinciale dell’Antico Regno) contribuirono a
produrre una maggiore complessità culturale, economica e sociale in tutto il paese.
Questi sviluppi inevitabilmente influenzarono il sistema politico: tensioni tra il centro e
le province assunsero maggior importanza e la nobiltà provinciale in particolare
occupando una posizione cruciale tra la corte e i gruppi locali - da un lato guadagnò
nuove opportunità di autonomia e, dall’altro, si assunse l’onere di mediare tra interessi
concorrenziali. Questa situazione fa sorgere la questione sui modi in cui la struttura di
governo e la sua ideologia furono adattate alle condizioni sociali e culturale in tutto il
paese. Durante l’Antico Regno, i distretti provinciali erano generalmente (benché non
sempre) governati da un sistema amministrativo a due livelli. I “Soprintendenti dei
sacerdoti” dei culti locali erano importanti a causa del ruolo dei loro templi come nodo
dell’amministrazione pubblica, ma la funzione principale era quella del “grande capo del
nomo” (espressione spesso tradotta con “nomarca”).

E’ importante comprendere, comunque, che la fine dell’Antico Regno non fu causata dal
potere crescente delle grandi famiglie di nomarchi. Durante il Primo Periodo Intermedio,
infatti, apparvero nuove famiglie di notabili locali. E’ perciò plausibile che l’aristocrazia
dell’Antico Regno – nonostante il suo innegabile contribuito al processo di cambiamento
nella struttura politica del paese – rimase comunque leale ai propri legami con la Corona.
Tracciare questi nuovi sviluppi può risultare utile a comprendere meglio i rapporti tra le
condizioni sociali e gli sviluppi politici durante il periodo in esame.

Il caso di Ankhtifi: crisi, responsabilità e potere (pp. 128-130)

Ankhtifi, un nomarca del 3° e del 2° nomo dell’Alto Egitto durante la prima parte del
periodo herakleopolitano, incarna il nuovo tipo di governatore locale emerso durante il
Primo Periodo Intermedio. Il suo testo autobiografico, iscritto sui pilastri della sua tomba
rr o genere (letterario) giunto fino a noi dall’Antico Egitto. Esso fornisce la guida ideale
alle grandi imprese del tempo e evoca con grande interesse l’atmosfera politica dell’Alto
Egitto meridionale durante il Primo Periodo Intermedio. In qualità di “Grande Signore
dei nomoi di Edfu e Hierakonpolis” e “Soprintendente dei sacerdoti”, Ankhtifi deteneva
posizioni chiave in entrambi gli ambiti dell’amministrazione provinciale dell’Antico
Regno, quello religioso e quello civile. In realtà questa combinazione di cariche fu
normalmente adottata dai governatori locali ampiamente autonomi durante il Primo
Periodo Intermedio. I due eventi cruciali nella carriera politica di Ankhtifi furono il suo
intervento per pacificare e riorganizzare il nomo di Edfu, e la sua spedizione militare
contro il nomo tebano, dove i suoi oppositori, una coalizione costituita dai nomoi di
Tebe e di Koptos, in effetti si rifiutarono di dare battaglia. Tutto ciò rappresenta
essenzialmente una politica (estera) su piccola scala e, leggendo fra le righe, non dovette
essere nemmeno particolarmente fortunata. Prova ne sia, per esempio, che non si
conoscono successori di Ankhtifi nella sua carica di governatore semi-indipendente delle
regioni più meridionali del paese. Ciononostante, la sua iscrizione proclama la sua
gloria, senza una traccia di falsa modestia:

“La sua Eccellenza, il Soprintendente dei sacerdoti, Soprintendente delle regioni


desertiche, Soprintendente dei mercenari, grande Capo dei nomoi di Edfu e di
Hierakonpolis, Ankhtifi, il coraggioso, egli dice: ‘Io sono l’inizio e la fine dell’umanità,
dal momento che nessuno come me esisteva prima, né esisterà dopo; nessuno come me
era ancora nato né nascerà. Io ho superato le imprese dei miei antenati e le generazioni
future non saranno in grado di eguagliarmi in nessuna delle mie imprese per milioni di
anni.

Ho dato pane all’affamato e abiti all’ignudo; ho unto colui che non aveva unguenti; ho
dato sandali allo scalzo; ho dato una moglie a chi non ne aveva. Mi sono curato della
città di Mo’alla e di Hormer in ogni [situazione di crisi quando] il cielo era nuvoloso e la
terra [era bruciata e tutti erano morti] di fame su questa sponda di Apophis. Il sud venne
con la sua gente e il nord con i suoi figli; essi portarono olio fine in cambio dell’orzo che
fu dato loro. Il mio orzo viaggiò verso sud finché raggiunse la Bassa Nubia e verso nord
finché raggiunse il nomo di Abydos. Tutti gli abitanti dell’Alto Egitto morivano di fame
e la gente mangiava i propri figli, ma io non ho permesso a nessuno di morire di fame in
questo nomo… mi occupai della casa di Elefantina e della città di Iat-negen in questi
anni dopo che Mo’alla e Hormer erano state soddisfatte ... io ero come una montagna per
Hefat e come una fresca ombra per Hormer”. Ankhtifi disse: “L’intero paese era
diventato come (abitato da) locuste che andavano verso sud e verso nord (in cerca di
cibo); ma mai ho permesso ad un bisognoso di andar via da questo nomo per andare (a
chiedere aiuto) in un altro nomo. Io sono un eroe senza uguale”.

La crisi economica è una dei grandi temi dei testi del tempo. I notabili locali si erano
abituati a vantarsi di essere riusciti a nutrire la propria città mentre il resto del paese
stava morendo di fame. Questi racconti hanno avuto un ruolo fondamentale nella
formazione dell’opinione che il lettore moderno si è fatto sul periodo, con il risultato che
carestie e crisi economica sono spesso considerati le sue caratteristiche essenziali.
[Questi racconti hanno contribuito notevolmente ad influenzare l’opinione dei lettori
moderni che si sono perciò fatti l’idea che le caratteristiche essenziali del periodo
dovettero essere carestie e crisi economica.] Si è anche sostenuto che le tremende
conseguenze di insufficienti piene del Nilo, causate da cambiamenti climatici, fossero
state responsabili della fine dell’Antico Regno. E non c’è dubbio che anche questi testi si
riferiscono a simili circostanze. Ciò risulta più evidente quando riferimenti alla carestia
ricorrono in contesti meno ufficiali. L’impiegato di un Soprintendente ai sacerdoti del
nomo coptita, per esempio, riporta: “Io stavo alla porta di Sua Eccellenza, il
Soprintendente dei sacerdoti, Djefi, e distribuivo grano a(gli abitanti di) questa intera
città per sostenerla negli anni difficili della carestia”.

Va però attentamente verificato fino a che punto questa situazione fosse realmente
specifica del Primo Periodo Intermedio. In realtà mancano evidenze che confermino un
cambiamento climatico durante quest’epoca. Anzi, i dati disponibili sembrano suggerire
che la “Fase neolitica umida” era già terminata durante l’Antico Regno, causando
condizioni climatiche più secche nelle aree desertiche adiacenti la valle, ed
incoraggiando un generalizzato processo di adattamento a livelli più bassi della piena
annuale del Nilo. Non sembra che questi cambiamenti ambientali abbiamo influenzato lo
sviluppo della civiltà faraonica durante l’Antico Regno, e decade così anche
l’eventualità di un collegamento con il Primo Periodo Intermedio. Recenti osservazioni
archeologiche da Elefantina, sembrano addirittura indicare che l’Egitto visse, proprio
durante il Primo Periodo intermedio, un fase di piene annuali lievemente superiori alla
norma. Considerando regolarità e variazioni sul lungo termine, è più plausibile che
l’insufficienza delle piene del Nilo debba aver afflitto in maggior o minore grado la vita
degli egiziani durante tutti i periodi della loro storia. Per comprendere l’importanza di
questo argomento nei testi del Primo Periodo Intermedio, è dunque necessario porlo in
un contesto letterario più ampio.

La frase introduttiva che costituisce la base del racconto di Ankhtify è di vecchia


tradizione. Si tratta infatti di una delle espressioni standard dei testi autobiografici dei
funzionari dell’Antico Regno, che ne asseriva l’integrità morale. Durante il Primo
Periodo Intermedio, il concetto di occuparsi dei più deboli fu rielaborato notevolmente.
In quest’epoca, i grandi uomini erano preparati ad occuparsi di qualsiasi tipo di
problema potesse verificarsi nella società, difficoltà economiche, crisi politiche, o
disgrazie individuali. I governatori provinciali non si limitavano inoltre ad aiutare e
sostenere un numero ridotto di persone (come un padre aiutava e sosteneva i membri
della propria famiglia) ma si prendevano in carico l’intera società, sia che si trattasse
della popolazione della propria città o quella del nomo o dei nomoi che governava. Il
messaggio è chiaro: i “cittadini” sarebbero stati privi di aiuto senza il proprio nomarca.
Abbandonati a sé stessi, essi non sarebbero stati capaci di affrontare i rischi della vita.

Va da sé che questo ruolo benefico del nomarca era indissociabile dal suo diritto
all’obbedienza e alla autorità – così Ankhtif sottolinea: “Nessun braccio potrà
avvicinarsi (per colpire) un uomo su cui io pongo la mia mano (protezione), tanto esperti
sono i miei consigli e tanto eccellenti sono i miei piani. Ma io mi scaglierò contro
qualsiasi ignorante, o chiunque osi opporsi a me, per le sue azioni”.

Nel Primo Periodo Intermedio, evidentemente, la crisi sociale era divenuta


particolarmente significativa in relazione ai contesti nei quali il potere personale e la
dipendenza sociale potevano essere legittimati, e questa osservazione probabilmente
contribuisce a spiegare perché il topos della carestia e del sostegno ai deboli fosse così
importante per i governatori locali.

Competizione e conflitto armato (pp. 130-131)

Durante l’Antico Regno, gli amministratori locali erano obbligati ad organizzare il


servizio militare della popolazione sotto la loro giurisdizione e a condurre queste truppe
in missioni pacifiche o aggressive nelle regioni limitrofe alla Valle del Nilo. Già dalla VI
dinastia, mercenari stranieri – soprattutto nubiani – erano reclutati nell’esercito egiziano.
Durante il Primo Periodo Intermedio, l’uso di truppe locali e l’esperienza militare dei
governatori locali risultarono elementi decisivi nella loro lotta per la conquista del
potere. Così Ankhtify dichiara:

“Io ero uno che trovava la soluzione quando mancava, grazie ai miei vigorosi progetti;
uno con le giuste parole di comando e la mente serena nel giorno in cui i nomoi si
alleavano (per dichiarare guerra). Io sono l’eroe senza uguali; uno che parlava
liberamente, mentre la gente era in silenzio nei giorni in cui la paura era diffusa e l’Alto
Egitto non aveva il coraggio di parlare… Finché l’esercito di Hefat è calmo, l’intero
paese è calmo; ma se qualcuno pesta la (sua) coda come (quella di) un coccodrillo, allora
il nord e il sud di questo intero paese tremerà (di paura) …Io navigai verso nord con le
mie truppe forti e fidate ed approdai sulla riva ovest del nomo di Tebe e le mie fidate
truppe cercarono la battaglia attraverso tutto l’occidente tebano, ma nessuno aveva il
coraggio di venire fuori per paura di loro. Poi navigai verso nord di nuovo e approdai
sulla riva est del nomo di Tebe …e le sua mura (si riferisce al suo oppositore) furono
assediate, poiché egli aveva serrato le porte per la paura di queste forti e fidate truppe.
Essi divennero una squadra che cercava battaglia in tutto il nomo tebano, a occidente e a
oriente, ma nessuno aveva il coraggio di uscire fuori per paura di loro.

Non era certo nuovo per un funzionario rivendicare la propria autorità su uno o più
nomoi. Alla fine della V dinastia, per esempio, il re aveva stabilito l’ufficio di
soprintendente dell’Alto Egitto, per controllare gli amministratori dei singoli nomoi alto-
egiziani. Durante il Primo Periodo Intermedio, sono documentati anche esempi di
funzionari responsabili di un territorio più vasto, quali ad esempio Abihu, che governava
i nomoi di Abydos, Diospolis Parva e Dendera, all’inizio del periodo herakleopolitano.
Non c’era dunque nulla di inusuale nella doppia nomarchia di Ankhtify né tanto meno
nella sua rivendicazione di supremazia militare fino all’estremo sud del paese
(Elefantina).

La narrazione delle guerre di Ankhtify, comunque, rende evidente che in questo periodo
il sovrano non veniva nemmeno nominato quale autorità che poteva controllare la
ripartizione del potere tra i governatori locali. E’ importante comprendere che questa
situazione implica un radicale cambiamento di mentalità. Nel sistema politico chiuso
dell’Antico Regno, il re era stato l’unica fonte di autorità legittima. Tutte le azioni dei
funzionari dipendevano dai suoi ordini, ed era lui che giudicava e li premiava per i loro
meriti. Quando il potere della regalità si affievolì, si creò invece una realtà più aperta.
Ora i governatori locali potevano agire in base ai propri scopi, ma dovevano fare
affidamento sulle proprie basi di potere e dovevano difendere le proprie posizioni in
competizione con altri; e nel fare ciò guadagnavano una nuova consapevolezza delle
proprie conquiste, consapevolezza che è uno dei tratti più rilevanti delle iscrizioni di
Ankhtify.

Dei, politica, e la retorica del potere (pp. 131-133)

Sulle pareti della tomba di Ankhtify, il re (uno dei sovrani della IX-X dinastia
herakleopolitana) è menzionato una sola volta in una breve didascalia che commenta una
delle pitture murali “Possa Horus garantire una (buona) piena del Nilo a suo figlio
Neferkara”. E’ significativo che in questo caso venga rivolto un appello al re nel suo
ruolo sacro come mediatore tra la società umana e le forze della natura. Il suo ruolo
politico, invece, è stato evidentemente sostituito da altre autorità:

“Il dio Horus mi condusse verso il nomo di Edfu in vita, prosperità e salute, per renderlo
di nuovo stabile…Infatti Horus desiderava renderlo stabile, e quindi mi guidò per
ristabilirlo. Io trovai la sede di Khuu (l’amministratore del nomo) come un luogo
paludoso, trascurato dal suo titolare, in una condizione di guerra civile e sotto il
controllo di un vile. Ora io ottenni che un uomo abbracciasse anche colui che aveva
ucciso suo padre o suo fratello, allo scopo di riportare la stabilità nel nomo di Edfu.

Nei testi di Ankhtify, non è il re, ma Horus, il dio di Edfu che appare quale suprema
autorità che guida l’azione politica. Questo concetto non è unico nelle iscrizioni del
Primo Periodo Intermedio. Anche la riunificazione sotto Mentuhotep II (2055-2004 a.C.)
fu descritta in termini simili, cioè a dire come risultato di un intervento da parte di
Montu, il grande dio del nomo tebano. Sulla stele, rinvenuta ad Abydos, di Meru,
soprintendente al tesoro dell’epoca di Mentuhotep, si legge: “Un buon inizio avvenne
quando Montu diede le due terre al re Nebhepetra (Mentuhotep II)”.

Questa ideologia poggiava su solide basi, dato che i governatori locali fungevano anche
da “soprindententi dei sacerdoti”, funzione che assicurava loro un ruolo privilegiato nel
culto degli dei. Ankhtify stesso è rappresentato in una scena della sua tomba mentre
soprintendeva ad una delle grandi feste del dio locale Hemen, mentre la più antica
menzione del tempio di Amon a Karnak proviene dalla stele di un soprintendente dei
sacerdoti di Tebe che dichiara di essersi preso cura del tempio durante un periodo di
carestia.

Sin dalle epoche più antiche, i templi provinciali erano centri amministrativi oltre che
luoghi in cui si esprimeva la pietà personale della popolazione locale, e sembra
verosimile che i sacerdoti assegnati a questi templi abbiano costituito il nucleo delle
prime élite provinciali. In altre parole, i culti provinciali potrebbero essere visti come
rappresentazione simbolica dell’identità collettiva. Ed infatti durante il Primo Periodo
Intermedio, dio e città appaiono spesso fianco a fianco in frasi che si riferiscono
all’integrazione sociale. Nelle autobiografie si legge: “Io ero uno amato dalla sua città,
lodato dal suo dio” e le maledizioni contro i trasgressori recitavano “Il suo dio cittadino
lo disprezzerà e i suoi concittadini (o la sua famiglia) lo disprezzeranno”. Integrando la
propria personale autorità con quella degli dei locali, i governatori provinciali riuscivano
a legare il proprio potere con una dei fondamenti morali della società locale.

L’interessante argomento dell’iscrizione di Ankhtify non deve farci dimenticare, però, il


suo valore letterario. Si tratta di una composizione di inusuale vigore, ricca di
espressioni originali e affascinanti. Qualità simili sono riscontrabili nelle pitture della
sua tomba e, più in generale, in tutta l’arte dell’Alto Egitto durante il Primo Periodo
Intermedio. I pittori alto-egiziani di questo periodo non si uniformano più alle
convenzioni di corte dell’Antico Regno. Il loro stile è spigoloso, talvolta persino
bizzarro, ma estremamente espressivo. Essendosi liberati di modelli datati, essi diedero
vita a repertori di scene del tutto nuovi: file di soldati e cacciatori, mercenari impegnati
in battaglie, feste religiose. Introdussero inoltre nuovi soggetti tra le attività giornaliere,
quali filatura e tessitura, e aggiornarono scene tradizionali con gli ultimi sviluppi
tecnologici e culturali. Lungi dall’essere un periodo di declino culturale, questi anni
turbolenti documentano un fiorire di notevole creatività, adattando e sviluppando i già
esistenti mezzi di espressione letteraria e pittorica per rispondere a una nuova serie di
esperienze sociali.

Questo processo di cambiamento indica che l’élite del Primo Periodo Intermedio sentiva
la necessità di comunicare i nuovi sviluppi sociali: quando il governo non poté più
basarsi sulla semplice imposizione del potere, le sue fondamenta dovettero essere
esplicitate. Il testo di Ankhtify può dunque essere letto come discorso atto a delineare la
necessità del (suo) governo e i benefici di regole forti. E’ inoltre significativo quanto le
idee – alle quali Ankhtify fa appello così persuasivamente – siano funzionali a sostenere
la struttura sociale della provincia e le sue tradizioni.

La “supremazia tebana” e la necropoli di el-Tarif (pp.133-134)

Durante l’Antico Regno, Tebe, la capitale del IV nomo dell’Alto Egitto, era stata una
città provinciale di secondo piano. Già dall’inizio del periodo herakleopoitano, però,
stele funerarie provenienti dal cimitero di el-Tarif (sulla riva ovest, proprio di fronte al
sito che sarà occupato dal tempio di Karnak), registrano una certo numero di
soprintendenti ai sacerdoti, responsabili degli affari locali. Questa sequenza di funzionari
si conclude con un nomarca, Antef, che combinò (come già aveva fatto Ankhtify) la
funzione di “grande governatore del nomo tebano” con quello di “soprintendente ai
sacerdoti”.

Egli aggiunse inoltre ai suoi titoli anche quello di “confidente del re alla stretta porta del
sud (cioè Elefantina) e “grande governatore dell’Alto Egitto”. Poiché un’iscrizione
relativa a questo Antef fu trovata anche nel cimitero di Dendera, (la capitale del VI
nomo dell’Alto Egitto), risulta legittimo supporre che la sua autorità fosse riconosciuta
ben aldilà dei confini della propria provincia di origine.

Questo nomarca è con tutta probabilità lo stesso “Antef il Grande, figlio di Iku”
nominato in iscrizioni coeve e al quale Sesostri I (secondo sovrano della XII dinastia,
1956-1911 a.C.) dedicò una statua nel tempio di Karnak. Lo stesso personaggio è inoltre
nominato come “nobile Antef”, l’antenato della XI dinastia, nella lista regale fatta
incidere da Thutmosi III nella “cappella degli antenati” a Karnak. Ma fu solo il suo
immediato successore, Mentuhotep I, ad essere designato come re in iscrizioni più tarde,
benché il suo nome di Horus “Tepy-â” (letteralmente “Antenato”) tradisce chiaramente
un’attribuzione postuma. Fonti epigrafiche contemporanee mancano infatti sia per
Menuhotep I, sia per suo figlio Sehertauy Antef I (2125-2112 a.C.), ma la tomba di
quest’ultimo rappresenta già il più rilevante monumento della necropoli di el-Tarif,
unica sopravvivenza del potere e della grandeur dei primi sovrani tebani.

Durante il Primo Periodo Intermedio, nella necropoli di el-Tarif, si era sviluppata una
particolare tipologia di tomba rupestre, apparentemente un adattamento alla topografia
locale. Per le tombe più piccole dei privati, un ampio cortile veniva scavato negli strati di
ghiaia e marna del basso deserto. La parete di fondo di questo cortile era occupata da un
portico sostenuto da una fila di pesanti pilastri a sezione quadra, che costituiva la
facciata della tomba. La fila di pilastri diede origine alla moderna definizione di questa
architettura come “tomba a saff” (cioè “a filare”. Dal suo plurale deriva inoltre l’attuale
denominazione di questa parte della necropoli tebana, Assasif). Un portale collocato al
centro della facciata dava accesso ad un breve, stretto corridoio che conduceva alla
cappella funeraria, da cui si dipartiva un pozzo terminante nella camera funebre vera e
propria.

Il re Antef I scelse di costruire per se stesso una tomba a saff di dimensioni gigantesche.
Il cortile di Saff Dawaba, come è oggi chiamato il suo monumento funebre, è un enorme
rettangolo, scavato nella roccia, lungo 300 m e largo 54; 400.000 m3 di ghiaia e roccia
tenera furono scavati e ammassati lungo i lati del cortile. La parte anteriore del cortile
(che probabilmente doveva comprendere in origine una sorta di cappella d’accesso) è
oggi sfortunatamente persa, ma la parte più interna della tomba - con la sua ampia
facciata, comprendente una doppia fila di pilastri scavati nella roccia e tre cappelle (una
per lo stesso re, e due probabilmente per le sue mogli) - è ancora relativamente ben
conservata. Poiché le superfici delle pareti sono completamente collassate non sappiamo
se in origine furono dipinte. Ciononostante, il Saff Dawaba sembra essere stato un
imponente monumento che rivela alcuni dei fondamenti della nuova monarchia. Prima di
tutto non c’è il minimo tentativo di imitare l’architettura funeraria dell’Antico Regno.
Anzi, i sovrani tebani crearono una tipologia di tomba regale prettamente tebana
direttamente sviluppando la tradizione locale.

Inoltre, al contrario di numerosi sovrani dell’Antico regno, non si sforzarono di cercare


un luogo esclusivo per la collocazione della propria tomba. Le tombe regali
continuarono ad essere situate nel cimitero principale di Tebe, sulla riva opposta (e
proprio di fronte) rispetto alla città e ai suoi templi. Qui la tomba regale non era
circondata solo da una cerchia ristretta di cortigiani, ma anche dalle sepolture della
popolazione locale. Inoltre, cappelle funerarie più piccole, realizzate lungo i lati del
cortile della tomba regale, consentivano anche la collocazione di sepolture di alcuni dei
suoi seguaci. Il messaggio veicolato da questa architettura, quindi, non era centrato solo
sulla posizione elevata del sovrano, ma anche sul fatto che questa monarchia era
profondamente radicata nell’ambiente tebano e nella società locale.

Gli immediati successori di Antef I (Wahankh Antef II e Nekhtnebtepnefer Antef III)


continuarono a costruire per sé tombe “a filare” molto simili nella necropoli di el-Tarif,
parallele alla Saff Dawaba. Quando Menuthotep II si spostò nel nuovo sito di Deir el-
Bahari, fu probabilmente solo perché nella necropoli di el-Tarif non vi era più spazio
sufficiente per una costruzione monumentale.

Wahankh Antef II (2112-2063 a.C.) (pp.134-135)

Mentre Mentre Mentuhotep I e Antef I, i primi due sovrani della dell’XI dinastia,
regnarono per soli 15 anni, i cinquanta anni di regno del fratello e successore di Antef,
Wahankh Antef II, appare come la fase più importante nello sviluppo della nuova
monarchia. Una gran quantità di evidenze archeologiche, epigrafiche e artistiche ci è
giunta dal suo regno, dandoci una visione chiara della natura della regalità texana. Antef
II rivendicò per sé il tradizionale titolo della doppia regalità (nswt-bity), così come il
titolo di “figlio di Râ”, che si riferiva al dogma della discendenza divina. Egli non
assunse però il completo protocollo regale con i cinque “Grandi nomi”, la cosiddetta
titolatura a cinque elementi (v. il cap. 1 per una discussione sui 5 nomi regali). In realtà,
al suo nome di nascita, Antef, egli aggiunse solo il “nome di Horus” Wahânkh
(“durevole di vita”), ma non il nome di incoronazione (che avrebbe dovuto
tradizionalmente contenere il nome del dio-sole Râ). Sfortunatamente solo poche
rappresentaiozni del sovrano ci sono pervenute, cosicché è difficile stabilire se egli usava
tutte le corone e le altre insegne della regalità, benché la documentazione a nostra
disposizione dimostra che ciò è improbabile. I primi sovrani tebani erano evidentemente
ben coscienti dei limiti del proprio potere.

Fedele alle proprie origini di notabile provinciale, Antef II fce realizzare una stele
autobiografica, collocata nella cappella d’entrata alla sua tomba “a filare” in el-Tarif. Il
monumento, che reca l’immagine del sovrano accompagnato dai suoi cani preferiti,
riassume in retrospettiva, le realizzazioni del suo regno; e le affermazioni contenute nel
testo sono ampiamente confermate dalle iscrizioni dei suoi seguaci.

Come già precedentemente accennato, c’è motivo di supporre che il potere dell’ultimo
nomarca tebano non regale si estendesse su buona parte dell’Alto Egitto meridionale.
Antef II, comunque, avviò anche la definitiva offensiva verso nord.

Egli sottomise il nomo di Abydos, che sin dall’epoca dell’Antico regno, era stato il
centro amministrativo più importante dell’Alto Egitto, e lanciò il suo attacco anche oltre
nel territorio del X nomo dell’Alto Egitto. Questo significò avviare una politica di aperta
ostilità contro i sovrani herakleopolitani, e per numerosi decenni la guerra dovette essere
combattuta alternativamente nella striscia di terra tra Abydos e Assyut.

Gli uomini del re (pp. 135-137)

Noi conosciamo alcuni degli uomini che prestarono servizio sotto Antef II. Il funzionario
militare Djari, per esempio, che combatté contro l’esercito herakleopolitano nel nomo di
Abydos e si spinse a nord nel X nomo; Hetepy di el-Kab, che gestiva l’amministrazione
dei tre nomoi più meridionali per il re; e il tesoriere di Intef, Tjetjy , la cui magnifica
stele è ora nella colezione del British Museum. Benché le iscrizioni biografiche di questi
personaggi avessero come funzione primaria quella di lodare le imprese dei loro
proprietari, non vi è il minimo dubbio riguardo al titolare della massima autorità:

Così dice Hetepy: Io ero uno amato dal mio Signore e lodato dal signore di questa terra;
e Sua Maestà rese veramente felice questo suo servo (Hetepy). Infatti Sua Maestà disse:
‘Non c’è nessuno altri che Hetepy che […] il mio comando, e questo servo agiva in
modo veramente eccellente, e Sua Maestà lodò questo servo a causa di iò. E i suoi nobili
dissero: ‘Possa questa faccia lodarti!”.

E’ senza dubbio estremamente significativo che non ci fossero più nomarchi nel
territorio controllato dai governatori tebani, e nessuno dei funzionari che effettuavano
importanti missioni per questi re aveva l’opportunità di auto-nominarsi governatore
locale, mediando tra gli interessi del proprio dominio e le richieste del sovrano. Lo stato
appena fondato non era organizzato come una rete a maglie larghe di notabili semi-
indipendenti, come si era verificato verso la fine dell’Antico Regno, ma come un potente
sistema basato su forti legami di lealtà personale e su uno stretto controllo.

Monumenti e arte (pp.137-138)

Oltre alle imprese militari, Antef II enfatizza nella sua iscrizione biografica la
costruzione di numerosi edifici sacri dedicati a divinità diverse: è a lui che risale, per
esempio, il più antico elemento architettonico regale del tempio di Karnak, si tratta di
una colonna su cui è inciso il suo nome. A Elefantina, scavi nel tempio della dea Satet
hanno rivelato una serie ininterrotta di fasi costruttive a partire dal Periodo Arcaico.
Mentre i sovrani dell’Antico Regno dedicarono solo poche offerte votive a Satet
sull’isola di Elefantina, Antef II fu il primo re ad erigere cappelle sia per la dea sia per
Khnum e a commemorare la propria attività in iscrizioni sui montanti dei loro portali.
Ognuno dei suoi successori della XI dinastia seguì il suo esempio.

La sequenza di eventi che è stata rivelata così chiaramente nel corso degli scavi ad
Elefantina, vale anche per siti sacri. Infatti, ad eccezione di pochi casi, l’attività edilizia
nei templi provinciali in Alto Egitto è documentata dall’XI dinastia in poi.

Antef II quindi può essere considerato l’iniziatore di una nuova politica della presenza e
dell’attività regale dei santuari, in tutto il paese – una politica che sarà poi ripresa su
larga scala da Sesostri I e da molti altri sovrani successivi.

I monumenti privati e regali dell’epoca di Antef II includono anche splendidi esempi


dell’arte texana dell’XI dinastia. Alcuni monumenti minori, quali la stele di Djari, per
esempio, esibiscono ancora l’audace stile artistico del Primo Periodo Intermedio in Alto
Egitto, ma, nello stesso tempo, le officine regali cominciavano a produrre opere
squisitamente equilibrate, caratterizzate da un modellato preciso e morbido, il cui
particolare risultato estetico derivava spesso dal contrasto tra le ampie superfici piane e
le aree decorate da dettagli finemente incisi quali gonne dalle elaborate pieghettature o
parrucche dall’intricata acconciatura. In queste opere c’è un chiaro, evidente desiderio di
creare un mezzo adatto a veicolare le aspirazioni della nuova dinastia.

Concentrandosi sugli sviluppi in Alto Egitto, è possibile ricostruire l’emergere di una


nuova struttura politica che doveva condurre, senza soluzione di continuità, alla
formazione dello stato del Medio Regno. Questo processo, destinato ad avere
un’influenza enorme sul futuro dell’Egitto, dovrebbe essere considerato come il più
importante fenomeno nella storia del Primo Periodo Intermedio. Noi non dobbiamo
dimenticare, tuttavia, che il regno tebano occupava solo una piccola, remota e
relativamente insignificante parte di tutto l’Egitto. I periodi di guerra e conflitto, le cui
drammatiche narrazioni abbondano nella letteratura biografica di questo periodo,
dovevano corrispondere senza dubbio a episodi brevi e localizzati. Nella maggior parte
dei luoghi, per la maggior parte del tempo e per la maggioranza della popolazione il
Primo Periodo Intermedio deve essere stato un’esperienza molto meno emozionante.
Durante il Primo Periodo Intermedio, buona parte del paese era nelle mani dei successori
herakleopolitani della monarchia menfita. Per formulare un giudizio equilibrato del
periodo è pertanto fondamentale concentrarsi sulla situazione del regno herakleopolitano
oltre che sulla realtà del sud del paese.

