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Archeologia classica

Camilla Carlini

06.10.2022

È a partire soprattutto dal Settecento che avvengono la scoperta del mondo antico e la nascita della disciplina archeologica,
l’importanza della quale crebbe nel corso del secolo successivo con le prime imprese di scavo finanziate dai principali stati
europei.
Di pari passo si andarono costituendo importanti scuole di pensiero sull’arte antica e i primi tentativi di periodizzazione.
N.B. per illustrare questi fenomeni verranno selezionati alcuni contesti monumentali e artistici ritenuti significativi per la
comprensione dell’arco cronologico trattato.

Nella civiltà greca e in quella romana le immagini svolgevano un ruolo rilevante nella vita quotidiana. Esse servivano a
veicolare concetti e valori considerati di volta in volta fondanti e fondamentali.
Attraverso una serie di esempi si prenderà in esame un fenomeno che è stato definito da insigni studiosi come “il potere delle
immagini”.

Archeologia
Definizioni:
1) Wikipedia: è la scienza che studia le civiltà e le culture umane del passato e le loro relazioni con l'ambiente circostante,
mediante la raccolta, la documentazione e l'analisi delle tracce materiali che hanno lasciato (architetture, manufatti, resti
biologici e umani).
2) Enciclopedia Treccani: scienza dell’antichità che mira alla ricostruzione delle civiltà antiche attraverso lo studio delle
testimonianze materiali (monumentali, epigrafiche, numismatiche, dei manufatti ecc.), anche mediante il concorso di
eventuali fonti scritte e iconografiche. Caratteristica dell’a. è il metodo di acquisizione delle conoscenze, mediante cioè lo
scavo sul terreno, la ricognizione di superficie, la lettura dei resti monumentali residui. Tale caratterizzazione ha consentito
di concepire l’a. come metodo di ricostruzione storica, piuttosto che come indicatore cronologico, così che il termine
cronologico basso si è dilatato ad accogliere i periodi post-classici e comunque l’insieme delle informazioni provenienti da
indagini archeologiche. Parallelamente, l’integrazione con le scienze chimiche e fisiche ha consentito di ampliare la gamma
delle possibilità conoscitive, grazie soprattutto alle indagini diagnostiche.

L’archeologia noi la possiamo definire come una scienza storica che ricerca e studia i documenti del passato dell’uomo e ha una
funzione sociale (pubblica) di tutelare questi archivi e garantirne la conservazione.
Gli strumenti che gli archeologi hanno a disposizione, ossia le fonti, possono essere di due tipi: dirette e indirette.
Le fonti dirette comprendono le testimonianze scritte, i papiri, le iscrizioni e le incisioni, anche riprodotte.
Lo studio delle fonti indirette fornisce una serie di informazioni per la costruzione dei quadro storici di riferimento, ossia per
contestualizzare questi oggetti all’interno della cultura che li ha prodotti e fornire specificità sul sito in cui questi oggetti sono
stati rinvenuti. Per quanto riguarda la ceramica e gli strumenti litici, una serie di studi, che si sono sviluppati da 700/800 fino ai
giorni nostri, permette di riuscire attraverso il loro studio, a datare questi materiali.

Archeologia come antropologia


L’archeologia come l’antropologia studia e analizza le società e le culture umane del passato attraverso non l’osservazione
diretta, ma mediante il recupero e l’analisi dei resti materiali (edifici, monumenti, manufatti, ecofatti) prodotti ed utilizzati,
cercando di comprendere tutta una serie di aspetti legati all’uomo.
A tal fine negli ultimi decenni si è sviluppata una branca della ricerca archeologica chiamata etnoarcheologia.

Archeologia come scienza


Obiettivo dell’archeologia è la conoscenza dell’uomo nel passato: disciplina storica…
…ma diversi sono i documenti che interroga.
La cultura materiale va interrogata, poiché di per sé non racconta nulla; il lavoro dell’archeologo è raccogliere i dati, fare
esperimenti, formulare ipotesi, utilizzando un ventaglio di metodi e tecniche mutuate anche da altre discipline.
Metodi di datazione
Termoluminescenza
Ci sono una serie di metodi di datazione definiti scientifici.
Nel corso dei secoli l’archeologia si è sviluppata ed è stato per questo necessario dialogare con altre discipline e altre scienze,
ma anche con altri istituti universitari che si occupano di analisi di tipo scientifico e chimico/fisico.
Uno dei metodi di datazione scientifica che viene utilizzato è quello della termoluminescenza. La termoluminescenza è un
fenomeno fisico di emissione di luce da parte di alcuni cristalli. La tecnica non si può utilizzare su tutti i reperti ma viene
utilizzata in archeologia soprattutto per la datazione della ceramica, molti dei cui componenti, quali quarzi e feldspati sono
termoluminescenti. La cottura del manufatto elimina ogni termoluminescenza presente nei materiali che fanno parte
dell’impasto, ma l’irraggiamento ambientale porta con il passare del tempo ad un nuovo accumulo di energia.
Riscaldando nuovamente il materiale ad una temperatura di qualche centinaio di gradi, si può rilevare la quantità di
termoluminescenza per mezzo di fotomoltiplicatori. Questa quantità dipende dal tempo trascorso dalla cottura, oltre che dalla
quantità di irraggiamento subito (per cui i parametri di riferimento possono variare da luogo a luogo) e dal tipo di materiale
presente nell'impasto. Va inoltre tenuto conto di altri eventuali riscaldamenti subiti dal manufatto (per esempio per un incendio).
La tecnica è applicabile, oltre che alla ceramica, alla terra o alle pietre di un focolare, alle terre di fusione dei bronzi, alle
sculture o decorazioni architettoniche in terracotta, ai mattoni,
Questa tecnica non mi permette di fare delle valutazioni precise poiché c’è sempre un margine di errore che può essere anche di
più di 150 anni.

Tortona: le mura romane e il problema della cronologia.


