Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Collana «MONDIALITÀ»
Questo volume fa parte della Collana «Mondialità», edita dalla EMI, della cooperativa
Servizio Missionario (SERMIS), in collaborazione con il CEM (Centro di Educazione al-
la Mondialità) della cooperativa Centro Saveriano d’Animazione Missionaria (CSAM).
La Collana è affidata a un Comitato coordinato da ANTONIO NANNI, e composto da ARNALDO DE
VIDI, MARIANTONIETTA DI CAPITA, RAFFAELE MANTEGAZZA, BRUNETTO SALVARANI E RITA VITTORI.
– Camminando sul filo. La scuola per la pace (Nevè Shalom - Waahat as Salaam)
– Educare alla convivialità. Un progetto formativo per l’uomo planetario (A. Nanni)
– La via obbligata dell’interculturalità (A. Perotti)
– La terra di Punt. Miti, leggende e racconti dell’Eritrea (H. Weldemariam)
– Per una pedagogia narrativa (R. Mantegazza a cura)
– Bambini in ricerca-azione (AA. VV.)
– Le storie di Dio (B. Salvarani)
– Migrazioni in Europa e formazione interculturale (A. Negrini a cura)
– Educare a una cittadinanza responsabile (M. Orsi)
– Il sistema scolastico in prospettiva interculturale (A. Negrini a cura)
– Un tempo per narrare (R. Mantegazza)
– Musicalgiocanotando (G. Biassoni - P. Zocchio)
– Le religioni e la mondialità (F. Ballabio)
– Ecopedagogia e cittadinanza planetaria (F. Gutierrez - R. Cruz Prado)
– L’altro Milione (A. Fucecchi - A. Nanni)
– Una nuova Paideia (A. Nanni)
– Educare alla differenza (G. Dal Fiume)
– Religioni in Italia (F. Ballabio - B. Salvarani a cura)
– A scuola con la Bibbia (B. Salvarani)
– I media e l’islam. L’informazione e la sfida del pluralismo religioso
(I. Siggillino a cura)
– Educare alla responsabilità nella globalizzazione (M. Orsi)
– La pedagogia della speranza (C. Economi)
– Ciascun paese è mondo (F. Dovigo)
– Donne e religioni. Il valore delle differenze (AA. VV.)
– È l’ora delle religioni (AA.VV.)
– La scuola che ho sempre sognato (R. Alves)
– Identità plurali (A. Fucecchi - A. Nanni a cura)
– I bambini vedono Dio (D. Castellari)
– Comunità rom (S. Caset - A. Surian)
– Profeti di mondalità (A. Nanni)
– Pedagogia interculturale e solidarietà globale (G. Barbera a cura)
– La pedagogia della lumaca (G. Zavalloni)
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:37 Pagina 3
GIANFRANCO ZAVALLONI
LA PEDAGOGIA
DELLA LUMACA
Per una scuola
lenta e nonviolenta
N.A. 2519
ISBN 978-88-307-1771-8
INDICE
7
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:37 Pagina 8
8
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:37 Pagina 9
9
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:37 Pagina 10
10
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:37 Pagina 11
PREFAZIONE
di Christoph Baker*
11
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:37 Pagina 12
più forte e del più volgare? Certo, c’è chi si affida ai miracoli, ma l’evidenza va in
un’altra direzione. L’evidenza presenta un’umanità prigioniera di un unico scopo
nella vita: guadagnare e consumare. Tutto il resto è stato sacrificato sull’altare del
vitello d’oro.
Quindi, dare l’esempio. O almeno provare a indicare un’altra strada. Una strada
lenta, tranquilla, misteriosa a tratti, confortante ad altri. Parlare di tempi necessaria-
mente liberi dal mito del progresso lineare, della barzelletta che oggi si deve stare
meglio di ieri e che il domani dovrà essere ancora più radioso. Sperimentare dal vivo
il tornare indietro che è un naturale e salutare riflesso quando ci si accorge di avere
imboccato una strada che più sbagliata non si può. Invertire rotta è sempre stata una
pietra fondamentale della secolare saggezza marinara (ma chi si ricorda più dei capi-
tani di lungo corso?). Dare le dimissioni da una visione violenta e riduttiva della
vita. Dichiarare la propria obiezione di coscienza al massacro permanente che si
chiama sviluppo economico.