Il regno herakleopolitano (pp. 138-139)

Noi conosciamo davvero molto poco dei diciotto o diciannove re che costituirono la
dinastia heracleopolitana di Manetone, occupando il trono d’Egitto per un periodo di
forse 185 anni. Persino i loro nomi rimangono per lo più sconosciuti e, con una o due
eccezioni, è impossibile assegnare i pochi sovrani nominati nella loro posizione
cronologica precisa all’interno della sequenza dinastica. Inoltre, nessuna delle durate dei
loro regni è conosciuta. Secondo Manetone, la dinastia heracleopolitana fu fondata da un
re chiamato Khety, e questa notizia è confermata da evidenze epigrafiche contemporanee
che si riferiscono al regno settentrionale come “Casa di Khety”. Rimaniamo invece nella
completa ignoranza sia per quanto riguarda le origini sociali di Khety, sia sulle
circostanze della sua ascesa al trono.

Le fonti supportano inoltre inequivocabilmente l’asserzione di Manetone secondo la


quale vi sarebbe stato un legame tra questa dinastia e la città di Herakleopolis Magna.
Molto probabilmente i re risiedevano effettivamente a Herakleopolis, mentre la scelta di
Merikara (circa 2025 a.C.), l’ultimo o penultimo dei sovrani herakleopolitani, di essere
seppellito nella necropoli di Saqqara appare come una chiara indicazione che i regnanti
herakelopolitani si sentivano perfettamente in linea con la tradizione della regalità
menfita. Il fatto poi che il nome di incoronazione di Neferikara Pepy II – l’ultimo grande
sovrano dell’Antico Regno - fosse assunto da almeno uno dei re herakleopolitani (come
già avevano fatto numerosi dei sovrani dell’VIII dinastia) è un’ulteriore indizio della
volontà di inserirsi in questa tradizione.

Nessuno dei sovrani herakleopolitani ha lasciato alcun monumento, o almeno nessuno di


essi è stato ad oggi rinvenuto, benché questo può dipendere in parte dal fatto che
l’esplorazione archeologica del sito di Herakleopolis Magna, (la moderna Ihnasya el
Medina) è in corso solo dal 1966. Il fatto che nessuna delle piramidi herakleopolitane sia
stata fino ad oggi identificata con certezza nella necropoli di Saqqara può facilmente
spiegata con il fatto che queste fossero costruzioni piuttosto inconsistenti, probabilmente
molto simili alla piccola piramide del re Qakara Ibi appartenente all’VIII dinastia (v.
pag. 117). E’ evidente comunque che, nemmeno nel cuore del proprio territorio, gli
herakleopolitani riuscirono mai a stabilire un potente sistema centralizzato su modello
dello stato dell’Antico Regno.

La maggior parte dei riferimenti alla dinastia herakleopolitana deriva da monumenti


privati, che comprendono principalmente iscrizioni biografiche, dal Medio Egitto
settentrionale e dall’Alto Egitto, ed essi si incentrano principalmente sulle ostilità tra
herakleopolitani e tebani, un argomento sul quale torneremo più avanti. L’era
herakleopolitana costituisce inoltre l’ambientazione storica di due tra i più importanti
testi filosofici e letterari che ci sono giunti dall’Antico Egitto, Le istruzioni per il re
Merikara e la Storia del contadino eloquente. E’ oggi opinione largamente diffusa che
questi “Saggezze” furono composte nel corso del Medio Regno benché le precise
circostanze delle loro origini e le vicissitudini della loro trasmissione testuale rimangano
tuttora oggetto di controversie. La maggior cautela riguarda soprattutto il loro uso come
fonti storiche. Gli insegnamenti per Merikara, per esempio, incorporano una narrazione
di sottofondo in cui il padre del re appare coinvolto nel controllo di infiltrazioni asiatiche
nel Delta orientale. Osservando la situazione nel suo insieme, un simile scenario non
appare inverosimile, ma non esiste alcuna altra evidenza che una immigrazione asiatica
fosse recepita come problema durante il Primo Periodo Intermedio (nonostante essa sia
certamente documentata per il più tardo medio Regno).

L’era herakleopolitana nella storia sociale e culturale (pp. 139-142)

Considerando la carenza di dati concernenti la storia dinastica dei sovrani


herakleopolitani, risulta ancor più importante domandarsi se il regno herakleopolitano
possa essere considerato come entità sociale e culturale autonoma.

Rivolgendoci all’evidenza archeologica, dobbiamo concentrarci sulle aree centrali del


regno herakleopolitano: le regioni di Menfi e del Fayum. Dal punto di vista
archeologico, il Medio Egitto meridionale apparteneva infatti alla regione alto-egiziana.

Nel nord ci troviamo ad affrontare un duplice problema. Le fonti disponibili non


riescono a tracciare un quadro storico dettagliato e coerente come i dati relativi all’Alto
Egitto; è quindi estremamente difficile stabilire una solida sequenza archeologica.
Inoltre, non vi sono gruppi chiave di materiali che possono essere datati precisamente in
termini dinastici. Rimangono spesso difficili da individuare i monumenti che devono
essere assegnati al periodo herakleopolitano vero e proprio e quali invece appartengono
al periodo successivo alla riunificazione del paese e all’inizio del Medio Regno.

Per molti aspetti, lo sviluppo del materiale archeologico nel nord segue lo stesso
percorso di quello alto-egiziano. Per esempio, i modelli in legno riproducenti servitori e
laboratori di artigiani, le maschere di cartonnage e le grandi tombe comuni per famiglie
estese, appaiono in entrambe le aree e gli usi funerari appaiono in larga misura gli stessi.
Per alcune categorie di artefatti, quali vasi in pietra e amuleti con sigillo a stampo, il
nord e il sud utilizzavano gli stessi modelli. A giudicare dal materiale archeologico, le
comunità che costituivano la società herakleopolitana sembrano aver soggiaciuto a
modelli di sviluppo culturale e sociale simili al resto del paese.

Alcune differenze importanti comunque non devono essere trascurate. Lo sviluppo nelle
forme dei vasi in ceramica, per esempio, segue un percorso completamente differente nel
nord. Qui, il vecchio modello ovoidale non fu abbandonato come avvenne nel sud.
Emergono invece una serie molto particolare di snelle giare ovoidi, spesso con basi
appuntite e originali colli cilindrici o imbutiformi. Le forme ceramiche sviluppatesi nel
nord durante il Primo Periodo Intermedio si rifanno in maniera molto più evidente alla
tradizione dell’Antico Regno.

Neanche nel regno herakleopolitano, comunque, sopravvive la cultura d’elite che aveva
caratterizzato l’aristocrazia dell’Antico Regno. Di conseguenza il profilo sociale degli
occupanti delle antiche necropoli nella regione menfita cambiò completamente. Per i
primi egittologi, abituati a confrontarsi, per le proprie valutazioni, con la cultura di corte
dell’Antico Regno, questo sembrava evocare eventi drammatici. Posto in un più ampio
panorama, invece, è chiaro che stiamo solo osservando il passaggio da condizioni
straordinarie ad una fase di relativa normalità, quando le necropoli menfite divennero
simili ai cimiteri dei centri provinciali. Certamente, quando Menfi perse la sua
condizione di dominio alla fine dell’Antico Regno, ciò deve aver comportato mutamenti
profondi nelle condizioni di vita dei suoi abitanti.

Ma il dato archeologico relativo alle necropoli menfite non può essere usato come prova
di una rivoluzione sociale o una guerra civile dopo il crollo dell’Antico Regno.

In numerosi siti importanti – Saqqara, Heliopolis e Herakleopolis Magna (inserire foto


con didascalia di pag. 141) – sono documentate piccole tombe a mastaba, contenenti
cappelle per offerta decorate e false porte, che consentono di identificare e valutare lo
stile dell’arte herakleopolitana. La tradizione dell’Antico Regno è in primo piano. Le
scene di rituali e di vita quotidiana, la disposizione della decorazione, e lo stile
dell’incisione seguono molto da vicino modelli dell’Antico Regno – ma tutto in
proporzioni ridotte. Qui, nella regione menfita e nei suoi immediati dintorni, dove erano
a disposizione per un confronto immediato i monumenti del glorioso passato dell’Egitto
e dove la sue tradizioni artigianali si erano radicate per secoli, l’eredità dell’Antico
Regno non andava dimenticata.

La serie completa di situazioni in cui queste tradizioni erano messe in pratica durante il
Primo Periodo Intermedio probabilmente ci sfugge a causa dello stato lacunoso della
ricerca archeologica nell’area alla fine del XX secolo. Comunque, immediatamente dopo
la riunificazione, il sovrano dell’XI dinastia, Nebhepetra Mentuhotep II poté contare
sulla competenza degli artisti e tagliatori di pietra menfiti per la costruzione e la
decorazione del suo tempio funerario a Deir el Bahari. E’ in questo regno che assistiamo
all’improvviso riapparire di un livello di competenza che non era più documentato dal
tempo delle piramidi dell’Antico Regno.

L’organizzazione interna del regno herakleopolitano (pp. 142-143)


E’ ben noto che durante il primo periodo herakleopolitano, l’Alto Egitto meridionale
sfuggì al controllo regale, mentre è meno chiaro quello che avvenne a quelle aree del
paese che rimasero fedeli alla casa regnante herakleopolitana fino alla fine. Le fonti
relative includono documenti prosopografici e iscrizioni biografiche del Medio Egitto
meridionale. Tra queste, un posto di primo piano va assegnato alle iscrizioni delle tombe
dei soprintendenti ai sacerdoti di Asiut. Nella parte finale del periodo herakleopolitano,
Asiut divenne l’avamposto militare più importante in Alto Egitto, e rimase fedele ai
sovrani herakleopolitani nella loro lotta contro i ribelli tebani. Le iscrizioni biografiche
di tre funzionari, che ricoprirono un ufficio consecutivamente, forniscono informazioni
cruciali sia sul corso degli eventi politici sia sulle opinioni correnti in relazione
all’ideologia di governo.

Ulteriori informazioni possono essere dedotte da un gruppo di graffiti iscritti sulle pareti
delle cave di travertino di Hatnub da parte di emissari di un nomarca, Neheri, del nomo
di el-Ashmunein, la cui tomba rupestre è stata rinvenuta a el-Bersha. La data probabile
per questi testi sembra essere la fine del periodo herakleopolitano (benché alcuni studiosi
la contestino).

In ogni caso è evidente che la loro Weltanschauung fosse fermamente radicata nella
tradizione herakleopolitana.

Gli argomenti trattati nei testi di Asiut e Hatnub sono simili, per molti aspetti, a quelli
documentati in altri testi provenienti da zone più meridionali. Anche qui, uno dei topoi
preminenti è quello del governatore che rivendica il proprio impegno nel risolvere le
situazioni critiche delle proprie città. L’iscrizione biografica del più antico dei
soprintendenti ai sacerdoti di Asiut fornisce anche una dettagliata descrizione delle
misure da lui prese per migliorare il sistema di irrigazione allo scopo di assicurare
raccolti sufficienti in anni difficili. Viene inoltre enfatizzata la prodezza militare dei
nomarchi, il successo in battaglia contro il nemico straniero (cioè il governatore tebano),
e la creazione di condizioni di sicurezza all’interno delle proprie città. Né viene
dimenticato l’impegno del governatore locale per i templi dei propri centri urbani: nei
testi sono menzionate sia le opere di costruzione nei santuari, sia la fornitura di beni per i
bisogni dei relativi culti.

Contrariamente a quanto avviene nel testo di Ankhtify, però, nei testi di Asiut il
mantenimento di uno stretto legame con il re svolge un ruolo significativo. Gli stessi
nomarchi rivendicano la discendenza da antichi rami aristocratici, mentre legami
personali sembrano avvicinarli alla casa herakelopolitana. Uno di essi racconta, per
esempio, di aver ricevuto in gioventù lezioni di nuoto insieme a giovani della famiglia
reale e cita il proprio intervento armato in Alto Egitto. Il regno herakleopolitano era
insomma ben presente ai governatori locali del Medio Egitto meridionale.

Per quanto riguarda la struttura interna del regno herakleopolitano, le nostre fonti sono
decisamente scarse. Ciononostante, il materiale disponibile sembra suggerire che i
sovrani herakleopolitani facessero affidamento su una classe di aristocratici locali fedeli
alla Corona, soprattutto in quei casi in cui erano presenti forti legami personali (per
esempio, per mezzo di parentele, matrimoni o amicizia). Sembra in ogni caso che questi
aristocratici tenessero in altissima considerazione anche il legame con le proprie città, il
cui benessere risultava in alcuni casi elemento discriminante per il mantenimento della
propria condizione di fedeltà. In questo senso, il regno herakleopolitano sembra aver
ereditato un'altra delle caratteristiche dell’Antico Regno e averne quindi condiviso una
delle sue debolezze strutturali.

Kom Dara (pp. 143-144)

In un contesto del genere può essere significativo menzionare un monumento che,


seppur enigmatico, appare di una certa importanza. Nella necropoli di Dara, a circa 27
km a valle di Asiut in Medio Egitto, una gigantesca mastaba in mattoni crudi occupa una
posizione cruciale. L’edificio non è stato ancora investigato del tutto. Allo stato attuale,
occupa un’area di 138 x 144 m (cioè 19.872 m2) delimitata da un massiccio muro
perimetrale che doveva in origine innalzarsi fino a 20 m di altezza. La cappella funebre,
che doveva certamente far parte del complesso, non è stata ancora trovata.
L’infrastruttura era raggiungibile attraverso una rampa discendente che tagliava al centro
la parete settentrionale, e conduceva ad una singola camera funeraria sotterranea rivestita
di grandi lastre di calcare.

Le enormi dimensioni della tomba, unitamente alla pianta quadrata e alla posizione della
camera funeraria, richiamano immediatamente alla mente la piramide. Tuttavia,
un’analisi più attenta della sua struttura rivela al di là di ogni dubbio che l’edificio non
fu mai programmato come piramide. In effetti, l’accesso settentrionale alla camera
funeraria è un tratto comune all’architettura privata del tardo Antico Regno, mentre la
pianta quadrata della sovrastruttura è perfettamente comparabile a tombe minori dello
stesso cimitero di Dara. Kom Dara può essere interpretata come tomba monumentale
sviluppatasi da un prototipo locale, analogamente a quanto avverrà a Tebe, dove le
tombe dei sovrani si svilupperanno a partire dal più semplice modello a saff creato per il
culto funerario dei privati.

In base alla ceramica, Kom Dara può essere datato alla prima metà del Primo Periodo
Intermedio. Il suo proprietario resta per il momento sconosciuto, e non esiste alcuna
prova a sostegno di un’identificazione, più volte asserita, con un altrimenti ignoto re
Khuy, il cui nome appare su un frammento di basso-rilievo trovato riutilizzato in un altro
edificio del sito. La stessa tomba tuttavia documenta inequivocabilmente le aspirazioni
del suo proprietario ad un ruolo politico che superava, di gran lunga, quello di un
semplice nomarca, indipendentemente dal fatto che questi avesse effettivamente osato
assumere i titoli della regalità.

Non vi sono documenti storici che possono dirci cosa sia effettivamente successo in
questo sito, ma l’intero contesto suggerisce che il proprietario di Kom Dara non riuscì a
stabilire un centro di potere autonomo, come invece fecero i tebani in un periodo di poco
successivo. Può essere in ogni caso interessante andare un po’ oltre con le ipotesi. Nelle
ampie e fertili pianure del Medio Egitto, qualsiasi ambizioso dinasta locale era destinato
a trovarsi immediatamente circondato da un gruppo di potenti rivali. La stessa situazione
geografica, d’altra parte, potrebbe aver contribuito a equilibrare il potere tra un certo
numero di governatori locali che, a loro volta, potrebbero aver avuto interesse a
mantenere la supremazia regale. Inoltre, non sembra troppo azzardato suggerire che qui,
in una delle aree più produttive del paese dal punto di vista agricolo, la Corona avesse
grandi interessi in gioco e di conseguenza si sentisse meno incline a tollerare le
avventure politiche di governatori locali, come invece accadeva per le remote regioni
della “testa del sud” (cioè la regione tebana).

La battaglia finale (pp.144-145)

……quando Wahankh Intef II attaccò il nomo tinita e si spinse verso nord, trovando la
sua avanzata controllata dai nomarchi di Asiut. Il documento di almeno un contrattacco
da parte degli heraklepolitani è sopravvissuto in forma di un’iscrizione molto
frammentaria nella tomba di Ity-yeb (il secondo in sequenza dei soprintendenti dei
sacerdoti di Asiut), che racconta di operazioni militari vittoriose contro i “nomoi del
sud”. Inoltre, la narrazione contenuta negli Insegnamenti per Merikara sostiene che il re
Merikara aveva riconquistato Abydos. Se questi fatti sono da collegare alla “ribellione di
Tinis”, documentata su una stele del XIV anno di regno di Mentuhotep II, è tuttora
oggetto di discussione.

E’ chiaro comunque che questo successo militare herakleopolitano non ebbe effetti
durevoli sui risultati, dal momento che la tomba del figlio di Ity-yeb, Khety II,
dell’epoca di Merikara, contiene la notizia di ulteriori conflitti con gli aggressori tebani.
Della sequenza di eventi di questa fase finale del conflitto non è rimasta alcuna
documentazione, ma si può difficilmente dubitare che Asiut fu presa con la forza. In
ogni caso, la famiglia regnante di Asiut non sopravisse alla vittoria tebana.

Mancano informazioni sulla ulteriore avanzata verso nord di Mentuhotep II, ma sembra
improbabile che egli abbia dovuto combattere ad ogni stadio del suo percorso. Al
contrario, è probabile che la rete del regno herakleopolitano sul Medio Egitto si sia
dissolta dopo che Asiut era stata sconfitta, e i governatori locali possono dunque essere
stati liberi di passare dalla parte vincente prima che fosse troppo tardi, con la speranza di
salvare se stessi le loro città dal “terrore che fu diffuso dalla casa del re ‘tebano’.

Noi non conosciamo il destino dell’ultimo re herakleopolitano né i dettagli della cattura


della città di Herakleopolis, ma scavi recenti nella necropoli di Ihnasia el-Medina,
mostrano che i suoi monumenti funerari fossero ridotti in pezzi ad un certo momento
dell’inizio del Medio Regno. Si è tentati di utilizzare questo dato archeologico come
prova dell’eventuale distruzione e saccheggio della capitale settentrionale d’Egitto.

Il Primo Periodo Intermedio in retrospettiva (pp. 145-147)

Gli egittologi presentano ancora un’immagine negativa del Primo Periodo Intermedio. E’
caratterizzato da un periodo di caos, declino, misera, e dissoluzione sociale e politica:
una ‘dark age’ che separa due epoche di gloria e potere. Questo quadro comunque è
basato solo parzialmente su una valutazione (obiettiva) delle fonti contemporanee. E
riproduce in larga misura – talvolta con sorprendente spirito naïf – il tema letterario
sviluppatosi in un gruppo di testi letterari del Medio Regno. Le cosiddette Ammonizioni
di un saggio egiziano e la Profezia di Neferti costituiscono il nucleo principale di questo
genere, nel quale vanno comunque annoverati numerosi altri testi “pessimistici”- quali le
Lamentazioni di Khakheperrasoneb e il Dialogo tra un uomo stanco della vita e il suo
“ba” -. in questi testi viene lamentato uno stato di completo disordine, al quale si oppone
la descrizione di come le cose dovrebbero effettivamente essere. L’ordine sociale è del
tuto capovolto, il ricco è divenuto povero mentre il povero è ricco, l’instabilità politica e
l’insicurezza dominano l’intero paese; i documenti amministrativi vengono stracciati; ci
sono diversi governatori al potere contemporaneamente; la terra è invasa dagli stranieri;
la base morale della vita sociale è distrutta; i rapporti tra le persone si basano sono
caratterizzate dall’indifferenza e dall’odio; le sacre scritture sono profanate. Questo stato
generale di disordine non è limitato al mondo sociale, ma assume dimensioni anche
cosmiche: il fiume non scorre più come dovrebbe, e persino il sole non ha più la
brillantezza di un tempo.

Va detto comunque che questi testi non fanno specifico riferimento a dati storici che
consentano di ambientarli con certezza nel I Periodo Intermedio. Anzi, nella Profezia di
Neferti, l’avvento di Amenemhat I (1985-1956) è predetto come evento che porterà
sollievo da uno stato di caos, che va dunque situato cronologicamente nella tarda XI
dinastia, non nel I periodo Intermedio. Si richiede dunque un’attenta valutazione dei dati
per determinare se questi testi siano relazionati alla storia del I Periodo Intermedio, e in
caso affermativo, è necessario domandarsi come essi si relazionino ai reali eventi storici.

I testi databili effettivamente al I Periodo Intermedio mancano di quella intensa nota di


disperazione che è il marchio della letteratura “pessimistica” del Medio Regno. Essi
parlano di crisi, ma di crisi brillantemente superate: energia, fiducia in se stessi, orgoglio
nelle proprie realizzazioni rappresentano lo stato d’animo del tempo. Certo vi è un
numero di sorprendenti analogie tematiche tra le biografie del I Periodo Intermedio e la
letteratura pessimistica del Medio Regno, (magre del Nilo, carestie, instabilità sociale,
guerra, stati di crisi che colpiscono i fondamenti dello stato) ma queste similitudini
dimostrano, soprattutto, rapporti letterari tra le due produzioni.

Un altro aspetto dell’evidenza testuale sembra ancora più importante. Nelle iscrizioni del
I Periodo Intermedio, racconti di crisi servono a legittimare il potere dei governatori
locali. Nello stesso modo, l’immagine estremamente elaborata di un periodo di assoluto
caos, nella più tarda letteratura pessimistica, fornisce lo sfondo cupo sul quale far
risplendere e giustificare la salda politica di legge e ordine condotta dai re del Medio
Regno. I fondamenti ideologici della monarchia del Medio Regno, quindi, poggiano
stabilmente su ciò che conosciamo del pensiero del I Periodo Intermedio.
Questi paralleli tra la letteratura “pessimistica” del Medio Regno e i testi del I Periodo
Intermedio rivelano quanto profondo sia stato l’impatto di quest’ultimo sulla coscienza
collettiva degli egiziani del Medio Regno e sulla loro visione dei rapporti politici e
sociali. D’altra parte, sarebbe estremamente fuorviante cercare di usare i testi letterari
del Medio Regno come fonti degne di fede per la storia del I Periodo Intermedio. La
ricostruzione di quest’epoca proposta nel presente capitolo si basa su fonti
contemporanee; questo tentativo di valutare la documentazione conservataci in tutti i
suoi aspetti rende molto più difficile accettarne la tradizionale visione negativa. Di
contro non si può non rimanere colpiti dal dinamismo e dalla creatività del periodo.
Quando Sesostri I donò una statua del “principe” Intef, antenato dell’XI dinastia, al
tempio di Karnak, egli riconosceva le origini della regalità del Medio regno nelle lotte
che i sognori locali avevano combattuto per l’ascesa al potere durante il I Periodo
Intermedio. A parte per la sua importanza politica, l’impatto che questo periodo ebbe
sulla storia culturale dell’Egitto non può essere negata. Un’intera serie di nuovi tipi
morfologici fu sviluppata in quasi tutti i setori della cultura materiale, includendo quelle
invenzioni di particolare successo, quale per esempio il sigillo a forma di scarabeo.

Ma più di tutto è importante il fatto che alla cultura popolare fu data l’opportunità di
fiorire in un periodo in cui la prepotenza della cultura di corte si era affievolita, in
conseguenza dell’indebolimento del potere centrale, che aveva precedentemente
(nell’Antico Regno) imposto pesanti richieste alle comunità provinciali.

Nel I Periodo Intermedio, gli abitanti delle province godettero, in tutto il paese, di un
certo - seppur limitato – benessere; acquisirono nuovi mezzi di espressione culturale e di
comunicazione e furono in grado di organizzare la propria vita nell’ambito del ristretto
orizzonte dei propri interessi.
La Rinascita del Medio Regno (c.2055- 1650 a.C.).

GAE CALLENDER

A differenza del Primo e del Secondo Periodo Intermedio, il Medio Regno (2055-1650
BC) rappresentò una realtà politica unitaria, articolata in due fasi: la XI dinastia che
regnò dalla città alto egiziana di Tebe e la XII dinastia stabilitasi nella regione di Lisht
nel Fayyum. Nonostante i primi storici pensassero che la XI e XII dinastia
rappresentassero l’intera durata del Medio Regno, alcuni studi più recenti hanno
dimostrato che almeno la prima metà della XIII dinastia (che non presenta
apparentemente le caratteristiche di una vera e propria dinastia, dal punto di vista
politico) appartiene senza dubbio al Medio Regno. Non vi fu né spostamento della
capitale o residenza regale, né riduzione dell’attività di governo, né tantomento declino
nel campo artistico, anzi, alcune delle maggiori opere dell’arte e della letteratura del
Medio Regno datano alla XIII dinastia. Si verificò, invece, un vero e proprio declino
nell’architettura monumentale su larga scala, un indizio significativo del fatto che la XIII
dinastia non era abbastanza forte né tanto meno ispirata dai grandiosi ideali che avevano
caratterizzato i regni degli ultimi sovrani della XII dinastia. Senza dubbio ciò fu causato
dalla breve durata dei regni della maggior parte dei suoi sovrani, anche se le ragioni di
questi cambiamenti nel quadro politico sono state ancora chiarite del tutto. Il modo più
semplice per dare un senso al quadro storico generale del Medio Regno è quello di
studiarne la successione dei sovrani e delle loro realizzazioni, dal momento che essi
fissarono le direttive politico-culturali del periodo. Tuttavia, nel perseguire questo
obiettivo, siamo obbligati a confrontarci con uno dei più grandi problemi nella
comprensione della

storia del Medio Regno: il problema della “correggenza” dei sovrani della XII dinastia.
Posta in parole semplici la questione è: questi sovrani hanno realmente condiviso il trono
con i loro successori? Elementi cruciali nel dibattito sono le cosiddette stele a “doppia
datazione”, testi che incorporano i nomi di due sovrani successivi insieme alle rispettive
date di regno. Se questi documenti rappresentino una divisione di potere da parte dei due
faraoni o semplicemente gli anni durante i quali i proprietari delle stele avevano
ricoperto una carica sotto ognuno dei due sovrani, è ancora una questione irrisolta. La
cronologia standard della XII dinastia è stata rimodellata nel tempo alla luce degli
approfonditi studi dei documenti datati, ed una parte di questo nuovo lavoro ha reso
molto più brevi alcuni regni di quanto suggerito dal frammentario Papiro di Torino e
dalle epitomi di Manetone. I regni più controversi sono quelli di Sesostri II e III per i
quali sussistono parecchie discrepanze fra le cronologie proposte dai diversi studiosi. La
scoperta di certi “marchi di controllo in ieratico” incisi sulla muratura dei monumenti di
Sesostri III ha aggiunto ulteriore confusione a queste cronologie cosicché le datazioni
dei regni della XII dinastia sono ancora in uno stato di fluttuazione. Josef Wegner, per
esempio, ha sostenuto, con notevoli indizi, l’ipotesi che il regno di Sesostri III avesse
avuto una durata di 39 anni; indizi che – insieme alla scoperta a Lisht del riferimento al
suo XXX anno di regno e alla prove della celebrazione della sua festa sed (giubileo
regale) – dovrebbero dimostrare un periodo di regno di questo sovrano più lungo di
quanto le moderne cronologie suggerirebbero.

Ci sono fondati argomenti inoltre per sospettare che il regno di Sesostri II sia durato 19
anni (come suggerito anche dai papiri scoperti nella città di Lahun), quindi molto di più
del breve periodo di regno che la cronologia rivista gli assegna, anche se ci sono delle
difficoltà nell’accogliere regni così estesi all’interno delle date assolute proposte da
alcuni studiosi. La notevole lunghezza di alcuni dei regni della XII dinastia ben si
adatterebbe alla teoria della correggenza, basata sui monumenti a doppia datazione;
tuttavia sono anche stati forniti argomenti convincenti anche da studiosi che cercano di
rifiutare alcune specifiche correggenze, quali quelle di Amenemhat I - Sesostri I,
Sesostri I – Amenemhat II, Sesostri III – Amenemhat III. Dal momento che non sono
state ancora stabilite “date assolute” nella storia egiziana (a parte le cronologie basate sul
radio-carbonio) almeno fino alla fine del Nuovo Regno, e poiché persistono ancora
discussioni sugli schemi di datazione alta, media e bassa, c’è la possibilità di revisionare
la cronologia di tutto il periodo faraonico. È possibile che il nuovo materiale
archeologico emergente da Tell el-Dab’a (si veda Capitolo 8) aiuterà a risolvere alcune
delle problematiche della cronologia del Medio Regno ma, nel frattempo, il resoconto
fornito in questo capitolo non considera le correggenze come delle sovrapposizioni di
regni1 in attesa di ulteriori prove.

La XI dinastia.

Il primo sovrano della XI dinastia a ottenere il controllo dell’intero Egitto fu Nebhepetra


Mentuhotep II (2055-2004 BC) che probabilmente successe a Nakhtnebtepnefer Intef III
(2063-2055 BC) sul trono tebano. L’incredibile impresa di riunificazione dell’Egitto da
parte di Mentuhotep era riconosciuta dagli stessi Egiziani antichi e ancora nella XX
dinastia vi erano numerose tombe private contenenti delle iscrizioni che ne celebravano
il ruolo di fondatore del Medio Regno. L’incremento dei documenti storici e dei
monumenti, l’evidente prosperità del paese durante gli ultimi anni del suo regno, e la
rinascita e lo sviluppo di tutte le forme artistiche, sono chiari indicatori del suo successo
nel restaurare la pace. Ed in questo senso, è giusto riflettere sul fatto che, dopo un tale
avvio promettente, la XI dinastia sia collassata in soli 90 anni dalla sua morte.

Nebhepetra Mentuhotep II

Fra i rilievi rupestri di differente datazione nella falesia del Wadi Shatt el-Rigal, 8 km a
nord del Gebel el-Silsila, se ne trova uno che include una colossale figura del re
Nebhepetra Mentuhotep II che sovrasta altre tre figure: sua madre, il suo probabile
predecessore Intef III e Khety, il cancelliere che servì entrambi i sovrani. Questa è stata a
lungo considerata una prova del fatto che Mentuhotep fosse figlio di Intef III.
Un’ulteriore prova sembra essere fornita da un rilievo su un blocco murario, proveniente
dal sito di Tod, che ritrae Mentuhotep II che sovrasta una fila di tre sovrani chiamati
Intef, allineati dietro di lui, ancora una volta suggerendo sia legami familiari con gli Intef
sia un lungo lignaggio regale. Questa insistenza sul “lignaggio”, comunque, induce a
porre la questione sulle reali origini di Mentuhotep e non ci si dovrebbe meravigliare né
di scoprire che Mentuhotep non era figlio di re né che questi documenti fossero un
deliberato tentativo di controbilanciare le pretese avanzate dai sovrani herakleopolitani
come membri della “Casa di Khety” (si veda capitolo 6).

