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OPEN ACCESS JOURNAL OF CULTURAL HERITAGE PROTECTION

ANNO II, N. 2 (2010)

archeomafie 1st Reprint

1
Avvertenza: la presente versione della rivista in formato elettronico
(e-book) presenta le immagini di qualità volutamente ridotta rispetto
alla versione cartacea, in modo da rendere il file più leggero e quindi
più facile la diffusione gratuita in internet della rivista, secondo la
filosofia dell’open source e dell’open archaeology abbracciata
dall’IRCECH – OIA.

2
LIBERARCHEOLOGIA RIVISTE

3
4
anno II, n. 2 (2010)

a cura di Tsao Cevoli

Osservatorio Internazionale Archeomafie

5
ARCHEOMAFIE. Rivista dell’Osservatorio Internazionale Archeomafie - In-
ternational Research Center for Environment and Cultural Heritage
(www.ircech.org). Via Depretis 88, 80133, Napoli. Presidente e Rappresentante
Legale: Maurizio Montalto. Testata registrata presso il Tribunale di Napoli n.10
del 21/02/2007. Direttore Responsabile: Tsao T. Cevoli. Coordinatore di Reda-
zione: Lidia Vignola. Proprietà letteraria riservata. A cura di Liberarcheologia
(www.liberarcheologia.it), Piazza S. Maria La Nova 12, 80134, Napoli.
L’International Research Center for Environment and Cultural Heritage è iscrit-
to all’Anagrafe delle Ricerche del Ministero dell’Istruzio-ne, dell’Università e
della Ricerca, ai sensi del D.P.R. n. 382 dell’11 luglio 1980.

COPYLEFT. La rivista “Archeomafie” credendo nel diritto di libero accesso


alla ricerca, alla cultura e al sapere, abbraccia la filosofia dell’open source e
dell’open archaeology. Consente, pertanto, la libera riproduzione cartacea e
digitale di questo testo, purché per uso personale di studio e di ricerca, citando
sempre la fonte. Ne è vietata, invece, la riproduzione, anche parziale e con
qualsiasi mezzo effettuata, a scopo direttamente o indirettamente commerciale
o di lucro.

Napoli 2010. Stampa in proprio. ISSN: 2036-4539.

6
Alle donne e agli uomini che con dedizione e passione,
ovunque nel mondo, nonostante tutto e nonostante tutti
dedicano i propri sforzi alla tutela del patrimonio culturale

7
8
Nota al secondo numero

Il momento in cui vede la luce il secondo numero della


rivista “Archeomafie” non può dirsi certamente felice per la
condizione del patrimonio archeologico e culturale italiano.
Tra le cattive notizie basterebbe quella che riguarda il
processo contro l’ex curatrice delle antichità del Getty Mu-
seum, Marion True, responsabile dell’acquisto di un’enorme
quantità di beni archeologici illecitamente trafugati in Italia
in quelli che il giornalista Fabio Isman ha definito gli anni
della “grande razzia”, cioè del sistematico saccheggio del
patrimonio archeologico italiano a partire dagli anni ‘701.
Partito il 16 novembre 2005 il processo a Marion True si
è concluso il 13 ottobre 2010 con una sentenza di prescri-
zione ai sensi dell’articolo 129 del Codice di procedura pe-
nale, cioè per effetto della legge cosiddetta ex Cirielli, ap-
provata nel 2005 dal precedente governo Berlusconi per ben
noti motivi. Per chiudere il processo agli avvocati di Marion
True è bastato far notare ai giudici che erano scattati i ter-
mini dell’ex Cirielli: nel 2007 per il reato di ricettazione,
l’11 luglio 2010 per quello di associazione a delinquere.
Il processo prosegue, almeno ancora per poco, contro gli
altri imputati. Ben presto saranno probabilmente anch’essi
salvati della stessa legge: per Robert Hecht i termini della
prescrizione scatteranno nel 2011, per Giacomo Medici, già
condannato a pene pesanti in primo e secondo grado, la Cor-
te di Cassazione ha sospeso il giudizio e rimesso gli atti alla
Corte costituzionale perché si pronunci sull’applicabilità o
meno anche a lui della ex Cirielli. Intanto il pm Paolo Ferri,
che ha imbastito il processo, è andato in pensione2.
La più grande connection criminale internazionale dedita
al traffico di reperti archeologici mai scoperta, resterà con

1
F. Isman, I Predatori dell'arte perduta. Il saccheggio dell'archeologia in Italia, Milano
2009.
2
Sulla vicenda Getty Museum si veda: T. Cevoli, Il Getty Museum e l’esportazione illeci-
ta di antichità dall’Italia e dalla Grecia, Archeomafie I, 2009, pag. 11-58.

9
tutta probabilità totalmente impunita. Nel frattempo in que-
sti anni gli avvocati dello Stato italiano ed il Ministero per i
Beni e le Attività Culturali hanno negoziato accordi “a ri-
basso” con vari musei americani: poche decine di reperti so-
no tornaati dagli Stati Uniti in Italia in cambio di prestiti a
lungo termine.
La quasi totalità delle decine di migliaia di reperti scava-
ti clandestinamente sul suolo italianio nei decenni scorsi e
finita nei musei americani, resterà invece lì per sempre: lo
Stato italiano di fatto rinuncia non solo a pretenderne la re-
stituzione, ma finanche solo a dimostrarne e denunciarne
pubblicamente la provenienza illlecita dal nostro Paese.
In questo stesso momento i crolli di Pompei hanno pale-
sato i clamorosi errori compiuti nella politica dei beni cultu-
rali degli ultuimi anni: anni che hanno registrato un generale
disinvestimento e il dirottamento dei fondi ancora stanziati
verso operazioni fondamentalmente di immagine piuttosto
che verso interventi sostanziali ed indispensabili di conser-
vazione del patrimonio culturale stesso.
Ma nonostante tutto andiamo caparbiamente avanti nel
cercare di affermare le idee che ci hanno spinto a fondare
l’Osservatorio Internazionale Archeomafie e la rivista “Ar-
cheomafie”. Per favorire la più ampia circolazione delle ri-
cerche e degli studi finalizzati al contrasto del fenomeno
delle archeomnafie e credendo fermamente nel diritto di li-
bero accesso alla ricerca, alla cultura e al sapere, abbiamo
abbracciato la filosofia dell’open source e dell’open ar-
chaeology. Nell’attuare concretamente questa linea di pen-
siero abbiamo deciso di adottare il copyleft, cioè di consenti-
re la libera riproduzione cartacea e digitale della rivista,
purché per uso personale di studio e di ricerca, e di renderla
disponibile gratuitamente in internet.
La nostra è una battaglia difficile: una battaglia innanzi-
tutto culturale, che va combattuta anche sul piano interna-
zionale, come cerchiamo anche noi di fare ospitando per la
prima volta, nel secondo numero della rivista, due contributi
in lingua straniera, uno in inglese e uno in greco moderno.

Il Direttore
10
Tsao Cevoli

Ipotesi sulla provenienza dell’Apollo Sauroctonos


esposto presso il Museo d’Arte di Cleveland (USA).

Il 22 giugno 2004 Katharine Lee Reid, Direttrice del


Cleveland Museum of Art, annunciava con un comunica-
to stampa sul sito internet del museo3 l’avvenuto acquisto
dalla galleria d’arte Phoenix Ancient Art S.A. di un’anti-
ca statua di bronzo raffigurante a grandezza naturale il
giovane dio Apollo nell’atto di colpire una lucertola
(fig.1-3).
Si tratta dell’Apollo Sauroktonos di Prassitele, opera
già nota, senza contare varianti, repliche in scala ridotta,
gemme e monete, attraverso una trentina di copie note di
età romana4, tra le quali citiamo tra le migliori quella del-
la Collezione Borghese, del I sec. d.C., oggi al Louvre
(fig.4).
La statua di Cleveland, secondo le prime analisi con-
dotte presso i laboratori del museo stresso, potrebbe esse-
re proprio l’originale di bronzo realizzato dallo scultore
ateniese nel IV sec. a.C. Si tratterebbe, in tal caso, non
solo di una delle rarissime statue greche di bronzo giun-
teci dall’antichità, ma addirittura forse anche dell’unica
statua originale di bronzo di Prassitele.

3
http://www.clevelandart.org/exhibcef/apollo/html/9101537.html
4
cfr. R. Preisshofen, Der Apollon Sauroktonos des Praxiteles, Antike Plastik 28, 2002,
pag.41-110.

11
I responsabili del museo, nel comunicato stampa che
ne annunciava l’acquisto, parlavano della statua come
della «più importante statua classica entrata in America
dopo la Seconda Guerra Mondiale»5.
Quanto alla possibile provenienza dell’opera, la ver-
sione ufficiale del Museo di Clevenand, affidata sempre
al comunicato stampa, recita: «Analisi scientifiche preli-
minari sui livelli di corrosione e sulla composizione della
lega mostrano che la statua è antica, ma che la base data
dal diciassettesimo al diciannovesimo secolo. L’analisi
della corrosione presente sulla saldatura usata per attac-
care la statua alla base indica che la statua è stata unita
alla base prima del 1900, probabilmente molto prima.
Questa ricerca conferma che la statua è stata scavata più
di 100 anni fa ed è possibile anche fino a 500 anni fa.
[...] La statua faceva parte di una proprietà privata nella
zona orientale della Germania, più tardi divenuta Re-
pubblica Democratica Tedesca (GDR), molto prima della
Seconda Guerra Mondiale. L’opera era collocata in un
giardino ed era considerata risalente al diciottesimo o
diciannovesimo secolo. Dopo la riunificazione tedesca,
nel 1990 Ernst-Ulrich Walter ne ha reclamato la proprie-
tà da parte della sua famiglia ed ha riscoperto la scultu-
ra in pezzi»6.

5
«[…] by far the most important work of Classical sculpture to come to light and be ac-
quired by a North American art museum since World War II». Nel comunicato stampa
(vedi nota precedente) la dichiarazione è attribuita a David G. Mitten, curatore dell'arte
antica e bizantina presso l'Harvard University Art Museums.
6
Traduzione dello scrivente del seguente testo originale in inglese: «Preliminary scientific
tests on the extent of corrosion and alloy composition show that the statue is of ancient
date, but that the base dates from the 17th to 19th century. Analysis of the corrosion seen
on the lead solder used to attach the statue to the base shows that the statue was joined to
the base before 1900, and probably much earlier. This research affirms that the statue had
been excavated more than 100 years ago, and possibly as long as 500 years ago. [...]. The
statue had been a part of a private estate in the eastern part of Germany, later to become
communist East Germany (GDR), well before World War II. The work was installed in the
garden and considered to be late 18th or 19th century. After German reunification in
1990, Ernst-Ulrich Walter reclaimed his family’s estate and rediscovered the sculpture in
pieces». (Per il link di pubblicazione del comunicato stampa si veda nt. 1).

12
I tecnici del museo, in base alle analisi da loro stessi
condotte sull’opera, affermano, dunque, che essa sarebbe
stata portata alla luce già da un periodo tra i 100 ed i 500
anni, al contrario della base, aggiunta tra il XVII ed il
XIX secolo.
Quanto al luogo dove si sarebbe trovata la statua per
tutto questo tempo, dalla sua scoperta, il Museo di Cleve-
nand si limitava a riportare quanto sostenuto dalla Phoe-
nix Ancient Art S.A. e dalla studiosa rumena Lucia Mari-
nescu, Former Director del National History Museum di
Romania, che nel 2003 al 16° International Congress of
Antique Bronzes7 tenutosi a Bucharest sostenne di aver
visto la statua in frammenti nel 1994 in un giardino priva-
to nell’ex Germania dell’Est.
Appare, tuttavia, del tutto incomprensibile, trattandosi
di una rarissima statua in bronzo di grande rilievo scienti-
fico, come mai la studiosa rumena abbia tenuto nascosta
per ben nove anni questa scoperta alla comunità scientifi-
ca internazionale, rendendola nota solo nel 2003, quando
ormai il Cleveland Museum of Art era probabilmente già
entrato materialmente in possesso dell’opera.
Secondo la versione ufficiale, dunque, la statua, inge-
nuamente scambiata per un’opera del XVIII-XIX secolo,
sarebbe rimasta per un tempo indefinibile, per uno o forse
addirittura per cinque secoli, all’interno di un giardino
privato nell’ex Germania Orientale, finché in seguito alla
riunificazione della Germania un tal Ernst-Ulrich Walter
ne avrebbe reclamato la proprietà, per poi cederla alla se-
de di Ginevra della Phoenix Ancient Art S.A. da cui
l’avrebbe acquistata il Museo di Cleveland.
Nessuna informazione o ipotesi è stata fornita dai co-
municati ufficiali del museo americano né dai venditori
della Phoenix Ancient Art S.A. sul luogo e contesto di

7
Cfr. The Acta of the 16th International Congress of Antique Bronzes, Romanian National
History Museum, Bucharest, 26-31 maggio 2003, Bukarest 2004, pag. 249–263, fig. 1-25.

13
ritrovamento dell’opera prima di trovarsi in questo pre-
sunto giardino privato.
Altre informazioni (o presunte tali) sono emerse sulla
stampa negli ultimi anni: ad esempio Ernst-Ulrich Walter
ha sostenuto di ricordare di aver visto la statua nel palaz-
zo di famiglia nel 1930, sebbene non esista alcua foto a
supporto di questa affermazione. Ha sostenuto, inoltre, di
aver venduto la statua nel 1994 ad un mercante d’arte
olandese, di cui non ricordava il nome. Quest’ultimo
avrebbe venduto l’opera ad almeno un altro collezionista
anonimo, che poi l’avrebbe venduta alla Phoenix Ancient
Art S.A.
La versione dei fatti sostenuta dalla Phoenix Ancient
Art S.A. e dal Museo di Cleveland, una sorta di sistema
di scatole cinesi, legittimerebbe il possesso dell’opera da
parte del museo americano, in quanto essa sarebbe stata
acquisita dalla famiglia di Ernst-Ulrich Walter preceden-
temente alle principali normative e accordi nazionali e
internazionali per la tutela del patrimonio archeologico.
Infatti sebbene nel 1815 il principio della fruizione
pubblica dell’arte fosse stato già sancito dal Congresso di
Vienna e nella seconda metà del secolo fossero nati i
maggiori musei europei, la prima volta che viene chiara-
mente sancita a livello internazionale la tutela del patri-
monio culturale è con la “Convenzione per la protezione
dei beni culturali in caso di conflitto bellico” firmata
all’Aja nel 1954.
Ma anche in Italia, nonostante gli Stati preunitari già
vantassero una lunga tradizione nel settore della tutela dei
beni culturali8, fino agli inizi del XX secolo mancava an-

8
Per la storia delle strutture di tutela del patrimonio culturale sin dall’epoca degli stati
preunitari si veda: G. Fiorelli (a cura di), Leggi, decreti, ordinanze e provvedimenti dei
cessati Governi d’Italia per la conservazione dei monumenti e la esportazione delle opere
d’arte, Roma 1881; M. Bencivenni, R. Dalla Negra, P.Grifoni, Monumenti e Istituzioni,
Parte I La nascita del Servizio di tutela dei Monumenti in Italia 1860-1880. Firenze 1987 e
Parte II: Il decollo e la riforma del Servizio di tutela dei monumenti in Italia 1880-1915,

14
cora una legge nazionale organica. Dopo provvedimenti
parziali agli inizi del '9009, il 1 giugno 1939 venne ap-
provata la cd. Legge Bottai10, che per la prima volta san-
cisce chiaramente ed efficacemente la tutela del patrimo-
nio archeologico e storico artistico da parte dello Stato
italiano, un principio poi ribadito con forza dai padri co-
stituenti nel 1948 nella Costituzione della Repubblica Ita-
liana (art. 9).
La versione ufficiale sulla storia e la provenienza
dell’Apollo Sauroctonos contiene, tuttavia, palesi incon-
gruenze e molti punti oscuri, tanto da risultare complessi-
vamente poco credibile, come d’altronde rilevato dalla
comunità scientifica internazionale11 già dal momento
dell’annuncio dell’acquisizione della statua.
Poco attendibili sono anche le analisi chimico-fisiche
effettuate sulla statua, la cui obiettività è inficiata dal fat-
to che sono state realizzate esclusivamente da tecnici del
museo, cioè di parte. Dal punto di vista sia scientifico che
deontologico è stato, inoltre, scorretto da parte dei tecnici
del museo l’aver proceduto immediatamente alla ripulitu-
ra sia della superficie che della parte interna della statua,
eliminando in tal modo tutti i residui che avrebbero potu-

Firenze 1992; A. Emiliani, Leggi, Bandi e Provvedimenti per la tutela dei Beni Artistici e
Culturali negli antichi Stati Italiani 1571-1860, Bologna 1996; L. Vignola, La nascita
degli organismi di tutela del patrimonio archeologico in Italia meridionale, Archeomafie, I,
1, 2009, pag. 60-91 con ulteriore bibliografia.
9
In particolare le leggi n.185/1902 e n.364/1909.
10
L. 1089/1939
11
Salvatore Settis, che per primo divulgò in Italia la notizia dell’acquisto dell’Apollo Sau-
roctonos da parte del Museo d’Arte di Cleveland, con un articolo sul quoditiano La Re-
pubblica, definiva la versione ufficiale del museo americano una «storia non impossibile,
ma nemmeno troppo plausibile: come poteva restare tanto invisibile una statua di tale
qualità proprio in Germania, patria dell'archeologia "filologica" e della storia dell'arte
antica?» (S. Settis, L'Apollo di Prassitele risorge a Cleveland, La Repubblica, 12 luglio
2004, pag.30). Al di là di queste scarse dichiarazioni, la comunità scientifica italiana, come
mostra l’assenza di un successivo dibattito sull’argomento, è apparsa in realtà pressoché
indifferente alla questione della provenienza dell’Apollo Sauroctonos acquistato dal Mu-
seo d’Arte di Cleveland, nonostante l’evidenza dei fatti, al contrario delle aspre polemiche
nate in Grecia, che rivendica a sé la statua, ritenendola frutto di un recupero subacqueo
illecitamente effettuato in acque territoriali greche.

15
to restituire informazioni sul luogo e il contesto di ritro-
vamento dell’opera.
Al momento, dunque, a parte le dichiarazioni dei ven-
ditori dell’opera e le analisi condotte dagli acquirenti e il
racconto di Lucia Marinescu, nulla di fatto dimostra se e
da quanto tempo la statua si trovasse o meno in Germania
né se, come o quando ne sia entrato in possesso della fa-
miglia di tal Ernst-Ulrich Walter.
Dalla stampa tedesca12 si apprende, inoltre, che Ernst-
Ulrich Walter è in realtà, per una singolare coincidenza,
un noto collezionista. Nato negli anni ‘20, dal 1952,
completati gli studi in legge, iniziò a viaggiare per affari
soprattutto nel mondo arabo e nel sud-est asiatico, fre-
quentando assiduamente Grecia, Marocco e Persia, paesi
dove trattava anche affari immobiliari e vantava come
avvocato una clientela di primo piano, tra cui persino la
madre dello Scià di Persia. Grazie a tali viaggi egli aveva,
inoltre, l’opportunità di arricchire la propria collezione di
antichità e di oggetti rari e preziosi di varia natura, tra cui
abiti orientali, gioielli, spade, icone, quadri, manoscritti e
libri rari.
Ragionevoli dubbi sulla reale provenienza della statua
pongono anche le informazioni relative al soggetto che
l’ha venduta al museo di Cleveland: la Phoenix Ancient
Art S.A., galleria d’arte fondata nel 1968 da Sleiman
Aboutaam, uomo d’affari libanese, ora gestita dai suoi
due figli, Alì ed Hicham Aboutaam (fig.8). Sul primo dei
due, Presidente della società e responsabile della sede di
Ginevra, in Egitto grava una condanna in contumacia a
15 anni di carcere per traffico illecito internazionale di
antichità. Sul secondo, che dirige la galleria di New
York, una condanna nel 2004 negli Stati Uniti per impor-
tazione illecita di antichità con false fatture. In Italia i fra-

12
http://www.mdr.de/unter-uns/1907839-hintergrund-268822.html

16
telli Ali e Hicham Aboutaam sono stati, inoltre, coinvolti
in una inchiesta per traffico illecito internazionale di anti-
chità insieme all’antiquario londinese Robin Symes, al
noto trafficante d’antichità Gianfranco Becchina e ad al-
tre persone.
La galleria d’arte che ha venduto l’opera risultava,
dunque, già chiamata in causa in diversi casi di traffici
illeciti di reperti archeologici e opere d’arte antica, il che
non solo accresce i dubbi sulla reale provenienza dell’
Apollo Sauroctonos, ma getta ancora una volta pesanti
responsabilità sul comportamento, dal punto di vista
deontologico, dei curatori del Museo d’Arte di Cleveland,
i quali di fronte al caso di una rarissima originale antica
statua greca di bronzo, ufficialmente di provenienza sco-
nosciuta, messa in vendita dalla società dei fratelli
Aboutaam, già noti per i loro precedenti giudiziari, ave-
vano tutti gli elementi per nutrire dei dubbi sulla prove-
nienza della statua.
Come già detto, la frettolosa rimozione da parte dai
tecnici del Museo d’Arte di Cleveland della patina e dei
residui presenti sulla superficie e all’interno della statua
ha probabilmente compromesso ogni possibilità di reperi-
re prove dirette sulla reale provenienza dell’opera. Tutta-
via dall’analisi delle fonti letterarie e archeologiche di-
sponibili sull’Apollo Sauroctonos e su Prassitele13, pos-
siamo ricavare alcune informazioni utili a far luce sulla
questione.
Per quanto riguarda le fonti letterarie, da Plinio il
Vecchio sappiamo che la piena maturità artistica di Pras-

13
Per Prassitele e la sua produzione artistica si veda: A. Corso, Prassitele: fonti epigrafiche
e letterarie, vita e opere, Roma 1988; A. Ajootian, Praxiteles, in O. Palagia, J.J. Pollitt,
Personal Styles in Greek Sculpture, Cambridge 1996, pag.91-129; A. Pasquier, J-L. Mar-
tinez, Praxitèle, catalogue of the exhibition at the Louvre Museum (23 March - 18 June
2007), Parigi 2007; W. Geominy, Praxiteles, in R. Vollkommer (a cura di), Knstlerlexikon
der Antike, Monaco-Lipsia 2004, pag. 305-313; N. Kaltsas, G. Despinis, Πραξιτέλης.
κατάλογος έκθεσης (Atene, Museo Archeologico Nazionale, 25 luglio - 31 ottobre 2007),
Atene 2007.

17
sitele cade nella 104a Olimpiade14, cioè tra il 364 ed il
361 a.C., e che egli fu più celebre per le opere in marmo15
che per quelle in bronzo. Plinio ci fa, inoltre, una descri-
zione puntuale proprio di una statua di Prassitele che raf-
figura un giovinetto intento a colpire con la freccia una
lucertola che striscia furtiva, aggiungendo che ai suoi
tempi a tale statua di Apollo era attribuito l’epiteto Sau-
roktonos, cioè letteralmente in greco “che uccide la lucer-
tola” (un aggettivo composto dal greco σαυρὸς, “lucerto-
la”, e κτέλνω, “uccidere”)16.

Proprio la citata descrizione di Plinio permise per


primo al barone Von Stosch di identificare l’opera. Nato
1691 nel Brandenburgo, Philipp Von Stosch era un baro-
ne prussiano, antiquario e appassionato di arte. Trascorse
molti anni tra Firenze e Roma, dove riuscì a stringere
amicizia con il cardinale Alessandro Albani e persino ad
entrare nelle grazie di Papa Clemente XI, anch’egli ap-
passionato di antichità. Per soddisfare la propria passione
antiquaria il barone Von Stosch mise in atto a Roma e
dintorni una vera e propria “caccia alle antichità”, non
esitando persino a commissionare scavi clandestini. Nel
1731 fu accusato di spionaggio per conto del governo bri-
tannico e costretto a fuggire a Firenze, presso la corte dei
Medici, dove nel 1733 sembra essere stato anche tra i
fondatori di una loggia massonica. Morì nel 1757, la-
sciando una ricca collezione di circa 10.000 tra gemme
antiche e altri reperti archeologi. Nel 1765 la collezione
fu acquistata da Federico II di Prussia e da lui donata al

14
A. Corso, The art of Praxiteles. The Developpment of Praxiteles Workshop and its Cul-
tural Tradition until the Sculptor's Acme (364-361 a.C.), Roma 2004.
15
Gaio Plinio Secondo, Naturalis Historia, XXXVI, 20-23.
16
«Praxiteles quoque, qui marmore felicior, ideo et clarior fuit, fecit tamen et ex aere
pulcherrima opera: [...] fecit et puberem Apollinem subrepenti lacertae comminus sagitta
insidiantem, quem sauroctonon vocant» (Gaio Plinio Secondo, Naturalis Historia,
XXXIV, 69-70).

18
Museo di Berlino, ove qualche anno dopo fu studiata e
pubblicata dal Winckelmann17.
Nel 1724 Von Stosch, che non va considerato un sem-
plice collezionista, ma anche un fine studioso di antichità,
leggendo la descrizione dell’Apollo Sauroctonos fatta da
Plinio, per primo si accorse che essa corrispondeva per-
fettamente al soggetto raffigurato su una gemma 18. Fu co-
sì il primo ad identificare l’Apollo Sauroctonos di Prassi-
tele, dando una immagine alla descrizione di Plinio e un
nome ad una delle maggiori opere dello scultore ateniese.
Nonostante fosse un appassionato collezionista e stu-
dioso di archeologia, tanto da girare l’Europa alla ricerca
di antichità per arricchire la sua collezione, nonostante
fosse nato e vissuto in Germania, a meno di un centinaio
di chillometri da Berlino, nonostante conoscesse perfet-
tamente l’Apollo Sauroctonos di Prassitele, essendo stato
proprio lui il primo studioso a identificare l’opera, il ba-
rone Von Stosch non cerca di acquistare, non cita mai e
dunque nemmeno conosce l’unico esemplare di bronzo,
forse addirittura l’opriginale prassitelico, dell’Apollo
Sauroctonos, che secondo i tecnici del Museo di Cleve-
land ai suoi tempi probabilmente era già stato portato alla
luce. Lo stesso vale per Winckelmann, il geniale fondato-
re della moderna storia dell’arte antica, che studia
l’Apollo Sauroctonos di Prassitele nella copia romana in
marmo della collezione Borghese, oggi al Louvre: nean-
che lui, come già il barone Von Stosch, ha mai visto
l’esemplare bronzeo di Cleveland.
Una cosa è certa: se alla loro epoca una statua del ge-
nere fosse già stata portata alla luce, ovunque essa si fos-
se trovata, e tanto più in Germania, due personaggi del

17
J.J. Winckelmann, Description Des Pierres Gravées Du Feu Baron de Stosch dediée a
son eminence Monseigneur le Cardinal Aléxandre Albani par m. l'abbé Winckelmann
bibliothecaire de son eminence, Firenze 1760.
18
Ph. von Stosch, Gemmae antiquae caelatae, Amsterdam 1724.

19
calibro del barone Von Stosch e di Winckelmann ne sa-
rebbero venuti certamente a conoscenza.

Passiamo ad un’altra testimonianza letteraria, molto


importante anche se non riguarda esplicitamente la statua
in questione. Si tratta del Carmen saeculare, inno in di-
ciannove strofe saffiche composto da Quinto Orazio
Flacco e recitato da un coro di giovani fanciulle in occa-
sione dei Ludi saeculares, i giochi tenutisi a Roma il 3
giugno del 17 a.C. per volere di Augusto, per celebrare
l’apoteosi di Roma e propria grazie alla vittoria di Azio.
Nel carme, che contiene invocazioni ad Apollo, a
Diana, al Sole, alla Terra e ad altre divinità, e che termina
con l’encomio di Augusto, considerato discendente di
Venere, è presente un’invocazione ad Apollo, cui si chie-
de di rivolgere il suo sguardo proprio sul Palatino. Scrive
Orazio: «Profeta e ornato di un arco splendente / Febo
accolto fra le nove Muse / che con la sua arte guaritrice
risolleva le stanche / membra del corpo / se guarda sere-
no gli altari Palatini / la potenza Romana e il Lazio fe-
condo / di secolo in secolo e sempre meglio / ne prolunga
il tempo infinito»19.
Orazio nella sua invocazione descrive una statua di
Apollo presente sul Palatino, dove il dio “risolleva le
stanche membra del corpo” e “guarda sereno gli altari Pa-
latini”. La dolcezza del modellato e dell’espressione, il
molle abbandono delle membra sono, tra l’altro, uno dei
tratti più caratteristici di Prassitele.
Particolarmente interessante è, inoltre, esaminare
l’invocazione ad Apollo alla luce delle radici della pre-

19
«Augur et fulgente decorus arcu / Phoebus acceptusque novem Camenis, / qui salutari
levat arte fessos / corporis artus, / si Palatinas videt aequus aras, / remque Romanam
Latiumque felix / alterum in lustrum meliusque semper / prorogat aevum» (Quinto Orazio
Flacco, Carmen saeculare, 61-68).

20
senza del suo culto a Roma, presenza strettamente con-
nessa con la figura di Ottaviano Augusto.
Una constatazione di partenza è che Apollo è l’unica
divinità dell’Olimpo a non essere stata assimilata dai
Romani ad una propria divinità e ad aver mantenuto an-
che presso di loro il suo originario nome greco.
Una delle prime indirette testimonianze del suo culto a
Roma risale alla fine dell’epoca monarchica, quando, se-
condo la leggenda20 Amaltea, la Sibilla Cumana, avrebbe
offerto in vendita a Tarquinio il Superbo i nove libri sibil-
lini. La leggenda vuole che di fronte al rifiuto del re, che
riteneva il prezzo troppo esoso, la Sibilla bruciò tre dei
libri e offrì i restanti sei, ma il re rifiutò ancora, quindi la
sibilla ne bruciò altri tre e offrì gli ultimi tre restanti. A
questo punto Tarquinio, impressionato, accettò di acqui-
stare gli ultimi tre libri sibillini rimasti al prezzo iniziale
che la Sibilla gli aveva chiesto per tutti e nove i libri.
All’esterno della città, presso i prata Flaminia, ad
Apollo era dedicata un’area sacra, l’Apollinar, un santua-
rio all’aperto con altare, dove si riuniva il senato fuori dal
pomerio, funzione che poi passerà al Tempio di Apollo. Il
primo tempio, invece, fu votato ad Apollo nel 433 a.C. in
occasione della pestilenza che stava affliggendo la città, e
gli fu dedicato nel 431 a.C. dal console Cneus Iulius, sul
precedente luogo di culto. Le fonti attestano che il tempio
fu eretto in pratis Flaminiis21, fuori la porta Carmenta-
lis22, vicino alla Porticus Octaviae,23 nei pressi del Teatro
di Marcello24. Dal 399 a.C. qui si celebravano dei lecti-
sternia, ad opera dei decemviri sacris faciundis, in onore

20
Servius Grammaticus, In Vergilii Aeneida, VI, 72.
21
«[...] Itaque inde consules, ne criminationi locus esset, in prata Flaminia, ubi nunc
aedes Apollinis est - iam tum Apollinare appellabant - avocavere senatum [...]» (Livio, Ab
Urbe Condita, III, 63, 7).
22
«[...] ab aede Apollinis boues feminae albae duae porta Carmentali in urbem ductae
[...]» (Livio, Ab Urbe Condita, XXVII, 37, 11).
23
Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, 36, 34.
24
Res Gestae Divi Augusti, I, 21, 1.

21
di Apollo, Latona e Diana25. Il tempio di Apollo risulta
essere stato restaurato o ricostruito nel 353 a.C., in segui-
to alla devastazione subita da Roma nel 390 a.C. ad opera
dei Galli Senoni guidati da Brenno oppure in seguito alla
pestilenza26 del 365 a.C.
Nel 179 a.C. il censore M. Emilio Lepido diede
l’avvio ai lavori di costruzione di un teatro e di un pro-
scenio ad aedem Apollinis. Allo stesso periodo potrebbe
risalire un rifacimento del tempio, forse attestato anche
da un passo di Livio27, cui sembrano pertinenti alcuni
mosaici e strutture databili all’inizio del II sec. a.C., in-
globate nel podio realizzato all’età di Augusto.
Nello stesso periodo è, d’altronde, attestata a Roma la
presenza di due scultori ellenistici: Timarchides, autore di
una statua colossale di Apollo Citaredo e Philiskos di
Rodi, autore di un Apollo, una Diana e una Latona, di un
altro Apollo e di nove Muse.

In età repubblicana, dunque, ma forse già a partire


dall’epoca della monarchia, a Roma i culti ufficiali in
onore di Apollo si tenevano all’esterno della cerchia del
pomerium, il recinto sacro che delimitava la città, intesa
come area sacra protetta dagli dei. Proprio per la sua po-
sizione fuori le mura in età repubblicana il tempio di
Apollo, come abbiamo accennato, fu utilizzato anche per
le riunioni del Senato che le circostanze richiedevano
fossero extra-pomeriali.
Questa caratteristica dell’extraurbanità, oltre a costi-
tuire una conferma del fatto che fondamentalmente il cul-
to di Apollo era percepito dai Romani come estraneo al
proprio mondo, si spiega anche con la sua connotazione
medica: anche il culto di un’altra divinità medica prove-

25
Livio, Ab Urbe Condita, V, 13; VII, 2; VII, 27; VIII, 25.
26
Livio, Ab Urbe Condita, VII, 2, 1.
27
Livio, Ab Urbe Condita, XL, 51, 4-6.

22
niente ugualmente dalla Grecia, Esculapio, figlio di
Apollo, aveva la sede del suo culto in una posizione ex-
tra-pomeriale, sull’Isola Tiberina.
A rompere questa tradizione fu proprio Ottaviano,
all’indomani della sua decisiva vittoria ad Azio nel 31
a.C., vittoria che egli ritenne gli fosse stata concessa pro-
prio dal dio Apollo. Per mostrargli la sua gratitudine e
devozione Ottaviano gli fece erigere un tempio al centro
di Roma, proprio affianco alla propria principesca dimo-
ra. Il culto di Apollo non solo entrò così per la prima vol-
ta tra le mura dell’Urbe, ma addirittura nel luogo più im-
portante della città, sul colle Palatino, dove all’epoca era-
no ancora visibili le rovine di quella che la tradizione in-
dicava come la “casa di Romolo”, nei pressi dei quali
Augusto volle farsi costruire la propria residenza e
l’adiacente Tempio di Apollo Palatino.
Ottaviano aveva promesso in voto un tempio ad Apol-
lo già dopo la vittoria contro Sesto Pompeo nel 36 a.C. a
Nauloco. Proprio di ritorno dalla vittoria, come testimo-
nia Velleio, aveva cominciato ad acquistare diverse pro-
prietà sul Palatino, al fine di ampliare la propria dimora,
in particolare nella zona sud-occidentale, presso il tempio
della Magna Mater. Tra l’altro, tra i privilegi accordati
dal popolo romano ad Ottaviano per il trionfo contro Se-
sto Pompeo vi fu quello di edificare per lui una casa con
pecunia pubblica sul terreno che egli aveva acquistato e
dichiarato bene pubblico. Svetonio ricorda che fino a quel
momento Ottaviano aveva abitato in dimore semplici:
«Habitavit primo iuxta Romanum Forum supra Scalas
anularias, in domo quae Calvi oratoris fuerat; postea in
Palatio, sed nihilo minus aedibus modicis Hortensia-
nis».28

28
Svetonio, De vita Caesarum, Liber II, Divus Augustus, LXXII.

23
La vittoria di Azio su Marco Antonio e Cleopatra nel
31 a.C. diede ad Ottaviano un ulteriore motivo per ri-
prendere l’idea di erigere un tempio ad Apollo. Inaugura-
to il 9 ottobre del 28 a.C., esso fu edificato nel punto in-
dicato dagli aruspici, sul Palatino, proprio accanto alla
dimora di Ottaviano, dove la caduta di un fulmine era sta-
ta interpretata come un segno di Apollo. Il prestigio che
già dava all’edificio l’importanza della localizzazione sul
Palatino e la posizione elevata da cui si dominava l’Urbe,
era accresciuto dallo splendore del marmo lunense e dallo
sfoggio di molte opere d’arte greche originali.
Poco dopo, nel 27 a.C., si cominciò a concretizzare
anche l’idea di Ottaviano di dare alla propria dimora un
carattere pubblico: il Senato gli conferì, infatti, il titolo di
Augusto e decretò che l’ingresso della sua residenza fos-
se decorato con lauri ed una corona civica di foglie di
quercia, accompagnata dall’iscrizione «ob cives serva-
tos» (“per i cittadini salvati”). La corona civica, fatta di
foglie di quercia e per questo detta anche “corona quer-
quensis”, era di solito assegnata a persone meritorie di
aver salvato la vita ad uno o a più cittadini romani e crea-
va un legame particolare, quasi parentale, tra il salvatore
e il salvato.
Possiamo dire, dunque, che dalla vittoria di Azio in
poi, con la progressiva ed inarrestabile ascesa ed istitu-
zionalizzazione della figura di Ottaviano, anche la sua
dimora sul Palatino e tutta l’area circostante assunse pro-
gressivamente un carattere istituzionale, civile e religioso
al tempo stesso. Il carattere privato, pubblico e religioso
della dimora di Augusto, del Tempio di Apollo, di quello
di Vesta e degli altri edifici arrivarno, infine, ad intrec-
ciarsi inistrecabilmente, divenendo tutti elementi inte-
granti dell’ideologia, del meccanismo e della simbologia
augustea del potere.