120 a.C. o età augustea?
Queste mura avevano dei paramenti esterni costruiti con blocchi di
pietra ma il nucleo interno del muro era costituito da filari di laterizi
sfuggiti a quanti si erano occupati delle mura tortonesi. Questi venivano
realizzati con una tecnica che i romani chiamavano opus vittatum
mixtum, che altro non era che una miscela di malta e frammenti di
pietra che venivano versati tra un paramento e l’altro che quando
asciugava diventava resistentissimo. I mattoni dovevano dunque
alternarsi ai filari di blocchetti di calcare. Ancora oggi i muri costruiti
con questa tecnica devono essere demoliti con il martello pneumatico,
questo ci fa capire la resistenza di questa miscela.
Un gruppo di studenti della specializzazione hanno avviato un progetto
sulle mura romane di tortona, ripulendo dalla vegetazione e osservando
in maniera più dettagliata le strutture.
A campione, per alcuni laterizi, sono state prese le misure: la lunghezza oscilla intorno a cm 30, mentre lo spessore, piuttosto
regolare, è di cm 7. Non si hanno laterizi integri che consentano di recuperare la terza dimensione. Ogni fascia di laterizi,
composta da due file, raggiungeva un’altezza di cm 16/17 (comprendendo lo spessore della malta). Le fasce di laterizi non sono
passanti. In opus vittatum mixtum, ciottoli e laterizi, con doppi ricorsi di mattoni passanti è il nucleo, ad esempio, delle mura di
Alba Pompeia, il cui paramento esterno era però interamente in mattoni, spesso cm 45.
Sono stati prelevati in due punti diversi della cortina muraria esterna campioni di laterizi da sottoporre all’analisi della
termoluminescenza.
Cosa ne è emerso? ne è emerso che oltre al paramento murario e al nucleo interno in alcuni casi rimanevano ancora inseriti nel
paramento dei filari di mattoni.
Le mura di Tortona hanno uno spessore di 1 m e 20 cm, si tratta dunque di mura molto piccole e quindi poco resistenti in quanto
era semplice buttarle giù con un ariete.
Ci si è quindi chiesti se fossero delle mura difensive o più probabilmente delle mura con funzione ideologica. Infatti in età
romana ad un certo punto con l’imperatore Augusto la città ha un ruolo predominante per la politica romana, rappresenta il
luogo dell’ordine, della gestione del territorio e il luogo in cui si costruiscono monumenti pubblici funzionali, non solo per la
popolazione della città stessa ma anche per la popolazione del contado. Quindi la città viene caricata di un ruolo non solo
politico e culturale ma anche economico, viene infatti vista come il faro della cultura romana e la costruzione di mura aumenta
la dignità della città; era quindi un aspetto essenziale. In epoca augustea molte città dell’Italia romana e non solo si dotano di
circuiti murari.
Un altro aspetto significativo che non faceva pensare che queste mura avessero una funzione difensiva era la loro estetica.
Queste mura presentando dei paramenti esterni in blocchetti lapidei alternati da filari di laterizi giocavano su una policromia tra
il calcare giallognolo e il rosso dei laterizi. Questa alternanza di colori era superflua per una cinta difensiva, era effettivamente
troppo in quanto la funzione di questa era appunto quella di difendere e non di essere esteticamente bella.
Il prof, in accordo con la soprintendenza, ha prelevato alcuni
laterizi e li ha sottoposti alle analisi alla termoluminescenza.
Questi campioni hanno dato questi esiti:
- 160 d.C.
- 70 d.C.
- 30 a.C.
Possiamo notare datazioni differenti, per questo diciamo che
non sono puntuali le analisi della termoluminescenza.
Queste diverse cronologie da che cosa sono date? dalla stima
della percentuale di umidità che il mattone ha assorbito nel
corso della sua vita plurisecolare
Essendo nell’Italia settentrionale, dunque in una zona particolarmente umida, la data più approvata è la terza, mentre la altre
cronologie non possono essere accettate perché in questo periodo, ossia in piena epoca imperiale romana o le città si sono già
dotate di mura oppure non c’era più bisogno di difendere.

Radiocarbonio
Un altro metodo di datazione viene effettuato mediante il radiocarbonio. Si tratta di una tecnica che si basa sul carbonio-14,
ossia un isotopo naturale dell’elemento carbonio contenuto in tutti gli esseri viventi, uomini piante e animali. Quando un essere
muore cessa l’interazione con la biosfera: il carbonio-14 in esso presente non subisce più l’influenza della biosfera e comincia
naturalmente a degradarsi.
È stato possibile verificare quanto ci mette a degradarsi nel corso del tempo. Il decadimento del carbonio-14 richiede migliaia di
anni, ed è questo fenomeno che costituisce la base della datazione al radiocarbonio e ha fatto dell’analisi del carbonio-14 un
potente strumento per rivelare il passato.
Il radiocarbonio può essere applicato alle ossa e ai denti degli esseri umani e animali così come al legno e al carbone e ha la
caratteristica di dare delle cronologie molto più precise rispetto alla luminescenza; ma, poiché si tratta di analisi costose e una
delle piaghe dell’archeologia italiana è proprio l’assenza cronica dei finanziamenti, bisogna sempre valutare molto bene a quali
analisi ricorrere.

Archeologia come storia


L’archeologia serve come faro per ricostruire un momento storico e si serve dello studio dei reperti, dei documenti epigrafici e
delle fonti scritte, dell’architettura e dell’urbanistica.
Lo studio dei reperti, di nuovi documenti epigrafici, dell’architettura e dell’urbanistica delle città, degli insediamenti minori e di
tutte le testimonianze a noi giunte dal passato consente di apportare importanti tasselli alla ricostruzione del quadro storico e
culturale di un determinato periodo storico, integrando quanto noto dalle fonti scritte.
Da disciplina considerata ancilla historiae l’archeologia è diventata una scienza autonoma.
Ma nel corso del tempo di volta in volta per quanto riguarda il mondo antico e il mondo classico sono stati privilegiati alcuni
aspetti rispetto ad altri. Nel 700/800 gran parte degli studiosi si interessarono della scultura, poi iniziarono ad interessarsi anche
dell’architettura, della cultura materiali. I cocci e i frammenti che venivano trovati, prima degli anni 50, venivano buttai a meno
che non fossero un pezzo caratterizzato da particolari pregi artistici.
Possiamo quindi dire che non c’è mai stata una coscienza complessiva di cosa fosse l’archeologia come invece abbiamo adesso,
in cui siamo consapevoli che tutto quello che si trova può aiutare la storia. Tanto è vero che l’archeologia è stata spesso
considerata una sorta di supporto alla storia che invece è considerata la disciplina per eccellenza per la ricostruzione del mondo
antico, mentre ora anche l’archeologia è diventata una scienza autonoma.

Quando parliamo di archeologia ci riferiamo ad un concetto abbastanza generico poiché nel corso del tempo si sono sviluppati
diversi interessi che possiamo definire archeologici e quindi sono nate tante archeologie.
Nel corso del tempo si sono anche sviluppati più o meno lentamente delle zone di studio all’interno della ricostruzione del
mondo antico, quindi si parla di archeologia preistorica, egizia, sumera classica, medievale e industriale, ma si è anche aggiunta
recentemente l’archeologia ambientale.
Se io prelevo dal terreno un campione di terra grazie all’archeologia ambientale posso sapere che pollini e che semi sono
presenti in quel terreno e quindi che coltivazione era presente in un determinato periodo storico in quel territorio piuttosto che in
un altro.