Liberarci dall’arroganza di specie sarà una festa! Imparare a porre il piede con
la massima attenzione per non sconvolgere più del dovuto la vita invisibile che ci
ronza intorno. Curare ogni gesto con il massimo della dolcezza, per non recare inu-
tili ferite a chi ci sta vicino. Portare la nostra vulnerabilità a fior di pelle, a fior di
cuore, nel palmo della mano. Quella mano che si porge allo sconosciuto. Quelle
mani che vogliono accarezzare e non più picchiare, che vogliono abbracciare e non
più cacciare via.
Non è più tempo di teorie universali e schiavizzanti. È giunta l’ora del grande
disarmo culturale e filosofico. Lasciamoci alle spalle la rincorsa affannosa e infeli-
ce a un benessere materiale, e abbracciamo il richiamo della vita che ci circonda e
che ci offre gratuitamente la sua infinita ricchezza. Impariamo ad ascoltarla, a rispet-
tarla, ad accompagnarla, ad esserne travolti.
Ogni tentativo di indicare tale strada è nobile. Come è nobile la lumaca che ci
insegna, grazie alle belle pagine di questo libro, che lento è bello!
12
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:37 Pagina 13
PRESENTAZIONE
A PROPOSITO DI LENTEZZA E…
Ogni volta che incontro Gianfranco, sono preso da una sorta di piacere partico-
lare, positivamente condizionato da un’amicizia vera, incoraggiante. Da anni ci stia-
mo confrontando insieme anche a Edoardo, allievo della scuola di Barbiana di don
Lorenzo Milani, su quello che significa rallentare i frenetici ritmi che influenzano
anche gli stili di vita. E, a proposito della scuola e della sobrietà, ci siamo avventu-
rati in due lettere aperte che hanno stimolato un fecondo confronto.
In queste belle, colorate, fresche pagine del libro, si percepisce una palpitante te-
stimonianza di umanità, di spessore pedagogico e culturale, che evidenziano una vi-
talità contagiosa e mi aiutano ad aggiungere qualche riflessione sull’importanza del-
la lumaca e della sua proverbiale lentezza, accompagnata da tenerezza e simpatia.
E per tutto ciò sono grato al priore e maestro don Lorenzo, quando a Barbiana
insieme a Giovanni Catti conobbi Gianfranco, giovane scattante scout, burattinaio,
estroso e creativo docente di scuola dell’infanzia. Da quell’estate del 1983 non ci
siamo più persi di vista. Anzi! Da allora, abbiamo vissuto tante, intense, gradevoli e
dense esperienze che ci permettono d’insistere tenacemente nello smontare pregiu-
dizi, di mettere in discussione abitudini consolidate che pongono sul trono il fare
precipitoso e veloce.
Spesso i giorni sono scanditi in maniera tale da essere capaci di rovinarci l’esi-
stenza, anche nelle semplici e naturali azioni, perché la velocità e la frenesia c’im-
pediscono di assaporare la bellezza della nostra unica e irripetibile vita.
Meglio darsi una regolata, e non solo con buoni proposti, per diffondere idee e
pratiche in grado di elogiare e valorizzare la lentezza, l’ozio, la poesia, la musica,
l’arte, sempre in buona compagnia della creatività, del sorriso e del buon umore. In-
sieme anche a una manciata salutare di consapevolezza nel seminare germi di pro-
fessionalità e percorsi formativi misti a manualità sapiente, cervello e tanto cuore.
Per queste fondate motivazioni, l’Autore desidera non farci perdere nel labirinto
dello sbrigare le faccende in fretta, contando i minuti e le ore, ossessionati a casa, a
scuola, a tavola, per strada, in famiglia, tra amici.
13
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:37 Pagina 14
Per fortuna, grazie anche a quest’originale libro, alla scuola italiana e non solo,
si offrono una serie di piatti gustosi e di utili e praticabili suggerimenti per vivere
meglio, riconciliarci con noi stessi e con gli altri, valorizzare le soste, vivere l’ozio
creativo, realizzare le necessarie pause. Fa bene guardarsi dalle insidie provenienti
dall’efficientismo attivistico e dispersivo. Certo da qualche anno si è sviluppata una
vasta letteratura e correnti di pensiero a favore della lentezza e di tutto quello che lo
slow (il lento) comporta. Ma è giunta l’ora di liberarsi dalle prigioni mentali di chi
predica bene e razzola male.
Ognuno di noi ha il sacrosanto diritto di ribellarsi, lì dove si vive e con chi si vi-
ve. Una sorta di placida e mite rivoluzione di comportamenti, che dopo avere letto
queste pagine, possono diventare pane quotidiano.