24
Questa simbologia del potere trova un precedente nel
confronto proposto da Zanker29 con la stretta connessione
tra il palazzo degli Attalidi sull’acropoli di Pergamo ed il
santuario di Atena Nikephoros. Apollo rappresenta per
Ottaviano ciò che per gli Attalidi è Atena: il dio portatore
di vittoria. In entrambi i casi, sia nel binomio costituito
dalla reggia degli Attalidi e dal santuario di Atena, che in
quello costituito dalla casa di Augusto e dal Tempio di
Apollo, l’aspetto propagandistico è confermato anche
dalla ricerca della visibilità del complesso: nel primo ca-
so garantito dal legame visivo con la terrazza del teatro,
nel secondo caso da quello con il Circo Massimo.

Sul Palatino in questi luoghi nel 17 a.C. si svolse gran


parte delle cerimonie per la celebrazione dei ludi secula-
res in occasione dei quali i citati versi di Orazio descri-
vevano un Apollo che «risolleva le stanche membra del
corpo» e «guarda sereno gli altari Palatini».30
Successivamente un altro passaggio fondamentale nel-
lo svilupparsi del rapporto tra la dimora di Augusto ed il
Tempio di Apollo sul Palatino, fu, dopo la morte di Lepi-
do nel 12 a.C., l’attribuzione ad Augusto anche della ca-
rica di Pontifex maximus, la massima carica religiosa del
mondo romano, e la conseguente edificazione di un Tem-
pio a Vesta in una parte della sua proprietà che egli rese
pubblica.31
L’atto finale si consumò, invece, nel 3 d.C., quando a
seguito di un incendio che aveva devastato la sua resi-
denza e parte degli edifici circostanti, il tutto venne rico-

29
Cfr. P. Zanker, The Power of Images in the Age of Augustus, Ann Arbor 1972; P.
Zanker, Augustus und die Macht der Bilder, München 1987 (trad. it. P. Zanker, Augusto e
il potere delle immagini, Torino 1989).
30
Quinto Orazio Flacco, Carmen saeculare, 61-68.
31
Per il tempio di Vesta cfr.: G. Carrettoni, La domus Virginium Vestalium e la domus
publica del periodo repubblicano, Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di ar-
cheologia LI, 2, 1978-1980, pag. 325-355; R. Cappelli, Augusto e il culto di Vesta sul
Palatino, Bollettino di Archeologia, 1990, 1-2, pag. 28-33.

25
struito con denaro pubblico e Augusto dichiarò pertanto
la sua casa interamente di pubblico dominio.
L’importanza che a Roma in età augustea assunsero il
culto di Apollo ed il suo tempio sul Palatino è conferma-
ta, infine, da un atto che per i Romani dové apparire di
forte significato simbolico: sempre per volere di Augusto
furono, infatti, trasferiti e da allora in poi custoditi nella
base della statua di Apollo sul Palatino i veneratissimi
Libri Sibillini, i libri oracolari greci che secondo la tradi-
zione il re di Roma Tarquinio il Superbo aveva ricevuto
dalla Sibilla Cumana. Nell’83 a.C. gli originali erano an-
dati bruciati in un incendio, ma successivamente si era
riusciti faticosamente a ricomporne, almeno in parte, il
contenuto grazie a diversi testi custoditi in altri templi.
Sono questi ultimi i Libri Sibillini che Augusto ordinò di
custodire nel tempio di Apollo sul Palatino, nella base
della statua di Apollo. Lì rimasero fino agli inizi del V
sec. d.C. quando furono nuovamente distrutti, stavolta
definitivamente.

Continuiamo con un’altra attestazione letteraria


dell’Apollo Sauroctonos, che si trova in uno degli epi-
grammi inseriti dal poeta M. Valerio Marziale nella rac-
colta Apophoreta pubblicata nell’84 d.C.
Marziale sembra rivolgersi idealmente al giovane dio
Apollo, dicendogli «Risparmia la lucertola che striscia
verso di te, o ragazzo insidioso: ella desidera morire per
mano tua»32. La precisione della descrizione non lascia
dubbio che quando scrive questi versi Marziale ha ben
presente l’immagine dell’Apollo Sauroctonos, che ha cer-
tamente visto di persona. Dove e quando il poeta ha potu-
to vedere da vicino l’opera di Prassitele? E, soprattutto,
una copia o l’originale?

32
«Ad te reptanti, puer insidiose, lacertae / Parce: cupit digitis illa perire tuis» (M. Vale-
rio Marziale, Epigrammi, Apophoreta, XIV, 172: Sauroctonos Corinthius).

26
Per quanto riguarda il dove e il quando, se escludiamo
la Spagna, contesto culturalmente e storicamente del tutto
improbabile, e la Grecia, che Marziale non visitò mai,
rimane solo la possibilità che egli abbia visto l’Apollo
Sauroctonos a Roma, tra il 64 d.C. anno del suo arrivo e
l’84 d.C., anno di pubblicazione degli Apophoreta, dove
compare la menzione della statua.
Riguardo alla questione se si trattasse dell’originale o
di una copia, secondo Salvatore Settis in questi versi
Marziale «si riferisce certamente a una copia in piccolo,
in bronzo “corinzio”, il più pregiato (e cioè una lega in
cui erano presenti percentuali di argento, e talvolta
d’oro, per accrescere la lucentezza della superficie)».33
Settis si riferisce qui al titolo dell’epigramma, “Saurocto-
nos Corinthius”.
L’interpretazione dell’aggettivo corinthius non solo in
questo contesto ma in generale nelle fonti latine è, tutta-
via, ancora molto dibattuta. Almeno nel primo secolo
d.C. si assiste, infatti, ad un uso alquanto indiscriminato
dell’espressione aes corinthium. Ciò ha sollevato tra gli
studiosi un dibattito intorno ad un interrogativo: se essa
indichi sempre una lega includente realmente anche oro e
argento, oppure se non sia adoperata talvolta anche, per
estenzione, per la comune lega di rame e stagno, oppure,
ancora, se l’aggettivo non indichi semplicemente il luogo
di tradizionale provenienza o produzione.34

33
Salvatore Settis, L'Apollo di Prassitele risorge a Cleveland, La Repubblica, 12 luglio
2004.
34
A. Mau, Corinthium Aes, RE 4, 1901, pag. 1233-1234; E. Pottier, Corinthium aes, Dar
Sag 1.2, 1908, pag. 1507; R. Caley, The Corroded Bronze of Corinth, Proceedings of the
American Philosophical Society 84, 1941, pag.689-761; P. Craddock, The Composition of
Copper Alloys Used by the Greek, Etruscan and Roman Civilisations: 1. The Greeks be-
fore the Archaic Period, Journal of Archaeological Science 3, 1976, pag. 93-113; J Mur-
phy-O'Connor, Corinthian Bronze, Revue Biblique 90, 1983, pag. 80-93; D. Emanuele,
Aes corinthium: fact, fiction, and fake, Phoenix 43, 1989, pag. 347-357; Á. Darab, Corin-
thium aes. Az anekdotikus elbeszélés az id. Plinius Naturalis Historiájában, Antik
Tanulmányok XLVII, 2003, pp. 221-235.

27
In ogni caso l’interpretazione dell’aggettivo corinthius
nell’epigramma di Marziale come riferito al tipo di lega
di bronzo di cui sarebbe stata costituita la statua da lui
descritta, non mi pare pregiudicare l’ipotesi che Marziale
si riferisca all’originale prassitelico.
A prescindere, infatti, dal fatto che manca uno studio
sulla composizione della lega della statua di Cleveland in
grado di escludere, comparandola ad uno studio filologi-
co del termine in questione, la possibilità di una, seppur
minima o allusiva, possibile relazione tra la composizio-
ne della statua e l’aggettivo utilizzato da Marziale, si ag-
giunga che l’aggettivo corinthius può avere, come accen-
nato, anche altre possibili letture ed interpretazioni.
Proviamo, dunque, a partire dall’esame del contesto in
cui l’aggettivo corinthius è utilizzato da Marziale. Si trat-
ta della raccolta Apophoreta (letteralmente “cose da por-
tar via”) che contiene 221 epigrammi, più 2 introduttivi,
destinati ad accompagnare i piccoli doni che venivano
assegnati a sorte ai commensali dei banchetti, usanza at-
testata soprattutto in occasione dei Saturnalia. Questa as-
segnazione a sorte produceva talvolta effetti divertenti, su
cui il poeta ironizza. I titoli furono dati dallo stesso Mar-
ziale: i suoi gli epigrammi erano stati probabilmente pen-
sati proprio per essere riportati su bigliettini con cui ac-
compagnare, ironicamente, ciascuno un determinato do-
no.
Se partiamo dall’ipotesi che Marziale intendesse
l’aggettivo corinthius proprio nell’accezzione che, riferi-
to al bronzo, indica la lega composta da rame, oro e ar-
gento, dobbiamo conseguirne due ipotesi.
Una prima è che Marziale abbia immaginato questo
epigramma per accompagnare una piccola copia del Sau-
roctonos in bronzo “corinzio”, come ritiene Settis. Si trat-
terebbe, però, in questo caso di un oggetto molto prezio-
so, probabilmente sproporzionato rispetto ai piccoli doni

28
che si usava fare in occasione dei banchetti. Se l’effettiva
consistenza dell’oggetto coincidesse con la descrizione
fatta da Marziale, nell’epigramma verrebbe a mancare,
inoltre, qualsiasi effetto satirico.
Una seconda possibilità è che Marziale, in linea con la
sottile ironia che contraddistingue tutta la raccolta, abbia
immaginato l’epigramma per accompagnare una copia in
materiale molto più umile o un oggetto molto più sempli-
ce e che abbia, dunque, utilizzato l’aggettivo corinthius
proprio in virtù dell’effetto comico che produceva, per
antitesi, l’accostamento tra un aggettivo che connotava
un materiale così prezioso, ed un materiale o un dono in-
vece molto più umile che però in qualche modo richia-
mava alla mente l’Apollo Sauroctonos o il suo gesto, in-
vitando forse scherzosamente il destinatario del dono ad
imitarne l’impresa.
Difficile arrivare alla certezza di aver colto la giusta
interpretazione. Una cosa, tuttavia, è sicura: affinché
l’epigramma fosse compreso e ottenesse anche l’effetto
ironico certamente cercato da Marziale, i commensali che
egli pensava come destinatari dei propri versi, coloro i
quali avrebbero assistito alla consegna del dono e alla let-
tura di questi versi, dovevano anch’essi aver ben presen-
te, nei loro occhi, l’immagine dell’Apollo Sauroctonos: la
statua, quindi, per essere ben nota agli abitanti dell’Urbe,
come Marziale sembra dare per scontato, poteva trovarsi
a Roma, esposta in un luogo di grande visibilità. Abbia-
mo qui, dunque, un ulteriore indizio, che si aggiunge
all’interpretazione che abbiamo già avanzato dei versi di
Ovidio, che avallerebbe la tesi della presenza dell’Apollo
Sauroctonos sul Palatino.
Per quanto riguarda la questione se questa statua vista
da Marziale e dai suoi lettori fosse l’originale di bronzo o
piuttosto una copia marmorea, anche se non possiamo
escluderla a priori, quest’ultima eventualità non è certo

29
altamente probabile: il fenomeno della riproduzione in
massa di statue greche, infatti, si affermò largamente solo
nella generazione a lui successiva, a partire dal II secolo
d.C., quando, proprio in virtù del successo dei primi ori-
ginali arrivati grazie alle conquiste romane in Grecia e in
Asia Minore, si sviluppò e diffuse fra i ricchi Romani la
moda di decorare le proprie dimore con statue greche, ma
al contempo gli originali non bastavano più a soddisfare
le accresciute richieste del mercato.
A rendere improbabile che quella che crediamo possa
essere stata vista da Marziale sul Palatino fosse la statua
originale di bronzo dell’Apollo Sauroctonos e non una
copia è anche un’altra considerazione: le statue del tem-
pio di Apollo sul Palatino, come vedremo più in avanti,
erano quasi tutte degli originali greci, portati direttamente
dalla Grecia, opere di scultori del calibro di Scopas, Ti-
moteo e Kefisodotos, padre di Prassitele.
Ma torniamo ai possibili significati dell’aggettivo co-
rinthius utilizzato da Marziale, che come abbiamo detto
Settis ritiene si riferisca ad una copia preziosa in scala ri-
dotta in una lega di bronzo arricchita di argento o oro.
Tale epiteto, oltre ad avere una funzione ironica, come
abbiamo già ipotizzato, potrebbe anche riferirsi alla pro-
venienza dell’opera: l’Apollo Sauroctonos potrebbe esse-
re stato portato a Roma come bottino da Corinto, in se-
guito alla conquista e al saccheggio della città da parte
del console Lucio Mummio nel 146 a.C., che fece arriva-
re a Roma le prime statue greche, usate per abbellire edi-
fici pubblici e residenze private, oppure dopo la vittoria
di Augusto ad Azio nel 30 a.C.
Un’ulteriore ipotesi sulla collocazione originaria della
statua e sulle possibili modalità del suo arrivo a Roma
nasce dalla constatazione che l’Apollo Sauroctonos è raf-
figurato entro un tempio sulle monete di Apollonia al

30
Rindaco, città della Misia, posta sul fiume Rindaco35, sul-
la riva settentrionale del lago Apolliniate. L’Apollo Sau-
roctonos, ha ipotizzato Antonio Corso36, potrebbe essere
stata una statua di culto in questa città dell’Asia Minore
ed essere stata portata a Roma in seguito alla vittoria ot-
tenuta nel 73 a.C. da Lucio Licinio Lucullo su Mitridate,
re del Ponto, nella battaglia svoltasi proprio sulle sponde
del fiume Rindaco durante la Terza guerra mitridatica37.
In ogni caso, quando che fosse giunta la statua a Ro-
ma, è plausibile che Augusto, essendo particolarmente
devoto ad Apollo ed avendogli dedicato dopo la vittoria
di Azio un tempio sul Palatino, proprio accanto alla pro-
pria dimora, abbia deciso di esporvi una delle più belle e
preziose statue originali greche di Apollo che potesse ai
suoi tempi reperire e che meglio rientrasse nei canoni del
gusto augusteo: un identikit che corrisponde perfettamen-
te all’Apollo Sauroctonos di Prassitele oggi al Museo di
Cleveland.

Veniamo, ora, ad altri indizi di carattere archeologico.


Gli scavi archeologici hanno provato l’estensione del
complesso augusteo sul Palatino, che occupa una superfi-
cie di 12.000 metri quadri, dei quali appena 350 dedicati
alla dimora di Augusto, mentre ben più ampio spazio è
destinato al tempio di Apollo e ad altre strutture, come il
Portico delle Danaidi e la biblioteca. La maestosità e im-
ponenza del complesso è testimoniata dalle strutture38

35
Stefano di Bisanzio, Ethnica 106.9; 596, 17-18.
36
A. Corso, Prassitele e la tradizione mironiana: storia di una bottega e di una concezione
delle immagini scultoree, in Numismatica e Antichità classiche, XVIII, 1989, pag. 85-117.
37
Cfr. Appiano, Storia di Roma, La guerra mitridatica, LXXXV; Plutarco, Vite parallele:
Lucullo, XII.
38
O. Hekster J. Rich, Octavian and the Thunderbolt: the Temple of Apollo Palatinus and
Roman Traditions of Temple Building, The Classical quarterly, 2006, 56, 1, pag. 149-168.

31
emerse nel corso di una lunga serie di scavi archeologi-
ci39.
L’area del Palatino, dove sorgono i resti della Casa di
Augusto, del tempio di Apollo e della contigua bibliothe-
ca ad Apollinis, costituita secondo la Forma Urbis Seve-
riana da due sale absidate, fu oggetto di scavi sin dal
XIX secolo, per volere di Napoleone III. Tra i primi di-
rettori degli scavi vi fu, tra il il 1865 e il 1870, l’architetto
Pietro Rosa, che esplorò il Tempio di Apollo e scoprì la
cosiddetta Domus Liviae40. Dopo di lui gli scavi furono
continuati da Giacomo Boni41, poi da Alfonso Bartoli42 e,
tra il 1956 e il 1964, da Gianfilippo Carettoni43, il quale
esplorò la Basilica Aemilia, la Casa delle Vestali, la casa
di Livia e la zona repubblicana a sud-ovest di essa. Portò
alla luce la Domus Augusti e il Tempio di Apollo, dimo-
strando la connessione tra i due edifici: la casa di Augu-
sto era, infatti, collegata alla terrazza del santuario attra-
verso dei corridoi voltati e affrescati, secondo uno sche-
ma che seguiva il modello dei palazzi dei sovrani elleni-
stici. In tempi più recenti nuovi scavi sul Palatino sono

39
Per una storia degli scavi sul Palatino cfr.: I. Iacopi, Gli scavi sul colle Palatino: testi-
monianze e documenti, Roma 1997. Per un suo inquadramento topografico, invece, cfr.: F.
Castagnoli, Note sulla topografia del Palatino e del Foro Romano, Archeologia Classica
16, 1964, pag.173-199; F. Coarelli, Roma, Milano 1997; F. Coarelli, Roma Quadrata, in
Lexicon topograficum Urbis Romae IV, 1999, pag. 207-209; F. Coarelli, Umbilicus Urbis,
in Lexicon topograficum Urbis Romae IV, 1999, pag. 95-96.
40
Per gli scavi francesi sul Palatino cfr.: M.A. Tomei, Gli scavi di Pietro Rosa per Napo-
leone III (1861-1870), in Gli Orti farnesiani sul Palatino (Atti del Convegno, Roma 1985),
Roma 1990, pag. 61 e sg.; M.A. Tomei, Scavi francesi sul Palatino: le indagini di Pietro
Rosa per Napoleone III (1861-1870), Roma 1999.
41
P. Romanelli, s.v. “Boni Giacomo”, in Dizionario Biografico degli Italiani (Istituto
dell’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani), Roma 1970, pag. 75-77; A.
Capodiferro, P. Fortini (a cura di), Gli scavi di Giacomo Boni al foro Romano, Documenti
dall’Archivio Disegni della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, I.1
(Planimetrie del Foro Romano, Gallerie Cesaree, Comizio, Niger Lapis, Pozzi repubblica-
ni e medievali), Roma 2003.
42
A. Bartoli, Il foro romano. Il Palatino, Roma 1925; A. Bartoli, Scavi del Palatino 1926-
1928 (Domus Augustana), Notizie degli Scavi di Antichità, 1929, pag. 3-29.
43
G. Carettoni, Sculture del Palatino, Bollettino D'Arte 50, 1965, III, Luglio-Settembre,
pag. 148 e sg.; G. Carettoni, L. Fabbrini (a cura di), Il Foro romano e il Palatino, Firenze
1969.

32
stati condotti da Patrizio Pensabene e da Andrea Caran-
dini.44
Quanto alla decorazione del Tempio di Apollo, oggi
in massima parte perduta, le fonti attestano che il tempio
era riccamente decorato da numerose sculture, tutte di
tema o provenienza greca. Tra una colonna e l’altra del
portico erano collocate cinquanta statue raffiguranti le
Danaidi, più una raffigurante Danao con la spada sguai-
nata e le statue equestri dei figli di Egitto. Vi erano inol-
tre due bassorilievi con i Galati cacciati da Delfi e con il
mito dei Niobidi. Sul frontone erano collocate le sculture
di Bupalos e Athenis, scultori di Chio della seconda metà
del VI secolo a.C.
Le statue di culto di Apollo, di sua madre Latona e di
sua sorella Artemide furono portate direttamente dalla
Grecia. Sappiamo che all’interno del Tempio c’erano
l’Apollo Citaredo di Scopas, proveniente forse dal san-
tuario di Apollo a Ramnunte in Attica, una di Artemide,
opera di Timoteo, e una di Latona, opera di Kefisodotos,
padre di Prassitele. Davanti al tempio, nella cosiddetta
area Apollinis, sorgeva un altare affiancato dalle sculture
della “Mandria di Mirone” e da una statua di Apollo, col-
locata su un basamento ornato da rostri.
Nell’area del Tempio di Apollo e negli spazi attigui,vi
erano diverse statue raffiguranti Apollo, tra cui una statua
di Apollo citaredo, eretta davanti al Tempio, che secondo
una ipotesi sarebbe stata una copia del tutto fedele della
statua di culto del santuario di Daphne ad Antiochia, ese-

44
P. Pensabene, Auguratorium e Tempio della Magna Mater, in Archeologia Laziale II, 3,
1979; P. Pensabene, Casa Romuli sul Palatino, in Rendiconti. Atti della Pontificia Acca-
demia Romana di Archeologia, LXIII, Roma 1993, pag.15-162; P. Pensabene, Le reliquie
dell’età romulea e i culti del Palatino, in A. Carandini (a cura di), Roma. Romolo, Remo e
la fondazione della città. Catalogo della mostra, Roma 2000, pag.74-82; P. Pensabene,
Scavi del Palatino I. L’area sud occidentale del Palatino tra l’età protostorica e il IV secolo
a.C. Scavi e materiali della struttura ipogea sotto la cella del tempio della Vitoria, in Studi
Miscellanei 32, Roma 2001; A. Carandini (a cura di), Roma. Romolo, Remo e la fondazio-
ne della città, Catalogo della mostra, Roma 2000; A. Carandini, Remo e Romolo. Dai
rioni dei Quiriti alla città dei Romani. 775/750 – 700/675 a.C. circa, Torino 2006.

33
guita intorno al 300 a.C. da Briaxis. La statua, celebre
nell’antichità per la sua bellezza, sarebbe andata distrutta
in un incendio nel 361 a.C. all’epoca di Giuliano
l’Apostata. Alcuni autori tardi, tra cui Libanio, Teodoreto
e Filostorgio, la descrivono come un acrolito con chitone
dorato, in posizione stante, con la lira in una mano e la
patera nell’altra.
Una statua di Apollo, la cui identificazione è ancora
discussa, fu vista da Properzio nel portico delle Danaidi.45
Ve n’era poi ancora un’altra all’interno di una delle bi-
blioteche: le fonti la ricordano per la singolare somiglian-
za del volto di questa statua di Apollo con il volto di Au-
gusto.46 Un’altra statua fu portata a Roma da Seleucia da
Lucio Vero e collocata nell’area del Tempio di Apollo sul
Palatino.47 Vi era, infine, una colossale figura in marmo
di Apollo, di cui furono trovati dei frammenti del volto,
del panneggio e la punta del piede sinistro, che qualcuno
aveva in passato proposto anche di identificare come la
statua di culto.48
La quantità e la qualità delle statue citate sembrereb-
bero suggerire che proprio per l’elevata importanza reli-
giosa ma anche simbolica dell’edificio, la sua centralità e
vicinanza al palatium, i Romani, a partire da Agusto e dai
suoi successori, cercarono di raccogliere nel tempio e
nell’area circostante le più celebri statue originali greche
di Apollo all’epoca reperibili, portandole anche dalla
Grecia e dall’Oriente. È, dunque verisimile che i Romani
avessero portato sul Palatino anche il capolavoro bronzeo
di Prassitele.

45
Properzio III, 31, 5-8: «Hic equidem Phoebo visus mihi pulchrior ipso/ marmoreus taci-
ta carmen hiare lyra/ atque aram circum steterat ermenta Myrionis/ quattuor artificies
vivida signa boves».
46
Pseudoacr. in Hor, ep. I, 3, 17: «Caesar in bibliotheca statuam sibi posuerat habitu ac
statu Apollinis».
47
Amm. Marc. XXIII, 6, 24.
48
H.G. Martin, Romische Tempelkultbilder, Studi e Materiali Museo della Civiltà Roma-
na, 12, Roma 1987, pag. 262, n. 118.

34
Indizi letterari e di natura archeologica ci permettono,
dunque, di avanzare l’ipotesi che l’Apollo che «risolleva
le stanche membra del corpo» e «guarda sereno gli altari
Palatini» descritto da Orazio nel Carmen saeculare49 re-
citato in occasione dei Ludi saeculares nel 17 a.C., sia lo
stesso «Apollo giovinetto intento a colpire con la freccia
una lucertola che striscia furtiva» descritto da Plinio il
Vecchio50 e a cui si rivolge Marziale51 dicendogli «Ri-
sparmia la lucertola che striscia verso di te, o ragazzo
insidioso: ella desidera morire per mano tua» nell’epi-
gramma pubblicato nel 84 d.C.
Del resto nella statua in esame il giovane Apollo, no-
nostante il suo gesto, descritto da Plinio, di uccidere la
lucertola con una freccia, ci appare sereno come lo de-
scrive Orazio: la posizione delle membra è rilassata, sen-
za alcuna tensione, in armonia con la morbidezza e dol-
cezza dei lineamenti e del gesto.
È in conclusione possibile che sia Orazio che Marziale
abbiano visto a Roma, sul Palatino, presso la casa di Au-
gusto, l’adiacente Tempio di Apollo o l’area circostante,
un esemplare bronzeo, come indizierebbe il riferimento
di Marziale, dell’Apollo Sauroctonos. In tal caso, data
l’assoluta importanza della collocazione, non si sarebbe
potuto trattare che di un originale greco, come per le altre
statue esposte nel Tempio di Apollo. La statua in que-
stione potrebbe essere, quindi, quella attualmente in pos-
sesso del Museo di Cleveland, se quest’ultima costituisce
effettivamente l’originale prassitelico.
La statua potrebbe essere stata portata sul Palatino in
occasione dei lavori di costruzione del Tempio di Apollo
in età Augustea, in un momento che potremmo inquadra-

49
Quinto Orazio Flacco, Carmen saeculare, 61-68.
50
Gaio Plinio Secondo, Naturalis Historia, XXXIV, 69-70.
51
M. Valerio Marziale, Epigrammi, Apophoreta, XIV, 172: Sauroctonos Corinthius.

35
re tra la vittoria di Ottaviano contro Sesto Pompeo nel 36
a.C. al Nauloco o quella contro Marco Antonio ad Azio
nel 31 a.C. e la celebrazione dei ludi seculares nel 17
a.C., occasione per la quale il Tempio già doveva ormai
presentarsi nel suo massimo splendore, ornato dalle sta-
tue greche citate, e in cui Orazio nel Carmen seculare po-
trebbe già attestarne la presenza.

Per quanto riguarda il successivo destino della statua,


notiamo che quella di Marziale è l’ultima testimonianza
letteraria che ci è rimasta. Abbiamo, dunque, in tutto tre
testimonianze letterarie (Orazio, Plinio il Vecchio e Mar-
ziale), che si inquadrano tutte tra l’età Augustea e l’età
Flavia. Nei secoli successivi nessun autore farà più rife-
rimento esplicito o allusivo, all’Apollo Sauroctonos. Se la
statua in età augustea si fosse effettivamente trovata sul
Palatino, c’è dunque da chiedersi quale sorte potrebbe
aver subito nei secoli successivi e se vi sia una ragione
per la quale mai non viene più citata dalle fonti.
Innanzitutto, rispetto a quest’ultimo punto, occorre
premettere che possiamo considerarci già particolarmente
fortunati che si siano conservate le tre citate testimonian-
ze letterarie. Di per sé il fatto che non ci siano giunte te-
stimonianze successive sulla statua non indizia nulla.
In secondo luogo dobbiamo ricordare che dopo Augu-
sto gli imperatori romani, per fare spazio alle proprie di-
more, fecero diversi interventi strutturali ed edilizi sul Pa-
latino, tanto da trasformare progressivamente l’intero col-
le in un’unica enorme e fastosa residenza imperiale52.
Nell’ambito di questa frenetica attività di ristrutturazione
non è improbabile che la statua di Apollo, pur rimanendo
sul Palatino, dove sorgeva il suo tempio più importante,
abbia cambiato collocazione, magari spostata in un punto

52
C. Cecamore, Apollo e Vesta sul Palatino fra Augusto e Vespasiano, Bullettino della
Commissione Archeologica Comunale di Roma, XCVI, 1994-1995, pag. 9-32.

36
di minore visibilità pubblica.
Certamente il Palatino subì dei cambiamenti notevoli
all’inizio del IV secolo, quando l’imperatore Costantino
volle farne uno dei luoghi di culto della nuova Roma cri-
stiana. Eppure, anche dopo la cristianizzazione voluta da
Costantino, l’Apollo Sauroctonos potrebbe essere rimasta
al suo posto. Rimase, infatti, al suo posto almeno la statua
di Apollo nella cui base continuarono ad essere custoditi i
Libri Sibillini: lo conferma la notizia, tramandata da Ruti-
lio Namaziano, che il generale Flavio Stilicone nel 405
d.C., pare per evitare che i sacerdoti ne strumentalizzas-
sero le profezie per attaccarlo o forse per tentare di ingra-
ziarsi il favore della Chiesa, ordinò di bruciare i Libri Si-
billini, che al suo tempo erano ancora custoditi nel Tem-
pio di Apollo sul Palatino, ove li aveva fatti collocare
Augusto.
Nonostante Teodosio I insieme agli Augusti, Graziano
e Valentiniano II, con l’editto di Thessalonica del 380
d.C. avesse ormai fatto del Cristianesimo la religione di
Stato e nel 393 d.C. avesse ufficialmente bandito dall’
Impero la celebrazione dei culti pagani e imposto la chiu-
sura dei templi, in realtà alle soglie del V secolo a Roma
tali culti e i loro luoghi non dovevano essere stati del tut-
to abbandonati se vi operava ancora l’ultimo augure pub-
blico, Lucio Ragonio Venusto, e se mentre la città era as-
sediata da Alarico, il Prefetto dell’Urbe Gabinio Barbaro
Pompeiano, per salvare Roma era arrivato addirittura a
proporre l’intervento divinatorio degli aruspici etruschi.

Anche l’Apollo Sauroctonos, dunque, avrebbe potuto


trovarsi ancora sul Palatino quando la notte del 24 agosto
410 d.C., dopo quasi otto secoli di inviolabilità e alla fine
di un lungo assedio che aveva sterminato gli abitanti
dell’Urbe, morti di fame e malattie, Roma cadde nelle
mani di Alarico e dei suoi Visigoti.

37
Le fonti riferiscono che essi saccheggiarono Roma per
tre giorni (fig.5). Dopo averla saccheggiata e dopo avere
sposato con la forza la sorella dell’Imperatore Onorio,
Galla Placidia, per manifestare a tutti simbolicamente la
sua appropriazione dell’Impero Romano d’Occidente,
Alarico, carico di bottino e di prigionieri, lasciò Roma,
dirigendosi verso sud, come nell’VIII secolo racconta lo
storico Paolo Diacono: «Seminando clamore e strage at-
traverso Campania, Lucania e Bruzio arrivarono a Reg-
gio, desiderosi di attraversare lo stretto braccio di mare
e di giungere in Sicilia. Salirono lì sulle navi per salpare.
Poi, colpiti da un naufragio, persero parecchi uomini».
In questo contesto accadde anche un fatto imprevedi-
bile: l’improvvisa morte di Alarico, come riportano le te-
stimonianze di Cassiodoro53, Jiordanes54 e Paolo Diaco-
no.55 Jordanes racconta che i suoi guerrieri deviarono il
letto del fiume Basento, non lungi da Cosenza, lo seppel-
lirono con ingenti tesori, secondo le usanze barbariche, e
poi riportarono le acque nell’alveo e massacrarono gli
schiavi che avevano eseguito i lavori, affinché il luogo
del seppellimento restasse segreto. Lo conferma anche
Paolo Diacono che riporta: «Alarico mentre fra questi
avvenimenti rifletteva su cosa fare, improvvisamente mo-
rì presso Cosenza. I Goti lo seppellirono nel letto del
fiume Busento, deviandone il corso con il lavoro dei pri-
gionieri. Una volta rimesso il fiume nel suo corso, ucci-
sero tutti i prigionieri che erano stati utilizzati per scava-
re la tomba, affinché nessuno ne scoprisse il luogo».
Se riteniamo credibile questo racconto, una parte dei
tesori saccheggiati a Roma fu probabilmente sepolta con
Alarico nel letto del fiume Busento (fig.6), in un luogo

53
Flavio Magno Aurelio Cassiodoro, Historia Gothorum.
54
Jordanes, De origine actibusque Getarum, XXX. Cfr.: H. Schreiber, I Goti, Milano
1981, pag. 179 e pag. 303.
55
Paolo Diacono, Historia Romana (libro XIII)..

38
non ancora individuato dagli archeologi. Il resto, invece,
imbarcato sulle navi che dovevano raggiungere la Sicilia
e l’Africa, si perse in mare a causa di un naufragio, come
racconta sempre Paolo Diacono.
Certamente non sfuggì al saccheggio da parte di Ala-
rico il colle Palatino con i suoi grandiosi palazzi imperia-
li, ricchi di tesori e di opere d’arte, tra le quali avrebbe
potuto esservi anche l’Apollo Sauroctonos di Prassitele:
se in età augustea o giù di lì la statua aveva effettivamen-
te trovato collocazione sul Palatino, come abbiamo ipo-
tizzato, è probabile che all’epoca del sacco di Alarico si
trovasse ancora al suo posto, nel frattempo non essendo
stata Roma esposta ad alcun saccheggio. Il Tempio, dun-
que, potrebbe essere stato saccheggiato da Alarico e
l’Apollo Sauroctonos di Prassitele portato via insieme al
resto del bottino. In tal caso la statua potrebbe essere stata
sepolta insieme al re nel letto dei fiume Busento o essere
finita in fondo al mare, insieme ad una di quelle navi di
cui Paolo Diacono ricorda il naufragio nei pressi dello
stretto di Messina. In entrambi i casi la statua ora esposta
al Museo di Cleveland proverrebbe, dunque, da un recu-
pero clandestino, in terra o in mare, sul territorio italiano.

Ma si può avanzare ancora un’altra ipotesi, che ri-


manda anch’essa all’Italia, sul destino dell’opera dopo
l’età augustea e, dunque, sul suo possibile luogo di ritro-
vamento.
Dopo il saccheggio da parte di Alarico Roma si ripre-
se rapidamente. Già verso il 415 d.C. la città gli edifici
distrutti o danneggiati erano stati ricostruiti o restaurati e
la città ripopolata, tanto che l’anno successivo Onorio vi
poté celebrare un trionfo. L’illusione di una rinascita del-
la città sarebbe stata, tuttavia, ben presto stroncata da un
colpo ancor più duro dell’invasione di Alarico.

39
Nel 455 d.C. Genserico approfittò dell’assassinio di
Valentiniano III, imperatore d’Occidente, e della salita al
trono di Petronio Massimo come pretesto per svincolarsi
dal trattato di pace del 422 d.C. e attaccare Roma. Acco-
gliendo le suppliche di Papa Leone I, risparmiò la vita
agli abitanti dell’Urbe. In cambio gli si aprirono senza
resistenza le porte della città.
Il sacco di Roma da parte di Genserico (fig.6) fu ben
più radicale di quello di Alarico. Le sue truppe risparmia-
rono la popolazione e le chiese cristiane, come promesso
al papa, ma portarono via ostaggi illustri e tutto l’oro,
l’argento e ogni oggetto prezioso che trovarono. Le fonti
ricordano, inoltre, esplicitamente che Genserico e i suoi
Vandali saccheggiarono il Palazzo imperiale e i templi
del Palatino, senza lasciarsi dietro «né bronzo né qualun-
que altra cosa di valore»56, comprese dunque eventuali
statue di bronzo. Possiamo di riflesso supporre che Alari-
co non avesse saccheggiato questi edifici fino all’osso se,
appena cinquanta anni dopo, Genserico vi trovò ancora
oro e bronzo. Il suo saccheggio fu, al contrario, radicale:
arrivò persino a far svellere il tetto del tempio di Giove
Capitolino, per prelevare l’oro ed il bronzo che contene-
va.
Tra il bottino portato via da Genserico le fonti citano,
inoltre, esplicitamente anche le statue di bronzo, eviden-
temente anch’esse sopravvissute al sacco di Alarico.
L’Apollo Sauroctonos di Prassitele, se sopravvissuta al
sacco di Alarico del 410 d.C. e ancora collocato sul Pala-
tino quando Genserico prese Roma nel 455 d.C., non sa-
rebbe, dunque, certo scampato a quest’ultimo ben più ra-
dicale saccheggio.
Quanto al successivo destino di questa e delle altre
statue, lo storico bizantino Procopio di Cesarea ricorda

56
Procopio, Le guerre, III, 5, 1-6.

40
che proprio la nave che trasportava le statue verso Carta-
gine fece naufragio. Ecco il suo racconto: «Per nessun
altro motivo se non nella speranza di ottenere grandi ric-
chezze, Genserico salpò per l'Italia con una potente flot-
ta. Arrivato a Roma si insediò nel palazzo reale, senza
che nessuno glielo impedisse. Massimo tentò di fuggire,
ma i cittadini lo uccisero prendendolo a sassate, poi gli
tagliarono la testa e ne fecero il corpo a pezzi, strappan-
dogli le membra. Genserico fece prigioniere Eudossia e
le sue due figlie Eudocia e Placidia, che aveva avuto da
Valentiniano, e caricata sulla nave una grande quantità
d'oro e di altri tesori imperiali, salpò per Cartagine, sen-
za lasciarsi dietro né bronzo né qualunque altra cosa di
valore che vi fosse nel palazzo. Saccheggiò anche il tem-
pio di Giove Capitolino e portò via metà tetto, che era
fatto di bronzo di ottima qualità e rivestito di uno spesso
strato d'oro, tanto da apparire veramente stupendo e pre-
zioso. Però si dice che una delle navi di Genserico, quel-
la che trasportava le statue, sia naufragata, mentre con
tutte le altre i Vandali raggiunsero il porto di Cartagine.
Genserico diede in sposa Eudocia a suo figlio maggiore
Onorico, l'altra fanciulla, invece, che era già sposata con
Oliario, un illustre senatore romano, la mandò a Bisan-
zio insieme con la madre Eudossia, su richiesta dell'im-
peratore»57.