Sembra che Mentuhotep II abbia regnato tranquillamente sul suo regno tebano per 14
anni prima che esplodesse l’ultima fase della guerra civile fra Herakleopolis e Tebe. Non
conosciamo praticamente nulla di questo conflitto ma una vivida immagine della sua
ferocia potrebbe essere sopravvissuta nella cosiddetta “Tomba dei guerrieri” a Deir el-
Bahari non lontano dal complesso funerario di Mentuhotep II. In questo luogo si sono
infatti conservati dalla disidratazione i corpi avvolti in lino, ma non mummificati, di 60
soldati, chiaramente uccisi in battaglia e sepolti tutti insieme in una tomba comune
scavata nella roccia. Nonostante la totale assenza di tracce di imbalsamazione, questi
corpi sono i meglio conservati del Medio Regno. Poiché furono sepolti in gruppo e in
prossimità del cimitero regale, si è supposto che fossero morti in un conflitto
particolarmente eroico, forse connesso con la guerra contro Herakleopolis. Il sovrano
herakleopolitano, Merykara, morì prima che Mentuhotep raggiungesse Herakleopolis e,
con la sua morte, la resistenza herakleopolitana dovette esaurirsi poiché il successore di
Merykara resse il regno del nord solo per pochi mesi. La vittoria di Mentuhotep
sull’ultimo sovrano herakleopolitano gli fornì l’opportunità di riunire l’Egitto, ma noi
abbiamo solo una conoscenza indiretta di quanto dovettero essere lunghi e duri questi
combattimenti. Questo processo potrebbe aver richiesto parecchi anni, dal momento che
ci sono sporadici riferimenti ad altri combattimenti durane tutta questa parte del regno di
Mentuhotep. Uno degli indizi dell’insicurezza che si respirava in quel periodo è
l’inclusione delle armi nel corredo funerario delle persone comuni; un altro è la
rappresentazione, sulle stele funerarie, di amministratori che portano armi invece delle
insegne regali ufficiali. Ad ogni modo tali “articoli” sembrano diminuire di frequenza,
allorché la pace e la prosperità economica cominciano a diffondersi nel paese. La
riconquista di Mentuhotep incluse anche alcune incursioni nella Nubia che era tornata ai
dinasti locali durante le ultime fasi dell’Antico Regno. Vi era almeno una linea dinastica
autoctona che controllava parti della Nubia all’epoca in cui gli eserciti di Mentuhotep II
vi penetrarono. Un’iscrizione su un blocco murario proveniente da Deir el-Ballas,
sebbene appartenente al suo regno, cita campagne militari in Wawat (Bassa Nubia) e si
sa anche che Mentuhotep stabilì una guarnigione nella fortezza di Elefantina da cui le
truppe potevano essere più rapidamente spiegate verso sud. Oltre all’enfasi sul proprio
lignaggio, parte della strategia di Mentuhotep per accreditare la sua reputazione agli
occhi dei contemporanei e dei successori era costituito da un programma di auto-
deificazione. Egli è descritto come “figlio di Hathor” su due frammenti da Gebelein
mentre a Dendera e Assuan “usurpò” il copricapo di Amon e Min mentre altrove indossò
la corona rossa con due piume. A Konosso, vicino File, egli assunse le fattezze del dio
itifallico Min. Sia questa iconografia che il suo secondo nome di Horus, Netjeryhedjet (il
divino dalla corona bianca), enfatizzano questa auto-deificazione. La documentazione
proveniente dal tempio di Deir el-Bahari propaganda indica che egli intendeva essere
adorato come dio nella sua Casa di Milioni di Anni, anticipando di centinaia di anni
l’ideologia che sarà preoccupazione religiosa centrale nel Nuovo Regno. È evidente che
egli stesse riaffermando il culto del monarca. La divinizzazione della propria figura si
accompagnava anche ad un cambiamento del nome. Durante il suo regno, Mentuhotep
modificò più volte il proprio nome di Horus, sempre in concomitanza con una precisa
svolta politica. Sematawy (colui che unisce i due paesi) fu l’ultimo cambiamento la cui
prima attestazione risale al XXXIX anno di regno.

In ogni caso, il re aveva sicuramente celebrato la sua festa sed prima del XXXIX anno di
regno, e fu forse in quell’occasione che aveva assunto quel nome.

Il governo del regno.

Mentuhotep governò da Tebe che fino ad allora non era stata una città particolarmente
importante nell’Alto Egitto. Era però un’ottima sede da cui esercitare il controllo sui
rimanenti nomarchi (governatori provinciali), e la maggior parte degli stessi ufficiali di
Mentuhotep era di origine locale. I loro compiti avevano un raggio d’azione molto
ampio: il visir, Khety, condusse per il sovrano varie campagne militari in Nubia mentre
il cancelliere, Meru, controllava il deserto orientale e le oasi. Quest’ultimo incarico era
molto più significativo di quanto lo fosse stato nell’Antico Regno. In aggiunta alla già
esistente carica di “Governatore dell’Alto Egitto”, ne fu creata un’altra ugualmente
potente, quella di “Governatore del Basso Egitto”. Questo rafforzamento del governo
centrale accrebbe il controllo del re sui suoi ufficiali e allo stesso tempo limitò quello dei
nomarchi che avevano raggiunto una completa indipendenza durante il Primo Periodo
Intermedio. Il numero di questi ultimi fu probabilmente ridotto da Mentuhotep – i
governatori di Asyut, per esempio, decaddero a causa del loro supporto alla causa
herakleopolitana. I nomarchi di Beni Hasan e Hermopolis, invece, mantennero il potere
come prima, forse come ricompensa per l’appoggio fornito agli eserciti dei nomarchi
tebani. Anche i governatori di Nag el-Deir, Akhmim e Deir el-Gebrawi rimasero in
carica. La condotta dei nomarchi veniva comunque monitorata da ufficiali inviati dalla
corte regale i quali si spostavano per il paese ad intervalli regolari. Un’altro elemento
che sembra indicare il ritorno ad un governo centrale forte ed unificato si trova nei
viaggi condotti al di là dei confini egiziani. Uno dei più famosi comandanti di queste
spedizioni fu Khety (l’ufficiale raffigurato sul rilievo di Shatt el-Rigal descritto in
precedenza), che perlustrò il Sinai e svolse anche numerosi incarichi ad Assuan. Un altro
era Henunu, “supervisore del bestiame e dei cavalli, dei volatili e dei crostacei”2, ed
intendente del re: fra le sue numerose mansioni vi fu quella di compiere un viaggio fin
nel lontano Libano finalizzato all’acquisizione di cedro. Tali viaggi fanno pensare che
l’Egitto stesse cominciando a ripristinare la sua influenza al di là dei propri confini.

I progetti edilizi di Mentuhotep II.

Oltre alle numerose campagne militari intraprese da Mentuhotep nei suoi 51 anni di
regno, egli fu anche responsabile di numerosi progetti edilizi, sebbene molti di questi
siano andati distrutti. Furono eretti nuovi templi e cappelle, la maggior parte dei quali
collocata nell’Alto Egitto a Dendera, Gebelein, Abydos, Tod, Armant, Elkab, Karnak e
Assuan. Una missione congiunta russo-olandese ha scoperto un tempio del Medio Regno
a Qantir nel Delta orientale. La sua architettura riflette quella del complesso funerario di
Mentuhotep a Deir el-Bahri ma dati certi non sono stati ancora pubblicati. Nel corso di
tutto il Medio Regno, le necropoli regali subirono una continua evoluzione non solo dal
punto di vista architettonico ma anche strutturale e spaziale. Questo continuo
cambiamento sembra riflettere la ricerca di una soluzione concettuale alla questione
della tipologia tombale più adatta, e ciò è particolarmente evidente nel complesso
funerario di Mentuhotep a Deir el-Bahri (Tebe ovest).

Questo è senza dubbio il più imponente dei suoi edifici superstiti sebbene molto poco ne
sia rimasto oggi. La pianta del tempio è unica dal momento che nessuno dei suoi
successori della XI dinastia (Sankhkara Mentuhotep III e Nebtawyra Mentuhotep IV)
riuscì a completare la propria tomba mentre i sovrani della XII dinastia scelsero
monumenti ispirati ai modelli dell’Antico Regno. La tomba a saff era stata il modello
sepolcrale usato dai precedenti sovrani tebani nella regione di el-Tarif nella Tebaide
occidentale ma il monumento di Mentuhotep cambiò questa tradizione. Nonostante
sembri che alcuni dei suoi architetti fossero stati precedentemente coinvolti nella
costruzione delle tombe a saff, il suo complesso rivela una visione del tutto assente dai
modelli tebani così come da quelli herakleopolitani; perciò esso è giustamente
riconosciuto come il più importante monumento della periodo fra l’Antico Regno e
l’inizio della XII dinastia. Questo emblematico simbolo della riunificazione dell’Egitto
rappresenta l’inizio di qualcosa di nuovo. Si tratta della prima struttura regale a porre
apertamente l’accento sulle credenze osiriache – un riflesso di quel “livellamento” fra i
culti funerari dei sovrani e quelli delle persone comuni che si era realizzato nel Primo
Periodo Intermedio. Innovazioni significative in questo tempio furono le terrazze e i
ballatoi (o deambulatori) a forma di “veranda” che furono aggiunti nell’edificio centrale.
Il progetto incorporava anche boschetti con alberi di sicomoro e tamarisco che furono
piantati di fronte al tempio, ognuno in una buca scavata per una profondità di 10 m. nel
suolo roccioso e riempita con terreno. Una lunga rampa a cielo aperto saliva da questa
corte a tre filari alla terrazza superiore su cui era eretto l’edificio centrale. La costruzione
principale potrebbe aver avuto la forma di una tomba a mastaba quadrata (forse
sormontata da una collinetta); alle sue spalle si trova la sala ipostila e il centro di culto
più intimo. Erano incluse nel complesso anche le sepolture delle mogli del re, le regine
Neferu e Tem, la prima situata in una tomba a parte scavata nella roccia, nel muro
settentrionale del temenos, nel cortile esterno. Ulteriori cappelle e tombe per altre 6
donne, 4 delle quali chiamate “moglie del re”, furono ritrovate alle spalle dell’edificio
centrale, all’interno del ramo occidentale dell’ambulacro. La loro sepoltura originaria
risale alla primissima fase del tempio di Mentuhotep. Quando furono scavate, molte di
queste tombe contenevano ancora il loro corredo originario così come la prima
attestazione dell’uso di modelli raffiguranti sia i sarcofagi che i corpi dei defunti – i
precursori delle figurine degli shabti che divennero molto popolari in seguito. Le donne
sepolte nel ramo occidentale dell’ambulacro sembrano esser state di rango inferiore
rispetto a Neferu e Tem ed erano tutte giovani: la più vecchia, Ashaiyet, aveva 22 anni,
mentre la più giovane, Mayt (la cui cappella ampiamente distrutta non contiene alcuna
indicazione del titolo di “moglie”) aveva solo 5 anni. Il significato di queste mogli meno
importanti è incerto: potrebbero essere state le figlie di alcuni notabili che il re voleva
tenere sotto controllo ma la maggior parte di esse sono chiamate sacerdotesse di Hathor;
perciò è stato anche proposto che le loro tombe facessero parte di un culto di Hathor per
il re all’interno del suo monumento funerario. Un altro enigma è il fatto che queste
sepolture sembrano essere contemporanee. Forse queste giovani donne morirono insieme
in seguito a qualche calamità? Le tombe a cappella di queste 6 donne, nello sviluppo
generale del complesso di Deir el-Bahri, appartengono allo stesso periodo della tomba
conosciuta come Bab el-Hosan che si trova nel cortile esterno, sotto il livello del suolo.
Dieter Arnold pensa che questa tomba regale sia stata una prima ed incompleta sepoltura
per il re.

È in questa struttura che fu trovata una sua statua dalla pelle nera in abito giubilare.
L’inusuale colore nero è un altro dei tanti riferimenti ad Osiride simboleggiante la
fertilità ed il potere rigenerativo di Mentuhotep II. Sebbene il tempio fosse
completamente decorato, non è sopravvissuto abbastanza del suo materiale artistico per
permetterci di ricostruirne in maniera affidabile il sistema globale di raffigurazioni e
decorazioni, nonostante ci siano molte tematiche differenti. Particolarmente enfatizzato è
l’aspetto sovrannaturale ed osiriaco del monarca ma ci sono anche scene della vita di
corte. La natura regionale del materiale artistico è evidente in molti dei frammenti
superstiti con decorazioni pittoriche, e caratteristiche peculiari come labbra carnose,
occhi larghi e corpi esageratamente magri e goffi sono molto chiare e visibili. Tuttavia ci
sono anche alcuni pezzi eccellenti (specialmente dalle cappelle delle mogli più giovani)
che sono tipici della scuola menfita. Questa commistione di stili riflette la situazione
politica indicata dalle biografie di alcuni artigiani che mostrano come essi venissero da
varie regioni egiziane portando con sé le proprie tradizioni locali. Con il tempo lo stile
menfita prevalse ma ci vollero diverse generazioni prima che questo rimpiazzasse i
generi artistici regionali in tutto l’Egitto. Sebbene non siamo in grado di rintracciare
alcun monumento di Mentuhotep II nel tempio di Amon a Karnak, c’è un riferimento al
dio nel suo tempio funerario e la collocazione di quest’ultimo nell’emiciclo di Deir el
Bahari è di per sé significativa, essendo direttamente allineato con Karnak sulla riva
opposta. La collocazione potrebbe aver avuto lo scopo di permettere al culto funerario
del sovrano di beneficiare della visita annuale del dio Amon a Deir el-Bahri durante le
cerimonie della “Bella Festa della Valle”. Di certo fu proprio a partire da questo periodo
che il culto di Amon cominciò a svilupparsi fortemente a Tebe.

Mentuhotep III e IV.

Figlio della regina Tem, Seankhkara Mentuhotep III (2004-1992 a.C. circa) fu un
energico costruttore. Nel 1997 una missione ungherese diretta da Györö Vörös non solo
scoprì un santuario Copto fino ad allora sconosciuto al di sotto della sommità della
collina di Thoth, sulla riva ovest di Tebe, ma ritrovò anche una tomba dell’inizio del
Medio Regno di certo appartenente a Mentuhotep III. La sua architettura potrebbe aver
ispirato le tombe a bab della prima XVIII dinastia.

Il regno di Mentuhotep III fu caratterizzato da un certo numero di novità in ambito


architettonico, incluso un santuario triplo eretto nel sito di Medinet Habu che
preannuncia i templi delle “triadi familiari” della XVIII dinastia. Inoltre i resti di un
tempio in mattoni che egli fece costruire sulla sommità della “collina di Thoth”, la più
alta vetta che sovrasta la Valle dei Re, non solo contenevano un altro sacello triplo ma
incorporavano anche il primo esempio noto di pilone templare. Non lontano giacciono i
resti del palazzo della festa sed di Mentuhotep III. Anche in campo artistico il suo regno,
seppur breve, non fu meno innovativo tanto che in questo periodo la scultura a rilievo
raggiunse l’apice. L’incisione della pietra è talmente accurata, che i rilievi riescono a
comunicare una profondità spaziale davvero straordinaria, con una variazione di
spessore di non più di pochi millimetri. La finezza della ritrattistica e dei dettagli
nell’abbigliamento dei suoi rilievi a Tod è addirittura superiore alle sculture di
Mentuhotep II.

Mentuhotep III fu anche il primo sovrano del Medio Regno ad inviare una spedizione
nella terra di Punt, in Africa orientale per ottenere incenso: tali spedizioni sul il Mar
Rosso verso Punt divennero poi frequenti nella XII dinastia. La spedizione di
Mentuhotep, guidata da un officiale chiamato Henenu, fu condotta attraverso lo Wadi
Hammamat; deve esser stata necessaria quindi la costruzione di imbarcazioni
direttamente sulle coste del Mar Rosso utilizzando legname che era stato trasportato
attraverso il deserto.

Il re cercò anche di proteggere i confini nord-orientali con la costruzione di fortificazioni


nel Delta orientale.

Quando Mentuhotep III morì, all’incirca nel 1992 a.C., sembra che ci siano stati “7 anni
vuoti” corrispondenti al regno di Nebtawyra Mentuhotep IV (che fu forse un usurpatore
dal momento che il suo nome è omesso nella lista regale). Sua madre era una donna
comune senza alcun titolo regale ad eccezione di quello di “madre del re”, cosicché
potrebbe darsi che egli non fosse un membro della famiglia regale. Molto poco si sa del
regno di Mentuhotep IV ad eccezione delle spedizioni in alcune cave. Le iscrizioni dalla
cava di travertino di Hatnub suggeriscono che alcuni nomarchi del Medio Egitto
potrebbero aver provocato una certa instabilità politica proprio in questo periodo. Il più
importante avvenimento attestato nel suo regno è la spedizione alle cave dello Wadi
Hammamat. Amenemhat, il visir che aveva condotto la spedizione, ordinò di incidere
un’iscrizione nella cava per ricordare due presagi eccezionali cui diceva di aver assistito.
Il primo si era manifestato attraverso una gazzella che aveva partorito il suo piccolo sulla
roccia scelta per il coperchio del sarcofago del re e il secondo attraverso un furioso
temporale che, una volta cessato, aveva svelato un pozzo, di 10 cubiti quadrati, pieno di
acqua di falda. In quel terreno arido, ciò deve aver rappresentato una scoperta
spettacolare, se non addirittura miracolosa. È quasi certo che l’uomo che divenne primo
sovrano della XII dinastia fosse proprio tale Amenemhat. Come molti alti ufficiali della
XI dinastia egli potrebbe aver ricoperto numerosi incarichi di potere; la debolezza del
sovrano o la mancanza di un possibile erede maschio potrebbero aver causato il
passaggio del trono al visir.

La XII dinastia.

Il fatto che la XII dinastia si presenti, a confronto con la XI, come un periodo
estremamente più complesso ha persuaso numerosi studiosi a ritenere che il Medio
Regno avesse avuto inizio effettivamente solo con la XII dinastia.

Amenemhat I.

Sehetepibra Amenemhat I (Ammenemes di Manetone, 1985-1956 a.C. circa) era figlio


di un uomo chiamato Sesostri e di una donna chiamata Nefret, che non erano membri
della famiglia regale. Tali nomi divennero più tardi molto popolari proprio con i re della
XII dinastia e le loro mogli. Se il visir Amenemhat coincide realmente con il futuro
sovrano Amenemhat I, allora il racconto dei due omina potrebbe segnalare che era lui la
persona per la quale si erano compiuti gli eventi miracolosi.

Ed in effetti i suoi contemporanei devono aver percepito che quest’uomo fosse stato
favorito dagli dèi. La Profezia di Neferty, un testo che potrebbe essere stato composto
all’incirca all’inizio del regno di Amenemhat I, si apre con un elenco di disordini nel
paese e in seguito giunge a “predire” l’emergere di un forte sovrano:

Quindi un re verrà dal Sud, Ameny, il giusto di nome, figlio di una donna di Ta-Seti, un
fanciullo dell’Alto Egitto. Egli prenderà la corona bianca, egli prenderà la corona rossa,
egli riunirà le Due Potenti (le due corone)…gli Asiatici cadranno sotto la sua spada, i
Libici cadranno sotto il suo ardore, i ribelli sotto la sua collera, i traditori sotto la sua
potenza, così come il serpente sulla sua fronte sottomette a lui i nemici. Si costruirà il
“Muro del Sovrano” per sbarrare l’accesso dell’Egitto agli Asiatici…

Dal momento che questa prima profezia della XII dinastia (la cui data è molto incerta) si
riferisce chiaramente al re Amenemhat, abbiamo un’ulteriore attestazione dell’intervento
divino che richiama l’attenzione sullo status soprannaturale del monarca. Ci sono
moltissimi altri testi che si riferiscono al caos prima dell’arrivo di un nuovo sovrano;
tuttavia il riferimento agli Asiatici nella Profezia di Neferty è nuovo, così come lo è
anche quello al “Muro del Sovrano”, una struttura che Amenemhat costruì lungo il
confine orientale dell’Egitto. Fu proprio durante il suo regno che furono condotte le
prime campagne militari documentate dell’Egitto del Mio Regno contro il Vicino
Oriente. Una delle più importanti decisioni di Amenemhat fu inoltre il trasferimento
della capitale da Tebe alla nuova città di Amenemhat-itj-tawy (“Amenemhat è colui che
afferra i due paesi”), a volte conosciuta semplicemente come Itjtawy, un sito non ancora
scoperto nella regione del Fayyum, probabilmente nelle vicinanze della necropoli di
Lisht. Il nome della città implica un periodo iniziale di regno piuttosto violento, ma non
si conosce la data precisa del trasferimento ad Itjtawy. La maggior parte degli studiosi
pensa che essa abbia avuto luogo all’inizio del regno di Amenemhat anche se Dorothea
Arnold sostiene una data più tarda (all’incirca il XX anno). Mentre si può discutere della
presenza di Amenemhat a Tebe per alcuni anni, il fatto che i lavori edilizi di
preparazione della piattaforma vicino a Deir el-Bahri, identificata come sua possibile
tomba, durarono probabilmente solo dai 3 ai 5 anni sembra suggerire che lo spostamento
della capitale non possa essere avvenuto così tardi, ossia nel XX anno di regno.
L’insignificante numero di monumenti Tebani costruiti da Amenemhat e la sospetta
assenza di sepolture ufficiali dopo il periodo di Meketra (un alto ufficiale sepolto nelle
vicinanze della suddetta piattaforma), potrebbero indicare che lo spostamento ebbe luogo
nei primissimi anni del suo regno. D’altro canto, però, le iscrizioni sui blocchi di
fondazione del tempio funerario di Amenemhat a Lisht mostrano, in primo luogo, che
egli aveva già celebrato il suo giubileo regale ed, in secondo luogo, che era già passato il
primo anno di regno di un sovrano non specificato (che si crede fosse il successore di
Amenemhat I, Sesostri I), il che suggerisce una data estremamente tarda per il complesso
piramidale di Lisht. Per queste ragioni la data dello spostamento verso il Fayyum è
ancora oggetto di dibattito. Il sito di Itjtawy potrebbe essere stato scelto poiché era più
vicino alla zona delle incursioni asiatiche di quanto non lo fosse stato Tebe ma era anche
politicamente assennato per Amenemhat trovare una nuova capitale per segnalare così
un nuovo inizio.

Ciò significava anche che gli ufficiali che servivano per lui ad Itjtawy sarebbero stati
completamente dipendenti dal re piuttosto che mantenere le proprie basi di potere locale.
Questo nuovo inizio fu celebrato nella seconda scelta del suo nome di Horus,
Wehemmesu (la “rinascita” o letteralmente la “ripetizione di nascite”, forse una
allusione al primo dei “miracoli”). Non era una frase senza significato: la XII dinastia
guardava all’Antico Regno per i suoi modelli (per esempio la forma piramidale della
tomba del re e l’uso degli stili di decorazione artistica) e promosse anche il culto del
sovrano. Ci fu un costante ma inesorabile ritorno ad un governo più centralizzato
insieme allo sviluppo della burocrazia. Vi fu anche una crescita esponenziale nella
ricchezza “mineraria” del sovrano enfatizzata dai depositi di gioielli trovati in numerose
sepolture della XII dinastia. Questi cambiamenti finirono per elevare gli standard di vita
della classe media egiziana la cui ricchezza era proporzionale all’incarico ufficiale
posseduto.

Il primo uso che Amenemhat fece degli eserciti dei governatori provinciali fu contro gli
Asiatici nel Delta; non si conosce però la portata di queste operazioni. Egli quindi
rafforzò la regione coon la costruzione del cosiddetto “Muro del Sovrano” che svolge un
ruolo centrale nella Storia di Sinuhe ed è anche citato nella Profezia di Neferty. Nessun
sistema di fortificazione di questo periodo è stato però scoperto lungo la frontiera nord-
est dell’Egitto anche se i resti di un largo canale potrebbero risalire a questo periodo.
Sappiamo che anche altre fortificazioni furono costruite durante regno di Amenemhat,
inclusa quella chiamata Rawaty a Mendes e gli avamposti di Semna e Quban in Nubia il
cui scopo primario era di proteggere e rifornire la miniere d’oro nel Wadi Allaqi.
Nonostante il re ed il suo esercito di leva si spingessero a sud fino ad Elefantina già agli
inizi del suo regno, non sembra che siano stati attivi ancora più a sud prima del XXIX
anno di regno. A quell’epoca la politica verso la Nubia era stata trasformata da una
disordinata rete di sporadiche avventure commerciali e minerarie, che aveva
caratterizzato l’Antico Regno, ad una nuova strategia di conquista e colonizzazione,
principalmente con lo scopo di ottenere materie prime, ed il particolare l’oro.
Un’iscrizione dal sito basso-nubiano di Korosko, a metà strada fra la prima e la seconda
cateratta, attesta che il popolo di Wawat (Bassa Nubia) era stato sconfitto nell’anno 29
del regno di Amenemhat. Per quanto riguarda i Libici, invece, è documentata solo
un’incursione militare che si dice aver avuto luogo nell’anno 30, sotto il comando del
figlio del re, Sesostri. Proprio quando la campagna libica si stava concludendo,
Amenemhat morì.

Sesostri I.

Secondo il frammento 34 della storia di Manetone, ci fu una congiura di palazzo alla fine
del regno di Amenemhat. Sesostri I fu informato della morte del padre mentre era
impegnato in una campagna contro la Libia. Amenemhat fu quasi certamente assassinato
e un testo dell’epoca di Sesostri I, L’Insegnamento di Amenemhat I, che testimonia di
uno scontro per la successione al trono, ce ne presenta un resoconto che si immagina sia
narrato dal padre dall’aldilà:

“Era passata la cena, dopo che la notte era calata e io avevo trascorso momenti di gioia.
Stavo dormendo nel mio letto essendo molto stanco, persino il cuore aveva preso ad
assopirsi. Quando i miei consiglieri ebbero brandito le armi, io divenni come un serpente
della necropoli. Come mi ripresi, mi svegliai per combattere e vidi che era un agguato
delle mie guardie del corpo. Se fossi riuscito ad afferrare subito le armi avrei fatto
indietreggiare i miserabili di peso! Ma non si hanno forze durante la notte e nessuno può
combattere da solo: non ci può essere successo senza un aiuto. Vedi, la congiura
avvenne quando ero senza di te e il mio entourage non sapeva che io avrei affidato il
potere a te quando non fossi stato più in grado di sedere al tuo fianco, facendoti da
consigliere; perché non l’avevo progettato, non l’avevo previsto, ed il mio cuore non si
era ancora reso conto della negligenza dei miei servitori.”

Si suppone che il manoscritto da cui è tratto questo passaggio sia un testo della prima
XII dinastia, magari redatto su ordine dello stesso Sesostri I per supportare le sue pretese
al trono. Il brano sarebbe servito come piena “giustificazione” di qualunque atto punitivo
che Sesostri avesse eventualmente intrapreso dopo aver ottenuto il trono. La lista dei re
assegna a Kheperkara Sesostri I (1956-1911 a.C. circa) un regno di 45 anni e questa
situazione è riproposta anche da un testo di Amada, in Nubia, che ci documenta una data
di regno di 44 anni per questo sovrano. Si è detto per molto tempo che Sesostri avrebbe
regnato per 35 anni da solo e per 10 anni in coreggenza con il padre, ma questa
supposizione è stata messa in dubbio da Claude Obsomer nel 1995. Se la sua ipotesi
fosse corretta, allora si potrebbe interpretare diversamente la parte finale
dell’Insegnamento di Amenemhat I in cui il re richiede la successione al trono di
Sesostri. Questa pretesa poetica è spiegabile solo se non ci fosse stata nessuna
coreggenza ad assicurare la serena e lineare successione al trono.

Sesostri inviò una spedizione in Nubia nel suo X anno di regno. Otto anni più tardi inviò
nuovamente gli eserciti a sud fino alla II cateratta. Il suo generale Mentuhotep si spinse
anche più a sud ma fu il sito di Buhen a diventare il nuovo confine meridionale
dell’Egitto. Qui Sesostri innalzò una stele della vittoria e costruì una fortezza
trasformando così la Bassa Nubia in una provincia egiziana. Kush (Alta Nubia) invece
era sistematicamente sfruttata per l’oro ma gli Egiziani si procuravano anche ametista,
turchese, rame e gneiss per la gioielleria e la scultura. Nel nord il commercio
carovaniero si spostava fra Egitto e Siria, scambiando soprattutto cedro e avorio con beni
di produzione egiziana. Queste proficue spedizioni in Nubia e Asia mostrano fino a che
punto fosse cambiata la politica estera fra la XI e la XII dinastia. I numerosi monumenti
del sovrano erano ora distribuiti fra la Bassa Nubia a sud e Heliopolis e Tanis nel nord
ed era proprio per ottenere le materie prime atte alla costruzione, alla decorazione e
all’arredo di questi complessi monumentali che venivano inviati ufficiali per esplorare le
cave del Wadi Hamamat, del Sinai, di Hatnub e del Wadi el-Hudi. In una sola spedizione
fu estratta una quantità di pietra sufficiente a produrre 60 sfingi e 150 statue. Il Museo
del Cairo possiede una vasta collezione di statue di Sesostri ritrovate nel suo tempio
funerario ma buona parte degli altri monumenti e delle statue di questo sovrano furono
riutilizzate, copiate e ricollocate da sovrani successivi cosicché è sopravvissuto molto
poco delle sue opere originali.

Si ritiene che egli sia stato il fondatore del tempio di Ipet sut (Karnak) a Tebe, e a Tebe
fece erigere anche un santuario per la barca, in alabastro, per celebrare la sua festa sed
nel XXXI anno di regno. I rilievi del suo periodo sono particolarmente eleganti, a
giudicare dai resti di alcuni frammenti, come una raffigurazione a rilievo del sovrano
molto danneggiata proveniente da Coptos (ora al Petrie Museum, University College di
Londra); la sua statuaria manca invece di vivacità e movimento e la ritrattistica è
alquanto impersonale. Non di meno questa temperie artistica ebbe importanti risultati:
grazie alla lunga durata del regno di Sesostri lo “stile regale” raggiunse le differenti parti
del paese con sufficiente forza da coprire tutto l’Egitto e gli stili regionali cedettero
rapidamente il passo al suo cospetto. Sesostri fu il primo re ad introdurre un programma
edilizio con il quale potessero essere eretti monumenti in tutti i principali luoghi di culto
del paese. Questa direttiva, che rappresenta una prosecuzione della politica degli ultimi
faraoni dell’Antico Regno, ebbe l’effetto di indebolire le basi del potere dei templi e dei
sacerdoti locali. Oggi abbiamo solo pochi resti dei maggiori lavori scultorei e artistici di
queste regioni che inficiano in tal modo la nostra impressione sull’impatto del
programma di Sesostri. Fra le più importanti misure da lui adottate c’è la ristrutturazione
del tempio di Khenty-amentiu-Osiride ad Abydos. Seguendo l’impeto regale, anche i
suoi ufficiali eressero molteplici stele e cappelle (o “cenotafi”) ad Abydos, dando inizio,
in questo modo, ad una pratica che sarebbe diventata consuetudinaria per i devoti uomini
facoltosi sia nel Medio che nel Nuovo Regno. Grazie all’attenzione di Sesostri per il
culto di Osiride ci fu una grande fioritura delle pratiche e delle credenze osiriache in
Egitto oltre ad un significativo livellamento tra la dottrina dell’aldilà del sovrano e quella
dei suoi sudditi, un fenomeno descritto da John Wilson come “democratizzazione
dell’aldilà”.

“Le lettere di Hekanakhte”.

Per un caso fortuito, una collezione di lettere del Medio Regno ci fornisce molti dettagli
della vita agricola del tempo. Le lettere furono scritte da un vecchio agricoltore
(colono?) di nome Hekanakhte alla sua famiglia mentre era assente dal lavoro per un
lungo arco di tempo. Sebbene si pensasse fino a poco tempo fa che il materiale fosse
databile al regno di Mentuhotep III, il fatto che i papiri siano stati trovati in associazione
a materiale ceramico della prima XII dinastia fa pensare che essi fossero stati scritti in
realtà nei primi anni del regno di Sesostri I. La personalità di Hekanakhte emerge
fortemente da queste lettere, piene di comandi categorici indirizzati ai suoi numerosi
figli affinché eseguissero i suoi ordini, la smettessero di piagnucolare sulle misere
provviste che aveva lasciato loro, e fossero gentili con la sua nuova moglie. Queste
lettere forniscono una visione molto intima delle dinamiche familiari durante la XII
dinastia e allo stesso tempo indicano alcuni dei modi in cui ricchi agricoltori gestivano i
proprio impegni e i propri raccolti. Le lettere sembrano suggerire che ci fosse una
carestia in Egitto durante gli ultimi anni di Hekanakhte, un fenomeno testimoniato anche
dalle iscrizioni della più o meno contemporanea tomba del nomarca Amenemhat a Beni
Hasan (tomba BH 2). Le lettere di Hekanakhte includono anche una rarissima lettera di
una donna alla propria madre – un ritrovamento che solleva la questione della capacità
delle antiche donne egiziane di leggere e scrivere.