Le nuove frontiere dell’archeologia


Archeologia preventiva
L’ archeologia preventiva, introdotta nel 2004 grazie al Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 meglio noto come Codice
dei beni culturali e del paesaggio, ha la funzione di conciliare la salvaguardia del patrimonio archeologico e le necessità delle
attività che comportano lavori di scavo (esempio: costruzioni si strade, ferrovie, posa cavi elettrici, ecc.).
L’ archeologia preventiva prevede lo studio preliminare dell’area oggetto dei lavori di scavo per evitare che durante i lavori
vengano intaccate e distrutte testimonianze del passato e allo stesso tempo che, in caso di ritrovamento, i lavori debbano essere
interrotti a lungo per indagini archeologiche.
L’ archeologia preventiva è attualmente regolamentata in particolare dal codice degli appalti decreto legislativo n. 50 del 2016
articolo 25.
1.La normativa riferita all’archeologia preventiva si applica per tutte le opere sottoposte all’applicazione del codice degli appalti
(esempio linea ferroviaria Alta Velocità, autostrade e svincoli autostradali, ecc., metanodotti, acquedotti, posa fibra ottica, ecc..).
2.La stazione appaltante (Società o Ditta Edile, Consorzio, ecc.) sceglie un archeologo specializzato. I nominativi si possono
trovare tra gli iscritti all’elenco della direzione generale educazione o sulla piattaforma professionisti.beniculturali.it che si
occupi della redazione del documento di valutazione archeologica del progetto preliminare di un’opera pubblica, detto VIARC.

Che cos’è una Viarc?


La VIARC è il documento di valutazione archeologica preventiva che l’archeologo incaricato dall’impresa elabora per
analizzare l’area oggetto dei lavori.
Tale documento comprende:
• Inquadramento generare dell’area dei lavori (geo-morfologia, idrologia)
• Inquadramento storico-archeologico diviso in fasi (viabilità antica, resti di centuriazione)
• Analisi fotointerpretativa
• Schede dei siti archeologici vicini (ricerca bibliografica e negli archivi della soprintendenza)
• Schede delle ricognizioni eseguite
• Valutazione del rischio archeologico
• Carte in cad con le aree di rischio.

Milano, Carta del rischio archeologico


Per aiutare tutte le imprese, le competenze e anche i privati cittadini a comprendere se
l’attività che vogliono fare nel sottosuolo sia più o meno rischiosa sono state elaborate le
carte del rischio archeologico. Ci sono sia dei sussidi, sia delle carte in cui sono evidenziate
le aree con vari gradi di rischio archeologico.

Archeologia pubblica
Gli stessi termini “archeologia” e “pubblico” assumono significati e sfumature diverse a
seconda del paese e della cultura cui si fa riferimento.
Il loro accostamento richiama poi una miriade di possibili ambiti, che hanno in comune tre aree ben precise: la società,
l’economia, la politica.
A che ambiti facciamo riferimento? Per esempio alla comunicazione della ricerca, all’educazione dei bambini al patrimonio
culturale, alla gestione dei lavori nel settore pubblico, alla gestione del patrimonio culturale, alla rappresentazione del passato
nella società moderna, al coinvolgimento attivo delle persone.
Possiamo quindi dire che l’archeologia pubblica è quell’area di studio e di ricerca, e quella professione, che vuole investigare i
rapporti e le interazioni tra archeologia e contemporaneità.
E’ così importante come forma di archeologia poiché è necessario che ogni volta che viene fatto un intervento archeologico
deve essere poi posta attenzione sul rendere nota di quello che è stato trovato, ossia è importante tenere aggiornato il pubblico
dei lavori che si stanno facendo in quanto si possono sensibilizzare le persone.
Ci vuole una persona che sia in grado di trovare il linguaggio più appropriato per attrarre il più ampio pubblico possibile, ossia
deve essere in grado di raccontare bene le cose che vengono fatte.
Archeologia pubblica non è…
Molti archeologi ritengono l’archeologia pubblica un hobby senza pensare che questo significa sottovalutare l’importanza di
sviluppare un rapporto con i cittadini. Lo stesso vale se partiamo dal presupposto che sia esclusivamente un mezzo per avere
visibilità, e quindi ottenere finanziamenti o vendere ‘prodotti’. Tutte queste sono immagini distorte che non colgono in pieno
le dinamiche della disciplina.

Per fare archeologia pubblica non basta…


Comunicare o organizzare delle attività con i cittadini non è sufficiente per fare archeologia pubblica. Dal momento che mettono
in relazione il passato con le persone, sia la comunicazione che l’organizzazione di eventi sono a tutti gli effetti attività di
archeologia pubblica, ma sono solo due strumenti tra i molti che abbiamo per raggiungere il fine ultimo dell’archeologia
(pubblica): avviare una vera e propria operazione culturale.

L’archeologo trova il suo posto nella società quando si fa mediatore tra antico e contemporaneo, usando le formule giuste per
coinvolgere i cittadini nella riscoperta del proprio passato, facendo in modo che la sua ricerca agisca in modo positivo
sull’identità e sui valori della comunità locale. Quando, in sintesi, riesce a far toccare all’archeologia il suo punto più alto:
essere a tutti gli effetti una scienza ‘sociale’, una scienza che ha un impatto (positivo) sulla società.
Se archeologia e società contemporanea non hanno punti di contatto e non si alimentano l’una con l’altra, la ricerca rischia di
fallire il proprio ruolo di ‘traghettatore’ tra passato e futuro per diventare un lavoro sterile, fine a se stesso.
Se invece fin dall’inizio di un progetto di ricerca l’archeologo lavora con i diversi pubblici mette in atto un’operazione
culturale complessa, un processo partecipativo di costruzione di conoscenza e identità.
Non esiste un metodo standard per fare archeologia pubblica: ogni volta, a seconda del contesto sociale, politico ed
economico in cui si attua la ricerca, il processo sarà diverso

11.10.2022

Green Archeology (Archeologia Verde)