Adagiato sul fondo del Mediterraneo, in qualche pun-


to fra Roma e Cartagine, probabilmente nel canale di Si-
cilia, ci deve essere, dunque, il relitto di una nave carica
di statue di bronzo provenienti dal Palatino, contenente,
cioè, alcune tra le più preziose opere d’arte che si poteva-
no trovare a Roma nel 455 d.C.

57
Procopio, Le guerre, III, 5, 1-6.

41
E probabilmente non è un caso che dallo stesso Cana-
le di Sicilia, chissà se non addirittura dallo stesso mai in-
dividuato relitto, provenga il Satiro danzante, la statua di
bronzo risalente al 360 a.C. circa, considerata dagli stu-
diosi anch’essa, singolare coincidenza, opera prassitelica,
anche se forse in questo caso si tratta di una copia roma-
na.
La statua fu ripescata casualmente a due riprese nel
1997 e nel 1998, a 500 metri di profondità nei pressi di
Mazara del Vallo dal “Capitan Ciccio”, il peschereccio
comandato da Francesco Adragna, che ogni notte batteva
con le reti a strascico i fondali tra Pantelleria e Capo Bon.
Nel settembre del 1997 fu recuperata una gamba della
statua, mentre il 4 marzo del 1998 la porzione maggiore
della statua. In quella occasione, essendo la statua pesan-
tissima perché piena di limo, tirandola a bordo un braccio
della statua si ruppe e ricadde tra le acque.
La statua fu consegnata alle autorità italiane. Dopo un
contenzioso tra l’armatore del peschereccio e la Regione
Sicilia, l’opera fu valutata un miliardo e settecento milio-
ni di lire, corrispondenti a circa 877.000 euro, dei quali
circa 280.000 furono dati come ricompensa ai nove
membri dell’equipaggio del peschereccio, che se li divi-
sero in base al grado di ciascuno di loro a bordo. La sta-
tua, il cui ritrovamento ebbe grande eco mediatica, dopo
il restauro fu esposta prima a Roma presso la Camera dei
Deputati, poi nel 2005 rappresentò l’Italia all’Expo Uni-
versale di Aichi in Giappone.
Singolare è la coincidenza tra le condizioni frammen-
tarie del Satiro danzante e dell’Apollo Sauroctonos, che
la studiosa Lucia Marinescu ha sostenuto di aver visto in
Germania, nel 1994, proprio in frammenti e che attual-
mente si presenta priva del braccio sinistro dall’avam-
braccio alla spalla e del braccio destro dalla mano al go-
mito.

42
Se diamo per attendibile la sua testimonianza possia-
mo avanzare due ipotesi: una prima parte dalla costata-
zione che il confronto tra l’aspetto delle due statue ci mo-
stra entrambe prive di alcuni arti, che rappresentano pro-
prio le parti più sensibili al distacco e alla dispersione in
mare in caso di sollevamento tramite reti, come dimostra
anche l’appena esposta vicenda della perdita del braccio
del Satiro danzante nel 1998. Si potrebbe, dunque, in li-
nea teorica supporre una analogo contesto di giacitura e
processo post-deposizionale, e anche una simile dinamica
di ritrovamento, che quindi anche nel caso dell’Apollo
Sauroctonos, come in quello del Satiro danzante, potreb-
be essere frutto di un recupero subacqueo con reti a stra-
scico o con altre attrezzature di traino che possono aver
provocato con una dinamica simile il fortuito distacco di
parti dell’opera.
Purtroppo, stando alla versione fornita dal Museo di
Cleveland, la statua sarebbe stata restaurata nello stesso
anno. Il restauro oltre ad aver cancellato, come già detto,
gli indizi sulla provenienza dell’opera eventualmente ri-
scontrabili nei residui asportati dalla superficie e
dall’interno della statua, potrebbe aver in parte inficiato
anche la lettura delle caratteristiche delle fratture e,
quindi, delle dinamiche e delle cause che le avevano pro-
dotte.
Una seconda possibile osservazione sulla testimonian-
za della Marinescu è che, come attestano numerosi casi, è
ben nota la pratica adottata da parte dei trafficanti inter-
nazionali di antichità di fare a pezzi le statue e gli altri
reperti archeologici per poterli più facilmente esportare
clandestinamente.
In ogni caso, sia per fugare quest’ultima terribile e
sconcertante ipotesi, sia per cercare di fare luce sulle mo-
dalità di ritrovamento della statua, sarebbero necessarie
delle obbiettive analisi di laboratorio sulle fratture della

43
statua, finalizzate a chiarirne la natura e possibilmente la
dinamica che le ha prodotte.

Un’altra prova della straordinaria ricchezza del tratto


di mare da cui proviene il Satiro danzante, che certamen-
te non rappresenta un ritrovamento isolato fu nel 1999, il
ritrovamento, ancora una volta da parte del peschereccio
“Capitan Ciccio” e sempre tra Mazara del Vallo e la Tu-
nisia, di una grande zampa di elefante in bronzo, del III
secolo a.C., alta 60 centimetri, che doveva far parte di
una statua alta circa tre metri.
È certo, dunque, che il Satiro danzante non stava da
solo su quei fondali: lì da qualche parte giacciono anche
non solo i tesori di Cartagine, saccheggiata e distrutta dai
Romani al seguito di Scipione l’Africano, tesori che in
parte affondarono in mare proprio durante il tragitto che
li avrebbe portati a Roma, ma anche quelli di Roma, co-
me le sculture del Palatino portate via da Genserico, re
dei Vandali. Nel tragitto verso Cartagine infatti naufragò,
secondo le fonti58, proprio la nave che trasportava le sta-
tue.
I monitoraggi al sonar, effettuati dalla Soprintendenza
in collaborazione con la Capitaneria di Porto, nel tratto di
mare oggetto dei ritrovamenti citati sembrano aver evi-
denziato diverse anomalie, indicatrici di possibili masse
metalliche. Vi sono, dunque, indizi più che significativi
per giustificare un ulteriore approfondimento ed amplia-
mento delle ricerche. Esse necessiterebbero, tuttavia, di
tempi, strumenti e risorse finanziarie ben più cospicue di
quelle che il nostro Paese ha stanziato negli ultimi anni.
Questi fondali potrebbero essere il contesto di prove-
nienza anche dell’Apollo Sauroctonos, comparso presso-
ché dal nulla ed acquistato dal Museo d’Arte di Cleve-

58
Procopio di Cesarea, loc. cit.

44
land. La statua potrebbe essere stata tirata su da quei fon-
dali da qualche “tombarolo del mare”, fortuitamente o
con il supporto delle avanzate tecnologie di cui attual-
mente sono in possesso non solo centri di ricerca e istitu-
zioni pubbliche, ma purtroppo anche facoltosi privati che
con le loro attrezzatissime organizzazioni operano nel
Mediterraneo con il fine, talvolta persino apertamente di-
chiarato, di scovare i tesori di ogni epoca che giacciono
sui suoi fondali e appropriarsene.
La statua potrebbe essere successivamente finita,
sfruttando forse le vie marittime dei traffici tra Italia e
Tunisia o quelle terrestri tra Italia e Svizzera, prima,
realmente o virtualmente, tra le mani del collezionista te-
desco Ernst-Ulrich Walter e poi da questi in quelle dei
fratelli Aboutaam, proprietari della galleria d’arte Phoe-
nix Ancient Art S.A., che l’hanno infine venduta al Mu-
seo di Cleveland.

Il 19 novembre 2008 il Ministro per i Beni e le Attivi-


tà Culturali e il Direttore del Museo d’Arte di Cleveland
hanno firmato a Roma un accordo per la restituzione
all’Italia, in cambio di una collaborazione e del prestito di
altre opere d’arte dall’Italia, di 14 reperti archeologici, la
cui provenienza illecita dall’Italia era stata dimostrata
dalle indagini dei Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimo-
nio Culturale e della magistratura italiana. I reperti resti-
tuiti dal Cleveland Museum of Art sono stati presentati a
Roma il 2 luglio del 2009.
Nelle dichiarazioni che hanno accompagnato l’ac-
cordo, il cui testo non è stato diffuso, si parla di “una
nuova era di cooperazione tra il Museo e il Ministero”: il
Museo d’Arte di Cleveland è stato addirittura pubblica-
mente definito dal Ministro per i Beni e le Attività Cultu-
rali on. Sandro Bondi un “esempio per tutti i musei del
mondo”.

45
In nessun comunicato stampa e in nessuna dichiara-
zione ufficiale rilasciata né in occasione dell’accordo né
in quella del rientro delle opere in Italia, si faceva, inve-
ce, menzione dell’Apollo Sauroctonos ancora in possesso
dello stesso Museo di Cleveland, sebbene il caso fosse
già noto alle autorità italiane59.
Allo stato attuale, dunque, l’accordo non solo non av-
vicina, ma rischia persino di allontanare ulteriormente la
già difficile possibilità di accertare la reale provenienza
dell’Apollo Sauroctonos in possesso del Museo di Cleve-
land.
L’accordo in questione con il Museo di Cleveland
sembra porsi in continuità con quelli stipulati negli anni
precedenti con il Metropolitan Museum ed il Getty Mu-
seum. Si tratta in tutti questi casi di operazioni diplomati-
che che hanno portato al rientro in Italia di un quantitati-
vo molto limitato di reperti archeologici rispetto al pluri-
decennale contenzioso in corso con questi musei e alle
decine di migliaia di opere di provenienza ufficialmente
sconosciuta che possiedono, in massima parte frutto di
scavi clandestini in Italia, Grecia e negli altri Paesi del
Mediterraneo60.
Tali operazioni, se da un lato portano al perseguimen-
to di un risultato concretamente limitato, ma nel brevis-
simo termine e di grande impatto mediatico, dall’altro ri-
schiano di essere improduttive o addirittura contro pro-
duttive rispetto all’affermazione di quella che dovrebbe
essere, piuttosto, una complessiva strategia a di politica

59
Una formale segnalazione del caso dell’Apollo Sauroctonos acquistato dal Museo
d’Arte di Cleveland fu presentata nal 2004 al Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei Ca-
rabinieri e contemporaneamente alle autorità greche dall’Osservatorio Internazionale Ar-
cheomafie, che successivamente propose anche la costituzione da parte del Ministero per i
Beni e le Attività Culturali di una commissione di esperti italiani per esaminare il caso e,
attraverso pressioni diplomatiche da parte del Governo Italiano, esaminare direttamente la
statua al Museo di Cleveland.
60
Sul saccheggio sistematico del patrimonio archeologico italiano nei decenni passati: F.
Isman, I Predatori dell'arte perduta. Il saccheggio dell'archeologia in Italia, Milano 2009.

46
culturale internazionale dell’Italia, finalizzata ad ottenere
risultati stabili nel medio e lungo termine, cioè oltre che a
recuperare quanto illecitamente sottratto, a fermare defi-
nitivamente l’esportazione illecita del patrimonio archeo-
logico dal nostro Paese.
La strategia degli accordi citati, puntando sul concede-
re ai musei stranieri dei benefici per ottenerne in cambio
delle restituzioni di opere sottratte all’Italia, rischia invo-
lontariamente di favorire proprio i “musei criminali”,
quei musei, cioè, che hanno acquistato consapevolmente
o almeno molto incautamente reperti archeologici e opere
d’arte palesemente di provenienza sospetta, da venditori
o mediatori inaffidabili, spesso già noti alle autorità per i
loro traffici illeciti.
Con la strategia attuale, infatti, i musei che attuano
comportamenti illeciti o quantomeno deontologicamente
scorretti, paradossalmente non hanno che da guadagnar-
ci:61 dopo aver acquisito, trattenuto ed esposto per anni
delle opere sottratte all’Italia, se e quando il nostro Paese

61
La politica nei confronti dei musei stranieri si inquadra, da questo punto di vista, nella
stessa filosofia dei numerosi interventi legislativi tradizionalmente attuati in Italia in mate-
ria di sanatorie, condoni o di altre norme negli effetti a questi assimilabili, che di fatto
premiano in diversi ambiti, da quello fiscale a quello edilizio, i comportamenti scorretti
rispetto a quelli corretti. Tra la lunga serie di provvedimenti si possono citare: la Legge
28/2/1985 n.47 che ha condonato tutti gli abusi edilizi realizzati fino al 1/10/1983; la Leg-
ge 23/12/1994 n. 724 "Misure di razionalizzazione della finanza pubblica", art. 39; i nume-
rosi Decreti Legge, emanati dopo il 1994 fino al DL 24/9/1996 n. 495, decaduti per man-
cata conversione in legge e la cui continua successione è cessata per la sentenza n. 360 del
17-24/10/1996 della Corte Costituzionale; la Legge 23/12/1996 n. 662 "Misure di raziona-
lizzazione della finanza pubblica", art. 2, commi 37, 45 e sgg; il DDL 4565/ter del maggio
2000 "Disposizioni in materia di revisione generale del catasto e del demanio marittimo";
il DDL 379: "Norme per il trasferimento dei beni del demanio marittimo dello Stato"
(28/3/2000); il DDL 4337 "Disposizioni per la repressione dell'abusivismo edilizio nelle
aree soggette a vincoli di tutela, e modifiche alla legge 28/2/1985 n° 47" (28/11/2000); il
DDL 4338 "Disposizioni in materia di sviluppo, valorizzazione ed utilizzo del patrimonio
immobiliare dello Stato", convertito nella Legge 136/2001; la Legge 212/2003 "Disposi-
zioni urgenti in tema di versamento e riscossione di tributi". Tra i più recenti provvedi-
menti ricordiamo il cd. "scudo fiscale", contenuto in un emendamento del 15 luglio 2009
al decreto legge "anticrisi", votato dal Parlamento il 24 luglio 2009 e convertito in legge il
2 ottobre 2009, che ha consentito il rimpatrio o la regolarizzazione delle attività finanziarie
e patrimoniali illegalmente detenute all'estero fino al 31 dicembre 2008, a fronte del pa-
gamento di una somma del 5%.

47
riesce a dimostrarne, dopo lunghe e costose indagini, la
provenienza illecita, hanno un secondo vantaggio, quello
di poterle utilizzare come “merce di scambio”. Restituen-
done solo una piccola parte e senza pagare risarcimenti,
ottengono legalmente dal nostro Paese in prestito altre
opere di uguale importanza, opere che, in più, offrono a
questi musei l’opportunità di rinnovare continuamente, e
a costo zero, le proprie esposizioni.
I musei stranieri che, al contrario, hanno sempre attua-
to e continueranno ad attuare una politica degli acquisti
deontologicamente corretta, evitando l’acquisto di opere
di provenienza illecita o sospetta, non hanno né avranno
mai merce di scambio da restituire al nostro Paese e
quindi saranno di conseguenza paradossalmente svantag-
giati rispetto ai musei criminali, rimanendo del tutto
esclusi da questi meccanismi di prestito a lungo termine o
quantomeno dai destinatari prioritari.

Per quanto riguarda, infine, in particolare la vicenda


dell’Apollo Sauroctonos bronzeo esposto a Cleveland,
considerato che gli interventi e le analisi effettuate sulla
statua dai tecnici del museo, come sopra esposto, non so-
no obbiettive e scientificamente attendibili, le autorità ita-
liane dovrebbero pretendere innanzitutto dal Cleveland
Museum of Art, tanto più visto che in questo momento il
Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha sottoscritto
con il museo americano un accordo di collaborazione, di
consentire l’accesso all’opera ad una commissione tecni-
co-scientifica nominata dalle autorità italiane, includente
tecnici ed autorevoli esperti del settore, per effettuare un
esame autoptico ed analisi di laboratorio utili a verificare
o escludere un’eventuale provenienza illecita della statua
dal territorio italiano.62

62
La proposta di formare una commissione di tecnici ed esperti da inviare al Museo
di Cleveland per esaminare la statua era già stata avanzata dall’Osservatorio Internazionale

48
Tali analisi dovrebbero essere finalizzate ad appurare,
fra l’altro: la datazione di ciascuno degli elementi della
statua, anche tramite la ricerca dei cd. “tasselli fantasma”,
per appurare se si tratti di un’opera originale greca, di una
copia di età romana o eventualmente di un’opera di età
moderna o di un falso contemporaneo; la datazione della
base; la dinamica di produzione delle fratture; la datazio-
ne dell’intervento di ricomposizione e restauro; l’iden-
tificazione di tutti gli interventi di restauro, antichi e mo-
derni, subiti; la data approssimativa della scoperta; il pro-
babile contesto di ritrovamento, in particolare se si tratta
di un ritrovamento terrestre o subacqueo; la composizio-
ne della lega metallica di ciascuno dei pezzi che compon-
gono la statua (compresi mano-avambraccio sinistro e lu-
certola, che non sono stati reintegrati) e quindi l’apparte-
nenza o meno di tutti i pezzi alla statua stessa; ogni altro
eventuale elemento o indizio utile ad appurare la prove-
nienza della statua, in particolare in riferimento ad una
possibile provenienza da scavi clandestini subacquei o
terrestri in Italia.

Archeomafie nel 2005 alle autorità italiane con una nota ufficiale, nella quale si avanzava
anche un’ipotesi di composizione della Commissione, di cui si proponeva facessero parte:
tecnici ed esperti dell’Istituto Centrale per il Restauro di Roma, in particolare il team di
tecnici e restauratori che ha già lavorato al restauro del Satiro Danzante di Mazara del
Vallo, onde notare eventuali possibili analogie della dinamica e contesto post-
deposizionale e di ritrovamenti; tecnici ed esperti dell’Opificio delle Pietre Dure di Firen-
ze; tecnici ed esperti del Consiglio Nazionale delle Ricerche; tecnici ed esperti del Mini-
stero per i Beni e le Attività Culturali; docenti universitari esperti di scultura e storia
dell’arte antica; docenti universitari esperti di metallurgia antica; docenti universitari
esperti di archeologia subacquea. Nell’ambito di queste categorie l’Osservatorio Interna-
zionale Archeomafie nella nota in questione segnalava anche, a titolo puramente indicati-
vo, alcuni nominativi di tecnici e studiosi italiani di chiara fama e di livello internazionale,
seguiti da una breve nota biografica: Paola Donati, Louis Godart, Salvatore Settis, Paolo
Moreno, Claudio Giardino, Maurizio Marabelli, Sebastiano Tusa, Claudio Mocchegiani
Carpano.

49
Abstract

Tsao Cevoli, Ipotesi sulla provenienza dell’Apollo Sau-


roctonos esposto presso il Museo d’Arte di Cleveland
(USA).

Il 22 giugno 2004 il Cleveland Museum of Art annun-


ciava l’acquisto dalla galleria d’arte Phoenix Ancient Art
S.A. di una statua di bronzo che potrebbe essere
l’originale Apollo Sauroctonos realizzato da Prassitele
nel IV sec. a.C.
La versione ufficiale sulla provenienza dell’opera, ba-
sata su analisi condotte dai tecnici dello stesso museo,
sostiene che la statua è stata scavata forse più di 100 an-
ni fa ed è possibile anche fino a 500 anni fa e si trovava
in un giardino privato nella Germania orientale da molto
prima della Seconda Guerra Mondiale. Tale versione dei
fatti, che renderebbe legittimo il possesso dell’opera da
parte del museo americano, contiene una serie di incon-
gruenze e punti oscuri, e risulta complessivamente poco
attendibile. Inoltre i proprietari della Phoenix Ancient
Art S.A. che ha venduto l’opera al Cleveland Museum of
Art risultano già condannati in passato in Egitto e negli
Stati Uniti per reati legati ai loro traffici internazionali di
antichità.
La frettolosa rimozione da parte dai tecnici del Museo
d’Arte di Cleveland di patina e residui presenti sulla su-
perficie e all’interno della statua ha forse compromesso
ogni possibilità di reperire prove dirette sulla reale pro-
venienza dell’opera. Dai dati archeologici e dalle fonti
letterarie possiamo, tuttavia, ricavare alcune informazio-
ni utili a far luce sulla questione.
Attraverso le testimonianze di Plinio il Vecchio, Quin-
to Orazio Flacco e M. Valerio Marziale e di altri autori
successivi, come Paolo Diacono e Procopio di Cesarea,

50
si avanza l’ipotesi che all’epoca di Ottaviano Augusto la
statua si trovasse a Roma, presso il Tempio di Apollo o la
casa di Augusto sul Palatino, che sia stata portata via da
Roma o nel 410 d.C. durante l’invasione di Alarico o nel
455 d.C. durante l’invasione di Genserico. In entrambi i
casi le fonti riportano che le navi che dovevano portare il
bottino verso Cartagine fecero naufragio.
Si ricorda, a tal proposito, che nel Canale di Sicilia,
nel 1997, 1998 e 1999 furono pescati diversi frammenti
di un Satiro Danzante e di altre statue. Si avanza, dun-
que, l’ipotesi che l’Apollo Sauroctonos possa in realtà
provenire dalle acque italiane, forse dallo stesso contesto
delle altre statue citate.
Si critica, di conseguenza, l’accordo sottoscritto dal
Ministero per i Beni e le Attività Culturali nel novembre
2008 con il Cleveland Museum of Art, che prevede la re-
stituzione all’Italia di 14 reperti archeologici in cambio
di una collaborazione e del prestito di altre opere da par-
te dell’Italia. L’accordo sembra, infatti, trascurare del
tutto il caso dell’Apollo Sauroctonos, benché già segna-
lato sin dal 2004 dall’Osservatorio Internazionale Ar-
cheomafie alle autorità italiane. Gli accordi firmati negli
ultimi anni dall’Italia con i musei stranieri, finiscono, in-
fatti, paradossalmente per avvantaggiare quei musei che
adottano pratiche eticamente scorrette, che a loro volta
alimentano scavi clandestini e traffici illecito di antichi-
tà, rispetto ai musei che optano per una corretta deonto-
logia degli acquisti.
Si riporta, in conclusione, la proposta già avanzata
dall’Osservatorio Internazionale Archeomafie nel 2005
di istituire una Commissione di esperti italiani e chiedere
al Museo di Cleveland di consentirne l’accesso alla sta-
tua per effettuare esami ed analisi di laboratorio finaliz-
zate ad appurarne la reale provenienza.

51
Fig.1-2 (in alto): statua di bronzo a grandezza naturale di provenienza sconosciuta, acquisita
dal Cleveland Museum of Art nel 2004 o negli anni precedenti presso la galleria d’arte
Phoenix Ancient Art S.A., probabile originale greco dell’Apollo Sauroktonos di Prassitele,
già noto da successive copie di età romana. Metà IV sec. a.C., Cleveland Museum of Art. Le
immagini si riferiscono alla statua dopo l’accurata ripulitura eseguita dai restauratori (foto
dal Comunicato Stampa del Cleveland Museum of Art. Fig.3 (in basso): la statua
nell’esposizione attuale al Cleveland Museum of Art.

52
Fig.4 (a sinistra): Copia romana in marmo del I sec. d.C. dell'Apollo Sauroctonos di Prassitele, Parigi,
Museo del Louvre. Fig.5 (in alto a destra): Saccheggio di Roma di Gianserico e dei Visigoti nel 455
(Heinrich Leutemann). Fig.6 (in basso a destra): il seppellimento di Alarico nell’alveo del fiume
Busento (Heinrich Leutemann).

53
Fig.7 (in alto a sinistra): Ernst Ulrich Walter, il collezionista tedesco, che secondo la versione
ufficiale dei fatti dopo l’unificazione della Germania avrebbe reclamato la proprietà dell'Apollo
Sauroctonos per poi cederla alla Phoenix Ancient Art S.A. da cui l’avrebbe acquistata il Museo di
Cleveland. Fig. 8 (in alto a destra): I fratelli Alì ed Hicham Aboutaam, responsabili della Phoenix
Ancient Art S.A., la società che ha venduto al Cleveland Museum of. Art l’Apollo Sauroctonos,
condannati rispettivamente in Egitto e negli Stati Uniti per reati connessi ai loro traffici di
antichità. Fig.9 (in basso a sinistra): la sede di Ginevra della Phoenix Ancient Art S.A. Fig.10 (in
basso a destra): la sede di New York della Phoenix Ancient Art S.A.

54
Flavio Castaldo

Nola deleta. Un’antica città scomparsa

Partendo da Napoli, dopo circa 30 km sulla SS90, la


Nazionale delle Puglie, si giunge nel territorio di Nola.
La strada statale, una volta strada regia, l’asse di colle-
gamento più importante tra Campania e Puglia, è costeg-
giata da un’ininterrotta serie di edifici tanto che il viag-
giatore non avverte la distinzione tra una città e l’altra.
Giunti a Nola si può scorgere, nei pressi di un enorme
parcheggio, un antico palazzo in ristrutturazione, la Ca-
serma Borbonica, uno stadio parzialmente demolito e un
edificio in costruzione. Questa distesa di cemento e rifiuti
è Piazza d’Armi, lo spazio antistante l’ingresso al centro
storico di Nola. Difficile crederlo ma meno di cento anni
il territorio sarebbe apparso molto diverso. Nola era al
centro di una delle aree più fertili della Campania e per-
correndo la stessa strada, un tempo costeggiata da terreno
agricolo coltivato a cereali ed ortaggi, avremmo visto
emergere la città con la piazza e la caserma ancora fun-
zionanti e le poderose mura di fortificazione, dotate di un
profondo fossato dove era canalizzata l’acqua del Clanis,
usata per la lavorazione della canapa.
Le mura di cinta, di età aragonese, potenziate nel XVI
secolo circondavano l’intero centro storico. Tale era
l’imporanza strategico militare della città che in età vice-
reale Nola si dotò nei pressi della porta nord anche di una
fortezza antistante la città, della quale restano monumen-

55
tali tracce sotto lo stadio in demolizione. A sud invece un
piccolo corpo di guardia proteggeva l’altro accesso alla
città63. Nola doveva essere inespugnabile poiché era
l’ultimo baluardo di difesa prima della capitale per qua-
lunque esercito decidesse di invadere il regno provenendo
dalle Puglie: il percorso compiuto dagli spagnoli di Carlo
V.
La fortezza vicereale probabilmente mai completata, in
abbandono, fu abbattuta per realizzare la piazza d’Armi
alla fine del XVIII secolo. L’intero circuito murario fu
demolito invece nel corso di una massiccia ristrutturazio-
ne urbana tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo,
per un’idea di modernismo che coinvolse tutta l’Italia
meridionale e che voleva cancellare qualunque traccia
delle antiche città medievali in particolare nel sud borbo-
nico. Quella stessa aria di rinnovamento portò a Napoli i
grandi lavori del “Risanamento”. I monumentali resti del-
la porta sud di Nola giacciono oggi nascosti sotto la villa
comunale, analogamente a quanto accaddeva a Napoli,
dove la mura aragonesi furono in parte demolite e poi
obliterate per realizzare Piazza Municipio e il Molo Be-
verello64.
Non migliore sorte ebbero le “antichità”. Ad ovest
l’ultimo tratto delle mura di fortificazione databile nel II
sec. a.C. e realizzato poco prima o durante la guerra so-
ciale, fu in parte distrutto per far spazio al cemento del
macello, costruito negli anni del boom industriale nono-
stante la vigente 1089 del 1939. Altri impianti ed edifici
privati moderni obliterarono e danneggiarono l’anfiteatro

63
La fortezza vicereale, probabilmente incompiuta, fu abbattuta alla fine del XVIII secolo
per realizzare la caserma borbonica e Piazza d’Armi. Se ne erano perse le traccia nono-
stante i molti lavori di manutenzione urbane eseguiti dal dopoguerra ad oggi che avevano
intercettato e danneggiato ulteriormente il monumento. In merito alle indagini si veda M.
Nava, Relazione degli scavi delle Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta, in
Atti del 46°Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 2006.
64
Per la ricostruzione della Nola Medievale L. Avella, fototeca nolana, edito a Nola.

56
ben conosciuto poiché nel cinquecento fu usato come ca-
va per la realizzazione della Reggia Orsini, costruita nei
pressi di Porta Napoli. Per portare alla luce l’“Anfiteatro
marmoreo”, è in corso una grande campagna di scavo
ostacolata dalla penuria di fondi e dalla presenza di edifi-
ci di costruzione recente65 (fig.3). Ben poco sappiamo
della restante parte dell’abitato antico interamente nasco-
sto dalla città attuale anche se la ricerca storica di Nola ha
radici antichissime; basti pensare che il primo tentativo di
tracciare il perimetro urbano della città romana fu di un
autore rinascimentale, Ambrogio Leone66. Il suo studio
segnala resti archeologici oggi non più visibili trai quali
«[…] Alcuni resti dei due anfiteatri, tombe, alcuni pavi-
menti di templi, fondamenta di molti edifici anche coperti
di terra»67. Confrontando le tracce della città antica se-
gnalati dal Leone con una carta topografica attuale ci si
rende conto di come molte aree archeologiche siano state
urbanizzate in età contemporanea.

Una delle più gravi perdite per Nola sono state le ne-
cropoli antiche. La costruzione, priva di controllo, di
nuovi quartieri residenziali è avvenuta inglobando la
campagna al di fuori del perimetro della città rinascimen-
tale con la conseguente scomparsa (e il saccheggio?) di
estese aree destinate dalla fine dell’VIII secolo a.C. a ne-
cropoli. Per capire le ricchezze perse bisogna andare ai
primordi dell’archeologia moderna. Le necropoli di Nola
di età arcaica e classica resero la città uno dei siti archeo-
logici più conosciuti dell’Italia Meridionale, tanto che fu

65
C. Albore Livadie - G. Mastrolorenzo - G. Vecchio, Eruzioni Pliniane del Somma –
Vesuvio e siti archeologici dell’area nolana, in P.G. Guzzo e R. Peroni (a cura di), Ar-
cheologia e Vulcanologia in Campania, Atti del Convegno Pompei, 21 dicembre 1996,
Napoli 1998, pp. 39 –86, pp. 79-80.
66
Per informazioni più dettagliate l’ottima edizione del de Nola a cura di Andrea Ruggero,
Ambrogio Leone, De Nola , Venezia 1514, Marigliano 1997 pp.7 e ss.
67
Nola, op. cit., 1997 p. 171.

57
per molto tempo tappa obbligata per il grand tour dei no-
bili di tutta Europa che giunsero a Nola per avere
l’occasione di acquistare o di scoprire antichità68. Gli stu-
di effettuati su Nola e le sue necropoli hanno condiziona-
to lo sviluppo della scienza archeologica moderna. Non si
andrà lontano dal vero nel dire che molto di quanto cono-
sciuto sulla ceramografia antica nasceva dalle diatribe tra
collezionisti, antiquari e intellettuali europei su Nola. La
ricchezza dei materiali trovati fece intendere che vi fosse-
ro in antico le più importanti “fabbriche” di vasi figurati
“Greci”. Grazie a questi studiosi e appassionati oggi si sa
molto di più sulle fabbriche ceramiche antiche della Gre-
cia e d’Italia. L’importanza degli studi di archeologia cre-
sceva in concomitanza con la moda di collezionare vasi
antichi figurati, in particolare da Nola.69 Per rintracciare
le prime informazioni sulle necropoli di Nola si devono
consultare le corrispondenze epistolari e gli appunti di
viaggio di esponenti della piccola nobiltà cittadina e di
noti personaggi che commissionavano o eseguivano di-
rettamente scavi70. L’elenco è infinito. Ne possiamo ri-
cordare alcuni. Domenico Mastrilli, il primo grande col-
lezionista nolano appartenente alla classe di notabili, per
meglio affermare l’importanza della sua collezione e di
conseguenza di se stesso si trasferì con l’intera collezione
a Napoli contribuendo nel XVIII secolo alla notorietà di
Nola, anche con la sua fitta corrispondenza con numerosi

68
S. Napolitano(a cura di), Scambi e cofronti sui modi dell’arte e della cultura
tra Italia e Polonia. Esperienze significative ed occasioni per riflettere. Atti del
Convegno internazionale di studi Varsavia, Istituto italiano di Cultura 5 marzo
2010, Nola Chiesa dei SS. Apostoli, 24,25 giugno 2010, Nola 2010.
69
C. L. Lyons, Il museo “nolano” di Felice Mastrilli e la cultura del collezioni-
smo a Napoli, in T. Toscano (a cura di), dal secolo XVIII al secolo XIX, Mo-
menti di storia culturale e artistica, Atti di Formazione per docenti in Servizio
“Didattica e Territorio” 1996, Ager Nolanus 1998.
70
“In questi territori arrichiti si sono a meraviglia i più celebri musei
d’Europa,(…)”, G. Remondini, Della Nolana Ecclesiastica Storia, Tomi I-III,
Napoli 1747/1757 , p. 15.

58
intellettuali europei71. Gianstefano Remondini, intellet-
tuale a soldo del vescovo Caracciolo del Sole, autore nel
XVIII secolo di un’altra opera dedicata a Nola, intrisa
della temperie culturale illuminista, scrisse quanto ritenne
opportuno dei continui ritrovamenti di tombe antiche a
Nola in un capitolo intitolato “Cimiterio Nolano”72. Pre-
senziò a scavi condotti nell’area nord, nei pressi di quella
che sarà Piazza d’Armi73 e in Località “Torricelle”, ad
ovest del centro urbano74.
Uno dei più famosi collezionisti di antichità “greche”,
o come si riteneva allora “nolane” è l’ambasciatore ingle-
se Lord William Hamilton che divise i suoi interessi tra la
vulcanologia e le antichità. Fu uno dei convinti assertori
del rapporto stretto tra archeologia e stratigrafia.75 Nei
molti anni di permanenza a Napoli fu testimone di recu-
peri in Campania, dei quali inviava periodicamente rap-

71
S. Napolitano , L’antiquaria settecentesca tra Napoli e Firenze. Felice Maria Mastrilli e
Ginstefano Remondini, Firenze 2005, pp. 78 e ss.; G. Greco – F. Castaldo – R. Ciardiello,
La ceramica attica della Campania settentrionale: problemi di documentazione, in Atti del
Convegno internazionale di Studi della Magna Grecia, Taranto 2007, pp. 461-506.
72
Remondini, op. cit., 1747/1757.
73
“(…) tal’era ancora in Nola presso alle mura, e principalmente nel prossimo campo dalla
parte di settentrione –il luogo che ora è chiamato Piazza d’Armi – nel quale n’è stato da
cavato un gran tratto in quest’anno medesimo.” (Remondini, op.cit. 1747/1757).
74
A. Castorina, “Copia grande di antichi sepolcri”. Sugli scavi delle necropoli in Italia
Meridionale tra Settecento e inizio Ottocento, in RIASA serie III, anno XIX-XX, 1996-
1997, Roma 1998 pp. 305- 344, p. 312-313.
75
Castorina, op. cit., 1998 p. 309; A. Schnapp, La conquête du passé. Aux origines de
l’archéologie, Paris 1993.
“I have been present at the opening of many of those ancient sepulchres, in wich, and no
where else, such vases are found, both in the neighbourhood of Capua, at Nola, in differ-
ent parts of Puglia, and in Sicily. I have costantly observed that those sepulchres were
placed near, and without the walls of the town: under ground and at no great depth from
the surface, except at Nola, where the volcanic matter issued from the neighbouring moun-
tain of Vesuvius, seems to have added much to the surface of the soil since those sepul-
chres were made; so that so that some of the sepulchres, wich I saw opened there, were six
and twenty palms beneath the present surface of the earth. The most ordinary sepulchres
are constucted of rude stones or tiles, and are of a dimension just sufficient to contain the
body, and five, or six vases, a small one near the head, and the others between the legs,
and on each side, but oftener on the right side, than on the left” da I. Jenkis and K. Sloan,
Vases e Volcanoes, Sir William Hamilton and his Collection, London 1996, p. 144, scheda
26.