Sfortunatamente, però, ciò non costituisce una prova definitiva dal momento che la
donna in questione potrebbe aver dettato la lettera ad uno scriba uomo (come avrebbero
potuto fare anche molti corrispondenti maschi analfabeti) e lo stile della scrittura non ci
fornisce ulteriori indizi. Riferimenti ad altri due scriba donne nel Medio Regno
suggeriscono, tuttavia, che poche donne potevano realmente essere alfabetizzate in
questo periodo.

Gli annali regali ed il regno di Amenemhat II.

Ulteriori informazioni sugli eventi storici della XII dinastia vengono da una serie di
documenti ufficiali (conosciuti come genut o “libri-giornalieri”) che sono stati
parzialmente conservati nel tempio di Tod. Le iscrizioni di consacrazione dell’edificio
da parte del sovrano contengono ulteriori elementi per questa analisi: il papiro Berlino
3029, per esempio, descrive il processo di fondazione di un nuovo edificio. Ci sono
alcuni dei documenti di maggior utilità per la conoscenza della vita quotidiana della
residenza regale egiziana. Inoltre, nel 1974, l’Organizzazione per le Antichità Egiziane
scoprì una delle più importanti iscrizioni genut a Mit Rahina (l’antica Memfi). Sebbene
l’iscrizione menzioni Sesostri I è chiaro che essa appartenga al regno di suo figlio
Nubkaura Amenemhat II (1911-1877 a.C. circa). Gli annali contengono descrizioni
molto documentate di donazioni fatte a favore di svariati templi, liste di statue e di
edifici, rapporti di carattere militare e commerciale, ed attività regali come la caccia.
Sono certamente i più importanti testi di Amenemhat II ma si riferiscono anche ad altri
sovrani della XII dinastia; questi testi rivelano soprattutto quanto l’apparente “pace” che
si diceva vigesse fra Egitto e Asia in questo periodo fosse in realtà solo parziale, con un
ampio numero di conflitti fra Egitto e svariate città levantine. I riferimenti erodotei alle
guerre asiatiche e l’attitudine al disprezzo verso gli Asiatici tenuta da “Sesostris” (Storie
2.106) sono quindi forse molto più vicini alla realtà storica di quanto i lettori moderni
tendano a credere. Le decorazioni parietali della tomba del nomarca Khnumhotep a Beni
Hasan (BH 3) descrivono la visita di un capo-tribù beduino di nome Abisha, mentre
numerose statuette e scarabei egizi sono stati ritrovati in vari siti vicino orientali,
riconfermando così questi legami asiatici. C’era stato per lungo tempo un’attività
commerciale stabile con il porto siriano di Byblos, i cui sovrani, di origine autoctona,
scrivevano brevi iscrizioni in geroglifico, portavano i titoli egiziani di capo e principe
ereditario, veneravano divinità egiziane e acquistavano statue egiziane regali e private.
Inoltre i suddetti annali di Amenemhat II da Mit Rahina identificano la città nord-siriana
di Tunip come un partner commerciale egiziano. Altri contatti con asiatici sembrano
invece essere stati più cruenti. Gli annali parlano di un piccolo gruppo di Egiziani
penetrati in territorio beduino (forse una regione del Sinai) per “colpire il paese”, e sono
inoltre descritte altre due operazioni contro sconosciute città fortificate. Le vittime sono
identificate come Aamu (Asiatici) e si dice che ne siano state catturate ben 1554. Questo
grande numero di prigionieri stranieri spiegherebbe meglio anche le lunghe liste di
schiavi asiatici che lavoravano nelle case tebane in epoca successiva. In questo periodo
ci furono anche campagne militari nel sud: la biografia di Amenemhat nella sua tomba di
Beni Hasan menziona la sua partecipazione ad una spedizione a Kush (Alta Nubia) e la
visita al paese di Punt, nell’Africa orientale, da parte di un ufficiale del re,
Khentykhetaywer, nel XXVIII anno di regno di Amenemhat II.

A differenza di molti sovrani della XII dinastia, Amenemhat II non sembra aver avuto
un’attività edilizia particolarmente proficua sebbene questa impressione potrebbe essere
in parte il risultato della successiva spoliazione. Il suo complesso piramidale, la
cosiddetta Piramide Bianca a Dahshur (mal conservata e non ancora del tutto esplorata)
era unica per la sua collocazione su una piattaforma. Le sue figlie erano sepolte nel
cortile esterno mentre una regina di nome Keminebu era sepolta all’interno del
complesso. Si è creduto a lungo che Keminebu fosse la moglie di Amenemhat ma oggi si
sa, in base al nome e allo stile delle sue iscrizioni, che si trattava in realtà di una regina
della XIII dinastia.

Sesostri II e l’inaugurazione del sistema di irrigazione del Fayyum.

Il regno del successore di Amenemhat II, Khakheperra Sesostri II (1877-1870 a.C.) fu


un’epoca di pace e prosperità in cui fu particolarmente proficuo il commercio con il
Vicino Oriente. Non ci sono attestazioni di campagne militari durante il suo regno;
invece il suo grande traguardo sembra essere stato l’inaugurazione di un sistema di
irrigazione nel Fayyum. Fu costruita una diga e furono scavati dei canali per collegare il
Fayyum con il canale artificiale oggi conosciuto come Bahr Yusef. Questi canali
facevano defluire le acque che sarebbero normalmente confluite nel Lago Moeris,
causandone una graduale evaporazione lungo le sponde, e facendo aumentare
l’estensione della terra bonificata che diveniva quindi coltivabile3: un impianto davvero
lungimirante ed unico per l’epoca, se si eccettua l’esistenza di un sistema simile di dighe
e canali di drenaggio che bonificavano il terreno nel Bacino Copaico della Beozia, nella
Grecia centrale, durane il Medio Elladico (1900-1600 a.C. circa).

Non sappiamo in realtà quanto di questi lavori di irrigazione fosse ascrivibile


specificamente al regno di Sesostri II ma il suo legame con la rinascita globale del
Fayyum è indicata probabilmente dal fatto che egli fece erigere numerosi monumenti
religiosi ai confini della regione. L’unico santuario per il culto di statue a Qasr el-Sagha,
eretto nel deserto, all’estremità nord-orientale della regione, è datato
approssimativamente al suo regno in base alla ceramica associata. Come altre
costruzioni del suo regno, tuttavia, anche questo tempio fu lasciato incompleto ed è privo
di decorazione, così da contribuire all’impressione che egli avesse avuto un regno molto
breve. La collocazione in vari siti del Fayyum dei complessi piramidali regali, da questo
periodo in avanti, indica forse proprio l’importanza di questo sistema di irrigazione, dal
momento che si presume che la residenza regale di ogni faraone fosse edificata nelle
vicinanze del proprio complesso funerario. Si conosce un piccolo gruppo di statue di
Sesostri II, di cui almeno due furono usurpate da Ramses II (1279-1213 a.C.). Le spalle
ampie e muscolose sono una reminiscenza delle statue di Sesostri I, sebbene sia palese
anche l’influenza della statuaria regale dell’Antico Regno. I tratti del volto di Sesostri II
sono più vigorosi e plastici, senza quella dolcezza che aveva caratterizzato i suoi
predecessori della XII dinastia; gli zigomi larghi e la bocca sottile sono tratti salienti ed
indicativi del reale aspetto del re, anticipando i sorprendenti ritratti di Sesostri III (1870-
1831 a.C.). la consueta imitazione della moda regale da parte dei membri più potenti
della società produsse, nel corso della XII dinastia, numerosi esempi di statue di privati
caratterizzate da una vivace individualità.

Il regno di Sesostri II deve forse essere visto come il primo grande periodo di sviluppo
della ritrattistica umana nella storia dell’arte egiziana. Ancora meglio conosciuta della
statuaria del re sono un paio di statue in granito nero perfettamente polito della regina(?)
Nofret, ora conservate al Museo Egizio del Cairo. Di grandezza superiore al naturale,
queste statue ritraggono una donna di rango regale la cui posizione a corte è ancora
incerta. Sebbene Nofret non avesse il titolo di “moglie del re”, possedeva però altri titoli
portati dalle regine. Era la prima moglie di Sesostri II, morta prima della tarda
successione al trono del marito o era piuttosto sua sorella? Come nel caso di tante altre
regine egiziane la documentazione su Nofret è ambigua ed incompleta. Nel 1995 furono
scoperti, nella piramide del figlio (Sesostri III) a Dahshur, i resti della moglie principale
di Sesostri II, Khnumetneferhedjetweret, insieme con pochi oggetti di oreficeria.

Sesostri II costruì il suo complesso funerario a Lahun, con una piramide costituita da un
massiccia struttura in mattoni impiantata su un nucleo roccioso; larghi muri in calcare
che si incrociavano fra di loro facevano da supporto per le strutture in mattoni che erano
poi rivestite in calcare. Vari alberi erano piantati all’estremità meridionale del
complesso; anche l’entrata alla piramide si trovava a sud. La struttura dei corridoi e delle
stanze interne alla piramide era davvero unica e potrebbe riflettere credenze religiose
connesse con Osiride e con l’aldilà. Si sospetta che un’altra tomba, molto ben fatta e
collocata sul lato nord del complesso (tomba 621), possa essere un cenotafio come quelli
presenti nei complessi regali dell’Antico Regno. Le tombe di membri femminili della
famiglia regale potrebbero essere identificate in 8 massicci edifici a forma di mastaba e
dalla piramide satellite; erano tutte allineate lungo il lato nord della tomba del sovrano
ma sembrano piuttosto strutture simboliche che non veri e propri luoghi di sepoltura. In
una tomba a pozzo sul lato meridionale del recinto della piramide del re, Petrie e
Brunton trovarono nel 1914 i gioielli e altri beni della principessa Sathathoriunet; la
fattura di questi oggetti è fra le migliori di tutto il repertorio dell’oreficeria egiziana.

La conquista della Nubia sotto Sesostri III.

Sebbene il canone di Torino assegni a Khakaura Sesostri III (1870-1831 a.C. circa) un
regno di più di 30 anni, l’ultimo anno di regno attestato dalle fonti epigrafiche è il XIX.
D’altro canto alcune scoperte effettuate negli anni ’90 potrebbero supportare una data
più lunga (si veda la discussione sulla cronologia alla fine del capitolo). Non c’è nessuna
evidenza di una coreggenza con Sesostri II ma, qualora fosse accertata, questa aiuterebbe
a risolvere numerose difficoltà causate da un regno insolitamente lungo. Sesostri è forse
il monarca più “visibile” del Medio Regno: le sue gesta acquisirono grande notorietà nel
corso del tempo e ciò contribuì sostanzialmente alla costituzione del personaggio
“Sesostris” (una sorta di figura eroica composita di sovrano del Medio Regno) descritto
da Manetone ed Erodoto. Il re condusse campagne militari in Nubia nel VI, VIII, X e
XVI anno di regno e sembra che queste guerre siano state davvero brutali: molti Nubiani
furono uccisi, donne e bambini furono resi schiavi,, i campi furono bruciati e i pozzi
avvelenati. Subito dopo gli Egiziani erano di nuovo in rapporti commerciali e minerari
con gli autoctoni ma le condizioni erano cambiate.

Nel VIII e nel XVI anno di regno vennero erette stele nelle fortezze di Semna e Uronarti,
che sembrano aver rappresentato il confine meridionale, le cui iscrizioni ricordavano a
tutti le conquiste e le punizioni di Sesostri. Questa regione di frontiera fu isolata con il
rinforzo delle enormi fortezze e furono utilizzate guardie giorno e notte per pattugliare
ogni movimento. La stele di Semna del VIII anno di regno attesta che a nessun Nubiano
era consentito portare le proprie greggi o barche oltre il confine settentrionale fissato.
Queste fortificazioni sottolineano la natura non sistematica della dominazione egiziana
sulla Nubia. I cosiddetti dispacci di Semna – un insieme di lettere e resoconti militari
mandati da Semna a Tebe nella XIII dinastia – mostrano proprio in che modo rigoroso e
severo gli Egiziani controllassero la popolazione locale e quanto queste fortezze fossero
in stretto contatto reciproco. Sebbene le fortificazioni maggiori fossero di notevoli
dimensioni, assolvevano differenti funzioni. Alcune, come Mirgissa, erano
maggiormente rivolte al commercio (pani e birra erano scambiati con prodotti locali),
altre (come Askut), invece, sembrano esser estate utilizzate come depositi per le
provvigioni impiegate nelle campagne militari nell’Alta Nubia. Rendiconti erano
costantemente scambiati fra il visir e le fortezze e in tal modo il sovrano si manteneva in
contatto con le zone di confine dei suoi possedimenti. L’ultima campagna di Sesostri in
Nubia, nell’anno 19, fu di lunga durata e non ebbe un esito particolarmente favorevole: il
sovrano dovette ritirarsi quando il livello delle acque decrebbe in maniera allarmante,
rendendo quindi pericolosi i viaggi. Egli condusse almeno una campagna militare anche
in Palestina, in apparenza in modo del tutto simile alla spedizione inviata da Amenemhat
II contro gli Aamu (Asiatici). Sembra che ci fosse un gran numero di Asiatici in Egitto in
quel periodo; molti di loro erano prigionieri catturati in periodi precedenti ma il racconto
biblico dei fratelli di Giuseppe che lo vendono come schiavo ad un capo egiziano
(Genesi 37: 28-36) potrebbe suggerire un'altra modalità tramite la quale questi immigrati
arrivavano in Egitto. L’intolleranza egiziana verso i “vicino orientali” era già apparente
nel regno di Sesostri I, che infatti si era descritto come “Colui che aveva tagliato la gola
dell’Asia”, e questa impressione generale è ancora più rafforzata dai cosiddetti testi di
esecrazione. Si trattava di liste di nemici iscritte su oggetti e figurine di ceramica molte
delle quali nominavano singole persone asiatiche e il popolo dell’Asia in generale. Lo
scopo dei testi sembra esser stato quello di assicurare la distruzione magica dei nemici
dell’Egitto seppellendo o facendo in frantumi le statuette e le altre figure fittili del
genere. Sesostri prese anche una diversa direzione nell’ambito delle riforme politiche.
Nonostante gli sia stato spesso attribuito lo smantellamento del sistema dei nomarchi,
non c’è nessuna reale prova a supporto di questa affermazione (si veda il capitolo sui
cambiamenti politici di seguito). Tuttavia i suoi tentativi di riportare l’Egitto ad una
forma di governo più centralizzata ottennero un significativo riassetto politico e sociale
(specialmente per le classi medie), e perciò il suo regno è visto molto giustamente come
uno spartiacque nella storia del Medio Regno.

La tomba di Sesostri III, una piramide in mattoni di 60 metri d’altezza, ricoperta di


blocchi di calcare, era situata a Dahshur come quella di Amenemhat II. Tombe a
mastaba per i suoi più prossimi familiari erano situate all’interno del muro di cinta del
complesso, ma la loro vera e propria sepoltura era collocata in gallerie sotterranee, ad un
determinato livello per le regine, ad un altro per le principesse.

Dieter Arnold ha dimostrato come questo complesso traesse ispirazione dal complesso
della piramide a gradoni di Djoser a Saqqara. La camera sepolcrale presenta un soffitto a
volta ed è costruita in granito ricoperto con intonaco. Né la camera del re né il sarcofago
sembrano esser stati mai utilizzati. Tuttavia, nella zona meridionale di Abydos, fu
costruito per Sesostri un secondo complesso funerario che consisteva in una tomba
sotterranea e in un tempio funerario dove è attestato un culto del sovrano per almeno 2
secoli. Alcuni studiosi pensano che il complesso di Abydos possa esser stato il vero
luogo di sepoltura del re ma non è stato trovato nulla nemmeno qui.

Amenemhat III: l’apice culturale del Medio Regno.

L’unico figlio conosciuto di Sesostri era Nimaatra Amenemhat III (1831-1786 a.C.
circa). Fu probabilmente nel suo lungo e pacifico periodo di regno che il Medio Regno
raggiunse il suo apice culturale. Il consolidamento di ciò che era già stato fatto in
precedenza sembra esser stato il marchio di fabbrica della politica di governo di
Amenemhat. Egli fortificò il confine di Semna ed allargò alcune delle altre fortezze. Tra
gli altri lavori edilizi si annoverano numerosi sacelli e templi e un vasto impianto a
Biahmu (nel Fayyum nord-occidentale), caratterizzato da due colossali statue in quarzite
del sovrano seduto rivolte verso il lago, statue che furono in seguito descritte anche da
Erodoto (2.149). Egli costruì anche un grande tempio per Sobek in un altro sito del
Fayyum, Kiman Faras (Crocodilopolis), ed estese il tempio di Ptah a Menfi. Le statue di
Amenemhat III sono strabilianti e si distinguono sia per originalità che per abilità
tecnica, come nel caso della piccola testa del re ora nella collezione del Museo
Fitzwilliam di Cambridge che è uno dei ritratti più eleganti e fini del sovrano. Le
cosiddette Sfingi Hyksos e parti dei suoi santuari sono state trovate reimpiegate nel
tempio di Tanis, nel Terzo Periodo Intermedio, così come la statua doppia in granito
nero del sovrano in veste di dio Nilo che porta offerte di pesci, fiori di loto ed oche –
un’iconografia più tardi imitata da alcuni sovrani del Nuovo Regno come Amenhotep III
(1390-1352 a.C.). Numerose iscrizioni documentano le attività minerarie di Amenemhat
III. Solo nel Sinai, dove gli ufficiali del re lavorarono in miniere di turchese e rame su
base quasi permanente, sono stati identificati 59 graffiti. Furono inoltre sfruttate le
miniere del Wadi Hammamat, di Tura, di Assuan e di vari siti nubiani. Tutta questa
attività industriale ed edilizia simboleggia la prosperità di cui godette l’Egitto durante il
suo regno ma potrebbe anche aver provocato un impoverimento dell’economia che,
sommato a livelli della piena del Nilo molto bassi verso la fine del suo regno, provocò
un declino politico-economico. Ironia della sorte, il largo impiego di Asiatici, messo in
atto per rispondere almeno parzialmente alle esigenze dei lavori edili, potrebbe aver
incoraggiato lo stanziamento nel Delta dei cosiddetti Hyksos, causando forse il collasso
del regno egiziano.

Prima della costruzione della moderna diga di Assuan e della creazione del Lago Nasser,
la piena annuale del Nilo era determinante per la sussistenza alimentare del paese. I
documenti di Amenemhat sulla piena a Kumma e Semna in Nubia sono numerosi e
attestano livelli del Nilo estremamente elevati durante buona parte del suo regno, il più
alto dei quali fu raggiunto nel XXX anno con 5.1 metri.

Ma questi livelli, in seguito, andarono progressivamente diminuendo tanto che nel XL


anno di regno il livello era di soli 0.5 metri. Queste fluttuazioni dovettero aver un effetto
destabilizzante sull’economia. Dal momento che il Fayyum è la sola oasi che dipende
dal livello del Nilo, il suo sistema di irrigazione avrebbe dovuto poter usufruire di parte
delle acque della piena annuale e questo spiega forse il forte ed evidente interesse del re
per i livelli della piena. In alternativa può darsi che gli elevati livelli della piena del Nilo
siano stati così attentamente osservati proprio per permettere di prevenire eventuali
danni nel nord del paese. Amenemhat III mantenne il sistema di irrigazione del Fayyum
tant’è che in epoca più tarda la popolazione locale lo adorerà come Lamares, dio del
Fayyum, ma, come nel caso di Sesostri II, non è chiaro fino a che punto si spinsero i
lavori idraulici durante il suo regno. La sua divinizzazione potrebbe essere avvenuta già
durante il regno dell’immediato successore, la regina Sobekneferu, dal momento che ella
poteva aver tutto da guadagnare dalla divinizzazione dell’uomo che era stato
probabilmente suo padre. Amenemhat costruì la sua prima piramide a Dahshur ma, come
nel caso della piramide romboidale di Snefru della IV dinastia, durante i lavori di
edificazione dovettero apparire delle crepe nella struttura. La piramide aveva un nucleo
in mattoni ed era originariamente ricoperta in calcare (ora trafugato); il suo pyramidion
in pietra si trova al Museo del Cairo. I resti della regina Aat e di altre donne di rango
regale furono trovati in due corridoi recentemente scoperti nella zona sud-ovest della
piramide. Le loro cripte erano dotate di entrate separate dal di fuori della piramide, una
peculiarità che avrebbe consentito l’accesso anche dopo che l’entrata principale della
piramide fosse stata sigillata. Il sarcofago della regina Aat è identico a quello del re.

Le due camere sepolcrali delle regine a Dahshur includono ciascuna una camera a parte
per il ka, dove erano collocati i vasi canopi. Questo tipo di camera funeraria era stata un
tempo prerogativa esclusiva dei sovrani, e il suo uso anche per la sepoltura delle regine
rappresenta probabilmente un aspetto specifico della cosiddetta democratizzazione
dell’aldilà (si veda di seguito la sezione sulla religione); è probabile che queste nuove
camere esprimessero nuove convinzioni sulla vita ultraterrena delle donne di rango
regale. I loro corridoi erano collegati a quelli della camera del sovrano e queste donne
regali avrebbero potuto davero condividere la tomba con lui se non fosse stato per le
difficoltà strutturali sopravvenute. Il luogo della vera sepoltura di Amenemhat tuttavia fu
Hawara, nel Fayyum sud-orientale. Il suo monumento più famoso fu il tempio funerario
della piramide, la cui struttura sembra volutamente riprendere il cortile della festa sed,
annesso alla piramide di Djoser a Saqqara. Il tempio di Hawara divenne noto come
“Labirinto” per il dedalo di stanze e corridoi che lo caratterizzavano. Sebbene sia stato
descritto da 6 autori classici, inclusi Erodoto (2. 148-9), Strabone (17. I. 3, 37, 42) e
Plinio (Naturalis Historia 36. 13), nessun dettaglio risultò coerente (con il loro racconto)
quando Petrie svolse le sue indagini nel 1888; per questo motivo ogni tentativo di
ricostruire il suo aspetto originario non ha avuto successo. La camera sepolcrale di
Amenemhat ad Hawara era stata in un primo momento ideata per essere condivisa con la
regina Neferuptah, che era probabilmente sua sorella, ma questa fu poi successivamente
trasferita in una piccola piramide a parte (oggi quasi completamente distrutta dai
saccheggiatori di pietra e dai danni dell’acqua) situata a pochi chilometri.

La preminenza di Neferuptah sia durante il regno del marito che dopo la propria morte,
insieme ai privilegi funerari destinati a lei e alle altre due regine a Dahshur, indicano una
crescita nello status delle donne di ragno regale nella XII dinastia.

Amenemhat IV e Sobekneferu.

Considerato il lungo regno di Amenemhat III è possibile che Maakherura Amenemhat


IV (1786-1777 a.C.) possa esserne stato il nipote, ma è anche possibile che quest’ultimo
sovrano maschio al termine al momento della sua salita al trono poiché egli regnò solo 9
anni. È probabile che questi fosse sposato con la regina Sobeknofru (1777-1773 a.C.)
che Manetone dice esser stata sua sorella. Solo pochi dei suoi monumenti si sono
conservati e altrettanto poco si sa degli eventi storici del suo regno, che potrebbe esser
stato principalmente rivolto al completamento dei numerosi monumenti iniziati dai suoi
predecessori, come il santuario in calcare della dèa della mietitura Renenutet a Medinet
Madi nel Fayyum sud-occidentale. Ci furono anche continue spedizioni alle miniere di
turchese del Sinai e rapporti commerciali con il Levante.
Dei pochi documenti relativi all’ultimo sovrano della XII dinastia, la regina
Sobekneferu, alcuni ci offrono indizi davvero interessanti sul suo regno. La regina è
nominata nel Papiro di Torino; c’è un graffito nilotico nella fortezza nubiana di Kumma
che attesta l’altezza della piena ad 1.83 metri nel suo terzo anno di regno; e c’è poi un
bel sigillo cilindrico, che reca il suo nome e la sua titolatura, che è conservato
attualmente al British Museum. La regina è solita usare titoli femminili ma sono attestati
anche molti titoli maschili. Tre statue acefale della regina furono trovate nel Fayyum e
insieme a pochi altri oggetti che recano il suo nome. Ella contribuì a terminare il
“Labirinto” di Amenemhat III e intraprese attività edilizie a Herakleopolis Magna. C’è
una statua, di origine incerta, davvero interessante ma danneggiata della regina; l’aspetto
di questa figura è unico per la combinazione di elementi del vestiario maschile e
femminile che richiamano anche il suo occasionale utilizzo di titoli maschili. Questa
ambiguità potrebbe essere stato un deliberato tentativo di addolcire le critiche verso un
sovrano donna. Un intrigante statuetta di Sobeknofru, al Metropolitan Museum di New
York, mostra la regina che indossa il mantello della festa sed e una corona molto insolita
che potrebbe esser scaturita dal tentativo di combinare elementi iconografici non
tradizionali di sovrani maschili e femminili. Il regno della regina durò meno di 4 anni e
la sua tomba – come quella di Amenemhat IV - non è stata ancora identificata.

La XIII dinastia.

I sovrani della XIII dinastia mantennero le propria capitale ad Itjtawy e continuarono la


politica dei re della XII dinastia; ma la nuova dinastia era composta da diversi rami
familiari e la questione delle modalità in base alle quali il sovrano dovesse essere scelto
rimane irrisolta. Stephen Quirke ha proposto una “successione circolante” fra le
maggiori famiglie, il che aiuterebbe a spiegare la breve durata della maggior parte di
questi regni. Tuttavia la burocrazia continuò a funzionare allo stesso modo che nel corso
della XII dinastia.

Gli Egiziani continuarono a controllare l’area nella zona della II cateratta, a misurare le
piene del Nilo, a far fiorire il commercio e ad edificare monumenti regali (sebbene essi
fossero molto meno imponenti di quelli della XII dinastia). Le arti decorative, d’altro
canto, non mostrano cambiamenti nello stile e nella qualità rispetto alle migliori
realizzazioni della XII dinastia. Questa continuità – che andò rompendosi nel corso del
tempo - durò fino al regno di Neferhotep I. Sebbene molti dei nomi dei sovrani della
XIII dinastia si siano conservati nel Canone di Torino, non sappiamo nulla di essi.
Wegaf Khutawyra fu il primo, seguito da Khutawy-Sekhemra Sobekhotep II. Dopo il
regno del terzo sovrano, Sankhtawy-Sekhemra Iykherneferet-Neferhotep, le registrazioni
sulla piena del Nilo non furono effettuate per un po’ di tempo ed è possibile che ci sia
stato un periodo di crisi politica; è significativo che in questo lasso di tempo ci sia anche
poca documentazione sulle miniere di turchese del Sinai. Tuttavia i contatti commerciali
continuarono ed i sovrani di Biblo si autodefiniscono ancora “Servitori dell’Egitto”. I
sigilli provenienti dalle fortezze nubiane mostrano che il commercio si svolgeva
regolarmente come in precedenza. A questo periodo appartiene il re Awibra Hor; la sua
sepoltura – una semplice tomba a pozzo – fu scoperta da Jacques de Morgan nel
complesso mortuario di Amenemhat III a Dahshur. A differenza della suddetta
continuità culturale, nulla esprime così chiaramente la riduzione delle condizioni
economiche dei sovrani di questo periodo quanto la mediocrità della tomba del re
Awibra Hor. Dopo questo breve e confuso periodo emersero una serie di effimeri
sovrani fra cui Sekhemra-Khutawy Sobekhotep II, al cui regno è datato un
interessantissimo papiro che mostra importanti dettagli sulla vita di corte a Tebe in un
arco di tempo di 12 giorni. L’analisi di questa documentazione da parte di Stephen
Quirke (Papiro Bulaq 18) ha fatto conoscere molto della struttura gerarchica palatina
della XIII dinastia e del suo modus operandi. All’incirca dopo altri 4 regni, più o meno
intorno al 1744 a.C., divenne re Sekhemra-Sewadjtawy Sobekhotep III e per un certo
periodo sembrò che ci potesse essere una rinascita delle glorie dei faraoni egiziani. Un
rilievo inciso nella falesia vicino Nag Hammadi, nel Medio Egitto, fornisce informazioni
molto specifiche sui membri della famiglia regale. La sua data più alta è quella del V
anno di regno, nonostante il Canone di Torino gli assegni solo 3 anni e 2 mesi;
nonostante la brevità del suo regno, egli ci ha lasciato iscrizioni su molti monumenti, dal
sito di Bubastis nel Delta alla città di Elefantina nel sud. Il successore di Sobekhotep III,
Khasekhemra Neferhotep I (1740-1729 a.C. circa), certamente non era di famiglia regale
sebbene abbia lasciato anch’egli numerosi documenti che suggeriscono che il suo
dovette essere un regno molto energico. Egli era riconosciuto come sovrano da Inten, re
di Biblo, e le sue iscrizioni sono state ritrovate anche in aree molto meridionali come
l’isola di Konosso, subito a sud della prima cateratta, in Nubia. Nonostante questi segni
di potere, il re non era in grado, tuttavia, di controllare l’intero territorio egiziano almeno
a giudicare della attestazioni di sovrani locali che governavano in maniera indipendente
Xois e Avaris nel Delta. Il trono passò ai due fratelli di Neferhotep I, Sahathor e
Sobekhotep IV seguiti dal breve regno del figlio di quest’ultimo. Questa mini dinastia si
concluse con Sobekhotep V, all’incirca nel 1723 a.C. Ci sono però rimaste abbondanti
testimonianze del regno di Sobekhotep IV che suggeriscono che egli abbia avuto tutti le
caratteristiche di un re forte e che abbia continuato ad estendere il proprio controllo sulla
Nubia dove sono state ritrovate, infatti, due sue statue a sud della terza cateratta (altre
statue di questo re furono riutilizzate a Tanis).

Fu proprio durante il suo regno che emersero primi segnali di rivolta in Nubia che stava
evidentemente sfuggendo al controllo egiziano a favore di una linea dinastica locale con
capitale a Kerma (si veda capitolo 8). A quell’epoca, il Medio Regno si era ormai
frammentato nelle diverse entità politiche, che costituiranno la base dei regni nel
Secondo Periodo Intermedio.

Processi di cambiamento politico nel Medio Regno.

La struttura di governo nel Medio Regno era basata grosso modo su quella creata
durante l’Antico Regno ma con alcune significative differenze. La burocrazia e la
Corona erano sorrette dalla tassazione, sebbene, su quest’ultima, solo poche
informazioni specifiche si sono conservate nella documentazione del Medio Regno. Il
sistema fiscale era essenzialmente basato sulla valutazione della rendita di campi e
canali e pagata in natura. I templi e le fondazioni religiose erano spesso esenti dalle tasse
almeno in parte se non del tutto (si veda oltre). Inoltre vi era un sistema di lavoro forzato
in base al quale uomini e donne erano arruolati per svolgere specifici lavori di carattere
fisico incluso il servizio militare. Questo sistema di corvée era organizzato attraverso
funzionari locali ma un controllo centrale era effettuato anhe dall’ufficio della
“organizzazione del lavoro”. Sebbene fosse possibile eludere il carico di lavoro pagando
qualcun altro per farlo al posto proprio, coloro che si sottraevano del tutto alle corvée
erano puniti molto severamente, e lo stesso accadeva ai loro familiari o a chiunque
avesse aiutato la loro evasione. Alcuni documenti dalla fortezza di Askut, in Bassa
Nubia, mostrano che in questo luogo potevano essere inviati coloro che avevano evaso le
corvée; nessun dubbio poi sul fatto che altri evasori fossero inviati nelle cave. La pratica
delle corvée continuò fino alla XVII dinastia e solo la popolazione nubiana sembra esser
stata esente sia dal sistema di tassazione che da quello delle corvée. Da parte sua, il
governo manteneva la pace interna e controllava i confini meridionali a nord della
seconda cateratta e ad ovest del “Muro del Sovrano”. Grazie ad incursioni in Palestina e
alle campagne militari in Nubia, i sovrani del Medio Regno furono in grado di estendere
l’influenza egiziana e la prosperità. Il commercio era monopolio regale ed era controllato
da ufficiali governativi ed in Nubia le remunerazioni erano molto sostanziose.

