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DISPENSA ARCHEOLOGIA GIAPPONESE

Da: A. Tamburello, Archeologia del Giappone, Napoli, 1997.

1. I precedenti dell’archeologia in Giappone (Da: A. Tamburello, Archeologia del


Giappone, Napoli, 1997)
Alla scuola dello storicismo cinese e coreano, nonché degli studi buddhisti, il
Giappone aveva inaugurato una precoce storiografia che aveva pure
occasionalmente tenuto conto di monumenti e reperti dal suolo. Al secolo VIII d.C.
risalivano il Kojiki, Memorie dell’antichità, e il Nihon shoki, Cronache del Giappone,
che avevano rappresentato due importanti operazioni storiografiche intese a
depositare per iscritto tradizioni e dati relativi alla prima storia del paese.
Entrambe le opere, ma in specie la seconda scritta in cinese, avevano in parte
obbedito all’esigenza di contrapporre una storiografia indigena a quella della Cina,
la quale aveva a lungo presentato il Giappone come un remoto e periferico mondo
barbarico. Nella rivendicazione della loro storia e cultura, i Giapponesi avevano
tenuto ad illustrare l’antichità e l’ascendenza divina della propria stirpe e avevano
laboriosamente tentato di ricucire in un racconto unitario ed organico anche
quanto la storiografia cinese e quella coreana avevano registrato in merito
all’arcipelago. Osservazioni etnografiche o di resti “archeologici” avevano fatto pure
parlare di popolazioni che più anticamente avevano dovuto popolare le isole e si
narrò degli tsuchigumo, i “ragni della terra”, la cui mitologia era basata su un’antica
popolazione che aveva abitato in dimore terragne nelle regioni montuose del
Giappone. L’archeologia moderna ha rilevato le capanne infossate nel suolo delle
popolazioni neolitiche, così come a queste ha potuto attribuire i kaizuka, i “cumuli
di conchiglie”, enormi depositi di scarti alimentari, in particolare molluschi, che già
qualche opera aveva tramandato come le edificazioni di giganti che avrebbero alle
origini popolato il Giappone. Premura culturale, già al secolo VIII, suscitava una
spiegazione da dare alle strane statue di terracotta, gli haniwa, ancora visibili o
seminfossati sulle terre dei tumuli funerari, i kofun, le “antiche tombe”. In
corrispondenza delle pratiche sacrificali cinesi, un tempo cruente, poi
progressivamente sostituite da un corredo simbolico di statuette e simulacri (i
cosiddetti mingqi), il Nihon shoki registrava che anche gli haniwa rappresentassero
una forma sostitutiva di sacrifici cruenti.

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Nel corso di tutta la storia, una vasta letteratura aveva registrato occasionali
scoperte e tentato di spiegare il significato e le funzioni di enigmatici oggetti e
monumenti di cui si era persa conoscenza all’epoca in cui si scriveva. Utensili di
pietra, fra cui punte di frecce e lance passavano anche in Giappone come “pietre del
fulmine” o manifestazioni di prodigi celesti – tesori delle divinità del tuono – o resti
delle industrie della “epoca degli dei” o di nasuti tengu, i demoni folletti del folclore
religioso.
Per certi oggetti era fatto talora ricorso a lontane provenienze dell’oltremare. Ciò
accadde ad esempio per i dōtaku, le cosiddette “campane in bronzo” prodotte
durante il periodo Yayoi, nei secoli a cavallo dell’era volgare, i cui primi esemplari
furono scoperti tra VII e VIII secolo d.C. Sotto l’influenza della tradizione culturale
buddhista i dōtaku furono allora messi in relazione all’operato di Aśoka,
l’imperatore indiano (r. 274-232 a.C.) che, nella sua celebrata missione di
diffondere il Buddhismo anche verso l’Asia Orientale, avrebbe dedicato al Giappone
il prezioso cimelio.
Le tombe a tumulo, con la loro imponenza sul paesaggio giapponese, rimanevano
nei secoli i monumenti che più mantenevano vivo il legame con il passato storico e
furono oggetti di esplorazione e tutela, tanto che - si può dire – si sviluppò una
pioneristica “archeologia dei kofun”. Ma il deferente rispetto per i defunti e il senso
di intoccabilità dei corredi che erano stati chiusi nelle camere sepolcrali non
sollecitavano larghe prospezioni o minuziosi studi con asportazione di materiali e
oggetti. Per lo più, inventari e classificazioni dei sepolcri erano curati in occasione
della loro apertura e manutenzione e, fra gli altri, si distinsero in tali lavori studiosi
come Matsushita Kenrin (1637-1703) e Gamō Kunpei (1768-1813).
Alla trattatistica d’arte si affiancò l’epigrafia, mentre il ritrovamento di antiche
iscrizioni riprodotte come in Cina con calchi ad inchiostro su carta, diede un
contributo cospicuo insieme con lo studio di altri documenti all’impostazione di
una storiografia basata sull’esame di fonti primarie, che ora confermavano ora
ponevano in discussione quanto era stato tramandato dalle fonti storico letterarie.
Nel 1728, ad esempio, ebbe risonanza la scoperta della stele funeraria di Kibi no
Makibi (694-775), che era stato tramandato come uno degli inventori dei kana, cioè
l’alfabeto sillabico giapponese; nel 1784 interesse eccezionale destò il ritrovamento
a Shikanoshima, Fukuoka, di un sigillo d’oro da cui risultava “l’investitura” di une
“re di Na dei Wa” da parte di un imperatore della dinastia Han (201 a.C.-220 d.C.).

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era la prima prova che confermasse la veridicità delle tradizioni storiografiche
cinesi, secondo le quali il Giappone, che era stato conosciuto dalla Cina con l’epiteto
piuttosto dispregiativo di Woguo, il “paese dei nani”, prima di essere unificato dalla
dinastia dello Yamato, era stato diviso in vari “regni”, su cui la Cina aveva
rivendicato potestà di imperio. Il ritrovamento del sigillo era la conferma che
almeno un stato di Na (in Cinese, Nu) era stato messo sotto vassallaggio cinese; la
scoperta inficiava la tradizione storiografica nazionale che si era pronunciata con
assoluta indipendenza e autonomia rispetto all’impero continentale e, tra le dispute
già insorte fra gli apologeti della preminenza cinese sulla civiltà giapponese, da un
lato, e i campioni di una storia “patria” dall’altro, si inserì un dibattito
sull’autenticità del sigillo, che non si sarebbe neppure conclusa ai giorni nostri.
A partire dal XVIII secolo, il dibattito sulla ricostruzione della storia antica del
Giappone si fece sempre più intenso. Venne, infatti, inviata, un’indagine sistematica
sulle origini e sugli sviluppi della nazione e della cultura giapponesi e si erano
delineati vari indirizzi di ricerca. Si discussero, in particolare, le origini della
popolazione giapponese, quelle della lingua e quelle dell’impero.
Agli studiosi giapponesi si affiancarono studiosi occidentali, tra cui il biologo
americano E. S. Morse che, nel 1877, intraprese lo scavo del cumulo di conchiglie di
Omori, nelle vicinanze di Yokohama: fu questa la prima sistematica ricerca sul
terreno con relativo rapporto di scavo (E. S. Morse, The Shell-Mounds of Omori,
Yokohama, 1879).

2. L’archeologia moderna (Da: M. Hudson, L’archeologia del Giappone, voce


dell’Enciclopedia Treccani, 2005 e A. Tamburello, Archeologia del Giappone, Napoli,
1997)

Nel XVIII e nel XIX secolo in Giappone ebbero forte impulso gli studi antiquariali e il
collezionismo di oggetti antichi, ma l'inizio delle ricerche archeologiche scientifiche
si fa coincidere con gli scavi intrapresi nel 1877 dallo zoologo americano E.S. Morse
nel chiocciolaio di Omori a Tokyo.
Archeologi occidentali quali Morse (1838-1925), H. von Siebold (1852-1908) e N.G.
Munro (1863-1942) ebbero un ruolo decisivo nell'introdurre una metodologia
scientifica, anche se inizialmente gli studiosi sia giapponesi sia occidentali
concentrarono le ricerche su avvenimenti e popoli citati da testi giapponesi quali il

