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FELIX TERRA
Capua e la Terra di Lavoro in età longobarda
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FELIX TERRA
Capua e la Terra di Lavoro in età longobarda

Collana diretta da
Federico MARAZZI
Comitato Scientifico
François BOUGARD (Université Paris X - Nanterre)
Gian Pietro BROGIOLO (Università di Padova)
Cécile CABY (Université de Nice - Sophia Antipolis)
Edoardo D'ANGELO (Università “Suor Orsola Benincasa” - Napoli)
Flavia DE RUBEIS (Università di Venezia “Cà Foscari”)
Sveva GAI (LWL - Archäologie für Westfalen Mittelalter - und Neuzeitarchäologie)
Giulia OROFINO (Università di Cassino e del Lazio Meridionale)
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FELIX TERRA
Capua e la Terra di Lavoro in età longobarda

a cura di
Federico MARAZZI

Editing, impaginazione & grafica


Tobia PAOLONE

Ottimizzazione
Ida DI IANNI

VOLTURNIA EDIZIONI
Piazza Santa Maria, 5
86072 Cerro al Volturno (IS)
Tel. & Fax 0865 953593
info@volturniaedizioni.com
www.volturniaedizioni.com

Copyright © 2017
Volturnia Edizioni

ISBN 978-88-96092-47-7

In copertina: “Amphiteatre at Capua Vecchia”, 1830, Incisione xilografica, mm. 190x130.


Disegno J.Smith, Incisione by B.T. Pouncy .

Le illustrazioni e i testi presenti in questo volume sono stati forniti dagli autori
che possedendone i diriti ne hanno autorizzato la loro pubblicazione.
Tutti i diritti sono riservati. Senza l’autorizzazione scritta dell’editore è vietata la riproduzione.
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FELIX TERRA
Capua e la Terra di Lavoro in età longobarda

a cura di
FEDERICO MARAZZI

Atti del convegno internazionale


svoltosi a Capua e Caserta
nei giorni 4 -7 giugno 2015

SOCIETA’ DI STORIA PATRIA


DI TERRA DI LAVORO

UNIVERSITA’ SUOR ORSOLA


BENINCASA DI NAPOLI
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FELIX TERRA 7

Indice

Presentazione ................................................................................................................... 11
Alberto Zaza D’Aulisio

Prefazione ........................................................................................................................ 13
Federico Marazzi

SEZIONE I
Capua capitale longobarda e la sua “riscoperta” storiografica ................................ 15

Gerardo SANGERMANO (Università di Salerno)


I miei Capuanites. La Longobardia Meridionale di Nicola Cilento ................................... 17

Luigi Romolo CIELO (Università Suor Orsola Benincasa di Napoli)


Giuseppe Tescione e il medioevo storico-artistico capuano ................................................ 31

SEZIONE II.
Città e territorio. Istituzioni e memorie ....................................................................... 45

Claudio AZZARA (Università di Salerno)


Capua, Salerno e Benevento: intersezioni fra le capitali longobarde del Sud ..................... 47

Vito LORÉ (Università Roma Tre)


Genesi e forme di uno spazio politico: Capua nell’alto medioevo ........................................ 53

Aurélie THOMAS (Université Paris I – Panthéon Sorbonne)


Lignaggi aristocratici e società nel principato di Capua ..................................................... 65

Mariano DELL’OMO OSB (Archivio Storico Abbazia di Montecassino


Pontificia Università Gregoriana, Roma)
Montecassino e Capua fra Longobardi e Normanni............................................................ 73

Graham LOUD (University of Leeds),


Le istituzioni ecclesiastiche nella Capua longobarda .......................................................... 89

Tommaso INDELLI (Università di Salerno)


I gastaldati longobardi del Lazio meridionale ...................................................................... 97

Ermanno A. ARSLAN (Accademia Nazionale dei Lincei)


La produzione monetaria capuana fra X e XI secolo ........................................................... 109

Amalia GALDI (Università di Salerno)


Chiesa e culti dei santi nella Capua tardo-antica e alto-medievale ............................ 123
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8 INDICE

Luigi Andrea BERTO (University of Western Michigan)


Foucault e Derrida tra i Longobardi del sud Italia e le immaginarie
“textual communities” della Langobardia meridionale ..................................................... 137

Corinna BOTTIGLIERI (La Sapienza – Università di Roma)


Cultura e culture nella Capua longobarda .......................................................................... 149

Teofilo DE ANGELIS (Università Suor Orsola Benincasa di Napoli)


Capua e i Capuani: tra tradizione ed innovazione nella storiografia altomedievale
della Longobardia Minor ................................................................................................. 163

Antonio TAGLIENTE (Università di Salerno)


Princeps, dux et marchio. La fortuna letteraria di Pandolfo Capodiferro
tra XVII e XVIII secolo ..................................................................................................... 177

Kordula WOLF – Marco DI BRANCO (Istituto Storico Germanico di Roma)


«(…) Capuamque primariam universam redegit in cinerem».
Il mito della distruzione di Capua antica nell’841 ............................................................ 195

SEZIONE III
Città e territorio: le strutture materiali ............................................................................ 207

Chiara LAMBERT (Università di Salerno)


Salerno, Benevento e Capua. La produzione epigrafica longobarda
tra memoria privata e uso politico ....................................................................................... 209

Daniele FERRAIUOLO (Università Suor Orsola Benincasa di Napoli)


Scrittura esposta e spazio funerario. Il modello “vulturnense” nel quadro
delle testimonianze epigrafiche di Terra di Lavoro (secoli VIII-IX) ..................................... 223

Mario PAGANO (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio della Calabria)


L’eredità di Casilinum e di Capua Vetus fra tarda antichità e alto medioevo ..................... 241

Federico MARAZZI (Università Suor Orsola Benincasa di Napoli)


Città scomparse, migrate, sdoppiate. Riflessioni sul tessuto insediativo
di Terra di Lavoro in età altomedievale .............................................................................. 259

Barbara VISENTIN (Università della Basilicata)


Capua medievale: forma urbis di una capitale longobarda ............................................... 275

Stefania QUILICI GIGLI (Università della Campania Luigi Vanvitelli)


La collina di Palombara, sulla stretta del Volturno a Triflisco ........................................... 285

Cristina CORSI (Università di Cassino e del Lazio Meridionale)


Insediamento e circolazione nel Lazio meridionale fra tarda antichità e alto medioevo ....... 293
Appendice
Giovanni MURRO (Università del Salento)
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FELIX TERRA 9

La rioccupazione tardoantica e altomedievale delle terme centrali di Aquinum:


l’area cimiteriale (scavi 2009-2015) .................................................................................. 309

Francesco SIRANO (MiBACT - Parco archeologico di Ercolano)


Teano e il suo territorio fra tardoantico e alto medioevo: le nuove letture archeologiche ....... 319

Francesca SOGLIANI (Università della Basilicata)


Il controllo del territorio: la Rocca Montis Draconis nell’Alto Medioevo .......................... 333

Angela CARCAISO (Museo Civico Archeologico di Mondragone "Biagio Greco")


La trasformazione del paesaggio agrario caleno tra età romana e alto medioevo:
gli insediamenti rurali e le necropoli nell’area industriale Ex Pozzi (Sparanise, CE)......... 361

SEZIONE IV: L’architettura e la cultura artistica ...................................................... 375

Alessia FRISETTI
(Università Suor Orsola Benincasa di Napoli)
Tecniche edilizie, cantieri e committenze nell’architettura altomedievale
di Terra di Lavoro ............................................................................................................... 377

Cesare CROVA (Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro)


Accenti di romanità nell’architettura longobarda del Lazio meridionale
e di Terra di Lavoro ............................................................................................................. 399

Marta ACIERNO (La Sapienza – Università di Roma)


Architettura ecclesiastica altomedievale a Capua e in Terra di Lavoro ................................ 419

Nicola BUSINO (Università della Campania Luigi Vanvitelli)


Nuovi dati sull’edilizia religiosa medievale in area capuana:
l’insediamento di Monte Santa Croce a Piana di Monte Verna (Caserta) ........................... 439

Ulf SCHULTE-UMBERG (ETH, Zürich)


I capitelli altomedievali di Capua e del territorio campano: problemi di tipologia,
origine e datazione ............................................................................................................... 453

Francesco RUSSO (Université de Genève - Liceo Classico «C. Cavour» di Torino)


«O giorni felici et secoli di oro!» La conservazione delle memorie artistiche medievali nelle
indagini di Michele Monaco e Fabio Vecchioni .................................................................. 467

Luigi DI COSMO (Università Suor Orsola Benincasa di Napoli)


Produzione e circolazione della ceramica nell’alto medioevo fra Capua
e la Terra di Lavoro .............................................................................................................. 491

CONCLUSIONI GENERALI

Jean-Marie MARTIN (CNRS – École Française de Rome) ........................................... 513