Molti dei titoli degli funzionari del Medio Regno erano gli stessi di quelli dell’Antico
Regno ma vi erano anche numerosi incarichi nuovi. Una delle caratteristiche del Medio
Regno fu la riformulazione dei titoli con una definizione più precisa di incarichi e
mansioni, che deve esser stata parte del più generale processo di crescita della
burocrazia, sebbene il raggio d’azione dei singoli uffici dovette decrescere.
Un’eccezione a questa restrizione degli incarichi fu quella di “portasigilli regale” a cui
erano affidati vari compiti di supervisione, specialmente sotto Mentuhotep II. Il visir, le
cui responsabilità sono enumerate in un testo funerario del Nuovo Regno dalla tomba di
Rekhmira (I compiti del Visir), era ancora il primo ministro del re, sebbene in una
posizione meno preminente nei testi posteriori alla XI dinastia. Non è certa per il Medio
Regno la pratica del doppio visir, nonostante sembri che Sesostri I ne abbia avuti due
nello stesso periodo (Antefoker e Mentuhotep).

Lo scarso materiale documentario del tardo Medio Regno suggerisce che ci siano stati
altri cambiamenti politici fra l’Antico ed il Medio Regno: il governo centrale nel Medio
Regno fu molto più penetrante nelle aree regionali (sebbene ci siano pochissime
attestazioni al riguardo per l’Antico Regno). Ci fu anche un maggiore controllo sugli
individui e sugli obblighi che ognuno di essi era chiamato a svolgere verso il governo.
Questa più profonda intromissione nella vita privata può essere dovuta almeno in parte
alla consuetudine del Medio Regno di delegare buona parte del controllo locale ai
sindaci delle città, ma ci fu anche un marcato cambiamento nell’allineare le province alle
pratiche e allo stile (di governo) della capitale. L’arte è l’indicatore più visibile di questo
fenomeno. Fu però il titolo di nomarca a sperimentare la maggior fluttuazione nel corso
del Medio Regno. A causa della distanza da Menfi, i nomarchi dell’Antico Regno
avevano sempre goduto di una certa indipendenza. Tale indipendenza fu rafforzata dal
crollo del governo mentita, per cui uno dei maggiori obiettivi dei re del Medio Regno fu
proprio di ridurla. Ogni sovrano scelse la sua strategia per realizzare il suo scopo. Sotto
Mentuhotep II, i nomarchi furono lasciati al proprio posto in molte delle aree delle quali
si abbia documentazione (sebbene buona parte di questo tipo di documentazione non sia
sopravvissuta), ma sembra che quei nomarchi considerati di scarsa utilità per i Tebani
abbiano perso automaticamente le loro posizioni. Per tutto il corso della XI dinastia, i
nomarchi svolsero il loro ruolo tradizionale ma essi erano ora sorvegliati da ufficiali
regali. Molti di quelli che mantennero il loro potere ebbero ancora illusioni di grandezza:
il Conte Nehry del nomo hermopolitano, per esempio, all’epoca di Mentuhotep IV data
le sue iscrizioni con gli anni del proprio “regno” e le sue affermazioni alle cave di
Hatnub suggeriscono chiaramente conflitti con il re. Lo schema di base adottato da
Amenemhat I fu di rendere le singole città il centro dell’amministrazione. Ognuna era
controllata da un sindaco e solo il più importante funzionario di ognuna delle maggiori
città ereditava la posizione di nomarca. Con questa concentrazione sulla città come
elemento base del governo, l’impatto politico della più grande regione del nomos venne
a cadere. I nomarchi di Amenemhat I portarono il titolo di “grande signore, sindaco e
supervisore dei sacerdoti” ed erano principalmente situati nelle regioni centrali e di
confine dell’Egitto. Il fattore chiave nel controllo regale su di essi sembra esser stato il
fatto che, almeno nei primi due regni della XII dinastia, essi erano tutti personalmente
nominati dal sovrano (sebbene al tempo di Amenemhat II, l’incarico fosse nuovamente
divenuto ereditario). Tali nomarchi sfruttarono al massimo la loro posizione, alcuni
adattando i titoli del proprio staff al modello di quelli della corte regale: possiamo
trovare un “tesoriere” e un “cancelliere” e persino un capitano dell’esercito al servizio
del palazzo (del nomarca). A dispetto delle pretese, questi grandi signori locali non
potevano dimenticarsi del proprio benefattore, il faraone, che li aveva organizzati in
maniera quasi feudale: gli dovevano obbedienza diretta e, in cambio dei benefici
accordatigli dal re, erano obbligati a proteggere i confini del paese, a condurre spedizioni
militari per suo conto, e probabilmente ad agire come suoi rappresentanti nel
ricevimento ufficiale degli stranieri, come nel caso dell’arrivo delle carovane dei
Beduini nel nomos dell’Orice, raffigurato nella tomba di Khnumhotep a Beni Hasan (BH
3) durante il regno di Amenemhat II. Il principale titolo del nomarca, quello di “grande
signore”, scomparve all’epoca di Sesostri III, l’opinione comunemente accetata è che ciò
fu causato dalla force majeure del sovrano.

La vera motivazione deve però esser stata molto probabilmente ben differente: all’epoca
di Sesostri, III solo i nomarchi di el-Bersha ed Elefantina sono attestati con certezza
come detentori del titolo di “grande signore” (altre aree erano controllate da sindaci ma
la documentazione di molte città è andata perduta, per cui non ne possiamo essere del
tutto certi). Detlef Franke ha dimostrato che era consuetudine, all’epoca di Sesostri II,
educare i figli dei nomarchi nella capitale e poi affidar loro degli incarichi sia nella
capitale che in altre zone. Con i rampolli della famiglia sparsi in questo modo, il titolo di
nomarca poteva essere eclissato da quello di sindaco, che non avrebbe inevitabilmente
goduto dello stesso potere e della stessa ricchezza materiale dei governatori provinciali.
Questo spiegherebbe perché l’era delle ricche e decorate tombe provinciali stava per
finire. Non sembra probabile quindi che Sesostri III sia stato la causa del crollo dei
nomarchi, dal momento che la documentazione mostra che, sebbene il titolo sia
scomparso nel regno di Sesostri III, esso era stato già in declino almeno a partire dal
regno di Amenmhat II. Tuttavia Sesostri III fece insediare altri ufficiali (con sede a
corte) come governatori di aree molto ampie del paese creando in tal modo una forte
rottura con le consuetudini del passato. Furono creati due nuovi dipartimenti (waret),
uno per il sud e uno per il nord dell’Egitto amministrati da una gerarchia di ufficiali.
Furono inoltre inaugurati altri dipartimenti, come il “Tesoro”, il “Dipartimento delle
donazioni del popolo”, e “l’organizzazione del lavoro”. Il settore militare fu organizzato
sotto un comandante in capo e fu creato un nuovo “Dipartimento del visir”. In aggiunta a
ciò, vi era poi un’amministrazione separata per il palazzo regale. Il risultato di questa
nuova gerarchia furono nuovi titoli e un corrispondente incremento nel numero della
burocrazia di estrazione sociale media che si riflette in un maggior numero di stele
funerarie in questo periodo, un segno evidente della crescente ricchezza della classe
media. Al di là dell’ambito governativo, vi erano poi le tenute dei templi e i suoi
dipendenti. Come rivelato dai contratti per il sindaco Djefhapy di Asyut, anche questo
era un ambito estremamente burocratizzato. I 10 contratti di Djefhapy – che si sono
conservati perché scritti sulle pareti della sua tomba – furono redatti per assicurare che il
suo culto funerario fosse continuato dopo la sua morte. Al di là delle implicazioni legali,
i contratti rivelano anche alcune delle condizioni che si applicavano al tempio come il
fatto che ogni persona nel distretto doveva fornire al tempio una hekat (circa 5 litri) di
grano per ogni campo di proprio possesso, in occasione della prima mietitura di ogni
anno. I contratti sono molto specifici e dimostrano che i templi erano autosufficienti e
che anch’essi dovevano pagare delle tasse al sovrano, a meno che non ricevessero un
decreto di esenzione dal re. La politica di Sesostri I di costruire templi provinciali in
tutto il paese ridusse effettivamente le loro basi di potere.

La corte regale.

Mentre si sono conservate solo pochissime attestazioni esplicite sul ruolo del faraone
nell’Antico Regno, abbiamo invece vari testi del Medio Regno che fanno luce sulla
natura della regalità, come L’insegnamento per Merykara, L’insegnamento di
Amenemhat I e Gli inni a Sesostri III. Alcune informazioni sono fornite anche dalla
documentazione privata come nel caso del lungo poema sulla stele di Sehetibra da
Abydos (Museo Egizio, Cairo) che descrive l’importanza del sovrano per il suo popolo.

L’episodio finale del Racconto di Sinuhe (che descrive il ritorno di un cortigiano


dall’esilio) ci ha fornito ampi dettagli della vita di corte della XII dinastia, ma è il Papiro
Bulaq 18, della XIII dinastia, che ci fornisce la documentazione più interessante sulla
gerarchia sociale della famiglia regale e sulle quantità di razioni giornaliere distribuite,
indicando la relativa importanza di questi ed altri dipendenti del palazzo. Questo papiro
descrive inoltre la mobilità interna di varie persone ed i loro soggiorni all’esterno del
palazzo. Riguardo al complesso palatino vero e proprio, il papiro ne indica la divisione
in tre settori. In ordine decrescente di importanza c’erano: il kap o Interno, che era l’area
della famiglia regale, dei loro servitori personali e di alcuni bambini scelti, educati a
spese del sovrano; il wahy, Sala delle udienze o Sala a pilastri, il luogo in cui si
svolgevano i banchetti; ed il khenty, o Palazzo esterno, in cui si tenevano gli affari di
corte. Questi 3 gruppi di edifici erano collocati all’interno di un’area meno “nobile”
conosciuta come shena, in cui erano distribuite le provvigioni ai dipendenti palatini. Il
visir e gli ufficiali più anziani risiedevano nel khenty, mentre il personale di servizio era
situato nello shena. Il supervisore interno del kap sembra esser stato l’unico ufficiale cui
era permesso operare sia nella zona interna che esterna del palazzo. Senza le
informazioni fornite dal Papiro Bulaq 18, la nostra conoscenza dell’organizzazione
palatina nel Medio Regno andrebbe difficilmente al di là delle planimetrie dei palazzi
della XII dinastia, a Tell Basta, e dell’inizio della XIII dinastia, a Tell el-Da’ba nel
Delta.

La vita urbana: la città delle piramidi di Lahun.

La vita della gente comune ci è accessibile grazie alla città di Hetep-Sesostri, nelle
vicinanze del complesso piramidale di Sesostri II, nel sito di Lahun. Erroneamente
chiamata Kahun da Petrie, che la scavò nel 1888-9, essa era strettamente associata al
culto funerario di Sesostri II. Ideata con una concezione architettonica unitaria, come i
più piccoli villaggi del Nuovo Regno di Amarna e Deir el-Medina (si vedano capitoli 9-
10), Hetep-Sesostri fu fondata per ospitare coloro che lavoravano per il sovrano e i loro
familiari. E’ probabile tuttavia che fossero incluse fra i suoi abitanti anche persone che
non erano legate al culto funerario. E’ stato stimato, sulla base della capacità dei silos di
grano presenti nella città, che potesse accogliere una popolazione di più di 5000 unità. Il
sito moderno però è appena distinguibile dal deserto circostante, dal momento che i
mattoni utilizzati nella sua costruzione sono stati quasi completamente rimossi lasciando
solo le fondazioni e gli strati inferiori degli edifici. Il materiale di Lahun è
particolarmente prezioso poiché proviene da una comunità vivente invece che da una
necropoli (sebbene insediamenti del Medio Regno siano stati scavati in anni recenti ad
Abydos, Menfi ed Elefantina, permettendoci di inquadrare il materiale di Lahun in un
contesto sociale e geografico molto più ampio). Sfortunatamente molto del materiale
dimenticato a Lahun, quando il sito fu per la prima volta abbandonato nella XIII
dinastia, fu gettato in profonde discariche da coloro che rioccuparono il sito dopo il
Medio Regno. Per questo motivo molto del prezioso contesto del materiale era andato
già distrutto ben prima che il sito fosse scavato. Tuttavia alcune case furono trovate in
buono stato di conservazione e ciò ci offre la possibilità di avere dei deboli indizi sulla
vita di categorie di individui che normalmente non lasciano alcuna traccia nella
documentazione testuale e nel materiale funerario giunto fino a noi.

Grazie alla raccolta di differenti tipi di semi effettuata da Percy Newberry durante la
spedizione di Petrie, è stato possibile ricostruire la vegetazione della zona (nonostante la
forte contaminazione con materiale botanico greco-romano). Vi erano fiori come il
papavero, il lupino, la reseda odorata, il gelsomino, l’eliotropio e l’iris (così come le
erbacce), e piante come piselli, fagioli, ravanelli e cetrioli. Il materiale da Lahun include
anche ritrovamenti curiosi come “legnetti” per accendere il fuoco (probabilmente il solo
esempio sopravvissuto nell’Antico Egitto), il primo stampo conosciuto per mattoni in
argilla (identici a quelli ancora oggi utilizzati dagli Egiziani), un set di strumenti da
medico, e molti altri utensili usati da agricoltori e artigiani professionisti. C’era anche
una ricca varietà di ceramica e un gran numero di papiri (alcuni ancora non pubblicati),
il cui contenuto fa luce su molti aspetti della religione e della vita quotidiana. Fra i più
interessanti testi provenienti da Lahun c’è il cosiddetto Papiro Ginecologico che, come
suggerisce il nome, comprende la più antica raccolta sopravvissuta di rimedi per disturbi
femminile.

Il commercio estero.
Contatti commerciali fra il Medio Regno egiziano e l’Egeo sono indicati sia da alcuni
framenti di ceramica minoica trovati negli strati della XII dinastia nel sito di Lahun, sia
da un coperchio di pisside e da frammenti di ceramica egizia chiaramente fabbricati in
stile minoico. Siccome questi frammenti furono ritrovati in degli scarichi di rifiuti è
difficile essere sicuri della loro datazione o del loro originario contesto stratigrafico.
Curiosamente questi cocci sembrano esser stati vasi d’uso comune utilizzati da operai
(piuttosto che beni di lusso), il che potrebbe forse indicare la presenza di lavoratori
stranieri Cretesi fra la popolazione della città. Alla XII dinastia sono databili anche
alcuni depositi di frammenti di vasellame minoico “Kamares” nei siti di Lahun, el-
Haraga e Abydos e in una tomba della XII dinastia ad Elefantina. Numerosi articoli di
questo periodo rivelano anche la presenza di una rete di scambi artistici ed iconografici
nel Mediterraneo: motivi egiziani possono essere ritrovati su oggetti anche a grande
distanza, come gli scarabei d’argilla con iscrizioni dedicatorie offerti nei maggiori
santuari in varie parti di Creta. Anche vasi in pietra egizi prendevano la via di Creta dove
il loro stile era imitato dagli artigiani minoici. Sebbene queste imitazioni locali dello stile
e dell’iconografia egiziani provengano da contesti non datati, esse sono non di meno
importanti in quanto suggeriscono frequenti contatti che portarono a scambi di idee oltre
che di materiali e prodotti. A Lahun e Lisht, sono presenti anche le testimonianze più
antiche del tipo di ceramica che diverrà poi distintiva del sito di Tell el-Yahudiya (si
veda capitolo 8), incluse giare che probabilmente dovevano contenere olio del Vicino
Oriente. I re egiziani promossero attivamente l’importazione di legname, olio, vino,
argento, e forse anche avorio dalla Siria-Palestina. Sia ceramica cipriota che minoica è
attestata anche da altri ritrovamenti occasionali in Egitto. Prodotti egiziani come
scarabei, statue, vasi, gioielli, e anche numerose sfingi sono stati trovati in siti molto
distanti fra di loro come Biblo, Ras Shamra, e Creta. Attraverso la Siria ulteriori contatti
erano intrattenuti con Cipro e la Babilonia ma pochissimo di questo materiale proviene
da contesti datati. Un rapporto sempre crescente con il Vicino Oriente è suggerito anche
dal fatto che a Lahun i pesi asiatici siano più numerosi di quelli egiziani.

Inoltre, uno dei più ricchi ritrovamenti del Medio Regno è una raccolta di materiale
asiatico (o forse minoico) in argento e oro scoperto in 4 cassette di bronzo sepolte nel
tempio di Montu a Tod. Viceversa Pierre Montet

rinvenne un piccolo tesoro di circa 1000 oggetti di fattura egiziana conservati in una
giara nella città siriana di Biblo, inclusi gioielli del tutto simili al “tesoro” delle tombe di
alcune principesse della XII dinastia nella necropoli di Lahun. Neferhotep e altri sovrani
egiziani erano riconosciuti come signori dai sovrani locali di Biblo, che non solo
copiavano le insegne e i titoli egiziani, ma imitavano anche le iscrizioni geroglifiche.
Stretti contatti vi furono anche con i paesi a sud dell’Egitto. Al di là delle attività in
Nubia, molti sovrani del Medio Regno, soprattutto Mentuhotep III e Sesostri I,
mantennero contatti con la regione africana di Punt (probabilmente collocata in un’area
corrispondente grosso modo all’attuale Eritrea). Infatti, sul margine orientale del Wadi
Gawasis, sulla costa del Mar Rosso (a breve distanza dal moderno porto di Quseir), è
stato scoperto il porto della XII dinastia di Sa’ww, e le numerose stele iscritte, trovate sia
nel wadi che nel porto stesso, documentano i viaggi a Punt durante la XII dinastia.
Religione e pratiche funerarie.

Il più importante sviluppo nella religione del Medio Regno riguarda il culto di Osiride,
che era divenuto all’epoca il Grande Dio di tutte le necropoli. Una delle ragioni di questa
crescita fu il patrocinio esercitato verso tale culto dai sovrani del Medio Regno,
specialmente ad Abydos nella XII dinastia. Tutto ciò raggiunse l’apice nel regno di
Sesostri III il cui “cenotafio” ad Abydos fu il primo monumento regale ivi eretto nel
Medio Regno. Un decreto dell’epoca del re Wegaf della XIII dinastia (usurpato da
Neferhotep I) proibiva di costruire tombe lungo la via processionale di Abydos. Anche
Sobekhotep III fece erigere delle stele per numerosi familiari in questa area e Neferhotep
I si recò ad Abydos per prendere parte ai ‘misteri’ di Osiride nel secondo anno di regno,
innalzando anche una stele per commemorare l’evento. Considerata la pregnanza di
Osiride e di Abydos per la legittimazione della regalità, l’interesse dei sovrani della XIII
dinastia potrebbe quindi esser stato dettato principalmente dal loro status non regale, ma
lo stesso non si può dire per i re della XII dinastia. La crescente influenza del culto di
Osiride deve essere derivata in certo modo dall’attiva promozione del sito di Abydos e
dai cosiddetti ‘misteri osiriaci’. Alcuni dettagli su questo tipo di rituali sono descritti in
una stele della XII dinastia (ora al Museo di Berlino) che fu eretta ad Abydos da
Ikhernofret organizzatore della festa annuale durane il regno di Sesostri III. La crescente
importanza del culto di Osiride fu inoltre accompagnata da un fenomeno culturale spesso
definito “democratizzazione dell’aldilà”: l’estensione, alla gente comune, di privilegi
funerari una volta dovuti esclusivamente al sovrano. Un gran numero di stele,
particolarmente da Abydos, mostrano che si verificava frequentemente che dei privati
prendessero parte ai riti osiriaci ricevendo dei vantaggi che erano stati una volta riservati
ai sovrani. Il risultato di questo sviluppo fu che le credenze e i rituali funerari dell’intera
popolazione iniziarono a mutare.

Uno dei primi cambiamenti fu la pratica di decorare i sarcofagi non regali con i Testi dei
Sarcofagi, una combinazione dei Testi delle Piramidi con nuovi testi funerari che erano
emersi durante il Primo Periodo Intermedio (si veda capitolo 6). Verso la metà della XII
dinastia, tuttavia, l’uso di questi testi cessò all’improvviso, in un primo momento come
risultato di ulteriori cambiamenti funerari quali l’introduzione del sarcofago
mummiforme che, a causa della sua forma irregolare, era poco adatto per lunghe
iscrizioni di testi religiosi. Un altro sviluppo religioso del Medio Regno fu l’idea che ogni
uomo (e non solo il re) fosse dotato di un ba, o forza spirituale. La più importante
testimonianza di ciò è un testo letterario, il Dialogo fra un Suicida e il suo “Ba”, che
rappresenta il primo testo al mondo sul tema del suicidio – una dissertazione di grande
valore filosofico. Grande attenzione era data (in questo periodo) alla la “pietà
personale” (ossia il contatto diretto con la divinità piuttosto che attraverso il sovrano o
un sacerdote, un concetto religioso che diventerà ancor più popolare durante il Nuovo
Regno). Numerose stele del Medio Regno mettono in risalto la pietà dei loro proprietari
deceduti insistendo inoltre sul concetto di “confessione negativa” (liste rituali di
nefandezze che il defunto dichiarava di non aver commesso). Le stesse stele divennero
memoriali popolari, specialmente quelle decorate con gli occhi wedjat, simbolo
supremo di protezione, ma comparvero anche altri segni distintivi (l’anello shen e il
disco solare alato, per esempio) – simili a quelli che si ritrovano sulle stele regali. Anche
i complessi funerari regali della XI e XII dinastia subirono considerevoli cambiamenti
nella struttura, dal momento che i sovrani erano soliti esprimere le proprie concezioni
religiose nella più appropriata forma architettonica. Ingegneri ed architetti raggiunsero
un alto livello di maestria e gli scalpellini superarono in destrezza i loro colleghi
dell’Antico Regno. Questa abilità non fu messa solo al servizio dei complessi regali ma
anche della costruzione di templi più grandi e realizzati con maggiore perizia tecnica.
Troviamo infatti messa in pratica la complessa ingegneria nella struttura interna delle
piramidi regali e assistiamo alla sperimentazione di nuove strutture architettoniche,
quali gli ambulacri terrazzati di Mentuhotep II a Deir el-Bahri, i piloni ed il triplo sacello
di Mentuhotep III sulla “Collina di Thoth” a Tebe, e le gallerie di Sesostri III nella sua
piramide a Lahun. Decorazioni parietali, precedentemente impiegate solo nei complessi
funerari regali dell’Antico Regno, ora adornavano le pareti dei templi degli dei e del re.
E fu proprio in questo periodo che fu inaugurato il vasto complesso del tempio di
Karnak e furono costruiti i templi una volta dominanti il Fayyum. Grande
sperimentazione si ritrova, a partire dalla XI dinastia, anche nelle tombe dei nomarchi:
queste indicavano la visione del mondo di questi funzionari con la loro passione per la
caccia, per la pesca e per gli incontri di lotta e la loro meraviglia nei confronti
dell’esotico mondo degli Asiatici.

Le larghe ed ampiamente decorate tombe rupestri erano di solito caratterizzate da una


facciata colonnata ed erano elevate al di sopra delle sepolture dei membri della propria
“corte”, disseminate lungo i pendii sottostanti. I sarcofagi dei nomarchi – specialmente
quelli da Deir el-Bersha – trasmettono i più bei motivi artistici fra tutti quelli
conservatici.

In molti casi erano decorati con le più antiche versioni del Libro delle due vie, una
raccolta di istruzioni su come raggiungere la salvezza ultraterrena. Quando però la carica
di nomarca perse la sua importanza, il carattere delle necropoli provinciali cambiò:
aumentarono le tombe più piccole e si determinò una minore “differenziazione di rango”
nella posizione delle sepolture. D’altro canto, nella capitale le cose erano piuttosto
differenti: le tombe degli ufficiai erano situate nelle necropoli regali piuttosto che nei
locali cimiteri familiari, la mastaba divenne la tipologia preferita di sepoltura privata e
l’allestimento di una cappella memoriale ad Abydos divenne un imperativo per tutti. A
partire dal Medio Regno la mummificazione divenne molto comune ma non del tutto
efficace. Sebbene lo svisceramento dei corpi fosse più diffuso, le salme erano
mummificate con poca perizia e raramente se ne conservava la pelle, nonostante il fatto
che le loro bende esterne fossero spesso abbondanti. Sulle mummie erano poste delle
maschere in cartonnage, che erano spesso riccamente dipinte, mentre i corpi erano
deposti sul fianco in sarcofagi rettangolari orientati sia verso i principali punti cardinali
che verso i testi iscritti sulle pareti della propria tomba. Un altro significativo
cambiamento nelle pratiche funerarie fu l’introduzione dello shabti, un termine spesso
letto ushabti o shawabti, che potrebbe significare “bastoncino” o “colui che risponde” o
entrambi. Gli shabti erano statuette fatte di vario materiale (cera, argilla, ceramica,
faïence, legno o pietra) ideati per agire come sostituti magici dei proprietari della tomba
nei lavori che questi erano chiamati a svolgere per Osiride nell’aldilà. I primi esempi,
datati all’epoca di Mentuhotep II, prendevano spesso la forma di esili figurine nude, che
non erano iscritte con alcuna formula funeraria, mentre altre erano di aspetto
mummiforme. Queste figurine erano chiaramente dei sostituti tridimensionali delle
formule contenute nel passo 472 dei Testi dei Sarcofagi, presente all’interno di pochi
sarcofagi del Medio Regno. Dalla tarda XII dinastia, tuttavia, il testo iniziò ad essere
scritto sullo shabti stesso. Si crede che il loro ruolo potesse essere legato al sistema di
corvée che ogni uomo era chiamato a svolgere per il re o con il lavoro che la gente
comune doveva espletare per il mantenimento della propria canalizzazione locale. Come
dei lavoratori umani, gli shabti portavano la zappa e la borsetta per i semi con cui
svolgere il proprio compito.

Le realizzazioni culturali del Medio Regno.

Il Medio Regno fu un periodo in cui l’arte, l’architettura e la religione raggiunsero nuove


vette ma soprattutto fu un’epoca di pienezza della scrittura, di certo incoraggiata dalla
crescita della “classe media” e del settore scribale della società, che era a sua volta
dovuta in buona parte all’espansione della burocrazia sotto Sesostri III. Fiorirono diversi
generi letterari e gli stessi egiziani antichi sembrano aver guardato a quest’epoca come al
periodo della “classicità” letteraria. Racconti letterari come le Avventure di Sinuhe (la
cui popolarità è indicata dalle numerose copie pervenuteci), il Racconto del Naufrago e i
fantastici episodi del Papiro Westcar furono tutti composti nel Medio Regno, ma furono
molto popolari anche alcuni lavori di carattere religioso e filosofico (come l’Inno ad
Hapi, la Satira dei Mestieri, e il Dialogo fra un Suicida ed il suo “Ba”).

Inoltre si è conservata una grande varietà di documenti ufficiali, inclusi resoconti, lettere
e documenti di contabilità, che non solo ci aiutano a delineare un quadro a tutto tondo
del periodo ma che indicano anche che l’alfabetizzazione era molto più diffusa di quanto
non lo fosse stato durante l’Antico Regno. Sotto la guida dei sovrani del Medio Regno,
l’Egitto aveva aperto gli occhi sul più vasto mondo della Nubia, dell’Asia e dell’Egeo,
beneficiando dello scambio di materiali, prodotti ed idee. Il Medio Regno fu un’epoca di
importantissime invenzioni, di larghe vedute e di colossali progetti sebbene ci fosse
comunque grande attenzione e cura per i dettagli anche nella creazione di più piccoli
oggetti d’uso quotidiano e nella decorazione. Questa scala più umana è palpabile nel
senso pervasivo con cui il singolo essere umano era divenuto più significativo in termini
cosmici, sia per quanto riguarda gli obblighi nei confronti dello Stato (attraverso la
tassazione ed il lavoro di corvée), sia nella cura della propria sepoltura, sia per la sua
crescente presenza nella letteratura del tempo. Né Sinuhe né il naufrago avrebbero mai
potuto essere protagonisti di un racconto dell’Antico Regno, mentre essi si adattano
perfettamente alla letteratura del Medio Regno, che fu quindi soprattutto un’epoca di
grande umanità.
Il Secondo Periodo Intermedio (c.1650- 1550 a.C.).

JANINE BOURRIAU

Il Secondo Periodo Intermedio è caratterizzato dalla divisione dell’Egitto, ossia la


frammentazione delle Due Terre. “Perché io devo contemplare la mia potenza mentre un
grande signore siede ad Avaris ed un altro a Kush ed io siedo con un asiatico e un
nubiano, ed ognuno controlla la sua propria parte d’Egitto?”. Questo è il compianto del
re tebano Kamose (1555-1550 a.C.) alla fine della XVII dinastia. L’inizio del Secondo
Periodo Intermedio è marcato dall’abbandono della residenza di Lisht, 32 km a sud di
Menfi, e dallo spostamento della corte, sede del governo, a Tebe, la Città Meridionale.
La fine di questo periodo, invece, avviene con la conquista della capitale degli Hyksos,
Avaris, nel Delta orientale, da parte del re tebano Ahmose. La riunificazione da lui
raggiunta durerà per più di 400 anni. Il lasso di tempo fra questi due avvenimenti durò
circa 150 anni. L’ultimo faraone a risiedere a Lisht fu probabilmente Merneferra Ay
(c.1695- 1685 a.C.) dal momento che egli è l’ultimo sovrano della XIII dinastia (in base
alla sequenza dei sovrani data dal Papiro di Torino) ad avere iscrizioni monumentali sia
nel Basso che nell’Alto Egitto. La conquista di Avaris può essere datata con grande
precisione fra il XVIII e il XXII anno di regno di Ahmose, 1532-1528 a.C. sulla base
della cronologia qui adottata. Nel corso di sole 6 generazioni (calcolate in 25 anni
ognuna) avvennero cambiamenti culturali e politici molto profondi ma la divisione
dell’Egitto implica che fossero avvenuti con modalità e ritmi differenti a seconda delle
varie regioni del paese. Quindi, piuttosto che presentare la storia di questo periodo come
un’unica sequenza di avvenimenti, ci sembra più vantaggioso descriverla dal punto di
vista di ognuna delle principali regioni del paese, procedendo da nord a sud. Tali regioni
possono essere definite solo dalle fonti e, considerando le lacune nella documentazione,
è probabile che il paese fosse molto più frammentato di quanto si pensi attualmente. È
solo dopo l’inizio della guerra fra gli Hyksos e i sovrani tebani, che nella sua fase finale
coinvolse l’intero Egitto, che sembra appropriata una singola ed unitaria narrazione
storica. Le fonti scritte presentano numerosi problemi dovuti più alla loro abbondanza
che scarsità, e la difficoltà di integrarle con l’evidenza archeologica resta profonda. Esse
si possono dividere in 6 categorie: le liste dei re, la più dettagliata delle quali è il papiro
ieratico conosciuto come Papiro di Torino (compilato durante il regno di Ramses II sulla
base di preesistenti liste menfite); gli Aegyptiaca di Manetone, un’opera storica scritta
nel III secolo a.C. ma sopravvissuta solo in maniera frammentaria tramite citazioni di
autori più tardi; le iscrizioni regali, coeve e non, scritte come opera di “propaganda” ma
che creano, per questo, una vivace e drammatica “mise-en-scène”; le iscrizioni private
contemporanee, specialmente le “biografie funerarie”; la documentazione
dell’amministrazione, sia pubblica che privata; ed infine le fonti letterarie e scientifiche
come il Papiro Sallier I e il Papiro Matematico Rhind. Tali testi sono sempre di grande
valore ma possono ingenerare alcune ambiguità dal momento che i testi più significativi
fra questi, quelli regali, sono stati spesso estraniati dal loro contesto originario. Molte
delle stele regali tebane furono trovate rotte e reimpiegate in edifici posteriori mentre, ad
Avaris, nessuno dei documenti in pietra pertinenti ai monumentali edifici in mattoni dei
re Hyksos è stato trovato nel proprio strato archeologico originario.

