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Sintesi di storia egiziana.

La storia egiziana si divide in Antico Regno, Medio Regno e Nuovo


Regno. E’ molto difficile stabilire delle date precise per la storia egiziana, perché la memoria storica degli
egiziani aveva a che fare con le dinastie, non consideravano il tempo rispetto ad un evento, coma la nascita
di semidei, fondazioni di città sacre, etc.. Gli egiziani non hanno un evento fondativo, quindi si riferivano alla
reggenza presente al momento.
 
Già in epoca tolemaica, intorno all’anno 0, quando la civiltà egizia entra a far parte dell’Impero
Romano e cessa di avere dinastie autonome, si abbandona l’uso di contare il tempo in base a queste ultime.
Sempre in questa epoca per la prima volta un sacerdote ha tentato di ricostruire la sequenza cronologica di
faraoni, dividendola in tre regni. Fra un regno e l’altro ci sono dei periodi intermedi, circa un centinaio di anni,
di anarchia totale: si arresta il conto della successione delle dinastie perché in questi intermezzi ci sono state
delle divisioni statuali e regni locali. In questi periodi intermedi ci sono anche momenti in cui l’Egitto viene
vinto dai popoli vicini, come fra il medio ed il nuovo regno. Per questo le date che vengono fornite sono
assolutamente contestabili a seconda dei diversi studi, perché vi sono dei problemi insormontabili sul
stabilire la sequenza dei faraoni: questo perché ogni faraone poteva avere cinque nomi diversi, che
potevano essere ad esempio (banalizzando) Protetto dal Dio Rà, Signore del Nord e del Sud, epiteti che
possono essere utilizzati al posto del nome stesso. Quindi chi ha stabilito la sequenza non è sempre in
grado di capire esattamente i documenti. Siamo intorno al 1600 a.c. per gli inizi dell’Antico Regno.
Qualche cenno sull’organizzazione sociale, economica e politica dell’Egitto. Una caratteristica
particolare della società egiziana è l’organizzazione con una sorta di monarchia, dove il regnante è
divinizzato. Lo stato egiziano è organizzato con un potete centrale che controlla tutta l’area geografica. A
differenza della Mesopotamia, l’Egitto è una terra abbastanza isolata, nata per la presenza del Nilo, ed il
terreno abitabile e coltivabile è solo quello bagnato dallo stesso fiume, mentre il resto è desertico. E’ un
territorio facilmente difendibile perché sostanzialmente isolato. Questo produce una civiltà autoctona, senza
molti contatti, prima ragione della lunga vita di questo regno. E’ un’organizzazione centralizzata al massimo,
con un altro potere molto forte che è quello sacerdotale. Questi due grandi enti sono proprietari, possiedono
ed organizzano tutto il terreno che è inondato annualmente dal Nilo. Oggi l’odierno Egitto non ha più niente
dell’organizzazione naturale dell’antico Egitto, perché con le grandi dighe come quella di Assuan la portata
del Nilo è controllata. Questo territorio è collegato essenzialmente ad una via acqua, e quindi è un popolo
che fa scarso uso del trasporto su ruota, invenzione che giunge solo molto più tardi. Solo dopo l’invasione
degli Hiksos si arriva all’adozione della ruota per i carri della cavalleria.
Un’altra caratteristica del territorio sono le cave, che prima forniscono arenarie, e con l’evoluzione
tecnica degli egizi si passa al granito rosso d’Egitto, al basalto ed al porfido, tutti materiali difficili da lavorare,
tanto più nell’età del bronzo (non ci sono ancora strumenti in ferro da utilizzare, ma solo in bronzo, più teneri
ed usurabili). Per la lavorazione di queste pietre durissime, si usa un’altra pietra ancora più dura, la diorite.
Così questa civiltà ha lavorato la pietra con degli strumenti arcaici, utilizzando un trasporto combinato con
guide su piani inclinati e fluviale. Il faraone rappresenta un’alleanza fra basso ed alto Egitto, unito ai due
simboli quali il Papiro ed il Giglio, dei due regni che vanno di pari passo.
A capo della piramide sociale egiziana vi è la persona del faraone, ed esiste una casta di sacerdoti
ed un olimpo di divinità collegate. Nella visione religiosa degli egiziani esiste una vita dopo la morte, simile a
quella terrena. Esiste quindi una tradizione di tombe, testimonianze del culto per il faraone, così come
esistono una serie di spazi architettonici che garantiscono al defunto la vita nell’aldilà con un palazzo, dei
corredi funerari, etc… il tutto trasposto all’interno di questi grandi complessi tombali. L’architettura effettiva,
come il palazzo del faraone o le città, non la conosciamo, a differenza di altre civiltà, ma del mondo egiziano
non possiamo figurarci altro che i complessi funerari. Questo perché l’architettura di tutti i giorni era costruita
con mattoni di terra cruda, mente la pietra era utilizzata solo per uso sacro, in quanto garantisce
l’immortalità, un tratto comune sia nell’architettura egiziana che in quella greca. Dobbiamo anche pensare
che 3500 anni fa l’architettura che visitiamo oggi era un’offerta votiva per l’eternità, tutta la fatica di costruire
la pietra era per uso sacro, tutto era consacrato al significato religioso.

Piramide di Zoser a Saqquara Nell’Antico Regno, nel 2600 a.C. , sì da la prima opera
monumentale in pietra che l’architettura occidentale ricordi. Il primo faraone, Zoser (o Djoser a seconda delle
trascrizioni), aveva alle dipendenze l’architetto Imothep, il primo architetto conosciuto nella storia. Sono tutti
nomi tradotti dal geroglifico, e ci sono delle traduzioni sempre abbastanza diverse. Mille anni dopo, in epoca
tolemaica, Imothep era diventato una divinità, si era connesso, sommato alle caratteristiche di Mercurio, ed
era insieme il Dio della Medicina ed il Protettore dell’Ingegno e dell’Opera degli Uomini. Solo con gli scavi del
recinto funerario della Piramide di Zoser lo si è collegato ad un’architettura vera e propria. E’ una figura
storica straordinaria divenuta immortale, è il primo architetto che sia riuscito a fabbricare un edificio di pietra
per un faraone, organizzando un monumento funerario che fino a quel momento aveva una forma diversa
(come le fabbriche in mattoni crudi, prima utilizzate) realizzando qualcosa tendente all’eternità.
Il faraone sceglie di essere seppellito in una tomba di tipo monumentale. La tomba precedente alla
piramide è la Mastaba. Le mastabe consistevano in grandi tumuli di mattoni di terra cruda, grandi 30 volte il
sarcofago, con all’interno un pozzo, che comunicava con una cella funeraria non accessibile dove era
effettivamente il deposito funebre del faraone. C’è poi una seconda stanza, con una finta porta, una statua
con il faraone sedente, che dagli occhi comunicava con l’esterno, per far sì che il faraone si rendesse conto
dei riti che venivano organizzati in suo onore davanti alla tomba. All’interno troviamo il cadavere
mummificato con una serie di procedure, con un sarcofago ed un altro sarcofago con le viscere separate.
La tomba monumentale di Zoser è invece una piramide, come vediamo in questa incisione che
rappresenta quello che sembrava essere il mistero dell’Egitto. In passato con difficoltà si è capito a cosa
servissero le piramidi, e difficilmente si è capito che la piramide non fosse un edificio isolato, ma parte di
un’organizzazione complessa con architetture e spazi collegati, poi degradatisi a causa della mancanza di
manutenzione, presentandosi spesso degradati già in epoca romana. La collocazione di queste tombe
monumentali non è mai avvenuta nelle terre fertili, quanto piuttosto in zone desertiche, non abitabili.
Nell’incisione sono anche raffigurati i “buchi” per i quali si entra nella grotta delle mummie. Vediamo
immagini afferenti alla campagna di Napoleone, impresa scientifica e di predazione. Solo dal ‘900 esiste
anche una documentazione fotografica delle scoperte, come quella della tomba di Tutankhamon, e la finta
apertura della tomba da parte di Carter (in quanto era già avvenuta il giorno prima). All’interno dei corredi
funerari ci sono ricchissime opere artigianali, insieme ad oggetti di uso casalingo, alimentare, etc… La tomba
a piramide è anche un modo per rendere più sicura questa attrezzatura funebre, in quanto, in particolare
durante i periodi intermedi, ci furono innumerevoli casi di furto: è anche un’architettura di protezione, che
vuole allontanare i predoni durante l’anarchia.
La prima piramide, quella di Zoser, è una piramide a gradoni, un po’ somigliante a quelle del
Messico (volendo fare paragoni rozzi). Se andiamo però ad analizzarla capiamo che la prima costruzione
avrebbe dovuto essere una mastaba, in quanto, grazie a dei sondaggi geologici sappiamo che in sezione
questo edificio è costituito da una mastaba iniziale poi ingrandita fino ad arrivare a nove strati diversi, che
formano una costruzione sempre più grande. Una forma che nasce in pietra e viene man mano amplificata
ed ingrandita, l’aspetto finale però non era quello che vediamo oggi, deprivato dalla sua faccia esterna, ma
dobbiamo pensare che questa mastaba si presentava con un rivestimento, sempre a gradoni, di pietra liscia,
che è stato sottratto per altre realizzazioni. Quello che vediamo è l’anima, l’interno di questo grande cumulo.
Cambia anche la tecnica, perché avendo l’origine in questa mastaba, le superfici di accrescimento vedono la
disposizione parallela a quella della mastaba iniziale, accostandosi per garantire una maggiore solidità alla
fabbrica. E’ molto difficile anche garantire all’interno della cella la possibilità di accesso attraverso dei
corridoi, dunque vi sono delle tecniche particolari per questi corridoi e per la volta della camera funeraria. Era
necessario poter introdurre il sarcofago e poi chiudere il passaggio, per poter proteggere il sonno del faraone
ed impedire la profanazione della tomba.
Come accennato, l’edificio non nasce isolato: abbiamo al centro la piramide a gradoni, che ha un
suo recinto monumentale, rettangolare, innalzato dagli archeologi per renderlo comprensibile ai turisti. La
porta effettiva si trova sul basso verso sinistra, e vi sono tante false porte rappresentate. Dentro il recinto si
trova un’organizzazione piuttosto complessa, con rovine di molti edifici, fra cui un ippodromo. L’ipotesi più
accreditata è quella che il complesso abbia fornito, oltre la funzione di tomba per il faraone, una
rappresentazione in pietra di una festività, il Giubileo del Faraone. Questo consisteva in una serie di festività
che venivano organizzate ogni tot di anni di regno, un festeggiamento al ventesimo anno di governo del
faraone. Questo veniva festeggiato in città attraverso corse di cavalli e padiglioni momentanei, che
rappresentavano l’architettura delle diverse province egiziane, ed erano sostanzialmente in paglia, tela,
legno etc. . Si pensa che il recinto funerario di Saqqara rappresenti in pietra quel giubileo, una scultura di
quei padiglioni della festa. Si trovano una serie di edifici allineati da una parte e dall’altra, cubi di 5-6 metri
che si presentano tutti con porte che non danno a nessuna sala interna. Questi padiglioni della festa sono
rappresentanti come se fossero sculture giganti. Si garantisce la celebrazione per l’eternità di questo
Giubileo. E’ un ricordo di qualche cosa che attraverso l’architettura passa l’eternità. Tutto il recinto funerario
rappresenta una pietrificazione della vita corrente.
La grande maestria raggiunta dagli egiziani per il trasporto fluviale. Vediamo una barca in miniatura,
la barca è anche il mezzo col quale si spostano le divinità attraverso il fiume. Il luogo in cui si stabilisce il
tumulo del faraone è sempre un luogo di approdo, anche l’imbarcazione utilizzata per il trasporto del corpo
del faraone viene seppellita nei pressi della tomba. Le pietre vengono trasportate dal sud al nord attraverso i
sistemi fluviali.
Nelle cave si lavora con i cavatori, migliaia di persone che non sono propriamente schiavi, in quanto
tutta la società egiziana era al servizio del faraone. Questo perché l’organizzazione del lavoro egiziana era
stagionale, e tantissimi contadini egiziani erano cooptati nell’architettura. Nei mesi in cui l’architettura non
funziona c’è il lavoro della pietra, con una squadra di militari che assicurava lo svolgimento di questo
faticassimo lavoro.
Per il lavoro abbiamo l’allineamento di scanalature con due cunei metallici che si consumano in
continuazione, ed una volta stabiliti i fori vi si inserivano dei cunei di legno, che bagnati aumentano di
volume e provocano lo spacco della pietra. Per i tagli orizzontali si utilizza invece la falda naturale della
pietra. Una volta tagliato il blocco alla cava questo deve essere trasportato, ed anche qui ci rifacciamo a dei
rilievi egiziani. Abbiamo dei buoi aggiogati, che trasportano una sorta di slitta (che quindi poteva andare solo
su rampe). Vediamo poi il trasporto di una grande statua di un faraone seduto, della XVIIII dinastia, legata
con delle corde a una sorta di slitta, con una persona che getta un liquido dalla slitta per bagnare la pista e
diminuire l’attrito.
La finitura dei blocchi stessi. C’è una parte di lavorazione, quella rozza, fatta in cava, e poi i blocchi a
seconda della loro destinazione, sono destinati ad essere lavorati e rifiniti secondo le esigenze. L’architettura
egiziana non fa del resto uso di calce e legante, è un’architettura di forme geometriche sovrapposte che si
tengono per il loro peso più che per l’uso di leganti, realizzando quindi varianti del sistema trilitico.
Ricollegandoci alla persona di Imothep: 3500 anni fa un architetto cosa sa fare? La risposta può
desumersi dai papiri (non abbiamo però carte di architetti), abbiamo dei manufatti di uso cultuale egiziano,
che ci permettono di capire che gli egiziani avevano dimestichezza sia con i modelli sia con i disegni
d’architettura. Abbiamo una sorta di plastico, realizzato in ceramica invetriata, sappiamo quindi che 3500
anni fa si sapeva riflettere sui modelli, e quindi un architetto può lavorare per modelli in scala. La stessa cosa
può dirsi per questa immagine, che viene da una rappresentazione parietale: è complessa ma non
incomprensibile. Abbiamo un giardino con alberi rappresentati in alzato, una rampa che ci permetta di far
vedere che si entra attraverso un recinto, con una porta ribaltata (stipiti dell’ingresso ribaltati), qualcosa
comunque simile a quanto usiamo fare oggi.
Sono frammenti di pietra calcarea morbida, incisa, che potrebbero essere la pianta di un’architettura.
Nelle vicinanze di una costruzione possono ritrovarsi anche questi frammenti che potrebbero essere stati
utilizzati dagli architetti e poi gettati.
Siamo arrivati al recinto di Zoser: abbiamo una piramide a gradoni, in mezzo ad un recinto
rettangolare, con una sola porte effettiva, ed il recinto ha tante porte, come dire, apparenti, che non danno
ingresso e sono suggerite. Questo grande recinto può essere anche una riproduzione delle mura urbiche di
una città egiziana, ora completamente perdute essendo state realizzate in terra cruda. C’è anche
un’analogia fra l’immagine del recinto e l’immagine di un sarcofago, dove si vede lo stesso motivo,
organizzato in questa geometria, e si può pensare che anche questo sarcofago voglia rappresentare
l’aspetto esterno della città o del palazzo del faraone. E’ una rappresentazione sacra ed eterna della città dei
vivi che noi non conosciamo. La lavorazione della pietra calcarea è perfettamente squadrata, con una
lavorazione finale in sito che rende complanari i blocchi.
Vediamo poi due dei padiglioni temporanei. Nel primo notiamo l’infiorescenza del papiro, che
rappresenta il basso del paese ed il delta, dove viene rappresentata una forma ad Arco, una forma curva,
dove in realtà dentro non c’è niente. Quindi può darsi che sia una pietrificazione di un edificio realizzato con
materiali flessibili, canne ed altri elementi che possono essere legati, anche perché in nessuna parte
dell’Egitto vi sono conifere o foreste da cui ricavare travature lignee. Dall’altra parte vediamo delle prime
infiorescenze superiori che possiamo chiamare capitelli, con un larghissimo anticipo possiamo già
riconoscere qualcosa con un fusto verticale ed una sorta di capitello.
Gli altri padiglioni, anche se molto ricostruiti, rappresentano dei padiglioni pietrificati di elementi
vegetali. Sono strutture esili, non vengono dalla tradizione greca del grande fusto che diventa pietra. Qui a
diventare pietra è un elemento slanciato, che, cosa molto importante, presenta già delle scanalature,
elementi che vengono generalmente dall’osservazione naturale. Gli elementi verticali sono sempre connessi
con un capitello, un qualcosa che viene piegato e flesso, quasi come un fiore di loto (?). Un’architettura in
blocchi di arenaria, con una lavorazione rifinita in sito.
Dalla III° alla IV° dinastia si arriva alla forma tradizionale della piramide. Questa è la piramide a tre
livelli di Medium. Riscontriamo una tendenza alla verticalità, abbiamo già solo 3 livelli rispetto ai 9 di Zoser.
Dallo schemetto possiamo pensare di vedere come si fa tecnicamente a costruire una piramide: l’ipotesi che
è stata fatta è che si sia costruito un edificio a gradoni, ognuno dei quali raggiungibile da rampe, in quanto la
mancanza di ruota implica anche la mancanza di una carrucola per elevare dei carichi. La piramide a
gradoni rimane sempre come cuore della piramide effettiva.
 
Complesso funerario di Giza. Vi sono le piramidi di Keophe, Keprenh, Micerino… mentre
oggi si dà una trascrizione diversa dal greco, chiamandole Khufu [ma anche Khufwey, Suphis, Horo Medjdo],
Kahfra [ma anche Suphis, Rakhaef, Chefren, Horo Useryeb], Menkhaure [ma anche Menkaura, Mencheres,
Horo Kakhe], secondo i nomi provenienti dalla più recente cultura di lettura fonetica dei geroglifici. Abbiamo
tre piramidi in sequenza, da Keophe a Micerino. La piramide ha sempre davanti a sé un corridoio, un
passaggio, separato da mura dalla città, e che inizia in un luogo dove c’è un santuario vicino alle acque del
fiume, ed è legato al fiume stesso attraverso un canale d’acqua. Abbiamo un approdo, con una parte
scoperta ed una coperta (dove abbiamo le statue del faraone, che avendo 5 nomi, ha spesso 5 statue
diverse). Attraverso il dromos si arriva al luogo dei riti funerari annuali o giubilari che ivi si esplicavano.
Questa è la parte che “simbolicamente” comunica con la cella del faraone, lo spirito del faraone. Tutti gli altri
rettangoli sono mastabe. La Piramide di Keprenh ha perso larga parte della sua superficie, e la mantiene
solo nella parte sommitale. La piramide aveva dei percorsi all’interno, e tutte queste tre piramidi sono state
depredate dall’enorme quantità di oro e preziosi che queste contenevano. Possiamo solo immaginare quale
fosse la ricchezza di questi arredi funerari dalla rapporto con l’arredo della tomba di Tutankhamon, faraone
che regnò per un brevissimo periodo.
Il sarcofago è generalmente lavorato in porfido. Il corridoio è essenzialmente un passaggio in salita
dentro la piramide, ottenuto non con blocchi lavorati in conci come per un arco, ma con progressivi
restringimenti della muratura, ottenuti con lo sporgere di ogni blocco del filare successivo sempre più in
avanti. Ogni piramide nasconde quindi obbligatoriamente almeno un passaggio.
 
(Causa efficiente organizzazione degli esami, questa parte di appunti è stata sub-appaltata)
 
Nuovo Regno Il 1° periodo intermedio è lungo e complesso, vedendo l’invasione da parte
dei popoli vicini. Durante questo periodo frequenti sono l’effrazioni delle tombe funerarie dei faraoni. A causa
di ciò la piramide viene percepita come un luogo non più sicuro per il riposo eterno del faraone. Si afferma
così un nuovo modo di procedere alla sepoltura delle tombe.
Il Nuovo Regno comprende la reggenza di Tutmosi I, II e II a partire dal 1500 a.C.. La zona scelta
per i nuovi edifici è ora nella Valle dei Re, una zona impervia, di difficile accesso, piena di grotte e
nascondigli segreti. Un’intera casta di funzionari si occupare dalle sua manutenzione. Nell’Antico Regno la
capitale era Memphis, mentre nel nuovo si sposta più a sud, a Tebe. E proprio intorno a Tebe viene
posizionata anche la Valle dei Re (Deir-el-Bahari: nome non egizio ma trascrizione occidentale dalla lingua
araba). E’ posta fra il fiume Nilo ed una catena montuosa (così da garantire comunque l’approdo dalla via
d’acqua e la navigazione fluviale). Anche la Valle dei Re, nei secoli seguenti, viene depredata. Il Tempio
funerario si fa molto più grande, diventa una costruzione a sé stante, la sepoltura è in un luogo sempre più
nascosto. Insomma, cambia la tradizione funeraria.
La tomba non viene costruita da Tutmosi I stesso ma da sua figlia Hatceps-Hut, figura unica di
donna che ha regnato a lungo come fosse un faraone (figlia e moglie di un faraone). Ma come ci è riuscita?
Il faraone ha più mogli e colui che lo succede non è detto che sia obbligatoriamente il primogenito: è
quello che il faraone liberamente sceglie. Il ruolo della prima moglie è considerevole e, se nascono solo figlie
femmine, queste vengono date in moglie ai fratelli maschi, fatti con altre mogli. Hatceps-Hut era figlia di
Tutmosi I e sposta il fratellastro Tutmosi II. Ma Tutmosi II muore abbastanza giovane lasciando il trono al
figlio molto piccolo (figlio non di Hatceps-Hut ma di un’altra moglie).
In questo modo Hatceps-Hut si garantisce 20 anni di regno. Quando Tutmosi III arriva alla maggiore
età provvederà a distruggere tutte le immagini dell’odiata Hatceps-Hut. La regina, durante gli anni della sua
fortuna, fa erigere un grande tempio funerario, in onore del padre Tutmosi I per evidenziare che, in quanto
figlia del faraone, ha diritto a regnare.
Ella ha alle sue dipendenze un architetto, uomo politico di rango. All’avvento di Tutmosi II, questo
distrugge tutte le immagini e le statue di Hatceps-Hut, gettandone i resti nella sabbia (così sono state
ritrovate e ricostruite dargli archeologici).
 
Valle dei Re La Valle dei Re si trova nell’Alto Egitto. L’architetto della regina Hatceps-Hut
è Sen-mut: di cui abbiamo tracce storiche, tracce che lo rappresentano. Deve, evidentemente, aver fatto
cose straordinarie. L’architetto, nelle immagini che lo ritraggono, si presenta con un rotolo, una corda legata
da un sigillo (su cui è impresso il volto del faraone). L’immagine (è una statua) lo presenta insieme ad un
rilevatore. E’ importante, infatti, fare una puntualizzazione: ogni anno il fiume Nilo straripa ed il limo
seppellisce tutti i campi. Quindi, ogni anno dopo l’inondazione, gli agrimensori devono rimisurare tutti i campi
e riassegnarli ai rispettivi proprietari. Poiché le terre appartengono in parte allo stato, in parte alla casta
sacerdotale, sono i funzionari del faraone a compiere queste misurazioni. Così, si svilupparono tutta una
serie di tecniche per misurare in piano, realizzando piattaforme perfettamente rettilinee e piane. Gli Egizi vi
riuscirono grazie all’osservazione che il piano dell’acqua è sempre perfettamente orizzontale. Così
riempiendo d’acqua un recinto, una vasca se ne segna il contorto ottenendo una perfetta complanarità.
Si tratta di un’arte che si è sviluppata a partire dall’osservazione del dato naturale. Così la figura del
misuratore si associa e si sovrappone a quella dell’architetto proprio per questa capacità di misurare, che è
poi alla base della costruzione.
Per accedere alla Valle dei Re bisogna prima percorrere un lungo δρομος [corridoio] murato, non
scavalcabile perché sacro. Fiume == Approdo == Corridoio
E’ stata fatta un’ipotesi molto affascinante: il tempio è costruito sulla fascia più bassa della roccia, le
celle sono scavate nella montagna stessa. Bisognerebbe considerare la piramide come una riproduzione
della montagna naturale. Ora, invece di costruire la piramide, si usa la montagna con tutti i suoi segreti ed i
culti connessi.
Il tempio presenta cappelle dedicate alle divinità tradizionali ed al Faraone (e a sua figlia) divinizzati.
La grande festa della Valle ha a che fare con lo spostamento di statue di divinità molto importanti, tutta una
serie di processioni durante le quali le statue cultuali “vanno a trovare” le altre muovendosi lungo il Nilo.
Tutmosi III sostituisce a tutte le immagini di Hatceps-Hut e di Sen-mud il culto di sé stesso e di Tutmosi II.
Come si presenta questo tempio e quali sono le novità? Le statue di Hatceps-Hut monumentalizzano
il δρομος: ai due lati ci sono in ripetizione una serie di sfingi e animali fantasiosi che proteggono l’entrata.
Quindi non è solo un passaggio recintato da due muri.
Sfinge: il volto da donna, gli attributi da faraone maschio (la barba finta cerimoniale, la parrucca e il
copricapo, tutta una serie di attributi di modo perché tutti capiscano che è lei in quel momento ad avere il
potere assoluto). Le orecchie ed il corpo sono da animale.
E’ stato ritrovato un papiro su cui vi è un disegno eseguito a posteriori dalla casta dei sacerdoti che
riporta cosa c’è dentro la tomba, in modo che se ne possa assicurare la manutenzione. E’, quindi, un rilievo
dello stato dei fatti eseguito in corrispondenza dei controlli periodici che venivano effettuati alle tombe.
Questo ci permette di osservare uno dei primi disegni di architettura, una rappresentazione che vede tanti
sarcofagi (involucri) l’uno dentro l’altro. Gli ingressi vengono rappresentati come porte ribaltate. Sembra
quasi un’indicazione di sezione: si tratta di un ragionamento spaziale che somma piani orizzontali e verticali
(le linee tratteggiate). Questo tipo di disegno è alla base della progettazione dell’architettura monumentale
(per piani verticali e piani orizzontali).
Il tempio con la piramide sovrastante presenta ancora il seppellimento del faraone all’interno della
piramide. Risale, infatti, al Medio Regno, quindi rimane abbastanza simile (è una diretta citazione della
piramide dell’Antico Regno, realizzata in formato più piccolo). Le piattaforme danno verso la pizza mediante
un porticato (non più un muro) e sono collegate attraverso rampe (all’architettura monumentale non si
accede con scalinate ma rampe orientate verso il Nilo).

Con l’avvento del Nuovo Regno… Manca totalmente la piramide che può essere pensata come
la stessa roccia retrostante. A differenza dell’Antico Regno c’è la costruzione di terrazzamenti artificiali,
sorretti da pilastri. Come sono ottenute tecnicamente? Essenzialmente con il sistema trilitico ed elementi
orizzontali (travi in pietra che non hanno una luce molto grande perché devono sostenere il peso della pietra
stessa) e un addensarsi di pilastri e sostegni molti ravvicinati (quasi una foresta) per tenere questi
pesantissimi soffitti.
La prima rampa porta al primo terrazzamento, che prospetta verso la valle con una serie di pilastri,
da cui diparte una seconda rampa.
In questi grandi spiazzi si sono trovati i resti di enormi radici: vi erano piantati moltissimi alberi. Si
presentava, quindi, come una serie di giardini l’uno dopo l’altro. Vi era una piantumazione regolare. Si
presentavano fra pilastro e pilastro non spazi vuoti ma tante statue in pietra arenaria vivacemente colorata
(con pittura a stucco che oltre a decorarle le colorava).
Il santuario è stato ampliato in epoche successive dai Tolomei. All’interno del grande tempio
funerario di Hatceps-Hut vi sono statue di ben 2 architetti: Sen-mud (il suo) e successivamente l’immagine
di Imothép (nel frattempo divinizzato). Tutmosi III ha provveduto a distruggere tutte le immagini di Hatceps-
Hut, sostituendole con le sue. C’è inoltre una corte aperta dedicata al culto di Amon-rà (nel Nuovo Regno il
faraone distrugge le vecchie sistemazioni per sostituirle con il culto della nuova divinità, appunto Amon-rà).
Riassumendo:
        Cappelle funerarie dove le gesta di Sen-mud sono all’interno della cappella di Hatceps-Hut
        Insieme di cappelle dedicate alla divinità Aton (Dio Sole), ricostruita completamente in
epoca tolemaica con forme molto più moderne.
L’interno delle cappelle ha pareti costituite da pietra calcarea squadrata, rivestite da gesso decorato,
disegnato o inciso. Le fasi decorative della lavorazione della pietra dimostrano la capacità di osservare la
natura, gli elementi vegetali e la capacità di rappresentare con modi fortemente legati ai piani verticali.
Questo entra fortemente all’interno della stessa architettura: ad esempio, le decorazioni floreali, o comunque
vegetali, dei capitelli.
Colonne e capitelli: prendiamo ad esempio il portico laterale connesso al tempio di Anubi. La collina
parte da riferimenti naturali per diventare progressivamente la base dell’architettura classica. Le colonne
egizie già appoggiano su una base in pietra. E’ la rappresentazione in pietra di elementi vegetali. Questo
portico ci ricorda per molti elementi la colonna dorica greca. Si esprime così una notevole capacità di
lavorare la pietra e si presume che probabilmente, determinate forme sono passate dall’Egitto alla Grecia. Il
rapporto tra la base e il fusto delle colonne è di 6/7, abbastanza vicino a quello che verrà utilizzato in Grecia.
Struttura: base più una serie di rochi, (che una volta sovrapposti vengono lavorati e rifiniti con
scanalature in loco) più capitello. Le scanalature sono molto diverse da quelle greche. Gli Egizi sono abituati
a lavorare con materie due e anche statuaria cerimoniale è qualcosa che si può inscrivere in un
parallelepipedo. Le colonne si ottengono scavando un blocco parallelepipedo, dunque partendo dal blocco
scolpito. Lo stesso vale, appunto, per le colonne che partono da una struttura con facce essenzialmente
rettilinee e lisce piuttosto che come elementi incavati. I Greci, invece, lavorano più con la creta, quindi un
materiale morbido e plasmabile. La scanalatura greca si presenta, come un incavo nella colonna. Il capitello
è un elemento rettangolare non sovrapposto all’ultimo roco, ma deriva piuttosto dal blocco stesso, in cui è
pure scavata la colonna. La faccia è complanare alla scanalatura, compare, perciò, un collarino (tipico
dell’ordine dorico). I portici hanno lo scopo ben preciso di proteggere le pareti decorate e l’ingresso effettivo
del tempio.

Tempio della Dea Athor Questo tempio è stato rivisitato in epoca tolemaica. Compaiono dei
capitelli molto speciali (detti appunto capitelli atorici) connessi strettamente ai templi dedicati a questa
divinità. Sostituiscono al capitello l’immagine della dea, quindi hanno molto a che fare con l’arte della
scultura. Questi capitelli impressionano fortemente le civiltà successive (Greca e Romana). Si presentano
con due facce (una avanti l’altra dietro) fortemente stilizzate. Il capitello atorico ha un suo uso specifico.
Un altro tipo di capitello deriva dal mondo vegetale: elementi leggeri, gruppi di fiori, di piante
intrecciate. La colonna è realizzata come fosse di giunchi raggruppati da cordoni. Il diametro è fatto da un
insieme di piante messe insieme e legate: è ovvio pensare che molta architettura dei vivi fosse fatta di
colonne, di elementi vegetali sommati e raggruppati. Qui se ne da una visione monumentalizzata in pietra e
poi decorata: la parte sommitale è fiorita, ha un’infiorescenza a campana.
Organizzazione del tempio. Nell’organizzazione dello stato egizio ci sono 2 poteri: il faraone
(quasi divino) e la casta sacerdotale (il 1° sacerdote di Amon proviene dalla famiglia del faraone). Vi è un
forte legame fra i due poteri. E’ c’è anche una forte organizzazione economica. I sacerdoti hanno delle
rendite enormi provenienti dai possedimenti terrieri. La casta ha al suo interno una gerarchia molto netta e
precisa.
La statua ha una sua giornata abituale, vive. Viene svegliata dalla processione di un corteo di
sacerdoti. Quindi, nel tempio, vi è il riparo della statua, luogo dove dorme e, al mattino, viene svegliata,
lavata e vestita. E mangia anche: sono le offerte. E’ un rituale molto complicato, che garantisce la vita della
statua e, quindi, richiede spazi articolati. La statua abita nel suo tempio e, a seconda del suo calendario, si
muove spostandosi lungo il fiume con una barca sacra, portata attraverso il δρομος [corridoio] all’interno
dello stesso tempio (non attraccata lungo il Nilo). Quindi, nel tempio ci doveva essere anche il deposito della
barca sacra. La statua, infatti, va a trovare altre divinità in altri luoghi, in altri templi.
 
Tempio di Amon-Ra a Karnac E’ situato a Luxor, nell’Alto Egitto. E’ un complesso
estremamente intricato, articolato con tutta una serie di spazi speciali. Il δρομος porta direttamente al Nilo.
La storia di questi santuari è ricchissima. Dall’Antico Regno al Nuovo Regno la religione si è mantenuta
immutata.Quindi questi santuari nel corso del tempo si sono ingranditi sempre di più con una particolare
modalità di crescita. Il tempio iniziato per volontà di Amenophis III (che regna tra il 1408 e il 1372 a.C.) viene
in seguito completato da Ramsete II. Le varie parti rivelano, quindi, l’impronta di gusti e scelte stilistiche
eterogenei.
Questo tempio si inserisce nell’ambizioso programma edilizio promosso da Amenophis III, è un
documento storico di straordinaria importanza, in quanto , almeno in parte, è stato risparmiato dall’usura
degli anni. Il tempio espressione della potenza e della ricchezza del faraone, era dedicato ad Amon, una
delle divinità locali che col Nuovo Regno era stata associata al Dio Sole.
Il fossato iniziale ha la forma della barca, quindi doveva evidentemente essere il deposito della barca
stessa. Il tempio iniziale era in terra creda, e quindi, è andato completamente perduto. I primi templi erano
tutti in terra cruda.
Il tempio si accresce in maniera abbastanza prevedibile: il nucleo (quello più sacro dove c’era la
statua della divinità è andato perso) è preceduto da una cella orientata non casualmente (la statua si
risveglia quando il primo raggio dell’alba la colpisce). L’architettura è direttamente collegata all’orientamento
solare, proprio sulla direzione del raggio di sole si ingrandisce il Tempio.
Il percorso cerimoniale si fa architettura. I piloni erano porte monumentali poste all’ingresso del
recinto antistante il nucleo. Il tempio cresce lungo la direzione del sole e del percorso. In epoche diverse e
successive i vari imperatori aggiungono piloni (pylon) e lo spazio del cortile può essere utilizzato in modo
diverso, coprendolo in parte con colonnati, che possono essere pieni (realizzando una sala ipostila, cioè
abitata da tantissime colonne, una vera e propria selva di colonne). Man mano che ciascun faraone impiega
denaro al Tempio, si aumentano i piloni (si costruisce un nuovo pylon). Quindi, il santuario diventa pietra e
ha un sistema di accrescimento additivo, rendendo il percorso cerimoniale sempre più lungo.
Dagli scavi archeologici, nella parte posteriore e più antica, sono risultate tre soglie di porta in granito
rosa, che fanno parte di una zona totalmente perduta, quella che conteneva la cella con la statua.
Thutmosi I fa costruire il 4° ed il 5° pilone (numerazione non cronologica). Thutmosi II fa eseguire
molti lavori. Fa costruire una copertura, creando quasi una sala . Inoltre fa ricostruire un altro pilone (il 6°)
all’interno dello stesso tempio e organizza lo spazio antistante come cortile per le offerte votive. La sua
riorganizzazione spaziale è ancora parzialmente conservata.
I colonnati non sono semplicemente una teoria di colonne ma vanno pensati come una serie ripetuta
di nicchie che ospitano altrettante statue. Nel cortile si presentano colonne piuttosto interessanti. Le basi
sono in pietra lavorata, di forma cilindrica da cui si alza un fusto costituito da tanti elementi legati insieme.
Questo deriva da una osservazione più approfondita della natura. Gli steli non partono direttamente diritti a
ciuffi, che poi vengono raggruppati. Quindi, si crea una curvatura della colonna. Il capitello ha una forma di
bocciolo chiuso. La terminazione del capitello potrebbe quasi essere assimilato all’abaco (fiore di loto
chiuso). Quella che oggi vediamo come pietra arenaria era ravvivata dall’uso a profusione della doratura.
Nelle colonne trovate spezzate non ci sono segni indicanti particolari sistemi di sovrapposizione. E’ il solo
peso del blocco sull’altro che garantisce la stabilità.
Sempre nel cortile vi è un altro elemento importante: pilastri che, attraverso il simbolo del papiro e
del fiore di loto, ripresentano il fatto che il regno si fondava sull’alleanza tra l’Alto e il Basso Egitto. L’uso
dell’elemento vegetale è, in questo caso, stemma ed emblema riconoscibile di questa alleanza e non va
visto come mera decorazione. L’atrio di Amenophis III ispira un senso di sobria eleganza, di tutt’altro tono è
invece, il cortile di Ramsete II, che emana piuttosto un’impressione di potenza e grandiosità.
Come si presenta oggi? Il δρομος si è conservato in tutta la sua monumentalità: si presentano
ripetute tante e tante volte sfingi, una teoria di sfingi (animali con la testa che rappresenta la configurazione
di Amon-ra). Le sfingi proteggono l’ingresso dagli estranei e dai nemici. Questo viale di sfingi dalla testa di
ariete conduce ad altri 5 piloni successivi al primo che scandiscono la struttura interna del tempio. Il viale
delle sfingi (ciascuna delle quali presenta fra le zampe anteriori statue del faraone recanti le “chiavi della
vita”) conduce a un “imbarcadero” cui approdava la barca di Amon-rà per essere condotta all’interno del
tempio in processione.
I piloni hanno sempre la stessa forma. E’, probabilmente, una riproposizione della porta urbis. Ha la
base molto più larga, restringendosi man mano che sale verso l’alto. Ricorda la geometria della mastaba,
ripresa dalle necessità tecniche di costruzione in mattoni crudi. Mantiene, quindi, un rapporto diretto con il
________ (?) in terra cruda. Il portale ha da una parte e dall’altra tratti di mura, connesso per qualche metro
al muro. Il portale è incorniciato da una cornice a Toro. E’ un elemento celebrativo = le mura erano decorate
con le gesta del faraone, rappresentazioni colorate a grandissima scala. Gli alloggiamenti di pennoni: enormi
pali di legno della Siria alloggiati nel muro a scarpata dove vi sono sistemati di ancoraggio del pennone
stesso che porta un qualcosa che oggi chiameremmo “bandiera”. Il pilone è una porta monumentalizzata,
una rappresentazione degli eventi storici del faraone che ha donato il pilone stesso e quindi la storia
dell’Egitto stesso.
Si presenta, poi, anche un allineamento diverso da quello del fiume. E’ un percorso ortogonale a
quello in direzione di un altro santuario. Quindi, nel suo accrescimento il tempio si orienta verso 2 direzioni. Il
7° pylon è finanziato da Hatceps-Hut mentre l’8° da Thutmosi III. Il 7° è complicato dal fatto che l’apparato
decorativo è realizzato non solo con decorazioni parietali ma anche con enormi statue di sedenti. La maggior
parte delle statue sono state completata da Ramsete II. Scomparsa la colossale statua di Amon, che si
conservava nel santuario, gli eventi pervenutici mostrano che questo scultura, in granito nero e rosso, pur
lavorata con superba maestria, si presentava intrinsecamente legata agli intenti celebrativi e propagandistici
del potere assoluto.
 
(Fine del subappalto. Riprendono gli appunti cruelty-free)
 
Il complesso è molto simile a quelli visti, complicato dal fatto che si è conservato un apparato
monumentale non disegnato ma composto da statue monumentali che sono a guardia di un’area interna.
E’ da osservare l’allineamento fra il primo ed il settimo pilone, indicato come “ Cortile del
Nascondiglio”. Infatti scavando il battuto di quel pavimento si è trovato un enorme quantitativo di statue,
ben undici, anche preziose. Si pensa quindi che nei tempi di crisi del santuario, la classe di sacerdoti non sia
stata in grado di far funzionare tutto, e più che un’operazione di tipo politico si può pensare che i sacerdoti
abbiano voluto seppellire e preservare con cura le statue dal saccheggio (quindi non è stato un
seppellimento per motivi politici come nel caso di Tukmosi III).
Nel fronte dell’8° pilone, presente solo con due frammenti, vediamo Tukmosi III, rappresentato
nell’atto di vincere i nemici. I nemici sono descritti non con tratti del popolo egiziano, ma con quelli degli
avversari del tempo, con una rappresentazione del tutto astratta in quanto la figura del faraone è
sproporzionata e ciclopica.
Ei contribuisce a cambiare la direzione del tempio, istituendo fra il 1° ed il 4° pilone una sala ipostila,
fortemente monumentale. Inoltre si duplicano gli ingressi, da una parte l’ingresso del faraone, dall’altra quella
dei sacerdoti.
Ecco due rappresentazione di Tukmosi III, qui lo vediamo sottoforma di sfinge (come la sua
matrigna), mentre qui dentro il cortile del nascondiglio un suo ritratto in forma frammentaria. Qui viene
ancora rappresentano Tukmosi III con statua colossale, perché questo avendo cinque nomi può essere
rappresentato in modi diversi.
Nella piantina è rappresentato in nero quanto realizzato da Tukmosi III . Iniziamo a vedere una sorta
di soffitto, due colonnati paralleli a cui sono sovrapposti degli architravi di pietra. La copertura non permette
di distanziare le colonne più di quanto hanno fatto gli egiziani. Si è quindi avanzata l’ipotesi che questi spazi
venissero mano mano riempiti di sabbia, con un sistema di rampe immenso. La cosa che costava di più in
Egitto era il legno, ed oltre per la costruzione questo sarebbe stato necessario era necessario anche per la
centina. Quindi per la realizzazione di queste sale ipostile vennero utilizzati dei terrapieni poi svuotati.
Vediamo nella zona superiore quello che è stato chiamato “Il grande salone delle feste”. Dietro la
cella, immediatamente dietro, troviamo uno spazio molto grande contrassegnato da tante colonne di due
dimensioni diverse. Non si sa effettivamente a cosa servisse questo spazio nella parte più segreta del
tempio, ed ha quindi un nome fittizio. Visto in pianta presenta elementi di sostegno con diametro diverso.
In questa specie di colonnato non avremmo nessun modo per illuminare la sala, in quanto non
possiamo avere finestre o luci laterali. E’ importante è illuminare il percorso centrale, e realizzando una
soluzione con colonne di altezza diversa, dove le quelle centrali hanno diametro maggiore. Ponendo quindi
le colonne più alte nella parte centrale esiste la possibilità di far prendere luce alle sale ipostile.
Gli obelischi si trovano spesso dinnanzi al pilone, sono quasi una trasposizione in pietra di quei
pennoni. L’obelisco si presenta nell’architettura egizia sempre in coppia, mentre nella Roma imperiale o
papale sarà presentato in altro modo. E’ un monolite, quindi un blocco unico, che descrive le incredibili
capacità degli egiziani di trasportare pietre di queste dimensioni. Il metodo per erigere un obelisco in epoca
moderna è più o meno conosciuto, mente per l’Egitto si è pensato nuovamente a piani inclinati e rampe di
sabbia. E’ importante notare che la cosa più preziosa dal punto di vista tecnico e del trasposto non viene
dedicata alla tombe monumentali ma piuttosto alla divinità.
Questo cortile nasce come spazio aperto e successivamente viene monumentalizzato con una
gigantesca sala ipostila, quindi si capisce che questi grandi spazi coperti nascono con una direzione e con
un recinto già fatto (un recinto sacro contrassegnato dalla sequenza dei piloni). E’ uno spazio curioso
rispetto ad una sala propriamente detta.
La barca sala viene sistemata in una sala monumentalizzata ed appositamente preparata.
Vediamo colonne più basse con capitelli a forma di fiore chiuso, con sopra un architrave, fatto di
elementi di pietra da taglio (reticolato di travatura in pietra) ed al di sopra tutta una serie di lastre, talvolta
elementi di legno e sopra di questi vi è necessità di istituire qualcosa di più complesso di un andamento
semplicemente rettilineo. La pietra spesso ha una sua venatura, quindi molto spesso si tratta di pietre con
venatura orizzontale disposta in verticale.
Le colonne maggiori si rappresentano vivamente istoriate, decorate, ricche di geroglifi.
L’illuminazione poteva variare stagionalmente. L’architrave è formato da due elementi accostati con al
disopra la copertura. Non si tratta di singole pietre, ma 3 o 4 rocchi su piani orizzontali ogni volta ottenuti e
che non si sarebbero mai dovuti vedere. Le griglie che permettono l’illuminazione sono anch’esse in pietra,
inserite in montanti di pietra opportunamente sagomati: sono prese di luce modeste che avrebbero dato
comunque luce al percorso, racchiuso da una selva di colonne con tantissimi elementi ravvicinati.
Per costruire una sala simile l’ipotesi più probabile è che la sala fosse stata man mano coperta di
terra. Quindi può essere che anche tutta la sistemazione sommitale di questa copertura sia stata ottenuta
similmente. Così abbiamo risposto alla domanda: “Come funziona una sala ipostila egiziana?”
 