59
porti alla Society of Antiquaries 76. Uno di questi riguar-
dava il rinvenimento in Campo Felice a Nola, nei pressi
del comune di Cimitile 77, di una tomba a cassa con lastre
di tufo dipinte che per la somiglianza con le più famose
tombe di Paestum è stata fino in tempi recenti ritenuta di
altra provenienza.78
I fratelli Pietro e Nicola Vivenzio formarono un’altra
grande collezione con oggetti provenienti dalle necropoli
di Nola. Pietro, autore di un’opera monografica “Sepolcri
Nolani”79, descrisse in un modo piuttosto accurato per
l’epoca le necropoli e i materiali da esse rinvenuti. Tentò
anch’egli, in modo più accurata di quanto riportò Hamil-
ton, di raccordare la tipologia funeraria con la stratigrafia
mostrando come i concetti di stratigrafia archeologica fu-
rono recepiti e applicati già alla fine del XVIII secolo da
molti esponenti della cultura nel Meridione d’Italia80.
Nella necropoli a nord di Nola Pietro rinvenne la famosa
“Hydria Vivenzio”81.
Una figura di spicco tra coloro che collezionarono e
commerciarono ceramiche antiche provenienti da Nola fu
il duca de Blacas, ambasciatore francese nel Regno di

76
I.D. Jenkins, Nuovi documenti per l’origine della Tomba “da Paestum” della Collezione
Carafa di Noja, in AA.VV., La Magna Grecia nelle collezioni del Museo Archeologico di
Napoli, Napoli 1996pp. 249 e ss.
77
Si veda C. Ebanista, Dinamiche insediative nel territorio di Cimitile tra tarda antichità e
Medioevo, in H. Brandeburg – L. Ermini Pani (a cura di), Cimitile e Paolino di Nola, La
tomba di S. Felice e il centro di Pellegrinaggio, trent’anni di ricerche, Atti della Giornata
tematica dei Seminari di Archeologia Cristiana, Eçole Française de Roma, 9 marzo 200,
Città del Vaticano 2003.
78
Jenkins, op. cit., 1996, p. 251. La tomba a camera fu rinvenuta, dal principe di Cimitile,
nelle sue terre. L’ambasciatore inglese afferma che “most choice of my collection of vases
now in the British Museum were found in anciet sepulchres at Nola within a mile of the
spot where these paintings were discovered”.
79
P. Vivenzio, Sépulcres de Nole ou Examen de diverses epoques de peindre les vases
d’argile chez les Egyptiens et les Grecs, 1806 (Bibl. Naz. Napoli, Sez. Manoscritti XII G
73-74). L’opera di Vivenzio è in parte edita in G. Raiola ( a cura di), Di un manoscritto
inedito di Pietro Vivenzio, Nola 2003, mentre le tavole commissionate da Vivenzio per il
suo studio sono in G. Patroni G., Vasi dipinti del Museo Vivenzio, Roma - Napoli 1900.
80
Schnapp, op. cit., 1993, pp. 245 e ss.
81
F. Castaldo, La sepoltura dell’Hydria Vivenzio, in Annali dell’Istituto Orientale di Na-
poli, vol. 13-14, 2006/2007 pp. 173-184.

60
Napoli che indagò nei pressi del “Campo”, ossia l’area
della necropoli nord, a partire dal 1825. Risale al 1839 il
rinvenimento della “Blacas Tomb”, una sepoltura con un
corredo ricchissimo datibile alla fine del V sec. a.C. 82.
Dopo i primi anni del XIX secolo cominciò un saccheg-
gio sistematico mai realmente terminato e si persersero
innumerevoli informazioni su Nola antica. Furono sem-
pre di meno gli intellettuali che affiancavano alle scoper-
te resoconti di scavo. Il ritrovamento era finalizzato solo
al recupero di beni archeologici da vendere in Europa o
fuori dai suoi confini.
I comandanti del contingente svizzero a soldo dei
Borbone recuperarono oggetti antichi che ad oggi sono il
nucleo principale delle collezioni ceramiche del Museo di
Berna83.
Altri scavatori e commercianti furono Raffaele Gar-
giulo, restauratore del Real Museo Borbonico, noto come
restauratore e falsario84, o illustri sconosciuti come Dona-
ta Pesce e suo marito, il sig. Cesarano, che rinvennero
numerose sepolture nelle loro proprietà a ridosso dalla
strada verso Cimitile, a nord di P.zza d’Armi, probabil-
mente arricchendosi nel commercio di beni antichi. I re-
soconti scritti dai sovrastanti (ossia i controllori degli
scavi nel Regno delle due sicilie) erano un elenco infinito

82
P.E. Corbett, The Burgon and Blacas Tombs, in AJA 1960 pp. 52-60, pl.I-IV. Per ulterio-
ri notizie su Blacas e altri collezionisti: M. R. Borriello, Il collezionismo minore: dallo ai
“negozianti di anticaglie”, in AA. VV., I Greci in Occidente. La Magna Grecia nelle Col-
lezioni del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Napoli 1996 pp. 223-232.
83
A. Lezzi – Hafter, C. Isler – Kerényi, R. Donceel, Antike Welt, 11 Jahrgang, 1980
84
“In Nola per esempio si trovano sepolcri formati di grandi e lunghi macigni di pietra
detta tufo, coverti con altre simili pietre poste piramidalmente ed orizzontalmente, e qual-
che volta con dipinture al di dentro. Altri se ne incontrano appena della lunghezza e lar-
ghezza del cadavere, sia grande o piccolo che vi era stato riposto, o formati di grandi e
lunghi mattoni di argilla cotta; altri ancora ma di raro, quasi come un sotterraneo a forma
di stanza coverta, con una volta tutta costrutta di materiale, e con qualche dipintura intorno
le pareti: infine si trovano ben’anche i cadaveri nella semplice terra sepolti, ed in ogni
sepolcro si sono rinvenuti de’vasi in maggiore o minore numero, e qualche volta niuno
senza una regola costante”, da R. Gargiulo, Cenni sulla maniera di rinvenire i vasi fittili
italo-greci, sulla loro costruzione, sulle loro fabbriche più distinte, e sulla progressione e
decadimento dell’arte vasaria, Napoli 1843 pp. 10 e ss.

61
di vasi non identificabili con certezza a causa
dell’incompetenza o spesso della complicità degli stessi
85
.
Nel 1829, dagli scavi di un certo sig. Cucuzza, si rin-
venne “une immense quantité de vases brulés, appellés
Salicerni”86. Nelle sue proprietà era un lotto di necropoli
di età arcaica come è possibile desumere dal rinvenimen-
to di un’ “hydrie Corinthienne” (un’anfora a figure nere
di età arcaica difficile dire se corinzia o attica) insieme a
“un cyathus et quelque vases de bronze”87 e un’anfora
nolana (dunque attica a figure rosse) con raffigurazione
di Amazzoni88.
Nel 1842 Schultz riporta un elenco di vasi rinvenuti a
Nola, privo della specifica sia del luogo di provenienza
che del contesto di rinvenimento89.
Nel 1851 si comunica la scoperta dell’ “hydria di
Euthydimes” con evidenti tracce di bruciatura, acquistata
dal dott. Schmitt e passata al museo di Bonn90.
Nel 1866 è scoperta la kylix del P. di Lysippides91, una
coppa con un diametro di oltre cinquanta centimetri.

85
M. Ruggero, Degli scavi di Antichità nelle Province di Terraferma dell’antico regno di
Napoli dal 1743 al 1876; Napoli 1888
86
T. Panofka, Fouilles de Nola, in Bullettino dell’Instituto di Corrispondenza Archeologi-
ca 1829 pp. 18-21.
87
L. Faucher, Cérès et Triptoléme, in Annali dell’ Instituto di Corrispondenza Archeologi-
ca 1829 pp.261-264.
88
A. Kluegmann, Vasi di bello stile con amazzoni combattenti a piedi, in Annali dell’ Insti-
tuto di Corrispondenza Archeologica 1874 pp. 205-215; il vaso è identificabile con
l’anfora pubblicata sugli Atti del Convegno di Studi sulla Magna Grecia anno 1980, rela-
zione sulla Campania, fig. 58.a.
89
E. G. Schulz, Scavi di Nola, in Bullettino dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica
1842 pp. 13-15.
90
Il rinvenimento è riportato in Greco - Castaldo – Ciardiello, op. cit., 2007
91
“ (…) 9. Tazza a figure nere di provenienza nolana, la quale è di singolar importanza
tanto per la rara perfezione dei disegni, quanto per la straordinaria grandezza, che nel dia-
metro ascende a m. 0.54 senza far conto dei manichi. Essa fu disgraziatamente ritrovata
rotta in molti pezzi e ne mancano parecchi; quei conservati però bastarono a ricomporre il
vaso nella maggior parte dei suoi quadri, ed è degno di essere rilevato che si rinvenissero
sovra carboni. (…)”. Schöne, op. cit., 1866 p. 217 Nello stesso articolo si parla di un ma-
noscritto donato dal Castellani all’Instituto Germanico riguardante le antichità del Cardi-
nale Luigi Lambruschini acquistati, con il medesimo manoscritto, dallo stesso Castellani”.
Per ulteriori informazioni si veda Greco - Castaldo – Ciardiello, op. cit., 2007.

62
Nel 1894 il sig. Iannelli, soprastante, ha documentato
il rinvenimento, per la costruzione di un palazzo, in un
luogo non precisato, di “diversi vasellami non disprege-
voli”, costituiti da alcuni figurati, altri in bucchero e alcu-
ni oggetti in bronzo tra cui “fibule, spille, bracciali, fasce
metalliche” a cui ha aggiunto un tegolone con alcune let-
tere incise in osco92.
Sono segnalati nel 1896 e nel 1903 ritrovamenti del
De Petra di sepolture, nel terreno del sig. Vanorio, in via
Principessa Margherita. Il luogo probabilmente coincide
con la via attuale, uno degli assi che dal centro storico di
Nola conduce fino alla nota località di P.zza d’Armi.
Sembra che si tratti di un sepolcreto che copre un ampio
arco cronologico, con tombe disposte nel terreno a diver-
sa profondità93.
L’unica regolare campagna di scavo ad oggi pubblica-
ta, è stata effettuata in proprietà Ronga nel 1937, presso
l’attuale stazione della Circumvesuviana. L’indagine fu
promossa dal Soprintendente Maiuri dopo il rinvenimen-
to, durante lavori edilizi, di una sepoltura a cassa di tufo.
Lo scavo, svoltosi in due tempi (dal 15 al 21 novembre
1937 e dal 6 dicembre al 4 marzo 1938) fu coordinato
dall’assistente Nicola Testa che trascrisse un diario di
scavo molto accurato94. Le notizie di scavo corredate di
piante e sezioni sufficientemente dettagliate, hanno con-
sentito il parziale recupero dei corredi e una ricostruzione
delle fasi dello scavo. La necropoli in proprietà Ronga
resta una pietra miliare per la comprensione delle necro-
poli nolane.
Altri rinvenimenti furono del 1940 a Campo Stella,
circa 1 km e mezzo da Nola, dove furono tirate fuori due

92
AA. VV., Ultimi scavamenti in Nola, pp. 24-33, in Notizie Scavi, anno XXVII, 1896 p.
25.
93
Nola, op. cit. 1896 pp.32-33; Patroni, Nola. Scoperte di antichità, in Notizie Scavi 1900
pp. 106-110.
94
M. Bonghi Jovino – R. Donceel, La necropoli di Nola Preromana, Napoli 1969.

63
tombe di età ellenistica. Erano a fossa e con pareti rinfor-
zate con quattro lastroni di tufo, databili tra la fine del IV
e la prima metà del III sec. a.C. La necropoli, sita nei
pressi di S. Paolo Belsito è pertinente ad un piccolo vil-
laggio nei dintorni di Nola, sulla stada in direzione di
Lauro95.
Un’indagine archeologica è stata condotta nel 1984
presso l’odierna via S. Massimo recuperando in circa 3
mesi di lavoro 120 tombe, di cui 64 con corredo intatto
mentre altre 56 prive di corredo o già violate in antico. I
materiali recuperati sono databili tra il VII e il IV sec.
a.C.96
Le ultimi indagini sono del 1998 presso località Torri-
celle. Non è stato reso noto il numero delle tombe indivi-
duate mentre la datazione dei materiali va dal VII sec.
a.C. fino al V-VI d.C.97

Le sepolture della città antica documentavano la storia


di un centro urbano florido fondato intorno alla fine
dell’VIII sec. a.C. con una continuità di vita che che
giungeva all’età tardoantica.98 Le necropoli di Nola sono
in gran parte sconosciute: tranne lo scorcio di luce degli
scavi Testa, nulla è stato mai accuratamente pubblicato
dei numerosi rinvenimenti, a partire dalla collezione Vi-
venzio, ancora inedita nonostante sia parte del Museo Ar-
cheologico Nazionale di Napoli dal lontano 1816, per
giungere agli ultimi scavi effettuati nella necropoli di
Torricelle del 1998.
Tutte le fonti elencate e le poche ricerche archeologi-
che recenti danno una vaga idea di quanto è stato perso

95
G. Carrettoni, S. Paolo Belsito (Nola) -Tombe in Località Campostella, in Notizie Scavi
1941 vol. XIX, pp. 85-92.
96
V. Sampaolo (a cura di), Nola preromana, dalle necropoli di Piazza d’armi – Ronga – S.
Massimo, Nola 12/23 dicembre 1985.
97
Albore Livadie - Mastrolorenzo- Vecchio 1998, op. cit., pp. 79-8.
98
Ebanista, op. cit., 2003.

64
dall’esplosione edilizia dal dopoguerra ad oggi. L’area
delle necropoli era vastissima: si sviluppava in direzione
ovest, forse a congiungersi con i rinvenimenti del territo-
rio delle “Torricelle”, due tombe di età romana imperia-
le, di dimensioni monumentali, alla luce almeno a partire
dal XVI secolo99. In direzione nord ed est, a partire dalla
porta settentrionale, la cinquecentesca Porta Samuele,
sembra ci siano stati il maggior numero di ritrovamenti,
nei pressi dell’attuale P.zza d’Armi e alle spalle di essa in
via Regina Margherita, e verso nord in direzione di Cimi-
tile. L’estensione delle necropoli è tale che la città nei
versanti nord e ovest ne era circondata100. L’attuale co-
mune di Cimitile è stato fondato intorno al Cimiterium
sub divis di S. Felice e S. Paolino, in precedenza era luo-
go di un cimiterium di età imperiale lontano dal centro
antico databile a partire dal II sec. d.C.101. È probabile,
però, che la medesima area funzionasse come necropoli
extraurbana almeno dal IV sec. a.C., per il rinvenimento
della tomba dipinta scoperta e acquistata da Lord Hamil-
ton102.
La concentrazione di sepolture su di un asse stradale che
si allontana dalla città in direzione est-ovest103, dimostra
come questa strada esistesse almeno a partire dall’età ar-
caica probabilmente per congiungere il centro urbano an-
tico ad un punto nevralgico. Non è un caso che una ne-
cropoli lontana dalle mura è nei pressi di un santuario ex-
traurbano probabilmente dedicato ad Eracle104. Cimitile è
un luogo di passaggio privilegiato nell’agro nolano poi-
ché sita all’incrocio tra il decumano massimo di Abella e

99
Leone, op. cit., 1514.
100
E. La Rocca – Angelillo, Nola dalle origini al medioevo, Nola 1971.
101
Ebanista, op. cit. 2003, pp. 44-45.
102
Per ulteriori informazioni sulle sepolture dipinte campane R. Benassai , La pittura dei
Campani e dei Sanniti, Roma 2001.
103
E. Pozzi, Nola (Napoli), in Studi Etruschi 1991 vol LVI, pp. 628-629; Nola, op. cit.,
1985; Bonghi Jovino - Donceel, op. cit., 1969.
104
Ebanista , op. cit.,2003 pp. 44-45.

65
il cardo massimo di Nola. Può essere suggestivo spingersi
a pensare che questo santuario di confine posto tra le due
arterie sia identificabile con il tempio descritto dal Cip-
pus Abellanum. Quanto accade per Cimitile è confronta-
bile con Capua (attuale comune di S.Maria Capua Vete-
re) dove alcune necropoli extraurbane sono lungo le stra-
de che portavano al tempio di Diana Tifatina, di cui si
possono ammirare le vestigia, e in direzione del santuario
di Fondo Patturelli105.
A Nola in età classica fuori la città antica si alternavano
zone con concentrazione di sepolture tra vasti spazi vuoti,
così come accertato nelle necropoli di via S.Massimo, di
P.za d’Armi e dagli scavi Cesarano-Pesce e Viven-
zio,limite nord della necropoli urbana106. I lotti di sepol-
ture erano divisi l’uno dall’altro da aree vuote poiché de-
stinati a gentes o tribù differenti,e all’interno di essi non
si esclude che vigeva un ulteriore divisione per lotti fami-
liari107.
In località Torricelle108 anche se il nucleo di sepolture
più numeroso è databile tra la fine del VII e gli inizi del
VI sec. a.C., è attestata una continuazione di uso dal VII
sec. a.C. fino alla fine del V sec. d.C. Nei pressi della ne-
cropoli è ubicabile l’asse viario che collegava, almeno a
partire dal IV sec. a.C., Nola con Napoli, via di espansio-
ne della città. I Nolani che difendevano Neapolis
dall’assedio di Roma109, sconfitti tornarono per questa
medesima strada110. Nell’area di scavo è stata individuata

105
F. Castaldo, la sepoltura del Lebete barone e le necropoli di Capua antica, in Atti del
Convegno di Studi Etruschi 2007, ( in corso di stampa).
106
Ruggero, op. cit., 1888; Bonghi Jovino - Donceel, op. cit., 1969.
107
M. Cesarano, Nola: segni di differenziazione sociale in alcuni corredi di età orientaliz-
zante da un centro della mesogeia campana, in Italia Antiqua. La formazione della città in
Etruria, Atti del I corso di perfezionamento, Roma 2004.
108
Albore Livadie - Mastrolorenzo- Vecchio, op. cit. 1998,
109
“Nolani per aversam partem urbis via Nolam ferente effugiunt” (Liv. VIII, 26, 4)
110
F. Castaldo, Le necropoli campane tra VI e V sec. a.C., tesi di dottorato discussa nel
2006, edita nella Biblioteca on line della Federico II di Napoli.

66
anche una strada di età romana probabilmente pertinente
ad una delle centuriazioni dell’agro nolano111.
In analogia con la città antica è la rinascimentale Porta
Napoli, che immetteva il viaggiatore lungo la strada regia
che conduce fino alla capitale del regno come è riportato
da Leone: “Extra autem amphitheatrum latericium uia
ampla etiam nunc est, qua recta tenditur uersus occasum
uernum fertque Neapolim, quae antiquae urbis fuisse in-
dicatur, partim quia locus is uidetur semper appellatus
fuisse Porta et sacellum quoddam quod illi adiacet uoca-
tum est sanctus Petrus ad portam, partim quia eidem uiae
haerent tumuli quidam antiquissimi idque e regione illius
sacelli”112, confermando una continuità tra Nola antica e
cinquecentesca già attestata nella zona nord.
Altri lotti di necropoli sono stati rinvenuti, a sud-ovest
della città distanti dal centro antico, in direzione di Lauro,
nei pressi del passaggio che si immette verso l’interno e
verso il salernitano: a Casamarciano113 e a S. Paolo Belsi-
to114. I rinvenimenti sporadici di sepolture lontano dal
centro urbano sono databili non prima della metà del IV
sec. a.C., dimostrando una diffusa occupazione del terri-
torio per pagi nel corso del IV sec. a.C., come è possibile
riscontrare anche in altre località campane, in particolare
nel napoletano115.

Le tombe più diffuse tra l’età arcaica e classica sono a


fossa: nonostante la semplicità della struttura la tipologia
della sepoltura non è da mettere in relazione con la classe
sociale del defunto o con la ricchezza del corredo. Alcune
presentavano, a detta degli scavatori, ricchi corredi va-

111
Albore Livadie - Mastrolorenzo- Vecchio, op. cit., 1998 , pp. 79 – 82.
112
Leone, op. cit., 1514 p. 175.
113
S. De Caro, Una nuova tomba dipinta di Nola, in RIASA 1984 pp. 71-95.
114
Carettoni, op. cit., 1941,
115
G. d’Henry – D. Giampaola, le necropoli dell’entroterra, a cura di E. Pozzi, Napoli
antica, Napoli 1985 pp. 300-332

67
scolari, includenti anche ceramica di importazione116. Il
corredo era costituito solitamente da vasi per versare, in
prevalenza oinochoai, vasi per bere, kotylai etrusco co-
rinzie, coppe italogeometriche e tazze di impasto e suc-
cessivamente kylikes, contenitori di profumi quali bomby-
lioi e aryballoi o nel V sec. lekythoi: oggetti che evoca-
vano il rituale della cerimonia funebre, con l’atto della
libagione e la profumazione del corpo117.
“[...]Tra quelli, che ò trovati senz’urna, e senza co-
perchi di tegole, alcuni tenevan fra le gambe grandissime
urne fittili di volgar rossigna creta vacuenti al di dentro
[...]. Ma di un terzo ordine io mi diviso, che a credere
s’abbiano quelle vergini, e pure, e molto grandi urne, che
si rinvengono vuote o fra le gambe, od a’ fianchi de’ ca-
daveri [...]”118. Come descriveva Remondini, il grande
contenitore era un elemento ricorrente nelle tombe a fos-
sa nel corso del VI sec. a.C. L’uso di vasi di grandi di-
mensioni è confermato dalla tomba XVIII della necropoli
Ronga119, il cui corredo era composto da una fibula, uno
skyphos di impasto e un’olla stamnoide acroma120. La
presenza del grande contenitore poteva essere finalizzata
alla conservazione di derrate alimentari offerte al defunto
così come è avvenuto nel caso documentabile della sepol-
tura, anche se ad incinerazione, dell’Hydrìa Vivenzio121.
Ricchissima di oggetti è la tomba 115, databile nella
prima metà del V sec. a.C. Scoperta nella necropoli di via
S. Massimo: conteneva 11 oggetti, tra i quali sette vasi
attici. Il corredo era composto da due lekythoi attiche a
vernice nera, tre coppette attiche a vernice nera, un askos
attico, una kylix a figure rosse con scene di Amazzono-

116
Bonghi Jovino – Donceel, op. cit., 1969.
117
Cesarano, op. cit., 2004.
118
Remondini, op. cit., 1747/1757 tomo I p. 359-360
119
Bonghi – Jovino Donceel, op. cit., 1969 pp. 57-58, tav IX
120
Nola, op. cit., 1985; Bonghi Jovino – Donceel, op. cit., 1969.
121
Castaldo, op. cit., 2007

68
machia, una coppetta di bucchero, uno skyphos campano,
un’anfora di produzione campana e una coppa ionica.
Un’altra sepoltura a fossa era la Tomba dell’anfora del
P. di Achille, databile intorno alla metà del V sec. a.C.,
con un corredo costituito da una punta di lancia, non è
possibile sapere di che materiale, ed un vaso attico figu-
rato: un’anfora con la rappresentazione di un cavaliere e
sul lato B di una figura femminile122.
A Nola sembrano convivere l’idea di un corredo sem-
plice e sobrio e quella di una ricchezza di oggetti cerami-
ci e del loro contenuto. Molte tombe a fossa databili nel
corso del V sec. a.C., rinvenute dagli scavi di via S. Mas-
simo, contenevano per lo più vasi a vernice nera di pro-
duzione locale, oltre a pochi vasi di importazione attica,
tra i quali la forma più frequente è la lekythos123.
La scelta del vaso di importazione come unico conte-
nitore appare legata alla discrezionalità del singolo indi-
viduo e non sembra indicativa della ricchezza o dello sta-
tus sociale, come dimostrerebbe la Tomba 37, che ha re-
stituito solo vasi in bucchero, ma accanto ad essi anche
un lingotto d’oro, oggetto di grande valore economico124.
Le tombe XXVIIbis e XXVII degli scavi Testa, data-
bili intorno alla fine del VII sec. a.C., mostrano
l’esistenza di sepolture a fossa destinate ad infanti. Sono
indicative dell’età le dimensioni, ma non il corredo, che
appare simile alle sepolture di adulti.
Tombe ad incinerazione, a pozzetto, sono attestate in
diverse epoche. La tomba 66 della necropoli di “Torricel-
le” è a pozzetto, con un’olla utilizzata come cinerario, in-

122
(Londra, B.M. E 300). L’identificazione dell’anfora è stata possibile per l’accurata
descrizione del Panofka (T. Panofka, Fouilles de Nola, in Bullettino dell’Instituto di Corri-
spondenza Archeologica 1829 pp. 18-21).
123
Greco – Castaldo – Ciardiello, op. cit., 2003
124
Sepolture inedita esposta al Museo di Nola.

69
sieme ad oggetti di impasto e di bucchero posti accanto al
vaso125.
È databile nella seconda metà del VI sec. a.C. la
Tomba della kylix di Lysippides. Sembra che il corredo
fosse composto dalla sola monumentale kylix (53 cm di
diametro). Sul vaso erano raffigurate alcune imprese di
Eracle in lotta con Gerione e con le Amazzoni, scene
dionisiache sotto le anse, Dioniso con satiri e nel tondo
centrale Dioniso su mulo, e una partenza del guerriero
all’interno della vasca. La rarità dell’esemplare è palese,
poiché negli elenchi del Beazley sono presenti solo tre
vasi di forma e dimensioni simili attribuiti allo stesso pit-
tore126. Per un oggetto così originale è difficile parlare in
termini di mero valore economico, in particolare per l’età
arcaica127: in un sistema economico come quello della
Campania arcaica di area etrusca la presenza di questo
tipo di oggetti può essere frutto di uno scambio tra nobili,
ma potrebbe anche essere uno dei rari casi in cui è possi-
bile parlare di special commission128: la realizzazione di
un oggetto del genere, è difficile che sia stata avviata
senza una committenza diretta. Potrebbe essere dubbia
anche la cronologia della sepoltura, visto che un tale vaso
può essere stato conservato a lungo in casa prima di esse-
re deposto nella tomba. Un sepoltura simile, databile però
alla prima metà del V sec. a.C. è una tomba ad incinera-
zione con una lekane attica129. La lekane è l’unico ele-

125
Albore Livadie – Mastrolorenzo –Vecchio, op. cit., 1998 p. 81.
126
G. Greco – F. Castaldo – R. Ciardiello, Committenza e fruizione della ceramica attica
nella Campania settentrionale, in Panvini R. Giudice F. ( a cura di), Il greco, il Barbaro e
la ceramica attica. Immaginario del diverso, processi di scambio e autorappresentazione
degli indigeni. Atti del Convegno Internazionale di Studi 14-19 maggio 2001. Catania,
Caltanisetta, Gela, Camarina, Vittoria, Siracusa. Roma 2003.
127
Importante per comprendere il meccanismo del commercio greco in età arcaica lo stu-
dio di A. Mele, prexis ed emporias, Napoli 1979.
128
Sulla special commission A. Pontrandolfo, Le produzioni ceramiche, in E. Greco –M.
Lombardo, Atene e l’Occidente, i grandi temi. Atti del Convegno Internazionale , Atene
25-27 maggio 2006, Atene 2007, pp. 325-344.
129
(Londra, B.M. E 805). L’identificazione della sepoltura è stata consentita dalla descri-
zione di Panofka (Panofka, op. cit., 1829 p.20).

70
mento di corredo ed è stata ritrovata sopra le ceneri del
defunto. Il tema decorativo è piuttosto ricercato poiché
sono raffigurate le sette muse con i nomi scritti sotto
l’immagine.Queste ultime sepolture avevano come corre-
do un vaso di importazione attica di forma aperta di
grandi dimensioni frantumato come offerta sulle ceneri
del defunto, con un sistema decorativo complesso e ricco
di riferimenti ideologici. Non è possibile affermare con
certezza che le due tombe fossero sepolture a pozzetto o
ad ustrinum.
La presenza di vasi attici figurati in frantumi è attesta-
ta anche in una tomba ad ustrinum130, dove insieme al
corpo è stata bruciata anche la cassa o un kline, poiché
sono state rinvenute appliques in terracotta che accomu-
nano la sepoltura con casi analoghi da Capua131. Proba-
bilmente il defunto fu riposto o nella cassa o su una kline
in legno insieme agli oggetti di corredo e, successivamen-
te, bruciato, stando alle descrizioni del Panofka, il quale
affermò che i vasi, un cratere e un’anfora, sembravano
essere stati sottoposti al fuoco.
Una tomba a pozzetto, scoperta da Pietro Vivenzio è
la sepoltura dell’hydria Vivenzio, forse la più famosa del-
la necropoli nolana. La sepoltura era costituita da un
grande contenitore acromo contenente parte del corredo e
il vaso cinerario, un’hydria attica attribuita al P. di Kleo-
phrades. Si riscontra una peculiare scelta del corredo:
all’interno del pithos erano riposti oltre che le ceneri del
rogo due strigili in frantumi, due coltelli, alcuni piccoli
elementi decorativi di una cassetta, un falcetto perfetta-
mente conservato, numerosi cereali e legumi insieme ad
alcune foglie di vite, mentre all’interno dell’ hydria erano

130
La descrizione del Panofka (Panofka, op. cit., 1829 p. 21) non ha consentito
l’identificazione dei vasi.
131
W. Johannowsky, Materiali di età arcaica della Campania, Napoli 1983; AA.VV., Il
museo Archeologico dell’Antica Capua, Napoli 1995.

71
i balsamari e le ceneri del defunto. Gli utensili rotti sono
parte integrale della cerimonia funebre così come le of-
ferte alimentari, al quale probabilmente sono destinati i
grandi contenitori riposti nelle sepolture nolane. Falcetto
e coltelli, insieme alle numerose offerte alimentari di ce-
reali, legumi e foglie di vite, sembrano mostrare la ric-
chezza della famiglia e la sua attività principale,
l’agricoltura. La tomba dunque, attraverso il suo piccolo
corredo, sembra narrare di un rito funebre piuttosto arti-
colato di cui abbiamo una pallida ombra132. Altre tombe a
pozzetto costituite da grandi contenitori usati come vasi
cinerari sono segnalati da Remondini133.
È stata segnalata dal Gargiulo, databile nella prima
metà del V sec. a.C. anche una tomba a camera che resti-
tuì numerosi vasi figurati tra i quali l’anfora panatenaica
del P. di Berlino134.
Un’altra tipologia funeraria piuttosto comune in età
arcaica e classica è la tomba a cappuccina, come docu-
mentato negli scavi Ronga e S. Massimo135.
Chiude la serie delle sepolture di età classica a noi no-
te la “Blacas Tomb”. Il corredo piuttosto ricco di questa
sepoltura, probabilmente ad inumazione, aveva la più an-
tica attestazione in loco di ceramica di produzione italiota
deposta accanto alla tradizionale ceramica di produzio-
neattica. Era costituito da un’hydria e da una kylix attica
insieme ad un’hydria e due skyphoi di produzione pesta-
na136.

132
Per un approfondimento sulla sepoltura si veda Castaldo, op. cit., 2007.
133
Remondini, op. cit., 1757 tomo I :“ma di un terzo ordine io mi diviso, che a credere
s’abbiano quelle vergini, e pure, e molto grandi urne, che si rinvengono vuote o fra le
gambe, od a’ fianchi de’ cadaveri; le quali io crederei, che ve le ponessero negli ultimi
tempi, allora quando non più si generalmente usavasi di arderli, come per un segno
dell’uso non ancora del tutto intralasciato di abbruciare de’ Defunti (…)”
134
La tomba a camera è un unicum a Nola ed ha come unico confronto possibile una se-
poltura della necropoli dell’antica Capua (J. Beazley, The Brygos Tomb of Capua, in AJA
1945 pp. 153-158).
135
Nola, op. cit., 1985; Bonghi Jovino – Donceel, op.cit., 1969.
136
Corbett, op. cit., 1960

72
Il Remondini e il Vivenzio facevano menzione di
tombe a cassa costituite da un unico blocco litico, mentre
è del tutto assente la notizia di tali rinvenimenti in tempi
recenti. Queste avrebbero potuto essere tombe a ricetta-
colo137, con conseguente rito incineratorio o sepolture ad
inumazione, realizzate sempre in cassa monolitica, ana-
loghe a quelle rinvenute nella necropoli di Madonna delle
Grazie138. Rinvenimenti di casse monolitiche sono atte-
stati in altri contesti campani139.

Ricostruendo, dunque, l’ipotetico antico perimetro di


Nola, nella parte settentrionale è facile notare come l’asse
di urbanizzazione maggiore degli ultimi anni abbia inte-
ramente coinvolto una delle aree archeologiche più ricche
di ritrovamenti degli ultimi trecento anni. Eppure, come è
stato dimostrato nel corso di questo contributo, dopo le
indagini effettuate in proprietà Ronga, nonostante
l’enorme accelerazione dello sviluppo urbanistico, i ritro-
vamenti di necropoli documentati sono stati decisamente
molto meno numerosi di quanto ci si potesse attendere, a
giudicare da quanto descritto dalle notizie del XVIII e del
XIX secolo. Forse il ricco giacimento di vasi si era in
gran parte esaurito negli anni ‘30 del secolo scorso, oppu-
re il saccheggio e la devastazione di queste aree archeo-
logiche sono continuati con la massima disattenzione da
parte dello stato e degli enti locali. In ogni caso il risulta-
to è che oggi per sapere qualcosa sull’archeologia nolana
è necessario rileggere scritti di due secoli fa.
Nola antica è stata spazzata via per sempre, per dare
spazio a ferro e cemento, o un giorno riusciremo ancora a
recuperare un po’ della sua storia?

137
L. Cerchiai, Capua: il caso della tomba detta di Brygos, in L. Cerchiai –B. d’Agostino,
“Il mare, la morte, l’amore, Gli Etruschi i Greci e l’immagine”, Roma 1999 pp. 171-176.
138
C. Albore Livadie, La necropoli arcaica di via Madonna delle Grazie, (Comuni di San-
taMaria la Carità e di Gragnano), in In Stabiano 2001.
139
M.Bonghi Jovino, La necropoli preromana di Vico Equense, Napoli 1982

73
Abstract

Flavio Castaldo, Nola deleta: un’antica città scomparsa.

Nola è stata a lungo uno dei punti di forza dell’ar-


cheologia campana: basti pensare che questioni archeo-
logiche come le caratteristiche della cultura etrusca la e
della cultura greca, hanno avuto origine dalle scoperte
effettate in questa città.
Eppure, nonostante le ceramiche provenienti da Nola
riempiono i musei del mondo, dagli anni Trenta del seco-
lo scorso l’archeologia si è dimenticata di questa città: il
boom edilizio l’ha distrutta dal dopoguerra, poi hanno
fatto il resto gli orrori edilizi più recenti in aree che
avrebbero potuto restituire una notevole quantità di nuo-
vi dati archeologici e di reperti che avrebbero potuto ar-
ricchire le collezioni del piccolo Museo Archeologico di
Nola.
Attraverso lo studio delle fonti è possibile però recu-
perare informazioni per ricostruire almeno in piccola
parte ciò che si è perso: l’ubicazione delle necropoli, in
particolare di età arcaica e classica, la tipologia delle
tombe, scomparse sotto la colata di cemento, e cercare di
identificare il tipo di manufatti archeologici che hanno
arricchito collezioni di tutto il mondo.

74
Fig. 1: Localizzazione delle nercopoli di Nola.

75
Fig. 2 (in alto): Nola, foto aerea (da Google Immagini 2009); Fig.3 (in basso): Nola, dettaglio
dell’anfiteatro, parzialmente coperto da strutture edilizie moderne (da Google Immagini
2009).

76
Nicola Meluziis

Gli scavi clandestini nella necropoli di


Cuma tra fine ‘800 e inizi ‘900: il caso di
Gaetano Maglione e Luigi Granata.

La vasta campagna che dalla collina dell’acropoli di


Cuma si si sviluppa per circa tre chilometri verso nord,
custodisce una necropoli in uso dal X sec. a.C. alla tarda
antichità: un territorio così vasto che era difficile in pas-
sato e che risulta complicato anche oggi tutelare.
Negli ultimi due secoli esso è stato esplorato da nume-
rose campagne di scavo, ora promosse da nobili europei,
ora da studiosi, almeno in parte consapevoli della pratica
archeologica. Spesso, tuttavia, tali scoperte non sono ac-
compagnate da alcuna documentazione, che ne testimoni
la scoperta e lo scavo, facendo perdere alla ricerca nume-
rose informazioni utili a ricostruire e localizzare le vicen-
de relative ai monumenti indagati.
Dalla seconda metà dell’Ottocento oltre agli scavi re-
golarmente autorizzati, che come detto non sempre si so-
no rilevati produttivi sotto il profilo scientifico, si è svi-
luppata a Cuma una realtà parallela di scavi clandestini,
opera di depredatori di tombe, “tombaroli”.
Nelle documentazioni degli scavi effettuati nella ne-
cropoli è frequente, infine, leggere di tombe che al mo-
mento della scoperta risultavano essere già state visitate
in antico.