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FELIX TERRA 11

Presentazione
E’ un tributo dovuto alla memoria di Nicola Cilento (Stigliano, 10.9.1914 - 16.11.1988) e di
Giuseppe Tescione (Caserta, 1.9.1914 - 1.12.2002) il convegno internazionale di studi animato
dal 4 al 7 giugno 2015 a Caserta e Capua da medievisti di chiara fama i cui pregevoli interventi
rivivono in questa pubblicazione a coronamento dell’impegno e della passione di Federico Ma-
razzi, titanico artefice della feconda sinergia tra l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli
e la Società di Storia Patria di Terra di Lavoro in virtù della quale si è tornati a parlare del tempo
in cui Capua fu la capitale della Longobardia meridionale, molto più vasta dell’attuale Lombar-
dia, splendido centro di arte e di cultura.
Vite parallele quelle di Nicola Cilento , il più grande conoscitore della Capua longobarda, per
oltre venti anni docente di storia medioevale nell’Ateneo partenopeo , e di Giuseppe Tescione,
il massimo storico della Caserta antica. Problemi di carattere organizzativo non avevano con-
sentito di realizzare l’iniziativa nella ricorrenza centenaria dei genetliaci dei due insigni studiosi
che hanno illustrato , con le loro ricerche, la storia del territorio compreso, all’epoca della do-
minazione longobarda, nell’area già dominata degli Osci-Campani-Romani ed estesosi al San-
nio ed al Salernitano per opera dei Cònti di Capua la cui dinastia durò oltre il Mille. Superate
le difficoltà del momento, ottenuto il gratificante Patrocino morale del Presidente della Provin-
cia Domenico Zinzi con l’autorizzazione a fruire della sala conferenze del Museo Campano,
alla fine il progetto è diventato realtà. Le figure di Nicola Cilento e di Giuseppe Tescione hanno,
così, campeggiato idealmente durante il convegno nella evocazione del solco da loro tracciato
lungo l’affascinante strada della storia dell’uomo.
Giuseppe Tescione aveva assimilato l’interesse per gli studi storici dal padre Giovanni, av-
vocato, sindaco di Casagiove, primo podestà di Caserta, autore, tra l’altro, de “L’arte della seta
di San Leucio” ed “Il corallo di Torre del Greco”, tra i fondatori della Società di Storia Patria di
Terra di Lavoro. Contemperando, con grandi sacrifici, la professione di pediatra con la ricerca
storica, si impose all’attenzione nazionale per il primo premio vinto nel concorso per una mo-
nografia indetto nel 1953 dal Comitato Nazionale per la valorizzazione del Borgo Medioevale
di Casertavecchia. “Caserta Medievale e i suoi Conti e Signori”, valutata dalla Commissione
presieduta da Antonino Rusconi e composta da Gino Doria, Riccardo Filangieri di Candida
Gonzaga, Mario Stefanile, Romualdo Trifone e Pietro Borraro, fu pubblicata nei volumi primo
(1956) e secondo (1959) dell’Archivio Storico di Terra di Lavoro, curato dalla Società di Storia
Patria di Terra di Lavoro. Nel giugno 1965 venne riproposta nel bel volume edito da “La Diana”
di Marcianise, diretta da Gaetano Andrisani , per i tipi della Laurenziana di Napoli. Nel marzo
successivo (esauritesi le scorte) “La Diana” e la Tipografia Laurenziana licenziarono una se-
conda edizione.
“Sono stato indotto a tracciare questi lineamenti di una storia della Contea di Caserta” – pre-
mette Tescione alla sua opera, frutto di meticolose ricerche tra gli archivi di Cava, di Montever-
gine, Vaticano, Capitolare e Vescovile di Capua ,del Museo Provinciale Campano di Capua, nei
depositi della Società Napoletana di Storia Patria, nell’Archivio di Stato di Napoli - “ dalla
considerazione che non esiste a tutt’oggi sull’argomento uno studio rigorosamente condotto e
aggiornato e che anche alcuni contributi di qualche pregio presentano lacune ed incertezze
davvero notevoli”.
“Le vicende del piccolo borgo di Casertavecchia, formatosi nel periodo longobardo ed assurto
con i Normanni a sede di Contea autonoma” – prosegue il Tescione – “ presentano grande in-
teresse nei riflessi della storia civile, della storia del diritto e della storia dell’arte”.
Raggiunto lo scopo, “Caserta Medievale e i suoi Conti e Signori” resta una pietra miliare
nella storiografia di Caserta e dell’intero Mezzogiorno d’Italia.
Il rapporto della Società di Storia Patria di Terra di Lavoro con Nicola Cilento , scandito dal
nostro Archivio Storico, vive nella bacheca dedicata al suo nome per accogliervi momenti sa-
lienti della sua produzione scientifica:
“Il Placito di Capua” , commentato nel 1960 per celebrare il millenario del documento in cui
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12 PRESENTAZIONE

è racchiusa la prima testimonianza scritta della lingua italiana in occasione della cerimonia
inaugurale dello stabilimento chimico Pierrel di Capua (oramai dismesso);
“Le origini della signoria capuana nella Longobardia minore”, estratto dal fascicolo 69-70
degli Studi Storici dell’Istituto Italiano per il Medio Evo (1971), nella cui premessa il Cilento fa
risalire il suo interesse alla storia della Longobardia minore ai suoi primi anni di studi superiori
dall’incontro in Napoli con Ernesto Pontieri, approfondito durante gli anni trascorsi a Roma alla
Scuola storica nazionale di Studi medievali dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo, diretta
da Raffaello Morghen;
“Italia Meridionale Longobarda” (1966) per Riccardo Ricciardi Editore in cui parla della ori-
gine dei Longobardi in Italia, tardi epigoni di quelli che Velleio Patercolo definì essere i più fe-
roci della stessa ferocia germanica, che tra il IX e l’XI secolo dominarono come classe
aristocratico-militare la maggior parte delle regioni, prevalentemente interne, dell’Italia meri-
dionale e che ripopolarono le campagne restituendo vigore al Mezzogiorno contadino;
“La Metropolia di Capua” ( con introduzione di Ernesto Pontieri), edito dalla Stamperia di
Gennaro D’Agostino in Napoli (1966) in occasione del convegno di studi sulla storia di Capua
promosso dalla Società di Storia Patria di Terra di Lavoro (la pubblicazione fu sponsorizzata
dalla Pierrel nel millenario della elevazione della Chiesa arcivescovile di Capua a sede metro-
politica della regione che, al momento della sua creazione, il 966, aveva in questa città il centro
della sua vita civile e politica) ;
“L’Istituzione della sede arcivescovile metropolitana di Capua nel suo significato politico e
religioso”, estratto dagli atti del Convegno Nazionale di Studi Storici promosso dalla Società di
Storia Patria di Terra di Lavoro (26-31 ottobre 1966) nel Millenario dell’evento.
Nel ravvivare l’interesse dei cultori di storia medioevale ricordando l’opera e la figura di Ni-
cola Cilento e Giuseppe Tescione, l’occasione è opportuna per accennare alla “incursione” gior-
nalistica di Filippo Finotti , cultore di discipline storiche, che il 16 giugno 1935 pubblicò
sull’Avvenire d’Italia un documentato intervento sulla “ Lombardia minore”, il cui valore di-
vulgativo merita di essere additato all’attenzione degli studiosi.
Finotti, nato nel 1878 a Patrasso da Filomena Micalof, nobildonna di Corfù, e dal ferrarese
Guglielmo Finotti, casertano di adozione, patriota risorgimentale, mazziniano, insegnante di
letteratura italiana ad Atene, fondatore de “La Campania”, primo giornale liberale in Terra di
Lavoro. Giornalista professionista, Filippo Finotti fu tra gli aderenti della prima ora alla Società
di Storia Patria di Terra di Lavoro (agli atti la sua domanda di iscrizione datata 1 maggio 1953).
Il suo articolo “Tra le pieghe della storia”, riemerso a margine del convegno su “Capua e la
Terra di Lavoro in età longobarda” appare come un piccolo scrigno da scrutare.
Il convegno di due anni orsono rievocò, col lapidario titolo di “felix terra”, l’epoca aurea
della “Campania felix” quando la Terra di Lavoro ne sostanziava l’espansione a sud di Roma.
L’auspicio è che la “provocatoria” locuzione possa destare rigenerati stimoli per ricondurre
questa terra al rango che le compete per destinazione storica.

Alberto ZAZA D’AULISIO


Società di Storia Patria
Terra di Lavoro
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FELIX TERRA 13

