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Abstract Although Frye and Bachtin seem to ignore each other’s writings, there is more than
one evidence that their thinking and ideas about literature can be compared and partially
superposed.
Focusing on Anatomy of Criticism this paper stresses the similarity with bakhtinian concept of
satire and carnivalesque (in a Christian sense), with dialogism and intertextuality; moreover
the two thinkers share a comparatistic and anthropological approach to western literature.
1. Cfr. «Venti anni di studi di Michail Bachtin in lingua russa: repertorio bibliografico
ragionato e commentato (1995-2015)», a cura di S. Sini, Moderna XVI (2014), 1-2, pp.
215-421.
2. Purtroppo, non esistono traduzioni impeccabili, soprattutto perché perlopiù il traduttore,
quand’anche sia esperto della lingua (e, sperabilmente, della cultura) del testo originale,
non può spesso padroneggiare tutti i riferimenti storici, letterari, filosofici, artistici che
l’autore dissemina nel proprio testo, a meno che non sia assistito da un curatore/editor
enciclopedicamente attrezzato. Quando poi, come nel caso di Frye, l’autore usa un
Se pensiamo a una poesia come unità e in relazione ad altre poesie, possiamo vedere che lo
studio dei generi deve essere basato sullo studio della convenzione. La critica che voglia
occuparsi di simili problemi deve essere basata su quell’aspetto del simbolismo che pone in
rapporto tra loro le singole composizioni poetiche, e sceglierà come campo di indagini i simboli
che collegano tra di loro le poesie (p. 126, corsivo mio)5.
Il discredito della convenzione sembra essere uno dei risultati, e può anche essere un aspetto
della tendenza, che risale al Romanticismo, di concedere all’individuo la priorità sulla società.
La concezione opposta, per la quale il bambino è condizionato dalla parentela che lo attornia e
da una società preesistente, ha il vantaggio iniziale di essere più vicina ai fatti di cui tratta,
qualunque dottrina se ne possa dedurre. In letteratura, la conseguenza di questo secondo punto
4. Cfr. «La parola, il dialogo, il romanzo» (1967), in J. Kristeva, Semeiotikè. Ricerche per
una semanalisi, Milano, Feltrinelli, 1978, pp. 119-143.
5. Ancora nell’ultimo suo lavoro, Il potere delle parole, egli ribadisce che «le opere letterarie
comunicano per mezzo di insiemi mitici» (p. 44) e «la discendenza letteraria reale non
avviene mai attraverso i singoli scrittori, bensì attraverso le convenzioni e i generi» (p. 66).
56 Massimo Bonafin
di vista è che la nuova poesia, come il nuovo bambino, nasce in un ordine preesistente di parole
ed è tipica della struttura poetica a cui si riallaccia (p. 128, corsivo mio)6.
Non è un caso che siano queste le pagine in cui si insiste sulla natura e
la potenzialità comunicativa della convenzione, sull’aspetto sociale della
poesia, «considerata come punto focale di una comunità» (p. 130). Qui cade
anche l’enfasi sull’archetipo in quanto simbolo comunicabile, «cioè una
immagine tipica e ricorrente. Indichiamo con archetipo un simbolo che
collega una poesia ad altre poesie e serve a unificare e integrare la nostra
esperienza letteraria» (ibidem)7. Perciò la critica archetipica si occupa delle
relazioni di un’opera con il resto della letteratura.
Non solo. Lo studio dei grappoli associativi condensati negli archetipi
porta il critico a superare le gerarchie di valore tradizionali che pretendono
di distinguere la letteratura dotta e alta dalla letteratura popolare e bassa:
6. In Favole d’identità (nel saggio su «La Natura e Omero», pp. 48-64) l’onnipresenza della
parola, già data e formata, direbbe Bachtin, frapposta fra noi e le ‘cose’, e poi codificata in
generi discorsuali, è declinata in questi termini: «Non vi sono primitivi oggi e non è
possibile rintracciare l’origine del primo impulso a sistemare certe cose in forma letteraria.