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Kojiki (712 d.C.) e il Nihon Shoki (720 d.C.). Morse definì la ceramica rinvenuta a
Omori "decorata a cordicella" e la traduzione giapponese di questo termine
(Jōmon) fu usata per denominare l'età della Pietra nell'arcipelago giapponese.
Inizialmente il periodo Jōmon fu attribuito a una popolazione pregiapponese come
gli Ainu, o i Korpokunkur nani delle leggende Ainu. La teoria dei Korpokunkur è
legata in modo particolare a Tsuboi Shōgorō (1863-1913), che nel 1893 divenne il
primo professore di antropologia presso l'Università di Tokyo. Si credeva che il
popolo Jōmon fosse stato sostituito dalla "razza Yamato", vale a dire giapponese,
durante il periodo Yamato, o Kofun.
Frammenti di ceramica Yayoi erano già stati scoperti nel 1884, ma solo negli anni
Trenta del Novecento si sviluppò il concetto di una cultura Yayoi di coltivatori di
riso in possesso di utensili di bronzo e ferro, che alla fine determinò l'affermazione
dello schema cronologico Jomon - Yayoi - Kofun.
La prosecuzione dei lavori fino alla seconda guerra mondiale ed un’intensa attività
editoriale di libri e riviste, fece dell’archeologia una delle scienze più vivaci per
ampiezza di discussioni e varietà di indirizzi metodologici, da quelli antropologici a
quelli paleoetnologici e storico-culturali. Tuttavia, il clima politico nazionalistico fu
di intralcio a molte ricerche, scoraggiando le indagini e gli studi suscettibili di
confutare la tradizione storiografica nazionale. In particolare, fu messa al riparo
tutta la tradizione imperiale, con i miti riproposti della discendenza solare della
dinastia regnante, ed un assoluto riserbo circondò i tumuli funerari ed in specie i
goryō, le “auguste tombe”, identificati come i mausolei “imperiali” dei primi periodi
storici. In essi relativamente poche ricerche furono autorizzate e con tutte le
precauzioni che la delicatezza del caso sembrava richiedere affinché non si
creassero pericolose smagliature nel tessuto della storiografia ufficiale
progressivamente rispolverata dall’era Meiji (1868-1912).
L'ideologia sempre più marcatamente nazionalistica dello Stato giapponese negli
anni Trenta e Quaranta condusse a una reazione contro le interpretazioni etniche
cosicché gli archeologi giapponesi, tra cui S. Yamanouchi (1902-70), cominciarono
a studiare più dettagliatamente la cronologia della ceramica. I legami tra
archeologia e antropologia, agli inizi assai forti, vennero affievolendosi e nelle
università giapponesi non furono mai introdotti programmi integrati di
antropologia. Nonostante la sconfitta subita dal Giappone nella seconda guerra
mondiale, le ricerche ebbero inizio poco dopo la fine del conflitto, quando fu

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scoperto il primo sito paleolitico a Iwajuku (Pref. di Gunma) nel 1946, e con gli
scavi nelle risaie del periodo Yayoi presso Toro (Shizuoka) nel 1947. Nel 1948 fu
istituita la Nihon Kokogaku Kyokai (Associazione degli Archeologi Giapponesi); il
metodo di insegnamento basato sui miti imperiali adottato prima della guerra fu
sostituito da metodologie più scientifiche fondate sui dati archeologici. A questa
"democratizzazione" della preistoria giapponese fu data una valenza simbolica nel
1953, quando rappresentanti di classi sociali diverse presero parte agli scavi del
tumulo funerario di Tsukinowa (Pref. di Okayama) diretti da Y. Kondo, archeologo
dell'Università di Okayama tra i membri fondatori della Kokogaku Kenkyukai
(Società degli Studi Archeologici) istituita nel 1954. Con più di 5000 membri, la
Kokogaku Kenkyukai è attualmente la società archeologica più attiva di tutto il
Giappone.
Nel dopoguerra l'archeologia fu caratterizzata soprattutto dalla organizzazione
burocratica data alle ricerche e agli scavi. La straordinaria ricostruzione nel
Giappone postbellico si basava in parte su imponenti opere pubbliche che resero
necessario un numero di interventi di archeologia di urgenza inimmaginabile in
altre parti del mondo. Dall'inizio degli anni Settanta gli scavi di urgenza sono
aumentati vertiginosamente da circa 1000 a oltre 10.000. Nel 1995 vi erano in
Giappone 5692 archeologi statali. L'interesse per l'archeologia alimenta
un'industria turistica costituita da milioni di individui che visitano siti famosi quali
Yoshinogari a Saga e Sannai Maruyama ad Aomori. Metodi scientifici quali la
prospezione geofisica e le analisi fitolitiche hanno avuto grande sviluppo, ma tali
metodi non sono ben integrati con le altre attività proprie della ricerca
archeologica. Quanto all'approccio teoretico, l'archeologia giapponese si basa
ancora fondamentalmente su una struttura storico-culturale sviluppatasi negli anni
Trenta. Questo peculiare orientamento teoretico, unito alle difficoltà linguistiche, fa
sì che il Giappone rimanga poco noto agli archeologi occidentali, sebbene possieda
una delle scuole archeologiche più antiche e attive di tutta l'Asia.
BIBLIOGRAFIA
T. Saito, Nihon Kokogakushi [Storia dell'archeologia giapponese], Tokyo 1974; F.
Ikawa-Smith, Co-Traditions in Japanese Archaeology, in WorldA, 13 (1982), pp.
296-309; P. Bleed, Almost Archaeology. Early Archaeological Interest in Japan, in R.
Pearson (ed.), Windows on the Japanese Past. Studies in Archaeology and
Prehistory, Ann Arbor 1986, pp. 57-67; A. Teshigawara, Nihon Kokogakushi [Storia

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dell'archeologia giapponese], Tokyo 1988; G. Barnes, The 'Idea of Prehistory' in
Japan, in Antiquity, 64 (1990), pp. 929-40; H. Tsude, Archaeological Theory in
Japan, in P. Ucko (ed.), Theory in Archaeology. A World Perspective, London 1995,
pp. 298-311; T. Inada, La protection des sites et la fouille de sauvetage au Japon, in
Les nouvelles de l'archéologie, 65 (1996), pp. 43-48.

3. LA CULTURA JOMON (Da: M. Hudson, voce dell’Enciclopedia Treccani, 2005)


La tradizione culturale occupa l'arco temporale compreso tra la comparsa della
ceramica, oltre 13.000 anni fa, e la piena affermazione dell'agricoltura, risalente al
periodo Yayoi (ca. 400 a.C. - 300 d.C.); a Hokkaido la fase epi-Jomon si protrasse
fino al VII-VIII sec. d.C. All'interno di questa tradizione si registrano rilevanti
variazioni regionali e temporali, ma in termini generali la società Jomon può essere
caratterizzata come una società opulenta e sedentaria, che produsse abbondanti
evidenze archeologiche, tra cui moltissime ceramiche. L'importanza della cultura
Jomon per la preistoria mondiale risiede nella sua notevole complessità culturale,
raggiunta sulle basi di un'economia di caccia-raccolta.
Il termine Jomon deriva dall'espressione in lingua giapponese "impressioni di
corda", che fa riferimento a un motivo decorativo diffuso nella produzione fittile di
questo periodo. In quanto cultura ceramica di caccia-raccolta, la cultura Jomon può
essere equiparata alle culture siberiane definite dagli archeologi russi come
neolitiche. Agli esordi dell'archeologia giapponese la cultura Jomon venne ascritta a
una vaga "età della Pietra" e interpretata essenzialmente in termini razziali come
riferibile agli Ainu o ad altre razze pregiapponesi. Il superamento di questo
approccio si deve a S. Yamanouchi (1902-70), che negli anni Trenta condusse
dettagliati studi tipologici sull'evoluzione della ceramica Jomon ignorando la
problematica questione dell'identità etnica dei gruppi che la produssero. Oggi gli
studiosi giapponesi generalmente evitano le terminologie comparative, come
Mesolitico e Neolitico, e alcuni hanno definito il periodo Jomon come "periodo
Omori", dal nome del sito di Tokyo dove questa cultura venne identificata per la
prima volta nel 1877. La cultura Jomon si estese su un'area approssimativamente
corrispondente a quella dell'odierno Giappone, sebbene prosegua il dibattito in
merito alle Isole Ryukyu, che alcuni studiosi includono nell'orbita Jomon mentre
altri ritengono appartenenti a una cultura "del periodo antico dei chiocciolai" (Early
Shell Mound) correlata ma distinta. In altre aree del Giappone si registra un alto