Introduzione

Ad esattamente cinquanta anni di distanza dalla pubblicazione degli atti del convegno “Il
contributo dell’Archidiocesi di Capua alla vita religiosa e culturale del Meridione”, promosso
dalla Società di Storia Patria di Terra di Lavoro, vede la luce il volume “Felix terra. Capua e la
Terra di Lavoro in età longobarda (VIII – XI secolo”. Anche quest’ultima impresa non sarebbe
stata possibile senza il concorso di questo antico sodalizio storico che, impegnando con coraggio
le proprie risorse ed energie, ha permesso che potessero di nuovo trovarsi riuniti nel nome del
Medoevo longobardo studiosi di grande prestigio nazionale ed internazionale.
Sfogliando le pagine del volume che raccoglie gli atti del convegno del 1966 (edito nell’anno
successivo) ci si rende conto che il tema aveva mobilitato un parterre di nomi fra i più prestigiosi
della medievistica campana di quel periodo: da Nicola Cilento a Giuseppe Tescione – che nel
convegno del 2015 sono stati ricordati in ricorrenza del centenario della loro nascita -, da An-
tonio Rusconi a Jole Mazzoleni e da Gino Chierici a Mario Rotili ed Arnaldo Venditti, solo per
citare i più celebri. Ma non mancarono “incursioni” da parte di studiosi, come Giuseppe Mar-
chetti Longhi, Stefano Bottari e Giuseppe Bovini, che avevano incentrato le loro attenzione prin-
cipalmente su altre aree d’Italia (rispettivamente Roma, la Sicilia e Ravenna), evidentemente
attratti dalla ricchezza del patrimonio postclassico che, già allora, appariva d’importanza no-
tevolissima e meritoria di approfondimenti ulteriori.
Quel convegno si tenne in un periodo abitualmente considerato di “stasi” nello studio del
Medioevo meridionale, se confrontato con la grande stagione di fine Ottocento e inizio Nove-
cento, quando era fiorito un paio di generazioni di studiosi – fra cui molti stranieri – che pos-
sono essere a buon diritto considerate fondatrici degli studi in questo campo. Grazie a
precursori come Salazaro e Capasso, sino a personaggi come Bertaux, Schipa, Vehse, Poupardin
e Gay (solo per ricordare alcuni nomi), i decenni a cavallo fra i due secoli espressero una fecon-
dità di ricerche, alle quali è ancor oggi talora d’obbligo fare riferimento, in grado di costruire i
riferimenti di base non solo per la conoscenza di eventi, quadri politici e tradizioni giuridiche,
ma anche del patrimonio artistico e monumentale, in regioni che in genere erano state scarsa-
mente partecipi dello slancio veicolato dalla cultura del Romanticismo che, in altre aree d’Italia,
già nel corso dell’Ottocento, aveva portato alla riscoperta di quanto rimaneva del Medioevo.
Tuttavia, forse fu proprio il convegno del 1966 a segnalare che gli anni della ricostruzione po-
stbellica avevano rappresentato un momento di attività maggiore di quanto non potesse a
prima vista immaginarsi. Gli interventi riparatori dei danni bellici effettuati su molti edifici del
Medioevo campano (come le cattedrali di Capua, Teano e Benevento) costituirono talora oppor-
tunità di conoscenza inedite riguardo la loro storia e gli esiti di quella stagione possono essere
colti nell’indice del volume degli atti nei numerosi approfondimenti compiuti su diversi mo-
numenti del territorio. Ma non va neppure dimenticato che quei decenni avevano visto l’avvio
delle edizioni di alcuni rilevanti fondi documentari, come proprio quelli capuani, la cui dispo-
nibilità avrebbe enormemente facilitato in seguito lo studio di aspetti che sin allora, con poche
eccezioni (penso ad esempio alle ricerche di Giovanni Cassandro sull’uso della terra nell’area
al confine fra Napoli e Capua), erano stati affrontati. E il dopoguerra era stato anche il momento
in cui era ripreso con un certo vigore il lavoro di edizione delle fonti cassinesi (attraverso la
pubblicazione dei regesti degli archivi), che a sua volta avrebbe aperto nuove opportunità di
conoscenza sulla Campania settentrionale nell’Alto Medioevo.
Come ricorda bene Gerardo Sangermano, Nicola Cilento fu il primo a cogliere interamente
il tema della storia capuana come snodo centrale per lo studio del Meridione longobardo, e se
oggi alcuni suoi studi appaiono superati dalle ricerche più recenti (si considerino in tal senso
le sue posizioni sulla presenza islamica nella Campania settentrionale), non vi è dubbio che
essi abbiano mosso le acque in maniera decisiva, consentendo un rinnovamento delle prospet-
tive di ricerca di cui il primo (e per molti versi ancora insuperato) frutto, fu, nel 1980, il libro di
Paolo Delogu su Salerno longobarda. Ma non deve neppure essere dimenticato l’impulso che
sempre Cilento dette all’avvio delle ricerche di archeologia medievale in Campania, aprendo
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frontiere fra le più ampie lungo le quali ancora oggi l’attività di ricerca si muove con grande pro-
fitto. Il convegno di cui in questo volume si riuniscono gli atti è dunque senza meno debitore
di quella stagione e, se il quadro che da essa emerge in molti casi ne evidenzia il superamento,
ciò non può che essere visto come un ulteriore segno della lungimiranza di quella generazione
di studiosi.
Volendo trarre un bilancio sommario dei contributi che qui si sono raccolti, si possono espri-
mere alcune considerazioni di ordine generale. Innanzitutto – ed è forse la cosa più confortante
– si può notare come, accanto a quelli forniti da studiosi “di lungo corso”, esso abbia raccolto
saggi di grande qualità prodotti da ricercatori molto più giovani, segno che la Longobardia me-
ridionale costituisce un campo d’indagine che certamente si candida ad avere ancora un futuro
promettente. In secondo luogo, non si può sottovalutare come siano letteralmente esplosi gli
studi in alcuni campi, quali l’archeologia, la topografia e l’epigrafia, che mezzo secolo fa erano
quasi irrilevanti e come proprio al loro interno si concentri l’attività delle generazioni più fre-
sche. Infine, è da rimarcare la nutrita presenza di contributi offerti da ricercatori provenienti da
istituzioni estere, aspetto che appare positivo anche per gli omologhi italiani, in quanto stimolo
a tenere presente una pluralità di approcci conoscitivi ai vari temi trattati in questa occasione.
A tutti i colleghi che hanno offerto il loro apporto alla riuscita del convegno e alla pubblica-
zione degli atti va pertanto, in quanto curatore del volume, il mio sincero ringraziamento, poi-
ché la qualità dei loro lavori e la puntualità con cui essi hanno prodotto i testi finali dei loro
interventi ha permesso che il presente esito editoriale maturasse in tempi non troppo dilatati.
Come dicevo in apertura, il merito della riuscita del convegno va senza alcun dubbio alla
Società di Storia Patria di Terra di Lavoro e al suo Presidente Alberto Zaza d’Aulisio, che ha im-
pegnato in modo che non è esagerato definire strenuo tutte le energie disponibili (ivi compresa
la bellissima sede della Società) per il pieno successo dell’iniziativa. Ma un grazie sincero devo
esprimere anche al Rettore dell’Università Suor Orsola Benincasa, prof. Lucio D’Alessandro, per
aver messo a disposizione le risorse necessarie alla pubblicazione degli atti.
All’allora Presidente della Provincia di Caserta, Angelo Di Costanzo, rivolgo un grazie per
l’aiuto dato per il catering, alla cui realizzazione ha dato un contributo decisivo anche la LWG
di Giovanni Leggiero, di Piedimonte Matese, che associo con riconoscenza ai ringraziamenti.
Altrettanto generosa è stata la disponibilità offerta dal Museo Campano di Capua, tramite
l’allora direttore arch. Giovanni Tuzio, che ha permesso che le sessioni iniziali dell’incontro
avessero luogo nella prestigiosa e, direi, naturale sede del Museo stesso. Ma non posso dimen-
ticare anche l’aiuto fornito dalla Pro Loco di Capua, tramite l’allora suo Presidente, Mariana
Iocco, che ha reso possibile la visita ad una serie di monumenti longobardi della città di difficile
se non impossibile accesso.
Infine, last but not least, sono fortemente debitore verso i miei collaboratori del LATEM, La-
boratorio di Archeologia Tardoantica e Medievale dell’Università Suor Orsola Benincasa (Ni-
codemo Abate, Consuelo Capolupo, Marianna Cuomo, Federica D’Angelo, Daniele Ferraiuolo
e Alessia Frisetti), per aver curato impeccabilmente la logistica del convegno. Il loro entusiasmo
e la loro professionalità ha rappresentato un plus decisivo per la piena riuscita dell’evento.
A Tobia Paolone della Volturnia Edizioni dedico l’ultimo ringraziamento: questo volume è
il nono della collana “Studi Vulturnensi”, nata sei anni fa. Senza la sua visionaria caparbia e la
sua passione per il lavoro di editore, questo progetto si sarebbe arenato molto prima, soffocato
dalle difficoltà che negli ultimi anni hanno travagliato la piccola editoria.
Nonostante io sia fermamente convinto che gli atti di Felix Terra riuniscano contributi la cui
validità apparirà nel tempo tutt’altro che transitoria, il migliore auspicio che licenziando il vo-
lume mi sento di esprimere è che esso, in un lasso di tempo più breve rispetto ai cinquanta
anni che ci separano dal convegno del 1966, possa essere superato da una ulteriore fioritura di
studi, a conferma di quanto importante, suggestivo e meraviglioso sia il patrimonio medievale
di questa splendida ancorché troppo spesso bistrattata regione d’Italia.

Federico MARAZZI
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FELIX TERRA 399

Accenti di romanità nell’architettura longobarda


nel Lazio meridionale e in Terra di Lavoro

Cesare CROVA
(Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro)