Grecia, secolo VI a.C. - V a.C. Abbiamo visto come l’Egitto possieda caratteristiche
piuttosto uniche nel mondo mediterraneo. Un luogo isolato e non contiguo ad altre popolazioni. Se si parla
invece del mondo greco, si può vedere un primo confronto con l’Egitto proprio per il fatto che a quest’ultimo è
stata concessa una lunga e stabile civiltà, mentre per quella che oggi chiamiamo Grecia vi sono fratture
molto più evidenti. Ci sono antiche testimonianze di insediamenti, per lo più di popolazioni provenienti dal
nord. Si può dire che fra il 1600 ed il 1400 si sia verificata una età dell’oro, con centro nell’isola di Creta. Qui,
localizzate nella città di Cnosso, vi sono gigantesche rovine di una città straordinaria, che è stata distrutta
dalle invasioni doriche (non consentendo quindi prosecuzioni), che ha portato alla diaspora la popolazione.
Se l’invasione dei Dori distrugge una civiltà, porta anche alla distruzione delle popolazioni meno evolute
stabilite nella Grecia continentale. Già al 1350 a.C, meno di un secolo dopo l’invasione si ha traccia di
un’architettura molto importante nella città di Micene.
 
Si parla quindi di civiltà egee riguardo queste tre civiltà (cretese/minoica – achea/micenea –
dorica/ionica). Il palazzo di Cnosso non è presente nel programma perché abbiamo privilegiato per lo più
l’architettura in pietra, e perché non c’è sostanzialmente continuità rispetto all’architettura posteriore greca. Il
palazzo di Cnosso, scoperto nel corso dell’800, è stato largamente restaurato, e presenta una caratteristica
che passerà nell’architettura vera e propria, ovvero una grande profusione di portici costruiti con pietra meno
nobile e ricoperti con stucco, in particolare nell’abitazione del palazzo reale. La composizione ed il
solidificarsi del miti intorno alla Troia di Omero, datati intorno al 1000 a.C. , fa entrare nella cultura greca
dell’epoca al Palazzo di Cnosso associato al grande labirinto. E’ un mondo però molto chiuso, da una parte
una civiltà cretese in rapporti commerciali con egizi e fenici, e dall’altra l’invasione che porta un popolo
guerriero, il cui centro maggiore sarà a Micene.
 
Intorno all’anno 1000 a.C. una nuova onda di popolazioni, provenienti dall’Asia, invade la stessa
penisola greca, e così ha fine anche la civiltà micenea senza una continuità, come poteva essere per quella
egiziana. Bisogna quindi pensare la storia greca con queste grandi cesure, l’ultima delle quali causata
dall’invasione degli achei. Anche questi ultimi sono abbastanza meno civilizzati degli abitanti precedenti, ma
all’interno della cultura greca successiva permarrà parte di questa conoscenza, concretizzata dalla la
possibilità di visitare le rovine di questa città distrutta. Avviene inoltre il riconoscimento della tomba di
Agamennone all’interno della cittadella di Micene, edificio che sappiamo oggi essere artefatto. Come
memoria eroica e come rovina visitabile la cittadella di Micene rimarrà comunque a disposizione dei greci del
tempo.

All’interno della cittadella di Micene è invece privilegiato l’uso della pietra. La cittadella era la parte
fortificata della città stessa, l’ultima linea difensiva. La Cittadella, era una città murata, dotata di una cinta di
mura composta da pietre rozzamente squadrate di grandi dimensioni, che oggi descriviamo come opera
ciclopica. La città di Micene ha più fasi, e all’interno del recinto circolare sono state rinvenute tombe più
antiche. Fra queste il “Tesoro di Atreo” o la “Tomba di Agamennone”, a seconda delle dizioni. Sono tombe di
qualcuno che è stato un re guerriero, tombe totalmente differenti da quelle egiziane, ma piuttosto luoghi dove
si ammassavano insieme alla tomba dei tesori. La tomba di Agamennone è stata scoperta da Schliemann, lo
stesso scopritore di Troia. Il nome fittizio deriva dal riconoscimenti di Schliemann, in un periodo in cui gli
archeologi andavano a cercare tutti i riferimenti dei testi classici, in particolare quelli dei testi omerici. Ad
esempio nel suo rinvenimento di Troia, ha rinvenuto la 4° o 5° rifondazione della stessa città, superiore di
alcuni livelli alle rovine di Omero.

Ricordiamo nuovamente che un’architettura in pietra non nasce mai come tale, ma pietrifica qualche
cosa, è una costruzione fatta per durare in eterno che rappresenta qualcosa della vita corrente. In questo
caso rappresenta una capanna circolare, un tipo di abitazione che noi non conosciamo nella sua materia
effettiva perché deperibile, però è pensabile che una costruzione a pianta circolare potesse essere
considerata un’abitazione di questo popolo sopravvenuto nella penisola greca, e che confida alla morte una
rappresentazione di questa capanna circolare. Questa sostituisce anche alcune tombe precedenti che erano
scavate nel terreno, perché nonostante sia parzialmente interrata, si presenta costruita dalle fondamenta.
L’ingresso ha a che fare con un cumulo artificiale, la cui parte esterna non si è conservata, mentre
possiamo leggere agevolmente la parte interna. C’è da notare che non ha fondazioni, ma poggia su 30-35
registri di piani orizzontali, fino a costruire uno spazio con 15 metri circa di diametro, definendo una sorta di
cupola che cupola non è. Non si comporta cioè dal punto di vista statico come una cupola, non c’è una
ripartizione delle forze fra orizzontale e verticale. Lo sporgere progressivo delle pietre si congiunge in cima,
ma non costituisce ovviamente un arco perché non vi sono cunei, ma sempre la solita lavorazione per piani
orizzontali. Anche in questo caso dobbiamo constatare come questo popolo sapesse lavorare e trasportare
pietre di grandissima dimensione.
All’ingresso si arriva attraverso un dromos, chiuso da un muro rivestito in opera ciclopica, ma che
presenta qualche cosa di importante a questo livello: l’architrave. Questo ha poi un alleggerimento nella
muratura sovrastante con il sistema già visto dei conci sovrapposti. L’architrave è un monolite in pietra di
grande forma, c’è quindi un alleggerimento che denota una necessità di tipo pratico. Questa struttura denota
la capacità da parte di questa civiltà di trasportare pietre di dimensioni gigantesche. Da un punto di vista
dell’assetto delle pietre vi sono diversi registri di pietre, mentre l’architrave è un blocco unico. Sempre
riguardo alla parte costruttiva-tecnica dell’edificio, per la pietra dell’architrave dobbiamo pensare ad una
pietra piana lunga 9 metri e larga 3-4 metri. Si tratta quindi di tagliare e spostare una pietra di dimensioni
colossali, cercando di rendere attraverso la pietra la rappresentazione della capanna del re o qualcosa di
simile, sicuramente una persona di rango straordinario, di posizione elevata all’interno della piramide sociale.
Non è quindi una costruzione paragonabile a quella egiziana, datata intorno al 14° secolo a.C. , dove il tipo
di lavorazione di pietra è impiegato per un utilizzo abbastanza simile (funerario) ma con esiti diversi.
Potremmo anche cercare di ricostruire l’assetto decorativo dell’ingresso, dobbiamo sempre pensare
che mai queste opere che vediamo restituite dagli archeologi come nuda pietra non erano riccamente
decorate. Nella restituzione dell’immagine vediamo infatti qualcosa di molto più complicato. In tutti i conci più
bassi è scolpito e ricostruito l’assetto di una porta con i rispettivi stipiti (studiando l’assetto delle soglie si è
capito che erano presente 2 o più porte, al di sotto dei conci giganti, che conducevano allo spazio centrale).
Vediamo poi delle colonne di alabastro verdastro, sistemate ai due lati dell’ingresso, e che proseguivano
superiormente con elementi simili, e quello che è lo spazio per l’alleggerimento si presentava ricco di
decorazioni di tipo geometrico. Queste erano applicate a qualcosa che conosciamo abbastanza bene,
colonne con fusto e capitello abbastanza riconoscibile. Sono entrambe fortemente decorate: vedendo un
dettaglio della colonna di sinistra (conservata in parte seppure non sia più in loco), è stata fatta l’ipotesi che
questa colonna rappresenti una colonna in legno con decorazione in metallo inserita nella colonna stessa.
Infatti questo tipo di decorazione non deriva dall’arte di lavorare la pietra, ma dall’incisione e successivo
riempimento con metalli nobili di colonne lignee, utilizzate per l’architettura residenziale. Tutto questo ha una
sua fioritura eccezionale, ed al contempo una forte cesura dal punto di vista storico, causata da un’altra
invasione asiatica. Diventa quindi un luogo in cui la civiltà greca riflette sul suo passato remoto. L’interno si
presenta con ricorsi successivi, ma dalle analisi della pareti si pensa fosse riccamente decorato con
l’inserimento di rosette metalliche, che avrebbero denotato una camera riccamente decorata, assolutamente
diversa da quella che vediamo oggi.
 
Non abbiamo più architetture in pietra per alcuni secoli. Succede qualcosa di importante rispetto alla
disposizione delle popolazioni, abbiamo visto che molti cretesi si trasferiscono in altre isole, e la stessa cosa
succede quando arriva l’invasione dei dori, e molto popolazioni emigrano poi dalla regione greca alla costa
turca e all’Asia minore, costituendo le colonie ioniche. Dalla prima partizione fra cultura della madrepatria
dorica e delle colonie ioniche ha origine anche una differenziazione dell’architettura fra le due popolazioni. Si
può anche dire che intorno all’8° secolo a.C. i Dori, fusi con le popolazioni locali rimaste, come accedde per
le città ioniche, formino città molto popolate e ricche. Non abbiamo ancora parlato del grande numero di
isole, che sono state anch’esse soggette alle invasioni subite dalla madrepatria. Si può quindi dire che
intorno al 6° - 7° secolo a.C. ci sono città importanti su entrambe le sponde del Mar Egeo. C’è anche da dire
che all’interno della cultura e dell’organizzazione di questa città esiste anche una cultura molto importante,
che è quella della fondazione di nuove città, fondate sia dai Dori, sia dalle popolazioni ioniche, fino ad
arrivare nella MagnaGrecia o al sud della Francia. Queste popolazioni condividono la stessa lingua e lo
stesso Olimpo, che ha sostituito un culto pre-esistente connesso alla madre terra, sostituendola con una
divinità piuttosto maschile come quella di Zeus. Tutte le divinità minori vengono ricostituite e generate
partendo dal matrimonio fra Zeus ed Era (Giunone per i latini). L’architettura monumentale viene tutta
impegnata nella costruzione di templi, non nell’architettura funeraria, ma nell’organizzazione del tempio
greco. Il tempio greco ha una sua costanza nella forma che dura per secoli, nella pianta, nell’alzato e nelle
singole parti che lo costituiscono. I singoli elementi del tempio greco sono poi passati nel linguaggio classico
dell’architettura, con ordini architettonici e che hanno contrassegnato l’architettura occidentale per tutta
l’epoca romana, e dopo questa nel medioevo, con una grande ripresa durante il rinascimento, il barocco ed il
neo-classico. Il tempio greco è quindi alla base della costruzione di un linguaggio riconosciuto per
l’architettura occidentale.

Alle origini: che cos’è il tempio, quando diventa monumentalizzato – Thermos


Gli scavi archeologici hanno restituito qualcosa che si presenta in modo complesso, una
sovrapposizione di tempi diversi, in strati diversi tante costruzioni addossate l’una sopra l’altra. Possiamo
leggere una pianta sotto forma di strati l’uno sopra l’altro. A’ e B’ sono indicate come abitazioni, o come
templi, perché non abbiamo indicazioni sull’utilizzo di queste costruzioni. Il tempio deriva comunque dalla
casa, è sostanzialmente la casa del Dio. Mai si presenta una venerazione dell’Olimpo intero, quanto
piuttosto ogni città o luogo ha un suo culto particolare. In altri c’è piuttosto una divinità o l’altra, che all’inizio
erano divinità locali che poi sono state riconosciute in un Olimpo Comune. Il tempio è dedicato ad una
divinità alla volta, e possiamo pensare che le prime statue di culto, erano degli arredi lignei che
rappresentavano la divinità stessa. Alla divinità greca si offrono piuttosto sacrifici, e si richiede quindi uno
spazio pubblico e non chiuso come quello dell’Ara, dove praticare sacrifici animali.
Il luogo deve essere antistante alla rappresentazione della divinità (luogo di riparo della statua della
divinità, contenente un elemento ligneo che poteva essere restaurato). Altro elemento importante è quello
del tesoro, perché c’era la necessità di poter conservare ciò che era donato alla divinità stessa.
Vediamo una cella A, un ingresso che rimarrà costante, ed una cella retrostante con una
conformazione absidale che dopo diventa retta. L’elemento B presenta invece una importante aggiunta, una
serie di elementi puntiformi intorno alla costruzione. Queste costruzioni erano in mattoni crudi, e quindi
riparati con una copertura a capanna, le cui falde vennero presumibilmente allungate con dei pali di legno,
elementi di legno infissi tutt’intorno alla cella stessa. Era una muratura in mattoni crudi, quindi un qualcosa
che poteva rovinarsi con le precipitazioni, a differenza dell’Egitto che presenta precipitazione scarsissime se
non nulle. Compare per la prima volta l’elemento architettonico della falda. Dobbiamo anche pensare che la
pioggia battente, porta alla rovina delle murature verticali, e deve quindi essere allontanata. Per evitare che
questi legni marcissero a contatto col terreno, ciascuno di questi erano contenuto in un cilindro, origine del
basamento della colonna, e sono stati proprio questi basamenti ad essere stati rinvenuti. Si presenta inoltre
come portico esterno, ma non adatto a camminarci o sostarvi perché molto stretto. E’ possibile pensare che
col portico il tempio si monumentalizzi, si dà una maggiore importanza a questa costruzione attraverso la
costruzione di questi elementi lignei, ricordando la fortuna dei portici nel palazzo di Cnosso. Questo palazzo
si presentava ricchissimo ed immenso, divenendo un modello che si volle imitare, e tutti questi elementi
permettono di ingrandire l’aspetto esterno del tempio. Parte fondante del tempio greco è il dover ospitare la
statua e poco altro, è differente da un tempio cristiano. Alla statua può accedere solo l’addetto, il sacerdote.
Anche se in alcuni santuari erano possibili funzioni accessorie come la predizione del futuro, non sono
comunque spazi che dovevano contenere folle.
Vediamo in nero le parti più antiche del tempio, mentre in bianco le fasi più recenti. Se facciamo ora
attenzione al disegno rappresentato in bianco possiamo vedere una base in pietra più evidente, ma con
elementi che derivano sicuramente dal tempio pre-esistente. Osserviamo una serie di elementi che sono più
comprensibili analizzando la ricostruzione lignea: sono necessari una serie di pali sistemati lungo l’asse
mediano, alti quanto il colmo del tetto che sostengono.
 
Il tempio di Apollo a Thermos nel 630 a.C. non è più un tempio ligneo, ma in pietra, e si presenta con
elementi derivanti dal tempio in legno, come anche il tempio di Heràion. Entrambe le strutture hanno una
cella molto allungata, con dei sostegni centrali. L’Heràion (o Tempio di Hera) di Samo ha all’interno delle
strutture per lo più in legno. In entrambi i casi il tempio nasce come ricovero della statua, in entrambi i casi la
statua è sistemata in fondo, ed un portico posteriore solo nel caso di Thermos, con un retro del tempio che si
presenta sostanzialmente uguale all’ingresso principale. Ai visitatori si presentava un tempio a due navate,
ed in futuro uno degli scopi principali della costruzione del tempio è quella di evitare questa disposizione per
mettere in maggiore risalto la statura del Dio. Lo spazio della cella è il ναος [naos], lo spazio antistante
coperto è il pronao ed abbiamo infine l’epistodomo, il portico posteriore, molto importante perché uguale in
entrambi gli ingressi.
Architettura dorica: è l’architettura della madrepatria che dal legno si trasforma in pietra, ma che
conserva in gran parte elementi della struttura lignea. Vitruvio già in epoca augustea, intorno all’anno 0,
racconta molto del mondo greco e ci consegna l’unica fonte classica che si è conservata non relativa alla
storia o alla produzione artistica, ma un trattato che parla solo di architettura. Ci dice che il tempio greco-
dorico nasce come pietrificazione del tempio ligneo, cioè del tempio che avrebbero costruito le prime
popolazioni greche, che civilizzatesi ne hanno mantenuto la forma.
I pali del legno si trasformano in περιςτιλιο [peristilio], un “giro” di colonne intorno al tempio. In queste
due rappresentazioni del tempio, leggiamo:
Terracotta House Model from Argive Heraeum: davanti a questa casa greca con falde visibili,
abbiamo pareti decorate, due pilastri ed un architrave, un qualcosa che si presenta monumentale, oltre
all’ingresso con due colonne.
Drawing of a temple on the François Vase: c’è un ingresso che ci fa vedere una statua lignea
molto più grande, nascosta da un battente chiuso. Vediamo anche qualcosa di simile al nostro pronao, una
colonna con una base di capitello. Dobbiamo immaginare il pronao, con un elemento murario che prosegue,
chiamate ante (prolungamenti del muro della cella), e qui vediamo una cosa caratteristica dell’architettura
greca e fondamentale perché diversa dall’architettura romana, dove l’anta è anch’essa decorata, ma
presenta una decorazione differente dal capitello (altra foto?). Abbiamo una colonna, un abaco, un echino,
un fusto scanalato, cioè tutto quello che sarà poi riconosciuto come ordine dorico. Sopra abbiamo un
architrave, di cui non conosciamo il modello, ed un elemento mediano detto fregio ed un elemento terminale
che si chiama cornice: il tutto forma la trabeazione. Al di sopra della cornice abbiamo però un elemento che
dovrebbe essere il triangolo con cui le falde si presentano. I greci sostengono di aver inventato due cose
nell’architettura: le tegole ed il frontespizio. Il tempio è anche una costruzione essenzialmente a falde, e
quindi la costruzione implica da sé un frontespizio.
Pare che le tegole siano state inventate a Corinto. La tegola è un elemento di protezione delle falde
di legno, e la prima copertura di protezione delle falde era stata costituita da elementi vegetali adatti a
costituire qualcosa di impermeabile. Corinto diventa un centro dove la produzione della terracotta è
archeologicamente accertata. Sicuramente non è un’invenzione egiziana perché gli egiziani non avevano
necessità di coprire costruzioni a falde. Il tempio a falde ha un problema molto forte di immagine, che viene
risolto con uno spazio lasciato alla decorazione scultorea. Abbiamo una serie di elementi ripetuti chiamati
triglifi inseriti nella parte mediana del fregio, insieme a parte più semplici chiamate metope. C’è un’alternanza
fra metope in triglifi in rapporto al tempio ligneo: se si pensa ad un’organizzazione lignea bisogna pensare a
questi elementi lignei come delle teste che sporgono dalla travature sorretta da colonne, dove sporgono tutti
gli elementi di travatura del tetto. Queste teste segate delle trave sarebbero state coperte come ci dice
Vitruvio, con delle piccole tegole quadrate che fungevano da protezione. Esiste anche un’obiezione molto
forte ed interessante, parla della convenzione di questo tipo rappresentazione, perché in facciata non
avremmo nessun tipo di elemento sporgente, queste travi sporgenti si troverebbero solo sui lati dello stesso.
Dobbiamo pensare a qualcosa che è presumibilmente nato come risposta funzionale sui lati del tempio,
diventato decorazione.
I primi templi sono di legno, con murature a sacco. Il primo tempio nella parte superiore è
sicuramente ligneo, ma dal momento dell’invenzione della terracotta, si inventa anche il fronte decorativo del
tempio stesso. Qui vediamo il frontespizio di Gela, ritrovato grazie agli scavi archeologici. E’ un tempio in cui
in tutte la parti doveva difendersi dall’acqua e dall’umidità, e si presenta fortemente colorato e decorato.
Erano tutte costruzioni che proponevano con materiali più duraturi la stessa squillante cromia dei primi
templi.
In Sicilia, a Siracusa, abbiamo un tempio che si presenta piuttosto arcaico, che presenta gli stessi
elementi del vaso François. Abbiamo una base che contorna il tempio stesso, il suo fianco è costituto da un
περιςτιλιο [peristilio], un giro intorno di colonne, dov’è importante notare le proporzioni dello stesso. Il tempio
è costruito da una pietra porosa, facile da lavorare, stuccata e colorata. Quindi si presentava qualcosa che
non denunciava la natura del materiale.
C’è ovviamente un rapporto fra la dimensione dell’architrave e la dimensione della cornice. Oltre a
questo c’è un rapporto fra il diametro alla base della colonna, e l’altezza della colonna stessa, che si
presenta piuttosto tozzo, che ci fornisce un modo di datare le colonne in base al rapporto che queste hanno.
Fin dal 5° secolo a.C. si costituisce una sorta di trattatistica che definisce quali siano le dimensioni migliori
per i templi, che verranno costruiti in forma simile per un tempio abbastanza lungo: si cercherà
essenzialmente di dare la giusta proporzione alle parti del tempio stesso.
Il canone si originava dal rapporto delle varie componenti del corpo umano. Così come Policleto ha
stabilito che può essere stabilita una rappresentazione perfetta dell’uomo, viene rapportata all’architettura
con una misurazione base che è quella del diametro alla base della colonna. C’è un rapporto fra base della
colonna ed altezza che sta 1:5, quindi piuttosto tozzo. La stessa cosa può dirsi per il capitello dorico, ad ogni
architetto scultore a che si cimentava nella costruzione un tempio greco, era assegnato più il compito di
calibrarne esattamente le proporzioni dei vari ordini, più che l’incarico di inventare un nuovo capitello.
Paestum VI° secolo a.C. Nell’odierna Campania, un’altra colonia greca. Si tratta di una colonia
dorica andata poi rapidamente in rovina, a causa dell’opposizione delle popolazioni italiche, una fortuna per
noi in quanto ha permesso la conservazione dei templi greci originari, mentre nella madrepatria sono stati
mano mano sostituiti e modificati. Abbiamo una cella, con un ingresso, un pronao, con due colonne, e quelle
ante del tempio connotate, da questi elementi con una connotazione caratteristica, essendo i capitelli d’anta.
Ha due facciate praticamente identiche. Ai lati della cella abbiamo un colonnato, un sistema originatosi ai lati
che viene poi riportato all’ingresso e nel retro, denotando un giro di colonne che viene a contornare l’edificio
templare. Si arriva quindi a prendere sui 4 lati lo stesso sistema del περιςτιλιο [peristilio] di colonne, con la
stessa decorazione di metope e triglifi. La copertura nasce dalla copertura a falde. Qui la soluzione per
eliminare la spina centrale dei sostegni è di passare da 2 navate a 3 navate, passare cioè al raddoppio del
sostegno. Si rompe l’asse che è troppo grande per essere sostenuto con una sola fila di sostegno. Questa
organizzazione rimarrà più o meno sempre stabile in futuro.
Lo Stilobate è l’elemento dove poggiano le colonne, l’ultimo gradino, mentre i due gradini sottostanti
prendono il nome di Stereobate. L’insieme, circa 3 gradini, è un numero che si mantiene relativamente
stabile. E’ un tempio costruito su una parte in pietra. E’ un tempio, che come vediamo anche dalla
successiva fase, è stato connotato non dalla necessità ma dal desiderio di avere il fronte principale identico
alla parte posteriore. E’ un tempio pensato sostanzialmente per essere osservato dall’esterno.
Con l’esempio di Atena a Siracusa e quello di Poseidone a Paestum, abbiamo visto due esempi di
architettura dorica. Ora un nuovo elemento caratterizzante è il capitello ionico. Le colonie ioniche hanno
sicuramente un rapporto verso l’oriente molto più pronunciato. Se il tempio dorico si mantiene con una forma
stabile, più o meno allo stesso modo in tutte le colonie e nella madrepatria salvo qualche novità nel rapporto
fra le parti e nelle proporzioni, il tempio ionico è molto più difficile da definire perché non ha un suo canone
stabile.
Tempio di Artemide Efeso, VI° secolo a.C. . Il numero di colonne denota una selva di
colonne tutte uguali, che contraddistinguono un tempio di straordinaria importanza. I templi ionici si
caratterizzano per la loro dimensione straordinaria e per l’unicità della pianta. C’è la volontà di arrivare ad
una magnificenza ottenuta attraverso la replica delle colonne. Il capitello ionico è del tutto differente da
quello dorico, ha un elemento molto più scultureo, ma anche questo non si mantiene costante, non esiste
quindi una forma che si mantiene stabile, esiste un carattere orientale di questo tipo di architettura ionica che
è molto più decorato con elementi di scultura delle parti.
Sempre nel tempio di Artemide, si può vedere come non si può dare né un capitello canonico dello stile
ionico, né una base canonica, mentre nell’architettura dorica come in quella egiziana la colonna poggiava
immediatamente sul basamento. Altro elemento è il fatto che le proporzioni sono del tutto differenti da
quell’ordine dorico. Guardiamo la pianta del Tempio di Artemide ad Efeso in rapporto alle colonne. Una delle
caratteristiche principale dell’architettura ionica è che le colonne sono molto molto più slanciate. Se
misuriamo il rapporto in diametri, si può parlare di 10 diametri ed anche di più. Quindi se si riflette sull’effetto
che poteva fare l’effetto di questo tipo di selva di colonna, avremmo avuto un effetto molto differente da
quello dell’architettura dorica. Abbiamo variabili di luogo e cronologiche, l’unico elemento costante sono le
due volute del capitello, una forma pur sempre riconoscibile nella varietà delle realizzazioni.
 
Il Partenone E’ un tempio dorico del V° secolo, ed è probabilmente il più famoso tempio
greco al mondo, costruito fra il 447 ed il 432 a.C. dagli architetti Ictino e Callicrate, coadiuvati dal
famosissimo scultore Fidia, e foraggiati dall’altrettanto noto committente Pericle. Non è il primo tempio
costruito nel sito dell’Acropoli di Atene, questo banco roccioso che in epoche più remote era stato una
cittadella militare, diventa poi l’acropoli dedicato alla protettrice della città, Atena. La stessa origine mitica
della città trova il luogo di consacrazione nell’acropoli. Con la costruzione nel V° secolo dell’ultimo Partenone
si arriva ad una evoluzione di tutti gli elementi che abbiamo visto finora. Il Partenone non è un tempio
totalmente dorico, ma presenta al suo interno diversi elementi e proporzioni ioniche, si presenta quindi come
un edificio che rappresenta anche architettonicamente tutta la Grecia unita dalla lingua, che aveva
combattuto vittoriosamente contro i Persiani. C’è quindi il desiderio di portare all’interno molte tradizioni
provenienti da diverse patrie, ora unificate.
Precedentemente vi era un tempio noto come “tempio lungo 100 piedi” (circa 30m), di questo tempio
vi è una restituzione ipotetica, che si presentava con una cella divisa con un allineamento centrale come tutti
quelli che abbiamo visto finora. Nel 490 a.C. i Greci sono vittoriosi a Maratona, e nei dieci anni successivi
decidono di ricostruire in forme molto più monumentali il tempio cosiddetto del Primo Partenone, che si
presentava simile al tempio di Paestum. Questo viene distrutto quando era ancora in costruzione dai
Persiani, nel 480 a.C. quando la città viene messa a ferro e fuoco. Quindi dopo il 480 si ha un tempio
rovinato e bruciato in larga parte, che viene abbandonato nella sua pianta, e nel 440 viene ricostruito in altre
forme.
“Il Tempio a sei colonne”: vediamo un plastico del tempio definitivo, 8 colonne in facciata ed un
numero di colonne sul fianco che si caratterizza secondo il canone: il doppio più uno delle colonne in
facciata, quindi 17 colonne. Precedentemente nei templi più arcaici non c’era alcun rapporto fra i numeri
della colonne di lato e di facciata. Il progettista greco non lavora più sulle misure, in piedi, ma lavora sul
diametro delle colonne, che decidono il perimetro della costruzione. Questo è importante, perché niente
obbligava i greci ad utilizzare come base per le misure il diametro delle colonne.
Vediamo tutti gli elementi del Partenone dal punto di vista costruttivo: man mano viene abbandonato
il legno e la terracotta, e si arriva ad un’architettura totalmente di pietra, forse causata dai rapporti della
Grecia con l’Egitto, in quanto già dal VI° secolo a.C. abbiamo testimonianza di rapporti politici ed economici,
tanto che viene fondata dai greci una colonia sul delta del Nilo, Nàukratis. Si pensa quindi che questo
scambi abbiamo influenzato anche l’arte di lavorare la pietra.
L’immagine che vediamo presenta tutti gli elementi del Partenone sotto forma di blocchi squadrati e
tagliati. Il Partenone è costruito in marmo, non in pietra da costruzione, ma con un marmo utilizzato
normalmente per la scultura, non per l’architettura. Dobbiamo pensare che il Partenone è stato costruito
utilizzato cave aperte appositamente, è un edificio costruito con un materiale normalmente utilizzato per
l’arte dello scultore. E’ completamente costruito in marmo pentelico, anche le mura della cella sono costituite
da blocchi di marmo, anche le tegole sono di marmo, quindi sono tegole molto pesanti che nascondono
un’incavallatura lignea, sempre utilizzando marmo statuario.
Seconda osservazione: un’architettura di questo tipo è un’architettura che va progettata prima,
perché in cava è necessario conoscere le forme dei “pezzi” necessari per il montaggio. Quindi tutte le parti
sono progettate a priori per poi essere montate.
Terza osservazione: non si può quindi cambiare progetto in corso di costruzione, tutto quello che c’è
sopra è stabilito di conseguenza. Tutta l’architettura è costruita a partire dalla pianta, la misura dello stilobate
ci dà la misura base, ed è una costruzione dove tutto si stabilisce grazie a dei rapporti.
Oggi sull’acropoli si è montato da qualche anno un gigantesco cantiere di restauro, che ha smontato
i templi per rimediare ai guasti dei precedenti restauri effettuati con il cemento armato, in quanto il ferro
contenuto si stava ossidando e stava rovinando i vecchi conci. Si stanno quindi nuovamente smontando tutti
i vecchi templi per rimediare a questi cattivi restauri, che a partire dall’indipendenza greca del 1820, che
avevano provveduto a restituire la forma originale di questi templi. Questo spaccato assonometrico dà quindi
anche l’immagine del Partenone attuale.
Nella nostra analisi dell’edificio, il punto di partenza è capire come avveniva il trasporto del marmo: ci
sono delle cave a 15 km da Atene, e questi blocchi devono poi essere portati sull’Acropoli della città.
Rispetto all’Egitto qui cambiano i sistemi di trasporto: sia dalla cava al cantiere, sia per la manovra dei
blocchi in cantiere, vi sono altri sistemi oltre la slitta ed i piani inclinati.
Nell’immagine vediamo due ipotesi di trasporto di grandi blocchi di pietra, che vengono portati
attraverso dei carri. Il problema di un masso pesantissimo, è quello del trasporto: i buoi aggiogati ed
accoppiati possono trasportare anche grandi pesi, il problema è la resistenza dell’asse. Per non spaccare
quest’asse si sono inventati sistemi assai ingegnosi, come quello rappresentato, dove intorno al blocco di
pietra vengono costruite due ruote di legno ai lati.
Dal mondo egiziano al mondo greco cambia anche la struttura della società, dalla figura piramidale
(faraone, casta sacerdotale, etc… che posseggono quasi per intero il territorio coltivabile) si passa ad una
popolazione divisa in comunità-città, disperse su un territorio molto frastagliato. E’ difficile pensare, in un
sistema che comincia ad approssimare uno stato di diritto, a grandi masse di popolazione da sfruttare, e
pertanto si inventano nuovi sistemi di trasporto che alienano la fatica umana. Si abbandonano determinati
sistemi di trasporto, per favorire un montaggio di pezzi più piccoli, progettati con estrema cura, ma che non
eccedono mai e si rinuncia ad ottenere la sacralità dell’edificio attraverso il trasporto di pietre di dimensioni
eccezionali, che quasi sembrano spostate dagli dei.
Tempio di Se gesta, Magna Grecia presenta tutti i conci montati, ma è un tempio che non è
stato finito. Vediamo quindi con che tipo di lavorazione arrivavano dalla cava i blocchi, e osservando i tipi di
finitura. Nei gradini dello stilobate, ed alla base delle colonne, i blocchi non sono rozzamente squadrati, ma
presentano delle sporgenze molto evidenti: sono gli elementi che vengono lasciati in cava a sporgere,
affinché si possa trasportarli e sollevarli con delle corde. Il sollevamento dei blocchi avviene in maniera molto
semplice, invece di rifilarlo si lasciano delle maniglie a cui aggrappare delle corde. Se si osservano tutte le
rovine del mondo greco, si vedrà che questi sistemi si sono molto raffinati, arrivando a degli incavi, dove si
aggrappavano degli elementi in metallo che trattenevano strettamente il blocco. Questo significa che è
conosciuto il sistema della puleggia, che ovviamente non utilizza blocchi di dimensioni colossali. Dobbiamo
quindi pensare a qualche cosa che può essere trasportato con carri, ed è un blocco che è collocabile in
alzato con precisione: possiamo quindi metterlo e sistemarlo nella posizione esatta. Si garantisce quindi
anche una precisione assoluta durante la costruzione dell’edificio. Il blocco arriva dalla cava semilavorato, e
gli archeologi sono andati proprio in cava per capire, magari dai blocchi abbandonati perché rovinati, le fasi
della lavorazioni. Il blocco arriva 3-4 cm più spesso,con la cosiddetta superficie di sacrificio. Per le colonne si
eseguono quindi le scanalature solo una volta arrivati in cava. I rochi sono 8-9-10 per le colonne, l’unica
lavorazione che sarà già completata a rifinita prima dell’arrivo in cantiere sarà la complanarità delle facce. In
un’architettura realizzata completamente senza malta, è importante che le facce inferiori e superiori,
essendo le superfici di appoggio, siano trattate con la massima precisione.
La sistemazione dei piani orizzontali: il disegno schematico ci dice che come superficie d’appoggio
per i rochi delle colonne non si possono avere cilindri disassati uno rispetto all’altro. Partendo dall’esterno
abbiamo una superficie bianca perfettamente complanare, che è la parte di contatto, che richiede una
precisione estrema. Al primo anello esterno segue una parte lasciata un pochino più bassa di livello, più
scabra, che serve ad aumentare l’attrito delle varie componenti: questa garantisce meno lavoro e non
ostacola la sovrapposizione. Poi una parte nera più scura, ancora più bassa, ed un ultimo cilindro centrale,
nuovamente perfettamente complanare. Abbiamo poi una cavità dove veniva inserito un blocchetto di legno,
che al suo mezzo ha foro circolare. Con questo foro, in cui è inserito un perno circolare, avviene il
posizionamento senza errori dei due rocchi. Abbiamo un qualcosa che è legno, che non ha una funzione
ancorante, il legno serve solamente per avere un punto di riferimento con cui infilare il rocco successivo.
Solo dopo la sua posa si può poi pensare alla lavorazione finale. Le scanalature sono tutte a filo in quanto si
voleva far apparire le colonne come monolitiche.
Lo stesso ragionamento può essere fatto per le pareti della cella. Non è quindi solo la colonna,
dobbiamo pensare che qualsiasi elemento murario, che sia un sistema trilitico o altro, deve essere costruito
alla stessa maniera. Si organizza quindi un muro fatto di conci, sistemati in un modo sempre uguale. Ci sono
i blocchi dove inizia la costruzione, i blocchi più in basso, che sono sistemati con il lato lungo verso l’esterno
ed i lati corti verso l’interno. Per quanto riguarda la base del tempio si usano quindi blocchi disposti ortostati,
non replicando quindi la venatura naturale della pietra, per dare un effetto maggiore di monoliticità al muro
stesso. Si posano quindi alla base del tempio dei blocchi ortostati per dare un’idea di monoliticità, mentre
sono solamente ribaltati. Non è necessario che la complanarità sia garantita in tutta la superficie del blocco,
ma basterà costituire una fascia di 3-4-5 cm perfettamente complanare, mentre il centro può essere
leggermente più scabro.
Tendenzialmente il Partenone è un edificio tutto di marmo: ciò non può ovviamente essere vero
perché nessun edificio può essere completamente di marmo, ma necessita di un sistema di capriate lignee.
Questa vuole essere una tendenza, in particolare per la cella, ma si vuole dare l’idea che tutto l’edificio sia di
marmo. Si copre quindi il tetto con tegole di marmo pentelico, si è inserito un elemento pesantissimo per
dare l’idea che tutto l’edificio sia di marmo. Vediamo le tegole del partenone stesso: sono formate da due tipi
di embrici.
C’è anche da ricordare che chi andrà oggi in Grecia per le Olimpiadi, vedrà il Partenone con una
immensa gru. Il Partenone è stato presente nella coscienza iconografica occidentale da molto tempo,
attraverso una serie di disegni e vicissitudini che ne hanno minato la stabilità.
Il primo disegno del Partenone è di … (?) di Ancona, è la prima informazione pervenuta in Italia della
forma del Partenone. Uno dei grandi disastri incontrato dal Partenone durante la sua vita, è stata durante la
guerra nel 1680 contro i Veneziani, che colpiscono con una bomba la sommità dell’acropoli della città, dove
l’esercito ottomano teneva la polveriera (avvenne quindi un riutilizzo della cittadella ad uso militare). Una
cannonata veneziana fa sì che il Partenone esploda, distruggendo completamente la cella. Dopo la grande
esplosione il Partenone ha ospitato al suo interno una piccola moschea. L’altra immagine è un acquarello
che rappresenta il Partenone agli inizi dell’800. L’ambasciatore inglese ottiene dall’autorità turca il permesso
di portare via alcune delle sculture ancora conservate, portandole in UK dove arrivano poi al British Museum
of London. Da qui gli inglesi rifiutano ancora di restituirle alla Grecia, nonostante anni addietro siano anche
riusciti a danneggiarle cercando di sbiancarle.
Le vicende hanno a che fare con la sovrapposizione sull’acropoli di ben 3 templi. Abbiamo una
testimonianza del vecchio Partenone, poiché si trova al di sotto del nuovo Partenone, e perché osservando
l’acropoli di Atene dalla città possono vedersi a completare l’acropoli naturale, una serie di elementi che
paiono rochi di colonne. Quindi parte dei materiali portati in situ per la costruzione dopo l’incendio, perdendo
molte delle loro caratteristiche, sono stati trasportati ed utilizzati per consolidare il pianoro dell’acropoli.
Sistemare questi rocchi verso la città serviva anche a lasciare un monito, legato al giuramento che non si
sarebbero più costruiti templi in Grecia finché non si sarebbero cacciati via i Persiani. L’altra possibilità e che
questi blocchi, una volta consacrati ad Atena, non potessero più essere riutilizzati, e sono dovuti rimanere
nella stessa area. Non tutti i blocchi sono stati messi nella parete nord, ma alcune irregolarità nel portico
retrostante del Partenone, delle discordanze di misura e problematiche mascherate, fanno pensare che
alcuni blocchi siano stati riutilizzati.
Pianta: vediamo che il tempio è costruito a partire da uno stilobate. Questo rettangolo di base dove è
montato poi il tempio è realizzato anch’esso in marmo pentelico. Questo piano d’appoggio non è un piano, è
se vogliamo definire la sua geometria un rettangolo disegnato su una sfera di dimensioni molto grande, con
cinque chilometri di raggio. Abbiamo un piano di appoggio molto più difficile da realizzare, curvo su tutti i lati.
E’ una realizzazione molto complessa per cui la base del tempio non è una base piana. Le spiegazioni: una
molto banale è quella per il deflusso dell’acqua. Una seconda spiegazione possiamo ricavarla da Vitruvio:
esistono nella costruzione del tempio una serie di correzioni ottiche. Non qualcosa interno alla logica
dell’edificio, ma nella logica dell’osservatore. E’ un edificio che tiene conto del nostro modo di vedere, che
secondo i greci tenderebbe a vedere incurvata e scorciata agli angoli una superfiche piana. Si tratta quindi di
pensare a qualcosa di complicato, che mette qualcosa in più affinché i mortali considerassero perfetta
l’architettura del Partenone.
Sappiamo che i rochi si reggono per peso, e quindi questa stessa curvatura viene portata in alto, ma
in modo particolare. Questo primo blocco non ha quindi superfici complanari, ma avremo dei blocchi a
specchio con la stessa curvatura. Dovendo poggiare e costruire la colonna qui sopra, avremo un primo rocco
che non avrà le due superfici parallele. Arrivati nella soluzione terminali riabbiamo la stessa curva anche
sulla trabeazione, le linee del basamento e della trabeazione sono quindi parallele: la stessa curvatura è
riportata nella parte terminale attraverso il blocco del capitello.
Altre correzioni ottiche si verificano per gli allineamenti verticali. Il Partenone in qualche modo è il più
perfetto esempio della teorizzazione greca sul tempio. I rochi delle colonne presentano tutti piani orizzontali,
ma una volta terminata la colonna non sarà esattamente simmetrica, ma tendente verso l’interno, queste
colonne convergono tutte verso un centro, seppure lontanissimo (qualcosa a diversi km in cielo). Tutte le
colonne del περιςτιλιο [peristilio] sono convergenti verso il centro: per venire incontro all’imperfezione del
nostro modo di vedere, è sempre un accorgimento ottico, perché il nostro occhio tenderebbe a slargare
l’edificio. Questo effetto è ottenuto attraverso lavorazioni difficili e complesse: esiste questa necessità da
parte degli architetti di raggiungere la perfezione. E’ qualche cosa che non si costruire mattone su mattone in
cantiere, ma è qualcosa che prima va cavato perfettamente.
Due immagini a confronto: abbiamo visto che si tratta di una pianta con un sistema di cella,
contornata da un περιςτιλιο [peristilio]. C’è anche da dire che il Partenone presenta, nell’evoluzione dei
templi che abbiamo visto, una regolarizzazione sulle misure di larghezza e lunghezza del tempio. Si tratta di
misure relative in base al diametro della colonna: in genere un tempio è un tempio rettangolare. Solitamente
abbiamo un fronte di 6 colonne e lati di 13 colonne. La distanza fra colonna e colonna in facciata ed in fianco
è uguale, con differenze minime di localizzazione,
Nel primo Partenone vi sono 6 colonne, mentre nell’attuale Partenone ve ne sono 8 ed è una novità
straordinaria. Negli altri vi erano 6 colonne in quanto si rispettavano gli allineamenti delle due colonne
inserite all’interno del pronao, insieme alla prosecuzione e all’allineamento delle pareti. In una struttura come
questa, in epoca arcaica, se la distanza in facciata poteva essere fissata, non influenzava la distanza nelle
colonne laterali. Nei templi del V° a.C. abbiamo molti templi molto più fitti nella colonnata laterale, in quanto
rispondevano ad esigenze statiche. Nel Partenone abbiamo quindi l’unificazione della distanza fra colonna e
colonna, fra quello che è in pianta e quello che è in fronte (?). Rispetto a questo sistema arcaico il Partenone
è quindi diverso, tale per cui si presenta con 8 colonne. La misura della facciata in rapporto a quella dei lati
definisce un rapporto fisso di 2 ed ¼ (9 su 4), una proporzione che ritroveremo anche nell’alzato della
facciata (dove l’altezza è presa senza il frontespizio). E’ un rapporto che comunque noi umani passeggiando
intorno possiamo difficilmente percepire. Questo numero viene considerato perfetto perché se andiamo a
guardare la distanza degli interessi delle colonne rispetto al diametro andiamo a ritrovare questo rapporto,
derivato da questo rettangolo perfetto. Esistono comunque dei luoghi dove le colonne hanno delle distanze
diverse, perché solo genericamente è 2 ed ¼, mentre in alcune emergenze il rapporto viene variato.
Abbiamo quindi una ricerca di proporzioni che possiamo vedere nella distanza fra colonna e
colonna. Vitruvio ci è nuovamente d’aiuto, ricordandoci che il rapporto fra proporzioni perfetto per i Greci è
proprio di 2 ed ¼.
Il Nuovo Partenone, è un tempio che ha una novità assoluta nel mondo greco, poiché ha 8 colonne.
Di fatto l’organizzazione della pianta del Partenone è la più monumentale fra quelle che abbiamo visto. La
necessità dovrebbe essere stata stabilità dallo scultore più che dall’architetto. Il termine παρζενον [Partenon]
in origine descriveva la cella retrostante del tempio stesso, ma già dall’antichità è passato al tempio intero.
La prima cosa che chiede Pericle a Fidia, quanto Atene era diventata centro della Lega, era la
necessità di una statua divinatoria di dimensioni colossali. Molte parti della statua di Atena erano costituite in
avorio, sopra un grande impalcato in legno, tutte le parti relative alla armature, ai vestiti erano invece in
metallo preziosismo, la parti vive erano realizzate in avorio, tanti minuti frammenti sistemati fino ad ottenere
una statua straordinaria. Le ultime tracce si hanno fino all’Impero Romano d’Oriente, quando tutti i tesori
vengono poi portati nella capitale Costantinopoli. Le proporzioni interne della cella sono molto più grandi di
quelle utilizzate solitamente. Bisogna poi organizzare un tetto sovrastante, un tetto ligneo, capriate a cui era
appeso un contro-soffitto piano. Tutto questo aveva bisogno di appoggi intermedi, e quindi anche qui
abbiamo una serie di elementi che distinguono delle navate. Intorno alla statua cultuale, il colonnato gira,
anche se queste colonne erano inutili dal punto di vista statico, ma dava solo la possibilità di ammirare da
tutti i lati la statua della Dea.
Pausania nel II° secolo d.C. scrive di essere entrato nel tempio e di aver potuto girare intorno allo
stessa statua. Abbiamo una cella anteriore ed una posteriore. In quella dell’ingresso abbiamo ante piuttosto
ridotte, e davanti un colonnato di 6 colonne. Abbiamo quindi un’organizzazione quasi uguale ad un tempio,
attorno alla quale si ricostruisce il περιςτιλιο [peristilio]. Osservando dal fronte il Partenone vediamo quindi 8
colonne, a cui corrispondono 6 colonne nel retro, ed un ingresso in asse. Le colonne hanno diametro
diverso, dalle più grandi esterne a quelle più piccole interne. La colonna si costruisce in rapporto a quello
che viene considerata la perfezione nell’ordine dorico ed ionico. Vi sono quindi dei canoni che dichiarano la
proporzione delle componenti nelle varie parti. Esiste un canone,parola che viene dalla trattatistica antica,
esistono una serie di proporzioni classiche che sono considerate obbligatorie, come che il diametro della
colonna sia contenuto 4 volte e ½ (tempio dorico) o 10 volte (tempio ionico) nell’altezza.
Il Partenone sta in un rapporto di 5 e ½, quasi 6, quindi molto slanciato, pare quindi che si tenda
verso lo ionico. Quindi il luogo più sacro di Atene non rappresenta più la sola identità dorica, ma quella di
tutto il popolo greco. Questo slancio verticale si connette anche ad una necessità effettiva: una volta stabilite
le 8 colonne, si arriverebbe a qualcosa di molto largo e molto basso, mentre slanciandolo…
Intercolunnio: questo non è fisso in ogni parte del tempio, ma per ragioni d’uso ed ottico varia
spesso. Abbiamo quindi un intercolunnio di 2 e ½ all’ingresso in facciata, mentre si riduce a 2 negli spigoli.
E’ importante osservare inoltre che la colonna d’angolo ha un diametro maggiore. Abbiamo sistemati in asse
con la colonna i blocchi dell’architrave. Vi sono sostituzioni in resina dei vecchi fregi, il cui patrimonio è quasi
completamente monumentalizzato. Troviamo in corrispondenza di ogni asse delle colonne un triglifo.
Vediamo invece che il triglifo è stato spostato sullo spigolo, fino a che lo stesso si presenti con due triglifi
piegati a libro. Tutto questo porta ad un allineamento piuttosto complicato. Si parla di “conflitto angolare”,
avendo spostato la colonna che non rimane più in asse sotto il triglifo.
Vediamo un’immagine tratta da un commentario di Vitruvio, per ricordarci l’origine lignea del triglifo.
Vitruvio è molto chiaro nel III e IV libro (i romani in futuro saranno meno rigidi), spiegando come i Greci non
desiderassero delle metope negli spigoli. I triglifi sono in asse con le colonne centrali, mentre sui lati questo
rapporto viene abbandonato. Se noi volessimo organizzare un triglifo che si presenta con la pre-soluzione di
quel sistema già dato, se si tiene la distanza di due moduli ed un quarto il fregio si conclude con una mezza
metopa. La mezza metopa non è accettata nell’architettura greca, mentre lo sarà in futuro (Libreria Marciana
a Venezia dell’architetto SanSovino). E’ qualcosa che attiene sostanzialmente al carattere iniziale
dell’architettura dorica.
Quant’è lunga la facciata di un tempio, di un Partenone? La misura dello stilobate, che è l’elemento
di partenza, va stabilita dal diametro della colonna e degli intercolunni, che vanno tutti sommati, sapendo già
come funzionerà in alzato.
La cornice è composta di Mutuli (lastre disposte orizzontalmente, un po' inclinate) ornati di tre file di
sei gocce ciascuno, del gocciolatoio e di una gola. Regulae: sono elementi che dovrebbero aiutare nello
sgocciolamento dell’acqua. Doccioni: sono delle teste di leoni, che rappresentano lo sfogo dell’acqua.
Acroteri in terracotta dietro questi ultimi, che si presentano a distanza regolare.
Esista una cella molto grande con la statua cultuale (diretta verso Est), ed una cella retrostante.
Esiste un orientamento dei templi greci (quelli egiziani erano orientati in base al sole), già la stessa parola
etimologicamente significa “disporre verso oriente”. Il sole nascente viene considerato qualcosa di
importante per le religioni, e quindi la statua e la porta sono sistemate verso Est. Proprio lo spazio
retrostante aveva il nome di Partenone, che pare conservasse anche il tesoro della Lega Delica (dalla prima
sede nell’isola di Delo).
C’è da notare l’impianto, nuovo rispetto al tempio di Paestum: abbiamo ante molto corte, un
προναος [pronaos] cortissimo. Per le colonne abbiamo diametri diversi che implicano altezze diverse: questo
perché un greco non può sopportare la vista di colonne con rapporti di snellezza diversi. Non è accettabile
avere due colonne doriche con dei rapporti d’altezza diversi: devono avere lo stesso rapporto fra la base e
l’altezza. Quindi già osservando la pianta noi sappiamo che abbiamo colonne di altezze diverse. La
soluzione è porre dei gradini sotto le colonne più piccole, in modo da non mostrare l’architrave ai visitatori.
Man mano che le colonne sono più piccole tutto il resto diventa più piccolo. Anche questo non è accettabile
da parte dei greci, difficilmente si riesce a risolvere il problema di un fregio e triglifi più piccoli. Si risolve il
problema con un fregio continuo (ionico) al posto di un fregio dorico, che presenta però elementi di
doricizzazione nella presenza dei mutuli. Il fregio rappresentava le panatenaiche. L’ultima ipotesi molto
affascinante è che rappresenti il mito fondativo del sacrificio di Efesto. Questo perché difficilmente all’interno
di un tempio greco si può rappresentare un avvenimento comune, ma è d’obbligo piuttosto un accadimento
sacro/mitologico. Fra i due colonnati abbiamo delle lastre di marmo lavorato che simulano i cassettoni lignei
tradizionali. C’è un soffitto che si sistema all’altezza della cornice, ed in questa posizione in effetti non c’è
legno.
Nell’uso dei templi ionici il fregio non ha metope, ma è una fascia continua. C’è sempre una forma
che deriva dalla necessità di far sgocciolare l’acqua, oppure un’altra definizione può essere quella degli
elementi che sarebbero potuti servire a fermare le tavolette di legno. E’ una continuazione dell’architrave
dorico, perché contiene le parti inferiori dei triglifi (c’è quindi una contaminazione dei due stili).
Rimane da vedere la dimensione delle colonne interne. Abbiamo due risposte diverse, una per la
cella cultuale, e l’altra per la cella posteriore. Paradosso importante dell’architettura greca: l’origine lignea si
può riconoscere, ma una volta che è monumentalizzata è del tutto perduto questo rapporto. L’incavallatura
lignea non è più in rapporto con questi triglifi. L’origine lignea è solo un’origine rinvenuta ed accettata anche
dagli stessi greci, ma oramai slegata dalla decorazione. Nella cella centrale si arriva al soffitto attraverso la
sovrapposizione di due ordini, con delle regole importanti. Finora abbiamo parlato genericamente di fusto e
di colonna, come se fosse un fusto cilindrico oppure poligonale, mentre sappiamo tutti dell’entasi e della
rastremazione. Comunque sia la colonna non è un cilindro. In questa cella interna, con due ordini
sovrapposti, la colonna superiore deve avere il diametro di partenza pari alla cima del fusto della colonna
sottostante.
La cella antistante è dorica, la cella retrostante forse ionica. Osserviamo inoltre un fregio continuo,
uno slancio delle colonne doriche, ed una cella posteriore con evidentissimi caratteri dell’Asia Minore. Anche
la scultura era un mondo colorato, l’intera classicità era un mondo colorato: i triglifi erano dipinti di blu,
perché fra i pochi colori naturali ottenibili al tempo il blu era qualcosa che poteva essere ottenuto facilmente.
Le metope hanno un fondo sicuramente colorato, c’è un colore rossiccio, rosato, che apparteneva a tutta la
parte superiore: è un tempio che nessuno di noi riesce ad immaginarsi. Solo nel 1830-1840 alcuni
archeologici francesi contro l’ostracismo dei professori, che professavano il culto del candore, riuscirono a
ristabilire la verità cromatica sui templi greci.
Il timpano del Partenone è abbastanza arretrato per ospitare le sculture (non dei semplici
bassorilievi, ma quasi a tutto rilievo) di Fidia.
 