14
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:37 Pagina 15
Non è vero che le esperienze più belle e felici sono vissute all’insegna delle pia-
cevoli sensazioni che non sono influenzate dall’ansia del tempo che passa? L’arco-
baleno non ci regala attimi meravigliosi senza guardare l’orologio?
EUGENIO SCARDACCIONE
15
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 16
16
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 17
INTRODUZIONE
di Gianfranco Zavalloni
A scuola di lentezza
In questi tempi è di gran moda, nelle case di campagna riabitate dai cittadini,
avere un ulivo secolare in giardino. Peccato che dove oggi si costruiscono ville, un
tempo non c’erano uliveti. Se si piantassero piccole pianticelle di ulivo ci vorrebbe-
ro anni per avere una bella pianta. Allora esistono ditte specializzate che espiantano
ulivi secolari e li ripiantono anche a pochi metri dalla porta di casa. Nessuno ha più
il tempo di attendere? Oggi si vuole tutto velocemente. Grazie alla televisone prima,
e alle reti telematiche ora, è di gran voga la somministrazione di notizie “in tempo
reale”, “in diretta”. Si è cioè convinti di potere di più se si è “in rete” con tutto il
mondo attraverso un computer, un telefono o un monitor. A cosa serve tutto questo?
Spesso non si sa. Si sa solo di essere collegati con tutto il mondo. Forse si ottiene un
grande senso di sicurezza, di protezione, rispetto alla sensazione di “esser soli”. Si
vive con il mito incalzante del tempo reale e si sta perdendo la capacità di saper at-
tendere. Chi ha più il tempo di aspettare l’arrivo di una lettera? Oggi è possibile al-
zare la cornetta e sentire la persona con cui si vuol comunicare in pochi secondi. Che
vantaggio c’è nello scrivere delle lettere? Se tutto va per il giusto verso c’è da atten-
dere una settimana. Molto meglio il telefono, la posta elettronica, la chat. Alcuni an-
ni fa, quando ancora non esisteva Internet, Jeremy Rifkin ci ricordava che “… la raz-
za umana si è basata, nel corso della storia, su quattro dispositivi fondamentali di as-
segnazione del tempo: i rituali vitali, i calendari astronomici, le campane e gli orari,
e ora i programmi dei calcolatori. Con l’introduzione di ogni nuovo dispositivo, la
razza umana si è staccata sempre più dai ritmi biologici e fisici del pianeta. Siamo
passati da una stretta partecipazione ai ritmi della natura all’isolamento pressoché
totale dai ritmi della terra…”.
Siamo nell’epoca del tempo senza attesa. Questo ha delle ripercussioni incredi-
bili nel nostro modo di vivere. Non abbiamo più il tempo di attendere, non sappiamo
partecipare a un incontro senza essere disturbati dal cellulare, vogliamo “tutto e su-
bito” in tempo reale. Le teorie psicologiche sono concordi nel pensare che una delle
differenze fra i bambini e gli adulti risieda nel fatto che i bambini vivono secondo il
principio di piacere (“tutto e subito”), mentre gli adulti vivono secondo il principio
di realtà (saper fare sacrifici oggi per godere poi domani). Mi sembra che oggi gli
adulti, grazie anche alla società del consumismo esasperato, vivano esattamente co-
17
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 18
me i bambini secondo le modalità del “voglio tutto e subito”. Sapremo ritrovare tem-
pi naturali? Sapremo attendere una lettera? Sapremo piantare una ghianda o una ca-
stagna sapendo che saranno i nostri pronipoti a vederne la maestosità secolare? Sa-
premo aspettare? Si tratta di intraprendere un nuovo itinerario educativo. Genitori,
insegnanti e tutti coloro che ruotano attorno al mondo della scuola, sono stimolati
dalle suggestioni offerte dalla pedagogia della lumaca e possono ricominciare a ri-
flettere sul senso del tempo educativo e sulla necessità di adottare strategie didatti-
che di rallentamento, per una scuola lenta e nonviolenta.
18
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 19
Vitruvio, il famoso architetto dell’antica Roma, aveva diviso gli architetti in tre
categorie: quelli che sanno ben costruire ma non scrivere, di essi resteranno le opere,
non i nomi; quelli che scrivono ma non costruiscono, di essi non resterà nulla. Infine
i pochi che uniscono le due doti.
A trentacinque anni, Leonardo da Vinci, vedendo che la dignità della pittura non
è pienamente riconosciuta, perché i pittori non servono, decide di scrivere per dimo-
strare che l’arte dei pittori, avendo una base teorica, è scienza.