Anatomia di un titolo trattando, nello stesso intervento, della


battaglia del Garigliano del 915, ”nella

I
l 28 maggio 1930 si inaugurò a Mon- quale le forze collegate degli stati italiani,
tecassino il Convegno Storico che ce- primo esempio di una lega nazionale, con a
lebrava il XIV centenario della capo l’animoso pontefice Giovanni X, avevano
fondazione del cenobio, promosso schiacciato i Saraceni”; alla foce del fiume
dal senatore del Regno Pietro Fedele nella Paldolfo Capodiferro fece erigere una
seduta della Giunta esecutiva dell’Istituto torre, quale monito contro possibili future
Storico Italiano del 27 febbraio 1929 e del invasioni saracene, dopo il vittorioso com-
quale tenne anche il discorso iniziale dal battimento. A suffragio della paternità
titolo Accenti di italianità in Montecassino. della costruzione della fabbrica, Fedele
In esso egli dimostrava che nel Medioevo pubblicava il testo della seconda iscri-
il concetto di nazionalità non era smarrito, zione, ancora presente sulla torre, che solo
come molti storici avevano affermato. di recente era riuscito a decifrare (Fedele
L’unità morale creata da Roma non era 1932: 5) dopo aver pubblicato la prima nel
mai andata distrutta, anche con lo smem- suo famoso saggio sulla Battaglia del Ga-
bramento della penisola iniziato con l’in- rigliano (Fedele 1899: 181-211) e di cui dis-
vasione longobarda; la coscienza della seteremo in seguito. L’epigrafe, scritta in
nazionalità italiana, fondata sulla comu- versi esametri e posta a una quota di circa
nanza della tradizione, della cultura, m. 5,50 dal suolo, aveva dimensioni di m.
dell’arte, della poesia, della religione che 1,55 in lunghezza per m. 0,50 in altezza,
erano valori comuni, cementava la pro- era sopra la porta di ingresso; recita: Hanc
fonda unità morale del popolo italiano, olim patriam vastavit gens agarena/per
anche se politicamente diviso (Fedele flum(e)n [scandens] atrocia bella patrando/pro
1932: 1-16). Idea questa che lui ebbe modo quo Paldolfus Princeps et providus heros/con-
di esprimere anche grazie agli studi delle didit hanc turrem suae patriaeque salv[ti],
carte cassinesi e in particolare ai docu- dove si fa riferimento alla patria, che lo
menti del Codex Diplomaticus Caietanus, stesso Fedele precisa non si riferisca al-
che erano stati pubblicati nel 1887-1891 e l’Italia, piuttosto a un qualche cosa di di-
che avevano permesso di fare maggiore verso del ristretto stato sul quale Paldolfo
luce sulla storia del cenobio cassinese nel estendeva il suo dominio; i Saraceni ave-
Medioevo. vano devastato quasi tutta l’Italia e all’im-
Fedele richiamava la nozione di patria presa del Garigliano avevano partecipato
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i principi dell’Italia meridionale, il ponte- l’Università di Roma nel 1894, dove af-
fice, Alberico di Spoleto e truppe di Beren- fronta la questione legata alla nascita del
gario, per cui forse si poteva ammettere ducato. Riprenderà nel 1899, approfon-
che quella parola fosse usata con un signi- dendolo, il tema della presenza dei Sara-
ficato più ampio di regione o provincia. ceni nel territorio e gli eventi che
Pietro Fedele ha legato intimamente la portarono alla loro sconfitta e cacciata, in
sua figura a quella della fabbrica longo- uno dei suoi primi saggi, La battaglia del
barda, che ottenne in enfiteusi dal Co- Garigliano e i monumenti che lo ricordano.
mune di Sessa Aurunca il 12 agosto 1929 e Qui ripercorre i motivi che condussero
sulla quale fece realizzare importanti in- alla battaglia che nel 915 vide uscire scon-
terventi di conservazione per trasformarla fitti i Saraceni dopo circa trentadue anni
in Museo della Civiltà Aurunca, che nel di scorribande culminate con le distru-
tempo divenne uno dei più importanti tra zioni delle due grandi abbazie benedet-
quelli privati italiani. tine di San Vincenzo al Volturno (881) e
Queste riflessioni sono il preambolo al Montecassino (883).
perché del titolo di questo saggio, Accenti Nell’877 papa Giovanni VIII chiese che
di romanità nell’architettura longobarda nel si tenesse un convegno, a cui dovevano
Lazio meridionale e in Terra di Lavoro. La co- intervenire tutti coloro che erano interes-
struzione della fabbrica longobarda, come sati a giungere a una soluzione dei rap-
dimostreremo nello svolgersi del testo, porti con i Saraceni. Il 9 aprile di
trova stringenti affinità con la tecnica co- quell’anno il pontefice scrisse a Docibile e
struttiva romana, della quale richiama Giovanni, ipati di Gaeta, esortandoli nei
precise linee di indirizzo dimostrando propositi fatti, perché i cristiani dovevano
così che il grande insegnamento di Roma fuggire l’indegna alleanza con i pagani. Il
nel X secolo non era del tutto perduto congresso, inizialmente previsto a Gaeta,
(Chierici 1934: 551). Per ciò le tracce di ro- fu differito a Traetto il giugno di quel-
manità nella tecnica edilizia longobarda, l’anno a cui parteciparono il papa in per-
con la quale si volle dare forza e vigore sona, insieme a Docibile, Sergio, duca di
all’impresa edilizia, dando continuità nel Napoli, Guaiferio, principe di Salerno, Pu-
Medioevo alla tradizione costruttiva ro- leari, prefettuario di Amalfi. Papa Gio-
mana. Al tempo stesso, il titolo è anche un vanni riuscì nel suo intento ricoprendo
tributo alla figura di Pietro Fedele, che napoletani e amalfitani con donazioni in
tanto produsse per il territorio aurunco, oro, mentre è facile ipotizzabile che la ces-
con numerosi interventi mirati alla valo- sione fatta a Docibile nell’882 del ducato
rizzazione del patrimonio culturale e alla di Fondi e del principato di Traetto rien-
promozione di quello sociale e il cui nome trasse nell’accordo di ravvedimento fatto
è indissolubilmente legato a quello della nel corso del congresso dell’877. Gli ac-
Torre longobarda di Paldolfo Capodiferro. cordi con il papa durarono però molto
poco, considerato che le città meridionali
già dall’878 tornarono alla pace con i mu-
La Torre di Paldolfo Capodiferro sulmani, legandoli ai loro interessi com-
merciali e politici, e la stessa Gaeta seguì i
La storia loro passi, cosa che fece adirare papa Gio-
Il rapporto tra Pietro Fedele e la Torre di vanni VIII, il quale inviò a tutti loro una
Paldolfo Capodiferro inizia nell’ultimo lettera circolare nella quale, rimproveran-
decennio del Diciannovesimo secolo, doli, li esortava a ritornare sui loro passi,
nella stesura della sua tesi di laurea, Studio rimettendo le alleanze con i Saraceni. Se
critico sulle origini del Ducato di Gaeta, di- questo non fosse accaduto, avrebbe in-
scussa presso la facoltà di Lettere del- viato loro un anatema (Fedele 1894: 124-
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129 e 1896: 25-29; Tucciarone 1991: 36-40 e Tirreno e dirette verso Montecassino. In
1995: 87-91). In quegli anni fu un continuo particolare le ricerche hanno definito
succedersi nello stringere e sciogliere al- nell’areale circoscritto dai Monti Castel-
leanze tra i Saraceni e i territori longo- luccio e Saracinisco quello nel quale po-
bardi (Benevento, Salerno, Capua) e i trebbe essere stato realizzato
ducati costieri (Amalfi, Gaeta, Napoli), l’insediamento (Di Branco, Matullo, Wolf,
con i musulmani chiamati a sostenere 2014: 273-280; Wolf, 2014: 25-59).
prima l’uno poi l’altro nelle lotte intestine L’intolleranza per l’invasore portò alla
che nascevano e nelle quali spesso lo nascita della lega composta dai principi
stesso papa Giovanni VIII interveniva per dell’Italia meridionale e dal papa Gio-
ricomporle. Nell’882, quando papa Gio- vanni X, ma il grande merito della fonda-
vanni VIII si spense, Docibile si tenne le zione e dei risultati che questa ottenne
donazioni che aveva da lui ottenuto, ma vanno divise, secondo le conclusioni cui
tornò ad allearsi con i Saraceni, i quali la- giunge Fedele, tra Atenolfo I di Capua e il
sciarono i colli formiani dove nel frat- figlio Landolfo, a sua volta padre di Pal-
tempo si erano accampati, per spostarsi dolfo (Fedele 1899: 187). Infatti, i capuani
poco più a sud, sulla riva destra del Gari- erano coloro che più soffrivano la pre-
gliano da dove poi si muovevano per af- senza saracena nel territorio; la stessa col-
fliggere la Terra di Lavoro (Fedele 1894: locazione della fabbrica, la sponda sinistra
139 e 1896: 38-39). Era questo uno dei tanti del Garigliano, identifica indirettamente
stanziamenti militari che nelle regioni non l’autore nel principe capuano, considerato
musulmane servivano come punto di ap- che allora il corso d’acqua, che da sempre
poggio e rifugio, da dove partivano sac- ha rappresentato un limite geografico-am-
cheggi per terra e per mare, dove ci si ministrativo, definiva i confini tra la Con-
riforniva di provviste, si portava il bot- tea di Capua e il patrimonio di Traetto,
tino, partivano i prigionieri di guerra per che apparteneva alla Chiesa di Roma,
essere venduti come schiavi. L’insedia- mentre quello del Ducato di Gaeta si atte-
mento fu di breve durata (883-915) e si è stava a Mola (Formia), confine estremo
sempre ipotizzato che i Saraceni fossero verso il Mezzogiorno (Fedele 1894: 133 e
accampati nella piana del Garigliano, tra 1896: 33).
le rovine di Minturnae o sul castrum Ar- I primi tentativi di respingere il popolo
genti, come lo stesso Fedele e altri studiosi musulmano risalivano al giugno 903, con
avevano supposto (Rossillo 1985: 21-22). uno scontro tra Cristiani e Saraceni presso
Nel periodo 1985-1998 sono state condotte Garigliano, quando Atenolfo I, principe di
della campagne di scavo da parte del Benevento e di Capua, stretta alleanza con
Museo Nazionale d’Arte Orientale sul sito Gregorio, duca di Napoli, e con quelli di
di Monte d’Argento, per verificare la veri- Amalfi, mosse contro i musulmani, allora
dicità di queste ipotesi, ma i risultati alleati dei Gaetani, gettando un ponte di
hanno smentito le tesi iniziali, riportando barche nel luogo detto traiectum. I Sara-
alla luce, solo parzialmente, i resti del- ceni furono costretti alla ritirata verso i
l’abitato medievale. Recenti studi, invece, nuovi accampamenti e la fortuna iniziò a
tendono a collocare l’insediamento mu- volgere loro le spalle, ma è solo dieci anni
sulmano più a nord, nell’area circostante più tardi che si giunse al combattimento
gli abitati di Suio e Castelforte, indicando che li annientò definitivamente (Fedele
con questo sito il Mons. Garelianus indi- 1899: 185).
cato da Liutprando, dove si trovava un Nel 1066 la torre fu annessa ai possedi-
importantissimo terminale commerciale, menti del monastero benedettino di Mon-
un porto fluviale che fungeva da centro di tecassino, grazie all’attività diplomatica
smistamento delle merci provenienti dal portata avanti dall’abate Desiderio, poi
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papa Vittore III, per garantirsi un corri- Le fasi costruttive


doio verso il Mare Tirreno e rendersi indi-
pendente dal porto di Gaeta, potendo Della torre di Paldolfo ci resta una descri-
intensificare le comunicazioni e gli scambi zione del 1906, quando l’archeologo Giu-
con i possedimenti più lontani e con lio Quirino Giglioli durante un viaggio di
l’Oriente (Fabiani 1981, I: 88-93; Bloch studio condusse una campagna di sopral-
1986: 186-187). L’occasione è la donazione luoghi nel territorio, tra cui il sito della
fatta dai principi di Capua, Riccardo I e torre. Ne trasse le misure e ne descrisse al-
Giordano I, dove si parla di turrem quae est cune caratteristiche costruttive, oggi
in finibus tabula uessa iuxta Gareliano, et di- molto importanti perché hanno consentito
citur turre ipsa ad mare, distinguendola dal- di poter realizzare una ricostruzione at-
l’altra torre che si trovava a circa un tendibile della fabbrica (Fig. 1), sintesi
chilometro di distanza, più a nord, la tur- delle tecniche edilizie dell’epoca, come lo
ris Gariliani eretta dal patrizio imperiale stesso studioso evidenzia. Il monumento
Giovanni e dal figlio Docibile II sulla riva presentava un bellissimo esempio di opus
destra, nei pressi della via Appia, a ri- fragmentarium realizzato con l’impiego di
dosso di una precedente fortezza appar- antichi materiali prelevati dal vicino giaci-
tenuta al padre di Giovanni, Docibile I, mento di Minturnae, tra i quali numerosi
che rappresentava anche il punto di tra- elementi costruttivi con epigrafi, le quali
ghettamento tra le due sponde del corso furono oggetto negli anni di alcuni studi
del fiume (CDC 1891: p. II, c. CCXXXI; Ar- (Fiorelli 1885: 228; Laurent-Vibert - Piga-
naldi 1950-51: 77-86; De Santis 1963: 17-24; niol 1907: 495-507). La torre era realizzata
D’Onofrio 1994: 51-57). I principi, oltre da molti blocchi di splendido marmo pro-
alla torre cedono al cenobio anche le abi- venienti da uno stesso monumento, si os-
tazioni che la circondavano, la chiesa con servavano resti di un fregio di travertino,
le sue rendite e quanto si estendeva lungo un fregio dorico in marmo, un capitello
il muro costruito a protezione del castello ionico, due metope con bucrani di
e la terra sita sulla sponda opposta del marmo, una piccola testa di Gorgone in
fiume con la Torre del Garigliano. La de- rozzo bassorilievo e due statue togate in
scrizione che ne abbiamo è importante marmo, probabilmente di epoca più tarda,
perché delinea la fabbrica contestualizzata una delle quali aveva ancora frammenti
in un piccolo borgo incastellato e fortifi- della testa (la loro posizione a grande al-
cato, scomparso nel corso dei secoli e del tezza non aveva consentito al Giglioli un
quale la torre longobarda era rimasta rilievo diretto). Questo modo diffuso e di-
come unica e ultima testimonianza. sordinato di reimpiegare materiale antico,
Della via navigabile Desiderio si av- derivava dal fatto che non gli si dava che
valse subito per il trasporto da Roma, via un valore meramente costruttivo.
mare, dei marmi e delle colonne di antichi L’archeologo indica per la prima volta
monumenti, ottenuti dal papa Alessandro le dimensioni della torre, che aveva un’al-
II per la costruzione della nuova basilica tezza complessiva di m. 25,80; la base era
cassinese, inaugurata il 1° ottobre 1071 quadrangolare, con lati di circa m. 12,50, e
dallo stesso pontefice; i materiali furono su ogni lato erano presenti due speroni
trasportati fino alla chiusa di Suio e da qui con la base larga circa m. 2,50 (benché le
a Montecassino su carri trainati da buoi immagini d’archivio dimostrino che in re-
(Crova 2014b: 407-417 e 2016: 166 nota 7). altà la loro larghezza non fosse costante).
La fabbrica si divideva in almeno tre parti
ben definite: la prima, in opera quadrata
di reimpiego (fino a m. 14,50), per un’al-
tezza complessiva indicata dal Giglioli di
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FELIX TERRA 403