77
Nella sua monografia su Cuma Ettore Gabrici riferisce
dello scavo che portò al rinvenimento della grande tomba
a tholos, di età sannitica nel fondo Artiaco140, condotto da
un certo Gaetano Maglione. Probabilmente questo fu
l’unico scavo regolare da lui condotto a Cuma: dai docu-
menti d’archivio141 risulta essere stato, infatti, un perso-
naggio molto discusso, che più di una volta fu sorpreso a
compiere scavi abusivi nella necropoli.
Da un documento datato al 31 agosto 1908, indirizza-
to al Ministro della Pubblica Istruzione, apprendiamo che
il 15 luglio dello stesso anno il Maglione fu sorpreso a
praticare scavi clandestini nel fondo Correale, motivo per
cui fu anche multato dai Carabinieri. In un’altra circo-
stanza, il 27 agosto dello stesso anno, fu nuovamente sor-
preso, stavolta da Ettore Gabrici, mentre conduceva altri
scavi abusivi e fu ancora multato.
Nonostante i controlli che la Direzione del Museo di
Napoli effettuava nelle zone in cui erano in corso gli sca-
vi per la bonifica della Laguna di Licola, il Maglione
continuava imperterrito le sue attività illegali. Proprio la
confusione provocata da quei lavori, iniziati negli anni
‘80 dell’ ‘800, permise a molti tombaroli di agire indi-
sturbati, individuando le sepolture di giorno e scavandole
di notte. Per questo motivo la Direzione del Museo di
Napoli si pose il problema dell’esigenza di come tutelare
quei terreni anche dopo la fine dei lavori, perché i tomba-
roli si erano accorti della grande quantità di sepolture che
si potevano trovare già a pochi metri di profondità: “Si
avvisa che a seguito di denunce scritte, fu mandato
nell’agro cumano l’ispettore Gabrici, assistito da custo-
di, per tentare di sorprendere il ben noto scavatore clan-
destino Gaetano Maglione, che ha ripreso a devastare la
necropoli cumana, nel fondo Correale, detto della Socie-

140
Gabrici Ettore, Cuma, in MonAL XXII, 1913, col. 841.
141
ASSAN, VI, C 6, 5.

78
tà di Bonifica […]. Questo famoso devastatore della ne-
cropoli cumana, non lavora più di giorno, ma mantiene
sullo scavo alcuni operai che nelle ore pomeridiane ta-
stano il terreno con la trivella e lasciano dei segni nei
punti dove sono le tombe. Il Maglione quindi va a scava-
re approfittando dell’oscurità142”.
Questa lettera, riguarda circostanze accadute ad un
anno esatto di distanza dagli episodi sopra descritti, ma
fotografa in modo chiaro la situazione e definisce quella
del Maglione come una “raffinata organizzazione”.

Questa controversa figura compare anche in un’altra


vicenda: nel contenzioso aperto tra la Direzione del Mu-
seo ed il dott. Luigi Granata, il quale il 9 Agosto 1908
aveva inviato al Ministro della Pubblica Istruzione una
richiesta, affinché gli venisse concessa una licenza di
scavo, poiché aveva stipulato un contratto d’affitto per un
terreno di proprietà di Eduardo Correale, figlio del defun-
to e più noto Luigi, situato a nord della collina
dell’acropoli, sul lato ovest della via Vecchia Licola a Pa-
lombara. Il contratto d’affitto era per un periodo compre-
so tra il 5 agosto ed il 15 novembre 1908.
Tra i vari siti nei quali il Maglione fu sorpreso a sca-
vare c’era anche il terreno preso in affitto dal Granata. La
Direzione del Museo, notando proprio la sospetta coinci-
denza tra il sito dove era stato sorpreso a scavare il Ma-
glione ed il terreno preso in affitto dal Granata, tentò di
ritardare la concessione della licenza di scavo al Granata,
il quale decise poi di rivolgersi direttamente al Ministero
della Pubblica Istruzione.
Nel cercare di comprendere questa complicata vicenda
ci vengono in aiuto alcune lettere anonime, arrivate pro-
prio in quel periodo alla Direzione del Museo: “Il cielo è

142
ASSAN, VI, C 6, 5, questo documento fu spedito dalla Direzione del Museo al Ministe-
ro in data 22, luglio 1909.

79
intriso di elettricità. In tutti i circoli si parla del monu-
mento trovato a Licola Cuma e della corruzione che ope-
ra il Gaetano Maglione verso le autorità, avvocati ed
ispettori del Museo che lui dice averli tutti comprati […].
Sono stato personalmente ad osservare come vanno i fatti
e si vede chiaramente che la voce pubblica ha ragione.
[…]. Non è la prima volta che il Maglione ha trattato in
questo modo il Museo di Napoli, infischiandosene alta-
mente delle leggi e delle autorità143”.
Dal documento emerge la figura di un uomo senza
scrupoli, disposto anche a comprare qualche compiacente
ispettore del Museo. Un’altra lettera anonima denuncia
che Granata in realtà sarebbe stato soltanto un prestano-
me di Gaetano Maglione, il quale già due mesi prima
aveva effettuato uno scavo nella zona presa poi in affitto
dal Granata, imbattendosi in una tomba e svuotandola del
suo corredo, vendendo poi i vasi ad alcuni antiquari na-
poletani che gli avrebbero valutato la tomba a 400.000
lire144.
La Direzione del Museo, insospettita dalla richiesta
del Granata, chiese l’intervento delle autorità, dal mo-
mento che il Maglione, colto in flagranza di reato, aveva
minacciato proprio di far presentare domanda di scavo ad
un amico. Il 4 settembre 1908 la Prefettura di Napoli in-
viò al Museo un rapporto nel quale si constatava che il
Granata ed il Maglione erano amici e che il primo, insie-
me con la sua famiglia, in quel periodo era addirittura
ospite a casa del Maglione, a Pozzuoli.
Da questi documenti emergono i ripetuti sforzi che le
autorità del Museo facevano per cercare di reprimere le
azioni degli scavatori clandestini, che a dispetto di quello
che si può immaginare, con l’aiuto di astuti avvocati, cer-

143
ASSAN, VI, C 6, 5. La lettera non ha data, ma è sicuramente stata scritta in quel perio-
do, perché in alcuni passi si fa riferimento a cose che diremo in seguito.
144
ASSAN, VI,C 6,5. Lettera datata 9 settembre 1908.

80
cavano in ogni modo di raggirare il lacunoso sistema di
tutela del tempo.
Lo stallo in cui versò la richiesta di scavo del Granata,
fu sbloccato da quest’ultimo, grazie ad uno stratagemma
del suo legale: il Granata, che di professione faceva
l’ostetrico, temendo che la situazione si trascinasse oltre i
limiti temporali del suo contratto d’affitto, pagato in anti-
cipo, presentò, infatti, richiesta alla Prefettura di Pozzuoli
per eseguire lavori per la realizzazione di un pozzo
d’acqua potabile, per gli operai che sarebbero venuti a
lavorare con lui, una volta ottenuta la licenza di scavo145.
Alla Direzione del Museo apparva chiaro che lo scavo
del pozzo era solo un pretesto per poter scavare le tombe
sottostanti, ma i lavori di scavo per il pozzo iniziarono
ugualmente: l’11 Settembre 1908, l’avvocato Moia, lega-
le del Granata, inviò un documento al Soprintendente de-
gli Scavi e Musei, nel quale dichiarava che durante la rea-
lizzazione del pozzo per l’acqua, in maniera del tutto for-
tuita, ci si era imbattuti in una tomba contenente un sar-
cofago in marmo, e che se tale tomba non fosse stata
smontata, non si sarebbero potuti terminare i lavori per il
pozzo.
Ettore Gabrici ebbe l’incarico di sorvegliare la zona,
perché era chiara l’intenzione del Granata di legittimare
uno scavo abusivo, con la scusa del pozzo. La direzione
del Museo sapeva dei rapporti tra il Granata ed il Ma-
glione, ma non aveva le prove per dimostrare che per
scavare quel pozzo ed arrivare alla tomba con il sarcofa-
go, erano state aperte altre tombe soprastanti. Lo capiro-
no gli ispettori del Museo, che, recatisi sul posto, trova-

145
ASSAN, VI, C 6, 5. Documento datato 31 agosto 1908. la direzione del museo tentò di
negare la concessione al Granata, nel frattempo che la Prefettura concludesse la sua inda-
gine sul Granata, quest’ultimo fece la richiesta per la creazione del pozzo. Era una sorta di
sfida, da un lato il Museo e dall’altro la coppia Granata/Maglione, che tentavano con tutti i
mezzi di scavare la zona che già il Maglione aveva esplorato, imbattendosi in una interes-
sante sepoltura.

81
rono il saggio coperto, ma nella terra di riporto notarono
numerose ossa, prova del fatto che qualche sepoltura era
stata già scavata.
Nonostante tutti questi precedenti, il 17 settembre al
Granata fu accordata una parziale licenza di scavo, con la
quale gli si concedeva di continuare i suoi scavi. Per arri-
vare ad un accordo tra il Granata e la Direzione del Mu-
seo, furono necessari molti giorni. Alla fine fu dato il
permesso al Granata di continuare gli scavi, ma sotto la
sorveglianza di Ettore Gabrici, per conto del Museo di
Napoli, e ad una serie di condizioni: osservare tutte le
norme del buon andamento scientifico degli scavi; per-
mettere ai funzionari, incaricati dal Museo, di eseguire
tutti i lavori (studi, rilievi, disegni, fotografie) che ritene-
vano necessari; non iniziare ricerche in punti diversi da
quello concordato; cedere allo Stato la quarta parte degli
oggetti scoperti.

Il 18 Novembre 1908, fu inviata una relazione al Mi-


nistro della P. I. da parte della Direzione del Museo, nella
quale veniva fatto un resoconto sommario di ciò che sta-
va accadendo a Cuma. Si rese noto al Ministro che il
Granata aveva allargato lo scavo per arrivare ad una tom-
ba contenente un sarcofago in marmo e che durante que-
sto allargamento erano state portate alla luce circa 50
tombe.
Ettore Gabrici si preoccupò di rendere noti i risultati146
dello scavo nella sua monografia su Cuma, preziosa per-
ché ci fornisce informazioni che altrimenti sarebbero an-
date probabilmente perse. Il suo prezioso contributo con-
sta nel sapiente lavoro di studio e di edizione delle sepol-
ture rinvenute in questi scavi.

146
E Gabrici, 1913 op. cit., coll. 743-756, coll. 845-846.

82
Lo scavo “benché eseguito nelle condizioni che non
erano le più favorevoli per l’accertamento dei fatti” si era
svolto tra il 25 settembre ed il 27 ottobre del 1908 in una
zona di proprietà di E. Correale, in un punto poco più a
nord da dove il Conte di Siracusa aveva scavato nel
1852147, sempre ad ovest della via Vecchia Licola Pa-
lombara. Per la prima volta fu disegnata una pianta con la
disposizione delle sepolture rinvenute e realizzato uno dei
primi tentativi di ricostruzione stratigrafica dello scavo,
sovrapponendo le sepolture più recenti a quelle anti-
che148.
Stando alla descrizione del Gabrici, fu realizzato un
saggio di 10 x 10 m. portando alla luce la monumentale
tomba con copertura a tetto a doppio spiovente, entro cui
era collocato il sarcofago in marmo. Durante il mese di
scavi vennero alla luce diverse sepolture, pertinenti a in-
dividui di tutte le età, con materiali risalenti dal geome-
trico ai primi anni di vita della colonia greca, fino
all’epoca romana imperiale, attestata da un sarcofago.
Lo scopo principale dello scavo era quello di portare
alla luce la sepoltura contenente il sarcofago in marmo.
La tomba, localizzata a 3,70 m. di profondità dal piano di
campagna, aveva una copertura a doppio spiovente costi-
tuita da massicce lastre di tufo. Al suo interno si rinvenne
un sarcofago di marmo bianco a pareti lisce incorniciate
da una fascia in rilievo. Il Gabrici lo attribuì all’età roma-
na imperiale perché “il marmo non fu mai adoperato per
materiale di tombe nell’epoca greca9”.
Anche il coperchio era in marmo, realizzato in un uni-
co pezzo modellato a doppio spiovente, anch’esso con la
parte centrale liscia ed incorniciata da una fascia a rilie-

147
Sia G. Fiorelli che F. Minervini pubblicarono numerosi articoli sul “Bullettino Archeo-
logico Napoletano” negli anni compresi tra il 1853 ed i 1860, esseno loro i collaboratori
del Conte durante gli scavi.
9
E. Gabrici, op. cit., col. 752.

83
vo. La tomba che ospitava il sarcofago era di tipo arcaico
ed il Gabrici non fece altro che constatare che, in età ro-
mana, era stato svuotato il contenuto di una sepoltura più
antica, per far posto al sarcofago, lungo 2,11 m., largo 91
cm. e profondo 61 cm. Il coperchio, invece, era alto 33
cm., lungo 2,18 m. e largo 98 cm.
Nelle parole del Gabrici non c’è nessun riferimento al-
la destinazione finale dei materiali rinvenuti. Sappiamo
che soltanto un quarto dei pezzi doveva essere dato allo
Stato e ora dovrebbe trovarsi al Museo Archeologico Na-
zionale, visto che il Gabrici ebbe modo di effettuarne lo
studio. La sorte toccata al resto dei materiali non è cono-
sciuta ed è facile ipotizzare che siano finiti sul mercato
antiquario, che era lo scopo finale del lavoro finanziato
dalla coppia Granata - Maglione.

84
Abstract

Nicola Meluziis, Gli scavi clandestini nella necropoli di


Cuma tra fine ‘800 e inizi ‘900: il caso di Gaetano Ma-
glione e Luigi Granata.

La vasta area di necropoli che si sviluppa a nord


dell’acropoli di Cuma è stata afflitta dagli scavi clande-
stini sin dagli ultimi decenni del XIX secolo. Documenti
di archivio testimoniano i tentativi da parte delle autorità
di contrastare i tombaroli o di ricorrere a dei compro-
messi con essi. Si riporta qui il caso di Luigi Granata e
Gaetano Maglione, i quali riuscirono persino ad ottenere
una parziale licenza di scavo sotto la sorveglianza di Et-
tore Gabrici, del Museo Archeologico di Napoli. Dei pre-
ziosi materiali rinvenuti solo un quarto, in base agli ac-
cordi, andò allo Stato, mentre i restanti tre quarti finiro-
no probabilmente sul mercato antiquario.

85
Fig. 1 (in alto): Cuma, l’area dell’acropoli e della nercropoli allo stato attuale, foto ae-
rea (da Google Immagini 2009); Fig.2 (in basso): Luigi Granata e Gaetano Maglione
durante lo scavo della tomba monumentale con copertura a tetto a doppio spiovente,
contenente un sarcofago in marmo.

86
Paolo Ciuchini

Illicit traffic of Irish antiquities: the international


case of the Inchcleraun gravestones.

Inchcleraun is an island located in the Lough Ree, a


lake in the Irish midlands, the second of three major lakes
on the River Shannon (fig.1). This small island is about
1.6 km in length, covers an area of 32 hectares and forms
part of County Longford. The name Inchcleraun is the
anglicized version of Inis Chlothrann, the Irish transla-
tion of which is ‘Clothra's island’. The place was cele-
brated in ancient times and is associated with the legend-
ary tale Táin Bó Cúailnge149. Clothra was the sister of
Meadhbh, the famous queen of Connacht, whose tragic
death occurred on the island.
The arrival of Christianity led to the naming of the is-
land as Inis Diarmuda, after the saint who founded its
celebrated monastery.A later name of the island, Quaker,
is the surname of one of its 19th century owners.
Saint Diarmuid An Naomh (‘the Just’; † 542 AD) was
a famous Irish Catholic monk and confessor of the first

149
Táin Bó Cúailnge (‘the driving-off of cows of Cooley’, more usually called The Cattle
Raid of Cooley or The Táin) is a legendary tale from early Irish literature, considered an
epic, although it is written primarily in prose rather than verse. It tells of a war against
Ulster by the Connacht queen Meadhbh and her husband Ailill, who intend to steal the stud
bull Donn Cuailnge, opposed only by the Ulster hero Cúchulainn. Traditionally set in the
1st century AD in an essentially pre-Christian heroic age, the Táin is the central text of a
group of tales known as the Ulster Cycle. It survives in two main written versions in 12th
century manuscripts, the first a compilation largely written in Old Irish, the second a more
consistent work in Middle Irish.

87
half of the 6th century150. He was of princely origin and a
native of Connacht. He founded a monastery on Inis
Chlothrann about the year 530. His fame attracted many
disciples to the island. After his death the monastic
school maintained its reputation for over six centuries,
and the island remained a famous pilgrimage destination
until the Reformation period. The community adopted the
Augustinian rule around the mid-12th century, becoming
the priory of Saint Mary. The monastery was dissolved in
1541.
The remains of five churches and a priory are still vis-
ible on the island151. Most of these evidences date to the
Late Middle Age. The clustering of many small churches
reflects a common spatial disposition within early medie-
val monasteries. Four of the buildings, close to the east-
ern shore of the island, are surrounded by an oval enclo-
sure, which may preserve the line of an early medieval
predecessor. The four buildings are Teampull Diarmada
(‘Saint Diarmait's church’), Teampull Marbh (‘Church of
the Dead’), another church whose name is unknown and
the priory, called Teampull Mór (‘Great Church’). Out-
side the enclosure Teampull Mhuire (‘Saint Mary’s
Church’ or ‘Women’s Church’) is south of the main
group, and Teampull Clogás (‘Belfry Church’) is located
to the north-east, on the highest point of the island (fig.2).
Among the characteristic features of the Irish early
medieval monasteries is the presence of inscribed slabs
and pillars, which chiefly carried out the function of
grave markers. The greatest concentration of such arte-
facts, generally dating from the 7th to the 10th century, is
found in the Midlands, particularly at Clonmacnoise, with
smaller clusters at Gallen, Clonfert, Clonburren, Durrow
and elsewhere. The Sites and Monuments Record, com-

150
See The Catholic Encyclopedia, 775.
151
For a recent overview of the site, see Halpin and Newman 2006, 177.

88
piled by the National Monuments Service, attributes to
Inchcleraun a group of six gravestones152. These artefacts
stood on their island for many centuries, as silent guards
of the sacred ruins. Towards the end of the 1980s some-
body stole four of these stones, putting them at the centre
of the international case that is the subject of the present
article.
Before discussing the matter it is appropriate to pro-
vide a brief description of the plundered gravestones. To
this purpose we will indicate them respectively as Stone
A, Stone B, Stone C and Stone D.

Stone A (SMR No.LF021-048005) is a round-topped


pillar of grey liestone and measures 0.74 by 0.34 by 0.14
m. The two main faces are dressed and decorated. One
bears a single-line Latin cross outlined by a single-line
border with rectangular expansions at all the terminals
but the lower (fig.3). A further outline runs along the
former just in the lower cantons. A small circle is in each
of the upper cantons. The opposite face bears an outlined
Latin cross with rounded and slightly receding corners at
the intersection of the arms (fig.4). The block has either
retained its natural shape, or has only undergone a mini-
mum of rough working. Both of the decorated faces show
a similar condition with solution weathering and some
minor lifting of flakes within the incised lines of the dec-
oration. The top and lateral faces are marked by fractures,
shake lines and solution pits, with the former also marked
by mechanical abrasion153. The earliest recorded location
of Stone A is between Teampull Diarmada and Teampull
Mór on the Inchcleraun Island154. It is currently kept at

152
SMR (Sites and Monuments Record) Nos. LF021-048005, LF021-048009, LF021-
048010, LF021-048011, LF021-048012, LF021-048013.
153
The petrographic data concerning the four stones are taken from Lithan 1997.
154
Bigger 1900, 72.

89
the OPW National Monuments depot at Athenry, Co.
Galway.

Stone B (SMR No.LF021-048009) is an irregular slab


of laminated grit and measures 0.69 by 0.55 by 0.15 m.
The dressed front face bears a three-line Latin cross with
a circular expansion at the centre and semi-circular ones
at the terminals (fig.5). All the expansions contain geo-
metric patterns. A quite worn out two-line Irish inscrip-
tion in half-uncial script runs vertically downwards
through the four cantons. The right-hand line, no longer
decipherable, was recorded by Crawford as reading OR
[OIT] DO LAITHB[ER]TACH, which translates as A
Prayer for Laithb[er]tach155. The left-hand line reads B,
?, A, C, H, the second letter being too worn to decipher.
The rear face has a natural rounded surface. The front
face includes two flakes, one to the upper right and one to
the lower left, and an area of recent mechanical damage
to the upper right. The earliest recorded location of Stone
B is near Teampull Mhuire on the Inchcleraun Island156. It
is currently kept at the OPW National Monuments depot
at Athenry, Co. Galway.

Stone C (SMR No.LF021-048010) is a round-topped


subrectangular slab of grey fossiliferous limestone and
measures 0.42 by 0.3 by 0.09 m. The dressed front face
bears a single-line Latin cross with triangular expansions
at the terminals (fig.6). A double spiral is at the centre of
the lower left canton. The other faces appear as fracture
surfaces; this could be due to natural causes or to rough
working. The dressed surface shows reduction due to so-
lution weathering, a shake line to the lower right and a
recent mechanically induced chip to the upper right.

155
Crawford 1913, 326.
156
Bigger 1900, 80-81.

90
Stone C is currently kept at the OPW National Monu-
ments depot at Athenry, Co. Galway.

Stone D (SMR No.LF021-048011) is a subrectangular


slab fragment of fossiliferous limestone and measures
0.42 by 0.3 by 0.19 m. The dressed front bears a two-line
very worn out Latin cross with a circular expansion at the
centre (fig.7). The horizontal arms of the cross are all but
disappeared. The rear face has a fracture surface. The pit-
ting on the front face is related to both working and loss
of inclusions. The earliest recorded location of Stone D is
on the low wall in front of the caretaker's cottage157 on
the Inchcleraun Island; it is currently kept at the OPW
National Monuments depot at Athenry, Co. Galway.

On the 6th of March 1991 Peter Kenny, a 67-year-old


Irishman who had lived in Australia for long time, made
a phone call from Miami to Robert O’Neill, Director of
the Burns Library of Rare Books and Special Collections
at Boston College158. The library houses one of America's
most comprehensive collections of Irish historical and
cultural material. Kenny said he was a retired ship’s cap-
tain and that he was trying to find a good home for his
possessions. He offered to sell various ancient artefacts to
the university, the most important of which were 5th and
6th century gravestones. The proposal included other rare
Irish antiquities159, most of which, unlike the gravestones,
would turn out to be fakes. Kenny told O'Neill that he
had owned the artefacts for about forty years: some that
he had found, some that he had bought, but most of them
given to him by family members. He claimed that a few
of them, including the gravestones, had been in his family

157
Ibid., 81.
158
The whole course of the case is reported in detail by O’Neill himself (O’Neill 1998).
159
Notably a Viking anchor, a Bullaun stone and memorabilia of the 1916 Easter Rising.

91
from the time of Brian Boru160. O’Neill expressed an in-
terest, but also a desire to obtain more information about
the items.
Within a week he received a letter from Kenny con-
taining details of the items, photographs, and more plau-
sible explanations for his acquisition of the artefacts.
Feeling suspicious, O'Neill contacted the National Muse-
um of Ireland. Eamonn Kelly, Assistant Keeper of Irish
Antiquities at the time, received a phone call on the 12th
of March, and immediately recognised a connection with
a situation that the Irish authorities were monitoring in
that period161. A copy of Kenny’s letter was faxed to
Kelly, who shortly afterwards confirmed that gravestones
fitting the description had been recently stolen from an
ancient monastic site on the Irish island of Inchcleraun.
Kelly also put O’Neill in touch with Police Deputy Su-
perintendent Thomas Connolly of Dublin, who in turn
alerted the U.S. Federal Bureau of Investigation. During
the following two weeks Kenny wrote another letter to
O’Neill and called him twice, clearly showing signs of
increasing restlessness.
Detective Superintendent Connolly, urged by a letter
written by O’Neill, contacted the office of Charles
Haughey, Ireland’s Taoiseach (Prime Minister), from
where strategic calls were apparently made to the Ameri-
can authorities. The Federal Bureau of Investigation was
mobilized and on the 3rd of April Special Agents Darryl
Radt and John Newton of the Boston Office visited

160
Brian Boru (Brian mac Cennétig), Great King of Ireland who died at the Battle of Clon-
tarf in 1014 A.D.
161
Just one month earlier, indeed, an Irish radio amateur operator from the Midlands of
Ireland intercepted by chance the incoming portion of a transatlantic call: a man in Miami
was telling his associate in Ireland that his plan to sell Irish antiquities could mean a big
donation to NORAID, the Northern Ireland relief organisation alleged to have ties with
IRA. Moreover, the man mentioned a Sheelagh-na-Gig statue, a rare pagan fertility sym-
bol; the police thought that it may have been the one recently stolen from the Kiltinan
church in Fethard, Co. Tipperary.

92
O’Neill and collected copies of the correspondence.
O’Neill agreed to call Kenny on the following day and
authorised the FBI to record the conversation. During this
call it was agreed that Kenny would personally deliver
the artefacts to O’Neill in Boston. On the 15th of April
Kenny called O’Neill saying that he had arrived and was
staying in a motel in Wellesley in Massachusetts. The
FBI promptly organised a sting operation and, instructed
by the agents, O’Neill invited Kenny to come to the Li-
brary on the next morning. On the 16th, before Kenny’s
arrival, Federal Agents were positioned inside and in
front the building, all dressed as students or maintenance
workers. Boston College Police was also involved; a US
Customs official and the Irish delegation arrived to par-
ticipate in the operation. Eamonn Kelly and Paul
McMahon, Inspector of National Monuments for the Of-
fice of Public Works, were escorted to Boston, ready to
assess the artefacts and certify their origin as soon as the
loot was recovered. As scheduled, Kenny arrived at the
Library, carrying the artefacts in his car. He met with
O'Neill and Edward Clark, a wired Special Agent who
was posing as a Boston College benefactor interested in
sponsoring the purchase. After some bargaining, they
agreed on a price of $435,000. The F.B.I. agent and
O’Neill gave Kenny some front money. The three fixed a
new meeting for the 22nd of April, in order to close the
deal with a final payment.
On the 17th, Detective Superintendent Connolly flew
back to Ireland to supervise the European part of the sting
operation. Agent Clark, acting again as the same Boston
benefactor, called Kenny’s associate, a 40-years old
County Longford Police Officer, who readily offered to
sell him other ancient artefacts. On the 22nd of April the
Garda Síochána (Ireland’s National Police Service) ar-
rested the Police Officer, who was suspended and subse-

93
quently resigned, and a pub owner, another associate of
Kenny’s.
Once the arrests in Ireland had been carried out, the
FBI was ready to proceed against Kenny in Boston. In the
afternoon of the same day Kenny was surprised by F.B.I.
agents at his motel in Wellesley and arrested on smug-
gling charges. On the 25th of July Kenny pleaded guilty to
smuggling stolen goods into the United States and on the
26th of August he was sentenced to four months in federal
prison. As he had already served that time since his arrest
he was soon released.
On the 17th August, once the necessary legal processes
were complete, the stones were returned to Ireland. Ed-
ward Clark and Thomas Hughes, head of the FBI office
in Boston, accompanied the boxes containing the arte-
facts to Ireland and turned them over to Vincent Brady,
Irish Minister of Public Works, at Shannon Airport.

Ireland boasts an extremely rich and varied archaeo-


logical heritage. Witnesses of a fascinating history of
human occupation are the great Neolithic monuments of
the Boyne valley, the bronze implements and gold orna-
ments of the Bronze Age, sites like Tara and the stone
fortresses of Dún Aenghusa and Aileach of the Celtic Iron
Age. Monastic ruins and high crosses dating to the Early
Christian period dot the island, while thousands of finds
from urban excavations in Dublin tell the story of Viking
raids and settlement. The Early Middle Age left us a mul-
titude of Romanesque and Gothic churches, abbeys and
castles. Many centres, founded or expanded during the
Anglo-Norman period, still provide a wealth of buildings
and features dating from the Late Middle Age.
Given its importance, the protection of the archaeo-
logical heritage has been a major concern of the Irish au-
thorities since the foundation of the State. Over the years

94
a noteworthy body of protective legislation has been built
up, formed primarily by the National Monuments Act of
1930 and its successive amendments of 1954, 1987, 1994
and 2004162.
The National Monuments Act of 1930 provided that
excavation, conservation and export of archaeological ob-
jects would be regulated by licence; it also required all
archaeological finds to be reported to the National Muse-
um of Ireland.
During the 1970s and 1980s the National Museum
grew more and more concerned about a new phenome-
non: the increasing use of metal detectors. Some unscru-
pulous individuals and groups considered metal detecting
as a quick way to make money and reports of interference
with archaeological sites increased sharply. In order to
contrast this trend great emphasis was placed on under-
cover surveillance and intelligence gathering. The Houses
of the Oireachtas (Parliament of Ireland), for their part,
passed a new amendment to the National Monuments Act
in 1987, under which it became illegal to search for ar-
chaeological objects with metal detectors or other elec-
tronic detecting devices without a licence. Moreover, it
became an offence to promote treasure hunting, and to
dive without licence on an underwater site and or a wreck
more than 100 years old.
A 1987 judgment by the Supreme Court in relation to
the Derrynaflan case concerned a metal-detected hoard
and assigned the ownership of the treasure to the State163.
This groundbreaking decision essentially extended the
state's ownership to include not just treasure trove, but all
archaeological finds.
In 1994 a further amendment to the National Monu-
ments Act acknowledged and formalised this ruling,

162
The main stages of this path until the 1994 Amendment are described by Kelly (1995).
163
Webb v. Ireland [1987] IESC 2.

95
specifying the state’s ownership of archaeological ob-
jects. Under the amended act it became an offence to
trade in unreported antiquities, or to withhold information
about archaeological discoveries. The state also acquired
the power to purchase monuments compulsorily.
The Inchcleraun gravestones case took place during
the period between the 1987 judgment of the Supreme
Court and the 1994 amendment of the National Monu-
ments Act. In such an eventful time the authorities were
on full alert and the fight against the smuggling of antiq-
uities occupied centre stage in public debate. It is little
wonder, therefore, that the matter drew wide public atten-
tion and international media coverage. The case of the
Inchcleraun gravestones carried all the ingredients of a
riveting spy-story, including the most elaborate sting op-
eration attempted during those frenetic years of fight
against the plunderers of cultural heritage. The operation
involved the Garda Síochána, the National Museum of
Ireland, the National Monuments Service of Ireland, the
Federal Bureau of Investigation, U.S. Customs, U.S. Im-
migration and Naturalization Service, and Boston Col-
lege. The event also stood out because of the huge
amounts of money at stake, had the traffickers managed
to find a real purchaser ready to agree a price for such
priceless artefacts as the gravestones are. Last but not
least the Garda Síochána demonstrated in those circum-
stances its ability to efficiently deal with this kind of of-
fense on a global scale, by means of far-reaching interna-
tional cooperation with foreign investigative bodies.
As the campaign against the organised looting of the
Irish archaeological heritage successfully continued, big
quantities of material have been recovered and many
criminals have been caught and put on trial. Retrospec-
tively, the theft of the Inchcleraun stones can also be seen
as the peak of the challenge posed by the archaeological

96
looters, whose activism and boldness have steadily de-
creased since then.
In Ireland the achievement of such positive results in
the fight against the looters of antiquities has been made
possible by the availability of strong protective legisla-
tion, which enjoys public support, and the effective ac-
tion taken by the authorities. In order to efficiently coun-
teract the international trade of stolen or looted antiqui-
ties, a central role was played by the national govern-
ment, whose commitment to protect the archaeological
heritage, confirmed on numerous occasions, opened up
the possibility of close cooperation with other countries.

ACKNOWLEDGEMENTS
I would like to express my gratitude to Eamonn Kelly (Keeper of Irish
Antiquities at the National Museum of Ireland) and Paul McMahon
(Senior Architect at the Office of Public Works). They have provided
me direct testimony of the events as well as unpublished and rarely
available documentary sources. I would also like to extend my thanks
to Tony Roche (Photographic Unit of Department of the Environment,
Heritage and Local Government) for supplying me with photographs
of the gravestones, to Rachel Barrett (National Monuments Service
Archive of Department of the Environment, Heritage and Local Gov-
ernment) for granting me access to the Sites and Monuments Record
files concerning Inchcleraun Island and to Margaret McNamara
(T.V.A.S. Ireland Ltd. Archaeological Consultants) for helping to edit
this article.

REFERENCES
Bigger F.J. 1900. Inis Chlothrann (Inis Cleraun), Lough Ree: its his-
tory and antiquities, in Journal of the Royal Society of Antiquaries of
Ireland, 30, 69–90.
Crawford, H.S. 1913. A descriptive list of early cross-slabs and pillars
[Part IV], in Journal of the Royal Society of Antiquaries of Ireland,
43, 326–334.
Halpin A. and Newman C. 2006. Ireland. An Oxford Archaeological
Guide, Oxford University Press.
Kelly E.P. 1995. Protecting Ireland's Archaeological Heritage, in An-
tiquities: Trade or Betrayed. Legal, Ethical and Conservation Issues,

97
ed. K.W. Tubb, Paperback, London, 235-243.
Lithan Ltd. 1997. Condition reports. Various stone objects held at
Athenry depot, (unp.), Newtownards.
O’Neill R.K. 1998. Sting! The Irish Stones Caper. A Case Study in
International Cooperation Involving the Recovery of Stolen Antiqui-
ties, in Journal of Library Administration, Vol.25,Issue 1,1998,49-65.
The Catholic Encyclopedia, Vol. 4, The Encyclopedia Press, New
York 1913.

Abstract

Paolo Ciuchini, Illicit traffic of Irish antiquities: the in-


ternational case of the Inchcleraun gravestones (Traffico
illecito di antichità irlandesi: il caso internazionale delle
stele di Inchcleraun).

Inchcleraun è una piccola isola del Lough Ree, un la-


go situato nelle Midlands irlandesi. Già celebrata da un
racconto leggendario precristiano, l’isola divenne famo-
sa meta di pellegrinaggio a partire dalla metà del VI sec.
d.C., quando il monaco cattolico irlandese Diarmuid “il
Giusto” vi fondò un monastero di cui è tuttora possibile
osservare le rovine. La presenza di stele e pilastri fune-
rari recanti più o meno elaborate decorazioni incise ed
iscrizioni è una caratteristiche tipica dei siti monastici
irlandesi di epoca altomedievale. Alcune stele, trafugate
da Inchcleraun, finirono nel 1991 al centro di un caso
internazionale risolto attraverso una complessa opera-
zione di intelligence alla quale parteciparono corpi in-
vestigativi irlandesi e statunitensi, in uno sforzo comune
dei rispettivi paesi. Il caso delle Inchcleraun gravestones,
che ebbe una vasta eco mediatica e colpí l’opinione pub-
blica, influenzò le politiche irlandesi di lotta all’illegalità
nel settore dei beni culturali e contribuì a migliorare il
quadro legislativo di riferimento.

98
Fig. 1 (up, left): the geographical position of Inchcleraun; Fig. 2 (up, right): Teampull
Clogás ("Belfry Church"); Fig. 3 (down, left): Stone A (SMR No.LF021-048005),
face b; Fig. 4 (down, right): Stone A (SMR No.LF021-048005): face b.

99
Fig. 5 (up, left): Stone B (SMR
No.LF021-048009); Fig. 6 (up,
right): Stone C (SMR No.LF021-
048010); Fig. 7 (down): Stone D
(SMR No.LF021-048011).

100
Konstantinos Char. Tziampasis

Η αρχαιοκαπηλία στις ελληνικές εφημερίδες


στα τέλη του 19ου αι. και στις αρχές του 20ου αι.

Ένα πολύ μεγάλο τμήμα της ειδησεογραφίας που


αφορά την αρχαιολογική θεματογραφία έχει ως
περιεχόμενό της γεγονότα που σχετίζονται με την
αρχαιοκαπηλία και τις καταστροφές των αρχαιοτή-
των164. Συχνά η ειδησεογραφία του είδους αυτού δεν
περιορίζεται απλά στην παρουσίαση αποκλειστικά και
μόνον ειδήσεων που περιγράφουν αντίστοιχα γεγονότα ή
ευρήματα και που οι εφημερίδες προσπαθούν να
προμηθευτούν από τις πηγές πληροφόρησής τους, αλλά
περιλαμβάνει και εκτενή αρθρογραφία, που πολλές
φορές υπογράφεται από αρχαιολόγους165 ή από σύγχρο-
νες προσωπικότητες επώνυμες σε άλλα πεδία της επι-
στημονικής ή κοινωνικής δράσης.