Noi potremmo dire lo stesso per quanto riguarda la scuola e l’educazione in
generale. Nella scuola ci sono i bravi maestri. Di essi resta traccia nella vita delle
persone a cui, nella loro fanciullezza, hanno comunicato il piacere di studiare, il
gusto di apprendere, il metodo dell’imparare a imparare. Poi ci sono coloro che scri-
vono senza aver mai fatto esperienza diretta coi ragazzi. Questi, che molto spesso
per aver conseguito la laurea si autodefiniscono pedagogisti, li troviamo di fre-
quente nelle università. Di essi, e delle loro teorie pedagogiche, per qualche breve
periodo si fa menzione nei testi universitari e nei libri consigliati per la preparazio-
ne ai concorsi. Le case editrici che pubblicano questi testi sono estremamente grate
a tali autori, soprattutto in quei periodi che precedono i concorsi, quando decine di
migliaia di aspiranti maestri sono costretti ad abbeverarsi alle fonti del sapere peda-
gogico. Di essi, forse, resterà un vago ricordo.
Infine ci sono i veri maestri, quelli che sanno insegnare, che sanno aiutare a far
fiorire le intelligenze e le personalità dei ragazzi con i quali operano e sanno poi
riflettere sul loro lavoro educativo, scrivendo e documentando. L’esperienza didat-
tica è di per sé sempre unica. Ognuno di noi ha ricordi, esperienze vissute, momen-
ti di vita scolastica da poter narrare. Gli insegnanti dovrebbero prendere l’abitudine
di appuntarsi il lavoro fatto su un quaderno o un diario, facendo così fruttare l’e-
sperienza vissuta sia per sé stessi che per gli altri. Questo “far memoria dell’espe-
rienza didattica” è un aspetto importante dell’insegnare. In Italia abbiamo pochissi-
mi esempi di didattica narrata e documentata. Il più eclatante è stato quello del mae-
stro Marcello D’Orta, col suo Io speriamo che me la cavo (Mondadori, Milano
1990), dove insieme alla spontaneità poetica delle sgrammaticature infantili è anche
emerso, a livello di opinione pubblica, una ridicolizzazione della scuola. Per fortu-
na che, prima dei ragazzi di Arzano, abbiamo avuto i ragazzi di Barbiana. È infatti
con don Milani che possiamo vantare un esempio storico di didattica vissuta e divul-
19
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 20
20
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 21
21
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 22
analizza la società occidentale e la definisce: “Un sistema basato sul profitto e sul
consumo (…) che finiscono per essere gli unici scopi della vita degli uomini”.
Lentezza e ozio
La letteratura sul tema della lentezza e del decelerare si sta notevolmente am-
pliando in questi anni. Fra le riflessioni più interessanti cito quelle di Tom Hodgkin-
son (www.idler.co.uk) di cui desidero ricordare due saggi: L’ozio come stile di vita e
La libertà come stile di vita; sono due veri capolavori a supporto della “filosofia del-
la lentezza”. La tesi di fondo di Tom Hodgkinson è quella di affermare che in una so-
cietà basata sul fare, sull’efficientismo, sul mercato globale e sulla velocità, la ma-
niera per essere veri rivoluzionari è oziare e rallentare, far da sé e produrre local-
mente, perder tempo. Perdere tempo è un vero peccato capitale in un sistema socia-
le incentrato sul profitto ad ogni costo, è legato invece a una società basata sui ritmi
ciclici, a uno stile unito alla natura, al lavoro che l’uomo svolge per produrre il suo
sostentamento. L’idea del “perdere tempo”, dell’attendere pazientemente che un ci-
clo si compia, è caratteristica del lavoro contadino, della terra e della campagna. A
ben pensare nel lavoro dei campi non esistono pause che non siano feconde, il tem-
po perso in realtà è un tempo biologicamente necessario, che si riempie spesso di at-
tività di preparazione a eventi ciclici come sono i raccolti o le semine. Mentre la ve-
locità è legata a tempi lineari, a una produzione industriale centrata sull’usa e getta,
a un modello di società che consuma e che non si preoccupa di far rientrare entro ci-
cli naturali beni, energie, materie prime e persone. È un “tempo-freccia”, privo d’at-
tese.
Tutto questo incide indelebilmente sull’educazione, sulla formazione delle per-
sone e sull’organizzazione della scuola. Un approfondimento significativo su questo
tema è stato presentato nel 2002 dal Gruppo Educhiamoci alla Pace (GEP) di Bari,
durante un corso di formazione residenziale sul tema “In compagnia di ozio, lentez-
za e poesia”. Nel volantino di presentazione alla voce “cosa faremo” si leggeva:
“Disegneremo, scriveremo con l’inchiostro e il pennino poesie, frasi, riflessioni.