Ciascuno di noi, comunque, vive in continuo contatto con le parole. In gran parte questo
contatto è con parole usate a scopo descrittivo …. Ma vi è un residuo contatto con parole
usate per divertimento nel senso più ampio. Per i letterati una buona parte o la maggior
parte di questo contatto è con la letteratura …. Per la gente di gusti non prevalentemente
letterari questo contatto assume varie forme sottoletterarie» (fumetti, gialli, televisione,
barzellette, pettegolezzi…) che sono «la continuazione dell’esperienza letteraria popolare
del passato» (p. 59 corsivo mio); notevole la conseguenza che Frye ne trae sulla
permeabilità costante fra letteratura e cultura popolare: «in questo senso il popolare è il
primitivo contemporaneo» (ibidem) e il folklore è sempre una risorsa per nuovi e originali
sviluppi letterari (p. 60). «Dovunque egli [=il critico] si rivolga nella sua esperienza
immaginativa verbale, sono le convenzioni della letteratura i confini dell’esperienza; le
loro leggi formali imperano ovunque; e da questo punto di vista non c’è differenza tra colto
e popolare nel mondo delle parole» (p. 64, corsivo mio).
7. Cfr. d’altronde anche: «Per archetipo intendo un simbolo letterario, o un gruppo di simboli,
usati con ricorrenza attraverso tutta la letteratura e divenuti pertanto convenzionali. …
L’origine storica della convenzione può essere sepolta nel rituale, ma rimane sempre
latente, e non solo nella letteratura ma anche nella vita» (Favole d’identità, p.156, corsivo
mio). Una prospettiva parimenti degna di interesse con cui confrontare la ‘critica
archetipica’ di Frye è quella, mai entrata finora nel dibattito critico occidentale, di Eleazar
M. Meletinskij, Archetipi letterari [1994], ed. ital. a cura di M. Bonafin, Macerata, Eum,
2016.
Tra Northrop Frye e Michail M. Bachtin 57
infatti «è più facile studiare gli archetipi in quella letteratura che rivela un
alto grado di convenzione; letteratura che, per la maggior parte, è ingenua,
primitiva e popolare. Suggerendo la possibilità di una critica degli archetipi,
suggerisco anche la possibilità di estendere a tutto il resto della letteratura
il tipo di studio comparativo e morfologico che è attualmente adottato per i
racconti e le ballate popolari» (p. 137, corsivo mio).
Qui, a mio vedere, si apprezza sia la concordanza di impostazione con il
Bachtin che ricorre alla cultura popolare per interpretare le grandi tradizioni
del romanzo e i grandi autori come Rabelais e Dostoevskij sia la
proposizione di una metodologia di analisi letteraria che deve molto allo
studio del folklore (si pensi a Vladimir Ja. Propp, per non dir altro).
Il sentimento di questa relazione ineludibile tra letteratura e cultura
popolare si avverte anche in altri passi dell’Anatomia della critica. Sono noti
i debiti intellettuali di Frye con i ritualisti di Cambridge e con l’opera di sir
James Frazer in particolare8: come Bachtin istituisce una correlazione fra il
Carnevale e la letteratura medievale e rinascimentale, il critico degli archetipi
si interessa ai moduli rituali che intervengono come contenuti narrativi delle
opere (iniziazioni, matrimoni, funerali, re per burla ecc.).
Anche per questo Frye valorizza particolarmente il modo del romance,
in cui «l’interscambio tra ballate, racconti popolari e fiabe era
frequentissimo» (p. 153): anzi, egli giunge a definire la letteratura popolare
nel suo complesso come quella «che offre una chiara visione degli archetipi»
(ibidem).
Queste idee di fondo, raccolte attorno all’insistenza sul carattere
relazionale e semialtrui della scrittura letteraria, sulla permeabilità dei confini
fra letteratura e folklore, sulla condivisione di un patrimonio rituale, da sole
forse non bastano a convalidare il confronto fra i due pensatori, ma
forniscono già un valido ordito su cui innestare qualche altro riferimento più
ancorato a temi e motivi concreti di storia della cultura e della letteratura.