164
Ευχαριστώ τον “δάσκαλο μου”, καθ. Nunzio Allegro του Università degli studi di Pa-
lermo και τον καθ. Umberto Pappalardo του Università degli studi di Napoli “Suor Orsola
Benincasa” για την αμέριστη βοήθεια για την συνέχιση αυτής της έρευνας, την καλή φίλη
Ε. Παλαιολόγου, αρχαιολόγο της Δ΄ΕΠΚΑ-ΥΠΠΟ, τον αγαπητό φίλο Αντ. Βασιλάκη,
αρχαιολόγο της ΚΓ ΕΠΚΑ-ΥΠΠΟ, την προϊσταμένη της ΚΔ ΕΠΚΑ-ΥΠΠΟ, κα.
Αποστολάκου, τις αρχαιολόγους κα. Β. Ζωγραφάκη, Χρ.Σοφιανού, αλλά και το
προσωπικό της Εθνικής Βιβλιοθήκης της Ελλάδας (Αθήνα) και της Βικελαίας Δημοτικής
Βιβλιοθήκης (Ηράκλειο Κρήτης) για τις διευκολύνσεις στα αρχεία των ελληνικών
εφημερίδων.
165
Από τα πιο χαρακτηριστικά παρόμοια δημοσιεύματα είναι αυτό που φέρει την υπο-
γραφή του Στ. Κουμανούδη και αναφέρεται σε εύρημα που κατασχέθηκε στον Πειραιά το
οποίο και παρουσιάζει στην εφημερίδα Το Άστυ (Το Άστυ, αρ.φύλ.129, «Το κατασχε-θένεν
αγαλματιον», Σ (ς΄), 13.03.1888:3). Στην επόμενη σελίδα του ίδιου φύλλου δημο-σιεύεται
και το σχέδιο του.

101
Δηλαδή η ενδιαφέρουσα πληροφορία που προκύπτει
από το αποδελτιωμένο υλικό και που εντάσσεται μέσα
στα χρονικά πλαίσια που επέλεξα166 είναι ότι τα θέματα
αυτά αποτελούν ένα σημαντικό πρόβλημα της εποχής και
γι’ αυτό ακριβώς προκαλούν και το ενδιαφέρον των
εφημερίδων και κατά προέκταση και του αναγνωστικού
κοινού167.
Η αρχαιοκαπηλία όμως και οι καταστροφές των
αρχαιοτήτων δεν προκαλούσαν μόνο το ενδιαφέρον των
εφημερίδων και του αναγνωστικού κοινού. Από τη
σχετική βιβλιογραφία προκύπτει ότι τα θέματα αυτά
απασχολούσαν και τους ερευνητές, οι οποίοι προσ-
παθούσαν μέσα στο συγκεκριμένο πλαίσιο της εποχής να
δημιουργήσουν τις συνθήκες εκείνες που θα τους
επέτρεπαν να ελέγξουν ως ένα βαθμό το πρόβλημα. Η
βιβλιογραφία αυτή φυσικά σε ένα σημαντικό της τμήμα
αναφέρει κυρίως την επίσημη εκδοχή, όπως αυτή
προκύπτει για παράδειγμα από τις λογοδοσίες του
προεδρείου της Αρχαιολογικής Εταιρείας168 (Αλήθεια,

166
Ιδιαίτερα κατά την περίοδο που σηματοδοτείται από την κλοπή της Νομισματικής
Συλλογής έως και το 1896 χρονιά κατά την οποία τροποποιήθηκε ο νόμος του 1893 που
αφορούσε τις αναγκαστικές απαλλοτριώσεις (Κόκκου 1977:134) οι εφημερίδες μέσα από
τις στήλες τους αναδεικνύουν συστηματικά και προβάλλουν το πρόβλημα της
αρχαιοκαπηλίας. Χωρίς αυτό να σημαίνει ότι στις προηγούμενες ή στις επόμενες
περιόδους απουσίαζε η σχετική ειδησεογραφία. Άλλωστε το συγκεκριμένο πρόβλημα
εξακολουθεί να υφίσταται και κατά τη διάρκεια του 20ου αιώνα προκαλώντας τις ίδιες
πάντα αντιδράσεις από το μέρος των εφημερίδων και πλούσια αρθρογραφία για να
αναφέρω ενδεικτικά Καθημερινή, «Τα γεγονότα της ημέρας. Αρχαία μεγάλης τέχνης
εξήγοντο υπό αρχαιοκαπήλων εξ Ελλάδος και επωλούντο εις το εξωτερικόν. Πως
ανεκαλύφθη μία μεγάλη σπείρα», 11.01.1933:3).
167
Ένα κοινό δηλαδή που παρουσιάζει σημαντικές επιμέρους διαφοροποιήσεις και σε
καμιά περίπτωση δε θα μπορούσε να χαρακτηριστεί ως ομοιογενές και ιδιαίτερα
ευαίσθητο σε αρχαιολογικά θέματα με ειδικό περιεχόμενο και το οποίο οι εφημερίδες
προσπαθούν να το ευαισθητοποιήσουν δημοσιεύοντας διάφορα κείμενα (Το Άστυ, αρ.
φύλ.139, «Αρχαιοκαπηλικά», Ηρώδης ο Αττικός, 21.05.1888:2) ακόμα και με τη μορφή
του ποιητικού λόγου σχετικά με το φαινόμενο της αρχαιοκαπηλίας. Το πρώτο σχετικό
ποίημα δημοσιεύεται στην εφημερίδα Παλιγγενεσία στα 1874 (Κόκκου 1977:126) και το
υπογράφει ο Α. Ι. Αντωνιάδης (Παλιγγενεσία, αρ.φύλ.3089, «Εις τους αρχαιοκάπη-λους»,
Α.Ι. Αντωνιάδης, 12.12.1874:2).
168
Πολύ συχνά στον Τύπο με διάφορες αφορμές, όπως η έκδοση των Πρακτικών της
Εταιρείας, δημοσιεύονται ακόμα και αποσπάσματα από τις ομιλίες του προεδρείου της
Εταιρείας. Δε λείπουν μάλιστα και οι σχετικές προτροπές προς το αναγνωστικό κοινό να
ασχοληθεί με το θέμα διαβάζοντας τις ομιλίες αυτές.

102
αρ.φύλ.2260, «Η Αρχαιολογική Εταιρία», 15.11.1874:2) ή
ακόμα και από τις εκδόσεις που καταγράφουν τις
δραστηριότητες ή τις επετείους της (Καστόρχης 1879:80-
85).

Η ίδια περίπου εικόνα με περισσότερες όμως λεπτο-


μέρειες, όσον αφορά τόσο την ταυτότητα των προσώ-
πων που εμπλέκονται στις δραστηριότητες αυτές όσο και
τις περιγραφές των αρχαιοτήτων που συχνά είναι πολύ
συνοπτικές, αποτυπώνεται και στις εφημερίδες, οι οποίες
παρουσιάζουν συνήθως συγκεκριμένα γεγονότα που
έχουν καταγραφεί από τις επίσημες κυρίως πηγές
πληροφόρησής τους, χωρίς να είναι σπάνιες και οι
περιπτώσεις αυτές κατά τις οποίες η ενημέρωσή τους
προέρχεται ακόμα και από τις επιστολές που τους
απευθύνουν οι αναγνώστες τους και τις συμπεριλαμ-
βάνουν στην ύλη τους.
Χαρακτηριστικό παράδειγμα είναι η ανώνυμη επι-
στολή που δημοσιεύθηκε στα 1884 στην εφημερίδα
Εθνικόν Πνεύμα και καταγγέλλει την κλοπή δύο ανα-
γλύφων από την Οίτυλο. Στο ίδιο πλαίσιο θα πρέπει να
ενταχθούν όσον αφορά τον 19ο αιώνα και οι πληροφο-
ρίες που αντλούν οι εφημερίδες από δικές του ιδιαίτε-
ρες πηγές169, που πολλές σχετίζονται με το δίκτυο των
προσωπικών επαφών που διατηρούν κατά τόπους και δε
θα μπορούσαν ακόμα να χαρακτηριστούν ως αντα-
ποκριτές. Οι ειδήσεις αυτές περιέχουν φράσεις, όπως «ως
λέγουσι» ή «ιδιαίτερον τηλεγράφημα» κά. Βέβαια αυτό δε
σημαίνει ότι η αρθρογραφία όλων των εφημερίδων
περιορίζεται μόνο στην περιγραφή αυτής της πραγματι-
κότητας που προκύπτει μέσα από τα διάφορα γεγονότα

169
Οι οποίες μπορεί να προκύψουν και τυχαία, όπως για παράδειγμα οι πληροφορίες οι
σχετικές με ένα ανάγλυφο που βρέθηκε στο Μοσχάτο και που τιςπαραχώρησε «εκ του
προχείρου» ο Ι. Σβορώνος σε συντάκτη της εφημερίδας Το Άστυ με τον οποίο συναντή-
θηκε έξω από τη διεύθυνση της αστυνομίας (Το Άστυ, αρ.φύλ.916, «Το παρά το Μοσχά-
τον ανακαλυφθέν αναγλυφών»,14/15.05.1893:2)

103
αρχαιοκαπηλίας ή καταστροφής αρχαιοτήτων που
δημοσιοποιούν. Θα πρέπει επίσης να σημειωθεί ότι δε
λείπουν ακόμα και τα δημοσιεύματα εκείνα, μέσω των
οποίων η μία εφημερίδα ασκεί κριτική σε μία άλλη για τη
στάση που τηρεί στο συγκεκριμένο ζήτημα.
Ένα χαρακτηριστικό παράδειγμα σχετικό με το θέμα
αυτό είναι δημοσίευμα της Παλιγγενεσίας στα 1884, στο
οποίο καταγράφεται η άποψή της, ότι δηλαδή η
εφημερίδα Εφημερίς ενστερνιζόμενη «καθηγετικήν
σοφίαν» παρεκκλίνει από την πορεία που χάραξε υπέρ
της προστασίας των αρχαιοτήτων και δηλώνει ότι την
προτιμά πιο μαχητική (Παλιγγενεσία, αρ.φύλ. 5910,
«Αρχαιολογικά», 15.02.1884:2). Φυσικά η στάση αυτή
της εφημερίδας Εφημερίς στη συγκεκριμένη χρονική
στιγμή υπαγορεύτηκε από περιστασιακές σκοπιμότητες
και σε καμία περίπτωση δεν ταυτίζεται με τη γενικότερή
της θέση πάνω στο πρόβλημα. Η ίδια άλλωστε λίγα
χρόνια αργότερα σημειώνει χαρακτηριστικά στην πρώτη
παράγραφο σχετικού δημοσιεύματος: «Αναλαβόντες διά
της “Εφημερίδος” τον κατά των Ελλήνων αρχαιοκάπηλων
αγώνα…» (Εφημερίς, αρ.φύλ.145, «Η αρχαιοκαπηλία είνε
κακούργημα», 24.05.1888:1) προσδιορίζοντας με σαφή-
νεια την ειδησεογραφική της στρατηγική.

Οι διαστάσεις που είχε πάρει το φαινόμενο της


αρχαιοκαπηλίας στην ελληνική κοινωνία και η εμπλοκή
σε αρκετές περιπτώσεις ακόμα και επωνύμων προ-
σώπων δημιουργούσαν το πλαίσιο για τη συστηματική
ανάδειξη του προβλήματος από τις εφημερίδες, οι οποί-
ες καυτηρίαζαν έντονα την τάση που επικρατούσε στην
κοινωνία για εύκολο πλουτισμό και στιγμάτιζαν συγκε-
κριμένες πρακτικές. Ένα δημοσίευμα με τέτοιο περιε-
χόμενο είναι αυτό που παρουσιάζεται από την εφημερί-
δα Νέα Εφημερίς τον Δεκέμβριο του 1884 και στο οποίο
επισημαίνεται ότι η αρχαιοκαπηλία είναι σχεδόν «à la

104
mode»: «Εκτός των υπό του δημοσίου κατηγόρου
κατασχεθέντων αρχαίων αγγείων, περί ων είπομεν,
ωσαύτως κατεσχέθησαν εις χείρας ετέρου αρχαιοκαπήλου
διάφοροι αρχαιότητες σπάνιαι και πρωτοφανείς ίσως.
Δυστυχώς η αρχαιοκαπηλία κατήντησεν αληθής επιστήμη
και είναι μάλιστα a la mode, τινά δε πρόσωπα υψηλήν
κατέχοντα θέσιν εν τη ημετέρα κοινωνία, κατορθώνουν
και αποστέλλουσι τους πολυτίμους ελληνικούς θησαυρούς
εις το εξωτερικόν, εις τούτο μάλλον ασχολούμενοι και
τούτο θεωρούντες αποστολήν των κύριαν.» (Νέα
Εφημερίς, αρ.φύλ.336, 01.12.1884:2).
Σε πολλά από τα σχετικά δημοσιεύματα κατονομά-
ζονται αυτά τα «υψηλά ιστάμενα πρόσωπα», αν και η
δράση τους θα μπορούσε να χαρακτηριστεί ως νομό-
τυπη, όπως για παράδειγμα του καθηγητή Α. Ρουσό-
πουλου170 ή του Π. Λάμπρου (Ακρόπολις, αρ.φύλ.2069,
«Έλληνες αρχαιοκάπηλοι», Γ., 14.02.1888:2, Κόκκου
1977:191-192) που είχε στην κατοχή του και μία ση-
μαντική συλλογή κυρίως από μεσαιωνικά νομίσματα171
(για να αναφέρω ενδεικτικά δύο γνωστά ονόματα, που
συμμετείχαν σε γεγονότα τα οποία δημοσιοποιήθηκαν
από τις εφημερίδες172 και που αποτελούσαν την αφορμή
και την δικαιολογία για να ασχολούνται με παρόμοιες

170
Ο Α. Ρουσόπουλος διατηρούσε στενές μάλλον σχέσεις και με τον πρέσβη της Ρωσίας
P. Saburov, αφού μαζί του επισκέφθηκε στα 1874 τη Σύρο για να εξετάσουν από κοντά το
ψηφιδωτό που αποκαλύφθηκε εκεί, γεγονός για το οποίο αφήνει σαφείς υπαινιγμούς η
εφημερίδα Εφημερίς (Εφημερίς, αρ.φύλ.158,07.03.1874:2).
171
Τη συλλογή αυτή επισκέφθηκε κατά τη διάρκεια της παραμονής του στη Ελλάδα και ο
αυτοκράτορας της Βραζιλίας Δον Πέτρος, είδηση που τη δημοσίευσαν όλες σχεδόν οι
εφημερίδες που αποδελτιώθηκαν (Εφημερίς, αρ.φύλ.285, 11.101.1876:1, Αυγή, αρ.φύλ,
4254, 11.10.1876:3, Στοά, αρ.φύλ.250 (979), 13.10.1876:1).
172
Από τη σχετική ειδησεογραφία η οποία είναι ιδιαίτερα πλούσια κατά το 1888 στα-
χυολογούνται δημοσιεύματα που αναφέρονται σε καταγγελίες για πωλήσεις στο εξωτε-
ρικό τμημάτων σημαντικών αρχαιολογικών συλλογών που είχαν στην κατοχή τους
προσωπικότητες της εποχής, όπως ο Αλ. Ραγκαβής, ο Σ. Κόμνος και ο Κ. Καραπάνος,
χωρίς όμως αυτές να παίρνουν τελικά έκταση και να επιβεβαιώνονται με πολύ συγκε-
κριμένα στοιχεία. Σε ένα από αυτά τα δημοσιεύματα η εφημερίδα καταχώρησε και τις
επιστολές που της απηύθυναν ως απάντηση τα παραπάνω πρόσωπα (Εφημερίς, αρ.φύλ.
145, «Αρχαιοκαπηλικαί αποκαλύψεις», 24.05.1888:1, αρ.φύλ.146, «Αρχαιοκαπηλικαί
αποκαλύψεις», 25.05.1888:1-2).

105
παράνομες δραστηριότητες και απλοί άνθρωποι του λαού
οι οποίοι δεν έμεναν πάντοτε ατιμώρητοι). Οι ειδήσεις
αυτού του είδους με αναφορά σε συγκεκριμένες πια
ποινές αρχίζουν να εμφανίζονται πιο συστηματικά προς
το τέλος του 19ου αιώνα.
Μέχρι τότε οι ειδησεογραφικές πληροφορίες περιο-
ρίζονται κυρίως στη συνοπτική περιγραφή των γε-
γονότων που αφορούν τις κατασχέσεις των αρχαιο-
τήτων, ιδιαίτερα όταν αυτές αφορούν αγάλματα και
στήλες. Ένα τέτοιο χαρακτηριστικό παράδειγμα, αν και
λίγο μεταγενέστερο της εποχής στην οποία αναφέρομαι,
είναι η κατάσχεση αρχαιοτήτων στην Κερατέα. Η
ειδησεογραφική παρουσίαση του όλου γεγονότος εντάσ-
σεται στο πλαίσιο των αλλαγών που άρχισαν να επικρα-
τούν σταδιακά ήδη από τη δεκαετία του 1880 στην ελ-
ληνική εφημεριδογραφία και αναφέρομαι στα στοιχεία
εκείνα που μορφοποιούν τo οποιοδήποτε γεγονός σε
ιστορία.
Έτσι στο συγκεκριμένο παράδειγμα παρουσιάζεται
όλο το ιστορικό της κατάσχεσης, με αναφορές και στις
ενέργειες που προηγήθηκαν αυτής, ενώ δεν λείπουν και
στοιχεία όπως «…Ο κ. Στάικος (διευθυντής της αστυ-
νομίας) είνε ενθουσιασμένος διά την επιτυχίαν ταύτην διά
της οποίας διεσώθησαν ευρήματα μεγάλης αξίας...», αλλά
και σχετικά λεπτομερής περιγραφή των ευρημάτων,
καθώς και η πληροφορία ότι «εσχηματίσθη πεποίθησις»
ότι στο σημείο εκείνο υπάρχουν και άλλες αρχαιότητες
που θα έρθουν στο φως με ανασκαφή (Εστία,
αρ.φύλ.144, «Σπουδαία αρχαιολογικά ευρήματα κατα-
σχέθησαν εις την Κερατέαν», 23.07.1900:3). Την επό-
μενη ημέρα, παράλληλα με τη δημοσίευση του σχεδίου
των ευρημάτων στην πρώτη σελίδα της εφημερίδας, στην
τέταρτη υπάρχει μία ακόμα είδηση σχετικά με το γεγονός
αυτό, η οποία αναφέρεται στην χρηματική αμοιβή που θα
δοθεί προφανώς ως κίνητρο από την Αρχαιολογική

106
Εταιρεία «Εις τον καταδώσαντα τας εν Κερατέα
αρχαιότητας…» αλλά και στους αστυνομικούς που
συνέβαλαν στην επιτυχία του όλου εγχειρήματος (Εστία,
αρ.φύλ.144, «Διά τας αρχαιότητας», 24.07. 1900:3).

Την αφορμή όμως για να στιγματίσουν την αρχαιο-


καπηλική δράση οι εφημερίδες δεν την έπαιρναν μόνο
από τις κατασχέσεις των αρχαιοτήτων που συνήθως
πραγματοποιούσε η αστυνομία, αλλά και από γεγονότα
που συνδέονταν έμμεσα με την αρχαιοκαπηλία και ήταν,
βέβαια, το φυσικό αποτέλεσμά της όπως π.χ. οι πωλήσεις
συλλογών, για τις οποίες το ερώτημα που προβάλλεται
συνήθως ειδησεογραφικά δεν είναι πώς και κάτω από
ποιες συνθήκες δημιουργήθηκαν, αλλά πώς μεταφέρ-
θηκαν για να πουληθούν στο εξωτερικό. Η είδηση της
πώλησης μίας τέτοιας συλλογής (εικ. 223), της οποίας
όμως δεν κατονομάζεται ο ιδιοκτήτης, ήταν προφανώς
μία από τις αφορμές που έδωσαν την ευκαιρία στις
εφημερίδες να ασχοληθούν συστηματικά με την ειδησεο-
γραφική προβολή της αρχαιοκαπηλίας κατά το 1876,
χωρίς αυτό να σημαίνει ότι τα προηγούμενα χρόνια το
θέμα δεν απασχολούσε τον Τύπο. Κυριαρχούσε όμως η
σχετική αρθρογραφία και όχι η αναφορά σε συγκεκρι-
μένα γεγονότα (Παλιγγενεσία, αρ.φύλ.2842, «Μέριμνα
υπέρ αρχαιοτήτων.», 27.12.1873:2-3, Παλιγγενεσία, αρ.
φύλ.3080, «Οι αρχαιοκάπηλοι.» 21.11. 1874:2-3, Στοά,
αρ.φύλ.269, 02.11.1875:2, Αυγή, αρ. φύλ.3782, «Αρχαιο-
κάπηλοι.», 29.11.1874:1).

Συλλογές αρχαιοτήτων173 είχαν αποκτήσει πολλοί,


σημαντικότερες από τις οποίες ήταν αυτές που δη-
μιούργησαν στην Ελλάδα και την Κύπρο κατά τη

173
Σχετικά με τον τρόπο που λειτουργούσαν οι ιδιωτικές συλλογές και τον έλεγχο που
ασκούσε η πολιτεία βλ. Ακρόπολις, αρ.φύλ.2080, «Αι ιδιωτικαί αρχαικολογικαί συλλογαί»,
25.02.1888:2, αρ.φύλ.2093, «Ιδιωτικαί αρχαικολογικαί συλλογαί», 10.03. 1888:2.

107
διάρκεια παραμονής τους ο πρεσβευτής της Ρωσίας P.
Saburov174 και ο πρόξενος της Αμερικής αντίστοιχα Lui-
gi Palma di Cesnola (fig.1)175 (Σιμόπουλος 1993: 356-
360). Και οι δύο αυτές συλλογές προβλήθηκαν αρκετά με
διαφορετικές αφορμές, που θα μπορούσαν να συσχετι-
στούν όμως με το φαινόμενο της αρχαιοκαπηλίας.
Θα πρέπει βέβαια να σημειωθεί ότι παρόλη την
ύπαρξη από τις απαρχές ακόμα της ελληνικής πολιτείας
ενός νομικού πλαισίου αρκετά αυστηρού που συνεχώς
βελτιωνόταν, ιδιαίτερα κατά το τελευταίο τέταρτο του
19ου αιώνα, με νέους νόμους176 και βασιλικά διατάγμα-

174
O P. Saburov, όπως αναφέρθηκε και παραπάνω, διετέλεσε πρεσβευτής της Ρωσίας
στην Αθήνα από το 1870 έως το 1879 σε μία περίοδο, δηλαδή, εξαιρετικά κρίσιμη για τις
ελληνικές εθνικές διεκδικήσεις κατά την οποία επίσης η πολιτική της Ρωσίας έναντι της
Ελλάδας είχε σαφώς διαφοροποιηθεί σε σχέση με το παρελθόν. Οι πολιτικές σκοπιμότητες
της εποχής του έδιναν τη δυνατότητα να κινείτε ελεύθερα στους αρχαιολογικούς κύκλους,
να πραγματοποιεί ανασκαφές και να αποκτά αρχαιότητες χωρίς να ελέγχονται ιδιαίτερα οι
τρόποι με τους οποίους ασκούσε αυτές τις δραστηριότητες που είχαν ως αποτέλεσμα τη
δημιουργία αυτής της σημαντικής συλλογής. Αλγεινή εντύπωση προκάλεσε στην Ελλάδα
η ανακοίνωση της πώλησης της γεγονός που έδωσε την ευκαιρία στην εφημερίδα Αιών να
διατυπώσει κάποιες απόψεις οι οποίες παρουσιάζουν ενδιαφέρον. Στις απόψεις αυτές
αποτυπώνονται οι αντιλήψεις τις οποίες σε γενικές γραμμές ενστερνίζεται του σύνολο του
Τύπου, όπως προκύπτει από το υλικό που μελετήθηκε. Έτσι η δημιουργία συλλογής σε
καμιά περίπτωση δε σχολιάζεται αρνητικά, είναι όμως κατακριτέα η πώληση της,
ιδιαίτερα, όταν αυτή πραγματοποιείται εκτός Ελλάδος, γιατί παραβιάζονται όχι μόνο οι
νόμοι, αλλά και γιατί έμμεσα αποδεικνύεται ότι αυτή δημιουργήθηκε για κερδοσκοπικούς
σκοπούς (Αιών, αρ.φύλ.4427, 20.03.1884:3, Στοά, αρ.φύλ.70, 15.03.1884:1).
175
Οι ανασκαφικές του δραστηριότητες στην Κύπρο (Στοά, αρ.φύλ.29 (758), 06.03.
1876:2) απασχόλησαν τις εφημερίδες με διάφορες αφορμές ιδιαίτερα κατά το 1876
περίοδο κατά την οποία αναπτύχθηκε και η ανασκαφική έρευνα του Ερ. Σλήμαν στις
Μυκήνες. Σε σχετικά δημοσιεύματα (Αυγή, αρ. φύλ. 4287, 29.11.1876:4, Στοά, αρ.φύλ.
297 (1026), 29.11.1876:1, Μέριμνα, αρ. φύλ. 1436, «Ο θησαυρός του Κουρίου», 21.09.
1876:4) επισημαίνεται η ομοιότητα που παρουσιάζουν τα πολύτιμα κειμήλια των
Μυκηνών και της Κύπρου ενώ γίνεται ειδική αναφορά και στο ότι ο χρυσός που βρέθηκε
στους τέσσερις νεκρικούς θαλάμους που έσκαψε ο di Cesnola υπολογίζεται ότι αξίζει
300.000 φράγκα. Η συλλογή αυτή τελικά πουλήθηκε στο Μητροπολιτικό Μουσείο της Ν.
Υόρκης αντί 66.000 αμερικάνικων ταλίρων (Στοά, αρ.φύλ.320 (1049), 22.12.1876:1,
Εθνοφύλαξ, αρ.φύλ.2602, 25.11.1872:2).
176
Συστηματικά προβλήθηκε από τις εφημερίδες στα 1899 η αναγκαιότητα επίσπευσης
του σχετικού νομοθετικού έργου για την πάταξη της αρχαιοκαπηλίας. Από το 1887 χρονιά
που διαπράχθηκε η κλοπή της νομισματικής συλλογής οι εφημερίδες πραγματικά
κατέβαλαν έναν αγώνα πολύ σημαντικό κατά του φαινομένου της αρχαιοκαπηλίας με
συνεχή προβολή των αντίστοιχων θεμάτων που είχε ως αποτέλεσμα το νόμο του 1893 (Το
Άστυ, αρ.φύλ.1014, «Το αρχαιολογικόν νομοσχέδιον», 21.09.1893:2) ο οποίος όμως όπως
προκύπτει πάλι από τη σχετική ειδησεογραφία δε μπόρεσε να το περιορίσει. Η εντύπωση
που προσλαμβάνεται από τη φυλλομέτρηση των εφημερίδων είναι ότι η Ελλάδα ήταν μια
απέραντή αγορά αρχαιοτήτων. Έτσι στα 1899 τέθηκε εκ νέου το ζήτημα ενός πιο

108
τα που αναφέρονταν στην προστασία των αρχαιοτήτων,
εντούτοις μέσα από τη σχετική ειδησεογραφία διαπι-
στώνεται ότι ο καθένας μπορούσε να έχει τυπικά, ως ένα
βαθμό, τη δυνατότητα να πάρει νόμιμη άδεια και να
ενεργήσει ανασκαφή, αν φυσικά μοιραζόταν με το
κράτος τα ευρήματα. Σε αυτό το πλαίσιο θα πρέπει να
αναφερθούν οι ανασκαφικές δραστηριότητες στην Τανά-
γρα τόσο του Ι. Παπαρρηγόπουλου177, όσο και του πρεσ-
βευτή της Ρωσίας P. Saburov.
Δημοσιεύματα μάλιστα της εποχής θεώρησαν βέβαιο
ότι ο πρώτος ενεργούσε για λογαριασμό του. Την
περίοδο αυτή η περιοχή της Τανάγρας αναφερόταν πολύ
συχνά όχι μόνο για τα διάφορα ευρήματα που
αποκαλύπτονταν εκεί και δημοσιοποιούνταν αμέσως,
όπως: «…γεωργός τις αροτριών ανεκάλυψε άγαλμα σώον
μετρίου μεγέθους όπερ ο εκεί ικανός έφορος των
αρχαιοτήτων κ. Π. Σταματάκης απέθεσεν εις το εκεί
Μουσείον.» (Στοά, αρ.φύλ.355, 27.01.1876:1), αλλά
κυρίως για τις λαθραίες ανασκαφές τις οποίες προσπα-

αυστηρού νόμου που θα προστάτευε αποτελεσματικά και τα κινητά ευρήματα. Όλα


σχεδόν τα δημοσιεύματα της εποχής που ασχολούνται με το θέμα αυτό πιέζουν προς την
κατεύθυνση της γρήγορης κατάθεσης του νομοσχεδίου και έχουν ως επωδό «…μεγάλως
δε θ’ αδικήση το Έθνος η παρούσα Κυβέρνησις εάν αναβάλη και πάλιν την υποβολήν
αυτού εις την ψήφον της παρούσης Βουλής.» (Το Άστυ, αρ.φύλ3053, «Το νομοσχέδιον
κατά της αρχαιοκαπηλίας», Φιλάρ-χαιος, 15.05.1899:2).
177
Ο ίδιος απασχόλησε τον Τύπο και αργότερα, γιατί ως ιδιοκτήτης ενός από τους
ιστορικούς λόφους των Αθηνών, του προκαλούσε καταστροφές από τις δραστηριότητές
του με αποτέλεσμα να είναι συχνά πρωταγωνιστής ειδήσεων. Ο τύπος της εποχής
προβάλλοντας το θέμα ειδησεογραφικά πίεζε την κυβέρνηση να προβεί στην αγορά του
συγκεκριμένου λόφου (Λυκαβηττού), αφού ο Ι. Παπαρρηγόπουλος μέσω δημοσι-ευμάτων
διατύπωσε την επιθυμία να πουλήσει την ιδιοκτησία του αυτή, όπως και έγινε (Καιροί,
αρ.φύλ.197, 04.04.1884:1). Για την ανάγκη προστασίας των λόφων αυτών ως «ιερώτατων
προγονικών μνημείων» ήδη από τα 1885 επιτροπή αποτελούμενοι από δημοσιογράφους
και καλλιτέχνες έπεδωσν «αναφορά» στον πρωθυπουργό Δηλιγιάννη (Νέα Εφημερίς,
αρ.φύλ.139, 19.05.1885:3, αρ.φύλ.305, «Καταστροφή αρχαιοτήτων εν μέσαις Αθήναις»,
01.11.1887:3). Για το θέμα αυτό υπάρχει μία πλούσια αρθρογραφία και αναφέρω
ενδεικτικά ορισμένα δημοσιεύματα της εφημερίδας Ακρόπολις σχετικά με το λόφο του
Φιλοπάππου, Ακρόπολις, αρ.φύλ.3581, «Καταδικάσθη εις καταστοφήν ο λόφος του
Φιλοπάππου», 07.01.1892:2, αρ.φύλ.3582, «Ο λόφος του Φιλοπάππου», 08.01.1892:2,
αρ.φύλ.3583, «Ο λόφος του Φιλοπάππου», 09.01.1892:2, αρ.φύλ.3584, «Ο λόφος του
Φιλοπάππου», 10.01.1892:1-2, αρ.φύλ.3585, «Η σωτηρία των αρχαίων λόφων»,
11.01.1892:1, αρ.φύλ.3597, «Ο λόφος του Φιλιπάππου», Α. Μομφεράτος, 24. 01.1892:2-3,
αρ.φύλ.3598, «Ο λόφος του Φιλιπάππου», Α. Μομφεράτος, 25.01.1892: 3.

109
θούσε να αποτρέψει ο Π. Σταματάκης178 (Στοά, αρ.φύλ.
355, 27.01.1876:1). Η άμεση δημοσιοποίηση των γεγο-
νότων πολλές φορές είχε ως αποτέλεσμα τη δημοσίευση
και ανακριβειών. Έτσι το άγαλμα μετρίου μεγέθους που
ανακοίνωσε η παραπάνω είδηση ήταν τελικά ανάγλυφο
σύμφωνα πάντα με την εφημερίδα Βοιωτία, είδηση την
οποία αναδημοσίευσε η Στοά (Στοά, αρ.φύλ.361,
02.02.1876:1).

Μέσα σε αυτό το κλίμα ξεκίνησε ο Ι. Παπαρρηγό-


πουλος τις ανασκαφές, αφού προηγουμένως για να είναι
προφανώς σε πλεονεκτική θέση όσον αφορά τις
διαπραγματεύσεις για την κατοχή τμήματος των ευ-
ρημάτων, αγόρασε τους αγρούς τους οποίους θα
ανέσκαπτε. Η ανασκαφή άρχισε στις 15 Φεβρουαρίου
και σταμάτησε στις 27 του ίδιου μήνα ύστερα από
διαταγή της κυβέρνησης. Σε αυτές τις δώδεκα ημέρες
ανοίχθηκαν 60 τάφοι σύμφωνα πάντα με την ειδησεο-
γραφία και βρέθηκαν περισσότερα από 170 κτερίσματα
και 12 επιτύμβιες επιγραφές. Εκτός από τις επιγραφές οι
οποίες κατατέθηκαν στο τοπικό μουσείο, τα υπόλοιπα
ευρήματα με φροντίδα του Π. Σταματάκη μεταφέρθηκαν
στην Αθήνα «…ίνα εκεί γίνει η κατά νόμον διανομή….»
(Στοά, αρ.φύλ.55 (786), 03.04.1876:1, Εφημερίς, αρ.
φύλ.95, 04.04.1876:3).
Αντίθετα η εφημερίδα Αυγή για το ίδιο γεγονός
δημοσιεύει μία μόνο είδηση προβάλλοντας κυρίως τη
συμφωνία μεταξύ του Ι. Παπαρρηγόπουλου και του

178
Οι λαθραίες ανασκαφές στην Τανάγρα διενεργούνταν συστηματικά τουλάχιστον από
το 1874, όπως προκύπτει από τη σχετική ειδησεογραφία. Είδηση στην εφημερίδα
Εφημερίς πληροφορεί το κοινό για τις καταγγελίες του Π. Σταματάκη προς το υπουργείου
που αφορούν 36 λαθραίες ανασκαφές. Στο ίδιο δημοσίευμα υπάρχει σχόλιο σχετικά με τα
παράπονα που εκφράζονται εναντίον του όσον αφορά τις ενέργειές του αυτές, παράπονα
που οδηγούν την εφημερίδα να εκφράσει την άποψή της για τον έφορο των αρχαιοτήτων
σημειώνοντας ότι: «…Αλλ’ αν εστερούντο η διοίκησις και η αρχαιολογική εταιρία και
τοιούτων υπαλλήλων τόσον εχόντων τον ζήλον, δεν θα μας έμενεν ούτε χαλίκι, αλλ’ όλην
την γην της Ελλάδος θα την εφορτώναμεν εις τα καράβια.» (Εφημερίς, αρ.φύλ.217,
05.05.1874:2).

110
δημοσίου, είδηση που τη δημοσιεύει μία ημέρα αργό-
τερα και η εφημερίδα Εφημερίς, υποβάλλοντας ταυτό-
χρονα σχετικό ερώτημα τόσο στον υπουργό όσο και στην
Παλιγγενεσία (Εφημερίς, αρ.φύλ.77, 17.03.1876:5) γιατί
έγινε μία τέτοια συμφωνία. Το δημοσίευμα αυτό
υποχρέωσε τη Γενική Εφορεία να απαντήσει και κατά
πάσα πιθανότητα υπήρξε η αφορμή για να διακοπεί η
ανασκαφική δραστηριότητα του Ι. Παπαρρηγόπουλου
στην Τανάγρα, στην οποία όμως επέστρεψε αργότερα ο
ίδιος ο P. Saburov, όπως προκύπτει από την ειδησεο-
γραφία της εποχής (Στοά, αρ.φύλ.159 (888), 14.07.
1876:3, αρ.φύλ.248 (976), 11.10.1876:2), για να συνε-
χίσει τις ανασκαφές. Γεγονός που δεν παίρνει ειδησεο-
γραφικά τις ίδιες διαστάσεις, αφού στο μεταξύ άρχισαν
να αναπτύσσονται άλλα αρχαιολογικά γεγονότα, που
σίγουρα θεωρήθηκαν ειδησεογραφικά πιο σημαντικά,
όπως η ανασκαφή της νότιας κλιτύος της Ακρόπολης και
των Μυκηνών, τα οποία επιπλέον δεν είχαν και πολιτικές
προεκτάσεις. Θα πρέπει ωστόσο να σημειωθεί επίσης ότι
παρόλο το θόρυβο που δημιουργήθηκε και τις ευθύνες
που αποδόθηκαν στη ΓΕΑ για τη χορήγηση των
παραπάνω αδειών, η ίδια στα 1877 έδωσε προφανώς την
άδεια να πραγματοποιηθεί στην Τανάγρα ακόμη μία
ανασκαφή, η οποία χρηματοδοτήθηκε και πάλι από
ιδιώτη, από τον Α. Ερνέρη179, για τα ευρήματα της
οποίας ενημερώνεται σχετικά από δική της πηγή η
εφημερίδα Παλιγγενεσία και δημοσιοποιεί την είδηση την
οποία αναδημοσιεύει και η Μέριμνα λίγες ημέρες
αργότερα (Παλιγγενεσία, αρ.φύλ.3768, 04.04. 1877:3,
Μέριμνα, αρ.φύλ.1487, 08.04. 1877:4).
Δεν ήταν όμως μόνο οι πλαγγόνες της Τανάγρας
αυτές που προσέλκυσαν το «αρχαιοκαπηλικό ενδια-
φέρον» (Αλήθεια, αρ.φυλ.2692, 10.08.1876:2, Το Άστυ,

179
Πρόκειται για γνωστό αρχαιοπώλη των Αθηνών ο οποίος αναφέρεται και σε άλλες
περιπτώσεις από την σχετική με την αρχαιοκαπηλία ειδησεογραφία.