L’archeologia verde è una delle nuove frontiere dell’archeologia, nella quale l’attenzione verso il verde e l’ambiente inizia a
afrarsi sentire. Questo tema è caro al Ministero degli Affari esteri e alla Cooperazione Internazionale in quanto si cerca di
sensibilizzare le missioni archeologiche all’estero a ridurre l’impatto ambientale, soprattutto quello prodotto dalle macchine e da
tutti gli strumenti che possono omettere CO2 nell’ambiente.
Negli studi archeologici condotti in alcuni siti stranieri, dove ci sono intere città sepolte; i governi locali intendono proporre una
ricostruzione preceduta da una movimentazione di macchine, che impatterebbe molto e negativamente sul paese.
Di recente sono nate iniziative intese a ridurre l’impatto ambientale delle missioni archeologiche italiane all’estero attraverso la
compensazione della CO2 prodotta dagli spostamenti connessi con lo svolgimento delle attività archeologiche.
A partire dal 2020, i direttori delle missioni archeologiche, antropologiche e ed etnologiche italiane all’estero possono inserire
nella rendicontazione delle spese sostenute anche i costi derivanti dall’adesione a progetti di riforestazione o per servizi
ecosistemici realizzati per la compensazione della CO2 prodotta con gli spostamenti connessi con lo svolgimento delle attività.
Possono, per esempio, inserire tra le spese sostenute le donazioni effettuate alle ONLUS che calcolano la CO2 prodotta e la
compensano piantando alberi.
Si tratta di una iniziativa che si inserisce nel quadro degli obiettivi di sviluppo sostenibile stabiliti con l’Agenda 2030 delle
Nazioni Unite e mira a promuovere, oltre a un uso responsabile dei mezzi di trasporto, anche ogni altra misura volta a ridurre
l’impatto ambientale del lavoro degli archeologi e a sensibilizzare le comunità locali su questi temi.
Nel corso del 2021 sono stati presi in esame i risultati di questa iniziativa, prorogata anche per l’anno in corso, valutandone gli
effetti in termini di CO2 compensata.
Accanto a queste soluzioni prospettate dal Ministero degli Affari Esteri ci sono anche una serie di progetti di archeologia verde
che si stanno portando avanti nel corso degli ultimi anni, in quanto nonostante tutto l’area archeologica, come disciplina, porta
agli scavi e alla distruzione di zone e aree verdi.

Un esempio vicino: Pan: il "Colosseo green di Milano"


Tra i vari progetti avanzati di recenti, un molto vicino a noi è il progetto “Colosseo green di Milano”, ossia l’anfiteatro romano
di Milano, i cui resti vennere individuati nel secolo scorso ma tuttora ci sono scavi che hanno come obiettivo quello di portare
alla luce questo edificio, o meglio, le sue fondazioni e strutture, per poi cercare di riqualificare (restituire le dimensione)
l’edificio ricorrendo al verde.
L’anfiteatro aveva una pianta in forma di ellisse di circa 150 x 120 e l’area in cui nella II metà del I secolo d.C. venne costruito
questo si trovava al di fuori della città romana, in particolare era collocato alle odierne via Conca del Navigio, via De Amicis,
vicino a corso Genova.
E’ in corso da parte della Sabap (= Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio) di Milano città Metropolitana un
progetto di scavo e realizzazione di un parco archeologico green. Il suo nome è Pan, Parco Amphitheatrum Naturae; vuole
essere la riproduzione in forma vegetale dell'antico anfiteatro romano, di cui restano solo porzioni delle fondazioni.
Una volta completato, costituirà il più vasto parco archeologico della città. Quindi questo compito è sia un impegno
archeologico ma anche un impegno di carattere economico in quanto è volto a riportare alla luce le vestigia del monumento
romano ma anche a farlo diventare un parco.

La prospettiva è poi di crearne il fulcro di una passeggiata storica, archeologica, artistica che dall’area di via De Amicis/ Conca
del Naviglio raggiunga la basilica di San Lorenzo, con visita all’ipogeo della cappella di Sant'Aquilino, per proseguire attraverso
il parco delle Basiliche fino a Sant’Eustorgio.
La Basilica di San Lorenzo si è voluta inserire nel progetto del parco e dell’anfiteatro poiché si tratta di una chiesa particolare
perché a pianta centrale. Ora la si vede nella sua veste tardo 500esca ma l’ossatura della basilica risale agli inizi del 410 d.C. e
alcuni viaggiatori medievali dicevano che ai loro tempi quando entravano in San Lorenzo rimanevano sbigottiti dalla bellezza di
questo edificio in quanto era tutto ricoperto di porfido rosso e la volta era ricoperta di mosaico dorato con raffigurazione di
apostoli e elementi vegetali.
La chiesa poi subisce diversi danni a causa dei terremoti nel
12esimo secolo fino a quando non si decide di rifare la cupola
che adesso è in fase di restauro.
Per ricostruire la basilica demoliscono la facciata di un grande
edificio su arcate, verosimilmente l’anfiteatro → da qui l’idea di
congiungere i resti dell’anfiteatro con la basilica di San
Lorenzo.
L’anfiteatro imperiale sarà ricreato con elementi arborei della
topiaria antica (bosso, mirto, ligustri e cipressi): un grande
giardino ellittico a delineare il sedime e la forma della pianta
dell'anfiteatro perduto a contorno e completamento dei resti
archeologici. Il progetto prevede innanzitutto l'ampliamento, già
avvenuto, del parco dai 12.500 metri quadrati attuali a futuri 22.300.

Di chi è la zona in cui si trova l’anfiteatro?


La zona dell’anfiteatro appartiene al Comune e di conseguenza la soprintendenza per poter fare questi scavi ha dovuto richiedere
al Comune di Milano, che gli ha ceduto temporaneamente l’area per la realizzazione degli scavi archeologici. Finita la
realizzazione di tali scavi l’area verrà restituita al Comune di Milano che dovrà provvedere alla manutenzione del verde.
Da dove hanno recuperato i finanziamenti? in parte sono stati messi dal Ministero; anche se solitamente il Ministero da
pochissimi soldi per gli scavi, soprattutto negli ultimi anni. Ma è anche vero che devono essere presentati dei progetti
significativi e per Milano, che vuole diventare una città verde, questo progetto aveva una particolare rilevanza anche a livello
politico. Inoltre parte dei finanziamenti derivano anche dal fatto che la soprintendente ha deciso di attribuire ad uno scopo
pubblicitario una parte degli edifici della soprintendenza stessa. Questi uffici prospettano su via De Amicis e davano soldi alla
soprintendente per il noleggio degli spazi pubblicitari con cui sono stati finanziati in parte gli scavi.
Riguardante la tematica del verde dobbiamo tenere a mente che in un'area archeologica non tutte le piante possono essere
piantate poiché queste con le loro radici possono danneggiare i resti archeologici. Vengono per questo previste piante come
cespugli, ossia caratterizzate da poco apparato radicale. Laddove sono stati condotti scavi intorno al deposito archeologico e si è
visto si era concluso si possono piantare alberi con maggiore sviluppo in altezza.