Nel terzo saggio dell’Anatomia della critica, «Critica archetipica»,
laddove tratta del mythos della primavera, che si invera nell’intreccio
archetipico della commedia, Frye scrive che
il mythos completo della commedia … ha regolarmente quella che in musica viene chiamata
una forma ternaria: la società dell’eroe si ribella alla società del senex e trionfa, ma la società
dell’eroe è un Saturnale, un rovesciamento dei moduli sociali che presuppone un’età dell’oro,
anteriore all’inizio dell’azione nella commedia (p. 227, corsivo mio).
Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la
coorte. Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto e, intrecciata una corona di spine,
gliela posero sul capo, con una canna nella destra; poi, mentre gli si inginocchiavano davanti,
lo schernivano: «Salve, re dei Giudei!». E sputandogli addosso gli tolsero di mano la canna e
lo percuotevano sul capo. Dopo averlo così schernito, lo spogliarono del mantello, gli fecero
indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo (Matteo, 27, 29-31)9.
Nel mito, l’eroe è un dio, e quindi non muore, ma muore e risorge. Lo schema rituale che sta
alla base della catarsi della commedia è la resurrezione che segue alla morte, l’epifania o
Il paradosso di una vittoria nell’ambito della tragedia si può spiegare esaminando la doppia
prospettiva che l’azione offre. Sansone è una figura di buffone in un carnevale dei Filistei e
allo stesso tempo un eroe tragico per gli Israeliti, ma la tragedia finisce con un trionfo e il
carnevale con una catastrofe. Lo stesso si può dire per il Cristo schernito nella Passione (p.
294, corsivo mio)10.
10. Ancora nel suo ultimo libro, Il potere delle parole, egli annota: «Gesù è un re archetipico
divino, proprio perché non è riconosciuto come tale, eccetto che per scherno» (p. 293).
Poco dopo, esplicitando e reinterpretando la matrice antropologica di queste considerazioni,
Frye scrive una pagina illuminante anche, a mio avviso, per intendere a dovere il Carnevale
bachtiniano: «i rituali ricostruiti da Frazer comprendono l’usanza di nominare un sovrano
temporaneo o un finto re: questa figura è associata talvolta a un periodo di carnevale
autorizzato; il fattore mitologico principale del carnevale è che esso riproduce un’età
dell’oro originaria, caratterizzata dalla libertà e dall’uguaglianza, come il regno di
Saturno nella mitologia romana. Nei saturnali stessi, il carnevale più noto del mondo antico,
appare in maniera esplicita la visione di una società in cui i servi sono uguali ai signori.
Anche Gesù, del resto, non è solo un dio-vittima della genealogia di David, come dice
l’iscrizione “Dio degli Ebrei” sulla croce, ma un re finto o carnevalesco, il quale, nonostante
la corona di spine, promette un paradiso al ladrone pentito, a dispetto di ciò che ha stabilito
l’autorità secolare. Se ci chiediamo perché il finto re (il cosiddetto “interrè”) venga associato
con un’età dell’oro, la risposta può essere che egli rappresenta un’interruzione dell’ansia
della continuità, la speranza di non dover più dipendere dal ciclo naturale e di una
trasformazione della vita umana nel corso del tempo. Ancora una volta, il rituale ciclico
non può escludere totalmente la speranza apocalittica di una rivoluzione che rovescerà
senza poi restaurare» (pp. 295-296, corsivo mio). Con il che, a mio vedere, è messa una
pietra tombale su tutte le banalizzanti interpretazioni ‘quaresimali’ del carnevalesco
bachtiniano.