m. 19,50, che comprende però anche il se- serva che l’epigrafe si trovasse poco al di
condo piano con la parte a scarpa della sotto della metà della fabbrica longobarda
fabbrica, viceversa da ricondurre alla se- in opus quadratum, la cui altezza era di
conda fase; a questa faceva seguito il terzo circa m. 14,50. Una verifica grafica ha così
piano della torre, con la sopraelevazione permesso di definire, con la dovuta ap-
in mattoni grezzi, per i restanti m. 6,30 prossimazione, che questa si trovasse ad
circa (Giglioli 1908: 397, nota 1; Pistilli un’altezza di circa m. 6,00-6,50.
2003: 9). La porta di ingresso si trovava sul L’interno era composto da tre piani,
lato che guardava verso monte, decen- oltre quello di ingresso, collegati con una
trata e collocata in prossimità di uno degli scala e sulla sommità la terrazza dove si
speroni, con un’altezza di m. 2,35 e una trovavano degli scaricatoi di difesa.
larghezza di m. 1,56, e la cui apertura av- L’avere funzioni di difesa fece sì che le
venne quasi certamente in un momento aperture finestrate fossero poche e piccole
successivo alla terza fase costruttiva. (Giglioli 1908: 397 nota 1). Dalla porta di
Sul prospetto rivolto a ovest, che guar- ingresso si accedeva al locale del piano
dava il fiume, a m. 13,40 di altezza, si tro- terra, coperto con due volte a botte, simil-
vava l’epigrafe di Paldolfo, rilevata dal mente nel locale al primo piano, ma con
Fedele e all’epoca ancora ben conservata. le volte disposte in senso opposto, e al se-
Proprio lo studio delle immagini fotogra- condo, attraverso una diposizione che
fiche scattate dal Giglioli ha permesso di non era casuale; i locali erano divisi da un
evidenziare che questa epigrafe si trovasse pilastro centrale che sosteneva due ar-
ad un’altezza inferiore rispetto a quanto chetti al piano terreno, da un unico
indicato dall’autore e ripresa negli scritti grande arco a quelli superiori, per facili-
successivi. Infatti, analizzando una delle tare la costruzione delle volte a botte (Ros-
immagini che riprendono nella sua inte- sillo 1985: 62). La divisione era orientata
rezza il lato occidentale della torre, si os- in direzione sud-nord al piano terra e al

Fig. 1 - Piante dei quattro livelli e dei prospetti della torre di Paldolfo Capodiferro (Progetto grafico
dell’A., elaborazione di Consuelo Camerota).
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secondo piano, in direzione est-ovest al La prima fase.


primo, in modo da alternare le spinte, ri- Individua il piano terra e il primo piano
chiamando le strutture murarie dell’anfi- ed è caratterizzata da una muratura in
teatro di Capua, per dare maggiore blocchi in travertino di reimpiego degli
solidità alla fabbrica (Chierici 1934: 550- edifici classici della vicina Minturnae, fra i
552). L’illuminazione era scarsa al piano quali furono inseriti frammenti di stipiti e
terra, dove erano presenti piccole fine- architravi con bassorilievi, databile alla se-
strelle, strombate verso l’interno, mentre conda metà del X secolo, da cui anche il
al secondo piano se ne trovavano otto, che nome di Torre di pietra bianca (Della
garantivano un’illuminazione migliore Croce 1863: 63; Di Biasio 1994: 77).
degli ambienti e dalle quali si dominava La sua costruzione si colloca tra il 961-
il litorale e la pianura, osservando a est la 981, desunta dall’iscrizione che si trovava
torre di S. Limato e a ovest le torri del sul lato che guardava il fiume, trascritta
Monte d’Argento, del Monte di Scauri e dal Fedele, scritta in esametri e che recita:
quella di Gianola e, più in là, Gaeta con il Hanc quondam terram vastavit gens aga-
Mausoleo di Lucio Munazio Planco. Dal rena/(s)cadens hunc fluvium fieri ne postea
terzo piano si passava alla terrazza, dove possit/(p)rinceps hanc turrim Paldolfus con-
non si osservavano tracce di merlature didit heros/ ut sit structori decus et memora-
(Ruggero 1939: 5). bile nomen (Fedele 1899: 210). Da qui
Delle condizioni in cui si trovasse la fab- l’attribuzione a Paldolfo piuttosto che
brica nel 1906 non sono dati riscontri nel Pandolfo, come da tutti sempre indicato,
taccuino di viaggio del Giglioli, mentre che governò sul principato di Capua tra il
una breve descrizione si ha nella Domus 961, anno della morte del padre, Landolfo
Caietana, riferita a qualche anno più tardi, II, e il 981, anno della sua scomparsa. Per
dove la fabbrica risulta abbandonata e de- la sua collocazione in prossimità della
stinata a pollaio (Caetani 1927: 11-12), a foce del fiume Garigliano, nelle cronache
deposito di legname e sarmenti (Consiglio e nei documenti la fabbrica è ricordata
1934: 3) anche il nome di Turris ad mare.
La fabbrica ha trascorso quasi dieci se- Da una serie di sopralluoghi condotti è
coli come sentinella della foce del Gari- stato verificato anche il ricorso al riuso dei
gliano, prima di essere atterrata dai basoli di lava, probabilmente del vicino
tedeschi in ritirata nell’ottobre 1943. No- vulcano del Roccamonfina, che trova si-
nostante questo e la difficoltà di leggere in militudini nel ponte-castello e nel borgo
modo diretto il testo materiale della fab- di S. Castrese a Castel Volturno, ricondu-
brica, è però possibile apprezzare nei la- cibili all’attività edificatoria dei Longo-
certi ancora visibili in situ le tecniche bardi, in particolare nella realizzazione
costruttive che hanno interessato la torre del presidio fortificato altomedievale
dal periodo alto a quello basso medievale, (Guerriero – Miraglia 2010: 11-14) Come
ma soprattutto individuare le fasi costrut- tutte le fabbriche difensive dell’epoca, la
tive del complesso monumentale. In que- torre aveva l’ingresso al primo piano, sul
sto aiutati da alcune importanti immagini lato est, per mezzo di una porta sormon-
dell’archivio Angalli Fedele Balbiani, che tata da una lunetta cieca, che ancora si os-
hanno permesso di fare importanti consi- servava prima della sua distruzione,
derazioni, sia sui caratteri costruttivi che servita forse da una scala a pioli da ri-
sull’allestimento dello spazio architetto- trarre in caso di pericolo (Chierici 1934:
nico, consentendo contemporaneamente 552). La presenza di questo ingresso è con-
la ricostruzione virtuale del complesso fermato dall’immagine più antica della
fortificato (Figg. 2-3). fabbrica, un olio su tela del 1803 del pit-
tore tedesco Jacob Philipp-Johan Hackert
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(1737-1807), “La foce del Garigliano e il del 1861 del pittore olandese Petrus Hen-
Golfo di Gaeta”, in cui sono raffigurati la ricus Theodor Tetar van Elven (1831-
foce del Garigliano e il Golfo di Gaeta e la 1908). Questo quadro, intitolato “Passaggio
torre è servita da una scala in muratura del Garigliano (guerra del 1860)“ e oggi
(Weidner, 1997: 150; Cardi 1998: 114 note conservato presso Palazzo Reale a Torino,
22-25), ma ancora di più da un olio su tela rappresenta la battaglia del 1860, con in

Fig. 2 - Sessa Aurunca (CE). Torre di Paldolfo Capodiferro. In alto: Ricostruzione grafica della distri-
buzione dei quattro livelli con l’indicazione dei punti di vista delle immagini. In basso: Ricostruzione
a fil di ferro dei prospetti e della sezione secondo l’asse nord-sud e confronto con le immagini d’epoca
della fabbrica (Progetto grafico dell’A., elaborazione di Consuelo Camerota).
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primo piano Vittorio Emanuele II e di lato nello spessore murario di forma archivol-
la torre di Paldolfo Capodiferro rappre- tata. L’ambiente era coperto con una cop-
sentata con l’ingresso e la scala in mura- pia di volte a botte, richiamando nella
tura. Van Elven forse non si recò mai sui tecnica costruttiva la fase longobarda, im-
luoghi da lui raffigurati, è però molto pro- postate su un arco centrale, realizzato in
babile che ancora alla metà del XIX secolo blocchi di reimpiego. Le immagini d’ar-

Fig. 3 - Ricostruzione grafica tridimensionale della torre di Paldolfo Capodiferro. A sinistra i prospetti
nord-est con, a est l’ingresso primigenio alla torre, a nord quello aperto in una fase post medievale.
A destra l’angolo sud-ovest (Progetto grafico dell’A., elaborazione di Consuelo Camerota).

l’accesso avvenisse dal primo piano. chivio restituiscono un ambiente dalle pa-
Costruttivamente la torre offriva una reti intonacate, mentre al piano inferiore
preziosa testimonianza della tecnica edi- anche dopo i restauri si osservano le pa-
lizia del tempo dove i maestri di muro di- reti caratterizzate da grandi blocchi; que-
mostrano in questo modo di aver sto potrebbe essere l’indicatore di una
acquisito quelle capacità di costruire così diversa fodera interna della muratura,
saldamente e ostentare ardimento romano forse in mattoni, che necessitava perciò di
nel girare archi che sembrano campate di un rivestimento in intonaco.
ponte (Chierici 1934: 552).
La terza fase.
La seconda fase. È, con la fase longobarda, quella che
Le evidenze immateriali, le immagini desta il maggiore interesse per le informa-
d’archivio, ci restituiscono molto poco su zioni che restituisce e che aprono nuovi
questa fase, anche se forniscono preziose scenari sulle tecniche costruttive dell’età
indicazioni sull’ambiente interno della medievale in questa porzione di territorio.
torre. Un primo potenziamento della fab- Infatti, anche grazie agli interventi di mo-
brica è da collocarsi probabilmente tra XI vimentazione del materiale realizzati a
e XIII secolo con il suo innalzamento e partire da maggio 2015, sono venuti alla
una morfologia leggermente rastremata. luce grossi lacerti di muratura in mattoni.
Probabilmente in quel tempo al suo in- Era già noto che la parte superiore della
terno furono aperte delle piccole finestre torre fosse stata realizzata con questa tec-
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FELIX TERRA 407