Tempio di Atena Nike Nel 449 a.C. è stata votata la costruzione di questo piccolo
tempio per celebrare la vittoria sulla Persia, e l’architetto era Callicrate. E’ un tempio del tutto ionico di un
architetto che era connesso al Partenone. E’ stato costruito fra il 427 ed il 424 a.C. . In questo ritardo di venti
anni si pensa che l’area di costruzione si sia resa molto più piccola, così lo spazio utilizzabile si è contratto.
Vi è un grosso bastione, ricoperto di marmo, che era un bastione militare dell’Acropoli precedente. Ci sono
dei limiti all’uso dell’acropoli derivati da culti precedenti. Questi hanno ostacolato sia la costruzione del
tempio di Atena Nike sia i Propilei perché quegli spazi non erano disponibili.
Il frontespizio è perduto, e ospitava una statua rappresentante la vittoria. E’ un tempio anfiprostilo, lo
stesso Callicrate ha costruito nei vent’anni di pausa un altro tempio, presso il fiume Ilisso, vicino ad Atene.
Ha una cella, un pronao, 4 colonne in facciata, quindi non è un tempio periptero, ha solo le colonne davanti e
le colonne di dietro.
Le architetture di ordine ionico costruite in Attica, hanno basi molto complicate. D’ora in poi la “Base
Attica” sarà una particolare tipologia di base che ritroveremo fino al Barocco. Abbiamo una base, un fusto
che per essere ionico è abbastanza tozzo (non sono sicuramente dieci diametri), perché siamo in Attica, non
siamo in Asia Minore, in più le colonne del tempio sono esattamente la metà di quelle usate nei propilei, c’è
quindi un coordinamento fra i due edifici. Il fatto che siano attigui fa sì che ci sia stata una scelta di
coordinare le colonne. Vi sono tre fasce tripartite, con un fascio di sculture di incerta origine, che potrebbero
rappresentare la battaglia di Platea del 479 a.C. (?).
La Atene del V° a.C. di Cimone e di Pericle è quella che conduce a fortunate battaglie contro i
Persiani, che verranno cacciati fuori dai confini. Esiste una grande Grecia, con centro il mar Egeo, ed Atene
a capo della Lega (nel mentre Sparta è parzialmente distrutta da un grave terremoto). Siamo quindi in un
periodo in cui l’alleanza con le città della ionia è fortissima, e la ricostruzione dell’Acropoli avviene dopo la
distruzione del 480 a.C., che precede la vittoria navale di Salamina.
Ci si avvia pertanto ad una fusione fra l’architettura dorica e quella ionica: la Grecia è una sola, per
sancire questa nuova alleanza, ad Atene si costruisce anche con il denaro che arriva per mantenere la flotta
del grande nuovo porto del Pireo. Oltre alla manutenzione ed alla costruzione delle navi, bisognava pagare il
soldo dei rematori e dei mercenari.
Il tempio ionico è molto più difficile da definire rispetto a quello dorico. Non esiste un tempio ionico
standard, tutti hanno proporzioni e forme diverse. La caratteristica comune è il capitello scultoreo con la
voluta, che forse trae le sue forme da elementi naturali, forse è una trasposizione, al di sopra della voluta
l’abaco (c’è sempre) e la sovrastante trabeazione. La caratteristica principale dell’ordine ionico è una
maggiore snellezza, il rapporto può andare fino a 10 moduli. Per il dorico siamo invece fra 5-6, numeri
notevolmente diversi. Il tempio di Atena Nike ed il Partenone sono entrambi esempi di associazioni fra i due
ordini: anche lo ionico trasportato all’interno dell’acropoli di Atene cambia.
Il tempio di Atena Nike ha una storia complessa dal punto di vista della datazione, ha un autore che
è Callicrate, ed una esecuzione dal 427 al 424. L’Eretto è invece iniziano intorno al 421 (e terminato nel 409-
405). E’ un tempio che viene progettato prima ed eseguito dopo, con qualche cosa che è successo nel
frattempo, ovvero una riduzione dello spazio disponibile, e quindi il tempio è come ridotto nella sua
lunghezza. Viene ridotto sulla lunghezza e non nella larghezza, con tre pilastri in sostituzione delle ante. La
sua costituzione lo porta ad essere connesso in maniera molto stretta con i propilei. Precedentemente c’era
un ingresso differente ed un santuario dedicato ad Artemide (Diana), che impedirà la simmetria in pianta dei
nuovi propilei, che appaiono quindi mutilati.
Il tempio dedicato alla Vittoria, ha una caratteristica importante: è sito presso l’ingresso, sopra un
bastione pre-esistente dell’acropoli arcaica. Questo bastione viene foderato di lastre di marmo pentelico. C’è
ora una fodera in parte restaurata, nel medioevo sul bastione era stata costruita una torre che aveva
inglobato il tempio, che scavando è stato recuperato dagli archeologi.
Questa fortificazione è poi servita per erigere un bastione fortificato, ed attualmente il tempio non c’è
più perché giace smontato in magazzino. In verità tutto ciò che vediamo di queste epoche remote è frutto del
lavoro degli archeologi, per lo più si tratta di scavi, disseppellimenti e ricostruzione effettuati in diversi fasi, in
particolare dopo l’Indipendenza della Grecia.
E’ un tempio a due facce, identiche, con 4 colonne davanti e 4 colonne di dietro. Il retro ha un ruolo
considerevole, perché si presenta come il fronte verso la città. Già dall’inizio, dal tempio di Apollo a Thermos,
iniziamo ad avere due fronti equivalenti dal punto di vista monumentale. Vi sono delle ante molto ridotte, con
capitelli d’anta replicati anche dietro, per esprimere l’equivalenza dal punto di vista architettonico dei due lati
del tempio. L’ingresso è anche in questo caso ad est.
Dal fronte dove si entra, tutto quello che vediamo manca del frontespizio (anche se ci sembra
proporzionato così), sta montato su tre gradini tradizionali (mentre il tempio ionico tradizionale stava su 2
gradini), esempio di doricizzazione, vediamo anche l’ingresso e i capitelli d’anta su entrambi i lati. Il capitello
d’anta è diverso da quello delle colonne, questo perché era solito che i capitelli fossero diversi.
Le proporzioni sono di compromesso: non sono ioniche piene. La colonna non è al livello di 10
diametri, siamo a 6,8, qualcosa che è sicuramente più delle proporzioni doriche, ma molto di meno di quelle
ioniche. Abbiamo rapporti piuttosto interessanti anche negli altri edifici ionici che stanno nell’Acropoli. Queste
proporzioni misurate sono l’esatta metà di quelle dei propilei che sono affianco, progettato successivamente
ma in rapporto con questo. L’intercolunnio di Atena Nike è la metà esatta del tempio dell’Eretteo, sono
sempre misure che ritornano.
La pianta è la contrazione di un tempio che doveva essere diverso. Rispetto al tempio sul fiume
Ilisso spariscono le due colonne retrostanti l’ingresso e quasi scompaiono le ante. La chiusura del tempio era
assicurata con una cancellata metallica. L’ordine ionico presenta una decorazione ad ovolo (1/4 di cerchio
decorato) , sottostante alla voluta spiraliforme, e si conferma in modo più regolare rispetto alle città ioniche
(mentre in quel secolo andava assomigliando ad una infiorescenza), con una flessione rappresentante il
peso che flette il capitello. Sovrastante abbiamo l’architrave, il fregio e la cornice. Tradizionalmente
nell’ordine ionico la cornice non è semplice come nell’ordine dorico, ma abbiamo 3 fasce parallele. Qui
vediamo anche un architrave doricizzante, molto semplice. Il fregio ionico è continuo, con cicli continui
figurativi. E poi la cornice superiore.
Attraverso il capitello d’anta, viene rivestito il pilastro, abbiamo dei capitelli d’anta che possono
decorare il muro, vestito da colonna, la base da colonna ionica è lo stessa del capitello d’anta, non si tratta di
un muro continuo ma di una soluzione innovativa. L’angolo nell’ordine ionico: abbiamo visto le problematiche
nel tempio dorico (per l’estetica greca del V a.C. lo spigolo doveva terminare con un triglifo e non con una
mezza metopa. Per lo ionico il problema dello spigolo si pone sempre (sono edifici che si guardano più
dall’esterno che dall’interno), la maggior parte dei riti si compiono fuori dal tempio guardando verso lo stesso,
è costruito più sull’architettura dell’esterno. Il problema dell’angolo ionico, diventa inoltre molto più
complesso in un tempio periptero [Περίπτερο]. Viene quindi costruito il capitello d’angolo, fatto in modo
speciale dagli altri: abbiamo due facce identiche verso l’angolo esposto alla vista, con le volute nello spigolo
che piegano a 45° per incontrasi. Quindi il fianco del tempio si presenta con due volute ioniche che danno la
faccia, mai il fianco. Si scelse di deformare il capitello ionico in una posizione particolare che è l’angolo,
garantendo la possibilità di vedere sempre la faccia frontale del capitello e mai quella laterale. Si deformano
gli elementi costituenti e portanti in rapporto alla situazione. Sono volute che non sono complanari, perché
connesse fra loro.
Guardiamo la base di questo tempio: è una base speciale, nuova, che non era in uso in Asia Minore.
La base ionica è costituita da molti elementi, molto alta, con varie modanature (Tempio a Magnesia sul
Meandro di Artemide), diverse da tempio a tempio. Qui abbiamo una base attica, fortemente semplificata,
costituita essenzialmente da un toro, una modanatura a sezione semi-circolare, con toro-scozia, che
diventerà nell’Eretto toro-scozia-toro, che diverrà molto in uso nell’architettura romana e rinascimentale
(SanPietro ed il Palladio). Viene da questa unione fra cultura dorica ed ionica all’interno dell’acropoli.
Altra cosa da osservare è il passaggio fra ordine architettonico delle colonne e muro della cella. C’è
qualche cosa di nuovo che non abbiamo nel Partenone (le mura sono piuttosto semplici). Abbiamo due
passaggi di decorazione: in tutta la parete della cella, la base del muro viene costruita come fosse la base di
una colonna, e superiormente abbiamo una continuazione della decorazione, una trasposizione sulla cella
degli elementi delle colonne.
Negli elementi sovrastanti vediamo un architrave tripartita: quest’architrave avrà un profilo a tre
fasce, date da un leggero aggetto delle pietre. Al di sopra fregio continuo con decorazione continua. Non
abbiamo fonti antiche, o romane, che descrivano questa parte dell’acropoli. Tutta la rappresentazione del
tempio è quella della vittoria contro un popolo che aveva lingua e religione diversa. Altri elementi degli
spigoli, inseriti dagli archeologici come apparati didattici, sono stati messi per ricordarci le parti mancanti
come i frontespizi.
Il tempio fu recintato, cinquanta o ottanta anni dopo, con un parapetto in lastre per proteggere chi
passeggiava intorno. Abbiamo rappresentata tante volte la figura di Atena Nike. Era quindi un tempio
fasciato con una parte fortemente legata all’arte della scultura, una delle 3 parti insieme al fregio ed al
frontespizio.

Delo Costruzione votiva detta “Tesoro” sotto forma di tempio. Vicino a Corinto ed Atene, era uno
dei santuari più celebrati della Grecia Antica, dove Apollo forniva responsi. Sono piccoli templi ciascheduno
costruito dalla patria che l’ha donato (il tesoro contenuto nel Tesoro), con tradizioni architettoniche diverse.
Se guardiamo la base di questo tesoro, di una costruzione votiva di una città dell’Asia Minore
costruito a Delo, possiamo vedere la stessa decorazione basamentale del muro della cella. E’ quindi in uso
inserire nei basamenti delle celle delle decorazioni.
 
L’Eretteo Non abbiamo dato precise, ma solo presunte (421 a.C.), è collegato abbastanza da
vicino alla costruzione del tempio di Atena Nike. Abbiamo una sola testimonianza collegata allo scultore
Callimaco, inventore dell’ordine corinzio, e di una lampada votiva appesa dentro l’Eretteo. L’ipotesi più
accreditata, solo per analogia e senza basi documentarie, vedrebbe l’architetto Mnesicle, autore dei propilei,
proporsi lui stesso per anche per l’Eretteo. La base dell’affermazione nasce dalla complessità dei rapporti,
simili fra i propilei e l’Eretteo, come dai rapporti degli ordini fra loro.
C’è una pianta molto complessa. La città è verso nord, con i rochi bruciati dai persiani. Erodoto dice
che nel santuario, distrutto nel 480 a.C., vi era un serpente sacro che rappresentava Erittonio Eretteo. Era un
serpente allevato dai sacerdoti, che ogni giorno mangiava un pane dolce. Il giorno in cui gli ateniesi
abbandonarono Atene e l’Acropoli, il serpente non aveva mangiato il pane. Se ne deduce che le divinità
avevano abbandonato l’acropoli. Quando i greci ritornano, trovano i templi completamente rovinati e bruciati,
insieme all’ulivo sacro. Questo nonostante fosse del tutto bruciato, diede un getto verde nuovo e ricrebbe.
Ricrescendo l’ulivo sacro, i greci capirono che il tempio era di nuovo abitato dagli dei, e poteva tornare ad
essere costruito.
Ha a che fare con la nascita piuttosto mitica con i primi governanti della città di Atene. La divinità
maggiore è Atena, vergine, ma pare che avesse avuto un incontro con Efesto, da cui è nato Erittonio
Eretteo, personificato dal serpente. Nel tempo stesso questo era un luogo sacro anche per un’altra ragione:
questo perché dal principio ci sarebbe stata una disputa fra due divinità, Atene e Poseidone. Queste si
sarebbero disputata la protezione della città. Ciascuno avrebbe offerto dei doni: Poseidone scagliando il
forcone sull’acropoli fece sorgere una fonte di acqua salata, mente Atena donò un ulivo. Abbiamo quindi
anche un culto di Nettuno, la cui offerta era stata rifiutata, ma che viene considerata per la potenza marittima
della città.
Atena polias [l’Atene antica]: altro culto di Ciclope, un altro dei primi re dell’Attica. Tutti questi
santuari insistono sulle rovine di un tempio precedente. Vi è un rapporto diretto con la memoria degli antichi
templi, nel modo in cui vi si sovrappone.
Abbiamo una cella con 6 colonne, e dietro due comparti. Nella parte est, le due celle retrostanti sono
connesse al santuario di Atena. E poi una parte nord con un colonnato. Poi abbiamo una loggia a sud, e ad
ovest abbiamo un recinto basso con l’ulivo sacro. A complicare una pianta già così complessa, c’è una
differenziazione dei livelli, tutte le costruzioni sono a livello diverso. Vi sono quindi evidenti difficoltà per
connettere tutti questi elementi. Quest’ultimo santuario raccoglie tutta una serie di culti dell’acropoli arcaica.
Osserviamo questa immagine superiore: è il tempio osservato dal fronte est. Davanti le sei colonne
(ne manca una), la rappresentazione archeologica del fronte est. Di fronte il tempio dedicato ad Atene, con
trabeazione e frontespizio. Retrostante, ad un livello più basso, il fronte nord. 6 colonne ioniche, trabeazione
tripartita, stiamo all’interno di un’architettura ionica ma di proporzioni abbastanza vicine a quelle del tempio di
AtenaNike. C’è un capitello molto più ricco di quello di AtenaNike, con un elemento nuovo, l’Anthenion
[Collarino], inserito per esigenze decorative. E’ una voluta molto più scultorea con questa fascia,
un’interposizione molto forte. Vediamo la parasta, il capitello di parasta, l’estensione del capitello di parasta
sul muro della cella, ed un basamento toro-scozia-toro fortemente decorato. Qui ritroviamo gli ortostati alla
base del tempio. Se osserviamo la foto a colori, possiamo vedere che la pietra utilizzata per il fregio, è
totalmente diversa da quella del resto del tempio: c’è una pietra grigia, diversa dal marmo pentelico.
Probabilmente erano lavorate sotto forma di bicromia, con figure bianche su sfondo grigiastro-celeste, per
farle risaltare maggiormente.
Confrontiamo gli elementi decorativi: la voluta d’angolo è spaccata e distrutta. E’ molto più ricco del
tempio di AtenaNike, con una fascia decorata, che si ripresenta nel capitello d’anta. Siamo ad un livello di
raffinatezza scultorea con elementi vegetali molto elevato.
Osserviamo il portico nord, in questa rappresentazione abbastanza dubbia del XIX° secolo. Questo è
sicuramente il sito dove sarebbe caduto il tridente di Nettuno, dove sarebbe scaturita la fonte di acqua
marina. Questo è l’ingresso del tempio di Poseidone, che dà verso la città, e si presenta con 4 colonne in
facciata ed una forma di pronao totalmente fuori norma. Ha un ingresso, in cui il contrasto con l’altra fascia è
risolto sistemando il tutto ad un livello più basso, per non far incontrare i due fregi. Le colonne sono di
dimensioni diverse, con proporzioni diverse.
Qualche cosa di molto importante: nel parlare di templi, non abbiamo mai parlato dell’ingresso,
perché del Partenone abbiamo perduto l’ingresso, e non possiamo ricostruirlo. Nel portico nord abbiamo la
fortuna di aver conservato l’ingresso, un portale fortemente decorato (412-405, nel 404 si sa che riprendono i
lavori). E’ un portale che si sa essere un portale ionico, anche i portali delle celle possono essere dorici o
ionici. Vitruvio ci soccorre, con una testimonianza sostanzialmente fedele ai rinvenimenti archeologici: il
portale ionico ha la caratteristica di avere l’elemento superiore della cornice sorretto da mensole. La porta è
fatta di una mostra (una parte che rigira), al di sopra di una mostra abbiamo una cornice sommitale, ed il
tutto è fortemente decorato, come con rosette e decorazioni floreali a palmette nella parte superiore. Dopo
aver visto gli elementi più importanti, il portico est e nord. Ci sono due spazi largamente incomprensibili.
Abbiamo un fronte templare, dedicato ad Erittonio Eretteo, che è il retro dell’edificio nord, con sotto un paio
di metri e davanti un recinto. Vi è una cella sottorenna a questa, con dei riti collegati ai miti di cui abbiamo
parlato. E’ un fronte parzialmente occluso da muri, in quanto è la cella di Poseidone. Due metri sotto
abbiamo un ingresso, con un ulivo piantato l’altro ieri per i turisti. Si arriva a questo livello di meno due-tre
metri attraverso la loggia delle Cariatidi, nient’altro che un padiglione che nasconde una scala per scendere,
arrivando al recinto sotto questa cella.
Altro elemento fondante, è questo muro a cavallo fra i due livelli del terreno, un muro che è il tempio
di Atena Polias, si pensa possa avere un rapporto simbolico molto forte. Il tempio nuovo poggia senza
demolirlo, si accede alla zona consacrata proprio attraverso il passaggio sul pre-esistente. Lo loggia non ha
mai avuto frontespizio, ma aveva una copertura piana di travature di marmo, che però non ha a che fare con
l’architettura templare.
 
Loggia delle cariatidi. Le cariatidi sono donne della Caria, abbiamo questo nome da
Vitruvio che connette le cariatidi come succedaneo delle colonne ad un’origine mitica. Sarebbero le mogli dei
carii condotte prigioniere in Atene, perché alcune città della Caria si sarebbero alleate col nemico. Quindi i
greci vittoriosi sui persiani, avrebbero condotto come bottino di guerra anche le donne della Caria, cha
avrebbero sfilato per Atene con tutto quanto era stato conquistato, e sarebbero dopo state vendute come
schiave: nell’antichità infatti la popolazione sconfitta veniva sempre dispersa al mercato degli schiavi. E’
quindi un significato anti-persiano, contro il nemico per eccellenza e contro il nemico interno che avrebbe
preferito lo straniero. Qualcuno obietta che sono piuttosto fanciulle che matrone, e che non sembrano
rappresentare prigioniere. Possiamo immaginare l’elemento come una colonna, abbiamo una gamba diritta
ed una gamba che avanza, che suggerisce una leggerezza, la gamba ritta è coperta da un drappo con righe
parallele, quasi a copiare una colonna. Al di sopra, per portare questi pesi, le donne avrebbero un obolo, per
il collegamento. Nella trabeazione vediamo l’architrave e la cornice (oggi ci sono solo repliche delle statue e
sono stati tolti i ferri: una statua è a Londra, le altre sono tutte museualizzate perché altrimenti l’inquinamento
le distruggerebbe). Al di sopra vi è una trabeazione, con architrave e cornice ionica. La cornice ionica è
caratterizzata da una sequenza di dentelli.
Da questa immagine di fianco (sempre con la sua bella campagna di lavori) vediamo che la loggia
presenta la scala, fa da tetto alla scala che scende.
Ultima osservazione: questo fianco del tempio, è quanto dà verso il Partenone, ed un fronte piuttosto
importante, perché percorso dalla processione delle panatenaiche. Questa processione entra dai propilei,
passa fra i due templi, per poi piegare verso est all’ingresso del Partenone.
 
Tempio di Apollo a Bassae Riflessione su Atene ed sul rapporto fra dorico ed ionico al
suo interno. Il tempio di Apollo a Bassai è in Arcadia, in una zona storicamente greca. Ha delle
caratteristiche importanti, è il primo edificio templare o il primo edificio in assoluto dove si può vedere il
corinzio, prima testimonianza di questa forma diversa di capitello. Secondo Vitruvio questo capitello ha
un’origine legata all’invenzione di un artista, Callimaco, e non con tradizioni antiche. Lavorando come
scultore a Corinto, avrebbe incontrato la tomba di una giovane, attorno alla quale sarebbe cresciuta una
pianta di acanto. Vitruvio racconta qualcosa che non possiamo verificare o smentire, siamo attorno al V°
secolo a.C. , e l’evidenza archeologica ci permette di collegare questo accadimento al Tempio di Apollo.
Ha caratteristiche abbastanza curiose, è un tempio peripetero, con una cella preceduta da un pronao
in antis a due colonne, dietro il portico retrostante. La cella vera e propria è diversa, è qualcosa che si
capisce molto poco: c’è una porta di fianco alla cella, che non si riesce a spiegare in rapporto al culto. Le
colonne non sono disposte sotto forma di colonne libere, diversamente dal Partenone. Le colonne sono
molto molto vicine alla parete della cella. Nell’evidenza effettiva archeologica vediamo colonne di grande
dimensione, che sporgono di ¾ dai muri della cella, suggerendo una navata che di fatto non esiste. Lo
spazio più interno della cella è di un gradino più basso. Le basi delle colonne sono abbastanza complesse,
una base attica con proporzioni strane, una scozia esagerata ed un toro modesto. L’ordine ionico si adatta
ad una situazione strana, una veduta perennemente di spigolo, ci sarà sempre una veduta di queste colonne
di spigolo. La sistemazione della parte superiore, vi è un salto rispetto allo ionico di Atena Nike. Lì abbiamo
visto che l’ordine ionico là dov’è lo spigolo raddoppia la sua voluta, qui lo ionico perde completamente il
fianco del capitello, ed è fatto solo di volute. La voluta è quindi replicata 3 volte, quante sono le facce che si
vedono. Quindi si ha una riorganizzazione, una re-invenzione del capitello ionico, che tendenzialmente
avrebbe tutte le facce uguali.
Qui alcuni degli archeologi pensano che sia nato l’uso del capitello corinzio: il capitello del fondo è
del tutto diverso da quello dei fianchi. In altri disegni troverete che i capitelli di stile diverso non sono solo
quelli di fondo, ma le ultime tre colonne (dell’ultima fila). Il capitello corinzio non nasce come un ordine, ma
nasce come soluzione particolare molto decorativa di qualche cosa che è considerato mondo ionico. Il
corinzio verrà molto usato in futuro a Roma nei monumenti maggiori, come nel rinascimento. Non è un caso
perché il corinzio elimina il problema principale dell’uso dello ionico e del dorico, ovvero l’uso in contesti che
non siamo templari. Il corinzio sarebbe quindi qualche cosa che, nelle proporzioni dello ionico e con una
base attica, risolve i problemi inerenti alle viste dai vari lati. In questa complessa sistemazione sarebbe infatti
complesso ottenere uno ionico con volute su 4 lati. E’ un canestro, una struttura svasata, tronco-conica, una
base marmorea che regge il peso effettivo, ed una decorazione essenzialmente vegetale. Comunque è una
decorazione, più tipica delle città dell’Asia Minore piuttosto che della madrepatria. Durante gli scavi è stato
rinvenuto un capitello corinzio, disegnato in un modo che ci ricorda abbastanza lo ionico, con piccole volute
nella sommità, di spigolo a 45°. Negli scavi dell’800 questo capitello è stato trovato, è stato riconosciuto
come il primo ad essere utilizzato, ma poi è stato perduto, è stato pubblicato solo sotto forma di disegno e
poi non s’è mai più visto. Abbiamo un fusto, un primo registro di foglie, delle volute che si incrociano (volute
che stanno diagonalmente). E’ alto un diametro rispetto alla base, in futuro diventerà alto un diametro e
mezzo rispetto alla base, per dare maggior slancio verticale allo ionico stesso. Vediamo un capitello
speciale, questo, ne vedremo dopo un altro, non sono esempi generici, ma invenzioni localizzate, per
risolvere esigenze progettuali dello stesso edificio. Possiamo quindi girare intorno alla colonna senza avere
direzioni specificate.
La pianta di acanto è comunissima, nella sua versione di acanto spinoso è piantata appositamente
nei recinti archeologici. Nella versione di acanto spinoso somiglia fortemente al capitello corinzio, e l’aspetto
scultoreo è ottenuto attraverso l’imitazione della stessa pianta.
 