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grado di variazione regionale, prodotto da fattori ecologici e culturali; la
suddivisione più importante è tra la zona temperata decidua del settore orientale
dell'arcipelago e la zona temperata sempreverde di quello occidentale. La più alta
produttività della prima area si riflette nel fatto che i livelli demografici Jomon
furono sempre molto più elevati a est che a ovest.
Il periodo Jomon è stato suddiviso in sei fasi, denominate rispettivamente
incipiente, iniziale, antica, media, tarda e finale; la fase epi-Jomon è documentata
solo a Hokkaido e nell'estremo Nord di Honshu. Sulla base di vecchie datazioni
radiocarboniche non calibrate tali fasi sono generalmente così datate: incipiente,
13.500-10.000 anni fa; iniziale, 10.000-7000 anni fa; antica, 7000-4500 anni fa;
media, 4500-3500 anni fa; tarda, 3500-3000 anni fa; finale, 3000-2400 anni fa.
Datazioni radiometriche più recenti hanno però evidenziato incongruenze in questa
periodizzazione, suggerendone una sostanziale revisione; nonostante ciò, la
maggior parte degli archeologi giapponesi resta scarsamente interessata alla
datazione assoluta, preferendo concentrarsi sulla cronologia relativa delle tipologie
vascolari. In ragione della grande quantità di manufatti fittili Jomon è stato
possibile rilevare una complessa trama di relazioni tipologiche che coprono l'intero
Giappone. Sono stati identificati circa 70 stili ceramici (yoshiki) e un gran numero
di tipi locali (keishiki).
La ceramica Jomon è la più antica del mondo e la sua invenzione sembra essere
avvenuta in forma indipendente nell'arcipelago giapponese. La transizione dal
Paleolitico superiore al periodo Jomon fu del tutto graduale: scavi condotti negli
anni Sessanta nel riparo di Fukui (Kyushu) hanno dimostrato che la più antica
ceramica giapponese risale almeno al 13.000 B.P., sebbene l'utilizzazione su vasta
scala di manufatti fittili sarebbe iniziata solo varie migliaia di anni più tardi. Un
impiego corrente del vasellame sembra inoltre essersi diffuso solo gradualmente da
sud a nord, probabilmente in concomitanza con l'estensione delle aree boschive a
clima temperato nell'Olocene antico. La ceramica è ancora rara nei siti della fase
Jomon incipiente ed essa non fu in uso a Hokkaido fino alla fase Jomon iniziale. La
maggior parte dei siti della fase Jomon incipiente è di piccole dimensioni e contiene
poche abitazioni seminterrate; la caccia rivestiva ancora grande importanza,
sebbene il rinvenimento di numerose ossa di salmone a Maeda Kochi (Tokyo)
attesti che erano praticate anche altre attività di sussistenza. Il fatto che i siti di
questo periodo siano più numerosi e vasti nel Kyushu meridionale consente di

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ipotizzare che la produzione fittile fosse connessa con un modello di sfruttamento
ad ampio spettro di piante e risorse marine che si sarebbe diffuso nel resto
dell'arcipelago nel periodo Jomon iniziale. La ceramica era modellata a mano e
cotta in fosse aperte a circa 700-900 °C. La forma fittile più comune era la "ciotola
profonda" (fukabachi), alta circa 40-50 cm; altre tipologie, quali ciotole poco
profonde (asabachi) e "bricchi" con versatoio, appaiono molto più raramente. Era
utilizzata un'ampia varietà di tecniche decorative, tra cui numerosi tipi di
impressioni di corde, incisioni, motivi a roulette e applicati. Non tutte le ceramiche
erano profusamente decorate: il vasellame inornato divenne la norma nel Giappone
occidentale dalla fase Jomon tardo in poi. Il vasellame decorato è una delle più alte
espressioni dell'arte preistorica; sono particolarmente celebri a questo riguardo le
ceramiche flamboyant del Honshu centrale, datate al periodo medio, e la ceramica
Kamegaoka rivestita di lacca rossa del Tohoku, risalente alla fase Jomon finale.
Per la caccia, la pesca e altre attività produttive i gruppi Jomon utilizzavano una
varietà di strumenti litici. Studi di caratterizzazione delle materie prime hanno
rilevato che alcuni materiali litici rari, come l'ossidiana e la sanukite, erano
scambiati su vaste aree. I cesti, le ciotole e i pettini di legno e i resti di sentieri
pavimentati a tavole di legno recuperati in siti umidi costituiscono evidenze di
aspetti generalmente poco documentati, in ragione di problemi di conservazione,
della cultura materiale quotidiana. Secondo molti studiosi la complessa cultura
materiale e gli insediamenti sedentari Jomon contraddirebbero le presunte basi
economiche appropriative e ciò ha sollevato un acceso dibattito sulla possibile
esistenza di pratiche agricole. Nonostante le crescenti evidenze della coltivazione di
un certo numero di piante, comunque, i gruppi Jomon non adottarono mai
pienamente l'agricoltura; particolarmente complessa appare la ricostruzione dei
modelli di sussistenza in ragione dell'ampia varietà di zone ecologiche sfruttate. Per
quanto riguarda gli animali terrestri, la caccia a cervi, cinghiali, scimmie e ad alcuni
Mammiferi di piccola taglia quali lepri, martore e procioni (Nyctereutes
procyonoides) perdurò per tutto il periodo Jomon. Frecce con punte litiche, cani e
trappole rappresentate da buche nel terreno erano i principali strumenti di caccia:
nell'area del nuovo comprensorio urbano di Tama a Tokyo sono state individuate
oltre 8000 trappole a buca. Nel periodo Jomon sembra essere esistita una relazione
inversa tra livelli demografici e attività venatorie: nei periodi in cui la popolazione
era numerosa, come nel Honshu centrale durante il periodo Jomon medio, la caccia

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a Mammiferi terrestri di grande taglia avrebbe avuto un'importanza relativamente
limitata, mentre i gruppi a bassa densità del termine della fase Jomon finale nella
regione di Kanto avrebbero sfruttato in maniera sistematica cervi e cinghiali, come
attestato dai "depositi di ossa" presenti in siti quali Saihiro (Pref. di Chiba) e
Shimotakabora D (isola di Oshima, Tokyo). Da un punto di vista ecologico ciò è
quanto ci si dovrebbe aspettare, in quanto i Mammiferi di grande taglia avrebbero
potuto rischiare di essere sovrasfruttati e vi sono evidenze di una pressione
venatoria sui cervi nei periodi tardo e finale.
Per ciò che concerne le risorse marine, l'ingente consumo di pesci, Molluschi e
Mammiferi marini è una delle caratteristiche specifiche dei modelli di sussistenza
Jomon. L'innalzamento del livello marino dopo il termine del Pleistocene provocò
un sensibile aumento della lunghezza della linea di costa, particolarmente durante
la massima trasgressione marina avvenuta circa 6000 anni fa. I primi chiocciolai
Jomon risalgono agli esordi della fase iniziale, sebbene sia possibile che chiocciolai
della fase incipiente siano oggi sommersi. Il sito di Natsushima a Yokosuka (Pref. di
Kanagawa) ha restituito gusci di ostriche e altri molluschi bivalvi, presenti in uno
strato di ceramica Yoriito-mon degli esordi della fase Jomon iniziale in cui sono
stati recuperati anche ossa di pesci di mare aperto quali tonni, triglie, pagri e pesce
persico, oltre a tre ami di corno. Nel periodo Jomon iniziale apparvero inoltre per la
prima volta pesi per reti da pesca e arponi. Una diga di sbarramento per pesci è
stata individuata in un antico letto fluviale nel sito Jomon tardo di Shidanai (Pref. di
Iwate). Sembra probabile che il salmone fosse un importante elemento della dieta
nel Giappone orientale, sebbene i suoi resti si siano raramente conservati. I
Mammiferi marini cacciati comprendevano foche, delfini e balene; studi isotopici
consentono di ipotizzare che essi integrassero maggiormente la dieta dei gruppi
Jomon di Hokkaido che quella delle comunità meridionali.
Tra le risorse vegetali, frutti, frutti secchi, erbe e semi rappresentavano
probabilmente le principali fonti nutrizionali. Tra i frutti secchi comunemente
rinvenuti, noci e castagne necessitano di un trattamento limitato prima di essere
consumate, ma le ghiande e i frutti dell'ippocastano debbono essere sottoposti a
complessi processi di percolazione. M. Nishida ha ipotizzato che i gruppi Jomon
praticassero una forma di arboricoltura incipiente di specie i cui frutti o bacche
erano consumati secchi. Sulla presenza di pratiche agricole sono state formulate
molte teorie: sembra probabile, in sintesi, che le piante riportate qui di seguito