nica costruttiva (Giglioli 1908: 397 nota 1) cina, si sia ricorso all’uso della pietra cal-
in parte già osservata durante i numerosi carea e il coronamento delle fabbriche è
sopralluoghi effettuati negli anni, quando caratterizzato da beccatelli impostati su
ancora la fabbrica era fagocitata dalla ve- doppia mensola piuttosto che triplice,
getazione, ma avere la possibilità di poter come si osserva nella Turris ad mare. Per
leggere in modo più diretto grandi por- cui è poco probabile che la torre del Gari-
zioni di sezioni murarie così realizzate, ha gliano sia stata interessata da un potenzia-
permesso di fare una serie di nuove rifles- mento proprio in questo periodo e
sioni. utilizzando una diversa tecnica costrut-
Studi passati tendono a collocare questa tiva.
fase costruttiva al settimo decennio del Tipologicamente, il terzo piano della
XVI secolo, per le rispondenze tipologiche torre presenta caratteri costruttivi nei can-
con le torri costiere fatte edificare da Pio tonali, realizzati in conci di pietra calcarea
V (1566-1572) sul litorale pontino a difesa alternati, come sembra, con elementi fit-
dei territori confinanti con la Terra di La- tili. Circostanza questa che trova strin-
voro (Pistilli 2003: 9). Non ci sentiamo genti affinità costruttive con il masti delle
però di condividere questa affermazione, vicine Maranola e Minturno e la chiesa di
innanzitutto perché la torre del Garigliano San Francesco, sempre a Minturno, che
si trovava in quel periodo sotto la domi- però hanno una diversa tecnica di allesti-
nazione dei viceré di Spagna, nel territorio mento dei paramenti murari, realizzati in
del Regno di Napoli, fuori perciò della bozze di pietra calcarea. A questo si ag-
giurisdizione papale. Gli spagnoli ave- giungono la definizione degli stipiti delle
vano iniziato già dalla metà del XV secolo finestre del quarto livello e il coronamento
un programma di fortificazione puntuale della torre che constava di una merlatura
delle coste del Regno di Napoli, che ab- con sottostanti beccatelli impostati su tri-
bracciava la parte tirrenica e adriatica, plice mensola su cui erano realizzati ar-
partendo proprio da Terracina, cioè dal chetti pensili a tutto sesto; elementi questi
confine tra lo stato Pontificio e la Terra di che richiamano tipologicamente, per
Lavoro. La costruzione di queste fabbri- esempio, la vicina rocca di Minturno. Ad
che costiere era demandata alle Università essi si associano le fuciliere, che si osser-
(i Comuni) locali, le quali adottavano vano sotto una delle finestre della torre di
spesso metodi molto sbrigativi per la co- Paldolfo, simili a quelle che si osservano
struzione, ricorrendo anche a materiale di ancora nella rocca minturnese, ma anche a
scarsa qualità. Restando nel territorio quelle del circuito murario di Fondi, la cui
prossimo alla foce del Garigliano, fu co- datazione è più tarda (XV secolo).
struita nella vicina baia di Scauri la Torre Se perciò ci limitassimo al solo con-
del Monte di Scauri, realizzata con una fronto tipologico potremmo datare l’in-
muratura a sacco con paramenti in bloc- nalzamento della torre di Paldolfo alla
chetti di tufo; dai pochi documenti rima- prima metà del XIV secolo, dopo l’av-
sti, non si ha notizia in quel periodo di vento della famiglia Caetani che entrò in
potenziamenti della torre del Garigliano, possesso del territorio a seguito del matri-
né se ne ha informazione nei rapporti re- monio combinato da papa Bonifacio VIII
datti dal Genio Militare nel corso dei so- Caetani tra il nipote Roffredo III e Gio-
pralluoghi condotti. Inoltre, seppure sia vanna Dell’Aquila, ultima discendente
vera l’affermazione che le torri presenti a della famiglia normanna che governava
San Felice al Circeo siano state realizzate sul ducato di Traetto dalla metà del XII se-
in mattoni è anche vero che in quelle pros- colo (Crova 2005a: 15 nota 13). I Caetani,
sime al confine con la Terra di lavoro, nel infatti, diedero vita a un diffuso lavoro di
territorio tra Monte San Biagio e Terra- consolidamento del territorio, astenendosi
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dal realizzare nuove fondazioni, quanto con cantonali in conci ben squadrati di
piuttosto ad acquisire e rafforzare castelli pietra calcarea. Nei resti di alcuni lacerti
già esistenti, che iniziarono a partire dal della torre del Garigliano si osservano per
1292 e si intensificarono in seguito, con esempio dei cantonali in conci di pietra
l’assunzione al soglio pontificio di Bonifa- calcarea, con dimensioni di 40 cm di al-
cio VIII. Attività che furono legate non tezza misurati su tre filari, leggermente
tanto a una logica di espansione econo- stilati con malta; nella fabbrica lucerina i
mica, quanto alle esigenze di una strategia mattoni usati hanno dimensioni di circa
politica tendente a creare un principato 29-30x15x4,5-5 cm, che si discostano leg-
territoriale, che portò la famiglia comitale germente da quelli osservati nella fabbrica
a trasferire successivamente nella città di sessana, le cui misure sono circa 20-
Fondi il centro dei propri interessi e farla 25x15x4-4,5 cm, verificando altresì un uso
diventare il fulcro dei suoi possedimenti, diffuso di elementi di reimpiego. Inoltre,
scalzando da questo ruolo Minturno, che nella costruzione della fortezza di Lucera
lo deteneva dall’avvento normanno e è testimoniata la presenza di maestranze
dove i Caetani avevano inizialmente fis- abruzzesi, mentre non è documentata
sato la loro residenza. lungo la costa del Golfo di Gaeta, seppure
L’aspetto più interessante è nella tecnica anche questo argomento sarebbe un ulte-
costruttiva che si osserva nella parte alta riore spunto di ricerca, in considerazione
della fabbrica che, come detto, potrebbe dell’alta professionalità che le maestranze
fornire nuovi e interessanti spunti di ri- adriatiche avevano nella manifattura fit-
cerca sulle tecniche costruttive medievali tile e della presenza angioina a Gaeta.
in questa parte di Terra di Lavoro, in par- Ulteriore indizio sull’ipotesi che si
ticolare nelle architetture fortificate. Come possa trattare di un intervento riconduci-
detto, l’allestimento murario della terza bile all’attività di Carlo I d’Angiò ci è dato
fase edilizia della torre è quasi intera- dalle fonti indirette. Infatti la Torre è indi-
mente in mattoni per tutto lo spessore cata nello Statuto sulla riparazione dei ca-
delle mura, declinando per la prima volta stelli, realizzato a seguito della
nel panorama costruttivo fortificato del- costituzione dell’ufficio dei provisores ca-
l’alta Terra di Lavoro un cantiere diverso strorum voluto da Federico II di Svevia
da quelli fino ad allora indagati, dove dif- agli inizi degli anni Trenta del XIII secolo.
fuso è il ricorso all’impiego della pietra Qui si fa riferimento a lavori realizzati nel
calcarea e del tufo, per la vicinanza dei castrum Trayetti et turres ad mare et Garilia-
giacimenti da cui estrarre questi materiali num, probabilmente nella seconda metà
costruttivi, usati per le loro caratteristiche degli anni Settanta del 1200 (Stahmer 1913
resistenziali e di facile approvvigionamento. e 1995: 96 § 14-15).
Osservarlo nell’ampliamento della fab- L’impiego degli elementi fittili nel terri-
brica longobarda è un’informazione che torio non è, inoltre, così frequente; se ne
potrebbe permettere, se adeguatamente ha traccia soprattutto nell’edilizia reli-
indagata, di avere nuovi dati sull’utilizzo giosa: a Formia, nel campanile della
di questa tecnica costruttiva. Un elemento chiesa di Santa Maria del Castagneto; a
di contatto con l’architettura fortificata si Gaeta, nel campanile della cattedrale di S.
ha in Capitanata, nella fortezza di Lucera, Erasmo e nel tiburio di S. Giovanni a
dove le mura del castello, aggiunte tra il mare, benché in quest’ultimo caso si tratti
1269 e il 1283 da Carlo I d’Angiò, presen- di elementi di recupero; a Itri, nei campa-
tano un diffuso ricorso all’impiego degli nili di Santa Maria Maggiore e di S. An-
elementi fittili e dove nei salienti del cir- gelo, entrambi associati con la pietra
cuito fortificato mostrano un trattamento calcarea; più a nord, a Terracina, nel cam-
della cortina muraria rifinita in mattoni, panile del duomo; l’impiego era favorito
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FELIX TERRA 409

con ogni probabilità dalla presenza di confronto tecnico costruttivo questa po-
banchi di argilla nella zona di Gaeta. In trebbe essere anticipata alla seconda metà
area campana la situazione è più com- del XIII e lanciare nuove ipotesi sull’im-
plessa, proprio per la mancanza di questi piego del mattone in alta Terra di Lavoro,
giacimenti, che rendevano necessario im- in considerazione della possibile comune
portare i mattoni dalle zone di Gaeta, ap- paternità dell’impresa edilizia, legata agli
punto, oltre che di Salerno e Ischia, con un angioini.
sensibile aumento dei costi, limitando Ahinoi, queste considerazioni non sem-
solo ad alcune parti dell’edificio l’uso brano essere state indagate nelle fasi pre-
dell’elemento fittile e nei paramenti mu- liminari del progetto di movimentazione
rari in vista solo alla copertina di finitura dei resti della torre, considerata la disin-
delle murature (Guerriero 1999: 281). I volta attività di rimozione di moltissimo
maestri del cotto erano concentrati in loca- del materiale presente nel sito e, forse,
lità prossime a Salerno e questo predomi- della distruzione di buona parte dei resti
nio si accentua nel Cinquecento, delle sezioni murarie che fornivano pre-
prestando fede ai documenti pubblicati da ziose indicazioni sulla tecnica di allesti-
Gaetano Filangieri, prevalentemente atti mento murario tridimensionale. Di tutto
notarili, dei quali pochi sono quelli relativi questo, per fortuna, resta comunque trac-
a Ischia, dove comunque la produzione ri- cia nella ricca documentazione fotografica
monta all’età greca e la cui argilla era di realizzata negli anni.
qualità inferiore e più debole di quella di
Gaeta (Filangieri 1891). Sui giacimenti La quarta fase.
gaetani mancano informazioni perché il Si riferisce agli interventi di restauro av-
territorio non fu investito dalla ricerca del venuti negli anni 1930-32. Promossi da
Filangieri e qualche sporadica notizia Pietro Fedele, furono progettati e diretti
sulle fornaci si ha nelle statistiche geogra- da Gino Chierici, uno dei personaggi più
fico-economiche pubblicate nel periodo il- rappresentativi della cultura del restauro
luminista (Guerriero 1999: 287 n. 26). Tra tra le due guerre, allora Soprintendente ai
l’altro, la realizzazione dei mattoni a Monumenti della Campania, che li con-
Gaeta prevedeva di farli asciugare sulla dusse privilegiando i residui materiali
spiaggia dove si impregnavano di sale dell’edificio come fonti del sapere storico,
dando luogo a fenomeni di efflorescenza, sostenendo l’analisi come momento fon-
una volta messi in opera. Viceversa, la dante del sapere (Galli 1989: 30-32). Il pro-
produzione del laterizio nel territorio con- getto si compone di due parti: l’intervento
siderato si avrà solo verso la fine del XIX, di restauro, con la reintegrazione delle la-
anche grazie alla rivoluzione industriale cune murarie presenti, soprattutto nella
che portò alla fondazione di diverse fab- parte del coronamento, con la ricostru-
briche. In particolare, due a Scauri, la for- zione dei beccatelli presenti, e la sistema-
nace della Società Anonima “Le Sieci” zione degli ambienti interni, da destinare
(1886) e quella della Società Anonima “G. a spazio museale e studiolo di Pietro Fe-
Capolino” (1890). Quest’ultima fallì alla dele. Anche qui l’intervento è di grande
fine degli anni Trenta del XX secolo, men- rispetto verso la preesistenza storica, per
tre Le Sieci portò avanti la produzione quanto sul alto ovest, che guarda il fiume
fino alla fine degli anni Settanta (Lepone Garigliano, Chierici intervenne aprendo al
1993: 85; Costanzo 2006: 188-191). secondo piano due finestre archivoltate;
Alla luce delle considerazioni siffatte sulla loro esistenza le fonti tacciono e le
emerge che, se tipologicamente l’ipotesi è immagini fotografiche non sono di aiuto
che l’innalzamento della fabbrica sia da- nell’indicare che si tratti di un nuovo in-
tabile alla prima metà del XIV secolo, dal tervento, legato alla necessità di dare più
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410 CESARE CROVA