La documentazione archeologica, dal canto suo, mostra notevoli falle, le più importanti
delle quali sono mancanze dovute sia agli scarsi resti pervenutici sia a scavi non
uniformi. Nessun sito per esempio è stato scavato nel Delta centrale o occidentale, né nel
Medio Egitto fra Maiyana e Deir Rifa. Le fortezze in mattoni, in Bassa Nubia, all’altezza
della seconda cateratta, ci parlano della storia dei rapporti fra Egitto e Kush ma, dopo
campagne di scavo assolutamente parziali dell’UNESCO negli anni ’60, sono andate
perdute al di sotto delle acque del Lago Nasser. Ciò che rimane è solo un vasto ma
incompleto mosaico della situazione. L’impiego di un approccio regionale a questa
documentazione serve a sottolineare, quindi, un tema ricorrente nella storia egiziana: la
rivalità fra Alto e Basso Egitto che raggiunse l’apice nel conflitto fra Tebe e Avaris alla
fine del periodo.

Il territorio di Avaris.

La questione che sta alla base del Secondo Periodo Intermedio è la natura degli Hyksos.
La maggior parte delle opere storiche dipendono da fonti scritte e queste, tranne poche
eccezioni (il Papiro Rhind ne è una), provengono da parte egiziana. Non c’è nessuna
controparte Hyksos ai testi di Kamose, anche se abbiamo, invece, la documentazione
proveniente dagli scavi archeologici sistematici della loro capitale, Avaris (Tell el-
Dab’a). Nonostante oggi sappiamo come dovevano apparire i loro palazzi, i loro templi,
le loro case e le loro sepolture e sebbene siamo in grado di capire in che modo si fosse
evoluta la loro cultura, gli Hyksos non furono affatto un fenomeno semplice ed unitario.
Il termine utilizzato per distinguere la popolazione di Avaris dagli Egiziani era Aamu,
termine impiegato già molto prima del Secondo Periodo Intermedio e rimasto ancora in
uso molto tempo dopo (Ramses II, per esempio, lo impiegò per i suoi nemici a Kadesh)
per riferirsi, in senso generale, agli abitanti della Siria-Palestina. Gli egittologi traducono
generalmente Aamu come “Asiatici” (ossia abitanti dell’Asia Occidentale). Il termine
“Hyksos”, invece, deriva dalla traduzione in greco dell’epiteto egiziano hekau khasut,
“sovrani dei paesi stranieri” (lett. montanari), e venne applicato solo ai re degli Asiatici.
Il termine in sé non ha alcun significato spregiativo se non quello di connotare uno status
inferiore rispetto a quello del sovrano egiziano ed infatti esso fu usato, con riferimento a
se stessi, sia dai re egiziani che dagli stessi Hyksos.

Quando se ne riesce a stabilire l’etimologia, tutti i nomi propri di privati e sovrani


asiatici nell’Egitto di questo periodo derivano dal semitico occidentale. Le prime ipotesi
che alcuni di essi fossero Hurriti o persino Hittiti non sono state, invece, confermate. I
riferimenti agli Asiatici nel Medio Regno sono numerosi: essi lavoravano in moltissimi
campi, a volte adottando nomi egiziani pur mantenendo la designazione asiatica (aamu).
Si pensava che fossero emigrati per motivi economici ma un’iscrizione del sovrano
Amenemhat II, della XII dinastia, attesta, con un linguaggio inconfondibile, una
campagna via mare verso le coste del Libano che si concluse con una lista del bottino
che includeva anche 1554 prigionieri Asiatici. Tale campagna concorda con la
documentazione archeologica proveniente da Tell el-Habua che mostra come anche il
confine orientale dell’Egitto fosse ampiamente fortificato alla pari di quello meridionale.
Tell el-Habua è un vasto sito situato ad est di Tell el-Dab’a e la cui datazione va dal
Medio Regno in avanti.

L’archeologo che l’ha scavata, Mohammed Maksoud, ha trovato tracce di


un’installazione molto grande, forse una fortezza, a giudicare dallo spessore dei muri,
situata al di sotto dell’insediamento del Secondo Periodo Intermedio. Per analogia con le
fortezze nubiane della II cateratta, è indubbio che delle pattuglie di ricognizione fossero
mandate nel deserto circostante per documentare, con dispacci inviati alla capitale, i
movimenti della popolazione che cercava di penetrare in Egitto. La documentazione di
Tell el-Dab’a indica che vi era qui una comunità di Asiatici, sebbene ampiamente
egittizzati, almeno fin dalla XIII dinastia. Per un’epoca così lontana, questa è l’unica
evidenza archeologica di una popolazione asiatica in Egitto (che viveva in maniera
differente dagli Egiziani), durante il Medio Regno. Ci sono anche dei riferimenti, nei
testi contemporanei, a “campi di lavoratori asiatici”. È probabile che il sito di Tell el-
Dab’a, che è datato al Primo Periodo Intermedio, venisse deliberatamente costruito come
componente del sistema difensivo edificato per proteggere il confine orientale. Durante
la tarda XII dinastia e la prima XIII dinastia il sito si estese enormemente fino ad
includere un emergente insediamento popolato di Asiatici. Il carattere non egiziano della
comunità è evidente dall’impianto abitativo (che seguiva apparentemente modelli siriani)
e dal fatto che le tombe erano integrate nell’area abitativa piuttosto che essere collocate
in una necropoli esterna alla città. Non solo le differenze nella cultura materiale, definite
dalla ceramica e dalla tipologia delle armi, ma la natura stessa delle sepolture indica una
commistione di peculiarità egiziane e palestinesi. Dalla fossa scavata da un profanatore
nella cappella di una tomba provengono alcuni frammenti di una statua in calcare, di
dimensioni più grandi del naturale, rappresentante un uomo seduto che tiene un bastone
in mano; lo stile artistico ed il vestiario non sono egiziani ma le dimensioni indicano una
persona di rango elevatissimo. Ironia della sorte, il miglior parallelo di questa statua è
una minuscola figura in legno proveniente da una tomba del Medio Regno a Beni Hasan
che raffigura una donna asiatica ed il suo bambino. Nello strato successivo (d/I), la
cultura del Medio Bronzo diviene più pronunciata e le tombe includono sepolture di
asini, spesso a coppia. Altri ritrovamenti includono un’impronta di sigillo cilindrico in
stile nord-siriano, frammenti di articoli in ceramica minoica “Kamares” e un pettorale
d’oro composto da due cani affrontati, anch’esso considerato minoico. Tali oggetti,
insieme alla ceramica comune d’importazione e di imitazione egiziana, del Medio
Bronzo, confermano il carattere misto dell’insediamento. Non è facile, tuttavia,
determinare l’origine di questi Asiatici – semmai fosse unica. La loro cultura era
fortemente alterata dal substrato culturale egiziano, il grosso della ceramica era egiziana
(sebbene oscillante fra l’80 e il 60 % all’interno dello strato d/I) e l’amministrazione, a
giudicare dai titoli degli ufficiali sugli scarabei, era impostata sul modello egiziano.
Paralleli con queste caratteristiche straniere sono stati trovati in vari siti sud-palestinesi
come Tell el-Ajjul, nel sito siriano di Ebla e a Biblo (nell’odierno Libano). Nel suo
studio sulla ceramica non-egiziana del sito di Tell el-Dab’a, Patrick McGovern ha
ipotizzato che la maggior parte di essa provenisse da città sud-palestinesi. Dal momento
che la potenza della città di Tell el-Dab’a nel Medio Regno era incentrata sul commercio
marittimo lungo le coste levantine, sulle rotte carovaniere per la Palestina attraverso il
Sinai settentrionale (e forse anche sulle spedizioni verso le miniere di turchese), questa
peculiare cultura della sua popolazione non ci deve sorprendere. La cultura della
popolazione di Tell el-Dab’a, quindi, non è statica ma sviluppa rapidamente nuove
caratteristiche che scardinano quelle vecchie.

Ciò rende relativamente giustificabile la caratterizzazione di ogni strato in termini di


architettura, costumi funerari, ceramica, metalli e altri manufatti, ma non chiarisce le
motivazioni e le modalità con cui questo mix culturale e questo rapido sviluppo ebbero
luogo. Una delle ipotesi è che la popolazione di base degli Egiziani ricevesse da molto
tempo nuovi afflussi di abitanti, prima dal Libano e dalla Siria e poi dalla Palestina e da
Cipro. Una piccola élite sposò forse donne locali – una supposizione supportata dallo
studio preliminare dei resti umani, nonostante i resti ossei siano molto esigui. Tell el-
Dab’a ha fornito centinaia di manufatti che appartenevano di certo al ben conosciuto
periodo del Medio Bronzo II A-C della Siria-Palestina. Questo materiale si trova in 9
strati (H-D/2), i cui limiti estremi, superiore ed inferiore, sono stati messi in relazione,
dallo studioso austriaco che le ha scavate, Manfred Bietak, ai regni di due sovrani
egiziani, rispettivamente Amenemhat IV (1786-1777 a.C.) e Ahmose (1550-1525 a.C.).

Bietak divise il periodo che ne risultava in 9 parti, assegnando circa 30 anni ad ogni
strato e ottenendo così una griglia di date assolute per la sua sequenza relativa. Tuttavia,
quando queste date sono state portate in siti della Siria-Palestina dove erano stati trovati
oggetti simili a quelli di Tell el-Dab’a, ci sono state molte volte delle discrepanze con la
cronologia esistente. L’acceso dibattito che ne è derivato, quando sarà risolto, richiederà
una radicale revisione non solo della datazione degli strati di Tell el-Dab’a ma più in
generale dei metodi usati per datare l’età del Medio Bronzo in tutta la regione del
Mediterraneo Orientale. L’espansione iniziale di Tell el-Dab’a fu interrotta
temporaneamente da un’epidemia. In molte parti del sito, Bietak ha trovato ampie tombe
comuni in cui i corpi erano stati deposti senza alcuna evidente cerimonia funebre. Dal
livello successivo, lo strato F, i modelli di insediamento e di sepoltura suggeriscono una
società meno egalitaria che in precedenza. Alcune case grandi con numerose abitazioni
più piccole raccolte tutto intorno; edifici più elaborati situati al centro piuttosto che ai
margini dell’insediamento; servi seppelliti di fronte alle tombe dei loro padroni; tutto
suggerisce il dominio sociale di un potente gruppo d’élite. A questo punto della storia
della città è chiara la sua identificazione con la capitale degli Hyksos, Avaris, attestata a
livello testuale. Due stipiti di porta in calcare qui ritrovati citano “il buon dio, signore
delle due terre, figlio carnale di Ra, Nehesy”. Alcuni frammenti iscritti da Tell el-Habua,
Tanis e Tell el-Muqdam forniscono ulteriori titoli ed epiteti di questo personaggio,
“amato da Seth, signore di Avaris, primogenito del re”. Quest’ultimo epiteto implica un
rango militare elevato ma non significa che il titolare fosse realmente “figlio del re”. Il
riferimento al dio Seth mostra che il suo culto era già affermato e che egli era il dio
patrono di Avaris, proprio come Amon era il dio poliade di Tebe. Il culto di Seth
potrebbe essere derivato da un fusione fra un culto heliopolitano pre-esistente ed il culto
della divinità nord-siriana del fulmine, Baal Zephon, che fu introdotto dagli Asiatici.
Nehesy è citato nel Papiro di Torino in un gruppo generalmente identificato come XIV
dinastia la cui capitale – secondo Manetone – era Xois nel Delta Occidentale. Nehesy era
un alto ufficiale che assunse uno status regale ad Avaris solo per breve tempo (non se ne
conoscono gli anni di regno). Probabilmente Nehesy era egiziano o forse nubiano
(significato letterale del suo nome); dal momento che nulla nelle sue iscrizioni sembra
suggerire diversamente.

Il re per cui aveva originariamente servito era probabilmente ancora in carica nella città
di Itjtawy, vicino Lisht, città che non fu infatti abbandonata fino a dopo il 1685 a.C.,
sebbene Sobekhotep IV (circa 1725 a.C.) ne fosse stato l’ultimo sovrano veramente
potente della XIII dinastia. Dopo il regno di quest’ultimo è probabile che l’unità
dell’Egitto incominciasse ad incrinarsi e candidato ovvio per la creazione di un regno
indipendente era proprio la regione attorno alla ricca e potente città di Avaris. Fin dove
si estendeva l’autorità del re Nehesy? A giudicare dai siti in cui ricorre il suo nome, il
suo territorio sembra aver compreso il Delta Orientale da Tell el-Muqdam a Tell el-
Habua, ma la pratica comune di usurpare o riscrivere monumenti più antichi complica il
quadro. Considerato che gli unici documenti certamente ritrovati nei siti dove
anticamente erano stati eretti sono quelli da Tell el-Habua e Tell el-Dab’a, il suo regno
potrebbe essere stato in realtà molto meno esteso. Una delle sepolture del Secondo
Periodo Intermedio provenienti da Tell el-Dab’a sembra confermare che ad Avaris la
struttura burocratica di stampo egiziano fosse ancora in vigore. Il proprietario della
tomba, infatti, è identificato da un scarabeo anulare come Vice-tesoriere, Aamu
(“l’Asiatico”). La sua sepoltura è estremamente ricca ma caratterizzata da numerosi tratti
non egiziani; il corpo giace in posizione contratta (non distesa, come è comune nelle
sepolture egiziane), le armi e la ceramica sono di tipologia siro-palestinese e di fronte
alla tomba sono stati sepolti anche 5 o 6 asini. Un ufficiale di rango così elevato sarebbe
stato normalmente seppellito vicino al suo sovrano, essendosi aspettato di trascorrere la
sua vita nelle vicinanze della residenza regale, sede del governo, che per lui era Avaris.
Se si accetta la ricostruzione del Canone di Torino, fatta dall’egittologo danese K. S. B.
Ryholt, nella colonna destinata al gruppo di sovrani in cui è compreso anche Nehesy ci
sono 32 nomi, dei quali 17 perduti e due lacune, una che copre i 5 predecessori di
Nehesy e l’altra, di lunghezza sconosciuta, indicata dallo stesso redattore del canone di
Torino come già esistente nel manoscritto originale. Ad eccezione di 5 di questi sovrani,
per tutti gli altri la lunghezza di regno è persa o inferiore ad un anno. A parte Nehesy,
solo 3 di loro compaiono altrove; i re Nebsenra e Sekheperenra, rispettivamente su una
giara e su uno scarabeo, e il re Merdjedefra che è ritratto su una stele contemporanea
accompagnato dal “Porta sigilli del re, il Tesoriere, Renisoneb”. Il luogo di ritrovamento
è sconosciuto ma è stato proposto il Delta Orientale, più precisamente Saft el-Hinna,
circa 30 km. a nord di Tell el-Yahudiya. Il re è raffigurato mentre fa un’offerta a Soped,
Signore dell’Oriente, un dio il cui ambito erano le rotte desertiche per il Mar Rosso e le
miniere di turchese del Sinai. Il suo centro di culto nella XXII dinastia era Saft el-Hinna.
La stele di Merdjedefra, oltre a confermare l’esistenza di un sovrano minore, ha
importanza perché conferma che i nomi dei sovrani della XIV dinastia non sono fittizi,
sebbene è improbabile che essi rappresentino un’unica linea dinastica di sovrani regnanti
uno dopo l’altro nello stesso posto.

L’iscrizione di Nehesy è la prima attestazione contemporanea della frammentazione del


regno egiziano. Secondo Bietak, Nehesy ricade, nell’ambito della cronologia relativa di
Tell el-Dab’a, nello strato F (o b/3), che corrisponde alla tarda XIII dinastia. Dopodiché
nessun sovrano fu più in grado di controllare l’intero Egitto fino alla conquista di Avaris.
Ci sono pervenuti più di 105 nomi di sovrani per questo periodo e molti di essi ricorrono
anche nel Canone di Torino.

Questo implica che la documentazione dei nomi di tutti questi re veniva conservata a
Menfi, per quanto brevi fossero stati i loro regni e dovunque fosse stata localizzata la
loro sede. La scrupolosa ricostruzione di Ryholt del papiro danneggiato impiega la
comparazione delle fibre così come l’analisi testuale e ha come risultato una
documentazione più coerente. Attualmente i nomi regali sono divisi in 4 gruppi che
corrispondono alle dinastie XIV-XVII di Manetone. Le dinastie XIV-XV avevano sede
nel Delta Orientale con capitale ad Avaris (sebbene la XV dinastia controllasse anche
parte dell’Egitto a sud di Menfi, si veda di seguito) e le dinastie XVI-XVII con sede a
Tebe nell’Alto Egitto. La natura frammentaria del Papiro dà adito a svariate
interpretazioni sebbene la ricostruzione materiale del Papiro operata da Ryholt sia
generalmente condivisa. Una delle ipotesi più dibattute è quella di assegnare il più antico
gruppo di sovrani tebani alla XVI dinastia di Manetone. Africano, il più accurato degli
excerpta, descrive la XVI dinastia come “Re Pastori (Hyksos)” mentre Eusebio li ricorda
come tebani. Qui di seguito si seguirà l’interpretazione di Ryholt. Sono pochi i sovrani, i
cui nomi ricorrono anche sui monumenti, che possono essere identificati nel Canone di
Torino (forse perché citati su un frammento che ora è perduto). Uno di questi re è
Sekerher, che porta una titolatura pienamente egiziana (solo 3 dei suoi 5 nomi si sono
conservati) pur definendosi un heka khasut (“sovrano dei paesi stranieri”); una sua
iscrizione è conservata su uno stipite di porta reimpiegato in un edificio della prima
XVIII dinastia a Tell el-Dab’a. Bietak lo identifica con Salitis il cui nome è attestato,
nella versione della storia di Manetone fatta da Giuseppe Flavio, come conquistatore di
Menfi. C’è però anche un gruppo di circa 15 nomi regali che ricorre solo su scarabei.
Questi nomi sono a volte egiziani, altre volte semitico- occidentali, e sono preceduti da
epiteti come “il grande dio”, “il figlio di Ra”, e “il sovrano dei paesi stranieri”. I primi
due epiteti furono portati dai sovrani egiziani per centinaia di anni riferendosi in termini
generali allo status del re. Tuttavia, il termine nesu (“re”), che è utilizzato nelle fonti
egiziane come il Papiro di Torino, non è mai impiegato per descrivere questi sovrani.
Dal punto di vista stilistico gli scarabei appartengono ad una serie di tipologie utilizzate
sia in Egitto che in Palestina. Il loro contesto archeologico dimostra che essi
appartengono al periodo successivo alla XIII dinastia, ed il loro stile li lega agli scarabei
che portano il nome dei sovrani della XIV e XV dinastia. È possibile che si tratti di
ulteriori esempi di ufficiali con autorità esclusivamente locale che si arrogano attributi
regali sui propri sigilli in un periodo e in un posto in cui i consueti, rigidi protocolli non
erano più applicabili. Senza una conferma da altre fonti è rischioso utilizzare la
distribuzione dei sigilli come indicatore dell’estensione dell’autorità di tali “sovrani”, o i
cambiamenti stilistici e la forma dei sigilli stessi per collocarli in una sequenza
cronologica. I ritrovamenti da Tell el-Dab’a, sinora, non ci aiutano a collocarne nessuno,
se non indirettamente. È probabile, considerando i modelli dell’età del Medio Bronzo
IIB in Palestina e un’interpretazione letterale dei nomi adottati da Sekerher, che egli
fosse un capo supremo cui pagavano tributo i monarchi minori. Se così fosse, ciò
spiegherebbe l’uso del titolo di “signore dei paesi stranieri” sia sugli scarabei di
personaggi altrimenti sconosciuti che sulle iscrizioni dei sovrani di Avaris. Bietak
associa la fase finale Hyksos di Tell el-Dab’a (strati b/I-a; E/2-D/2; VI-V) con la XV
dinastia di Manetone mentre un frammento del Canone di Torino conserva i nomi di “6
sovrani dei paesi stranieri che regnarono per 108 anni”.

Solo il nome dell’ultimo sovrano, Khamudi, è ancora leggibile. Sekerher, Apepi e


Yanassi, il figlio di Khayan, sono documentati a Tell el-Dab’a e il primo e l’ultimo
possono essere identificati con Salitis e Iannan di Manetone. Tutte le evidenze, sia
archeologiche che scritte, suggeriscono che l’autorità di questo sovrani fosse molto più
grande di quella dei loro predecessori. La successione di padre in figlio di due di loro, ed
il regno eccezionalmente lungo di Apepi (almeno 40 anni), mostrano che era ora al
potere una vera e propria dinastia, come lo era stata, per esempio, la XII dinastia
egiziana. Nella sua massima estensione la città stessa copriva un’area di quasi 4 km2,
rendendola così due volte più grande di quanto non fosse stato nella XIII dinastia, e tre
volte più grande di Hazor, il maggiore sito dell’età del Medio Bronzo IIA-C in Palestina.
Nel più tardo strato Hyksos, D/2, fu edificata una cittadella, su un’area precedentemente
non abitata, lungo il margine occidentale della città che dominava il fiume, ed una torre
d’avvistamento, circa 200 metri a sud-est che controllava l’accesso al territorio. Intorno
ad esse fu edificata un’enorme cinta muraria, dello spessore di 6,2 m., successivamente
allargata fino a 8,5 m. ed intervallata da contrafforti. Le fortificazioni erano costruite su
ampi giardini che erano stati originariamente parte di un grande complesso palatino.
L’apice del periodo Hyksos è rappresentato dal regno di Aauserra Apepi (circa 1555
a.C.) nonostante egli avesse subito alcune campagne militari condotte contro di lui da 2
sovrani tebani. Ci sono segni di una conscia rinascita della tradizioni scribali egiziane
indispensabili per creare e controllare la complessa burocrazia necessaria a governare
alla maniera egiziana. Sulla paletta di uno scriba di nome Atu, Aauserra è descritto come
“scriba di Ra, istruito da Thot in persona…con numerosi (di successo) artifici, nel giorno
in cui egli aveva letto con precisione tutti i difficili (passaggi) della scrittura, scorrevole
come il corso del Nilo”. Fu nel XXIII anno del suo regno che venne copiato il Papiro
matematico Rhind, un compito che sarebbe potuto essere intrapreso solo da uno scriba di
altissimo livello e con accesso ad un archivio specialistico di testi matematici che
difficilmente sarebbe potuto esistere al di fuori del tempio di Ptah a Menfi. Una stele da
Menfi di datazione posteriore al Nuovo Regno, attesta la genealogia di una linea di
sacerdoti che risaliva fino alla XI dinastia. Essa conserva anche i nomi di alcuni sovrani
regnanti e cita Apepi e Sharek per il periodo precedente ad Ahmose. A Tell el-Dab’a
furono ritrovati anche dei frammenti di un sacello, commemorante Apepi e sua sorella
Tany, dedicato da due Asiatici i cui scribi adattarono i loro nomi dal semitico
occidentale alla scrittura geroglifica egiziana. Nella tomba del sovrano della XVIII
dinastia Amenhotep I (1525-1504 a.C.) fu anche ritrovato un piatto iscritto in fine
scrittura geroglifica per la figlia di Apepi, Herit. Dal punto di vista culturale, gli Hyksos
sono stati descritti come “peculiarmente Egiziani”. La commistione di peculiarità
egiziane e siro-palestinesi – come si manifesta negli oggetti provenienti dagli strati D/3 e
D/2 (regno di Apepi) di Tell el-Dab’a – si può rintracciare in una vasta area del Delta da
ovest ad est: Tell Fauziya e Tell Geziret el-Faras ad ovest del ramo Tanitico del Nilo e
Farasha, Tell el-Yahudiya, Tell el-Maskhuta e Tell el-Habua ad est di questo. Tutti
questi siti sono molto più piccoli di Tell el-Dab’a e il loro principale periodo di
occupazione coincide con gli ultimi strati Hyksos tranne per Tell el-Yahudiya e Tell el-
Maskhuta che cessano di essere occupati prima del periodo rappresentato dall’ultimo
strato Hyksos di Tell el-Dab’a (D/2). Tell el-Maskhuta e i suoi siti satelliti sono collocati
nel Wadi Tumilat che conduce ad una delle rotte principali per la Palestina attraverso il
Sinai settentrionale.

Si trattava di un piccolo insediamento, forse occupato solo stagionalmente. La ricchezza


di Avaris derivava proprio dal commercio, non solo con la Palestina ed il Levante ma
anche e soprattutto, nelle sue fasi più tarde, con Cipro. La stele di Kamose elenca i beni
importati dagli Hyksos (carri e cavalli, barche, legname, oro, lapislazzuli, argento,
turchese, bronzo, un numero non precisato di asce, olio, incenso, grasso e miele), ma ci
sono pervenute solo pochissime testimonianze riguardo ai beni che i re Hyksos
ricevevano in cambio. I sovrani di Avaris pretendevano di essere sovrani dell’Alto e
Basso Egitto sebbene sappiamo dalla stele di Kamose che Hermopolis demarcava il loro
confine meridionale teorico e Cusae, un po’ più a sud, il punto di confine reale. Questa
regione include sia Menfi che Itjtawy, la capitale dei sovrani della XII e XIII dinastia.
Come veniva esercitata l’autorità del re di Avaris in questa regione e come vi possiamo
riconoscere la cultura distintiva del Delta orientale?

Menfi: la Casa di Ptah.


Giuseppe Flavio rivendica di citare direttamente Manetone nella sua descrizione della
conquista e dell’occupazione dell’Egitto da parte degli Hyksos:

Essi lo (Egitto) conquistarono con la forza senza colpo ferire e avendo sopraffatto i
sovrani locali bruciarono le nostre città senza pietà, rasero al suolo i templi degli dèi…
Alla fine essi posero come re uno dei loro, il cui nome era Salitis. Egli aveva la propria
sede a Menfi, imponendo il tributo sull’Alto e Basso Egitto e lasciando sempre dietro di
sé delle guarnigioni nei punti strategici.

Questo quadro del ruolo degli Hyksos è confermato soprattutto dal fatto che il sovrano
tebano Kamose rifiutò il suo status di vassallo. Lo stretto controllo del confine di Cusae,
l’imposizione di tasse su tutti i traffici lungo il Nilo, e l’esistenza di guarnigioni di
Asiatici guidate da comandanti egiziani, sono tutti elementi menzionati nei testi di
Kamose. I sovrani Hyksos sembrano aver seguito il modello impiegato dai re della XII
dinastia durante il loro governo della Nubia, per la quale erano probabilmente ancora in
funzione le strutture burocratiche e militari. Dal racconto di Kamose è chiaro anche il
ruolo chiave di Menfi. Avaris era sede della residenza e centro del potere del sovrano
Hyksos, ma l’Egitto, persino la sua parte settentrionale, non poteva essere governato dal
Delta orientale. Governare l’Egitto significava controllare il Nilo, e tutti i re lo avevano
fatto dall’apice del Delta, ossia la regione di Menfi e dell’odierna Cairo. Testimonianze
incontrovertibili di distruzione e saccheggio da parte degli Hyksos sono rare. 4 sfingi
colossali del sovrano Amenemhat III, della XII dinastia, e 2 statue di Smenkhera, della
XIII dinastia, furono trovate a Tanis iscritte con i nomi di Aqenenra Apepi (un altro
nome di Aauserra Apepi). Le loro iscrizioni originarie dedicate a Ptah indicano che esse
erano collocate originariamente a Menfi. Si pensa generalmente che esse fossero state
rimosse da Apepi, portate ad Avaris e poi spostate a Tanis in epoca ramesside, ma
l’unica cosa di cui possiamo essere sicuri è che Apepi le rivendicò facendovi incidere il
proprio nome e quindi può darsi che queste non abbiano affatto lasciato Menfi fino
all’epoca ramesside.

Ciò nonostante, almeno un monumento regale di un sovrano della XIII dinastia fu


violato: il pyramidion proveniente dalla cima della piramide del re Merneferra Ay,
piramide probabilmente costruita a Saqqara, fu trovato a Faqus vicino Tell el-Dab’a. Ad
oggi non c’è nulla che indichi che i re Hyksos abbiano commissionato dei monumenti
funerari nella tradizione menfita nel deserto occidentale che domina la città. Tuttavia
bisogna ricordare la completa demolizione di Tell el-Dab’a da parte del vittorioso
Ahmose e l’avidità di materiale in pietra dei sovrani più tardi prima di poter accettare
troppo rapidamente un argomento ex silentio. Per esempio 2 blocchi, uno in calcare e
l’altro in granito, che portano il nome di Khyan (1600 a.C. circa) e Aauserra Apepi sono
stati trovati nel tempio di Hathor a Gebelein. Dal momento che non c’è una prova
inequivocabile del fatto che gli Hyksos controllassero anche questa parte dell’Egitto,
tanto meno monumenti costruiti così a sud, è probabile che questi blocchi provenissero
da Menfi e fossero stati portati a Gebelein durante il Nuovo Regno. Negli anni ’80,
durante una ricognizione del vasto campo di rovine di Menfi effettuato dalla Egyptian
Exploration Society, fu scavata anche una piccola parte della città che rivelò strati del
Secondo Periodo Intermedio. La cultura di questa comunità, rivelata dalla ceramica,
dall’architettura domestica, dai sigilli in argilla con immagini di scarabei, dalla
lavorazione dei metalli e delle perle, è completamente egiziana (in special modo se
comparata con quella di Tell el-Dab’a) e mostra uno sviluppo culturale senza soluzione
di continuità dalla XIII dinastia. Delle somiglianze nella ceramica egiziana ci
permettono di mettere in relazione gli strati di Menfi con quelli di Tell ell el-Dab’a D/2.
Dopo questo strato, a Menfi è presente una sequenza di depositi sabbiosi in cui non fu
costruita alcuna struttura permanente e in cui la ceramica conteneva crescenti quantità di
tipologie alto-egiziane databili alla primissima fase della XVIII dinastia. La fase
seguente mostra edifici allineati in maniera molto differente e ceramica di uno stile
chiaramente databile alla prima XVIII dinastia. Si crede quindi che i depositi sabbiosi
coincidano con il periodo della guerra fra gli Hyksos e Tebe, anche se ciò che è perduto
a Menfi è la presenza di quei tratti peculiari dell’età del Medio Bronzo come quelli
visibili a Tell el-Dab’a dalla XII dinastia in poi. Importazioni e copie della ceramica
palestinese in Egitto sono presenti in entrambi i siti ma a Menfi essi costituiscono meno
del 2% del repertorio mentre a Tell el-Dab’a dal 20 al 40%. Non c’è nessuno stacco
culturale a Menfi dai primi strati scavati, che sono della metà della XIII dinastia, fino
alla fine del Secondo Periodo Intermedio. Si può osservare questo modello anche in
qualcun altro dei maggiori centri della regione? A Saqqara, la necropoli più vicina a
Menfi, il punto focale delle attività nel tardo Medio Regno fu il tempio funerario di Teti
(2345-2323 a.C.). Ci sono tombe private e attestazioni della continuità nella celebrazione
del culto per il sovrano fino alla prima metà della XIII dinastia. Per quanto riguarda la
tarda XIII dinastia e il Secondo Periodo Intermedio abbiamo solo un’unica, isolata
sepoltura intatta che comprende un uomo in un sarcofago rettangolare. Il nome
dell’uomo, Abdu, fa pensare che egli fosse un Asiatico; inoltre egli possedeva un
pugnale iscritto con il nome di Nahman, un seguace del re Apepi. Dal momento che il
pugnale è l’unica parte dei ritrovamenti finora pubblicata, non si sa se la sepoltura fosse
simile a quelle di analoga datazione provenienti da Tell el-Dab’a ma il sarcofago
rettangolare sembra suggerisce una risposta negativa. Né sappiamo se il pugnale sia
contemporaneo alla sepoltura oppure se rappresenti piuttosto un cimelio di famiglia.