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siano state coltivate in alcuni periodi e luoghi durante il periodo Jomon: Perilla
(un'erba della famiglia della menta), zucche a fiasco, bardana, canapa e forse alcune
varietà di Vigna. Il riso è stato recentemente identificato in alcuni siti tardi; la
testimonianza più antica della sua presenza è costituita da fitoliti di riso recuperati
da un frammento fittile della fase Jomon medio rinvenuto a Himesasahara (villaggio
di Mikamo, Pref. di Okayama). Si ritiene che il riso non sia originario delle isole
giapponesi, ma non è a tutt'oggi chiaro se esso sia stato realmente coltivato nel
periodo Jomon.
Del periodo Jomon sono note tre tipologie di abitazioni: le più comuni sono
rappresentate da capanne semisotterranee a fossa; strutture di superficie o rialzate
sono più rare, sebbene in anni recenti i rinvenimenti ascrivibili a quest'ultima
tipologia siano aumentati. La maggior parte delle capanne seminterrate sembra
essere stata occupata da una sola unità famigliare; sono noti anche alcuni esemplari
di grandi dimensioni (100 m2 e oltre) e con numerosi focolari, rinvenuti
soprattutto nel Honshu nord-orientale e forse usati dalla comunità. La maggior
parte dei villaggi era di dimensioni alquanto ridotte, comprendendo forse quattro o
cinque strutture domestiche contemporaneamente in uso; alcuni siti presentano
comunque lunghe fasi di occupazione, come documenta il rinvenimento dei resti di
varie centinaia di abitazioni. Nel più vasto sito Jomon a tutt'oggi noto, Sannai
Maruyama (Aomori), sono state identificate 600 abitazioni a fossa, 100 strutture
sopraelevate e 800 fosse di immagazzinaggio. Il caratteristico villaggio Jomon
presentava una piazza centrale, spesso contenente sepolture, delimitata da
strutture disposte a cerchio, a loro volta circondate da un'area adibita a deposito di
rifiuti. Oltre agli insediamenti permanenti sono stati identificati molti siti di
dimensioni minori, certamente accampamenti temporanei. Un sito specializzato nel
trattamento di noci è stato scavato a Sekizan (Pref. di Saitama). Negli insediamenti
datati alla prima metà del periodo Jomon si rileva una crescente complessità: alle
piccole grotte o ai siti all'aperto della fase incipiente succedettero siti come Sannai
Maruyama, che rappresentano forse a livello mondiale il gradino più alto della scala
evolutiva socioculturale raggiunto da gruppi di cacciatori-raccoglitori. Durante le
fasi tarda e finale si verificò una notevole diminuzione sia nel numero che nelle
dimensioni dei siti, sebbene un incremento delle attività rituali in questi
insediamenti ponga in discussione ogni semplicistico modello di "declino" culturale.

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Il periodo Jomon è caratterizzato da una sorprendente varietà di manufatti,
strutture e tratti rituali. I resti lignei sono quelli archeologicamente meno
documentati, ma circoli di grandi pali di legno sono stati scoperti nei siti di
Chikamori e Yoneizumi (Pref. di Ishikawa). Risale alla fase antica del sito di Mawaki
(Pref. di Ishikawa) un palo di legno (lungh. 2,25 m) parzialmente scolpito che
giaceva in un deposito di crani di delfini. Alcune delle vaste strutture
architettoniche rialzate, come quella individuata a Sannai Maruyama, potrebbero
essere anch'esse rituali. I cosiddetti "circoli di pietre" sono comuni nel Giappone
orientale delle fasi tarda e finale: essi comprendono vasti circoli di ciottoli di fiume
(diam. fino a 45 m) e pavimenti di pietra di dimensioni minori, cui sono talvolta
associati monoliti fallici levigati o scolpiti. Le ceramiche fini dalle complesse
decorazioni erano probabilmente utilizzate in feste rituali e in altre attività
connesse. Oltre alle ceramiche, le figurine rappresentano i manufatti di argilla più
caratteristici; apparse agli esordi della fase Jomon iniziale e perdurate fino allo
Yayoi iniziale, esse hanno forma estremamente variata, sebbene in senso generale
si possa rilevare nel corso del tempo una più profusa decorazione. La maggior parte
degli archeologi giapponesi ritiene che le figurine ritraggano individui di sesso
femminile, per quanto in molti casi non vi sia una chiara caratterizzazione sessuale.
Resti scheletrici umani sono stati rinvenuti in alcune necropoli Jomon; dati
antropologici di particolare rilevanza sono stati ottenuti in chiocciolai. I gruppi
Jomon mostrano una ridotta variabilità geografica o temporale. Studi
antropometrici e altre analisi effettuati su crani hanno consentito di rilevare
stringenti affinità con i gruppi proto-mongolidi della Cina meridionale e del Sud-Est
asiatico e con gli Ainu di Hokkaido e Sahalin. Recenti analisi del DNA mitocondriale
hanno evidenziato stretti legami con quello di alcune popolazioni moderne del Sud-
Est asiatico. Gli scheletri Jomon presentano tratti piuttosto diversi da quelli dei
gruppi del successivo periodo Yayoi, a suggerire un consistente tasso di
immigrazione in Giappone alla fine del periodo Jomon.
Bibliografia
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cultura Jomon], Tokyo 1981-84;T. Akazawa - C.M. Aikens (edd.), Prehistoric
Hunter-Gatherers in Japan, Tokyo 1986; S. Kaner, The Western Language Jomon, in
G. Barnes (ed.), Hoabinhian, Jomon, Yayoi, Early Korean States. Bibliographic
Reviews of Far Eastern Archaeology 1990, Oxford 1990, pp. 31-62; K. Hanihara

11
(ed.), Japanese as Member of the Asian and Pacific Populations, Tokyo 1992; T.
Kobayashi, Regional Organization in the Jomon Period, in ArctAnthr, 29, 1 (1992),
pp. 85-95; R. Pearson, Jomon Period, in R. Pearson (ed.), Ancient Japan, New York
1992, pp. 61-88; M. Tozawa (ed.), Jōmon Jidai Kenkyu Jiten [Dizionario del periodo
Jomon], Tokyo 1994.

4. LA CULTURA EPI-JOMON (Da: O. Nalesini, voce dell’Enciclopedia Treccani, 2005)


La cultura (Zoku-Jōmon) documenta il perdurare delle tradizioni Jomon nelle
regioni più settentrionali del Giappone (Hokkaido ed estremità settentrionale di
Honshu).
Recenti ricerche a opera di un progetto congiunto russo-nippo-statunitense hanno
scoperto siti epi-Jomon anche sulle isole Matua, Urup e Chirpoi (arcipelago delle
Kurili). La cultura epi-Jomon si manifestò nel periodo in cui la cultura Yayoi si andò
affermando nel resto del Giappone, tra il IV sec. a.C. e il VII sec. d.C. circa. Questa
cronologia è tuttavia incerta, perché alcuni reperti della successiva cultura
Satsumon sono stati datati al IV secolo. Nel sito di Sakaeura II, le case epi-Jomon
avevano pianta generalmente ovoidale, con assi di 4 e 4,5 m; il tetto era sostenuto
da pali eretti a 50 cm dall'orlo del pavimento. Nella tipologia del vasellame fittile
compaiono forme dotate di fori di sospensione, con decorazione composta da file di
punzonature sulla parte superiore del vaso e sull'orlo. L'analisi delle ceramiche di
Rishiri mostra che l'impasto e le tecniche di manifattura della ceramica epi-Jomon
rimasero in uso nella cultura Okhotsk. Nell'industria litica sono presenti proiettili di
forma allungata, un particolare coltello litico "a scarpa", grattatoi e macine. Sono
noti arpioni per la pesca di ossa di balena. I resti faunistici scoperti a Hamanaka
comprendono soprattutto conchiglie Haliotis sp., balena, albatros e cane. La cultura
epi-Jomon è ancora mal compresa archeologicamente e il termine viene sovente
impiegato per designare i livelli compresi tra il Jomon finale e Satsumon.
Bibliografia
T. Matsumoto, A Study of Acculturation in Epi-Jomon Period by Observation of
Arrowheads and Potteries which Were Offered in Tombs. Existence of the Culture
Represented by Kohoku Type Pottery in Ishikari Lowland, in Tsukuba
Archaeological Studies, 3 (1992), pp. 53-79; T. Nishimoto (ed.), Report on the
Research Excavation at the Site of Hamanaka 2. Formation Process of the Ainu
Culture, in Bulletin of the National Museum of Japanese History, 85 (2000); M. Hall -

12
U. Maeda - M. Hudson, Pottery Production on Rishiri Island, Japan. Perspectives
from X-ray Fluorescence Studies, in Archaeometry, 44, 2 (2002), pp. 213-28; K.
Matsuda - T. Aono, A Reconsideration of the Pottery from the Rebunge Site. Ceramic
Assemblages on the Coast of Volcano Bay during the Period of Diffusion of the
Nimaibashi Type, in Nihon Kokogaku, 16 (2003), pp. 93-110; B. Fitzhugh,
Archaeological Paleobiogeography in the Russian Far East: the Kuril Islands and
Sakhalin in Comparative Perspective, in AsPersp, 43, 1 (2004), pp. 92-122.