Tentativo che si era voluto fare che poi non e andato a buon fine
Siamo a Roma agli inizi dell’800 quando i francesi occupano lo Stato Pontificio. Il generale Miollis, a comando delle truppe
francesi, entra a Roma il 2 febbraio del 1808; il 17 maggio viene istituita la Commissione straordinaria per Roma, incaricata di
gestire il passaggio dell’amministrazione dal vecchio regime al nuovo governo francese. Roma sarà annessa direttamente
all’Impero francese nel 1810 e nel 1811 divenne addirittura la seconda città dell’Impero.
L’amministrazione francese segue il modello della gestione illuminata della “cosa pubblica” che impone regole chiare e
condivise, ordine e puntuale organizzazione, investimento, infine, di considerevoli risorse economiche. L’obiettivo dei francesi è
quello di imporre regole volte a modernizzare la città.
I francesi vogliono mettere a punto una macchina burocratica messa a punto progetta e mette in opera quindi una diversa
gestione della città, attenta ai bisogni dei cittadini e a eliminare il più possibile la povertà e il sistema di sopravvivenza legato
all’elemosina; per questo le opere pubbliche messe in cantiere servono da un lato a dare un volto moderno e funzionale alla città,
con particolare attenzione però alla conservazione e valorizzazione dell’antico, dall’altro a impostare un sistema sociale fondato
sul lavoro e non più sull’elemosina.
Bisognava dotare Roma di rinnovate strutture politiche, amministrative e sociali, di adatti luoghi ed edifici per realizzarle e
conservare, salvaguardare e restaurare la memoria del passato, questa è l’intenzione dei francesi che la mettono in pratica
attraverso una serie di commissioni che si occupano dei diversi problemi della città e che coinvolgono artisti e professionisti già
attivi a Roma, ma il cui lavoro viene supervisionato da professionisti francesi e direttamente dal governo centrale di Parigi. Si
può capire quanto sia radicale l’impatto di queste riforme sulla sonnolenta città pontificia e come la scossa di modernizzazione
permanga anche dopo la rovinosa caduta dell’impero.
Si cerca di trasformare Roma in una città moderna, funzionale, ben organizzata, dotata di attrezzature funzionali (mattatoi,
cimiteri, mercati) e di spazi collettivi, moderni parchi pubblici di cui rimane testimonianza l’attuale sistemazione di piazza del
Popolo; in questo ambito importanza decisiva assume l’atteggiamento verso l’antico; non più considerato solo vestigia del
passato, ma scena per la vita moderna, cornice monumentale simbolica del nuovo Impero che vuole in qualche modo
continuare quello antico. Dunque in questa trasformazione della città/progetto di trasformazione della città si pone una nuova
riflessione su come convivere con l’antico e con le realtà archeologiche antiche. Le strutture antiche non vengono più concepite
come qualcosa che si ammira, fonte di ispirazione per artisti e architetti, ma devono diventare dei veri e propri palcoscenici
davanti ai quali si svolge la vita moderna di Roma, come una cornice monumentale.
Le antichità si trasformano e diventano giardino, passeggiata archeologica; Pietro Piranesi, figlio del grande incisore e
direttamente impegnato nella riforma della città afferma: “Per abbellire Roma si tratta più di distruggere che di costruire”. I
monumenti infatti vengono scavati, restaurati, liberati dalle costruzioni a loro addossate e collocati all’interno di percorsi
alberati; Roma moderna riceve splendore e maestosità dalla Roma antica.

All’inizio dell’Ottocento i francesi pensavano per i resti del Foro Romano un grande giardino con le rovine isolate e viali
alberati per passeggiare.
A inizio 800 i francesi volevano realizzare un grande giardino nei giardini romani.
La risposta, tardiva, dell’Italia
Non hanno solo i francesi avvertito questa importanza del verde in archeologia, anche gli italiani,
con un netto ritardo a inizio 900, iniziano a interessarsi al verde nella zona dei fori imperiali.
Giacomo Boni, il grande archeologo che diede inizio alle esplorazioni scientifiche del Foro
Romano alla fine dell’Ottocento/inizi Novecento, confidava molto nel connubio tra rovine e
vegetazione. A conclusione degli scavi eseguiti sul Palatino per riportare alla luce le dimore
imperiali, l’archeologo allestì sul posto un giardino all’italiana, piantandovi cipressi e lauri, ma
anche nuove specie come peonie e camelie.
Scriveva nel suo Flora Palatina del 1912: «Vorrei far ricca la flora palatina; vorrei far sentire
l’influenza educativa emanata dall’amoroso rispetto alle piante e di cui mostrano aver gran
bisogno taluni visitatori».

Torna a splendere il verde di Pompei: viaggio tra giardini, orti, frutteti e vigneti ritrovati
Immaginare Pompei come una città con ampi spazi dedicati al verde oggi è difficile. Ma grazie agli affreschi presenti in molte
domus con raffigurazioni di giardini fantastici e agli ampi studi di archeobotanica, gli studiosi oggi sono riusciti a ricostruire
quella che doveva essere l’area verde, sia di una residenza privata sia del verde pubblico.
Nel momento stesso in cui la città tornò alla luce, il verde cominciava a ricoprire gli spazi, complice il fertile terreno vulcanico e
la mitezza del dolce clima campano. Dopo il lockdown, Pompei ha riaperto nuovi percorsi “green”.
Anche il tema del green a Pompei è diventato di moda, si tratta di una città che ha la fortuna non solo di essere preservata così
com’era ma anche di contenere diverse informazioni su come i romani gestivano il verde.
In questi ultimi anni sono particolarmente importanti per Pompei perché c’è stato un grande rilancio dal 2000 in poi e si è curato
tantissimo il verde; dove è stato possibile sono state create zone gestite alla romana e alcune aree anche visitate dal pubblico
sono state arricchite anche con il verde.
Archeologia come inclusione
Un altro aspetto che negli ultimi anni è divenuto molto importante è proprio l’archeologia come inclusione.
Si tratta di un’archeologia che guarda i rapporti che gli archeologi di uno stato hanno con quei paesi nei quali si vanno a
effettuare missioni archeologiche.
Anche il concetto di missione archeologica cambia nel corso del tempo; si tratta di un concetto che primanssumeva sfumature
anche negative, ossia si parlava di rapina nell’800, si andava a scavare nei paesi più poveri in cambio di una somma di denaro e
si poteva tenere tutto quello che si trovava, adesso le cose sono cambiate e le missioni archeologiche vanno ad operare in paesi
ricchi dal punto di vista archeologico ma che magari non hanno gli strumenti per la valorizzazione di questi siti e contribuiscono
anche ad aumentare il livello tecnologico di questi paesi.
Quindi le ricerche archeologiche non vengono fatte solo per uno scopo scientifico ma anche per mantenere dei rapporti
economici e commerciali con i paesi con i quali si va a operare.
Oggi l’archeologia viene appunto vista anche in rapporto all’inclusione; non si tratta solo di scavi all’estero che riguardano
esclusivamente la ricerca ma anche con una finalità sociale e culturale perché questi lavori archeologici possono anche non
presupporre gli scavi nel terreno ma anche una fase di ricerca mediante la quale è possibile ottenere informazioni sul sito
archeologico senza dover scavare. Si tratta quindi di attività di conservazione, documentazione, digitalizzazione e sviluppo di
politiche di tutela e protezione del panorama locale.