Acropoli di Atene. Oltre ai templi già visti, c’è qualche cosa di molto importante che sono i
Propilei, costruiti da Mnesicle, architetto molto conosciuto già nell’antichità. E’ un edificio con statuto dubbio,
di confine, non è sicuramente un tempio, è il primo edificio che usa tutti i modi di costruzione del tempio
(marmo pentelico, dorico e ionico), è qualcosa che dai templi prende tutto. Può farlo perché è un recinto di
un’area sacra, per la prima volta possiamo estendere questa architettura, per qualcosa che funzionalmente è
un ingresso, non un luogo di culto. E’ quindi un’architettura civile, con problemi straordinari, di difficoltà e
d’importanza. Qualche cosa che, nato per essere il περιςτιλιο [peristilio] di un tempo rettangolare, diventa un
linguaggio flessibile, che non implica più un rettangolo ma un’architettura complessa. Qui dentro abbiamo le
soluzioni a quasi tutti i problemi dell’architettura civile greca. Esisteva sicuramente un ingresso nell’Atene
Arcaica. Dopo la distruzione di questo, gli ateniesi hanno costruito un primo ingresso intorno al 480 a.C.,
durato molto poco, perché nel 437-432 a.C. si è demolita la ricostruzione del 480 a.C. per arrivare alla
situazione attuale.
L’edificio che vediamo non è mai stato definitivamente completato, a causa delle guerre del
Peloponneso, che hanno portato a difficoltà economiche evidenti. Al V° secolo a.C. i Propilei si situano alla
sommità sul livello dell’acropoli, è l’ingresso monumentale dalla città, è qualche cosa di molto importante
anche all’interno della vita civile ateniese. Esiste infatti anche una vita cerimoniale ateniese, con delle feste
panateinache, grandi e piccole, in forma grandiosa ogni 4 anni ed in forma modesta a cadenza annuale. Vi
sono cortei piuttosto imponenti che prevedevano l’ingresso non solo di cittadini, ma anche di bestie che
dovevano venire sacrificate agli dei dell’acropoli.
I vecchi Propilei Avevano una pianta rettangolare, e non erano orientati come quelli nuovi,
oltre ad essere costituiti in maniera molto più semplice. Si presenta come qualche cosa che ingloba una
scalinata, perché nei vecchi propilei, così come nei nuovi dobbiamo ricordare che si tratta di un edificio
monumentale che intercetta una scalinata che sale. Non c’è quindi uno stilobate piano, ma la continuazione
di una scala. E’ una copertura monumentale che ha in basso il suolo a piano inclinato. Vediamo anche che
dovendo costituire un monumento, un ingresso monumentale, alla fine non è si è molto distanti dal tempio.
L’ingresso all’acropoli, ha le sue colonne, doriche, corredato da un frontespizio, ma non è periptero.
I nuovi propilei (astraiamo dagli edifici tratteggiati). L’ingresso è organizzato sotto forma di
salita monumentale con una grande scala. Abbiamo un fronte templare evidente, sei colonne come elemento
di partenza, poi appena dietro vediamo dai tetti che c’è un’organizzazione e poi uno scarto sull’altezze dei
tetti (sull’organizzazione delle coperture), per ovviare alla ripida salita, con uno scarto che ovviamente non
era visibile agli ateniesi. Abbiamo quindi anche un altro fronte templare di 6 colonne dall’altra parte. Dietro le
sei colonne abbiamo tre pilastri e tre pilastri. Dal punto di vista funzionale dobbiamo ripensare questa
organizzazione come segue. Abbiamo tre gradini prima dell’accesso, e due gradini verso l’acropoli. Ma se
fate caso questi gradini non sono continui, si interrompono al centro dell’edificio, perché è previsto l’ingresso
anche di cortei con buoi aggiogati. Quindi all’interno vi sarà un percorso che è questo, utilizzato per le grandi
feste. A causa dello scarto di altezze, quello che vediamo sotto forma di cinque pilastri, è una parete piena
con delle porte, la cui porta centrale cerimoniale è gigantesca: è una parete con degli ingressi. Gli ingressi
prevedono delle cancellate, l’ingresso effettivo è quello vicino al muro, mentre lo spazio coperto serviva per
accogliere i visitatori, con delle panche, che attendevano l’apertura dell’acropoli. Dal punto di vista funzionale
ci sono cinque cancelli, uno molto grande, ed altri due per lato che diventano più piccoli, una sala d’aspetto.
Mentre dal punto di vista architettonico è un tempio esastilo dorico, quindi è un edificio piuttosto complesso.
Abbiamo colonne doriche senza base che poggiano direttamente sullo stilobate.
La facciata si presenta anche con lo scarto di altezza, anche se difficilmente potremmo vederla.
Sull’angolo abbiamo il triglifo d’angolo, quindi l’intercolunnio avrà una distanza più breve nel lato (2 ed ¼
piuttosto che 2 ed 1/3). Succede qualcosa di nuovo in rapporto all’ingresso principale, qui in mezzo abbiamo
una distanza molto forte, di 3 e ½ che serve a garantire il grande passaggio alle processioni. Se guardiamo
l’organizzazione di triglifi e metope, in questo caso abbiamo due triglifi nell’intercolunnio piuttosto che uno ed
avremo in mezzo una metopa. Le metope fin dall’inizio non dovevano ospitare scultore. Seconda
conseguenza, allargare a 3 e ½ l’intercolunnio significa complicare l’organizzazione sovrastante, richiedendo
una trave molto più grande e pesante. Attualmente non abbiamo nessuna prova che ci racconti se e come
fossero state sistemate all’interno delle sculture.
Riflettiamo: abbiamo verso l’esterno la base dorica, ed all’interno una base ionica di tipo attico con
toro-scozia-toro ed un elemento terminale cilindrico. Le colonne che stanno all’interno sono ioniche: servono
a coprire la distanza fra i due muri, dovendo utilizzare travature lignee si pone lo stesso problema del
Partenone. Le travature cambiano direzione nei due fronti del tempio.
Pausania scrive “C’è qualche cosa qui di straordinario, il tetto è di marmo”. Abbiamo orditure di
marmo con travi principali e secondarie di marmo, anche se sopra abbiamo comunque un tetto a capanna di
marmo. Quindi esiste una capacità tecnica maggiore rispetto al Partenone di fabbricare un soffitto in marmo
pentelico.
Disegno con l’organizzazione delle travature di soffitto. Disegno col prospetto dei propilei verso il
basso. Vi è un’organizzazione che prevede un peso maggiore proprio là dove pesa di più, perché qui sopra
c’è il culmine del frontespizio. Se andiamo a vedere l’organizzazione, osserviamo che l’architetto Mnesicle
ha organizzato le lastre di marmo che servono a presentare il timpano verso la città sotto forma di lastre
doppie, salvo che sopra l’ingresso. Può un frontespizio di questo genere ospitare una decorazione
scultorea? Difficilmente! E’ possibile che fin dall’inizio si fosse deciso di non poggiare degli elementi
scultorei. I blocchi sono ancorati, per tendere, per pesare il meno possibile nel punto più pericoloso che è
quello centrale. E’ quindi un blocco alleggerito nel suo spessore.
Andiamo all’altra facciata templare (la foto è scattata poco prima della sortita dai propilei). Chi si
portasse al di là del cancello vede il fronte principale ovest del partenone, con il percorso che continuava
costeggiandolo per arrivare all’Ara.
Il retro si configura anch’esso in modo significativo, retro di un tempio che può essere osservato da
tutte le parti, perché si entrava, si osservava il fronte ovest, con al centro del timpano un programma
iconografico con uomini e dei, si costeggiava il lato con le metope delle amazzoni, ed si arrivava al fronte
principale con gli dei e la rappresentazione di Atena.
Vediamo i due fronti templari. Gli ingressi erano “calanti” verso i lati nella loro dimensione (?). Gli
ingressi sono quasi identici, salvo che per gli edifici affiancati. Se osserviamo l’edificio in questa pianta,
restituiva del progetto originale-definitivo di Mnesicle, vediamo un’organizzazione simmetrica dei due lati.
Verso l’entrata avevamo due ambienti con colonne, e verso l’acropoli due spazi più grandi di incerta
destinazione, che comunque non sono mai stati costruiti.
Osserviamo il tipo di coperture che avrebbero dovuto avere questi spazi accessori: non si tratta di
una copertura a capanna, ma di falde più complesse. Non si presentavano quindi come un tempio. L’edificio
è anche abbastanza complesso perché ha un’architettura templare, con molte delle regole che sovra-
intendono alla costruzione dei templi. La curvatura dello stilobate non compare alla base dei propilei, ma
invece compare al livello della trabeazione. Nel caso dei propilei abbiamo uno stilobate spezzato che è
rettilineo, le colonne sono dritte, e però la trabeazione è ugualmente ricurva. Sembrava quindi obbligatorio
all’interno di questa estetica replicare la caratteristica curvatura, altrimenti l’effetto ottico sarebbe stato per
loro inaccettabile.
Nei fianchi, che presentano coperture d’altro tipo, e tutti i blocchi dei lati si presentano ancora come
sono stati portati dalla cava e non rifiniti. Il problema fondamentale di questo edificio è l’uso dello ionico e del
dorico insieme. L’abbiamo osservato all’interno del Partenone, ma con dei problemi formali molto più grandi.
Nel Partenone avevamo 4 colonne ioniche però all’interno di una cella chiusa, isolate. Qui invece abbiamo
un confronto molto netto (abbiamo anche una gradinata che divide i due fronti templari). Abbiamo all’interno
delle colonne ioniche che sono più alte (giàlosai…), ed abbiamo quindi dei diametri più sottili per le colonne
ioniche per arrivare ad un’altezza maggiore. Il livello del soffitto si trova ad un livello in corrispondenza del
timpano dell’ingresso, di fatto entriamo in un mondo totalmente diverso, e ci troviamo con un soffitto in
marmo. Pausania era assolutamente estasiato nell’ammirare un’architettura trilitica di queste dimensioni e
tale perfezione.
Vecchia foto con una delle colonne ioniche. Abbiamo un capitello con uno ionico estremamente
elegante, in rapporto con quello di Atena Nike (con le stesse proporzioni le colonne di AtenaNike sono la
metà di quelle dei Propilei). Lo ionico è sistemato in modo di presentare la faccia migliore con le volute,
verso il passaggio centrale. Sopra abbiamo poi un architrave tripartito, e sopra sistemiamo delle travature
marmoree, e sopra ancora abbiamo delle lastre, anch’esse di marmo, con disegnato al disotto un
cassettonato. Al di sopra del capitello vediamo solo l’architrave (niente fregio né cornice perché non servono:
nel tempio c’è tutto, ma nell’uso civile alcuni elementi possono mancare). Quindi abbiamo il trave traverso di
marmo, e delle tavole di marmo con all’interno un disegno cassettonato. Nella sezione del capitello vediamo
degli alloggiamenti con delle barre di ferro, che connettono insieme queste travature, con scavato all’interno
del marmo un canale dove sono inserite delle barre di ferro con del legante (anche se pare che in quella
posizione non servano assolutamente a niente). Il disegno cassettonato è scavato all’interno delle lastre
marmoree.
L’unico edificio costruito nella sua interezza (Pausania docet) forse a un uso invalso dopo. All’interno
Pausania ha visitato la pinacoteca, un tesoro di pittura greche. Non sappiamo però se quest’uso fosse già
quello del V° a.C., piuttosto poteva anche essere una sala per banchetti. Fin dall’inizio dall’altra parte non si
è potuto costruire, perché vi era un recinto consacrato ad Artemide, nel quale i sacerdoti hanno impedito la
costruzione. Vi è quindi la fittizia sensazione di entrare in un edificio simmetrico.
I propilei presentano due problemi enormi: il primo è avere lo ionico ed il dorico uno accanto all’altro,
cessa quindi la differenza fra caratteri di edifici, e si può utilizzarli insieme. Altro problema è quello di vedere
insieme dorico grande e dorico piccolo, perché abbiamo dei fronti laterali con dimensioni diverse. Quindi
abbiamo all’ingresso due facciate laterali più basse dove Mnesicle elimina i frontespizi, coniugando un dorico
ridotto. Altro elemento caratteristico, che fa parte della complessità di questo progetto. Nella sala laterale
abbiamo un elemento particolare, abbiamo una cella che avrebbe dovuto avere 4 colonne, non c’è però
simmetria, in quanto è abbastanza complesso mettere delle colonne in questa posizione: abbiamo quindi un
pilastro addossato vestito da colonna. Eliminando il rapporto del parallelepipedo, una volta che si mettono
insieme spazi diversi con un’organizzazione più complessa c’è un problema molto grande.
 
Areopago L’edificio permetteva la riunione dei 500 cittadini dell’aristocrazia ateniese. Quanti
erano i cittadini di Atene? Dobbiamo prima di tutto escludere gli stranieri, gli schiavi, le donne, etc… Vi erano
quindi circa 10000 cittadini, non solo quelli che abitavano dentro la città ma anche i possedenti terrieri delle
vicinanze. Questa schematizzazione è importante ai fini della comprensione dell’architettura civile. Bisogna
quindi allestire degli spazi per 500 cittadini, oltre ad uno spazio virtuale dove raccoglierli tutti gli abitanti.
Esiste quindi un’invenzione tutta greca di questi spazi, da questa organizzazioni politica nascono delle
strutture.
 
Pnice Sulla collina di Pnice dentro la città, molto vicino al suo centro, avevano luogo le
assemblee naturali, dove si potevano organizzare questi momenti importanti. Al centro della città abbiamo
poi la piazza o άδορα [agorà]. E’ uno spazio che sarà poi alla base del teatro, che avrà un futuro
considerevole. Prima di essere il luogo del teatro è lo spazio per la gestione pubblica. C’è una collina che
scende, un declivio naturale, ed al suo interno si scava una cavea (termine latino per teatro), profittando
della pendenza naturale della collina erigendo lo spazio dell’oratore. All’inizio era organizzata in senso bruto,
si andava in collina perché li si poteva sentire meglio l’oratore. Dopo si è organizzato un palco ligneo e delle
panche. Un elemento fondante dell’architettura greca per una tipologia che prima non esisteva. Non è
un’architettura in elevato, non è un’architettura con un sistema trilitico, è una sistemazione di un declivio
naturale. Si vede soprattutto in Atene una grande partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. All’interno
della città, vicino al centro, è previsto un luogo dove possono teoricamente riunirsi tutti i cittadini.
La piazza sottostante non è mai una fondazione iniziale (a meno di nuovi accampamenti), mentre
per le città antiche si procedeva demolendo man mano le abitazioni della zona centrale. Sono stati eretti
anche monumenti celeberrimi, ora perduti, connessi all’evoluzione sempre più democratica del sistema di
governo della città-stato. Vi erano poi dei luoghi dove avvenivano le votazioni.
Vediamo un fianco della άδορα [agorà], della grande piazza, che mostra un tempio. La data non è
molto diversa da quella del Partenone, ma mancano molte delle novità di quest’ultimo. E’ consacrato ad
Efesto, una semidivinità connessa agli artigiani (per il dono del fuoco). Riconoscono quindi un doppio
santuario. E’ un tempio a 6 colonne, e si trova al di sopra di un rilievo che presidia la άδορα [agorà]. Più in
basso vediamo costruzioni di tipo diverso. Profittano del declivio diverse costruzioni, come questo edificio
circolare, il Pritaneo (l’edificio dove stavano i Pritani, dei funzionari che dovevano vegliare su alcune attività
della città). E’ una capanna circolare con tetto conico. A destra vediamo in nero un altro edificio, coperto, che
è la sala dei cinquecento. Questa sala viene poi riorganizzato sotto forma di gradinata circolare coperta.
 
Stoà di Zeus [Portico di Zeus] E’ un edificio molto importante. Il portico coperto è qualcosa
che troviamo in tutte le città greche, è qualcosa che caratterizza tutti gli abitati. E’ utilizzato per commerci ed
incontri, ci sono molte fonti al riguardo. Ospitavano anche pitture, rappresentazioni molto importanti della
storia della città, come della battaglia navale di Salamina. La pianta si presenta con un fronte, un portico che
dà verso la άδορα [agorà], e questa struttura ha la sua fondazione nel 430 a.C. . Questa architettura ha
qualche cosa di nuovo, che finora non abbiamo visto. Un’architettura dorica-templare presenta caratteri
particolari, avendo solo angoli esterni. Poi abbiamo visto le complessità dei propilei, dove essenzialmente
non c’è l’angolo l’interno perché non c’è contatto fra il corpo e le due ali. Una volta che si passa ad una
pianta a C, ad un portico con questa pianta, abbiamo sempre degli angoli esterni ed un angolo interno che
non abbiamo mai visto, è una pianta molto più complicata. Prima di tutto vediamo come è risolto questo
fronte: è diviso essenzialmente in una gerarchia: i fronti dei due lati sono fronti templari, con 6 colonne in
facciata disposte come i templi. Non sono tutte equidistanti, ma abbiamo uno slargo nel centro ed una
restrizione nell’angolo. Nel corpo del porticato c’è invece l’intercolunnio più grande possibile, ovvero da 3 a 3
e ½. Dove rigira nei lati interni è ancora un intercolunnio che risponde all’organizzazione templare. Nelle
organizzazioni di questi portici il numero di triglifi è sempre maggiore.
Cosa accade nell’angolo interno. L’angolo interno non può prevedere due mezze metope, deve
sempre avere due mezzi triglifi, esattamente lo speculare dell’altro angolo. Al di sopra della colonna i greci
vedono piuttosto una trave, quindi dovendo trovare la trave della copertura saranno più appropriati dei triglifi.
Questo edificio presenta sempre l’uso dello ionico e del dorico utilizzati insieme per ragioni funzionali. Dove
abbiamo tre colonne in facciata rispetto al colmo del tetto ne vediamo piuttosto due. Questo perché dal punto
di vista funzionale si capisce bene: all’interno era necessario avere quanto più spazio coperto possibile
senza ostacoli. Dal punto di vista tecnico c’è una spiegazione molto semplice: da una parte abbiamo la città,
con un architrave fatto di elementi lapidei che stanno l’uno accanto all’altro, sempre di marmo statuario.
L’organizzazione interna ha una copertura con un tetto ligneo, che dobbiamo intercettare per sistemare
essenzialmente un architrave che regga le due falde del tetto. Il colmo del tetto non ha alcuna necessità di
essere in pietra, ma è in legno. La distanza dell’intercolunnio esterno è circa di 3 metri, mentre all’interno,
dove si usano travi lignei, abbiamo intercolunni di 6-7 metri. In sezione ci troviamo ad avere altezze diverse,
verso l’esterno una colonna dorica, con architrave fregio e cornice, e qui sopra un’organizzazione lignea. E’
necessario trovare un qualcosa che sostenga il colmo del tetto, viene quindi utilizzato l’ordine ionico che
permette di raggiungere l’altezza desiderata. L’edificio si presenta quindi come architettura di pietra, ma ha
poi un’organizzazione sostanzialmente lignea. Tutte le architetture dei portici sono sostanzialmente fatte a
questo modo, sia per portici a.C. sia per un’organizzazione ripetuta. Dobbiamo anche pensare che esiste un
ingombro della base ionica, e la distanza notevole permette di sistemarle (?).
 
Stoà di Attalo E’ del 120 a.C. . Attalo non è una divinità, ma un re, il re di Pergamo. E’ una
città dell’Asia minore, in questo momento sotto della dinastia degli Attalidi, strettamente alleata di Roma.
Attalo quindi riconosce la grandezza della civiltà greca donando un portico a due piani, con due ordini uno
sopra l’altro. Abbiamo visto finora colonne sopra colonne solo nel caso della cella interna del Partenone. Lì
avevamo colonne doriche, un architrave ed al disopra un’altra colonna. La άδορα [agorà] si presenta
attualmente con una zona archeologica, che ha demolito tutti i quartieri sovrastanti. Il portico di Attalo ha una
storia abbastanza curiosa, da ciò che è stato ritrovato ne è stato ricavato un modello che è diventato il
museo della άδορα [agorà] di Atene. Si tratta di una costruzione del 1950 circa, che si presenta costruita con
materiali moderni: una bella anastilosi, una ricostruzione dell’intero edificio. E’ una pianta banalmente
rettilinea, che non presenta fronti templari. Da una parte e dall’altra dei due lati minori presenta le scale fra i
due piani. Abbiamo un colonnato dorico, uno ionico e retrostante, invece del muro, delle botteghe
commerciali, è un’architettura civile che non si limita ad essere uno spazio coperto generico, quanto piuttosto
uno spazio commerciale con botteghe ad entrambi i piani. Il fronte: abbiamo i tre gradini, un ordine dorico
con distanza da stoà (3 diametri e ½ con metopa centrale), al di sopra un ordine ionico molto più piccolo con
delle transenne marmoree ed una trabeazione ionica a concludere. Al di sopra dell’ordine dorico vi è un
ordine ionico.
Sovrapporre due ordini dorici? Capiamo perché non è possibile! Le piante sono stabilite a
partire dal rettangolo di base. Quando poi procediamo all’alzato la trabeazione nei templi del VI°secolo a.C.
era altissima mentre dal V° secolo a.C. avremo dei moduli. Il diametro in alto, essendo il fusto della colonna
rastremato, sarà minore di quello alla base, e non si può quindi ripartire con un fusto uguale a quello
sottostante. Non possiamo poi avere rapporti di snellezza diversi fra le varie colonne. Avremo quindi al livello
sovrastante una colonna sicuramente più bassa. Al secondo livello avremo sicuramente una trabeazione più
bassa, e per avere metope allineate con quelle sottostanti queste saranno più distanti o allungate (mentre
all’interno del Partenone avevamo sì due ordini di dorico, ma avevamo solo l’architrave senza fregio, in
quanto non serve all’interno della cella, in quanto al fregio è collegato con l’organizzazione lignea).
I Greci hanno risolto sfruttando le due differenti proporzioni provenienti da due diverse culture.
Usando lo ionico possiamo quindi alzare maggiormente il livello superiore, qui con qualcosa di meno dei
dieci diametri.
Plastico del Portico. Abbiamo davanti colonnato inferiore e superiore. C’è da osservare nel rapporto
fra lo ionico ed il dorico. Abbiamo una tradizione forte, che sono i portici precedenti, come quello di Zeus.
Quindi abbiamo una trave in marmo in facciata, una seconda trave in legno sulle colonne ioniche. Ma perché
dobbiamo qui avere una colonna ionica, quando non c’è nessuna ragione? Lo ionico aveva infatti la funzione
specifica di essere più slanciato. La ragione è quella della riconoscibilità del tipo edilizio, l’architetto si mostra
fedele a quella ripartizione, all’occhio tradizionale di chi progetta i portici bisogna conservare questa
caratteristica, che viene mantenuta con uno ionico piuttosto tozzo. La trave sta sopra le colonne, ed i triglifi
effettivamente rappresentano l’altra orditura. Chi passeggia nel porticato superiore si trova in un colonnato
ionico: ci si chiede cosa corrisponde rispetto allo ionico esterno? Vediamo quindi che allo ionico esterno non
corrisponde un altro ionico, ma con una soluzione unica (vedi immagine). Anche il piano di sopra bisogna
garantire un colmo. Se noi mettessimo qui una colonna ionica, il problema non si pone perché avremmo una
colonna da 10 diametri: ma avremmo però una colonna verso il fronte abbastanza doricizzante ed una
colonna abbastanza snella verso l’interno, cosa INACCETTABILE da tutta la società greca del tempo, per i
greci le proporzioni devono essere perfette o almeno devono essere costanti: se lo sguardo permette di
osservare delle colonne ioniche, devono avere tutte lo stesso rapporto. Per una condizione straordinaria è
stato deciso di mettere un capitello fuori regola, un capitello strano che non viene dalle città ioniche né da
quelle doriche, è un unicum che viene definito come capitello pergameno, un capitello asiatico che non
corrisponde esattamente a nessun modello di architettura greca. Ha delle parentele con i capitelli egizi,
somiglia abbastanza al mondo mediterraneo, oltre al capitello corinzio e protocorinzio. Questo perché ha una
campana (l’elemento effettivo che sostiene il peso) piuttosto alta, è un capitello che permette di allungare
ancor più l’altezza di una colonna. Altra caratteristica evidente che è un capitello che ha tutte le facce
possibili, è radiale, sembrano tanti petali che sono uguali dappertutto senza problemi di visione d’angolo o
laterale.
Questa è una foto dal vero-finto: l’effetto che fa. C’è un colonnato esterno molto fitto, questo
colonnato all’interno si organizza con un altro passo.
 
Architettura ellenistica Corrisponde pressappoco all’ascesa della Macedonia come potenza
militare, dal 250 a.C. fino circa al 160 a.C. . Ha una zona di produzione molto più vasta, che comprende
l’Italia (dove esiste la nuova potenza militare di Roma, ora con un governo repubblicano), e tutti i territori
conquistati dai macedoni. Si può parlare di architettura romana delle origini come una delle varianti
dell’architettura ellenistica.
Dal 480 a.C. le città ateniesi non hanno un nemico importante. Questo funziona fino al 359 a.C.,
quando con l’ascensione di Filippo II di Macedonia l’inizia l’epopea militare di questo stato, che assesta gravi
sconfitte agli ateniesi, come nel 338 a.C. . Il figlio accede al trono nel 336. a.C. e governerà per soli 13 anni,
che porteranno il giovane Re, Alessandro Magno, insieme al suo esercito, a compiere una delle più grandi
imprese militari della storia. Tutto quello che era la grande macchina dell’Impero Persiano sparisce
completamente, sostituita dal suo impero, che però arriva a disgregazione dopo la sua morte, a causa delle
spartizioni dei generali. Nel V° secolo a.C. vi è una potenza straordinaria, che dobbiamo però considerare
come una Grecia allargata come cultura, lingua ed architettura.
I regni finiscono più o meno tutti nel II° secolo a.C. , quando sono inglobati dalla potenza di Roma.
Attalo è un re federato con la Repubblica Romana. Cleopatra è l’ultima regnante di un Egitto autonomo, che
termina intorno all’anno zero del nostro calendario.
Il nome deriva da ellenico viene comunque usato il greco come lingua franca anche da tutti gli eredi
materiali del suo regno (i generali che danno sequenza ai vari regni con successioni dinastiche). Questo
regno che va da un oriente molto lontano, condivide la lingua franca, e l’architettura che si basa
essenzialmente sui principi e sulle forme che abbiamo visto nel V° secolo a.C. . Atene rimane come centro di
eccellenza culturale anche dopo essere stata vinta dai Romani.
Abbiamo visto la storia della successione edilizia della άδορα [agorà] di Atene, nel V° secolo a.C. .
Nel passaggio fra le due stoà abbiamo un importante passaggio dal punto di vista architettonico, in quanto il
secondo usa questo linguaggio per l’edilizia civile. Il dorico e lo ionico diventano con l’architettura ellenistica
dei linguaggi astratti rispetto agli edifici che ne avevano visto la nascita. C’è l’estensione di questo linguaggio
all’edilizia civile, ad una edilizia che pone in modo più moderno il problema delle funzioni della città. Templi
nuovi sicuramente vengono costruiti, però l’architettura ellenistica è anche l’architettura delle piazze, della
sistemazione di edifici nuovi, con un’attenzione allo spazio interno ed alla sala coperta, piuttosto che allo
spazio che doveva essere osservato dall’esterno come nel tempio greco.
 
Iniziando nel 500 a.C. con un tempio dorico di Agrigento, analizziamo ora 3 templi di straordinaria
dimensione, gli ultimi due in Asia Minore. Già lontano dalla madrepatria ci sono stati degli esempi
straordinari in dimensione. Si tratta di templi con una lunghezza, intorno ai 120-130 metri ed una larghezza
sui 40, le misure massime raggiungibili da dei templi con il sistema trilitico. Sono caratteristiche di alcuni
grandi santuari dell’Asia Minore, ma sono stati anche studiati precedentemente. Non possiamo ingrandire un
tempio a dismisura, perché prima o poi incontriamo il limite della lunghezza possibile di una trave in pietra. E’
un tempio iniziato e mai completamente terminato, perché Agrigento ha incontrato una fortissima resistenza
delle popolazioni interne. Questo tempio vuole apparire con un περιςτιλιο [peristilio] di colonne, ma in realtà
non è un tempio periptero. Pseudo-peripetero significa che, invece di avere vere colonne, tutte le colonne
sono piuttosto unite perché non si è in grado, con un interasse di 6 metri fra le varie colonne, di sistemare
una trabeazione. E’ qualcosa che presenta all’esterno semi colonne, collegate ad un muro. E’ un colonnato
dorico apparente, ed alla cella si accede piuttosto da ingressi collocati in maniera simmetrica. Abbiamo
questa grande colonna col suo capitello, e poi al di sopra una trabeazione completa, e non abbiamo traccia
della copertura. Notiamo però qualcosa di interessante dal punto di vista dell’organizzazione: anche data
questa colonna enorme, non si tratta di rochi, ma di blocchi di pietra tutti della stessa altezza. Procede
gigantesca fino alla costruzione finale, ma con elementi abbastanza maneggevoli. C’è qualcosa di nuovo in
rapporto a chi tiene l’architrave, nel punto in cui questa può cedere, vediamo delle figure maschili che
tengono, detti telamoni. Sono colossali figure che aiutano a sostenere, analogamente alle cariatidi o agli
atlanti. In questa immagine vediamo le dimensioni colossali di uno di questi telamoni ricomposto in
orizzontale a terra.
L’aspetto restituito al tempio. Il frontone con il timpano all’interno è probabilmente di restituzione
perché non c’è un’idea chiara di come potesse essere a causa della sua difficile storia.
 
Tempio di Artemide ad Efeso Nella definizione finale che vediamo sono templi del IV°
secolo a.C. con delle campagne architettoniche che arrivano fino a II° a.C. . Sono santuari dell’Asia Minore,
e che dal 480 a.C. vedevano un rapporto più stretto con Atene, che ha portato lo ionico all’interno della
ricostruzione dell’Acropoli. In questi grandi santuari i templi venivano costruiti e ricostruiti sempre più grandi,
ad esempio dove le cicliche distruzioni. Vediamo qui la versione E (la quinta versione trovata dagli
archeologi). E’ un edificio che compare nelle VII meraviglie del mondo, definite da Erodoto e dall’architettura
moderna. E’ un edificio straordinario che veniva però considerato del tutto perduto, è solo verso il 1860 (con
John Turtle Wood e Sir Charles Leepton Hais Tee) che scavi archeologici tedeschi hanno tirato fuori le
rovine. E’ un tempio iniziato intorno al VI° secolo, totalmente distrutto e demolito da un incendio applicato da
Erostato intorno al 21 luglio del 356 a.C. . Filippo II paga poi la ricostruzione del tempio finale, poi totalmente
distrutto dai Goti nel 262 d.C. . San Giovanni Crisostomo impedisce ufficialmente che sia possibile coltivare
altri culti intorno al 401 d.C. . Ha una caratteristica fondante che è quella di essere il santuario di Artemide o
Diana. In quella zona prima che vi si stabilissero le popolazioni delle città ioniche, vi erano culti dedicati a
Cibele, la MadreTerra, così come veniva chiamata in Frigia ed in Oriente. Vediamo un confronto evidente fra
una Diana Romana, figlia di Giove e Giunone, e come prima l’icona di Artemide Cibele veniva venerata
all’interno del tempio, fortemente legata a culti precedenti ed orientali. E’ una statua cultuale che si muove,
come le statue egiziane. La statua che abita nel mezzo si muove ed appare per andare a visitare le altre
divinità. E’ una statua cultuale anche molto grande, e che appare in determinati luoghi del tempio stesso. Il
numero delle colonne è straordinario, lo stilobate misura 78-171 metri, ciascuna colonna è alta 20 metri per
128 esemplari. Come si poté costruirle? Si è parlato, come nelle fonti antiche, di foresta di colonne, tutte di
ordine ionico. Le colonne non sono tutte uguali, ma ne sono state ritrovate di due tipi: una ionica in tutta la
sua altezza, con basi piuttosto complesse, e nel secondo tipo sempre una base ricchissima e poi una parte
nuova, un tamburo istoriato (con in più una parte molto più ricca e scultorea). L’Artemision di Efeso ha
anche ospitato sculture straordinarie, aveva sculture di Prassitele, e sappiamo che l’ultimo termine aveva dei
tamburi scolpiti da Scopas. Non c’è però una ricostruzione su quali fossero le colonne normali e quali quelle
speciali. Questo tempio, così diverso dagli altri, e la sua architettura ha delle caratteristiche straordinarie
legate a questo particolare culto. E’ stata fatta l’ipotesi che non tutta la cella fosse coperta, ma vi fosse un
qualche cosa diverso dal previsto, dei templi con cella scoperta (una possibili varianti del tempio).
Dentro il frontespizio, nell’apparato scultoreo del timpano, vi erano tre finestre da cui si immagina
che potesse apparire la statua stessa, oppure immagini cultuali connesse alle amazzoni. Vi è un recinto,
un’ara ad una certa distanza, e dall’organizzazione sembra che fosse fatto in corrispondenza
dell’organizzazione del timpano, in cui il sacerdote eseguiva il sacrificio guardando verso il tempio. Il
sacerdote non guarda al cancello del tempio, ma piuttosto guarda in alto, al timpano. Questo tempio non è
“orientato”, non abbiamo informazioni al riguardo.
Questo tamburo altro non è che un cilindro che costituiva la base della colonna, parzialmente celata
da questo apparato scultoreo. I capitelli si presentano in due varianti: dei capitelli floreali e degli ionici con
voluta spiraliforme scanalata.
Se si è perduta ogni memoria è stato proprio a causa di queste distruzioni. Però, grazie all’ausilio
della numismatica e delle monete antiche, che da una parte hanno il regnante e dall’altra parte abbiamo
delle rappresentazioni di templi, possiamo ricostruire qualcosa di questo tempio. Vediamo qui tre monete
diverse, il cui retro presenta un forte legame con l’Artemision di Efeso. Vediamo una statua cultuale di
modello asiatico-orientale, in particolare per la posa statica, del tempio di Artemide Efesino. La statua era
nelle Collezioni Farnese, è una riproduzione ora nei nostri musei, un modello che ci ricorda che era fatta di
due marmi diversi, che possiamo ricostruire con molta evidenza confrontandola con questa moneta.
Vediamo un ordine ionico nell’altra moneta (il disegno però non significa certo che il tempio avesse 4
colonne essendo una rappresentazione semplificata), più la rappresentazione della statua e mostrava
questa organizzazione con le aperture, una centrata ed altre laterali. Dalle fonti antiche sappiamo che la
statua si comportava come una statua egiziana, vi erano dei cortei di importanza straordinaria, che
prevedevano l’uscita della statua. Questo santuario rimase importante per secoli, perché era un luogo d’asilo
inviolabile, garanzia che in realtà non veniva rispettata spesso. Sembra di capire dalla base di quelle colonne
che fosse fatta di colonne celate, con quei tamburi celati. Ancora nella parte superiore si dovrebbe vedere
almeno una di quelle aperture, quella centrale, che è una delle caratteristiche fondamentali. Le colonne in
realtà sono 127 e sono colonne ioniche, bisogna solo riflettere che una quantità simile di colonne, produce
un effetto totalmente diverso, più che l’idea di una struttura solida dà un’idea di qualcosa estremamente
ripetuto.
Nell’architettura ellenistica si consegue infatti lo sfarzo e la grandezza attraverso la ripetizione di un
elemento fisso come la colonna, ripetuta tantissima volte che pregiudica però anche la comprensione della
struttura architettonica.
Tempio di Apollo a Didyma Siamo verso il Mar Egeo, il santuario è antico, e vuole
essere di dimensione colossali, molto simile ai 40*120 che abbiamo visto precedentemente. Siamo anche
qui ancora in un tempio ionico, con una scelta che abbiamo visto, la scelta della foresta di colonne. Chi entra
non si ritrova dentro una cella, ma colonne su colonne su colonne. Dal punto di vista strutturale si capisce
abbastanza bene: bisogna moltiplicare i sostegni. Come si fa a coprire lo spazio interno: semplice, il tempio
non prevede la copertura dello spazio interno. C’è uno stilobate, che non è più i 3 gradini tradizionali del
tempio dorico, ma vi sono diversi gradoni, più dei gradini per l’accesso in determinati punti. Abbiamo un atrio
coperto, un aula chiusa con due colonne che aiutano a sostenere il soffitto e poi dobbiamo scendere per
arrivare al cortile, uno spazio totalmente aperto, e qui un tempio molto piccolo ed abbastanza tradizionale,
anche qui ionico. E’ un’organizzazione che in sezione verso l’interno si presenta all’interno sotto forma di
pilastri ionici, sono tutti elementi che somigliano abbastanza (paragone improprio ma non sbagliatissimo) alla
soluzione del tempio gigantesco di Agrigento.
Abbiamo poi delle complicazioni, delle scale ai lati dell’atrio, che permetterebbero di arrivare al tetto
del tempio. Questa sarebbe una contaminazione orientale, rispetto al Sole (Apollo contaminato con il Sole,
com’è avvenuto per Artemide). Vediamo quindi questo spazio aperto, dove il sole è importante riguardo l’uso
effettivo. C’è un carattere ionico fondante, una certa flessibilità organizzativa ed un tentativo di raggiungere
dimensioni straordinarie attraverso la ripetizione dell’uguale, raggiungendo limiti massimi. Intorno al 401-430
tutti i templi sono non più officiati. All’interno del V° secolo non è più possibile officiare i riti della vecchia
religione a causa del culto unico imposto dalla chiesa.
 
Priene E’ una città di nuova fondazione, che non dista che qualche centinaia di km da
Efeso. Siamo all’interno dell’urbanistica, osservando l’organizzazione di città ippodamea. Ippodamo, dicono
le poco precise fonti letterarie, viene riconosciuto come l’inventore dell’organizzazione razionale dell’impianto
della città. In realtà è solo una fortuna storiografia che questo signore abbia inventato questa
programmazione per maglie, infatti città con questa organizzazione preesistevano anche nei secoli
precedenti. E’ stato chiamato per la riorganizzazione del Pireo, ed avrebbe sistemato anche tutto l’abitato
connesso al porto. Girava con bellissime vesti e capigliature straordinarie, ma per traslazione si definisce
città ippodamea un tipo di organizzazione di ambito greco che ha a che fare con un progetto a priori della
città stessa, che organizza l’assetto viario, e l’organizzazione degli spazi pubblici e privati.
L’Atene che abbiamo osservato era sostanzialmente una città confusa, disordinata, in cui si
evidenziava e regolamentava solo l’edilizia pubblica monumentale, non abbiamo un’organizzazione che
presentava case lussuose, sappiamo però che l’organizzazione della άδορα [agorà] era uno spazio aperto
irregolare dai contorni mobili, che vengono man mano monumentalizzati.
E’ fondata in un luogo difendibile, con una cinta muraria importante. E’ stato scelto un altipiano
protetto naturalmente, al di sopra c’è un piano inclinato, e poi ancora c’è una struttura geologica che ha a
che fare con una sommità naturale: è una rocca. L’organizzazione delle mura: seguono il percorso naturale,
l’organizzazione naturale. Salgono su fino a comprendere un tratto significativo della rocca superiore. C’è la
porta est e la porta ovest, collocate in posizioni tali da poter essere facilmente difese. Le mura seguono un
contorno naturale, e racchiudono un’organizzazione stradale interessante, ed all’interno di questa
organizzazione del tutto naturale vediamo piuttosto un’orditura regolare, con una strada principale che va da
porta a porta, ed una sezione stradale che corrisponde alla larghezza della porta. Chi ha stabilito la
larghezza delle strade, l’ha stabilita in base ad una gerarchia di funzioni: dunque un’organizzazione a partire
dal consumo di traffico che vi passa. Quindi la strada principale incontra lo spazio pubblico. Tutto quello che
si era costruito man mano nelle altre città greche viene qui attentamente pianificato. Lo spazio vuoto è
costituito da lotti non edificati. Le altre strade hanno delle sezioni minori, e la άδορα [agorà] si affaccia sul
corso principale. C’è una rete stradale complanare in senso orizzontale, e piuttosto inclinata o con scalinate
nell’altro senso degradante. Quello tratteggiato è edilizia civile, con uso pubblico, quindi un’organizzazione
sia degli spazi vuoti, άδορα [agorà] e strada, sia degli spazi pubblici, oltre ai lotti privati tutti uguali. Abbiamo
poi il tempio di città dedicato ad Efesto (?), e poi verso la rocca il tempio dell’acropoli, si replica la dualità che
abbiamo visto ad Atene con due templi dedicati ad Atena ed Efesto.
Questa è una rappresentazione in grande scala dello spazio centrale della città. Abbiamo
un’organizzazione di portici, che piega con due bracci simmetrici colonnati che proseguono nel corso
principale (quindi una strada con due colonnati). C’è un marciapiede con forma monumentale. L’immagine
del portico nord: abbiamo un colonnato antistante, con colonne che non possono che essere doriche, e
dietro vediamo delle grossi basi quadrate, corrispondenti alla pianta della colonna, dove ogni 3 colonne
dell’esterno ne corrispondono due. Vediamo poi alcuni monumenti celebrativi di vario tipo, all’interno della
άδορα [agorà] (?). E’ ellenistica anche la struttura urbanistica della città: c’è una perdita di autonomia
dell’edificio, c’è un’organizzazione continua di spazi di uso diverso, oggetti diversi all’interno di lotti diversi.
Non si tratta di un edificio con due ali monumentali, ma un qualcosa che è prolungato da entrambi i lati, che
a chi cammina si presenta come una città dei portici che proseguono e che continuano. Tutto questo sta in
parte a Berlino ed in parte a Londra: possiamo vedere due elementi, una campata più questo. Mentalmente
possiamo ricostruire attraverso questi pezzi la stoà (si trovano in Germania perché gli scavi nell’Asia Minore
sono stati effettuati da tedeschi grazie ai buoni rapporti intrattenuti con la Turchia), vediamo due triglifi
piuttosto che uno sopra l’intercolunnio. Tutte le colonne ioniche sono scanalate sopra il terzo e non nella
base inferiore.
Porta della άδορα [agorà]. E’ sistemata lungo l’asse centrale della città, è un arco, delinea uno
spazio urbano nuovo. Questa porta si situa intorno alla metà del secondo a.C. . Siamo un’epoca che segna il
passaggio della Grecia sotto Roma. Questo arco: abbiamo superato il sistema rigidamente trilitico, ed
abbiamo un elemento in pietra di tanti singoli conci con un taglio radiale, in modo da costituire un arco. Si
tratta di un’architettura in pietra totalmente diversa, con ogni concio tagliato in relazione sua posizione, tutti
incatenati fra loro e formano qualcosa di diverso dalle strutture che abbiamo visto prima.
Archi: hanno una storiografia piuttosto combattuta fra i vari storici dell’Architettura. Si legge ancora in
molti libri che l’arco sarebbe un’invenzione degli etruschi, passata poi ai Romani. Non si tratta però di
un’invenzione etrusca, ma di una pratica ellenistica, che si può vedere in Asia Minore ed in molti altri luoghi
della Grecia allargata. In Etruria, così come circolavano vasi e raffinate lavorazioni greche, si può pensare
che sia arrivata l’arte di tagliare le pietre.
Vediamo una trabeazione compatta, che non presenta tutti gli elementi dell’ordine.
Guardiamo il teatro: una cosa piuttosto importante è la sistemazione elevata del teatro. Si pensava
ad un’organizzazione all’aperto che permettesse al maggior numero di persone di vedere. Il teatro greco si
basa su un declivio naturale, con lo spettacolo vero e proprio che ha luogo in basso. In questo caso, avendo
una città già in forte pendenza, il teatro sarà sistemato dov’è la maggiore pendenza, quindi verso la rocca
dove si poteva scavare agevolmente. Il teatro di forma tendenzialmente circolare, si trova inscatolato in
questo piano ortogonale. Altro elemento importante è l’assemblea dei cittadini, che ha luogo in uno spazio
chiuso. E’ una versione, sono spazi coperti per usi speciali: finora abbiamo visto spazi scoperti, per spazi
coperti abbiamo visto qualche esempio in Atene. In questo caso, date le dimensioni molto minori di Priene, si
pensava che questo edificio potesse ospitare i cittadini di Priene. E’ una struttura dove l’interno è piuttosto
importante, mentre l’esterno ha un apparato non monumentale. L’organizzazione vede disposta i seggi dei
cittadini come un traslato del teatro naturale, che organizza una gradinata ad esedra. Gli elementi verticali
sorreggono una copertura lignea sempre più raffinata, della capriate lignee composte. Vi è un corridoio per il
deflusso del dei partecipanti, dei pilastri che non limitano la luce della sala, ed un altro arco piuttosto
complesso, un’altra di quelle realizzazioni con questo sistema sostitutivo.
Abbiamo delle nuove strutture come l’ippodromo, che troveremo in molte altre città. Prima di passare
al teatro, si analizza il problema degli spazi coperti all’interno dell’architettura greca. Esistono, oltre agli spazi
civici, degli spazi religiosi complessi: di questi il più importante è quello che ha luogo a Eleusi. E’ un
pellegrinaggio notturno, da Atene in un giorno alla città di Eleusi. All’interno gli iniziati ai misteri aspettano
l’alba all’interno di un luogo abbastanza importante, dov’è accesso un fuoco, che quindi richiede che una
parte dell’edificio sia scoperta. E’ un edificio religioso, ma che non è un tempio, contiene un rito piuttosto
complesso. In questa possibile restituzione (della sala dei Misteri Eleusini). C’è una parte sommitale che ha
a che fare con l’organizzazione di questo fuoco che deve ardere. Ora rimane molto poco, è molto deludente.
Ci sono dei gradini scavati sulla roccia naturale.
E’ stato ricostruita una successione dargli archeologici, che è stato demolito varie volte per essere
costruito più grande. Nell’ultimo abbiamo una selva di colonne che permettono una copertura importante. Il
primo dei progetti è stato quello di Ictino, l’architetto del Partenone, che avrebbe anche dato un progetto per
ricostruire questo edificio. Se si vuole costruire un edificio di grandi dimensioni come questo, e questo deve
essere coperto. Se deve essere un sito sacro, e non può che avere un frontone, all’interno si costituirà con
una selva di colonne e varie navate.
Vediamo in questa immagine la copertura della loggia della cariatidi. L’Eretteo prima degli scavi si
presentava come una fortificazione medioevale, ed il tempio di Atena Nike era inglobato nella torre.
Il teatro. L’acropoli di Atene, riconosciamo l’Eretteo, etc. Alla base del fronte sud, dalla parte
opposta della città, lungo il declivio della città, viene creato il teatro di Dioniso. E’ il primo teatro, diventa un
tipo edilizio che prima era sconosciuto alle precedenti città, è la testimonianza pietrificata dell’organizzazione
democratica della città di Atene. Qui era previsto anche la partecipazione dei cittadini ai componenti scelti
attraverso concorsi fra più poeti, ed i vincitori vedevano la loro tragedia rappresentata. Dobbiamo pensare ad
un santuario nella zona sud dell’acropoli, e poi ad una cavea naturale. Lo stato di rovina attuale del teatro ci
fa ricordare proprio quelle che furono le sue umili origini. In basso c’è qualcosa che essenzialmente è
l’orchestra, uno spazio dove agisce il coro, e dietro di questa aveva una scena mobile, di legno e stoffa
senza forma architettonica. Il teatro nasce intorno ad Atene, intorno ad un luogo che era il santuario di
Dioniso, e si pone all’interno di uno spazio che è circolare. Abbiamo un elemento l’orchestra, essenzialmente
circolare: una volta che diventa architettura riorganizzerà in forma radiale l’intero impianto del teatro.
Abbiamo poi una scena fissa, uno proscenio più basso e delle rampe di salita. Si organizza una struttura
essenzialmente rettangolare che sta dietro la scena, ed un portico collegato al santuario di Dioniso.
 