5. LA CULTURA YAYOI (Da: C. F. W. Higham, voce dell’Enciclopedia Treccani, 2005)


Sul finire del XVIII secolo diverse sepolture nei pressi di Fukuoka, sulla costa
settentrionale dell'isola di Honshu, furono oggetto di scavi occasionali che
portarono al rinvenimento di oggetti di bronzo d'ispirazione o di origine cinese, tra
cui specchi, alabarde e daghe, oltre a matrici di pietra per la colatura di tali
manufatti. Tra il 1781 e il 1789 specchi di bronzo e spade di ferro furono trovati in
un'urna funeraria a Ihara, presso Fukuoka. Nel 1822 a Mikimo, sulla costa
settentrionale di Kyushu, di fronte alla Corea, si rinvennero spade, lance e alabarde
di bronzo, oltre a 35 specchi della dinastia Han Occidentali (206 a.C. - 23 d.C.) e
grani di vetro coreani; il sito conteneva inoltre urne funerarie di un tipo poi
riconosciuto caratteristico della cultura Yayoi. La riscoperta di questo sito nel 1974
portò al recupero di altri oggetti di bronzo e grani di vetro, ponendo il problema-
chiave delle relazioni tra i gruppi preistorici del Giappone e i sofisticati Stati fiorenti
sul continente.
Il termine "Yayoi" fu adottato nel 1884, quando nel chiocciolaio di Mukogaoka nel
quartiere di Yayoi, presso l'Università di Tokyo, fu rinvenuto un tipo di ceramica
diverso da quella Jomon. Della cultura Yayoi sono oggi distinte tre fasi principali:
antica (350/300-100 a.C.), media (100 a.C. - 100 d.C.) e tarda (100-300 d.C.): in
questi sei secoli furono gettate le basi della civiltà giapponese, costituite dalla
coltivazione del riso, integrata dalla metallurgia del bronzo e del ferro e da
crescenti contatti con la Cina e la Corea. Nelle origini della cultura Yayoi sono
evidenti alcuni elementi essenziali: l'agricoltura del riso in vasca si affermò
definitivamente intorno al 400-300 a.C., in associazione alla fusione del bronzo e
alla lavorazione del ferro. Durante la media fase Yayoi si verificò una forte
espansione degli insediamenti agricoli da Kyushu oltre il Mare Interno e fino a

13
Honshu, mentre marcate divisioni sociali ed entità politiche regionali si andarono
formando nel corso della fase tarda.
Tra la fine del II millennio a.C. e gli inizi del successivo la conoscenza e la pratica
della coltivazione del riso si erano diffuse nella Corea fino a raggiungere le isole
giapponesi; evidenze archeologiche e palinologiche da diversi siti Jomon di periodo
tardo e finale indicano infatti la conoscenza di cereali coltivati (riso e orzo) nelle
regioni occidentali dell'arcipelago. La questione essenziale è se davvero la
risicoltura sia stata introdotta nell'isola di Kyushu (dove sono localizzate le più
antiche evidenze Yayoi) da ondate migratorie, insieme alla metallurgia del bronzo e
del ferro, o se invece essa abbia raggiunto in forma più graduale i contesti sociali
Jomon, che nel corso del tempo la integrarono nei loro consolidati modelli
economici, oppure se non occorra pensare, come sembra logico, a un modello che
integri le due ipotesi. A Itazuke (Kyushu settentrionale), frammenti fittili di
un'antica fase Yayoi (Itazuke I) appaiono in associazione a ceramiche di tipo Yuusu
attribuite alle fasi più recenti della cultura Jomon. La risoluzione di questa
questione è rilevante ai fini del problema delle origini Yayoi: a Itazuke, ad esempio,
resti di risaie del "livello inferiore" sono in associazione alla sola ceramica Yuusu.
L'identificazione nel Kyushu di vasche di risaia con evidenze di cultura materiale
delle fasi Jomon più recenti non dovrebbe comunque sorprendere; piuttosto ciò
indicherebbe contatti con comunità della Corea o della Cina continentale (in cui tale
coltivazione era pienamente affermata), in un processo che deve avere implicato
anche l'insediamento di gruppi di immigranti. Tale ricostruzione è basata non solo
su evidenze archeologiche di nuove attività di sussistenza e di nuove tipologie di
manufatti: anche se non abbondanti, i resti ossei della popolazione di questo
periodo attestano che gli individui Yayoi erano più alti degli individui Jomon e
avevano crani di forma diversa. Stime della popolazione del Giappone durante il
periodo Jomon recente e di quella delle fasi Yayoi finali, basate sul numero e la
dimensione degli insediamenti, indicano inoltre che deve essersi verificato un
intenso processo immigratorio.
Lo stanziamento di comunità intrusive di risicoltori nel Kyushu fu seguito da una
progressiva espansione a nord-est fino a Honshu, mentre le condizioni climatiche
estreme dell'isola di Hokkaido favorirono il perdurare di gruppi di cacciatori-
raccoglitori. Le fasi iniziali dell'espansione Yayoi furono probabilmente rapide:
caratteristica frequente delle espansioni agricole, attestata anche nell'Asia Sud-

14
Orientale e in Europa. In Giappone tale processo è documentato dalla vasta
distribuzione a est e a ovest del Mare Interno di un condiviso stile ceramico, noto
come Ongagawa o Itazuke I. Questa diffusione sembra avere interessato le regioni
settentrionali a partire dalla fine della fase Yayoi antica, come attestato dalla
presenza di risaie a Sunazawa e poco tempo dopo a Tomizawa, rispettivamente
nella regione nord e nord-orientale di Honshu. L'aumento del numero degli
insediamenti nel corso della fase media Yayoi e l'espansione dai bassopiani costieri
a quote più elevate che dominavano le valli fluviali sono entrambi fattori che
lasciano ipotizzare un incremento di tensioni tra gruppi. I siti vennero infatti cinti
da fossati difensivi e le punte di freccia divennero particolarmente abbondanti.
Apparsi subitaneamente nel periodo Yayoi medio, gli insediamenti "fortificati"
scomparvero agli inizi del periodo Kofun.
Suggestivi dati sulla fase recente del periodo Yayoi provengono da un testo storico
cinese, il Weizhi ("Cronaca di Wei", regno della Cina settentrionale fiorito tra il 220
e il 265 d.C.) redatto intorno al 297 d.C., dove si narra che le genti Wa
dell'arcipelago giapponese del III sec. d.C. possedevano una gerarchia sociale con
"capi-sciamani" di sesso femminile che erano sepolti in vaste tombe a tumulo. Della
leggendaria Himiko (? ca. 180-247), ad esempio, il Weizhi riporta che viveva in un
palazzo posto sotto stretta vigilanza. La cronaca descrive anche il percorso per
raggiungere questo palazzo, chiamato Yamatai, ma in forma tanto vaga che la sua
localizzazione non è per nulla chiara, anzi molto controversa. Il testo documenta
inoltre che i conflitti erano endemici, che esistevano sistemi "legali" e di tassazione
e che le pratiche divinatorie seguivano il modello cinese di interpretazione delle
spaccature generate su ossa esposte al calore (piromanzia o scapulimanzia). I Wa
coltivavano il riso e allevavano bachi da seta, non possedevano animali domestici,
ma gestivano mercati formalmente autorizzati e regolamentati. I conflitti bellici
erano condotti da soldati armati di arco e frecce con punta di ferrro.
Nel 238 e nel 240 o 243 d.C. Himiko inviò ambasciatori in Cina; la prima spedizione
le permise di essere riconosciuta dall'imperatore Wei come regina di Wa e di
ricevere da questi un sigillo d'oro (tradizionale segno di riconoscimento di autorità
delegata dall'imperatore), due spade, centinaia di specchi di bronzo e grani di giada
come segno di alleanza. Tali resoconti cinesi su gruppi stranieri non riguardano
solo il Giappone. Approssimativamente nello stesso periodo in cui il regno di Wei
era in contatto con i Wa, quello Wu (22-280 d.C.) della Cina meridionale inviava una

15
missione nel Sud-Est asiatico che portò alla stesura di un resoconto sui gruppi di
Funan. Entrambe le fonti riportano quanto venne visto o ascoltato da una
prospettiva cinese, formulando considerazioni che dobbiamo oggi prendere con
cautela. Comunque, alcune descrizioni sul regno di Funan sono state confermate
dalle ricerche archeologiche e la sfida a procedere nello stesso modo per il palazzo
di Yamatai ha portato, ad esempio, a individuare possibili parallelismi in siti quali
Yoshinogari, nel Kyushu, dove si è indagato un insediamento Yayoi tardo di 25 ha,
delimitato da un vasto fossato difensivo integrato da torri di avvistamento. La
presenza di una tomba a tumulo (40 × 26 m), associata a depositi di ceramiche
rituali, suggerisce l'esistenza di una élite all'interno della società locale.
Le risaie Yayoi, fin dalle fasi iniziali, sono evidenza di un complesso sistema di
coltivazione. In Cina, decorazioni parietali di tombe e modellini fittili di risaia, di
uso funerario, riferibili alla dinastia Han (206 a.C. - 220 d.C.), testimoniano che la
costruzione di parcelle quadrangolari di terreno con argini per regolare il flusso
delle acque, associate ad attività di aratura e trapianto, supportò la produzione di
eccedenze di riso. In Giappone questo sistema apparve già pienamente evoluto: è
difficile non interpretare questo dato come l'adozione di un sistema consolidato. I
gruppi Yayoi occupavano inoltre in forma permanente villaggi cinti da fossato, in
prossimità dei campi agricoli, e con necropoli che rimanevano le stesse nel corso
del tempo. Gli attrezzi agricoli Yayoi, come attestato nel sito di Toro, erano di legno.
È comunque necessario sottolineare che erano praticate anche altre coltivazioni,
alcune delle quali più idonee all'agricoltura su suoli asciutti, piuttosto che in quelli
acquitrinosi privilegiati dalle piante di riso. Esse comprendevano due varietà di
miglio, oltre a grano e orzo; era inoltre consumata un'ampia varietà di vegetali
orticoli e di frutta, mentre bacche, ghiande e noci erano raccolte nei boschi. Scarse
le evidenze di allevamento, molto praticate erano però la pesca e la caccia.
L'adozione della risicoltura fu accompagnata da innovazioni in campo tecnologico: i
vasi fittili erano stati un tratto importante della cultura materiale Jomon, ma con la
cultura Yayoi forme e tecniche decorative mutarono e si diffuse ampiamente un
ridotto set di ceramiche (cotte a ca. 600-800 °C) composto da giare
d'immagazzinamento (tsubo), vasi da cottura (kame), piatti da portata (hachi) e
piatti su piedistallo (takatsuki); tali forme riflettono probabilmente le necessità dei
coltivatori di riso. Lo stesso si può dire per le forme degli utensili litici e
particolarmente per la comparsa di coltelli di pietra polita di forma ovale o