111
αρ.φύλ.873, «Αρχαιολογικά ευρήματα. Τρία δοχεία
πήλινα. Δύο πλαγγόνες. Οι αρχαιοκάπηλοι», 02/03.05.
1893:2). Περιοχές, όπως η Κόρινθος, (Ώρα, αρ.φύλ.78,
26.01.1876:2, Εφημερίς, αρ.φύλ.27β, 27.01.1876:2, Νέαι
Ιδέαι, αρ.φύλ.819, 01.01.1881:2, Παλιγγενεσία, αρ.
φύλ.5016, «Περί αρχαιοκαπήλων», Φείδων ο Κορίνθιος,
03.04.1881:3) αλλά και τα Μέγαρα και η Ελευσίνα
(Αλήθεια, αρ.φύλ.2703, «Η τυμβωρυχία», 26.08. 1876:3,
Ώρα, αρ.φύλ.142, 07.03.1876:2) γίνονται κέντρα παρό-
μοιων δραστηριοτήτων. Ιδιαίτερα η πρώτη εμφανίζεται
συστηματικά από το 1875 με συγκεκριμένες καταγγελίες
και θα συνεχίσει να απασχολεί την ειδησεογραφία για
πολλά χρόνια: (Αλήθεια, αρ.φύλ.1990, 18.10.1873:3,
Εφημερίς, αρ.φύλ.23, 23.01.1876:1, αρ. φύλ.27β, 27.01.
1876:2, αρ.φύλ.67, 07.03.1876:3, αρ.φυλ.73, 13.03.
1876:1, αρ.φύλ.76, 16.03.1876:1, Στοά, αρ.φύλ.364,
06.02.1875:3, αρ.φύλ.32 (761),09.03.1876: 1).
Χαρακτηριστικό δημοσίευμα αυτού του κλίματος,
που εξακολουθούσε να αποτυπώνεται ειδησεογραφικά,
είναι αυτό της εφημερίδας Αιών τον Μάρτιο του 1881 με
αφορμή την ανασκαφή του Π. Σταματάκη στον Θορικό.
Στο δημοσίευμα αυτό η εφημερίδα επισημαίνει ότι, αν
βρεθεί ο τάφος ασύλητος, είναι μεγάλο κέρδος για την
επιστήμη, επειδή η αρχαιοκαπηλία δεν ακμάζει μόνο
στην Αθήνα και στην Κόρινθο αλλά και στην υπόλοιπη
Ελλάδα (Αιών, αρ.φυλ.3489, 14.03. 1881:2). Το σχόλιο
αυτό κατά την άποψή μου και με βάση τη σχετική
αποδελτίωση πρέπει να αποτελεί μία από τις πρώτες
αναφορές στις οποίες σημειώνεται ότι ως αποτέλεσμα
της αρχαιοκαπηλίας είναι και η απώλεια των επιστη-
μονικών στοιχείων. Μια τέτοια παρατήρηση έως τότε ή
δε διατυπωνόταν καθόλου από τη σχετική ειδησεογραφία
ή γινόταν συνήθως έμμεσα, κυρίως με τη φράση ότι τα
ευρήματα ήταν σημαντικά από την άποψη της ιστορίας
της τέχνης.

112
Η αύξηση των κρουσμάτων της αρχαιοκαπηλίας,
όπως αύτη καταγράφεται μέσα στη σχετική ειδησεο-
γραφία, θα μπορούσε να αποδοθεί ως ένα βαθμό είτε
στην ανοχή των τοπικών υπευθύνων είτε στην ολιγωρία
της κεντρικής εξουσίας να προχωρήσει στην λήψη
μέτρων που θα εξασφάλιζαν την προστασία, κυρίως των
κινητών αρχαιοτήτων, ακόμα και με νομοθετικό τρόπο.
Μία ολιγωρία που αποτελεί και το αντικείμενο
σχολιασμού του παραθέματος που ακολουθεί: «Φοβεράν
εμπορίαν του υπουργείου της εκπαιδεύσεως μανθάνομεν,
γράφει ο “Νεολόγος” της χθες, και δυσκολευόμεθα
αληθώς να την πιστεύσωμεν˙ τόσον το πράγμα φαίνεται
ημίν τερατώδες. Προ καιρού, ως γνωστόν, είχον
κατασχεθή παρά τω αρχαιοκαπήλω Ξακουστή αγαλμάτιά
τινα εν οπτής γης, περιεργότατα και πολυτιμότατα,
ευρεθέντα εκ παρανόμως γενομένων ανασκαφών εν
Τανάγρα, και αποκείμενα εν τω υπουργείω των
εκκλησιαστικών. Αι αρχαιότητες αύται, περί ων τοσούτος
εν καιρώ εγένετο λόγος, διετέλουν υπό κατάσχεσιν
πάντοτε, ο δε Ξακουστής, παρεπέμφθη μάλιστα διά βου-
λεύματος, όπως δικασθή επί παραβάσει του περί ανα-
σκαφών και αρχαιοτήτων νόμου. Και όμως, ως πληρο-
φορούμεθα, ο κ. επί των εκκλησιαστικών υπουργός επώ-
λησε ταύτας εις τον παρ’ ημίν πρεσβευτήν της Υψ. Πύλης
κ. Φωτιάδην Μπέην, επί τιμήματι 7,000 δραχμών, ων
εννοείται τας μεν ημίσεις θα λάβη το δημόσιον τας δε
άλλας ημίσεις ο κ. Ξακουστής. Διά τι πρώτον και διά τι
δεύτερον να διαρρήξωμεν τα ιμάτια ημών, αν το πράγμα
είνε αληθές; Διότι πωλούνται πράγματα αποτελούντα
σώμα εγκλήματος; Διότι αίρεται παρανόμως κατάσχεσις
νόμιμος; Διότι η κυβέρνησις η ελληνική γίνεται αρχαιο-
κάπηλος; διότι το υπουργείον γίνεται κηδεμών και δια-
χειριστής της περιουσίας ανθρώπου παραπεμπομένου
ενώπιον των ποινικών δικαστηρίων; Αγνοούμεν αληθώς.

113
Ευχόμεθα αι πληροφορίαι ημών να μην ήνε αληθείς, και
αναμένομεν να διαψεύσωσιν αυτάς αι υπουργικαί
εφημερίδες» (Στοά, αρ.φύλ.18, 24.02.1875:3).

Το γεγονός ότι η είδηση δε διαψεύστηκε στο σύνολό


της μας αποκαλύπτει, ως ένα βαθμό, τις επιλογές και τις
μεθόδους του ελληνικού κράτους, για το οποίο ο Εμ.
Λυκούδης στα 1899 επισημαίνει με έμφαση, σε δη-
μοσίευμα που αφορά το νέο νόμο, την αναποτελεσμα-
τικότητα των μέτρων και την έλλειψη αυστηρότερης
νομοθεσίας κατά της αρχαιοκαπηλίας, κυρίως όσον
αφορά τα κινητά ευρήματα (Το Άστυ, αρ.φύλ.3070, «Επί
του σχεδίου νόμου περί αρχαιοτήτων», 01.06.1899: 1).
Η συστηματική δημοσιογραφική προβολή του θέ-
ματος της αρχαιοκαπηλίας την περίοδο αυτή, δηλαδή στα
μέσα της δεκαετίας του 1870, σαφώς και δεν είναι
άσχετη και με τη σύμβαση της ανασκαφής της Ολυμ-
πίας, σύμφωνα με την οποία, όπως σημειώθηκε και στην
αντίστοιχη ενότητα, οι ανασκαφείς είχαν το δικαίωμα να
πάρουν ένα τμήμα από τα διπλά ευρήματα180.
Αυτή η «συμβατική» ρύθμιση ξεσήκωσε θύελλα αν-
τιδράσεων. Τόσο οι εφημερίδες όσο και η αρχαιόφιλη
κοινή γνώμη στην Ελλάδα την κατέκριναν, ενώ ο όρος
αυτός έδωσε την αφορμή να κατηγορηθεί η χώρα

180
Στοιχείο που την περίοδο αυτή σκόπιμα προφανώς αποσιωπήθηκε για να μην
προκληθούν μεγαλύτερες αντιδράσεις κατά της σύμβασης, έτσι η επικαιρότητα
περιορίστηκε κυρίως στο να κατακρίνει τον όρο εκείνο της σύμβασης που αφορούσε τη
δυνατότητα που είχαν οι γερμανού αρχαιολόγοι να προμηθεύονται σε εκμαγεία όλα τα
κινητά ευρήματα. Αντίθετα ιδιαίτερη δημοσιότητα στα 1881 χρονιά που ολοκληρώ-θηκε
το ανασκαφικό πρόγραμμα της Ολυμπίας και θα έπρεπε να υλοποιηθεί και ο όρος που
αφορούσε την παραχώρηση των διπλών ευρημάτων η εφημερίδα Αιών μία μαχητι-κή
ειδησεογραφία. Σε ένα από τα δημοσιεύματά της αυτά μάλιστα κατηγορεί τους αρ-
μοδίους και υπογραμμίζει ότι οι οδηγίες που δόθηκαν εγγράφως στην αρμόδια επιτρο-πή
σχετικά με τη διαλογή αυτή ανέφεραν επίσης ότι θα μπορούσαν να παραδοθούν στη
γερμανική πλευρά και άλλα αρχαιολογικά αντικείμενα τα οποία, αν και δεν ήταν διπλά ή
όμοια, η έλλειψη τους δε δημιουργούσε πρόβλημα στις «εθνικές συλλογές» (Αιών,
αρ.φύλ.3478, 02.03.1881:3-4). Όρος που δεν προβλεπόταν στη σύμβαση θα μπορούσε
όμως να θεωρηθεί ως μία χειρονομία καλής θελήσεως από μέρους της Ελλάδας σε μία
περίοδο που εξελισσόταν η τελευταία πράξη της προσάρτησης της Θεσσαλίας και της
Άρτας.

114
διεθνώς ακόμα και από τον ελληνόγλωσσο Τύπο της
διασποράς για υποκρισία (Στοά, αρ.φύλ.269, 02.11.
1875:2). Τμήμα μάλιστα του Τύπου αυτού κατήγγειλε ως
υποκριτική τη στάση των ελληνικών εφημερίδων και της
κοινής γνώμης που προσπαθούσαν να διαμορφώσουν ως
προς τη σύμβαση, την ίδια στιγμή που η αρχαιοκαπηλία
μάστιζε τη χώρα. Και η υποκρισία αυτή αναφερόταν
φυσικά στην αρχαιοκαπηλία, για την οποία όλοι
γνώριζαν ότι ανθούσε, αφού ιδιωτικές συλλογές και
μουσεία στο εσωτερικό αλλά και στο εξωτερικό συνεχώς
προσέθεταν νέα αποκτήματα πολλά από τα οποία
προέρχονταν από την Ελλάδα. Καταγγελίες για τις
μεταφορές αυτές υπάρχουν διάσπαρτες στον Τύπο, χωρίς
να εντοπίζονται όμως και οι αντίστοιχες αντιδράσεις από
τους υπευθύνους και κατά προέκταση η πολιτική
βούληση για την πάταξη του φαινομένου.
Ένα τέτοιο παράδειγμα είναι η είδηση που
αναδημοσιεύει η εφημερίδα Αυγή από την Μέριμνα στα
1873: «Μετά λύπης αλγεινοτάτης εμάθομεν ότι πολλά της
αρχαιότητος κειμήλια λάθρα υπεξάγονται διά την
αλλοδαπήν, μάλιστα δι’Αγγλίας. Είναι αδύνατον ν’απο-
πλεύση εκ Πειραιώς αγγλικόν πολεμικόν πλοίον άνευ
ικανού αριθμού λειψάνων της αρχαιότητος πολλάκις πο-
λυτιμοτάτων. Τούτο βεβαίως δεν είναι ουδέ άγνωστον, και
ουχί σπανίως η αστυνομική αρχή Πειραιώς ανεκάλυψε την
απαγωγήν και κατέσχε τ’απαγόμενα, εσχάτως όμως, ως
επληροφορήθημεν παρ’ ανδρός όντος εις θέσιν να γνωρίζη
ακριβώς το πράγμα, οι ασεβείς συληταί εις τοσούτο
προέβησαν θρασύτητος, ώστε εν μέση ημέρα επιβιβάζουσι
το ανόσιο εμπόρευμά των εις τον προς ον όρον αδεώς και
τούτο ποιούσι συχνότατα. Συνιστώμεν λοιπόν εις τας
αρμοδίας αρχάς Πειραιώς άγρυπνον προσοχήν, όταν
μάλιστα πρόκειται ν’αναχωρήσωσιν Αγγλικά πλοία, όπως
μη οι ξένοι απογυμνούντες ημάς οσημέρει των προγονικών

115
θησαυρών, κομπάζωσιν άμα ως απατώντες και
χλευάζοντες ημάς.» (Αυγή, αρ.φύλ.3421, 16.06.1873:2).

Συχνά μάλιστα, αργότερα κυρίως, κατονομάζονται


μέσα στις ειδήσεις ακόμα και μέλη των διαφόρων ξένων
σχολών που είχαν εμπλακεί σε παρόμοια περιστατικά.
Για την τεκμηρίωση των στοιχείων αυτών, εκτός από την
τρέχουσα ειδησεογραφία που αναφέρεται σε ονόματα,
όπως ο A. Dumont181 (Αυγή, αρ.φύλ. 3782, «Αρχαιο-
κάπηλοι.», 29.11.1874:1), θα ήθελα να αναφερθώ και σε
ένα δημοσίευμα της εφημερίδας Εφημερίς που είδε το
φως της δημοσιότητας στα 1888 με τον τίτλο «Πώς
αποκτάται εν άγαλμα» και το οποίο ήταν αναδημοσίευση
της γαλλικής εφημερίδας Χρόνος (Temps) (Εφημερίς,
αρ.φύλ.148, «Πως αποκτάται εν άγαλμα», 27.05.1888:5).
Σε αυτό εξιστορείται ένα περιστατικό που αφορά την
πώληση σε γάλλο πρεσβευτή182 αγάλματος και εν
κατακλείδι σημειώνεται «...εδέησε προς τούτο να
συναντηθώσιν εις πρεσβευτής, εμπαθής αρχαιόφιλος, και
εις υπουργός βασιζόμενος επ’αυτού …», γιατί κατά η
γνώμη του συντάκτη του η Γαλλία δε διαθέτει τα
κεφάλαια που δαπανούσαν αντίστοιχα τα άλλα κράτη,
όπως η Γερμανία και η Αγγλία, για την αγορά
αρχαιοτήτων στην Ελλάδα. Σε αυτό ίσως το πλαίσιο να
εντάσσεται και η άρνηση της ίδιας χώρας κατά το 1888,
δηλαδή μετά την κλοπή της νομισματικής συλλογής,
στην αξίωση της ελληνικής δικαστικής αρχής να
διερευνηθεί ο τρόπος με τον οποίο διακινούνται οι
αρχαιότητες στο εσωτερικό της, γιατί θεωρήθηκε ότι ο
νόμος «…ου ζητεί την εφαρμογήν εν Γαλλία, είνε νόμος
αποβλέπον εις ίδια αυτής συμφέροντα και τεθείς εναντίον

181
Ο A. Dumont διετέλεσε διευθυντής της Γαλλικής Σχολής κατά τα έτη 1875-1878.
182
Ο διπλωμάτης στον οποίο αναφέρεται το δημοσίευμα είναι ο Ch. De Mouy πρεσβευτής
της Γαλλίας στην Αθήνα κατά τα έτη 1880-1886. την πληροφορία αυτή την αντλώ από
δημοσίευμα με τον ίδιο τίτλο και σχεδόν όμοιο περιεχόμενο της εφημερίδας Ακρόπολις
Φιλολογική, αρ.φύλ.21, «Πως αποκτάται εν άγαλμα», 19.06. 1888:331.

116
των ξένων κρατών. Ο νόμος ούτος θεσμοθετεί αρχάς εις
άκρον αυθαιρέτους και εντελώς αντικειμένους προς το
φυσικόν δίκαιον….». Άλλωστε συνεχίζει το ίδιο άρθρο,
το οποίο είναι αναδημοσίευση της παρισινής εφημερίδας
Εφημερίς των Συζητήσεων (Journal des Debats), η γαλ-
λική νομοθεσία επιτρέπει την εξαγωγή «των αρχαίων
κειμηλίων της γαλλικής μεγαλοφυΐας», ενώ στην Ελλάδα
όλες οι αρχαιότητες ορίζονται ως έργα του ελληνικού
λαού, τα οποία τα θεωρούν κοινό κτήμα (Εφημερίς,
αρ.φύλ.217, «Το ζήτημα των ελληνικών αρχαιοτήτων εν
Γαλλία», 04.08.1888:3-4).

Με βάση το παραπάνω δημοσίευμα θα μπορούσε να


ισχυριστεί κανείς ότι η συμπεριφορά των ξένων όσον
αφορά το ζήτημα της αρχαιοκαπηλίας δεν ερχόταν
αντιμέτωπη με καθιερωμένες νοοτροπίες και πρακτικές,
αφού και οι αντίστοιχες ξένες κυβερνήσεις, εκτός ίσως
από την Ιταλική, δεν έπαιρναν τα κατάλληλα μέτρα κατά
του εμπορίου αυτού, το οποίο δε χαρακτηριζόταν ως
λαθρεμπόριο. Διαπιστώνεται έτσι ότι η όλη κατάσταση
είναι περισσότερο περίπλοκη από την εικόνα που δίνεται
μέσα από τις ειδήσεις. Η παραβίαση βέβαια της
ελληνικής νομοθεσίας ήταν ένα πρόβλημα, πρωτίστως
όμως αυτή παραβιαζόταν από τους ίδιους τους έλληνες
που πουλούσαν τις αρχαιότητες, πράξη που σε κάθε
ευκαιρία στιγματιζόταν από τα δημοσιεύματα της εποχής
(Εφημερίς, αρ.φύλ.148, «Η Βαβυλών της αρχαιο-
καπηλίας»), γιατί κατά τη γνώμη τους «Οι Έλληνες
αρχαιοκάπηλοι εισιν εκ των πρωτίστων αιτίων, των
συντελούντων εις τον δυσφημισμόν του ελληνικού
ονόματος εν τη Εσπερία….» (Ακρόπολις, αρ.φύλ.2069,
«Έλληνες αρχαιοκάπηλοι», Γ., 14.02. 1888:2).
Στην έξαρση του φαινομένου της αρχαιοκαπηλίας
συνέβαλαν επίσης και οι συχνές πια επισκέψεις περιηγη-

117
τών183, γεγονός που προβλήθηκε ιδιαίτερα από τις
εφημερίδες ως μία θετική εξέλιξη για την Ελλάδα και την
ανάπτυξή της. Άγγλοι και αμερικάνοι έφταναν με τα
ατμόπλοια, γερμανοί επισκέπτονταν την Ολυμπία
(Εθνικόν Πνεύμα, αρ.φυλ.90, 21.04.1884:3, Ώρα, αρ.
φύλ.164, 21.04.1884:2) και οι περισσότεροι από αυτούς,
που σίγουρα δεν ανήκαν στα χαμηλά στρώματα, θα
επιθυμούσαν να πάρουν μαζί τους και κάποιο ενθύμημα,
το οποίο αναζητούσαν και ήταν διατεθειμένοι να
πληρώσουν για να το αποκτήσουν. Αυτή η αναζήτηση
«αναμνηστικών» είχε ως αποτέλεσμα να αναπτυχθεί
παράλληλα με την αρχαιοκαπηλία και η κατασκευή
κίβδηλων αρχαίων αντικειμένων.

Στο σημείο αυτό θα ήθελα να επιστρέψω στο θέμα


που με απασχολεί και να συνεχίσω τις αναφορές μου στο
σχετικό ειδησεογραφικό υλικό. Από το σύνολο σχεδόν
αυτού του υλικού είναι δυνατό να διαπιστωθεί πως η
κριτική στάση των εφημερίδων και η συχνή διατύπωση
σχολίων ακόμα και εναντίον του κράτους σχετικά με το
θέμα της αρχαιοκαπηλίας είναι καθολική και θα
μπορούσε να χαρακτηριστεί και ως ιδιαιτέρως πολεμική.
Παρουσιάζεται μάλιστα, όπως είναι φυσικό άλλωστε, με
οξύ τρόπο, όταν συμπίπτει με σημαντικά γεγονότα, όπως
για παράδειγμα η κλοπή της Νομισματικής Συλλογής
(1887) που έχει ήδη αναφερθεί ή η κλοπή αγαλματιδίου
από το Μουσείο της Ακρόπολης (1884). Η συνεχής
προβολή του θέματος θεωρείται από τις ίδιες ως
επιβεβλημένη και η μόνη οδός για να δοθεί λύση στο
πρόβλημα. Χαρακτηριστικό παράδειγμα αυτής της
τακτικής είναι το παράθεμα που ακολουθεί: «…Σήμερον
επανερχόμεθα εις το ζήτημα φρονούντες ότι δεν πρέπει ν’

Στοιχεία για τους περιηγητές κυρίως για την περίοδο πριν το 1870 και το τι αυτοί
183

αναζητούσαν στην Ελλάδα παρουσιάζονται αναλυτικά στο Stoneman 1996 και στο Gehr-
ke 1996.

118
αφήσωμεν αυτό να κοιμηθή πάλιν τον νήδυμον, αλλ’ότι
ανάγκη κατεπείγουσα είναι να ληφθώσιν όλως διάφορα
μέτρα υποσχόμενα ριζικήν, ει δυνατόν, του κακού
θεραπείαν˙…» (Ακρόπολις, αρ.φύλ.2072, «Τυμβωρύχοι
και αρχαιοκάπηλοι», Χ., 17.02.1888:1).
Θα πρέπει βέβαια να σημειωθεί ότι η κλοπή του
αγαλματιδίου από το μουσείο της Ακρόπολης σε καμιά
περίπτωση δεν προκάλεσε αντίστοιχο κύμα αντιδρά-
σεων, όπως συνέβη με την κλοπή της Νομισματικής
Συλλογής, ίσως γιατί οι συνθήκες δεν ήταν ακόμα τέτοιες
που θα ευνοούσαν την προβολή του γεγονότος και την
πρόκληση καθολικών αντιδράσεων εναντίον του (Στοά,
αρ.φύλ.52, 26.02.1884:2, Αιών, αρ.φύλ. 4399, 15.02.
1884:3), αλλά και επειδή το εύρημα τελικά επιστράφηκε.
Το γεγονός αυτό ήταν όμως η αιτία που οδήγησε σε
παραίτηση τον γενικό έφορο των αρχαιο-τήτων Π.
Ευστρατιάδη (Αιών, αρ.φύλ.4408, 27.02. 1884:3-4) και
παρουσιάζει ενδιαφέρον, γιατί ως ένα βαθμό αντικα-
τοπτρίζει την κατάσταση όσον αφορά τη φροντίδα της
πολιτείας για την προστασία και τη φύλαξη των αρχαιο-
τήτων και κατά προέκταση τις «πολιτικές επιλογές» στα
μουσειακά θέματα.
Παρόμοια θέματα βέβαια συχνά απασχολούν τις
στήλες των εφημερίδων, οι οποίες δε διστάζουν από πολύ
νωρίς να ασκήσουν σκληρή κριτική και να διατυπώσουν
συγκεκριμένες προτάσεις, επειδή πίστευαν ότι το ζήτημα
αυτό στο πλαίσιο της ανάπτυξης της χώρας θα έπρεπε να
είχε τύχει ιδιαίτερης προσοχής, αφού κατά τη γνώμη τους
τα μουσεία θα μπορούσαν να συμβάλουν στη θετική
εικόνα της κυρίως στο εξωτερικό. Η σχετική αρθρο-
γραφία που μελετήθηκε περιλαμβάνει μία ποικιλία
δημοσιευμάτων, από την έκδοση των διαφόρων Β.
Διαταγμάτων έως τον τρόπο έκθεσης των ευρημάτων.
Έτσι η ιδιαίτερη προβολή που είχε από ορισμένες
εφημερίδες το γεγονός της κλοπής του αγαλματιδίου της

119
Ακρόπολης θα μπορούσε να ενταχθεί στο πλαίσιο αυτού
του ενδιαφέροντος.
Η κλοπή αυτή, της οποίας η ακριβής ημερομηνία δεν
είναι γνωστή, καταγράφεται για πρώτη φορά ειδη-
σεογραφικά στις 14 Φεβρουαρίου από την εφημερίδα
Ακρόπολις. Στο δημοσίευμα αυτό η μόνη πληροφορία
που σημειώνεται αφορά τη μετάβαση του υπουργού και
του διευθυντού της αστυνομίας στην Ακρόπολη και την
έναρξη των ανακρίσεων (Ακρόπολις, αρ.φύλ.692, 14.
02.1884:2). Την επόμενη ημέρα η είδηση της κλοπής
δημοσιεύεται και από τις εφημερίδες Αιών και Εφημερίς,
οι οποίες παρουσιάζουν το γεγονός αναλυτικά δίνοντάς
του και άλλες προεκτάσεις ενώ το τοποθετούν χρονικά
γύρω στις 9 Φεβρουαρίου. Σημειώνουν επίσης ότι το
αγαλματίδιο είχε βρεθεί στην Ακρόπολη κατά τη
διάρκεια των ανασκαφών του 1883184, την ευθύνη των
οποίων είχε ο Π. Ευστρατιάδης.
Ο τρόπος που προσεγγίζουν το θέμα και οι δύο
εφημερίδες έχει πολλά κοινά στοιχεία, αφού η κλοπή
αυτή ουσιαστικά τους δίνει την αφορμή να συζητήσουν
το ζήτημα της φύλαξης των αρχαιοτήτων, στο οποίο
όμως η εφημερίδα Αιών δίνει πολιτικές προεκτάσεις. Στο
ίδιο δημοσίευμα παρουσιάζεται το εύρημα και μάλιστα
με βιβλιογραφική παραπομπή, ενώ γίνεται και ειδική
αναφορά σε μια άλλη κλοπή που παρουσιάστηκε από την
εφημερίδα Παλιγγενεσία και αφορούσε κεφαλή
αγάλματος που αποδόθηκε στην Αφροδίτη185 και είχε

184
Τα ευρήματα αυτά είχαν απασχολήσει τον Τύπο και δημοσιεύθηκαν αρκετά άρθρα που
συζητούσαν το τι απεικονίζουν.
185
Η εφημερίδα Παλιγγενεσία δημοσίευσε για το θέμα αυτό τρία άρθρα συντάκτης των
οποίων ήταν ο Μ. Γ. Δήμιτσας (Παλιγγενεσία, αρ.φύλ.5903, «Η κλαπείσα κεφαλή της
Αφροδίτης.», Μ. Γ. Δήμιτσας, 08.02.1884:2, αρ.φύλ.5911, «Και νέα έκδοσις της κλαπείσης
κεφαλής της Αφροδίτης.», Μ. Γ. Δήμιτσας, 16.02.1884:1-2, αρ.φύλ.5940, «Αρχαιολογικά.
Και πάλιν η κλαπείσα κεφαλή της Αφροδίτης.», Μ. Γ. Δήμιτσας, 21.03.1884:2, Ακρόπολις,
αρ.φύλ.690, 11.02.1884:2). Στα δημοσιεύματα αυτά χρησιμο-ποιούνται στοιχεία από την
ειδησεογραφία γερμανικών εφημερίδων και σημειώνεται ότι η κεφαλή της Αφροδίτης
πουλήθηκε και τώρα βρίσκεται στην Βιέννη (Νέα Εφημε-ρίς, αρ.φύλ.148, 28.05.1885:3)
ενώ την χαρακτηρίζει ως αριστούργημα και εύρημα «…εφάμιλλου τω “Ερμή” του

120
βρεθεί σύμφωνα πάντα με την ίδια αρθρογραφία στην
περιοχή μεταξύ της Ακρόπολης και του θεάτρου του
Διονύσου. Συγκρίνοντας τα δύο γεγονότα επισημαίνει ότι
η κλοπή του αγαλματιδίου της Ακρόπολης είναι
«απαισιωτέρα». Η εφημερίδα Εφημερίς αρχίζει την εί-
δηση σημειώνοντας ότι η κλοπή πραγματοποιήθηκε στο
μουσείο στο οποίο υπεύθυνος ήταν ο Π. Ευστρατιάδης,
ενώ το μεγαλύτερο μέρος του δημοσιεύματος αφιερώ-
νεται στον τρόπο και τα μέτρα φύλαξης των μουσείων,
τα οποία θεωρεί ανεπαρκή. Στο ίδιο πάντως δημοσίευμα
παρουσιάζονται και μερικά στοιχεία που αφορούν το πώς
αποκαλύφθηκε η κλοπή (Εφημερίς, αρ. φύλ.46, 15.02.
1884:2). Αντίθετα η εφημερίδα Νέα Εφημερίς ανακοινώ-
νει την είδηση, όπως ακριβώς και η Ακρόπολις την
προηγούμενη ημέρα, και στις έξι σειρές του δημοσιεύμα-
τός της προβάλλει το γεγονός της επίσκεψης του υπουρ-
γού Βουλπιώτη στην Ακρόπολη και τις προσπάθειες που
καταβάλλονται για την ανεύρεση του κλοπιμαίου (Νέα
Εφημερίς, αρ.φύλ.46, 15.02.1884: 2).
Η ειδησεογραφία όμως η σχετική δεν περιορίζεται
μόνο στα δημοσιεύματα που ήδη αναφέρθηκαν, αφού
αρκετές ακόμη εφημερίδες δεν ασχολήθηκαν με το γε-
γονός περιμένοντας ίσως την εξέλιξή του. Μία από αυτές
ήταν και η εφημερίδα Καιροί του Π. Κανελλίδη, η οποία
στις 16 Φεβρουαρίου δημοσιεύει μεν την είδηση περιλη-
πτικά, συμπεριλαμβάνει όμως όλα τα έως τότε γνωστά

Πραξιτέλους…». Επειδή η απώλεια θεωρήθηκε σημαντική η ίδια εφημερίδα γνωρίζοντας


ότι η Εταιρεία έχει τις χαλκογραφίες του ευρήματος πρότεινε να σταλούν αυτές στο
εξωτερικό, ώστε να βρεθεί το εύρημα (Παλιγγενεσία, αρ.φύλ.5911, 16.02.1884:3). Βέβαια,
όπως προκύπτει από τις σχετικές ειδήσεις που δημοσιεύονται αργότερα (Ακρόπολις,
αρ.φύλ.692, «Η νέα κεφαλή της Αφροδίτης» (Επιστολή), Γ. Τ., 14.02.1884:4, Εφημερίς,
αρ.φύλ.44, «Η κεφαλή της Αφροδίτης», Βάσερβεργ, 13.02.1884:2-3) φαίνεται ότι υπήρξε
κάποια παρανόηση από τον Μ. Γ. Δήμιτσα (Παλιγγενεσία, αρ.φύλ.5898, «Αρχαιολογικά.
Α.΄ Κλοπή καλλιτεχνι-κού μνημείου εκ των ανασκαφών της Ακροπόλεως!», Μ. Γ. Δήμιτσας,
01.02.1884:2), το θέμα όμως πήρε τέτοιες διαστάσεις που ανάγκασαν τονπρόεδρο της
Αρχαιολογικής Εταιρείας Σπ. Φιντικλή να το διαψεύσει μέσω του Τύπου. Η ταυτόχρονη
δημοσιο-ποίηση των δύο γεγονότων προκάλεσε αρχικά μία σύγχυση και αρκετές από τις
εφημερίδες τα ταύτισαν.

121
δεδομένα. Το γεγονός παρουσιάζεται με τον ακόλουθο
τρόπο: «Κατά τας πέρυσιν ενεργηθείσας ανασκαφάς κατά
τα ανατολικά μέρη της Ακροπόλεως ευρέθη αγαλματίδιον
εκ μαρμάρου, όπερ δια το σπάνιον και περίεργον απετέθη
εν τω Μουσείω της Ακροπόλεως, εδημοσιεύθη δε και
απεικόνισμα αυτού εν τη Αρχαιολογική Εφημερίδι το
άγγελμα τούτο από του παρελθόντος Σαββάτου εγένοντο
άφαντον εκ του Μουσείου, κλαπέν βεβαίως. Ενεργούνται
υπό της Αστυνομίας δραστήριαι ανακρίσεις επί τούτω.»
(Καιροί, αρ.φύλ.152, 16.02. 1884:3).
Βέβαια το ότι η παραπάνω εφημερίδα δημοσίευσε την
είδηση με το συνήθη τρόπο που παρουσιάζονται οι
αρχαιολογικές ειδήσεις σε αντίθεση με τις δύο
προηγούμενες εφημερίδες (Αιών και Εφημερίς) δε
σημαίνει ότι δεν επανήλθε στο θέμα για να ασκήσει και
αυτή την κριτική της γενικά στο ζήτημα της αρχαιοκα-
πηλίας και να αναφέρει ανάμεσα στα άλλα και μερικά
στοιχεία που αφορούσαν το φυλακτικό προσωπικό και το
επίπεδό του (Καιροί, αρ.φύλ.153, 17.02.1884:1). Θέμα με
το οποίο είχε ήδη ασχοληθεί δημοσίευμα της εφημερίδας
Ακρόπολις την προηγούμενη ημέρα (Ακρόπολις,
αρ.φύλ.694, «Κλοπή αγάλματος», 16.02.1884:3).
Η περιγραφή του προβλήματος αυτού από το μεγα-
λύτερο τμήμα των έγκυρων ειδησεογραφικών εφημε-
ρίδων αποδεικνύει όχι μόνο τη συνειδητοποίηση για
πρώτη ίσως φορά του ρόλου που έπαιζαν οι φύλακες
στην προστασία των μνημείων, αλλά και τα άμεσα μέτρα
που θα έπρεπε να ληφθούν186. Σε τέτοια περιστατικά
ενδεχομένως θα πρέπει να αναζητηθούν και κάποιες από
τις αιτίες που οδήγησαν σταδιακά σε αποφάσεις σχετικές
(Πρωία, αρ.φυλ.2061, 08.12.1885:1-2) με τα ωράρια
λειτουργίας των μουσείων ή την ενδυμασία των φυλάκων

186
Θέμα που απασχόλησε τον Τύπο και αργότερα μετά τα γεγονότα που αφορούσαν την
κλοπή της Νομισματικής Συλλογής (Ακρόπολις, αρ.φύλ.1963, «Η φρούρησις των
μουσείων μας», Κ., 01.11.1887:2).