Civiltà Etrusca Intendiamo la civiltà etrusca come diffusa in due zone principali della
penisola, l’etruria meridionale (l’odierno lazio) e settentrionale (odierna toscana). Abbiamo finora visto l’Italia
come terra di conquista e colonizzazione da parte delle città madre greche, colonie che non raggiungeranno
però uno sviluppo pari a quelle della madrepatria a causa della resistenza della popolazione indigena.
 
Le caratteristiche dell’architetture religiosa etrusca Esiste un tempio cosiddetto toscano:
ce lo racconta Vitruvio, che con l’architettura romana citeremo più spesso. Descrive qualcosa di molto più
antico, parla di un’architettura diversa da quella greca, descrivendo un modo di costruire templi toscano,
ovvero etrusco. Roma stessa viene fondata all’interno dell’Etruria, e dunque deriva in parte da quella
tradizioni. Il tempio toscano ha proporzioni diverse, è un modello diverso. Una caratteristica saliente è che la
cella non è una, ma sono piuttosto tre, l’una accanto all’altra. Queste hanno a che fare con la cosiddetta
triade capitolina, Giove Giunone Minerva, tre divinità che vengono venerate insieme. Antistante abbiamo un
porticato formato da due registri di colonne che formano un pronao molto più lungo e spazioso di quelli visti
nell’architettura greca, descrivendo insieme alle celle una specie di quadrato diviso a metà. Esiste una
tradizione religiosa etrusca, dove i sacerdoti traggono auspici dal volo degli uccelli: siamo quindi nello stesso
olimpo greco ma con riti diversi. Questa osservazione più essere fatta dall’interno del pronao del tempio, ed
è per questo che si pensa sia più spazioso e più lungo. E’ un tempio che ha un fronte molto evidente e non
ha un retro. Mentre il tempio greco era essenzialmente periptero, qui il tempio è fortemente orientato, ed il
retro o non dove essere visto oppure è trascurato. Altra importante caratteristica che passerà al tempio
romano e la mancanza dei tradizionali 3 gradini, che sono in numero maggiore, ed avendo il tempio un fronte
la gradinata si trova solo all’ingresso. Il tempio è sostanzialmente montato su un podio, e la scalinata è in
diretto rapporto con l’ingresso del tempio. Questo tipo di templi può trovarsi all’interno delle città, nelle piazze
e nei fori, ed il podio lo “solleva” all’interno della piazza. Avevamo visto anche a Priene come il tempio stesse
separato nel suo recinto , mentre nell’architettura romana il tempio entra in città, e si differenzia con un
cambio di livello. Dal punto di vista architettonico Vitruvio parla anche di un ordine toscano, che avrebbe una
caratteristica tosco-italica-etrusca. Vediamo un tempio essenzialmente ligneo, che ha la caratteristica di
presentare una sorta di dorico molto semplificato, che avrà molta fortuna nel rinascimento. E’ un dorico
fornito di base, un capitello molto simile, ed una trabeazione molto più semplice, che nella descrizione di
Vitruvio presenta un architrave semplice, un fregio liscio ed una cornice. E’ un dorico privato della
caratteristica alternanza di metope e triglifi. Alcune architetture romane citeranno piuttosto l’ordine toscano
che l’ordine dorico. Nella descrizione di Vitruvio osserviamo la mancanza di un timpano, con le falde del
tempo appoggiate con uno spazio vuoto sottostante, oltre ad una porta particolare con stipiti non
perpendicolari, che passerà poi all’architettura romana. Gli acroteri sono di dimensione gigantesca, e
realizzati essenzialmente in terra cotta, come già in uso nella Magna Grecia.
 
Roma E’ il centro dell’etruria meridionale che vede l’emergere della città di Roma, potenza
di origine etrusca, che si espande senza difficoltà per arrivare alla metà del II° secolo a.C. a controllare
anche la Grecia e quello che rimaneva in mano agli eredi di Alessandro Magno. Osservando dall’oggi, dalla
modernità, distinguiamo un’architettura egiziana, una greca ed una romana, e queste ultime differiscono
sotto molti aspetti. Vediamo una pianta al VI° secolo a.C., con la cinta di mura serviana, che in realtà è molto
più tarda di quella che ci dice la tradizione. La città è sorta in questo punto grazie all’isola Tiberina, guado
naturale in un fiume come il Tevere, largo e difficile da attraversare. E’ una città che si costituisce a partire
da un guado, a partire dal controllo dello stesso e trova il suo punto di nascita in due colli, il Campidoglio ed il
Palatino. Nel Palatino vi sono tracce di un abitato che risale al VII° secolo a.C. , e fra questi due sorge il
primo luogo pubblico della città, il foro.
 
Tempio della Fortuna Virile E’ il nome tradizionale, ma infondato, mentre una
denominazione più probabile è quella di Tempio di Portumno, ricavata da delle iscrizioni. Essenzialmente si
è conservato perché è stato una chiesetta per duemila anni, e i restauri moderni hanno levato tutto quello
che era chiesa. Si tratta di un tempio del II° secolo a.C. . Siamo nella stessa epoca dell’architettura
ellenistica, è un’architettura di un periodo in cui Roma ha lasciato i confini dell’Italia, e questo tempio
presenta tutte le caratteristiche d’insieme dell’architettura greca e dell’architettura tosco-italica. Questo
tempio è collocato nel foro Boario, vicino al Tevere, ed in sua prossimità si svolgevano importanti commerci.
Si presenta come tempio greco: un ordine ionico, uno ionico che somiglia nelle sue proporzioni al tempio di
Atena Nike, con 4 colonne in fronte, e 7 colonne sui fianchi. Il podio ha un numero di gradini considerevole,
si presenta del resto in mezzo alla città ed in luogo abitato, in mezzo alla città che usa questo porto. Il podio
continuava fino ad arrivare fino al limite delle scale stesse. Il podio presenta una cornice inferiore, una
superiore, ed una serie di ortostati, come abbiamo visto nelle celle greche. All’esterno si presenta con un
basamento monumentale di pietra. 4 colonne ioniche che si presentano agli spigoli nelle due condizioni con
quella soluzione d’angolo che abbiamo visto nel tempio di Atena Nike. Di fianco presenta i capitelli sempre di
fronte, e quindi il capitello d’angolo presenta due facce principali. La soluzione viene quindi riproposta,
testimonianza di un’architettura che ha imparato dall’architettura greca le soluzioni più raffinate. Come lo
ionico vuole abbiamo l’architrave tripartito, la base attica (uno ionico già nella sua versione ateniese) ed una
pianta fortemente legata a quel modello etrusco, con un pronao molto ampio, uno spazio antistante,
testimonianza di questa tradizione molto forte che permane nell’architettura romana. E’ un tempio semi-
periptero: qui le colonne libere solo sono di fronte, mentre le colonne dei fianchi sono addossate ai muri,
rappresentate sotto forma di semi colonne. Abbiamo già visto questa caratteristica nel tempio di Apollo a
Didima, ma qui abbiamo una caratteristica tosco-italica: grande pronao, e fronte importante molto più del
retro. Sul fianco abbiamo le semicolonne alla distanze regolare, e delle bugne o dell’opera quadrata, come
se noi stessimo vedendo attraverso le colonne la parete della cella in opera quadrata. Materiale
interessante: ci distanziamo dell’architettura greca e del Partenone. Finora abbiamo visto un’architettura che
in quanto architettura sacra, è un’architettura monumentale, ed in quanto monumentale era costruita in
marmo statuario, costruita con i sistemi più costosi e più raffinati. Qui invece si tratta di una tradizione
diversa, meno raffinata, che solo dopo la conquista della Grecia entrerà in Roma e solo allora Roma
diventerà una città di marmo. Al momento non si è ancora in grado di lavorare e produrre il marmo come si
faceva in Grecia: tecnicamente Roma non può fornire al suo tempio alla Greca lo stesso materiale. Le cave
storiche sono a Luni, l’odierna Carrara, abbastanza vicine a Roma. Dal retro del tempio vediamo un aspetto
che non è quello originale, perché era in realtà stuccato, mimando appunto il marmo bianco. Non si
presentava quindi molto dissimile da quei templi della Magna Grecia che erano realizzati con una pianta
calcarea e poi stuccati. Abbiamo due componenti, che si trovano entrambe nell’area laziale, importanti per la
tecnica romana, che sono materiali vulcanici: da una parte abbiamo il tufo (colore giallastro, molto facile a
tagliare e lavorarsi) e dall’altra il travertino (altra pietra vulcanica). Il podio è rivestito con lastre. Tutto ciò che
è muro è essenzialmente fatto di tufo, con una differenza su ciò che è di spigolo, fatto in travertino. Per le
colonne portanti sul fronte abbiamo la pietra, i capitelli sono tutti di pietra perché devono essere lavorati. La
finitura di questa parete in tufo era uno stucco, dove erano disegnati e parzialmente incisi dei conci di pietra:
era mimata un’orditura per conci regolari, e dove erano le colonne era mimata un’orditura fatta di tamburi
regolari.
 
Tempio di Ercole Vincitore O altrimenti detto Tempio di Vesta (denominazione senza
fondamento, è un nome suggerito solo dalla consuetudine che vedeva a pianta circolare tutti i templi di
Vesta). Possiamo vedere a confronto questo secondo tempio, a poca distanza sempre nel foro Boario. Nella
sua forma a cella circolare vediamo una tradizione ellenistica: erano dei santuari abbastanza comuni
nell’architettura del II° secolo a.C. . Questo tempio viene più che dall’incontro della tradizioni, dalla
trasposizione diretta dal mondo greco. Ci si è accorti che i capitelli corinzi sono stati eseguiti in marmo
pentelico, un marmo che non si trovava nelle zone vicino a Roma. E’ quindi probabile che Roma, avendo in
quel periodo il controllo militare della Grecia, acquisti un tempio e dei capitelli eseguiti altrove e trasportati a
Roma. Vi è quindi il montaggio di un tempio che come architettura è un modello ellenistico, che viene
direttamente costruito da maestranze greche. Questo tempio ha poi incontrato una rovina, e dei capitelli
sono stati sostituiti con marmo italiano. Siamo in una fase di forte potenza militare romana, e forte
dipendenza dai modelli dell’architettura ellenistica greca. Per capire com’era fatto ci aiuta una restituzione di
SanGallo. C’è un colonnato radiale, una cella che sembra costruita in opera quadrata, così come abbiamo
visto essere costruita la cella del Partenone. Se si osserva invece l’edificio reale, si vedrà che questo tipo di
opera quadrata suggerita, è in realtà un rivestimento con lastre di marmo, spesse una decina di cm circa,
forse di più, che sono messe all’intorno a mimare una costituzione in opera quadrata che non è stata mai
eseguita. Abbiamo una porta e due finestre, capitelli corinzi e base attica. La terminazione che vediamo oggi
è un tetto moderno: la terminazione antica vedeva sicuramente una trabeazione, e questa parte superiore
avrebbe dovuto essere coperta con una calotta. Sicuramente dobbiamo pensare che un cilindro dev’essere
coperto da una volta, quindi qualcosa di diverso dal sistema trilitico, ma non abbiamo alcun elemento per
poter ricostruire con certezza quale fosse la tipologia di copertura.
Di questi due templi non si può osservare il portale, né l’interno della cella, a causa del loro mutato
utilizzo, abbiamo solo le forme esterne e nulla dell’interno.
 
Tecniche edilizie Abbiamo un nuovo elemento, una volta, della quale dobbiamo vedere con
quale materiale è fatta e con che tecnica è fatta. Per la parte relative alle tecniche romane edilizie ci
riferiremo a “L’arte di costruire presso i romani”, di Jean-Pierre Adam. Da questo libro sono tratte alcune
nozioni necessarie per il nostro programma: abbiamo due immagini a confronto per vedere come la tecnica
edilizia romana si differenzi da quella greca. Vediamo la Porta dei Leoni di Micene (risalente al 1250 a.C. ,
quindi XIII° secolo a.C.) ed a confronto abbiamo Arpino in Italia, una porta del VI° secolo a.C. , sempre in
opera ciclopica. Non si tratta di archi, ma di pietre man mano collocate più ravvicinate, che si comportano
come archi ma non sono realizzati come archi: le pietre sono sistemate a filari orizzontali, avvicinandosi
sempre di più. Quello che vediamo nella greca arcaica è anche ciò che vediamo all’interno dell’Italia con le
varie popolazioni: ci sono tecniche molto antiche, ma MAI autoctone. Osserviamo qui un’immagine celebre:
è la bocca sul Tevere della Cloàca Massima. I conci sono tagliati e sistemati in modo radiale, prevedendo
quindi il taglio ad hoc dei singoli conci: è una tecnica edilizia diversa da quella che abbiamo finora visto.
Tradizionalmente è sempre stato scritto che l’arco sarebbe un’invenzione degli etruschi, che esisterebbe una
caratteristica dei popoli italici che avrebbero perfezionato un sistema di lavorazione dei conci tagliati in modo
radiale per formare archi. Ma noi già nella άδορα [agorà] di Priene abbiamo visto un ingresso con un arco,
organizzato più o meno come questo. C’è un problema storico importante, perché lo cloaca massima ha una
datazione piuttosto dibattuta. Tito Livio, che scrive della Storia di Roma, la fa risalire all’ultimo re etrusco: se
risale al VI° a.C. , questo sarebbe qualcosa di piuttosto precoce, però di fatto i nuovi studi storici che hanno
guardato molto meglio il percorso di questa fogna, ci fanno capire che questa è una ricostruzione del I°
secolo a.C. . L’arco quindi non è un’invenzione autoctona, ma è nato dal forte rapporto che la cultura greca
ha con l’Etruria, si può pensare che sia esistita una cultura greca allargata con forti rapporti con le
popolazioni italiche. C’è quindi un rapporto molto ricco e diretto con la civiltà ellenistica. Vediamo l’arco di
Porta Giove a FaleriNovi, del 241° a.C. , che sostituisce una città conquistata agli etruschi e totalmente
distrutta. Siamo un 100 km a nord di Roma, e questa nuova città ha delle mura in tufo, conservate molto
bene e di dimensioni imponenti, realizzata con conci lavorati a cuneo. I vari elementi dell’arco (giàlìsai…):
intradosso, piedritto, imposta con elemento architettonico, ghiera, concio d’asse, etc. E’ una costruzione che
può realizzarsi solo con una centina, una costruzione di legno provvisoria che serve a montare queste pietre.
Questo arco sostituisce quindi il tradizionale sistema trilitico, è qualche cosa che svincola il problema
ineludibile dell’architettura greca, cioè la massima lunghezza di un architrave in pietra. Qui si tratta di uno
sviluppo molto forte di tecniche che abbiamo già visto in Priene, che ora diventano fortemente utilizzate. A
Perugia vediamo una delle porte della città, si pensava quando vi era una sorta di storiografia molto
nazionalista, che questa porta fosse del VI° a.C. , è invece etrusca solo nella parte sottostante, mentre in
quella sovrastante è stata ricostruita dai romani. Vediamo a confronto due edifici totalmente diversi: il Tesoro
di Atreo (costituito da una serie di elementi organizzati orizzontalmente che costituiscono la pianta circolare)
e il Tempio di Mercurio a Baie (vicino Pozzuoli, che è uno spazio circolare costituito con una tecnica del tutto
diversa, una tecnica molto legata all’esperienza architettonica romana). Stiamo parlando dell’opus
cementicium [opera cementizia – calcestruzzo], qualcosa di molto differente anche rispetto all’arco. La pianta
è circolare, la geometria si costruisce con un cilindro, dobbiamo immaginare uno spazio coperto da una volta
semi-sferica: una diversa geometria e una diversa edilizia che andiamo a descrivere.
 
L’opera cementizia E’ costituita dall’unione di diversi elementi: prima di tutto la calce, che si
ottiene facendo cuocere ad alte temperature materiali calcarei, ottenendo a fine cottura della calce viva, delle
pietre del tutto calcinate. Questa calce viva poi viene idratata e diventa una sorta di pasta col nome di calce
spenta. Questa calce viene unita alla sabbia e costituisce la malta, che è un legante. Finora non abbiamo
visto un legante, ma grappe metalliche che nei templi collegavano le pietre perfettamente squadrate. Questo
legante: non era sconosciuto in epoca più antica, il legante sotto forma di gessi viene utilizzato, anche se
poco, nell’architettura greca, abbastanza nel medio oriente, ma non era considerato l’elemento fondante di
un’architettura. Era utilizzato per collegare fra loro le pietre, ma non aveva il posto che avrà nell’architettura
romana. Vitruvio parla di ricette per preparare la malta: 3 parte di calce ed una di sabbia. Parla poi di una
sabbia pozzolana, che ha delle particolari caratteristiche. Quindi se si unisce la calce con la pozzolana, ha
delle caratteristiche maggiori, e diventa una calce non aerea ma idraulica: può asciugarsi in zone umide,
anche in parte sottoacqua, può avere un rapporto di presa maggiore, rispetto alla malta normale che può
presentare problemi di non perfetta essiccazione: può arrivare alla consolidazione anche in assenza d’aria.
Vitruvio non era ovviamente in grado di dare una spiegazione chimica, ma il risultato ottenuto con la malta è
straordinario. Questo legante viene sommato ai cementi (materiale inerti che vengono immessi insieme alla
malta), mentre oggi con la parola cemento si intende il legante. Quindi esiste uno sviluppo straordinario di
una nuova tecnica: è un composto fatto di un legante che somma inerti, un composto semiliquido che ha
bisogno di casseforme. E’ totalmente diverso dalle architetture trilitiche e dalle architetture con archi. E’ la
grande scommessa dell’architettura di coprire grandi spazi attraverso un impasto di materiali facili al
trasporto, che si solidificano attraverso una cassaforma. Qualche cosa di molto simile alla nostra esperienza
del cemento armato. Casseforme che sono lignee, e che talvolta sono costituite in rapporto a dei
rivestimenti. Una delle prime opere costruita a Roma è del II° secolo a.C. , stiamo parlando di magazzini sul
bordo del fiume Tevere, sull’odierna via Marmolada, vicino al Foro Boario. Abbiamo dei frammenti di questa
pianta di Roma del II° secolo a.C. , una pianta che rappresenta la città di Roma intera, recuperata nei suoi
frammenti a partire del ‘500: è la “Forma Urbis Romae”. Esisteva un luogo della città dove era presentata la
pianta della città stessa. Abbiamo degli spazi che si ripetono tante volte, e sono stati interpretati come
magazzini. Se guardiamo questo elemento, vediamo tante gallerie parallele, che gli archeologici hanno
ricostruito essere magazzini, con volte a botte semi-circolari, sicuramente costruite in opera cementizia, con
una centina lignea che può essere riutilizzata più volte facendola scorrere. Sono segmenti di volta a botte
che permettono l’illuminazione dalla parte sovrastante e dai fianchi ove possibile. E’ un’architettura d’uso,
un’architettura che può essere costruita in tempi più veloci e con minor spesa rispetto a quando abbiamo
visto finora: in più sono architetture che non si incendiano, ed abbiamo visto che molti opere finora osservate
hanno subito roghi e rovine connessi al fuoco. Questa architettura permette di trasportare elementi piccoli,
che possono essere assommati all’interno del cantiere. Per costruire questa architettura abbiamo bisogno di
centine, che dopo la chiusura del cantiere possono essere smontate e riutilizzate. Fra il legno e la parete
vengono posizionati degli elementi che saranno la finitura esterna della parete. La tecnica più antica è l’ opus
incertum, formata da elementi di piccola dimensione, con geometria variabile, che posti in questa
dimensione costituiscono una fodera del muro stesso. Tutto questo probabilmente non doveva essere poi
visto, ma doveva essere presente un’altra finitura esterna. Fra le diverse gettate abbiamo poi elementi di
raccordo. Altro tipo di rivestimento è l’opus reticolatum, rombi sistemati all’interno essenzialmente di tufo
tagliato. Vediamo qui un’opera mista, di mattoni ed opera reticolata. Il grande rivestimento utilizzato dai
romani è il mattone, definito opus mixtum reticulatum. Tutte le opere romane in grande parte si presentano
esternamente di mattoni. Ma tutto quello che appare sotto forma di mattone nell’architettura romana non è
una muratura piena in laterizio, ma sono semplicemente dei rivestimenti, due cortine di mattoni. La cortina di
mattoni era qualcosa di prezioso, ed in moltissimi luoghi è stata sottratta. Questa architettura ha delle
casseforme di mattoni, e riempite di malta e cementi. Qui subentra un’industria molto importante, che è
quella di fabbricazione dei laterizi in terracotta. Il mondo greco non aveva però utilizzato i laterizi in così
grande dimensione. Questi laterizi sono prodotti in diversi formati, fino ai bipedali, che sono i più grandi. Un
piede è intorno ai 30 cm, ed è un mattone lungo circa 60 cm ed alto 5 cm utilizzato all’interno di queste
strutture per costituire degli archi di scarico. All’interno c’è sempre il nucleo di opera cementizia, là dove c’è
un’apertura e bisogna costituire qualcosa che tenda a ripartire le forze i mattoni sono sistemati a forma di
arco, con all’interno presumibilmente ci sono altri mattoni. L’opera cementizia è quindi un’opera complessa e
con molte varianti possibili.
 
Tabularium E’ un edificio romano della tarda repubblica, che sfrutta a pieno l’arco e l’opera
cementizia. E’ collocato nel fronte del campidoglio verso il foro, fra il palatino ed il campidoglio, che nella
tarda repubblica aveva la funzione di conservare le tabulae di bronzo con le leggi e gli atti ufficiali dello stato
romano. Vediamo conservato un basamento ed un’arcata originale. Il basamento è in opera quadrata. Dal
punto di vista architettonico si presenta sotto forma di un colonnato, trabeato (quindi con architrave fregio e
cornice), che all’interno presenta un arco. E’ un’invenzione formale che sarà ripresa in un numero enorme di
architetture romane, come il Colosseo, i circhi, etc. Vediamo sommati due mondi, il mondo del sistema
trilitico ed il mondo degli archi, legato alle porte urbiche. Abbiamo un’architettura costruita in tufo, color
marrone-giallastro, materiale della Repubblica e della tarda Repubblica, che doveva poi essere presentato in
maniera definitiva stuccato. Gli elementi più scultorei sono di travertino: fin dove è una costruzione che può
essere realizzata in tufo si cerca di risparmiare. E’ un sistema trilitico apparente, mentre la portanza è
assicurata dagli archi. E’ un linguaggio romano molto evidente, che sarà la facciata monumentale di molte
architetture costruite in opera cementizia. Se guardiamo dietro alle arcate troveremo delle volte a botte, una
volta che può essere costruita solo in opera cementizia, è un sistema che si lega stabilmente ad una volta a
botte ed usa l’opera cementizia nella parte retrostante. Osserviamo i rochi della colonna di tufo: sappiamo
che questa architettura è dorica perché guardando l’architrave questo si presenta con una serie di elementi
che sono un gocciolatio, qualche cose che sta sotto i triglifi, ora scomparsi.
 
Santuario della fortuna Primigenia, Palestrina [Prenestre] E’ il più imponente/importante
edificio della tarda repubblica. Un santuario di grandissime dimensioni, del II° secolo a.C. , addossato ad una
montagna di fronte al mare. E’ un edificio costruito a terrazze, con un tempio quasi del tutto perduto. Dalla
sommità del tempio si può vedere il mare, ed è un’architettura di forte ispirazione ellenistica: si presenta
sotto forma di terrazzamenti, con quei caratteri che erano nella città di Priene che tendeva ad unificare molto
gli spazi (?). Quello che si è conservato è l’esito di storie complesse, perché nel medioevo è diventato una
fortificazione inespugnabile, ed è poi diventato un palazzo signorile con un borgo sottostante che è stato
demolito per tirare fuori il santuario pre-esistente. C’è da osservare qualcosa di importante: nel II° secolo
a.C. c’è insieme l’uso di un’architettura monumentale greca e dell’opera cementizia. Abbiamo una rampa che
sale priva della copertura superiore. Questa rampa per essere costruita in questo modo è sicuramente una
volta a botte, ma è una volte a botte che segue il pendio, dimostrando una grande abilità nell’utilizzare
questa tecnica costruttiva. E’ una volta che sale e può avere una geometria più complessa. Abbiamo un
colonnato che abbiamo imparato a riconoscere come proprio alla civiltà ellenistica, che però si inflette e
curva. Abbiamo qui una forma che presuppone una tecnica edilizia interessante: una volta a botte che si
inflette e costituisce un’esedra semi-circolare. Questo colonnato non tanto dissimile dalle stoà greca, dentro
non ha la copertura tradizionale greca in legno, ma una copertura voltata, con possibilità ed elasticità
difficilmente attribuibili ad un’architettura in legno. Vediamo cosa n’è rimasto: abbiamo colonne ioniche in
blocchi di travertino (non posso essere eseguite in opera cementizia), scanalate, base attica, molto rovinate,
che si presentano con un architrave ed un fregio e coperte dietro con una volta a botte. L’interno della volta a
botte è decorato a cassettoni, si mima con i cassettoni il sistema di legno e marmo usato in Grecia. Il
cassettonato è ottenuto sempre attraverso la forma della cassaforma, con dei vuoti che servono anche ad
alleggerire la volta a botte stessa. Difficilmente le volte a botte romane si presentano con la loro geometria
semisferica. Qui abbiamo un opus incertum, con in alcuni elementi fondamentali, nei passaggi principali, dei
mattoni. Guardando il fronte: abbiamo un architrave, e sopra un paramento di circa un metro di muratura
continua, perché dobbiamo nascondere il sistema voltato. Quindi al di sopra dell’architrave non vi è il fregio e
la cornice, ma il mascheramento della volta retrostante. Il sistema fregio-cornice rappresenta una copertura
in legno, e qui non può essere utilizzato, e si opta per un terrazzamento al di sopra del colonnato. La parte
superiore si presenta in opus incertum ed avrà avuto un rivestimento che non conosciamo. Il tempio
superiore: nelle ricostruzione ha una scalea, ha un sistema di archi inquadrati fra colonne nella parte
superiore, ed una scala a base semi-circolare della quale si ricorderà l’architetto Bramante. Qui vediamo una
vecchia foto, prima della costruzione di tutta la valle antistante. Vediamo poi un’immagine del Palladio che
ha ripensato in altro modo la terminazione. Si presenta sotto forma di colonnati sistemati scenograficamente
lungo il pendio, fortemente ancorati a questa innovazione nelle tecniche edilizie, perché la colonna sì è un
sistema che viene dell’architettura greca, ma tutto quello che lo connette viene da questa nuova tecnica, che
lascerà all’architettura romana una grandissima libertà in pianta, cambiando nel mondo antico anche
l’organizzazione degli spazi, organizzandoli soprattutto come spazi semicircolari o arcuati.
 
Pompei E’ qualche cosa di ben conservato, che non è stata riabitata successivamente alla
grande eruzione del I° secolo d.C. , e quindi possiamo osservarla in un momento storico determinato. Roma
è invece una città con fondazione mitica del VII° secolo a.C. ed è ancora abitata (!). Siamo fra il II° secolo
a.C. ed il I° secolo d.C. e parliamo delle case romane: queste erano ovunque, e le meglio conservate sono
quelle di Pompei ed Ercolano, qui abbiamo un’evidenza che altrove manca. Torniamo ad osservare la forma
urbis di Roma: negli altri frammenti c’è un’organizzazione ripetuta più volte, dei lotti che prospettano in una
strada in alto. Vediamo che in un quartiere con usi anche complessi abbiamo anche case romane: un lotto
rettangolare allungato, un ingresso sistemato sulla strada che porta ad uno spazio centrale, qualche cosa
che porta ad uno spazio porticato fino al termine ultimo del lotto. Ogni casa romana ha una confermazione di
questo tipo, o quasi. Ad Ostia, il porto sul Tevere di Roma che essendosi interatto in epoche successive si è
conservato, avevamo raccolti i poveri, tutti i liberti, che abitavano piuttosto in case a più piani, in insulae.
Questo perché il grande sviluppo di Roma ha portato a tipologie più complesse, ad un moderno edificio ad
appartamenti. Qui vediamo la casa romana tradizionale, così come è descritta da Vitruvio (fra qualche
settimana avremo gli estratti su CD per poterli confrontare con il testo antico). Ricordiamo che Pompei ha un
termine, la città è sparita negli anni ’70 dopo Cristo, circa nel ’79 d.C. . La città è stata totalmente obliterata:
vediamo la pianta di Pompei prima degli scavi, realizzata da un agrimensore nel 1748. C’è qualcosa di
abbastanza evidente, ed il cerchio che vediamo nella distribuzione dei campi sono le mura che affiorano,
come l’anfiteatro. L’eruzione porta su materiale lavico, dopo che i gas hanno ucciso le persone. Il materiale
vulcanico è di due tipi: la lava vera e propria, che solidificandosi diventa simile alla roccia, mentre nelle zone
più lontana abbiamo i lapilli. Ercolano che era più vicina all’eruzione è stata seppellita da un magma lavico
che si è poi solidificato, mentre Pompei è stata sommersa da lapilli. La scoperta delle città avviene per caso:
ad Ercolano c’era una residenza nobiliare estiva, e scavando un pozzo si arriva nel mezzo del teatro di
Ercolano, potendo camminare nello spazio più importante del teatro, dal quale vengono sottratte le statue.
Questo traffico viene intercettato da un nobile tedesco, che prende le statue e le vende a Vienna. Tutto
questo viene poi scoperto dal re che si impossessa degli scavi. Parte così la moda (!), e si procede per
escavazione a Pompei, che oggi è quasi del tutto liberata, mentre ad Ercolano si fa molta fatica. I lapilli
bruciano, hanno calcinato tutto, mentre la lava è arrivata molto più lentamente, e quindi alcuni infissi di legno
sono più conservati ad Ercolano. Quindi mostreremo Pompei e per quando riguarda le parti lignee ci
riferiremo ad Ercolano. Gli infissi si sono conservati in due modi: questi che sono effettivi (salvo la tenda che
è un allestimento dell’800), dall’altra parte vediamo una porta, come quelle che possono vedersi anche in
Pompei, calando il gesso nei luoghi dove le porte sono scomparse calcinate. Sono infissi che non vediamo
quasi mai e che ci restituiscono gli scavi archeologici. Nel II° secolo Pompei è abitata da una popolazione
osca, ma che vive molto della cultura ellenistica greca. E’ una città all’interno, che appartiene ad una
popolazione diversa da quella greca, ma al momento la cultura più raffinata in Campania è quella greca, e
che deva la sua ricchezza al commercio del vino. La dimensione delle residenze è straordinarie, con un
lusso che non ha paragoni con Roma, dove avevamo molto per l’edilizia pubblica e poco per quella privata,
seppur senatoria. Il vino era commerciato sicuramente nelle coste dell’attuale Grecia e dell’attuale Francia,
perché sono state ritrovate delle anfore, con il bollo dei proprietari di Pompei, quindi questi erano
sicuramente grandi commerciati di vino, con una ricchezza personale straordinaria, altrimenti non si spiega il
perché di tutte queste ricchezze, causate da un rapporto di scambi molto inteso. Chi vende vino ha bisogno
di acquistare prodotti artistici, vasellame e maestranze, ed una serie di beni di lusso, come varie suppellettili
molto ben conservate, ed anche l’architettura ha molto a che fare con la cultura ellenistica. Possiamo vedere
il trapasso da una cultura ellenistica ad una romana, in quanto nel 79° a.C. Pompei diventa essenzialmente
una città romana, facendo parte della repubblica romana in senso lato. Se guardiamo l’organizzazione
dell’atrio, questo ha qualcosa di molto importante al centro. L’atrio è ricoperto da un tetto, che però lascia al
centro una parte scoperta, dove vi è un bacino di raccolta delle acque. E la cisterna è connessa ad un pozzo
che permette la raccolta delle acque. Solo quando la città diventa romana arriva l’acquedotto, e l’impluvio
diventerà piuttosto una fontana ornamentale, il senso viene trasferito altrove e diventa qualcosa di tipo
decorativo. Non sempre l’organizzazione è come in questo caso. Entriamo nel vestibolo, vediamo le parti
relative alle botteghe su strada, abbiamo le ali ed il tablinio organizzato in asse, e quando le case diventano
più ricche le travi vengono sostituite con qualcosa di più monumentale, con le falde dei tetti sostituite da
colonne. Quindi man mano che il tipo edilizio aumenta di dimensione si dovrà trovare una soluzione
architettonica per reggere la copertura dell’atrio, arrivando ad un atrio voltato che però non funge per la
raccolta delle acque.
Le mura di Pompei nell’89° a.C. sono state oggetto di assedio: in questa foto sono visibili i colpi di
ariete, quindi le mura sono state danneggiate dalla conquista da parte romana. Nel 62° d.C. c’è un terremoto
che precede l’eruzione, quindi la città è soggetta di crolli eccezionali ed abbandono parziale da parte degli
abitanti.
 
La casa romana La casa pompeiana obbedisce abbastanza alla lettera alla descrizione di
Vitruvio. Vi è un ingresso sulla strada chiamato vestibolo, poi un atrio che può essere di diversi tipi, e che
questo atrio era fiancheggiato da due ali, da una parte e dall’altra, due ali simmetriche. In corrispondenza
dell’altro vi è il tablinio, la sala più importante dove il padrone di casa riceve. Al di là di questo, attraverso i
fauces [o moderni corridoi], si arriva alla parte più importante della casa, con un περιςτιλιο [peristilio] ed un
triclinio estivo a scopo conviviale. Nella zona dell’ingresso abbiamo invece qualcosa che spesso non attiene
direttamente alla casa. In genere gli spazi affiancati all’ingresso, pur facendo parte del lotto ed essendo di
proprietà del padrone della casa stessa, possono essere utilizzati in botteghe, e molto spesso il padrone
affida ai propri liberti la possibilità di avere un’attività commerciale. L’attività commerciale dipende dalla
famiglia, ed è anche una residenza modestissima di sopra, una sorta di mezzalino dove alloggiano delle
famiglie che dipendono economicamente dal padrone della casa. E’ una casa che non ha un esterno, come
invece siamo oggi abituati, è qualche cosa che si presenta dal punto di vista monumentale essenzialmente
dalla porta, e che ha poi una parte più riservata all’interno. Il tablinio è comunque il luogo più rappresentativo
della casa. Possiamo vedere che l’atrio ha anche uno sfogo importante all’interno dell’economia della casa.
 
Casa del Fauno Si trova nella regione VI°. Ha una pianta di circa 3000 mq, molto
complessa, che ci racconta anche che ha una sua storia edilizia di accorpamenti differenti. La proprietà
come la vediamo è unica, ma fu unificata nel II° secolo a.C. . Abbiamo due ingressi e due vestiboli, due
volte. Abbiamo un primo περιςτιλιο [peristilio], ed un secondo ancora più grande. E’ una casa che si è
ampliata a spese di altre case. Nella fondazione secoli prima c’erano due abitazioni diverse, con due
abitazioni nell’altra fronte, anche qui inglobate. E’ una casa che viene utilizzata molto spesso per illustrare la
casa del II° secolo a.C., perché si è conservata la decorazione musiva, a mosaico, dei pavimenti. Si può
restituire la forma della casa in alzato a partire da quello che si trova. L’ingresso principale è quello
superiore, un atrio di tipo tradizionale, le due ali col tablinio, attraverso fauces si passa al primo περιςτιλιο
[peristilio] e poi al secondo. Abbiamo due piani e mezzo ai lati. L’ingresso caratterizza questa edilizia per
essere in opera quadrata, realizzata in tufo vulcanico e squadrato, con un’organizzazione di architettura che
parla un linguaggio greco, con due paraste e capitelli all’ingresso. In alcune di queste abitazioni, non nella
casa del fauno, questa attenzione all’opera quadrata presenta non solo paraste con semplici ordini
architettonici, ma anche capitelli figurati. Qualcosa che vedeva appaiati i proprietari al culto greco di Dioniso,
quindi qualcosa che non attiene alla tradizione osca, ma ad una cultura allargata nel mediterraneo.
L’ingresso che vediamo è della casa del Fauno. Vediamo questa parete, che si presenta con
un’organizzazione monumentale dell’ingresso, con paraste, stipite, e finestra sovrastante. Se guardiamo
l’interno, è piuttosto complicato abbiamo un’organizzazione con due colonne, con un saluto sul pavimento
“Ave”, quindi abbiamo una lingua parlata osca, una dipendenza molto forte dalla cultura greca, ma abbiamo
anche traccia della lingua dei romani. All’interno abbiamo un “larario”, un luogo dei culti dei lari, un qualche
cosa che ha a che fare con il culto dei defunti della stessa famiglia, con delle edicole, connesse alla
commemorazione degli stessi. Il vestibolo si divide in una parte più pubblica verso la strada, e una più
privata verso l’interno. Vediamo una rappresentazione di questa edicola, stiamo osservando l’alzato,
vediamo una falsa porta, è uno spazio dedicato al culto degli antenati. Abbiamo un ingresso molto ricco, dato
dalla lavorazione di questa pietra vulcanica, anche i capitelli che abbiamo visto era poi stuccati, un fronte in
opera quadrata e paraste. Questa casa non ha un esterno sotto forma di finestre, è una casa tutta verso
l’interno, verso l’atrio ed il περιςτιλιο [peristilio]. Abbiamo un impluvio che nasce in rapporto con le acque di
raccolta e diventa alla fine qualcosa di molto monumentale. Vediamo il fauno danzante (nome d’invenzione
dato alla statua). E’ una statua di piccole dimensioni in bronzo, ma che viene da un prototipo greco di
scultura di grande qualità che viene replicato in piccole per essere diffuso sotto forma di replica dai ricchi che
vogliono acculturarsi sui modelli ellenistici effettivi. C’è la diffusione di un prototipo di una statua molto
famosa, che questi produttori vinicoli acquistato per dimostrare di essere alla pari col mondo greco. Il tablinio
presenta uno spazio in diretto rapporto con l’atrio, ed in basso della paraste scanalate in rapporto con l’asse
principale. Abbiamo una decorazione in stucco che simula un’architettura in pietra con riferimenti diretti alla
rappresentazione di conci regolari. Immagine importante di cattiva qualità: la scena di una battaglia a
cavallo, con una figura in posizione preminente, nel mosaico del tablinio. E’ importante perché all’interno di
quella battaglia si riconosce Alessandro Magno, del IV° secolo a.C. , e si riconosce la rappresentazione di
una celebra battaglia combattuta negli anni 30 del IV° secolo a.C. , di cui oggi conosciamo il nome ma non
l’opera. Tutta la cultura storica rappresentativa greca è perduta. Avere una riproduzione di una pittura
famosissima, di un re macedone che rappresenta la cultura greca, è una cosa poco probabile all’interno di
una città come Pompei. E’ anche quindi una attenzione alla pittura ellenistica, attenzione ad avere le
riproduzioni delle opere più celebri di quattro secoli primi. Il commerciante osco che commercia vino, riesce
ad avere i capolavori dell’antichità, e se non quelli originali, le riproduzioni di questi. E’ inoltre molto raffinato,
quindi o sono venuti dei maestri greci, oppure è stato spostato e proviene comunque da un artigiano greco la
cui opera è stato venduta nelle colonie. Tutti questi peristili sono costituiti da colonnati, che finora
conoscevamo come colonnati d’uso civile, che diventano colonnati d’uso privati, dando uno spazio coperto a
quelli che sono giardini. Questi diventeranno via via monumentali quando arriva l’acqua corrente, con giochi
d’acqua e fontane.
 