16
semilunata per la mietitura (ishibocho), assicurati alla mano tramite fori dorsali
attraverso cui era passata una corda o una correggia; la loro forma è ampiamente
diffusa nella Cina continentale, dove essi erano già in uso da millenni. Le tracce
d'uso riscontrate sulle lame di questi manufatti provano la loro utilizzazione nella
raccolta del riso. Allo stesso modo la tessitura, che aveva in Cina una lunga
tradizione, fu introdotta in Giappone con la cultura Yayoi, come attestano numerose
fusaiole di ceramica o pietra, e dalla Cina meridionale sembra inoltre che la seta sia
giunta nel Kyushu. Nel caso degli strumenti di legno, le condizioni sature di siti
quali Toro hanno consentito di rilevare l'utilizzazione di zappe, vanghe, rastrelli e
forconi.
La creazione di province cinesi nelle regioni settentrionali della Corea portò le isole
giapponesi a una maggiore prossimità con la conoscenza del bronzo e del ferro e
con la cultura Yayoi apparvero lance, alabarde, spade, specchi e campane di bronzo.
In tutti i casi i modelli importati erano trasformati da metallurghi locali in forme
più idonee ai gusti e alle esigenze del posto: così le armi venivano ingrandite e
allargate, gli specchi divennero più piccoli e le campane molto più grandi. La
campana Yayoi rappresenta un notevole traguardo nella locale lavorazione del
bronzo, con la presenza di scene decorative e, nell'esemplare più grande, con
un'altezza di 1,35 m. La maggior parte del metallo fuso in Giappone, se non
addirittura tutto, sembra provenisse dalla riutilizzazione di oggetti importati o da
lingotti di rame: i bronzi più antichi utilizzarono metallo coreano, ma i metallurghi
dei periodi successivi preferirono materiali cinesi. Lo stesso si può dire per il ferro.
Nella Corea meridionale esistono ricchi giacimenti di minerale di ferro e i prodotti
finiti venivano commerciati a sud fino al Kyushu e alla regione occidentale di
Honshu. Utensili e armi di ferro sono regolarmente rinvenuti in siti Yayoi, ma non
in grandi quantità, e la fusione locale non sembra essere stata una pratica comune
fino al periodo Kofun. Non vi è comunque dubbio che il ferro giocò un ruolo
rilevante nell'agricoltura, a giudicare dalla presenza di falcetti di questo metallo nei
contesti tardo Yayoi. Il riclicaggio del ferro e la tendenza di questo metallo ad
arrugginire in condizioni ambientali umide potrebbero ben spiegare la sua scarsa
presenza. Relazioni commerciali con le regioni continentali sono documentate non
solo dalla presenza di bronzo, ma anche da quella di beni importati, come i grani di
vetro, che appaiono ampiamente distribuiti nei siti Yayoi già dal periodo più antico.
Essi sono stati ad esempio recuperati a Yoshitake-Takagi (Pref. di Fukuoka) e a

17
Higashiyamada-Ipponsugi (Pref. di Saga). La quantità di siti che hanno fornito grani
di vetro ‒ che potrebbero avere raggiunto il Giappone attraverso le emergenti rotte
marine che collegavano l'Asia orientale con l'India e, attraverso quest'ultima, il
Mediterraneo ‒ aumentò considerevolmente durante le fasi media e tarda della
cultura Yayoi. I contesti funerari di alcuni siti tardi, quali Tounokubi e
Futatsukayama, ne hanno restituiti migliaia.
Il periodo Yayoi resta controverso sotto molti aspetti. Il grado in cui esso ebbe
origine da un importante spostamento di gruppi continentali in Giappone ha strette
implicazioni per l'origine stessa dei Giapponesi. In alternativa, se le correnti
migratorie furono scarse, si verificò forse un forte apporto di nuove idee verso le
isole, per lungo tempo occupate da gruppi di cacciatori-raccoglitori? Nel corso dei
sei o sette secoli di espansione e di mutamenti, i gruppi Yayoi crearono uno Stato
complesso come quello descritto dai testi cinesi? Queste domande restano senza
risposta certa, ma non vi è dubbio sull'importanza del periodo nella formazione
delle basi essenziali per la nascita dello Stato giapponese: la comunità stabile di
agricoltori.

Bibliografia
C.M. Aikens - T. Higuchi, Prehistory of Japan, New York - London 1982, pp. 187-250;
Hiromichi Minamoto, Yamatai: the Elusive Kingdom, in Japan Quarterly, 30, 4
(1983), pp. 373-76; R.J. Pearson (ed.), Windows on the Japanese Past. Studies in
Archaeology and Prehistory, Ann Arbor 1986; M.J. Hudson, From Toro to
Yoshinogari. Changing Perspective on Yayoi Period Archaeology, in G.L. Barnes
(ed.), Hoabinhian, Jomon, Yayoi, Early Korean States, Oxford 1990, pp. 63-111; R.J.
Pearson (ed.), Ancient Japan, New York 1992; Keiji Imamura, Prehistoric Japan.
New Perspectives on Insular East Asia, Honolulu 1996, pp. 127-96; C. Totman, A
History of Japan, Oxford 2000; K. Mizoguchi, An Archaeological History of Japan,
Philadelphia 2002.

6. L’ARCHEOLOGIA DEL PERIODO KOFUN (Da: R. Ciarla, voce dell’Enciclopedia


Treccani, 2005)
Solo nell'ultimo ventennio studiosi giapponesi e occidentali si sono rivolti
all'indagine delle evidenze archeologiche relative ai processi di sviluppo
economico-sociale che tra il 400 a.C. e il 700 d.C. avrebbero portato alla comparsa

18
di una società pienamente agricola e statalizzata. Tale arco cronologico è solo per
convenzione diviso in due periodi: quello Yayoi (ca. 400 a.C. - 300 d.C.), che vide la
diffusione della risicoltura e dei metalli, e quello Kofun (periodo delle Antiche
Tombe a Tumulo, ca. 300-700 d.C.), in cui aristocrazie sviluppatesi all'interno dei
piccoli gruppi di risicoltori Yayoi diedero vita a diverse entità regionali protostatali.
I limiti cronologici che marcano quest'ultimo periodo sono basati, per la data
iniziale, sul rinvenimento in alcune delle tombe a tumulo di specchi di bronzo di
produzione cinese che recano date intorno alla metà del III secolo e, per la fase
finale, sulla data del 712 d.C., anno in cui verosimilmente fu compilata la più antica
cronaca scritta giapponese (naturalmente in caratteri cinesi), il Kojiki ("Cronaca
degli antichi fatti"). Le ricerche relative ai processi di crescita della complessità
sociale nel Giappone pre- e protostorico vedono tre fasi di cambiamento, ognuna
delle quali implica la valutazione degli stretti rapporti di interazione tra l'arcipelago
e il continente, ovvero: affermazione e diffusione della risicoltura (tarde fasi
neolitiche Jomon - prime fasi Yayoi); sviluppo del sottosistema culturale delle élites
e di gerarchie territoriali (dal medio Yayoi al medio Kofun); affermazione di
strutture amministrative e di complessi sistemi di produzione e scambio non più
limitati ai beni di status (tardo Kofun - età storica arcaica). La presenza di
risicoltura, di villaggi fortificati e di elementi di diseguaglianza sociale riscontrati
archeologicamente nella regione del Kyushu nord-occidentale, a poche ore di
navigazione dalla costa coreana, sono gli elementi che nell'arco di pochi secoli
avrebbero portato alla nascita dello Stato "giapponese" sul finire dell'epoca dei
Kofun.
L'oggetto che definisce e dà il nome al periodo delle Antiche Tombe a Tumulo
(kofun) costituisce uno degli elementi più caratteristici del paesaggio storico
giapponese, particolarmente nella regione di Kyoto - Nara - Osaka: si tratta di
grandi tumuli sepolcrali, vere e proprie colline artificiali spesso circondate da un
fossato, che hanno un singolare profilo che ricorda la toppa di una vecchia
serratura e che la tradizione ritiene le sepolture dei più antichi sovrani di Yamato, il
primo Stato giapponese. Tali sepolture monumentali non apparvero però
subitaneamente come un tempo si credeva, ma rappresentano l'acme di un
processo di sviluppo basato su elementi endogeni e di origine continentale, legati in
particolare alla formazione e ascesa politica di aristocrazie cavalleresche, un
fenomeno che si verificò più o meno contemporaneamente (III-VII sec.) dal