Quali sono le aree in cui operano le missioni archeologiche italiane? Africa Subsahariana, America, Asia, Oceania e Europa,
Mediterraneo e Medio Oriente
Ci sono quindi numerose zone interessate alle missioni archeologiche italiane.
Un altro aspetto importante è quello di contribuire in maniera determinante a proteggere e valorizzare il patrimonio culturale dei
paesi partner e rafforzare lo sviluppo socioeconomico, soprattutto in quei paesi dove i beni archeologici e culturali sono a
rischio. Nei paesi dove ci sono i conflitti o in cui il patrimonio è a rischio se vengono avviate campagne di conservazione e
documentazioni anche nel caso in cui questi paesi venissero distrutti o persi i resti almeno i documenti scritti li ho.

Un’indagine pubblicata nel 2018


Qual è l’idea che gli europei hanno dell’archeologia? è stata effettuata un’indagine da parte della Comunità Europea 2018 in cui
si è cercato di capire quale fosse nella mentalità di alcuni popoli della comunità europea riguardo l’archeologia e in particolare
quale fosse la loro idea di archeologia.
Questo è ciò che ne è emerso:

Non in tutti gli stati europei la visione del patrimonio archeologico è uguale. In Italia per esempio per tradizione dal 500 in poi
vengono emanati a Roma una serie di decreti tesi a evitare che il patrimonio archeologico venisse disperso e venduto sul
mercato internazionale.

Soprintendenza: non è altro che un organo periferico, un ufficio periferico del Ministero che ha lo scopo di tutelare il patrimonio
archeologico, sia tutto ciò che si trova sotto terra ma anche tutto quello che è visibile e conservato all’aperto: Anche se dei
monumenti si sono conservati per secoli all’aperto possono ricadere sotto la tutela del comune di appartenenza.
A partire dal 1909 venne emanata la prima legge articolata sulla conservazione dei beni archeologici.
Il ministero ha sempre funzionato, con alti e bassi a seconda del periodo storico, dunque possiamo dire che l’Italia da questo
punto di vista ha sempre avuto un apparato burocratico amministrativo molto articolato e abbastanza efficiente.

13.10.2022

Ranuccio Bianchi Bandinelli


Siena, 19 febbraio 1900 – Roma, 17 gennaio 1975
Si tratta di un archeologo che ha scritto un’opera intitolata “Introduzione all’archeologia”.
Nasce nel 1900 e muore nel 1976 ed è considerato uno dei più importanti archeologi italiani
del secolo passato, soprattutto per la visione/interpretazione che lui ha dato dei fenomeni
dell’arte antica e dell’arte romana, anche se in gioventù i suoi interessi erano più rivolti
verso l’arte greca.

Introduzione all'archeologia classica come storia dell'arte antica


Il volume si articola, dopo alcune pagine di note dell'autore e di prefazione, in sette capitoli,
con appendice di immagini.
1. Premessa: come afferma Bianchi Bandinelli nella premessa all’opera, il valore e l’interesse per l’archeologia nella società
moderna è nella sostanza giustificato dal riconoscere in essa un valore formativo della nostra cultura o dal fatto che
l’archeologia soddisfi una nostra interiore aspirazione
2. Winckelmann
3. L'archeologia filologica
4. Le fonti letterarie
5. Le scoperte e le grandi imprese di scavo
6. Ricerche teoriche e storicismo agli albori del Novecento
7. Problemi di metodo
Questo volume si articola in alcuni capitoli e in una premessa in cui l’autore spiega e giustifica la volontà di scrivere un volume
di introduzione archeologica. Vi sono anche degli approfondimenti su alcuni personaggi storici che hanno dato il via a questa
disciplina.

Lui opera in gran parte del 900; non frequentò le scuole pubbliche ma abbe delle istitutrici private, nacque infatti in una famiglia
nobile e frequentò poi l’università statale. La madre era di origine tedesca, infatti ebbe anche delle istitutrici tedesche e questo
gli permise di conoscere molto bene la lingua.

Egli afferma: ...Il mio interesse era rivolto con passione all'arte greca, ma il mio professore di archeologia classica si ammalò e
io dovetti passare al docente di antichità italiche, il quale mi avviò alla ricerca topografica della regione di Chiusi. Ripensando
oggi a come si svolsero quelle mie ricerche, esse mi sembrano più prossime alle etruscherie settecentesche che alla
problematica storica.
Purtroppo da parte mia mi guastai un poco con il professore che avrebbe dovuto guidare la mia tesi perché, avendogli un
giorno chiesto consiglio su una questione per la quale mi si presentavano elementi per due possibili ma divergenti soluzioni,
egli mi consigliò di tenermi «sulle generali», di non prendere posizione, per evitare che «qualche pignolo tedesco» non
dimostrasse poi che avevo sbagliato.
Questo consiglio mi indignò molto. Io cercavo un metodo di lavoro e non un insegnamento di opportunismo all'italiana…
Secondo lui l’archeologia ha una funzione formativa e in alcuni casi può anche soddisfare una passione che non e però condivisa
da tutti.
Lui dice che le indicazioni avute dal suo professore non riflettono una visione del mondo antico moderno e contemporaneo ma
in modo molto antico, secondo la classica visione 700esca per la quale si valutavano gli oggetti antichi da un punto di vista
estetico e non con l’attenzione di introdurre questi oggetti nel mondo moderno per comprenderne le funzioni.

e come considerava l’università di Roma?