Il centro cittadino La città osca è molto ricca, ed al contempo non ha, a differenza della Grecia
o di Roma, importanza politica, è una città di abitanti ricchi senza essere potente, non ha una politica sua
propria, e quindi ha delle caratteristiche straordinarie nel mondo antico. Se si confrontano le abitazioni con
quelle che abbiamo visto di Priene, si vedrà c’è uno scarto dimensionale notevole. La città di Priene è
organizzata come una città libera, ha un centro civico importante, una sala per l’assemblea dei cittadini,
attrezzature per il governo democratico. Pompei invece emerge come città del privato, la residenza del fauno
ha circa 3000 mq di spazio coperto, contro i 300 mq per cittadino di Priene. I greci investivano piuttosto nella
loro attività pubblica, e non ostentavano nella loro abitazione privata un lusso considerevole. Nel mondo
delle colonie greche esiste invece una cultura diversa, con grandi ville suburbane, grandi città agricole, che
usano un’architettura abbastanza ricca. Lo stesso può dirsi nel confronto fra la Grecia e Roma, la Roma
della Repubblica è un luogo dove fin dal principio si investe in una edilizia civile, vi sono donazioni
considerevoli degli abitanti per costruire spazi di uso pubblico, ed è considerato non accettabile che
qualcuno costruisca grandi spazi per sé stesso: esiste la consuetudine di rinunciare al lusso. In Pompei non
esiste un’attività politica, e quindi la ricchezza individuale, come si vede nello studio di Zampter, che produce
considerazioni di Pompei fino all’arrivo dei Romani. Dalle piante possono riconoscersi con certezza le case
di origine osco-sannita: sono i lotti della regione VI°, quindi esiste all’interno della città una forte differenza fra
le case precedenti all’arrivo dei romani e quelle successive. C’è un investimento architettonico modesto nelle
zone pubbliche come teatri e fori rispetto all’epoca. E’ una città in cui le case sono molto ricche, sappiamo
che la cultura ellenistica era una cultura ricercata attraverso il commercio. Se facciamo un confronto fra le
città che abbiamo finora visto, la άδορα [agorà] di Atene, Priene (città di nuova fondazione dell’Asia Minore
con abitazioni modeste), possiamo fare un confronto sull’eccesso di lusso nelle case pompeiane in confronto
alla scarsa attenzione rispetto agli spazi civili. La città Priene ha degli spazi di grandi dimensioni, sappiamo
anche ha un teatro ed una sala coperta che poteva contenere suppergiù 5000 persone. A Pompei vediamo
questa mancata spesa verso la città pubblica. Abbiamo finora guardato questi grandi lotti, c’è una via
d’accesso molto importante, la Porta Marina, che percorsa per un certo tratto porta ad uno spazio aperto
piuttosto grande che è il foro. Lo spazio principale della città prosegue, oltrepassa questa zona dove c’è
l’organizzazione civile e prosegue con la Via dell’abbondanza, per arrivare alla zona dei teatri e dei templi. Il
discorso è presto fatto: se questo è il foro abbiamo nel II° secolo a.C. vediamo un’organizzazione di edifici
civili, poi vi è un tempio piuttosto importante pre-esistente, di Apollo, ed è possibile che in alto ci sia stato un
tempio su podio. L’importante è l’organizzazione di uno spazio che è una basilica, tipologia abbastanza
importante nel mondo romano: una grande sala coperta utilizzata per i commerci, e per l’organizzazione
della giustizia: nel cosiddetto tribunal. Dall’altra parte vediamo l’organizzazione della parte connessa ai
teatri, tutt’ora esiste solo il numero 6, mentre il numero 7 arriva successivamente. E’ un teatro alla greca, con
caratteristica ellenistiche, ma che vi ricordo è un’organizzazione con una cavea semicircolare a partire da
un’orchestra che è circolare e non a ferro di cavallo come sarà successivamente. E’ una cavea in gran parte
scavata, che è a sua volta costruita su un terreno geologicamente fatto dalla eruzioni precedenti. E questo fa
sì che vi siano dei livelli diversi della città, e questa organizzazione è in parte scavata. Abbiamo poi
l’accostamento di elementi in legno fronte-scena poi monumentalizzati. Quando il teatro si romanizza, i due
passaggi che costituiscono l’organizzazione del teatro (per il pubblico e gli attori) fanno sì che la scena
diventi un elemento totalmente isolato dalla cavea.
Il numero 10 è un tempio, scoperto alla metà del ‘700, dedicato ad Iside, quindi ad una divinità
egiziana, quindi ha a che fare con una complicazione dell’Olimpo Greco. Si parla greco in tutto il
mediterraneo, siamo in rapporti molto stretti con un mondo che anche nella denominazione dell’Egitto parla
ormai greco. Nella foce del delta del Nilo abbiamo una colonia greca abbastanza importante, Nàukratis. Vi è
quindi una contaminazione fra le due divinità, si sviluppano culti che sommano per arrivare ad un sincretismo
di tipo religioso, caratteristica del periodo. Avevamo già visto questo nel IV° secolo a.C., Artemide si era
sovrapposta a Cibele. Abbiamo un mondo di Pompei che parla la lingua di Alessandro Magno, così come
abbiamo il culto di una divinità egiziana. E’ un culto complesso con riti notturni, che hanno una forma
complessa e diversa dal solito, è piuttosto importante non per l’architettura in sé, ma perché ci dice che nel
II° secolo a.C. , tutti questi mondi che man mano vengono occupati e militarmente conquistati portano con sé
una serie di culti precedenti. Anche nel tempio della Fortuna Palestrina abbiamo testimonianza dell’influenza
egiziana e del mediterraneo figurativa ed architettonica. A causa del Palazzo baronale successivamente
insediatosi rimane per lo più il pavimento che l’alzato della costruzione pre-esistente. C’è un gigantesco
mosaico con scene nilotiche, sono scene che rappresentano la vita sul fiume Nilo, perché si riconoscono
degli ippopotami, e viene da una serie di rappresentazioni dell’Egitto, con piante di quelle terre, ed animali
delle fauna africana. Quindi nella parte più importante di questo santuario si trovano rappresentazioni
dell’Egitto.
Nell’89 a.C. Pompei diventa una città romana. Viene conquistata militarmente, diventa una colonia,
ed ha l’obbligo di ospitare i veterani. Durante l’espansione di Roma, le città potevano o federarsi, oppure
cercare di contrastarla. Una volta combattuto il potere romano e persa la battaglia, sono stati confiscati molti
dei beni delle famiglie, come i terreni, che venivano regalati ai veterani dell’esercito, combattenti anziani, dal
governo della Repubblica, venivano regalati questi terreni. Quindi si stabiliscono all’interno della comunità
nuove genti che parlano latino, che costruiranno edifici diversi. La zona del teatro è obbligata in qualche
modo, anche in Priene non vi è una identità foro-teatro, perché il teatro ha bisogno di un declivio naturale.
Nel foro abbiamo un settore di edilizia civile, non monumentalizzato, e c’è un altro edificio costruito prima
della romanizzazione della città di Pompei.
Quali sono le novità date alla pianta una volta che questa diventa una città romana. L’organizzazione
militare romana è tale per cui riesce a controllare benissimo contro i nemici esterni, la stessa Roma per
molto tempo è riuscita a fare meno delle mura. La Roma della massima potenza militare è una città che non
ha bisogno di mura, perché ben controlla i lontanissimi confini. Le città murate sono città che si devono
difendere da un nemico, le città dell’Italia romana sono città che a partire dal I° secolo a.C. sono città che
non avranno più bisogno di mura. E’ una città che non ha più un interno ed un esterno, e la zona verso Porta
Marina vedrà la costruzione di nuove case, che svilupperanno un rapporto diretto con il panorama. E’ poi
una città vinta, dove sicuramente sono stati fatti degli espropri, ed in colore scuro vediamo i luoghi dove più
evidente è il nuovo impianto. Fu costruito un nuovo tempio per Venere, sostituendo un vecchio tempo osco,
che avrà due campagne di costruzione prima della sua distruzione. Esistono inoltre una serie di basamenti,
di statue onorarie, dedicate agli amministratori, che si facevano eleggere grazie a donazioni personali per
strutture cittadine. Pompei è una colonia dedicata a Venere, che vede la sua entrata in una zona importante
come quella di Porta Marina. Vediamo poi un tempio su podio dedicato alla triade capitolina, quindi con 3
celle. Compare qui un tempio sul podio con la cella tripartita, qui le 3 divinità caratteristica della tradizione
romana trovano posto.
Abbiamo visto la basilica pre-esistente, gli edifici pubblici che hanno variato la loro posizione
diventando allineati, e se poi guardiamo in alto l’organizzazione del tempio. Questo precedentemente era un
tempio di Giove ed ora diventa un tempio tripartito ospitante la triade capitolina. Dobbiamo pensare che oltre
ai lavori in corso fra il terremoto e l’eruzione, per il foro non si era ancora organizzata la ricostruzione di
questa zona. Nella zona del foro abbiamo quindi solo la base, perché era l’unica cosa che non poteva
essere riutilizzato da chi conservava memoria storica del luogo e torno qui a riutilizzare i resti delle
costruzioni. Il podio garantisce l’unidirezionalità del tempio romano, che costruito in mezzo allo spazio
pubblico vero e proprio è distinto con un cambio di livello, non ha un retro ed un pronao molto grande. Siamo
all’interno di una monumentalizzazione: vediamo un elemento che risolve un problema prima trascurato,
ovvero l’organizzazione sotto uno spazio unificato del foro, perché nella città osca quel lato aveva taverne e
negozi, ed ora si sostituiscono alle disordinate case private degli edifici importanti, tutti pubblici. Abbiamo un
macellum, interpretato sotto forma di mercato, ed altri edifici dedicati al culto imperiale: a partire dal 31° a.C.
cessa l’organizzazione sotto forma di Repubblica, con Ottaviano che nel 31° vince la battaglia di Anzio, ed
inizia la Roma Imperiale. Una volta che Augusto assume la figura di Imperatore si divinizza, rifacendosi ai
culti orientali ed ellenistici. Vediamo che l’organizzazione del potere in tutto l’impero ed il suo consolidamento
è anche ottenuto attraverso la sua costituzione sotto forma di potere che viene dalla divinità. La famiglia di
Augusto si rifà ad un origine mitica, come cercò di fare Cesare, si costituiscono famiglie imperiali collegate a
diverse divinità, su tutte Venere. La religione romana cambia fortemente a cavallo della nascita di Cristo, i
cui primi adepti non riconoscendo un potere con due facce, terreno e celeste, entrano in conflitto col potere
divinizzato, per poi rifarsi nei seguenti due millenni. Si iniziano ad avere città imperiali, dotate di aule
dedicate al culto imperiale. Si costruisce un portico che maschera la differenza delle altezza dei diversi
edifici, la varietà degli edifici pre-esistenti: è un colonnato di pietra, una tecnica edilizia più ricca di quella
della basilica, che era organizza in laterizi opportunamente sagomati.
Abbiamo visto il superamento della città murata: questo avviene perché non ha più senso difendersi
da un nemico, quindi in tutta questa zona le mura sono scavalcate e distrutte, in particolare per collocare le
case dei veterani. Anche nei lotti urbani all’interno della città cambia l’organizzazione: ci sono tipologie che
beneficiano di questa ricchezza idrica, e si inizia a portare la cultura della villa all’interno della città.
 
La basilica di Pompei C’è un tipo edilizio nuovo, la basilica, nella quali i fori hanno un loro
centro di importanza. La basilica è qualche cosa che ha insieme la funzione di spazio coperto per aste,
mercati, vendite e per l’amministrazione della giustizia. E’ uno spazio coperto polifunzionale che procede la
specializzazione degli edifici. Vitruvio specifica che cos’è una basilica nel V° Libro: l’unica sua opera di
architetto fu infatti la basilica di Fano, della quale purtroppo non abbiamo testimonianze. Il centro di Pompei
si situava lì dove si era più vicini al mare. Il foro ha la forma di rettangolo allungato, rapporto che vedremo
anche all’interno dei fori monumentali di Roma, quindi questa forma è qualche cosa di costante all’interno
delle piazze romane. La basilica ha un ingresso vero il Foro. La basilica è anch’essa un rettangolo allungato,
con più o meno la proporzione dei due quadrati, con un ingresso e portico antistante, e si entra poi in una
struttura a tre navate. Possiamo schematizzare la pianta: ingresso monumentale dalla piazza, uno spazio
antistante, e la basilica vera e propria a 3 navate, che gira all’ingresso. Ad ogni colonna sulla parete
corrisponde una semicolonna. Se osserviamo la parte terminale vediamo una variazione della pianta:
abbiamo delle forme più piccole di colonne, 4 colonne libere, più alcune teste di pilastro con
rappresentazione di colonna, dove per arrivare alla copertura dello spazio coperto non si potrà che utilizzare
due ordini. Questo elemento in posizione principale, in asse con l’ingresso, è il tribunal, una loggia all’interno
della basilica da dove si amministra la giustizia, una struttura che affaccia su questo spazio coperto che può
avere forme diverse, come quella di una loggia a più piani, e con rampe laterali si arriva allo spazio
superiore. Secondo la descrizione più semplice una basilica si configura come (non quella di Pompei, ma
una basilica UNI9001 standard) abbiamo le 3 navate, un’area porticata da una parte ed un’area porticata
dall’altra, uno spazio centrale, una parte terrazzata da entrambe le parti, ed una possibilità d’affaccio da
entrambe le parti parzialmente impedita da balaustre di marmo. Le navate laterali possono essere a uno o
due piani, ed il problema fondamentale di questo tipo di spazi è garantire l’illuminazione al corpo centrale.
Questo spazio centrale com’è coperto? Dove vediamo colonne bisogna pensare ad una copertura lignea,
non si può avere una volta ad opera cementizia che ha spinte laterali troppo forti. Bisogna pensare sempre,
ogni volta che vediamo il colonnato, ad una copertura come quella della stoà. Tutte le volte che abbiamo 3
navate abbiamo il problema di dare illuminazione alla parte centrale, quindi ci sarà bisogno di aperture in
alto. La basilica è uno spazio coperto, con una parte costituente che è il tribunale, e che la basilica è un tipo
edilizio molto importante per la città romana e che avrà una sua importante evoluzione con l’opera
cementizia. Vediamo una sezione praticata guardando il tribunal, sezionando dov’è l’arcata principale. Prima
di tutto osserviamo la parte più alta, lo spazio medio, la parte principale. Riconosciamo le colonne laterali,
abbastanza alte, sezionate dalle fondazioni. Le altre due colonne senza fondazione sono quelle che rigirano
intorno al tribunal. Guardiamo il muro che corrisponde alla via marina. E’ un muro chiuso che arriva fino a
metà dell’altezza e prosegue con un ordine più piccolo, una colonna più piccola che arriva un po’ più in alto.
La parete è decorata con due semicolonne, separate dal solaio: c’è un colonnato libero e fra colonna e
colonna passa la luce. C’è una navata principale alta sorretta da colonne, abbiamo delle murature fino ad
una certa altezza. Poi abbiamo una travatura che copre il tutto. Abbiamo un ordine composito, un corinzio
con volute ioniche, ed abbiamo qui un ordine ionico con al disopra un ordine ionico. Cosa c’è in fondo: il
tribunal presenta un’altra sovrapposizione di ordine, un ordine corinzio a cui è sovrapposto un ordine minore
sopra. Il tribunal si distanzia da quell’organizzazione dell’interno della basilica, attraverso la reiterazione del
corinzio. Le pareti si presentano apparentemente in opera quadrata, una stuccatura che rievoca
l’organizzazione della parte più bassa del tempio. La materia della costruzione è molto più povera: per le
mura si tratta di tufo vulcanico, e mattoni per le colonne, che saranno stuccate di bianco per fare un edificio
simile ad uno in marmo. Vediamo una serie di laterizi disposti come un fiore, delle forme speciali che hanno
al loro interno anche delle scanalature. Invece di rochi di colonne abbiamo dei mattoni che disponendosi
l’uno sopra l’altro formano la stessa: è una capacità di lavorazione molto più complessa, si sostituisce alla
capacità di lavorazione del marmo quella di lavorare materiali più poveri e più trasportabili. Vediamo poi la
colonna, in parte con lo stucco originale ed al di sopra dov’è rovinato appare in laterizio. Notiamo poi la base
attica. Nell’assetto attuale del tribunal, che è quello posteriore ai lavori di restauro il colonnato antistante si
blocca molto in basso, mentre l’interramento ha protetto maggiormente il tribunal. Vediamo in più una
restituzione standard delle pareti interne alla basilica, con due semicolonne ioniche. Il tribunal ha una loggia
sovrastante,che affaccia nello spazio più ampio della basilica stessa, chiusa con delle barriere. Sono sempre
edifici con copertura lignea e con profusione di stucco bianco.
 
Odéion o Teatro coperto Questo teatro coperto viene datato dopo la romanizzazione della
città, dove si potevano riunire fino 3500 persone sedute, ovvero i nuovi abitanti e padroni della città. Non è
un teatro propriamente detto, ma uno spazio di incontro su pianta quadrata per i veterani. E’ una sala con i
posti disposti su gradinata, e con una copertura che non può che essere lignea, qualche cosa di quello simile
a quei modelli perché del tutto perduti nelle coperture superiori lignee.
 
Terme Stabiane-Terme del Foro Ricordiamo sempre che sono denominazioni di comodo.
Sono tradizionalmente legate all’architettura romana, hanno uno spettacolare sviluppo soprattutto nella
regione campana rispetto al resto d’Italia, perché qui esistono molte terme naturali di origine vulcanica.
 
Anfiteatro Abbiamo poi il primo anfiteatro conosciuto, una sorta di cavea raddoppiata, un
doppio teatro, che al tempio veniva chiamato spectacula. Questo ospitava manifestazioni molto diverse dal
teatro, e non sappiamo che rappresentazioni vi fossero inscenate. Nel teatro si pensava che vi fossero
spettacoli in lingua osca o in greco, delle grandi opere del tempo. Il teatro tiene circa ventimila persone, un
numero molto maggiore rispetto agli abitanti di Pompei, è quindi una struttura che funziona per un bacino
molto più ampio di quello cittadino. E’ il primo anfiteatro che si è conservato e che può essere osservato da
vicino: è un’invenzione tipicamente romana, che acquista solo dopo un nome greco. Per costruirlo, siamo a
Pompei nel I° a.C., non abbiamo un edificio auto-portante, è stato utilizzato un terrapieno che già esisteva,
l’ovale principale è stato ottenuto scavando, è una struttura diversa dal teatro perché implica anche un
diverso accesso degli spettatori. Non esistevano gallerie di distribuzione o passaggi coperti nel teatro. Si
organizza qualche cosa che in parte ha degli accessi dall’esterno, ed in parte ha qualcosa in galleria.
Abbiamo un’ipotesi di mezzo, una costruzione che ha ancora bisogno di scavare per essere realizzata.
Lungo l’asse dell’ovato si vedono degli ingressi per l’arena, passando al di sotto della scalinata. Dal punto di
vista tecnico ci sono passaggi in galleria, che sono ottenuti da volte a botte in opera cementizia. Il fronte ha
una faccia urbana, legata per lo più all’immagine del teatro di Dioniso. Il prospetto dell’anfiteatro è ottenuto
allo stesso modo del tabularium. E’ una sorta di prototipo, ancora organizzato sotto forma di scavo.
All’esterno si presenta sotto forma di archi, con una galleria per arco, che sostengono la cavea sovrastante.
Assistiamo qui ad una sorta di prototipo. Anche nel teatro abbiamo un’aggiunta, un ingrandimento realizzato
attraverso una galleria anulare di distribuzione, che sorregge un ingrandimento del teatro, anche questo è
alla base di quello che sarà il grande teatro monumentale romano. Ora nel teatro romano la cavea e la
scena diventano elementi uniti.
 
L’acqua corrente La casa romana tipica ha l’impluvium con al di sotto una cisterna che viene
ripescata con un pozzo. Grazie all’acquedotto l’ impluvium non ha più quella funzione, ma lì dove dovrebbe
essere raccolta l’acqua sta una statua monumentale. L’elemento più importante della romanizzazione è
l’arrivo delle opere pubbliche, fra le quali l’acquedotto. La capacità di questi ultimi di trasportare l’acqua
anche a grande distanze, è garantita attraverso condotte d’acqua sopra una reiterazione d’arcate,
descriventi un piano inclinato continuo, o sfruttando il principio dei vasi comunicanti. Abbiamo uno schema
con tutte le possibili situazioni: l’acquedotto di Pompei è connesso da una diramazione di un acquedotto per
uso militare. Dov’è una valle il percorso corre attraverso l’erezione di arcate, come il Pont du Gard. La arcate
sono disposte sotto con conci a cuneo di pietra, e costruite con lavoro schiavistico. L’acqua arriva con la città
romana. Vediamo la pianta con la distribuzione dell’acqua, con molte fontane pubbliche che si sono
conservate e di cui possiamo vedere la distribuzione dell’acqua. Abbiamo un castello dell’acqua, un deposito
idrico, dal quale viene distribuita pubblicamente ed all’interno delle domus. L’acqua sarà una delle glorie di
Roma, come anche lo spreco d’acqua delle varie ville e giardini. Una foto presa sulla via dell’abbondanza,
che è quella via in asse con Porta Marina, dove abbiamo una delle fontane. All’interno della vasca c’è un
elemento romano dell’architettura romana: l’impermeabilizzazione. Attraverso l’uso del concio pesto, una
malta che si ottiene mischiando la calce a polvere di mattone, otteniamo una malta con capacità di tenuta
idraulica, che riveste l’interno delle vasche e delle piscine,certamente una grande novità che sta alla base di
molte costruzioni, anche imponenti, perché i romani riescono ad impermeabilizzare anche grandi superfici.
Questa è una città che presenta strade lastricate, e dove fra il marciapiede ed il piano stradale c’è qualcosa
che raccoglie le acque bianche, piovane, quindi una città dotata di fogne. Ieri abbiamo visto a lezione la
cloaca massima, che ora ha una datazione del I° secolo a.C. . Sempre connesso al tema abbiamo le latrine
di Ostia Antica. Funzionano sotto forma di latrine solo per uomini, in quanto le donne fanno una vita molto
più ritirata nelle abitazioni. La latrina romana è un’attività collettiva, che si presenta con altrettante sedute,
tutte insieme si presentano come uno spazio pubblico che gli uomini possono utilizzare per i loro bisogni. A
ciascuna seduta corrisponde un canale di scarico che prevede acqua corrente continua. Difficilmente si era
visto nel mondo antico qualcosa di simile, capace di assicurare una tale salubrità alle costruzioni.
 
ROMA E’ sopravvissuta la sede storica del Senato, la Curia. Ora si può utilizzare la piana
compresa fra le due alture, il Palatino ed il Campidoglio, i colli che vennero fortificati e difesi agli albori di
Roma. Nel foro vediamo poi diverse basiliche, delle strutture (una struttura temporanea in legno tratteggiata,
precursore dell’anfiteatro), riconosciamo la forma specifica dell’anfiteatro, le basiliche come ne abbiamo visto
in Pompei, e riconosciamo la Curia che si è conservata perché trasformata in chiesa. Ci sono altre strutture
che si sono sovrapposte durante il periodo della repubblica, come avviene nel foro di Pompei: lo spazio è
sempre quello e si costruisce per migliorarlo. A Roma invece questo foro viene ampliato, non tanto
ricostruendo gli edifici, ma demolendo parti di città attigue, presumibilmente occupate da edilizia comune ed
aumentando lo spazio pubblico: sono quelli che vengono chiamati i fori imperiali. Ciascuno porta il nome di
un imperatore, fino ad arrivare ad un’area molto più grande, circa 6-8 volte lo spazio del foro repubblicano.
Giulio Cesare, pur non riuscendo a diventare imperatore, è stato il primo ad ampliare i fori. Nei suoi
atti, nella metà del I° secolo a.C. , aveva già avviato una serie di atti tipici della politica imperiale: una politica
urbana dove c’è un dono personale, si acquistano una serie di terreni attigui e si dona un nuovo foro alla
città. Fa un’operazione molto simile a quella che avevano fatto in piccolo alcuni cittadini di Pompei per farsi
eleggere, ma qui la dimensione è assolutamente maggiore. Giulio Cesare è stato anche responsabile
dell’ultima ricostruzione della Curia, una delle tante ricostruzioni, che oggi è un edificio pressoché finito
perché ricostruito dagli archeologi nel corso del ‘900, ripristinando l’originale e demolendo la chiesa barocca
che vi era sorta. Quando andremo a vedere questo edificio, che qui si presenta interrato, ed andremo ad
osservare la cornice romana, dove è conservata in parte lo stucco originario, ed è costruito in opera
quadrata fittizia, con in mattoni, opus cementicim. La sede del senato venne costruita da Tullio Ostilio, e
l’ultima ricostruzione è del 50 a.C. . A partire dalla curia, che ha l’ingresso verso il foro romano, Giulio
Cesare regala un nuovo foro. La curia aveva un ingresso storico verso il foro repubblicano, e diventa la
base, l’asse e l’ortogonale per il nuovo ampliamento della città. E’ qualche cosa di nuovo, una parte di città
che viene regalata ai cittadini, che si presenta con degli elementi caratteristici. Sono degli spazi chiusi
contornati da muri, uno spazio d’ordine e pubblico con degli ingressi, con un porticato che dà verso l’interno,
con un centro molto importante che è il tempio, dedicato a Venere Genitrice. Genitrice della Gens Iulia, della
famiglia di Cesare. Qui già vediamo una pratica dei successivi imperatori, di costituire una genealogia mitica,
legata a divinità dell’Olimpo. Non sono gli avi storici ad essere divinizzati, ma piuttosto lo stesso imperatore:
dichiarandosi erede di Venere si diventa semi-dei, qualcuno che ha fatto la sua carriera all’interno
dell’esercito annette la sua persona all’Olimpo pagano. Anche tutti gli altri hanno costituito la loro forma di
potere a partire da questa divinizzazione della famiglia.
Lo spazio: la struttura è piuttosto deludente dal punto di vista archeologico, in quanto quasi del tutto
sepolta dalle costruzioni successive, però si può ricostruire l’insieme. Abbiamo uno spazio rettangolare
allungato, ed un tempio che è la parte terminale. Una delle novità dell’architettura religiosa romana: i templi
non si configurano come edifici che possono essere osservati da tutti i lati, ma hanno un fronte importante e
spesso un retro che può anche non esistere: è qualche cosa che si configura prospetticamente e che porterà
delle variazioni di pianta. E’ un doppio colonnato, restituito con un ordine corinzio, in questa epoca
spariscono tutte le tematiche dell’architettura greca dorica ed ionica, viene scelto piuttosto il linguaggio
costruito su una variante delle ionico, il corinzio, con colonne finemente decorate e slanciate, e con un
capitello molto alto (fino ad un diametro e mezzo del diametro). Ha quella decorazione caratteristica delle
foglie d’acanto, acanto spinoso come quello scelto da Callimaco. Il portico ha un doppio colonnato, con
nessuna delle raffinatezze ed attenzioni che abbiamo visto nelle stoà greche: fronte dorico, colonnato ionico,
ed una alternanza di spazi. C’è un organizzazione molto più semplice, con travi lignee, c’è un organizzazione
antistante identica per le due file: sono colonne molto ricche che fanno fuori tutta la tematica progettuale
dell’architettura greca, utilizzando forme e materiali, ma semplificando moltissimo, è tutto allineamenti
orizzontali, provenendo la trabeazione corinzia da quella ionica. Diventa un linguaggio comune senza che si
producano più opere teoriche (tutte perdute), che parlavano e discutevano dell’utilizzo del dorico e dello
ionico, e si procede con la reiterazioni degli elementi. Rimane un intercolunnio molto largo, connesso ad
architravi lignei, che ricorda la necessità di avere meno ingombri possibili là dove si entra e si esce da questi
spazi pubblici.
E’ di grande interesse il tempio, di cui ci è rimasto un miserabile muro, poco o niente. Ha delle
caratteristiche molto romane: non ha un colonnato all’interno, ma piuttosto un’organizzazione frontale, ci si
può salire solo davanti. Nel caso di Cesare è ancora più complicato, vi sono due podi. Dallo spazio della
piazza a destra si arriva centralmente al primo podio. C’è un sistema di podio doppio, un ulteriore
allontanamento dal foro, ed il tempio si colloca quindi su un piano molto più alto. Questo spazio serviva
anche al ricevimento di Cesare, lo spazio antistante alla cella del tempio, per mostrarsi ai cittadini, con una
confusione abbastanza evidente fra la divinità e l’imperatore, per offrire la presentazione di sé stesso come
un monarca divinizzato. Questo spazio, il pronao, ha uno spazio doppio, tradizione del tempio romano e di
quelli successivi. I templi greci avevano un pronao molto complesso, mentre nei templi etruschi c’era la
tradizione di osservare il volo degli uccelli. A questo punto si conosce molto bene tutto il mondo ellenistico e
greco, e si sceglie però di conformarsi ad una tradizione etrusca, con uno spazio molto ampio. Se guardiamo
l’intercolunnio, con una restituzione con ordine ionico, è un intercolunnio molto molto ristretto, che sta su 1 e
½, lontano dal 9 su 4 del Partenone. Perché? Perché sono colonne molto più slanciate, che si configurano
molto più alte, e vengono a costituirsi molto più vicine fra loro. Altra caratteristica, è che le falde della
copertura sono più pronunciate di quelle dei templi greci, costruiti dove le piogge sono minori, il timpano
dell’architettura romana ha quindi degli angoli alla base maggiori. La parte terminale vede un colonnato che
gira e che termina con una sorta di pilastro rettangolare, conformato all’ordine della colonna. Il tempio è
tagliato da un muro che ha che fare con la terminazione del foro stesso. Anche questa è una novità rispetto
al capitello d’anta dell’architettura greca: i romani semplificano questo elemento, per cui tutto ciò che è del
sistema trilitico avrà lo stesso linguaggio architettonico del muro, avrà una struttura molto simile. Altro
elemento è questa estensione, è una cella rivestita di paraste: una rappresentazione sul muro in
corrispondenza di ciascuna colonna, con un capitello a parete. Non c’è più quella differenza fortissima che il
progettista greco instaurava fra muri e colonne, si organizza la parete in rapporto alla proiezione di queste
colonne sul muro. In corrispondenza di ciascuna colonna questo muro viene avanti, con una
rappresentazione della colonna disegnata sul muro, connessa ad un capitello ed una trabeazione
sovrastante, con degli elementi architettonici proiettati. Quindi anche quello che era nato come elemento
trilitico, colonna più architrave, diventa un linguaggio che decora anche la parete, non più com’era nel
Partenone. Qui non è data alcuna attenzione alla lavorazione della pietra, quanto piuttosto a questo
linguaggio. C’è da notare l’abside, che prima di diventare elemento riconoscibile delle chiese cristiane, è
stato un elemento di invenzione del tempio romano, una terminazione che implica due caratteristiche:
implica tecnicamente un catino absidale, che si raccorda ad un quarto di sfera, che non può essere
realizzato in altro modo che in opera cementizia.
Abbiamo quindi la forma del tempio tradizionale greco, connesso alla tradizione italica, con una
nuova tecnica edilizia, che però in epoca augustea non viene presentata ma bensì nascosta. C’è da notare
che il tempio in sé rimane indiscusso e la nuova tecnica viene confinata in uno spazio dove non può essere
osservata, perché incassata all’interno di un muro, in un retro non pubblico. C’è una nuova forma spaziale
all’interno, che però non ha il coraggio di conformare in altro modo il tempio. C’è un rapporto molto forte con
la cultura greca, di dipendenza dalle lavorazioni, e si può dire che il tempio anche con le varianti tuscaniche,
non viene variato e re-inventato in altro modo, ha una sua inerzia a riprodursi sempre uguale, e dove ci
sono delle varianti queste vengono nascoste. Questo più avanti varrà sempre, nascondendo all’interno
queste possibilità date dalle nuove geometrie, nuovi spazi coperti dati da queste tecniche.
Un tempio visto da sotto, con una restituzione in corinzio: vediamo il discorso di organizzazione della
parete della cella, con un abside che si nasconde sia di lato che sopra con delle falde: da nessuna parte si
può osservare la costruzione dell’esedra terminale, dove è collocata la statua di Venere. Del tempio è
rimasto poco o nulla, quindi vediamo restituzioni con 6 o 8 colonne a seconda degli studi di riferimento.
Foro di Augusto Questi fori imperiali, ampliano notevolmente il foro repubblicano.
Cesare regala questo primo spazio pubblico, ortogonale alla curia opera dello stesso Cesare, una prima
piazza ed un primo foro. Successivamente abbiamo un secondo foro orientato diversamente, il foro di
Augusto, che si configura sotto forma di replica ingigantita di qualche cosa che abbiamo già visto: la
dimensione diventa più grande, come accadrà per il foro di Traiano. Il sistema dei fori diventa qualcosa di
gigantesco, compreso fra il Colosseo, il Quirinale ed il Palatino, un’area piana straordinariamente grande.
Qui vediamo un limite, un limite di divisione netto fra la città pubblica con i vari fori, e quartiere tradizionale,
poverissimo, la suburra, composto principalmente da insulae, che avrebbero potuto prendere facilmente
fuoco. Quindi per proteggere questa grande opera si erige un muro terminale molto alto, un muro in pietra,
che separa la città ufficiale dai quartieri più poveri, per evitare gli incendi e anche per separare da tutta la
confusione dei vicoli l’area della celebrazione. Celebrazione della divinizzazione di Augusto. Abbiamo il
tempio dedicato a Marte Ultore , è un tempio che consente l’identificazione dell’imperatore come una
persona che governa con degli attributi divinizzati. Quando Augusto muore, i riti che seguono a cadenza
regolare intorno a questo tempio, consacrano la memoria di Augusto come fondatore dell’impero e padre
dell’identità romana di questo tempio. Vi sono molto aree all’interno dei vari fori cittadini che si configurano
per rappresentazioni di Augusto o della moglie. Osserviamo come funziona: lo spazio è sempre un
rettangolo allungato, questi portici sono complicati da due grandi esedre, con un tempio molto più grande di
quello già visto. Possiamo riconoscere delle caratteristiche: un grande spazio antistante, caratteristica del
tempio romano, una struttura con all’interno un abside che anche questa volta è nascosta.
Sottostante alla strada attuale è possibile pensare che vi fosse un ingresso in asse. E’ un tempio ad
8 colonne, su un podio, ed all’interno della scalinata c’è uno spazio dedicato all’ara dei sacrifici, sistemata
all’interno della gradinata stessa in questa posizione. La snellezza delle colonne è del tutto diversa da quella
del Partenone, abbiamo sempre la distanza di 1 e ½, per evitare che queste colonne slanciatissime si trovino
distanti fra loro alla sommità, quasi che fossero una colonna ed uno spazio vuoto di pari dimensione. Questa
è la tipica distanza fra colonna e colonna, ma con alcune correzioni ottiche: la distanza fra colonne a colonna
all’ingresso è modificata, la distanza all’estremità non ha gli obblighi del dorico, manca totalmente
l’attenzione alla curvatura dello stilobate e della trabeazione. Il sistema del podio riorganizza in altro modo le
leggi dell’ottica, quindi non c’era necessità di modificare lo stilobate sopra il podio. Abbiamo poi degli
spioventi molto accentuati, delle falde di tetto molto più ripide, a causa delle maggiori precipitazioni.
Guardiamo da vicino il muro: ne è rimasta gran parte. E’ un muro terminale, siamo all’interno del
recinto del tempio, e possiamo osservare il muro. Presenta tante tracce di opere successive, dobbiamo
immaginare che alla caduta dell’impero gli usi sono stati di tutti i tipi, si sa che dal ’500 in poi il tutto è stato
inglobato in un convento che è stato demolito alla fine dell’800 per tirare fuori le rovine. Usiamo la pietra di
Gabi, simile al tufo, in blocchi regolari, insieme a degli allineamenti orizzontali con travertino, quindi abbiamo
due pietre diverse che connotano questo grande muro terminale. Guardando questo muro con attenzione
vedremo che non è stagno, ma ha due porte, che possono essere aperte o chiuse, che possono garantire
l’accesso al foro, e che sono costituite con delle arcate e dei conci in sistema radiale. I conci di chiave
terminato con una allineamento orizzontale che permettono di montare su i successivi tenendo lo stesso
allineamento. Abbiamo un muro di conci di pietra, molto alto nella sua configurazione iniziale, quindi
qualcosa che è anche più alto del tempio stesso.
Immagine del ‘500: abbiamo la porta, 3 colonne oggi perse e qualcosa del frontespizio.
Oggigiorno: osserviamo la scalinata che si è conservata, il sito dell’ara, abbiamo perso il fianco del
foro, abbiamo parzialmente restituite la prima colonna. Abbiamo la scalinata, la restituzione parzialmente
archeologica delle 8 colonne. Sicuramente è del tutto originario un piccolo pezzo del muro di fianco, che
osserveremo durante la visita. Guardando questo muro e ricordando la pianta del tempio, anche in questo
punto esiste una terminazione absidata che non è visibile da nessuna parte. Il tempio si può osservare solo
frontalmente o lateralmente, non si presenta però mai un tempio che non sia formato da elementi trilitici.
La pianta del tempio: in nero quello che si è conservato, puntinato ciò che è presunto. La pianta è
piuttosto complessa, le 8 colonne hanno un ritmo molto ravvicinato, un colonnato di fianco e un colonnato di
lato, un grande pronao, e l’organizzazione di questa abside del tutto nascosta lì dove piega il muro della
suburra per ragioni topografica.
Sezione del Palladio osservando il taglio di un fronte laterale, con la sezione della copertura.
Ricordiamo che all’epoca il Palladio ha potuto vedere molto di più di noi.
Sezione longitudinale: rappresentazione delle colonne e rappresentazione del tutto ipotetica
dell’interno del tempio.
Osserviamo un capitello di parasta: è un capitello figurato, che parte dalle forme del capitello
corinzio, ma al posto delle volute ha dei pegasi. Questi ultimi sono elementi molto decorativi che potevano
essere all’interno della cella, della quale non rimane pressoché nulla, che ci fanno pensare che l’interno era
decorato con un doppio ordine. Abbiamo una base attica con astragalo.
Riflettiamo sul fatto che di questo tempio si è conservata questa parte, una serie di 3 colonne a
partire da una parasta sistemata in rapporto al muro. Abbiamo una parasta non scanalata con capitello, e
poi le 3 colonne conservate. Vediamo poi l’architrave tripartito che ha perduto il fregio e la cornice. E’
un’organizzazione che prevede scanalature continue, ed una base attica più raffinata. Quindi esattamente
come abbiamo già visto nel tempio di Atena Nike, con la stessa base della parasta all’intera cella, in questo
caso la stessa base della colonna e specchiata sul muro. Altra citazione dell’architettura greca, la prima
parte della cella si presenta liscia come vi fossero degli ortostati, poi vi è una fascia con un fregio ad onda
molto importante nella cultura del rinascimento italiano (perché di un’epoca augustea che viene molto
considerata) da Palladio ed altri, segno che questo edificio è stato osservato con grande attenzione.
Vediamo ben conservato un paramento, che rappresenta un’opera quadrata, un paramento in marmo di
Carrara, con lastre bloccate da un ancoraggio in ferro che mimano l’opera quadrata. A questo proposito di
dice che Augusto abbia ricevuto una città in mattoni e l’abbia restituita in marmo, tante furono le sue opere.
Fra il muro della cella ed il colonnato è conservata la copertura originale, quindi abbiamo la possibilità di
osservare non solo le 3 colonne e la parasta, ma anche cosa succede lì sotto, per farci capire com’è
organizzato il soffitto di quella parte di edificio.
Qui Palladio rappresenta lo spigolo del tempio, visto da sotto in su il soffitto di questa parte del
tempio, e nell’altra sezione possiamo vedere il soffitto cassettonato, ed all’interno l’architrave ha lo stesso
disegno e funziona con delle lastre di marmo dove ciascun elemento è costituito in modo complesso, e fra
trave e trave c’è un cassettone. Il colonnato esterno si presenta con un architrave, e sopra di questo in
corrispondenza della colonna vi sono delle travi di marmo, senza decorazione. Il cassettone scavato
all’interno riporta quella cassettonatura tipica dell’architettura dei propilei, qualche cosa che viene dalla
tradizione greca.
Torniamo ad un’immagine generale, che mostra l’organizzazione del foro. E’ molto più complesso e
monumentale di quello di Cesare. C’è una complicazione maggiore nell’organizzazione del fronte del
porticato laterale, e degli spazi semi-circolari, che sono sicuramente grandi esedre, con mura in opera
cementizia e rivestimento di diverso tipo, che viene configurato in copertura solo ipotizzandola, perché non
sappiamo assolutamente nulla rispetto al rapporto fra colonnato ed esedra. Chi cammina qui all’interno ha
difronte un mondo ricchissimo di marmi di un’architettura trabeata, che nasconde un’opera cementizia. Non
è un’architettura che ha un esterno, ci vorrà molto tempo perché i romani abbiano certezza delle loro
produzioni tecniche e le propongano all’esterno.
Noi abbiamo un’esperienza visiva connessa a queste grandi superfici incurvate, perché osserviamo
delle rovine, mentre i romani avevano l’impressione di una città di marmo.
Il colonnato è molto più largo di quello organizzato da Cesare, e dobbiamo pensare ad una copertura
a due falde, che qui si presenta sotto forma di doppio ordine.
Restituzione: abbiamo un colonnato continuo con un ordine composito, con una sua trabeazione ed
al disopra quello che sembrava un secondo ordine è un attico. Un attico è qualche cosa che non è secondo
ordine, ma viene dalla tradizione degli archi trionfali. Un arco trionfale è un fornice, qualche cosa con una
trabeazione, un ordine architettonico che ospita al disopra la grande iscrizione dedicatoria. Proprio la parte
superiore dedicata all’iscrizione, è qualche cosa che non si può costituire come secondo ordine, perché non
ci sono queste proporzioni. Quindi in genere in questa seconda parte ci sono della pareste prive di capitelli,
c’è un’organizzazione decorativa priva di ordine riconosciuto, non ci sono le proporzioni dell’ordine.
Cosa vediamo: in asse a ciascuna colonna vediamo una citazione evidente dall’architettura greca,
una cariatide. Se osserviamo bene è una riproduzione di una opera architettonica greca del V° a.C. .
Augusto per celebrare il suo potere lo rappresenta utilizzando delle forme architettoniche, che conservano la
tradizione tusco-italica, ma citando opere di centinaia di anni prima, citando direttamente dall’Eretteo, una
tradizione totalmente diversa e precedente ma che qui rivive.
Fra cariatide e cariatide vediamo degli spazi a forma quadrata, con un grande scudo con all’interno
una testa barbuta. E’ qualcosa di lontano dalla tradizione autoctona di Roma, che ci riporta al mondo
mediterraneo. E’ un Giove sincretico, che ha conosciuto le divinità egiziane, è un Giove Ammone, un Giove
che si è mischiato ad Amon-Rà, e quindi si presenta sotto forma di una divinità che cita direttamente anche
l’Egitto. All’interno dell’Egitto romano si costruiscono anche templi dedicati alle divinità egiziane, come del
resto abbiamo visto a Pompei, e qui vediamo citato tante volte quanto serve per questo programma
decorativo, una testa rappresentato sotto forma di Amon-Rà.
Del resto da questo momento in poi la potenza militare e tecnica di Roma permetterà ai militari di
trasportare in Italia anche molte delle opere originali dei vari paesi conquistati.
Ultimo edificio di epoca augustea: siamo all’interno del foro tardo-repubblicano, abbiamo una
ricostruzione importante di questo basilica, dopo un incendio, con un portico dotato di botteghe verso
l’esterno. Di questa pianta c’è da notare il portico antistante, che è stato demolito nel corso del ‘500, ma
abbastanza tardi per essere stato disegnato dagli architetti del tempo. Come tema progettuale è
essenzialmente una basilica, che presenta una pianta somigliante allo stoà di Attalo. In sezione si presenta
come: la basilica, piuttosto complessa a tre navate tenuta su colonne e copertura lignea. Il presentarsi di un
portico in epoca augustea, una nuova versione. Abbiamo delle semi-colonne, che portano una trabeazione
con un ordine dorico-romano: hanno una base attica, proporzioni un po’ slanciate per essere un dorico, e si
presenta fortemente decorata la trabeazione ed il fregio, con decorazione scultoree ripetute, con teste di
bove. Dal sistema trilitico effettivo, abbiamo una somma di elemento figurato ed elemento strutturale che è
quello sottostante. Quello che apparentemente si configura come sovrapposizione di ordini è in realtà una
pelle che viene proiettata su una struttura che funziona in tutt’altro modo: dentro non abbiamo una copertura
lignea a travi ma una volta in opus cementicium, dove però il linguaggio greco non è perduto ma citato. E’
un’invenzione piuttosto importante, qui datata al II° d.C. , una struttura essenzialmente con un fronte di
arcate costruite in conci disposti radicalmente, una struttura connessa in pietra, con volte sempre nascoste
all’interno di questa struttura.
Questo blocco è rappresentato nel foro, ed è una metopa, ed è quello che rimane del Portico di Gaio
e Lucio.
Notazione di tipo linguistico sull’architettura dei Claudii (da Augusto fino a Nerone, fino agli anni 60
d.C.). C’è un uso molto forte della pietra, del marmo di Carrara, e questo rapporto anche molto evidente con
l’architettura greca, e con una forte accentuazione della lavorazione della pietra, come appare anche nel
Claudianum, la sala per il culto imperiale. Abbiamo la porta maggiore, il punto dove l’acquedotto entra in
città, e non una porta di città, là dove arriva dentro la città le arcate sono fortemente monumentalizzate. C’è
una accentuazione molto forte delle pietre che compongono questa architettura. Si tratta un tentativo
volontario di mostrare questi conci non lavorati in modo definitivo. C’è una scelta molto forte di rapportarsi
agli elementi che compongono questa architettura. E’ qualche cosa che ha avuto uno straordinario successo
con l’architettura del 500 e manierista. Un’architettura che usa il bugnato sotto forma di pietra naturale non
finita. E’ un qualche cosa che non possiamo spiegare attraverso fonti, e non capiamo quindi questa scelta
espressiva molto forte, per far vedere con tutta evidenza il ruolo dei vari conci, del sistema dell’apparecchio
murario, contraddetto da questi elementi che sono quello dell’ordine greco applicato, un sistema molto
evidente e non celato di come funzionano questi archi.
 