19
Giappone all'Asia Centrale e oltre lungo la fascia delle Steppe. La continuità tra i
modi di seppellimento delle élites Yayoi e quelle del periodo Kofun è stata
evidenziata da diverse aree cimiteriali in cui compaiono per la prima volta strutture
tombali a tumulo, preannuncio di quei kofun che costituiranno la traccia più tipica
delle formazioni protostatali giapponesi.
Ad esempio, nel sito di Saikachido, riconosciuto come area cimiteriale
dell'insediamento tardo Yayoi di Otsuka (regione di Tokyo), sono state rinvenute
25 sepolture, ciascuna formata da un piccolo tumulo quadrangolare a sommità
piatta circondato da un fossato (tipo detto hokei-shukubo), al centro del quale era
scavata la fossa di sepoltura. I tumuli, ordinatamente disposti l'uno accanto
all'altro, non rappresentano tutta la popolazione del villaggio di Otsuka, ma con
ogni probabilità solo il suo strato sociale più alto, che già si identifica con
l'ostentazione di oggetti rituali quali armi e specchi in bronzo. Il primo dei termini
di contrasto tra Yayoi e Kofun eliminato dagli scavi degli anni Ottanta del
Novecento è proprio quello che si riferisce alla definizione stessa dell'epoca Kofun.
Strutture sepolcrali a tumulo sono state infatti individuate in diversi siti e datate
allo Yayoi tardo; a Tatetsuki, presso Kurashiki (Pref. di Okayama, Honshu sud-
occidentale), sono state scavate (dal 1976) sepolture in un tumulo la cui
realizzazione anticipa la tecnica più tardi usata per i grandi tumuli a "buco di
serratura" (o zempokoen, "davanti quadrato, dietro tondo"). Il tumulo di Tatetsuki
fu costruito sagomando una collina naturale (togliendo terra da una parte e
ammassandola dall'altra): con la sua porzione centrale di 43 m di diametro e circa 5
m di altezza, è forse il più grande tumulo Yayoi a oggi rinvenuto.
La differenza tra i periodi Yayoi e Kofun non è tanto da ravvisare nella rapida
comparsa dei tumuli quanto nell'unificazione dei diversi tipi regionali in un unico
stile, quello zempokoen classico, in relazione all'affermarsi di un sistema di alleanze
politiche interregionali, tra la fine del IV e l'inizio del V secolo, premessa alla nascita
del regno di Yamato. Il più antico tipo di kofun compare nel Kinai (area delle
odierne Osaka - Kyoto - Nara), ritenuta dalla tradizione la terra d'origine della
famiglia imperiale e dello Stato giapponese; non a caso gli antichi tumuli dal Kinai si
diffusero a Kyushu e intorno a Tokyo, eretti in luoghi-chiave lungo vie di trasporto
e comunicazione o lungo i confini di pianure agricole, quasi a contrassegnare il
territorio che il signore di quel tumulo aveva dominato in alleanza con il tenno, il
sovrano, l'imperatore. Il kofun presso Tsubai Otsukayama (25 km a sud di Kyoto),

20
tra i più rappresentativi del tipo più antico, fa parte di un gruppo di tre kofun sul
crinale delle colline che delimitano la piana del fiume Kizu; la forma è quella
classica del tipo zempokoen, con una terrazza anteriore trapezoidale, digradante
verso la porzione posteriore a pianta circolare, molto più alta della terrazza
anteriore che i lavori di costruzione della linea ferroviaria Kyoto-Nara, nel 1894,
intaccarono, rivelando la struttura della tomba, formata da una camera funeraria
all'interno di una fossa profonda circa 5 m. Secondo la tradizione il tumulo di
Tsubai Otsukayama sarebbe la sepoltura del primo sovrano che portò l'intero
Giappone sotto il potere di Yamato. L'identificazione resta però ipotetica, mentre
quasi certa è l'attribuzione del più grande tumulo zempokoen del Giappone (lungh.
486 m) circondato da tre grandi fossati a ricordare il profilo di una campana Yayoi
di bronzo: questo zempokoenfun, presso Sakai a sud di Osaka, sarebbe la tomba del
terzo sovrano della dinastia Naniwa, Nintoku, che iniziò nel 67° anno di regno la
costruzione della sua tomba.
Vi è l'eco di una ritualità e di un'ideologia del potere di origine continentale in
questi veri e propri "giardini funerari", o mausolei, delimitati dal recinto rituale
rappresentato dal fossato e popolati di ornamentazioni simboliche consistenti
inizialmente in semplici cilindri di terracotta (haniwa), ai quali presto si aggiunsero
raffigurazioni di oggetti (quali case, barche e oggetti d'uso) e poi, dalla metà del V
secolo circa, di uomini e animali. Distribuiti principalmente sulla sommità, lungo il
perimetro e ai piedi del tumulo, gli haniwa forniscono una testimonianza della vita
e dei riti dell'aristocrazia di cavalieri i cui strumenti e paraphernalia sono stati
rinvenuti in abbondanza nelle sepolture a tumulo e il cui rango è indicato anche
dalle dimensioni e dall'accuratezza nell'esecuzione degli haniwa stessi. Intorno alla
metà del V secolo, nei tumuli del Kyushu settentrionale iniziò l'uso di camere
sepolcrali con lungo corridoio che conduce all'interno del kofun, dove una o più
camere funerarie ‒ spesso decorate con pitture parietali ‒ possono essere aperte e
utilizzate più volte, mentre il profilo del tumulo abbandona la forma "a toppa" e
diventa quadrangolare o "a zucca"; compaiono nei corredi nuovi tipi di ornamenti
di bronzo dorato e monili di conchiglia, finimenti per cavallo di bronzo e ferro e un
nuovo tipo di ceramica di colore grigio metallico, detta Sueki (ceramica Sue), fatta
al tornio, cotta a elevate temperature e spesso con una sottile invetriatura, gran
parte della quale, come alcuni dei manufatti metallici, importata dalla Corea. Dopo
la loro comparsa nel Kyushu settentrionale i nuovi elementi di stile coreano si

21
diffusero rapidamente verso il Nord. La presenza di corredi funerari in cui
prevalgono finimenti per cavallo e corone di bronzo dorato (insieme a spade di
ferro fuso, spesso recanti iscrizioni), accanto a un nuovo tipo di sarcofago di pietra,
dimostra da un lato l'esistenza di una fitta rete di scambi con il continente e
dall'altro l'inizio di una chiara, cosciente volontà da parte dell'aristocrazia
giapponese di emulare i raffinati modelli artistici e civili della Cina e dei regni
coreani del periodo Samguk. Tale emulazione avrebbe portato al fiorire di
quell'originale cultura, pur profondamente sinizzata, dei periodi storici di Nara e di
Heian. L'affermarsi di uno strato intermedio tra l'aristocrazia dei grandi tumuli e la
gente comune dei villaggi agricoli è testimoniato dai molti gruppi di piccoli tumuli
funerari presso i maggiori centri economici e politici dell'epoca.
Alla metà del VII secolo un editto dell'imperatore Kotoku ‒ nell'ambito di una
generale riforma della struttura sociale e amministrativa del neonato Stato,
conosciuta come Taika ("Grande Cambiamento") ‒ mise fine agli antichi usi funebri
e impose rigide norme suntuarie che "normalizzavano" le dimensioni e la ricchezza
delle sepolture in base ai sei strati in cui la società giapponese era divisa. La fine
dell'epoca degli Antichi Tumuli, però, non fu segnata soltanto dall'editto di Kotoku;
infatti una nuova religione andava diffondendosi tra l'aristocrazia giapponese, una
religione mite e impietosa che, insegnando a distaccarsi dalle cose umane,
consegnava al fuoco quanto di più inutilmente umano dell'individuo resta al
momento della morte: un corpo inanimato per il rito della cremazione. Conosciuto
già dalla fine del V secolo, il buddhismo entrò ufficialmente in Giappone nel 552
(secondo quanto tramanda un altro antico testo dell'epoca, il Nihon Shoki). Appena
35 anni dopo, il clan dei Soga, per adempiere a un voto fatto prima della battaglia
contro il clan Mononobe, faceva edificare il primo tempio buddhistico del Giappone,
conosciuto come Asuka-dera, presso Asuka nella piana di Nara, dove fin quasi alla
fine dell'VIII secolo sarebbe rimasta la sede del governo imperiale. Con la fine del
periodo Kofun, la diffusione del buddhismo e, quindi, della scrittura, la protostoria
trapassa nella storia e l'archeologia preistorica lascia il posto all'archeologia
storica.
Bibliografia
C.M. Aikens - T. Higuchi, Prehistory of Japan, New York - London 1982, pp. 251-304;
R.J. Pearson (ed.), Windows on the Japanese Past. Studies in Archaeology and
Prehistory, Ann Arbor 1986; C. Renfrew - J.F. Cherry (edd.), Peer Polity Interaction

22
and Socio-Political Change, Cambridge 1986; T. Hiroshi, The Kofun Period, in T.
Kiyotari (ed.), Recent Archaeological Discoveries in Japan, Paris - Tokyo 1987, pp.
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Reviews of Far Eastern Archaeology 1990, Oxford 1990, pp. 113-62; Keiji Imamura,
Prehistoric Japan. New Perspectives on Insular East Asia, Honolulu 1996, pp. 14-15,
179-99.