122
και την αύξηση του αριθμού τους ήδη από τα μέσα της
δεκαετίας του 1880 (Κόκκου 1977:130,132).
Το δημοσίευμα όμως της Ακροπόλεως δε περιορί-
ζεται μόνο στα σχόλια τα σχετικά με τους φύλακες, αλλά
σημειώνει ότι θα πρέπει να τιμωρηθούν από τον υπουργό
και οι υπεύθυνοι υπάλληλοι υποδεικνύοντας ίσως έμμεσα
τον Γενικό Έφορο των Αρχαιοτήτων. Άποψη που δε
διατυπώθηκε από καμιά άλλη εφημερίδα από αυτές που
αποδελτιώθηκαν, οι οποίες περιορίστηκαν σε γενικές
αναφορές στο πρόβλημα της αρχαιοκαπηλίας και στις
κοινωνικές διαστάσεις του ζητήματος. Το ίδιο
δημοσίευμα πρότεινε επίσης πρακτικούς τρόπους
αποθήκευσης και έκθεσης των ευρημάτων.
Με την ειδησεογραφική προβολή όλων αυτών των
γεγονότων θα πρέπει να αναπτύχθηκε μία έντονη
φημολογία στην αθηναϊκή κοινωνία σχετική με το τι
τελικά κλάπηκε από το μουσείο της Ακρόπολης, γεγονός
που οδήγησε την Αστυνομική Διεύθυνση στην έκδοση
δελτίου Τύπου με το οποίο διαψεύδει τις φήμες που
έκαναν λόγο και για δεύτερη κλοπή στην Ακρόπολη ή
αλλού (Ώρα, αρ.φύλ.112, 29.02.1884:2) την είδηση αυτή
είχε δημοσιεύσει η εφημερίδα Ακρόπολις (Ακρόπολις,
αρ.φύλ.699, 23.02.1884:2). Ορισμένες από τις
εφημερίδες, κυρίως οι αντιτρικουπικές (Αιών, Καιροί,
Πρωία, αλλά και ορισμένες άλλες, όπως η εφημερίδα
Εφημερίς, που χαρακτηριζόταν από την Πρωία ως
τρικουπική), διατύπωσαν άμεσα ή έμμεσα την άποψη ότι
οι έρευνες που διενεργούνται από τις αρμόδιες αρχές για
τη διαλεύκανση της υπόθεσης δε θα έχουν θετικά
αποτελέσματα. Παρόλα αυτά σε άλλες εφημερίδες
δημοσιεύονται ειδήσεις σχετικά με αυτές, όπως:
«…Ενεργούνται ανακρίσεις υπό της μοιραρχίας Αττικής
διά την κλοπήν του εκ του μουσείου της Ακροπόλεως
πολυτίμου αγάλματος. Συνελήφθησαν δε ήδη τινές ως
ύποπτοι, εν οις και ο παρά την είσοδον της Ακροπόλεως

123
πωλών μάρμαρα και αρχαίας υδρίας Μελιταίας
Γκιουζέπος.» (Στοά, αρ.φύλ.49, 23.02.1884:2).
Θα πρέπει βέβαια να σημειωθεί ότι η σχετική ειδη-
σεογραφία σταδιακά μειώνεται, αφού η απουσία νέων
δεδομένων δε δημιουργεί τις συνθήκες εκείνες για προ-
βολή του γεγονότος. Το θέμα επανέρχεται όμως στην
επικαιρότητα στις αρχές Μαρτίου, όταν το εύρημα επι-
στρέφεται από τον βουλευτή της Άρτας Κ. Καραπάνο
στο μουσείο της Ακρόπολης, είδηση που τη δημο-
σιεύουν ακόμα και οι εφημερίδες που πρόβαλλαν ελά-
χιστα (Παλιγγενεσία, αρ.φύλ.5925, 03.03.1884:3, Ώρα,
αρ.φύλ.115, 03.023.1884:3, Στοά, αρ.φύλ.59, 04.03.
1884:1) ή και καθόλου το γεγονός της κλοπής (Εθνικόν
Πνεύμα, αρ.φύλ.54, 03.03.1884:3). Από τις υπόλοιπες οι
περισσότερες περιορίστηκαν στο να παρουσιάσουν μόνο
τα πιο σημαντικά στοιχεία του γεγονότος αυτού, δηλαδή,
ποιος το παρέδωσε, πότε, πού και πόσο το αγόρασε
(Αιών, αρ.φύλ.4413, 03.03.1884:4, Καιροί, αρ. φύλ.167,
04.03.1884:3). Αντίθετα οι εφημερίδες Ακρόπολις και
Νέα Εφημερίς επέλεξαν να προβάλλουν την άρνηση του
βουλευτή Καραπάνου να ομολογήσει το όνομα αυτού
από τον οποίο το αγόρασε, επειδή «έδωκε τον λόγον της
τιμής του περί σιωπής» (Νέα Εφημερίς, αρ.φύλ.64,
04.03.1884:2), διατυπώνοντας ταυτόχρονα πικρόχολα
σχόλια και την άποψη ότι την υπόθεση θα έπρεπε να την
ερευνήσει ο εισαγγελέας (Νέα Εφημερίς, αρ.φύλ.65,
05.03.1884:2-3, Ακρόπολις, αρ.φύλ.713, «Υπόθεσις
αγαλματίου», 10.03.1884:3).

Στο πέρασμα του χρόνου η κατάσταση η οποία


περιγράφηκε παραπάνω δε διαφοροποιείται αισθητά,
αλλάζει όμως ο τρόπος παρουσίασης των ειδήσεων. Έτσι
τις γενικές αναφορές και υποδείξεις, όπως αυτές που
διατυπώνονται στην είδηση που ακολουθεί: «Μαν-
θάνομεν, ότι εξέρχονται από την πόλη μας διάφορα τε-

124
μάχια αρχαιοτήτων αν είναι αληθινόν, ως πληροφορού-
μεθα τι εστί χρεία από επιστάτας και άλλους παρακαλού-
μεν τον Κύριον Έφορον των αρχαιοτήτων να εξετάση
καλώς και να εμποδίση τοιαύτας καταχρήσεις, αν γί-
νωνται.» (Η Φήμη, αρ.φυλ.43, 31.07.1837:2), τις διαδέ-
χονται συγκεκριμένα στοιχεία και καταγγελίες (Ακρό-
πολις, αρ.φύλ.2171, «Στήλη καταγγελιών αρχαιοκαπηλι-
κών.», 27.05.1888:3), ενώ ταυτόχρονα προβάλλεται
περισσότερο έντονα μέσα από τη σχετική αρθρογραφία η
κοινωνική και εθνική διάσταση του ζητήματος, που κατά
τη γνώμη των εφημερίδων αντανακλά όχι μόνο την
αναποτελεσματικότητα του κράτους και των αρμόδιων
υπηρεσιών να προστατέψει τον «εθνικό πλούτο» και να
αναδειχθεί σε φερέγγυο διαχειριστή της πολιτιστικής
κληρονομιάς, αλλά και την ηθική κρίση της κοινωνίας, η
οποία ανέχεται ως ένα βαθμό τέτοιες πρακτικές που
έχουν ως αποτέλεσμα τον εύκολο πλουτισμό και
αμαυρώνουν το όνομα της Ελλάδας στο εξωτερικό.
Απόψεις με τέτοιο περιεχόμενο καταγράφονται
συστηματικά ήδη από τη δεκαετία του 1870 μέσα από τις
στήλες των εφημερίδων και συνεχίζουν να διατυπώ-
νονται και τα επόμενα χρόνια με αφορμή κυρίως την
αρχαιοκαπηλία.
Έτσι ακόμα και στα τέλη του 19ου αιώνα οι
εφημερίδες συνεχίζουν να καταγγέλλουν ότι, αν και οι
αρχαιοκάπηλοι είναι γνωστοί, τους αφήνουν να απο-
γυμνώνουν την Ελλάδα από τον εθνικό της πλούτο, όπως
χαρακτηριστικά σημειώνεται σε δημοσίευμα της η
εφημερίδα Το Άστυ στα 1897: «…και ο μόνος πλούτος ο
οποίος απομένει ήδη εις την πτωχήν Ελλάδα, της αρχαίας
ευκλείας αυτής πολύτιμος κληρονομία, κινδυνεύει να
φυγαδευθή και να απογυμνωθή εντελώς η χώρα της ιεράς
παρακαταθήκης…» (Το Άστυ, αρ.φύλ. 2432, «Η
αρχαιοκαπηλία και άλλαι αρχαιότητες», 24.08.1897: 4).

125
Αφορμή για τη δημοσίευση του ήταν η κατάσχεση
κιβωτίων με αρχαιότητες στο τελωνείο του Πειραιά (Το
Άστυ, αρ.φυλ.2427, 18.08.1897: 3). Η εφημερίδα είχε
«απαιτήσει» τότε την απόλυση του υπαλλήλου και, όταν
αυτή πραγματοποιήθηκε, επικρότησε την απόφαση του
υπουργού (Το Άστυ, αρ. φύλ. 2432, «Ο αρχαιοκάπηλος
τελωνοφύλαξ», 24.08.1897: 3). Το στοιχείο αυτό, δηλαδή
η παραδειγματική τιμωρία των ατόμων που εμπλέκονταν
σε αρχαιοκαπηλικές δραστηριότητες, ιδιαίτερα όταν
αυτοί ήταν δημόσιοι υπάλληλοι, είναι κάτι νέο στη
σχετική ειδησεογραφία. Τα προηγούμενα χρόνια στιγμα-
τίζονταν μεν οι πράξεις, για τα άτομα όμως που
συμμετείχαν σε αυτές υπήρχε μία σχετική ανοχή187 όχι
μόνο από τον Τύπο αλλά και από τις ίδιες τις
κυβερνήσεις (Παλιγγενεσία, αρ.φύλ.3995, «Η αρχαιο-
καπηλία.», 22.12.1877:2).
Η σταδιακή αυτή διαφοροποίηση της στάσης των
εφημερίδων συσχετίζεται με συγκεκριμένα γεγονότα που
αφορούσαν το πώς αναπτύχθηκαν και συστηματο-
ποιήθηκαν οι εξαγωγές των αρχαιοτήτων από οργανω-
μένες πια ομάδες με παραρτήματα ακόμα και στο εξω-
τερικό (Ακρόπολις, αρ.φύλ.6987, «Τα νέα αρχαιοκαπη-
λικά σκάνδαλα. Αι αποκαλύψεις της “Εσπερινής”»,
11.08.1901:2, αρ.φύλ.6992, «Αρχαιολογικά», 16.08.
1901:2), αφορούν στην αποστολή προπλασμάτων (Το
Άστυ, αρ.φυλ.2462, «Κατάσχεσις αρχαιοτήτων», 23.09.
1897:3), αλλά και στηλιτεύουν τη διαφθορά της κρατι-
κής μηχανής.

Τέλος θα ήθελα να παρατηρήσω ότι η ειδησεογραφία


που αφορά τα θέματα αρχαιοκαπηλίας ή ακόμα και των

187
Γεγονός που οδηγεί συχνά της εφημερίδες να εφιστούν την προσοχή των αρμόδιων
αρχών, όπως για παράδειγμα στην είδηση που δημοσίευσε η εφημερίδα Εφημερίς των
Συζητήσεων και αναφερόταν στις δραστηριότητες του Ξύδη ένα περίπου μήνα πριν τη
σύλληψή του (Εφημερίς των Συζητήσεων, αρ.φύλ.420, 09.10.1874:4).

126
λαθρανασκαφών δεν περιορίζεται μόνο στην περιγραφή
των γεγονότων, αλλά διατυπώνει απόψεις που θα
μπορούσαν να χαρακτηριστούν και ως θεωρητικές και
είναι δυνατό να τις αναζητήσουμε με τη μορφή των
εξελιγμένων προτάσεων στις σύγχρονες αντιλήψεις για
τις σχέσεις κράτους και αρχαιολόγων, όσον αναφορά την
προστασία της πολιτιστικής κληρονομιάς, η οποία σε
αρκετές περιπτώσεις καθορίζει και τις τελικές
ερευνητικές επιλογές. Ενδεικτικό παράδειγμα της άπο-
ψής μου αυτής είναι το ακόλουθο απόσπασμα δημο-
σιεύματος της εφημερίδας Ακρόπολις: «…Τω όντι τα
αντικείμενα, περί ων είπομεν, ότι εξάγονται συνήθως,
ευρίσκονται εν τοις τάφοις, διότι αυτών η ανασκαφή είναι
εύκολος, εν ω η ναών και άλλων οικοδομημάτων και
χρόνον και δαπάνας απαιτεί πολλάς. Τα ζήτημα λοιπόν
είναι σαφές να παρακωλυθώσιν αι λαθραίαι των ιδιωτών
ανασκαφαί τάφων, να επιληφθή δε το Δημόσιον αυτών.
Δυστυχώς νυν συμβαίνει όλως το εναντίον, διότι σήμερον
πας Έλλην ή βάρβαρος είνε ελεύθερος ν’ ανασκάπτη
τάφους όπου θέλει της Ελλάδος, μόνον δε το δημόσιον
στερείται του προνομίου τούτου..» (Ακρόπολις,
αρ.φύλ.2072, «Τυμβωρύχοι και αρχαιοκάπηλοι» Χ.
17.02.1888:1).
Από τις ειδήσεις της εποχής προκύπτει επίσης ότι
παράλληλα και ως αποτέλεσμα της αρχαιοκαπηλίας
αναπτύχθηκαν και δύο άλλες δραστηριότητες: οι αγορές
και οι δωρεές αρχαιοτήτων καθώς και η κατασκευή των
κίβδηλων αρχαίων αντικειμένων.
Ειδήσεις σχετικές με αυτές τις δραστηριότητες
έβλεπαν πολύ συχνά το φως της δημοσιότητας και για
κάθε μία από αυτές διατυπώνονταν σημαντικές απόψεις,
που από τη μία πλευρά είχαν ως στόχο να ενθαρρύνουν
όσους είχαν τη δυνατότητα να δωρίσουν αρχαία
αντικείμενα και από την άλλη να αποθαρρύνουν αυτούς
που είχαν ως σκοπό να εκμεταλλευτούν τις παράνομες

127
δραστηριότητες της αρχαιοκαπηλίας διοχετεύοντας στην
«αγορά» ακόμα και κίβδηλες αρχαιότητες που τις
κατασκεύαζαν, όπως προκύπτει από τη σχετική ει-
δησεογραφία (Αυγή, αρ.φύλ.4291, 04.12.1876:4), κατά
πάσα πιθανότητα οργανωμένες ομάδες που είχαν σχέ-
σεις με τους αρχαιοπώλες της εποχής.
Όσον αφορά τα θέματα των δωρεών οι εφημερίδες
δημοσίευαν ακόμα και ολόκληρους τους καταλόγους των
αρχαίων αντικειμένων που είχαν δωρηθεί στην
Αρχαιολογική Εταιρεία ή στη ΓΕΑ (Παλιγγενεσία, αρ.
φύλ.2466, «Αρχαιολογικά», 04.07.1872:2).
Ένα τέτοιο παράδειγμα είναι τα δημοσιεύματα της
εφημερίδας Εφημερίς με τον τίτλο «Αρχαιολογικά», τα
οποία τα υπογράφει ο Π. Σταματάκης (Εφημερίς, αρ.
φύλ.115, «Αρχαιολογικά», 23.01.1874:4, αρ.φύλ.139,
«Αρχαιολογικά», 16.02.1874:5-6, αρ.φύλ.251, «Αρχαιο-
λογικά», 08.06.1874:4-5, αρ.φύλ.445, «Αρχαιολογικά»,
Π. Σταματάκης, 19.12.1874:3, αρ.φύλ.46, «Αρχαιολο-
γικά», 15.02.1875:7, αρ.φύλ.48, «Αρχαιολογικά», 17.
02.1875:3-4, αρ.φύλ.49, «Αρχαιολογικά», 18.02.1875:6,
αρ.φύλ.114, «Αρχαιολογικά», 24.04.1875:3).
Υπάρχουν επίσης πολλές ειδήσεις σχετικές με το θέμα
που δημοσιεύονται από το σύνολο του Τύπου και
συνήθως δεν έχουν τίτλο. Στην ουσία πρόκειται για την
περιληπτική δημοσίευση των ανακοινώσεων ή των
δελτίων Τύπου που εκδίδουν η Αρχαιολογική Εταιρεία, η
Νομισματική Συλλογή και αργότερα η Χριστιανική
Αρχαιολογική Εταιρεία188. Η έκταση τους και τα σχόλια
που διατυπώνουν οι συντάκτες για αυτές εξαρτάται από
τις επιλογές της κάθε εφημερίδας και την προβολή που οι
ίδιες επιδιώκουν να δώσουν στα γεγονότα αυτά. Για
παράδειγμα εφημερίδες, όπως ο Αιών και η Εφημερίς,
στήριξαν και πρόβαλαν συστηματικά τις πρωτοβουλίες

188
Από τη δεκαετία του 1890 και μετά κυριαρχούν οι ειδήσεις που αφορούν τις δωρεές
αρχαιοτήτων προς την Χριστιανική Αρχαιολογική Εταιρεία.

128
αυτές των ιδιωτών για τον πλουτισμό των «εθνικών
συλλογών». Από ένα τέτοιο δημοσίευμα της εφημερίδας
Αιών προέρχονται τα σχόλια που παραθέτω: «…Το
παράδειγμα του κ. Κομνηνού, φιλοτιμώς αφιερώσαντος εις
το Μουσείον το αξιόλογον τούτο της τέχνης έργον,
ευχόμεθα να μιμώνται συχνά και άλλοι ιδιώται, όσοι
διατηρούσιν εις τας αυλάς των ή τα εξοχικά αυτών
κτήματα αρχαιότητας, σώζοντες ούτως αυτάς από τε της
φθοράς και της αισχροκερδείας των εις άκρον νυν
αποθρασυνθέντων αρχαιοκαπήλων.» (Αιών, αρ.φύλ.
3862, 25.05.1882:2).
Τα δημοσιεύματα του είδους αυτού, αν και εντοπί-
ζονται συχνά στη δεκαετία του 1870 με τις συγκεκριμέ-
νες αφορμές (Μέριμνα, αρ.φύλ.952, 18.12.1870:3), αυ-
ξάνονται αισθητά κατά τη δεκαετία του 1880.

Ανάμεσα σε αυτούς μάλιστα που δώρισαν αρχαιό-


τητες ήταν και ο βασιλιάς, ο οποίος στα 1884 παραχώ-
ρησε στην Αρχαιολογική Εταιρεία τις αρχαιότητες που
αποκαλύπτονταν στα κτήματά του κατά τη διάρκεια
διαφόρων εργασιών, ενώ ιδιαίτερη αναφορά έγινε στον
Τύπο για τη δωρεά από τον Γεώργιο των παλαιότερων
αρχαιολογικών συλλογών που υπήρχαν στα ανάκτορα
και τις οποίες δημιούργησε κατά τη διάρκεια της βασι-
λείας του ο Όθωνας (Ακρόπολις, αρ.φύλ.733, 01.04.
1884:2, Εφημερίς, αρ.φύλ.91, 31.03.1884:2, αρ. φύλ.92,
01.04.1884:2). Τα συγκεκριμένα γεγονότα προκαλούσαν
ποικίλα ειδησεογραφικά σχόλια ανάλογα με την πολιτική
τοποθέτηση της κάθε εφημερίδας, προβάλλονταν όμως
ιδιαίτερα, γιατί ο ανώτατος πολιτειακός άρχοντας θα
μπορούσε να λειτουργήσει και ως πρότυπο προς αυτήν
την κατεύθυνση.
Δεν ήταν όμως μόνο ο βασιλιάς αυτός που δώριζε
αρχαιότητες. Στα 1887 ο Χ. Τρικούπης παραχώρησε στο

129
μουσείο πτερωτή Νίκη από την Μ. Ασία, που του την
είχε δωρίσει οπαδός του μετά από εκλογική νίκη.
Βέβαια η σχετική ειδησεογραφία δεν περιορίζεται
μόνο στη δημοσιοποίηση των δωρεών. Συχνά ανακοι-
νώνονται μέσω του τύπου και οι αγορές αρχαίων αντι-
κειμένων που πραγματοποιούνταν συνήθως από την
Αρχαιολογική Εταιρεία, αλλά και από τη Γενική Εφο-
ρεία των Αρχαιοτήτων, σε μία μάλιστα περίπτωση δη-
μοσιεύθηκε ως και πρακτικό μίας τέτοιας αγοράς
(Μέριμνα, αρ.φύλ.973, «Πρακτικόν εκτιμήσεως χάλκινου
αγάλματος»,12.03.1871:4).

Χαρακτηριστική επίσης είναι η ειδησεογραφία που


αναφέρεται στην κατασκευή και την πώληση των
κίβδηλων αρχαιολογικών αντικειμένων, μία δραστηριό-
τητα που όπως αναφέρθηκε και πιο πάνω αναπτύχθηκε
στο πλαίσιο της αρχαιοκαπηλίας.
Οι πρώτες σχετικές ειδήσεις που αφορούν κυρίως την
κατασκευή κίβδηλων αρχαίων νομισμάτων εμφανί-
ζονται ήδη από το 1870. Ένα τέτοιο δημοσίευμα είναι
και η επιστολή του Φ. Μαργαρίτη, ζωγράφου, φωτο-
γράφου και συλλέκτη αρχαιοτήτων, που δημοσιεύεται
τον Φεβρουάριο του 1870 στην εφημερίδα Μέριμνα και
έχει ως στόχο να προειδοποιήσει το υπόλοιπο φιλάρχαιο
κοινό ότι στην Αθήνα διακινούνται συστηματικά όχι
μόνο κίβδηλα νομίσματα αλλά και άλλες αρχαιότητες.
«…Διηγούμενος την απάτην εις ην υπέπεσα δεν προτίθεμαι
άλλο, ειμή να την καταστήσω γνωστήν, διά να
προφυλάττωνται οι ερασταί των αρχαίων από τους
κάπηλους, οίτινες μεταχειρίζονται παν μέσον προς
εξαπάτησιν αυτών επ’ ουτιδανή και αισχρά ωφελεία δεν
ήθελον δ’εκθέσει τ’ανωτέρω πειθόμενος μόνον εις εμαυ-
τόν, αλλά, προς πλείονα και ασφαλή πληροφορίαν μου,
έδειξα το περί ου πρόκειται δακτυλίδιον εις άνδραν λίαν
έμπειρον των τοιούτων, όστις άμα το παρετήρησε μετ’

130
επιστασίας και προσοχής, εβεβαίωσε την γνώμην μου….»
(Μέριμνα, αρ.φυλ.867, «Έκθεσις τείνουσα εις προφύλαξιν
των φιλάρχαιων και αγοραστών αρχαιοτήτων», Φ.
Μαργαρίτης, 10.02.1870:2).
Από το δημοσίευμα αυτό προκύπτει επίσης ότι στην
Αθήνα εκείνης της εποχής, όπως εξάλλου συμβαίνει και
σήμερα, υπήρχε ένας μεγάλος αριθμός αρχαιοπωλών,
πολλοί από τους οποίους διακινούσαν εκτός από γνήσια
και κίβδηλα αρχαία αντικείμενα, για να ανταποκριθούν
προφανώς στη ζήτηση των αρχαιόφιλων συλλεκτών που
αναζητούσαν μάλιστα και τις πιο σπάνιες από αυτές, γι’
αυτό το λόγο άλλωστε έπεφταν και πολλές φορές θύματα
των κιβδηλοποιών (Μέριμνα, αρ.φύλ. 869, 17.02.1870:3).
Είδηση που δημοσιεύθηκε και δε διαψεύσθηκε σχε-
τική με τις κίβδηλες αρχαιότητες ήταν αυτή που πα-
ρουσίαζε θύμα ενός τέτοιου περιστατικού την Αρχαιο-
λογική Εταιρεία (Μέριμνα, αρ.φύλ.1172, 03.04.1873: 3).
Στο δημοσίευμα αυτό περιγράφεται όχι μόνο το πώς
απέκτησε η Εταιρεία το συγκεκριμένο κίβδηλο αρχαιο-
λογικό εύρημα που ήταν ένας αττικός αμφορέας με
παράσταση που τον αγόρασε έναντι 1.200 δραχμών,
αλλά και τα γεγονότα της αποκάλυψης αυτού του περι-
στατικού. Σύμφωνα δε με την ίδια είδηση η Αρχαιολο-
γική Εταιρεία και πιο συγκεκριμένα ο Στ. Κουμανούδης,
ο οποίος ήταν υπεύθυνος για τις αγορές αυτές, όπως
προκύπτει και από τις σχετικές αγγελίες που δη-
μοσιεύονταν στον Τύπο, επανειλημμένα αγόρασαν τέ-
τοια αντικείμενα εξαιτίας του «…αρχαιολογικού ζήλου
των….», όπως σχολιάζει χαρακτηριστικά η εφημερίδα.
Η δημοσιοποίηση των δραστηριοτήτων αυτών της
Αρχαιολογικής Εταιρείας σαφώς εντάσσεται στο πλαί-
σιο προβολής του έργου της, αφού συχνά οι εφημερίδες
με αφορμή τέτοιου είδους γεγονότα υπογραμμίζουν την
προσφορά της ως προς τη διάσωση των έργων τέχνης της
ελληνικής κληρονομιάς.

131
Την ίδια περίπου περίοδο η εφημερίδα Εφημερίς δη-
μοσιεύει μία σημαντική είδηση σχετική με τις κίβδηλες
αρχαιότητες, πηγή της οποίας είναι ο Ξ. Λάνδερερ189, ο
οποίος επικοινωνεί με την εφημερίδα για να την πληρο-
φορήσει και στη συνέχεια η ίδια να ενημερώσει το κοινό
εφιστώντας την προσοχή του στο ότι «…πωλούνται εν
Αθήναις, ίσως και αλλαχού, μικροί πήλινοι αρχαίοι
ανθρωπίσκοι, κοινώς κούκλαις ονομαζόμενοι, αντί
πολλών χιλιάδων δραχμών. Τούτων τα φορέματα,
καθίσματα, αι της κεφαλής τρίχες, αι οφρύς μέχρι της
κόρης του οφθαλμού είνε κεκχρωματισμέναι ως δήθεν
αρχαίαι υπό απειροκάλου χειρός. Τοιαύται ηγοράσθησαν
και επωλήθησαν εν Αθήναις και πολλά εις πολλά της
Ευρώπης μέρη απεστάλησαν. Τοιαύτη τις εδόθη και τω κ.
Λάνδερερ προς εξέτασιν, επιστημονικώς δ’ εξετάσας ούτος
ανεύρεν, ότι τα επ’ αυτής χρώματα είνε σημερίνης εποχής
ανακαλυφθέντακατά τους τελευταίους χρόνους. Λόγου
χάριν το κυανούν ultra mare lacus του καρμινίου προς
χρωματισμόν του προσώπου, ων ουδεμίαν γνώσιν είχον οι
παλαιοί ώστε άπασαι αι πωληθείσαι κούκλαι την μεν ύλην
και τέχνης έχουσαν αρχαίαν, το δε χρωματισμόν
σημερινόν. Έγραψε δ’ ημίν ταύτα όπως μη εις το μέλλον
αγοράσωσι τοιαύτας οι εράσται τούτων, σπουδαίαν
χρηματικήν ζημίαν ζημιούμενοι.» (Εφημερίς, αρ.φύλ.243,
31.05.1874:2).
Φυσικά οι ειδήσεις οι σχετικές με τις κίβδηλες
αρχαιότητες δεν περιορίζονται στα παραδείγματα που
ενδεικτικά ανέφερα, κατά την άποψή μου επειδή το
φαινόμενο της κιβδηλοποιίας (Νέα Ελλάς, αρ.φύλ.3,
«Κίβληλαι αρχαιότητες», 16.03.1874:2-3) είχε πάρει
διαστάσεις όχι μόνο στην Ελλάδα, αλλά και διεθνώς190

189
Για τον Ξ. Λάνδερερ και τη σχέση του με την αρχαιολογία έχει γίνει ήδη ιδιαίτερη
αναφορά στο δεύτερο κεφάλαιο της εργασίας αυτής.
190
Συχνά στις ειδήσεις με αυτό το περιεχόμενο υπάρχουν αναφορές από τις οποίες
προκύπτει ότι ως κέντρο κατασκευής και εμπορίας των κίβδηλων αντικειμένων
θεωρούσαν την Ιταλία χωρίς αυτό να σημαίνει ότι δεν υπήρχαν και άλλες περιοχές στις

132
και προφανώς θα ενδιέφερε το αναγνωστικό κοινό των
εφημερίδων να πληροφορείται περιστατικά που σχετί-
ζονταν με την κατασκευή πλαστών αρχαίων αντικειμέ-
νων ενδεχομένως και γιατί αρκετοί από το κοινό αυτό θα
ήταν αγοραστές, άρα θα ήταν δυνατό να πέσουν θύματα
μίας τέτοιας απάτης. Έτσι οι εφημερίδες δεν
υπογράμμιζαν μόνο στα δημοσιεύματα τους τις νομικές ή
επιστημονικές συνέπειες του φαινομένου, αλλά προ-
χωρούσαν μερικές φορές σε περιγραφές «δραματικού
χαρακτήρα» (Εφημερίς, αρ.φύλ.424, 28.11.1874:2), που
αναδείκνυαν επιπλέον το κριτήριο της έκπληξης που
είχαν αυτά τα γεγονότα.
Σημαντική αύξηση των ειδήσεων αυτών παρατηρεί-
ται προς το τέλος του 19ου αι., ενώ μεγάλη διάσταση
πήρε το θέμα μετά την κλοπή της Νομισματικής Συλ-
λογής και την ιδιαίτερη προβολή του όλουζητήματος της
αρχαιοκαπηλίας. Με τις κίβδηλες αρχαιότητες
ασχολήθηκε συστηματικά την ίδια περίοδο εκτός από τις
γνωστές εφημερίδες Ακρόπολις, Εφημερίς και οι
σατιρικές, όπως Το Άστυ (Το Άστυ, αρ.φύλ.138, «Κίβδηλο
άγαλμα Πάριδος, Σ. (Η΄), 15.05.1888:3-4, αρ. φύλ. 140,
«Η πολυθρύλλητος Αθηνά Δε Καρακαστάνη», 29.05.
1888:4, αρ.φύλ.141, «Η κιβδηλία αρχαιοτήτων»,
Λιβρέας, 05.06.12888:4,6), η οποία σε αρκετές περι-
πτώσεις δημοσίευσε και σχέδια τους.
Θα πρέπει επίσης να σημειωθεί ότι κίβδηλα νομίσ-
ματα υπήρχαν και στη Νομισματική Συλλογή, γεγονός
που και αυτό αποκαλύφθηκε μετά την κλοπή της και
προβλήθηκε αρκετά από τη σχετική για αυτήν ειδησεο-
γραφία. Μερίδα του Τύπου κατηγόρησε ανοιχτά τον Αχ.
Ποστολάκα ότι αγόραζε τα νομίσματα αυτά για να

οποίες ανθούσαν παρόμοιες δραστηριότητες. Ένα τέτοιο παράδειγμα αναφέρεται σε


είδηση που δημοσίευσε η εφημερίδα Αυγή στηνοποία σημειώνεται επιπλέον ότι πολλές
τέτοιες «μωαβιτικές» αρχαιότητες αγόρασαν αρχαιολόγοι για λογαριασμό, μάλιστα, των
κυβερνήσεων τους (Αυγή, αρ.φύλ.4079, 29.01.1876:4, Ώρα, αρ.φύλ.121, 3.02 1876: 3).

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ευνοήσει φίλους του, γι’ αυτό και δεν τα είχε ποτέ δη-
μοσιοποιήσει, με αποτέλεσμα να αγνοείται η ύπαρξη
αυτής της σειράς νομισμάτων για την οποία ο Αχ.
Ποστολάκας επέμενε ότι δεν ήταν απαραίτητο να είναι
γνωστή, αφού τη χρησιμοποιούσαν ως συγκριτική
συλλογή. Το παράδειγμα αυτό το σημείωσα για να υπο-
γραμμίσω τις ακραίες θέσεις τις οποίες έπαιρναν ενίοτε
ορισμένες από τις εφημερίδες για γεγονότα σχετικά με
την αρχαιοκαπηλία, όταν σε αυτά υπήρχαν έστω και
ασαφείς ενδείξεις για ενδεχόμενη ανάμειξη αρχαιολό-
γων.

Κλείνοντας αυτό το άρθρο που αφορά τις ειδήσεις και


τα άλλα δημοσιεύματα που έχουν ως αντικείμενο θέματα
αρχαιοκαπηλίας, δωρεές, αγορές και κίβδηλα αρχαιο-
τήτων θα ήθελα να διατυπώσω τις ακόλουθες παρατηρή-
σεις: α) Οι πράξεις αυτές συνιστούσαν συγκεκριμένα
κοινωνικά φαινόμενα, στο πλαίσιο των οποίων εμπλέ-
κονταν, όπως εξάλλου συμβαίνει και σήμερα, μέλη της
κοινωνίας. Γι’ αυτό το λόγο και η σχετική ειδησεογραφία
δεν έπαψε ποτέ να εμφανίζεται από τις στήλες των εφη-
μερίδων και μάλιστα σε περιπτώσεις που αυτές
δημοσίευαν σπάνια αρχαιολογικές ειδήσεις. Το συγκε-
κριμένο ειδησεογραφικό υλικό θα μπορούσε να αποτελέ-
σει σημαντική πηγή πληροφόρησης για έναν από τους
χαρακτήρες που αποκτούσε διαχρονικά η σχέση των
πολιτών με τις αρχαιότητες. β) Οι ειδήσεις αυτές προ-
κύπτουν από γεγονότα που η σημασία της δημοσιο-
ποίησής τους εξαρτάται άμεσα από την επικαιρότητα. γ)
Η μεγάλη συχνότητα παρουσίας ειδήσεων με τέτοιο περι-
εχόμενο συνδέεται ως ένα βαθμό και με τις πηγές
πληροφόρησης και το χαρακτήρα που αυτές έχουν. Αυτό
έχει ως αποτέλεσμα να ανακοινώνονται άμεσα γεγονότα
με τέτοιο περιεχόμενο, που οι εφημερίδες έσπευδαν να τα
δημοσιοποιήσουν. δ) Η ειδησεογραφία του είδους αυτού

134
σε σχέση με την υπόλοιπη αρχαιολογική δραστηριότητα
αποκαλύπτει την ευθύνη του κράτους να μη φροντίζει για
την καταστολή της ανάπτυξης των παράνομων αυτών
δραστηριοτήτων και κατά συνέπεια να μη διευκολύνει
την αξιοποίηση των αρχαιοτήτων σε σημαντικά πεδία της
κοινωνικής ζωής.
Η συγκεκριμένη ειδησεογραφία αναδείκνυε, πολλές
φορές με οξύτητα, τα κενά της πολιτικής βούλησης που
θα έπρεπε να καλύπτει τα αρχαιολογικά «πράγματα».
Από τα πιο χαρακτηριστικά παραδείγματα ειδήσεων με
περιεχόμενο τέτοιου είδους είναι το δημοσίευμα της
εφημερίδας Εφημερίς, που αναφορά την «διατριβή» του
Λύδερς σχετική με την επιστημονική αξία των ευρημά-
των της Τανάγρας: «Ο παρά τη εν Αθήναις πρωσική
πρεσβεία γραμματεύς Δρ. κ. Λύδερς δημοσιεύει εν τινι των
τελευταίων φυλλαδίων του γερμανικού περιοδικού “Νέον
Κράτος” σπουδαίαν και γλαφυροτάτην διατριβήν περί των
κατά το θέρος ανασκαφθέντων εν Τανάγρα γλήνων εξ
οπτής γης, ων οι πλείστοι δυστυχώς, αληθή καλλιτεχνήμα-
τα, περιεργότατην δε και νέαν παντή όψιν του αρχαίου
οικογενειακού βίου αποκαλύπτοντες ημίν, απεκομίσθησαν
εις τα μουσεία και τας ιδιωτικάς συλλογάς της εσπερίας, το
μεν ένεκα της ασυγγνώστου ακηδίας των περί τα μικρά
τυρβαζόντων και προς τα μεγάλα αδιαφορούντων αρχαιο-
λόγων ημών, το δε ένεκα της γλισχρότητος του δημοσίου,
όπερ δικαιούμενον ν’ αγοράζη κατά προτίμησιν και αντί
της ημισείας μόνον τιμής τας υπό ιδιωτών ανευρισκομένας
αρχαιότητας, ουδέποτε αποφασίζει να πληρώση μικρόν τι
ποσόν, και προτιμά πάντοτε να βλέπη ξενητεύοντα τα
κειμήλια της αρχαίας πολυτίμου τέχνης.» (Εφημερίς, αρ.
φύλ.162, 11. 03.1874:1-2).

135
Abstract

Konstantinos Char. Tziampasis, Η αρχαιοκαπηλία στις


ελληνικές εφημερίδες στα τέλη του 19ου αι. και στις
αρχές του 20ου αι. (Gli scavi clandestini nei giornali
greci alla fine del XIX e agli inizi del XX secolo).

In Grecia una parte percentualmente significativa del-


le notizie giornalistiche di argomento archeologico han-
no come oggetto fatti che riguardano gli scavi clandestini
e le distruzioni di antichità.
Spesso non si tratta di semplici notizie giornalistiche,
ma di articoli ben documentati e con accurati riferimenti
bibliografici, che riportano una dettagliata descrizione
scientifica delle antichità e delle questioni di cui trattano.
Gli autori di questi articoli sono non solo giornalisti, ma
spesso archeologi o personalità del mondo scientifico e
culturale.
Nel presente contributo si analizzano, in particolare,
le notizie comparse sui giornali greci tra la fine del XIX e
gli inizi del XX secolo, epoca che segna parallelamente
in Grecia anche la nascita delle prime grandi ricerche
archeologiche ufficiali.
L'analisi dei numerosi articoli reperibili sulla stampa
dell'epoca ci restituisce un interessante quadro del feno-
meno dello scavo clandestino e della circolazione illecita
delle antichità proprio all’epoca della nascita
dell’archeologia ufficiale, e del modo in cui tale fenome-
no venne percepito già da subito dall'opinione pubblica
come una grave minaccia per il patrimonio culturale na-
zionale greco.
.

136
Εικ. 1 (αρ.): Luigi Palma di Cesnola; Εικ. 2 (δεξ.): ΕΦΗΜΕΡΙΣ (1792).

137
138
Indice

Nota al secondo numero p. 9

T. Cevoli
Ipotesi sulla provenienza dell’Apollo Sauroctonos p. 11
esposto presso il Museo d’Arte di Cleveland (USA).

F. Castaldo
Nola deleta. Un’antica città scomparsa. p. 55

N. Meluziis
Gli scavi clandestini nella necropoli di Cuma tra p. 77
fine ‘800 e inizi ‘900: il caso di Gaetano Maglione
e Luigi Granata.

P. Ciuchini
Illicit traffic of Irish antiquities: the international p. 87
case of the Inchcleraun gravestones.

K.Ch. Tziampasis
Η αρχαιοκαπηλία στις ελληνικές εφημερίδες στα τέλη p. 101
του 19ου αι. και στις αρχές του 20ου αι.

139
Finito di stampare nel mese di dicembre 2010. Napoli.

140
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ARCHEOMAFIE. Rivista dell’Osservatorio Internazionale Archeomafie.
Testata registrata presso il Tribunale di Napoli n.10 del 21/02/2007. Edizione
in collaborazione con Liberarcheologia. Info: www.archeomafie.org

Proprietà letteraria riservata. ISSN: 2036-4539.

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