Domus Aurea In queste opere assistiamo alla “piena conquista” dell’opus cementicium:
l’uso sicuro di una tecnica edilizia che non è quella tradizionale greca. Le più precoci realizzazioni con
questa tecnica edilizia si trovano in Campania, qui siamo a Baia, e vediamo il tempo di Nettuno a Baie, una
rotonda di natura termale. Le sue caratteristiche sono essenzialmente quelle di essere un grande spazio a
base circolare, con delle esedre, una volta a semisfera, dotata di una illuminazione dell’alto grazie ad un
oculo terminale. L’area in cui si attestano queste prime costruzioni è essenzialmente questa, perché vicina a
Pozzuoli (dove si trova una sabbia di natura vulcanica con fornisce caratteristiche importanti alla malta
ottenuta, come la possibilità di legarsi in zone umide o bagnate, costruendo così qualche cosa che può
tenere al suo interno acqua, come vasche, piscine, ed altre strutture simili). A Roma abbiamo visto il grande
magazzino sul bordo del Tevere, ed abbiamo ancora visto il Tempio della Fortuna Primigenia a Palestrina.
Quello di Nerone è un impero importante all’interno della storia edilizia, perché un incendio vede la
rovina di tantissima dell’edilizia abitativa del centro, colpendo moltissime case povere che facevano largo
uso di legno e di altri materiali infiammabili. In concomitanza a questi grandi incendi Nerone acquisisce
un’importante quantità di aree dove costruire una villa di dimensioni eccezionali. Dove ora c’è il Colosseo
dobbiamo immaginare un lago, realizzato per dare un ingresso agli straordinari giardini della residenza. E’
una villa che avrebbe privatizzato gran parte della città, ed una villa che mai si era vista nella Roma storica,
come abbiamo visto nel confronto con Pompei.
La residenza di Augusto nel Palatino era molto limitata, perché abitava lì precedentemente alla sua
nomina imperiale, non era una casa che volesse mostrare il lusso straordinaria di quella di Nerone.
La dimensione è quella di una vallata intera, e l’operazione consiste nel portare quelle che erano le
grandissime residenze agricole all’interno di Roma. Alla morte di Nerone nel ’68 tutti i terreni che aveva
requisito vengono donati al popolo romano, tutto quello che Nerone aveva sottratto alla città viene restituito.
Il lago sarà il luogo dove viene eretto il Colosseo, che viene realizzato proprio come regalo, come atto
dovuto ai cittadini stessi. E’ la “damnatio memoriae”, concretizzatasi anche con la distruzione di questa
grande residenza, che noi conosciamo per solo per un caso. Questo perché tutto o quasi è stato demolito,
salvo una parte sopra la quale vennero edificate le terme di Tito, che utilizzarono la Domus Aurea come
base, come terrazzamento. Ancora dopo, Traiano, intorno al 110,costruirà nuove terme con un orientamento
ancora diverso. Con esplicito gesto gli imperatori successivi hanno utilizzato la Domus Aurea come base per
attrezzature pubbliche, che vengono a mettersi sopra la residenza di un singolo, di un privato. Queste
costruzioni sono finite sottoterra, e solo agli uomini del rinascimento è venuta la curiosità di andare a vedere
queste rovine: si sono introdotti sotto in galleria ed hanno scoperto che le volte erano tutte dipinte, ed artisti
del calibro di Raffaello, iniziarono a trarvi ispirazione. Questi dipinti prendono da allora il nome di “grotteschi”,
termine con il quale indichiamo rappresentazione floreali, o uccelli, così come era nella decorazione degli
antichi. Queste strutture sono poi sono state successivamente liberate, è qualcosa in cui si entra sotto e che
non hanno poi un esterno, con un esterno che non conosciamo e possiamo solo immaginare. Abbiamo però
anche una fonte letteraria, Svetonio, che ci descrive il lusso straordinario della Domus Aurea, di cui parla a
più riprese, con cascate d’acqua, soffitti che girano, parti delle coperture che si muovono grazie all’idraulica.
Dobbiamo immaginare una costruzione a metà costa, in rapporto col paesaggio antistante.
Possiamo vedere la differenza fra gli appartamenti estivi ed invernali (ipotesi), qualche cosa che
distinguerebbe il lato sinistro come appartamenti estivi, e quelli a destra come appartamenti invernali.
Abbiamo poi un frammento, casualmente conservato al di sotto delle terme, di una grande esedra. Possiamo
dire che tutta questa parte è costruita come verso un paesaggio. Somiglia all’architettura delle ville, di cui
conserviamo pochi esempi. Sono esistite tantissime ville con portici e terrazzamenti, e questa realizzazione
è qualcosa che attiene la villa agreste: pare che molte di queste ville in campagna dei ricchi romani
guardassero verso il mare, ed esisteva quindi una grande quantità di ville organizzate su terrazze verso
l’esterno. Dobbiamo immaginare questa struttura con un fronte essenzialmente porticato. Una delle parti più
interessanti è quella della sala ottagona, che qualcuno ha pensato risalisse alla descrizione di Svetonio, ma
in cui l’archeologia non ha ritrovato elementi bastevoli a confermare la localizzazione.
Sala Ottagona Si presenta oggi qualche cosa privo di decorazione, l’ha perduta
completamente. Nel 60 d.c. circa mostra una raffinatezza estrema nell’uso dell’opera cementizia e
nell’architettura. Una regola generale che difficilmente ha eccezioni: se guardiamo la struttura e la foto, la
sala principale ha una copertura che parte dall’ottagono e diventa una copertura semisferica con oculo
terminale. Quindi abbiamo sicuramente degli sforzi laterali notevoli, e con cupole di queste dimensioni
(siamo sui 20 m di diametro circa) dobbiamo pensare a delle contraffortature laterali, le sale non sono mai
isolate ma costruite l’una affianco all’altra. Quando vediamo una struttura più grande, tutte le strutture radiali
all’esterno assorbiranno gli sforzi laterali dati da questa. La stessa pianta dell’edificio romano è costituita
dalla necessità di contraffortare le sale più alte. Abbiamo un fronte perduto, dei collegamenti di servizio,
questa sala ha tutta una serie di aperture sugli spazi accessori. Prima di tutto vediamo tratteggiato la
proiezione in pianta dell’ovulo, tutte le volte che abbiamo una struttura semisferica voltata avete
un’illuminazione dall’alto. Lateralmente abbiamo la 24 e la 29 che sono essenzialmente volte a botte,
radicalmente a questa direzione abbiamo una contraffortatura della volta principale costituita dai due muri
laterali, ed una volte a botte sistemata in questo modo, così come la sala 26 in alto. La numero 25 e la 28
sono più complesse. Alla 28 abbiamo una struttura, che con i corridoi permette di arrivare alle altre sale, e
qui vediamo delle volte a crociera, mentre finora abbiamo visto volte a botte in opus cementicium. La volta a
crociera è ottenuta dall’incrocio di due volte a botte. La sala 28 e 25 sono coperte da volte a botte, quindi noi
in questo spazio, purtroppo difficilmente fotografabile, abbiamo già delle strutture radiali, che però sono
costituite con delle espansioni radiali e sale di forme piuttosto complesse. La sala 26 include anche una
terminazione absidata. Si deve poi pensare ad un problema abbastanza complesso: come si possono
illuminare tutte queste strutture: il fronte è sicuramente aperto, oscurato in parte da un pergolato. Poi
abbiamo visto una serie di altre strutture, come le volte laterali, che non sono tagliabili per prendere luce ma
si dovrà pensare ad un’altra soluzione. Il fronte è stato restituito senza il colonnato antistante, e delle volte a
botte che sono abbastanza alte per prendere la luce, arrivando quasi al livello della copertura superiore della
cupola: c’è un secondo perimetro in ottagono in rapporto alle 5 sale che vi prospettano, che prendono luce
anch’esse dall’alto attraverso la parte antistante, che è l’unica che può prendere al luce da qua. Non
abbiamo del resto un’idea chiarissima del resto delle coperture.
Oramai si è presa pienamente coscienza delle grandi possibilità progettuali dell’opus cementicium,
non è più solo qualcosa che può essere impiegato per sostituire in maniera più conveniente alcuni sistemi
trilitici, non avendo nessuna novità di pianta. Una piena complessità nel 60 d.C. ci dice che cambia anche la
logica compositiva dell’edificio romano: il sistema greco si basa concettualmente sempre a partire dal
sistema trilitico, difficilmente abbiamo visto pareti curve. Si tratta di un’architettura romana che è fortemente
debitrice dell’architettura greca, mentre qui nella Domus Aurea, nel modo in cui è costruito questo spazio
straordinario, anche senza l’effetto di ricchezza dei materiali, già questa ci dice che è uno spazio nuovo
completamente diverso: l’opus cementicium porta ad utilizzare spazi a pianta centrale. A differenza della
basilica che deriva dall’impianto rettangolare, ha sempre un andamento prevedibile. E’ il portato di una
tecnica edilizia del tutto diversa, che dà una nuova libertà agli architetti, costruendo spazi innovativi.
 
Il Foro di Traiano Siamo nel 100 d.C. , circa 40 anni dopo la Domus Aurea. Di questa struttura
conosciamo l’architetto, Apollo Doro di Damasco (città della Siria). L’impero romano ha alle sue dipendenze
anche artisti che non sono essenzialmente romani, ma possono venire da qualsiasi parte dell’impero. L’opus
cementicium cambia il tipo di progetto. In asse col foro di Cesare ed Augusto, fra i due bracci, nasce un foro
molto molto più grande, è un nuovo dono imperiale. Vi è anche uno sbancamento considerevole delle
pendici meridionali del colle del Quirinale, parte del piano è stato quindi ottenuto livellando il terreno più in
basso. Tutte le strutture a nord fanno parte dei mercati, assegnati allo stesso architetto da Augusto. I
mercati si presentano terrazzati, quindi tutti quegli elementi che costituiscono i mercati traianei sono
realizzati tenendo conto di questi cambi di livello. Vediamo qui una pianta che non è la più aggiornata, ci
sono novità importanti: pochi anni fa è stata scavata la terminazione del foro, e si è capito che questo tempio
non esiste. In realtà questo tempio era stato sistemato in rapporto all’assetto consolidato dei fori, all’assetto
dei precedenti fori. Era stato sistemato in fondo al foro un tempio per Traiano divinizzato, ma gli scavi non ne
hanno rinvenuto traccia. Un elemento importante, una moneta, che rappresenta l’ingresso al foro di Traiano.
A partire da questa moneta, che reca impresso il nome di Traiano, vediamo un l’ingresso monumentale con
più fornici al foro di Traiano, che dobbiamo considerare a sinistra dell’immagine, non esistendo il tempio. Poi
sappiamo come da questa parte, e si arriva a uno spiazzo molto più grande di quelle precedenti, che
presente traccia del basamento dove era la statua equestre di Traiano. I portici sono una replica di quelli di
Augusto, ed incontriamo una basilica di grandissima dimensione, la Basilica a cinque navate detta Ulpia, e
passata questa incontriamo la colonna Traiana, una colonna con un bassorilievo che corre a spirale per tutto
il suo fusto, rappresentante gli episodi delle vittorie militari di Traiano contro i daci, ovvero la conquista
dell’odierna Romania. Ai lati della colonna abbiamo due strutture, di cui non c’è alcuna certezza ma che
vengono chiamate biblioteca greca e latina, ma non sappiamo e se fossero o no qua.
Quindi abbiamo una struttura molto più grande, l’impero è più ricco e si possono spendere più
danari. Guardiamo la Basilica Ulpia. Siamo in una struttura a cinque navate: dobbiamo individuare il tribunal,
ma di fatto abbiamo una serie di punti interrogativi su dove fosse effettivamente il tribunal della basilica
Ulpia. E’ una foresta di colonne con copertura lignea: una volta a botte montata su colonne non regge,
perché le spinte laterali hanno un ruolo considerevole, una struttura come questa non può che essere
coperta con una struttura lignea. La struttura prende luce da più punti, ha cinque navate che si illuminano
ciascheduna lateralmente. Vediamo una delle sezioni possibili, trasversale: è a tripla altezza con un attico
finestrato. All’interno abbiamo una struttura con un doppio ordine colonnato, e l’ordine superiore avrà delle
transenne marmoree. Poi abbiamo un’ipotesi che vede delle volte nei punti a galleria dov’è più facile, ed agli
estremi laterali. Era struttura che teneva all’interno i soliti uffici, difficilmente è collegabile ad una sezione il
recinto dell’abside. La struttura terminale è molto difficile da pensare in elevato, e si pensa che fosse coperta
con un catino, però questa è la basilica più grande mai costruita dai romani. La basilica di Massenzio
costruita 200 anni dopo avrà tutte le coperture in opus cementicim ma con pianta totalmente diversa.
Oggi osserviamo la Colonna Traiana come isolata nella città, la colonna è sempre rimasta in piedi,
perché è stata riconsacrata, la statua di Traiano è stata sostituita con la statua di San Pietro. Noi oggi
guardiamo l’unica parte conservata di questo mondo che è sparito. La colonna non si doveva vedere come
la vediamo oggi. I rilievi della colonna, che rappresentano tutte le fasi delle guerre di Traiano potevano
essere visti solo dall’alto, con una basilica ed altre strutture in elevato abbastanza vicino, queste potevano
essere raggiunte e lette in funzione alla sua collocazione originaria. Vediamo inoltre delle colonne
monolitiche, fusti di un solo pezzo, si abbandona il sistema dei rochi, si usa qualche cosa di diverso: un
monolito di pietra, un granito grigio che viene dall’isola d’Elba o dall’isola del Giglio, che viene tagliato sotto
forma di colonna e viene portato in nave. Il granito non si lavora facilmente in scanalature, non accetta una
lavorazione raffinata come il marmo, quindi essenzialmente sono colonne a fusto liscio, con capitelli corinzi.
Siamo nel pieno dell’architettura romana, la ricchezza è data dall’impiego di questi monoliti, poi ci sono i
graniti rosso-rosa che vengono dall’Egitto (grazie al predominio navale romano del mediterraneo,
soprannominato mare nostrum). La Basilica Emilia che abbiamo visto è in marmo africano, ed anche questi
sono marmi colorati. Le basi della colonna sono in marmo di Luni. La Colonna Traiana difficilmente viene
considerata una colonna, ma piuttosto un monumento scultoreo. Leggendolo dall’ordine architettonico però
funziona: abbiamo un piedistallo con una porta, che con una scala elicoidale permetteva di arrivare nel
soffitto, con due falde dovute ad un uso improprio successivo, c’è una colonna montata su piedistallo, un
toro scolpito e decorato. Nella parte sommitale un abaco ed un echino, è una colonna dorica fuoriscala,
gigantesca. Qui è una invenzione di Apollo Doro, un obelisco che parla greco e latino, un dorico totalmente
fuori scala, con proporzioni slanciate.
I mercati Fra il foro di Augusto e quello di Traiano ci doveva essere un passaggio. In rapporto
alla prima esedra ve n’era un’altra, e poi vediamo qui una restituzione possibile della stessa. C’è una
struttura molto complicata i mercati: una serie di strade d’accesso che conducono a più livelli, dove si passa
e si accede a questi ingressi per le varie botteghe dei piani superiori. Questa struttura ha il punto massima
capacità tecnica nella galleria superiore che ha botteghe a destra e sinistra, è una parte abbastanza
conservata perché facente parte di un declivio: si ha un’idea abbastanza chiara di come possono funzionare
questi mercati. Questi sono costruiti dalla necessità di dare accesso a queste botteghe. Il progetto parte dal
forte declivio del Quirinale, si individuano una serie di terrazzamenti, con ogni bottega che ha una strada
d’accesso. A differenza delle botteghe pompeiane, qui si tratta di un mondo solo di botteghe, vicino ai fori ma
ben separato da essi da un muro, un muro netto come quello che separava il foro di Augusto dalla Suburra.
C’è un esedra in opus cementicium, di cui non conosciamo la finitura. In questo caso vediamo una scala che
permette di andare ai terrazzamenti superiori: qui riconosciamo due botteghe da una mostra in travertino ed
una finestra sul mezzalino, dove spesso abitavano anche i negozianti. Dal punto di vista strutturale,
l’apertura è proprio in asse, proprio perché scarica il peso nel punto più complicato di questa architrave,
perché costituisce un vuoto, non è qualche cosa di una massa inerte che viene buttata, sappiamo benissimo
che utilizzano degli archi di scarico, c’è al di sopra di questa porta un arco di scarico costruito attraverso
mattoni bipedali (forse normali, ora ho cambiato idea e direi che sono mattoni ordinari) Sono mattoni di
dimensione maggiore, di 60 cm, di forma quadrata, abbiamo in profondità questa struttura che fa un arco.
Quindi prima di mettere il getto dell’opera cementizia abbiamo sistemato un arco di scarico: quasi tutte le
realizzazioni, le più ardite come quella del pantheon, che funzionano solo grazie a questi accorgimenti degli
archi di scarico. Una struttura di questo tipo va letta in questo modo, con un arco di scarico che garantisce la
resistenza della struttura.
L’aspetto architettonico del terrazzamento superiore: sono tanti archi che si aprono, risolti con due
file di mattoni, ed abbiamo poi una trabeazione con un disegno molto complicato di frontespizi per cui uno sì
ed uno no si legge tutto insieme come disegno, ed è interessato moltissimo agli architetti del rinascimento.
Vediamo una struttura di mercato, con due livelli di botteghe da una parte e dell’altra, e si
presentano con una galleria centrale coperta, una serie di botteghe al piano terra e una pianta di botteghe al
piano superiore. Abbiamo una galleria coperta in cui danno una serie di botteghe: ciascuna ha i suoi piedritti,
un architrave, ed un mezzalino. C’è poi un corridoio che affaccia al piano di sopra, in cui le botteghe saranno
più corte. Abbiamo una volta a crociera, con degli elementi di contraffortatura laterale, quindi tutte queste
strutture servono a contraffortare queste volte a crociera. Questa galleria prende luce dall’alto e queste
botteghe sono illuminate solo dalla porta e dalla finestra sovrastante. Vediamo la cosiddetta finestra termale,
qualche cosa di molto comune all’interno dell’architettura: è una finestra che nasce come fronte, configura
una finestra che sta dentro il fronte di una volta a botte oppure in una delle facce di una volta a crociera, è
una nuova forma. Solo alcune botteghe godono di finestre, quelle verso la strada, ma dall’altro lato non
hanno finestre né sopra né sotto perché sono addossate al colle.
Del resto, conoscendo la vita urbana, abbiamo testimonianza di molti traffici e rumori della strada, e
di conseguenze gli stessi edifici cercavo di isolarsi da questa. Esistono comunque vetri romani molto belli e
lavorati, ma non hanno dimensioni che arrivano alla lastra o alla vetrata. Le vetrata è un’invenzione
prettamente medievale.
Sezionando una volta a crociera lungo l’asse centrale… avremo una linea retta!
Le botteghe si organizzano con delle volte a botte che poi si saldano alla crociera. Non una forma
monumentale ma uno spazio godibile dall’interno. Non sono volte a crociera perfette, non sono campate
quadrate ma rettangolari, quindi abbiamo una volta più basso che si collega ad una più grande, non c’è un
collegamento perfetto perché non sono della stessa altezza.
 
Il Teatro e l’Anfiteatro. Il teatro come forma di spettacolo era qualcosa che non poteva essere
costruito in forma stabile, il primo ad essere realizzato così è il teatro di Pompeo (nella metà del I° secolo
a.C.), durante l’agonia della repubblica. Quindi dobbiamo pensare che gli spettacolo teatrali sicuramente
c’erano, ma che questi per le leggi che vigevano della repubblica doveva essere smontabili, non poteva
essere un’architettura monumentale. Con Pompeo si riesce a realizzare quest’opera con un escamotage:
ponendo in cima a questo teatro un tempio dedicato a Venere, tutta la costruzione diventa di tipo religioso, e
sfugge al bando. Ora non c’è praticamente nulla del teatro, è stato inglobato dalla città moderna, e possono
vedersi solo poche tracce. Com’era fatto? Era un teatro alla romana, come quelli che abbiamo visto in
Pompei. Non sfruttava una collina, e quindi non aveva necessariamente l’obbligo di essere costruito fuori dal
centro cittadino. Siamo nel centro cittadino, vicinissimo a Piazza Navona, e c’è una novità considerevole:
questa architettura ha un esterno monumentalizzato. Ha una sua facciata, ha tutta una serie di elementi
artificiali che portano la cavea ad essere costruita da terra, e questo porta all’esistenza di un fronte
monumentale, donato dal generale vittorioso che aveva ambizioni politiche. Vediamo ancora dei frammenti
della Forma Urbis: in alcuni abbiamo dei frammenti riconoscibili con scritto “Teatro Marcelli”, che
corrispondono allo posizione dello stesso nell’odierna Roma.
Prima di tutto osserviamo l’organizzazione dell’orchestra: nel teatro greco era circolare, ma
nell’evoluzione delle forme circolari il coro avrà un ruolo sempre meno importante, e prenderà il sopravvento
la scena, una scena che abbiamo visto nascere sotto forma di scena effimere. Abbiamo anche visto che in
epoca romana si organizza con qualcosa di simile a questa pianta, ed in epoca augustea acquisisce una
galleria superiore.
Siamo nei primi anni del I° secolo a.C. , ed abbiamo un semicerchio, e qualcosa di molto
monumentale ed ingombrante che è una scena fissa. Il muro si presenta sotto forma di colonnati liberi,
semicolonne su più livelli, una scena fissa che conteneva anche un’importante decorazione scultorea dei
donatori, dei regnanti, un organizzazione celebrativa del partito storico a cui Pompeo fa riferimento. Della
scena non c’è più niente, neanche l’organizzazione a terra. Nel medioevo è diventato un castello
imprendibile, e successivamente un palazzo gentilizio. Abbiamo quindi conservato parte della fascia esterna,
però possiamo osservare qualcosa di importante: possiamo considerare il teatro romano come un palazzo
pubblico, come qualcosa che ha un suo aspetto esterno molto evidente. Nel lessico tedesco questa
sistemazione si chiama “motivo del Colosseo/motivo del teatro”, perché è una struttura ad arcata che si
presenta decorata con tante semicolonne, architrave fregio cornice, un ordine superiore, etc… Le arcate si
presentano vestite, non nude, vestite dei panni di architettura ellenistica, greca, un linguaggio che viene
riconosciuto come linguaggio dell’architettura aulica e consono all’uso che di questo teatro viene fatto. Dal
punto di vista dell’immagine: abbiamo un sistema di arcate che poi è vestita con delle colonne, con la chiave
tangente o abbastanza vicina ad essere tangente all’architrave che passa lì sopra. Abbiamo poi un
architrave, un fregio ed una cornice. C’è poi una sorta di capitello del piedritto, con una sorta di cornice che
segnala l’inizio dell’arco.
Abbiamo una galleria di distribuzione, ed in asse con tutti questi archi, tanti muri radiali, una galleria
e radialmente tante volte a botte. Abbiamo ingressi con usi differenziati. La cavea è tenuta da tante volte a
botte inclinate, che garantiscono anche la distribuzione del pubblico.
Questo è quanto rimane, e quanto osserveremo, in travertino molto consumato ed usurato dal
tempo, con sopra Palazzo Orsini, ed una parte di quella organizzazione che si è detto. Dal punto di vista del
linguaggio architettonico abbiamo un problema di sovrapposizione degli ordini. C’è un dorico al piano terra,
uno ionico al piano sovrastante. Dobbiamo pensare fra l’altro che il dorico a Roma è quasi sparito, non è
quasi mai utilizzato, lo abbiamo trovato solo nel portico di Gaio e Lucio nella Basilica Emilia, e poi lo troviamo
in questa occasione nel teatro di Marcello, utilizzato come citazione dell’architettura greca della
sovrapposizione di ordini, perché dall’ordine superiore avevamo i soliti problemi di diametro. Le volte non
possono che essere in opus cementicium, mentre il fronte deve essere di pietra essendo un’architettura
pubblica, con una decorazione non carica, perché l’occhio romano non tollera la facciata troppo piena.
 
Antiteatro Flavio – Colosseo Il teatro diventa un edificio pubblico con un suo esterno.
L’anfiteatro Flavio, è il più importante, almeno per dimensione, d’Italia. Il Colosseo è inaugurato intorno
all’anno 80 dopo Cristo. Siamo poco prima dei mercati traianei. E’ un tipo edilizio che fa la prima comparsa
con l’architettura romana, ha uno i suoi primi esempi con Pompei, dove era un anfiteatro parzialmente
scavato nella collina tufacea. Il Colosseo nasce in una parte pianeggiante, e si configura come un raddoppio
di un teatro. Abbiamo una forma ovata, allungata. All’interno della cultura romana viene chiamata
spectacula, il posto dove si allestivano degli spettacoli. V’erano spettacoli pagati per tutti gli ordini di cittadini,
compresi i più poveri, e vi venivano rappresentati anche spettacoli navali, con lotte fra imbarcazioni, grazie al
parziale allagamento dell’arena, prima della costruzione dei sotterranei. E’ una cultura che nasce negli
accampamenti militari. L’immagine da sopra ci restituisce l’aspetto archeologico, l’arena si presentava
coperta da un tavolato ligneo, ed al disotto vi era una serie di strutture architettoniche complesse, che
garantivano l’accesso alle fiere in tutte le parti dell’area attraverso botole. L’arena non è il nucleo terreno, ma
una piattaforma artificiale con un complesso reticolo di corridoi. La struttura ruinata che vediamo ci parla di
crolli di volte a botte che tenevano tante strutture gradinate: il Colosseo che vediamo non è conservato nella
sua integrità. Per una buona parte manca un anello, tutto l’interno ed il fronte sud manca totalmente degli
anelli più esterni, che sono stati rubati per procurarsi materiale edilizio, e parte di questo materiale è anche
caduto giù con terremoti.
Guardiamo il colore giallo. Sono gli assi che garantiscono l’entrata per gli ingressi di servizio,
entrando in galleria direttamente nella parte sottostante all’arena di legno. L’accesso a tutta quest’area di
servizio avveniva in galleria, da diverse strutture come le caserme dei vigili, le abitazioni dei gladiatori, etc.
Molte delle forme che abbiamo all’interno posso anche essere lette come elementi mobili che permettono la
risalita di strutture. Esiste quindi tutto un mondo sotterraneo che si organizza in una struttura che permette di
accedere anche alle parti sotterranee.
Dall’altra parte vediamo un’organizzazione di questo tipo: abbiamo un ingresso a 3 navate come in
tutti gli ingressi assiali, per un ingresso di massa del pubblico, che poteva entrare direttamente e prendere il
posto che gli era assegnato, dove più in alto si va e più degrada la condizione sociale. C’è anche da dire che
il Colosseo potrebbe essere stato coperto, che parte della cavea del colosso potesse aver avuto coperture di
tela, sarebbero esistiti dei velari, ma noi siamo scettici a tal proposito.
Rispetto al teatro di Marcello le dimensioni sono maggiori, così come il flusso di spettatori. E’ stato
costruito da 4 imprese diverse con 4 diversi cantieri per ogni spicchio, collegandolo poi parte e parte. Non è
un’ellisse ma piuttosto un ovato, quest’ovato ha degli grandi ingressi a 3 navate, propriamente pubblici.
Rispetto all’unica galleria anulare del Teatro di Marcello qui abbiamo due gallerie anulari, anche se di
sezione diversa. Il fronte dell’edificio è un pietra, in opera quadrata, in travertino. Aveva un’apparenza bianca
all’esterno, ed all’interno tutte le gallerie non si presentavano rossicce, ma piuttosto bianco stuccato, e tutte
le gallerie erano ricoperte di stucco, decorato sotto forma di decorazione scultoree decorate e non che
mimano cassettoni bianchi.
Al livello sotterraneo abbiamo i famosi passaggi. Al primo livello abbiamo ancora due gallerie di
distribuzione, che permettono di circolare ed uscire da porte diverse.Vediamo una foto della seconda
galleria, fatta a crociera, mentre la prima era una galleria con volte a botte. Era una galleria interna, sono
botti perché all’esterno abbiamo una galleria più alta, perché abbiamo insieme una galleria anulare e poi i
setti che corrono radialmente.
E’ fatta da pilastri in travertino, poi una cornice d’imposta della volta, e quest’opera in opera
cementizia. Abbiamo poi volte a botti ascendenti che sostengono le rampe di scale. Si vede abbastanza il
confronto fra la rovina, che non doveva essere visto, ed il paramento in pietra.
L’esterno del Colosseo è più complesso di quello del teatro di Marcello: abbiamo 3 ordini di arcate
ed al di sopra un piano attico. Si presenta come anfiteatro, non vi è a data un’accentuazione speciale lì dove
vi sono gli assi di ingresso, non ci sono accentuazioni particolari e ce ne si accorge solo entrati. Gli ingressi
avevano dei numeri romani incisi, abbiamo un’organizzazione architettonica molto simile a quella del teatro
di Marcello. Tutta la struttura è in opera quadrata, ha insieme due strutture diverse, due famiglie diverse, una
di opera quadrata ed una con trattamento delle pietre a cuneo. Al primo ordine si tratta di tuscanico, basi,
fusti di colonna non scanalate, un capitello abbastanza semplice con abaco ed echino e fregio liscio di ordine
tuscanico. Al di sopra un piedistallo, non vi è una sovrapposizione diretta fra colonna, anche perché qui in
mezzo vi è una volta, c’è una copertura voltata, una copertura più spessa, ed al di sopra dell’ordine dorico
c’è un ordine ionico, al di sopra un corinzio. Questa diventerà una regola per molta parte dell’architettura
successiva. In corrispondenza dell’ultimo piano, dove non c’è galleria, abbiamo una struttura diversa chiusa,
che non ha bisogno di arcate perché non abbiamo setti radiali, con al di fuori delle paraste corinzie. Al di
sopra delle finestre vi sono degli elementi che avrebbero potuto sostenere dei velari. La distanza fra chiave
dell’arco ed architrave è abbastanza alta.
 
Pantheon E’ uno dei grandi capolavori insieme al Partenone, è un riassunto, l’apogeo
dell’architettura romana. Questa avrebbe raggiunto il suo massimo espressivo sia sul piano tecnico, ed
anche dal punto di vista stilistico primi decenni del secondo secolo dopo Cristo, perché presenta un’unione
fra l’architettura in opus cementicium e le grandi architetture di area ellenistica: abbiamo in mano tutta
l’architettura romana.
Adriano è l’imperatore che acquista il potere come figlio di Traiano, all’interno di una carriera dentro
l’esercito, ma Adriano come persona ci è stata tramandato come costruttore ed uomo di grande cultura.
Abbiamo una serie di fonti, non molte, che insistono fortemente sul fatto che avrebbe avuto la passione di
costruire. L’impero del secondo secolo dopo Cristo è un impero importante, dalla Palestina fino al vallo di
Adriano in Inghilterra, è un Imperatore che ha viaggiato moltissimo, sicuramente in Grecia, sicuramente era
molto legato alla cultura greca, è stato anche in Egitto dove morì il suo favorito, Antinoo. Costruisce la Villa
Adriana, una villa dove avrebbe ricostruito molte delle meraviglie architettoniche viste in Grecia ed in Egitto,
testimonianza di un rapporto fra architettura ed impero molto importante. In Atene è responsabile del
completamento di diversi templi ed altri edifici. La figura dell’imperatore è connessa anche all’edificio, più
importante, il Pantheon. E’ stata fatta l’ipotesi di un Adriano Architetto: abbiamo a questo proposito alcuni
dati di partenza: del Pantheon non conosciamo il nome dell’architetto, non possiamo legarlo ad un’artista, e
quindi si è anche pensato che Adriano stesso fosse committente ed architetto. Oltre questo prima punto
interrogativo, alcune fonti ci dicono che Adriano si intendeva di architettura. Ci riportano ad un episodio,
quando non ancora imperatore e non era stato individuato come erede. Traiano aveva come architetto
Apollo Doro di Damasco, responsabile della costruzione del Foro, della Basilica Ulpia (per certo) e
presumibilmente è immaginabile che sia anche l’inventore dello straordinario spazio dei mercati. Apollo Doro
avrebbe anche costruito un ponte sul Danubio, che sostituiva un ponte di barche, fatto su piloni e quindi di
arcate fra piloni e piloni, quindi aveva anche una solida formazione di ingegneria. Questo sarebbe stato
demolito a causa della forte pressione dei barbari, non potendo lasciare una simile opera a disposizione
degli invasori. Adriano avrebbe dato il suo parere in una discussione fra i due, ed Apollo Doro avrebbe
risposto sprezzante “Vai a disegnare le tue zucche [Kolokunta V]. Tu non capisci nulla di questi argomenti”.
Se osserviamo una volta a spicchi, su base ottagonale, piuttosto raffinata che sta all’interno di una
struttura di sicura epoca adrianea, che non può che essere stata realizzata che in opus cementicium. E’
possibile pensare che Adriano avesse delle basi per poter decidere ed aver a che fare con i progetti di
architettura (sappiamo questo dalle varie fonti, biografie o libelli). Adriano avrebbe messo a morte, o liberato
Apollo Doro di Damasco. Duranti i primi anni dell’impero, Adriano avrebbe richiesto un parere per la
progettazione di un tempio, che è a Roma nelle vicinanze del Colosseo, il Tempio di Venere in Roma, quasi
del tutto sparito, con due celle unite per l’abside, due semi-rotonde all’interno che separavano Venere e
Roma, la città stessa fatta divinità.
Prima di metterlo a morte, Adriano avrebbe chiesto rispetto a questo tempio, mostrandogli un
disegno, avrebbe fatto alcune osservazioni sul fatto di non essere stato abbastanza sollevato, se lo fosse
stato si sarebbe potuto conservare la scenografia del Colosseo nelle sue strutture sotterranee. Attualmente
le rovine ci parlare di un podio dove al di sotto ci sono spazi, stanze.
Seconda cosa: Adriano avrebbe sbagliato, le porte del tempio sarebbero state troppe basse per le
statue che avrebbe dovuto ospitare il tempio, mentre queste devono essere commisurate alle dimensione
delle statue. Questo ci indica un Apollo Doro molto sicuro di sé, un personaggio straordinario, come appare
sulla Storia Augusta, della quale l’importante è ricordarsi che è una storia dedicata agli imperatori, e se
Apollo Doro compare così spesso, vuol dire che era un artista con capacità straordinarie.
Tutto quello che si conserva dall’antichità è del tutto casuale.
In Germania gli architetti hanno la buffa tradizione di chiamare Adriano i figli.
E’ un artista che però nessuno riesce a connettere al Pantheon, essendo una artista così
straordinario. Il Pantheon è stato conservato, non solo abbiamo l’esterno ma anche l’interno, unico caso oltre
a Pompei che però è provincia, solo periferia ricca, non abbiamo nessun altro edificio romano di cui
possiamo vedere gli interni. Il Pantheon ha quindi moltissimi dei marmi al loro posto, ma ovviamente non le
statue. Questa fortuna ha una sua storia: dopo il 313 l’imperatore Costantino organizza l’impero sulla
religione cristiana, e sappiamo anche intorno alla fine del quarto secolo i culti pagani vanno abbastanza in
crisi, fino ad arrivare alla chiusura dei templi nel 430. Da allora tutti i templi pagani non vennero più
mantenuti e così nessun tempio è più conservato. La grande fortuna del pantheon fu quella di trovarsi nel
centro abitato di Roma, mentre molte altre zone erano state abbandonate: infatti dopo il crollo degli
acquedotti la collocazione vicino al Tevere era l’unica che permettesse l’approvvigionamento d’acqua. Il
Pantheon non rimane inutilizzato e diventa una fortificazione, così come è successo al Mausoleo di Adriano,
che è diventato Castel Sant’Angelo, dove vediamo una base circolare che è la base circolare residua della
tomba di Adriano. Si è salvato, perché nel 608 è stato donato dall’imperatore d’Oriente alla Chiesa, ed è
diventato una chiesa dedicata alla Madonna, quindi questo grosso oggetto ha tutt’ora uno strano statuto di
monumento pubblico in parte chiesa. Una volta che sappiamo ed abbiamo la fortuna di poter vedere un
interno dell’architettura imperiale, chiediamoci come appariva questo tempio. Abbiamo davanti una
piazza,che è moderna. Prima di pensare al Pantheon come edificio simbolo, dobbiamo pensare al Pantheon
nella sistemazione originale, un edificio che è preceduto da un portico, con le proporzioni del doppio
quadrato, con un ingresso in asse, e centralmente un arco onorario con al di sopra una statua di Adriano.
Traiano era l’imperatore che aveva ampliato maggiormente i fori, c’è stato un ampliamento sempre
più importante di spazi pubblici, e poi connessi a templi o basiliche. Con Traiano era stato terminato tutto lo
spazio utilizzabile, tutta la parte compresa fra i due colli era stata resa pubblica e resa monumentale, quindi il
passo successivo di Adriano è quella di cambiare zona, andando in quella di Campo Marzio, campo di Marte
perché luogo delle esercitazione militari, dunque una zona ad uso militare. Questa man mano si amplia, ed
all’interno cominciano ad essere costruiti diversi edifici, e si può dire che qui Adriano sistemi il suo foro. Si
tratta di uno spazio coperto colonnato, un ingresso monumentale ed un tempio in fondo. Il tempio ha qualche
problema all’interno della sua definizione, perché non si sa a che cosa fosse dedicato. Il nome è grecizzato
all’interno delle fonti classiche, e si pensa all’intero cumulo delle divinità pagane. Adriano riceveva all’interno,
compariva lì dentro per amministrare la giustizia, per eseguire atti di governo in pubblico, quindi è possibile
che ci sia nuovamente una certa confusione fra tempio ed aula imperiale. Ne esisteva una di Augusto (?),
dove l’imperatore sedente si manifestava al pubblico ed appariva, si tratta in questo periodo di un imperatore
che concede apparizioni all’interno del tempio. Questa continuità fra la persona dell’imperatore non è tanto
strano, perché alla sua morte l’imperatore viene divinizzato. Dobbiamo interpretarlo come un tempio non-
isolato, con una visione fortemente limitata rispetto a quella che abbiamo oggi: possiamo ora girarci tutto
intorno, accorgersi che ha un davanti, un dietro e dei fianchi. Ancora una volta l’architettura si mostra con
una veduta molto limitata, si vede un pronao di architettura trabeata, e non si vede l’elemento retrostante,
che sta all’interno di un costruito. Siamo all’interno di un’architettura forense, si ha davanti una struttura
molto conosciuta, dietro alla facciata templare una cella ipertrofica (?), ma questa non poteva essere
osservata. Finora non abbiamo visto esempi di architettura in opus cementicium che mostrino un esterno.
Attenzione! Non è il primo pantheon costruito su questa zona: il primo fu edificato intorno all’anno 0
da Agrippa (genero di Augusto), e se ne può dare un’ipotetica forma. Questo pantheon sarebbe stato
costruito da Augusto. La nuova ipotesi più accredita parla di un tempio di questo tipo, che avrebbe occupato
l’area del portico con una cella. E’ una tipologia diversa, che ha un portico di colonne, e con una cella
retrostante di forma rettangolare.
Adriano avrebbe riconosciuto il pantheon di Agrippa/Augusto mettendo il suo nome sulla trabeazione
dell’ingresso, come testimonianza del primo tempio perduto nel primo 80 dopo Cristo, ed Adriano lo fece
ricostruire facendo un’opera di pietà per la memoria storica del passato, incidendo Agrippa Fecit,
restaurando e reinstallando anche la dedica iniziale. Questo ha portato ad una confusione grandissima,
durata per tutto il rinascimento, che ha visto attribuire una datazione errata al Pantheon solo per il fatto che
c’era scritto Agrippa Fecit.
Abbiamo 8 colonne di dimensione notevole. Oggi il terreno della città è molto cresciuto, la piazza ora
comunica direttamente con il colonnato, non c’è più il podio che sollevava ed evidenziava il tempio. Invece
nelle città il suolo va è salito anche di 4-5 metri, perché si costruisce sulle rovine altrui. Tempo fa era stata
scavata una parte della pavimentazione del cosiddetto foro, ed è apparsa la pavimentazione di fontane, con
lastre sotto il suolo. Abbiamo davanti un pronao; abbiamo 8 colonne come il Partenone, che si presentano
con l’intercolunnio più largo al centro e più stretto ai fianchi, quindi vi sono quelle stesse citazioni
dell’architettura greca, dove non serve più un rapporto con la trabeazione dorica, rimane questa regola, di
due moduli ed un quarto. Vi era un’iscrizione che correva sul fregio che è stata ricostituita a partire dai perni,
perché l’iscrizioni era di metallo, dai perni, dai buchi sul marmo è stata ricostruita l’iscrizione del fregio,
Agrippa fecit nel III° consolato.
Le colonne sono monolitiche, di dimensioni massime, non ne esistono più grandi nell’architettura
romana. Sono stati condotti studi approfonditi sul trasporto navale delle stesse e sulla loro attività di cava
dall’Egitto. Basi e capitelli sono invece di marmo pentelico, quello del monte vicino Atene: quindi invece di
andare a prelevarlo a Luni il marmo viene direttamente dalla Grecia.
Pianta. Abbiamo un ordine corinzio. Il frontespizio non aveva decorazione scultoree, dal tipo di perni
è stata fatta l’ipotesi che potesse essere una colonna, come simbolo imperiale, e non un apparato scultoreo
iconografico, solo un chiaro simbolo imperiale di una donazione imperiale.
Le basi. I fusti sono di granito egiziano, base attica, toro-scozia-toro, più monumentalizzata poichè
presenta un toro, una scozia con doppio astragalo, ancora una scozia ed un toro. Ha due anelli fra il toro di
sotto ed il toro di sopra, una base attica più complicata da questi due anelli.
Il capitello nella sua versione originale, ha perso molte foglie, ma sicuramente le possedeva,
abbiamo ancora la campana, la parte strutturale del capitello stesso. Si presenta con il doppio registro di
colonne e le volute. E’ largamente perduta la sua decorazione esterna, ma si presenta molto ben conservato
all’interno, forse c’è la migliore conservazione in assoluto degli elementi formali dell’architettura romana.
Il pronao è diverso. “Ha a che fare” con il tempio italico-etrusco, una ripartizione in 3 navate, una
navata centrale con ingresso verso la cella, e due laterali che hanno a che fare con una terminazione
absidale. La complessità enorme è mettere insieme un’architettura trabeata come quella del tempio, ed uno
spazio con un’altra logica: un oggetto circolare con un oggetto rettangolare, e c’è quindi uno spazio di
compromesso, in tutti i templi sarà un problema declinato dagli architetti sempre in modo diverso. Abbiamo
due spazi che obbediscono a due logiche diverse dal punto di vista costruttivo. Sopra le colonne abbiamo
l’architrave, poi qualcosa di strutturale che non doveva vedersi (ma ora si vede, vi spiegherò poi perché).
Non si doveva vedere perché chi entrava si trovava in un pronao a 3 navate coperto con una volta a botte,
realizzata in legno e metallo. Veniva suggerita un’architettura a 3 navate, ora perduta.
Abbiamo basi bianche, colonne grigie, capitelli bianchi e qualche cosa di metallico come soffitto. Vi è
un arco a botte cassettonato fra il pronao e l’ingresso del tempio, quindi è probabile che questo arco
cassettonato proseguisse sotto forma di un soffitto cassettonato apparente.
Tema principale dell’architettura romana, con qui la sua didaticizzazione strutturalmente più
evidente. C’è un problema di conflitto delle forme, in un punto specifico. Come si risolvono questi punti
importanti di rapporto fra il sistema trabeato e murario? Si usano dei pilastri a pianta quadrata dietro le ultime
colonne, che appiano come una parasta poi ripetuta, quindi dobbiamo pensare che all’interno del mondo
progettuale romano esiste la concezione che la colonna può diventare decorazione di muro sotto forma di
pilastro e sotto forma di parasta. La parasta serve a dare di fianco una visione di un colonnato continuo, in
parte effettivo, ed in parte apparente, c’è una continuità fra il pieno ed il vuoto, data dall’estensione
dell’ordine architettonico, l’ordine è qualche cosa che può passare da un elemento a qualche cosa che veste
il muro, ma la trabeazione è la stessa. Il fianco del tempio si veste di colonnato, la stessa cosa può dirsi ai
lati della navata centrale, con un pilastro che si presenta con la stessa base, tutto rivestito in marmo e si
presenta scanalato. Al contrario dove c’è un’esposizione straordinaria di granito egiziano non si usano
scanalature, perché lo stesso è durissimo da lavorare. Quando la colonna incontra il muro diventa
semicolonna, ed all’interno dell’ingresso viene replicato questa organizzazione di paraste. E’ qualche cosa di
molto importante, alla base della piena sintesi fra gli elementi più importanti dell’architettura greca e del
sistema trilitico e gli elementi di novità del sistema romano: il muro e pronao partecipano uno stesso
linguaggio grazie alla proiezione degli ordini architettonici, modalità fatta propria anche dall’architettura
rinascimentale. Nella parte sommitale della porte stessa avevamo una grata per far entrare dalle luce. I
battenti della porta sono in parte quelli antichi, e se si è conservata fino ad adesso è dovuto a restauri e
ricostruzioni parziali, ed è stata smontata per l’anno santo. Avevamo un sistema particolare di meccanica,
non tradizionale, perché il peso dei serramenti non permette certo di appenderli.
Tutto quello che è fra parasta e parasta condivide lo stesso linguaggio di decorazione con ghirlande.
Invece tutti i capitelli d’anta del tempio greco non partecipavano al linguaggio esterno, qui invece si proietta
la forma della colonna sulla parete, con un capitello ovviamente a base quadrata invece che circolare.
Sui lati esterni, la trabeazione oltrepassa il portico ed arriva fino ad un punto di crisi incrociando la
parete curva, interrompendosi. Momento di Crisi. Ma per questo dobbiamo pensare al fatto che il pantheon
non si leggeva completamente.
Introduciamo il discorso del corpo intermedio. Una volta che si mette un passo (?) e s’arriva a questa
architettura di muro, si è dentro un sistema diverso, fatto di un cantiere umido con un’opera all’esterno
costituita da una cortina in mattoni (NON E’ TUTTO DI MATTONI, NON E’ TUTTO DI MARMO, non diciamo
scemenze all’esame, per favore!). E’ un opus cementicium con rivestimento in mattoni, con laterizi speciali
ed archi di scarico. Avevamo inoltre tegole di bronzo, che sono sopravvissute poco (solita cupidigia di
metallo da parte degli uomini medievali).
Momento di Crisi: la rotonda non è trabeata. Aveva solo delle cornici più rozze, che devono essere
osservate da lontano, e che non partecipano allo stesso atteggiamento del pronao.
L’oculo. L’abbiamo visto già nella sala ottagona, ed è importante precisare che CI PIOVE DENTRO,
NON ESISTONO CORRENTI D’ARIA O ALTRE INVENZIONI CHE IMPEDISCANO QUESTO FENOMENO
NATURALE (questo è solo per il 20% degli studenti). C’è sempre attenzione ai culti solari, derivati dai
rapporti con gli egizi, ed al ruotare della volta celeste, con giochi di luce.
La dimensione maggiore sta all’intorno dei 150 piedi romani: tutte le opere romane lette con questa
unità di misura diventano più comprensibili. Col sistema metrico decimale abbiamo circa 45 m. Più
precisamente abbiamo 43,30 m, poi lo spessore del cilindro è pari ai 5-6 metri, circa sui 20 piedi.
Per altre realizzazioni di questo tipo dovremmo aspettare molti secoli. Questa più o meno è la
distanza massima, ci vorrà il ‘400 per rifare una struttura di questo genere. La cupola è abbastanza facile da
pensare sotto forma di semisfera, abbiamo un cilindro che è alto come il diametro della una sfera.
Abbiamo un cilindro che per la prima volta non è contornato da contrafforti radiali, ma contiene
all’interno, nel grosso spessore del cilindro, contiene già i setti radiali che posso controbilanciare le spinte.
Sotto il Pantheon osserviamo fondazioni di 4m e ½, in asse a questa struttura, ha un profilo
gradinato verso l’esterno, per controbilanciare la parte superiore con una struttura molto sottile. Tutto questo
pacchetto fino all’ultima cornice è stata fatto in opus cementicium con rivestimento in laterizio, forse anche
senza bugne in stucco come si era pensato. Dalla terza cornice abbiamo poi un’opus cementicium privo
dell’opera in laterizi, e presentano allo stesso tempo materiali ed inerti più leggeri, come la pietra pomice.
Nella parte sommitale abbiamo l’oculo di 8,70-9 m. C’è anche un esempio di centina, è un’ipotesi piuttosto
intelligente, ovvero si procede per anelli con gettata unica ed organizzata (e tenendo conto che è stato
costruito in 10 anni, si tratta di una celerità straordinaria per l’epoca). Quindi visto che ciascun anello è
incatenato al precedente, e qui abbiamo un’ipotesi per montare una centinatura dall’interno. Abbiamo
un’incastellatura appesa a questa struttura, che man mano si amplia.
Attenzione alle contraffortature laterali e alla struttura dell’opus cementicium. Vediamo l’interno del
Pantheon in una posizione particolare, all’esterno è un cilindro, con uno spessore, se si a guardare
dall’interno è cilindrico, organizzato piuttosto con un ingresso, un abside terminale, altre due absidi, e varie
espansioni radiali. All’interno di quel cilindro, di quel pacchetto di 6 metri dobbiamo pensare situazione
differenti, chi sta all’interno lo percepisce come uno spazio che si amplia, e questi spazi sono anche utilizzati
come setti radiali di sostegno. Se all’esterno ci pare una banale ciambella, all’interno abbiamo queste
espansioni radiali, che sono schermate con coppie di colonne. Nel muro interno è esteso il sistema delle
colonne, quindi vi è continuità all’interno del pantheon, vi è una trabeazione che gira tutta la rotonda, con il
muro rivestito da colonna. Dal punto di vista strutturale, mettere delle colonne in questa posizione obbliga ad
una serie di archi di scarico considerevoli (qui vediamo l’immagine senza marmi di rivestimento). L’elemento
più fragile sono sicuramente le colonne, sopra la colonna abbiamo elementi in travertino, in pietra. Gli archi
di scarico sono ottenuti apparecchiando dei mattoni ad archi prima della gettata, con vari archi di scarico con
al di sopra di ogni nicchia è aperta una finestra. E’ complicato il rapporto fra l’arco di scarico e la muratura, in
alcuni punti sono addirittura passanti, cioè coprono tutta la struttura interna al pantheon, affacciandosi
all’esterno della colonna. Non sono archi di scarico senza rapporto con l’esterno, ma coprono l’intero
spessore della struttura con due file di mattoni bipedali, qualcosa intorno ad 120, costruito con una centina
apposita ed al disopra del calcestruzzo.
All’interno: vediamo l’organizzazione architettonica dell’interno. Abbiamo delle finestre vere e delle
finestre finte. In rapporto al muro, qui dov’è pilone, la finestra è finta. Queste finestre hanno lo scopo
abbastanza importante di dare luci agli spazi interni, prelevandola sempre dall’oculo centrale. Parte la luce
dell’oculo, e va fino alle cappelle, attraverso queste finestrature del piano attico. L’esedra principale non si
presenta schermata da colonne, e si presenta piuttosto con una nicchia. Abbiamo delle colonne spostate sui
muri. L’interno del Pantheon è totalmente rivestito in marmi colorati, i capitelli sono ben conservati, abbiamo
un connesso marmoreo, una decorazione che in genere è del tutto perduta, con porfido che contraddistingue
molti di questi elementi, rosso scuro che contrasta fortemente con gli elementi dell’architrave e della cornice.
Qui sono i colori ottenuti dalla ricchezza di marmi, non come nell’antica Grecia. Stessa cosa può dirsi del
pavimento, che alterna porfidi e marmi gialli, ed abbiamo anche utilizzato il marmo verde-antico
nell’architrave piccolino applicato alle murature. I cassettoni era probabilmente decorati in stucco, stucco
dorato, piombo e piombo decorato, forse con rosette.
All’interno il livello di conservazione di questi elementi è molto buono. L’attico del Pantheon non è
quello che attualmente esiste, l’attico si è conservato per secoli, poi non più tardi di poco tempo fa, nella
metà del ’700, per restaurare l’attico, lo stesso è stato completamente demolito per un’architettura moderna,
per incapacità tecnica di consolidare l’attico moderno. Nel 1935 hanno fatto un attico antico falso, ed hanno
costruito questo con un cantiere molto povero, con solo stucchi dipinti, cemento e pittura che funge solo visto
da lontano, abbiamo quindi una parte mal restituita.
 