Il giudizio sul mondo accademico romano, di cui Bianchi Bandinelli entrò a far parte in una fase della sua vita, non fu certo
positivo né gli fu mai congeniale, in quanto si era strutturato più come un’elegante Accademia erudita e formale, che non come
un concreto centro di ricerca scientifica.
Bianchi Bandinelli ricordava dell'università di Roma «… i miei inutilissimi maestri dai quali una cosa sola ho imparato, come
non si deve far lezione e come non si deve trattare la scienza, se non si vuole divenire corruttori, moralmente e
intellettualmente, dei giovani….»
Si coglie così in tutta la sua ampiezza l'isolamento culturale in cui lo studioso trascorse gran parte della giovinezza il che fece di
lui sostanzialmente un autodidatta. Questo suo tenersi al di fuori degli ambienti accademici del periodo lo portarono a isolarsi e
ad essere anche visto da un punto di vista non positivo. Lui divenne quindi autodidatta; si è fatto da solo, ha una sua visione del
mondo e un’interpretazione libera da quelli che erano gli insegnamenti e i preconcetti dell’universalità di allora.
Egli opera in un momento storico molto particolare; quando esce dal suo percorso universitario siamo nel pieno periodo fascista
in cui l’archeologia non era interpretata come una disciplina volta alla pura conoscenza scientifica del mondo antico ma veniva
vista come uno strumento e un supporto del regime.
Con l’avvento del fascismo proprio nel momento in cui si concludevano i suoi studi universitari, l'archeologia, in particolare
quella italica e romana, si avviava a divenire nient'altro che un supporto ideologico del regime. In particolare con il fascismo
avevano preso piede importanti studi dell’archeologia italica e romana in quanto bisognava elevare la grandezza di Roma.
La formazione scientifica di Bianchi Bandinelli non si comprenderebbe senza il rapporto continuo con la cultura europea e in
specie con la germanica, non solo tramite i libri, ma anche attraverso i contatti personali e i lunghi e frequenti viaggi all’estero.
Tra tutti gli archeologi della sua generazione egli fu l'unico a sfuggire alla desolante provincializzazione che in tutti i campi
della cultura, ma in modo particolare grave in quello degli studi archeologici , caratterizzò il ventennio fascista.

L’archeologia al servizio del potere


Durante il Ventennio fascista l’idea di Roma antica e del suo impero fu radicalmente sottoposta a meccanismi di sfruttamento
del mito già ampiamente noti alla politica di massa, alla spettacolarizzazione teatrale e al discorso verbale. Come affermò
Mussolini il 21 aprile 1922, ricorrenza della fondazione di Roma, «Roma è il nostro punto di partenza e di riferimento; è il
nostro simbolo o, se si vuole, il nostro mito».
Sottolineiamo ancora come appunto nel periodo fascista l’archeologia sia vista come uno strumento di potere.

Che ricadute questa visione di colonizzazione ebbe sull’archeologia? quella di esaltare nei territori conquistati quei monumenti
che si legavano al grande impero romano e che giustificava così una nuova conquista.

In questo volume lui affronta diversi temi e filoni di indagini e una delle domande che si pone è come si sono approcciati nel
corso del tempo gli stessi antichi nei confronti dell’archeologia, ossia come gli antichi greci e romani vedevano, nel caso in cui
fosse già esistita, l ’archeologia?
Per molto tempo l’archeologia non è esistita come scienza autonoma né come parola corrente; dobbiamo arrivare al 700 per
osservare la nascita di questa disciplina.
Diderot disse: “Beati gli antichi che non avevano antichità”
Cioè gli antichi non dovevano confrontarsi con un patrimonio passato; vediamo però come questa affermazione non sia del tutto
vero in quanto gli antichi avevano un concetto di popoli e culture che erano vissute prima di loro.

Nei testi degli autori classici, a fronte di una quantità assai notevole di menzioni letterarie riferite sia a “reliquie” sia a statue di
culto di veneranda antichità, come gli xoana, alcuni dei quali ricondotti ai tempi della guerra di Troia, le notizie di ritrovamenti
di oggetti antichi non sono numerose.
Uno xoanon (in greco ξόανον; plurale: ξόανα xoana, dal verbo ξέειν, xein, intagliare o raschiare il legno) era un‘immagine
cultuale in legno della Grecia antica. Molte immagini di questo tipo furono conservate nei grandi templi di età storica, sebbene
nessuna sia sopravvissuta fino ad oggi, eccetto laddove le loro immagini vennero copiate nella pietra o nel marmo.
Nel secondo secolo d.C., Pausania descrisse numerosi xoana nella sua Descrizione della Grecia, particolarmente l'immagine di
Hera nel tempio a lei dedicato a Samo. La statua di Hera Samia, come dice Aethilos, era dapprima un trave in legno, ma in
seguito, quando Prokles fu governatore, venne umanizzata nella forma. Pausania non fa mai menzione di aver visto uno xoanon
di un uomo mortale.
Il termine xoanon fa riferimento ad oggetti lignei spesso usati e disposti nei templi dell'antica grecia.
Quasi tutte le statue citate nelle fonti antiche non ci sono pervenute ma possiamo avere un’idea di queste confrontando alcune
statuette di legno che provengono da Palma di Montechiaro in Sicilia e che datano il VII/VI secolo a.C.
Si tratta di sculture antropomorfe in forma umana molto schematiche che avevano forte importanza per le popolazioni antiche in
quanto si trattava di oggetti di culto o di offerte fatte alla divinità.
L’uso del legno per la scultura antica non è limitata a questo periodo storico in quanto c’è tutta una produzione di sculture in
materiali deperibili come il legno che non sono giunti fino a noi come invece hanno fatto materiali più resistenti come oro e
bronzo.

Possiamo notare qui sotto raffigurate tre statue che provengono da stipi votive ossia da depositi di oggetti presenti nei santuari o
nei templi. Tutto ciò che riguardava la sfera del sacro, dall’edificio agli oggetti donati nel santuario, non potevano essere distrutti
nella mentalità degli antichi quindi quando si accumulavano si procedeva con le pulizie. Ma nonostante questo loro accumularsi
gli oggetti non venivano buttati,; o si scavavano grandi fosse dove questi venivano messi all’interno e poi ricoperti di terra, e
questo doveva avvenire all’interno dello spazio sacro, oppure venivano realizzati appositi edifici che i greci chiamavano tesauroi
in cui si conservavano questi oggetti.
Da uno di questi depositi votivi risalgono almeno 300 sculture lignee di epoca romana, trovate in alcuni santuari dell'area
gallica. scritti nella slide Sono oggetti attribuibili all’epoca augustea in grande parte.