luminosità allo spazio museale, piuttosto quale fu poi collocata da Gino Chierici la
che la riapertura di finestre chiuse in un targa che ne ricordava i restauri e di cui si
momento successivo; in un’immagine legge una parte del testo in un’immagine
precedente i restauri queste aperture non di quegli anni (Fig. 4).
si osservano, ma la distanza del punto di Dopo gli interventi di restauro, al suo
vista non consente di verificare se ci fos- interno Pietro Fedele allestì un museo
sero segni di preesistenze, ora riaperte. Al- dove erano conservati numerosi cimeli, di
cuni lacerti ritrovati nel corso di recenti cui abbiamo memoria in alcune immagini
sopralluoghi (probabilmente oggi già an- del suo Archivio privato e in due rela-
dati persi, ma documentati fotografica- zioni, redatte da Carlo Cecchelli e Raffaele
mente), hanno permesso di osservare Ruggiero (Cecchelli 1944 e 1951: 19-26;
tracce riconducibili a questa fase. Si tratta Ruggiero 1944). In entrambe si elenca la
di piccole porzioni di muratura su cui è gran mole di antichità che nel museo
stesa una sottile membrana di asfalto, ti- erano conservate, dal Medioevo alla ca-
pologicamente e strutturalmente simile a duta dei Borbone, spaziando dall’archeo-
quella esaminata nel corso dei restauri logia, alla miniatura, alla numismatica; un
dell’Asilo dei Fanciulli “Angiolella di Lui- angolo era dedicato a Maria Cristina di
gia”, a Scauri, costruito nella seconda Savoia, la Reginella Santa, mentre nella
metà degli anni Venti del Novecento per
volere di Pietro Fedele, allora Ministro
della Pubblica Istruzione (Crova 2015a:
57-66). Elemento questo che riconduce a
una maniera costruttiva di impermeabi-
lizzazione delle coperture in uso in quel
periodo e che trova continuità nei lavori
svolti alla torre; ancora, un frammento di
pochi centimetri quadrati di pavimento,
ottimamente conservato ed associato a
una piccola porzione di intonaco che sem-
bra riferirsi all’attacco di una volta a cro-
ciera, cosa che lo riconduce,
probabilmente, allo studiolo di Pietro Fe-
dele, al terzo piano della torre; anche in
questo caso si osservano similitudini con
i resti del pavimento che si osservano
nella vicina casetta, su via Lungofiume,
forse ultima testimonianza di quello che
rappresentò la torre medievale e il suo in-
torno prima delle distruzioni belliche.
Come detto, l’accesso alla torre avve-
Fig. 4 - Sessa Aurunca (CE). Torre di Paldolfo Ca-
niva inizialmente sul lato est, dove in cor- podiferro dopo i restauri, vista da est. Sul pro-
rispondenza del secondo livello esisteva spetto orientale si osserva l’ingresso primigenio.
un’apertura, la cui posizione indica che in Nella parte alta della fabbrica i cantonali e il co-
origine qui ci fosse una scala che ne favo- ronamento che richiamano tipologicamente le ar-
chitetture trecentesche, mentre in basso a destra,
riva l’accesso, come era logico essendo
sul prospetto nord, il secondo ingresso. In primo
questa una torre d’avvistamento ed piano, a destra, la figlia di Pietro Fedele, Vanna. A
avendo allora solo due piani. Solo in se- sinistra si notano le alberature fatte piantare
guito fu aperta la porta sul lato nord, visi- dallo stesso Fedele per creare un parco davanti la
bile in diverse immagini d’epoca, sulla torre (A.P.A.F.B.).
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FELIX TERRA 411

casetta adiacente la torre c’era la biblio- gliore aderenza con il conglomerato usato
teca, che custodiva un patrimonio librario nel sacco. Gli interstizi tra i blocchi sono
di circa 7-8000 volumi. Per questo la di- stati riempiti con elementi fittili e il ricorso
struzione della torre “è stata una perdita per di malta funziona da piano di ripartizione
la cultura e per la regione, una delle più gravi (Crova 2005b: 108). Tutto questo ha confe-
disgrazie” (Ruggiero 1944; Paolozzi rito resistenza e solidità alla struttura, ga-
Strozzi-Scalia 1984: 52 e 129; Morozzi- rantendole di giungere fino all’età
Paris 1995: 299-320; D’Onofrio 1994: 51-57, contemporanea.
169-195; Di Fazio 2001: 33-46; Crova Questi elementi indicano che il popolo
2015b: 83). longobardo non avesse una propria, con-
solidata, modalità costruttiva, piuttosto
cogliesse gli aspetti più significativi delle
Persistenza della tecnica costruttiva ro- esperienze del passato, come si osserva
mana in età longobarda nella torre di Paldolfo, la cui compattezza
doveva essere anche un monito nei con-
L’aspetto tecnico-costruttivo è sicura- fronti di possibili invasori. Lo stesso riu-
mente la parte più interessante del com- tilizzo dell’opera quadrata, che qui
plesso fortificato. Infatti, nei molti lacerti troviamo in una forma più monumentale
delle mura di età longobarda crollate, si rispetto per esempio alle mura di Gaeta o
osserva una tecnica costruttiva che ri- alla prima fase costruttiva della Catte-
chiama una matrice romana, con una mu- drale di Minturno, è un primo richiamo a
ratura a sacco, in cui i paramenti esterni una modalità che da lì a breve sarà riela-
erano ben ammorsati al nucleo interno, borata nell’età medievale.
per dare maggiore solidità all’impresa
edilizia. Gli spessori dei blocchi erano di
30-50 cm oppure di circa 70 cm; in que- Influenze dell’architettura longobarda nel
st’ultimo caso essi funzionavano come Medioevo meridionale
diatoni, legando efficacemente il para-
mento al nucleo, così da garantire un com- Il riuso trova elementi comuni e disso-
portamento tridimensionale del solido nanze in tre fabbriche tra loro geografica-
murario (Fig. 5). Il conglomerato inglo- mente vicine, ma che nell’allestimento del
bava bozze e scaglie calcaree, nonché mat- partito murario trovano sostanziali diffe-
toni di età imperiale reimpiegati, di forma renze. Infatti, a Gaeta, sotto gli ipati, a
triangolare, in una malta di calce e pozzo- Traetto (oggi Minturno), governata dal
lana, con inerti di granulometria fine, par- papa, e alla foce del Garigliano, in territo-
ticolarmente classata, con elementi rio capuano, l’impiego dell’opera qua-
traslucidi, trasparenti e neri, indice della drata richiama stili riconducibili tutti
cura per la qualità dell’impasto. Questi ac- all’area romana, ma in forme diverse.
corgimenti strutturali conferivano alla A Gaeta, nei resti del circuito murario e
torre un aspetto solido e imponente, in- di una torre ancora esistenti, attribuiti al
dice del preciso intento di edificare un periodo di governo degli ipati Docibile I
manufatto che avesse una struttura dure- e Giovanni I sulla base di due iscrizioni
vole. Dall’analisi diretta dei lacerti, si è os- poste rispettivamente lungo il tratto del
servato che i blocchi sono stati allestiti a circuito murario, in via Docibile, e nell’at-
filari sub-orizzontali, a tratti sdoppiati, e tuale Piazza dei Commestibili, si ricorre
sono stati posti in opera senza lavorazioni alla posa in opera di un doppio para-
particolari, interi e appena puliti sulla su- mento di blocchi, allestiti su filari e uniti
perficie in vista, lasciando le altre facce del con pochi centimetri di malta per regola-
blocco irregolari, per garantire una mi- rizzare il piano d’appoggio e dove l’inse-
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Fig. 5 - Sessa Aurunca (CE). Resti della torre di Paldolfo Capodiferro. In alto a sinistra si osservano i
lacerti della parte basamentale del lato sud della fabbrica; a destra il piede della torre con la legatura
tra il contrafforte e la muratura di elevato; in basso un lacerto della sezione muraria dove si osserva
l’ammorsatura tra il paramento in blocchi di travertino e il nucleo interno, a sacco (Foto dell’A., 2015.

rimento di diatoni permette la legatura metri e alto 3-5 metri su via Docibile, con
dei paramenti (Crova 2005b: 106-107). Le una porta oggi murata, più alcune tracce
mura della città sono datate dalle fonti all’interno di un cortile condominiale e in
alla seconda metà del IX secolo, quando un saliente murario inglobato nell’edilizia
Gaeta fu ampliata in seguito alla grande post medievale. La struttura è in blocchi
ondata migratoria proveniente dalla vi- calcarei di reimpiego, apparecchiati in ri-
cina Formia, negli anni 846 e 882; è proba- corsi sub-orizzontali variabili in altezza.
bile che la loro costruzione fosse già Maggior rigore geometrico e formale si
completata nell’887. Del circuito urbano osserva nella torre, nota anche con il nome
rimangono un breve tratto lungo circa 20 di Palazzo di Giovanni I, datata alla prima
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FELIX TERRA 413