Villa Adriana. Plinio ci dà l’elenco di tutto quando vi è all’interno, di strutture di grandissimi
dimensioni, non una villa moderna ma un mondo a parte, all’interno di grandi possedimenti agricoli, dove i
rappresentati delle famiglie romane potevano avere delle ville del lusso immenso, con anche delle
attrezzature termali. Le residenza del singolo poteva sfoggiare un lusso analogo a quello delle attrezzature
pubbliche. La villa è stata conservata perché è finita sepolta fra i rovi e nella vegetazione, e perché si trova in
una zona del Lazio finita disabitata dopo la caduta dell’Impero Romano. Il primo che ci parla di questa villa è
Pio II, che parla del ritrovamento di una città. E’ ancora Pio II che collega queste rovine di città a dei testi
classici, come l’Historia Augustea, c’è anche una descrizione di questa villa. Qui Adriano avrebbe replicato
molte delle architetture che avrebbe visto in giro per l’impero, luoghi diversi che ospitano le meraviglie della
tecnica. Oramai è un’area archeologica, con diverse denominazioni come quelle dei 5 canopi, avuti dalle
fonti storiche, ma per i quali non abbiamo alcuna certezza che i nomi corrispondano agli edifici a cui li
abbiamo attribuiti.
E’ una struttura piuttosto complicata, una grande villa, con una serie di fabbricati. Abbiamo una rete
di servizi, come strade, caserme dei vigili e delle guardie, poi piccole e grandi terme. Per ospitare tutta la
corte, abbiamo sale di banchetto, piazze, con sale che danno verso l’esterno e l’interno, e abbiamo altre
strutture definite senza alcuna certezza biblioteca greca e latina, una grande serie di strutture di grande
invenzione architettonica, che ha affascinato molti maestri, con una grande libertà nella disposizione degli
edifici, oltre al libero rapporto che hanno fra di loro. Non c’è una griglia, ma le varie architetture sono
sistemate in rapporto alla vista ed al paesaggio, ciascun edificio ha un asse di simmetria ma tutti insieme
sono montati con una libertà molto forte, come ritroviamo la libertà nelle varie strutture, non ci sono sale
uguali, diversi alzati, c’è una grande attività di sperimentazione.
Stiamo ad un 30 km dall’Urbe, e da una zona in particolari condizioni atmosferiche era possibile
osservare la città di Roma. Abbiamo poi una struttura artificiale contornata da un portico. Per avere una
vasca d’acqua di quelle dimensioni, ottenuta con un terrapieno artificiale, al di sotto osserviamo una serie di
arcate e travature lignee, forse con un’abitazione così organizzata.
Si vede poi una via d’accesso basolata, che si infila in galleria, ed un’organizzazione di passaggi di
servizio e per carri che si avvale di una rete sotterranea di percorsi. Tutto ciò che era servizio veniva
nascosto per privilegiare in superficie la vita della corte. Sull’asse principale si sistemano le piccole e grandi
terme, ed una struttura che si chiama canopo: nell’Egitto sarebbe stato un canale artificiale che si trova nel
delta del fiume, costituito come opera di ingegneria per facilitare la navigazione da una parte all’altra del
delta stesso. E’ la vasca d’acqua più lunga di tutte, che occupata una valle molto stretta, un canale scavato
su questo fondo di valle, è un asse che potrebbe essere stato stabilito a partire dal canopo, replica del
canale dell’antico Egitto sotto forma ludica e forma di padiglione delle feste.
Ancora caserme dei vigili in alto, mentre dall’altro lato gli appartamenti più privati dell’imperatore, con
appartamenti estivi ed invernali. Ed in fondo una struttura di un certo uso, il Padiglione dell’Oro, di
straordinaria ricchezza, perduto in larga parte ma di grande ricchezza per la pianta. C’è un’altra struttura che
viene chiamato Teatro del Mare, della quale non abbiamo ancora sicurezza dell’uso e della denominazione.
Vi ricordo sempre che qui, a differenza delle scuole superiori, abbiamo un dibattito critico riguardo la
storia dell’architettura: ci sono delle evidenze materiali, da confrontare con le fonti antiche, e dobbiamo
rivedere necessariamente le sintesi della storiografia precedente.
Teatro Marittimo: è un padiglione circolare, però invece di essere una costruzione centrale è una
sorta di rovescio: c’è un cilindro molto alto, con delle aperture limitate, che protegge qualche cosa che
avviene all’interno. Qui vediamo un primo anello, che corrisponde a delle colonne, chi era all’interno
passeggiava all’interno di un portico di forma circolare, non percependo la grande altezza del cilindro.
Abbiamo poi la corona d’acqua, ed un’isola, che si collega alla terraferma con due ponti mobili, perduti, che
venivano abbassati ed alzati. L’acqua non è profonda, siamo sui 70-80 cm, ed all’interno c’è una struttura
molto difficile da immaginare, con vuoti e pieni, con cortili e spazi coperti, e ci sono tante ipotesi per la
distribuzione in alzato. Esistono due assi di simmetria, e delle piccole stanze. Il Teatro marittimo poteva
essere un teatro di corte dove un piccolissimo numero di persone assisteva ad una rappresentazione dal
colonnato.
Appartamento privato di Adriano: in questa ipotesi abbiamo qualche cosa di molto sicuro e
privato, dove all’interno aveva il suo appartamento più sicuro e riservato, ma non abbiamo fonti che
collegano questo edificio al suo uso, sta di fatto che è un unicum all’interno dell’impero romano. E’ una
struttura piuttosto complessa, un portico coperto con una forma piuttosto complessa al centro, una parte
quella di sopra regalata all’ingresso, ed altre 3 strutture sono destinate alle stanze. Si muovono dei porticati
con delle geometrie più complesse, questo porticato di forma quadrata, di fatto sono geometrie molto più
complesse costituite a base di archi di cerchi, con delle costruzioni geometriche con centri molto più lontani.
Abbiamo poi delle sale con terminazioni non absidate, ma terminanti con un arco di cerchio.
Canopo: guardiamo con attenzione questa struttura, è una struttura d’acqua che però a differenza
del teatro marittimo prevede anche dei giochi d’acqua, acqua in movimento, che ha quindi bisogno di
acquedotti. Guardando lassù vediamo delle colonne, in parte crollata un’abside, e degli spezzoni di muri
crollati di acquedotti: arrivano quindi due condotte d’acqua, e possiamo rappresentarci questo edificio come
una mostra d’acqua. Si pensa che questo padiglione potesse essere stato utilizzato come ricevimento
dell’imperatore, che accetta omaggi di tipo divino, comparendo come un dio all’interno del suo tempio,
all’interno di una concezione sempre fortemente legata ad un’idea di regalità orientale, e riceve in questo
modo. Questo ninfeo potrebbe quindi servire anche come luogo di banchetti estivi, e mostrarsi alla corte
mentre banchetta.
I rami dell’acquedotto portano l’acqua alla sommità di quest’abside, l’abside presenta una serie di
nicchie, dove ogni nicchia gettava acqua. Poi la nicchia in asse è connessa dietro ad una struttura
architettonica che va all’interno della valle, con una volta a botte, in modo che potesse essere osservato in
una posizione non raggiungibile, aveva una figura quasi divinizzata, era al di là degli altri all’interno di questa
struttura. Altra possibilità è che anche questo potesse servire a spettacoli teatrali. Tutti gli elementi
dell’antiteatro buttavano giù acqua, con soluzioni abbastanza complicate perché l’acqua non cadeva su di un
pavimento piano, ma su elementi ad arco di cerchio che fabbricano livelli diversi. Lungo l’asse abbiamo poi
un’altra vasca, un solaio con volta a botte per permettere l’arrivo di scene: il tutto descrive una visione quasi
magica.
L’acqua ha lo scopo di essere mostrata, l’acqua ha una parte preponderante. E’ un architettura molto
libera nelle intenzioni, non ci sono ripetizioni, c’è un’invenzione in ogni sito, non ci sono analogie fra strutture
come questa ed altre nell’impero romano, si vuole inventare a scopo ludico per esprimere anche nelle opere
dell’architettura quel lusso di vita che si poteva avere solo nel II° secolo.
Questa vasca d’acqua si presenta con telamoni e cariatidi alternate, tutto è in gran parte ricostruito.
La cariatide è stata creata nel V° a.C., ed è un elemento ripetuto nell’attico del foro di Augusto stesso. Non è
una variante della cariatide stessa, si tratta di una citazione di qualcosa che veniva riconosciuto come greco,
e quindi ha aveva valore storico-formale. La ritroviamo sotto forma di decorazione, di preziosità negli
apparati decorativi della villa, che serve solo a tenere un pergolato, solo per arricchire l’immagine
architettonica. Non è un riferimento del tutto gratuito, anche l’imperatore Adriano è noto per aver impiegato
vasti capitali per restaurare molti templi Greci, un omaggio ad una civiltà di 6-700 anni prima, in omaggio ad
una continuità fra le due culture. E’ anche qualche cosa connessa all’architettura vegetale.
L’interno della Villa Adriana, le piccole terme: sono due strutture, due impianti termali, che sono
abbastanza comuni all’interno di case private dell’impero: di terme all’interno delle ville se ne sono sempre
trovate.
Qui si tratta di qualcosa di importante, per l’asimmetria, per le coperture, per la posizione che vede
da una parte l’asse che si incrocia con un asse stradale diverso. Ha 3 sale principali, sono sale che hanno
forme diverse, coperture del tutto diverse, eppure si basano su una geometria d’impianto circolare con lo
stesso diametro. Sono sistemate senza un chiaro rapporto fra di loro. Ciascuna delle 3 sale parte da un
rapporto circolare, con un ottagono costruito da due rettangoli, con concavità su 4 lati e pareti lisce sugli altri.
Ciascuna di queste sale ha delle porte non simmetriche, che dà su sale adiacenti. Partiamo da una base
ottagona, qui abbiamo una partenza più complicata, che possiamo vedere con una copertura che si presenta
del tutto diversa da quella del pantheon: è una copertura a spicchi che abbiamo visto ieri, si pensa di abitare
in una sala, che alterna pareti rettilinee con archi di circonferenza, con una copertura essenzialmente a
spicchi, con una forte connotazione in spazi diversi dal solito. Quindi abbiamo un’aula ottagona, che in alzato
si costituisce in questo modo.
Un’altra sala si apre nelle due sale accessorie (vasche?), con una copertura a crociera. Un’altra sala
ha a che fare con un fronte che prende l’acqua, ed abbiamo piuttosto un banale taglio, con il fronte che
prende luce sulla strada, abbiamo un esterno di terme con quella tipica finestra termale, con una copertura
con dei raccordi fatti sotto forma di abside sotto forma di catino absidale.
Le terme come impianto: ha a che fare con una tecnica di riscaldamento e distribuzione dell’acqua, e
di sale riservate a diversi bagni. All’interno avevamo bagni tiepidi, caldi e freddi, nelle sale del calidarium,
tepidarium, frigidarium, natatio, laconicum… ed all’interno anche palestre sportive- Avevamo bagni per
uomini e per donne, i primi più grandi e più belli. Hanno due ingressi, ma dal punto di vista del
funzionamento l’impianto è lo stesso. Non si sa chi fossero i destinatari, se le terme fossero divise per censo
o classi sociali. E’ certo però che le terme hanno grande successo, Pompei ne ha addirittura 3 , fatto
eccezionale per una città così piccola.
Vediamo un’immagine: è un’architettura tutta di opus cementicium, tutta voltata e permette il
concatenamento fra le sale.
L’acqua si scalda con dei grandi recipienti di metallo, e non abbiamo conservato nessuno di questi
grandi contenitori di metallo. Altra tecnologia interessante è il controllo ambientale della sala, che è
riscaldata attraverso il pavimento. Lo stesso pavimento è riscaldato, e connesso a delle strutture di servizio.
L’arco comunica ad un livello molto basso la sala termale con la struttura di servizio, in mano agli schiavi,
che dovevano tenere sempre accesi i fuochi. Il pavimento poggia su delle file di mattoni, una sorta di
gattoiolato, si tratta di qualcosa che sospende il pavimento sopra questi mattoni. Ci sono dei pavimenti a 50-
60 cm di battuto, che costituiscono la base della sala termale vera e propria. Abbiamo poi un trattamento
diverso della vasca con il concio pesto, con polvere di mattoni che produce qualche cosa che diventa
abbastanza impermeabile alle acque. La struttura è ventilata attraverso dei tubuli, per garantire l’aerazione:
sono dei laterizi a sezione quadrata, che vengono sistemati l’uno sull’altro addossati alla parete (con uno
strato di gesso), e poi una finitura esterna in lastre di marmo. Questo è il pacchetto sezionato perché in fase
di rovina, i tubuli sono messi l’uno sopra l’altro.
Altro impianto termale: vediamo l’uscita del troppo pieno di una vasca, condotte in esterno ricavate
nel muro in opera laterizio con un finto arco.
Impianto delle terme studiane a Pompei: l’impianto delle terme è diviso in maschi e femmine, più
parti di palestre e cortile scoperto, piscine d’immersione, una struttura stile pantheon nel tipo di copertura,
con molte altre volte a botte, sono strutture che evitano accuratamente le coperture lignee, anche perché
solo lo spessore dell’opus è capace di fare schermo della reazione termica fra l’esterno e l’interno. Abbiamo
poi opera strigidata di decorazione, a fasce parallele all’interno. Vediamo poi un’opera molto elegante
realizzata in stucco, e possiamo ancora vedere gran parte della decorazione originaria, non è uno stucco
bianco ma è tutto rivestito in oro, che brilla in rapporto alla luce.
Anche il Pantheon che abbiamo visto ieri si trova ad essere man mano connesso alle terme di
Agrippa, di cui si è conservata ad una rotonda, poi degli scavi, e poi un disegno fantasioso di Palladio, che ci
dice che le terme di Agrippa erano connesse direttamente al Pantheon. Il retro del pantheon che noi non
potevamo osservare possiamo iniziare a pensare che fosse connesso ad una grande sistemazione. Le
terme di Agrippa, per il tipo di grandezza non possono che essere di ricostruzione adrianea.
Gli impianti termali iniziano ad essere sempre più grandi. Andando da Tito, dall’80 d.C. , sono
strutture che diventano sempre più grandi, che non hanno quelle caratteristiche di concatenazione spaziale
che abbiamo visto all’interno della villa di Adriano, e sono rigidamente simmetriche su degli assi riconosciuti.
Il circo ha una posizione importante rispetto al Palatino. Questo grande circo è in rapporto ai palazzi
imperiali, è strettamente connesso al palazzo imperiale, così l’imperatore si affacciava dall’interno del suo
palazzo al circo.
Le Terme di Diocleziano sono state trasformate in chiesa da Michelangelo, le Terme di Caracalla
sono rimaste allo stato di rovina, è una struttura termale di grandissime dimensioni. Abbiamo recinti termali
in più quartieri della città, possiamo pensare che in tutta la città vi erano diverse terme, come quelle di
Caracalla, costruite nel 188-197, nel tardo secondo secolo, e le Terme di Diocleziano (256-205).
Terme di Caracalla. Abbiamo conservati impianti termali dell’intera Europa, la dimensione più
straordinaria degli impianti è quella raggiunta nella capitale. Sono strutture molto simili, con caratteristiche
generali. L’asse centrale di questo insieme è l’asse caldo-freddo (nella rotonda marcata n°6 tutte queste
esedre sono vasche di acqua calda, ed i forni sono strutture sotterranee intorno a questo anello). Nello
stesso asse abbiamo il frigidarium il tepidarium e la vasca termale. Intorno abbiamo una
monumentalizzazione straordinaria degli impianti termali, che erano costruiti come dei grandi recinti, dei
complessi amplissimi, dei recinti con all’interno degli spazi non costruiti, che presumibilmente venivano
adibiti ad attrezzature sportive, abbiamo anche qui dimensioni monumentali. Abbiamo un recinto interno ed
un blocco esterno. Ha un impianto fortemente simmetrico: queste terme sono finite in una parte di Roma
completamente disabitata, quindi sono poco ruinate, salvo ovviamente il marmo che è stato spogliato e tirato
via, in questo luogo scavando sono stati trovati dei gruppi scultorei di grande rilevanza, come il Laoconte,
l’Ercole Farinense, era qualche cosa che è solo la rovina dell’architettura e del colore dell’opus cementicium,
ma all’interno straordinario per i suoi marmi e per l’apparato scultoreo, oggi nei musei vediamo tante sculture
qui rinvenute. Facciamo attenzione all’andamento orografico della collina: gli ingressi alle terme si trovano in
basso vicino alla strada, mentre lungo l’asse si sale. Il muro dell’ingresso non è complanare al complesso
delle terme, c’è un salto, e, lungo la strada abbiamo delle tabernae, botteghe, con un colonnato antistante. Si
poteva entrare con delle scale, si arriva con una spianata da una parte e dall’altra. Vediamo lì la collina,
l’acqua non può che arrivare alla parte più alta, è un’acqua utilizzata con grande ricchezza per mostre
d’acqua. L’arrivo dell’acquedotto ha a che fare con delle riserve (16): è stato prima interpretato come
gradinata per il pubblico delle corse, oggi si tende ad interpretarlo come fontana monumentale, poi ci sono
altre strutture che potrebbero essere considerati castelli d’acqua. Le terme sono un grande iceberg, tutte le
gallerie di servizio sono di sotto. E’ una grande struttura degradante. Abbiamo 3 gallerie in parallelo,
abbastanza grandi da poter ospitare carri con cavalli, che passano perpendicolarmente all’asse all’altezza
della sala calda. C’è un’intera popolazione di schiavi che vive nelle gallerie per far funzionare questa grande
macchina. E’ stato calcolato che il volume di un’intera riserva di materiale combustibile poteva funzionare per
lunghi periodi. La galleria girava intorno alla rotonda, e l’acqua veniva scaldata attraverso stufe di metallo. La
rotonda è del tutto perduta, non abbiamo nemmeno tracce per terra, ci sono soltanto dei grandi avvallamenti.
La rotonda offre dei problemi abbastanza complessi nella restituzione tridimensionale. Una rotonda espansa
in una serie di vasche radiali, e nelle parti più in basso ci sono invece tracce di vasche. Se guardiamo i
piloni, vediamo delle strutture che hanno degli elementi di alleggerimento all’interno, come il Pantheon ne
aveva scavate di simili, con all’interno poteva contenere delle strutture per riscaldare le acque. C’è una volta
di un nuovissimo tipo, una volta diversa da quella del Pantheon, con una copertura poco più piccola più alta
e più leggera, che concentra piuttosto ripartizioni del peso su dei grandi piloni piuttosto che su un cilindro.
Questa pianta dev’essere anche interpretato con la copertura: è tutto coperto, tranne due cortili di servizio ai
lati del tepidarium. Conosciamo bene il frigidarium, perché è una struttura che è stata replicata tante e tante
volte (conservata bene nelle Terme di Diocleziano), e la basilica di Massenzio ha lo stesso sistema
strutturale (esempio civile del IV° secolo). Abbiamo come copertura una struttura molto grande rettangolare
con 3 crociere: la parte centrale ha una grande piscina scoperta, con dei fronti monumentali, mentre ora
siamo abituati a vederla senza recinti, una sala senza soffitto. Ha poi due fronti, un muro verso l’esterno che
si presenta come un muro alto 10m, senza decorazione, dall’altro lato una serie di edicole (coppia di
colonne, frontespizio e statua) due ordini di edicole una sopra l’altra, che oltre ad ospitare statue avevano
giochi d’acqua, che da un’altezza di 5-6 metri cadevano all’interno della piscina. Abbiamo poi situazioni
diverse che hanno sempre a che fare con situazioni monumentali: il frigidarium funziona quasi come una
basilica, un grande spazio coperto pubblico, con un rapporto diretto con le altre sale. Quindi si apre questo
spazio con delle vasche a livello. Fra il frigidarium e la piscina, c’era una vasca centrale (?), quindi dobbiamo
pensare ad uno spreco d’acqua gigantesco, che portano tantissima acqua.
Restituzione del fronte, che è sempre schermato da colonne. E’ un’architettura, che vi dicevo, si
presenta schermata da colonne. Abbiamo poi 8 colonne, connesse in alzato con la copertura principale, del
frigidarium, erano le vasche d’acqua.
Guardiamo la palestra: all’interno di un sistema complesso vediamo le vasche del tiepidarium
stavano ai lati, mentre nel frigidarium erano ai 4 estremi dei due lati lunghi. Vediamo dei mosaici di fattura
abbastanza modesta, con delle proporzioni da crisi dell’arte classica. Abbiamo una corte antistante di forma
rettangolare, che ha perduto completamente il portico. E poi è perduto del tutto il portico che era all’intorno.
Abbiamo una grande volta, un mezzo Pantheon. La stessa struttura l’avevamo vista nel foro di Augusto. E’
un motivo che prosegue nei secoli successivi, una grande esedra monumentale con catino absidale, spazio
straordinario prima di entrare nel frigidarium. Il colonnato da una parte poggia sul muro e dall’altra poggia sul
muro: se sopra un colonnato non mettiamo una travatura lignea, avremo uno spazio molto alto per
nascondere la volta a botte, abbiamo uno spazio antistante che è un piano attico, esattamente come si
presentava nel foro di Augusto.
Qui ci sono tracce abbastanza evidenti dell’interno: vi è l’opus cementicium, la camicia esterna in
opera listata-mattoni, poi buchi che rimandano a grappe, e vi sono anche in alcune parti degli elementi
ancorati di pezzi di marmo vari, residui di lavorazione del marmo che sono rimasti incollati alla volta e che
servivano ad incollare la decorazione successiva. Abbiamo quindi la decorazione di qualche piccola parte. E’
rimasta la trabeazione infissa di una parte piccolissima del colonnato, vi è un architrave ed un fregio. Il muro
presenta dei fori, che sono serviti al montaggio delle impalcature, (a Massenzio ogni m20 di altezza sono
serviti a dei costoni per un impalcatura mobile, siamo ancorarti man mano che la costruzione sale). E’ un
architrave fregio-cornice identico a quello che stava all’esterno, tutto l’interno presentava un architrave
fregio-cornice.
Restituzione piuttosto interessante su come venivano gettate le volte in opus cementicium.
Dobbiamo pensare ad una centina di legno, .. abbiamo poi mattoni fuoriformato, poi mattoni più piccoli che
sono posti al di sopra molti nella sistemazione che immaginate ed altri di taglio, che servono a meglio
collegare il laterizio con il getto di opus cementicium.
 
3 volte su 8 piloni ortogonali , 4 per ogni lato lungo, per la copertura… con 8 colonne.
 
Massenzio è l’imperatore battuto da Costantino, che ebbe visione della Croce prima dello scontro
finale con Massenzio, ed a causa di questo fatto si convertì al cristianesimo.
La Basilica di Massenzio a noi interessa perché è la prima basilica costruita dopo la basilica Ulpia,
che ha un ruolo simile. Il confronto è molto istruttivo, perché l’Ulpia è colossale, a 5 navate ma con coperture
lignee per la navata maggiore e volte per le galleria, ma la stessa dimensione è ottenuta da Massenzio con
l’opus cementicium. La pianta è essenzialmente la stessa del frigidarium quindi si passa da una parte
all’altra, ed è chiusa dopo i piloni. Ha una storia complessa, si entrava in asse e dalla parte opposta un
abside, quando Massenzio è stato battuto ed è morto, Costantino eredita anche il cantiere e lo trasforma in
altro modo. Sposta l’ingresso in un altro posto, sul lato lungo, e costruisce un piccolo portico colonnato, e
costruisce una nuova esedra. Sono state conservate delle colonne di porfido: questo materiale
nell’architettura egiziana veniva riservato essenzialmente ai sarcofagi, ed essendo durato veniva lavorato
con altre pietre come la diorite. Si tratta di grandi colonne, ed il porfido si connota come attributo imperiale,
perché color porpora, il porfido era una connotazione del potere piuttosto che del lusso. E’ possibile che in
questo punto dell’abside fosse esposta una statua colossale dell’Imperatore Costantino, e ne sono rimaste
delle dita, una gigantesca statua all’interno di questa basilica. Abbiamo 6 nicchie, divise da 8 colonne, e
dobbiamo illuminare la parte centrale, l’aula basilicale. Abbiamo 3 crociere che costruiscono a partire da due
botti incrociate. In corrispondenza dell’inizio di ciascuna volta abbiamo una volta a crociera che però non ha
funzione portante. Abbiamo grandi finestre termali in sommità, qualcosa di non molto dissimile dai mercati di
Traiano. Le finestre arrivano dalla sezione delle crociera sopra l’inizio dei setti, ed il tetto in origine era
ricoperto da tegole sostenute da incavallature lignee, con tegole non di bronzo ma di laterizi. Gli spazi sopra
le nicchie sono coperti (che per le terme contraddistinguevano le vasche d’acqua) da contraffortature molto
forti per le volte a crociera, e sono coperti con volte a botte, che si sistemano ortogonali a questa struttura, e
assorbono le spinte laterali di questo sistema così complesso. E’ un sistema con 3 crociere, un sistema di
volte a botte cassettonate, quindi tessute su questa direzione. Si ritorna sul sistema di cui abbiamo parlato:
le sale di dimensione straordinarie quando sono coperte in opus cementicium hanno delle spinte laterali
molto forti, e sono assorbite da degli spazi laterali, spazi accessori che corrispondono a delle strutture più
basse di servizio. C’è quindi da fare una riflessione sulla pianta, sull’organizzazione delle pianta delle terme
di Caracalla: è difficile se non impossibile pensare ad una stanza che non si regge nemmeno da sola, c’è
una gerarchia fra spazi più alti e più bassi, quindi esisterebbe se vogliamo un principio compositivo, con gli
spazi più alti al centro, e poi un’organizzazione radiale o lineare, con un’organizzazione di spazi accessori
sugli stessi assi. Sono tutte costruzioni l’una che regge le spinte dell’altra, l’abilità dell’architetto è quella di
conformare spazi sempre nuovi, ma con lo stesso sistema: il crollo delle volte è dovuto alla mancanza di
manutenzione dei templi, mentre questo è stato sempre utilizzato come chiesa.
 
Sempre nell’area dell’Impero, vediamo cosa accade nel IV° secolo: in particolare a Roma, a Milano e
Costantinopoli. Spostiamo il nostro punto di vista sulle strategie urbane, e sulle diverse configurazioni che
assumono queste città. Su questo argomento, lo studioso tedesco Krautheimer Richard, ha scritto “Tre
capitali cristiane”, Einaudi, un libro a cui per essere perfetto manca solo un capitolo su Ravenna, per stessa
ammissione dell’autore.
La religione non è più legata alla divinizzazione dell’imperatore: osserviamo quindi succede quando
cambia totalmente una religione, quando diventa ufficiale un nuovo modo di pensare e di organizzarsi.
Queste tre città vengono investite da cambiamenti piuttosto importanti dal punto di vista organizzativo,
esemplificato dal cambio di baricentro politico delle stesse, dal senato si passa alla cattedrale.
Nel 312, con la vittoria su Massenzio, e nel 323 su Licinio Crispo in oriente, Costantino ritorna l’unico
reggente dell’impero dopo la precedente divisione in quattro parti. Abbiamo visto la basilica di Massenzio,
costruita dal nemico Costantino il Grande, che all’interno della tradizione romana ha finito di costruire questa
basilica, invertendo l’orientamento, con ora un ingresso nel senso trasversale, col porfido come collocazione
imperiale dell’edificio.
 
Arco di Costantino E’ una struttura del tutto celebrativa, che nasce come una sorta di porta
urbica trasposta fuori dalla cinta muraria, e serviva alla celebrazione del trionfo del ritorno del comandante
militare vincente. Per lasciare un ricordo di questa vittoria veniva eretto un monumento. L’arco di Costantino
ha una storia all’interno dell’architettura e della scultura, piuttosto interessante. E’ un arco a tre fornici, uno
maggiore dedicata ai carri, e le altre due ai pedoni. Gli archi sono inquadrati da un ordine di 4 colonne su
piedistalli, poi una trabeazione ed un piano attico (in quanto il secondo piano ha uno spazio troppo basso per
poter reiterare un ordine), ed abbiamo 4 statue che rappresentano popoli assoggettati. Durante il restauro si
è approfondito il tema dei rilievi ivi presenti, di fattura molto ineguale, che fa sì che ci siano delle lavorazioni
di qualità molto differente, com’era stato notato già nel ‘500, unendo in un unico monumento arte della
scultura alta e arte della decadenza. Pare sia un assemblaggio di pezzi antichi e nuovi, dove i più antichi
presentano una qualità molto alta. Le novità dei restauri degli ultimi anni, quelli più accettabili, ci dicono che
l’arco era stato già costruito quanto è stato decretato il trionfo di Costantino, e sarebbe stato un arco di
epoca Adrianea, completato poi con dei partiti scultorei più tardi. Nel IV° secolo l’arte della scultura era
un’arte in profonda decadenza, rispetto a quanto visto precedentemente.
 
Nel 313 ricordiamo nuovamente l’editto di Milano, una data fondamentale per la storia dell’Europa, in
quanto a partire da quella tutti i cittadini dell'impero avevano il diritto di scegliere la loro religione e di
praticarla senza impedimenti. Solo da quell’anno in poi si potè dire che vi fossero delle chiese in territorio
italiano e nell’impero d’occidente, ci sono dei luoghi utilizzati per la nuova religione. Vi furono periodi di
persecuzione e di tolleranza: bisogna capire dal punto di vista teologico perché i cristiani erano perseguitati,
il potere romano è fortemente collegato all’idea che ciascun imperatore alla sua morte diventa divino, capite
bene che il rifiuto da parte dei cristiani di fare offerte alle statue del potere divinizzato, è un atto di
insubordinazione politica che non può essere accettato. D’altra parte ogni cittadino romano poteva
professare nella sua abitazione il culto che voleva, già con Adriano abbiamo visto l’importanza di Iside della
religione egiziana, abbiamo visto nella Pompei riscoperta vi era un Iseo, un santuario dedicato ad Iside,
anche nelle Terme di Caracalla, nella parte inferiore dove lavoravano gli inservienti, è stata rinvenuta una
sala dedicata al culto di Mitra, dunque c’era una forte libertà di culto.
Due immagini a confronto: vediamo da un lato San Martino ai Monti, nelle cui fondazioni si è trovata
una domus, quella che viene chiamata domus ecclesiae. Accadeva cioè che una parte della casa di un
privato cittadino fosse trasformata in chiesa, in quanto ciascun romano all’interno della propria proprietà
poteva dedicare una sala ad un culto di qualsiasi tipo, ed era libero di pratica il culto che desiderava
all’interno del proprio territorio. Infatti, molte delle chiese più antiche d’Italia e di varie parti dell’Impero, sono
nate all’interno delle proprietà dei cittadini convertiti.
Abbiamo poi le catacombe, tombe che vengono realizzate in cunicoli realizzati fuori dalle mura di
Roma. Le cappelle che vediamo all’interno delle catacombe, sono cappelle funerarie, al di fuori delle mura
urbiche della città vi sono anche catacombe ebraiche, o tombe di gruppi familiari, che sempre utilizzano
scavi sotto forma di cunicoli ed altre sistemazioni cimiteriali di questo tipo. Dobbiamo pensare ad un culto
permesso, basta che questo fosse privato. Nel 312 dopo la battaglia vinta a PonteMilvio, Costantino fa due
doni di straordinaria importanza, permettendo col suo denaro la costruzione di due basiliche: San Giovanni
in Laterano e San Pietro in Vaticano, costruite in stretta contemporaneità con il completamento della Basilica
di Massenzio al foro.
La prima donazione è San Giovanni in Laterano, che si situa ad est piuttosto che nell’area centrale,
in è un’area compresa all’interno delle mura ma connessa ad una parte di città mai fittamente abitata, ma
sede di tantissime grandi ville. Ville che però nel corso del IV° secolo erano tutte poco abitate, in quanto
Roma perdeva popolazione, avendo perso il suo ruolo di capitale. Infatti anche lo stesso Costantino non ha
mai riseduto a Roma stabilmente, e la sua la corte si spostava di città in città, ma non ha mai tenuto corte a
Roma. Costantino, seppure lui stesso fosse convertito e professasse libertà di culto, situa la chiesa ad una
distanza notevole dal centro, perché il senato, in quel momento ancora molto forte, era ancora formato in
maggioranza da famiglie pagane. Costantino ha paura di una sollevazione violenta da parte del senato e del
popolo in caso di provocazioni eclatanti all’interno del foro romano, quindi realizza tutto questo all’interno di
una proprietà privata, in parte della sua famiglia ed in parte una caserma. Pare che ques’ultima fosse una
caserma di cavalleria fedele a Massenzio, poi rasa al suolo. Il terreno confiscato viene utilizzato per una
chiesa, che dobbiamo comunque pensare come una domus ecclesiae, all’interno di una proprietà imperiale,
che diviene sede del vescovo di Roma.

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