6. L'ARCHEOLOGIA STORICA (Da: Yumiko Nakanishi, voce dell’Enciclopedia Treccani,


2005)
L'archeologia giapponese ebbe inizio nel 1877 con lo scavo del chiocciolaio di
Omori condotto dallo zoologo americano E.S. Morse; almeno nelle sue prime fasi,
essa si concentrò sul periodo preistorico e non fu particolarmente interessata a
quello storico, studiato nel contesto di altre discipline accademiche, quali la
filologia, la storia antica e la storia dell'arte e dell'architettura, che si avvalevano
delle sole antiche fonti scritte. La necessità di integrare queste ultime con dati
desumibili dai resti della cultura materiale produsse, però, particolarmente dopo la
fine della seconda guerra mondiale, un interesse sempre maggiore per l'archeologia
storica. L'integrazione tra fonti documentarie e dati archeologici è oggi una prassi
cui l'archeologia giapponese dedica particolare attenzione e risorse.
Se comparato con altre parti del mondo, il periodo storico ebbe inizio in Giappone
in epoca relativamente tarda, intorno alla metà del VII secolo, quando vennero
istituiti un sistema amministrativo e leggi codificate. Le fasi recenti del periodo
Kofun (secc. V-VII) vengono talvolta incluse nel periodo storico, in quanto vi sono
evidenze dell'uso di caratteri scritti, ma solo dopo il VII secolo, con l'unificazione
territoriale e politica dell'arcipelago, si ebbero veri e propri resoconti storici.
Inizialmente l'ambito di ricerca dell'archeologia storica si limitò a indagare la sfera
religiosa (ad es., l'archeologia dei templi buddhisti, associata allo studio delle
iscrizioni su monumenti e stele di pietra), per estendersi in seguito ad altri settori e
periodi. I principali temi sono stati per lungo tempo rappresentati dallo studio delle
antiche capitali, delle sedi amministrative dei feudi rurali e dei templi buddhisti;
progressivamente le ricerche si sono estese all'archeologia medievale e
premoderna, soprattutto negli ambiti connessi con le attività di produzione, e ai
soggetti classici delle prime fasi del periodo storico antico (periodi Asuka, Nara e

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Heian). I siti di attività metallurgiche sono un buon esempio del sostanziale
contributo fornito dall'archeologia storica allo studio dei processi produttivi dei
periodi medievale e premoderno; recentemente sono inoltre divenuti oggetto di
interesse i siti moderni, quali quelli connessi con i conflitti bellici e i siti industriali.
Talvolta è anche accaduto che la ricerca archeologica abbia posto fine ad annosi
dibattiti in merito a eventi storici: uno dei più celebri casi riguarda il tempio di
Houryu-ji (Pref. di Nara), uno dei più antichi del Giappone, che si ritiene sia stato
fondato nel 607 d.C. In un documento storico, il Nihon Shoki, è riportato che il
tempio venne incendiato nel 670 d.C. Secondo alcune teorie elaborate sulla base di
tale fonte, il tempio oggi visibile, con le sue importanti strutture monumentali,
sarebbe stato ricostruito dopo il 670 d.C.; altri studiosi, soprattutto storici
dell'architettura, sostenevano invece che non si erano verificati incendi, poiché, in
base a confronti con la sequenza degli stili architettonici cinesi, lo stile delle
costruzioni presenti, riferibile al periodo Asuka, era compatibile con l'originaria
data di fondazione. Essi sottolineavano inoltre l'assenza di tracce di incendi nei
recinti del tempio e affermavano che il Nihon Shoki descriveva un'altra struttura,
ubicata in altro luogo. Il dibattito, iniziato nel 1905, ebbe termine solo nel 1939 con
gli scavi condotti nell'area di Wakakusa-garan del tempio di Houryu-ji, in cui erano
state individuate le evidenze di incendi; gli scavi documentarono la presenza di
recinti più antichi e fasi di ricostruzione successive all'incendio del 670. Il protrarsi
del dibattito contribuì comunque in modo sostanziale all'avanzamento delle
discipline accademiche coinvoltevi, quali la storia dell'arte, la storia
dell'architettura, la filologia, la storia antica e altre. L'archeologia ha anche fornito
un rilevante apporto all'incremento "fisico" delle fonti documentarie: gli scavi
hanno infatti consentito il rinvenimento di documenti scritti, quali gli inventari
scritti a inchiostro su tavolette di legno e su ceramiche e le iscrizioni che
compaiono su spade e altri manufatti metallici; sono stati identificati anche
frammenti di documenti scritti a inchiostro su carta e che si sono conservati grazie
al fatto che la carta, riutilizzata per avvolgere o chiudere contenitori di ceramica, si
era imbibita della lacca usata per chiudere i contenitori stessi.
Tra tutte le fonti scritte recuperate negli scavi, le tavolette di legno sono di
particolare importanza per lo studio dei sistemi amministrativi del passato: grandi
quantità ne sono state recuperate negli antichi palazzi sede del potere imperiale,
come il Palazzo di Heijo e il Palazzo di Fujiwara, contenenti utili dati su eventi di

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corte e uffici amministrativi e informazioni talvolta in contraddizione con i
documenti storici tradizionali. Sono state inoltre recuperate etichette di legno che
erano apposte sui contenitori usati per il trasporto dei tributi (ad es., riso); 39
tavolette di legno vennero rinvenute per la prima volta nel 1961 nel Palazzo di
Heijo, a tutt'oggi ne sono stati recuperati oltre 70.000 esemplari e più di 220.000
sono quelli rinvenuti nell'intero Giappone.
Le ricerche sulla fase compresa tra il periodo Asuka e il periodo Heian
rappresentano l'ambito di studi maggiormente consolidato dell'archeologia storica
giapponese. Gli scavi hanno consentito di raccogliere dati per stabilire complesse
cronologie delle ceramiche e delle tegole tipiche di questi periodi. Sebbene
l'archeologia storica si sia per lungo tempo concentrata sulle fasi iniziali del
periodo storico, attualmente il suo campo di interessi si estende anche ai periodi
più recenti. Sono stati intrapresi scavi in città medievali, castelli, tombe e in siti
connessi con le attività produttive. Le città premoderne sono state anch'esse
oggetto d'indagine, con l'obiettivo di studiarne gli aspetti non descritti nei disegni e
nei documenti storici. In termini generali, l'archeologia storica dopo il periodo
medievale non è così consolidata quanto l'archeologia del periodo storico antico e
rappresenta il settore che dovrà in futuro essere maggiormente investigato; in
molti casi essa intraprende ricerche congiunte con altre discipline: molti ambiti
disciplinari adiacenti, quali la filologia, la storia antica, la storia dell'architettura, la
storia della coltivazione, la geografia storica, hanno con essa inevitabili correlazioni
e il contributo di ciascuna allo sviluppo dell'altra appare imprescindibile.
Bibliografia
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[in giapponese], Tokyo 1956; T. Mikami - S. Narazaki (edd.), Japanese Archaeology,
VII. Historic Period [in giapponese], Tokyo 1967; K. Tsuboi, Buried Cultural
Properties and Archaeology [in giapponese], Tokyo 1986; H. Kaneko, The Heijo
Palace, in K. Tsuboi (ed.), Excavations of Capital Remains. Thinking of Ancient
Times [in giapponese], Tokyo 1987, pp. 133-56; K. Sakurai - S. Sakazume (edd.),
Debates on Japanese Archaeology, VI. Historic Period [in giapponese], Tokyo 1987;
S. Sakazume, Introductory Dictionary for Historic Archaeology [in giapponese],
Tokyo 1991; T. Ozawa, The Heijo Palace, in Symposium, the Heian Capital [in
giapponese], Kyoto 1994, pp. 37-43; W.W. Farris, Sacred Texts and Buried
Treasures: Issues in the Historical Archaeology of Ancient Japan, Honolulu 1998; Y.

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Nakanishi, The Development of Japanese Palace Style towards the Last Ancient
Palace in Japan: to what Extent Was the Heian Palace "Chinese" or "Japanese" in
Style and Use? (BA Diss.), Durham 2000.

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