Al di là del ritrovamento ambiguo ci sono chiare testimonianze che nella stessa area ci
fosse una grande necropoli, con ricche tombe in superficie, appartenente ai regni dei
sovrani Ahmose ed Amenhotep I della prima XVIII dinastia. A Dahshur, sito dei
complessi funerari dei due grandi re della XII dinastia Sesostri III e Amenemhat III,
l’attività rituale deve essere continuata almeno fino alla prima XIII dinastia poiché il re
Awibra Hor fu sepolto là in quell’epoca. Poco tempo dopo, all’interno del complesso
funerario di Amenemhat III, furono costruiti alcuni grandi silos in mattoni per il grano.
Quando i silos caddero in disuso, essi furono impiegati come comode “pattumiere” per
la ceramica scartata da un piccolo insediamento nelle vicinanze. Ceramica simile ricorre
anche a Menfi, negli strati sottostanti i depositi sabbiosi, e a Tell el-Dab’a, dallo strato
G/4 in poi, e le sue caratteristiche sono accentuatamente egiziane e del Medio Regno.
Sembra che alcuni edifici siano stati eretti nello spazio sacro di Dahshur poco tempo
dopo l’inizio della XIII dinastia; queste strutture erano associate ad un insediamento che
continuò ad essere occupato, sebbene non sia chiaro quanto a lungo durò questa
occupazione se non in termini relativi. Dopodiché non ci sono più evidenze di attività
fino all’epoca ramesside. La ceramica “da silos” presente a Dahshur è attestata anche a
Lahun, nell’insediamento che crebbe vicino al complesso funerario di Sesostri II. In
seguito, a Lahun, c’è un’interruzione fino all’apparizione della ceramica della metà della
XVIII dinastia. A Lisht, la necropoli più vicina ad Itjtawy, (la residenza regale dei
sovrani della XII e XIII dinastia), il quadro è più complesso. Una grande necropoli
privata si sviluppò intorno alla piramide di Amenemhat I fino a penetrare all’interno del
complesso funerario stesso. Fra queste tombe più tarde ve ne erano alcune abbastanza
ricche contenenti dei tipi di vasellame della classe ceramica “Tell el-Yahudiya” che si
trovano sia nella stessa Tell el-Yahudiya che nelle sepolture di Tell el-Dab’a degli strati
D/3 e D/2 (ossia gli strati che datano alla fine del periodo Hyksos). Queste sepolture più
tarde sono di carattere prettamente egiziano. Un insediamento di lavoratori connessi con
la necropoli si sviluppò nella stessa area durante la XIII dinastia e furono scavate anche
alcune tombe a pozzo all’interno dei complessi abitativi sia durante che dopo la loro
occupazione. Questo stile di sepoltura non-egiziano è parallelo a quello di Tell el-Dab’a
ma non ci sono ulteriori attestazioni che suggeriscano che gli abitanti non fossero
Egiziani. Nelle macerie superficiali dello scavo delle case e delle sepolture furono
rinvenuti 2 scarabei con il nome del sovrano della XVI dinastia Swadjenra Nebererau I
(1615-1595 a.C. circa), la cui datazione, sebbene incerta, ricade nel novero di quelle
assegnate da Bietak allo strato D/3. Non vi sono invece sono attestazioni della XVIII
dinastia a Lisht fino al regno di Thutmosi III.

Tuttavia, persino l’attestazione dell’uso della necropoli di Lisht e della continuità della
cultura del Medio Regno fino al pieno Secondo Periodo Intermedio non ci permettono di
stabilire quando fosse avvenuto lo spostamento del re e della corte da Itjtawy a Tebe.
L’ultimo sovrano della XIII dinastia ad aver edificato monumenti nell’area è Merneferra
Ay (1695-1685 a.C. circa). C’è anche la testimonianza di un ufficiale, di nome
Horemkhauef, supervisore dei sacerdoti, che fu inviato a raccogliere le statue templari
dell’Horus di Nekhen (la divinità poliade di Elkab) e della dèa Iside. La sua stele
funeraria, trovata nel cortile della sua tomba a Elkab, descrive la visita a Itjtawy nel
corso della sua missione:

Horus, vendicatore di suo padre, mi affidò una missione per il Palazzo Regale, di andare
a cercare (in quel luogo) Horus di Nekhen e sua madre, Iside…Egli mi nominò
comandante di una nave e del suo equipaggio poiché sapeva che io ero un ottimo
ufficiale del suo tempio e vigilavo sulle sue mansioni. Viaggiai seguendo la corrente con
velocità e prelevai con le (mie) mani Horus di Nekhen e sua madre, la dèa, dal tempio di
Itjtawy in presenza del re in persona.

Le immagini divine raccolte da Horemkhauef erano presumibilmente piccole statue


appena fatte ex-novo o semplicemente restaurate che erano state forse utilizzate durante
una festività connessa con la regalità. È significativo dunque che il Palazzo Regale
sembri essere in questo periodo l’unico posto in cui artigiani, scribi e sacerdoti lettori
fossero in grado di fabbricare tali immagini. Questo spiega la necessità di Horemkhauef
di condurre un lungo viaggio e il suo orgoglio per il successo conseguito.
Sfortunatamente per noi, però, il re che lo inviò in questa missione non è mai nominato.
La creazione di tali statue era uno dei compiti più significativi di un sovrano egiziano
che gli consentiva di legittimare il suo status divino. Riferimenti alla creazione di tali
immagini ricorrono in tutti gli annali regali che ci sono pervenuti fin dagli inizi
dell’Antico Regno. Questa tradizione di un artigianato sacro, di cui il re era garante, si
ruppe evidentemente quando la Residenza regale fu abbandonata ed i legami con Menfi
furono interrotti. Un altro dei risultati della perdita di questa tradizione artistica fu una
rottura nella cosiddetta “tradizione geroglifica”. La scrittura delle formule impiegate
nelle iscrizioni funerarie cambiò perché esse venivano prodotte sotto l’influenza di scribi
ammaestrati alla scrittura geroglifica corsiva (utilizzata nei documenti amministrativi)
mentre in precedenza le iscrizioni erano state realizzate da scribi che erano
specificamente preparati all’incisione di iscrizioni geroglifiche su monumenti in pietra.
Questo mutamento nella scrittura delle formule funerarie può essere adoperato come
mezzo di datazione delle iscrizioni ad un periodo precedente o posteriore la fine del
Medio Regno. La scrittura della stele di Horemkhauef è della tipologia post-Medio
Regno, il che forse suggerisce che la frammentazione politica potrebbe realmente aver
avuto luogo durante il corso della sua vita. Dalle genealogie degli ufficiali di Elkab
documentate dalle iscrizioni è stata dedotta una cronologia in base alla quale è stato
proposto che la tomba di Horemkhauef sia stata realizzata fra il 1650 e il 1630. Se la sua
visita alla Residenza regale avesse avuto luogo agli inizi del suo incarico ventennale di
alto ufficiale, allora potrebbe datarsi all’incirca fra il 1670 e il 1650, ossia almeno 15
anni dopo la fine del regno di Merneferra Ay nel 1685. Tre piccole necropoli
all’imboccatura dell’Oasi del Fayyum (Maiyana, Abusir el-Melek e Gurob) datano al
periodo delle guerre fra Hyksos e Tebani, periodo che è altrimenti rappresentato solo a
Menfi. Queste sepolture del Fayyum sono di carattere egiziano con i corpi deposti in
posizione supina in sarcofagi rettangolari. A Gurob, 2 sepolture contengono vasellame di
manifattura di Kerma che indica che essi appartenevano ai Nubiani di Kerma che
servivano nell’esercito tebano (si veda oltre). Una sepoltura intatta a Abusir contiene uno
scarabeo del sovrano Hyksos Khyan fornendoci quindi un terminus post quem.

La ceramica di Maiyana (una piccola necropoli di uomini, donne e bambini situato nelle
vicinanze di Sedmet el-Gebel) include delle brocchette cilindriche decorate a pettine di
tipologia Tell el-Yahudiya, simili a quelle presenti nello strato D/2 di Tell el-Dab’a, a
quelle a base circolare I importate da Cipro, e a quelle dei primi strati della XVIII
dinastia nei siti di Telle el-Dab’a e Menfi. Non ci sono armi, a parte una piccola lancia,
ma l’uso di pelle di pecora e la decorazione del defunto con piume e fiori non sono

tipicamente egiziani. Questa piccola necropoli sembra attestare la breve durata della vita
di una comunità straniera del tutto distinta però da quella fiorente ad Avaris. Un piccolo
gruppo di tombe in alcune grandi necropoli del Nuovo Regno a el-Haraga ed el-Riqqa ci
fornisce dei paralleli con il corpus ceramico di Maiyana – Gurob - Abusir el-Melek –
Menfi, e conferma che ci fu una fase archeologica di breve durata e ben distinta che
demarcò l’inizio della XVIII dinastia in questa regione. Approssimativamente 130 anni
prima, il re aveva spostato la sua residenza da Itjtawy a Tebe. Ancor prima di ciò, nel
momento in cui il culto degli antenati regali cessava di essere celebrato, gli spazi sacri
nei templi funerari dei sovrani della XII dinastia iniziavano ad esser invasi. Tuttavia a
Lisht la necropoli (e forse anche l’insediamento abitativo) rimasero in uso fino alla fine
del Secondo Periodo Intermedio. Se la vita della necropoli si svolgeva in parallelo a
quella della Residenza regale, allora vuol dire che anche quest’ultima dovette continuare
in qualche modo.

Cusae: il confine fra il Nilo egiziano ed asiatico.

Il sovrano tebano Kamose fu avvisato dai suoi consiglieri: “Il centro del paese è con noi
fino a Cusae”, e i testi del regno di Kamose restano la nostra migliore fonte
d’informazione scritta per la storia del Medio Egitto nel Secondo Periodo Intermedio.
Un’iscrizione della regina Hatshepsut (1473-1458 a.C.) nello Speos Artemideos, 100
km. a nord di Cusae (el-Qusiya) attesta numerosi restauri e riconsacrazioni di templi
nella zona: “Io ho rimesso in piedi ciò che era andato in rovina da quando gli Asiatici
erano (arrivati) ad Avaris nel Basso Egitto (con) orde erranti in mezzo a loro
distruggendo ciò che era stato fatto…il tempio della signora di Cusae…era caduto in
rovina, la terra aveva inghiottito il suo nobile santuario e i bambini danzavano sul suo
tetto”. Questo passo della propaganda regale fu ideato al fine di mostrare Hatshepsut nel
tradizionale ruolo del monarca come restauratore dell’ordine cosmico sul caos. Il suo
scriba stava scrivendo più di 80 anni dopo le guerre fra gli Hyksos e i Tebani e le “orde
erranti” potrebbero riferirsi sia all’esercito tebano che a quello di Avaris; ciò che è
interessante è che, così tanto tempo dopo gli eventi, i sovrani egiziani si vantavano
ancora della cacciata degli Hyksos. Cusae si trova a circa 40 km a sud di Hermopolis (el-
Ashmunein) che era stata il centro amministrativo dell’area durante il Medio Regno.
Quando Horemkhauef aveva visitato la residenza regale a Lisht, probabilmente fra il
1670 ed il 1650 a.C., il fiume era ancora transitabile ma, subito dopo, Cusae demarcava
il limite del confine dove ogni viaggiatore proveniente da sud doveva pagare tributo al re
di Avaris se voleva continuare il proprio percorso.

A giudicare dal racconto di Kamose dell’arresto di un messaggero che recava una lettera
del re Apepi per il re di Kush, gli Hyksos sembrano aver controllato le rotte da “Sako”
(probabilmente l’odierna el-Qes) attraverso le oasi del deserto occidentale verso il sito
nubiano di Tumas, a metà strada fra la prima e la seconda cateratta. Questa strada
permetteva al re di Avaris di accedere ai suoi alleati – i fieri sovrani di Kush – e all’oro.
Almeno tre delle fortezze sulle cateratte (Buhen, Mirgissa e Uronarti) erano ancora in
funzione sebbene sia ancora in discussione se esse fossero soggette all’autorità
dell’Egitto o di Kush; tuttavia esisteva una struttura di potere in grado di controllare le
rotte per le oasi (dall’estremità meridionale) e d’inviare spedizioni alle miniere d’oro.
Nonostante il confine di Cusae, i contatti regolari e gli scambi di beni fra Basso Egitto e
Nubia continuarono attraverso la rotta delle oasi. Questo è chiaro dai ritrovamenti di
ceramica e sigilli in argilla sia nelle fortezze delle cateratte che nella capitale kushita,
Kerma. Inoltre, almeno a Buhen, questi contatti sembrano essere proseguiti senza
interruzione dalla XIII dinastia fino agli inizi della XV dinastia Hyksos (si veda oltre).
Possiamo poi allargare il nostro quadro del Medio Egitto prendendo in considerazione
un gruppo di necropoli scavate a circa 50 km. a sud di Cusae, a Deir Rifa, Mostagedda e
Qau. Il cimitero S di Deir Rifa contiene sepolture di un gruppo di Nubiani conosciuto
come popolazione dei “pan-grave” (a causa delle loro distintive tombe ovali poco
profonde) che erano allevatori semi-nomadi di bestiame che vivevano ai margini del
deserto. Le loro necropoli ed i loro insediamenti compaiono in Egitto durante la XIII
dinastia ed essi sono stati identificati con i Medjay dei testi di Kamose, che erano
mandati in avanscoperta a precedere il suo esercito. La loro peculiare ceramica fatta a
mano si trova ovunque negli insediamenti del Medio Egitto e arriva a nord fino a Menfi.
A Deir Rifa le loro tombe contengono vasellame di tipo Tell el-Yahudiya di classi
paragonabili a quelle provenienti dai livelli E/1 di Tell el-Dab’a che sono databili alla
metà della XV dinastia. La ceramica egiziana associata appartiene allo stile del Medio
Regno della regione menfita e suggerisce che la necropoli risalisse fino agli inizi della
XIII dinastia. Anche Mostagedda, quasi di fronte a Deir Rifa sulla riva destra del Nilo,
include sepolture della popolazione dei “pan-grave” e queste possono essere collocate
entro una sequenza cronologica basata sul grado di ispirazione a modelli funerari
egiziani o nubiani (mentre la necropoli di Deir Rifa non è pubblicata con sufficiente
dettaglio per permetterci di fare altrettanto). A Mostagedda sono presenti 2 fasi
precedenti la XVIII dinastia ed entrambe contengono ceramica egiziana fortemente
differente da quella di Deir Rifa. Queste 2 fasi, come le precedenti, si ritrovano anche
nella grande necropoli di Qau a 15 km. a sud di Mostagedda e Deir Rifa. La ceramica è
caratterizzata da un’elaborata decorazione incisa, dall’uso di argilla sabbiosa con marna,
da giare per deposito con il bordo alto ed il collo stretto, e da giare carenate. Questo
corpus ceramico appartiene senza dubbio alla tradizione alto-egiziana e fornisce dei
prototipi per il vasellame che farà la sua comparsa a Menfi e a Tell el-Dab’a nella sua
forma pienamente sviluppata negli strati della prima XVIII dinastia. Le necropoli di Deir
Rifa e Mostagedda, sulla sponda opposta del fiume, appartengono quindi allo stesso
gruppo culturale nubiano, ma le differenze nel corredo funerario mostrano che Deir Rifa
era in contatto con la regione di Menfi mentre Mostagedda era legata all’Alto Egitto. I
manufatti nubiani di entrambi i siti sono abbastanza simili da suggerire che la loro
differenza non fosse temporale quanto dovuta a ricchezza, status (Mostagedda è
generalmente più ricca) e soprattutto a legami regionali.

La loro collocazione suggerisce che la regione di Cusae, come attestato anche dalla
documentazione testuale, demarcasse il punto di confine fra Alto e Basso Egitto e che
tale confine esistesse almeno dagli inizi della XIII dinastia. È possibile congetturare che
si tratti delle necropoli di 2 gruppi di mercenari Medjay che controllavano la regione di
confine: forse un gruppo, di stanza a Deir Rifa, controllava la riva ovest al servizio gli
Hyksos, mentre l’altro sorvegliava la riva est per i sovrani tebani.

Tebe, la capitale del sud: la comparsa della XVI e XVII dinastia.

Sulla base della ricostruzione di Ryholt del Canone di Torino oggi siamo in grado di
identificare i nomi di 15 sovrani (la XVI dinastia di Manetone) come predecessori dei re
della XVII dinastia. Cinque di loro ricorrono nelle fonti contemporanee e ciò indica che
il loro centro di potere era in Alto Egitto. Non possiamo esser certi che abbiano
governato tutti da Tebe, ed alcuni anzi potrebbero essere stati sovrani locali di importanti
città come Abydos, Elkab e Edfu. Il re Upuauttemsaf, non citato nel Canone di Torino,
che lasciò una sua modesta stele ad Abydos, potrebbe esser stato uno di essi; la stele lo
mostra offerente a Upuaut, la divinità locale da cui aveva preso il nome. Lo stile della
scrittura, la forma e le insegne regali la pongono in una linea di sviluppo compresa fra le
stele regali della XIII e XVII dinastia. Il re Iykherneferet Neferhotep, che regnò
certamente da Tebe, ci ha lasciato una stele molto più monumentale in cui si descrive
come re vittorioso, amato dal proprio esercito, colui che sfama la città, che sconfigge i
ribelli, che riappacifica i territori stranieri rivoltosi. Neferhotep è raffigurato sotto la
protezione degli dèi Amon e Montu e di una dèa che personificava la stessa città di Tebe.
Ella è rappresentata armata di scimitarra, arco e frecce. Il linguaggio di elogio formale è
familiare rispetto ai precedenti inni composti per i sovrani ma anche per i nomarchi e i
grandi generali che durante il Primo Periodo Intermedio avevano governato come dinasti
locali. Le stele erano erette, come quella di Kamose, per celebrare un evento preciso,
come poteva essere stato togliere l’assedio di Tebe. Non sappiamo se Neferhotep abbia
combattuto gli Hyksos, i loro vassalli egiziani o altri sovrani locali, ma l’egittologo
canadese Donald Redford ha notato un livello di distruzione dopo gli strati della XIII
dinastia in una zona della città che si trova sotto la parte orientale di Karnak. Il nome di
Neferhotep è conosciuto anche dai monumenti contemporanei di Elkab e Gebelein. In
questo periodo di incertezza, il ruolo del re come comandante dell’esercito divenne
sempre più importante ed è perciò conservato nelle composizioni poetiche regali.
L’ideologia e parte della fraseologia sopravvivranno anche nella XVIII dinastia. Anche
se venivano a mancare i sovrani, gli ufficiali che avevano servito per essi avevano i
propri monumenti, e dalle genealogie attestate in questi casi è stata costruita una
cronologia relativa. I figli spesso seguivano i padri nel servire i sovrani i quali
prendevano, a loro volta, alcune mogli dalle grandi famiglie di ufficiali, cosicché una
rete di interdipendenza legava gradualmente il sovrano alle casate provinciali dei suoi
ufficiali, a Elkab ed Edfu così come a Tebe. L’evidenza genealogica suggerisce che solo
3 generazioni fossero intercorse fra l’abbandono di Itjtawy e il regno di Nebererau I,
sesto sovrano della XVII dinastia e che la transizione dai gruppi di sovrani della XIII a
quelli della XVI dinastia non venisse ufficialmente demarcata dagli ufficiali che li
avevano serviti.

Sappiamo invece molto di più dei 9 re assegnati (da Ryholt) alla XVII dinastia, sebbene
solo due di essi siano stati finora messi in relazione fra di loro: i due fratelli Nubkheperra
Intef VI e Sekhemra Intef VII, il cui padre potrebbe essere stato Sobekemsaf I. I loro
nomi non sono attestati nel Canone di Torino dal momento che la parte relativa è stata
tagliata già in antico, ma essi ricorrono in altre liste regali da Tebe; grazie al loro
riutilizzo in edifici più tardi, alcune stele regali sono sopravvissute mentre gli scavi
hanno restituito ricchi oggetti provenienti dalle loro sepolture. I corpi di Seqenenra Taa
(1560 a.C. circa) e di sua moglie, Ahhotep, e forse anche di sua madre, la regina
Tetisheri, furono ritrovati nel nascondiglio di mummie regali di Deir el-Bahri e, cosa
ancora più curiosa, abbiamo la descrizione della tomba di Sobekemsaf II e di sua moglie,
fatta da alcuni profanatori di tombe e ritrovata ancora intatta più di 600 anni dopo, nella
XX dinastia. I nomi dei sovrani ricorrono anche in alcune tombe private e su alcuni
oggetti. Si pensa che questi sovrani tebani abbiano regnato nello stesso periodo dei
sovrani Hyksos della XV dinastia, ma non ci sono punti di riferimento che ci permettano
di datare l’inizio della XVII dinastia dal momento che solo la sua fine è contrassegnata
dalla morte di Kamose in un momento incerto collocabile nel suo terzo anno di regno o
subito dopo. Questi sovrani sembrano aver subito alterne vicende e fortune:
Nubkheperra Intef è citato su più di 20 monumenti contemporanei mentre Intef VII è
conosciuto solo grazie al suo sarcofago conservato al Louvre. Il permanente carattere
militare di questo periodo è dimostrato dalla popolarità di titoli di ambito militare come
“comandante dell’equipaggio del sovrano” e “comandante del reggimento cittadino”.
Questi titoli mostrano un raggruppamento difensivo delle risorse militari intorno al re e
confermano l’importanza delle milizie locali situate nelle città. L’instabilità rimase
caratteristica peculiare dell’Alto Egitto per tutto il resto del Secondo Periodo Intermedio.
Rahotep, primo sovrano della XVII dinastia, si vanta dei restauri nei templi di Abydos e
Koptos mentre un’iscrizione di Sobekemsaf II dimostra che egli inviò una spedizione
mineraria di 130 uomini nello Wadi Hammamat. Queste cave erano numerose anche nel
territorio tebano e il numero di lavoratori coinvolti non regge il confronto con le migliaia
di uomini inviati nel wadi durante la XII dinastia. Tuttavia la sicurezza si stava
consolidando e il territorio e le attività del sovrano si andavano espandendo. La
spedizione di Sobekemsaf ha un’aria chiaramente creata ad hoc: solo un uomo portava il
titolo di “supervisore dei lavori”, mentre il resto degli uomini avevano solamente titoli
onorifici e incarichi connessi con l’approvvigionamento. Lo scriba non rispetta la stretta
gerarchia di status nella sua documentazione e usa un misto di segni geroglifici e ieratici.
Sembra che le tradizionali attitudini e i consueti protocolli avessero subito una completa
rilettura dopo una forte rottura. Nelle miniere di galena del Gebel Zeit, che si
affacciavano sul Mar Rosso, furono rinvenute 2 piccole stele che attestavano delle
spedizioni nel regno dei sovrani Nubkheperra Intef VII1 e Swaserenra Bebiankh della
XVI dinastia, quest’ultimo conosciuto in precedenza solo perché citato nel Canone di
Torino. Vi è stato rinvenuto, inoltre, un gran numero di cocci pertinenti a sepolture pan-
grave, suggerendo un’altra finalità per la quale i sovrani tebani potessero aver utilizzato
mercenari nubiani. Tebe era tagliata fuori dai contatti con il Basso Egitto e non aveva
accesso ai centri della tradizione scribale di Menfi.

Tali centri, con i loro archivi, non furono distrutti e può anzi darsi che essi abbiano
continuato a prosperare sotto gli Hyksos, ma di certo i Tebani non erano in grado di
accedervi, e questo rese forse necessaria la creazione di una nuova raccolta di testi
indispensabili per tutti i rituali di carattere funerario. Una delle prime raccolte di
formule, che conosciamo come Libro dei Morti, è datato alla XVI dinastia e proviene dal
sarcofago della regina Mentuhotep, moglie del re Djehuty. La cultura funeraria tebana si
sviluppò anche in altri modi in risposta ad un impoverimento delle risorse. I larghi
sarcofagi rettangolari di cedro furono rimpiazzati da sarcofagi approssimativamente
antropomorfi di sicomoro decorati con un motivo a piume, ma in uno stile così
sommario e peculiare che nessuno risulta uguale all’altro. Questo aspetto denuncia una
mancanza di formazione pratica alle rigide convenzioni dell’arte funeraria di un tempo,
che erano d’altronde anche meno richieste. Alcuni sarcofagi dimostrano tuttavia che in
alcune officine tebane la tradizione dei sarcofagi del Medio Regno era sopravvissuta fino
alla piena XVIII dinastia. La localizzazione di 5 delle tombe regali della XVII dinastia,
quelle di Nubkheperra Intef VI, Sekhemra Intef, Sobekemsaf II, Seqenenra Taa, e
Kamose, è descritta nel Papiro Abbott che reca testimonianza di un’indagine giudiziaria,
voluta dal sindaco di Tebe nella XX dinastia, sui furti nelle tombe. Nel 1923 Herbert
Winlock si propose di ricollocare le tombe sulla base dell’itinerario degli ispettori
annotato nel papiro. Egli prese spunto anche dal fatto che erano comparsi in vendita
numerosi oggetti di sepolture regali dello stesso periodo provenienti da scavi illeciti fatti
negli anni venti dell’Ottocento e nel 1859-60. I ladri della XX dinastia descrivono cosa
ritrovarono nella sepoltura di Sobekemsaf II: Era (il re) equipaggiato di una spada e
c’era una…serie di amuleti e ornamenti d’oro al collo; sulla testa vi erano la corona e i
diademi dorati e la…mummia del sovrano era tutta ricoperta d’oro. I suoi sarcofagi
erano lavorati in oro e argento all’interno e all’esterno ed intarsiati con ogni genere di
pietra preziosa…rubammo il corredo annesso che consisteva in vasi d’oro, argento e
bronzo.

Questi sovrani e i loro ufficiali spesero tutta la propria ricchezza che si andava
incrementando alla fine della dinastia per il corredo della sepoltura piuttosto che per la
sua sovrastruttura. Tombe decorate sono infatti rare mentre, al contrario, ci si
impossessava e si riutilizzavano spesso tombe precedenti. Per comprendere da dove
provenisse questa ricchezza dobbiamo guardare a sud, a Elefantina, alle fortezze che
stavano a guardia della seconda cateratta, e specialmente a Kerma, capitale del re di
Kush, a circa 800 km. a sud di Tebe.

Elefantina e le fortezze delle cateratte.

Elefantina, un’isola situata di fronte alla moderna città di Assuan, è un punto


d’osservazione privilegiato da cui studiare il Secondo Periodo Intermedio. Come città
provinciale essa fornisce una controparte alle fonti tebane e una serie ininterrotta di
dediche private e regali che datano al periodo compreso fra la XII e la XVI dinastia. Il
sito cittadino stratificato e la necropoli dello stesso periodo sono in corso di scavo da
parte dell’Istituto Archeologico Tedesco. Le vicende di Elefantina sono
inestricabilmente legate a quelle della Nubia.

Durante la maggior parte del Medio Regno essa non demarcava affatto il confine
meridionale che fu invece fissato da Sesostri III a Semna, 400 km più a sud. Tuttavia nel
periodo di maggior debolezza dei sovrani tebani, è possibile che Elefantina fosse
governata in maniera indipendente o addirittura che i Nubiani vi facessero sporadiche
incursione. Un bottino proveniente da un attacco alla città o ai forti è la spiegazione
migliore del fatto che una tomba regale di Kerma, nel tardo Secondo Periodo Intermedio,
contenesse statue di un nomarca di Asyut e di sua moglie che erano vissuti nel regno di
Sesostri I (1956-1911 a.C.). L’importanza della Bassa Nubia era costituita dalle sue
cave, principalmente di diorite, granito e ametista, dall’accesso alle miniere d’oro e di
rame e dalla sua posizione strategica in termini di controllo del deserto e delle rotte
fluviali. Un ufficiale di Elefantina della VI dinastia, Heqaib, fu divinizzato dopo la sua
morte e sono state trovate numerose statue e stele votive nel suo sacello. Particolarmente
ben rappresentate sono le dinastie XIII-XVI e, come a Menfi, la continuità è rotta solo
dall’avvento della XVIII dinastia. Le genealogie attestate dalle iscrizioni mostrano che le
stesse famiglie servivano sia i sovrani della tarda XIII dinastia che quelli della XVI. Lo
status del sindaco di Elefantina, seguace del re di Tebe, cambiò ovviamente da uno di
grande significato locale ad uno di carattere militare.

Un personaggio di tal genere fu Neferhotep che era il responsabile, per il sovrano,


dell’intera regione da Tebe ad Elefantina. Nel periodo dopo la sua morte (la XVI dinastia
a giudicare dall’ortografia delle sue stele) le dediche nel sacello di Heqaib si
interrompono e non può essere una coincidenza che questo sia proprio il periodo in cui il
sovrano di Kush era all’apice del suo potere e persino le fortezze delle cateratte stavano
cadendo sotto il suo controllo. Le vicende di una di queste fortezze, Buhen, possono
essere ricostruite da documenti non ancora completamente pubblicati. Verso la fine della
XII dinastia alcuni soldati furono sepolti con le loro famiglie nella necropoli K di Buhen;
queste sepolture sono caratterizzate da ceramica della regione menfita a confermano che
le forniture delle fortezze provenivano ancora dalle officine della residenza regale. La
necropoli K mostra un’occupazione continua fino al pieno Secondo Periodo Intermedio e
ci sono almeno 2 gruppi di sepolture multiple intatte che contengono le brocchette di
tipo Tell el-Yahudiya, inclusa una tipologia che non compare a Tell el-Dab’a se non a
partire dallo strato E/1 (probabilmente corrispondente alla prima XV dinastia). Uno dei
corpi ha un largo ornamento d’oro intorno al collo suggerendo che gli abitanti erano
rimasti là soprattutto per la vicinanza alla regione mineraria. A quest’epoca la frontiera
fra Alto e Basso Egitto era già esistente e quindi le forniture provenienti dal Basso Egitto
avrebbero potuto raggiungere Buhen solo attraverso la rotta delle oasi che sappiamo
esser in uso durante il regno di Apepi. Chi, ci si chiede, organizzava questo commercio
nella parte settentrionale del paese? Possiamo ipotizzare che alcuni ufficiali fossero
ancora al loro posto a Itjtawy, al comando dei sovrani Hyksos, e sappiamo che la
necropoli di Lisht era ancora utilizzata. La stessa Avaris era il centro di produzione e
distribuzione delle brocchette Tell el-Yahudiya il cui contenuto non è stato ancora
identificato ma era chiaramente apprezzato. Gli abitanti delle fortezze si devono essere
sentiti sempre più isolati e vulnerabili, nonostante i loro rapporti con il Basso Egitto, e
dovettero così accordarsi con il locale potere militare che non era però né quello degli
Hyksos né quello dei re tebani, ma quello del re di Kush.