metà del X secolo, dove il partito murario prese fra 50 e 150 cm e altezze di 73-78
è più regolare di quello della cinta urbana; cm); apparecchiati su letti di malta di al-
i blocchi impiegati, prelevati in gran parte tezza costante (circa 6-8 cm), rifiniti sulla
dalla vicina mole Atratina, sono apparec- parte superficiale del giunto; la disposi-
chiati in ricorsi sub-orizzontali di altezza zione dei filari a corsi sub-orizzontali atte-
variabile, con minime regolarizzazioni del sta una fase evoluta, ma non ancora
piano di posa e della superficie lapidea, matura della tecnica costruttiva (Crova
come si desume dalla presenza di segni 2005b: 108-109).
dei fori per l’alloggiamento dei perni. Questa pratica trova stimolanti punti di
A Minturno, l’impiego dell’opera qua- contatto anche con Montecassino, da dove
drata si osserva nella prima fase costrut- siamo partiti e dove torniamo in conclu-
tiva della cattedrale di San Pietro, datata sione del nostro trattato. Qui è possibile
al IX-X secolo, ma con ogni probabilità ipotizzabile che ci sia stata una commi-
dopo il 914, nei resti nel muro centrale di stione di influenze anche tra il cenobio e
facciata, in cui lo spessore è minore, atte- il popolo normanno. Con Desiderio che
standosi intorno agli 82 centimetri (Zan- volle riprendere una tecnica edilizia,
der 1976: 23-26; Volpe 1990: 24-29); è l’opera quadrata, che stava ormai tor-
questo un confronto molto interessante, nando in auge in età medievale e che i ca-
infatti l’allora Traetto era sotto la giurisdi- valieri del nord stavano sviluppando
zione della Chiesa di Roma e l’uso del- velocemente in quegli anni; questi ultimi
l’opera quadrata potrebbe essere si fecero influenzare, a loro volta dopo
riconducibile a una precisa indicazione l’avvento in Italia, da una pratica costrut-
del papa. Nella torre di Paldolfo si os- tiva, quella in pietra, che trovarono più fa-
serva, come abbiamo visto, una modalità cilmente lavorabile, limitando l’uso di
più articolata, in cui il richiamo alla tec- materiale di spoglio all’impiego di co-
nica costruttiva delle mura a sacco di tra- lonne, elementi stilisticamente più ele-
dizione romana è stringente. Perciò, una ganti e rappresentativi, impiegate nella
tecnica nota nel territorio e che trova nei definizione dell’impianto urbano dei cen-
Longobardi coloro che l’hanno messa a tri abitati, per sottolineare le differenti di-
punto con maggiore forza, apprezzan- rezionalità dei tracciati viari del tessuto
done i caratteri costruttivi, l’imponenza e edilizio, di cui sono esempi Capua, Gaeta
dando maggiore solidità alle fabbriche. (dove l’impiego della colonna di spoglio
La tecnica costruttiva in opera quadrata è attestata già dalla metà del X secolo),
troverà in seguito larga diffusione nel- Minturno, Sessa Aurunca e nelle architet-
l’areale considerato, di cui si hanno riferi- ture religiose di Salerno (Morelli 2002: 59-
menti in area capuana, in particolare nel 60).
circuito murario del Castrum Lapidum a Nell’abbazia cassinese l’uso dell’opera
Capua, riconducibile al periodo di domi- quadrata si rileva nelle tracce ancora
nazione normanna, nello specifico all’at- visibili della Torre di Desiderio,
tività fortificatoria tradizionalmente nell’incavo che si trova accanto al Sasso
attribuita a da Riccardo Drengot (D’Ono- dei Miracoli, alla fine della prima rampa
frio 1980: 30). Della fabbrica capuana re- di scale, dopo il portone di ingresso al
stano due tratti rettilinei, a nord-est e monastero; queste permettono di
nord-ovest, lunghi ognuno circa 70 m, ben avanzare delle ipotesi sulle modalità
conservati, e un possente mastio, denomi- costruttive, benché siano ancora
nato torre delle Catene, soprelevato nel completamente fagocitati dalle
XIX secolo. L’elevato è costituito da stratificazioni cinquecentesche e dai
grandi blocchi di calcare di reimpiego, di rimaneggiamenti successivi, realizzati in
dimensioni differenti (lunghezze com- muratura di mattoni. La pianta della torre
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414 CESARE CROVA

desideriana è definita nei rilievi di Capua, il rilevo diretto ha evidenziato


Giuseppe Quandel, redatti nel corso delle l’uso dell’unità di misura normanna, cor-
campagne di scavo condotte tra il 1877 e il rispondente a circa 35,4 cm; le dimensioni
1879, il quale ci ha lasciato numerosi del mastio corrispondono a 40 piedi × 38
appunti e un rilievo generale (Crova piedi + ½, mentre i moduli di tre e cinque
2015a: […]). Si osserva un apparecchio filari misurano, rispettivamente, 5 e 8
murario che corrisponde ai grandi blocchi piedi. Nella fabbrica capuana i due lati ri-
descritti nella Chronica di Leone levati misurano 30 piedi + ½ e 32 piedi +
Marsicano (CMC, III, 33; Chronica 1980: ¾, mentre i moduli di tre e cinque filari
407), con giunti molto stretti e stilati con sono di 6 piedi + ½ e 10 piedi (Crova
pochissima malta, secondo una pratica 2005b: 109 e 115 note 32-33).
costruttiva diffusa nel periodo, che il L’uso dell’opera quadrata si è esteso, in
tempo ha conformato conferendo alla parte, anche all’architettura religiosa, in
muratura quasi un aspetto monolitico, modo specifico nel territorio alto-cam-
indice di un aggiornamento nella tecnica pano, dove si registrano interventi che
di allestimento rispetto a quanto si prevedono il reimpiego di materiale di
osserva nella fabbrica longobarda del spoglio e di cui la cattedrale di Minturno
Garigliano, dove l’allestimento dei risulta essere il precursore, legato però in
paramenti murari evidenzia ancora una quanto caso a una linea di indirizzo di-
certa approssimazione, pur nel rigore retta del volere papale. Il suo impiego si
formale dettato dal riprendere la tecnica osserva nel dado basamentale della torre
costruttiva romana. È perciò ipotizzabile campanaria di S. Michele Arcangelo a S.
come la Turris ad Mare rappresenti un Angelo in Formis, realizzato in grossi bloc-
modello di riferimento per i Normanni chi di calcare, apparecchiati a filari rego-
che nel loro programma fortificatorio lari pseudoisodomi, sporadicamente
ricorsero spesso all’uso dell’opera inzeppati con elementi fittili, e assomi-
quadrata di reimpiego. Questo a partire gliante al primo livello del campanile
dal 1058, anno dell’elezione di Desiderio della chiesa di S. Maria della Libera ad
al trono abbaziale, considerato il limite tra Aquino. I grossi blocchi di spoglio prove-
la fine dei principati della Longobardia e nienti dall’antico anfiteatro di Capua sono
l’avvento dei nuovi dominatori. stati anche impiegati nel duomo di
In ultimo, mentre non è stato possibile Capua. Di poco più tarda è la cattedrale di
individuare con esattezza riferimenti me- Sessa Aurunca (1103-1113), dove l’opera
trologici nei lacerti della torre di Desiderio quadrata è presente nella parete della na-
e nelle mura gaetane, nella torre di Gio- vatella meridionale, con grossi blocchi di
vanni I è stata identificata un’unità di mi- travertino di reimpiego prelevati da fab-
sura prossima al piede carolingio, briche di età romana presenti nella zona,
corrispondente a 34,10 cm. Il fronte prin- successivamente rilavorati. A queste si ag-
cipale della torre misura infatti 22 piedi + giunge la cattedrale di Carinola, datata al-
¼, con i moduli di tre e cinque ricorsi, ri- l’XI secolo, successivamente ampliata e
spettivamente pari a 8 piedi e 13 piedi + completata con la facciata cinquecentesca;
¼ e lo spessore del muro variabile tra 5 nel campanile, come in S. Angelo in For-
piedi e 5 piedi + ¼. Nella torre del Gari- mis, si osserva l’impiego di grandi blocchi
gliano è stato verificato, con un certo calcarei, qui meno regolare (Crova 2005b:
grado di approssimazione, l’uso del piede 115 note 34-38; 116 nota 39).
longobardo, pari a circa 43,05-43,10 cm,
presente anche nei moduli di tre e cinque
filari rispettivamente pari a 1 piede + ½ e
2 piedi + ¾. Nel Castrum Lapidum di
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FELIX TERRA 415

La fabbrica longobarda oggi dioso di tecniche costruttive, per le nume-


rose informazioni che se ne traggono e che
Dopo l’atterramento dell’ottobre 1943, permettono di ripercorrere la storia della
il sito è stato abbandonato al suo destino fabbrica e più in generale quella delle tec-
e lasciato in balia dei molti cacciatori di niche edilizie altomedievali. I numerosi
trofei che negli anni hanno tratto dalla blocchi con incise le epigrafi romane, im-
fabbrica elementi per loro significativi, piegati come materiale da costruzione,
come per esempio le iscrizioni di età ro- sono stati riportati alla luce e successiva-
mana incise su alcuni dei blocchi di tra- mente inviati verso il costituendo Museo
vertino, ma anche i resti di bassorilievi e archeologico di Sessa Aurunca.
architravi, usati nella costruzione della Nel corso dei lavori è emersa la parte
fabbrica longobarda, prevenienti tutti dal basamentale del lato sud, che ha per-
vicino giacimento della città romana di messo di evidenziare come la realizza-
Minturnae. zione dei contrafforti, due per lato e
Negli anni la vegetazione ha fagocitato realizzati con la stessa tecnica, fosse coeva
il sito e contemporaneamente sono cre- della prima fase, osservando la legatura
sciute, a est, le alberature che Fedele con le mura della torre, probabilmente per
aveva fatto piantare per realizzare un dare ancora più solidità e nobiltà alla
giardino, divenuto così un piccolo bosco. torre. Sarebbe inoltre interessante che nel
Nell’immediato della distruzione, Gu- prosieguo delle attività possano essere ve-
stavo Giovannoni, illustre Accademico, rificate le affermazioni riportate dal Gi-
fondatore della Facoltà di Architettura di glioli, che osservava come la torre
Roma, continuatore del pensiero di Ca- sorgesse su antiche costruzioni in opus
millo Boito sul Restauro Filologico, nella quadratum.
sua declinazione Scientifica, padre della Quando licenziamo alle stampe il pre-
Carta Italiana del Restauro e ispiratore di sente saggio ancora non si hanno notizie
quella di Atene del 1931, fu chiamato a del rinvenimento delle due epigrafi lon-
esprimere un suo giudizio sul più proba- gobarde, che si spera possano tornare alla
bile valore di ricostruzione della fabbrica. luce per chiudere il cerchio, aperto da Pie-
In essa egli afferma che colui che fosse tro Fedele nel 1899, sulla fondazione della
stato chiamato a redigere la perizia “[…] torre.
non abbia altra via che stabilire il valore “a ce-
mento” del manufatto perduto cioè il costo che Fonti
sarebbe richiesto dal ricostruirlo fedelmente;
ed aggiungere a questo valore una percentuale A.A.M. – Archivio dell’Abbazia di Montecassino
pel valore artistico e storico del monumento.
Codex Diplomaticus Cajetanus, 1891, Tabularium
Questa percentuale […] io stabilirei nel 15 per
Casinense, vol. II, Montis Casini.
cento” (Giovannoni 1944).
Nel 2000 è stato presentato un primo A.C.S. - Archivio Centrale dello Stato di Roma
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