Per l’epoca antica la maggior parte delle informazioni scritte su rinvenimenti archeologici riguarda recuperi casuali, avvenuti
nella Grecia e in Italia. Si tratta di materiali venuti alla luce non a seguito di ricerche programmate. Il più delle volte si tratta di
scheletri o di parti del corpo umano, come è il caso narrato dallo storico romano Fabio Pittore (III-II secolo a.C.):
«…Campidoglio, che ebbe questo nome perché qui, mentre si scavavano le fondamenta del tempio di Giove, si dice che fu
ritrovata una testa umana…»

Gli antichi non andavano a scavare appositamente per cercare gli oggetti. Loro scavano nel terreno per qualunque altro motivo e
potevano così facendo trovare degli oggetti. Quindi il contatto che loro avevano con l’archeologia era abbastanza casuale e non
era un programma effettivo; si tratta quindi di materiali venuti alla luce non a seguito di ricerche programmate.

Era importante il Campidoglio poiché vi era al di sopra il tempio di Giove Capitolino. Si tratta di un edificio costruito all’epoca
dei re etruschi, nel VI secolo a.C. visto come una struttura colossale e giustificato dal fatto che i re etruschi volevano trasformare
il precedente insediamento in una grande città degna di competere con le altre grandi metropoli etrusche dell’Etruria centrale.
Quindi il nome Campidoglio deriva dalla parola latina caput, ossia testa.
C’è chi nel corso del tempo è incorso in questa citazione; alcuni l’hanno presa per buona mentre altri no, affermavano che si
trattava solo di un’assonanza, però l’archeologia più o meno contemporanea gli ha dato ragione.
Per quale motivo? perché nei recenti scavi conseguiti sono state intercettate diverse tombe alcune della quali contenenti ancora
degli scheletri con i loro oggetti che risalgono all’età del ferro e anche al periodo arcaico, quindi abbracciano diversi da secoli
precedenti la costruzione da parte dei re etruschi.

E’ interessante notare come le fonti scritte appaiano tra loro coerenti e complementari su questo episodio, in buona misura
sostanzialmente affidabili, a volte anche per quei particolari che a prima vista sembrerebbero solo leggendari. A questo
proposito può essere rivalutato il particolare, riferito da Dionisio, da Livio e da altri autori oltre al già citato Fabio Pittore, del
rinvenimento nel gettare le fondamenta del tempio di Giove Capitolino di una testa umana mirabilmente conservata (caput
humanum integra facie).
In recenti scavi condotti nell’area del Palazzo dei Conservatori sul Campidoglio sono state intercettate numerose sepolture ad
inumazione risalenti sia all’età del Ferro (II e III periodo laziale) sia al periodo orientalizzante e arcaico, pertinenti ad infanti,
bambini, adolescenti e giovani d’entrambi i sessi, e relative ad un abitato stabilmente insediatosi almeno fin dal IX secolo a.C.
sul Campidoglio

Recuperi causali
Abbiamo già detto che gli antichi trovano questi resti non per motivi di
ricerca ma appunto per recuperi causali.
Uno di questi recuperi avvenuti è testimoniato non da una fonte
letteraria ma da una forte muta, si tratta di un rilievo nel museo
nazionale di ostia e si data nella prima metà del I secolo a.C.
Si tratta di un paramento di basso rilievo; il recupero di questa scultura
avvenne ad opera di un gruppo di pescatori che avevano gettato le reti
in mare e le stavano recuperando per appunto recuperare il pesce al loro
interno.
Notiamo l’immagine di un personaggio maschile stante con un braccio
proteso in avanti e l’altro che trattiene la parte iniziale di una clava. La
muscolatura ben evidenziata e la presenza della clava ci permettono di
identificarlo come Eracle/Ercolo.
Lo stesso personaggio è anche rappresentato sotto al centro e nella mano
protesa tiene una tavoletta di legno che sta porgendo a un giovane in
grado di leggere, interpretare e spiegare a chi ha bisogno di un dio per
ottenere delle risposte. Dietro questo gesto di passaggio si vede una
forma parallelepipeda che altro non è che la forma di un altare.
Questo rilievo ci racconta che, a seguito di una pesca miracolosa, venne
recuperata dal mare una statua del dio Eracle. Questo recupero venne
considerato come un dono divino agli abitanti che a seguito di questo
rinvenimento decisero di istituire un culto al dio Eracle.
Che questo racconto abbia dei risvolti di carattere religioso lo capiamo delle iscrizioni in alto.
Probabilmente questo rilievo venne fatto realizzare da un aruspice, un sacerdote che nel mondo romano doveva interpretare i
voli degli uccelli.
Si tratta anche in questo caso di un recupero causale e non finalizzato.

Ricerche finalizzate alla scoperta della tomba di eroi o di uomini di grande virtù
Non tutti e non solo i recuperi erano causali, in pochi ed eccezionali casi c’era stata da qualcuno una volontà di creare qualcosa
di storico legato all’antichità di un determinato posto. Un esempio ci è stato posto da Marco Tullio Cicerone, famoso oratore
vissuto nel I secolo a.C.
M. Tullio Cicerone, vissuto nel I sec. a.C. (Tusc. 5, 64-66), durante il suo soggiorno in Sicilia si adoperò per trovare la tomba del
grande Archimede:
…Quando ero questore (in Sicilia) ho scoperto il sepolcro di Archimede, ignorato dai Siracusani, circondato com’era e coperto
di rovi e cespugli. Avevo saputo che sul suo sepolcro erano iscritti alcuni versi senari, dai quali si ricavava che era coperto da
una sfera e da un cilindro. Intorno alla porta di Agrigento c’è una grande quantità di sepolcri: io guardavo tutto con attenzione
e mi avvidi di una colonnetta che non si alzava di molto dai cespugli. E quindi subito dissi ai nobili Siracusani che erano con
me che pensavo di avere trovato quello che cercavo. Molti servi con falci furono mandati a ripulire il luogo ed aprire (un
passaggio): attraverso questo ci avvicinammo alla base anteriore. Vi appariva un epigramma, con versi ridotti quasi a metà
dalla corrosione delle lettere….
Cicerone si presenta in questo episodio con un atteggiamento da “moderno” ricercatore, ricorrendo anche alla disciplina
epigrafica per riconoscere la tomba del grande matematico siracusano.
Questo racconto di Cicerone ci dice come alcuni personaggi antichi avessero già istituito un metodo di approccio
all’archeologia; infatti Cicerone si presenta in questo episodio con un atteggiamento di moderno ricercatore.

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