Una famiglia che copre un arco di 5 generazioni ci ha lasciato varie iscrizioni a Buhen
che attestano che le ultime due generazioni avevano servito il re di Kush e persino
condotto campagne militari in loco a suo favore; dal punto di vista archeologico, questo
periodo è demarcato dalla presenza di ceramica importata dall’Alto Egitto, area tebana, e
non dal Basso Egitto. Il fiume, fra Tebe e le cateratte, era transitabile ma solo, come
implica il testo di Kamose, se venivano pagato tributo al signore del Nilo meridionale, il
re di Kush. Alla fine Buhen fu saccheggiata (ci sono ampie tracce di incendio) ma più
probabilmen e dall’esercito di Kamose e non da quello dei Nubiani.

Altre fortificazioni, Mirgissa e Askut, mostrano una storia simile di occupazione


continuata da parte degli Egiziani a fianco dei Nubiani fino alla fine del Secondo
Periodo Intermedio. Col tempo il controllo della regione delle cateratte da parte del re di
Kerma divenne intollerabile per i re tebani rendendo essenziale una loro riconquista per
poter procedere in sicurezza contro gli Hyksos. Nel III anno di regno di Kamose
abbiamo la prima attestazione che la regione fosse sotto il controllo dei Tebani. A Buhen
è attestata la costruzione di una cinta muraria, forse un restauro delle antiche
fortificazioni dopo la vittoriosa campagna militare menzionata nella lettera inviata dal re
degli Hyksos Apepi al re di Kush.

Il Regno di Kush.

Re di Kush è il nome dato nelle fonti egiziane al sovrano la cui capitale si trovava a
Kerma. Gli archeologi usano Kerma come aggettivo per descrivere la cultura dei Kushiti
distinguendola dalle altre culture contemporanee della Nubia, come il gruppo C e la
cultura pan-grave. Kerma è situata a sud della terza cateratta, alla fine della rotta
occidentale per le oasi e è stata scavata da Charles Bonnet dell’Università di Ginevra. La
popolazione di Kerma non ha lasciato testimonianze scritte ma noi sappiamo che la loro
cultura, ritrovata in tutta la Nubia, risale all’Antico Regno. L’apice della potenza del re
di Kerma si ebbe durante la fase “classica” che corrisponde grosso modo al Secondo
Periodo Intermedio. Kamose potrebbe essergli succeduto dopo aver riconquistato Buhen,
ma solo molto più tardi, nel corso della XVIII dinastia, dopo almeno 3 lunghe campagne
militari, anche Kerma fu conquistata. La distruzione che ne seguì fu così profonda che è
oggi difficile ricostruire la città così come si presentava durante i regni degli ultimi
sovrani indipendenti. Sappiamo che le grandi tombe a tumulo dove i sovrani venivano
deposti contenevano servitori sacrificati e grandi riserve di beni, molti importati
dall’Alto Egitto, che potrebbero esser state tasse pagate da coloro che volevano
procedere verso sud oltre Elefantina. Almeno fino alla fine metà della XIII dinastia il re
intratteneva rapporti commerciali sia con l’Alto che con il Basso Egitto, commercio
probabilmente amministrato attraverso le fortezze delle cateratte. I Nubiani di Kerma
erano allevatori di bestiame e guerrieri, particolarmente famosi come arcieri. Archi e
frecce nelle loro tombe, e le massicce fortificazioni a Buhen ideate per difendersi dagli
arcieri, confermano questa reputazione. Al centro della città vi era un’enorme capanna
fatta di palizzata utilizzata nelle cerimonie regali. Vi erano anche grandi aree sacre ed
edifici amministrativi.

Un intenso programma edilizio durante la fase classica di Kerma testimonia delle


immense risorse di materiali e manodopera a disposizione del sovrano. La presenza di
Nubiani di Kerma negli eserciti di Kamose e Ahmose è fuori discussione ma non è
chiaro se essi fossero lì volontariamente

oppure se fossero stati reclutati in maniera coatta durante le campagne militari di


Kamose. È probabile che i Nubiani di Kerma costituissero una federazione di tribù, e
non è detto che tutte accettassero l’autorità del re di Kerma e, con essa, la politica di
ostilità nei confronti dei sovrani tebani. In ogni modo, malgrado la politica del re,
durante il Secondo Periodo Intermedio il commercio fra Tebe e Kerma fu molto fiorente.
E come le merci viaggiavano anche le persone: artigiani egiziani a Kerma, forse, e
certamente Nubiani di Kerma in Egitto. Le sepolture di un gruppetto di questi individui
sono state trovate sparse fra Tebe e Abydos. Una ricca sepoltura, trovata intatta a Tebe, è
dell’epoca di Kamose ed appartiene ad una donna e al suo giovane figlio. Lo stile è
completamente egiziano e la donna indossa un dono regale, “l’oro dell’onore”, una
collana costituita da numerosi e sottili grani d’oro a forma d’anello. Accanto al
sarcofago vi era un palo portante da cui pendevano delle reti che contenevano 6 coppe di
ceramica fatte in uno stile così indicativo della cultura di Kerma da essere chiamate
“ceramica di Kerma”. E fu proprio il possesso dell’oro ad avvicinare Tebani e Nubiani di
Kerma, prima come alleati e poi, inevitabilmente, come nemici.

La guerra fra Avaris e Tebe.

La scena era pronta per la guerra. I re tebani avevano il controllo della propria regione;
Kamose aveva riconquistato Buhen cosicché gli si erano dischiuse le rotte per le miniere
d’oro; i Nubiani di Kerma erano stati spinti verso sud e la battaglia era pronta. Come
dice Kamose: “Gli darò battaglia per spaccargli il ventre perché il mio desiderio è
liberare l’Egitto e cacciare gli Asiatici”. La maggior parte delle nostre fonti scritte sulla
guerra vengono da parte tebana e come si può immaginare esse descrivono i Tebani
come più forti e belligeranti dei contendenti. La guerra dovette durare almeno 30 anni
dal momento che sappiamo che Seqenenra Taa, padre di Ahmose, combatté contro gli
Hyksos ma Avaris non fu espugnata fino al XVIII o XXII anno di regno di Ahmose.
Dopo il sacco della città, non si sa se immediatamente o no, Ahmose condusse il suo
esercito in Palestina per una campagna militare culminata con l’assedio, durato 3 anni, di
Sharuhen, vicino Gaza. Si ritiene di solito che Sharuhen fosse l’ultima roccaforte del re
Hyksos ma le fonti tacciono al riguardo. La guerra non fu combattuta in maniera
ininterrotta: le campagne militari furono brevi e gli eserciti, secondo gli standard
moderni, erano piccoli.

Ahmose, figlio di Ibana, un importane ufficiale militare che fu sepolto in una tomba
rupestre ad Elkab, descrive, durante una battaglia nei dintorni di Avaris, l’uccisione di
due uomini e la cattura di un altro che erano così importanti da fargli meritare
ricompense in oro da parte del sovrano. Il suo primo impegno noto avvenne sotto il
regno di Seqenenra Taa (che oggi si crede sia lo stesso sovrano con il nome di
Senakhtenra Taa).

Un papiro scritto nel regno del sovrano Merenptah, della XIX dinastia (1213-1203 a.C.),
conserva alcuni frammenti di una storia di una controversia fra Seqenenra e Apepi. Essa
inizia con le rimostranze di Apepi per il frastuono degli ippopotami a Tebe che gli
impediva di dormire. Seqenenra è descritto come “Principe della città meridionale”
mentre Apepi è il re (nesu) a cui l’intero Egitto rende omaggio. La storia si interrompe
mentre Seqenenra sta convocando i suoi consiglieri ma la struttura narrativa, così vicina
a quella dei testi di Kamose, assomiglia al prologo della guerra. Abbiamo ulteriori
testimonianze dell’attività militare nel regno di Seqenenra da Deir el-Ballas, sito di un
insediamento costruito sul suolo vergine ai margini del deserto a circa 40 km. a nord di
Tebe. L’interpretazione dei resti, scavati per la prima volta da George Reisner nel 1900 e
più di recente riesaminati anche da Peter Lacovara nel 1980-6, non è semplice ma la
datazione della prima fase del sito ai regni di Seqenenra Taa, Kamose e Ahmose, è fuor
di dubbio. Durante lo stesso regno di Seqenenra fu anche costruito un palazzo con un
enorme muro di cinta. Come tutti gli edifici sopravvissuti a Deir el-Ballas, anche questo
era fatto di mattoni, con le strutture delle porte e le colonne in calcare. Era costituito da
una serie di corti e da un lungo corridoio d’accesso intorno ad un’area centrale elevata in
cui si presume si trovassero gli appartamenti privati del re. Le pareti erano dipinte in uno
stile approssimativo, con scene che ritraevano uomini e armi, e decorate con mattonelle
di faïence. In una zona annessa ad ovest vi erano larghe recinzioni per animali. Al di là
del muro di cinta vi erano gruppi sparsi di ampie case private; un gruppo di piccole
abitazioni per gli artigiani disposte in maniera non naturale; un’area aperta per la
fabbricazione del cibo; un laboratorio tessile. All’estremità meridionale, su una collina
che dominava il fiume e il deserto circostante, vi era una piattaforma di base di un
edificio, ora distrutto, arricchito da un scalone monumentale. E’ molto probabile che
fosse un posto di osservazione militare. Fra la ceramica di Ballas vi era una gran quantità
di ceramica Kerma, specialmente di tipologie impiegate per cucinare e per la
conservazione dei cibi. Non ci sono dubbi che i Nubiani di Kerma vivessero fianco a
fianco con gli Egiziani in numero considerevole. Non si può che pensare che il fine di
questo insediamento, deliberatamente costruito in un posto tanto remoto, fosse di
carattere militare, forse destinato a raccogliere un esercito contenente un grande
contingente di Nubiani di Kerma. L’esame della mummia di Seqenenra mostra che egli
morì di morte violenta. La sua fronte porta un taglio orizzontale provocato da una scure;
gli zigomi sono fratturati e la nuca porta i segni di un colpo di pugnale. È stato supposto
che la forma della ferita alla fronte sia concordante solo con l’uso di una scure di una
tipologia del Medio Bronzo, simile a quelle trovate a Tell el-Dab’a. Le scuri egiziane,
come quelle dipinte sulle pareti del palazzo di Deir el-Ballas, sono di forma differente.
Questa è la prova più palese che una grande battaglia contro gli Hyksos è avvenuta nel
regno di Seqenenra – una battaglia in cui il re stesso fu brutalmente massacrato.

L’angolatura del colpo di pugnale suggerisce che il sovrano fosse già prono quando
venne inferto il colpo. A Seqenenra successe Kamose. Si crede che egli fosse il figlio del
re, ma non sappiamo in realtà chi fossero i suoi genitori e il suo sarcofago non ha l’ureo,
emblema della regalità. Solo il terzo anno del regno di Kamose è documentato, su una
stele proveniente da Karnak e su un’iscrizione da Buhen. Entrambe le spedizioni
militari, a Buhen e ad Avaris, la prima precedente la seconda, ebbero luogo nel terzo
anno di regno o prima.

Kamose era un guerriero, ed infatti uno dei suoi più frequenti epiteti era “Kamose
l’impavido”, e probabilmente egli morì poco dopo il terzo anno di regno. Il suo culto
funerario, però, associato a quello di Seqenenra Taa, sopravvisse fino in epoca
Ramesside e almeno una delle sue stele a Karnak era ancora al suo posto più di 200 anni
dopo la sua morte. Per ricostruire la spedizione ad Avaris possiamo utilizzare i testi delle
due “stele di Kamose” e le quasi contemporanee copie trovate su una tavoletta da scriba
in una tomba tebana. A parte le esagerazioni, questa campagna militare fu tutt’altro che
definitiva, forse una semplice incursione, considerando che la distruzione finale di
Avaris si verificò non prima di 20 anni dopo e che il rivale di Kamose fu Aauserra
Apepi, il più potente e longevo re degli Hyksos. In un primo momento Kamose mosse da
Tebe verso nord con il suo esercito e con la flotta, mandando dei Nubiani in
avanscoperta per individuare le posizioni delle guarnigioni nemiche. Il sacco di Nefrosi,
a nord di Cusae, è descritto in maniera molto vivida: “come i leoni con le loro prede così
il mio esercito con i loro servi, il loro bestiame, il loro latte, grasso e miele, nello
spartirsi i loro possedimenti con cuore gioioso”. Continuando verso nord, egli intercettò
a Sako (el-Qes) un messaggero mandato da Apepi al re di Kush e questo lo indusse ad
inviare alcuni soldati all’oasi di Bahariya per tagliare le comunicazioni reciproche e
“prevenire che ci potessero essere nemici alle mie spalle”. A questo punto c’è una lacuna
nel racconto di Kamose fino al suo arrivo a Avaris, dove egli fa schierare la flotta su
tutte le vie d’acqua intorno alla città per cingerla d’assedio e, controllando le sponde, per
prevenire eventuali contrattacchi. Egli descrive le donne del palazzo che scrutavano gli
Egiziani dalla cittadella come “giovani lucertole dalle loro tane”. Segue poi il
tradizionale discorso vanaglorioso ad Apepi, “Guarda, sto bevendo il vino dei tuoi
vigneti…sto facendo a pezzi la tua residenza, abbattendo i tuoi alberi”, e poi segue una
lista del bottino che egli stava portando via. Nonostante l’enfasi, è chiaro che Avaris non
fu attaccata e che Apepi rifiutò di dar battaglia. I testi di Kamose si concludono con il
felice ritorno del sovrano: “ogni viso era gioioso, il paese era prospero, le sponde del
fiume erano piene di gente e Tebe era in festa”. È difficile giudicare dal nostro punto di
vista assolutamente parziale quanti danni furono inflitti agli Hyksos dalla campagna di
Kamose. I suoi risultati tuttavia dovettero essere del tutto vani tanto che l’ammiraglio
Ahmose, figlio di Ibana, non fa menzione di Kamose sebbene suo padre e lui stesso
avessero servito successivamente nella flotta di Seqenenra e Ahmose. Non ci fu nessun
seguito immediato dei Tebani e passarono almeno 11 anni prima che un esercito guidato
da Ahmose riprendesse le ostilità nel nord. Le ragioni di questa stasi erano che sia
Kamose che il suo rivale Aauserra Apepi erano morti. I loro successori furono
rispettivamente Ahmose e Khamudi. Ahmose era un ragazzo quando salì al trono e il suo
regno fu tenuto insieme alla regina madre, Ahhotep. A lei sono conferiti epiteti davvero
unici: “colei che si prende cura dell’Egitto; si occupa dei suoi soldati…ha ripreso i
fuggitivi, e ha riunito i disertori; ha pacificato l’Egitto e ha espulso i ribelli”. La fase
finale della guerra si svolse nell’undicesimo anno di regno di un sovrano sconosciuto, a
volte identificato con Ahmose, a volte con Khamudi. La documentazione è formata da
poche note frammentarie sul verso del Papiro Matematico Rhind. Il recto fu copiato nel
XXXIII anno di regno di Aauserra Apepi, quindi in una regione in cui gli eventi erano
datati con gli anni di regno dei sovrani Hyksos; l’argomento specialistico della materia e
l’elevata qualità del Papiro fanno pensare a Menfi come luogo di origine.

Sul verso ci sono alcune note: “Undicesimo anno di regno, secondo mese di shemu -
Heliopolis era conquistata; primo mese di akhet, giorno 23 – questo principe meridionale
fece irruzione a Tjaru. Giorno 25 – si sentì dire che Tjaru era stata conquistata.” Tjaru
era probabilmente identificabile con il sito della fortezza di Tell el-Habua e – secondo
l’opinione di chi scrive – il “principe meridionale” deve essere identificato con Ahmose,
mentre l’undicesimo anno di regno apparterrebbe a Khamudi il cui nome, senza anno di
regno, è presente anche nel Canone di Torino. La strategia di Ahmose sembra esser stata
quella di evitare Menfi per prendere Heliopolis e successivamente, 3 mesi dopo, alla
metà di Ottobre (dopo che il livello delle acque dell’inondazione aveva iniziato a
scendere e i soldati sui carri potevano nuovamente spostarsi per la valle) attaccare Tell
el-Habua con il risultato di impedire agli Hyksos una ritirata verso la Palestina attraverso
il Sinai settentrionale. Disponiamo di 3 fonti contemporanee su questa campagna: la
biografia di Ahmose, figlio di Ibana; la documentazione materiale da Tell el-Dab’a; e i
frammenti dei rilievi del tempio di Ahmose a Abydos. Ahmose, figlio di Ibana, si
concentra naturalmente sul proprio ruolo, cosicché la sua prospettiva risulta ristretta ma
del tutto scevra dall’atteggiamento magniloquente dei testi di Kamose. I rilievi di
Ahmose ad Abydos (scoperti nel 1993) ci danno una visione affascinante dei
protagonisti: gruppi di soldati in lotta; un prigioniero Hyksos mostrato con la testa
rasata, la barba ispida e una corda attorno al collo; un soldato Hyksos con le braccia
alzate e un vestito sfrangiato con le maniche lunghe; il caos dei corpi in combattimento
che cadevano durante la lotta. I rilievi includono anche episodi dell’ultima campagna
militare del sovrano in Siria e Palestina ma la narrazione centrale riguarda una battaglia
navale e questa può riferirsi solo all’assedio di Avaris. Ahmose, figlio di Ibana, descrive
anche una serie di scontri avvenuti ad Avaris ma, siccome non sappiamo quanto durò la
campagna, dall’assedio al sacco della città, il suo racconto potrebbe contenere eventi
sparsi nel tempo in diversi anni, anche se lo stile narrativo semplice suggerisce che gli
eventi siano stati riportati in ordine cronologico. Tenuto conto di ciò, possiamo
ricostruire la campagna militare come segue: Ahmose, figlio di Ibana, è un membro
dell’esercito presente sulla nave “Settentrionale” (forse la nave del re) che comanda la
battaglia navale. Arrivano ad Avaris e, dopo la battaglia, comincia il saccheggio della
città. Nel frattempo l’esercito combatte per pacificare le aree circostanti. Ahmose, figlio
di Ibana, viene assegnato ad un’altra nave, appropriatamente chiamata “Colei che sorge
in Menfi”, combattendo sulle acque di Avaris e uccidendo un nemico. Egli combatté
anche in altri due scontri, uno “nuovamente in questo posto” - probabilmente Avaris – e
l’altro a sud della città. Solo dopo queste schermaglie egli riporta laconicamente:
“Avaris fu saccheggiata e io stesso riportai il bottino da lì: un uomo, 3 donne…sua
maestà me li diede come schiavi”. Poiché Giuseppe Flavio considera gli Hyksos i
fondatori di Gerusalemme, la sua versione di Manetone include un resoconto dettagliato
degli eventi successivi alla loro cacciata dall’Egitto ad opera di Ahmose. Sull’assedio di
Avaris egli dice: “Essi (gli Hyksos) cinsero (Avaris) con una grande cinta muraria in
modo da proteggere i loro possedimenti e le loro ricchezze. Il re egiziano cercò con
l’assedio di costringerli alla resa, bloccando la fortezza con un esercito di 480.000
uomini, ma alla fine, rinunciando per disperazione all’assedio, concluse un trattato
secondo il quale tutti gli Hyksos dovevano abbandonare l’Egitto”. La documentazione
archeologica dalla stessa Avaris sembra confermare il quadro di un esodo di massa
piuttosto che quello di un massacro dopo la vittoria di Ahmose.

Una chiara rottura culturale è visibile infatti fra gli ultimi strati Hyksos e quelli della
prima XVIII dinastia in tutto il sito, soprattutto a causa della comparsa di un nuovo
repertorio ceramico. Lo stesso fenomeno di verifica anche a Menfi (si veda oltre). Dopo
la rottura non ci sono tracce di occupazione continuativa da parte di una popolazione
caratterizzata da elementi misti della cultura egiziana e di quella dell’Età del Medio
Bronzo, mentre in alcune parti del sito l’occupazione cessò completamente. D’altro
canto, il culto di Seth, che conservava anche i tratti di un dio della tempesta siriano,
continuò e si estese anzi nel Nuovo Regno. Gli ultimi strati Hyksos, come abbiamo visto,
mostrano la maggior espansione della città e la costruzione di immense fortificazioni
difensive. Queste potrebbero essere state fatte nel regno di Khamudi ma non furono
sufficienti. I pugnali e le asce di battaglia provenienti dallo strato D/3 erano di rame
impuro, mentre le armi dei primi strati erano costituite di bronzo e stagno conferendo
all’arma una forza di taglio molto superiore. Un’interruzione nelle forniture di stagno
sembra da escludere e perciò è stato ipotizzato che la spiegazione si trovi piuttosto in un
cambio di funzionalità delle armi, da un uso pratico ad un uso simbolico e di status. Al
contrario, le armi dello steso periodo provenienti dall’Alto Egitto erano fatte di bronzo e
stagno e questo avrebbe evidentemente avvantaggiato i Tebani nel combattimento corpo
a corpo. Si ritiene generalmente che gli Hyksos abbiano introdotto il cavallo e il carro in
Egitto dal momento che non ci sono prove certe della loro presenza nel Medio Regno
mentre essi compaiono agli inizi della XVIII dinastia. Non ci sono però attestazioni di
carri da Tell el-Dab’a e le evidenze archeologiche per la presenza di ossa equine sono
dubbie. Tuttavia, a Tell el-Habua, uno scheletro completo, trovato in un contesto del
tardo Secondo Periodo Intermedio, è stato chiaramente identificato come quello di un
cavallo. I testi di Kamose menzionano i cavalli dei nemici e i gruppi di carri di Avaris
come parte del bottino e ciò potrebbe spiegare la loro introduzione in Alto Egitto. Sia i
cavalli, che i carri trainati da cavalli sono raffigurati sui rilievi di Ahmose ad Abydos;
inoltre i carri non appaiono come semplici prototipi ma sono precisamente comparabili
con quelli mostrati nel tempio funerario di Thutmose II.

Nonostante la sconfitta degli Hyksos, il vanto della regina Hatshepsut, “Io ho cacciato
l’abominio degli dèi e ho rimosso il loro ingombro dalla terra”, è stato confutato
dall’approfondito lavoro di Bietak e del suo team a Tell el-Dab’a.

La riunificazione delle “Due Terre” sotto Ahmose.

Il saccheggio di Avaris fu solo il primo gradino di una serie di campagne militari rivolte
ad assicurare l’unità dell’Egitto. Non c’è unanime accordo sulla sequenza degli eventi
ma seguendo il racconto di Ahmose, figlio di Ibana, dopo la campagna di Avaris seguì
una campagna nella Palestina meridionale durante la quale fu conquistata Sharuhen. Non
sappiamo se l’obiettivo fosse di distruggere i rimanenti Hyksos o di sfruttare il vuoto di
potere che avevano lasciato per penetrare fino in Palestina o addirittura in Libano. Ci
sono riferimenti più tardi all’importanza del cedro del Libano e delle mandrie di
“Fenekhu” – un termine che si crede si riferisca alla Fenicia. Ahmose, figlio di Ibana,
continua: “Quando sua maestà ebbe massacrato i nomadi d’Asia salpò verso sud in
direzione di Khent-hen-nefer (al di là della seconda cateratta) per distruggere gli arcieri
nubiani”.

Abbiamo conferma che il re Ahmose ripristinasse (qualora ve ne fosse stato bisogno) il


controllo egiziano su Buhen poiché uno stipite di una porta mostra lui e la madre che
fanno offerte agli dèi Min e Horus (di Buhen) e nomina un comandante di Buhen
chiamato Turo. Dopo il suo ritorno dalla Nubia, Ahmose dovette fronteggiare 2 rivolte.
Nel primo caso si trattò solamente di un piccolo ammutinamento guidato da un uomo
non egiziano (forse nubiano), chiamato Aata, che aveva condotto un piccolo contingente
da nord verso l’Alto Egitto. Potrebbe essersi trattato di non più di un’incursione per
procurarsi bottino dal momento che Aata non volle dar battaglia all’esercito regale. Aata
fu scovato, sconfitto e catturato vivo con tutto il suo esercito, due soldati di questo
esercito furono dati come ricompensa ad Ahmose, figlio di Ibana. Supponendo che Aata
fosse Nubiano e ammesso che i Nubiani di Kerma servissero nell’esercito di Avaris e
Menfi e disponessero di una ricchezza sufficiente per avere tombe di rilievo, è plausibile
che un gruppo di questi Nubiani cercasse di sfruttare l’assenza del re in Nubia per tentare
un’incursione di saccheggio nell’Alto Egitto. La seconda rivolta fu invece di carattere
differente. Essa fu condotta da un Egiziano, Teti-an, che “aveva concentrato intorno a sé
il malcontento di una parte della popolazione; sua maestà lo ammazzò, le sue truppe
furono annientate”. La serietà di questa rivolta è mostrata dalla severità della sua
punizione. Possiamo solo ipotizzare che costoro erano da identificare con Nubiani che,
fino ad allora, avevano servito il rivale di Ahmose, il re di Avaris. Gli ultimi 5 anni del
regno di Ahmose furono diretti ad un intenso programma edilizio nei maggiori centri di
culto (Menfi, Karnak, Heliopolis e soprattutto Abydos), e ai confini settentrionali e
meridionali d’Egitto, Avaris e Buhen. I primi strati della XVIII dinastia a Tell el-Dab’a
hanno prodotto delle scoperte straordinarie persino nel contesto di questo sito unico. Nel
periodo immediatamente seguente il sacco della città, le fortificazioni e il palazzo
dell’ultimo sovrano Hyksos furono sistematicamente distrutti. Ahmose le sostituì con
fortificazioni simili ed edifici palatini che ebbero ugualmente vita breve e che possono
essere ricostruiti solo sulla base delle loro fondazioni e dei frammenti di decorazioni
parietali trovati in luoghi di scarico creati quando gli edifici furono livellati. Le
decorazioni parietali erano minoiche per stile, tecnica e motivi, ma non c’è accordo fra
gli studiosi del mondo Egeo sul fatto che essi fossero opera di artisti minoici o imitazioni
egiziane. Sono stati trovati centinaia di frammenti ma in condizioni davvero precarie e ci
vorranno anni di conservazione e di studio prima che possano essere valutati appieno.
Tuttavia, la loro presenza in un contesto precedente oltre 100 anni la prima
rappresentazione di Cretesi nelle tombe tebane, e precedente anche agli affreschi
superstiti di Cnosso, di cui condividono la tematica, ha rivoluzionato le idee riguardo
alle relazioni fra Egitto e Creta. Uno degli edifici da cui provengono era un palazzo
regale e il solo edificio comparabile dell’epoca è il palazzo settentrionale di Deir el-
Ballas. Le poche decorazioni parietali pervenuteci da lì sono completamente differenti,
dipinte in uno stile semplice simile a quello delle coeve pitture tombali. Gli affreschi di
Tell el-Dab’a sembrano aver preso meno dalla tradizione della decorazione parietale
egiziana, che risale agli inizi dell’Antico Regno. Per analogia con gli affreschi di
Cnosso, essi sembrano esser stati eseguiti per uno scopo rituale e sono infatti pieni di
riferimenti simbolici al culto del sovrano cretese. Saltatori sui tori e acrobati, associati al
motivo del bucranio e al modello del dedalo (labirinto), appartengono completamente al
mondo Egeo.

Le variazioni di gradazione degli affreschi, la loro tematica e i colori dello sfondo,


sembrano indicare che lo schema decorativo fosse estremamente complesso e non si
estendesse su un unico edificio ma su una serie di edifici. Altri affreschi, meno
complessi e chiare imitazioni dello stile minoico, sono stati trovati a Tell Kabri in
Palestina. Uno dei loro aspetti più enigmatici a Tell el-Dab’a è che essi appaiono in un
vuoto (di strato). È anche presente una piccola quantità di ceramica cretese Kamares ma
questa si trova negli strati della prima XIII dinastia e non c’è continuità, nelle strutture
architettoniche e nei manufatti, fra questi strati e quelli degli affreschi. Cosa più strana,
non ci sono manufatti cretesi associati con gli affreschi stessi o con gli strati da cui essi
originariamente provengono.

La scoperta degli affreschi ha ridato vigore a vecchie idee, abbandonate finora, che
Ahmose fosse alleato con i re di Creta e che possa aver preso in moglie una principessa
cretese. Una prova citata a tal riguardo è stata un grifone di stile minoico su una scure di
Ahmose e il fatto che Ahhotep, madre del re, portasse il titolo di “Signora di Hau-nebut”
che in un primo momento si credeva si riferisse alle isole della Grecia, sebbene sia stato
recentemente ipotizzato che questa interpretazione non sia plausibile. Non di meno gli
affreschi provano che i Minoici erano presenti a Tell el-Dab’a, o come artisti loro stessi
o come supervisori di artisti egiziani. La questione posta dagli affreschi porta
inevitabilmente ad un altro problema, la data dell’eruzione del vulcano di Thera, dal
momento che gli affreschi meglio conservati fino ad ora sono proprio quelli provenienti
dall’isola di Thera nelle Cicladi, sigillati sotto gli strati di lava. L’eruzione è un evento
chiave per mettere in relazione fra di loro, e rispetto alla cronologia assoluta, le sequenze
cronologiche dell’Egeo e del Mediterraneo Orientale. Sono stati fatti grandi sforzi per
tentare di identificare l’evento nelle fonti egiziane e datarlo quindi con gli anni di regno.
Riferimenti a tempeste all’interno del Papiro Rhind e una stele di Ahmose che descrive
un cambiamento radicale e distruttivo, sono stati addotti come prove di ciò, ma la più
importante prova finora conosciuta proviene da Tell el-Dab’a. Della pomice, identificata
dalle analisi come proveniente dal vulcano di Thera, è stata trovata in alcuni strati
dell’insediamento databili in un periodo compreso fra il regno di Amenhotep I e quello
di Thutmosi III. Tuttavia la pomice si trova in un officina ove veniva usata come materia
grezza e il contesto fornisce solo un terminus ante quem dal momento che la pomice
potrebbe essere stata raccolta, dalla costa, per esempio, in una data precedente e, in ogni
caso, potrebbe esser rimasta là per molto tempo. Non tutta la pomice, poi, deriva da
Thera: la fonte di almeno uno dei campioni è stata identificata in un’eruzione in Turchia
che avrebbe avuto luogo circa 100.000 anni fa. È interessante notare, inoltre, che non
sono state affatto trovate, finora, nei più antichi strati di Tell el-Dab’a, né pomice né
ceneri (ossia materiale “caduto in seguito all’eruzione”). Utilizzando una combinazione
di elementi, inclusi i dati provenienti da carotaggi e dalla dendrocronologia, dove
eccezionali condizioni atmosferiche possono a volte esser legate ad eventi storici, è stato
proposto che l’eruzione di Thera possa aver avuto luogo nel 1628 a.C. La
documentazione da Tell el-Dab’a potrebbe essere interpretata a supporto della data
tradizionale, 1530 a.C. circa (nel regno di Ahmose), ma molto lavoro ancora deve essere
fatto per chiarire l’interpretazione dei dati scientifici e quindi, al momento, la questione è
ancora aperta. Resta molto poco del regno di Ahmose dopo la riconquista dell’Egitto.

Molti progetti edilizi furono lasciati incompiuti, ma i benefici dell’unificazione erano


chiaramente visibili. I fini oggetti provenienti dalle sepolture regali e le liste di donazioni
agli dèi di Tebe testimoniano di una ricchezza ed abilità artistica crescenti. I frammenti
dei rilievi di Abydos, pervenutici dopo la depredazione della pietra effettuata in epoca
ramesside, mostrano che uno stile che si può facilmente riconoscere come proprio della
XVIII dinastia si stava già sviluppando a partire dalla fine del suo regno.

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