Tra Northrop Frye e Michail M. Bachtin 61
11. Anche Frye del resto sembra riconoscere l’ambivalenza del riso nelle pagine introduttive
ai temi dell’ascesa (da un mondo inferiore e a un mondo superiore) nel romance (La
scrittura secolare), che implicitamente rinviano anche al riso rituale nel folklore
(nell’interpretazione di Propp). «Dal momento che l’eroe o l’eroina entrano nel labirintico
mondo inferiore gli umori prevalenti sono quelli del terrore o della soggezione acritica. A
62 Massimo Bonafin
Le convenzioni sociali fanno sì che la gente mostri una bella facciata, per mantenere la quale
bisogna scindere la dignità di certi signori o la bellezza di certe donne da ogni immagine di
escrezione, di copulazione o di altre simili imbarazzanti situazioni. Il riferimento continuo a
questi atti porta a una democrazia «del corpo» corrispondente alla democrazia della morte nella
danse macabre (p. 314).
un certo punto e forse quando lo sforzo … si fa insopportabile, vi può essere una rivolta
della mente, un distacco ricuperato, la cui tipica espressione è il riso. L’ambiguità
dell’oracolo diviene l’ambiguità del motto di spirito, qualcosa di indirizzato a una
comprensione verbale che scuote la mente e la rende libera. Questo punto è inoltre
caratterizzato da mutamenti generici dal tragico e ironico al comico e satirico. Così in
Rabelais gli immensi giganti, la ricerca di un oracolo e altri temi del mondo inferiore che
in contesti differenti sarebbero spaventosi e incuterebbero soggezione, vengono presentati
come farsa. … Secoli or sono si narrava la storia di come Demetra vagasse per il mondo
alla ricerca infruttuosa della sua perduta figlia Proserpina, e sedesse solitaria e triste in una
capanna di pastori finché le facezie e i motteggi osceni di Iambe la giovane fantesca e
Baubo la vecchia nutrice non la persuasero a sorridere. I misteri eleusini stabiliti da Demetra
erano riti di iniziazione solenni e terribili connessi al ciclo della rinascita e della fertilità;
ma Iambe e Baubo aiutarono a garantire che di essi vi fossero anche le parodie comiche,
come le Rane di Aristofane. Secondo Plutarco coloro che discendevano nella caverna tetra
dell’oracolo di Trofonio avrebbero dopo tre giorni ricuperato la capacità del riso» (pp. 131-
132, corsivo mio). Sul mito di Baubò in relazione al riso, mi permetto di rinviare a M.
Bonafin, «Osceno, risibile, sacro: Iambe/Baubò, Hathor, Ame-no-Uzume e le altre»,
L’immagine riflessa n. s. 14 (2005), pp. 35-56.
Tra Northrop Frye e Michail M. Bachtin 63
La satira menippea non si occupa tanto della gente in sé quanto degli atteggiamenti mentali.
Troviamo in essa pedanti, bigotti, eccentrici, parvenus, dilettanti, fanatici, professionisti di ogni
tipo rapaci e incompetenti, che vengono osservati e colti nel loro atteggiamento professionale
12. «In ogni epoca la classe sociale o intellettuale dominante tende a proiettare i suoi ideali in
una qualche forma di romance, in cui gli eroi virtuosi e le eroine bellissime rappresentano
gli ideali, e i cattivi la minaccia che ostacola l’influsso dei primi sulla società. … E tuttavia
nel romance vi è un elemento genuinamente “proletario” che non è mai soddisfatto dalle
sue varie incarnazioni, e infatti le incarnazioni stesse indicano che per quanto grande possa
essere il cambiamento che avviene nella società, il romance comparirà di nuovo» (p. 247).
64 Massimo Bonafin
verso la vita in quanto distinto dal loro comportamento sociale. La satira menippea assomiglia
quindi alla confessione nella sua capacità di trattare idee astratte e teorie, mentre differisce
dal romanzo [novel] per ciò che riguarda la caratterizzazione dei personaggi, che è stilizzata
piuttosto che naturalistica; essa tende a presentare le persone come portavoci [sic] delle idee
che esse rappresentano (pp. 417-18, corsivo mio).
13. Analogamente altrove, nel citato saggio sul romance (La scrittura secolare), Frye declina
nel suo linguaggio la concezione bachtiniana del corpo grottesco e del basso materiale-
corporeo; prendendo in considerazione i motivi della discesa, uno dei quattro movimenti
primari o radicali narrativi che strutturano i racconti letterari, egli nota che, nel loro
fondamento mitico, rappresentano un eroe che si cala in un labirinto di caverne e ombre,
Tra Northrop Frye e Michail M. Bachtin 65
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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1988.