Cercheremo di ‘poetare’ in lingua locale. Porteremo in tasca un coltellino per co-
struirci fischietti, per fare piccoli giochi. E poi cammineremo... ci divertiremo e... ci
riposeremo”. Per alcuni giorni abbiamo lavorato, abbiamo riflettuto e ci siamo con-
frontati sul bisogno e sulla necessità didattica di “rallentare” e di “fare scuola più
lentamente”. Così abbiamo rilevato la necessità di proporre, in questi tempi, un nuo-
vo modello pedagogico che in maniera metaforica abbiamo chiamato la pedagogia
della lumaca. Questo modello pedagogico o, ancor meglio, questi suggerimenti di
carattere educativo, nascono da una riflessione su come viviamo il tempo scolastico
in relazione ai ritmi della società.
“È qualcosa di molto simile – come mi ha suggerito Edoardo Martinelli
(www.barbiana.it) nel suo recente libro Don Lorenzo Milani. Dal motivo occasiona-
22
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 23
le al motivo profondo (SEF, Firenze 2007) – allo scholé di Platone nel Timeo: scholè
è il tempo che trascorre senza assillo, non soggetto alle angosce della necessità, por-
ta in sé l’idea dell’indugio, dell’ozio, della lentezza. La parola è sinonimo di appli-
cazione, studio e, quindi, di scuola, anche se il termine scholasticos aveva in greco
un’accezione negativa, come a indicare chi perde tempo”.
1. Perdere tempo a parlare. C’è una fase, di solito l’inizio del primo anno di un
nuovo ciclo scolastico, in cui tutto il tempo perso a parlare e ad ascoltare i ragazzi
nelle loro storie personali è preziosissimo. È il tempo della scoperta, della cono-
scenza dei vissuti personali, dell’elaborazione di buone regole comuni del vivere in-
sieme. Perdere tempo senza “fare il programma” (uno dei principali motivi d’ansia
dei nostri insegnanti) non è di certo perdere tempo. Ci sarebbe molto da riflettere, a
tal proposito, su tutte quelle attività di cosiddetta continuità fra i diversi gradi di
scuola… se poi non perdiamo tempo a conoscere i nostri ragazzi!
23
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 24
5. Guardare le nuvole nel cielo e guardare fuori dalla finestra. Conosco una
maestra che porta spesso i ragazzi della propria classe nel prato davanti a scuola.
Nelle giornate nuvolose e di vento, li fa sdraiare per terra e guardare le nuvole nel
cielo, immaginandone forme e movimenti. È scuola questa? Si è scuola, una ecce-
zionale scuola di poesia.
6. Scrivere lettere e cartoline vere, usandole come mezzo artistico. Nell’era del-
la posta elettronica provo un senso di disagio quando ricevo gli auguri di Natale con
una lettera di posta elettronica indirizzata ad altre 150 persone (l’indirizzario perso-
nale di chi scrive). Si fa prima e non si perde tempo: questa è la motivazione. Non
c’è nulla di più spersonalizzante. Che bello, invece, ricevere e scrivere una cartolina,
una lettera singola, un biglietto personalizzato. In occasione delle feste e delle ricor-
renze, anziché i classici regalini (gadget o piccoli giocattoli spesso inutili) proponia-
mo ai nostri studenti di scrivere, ad esempio, cartoline ispirandoci al movimento ar-
tistico della cosiddetta “arte postale”. L’arte postale (in inglese mail art) è l’arte che
usa il servizio postale come mezzo. L’esempio più familiare è dato dalle buste illu-
strate affrancate con francobolli del primo giorno d’emissione che i filatelici chia-
mano first-day covers. Ma l’arte postale vera e propria è costituita da buste e carto-
line variamente decorate con un ampio ventaglio di altre tecniche, come il collage, i
timbri decorativi e la creazione di falsi francobolli (artistamps). E così, in giro per il
mondo, ci saranno migliaia di cartoline, disegnate dai bambini e dalle bambine, dai
ragazzi e dalle ragazze.
24
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 25
8. Fare un orto a scuola. Un orto ha bisogno del rispetto dei tempi: quest’attività
sviluppa nei bambini l’attenzione verso i ritmi naturali. È un’esperienza vera di len-
tezza, riguarda il “prendersi cura”, coltivare la terra assecondando i suoi ritmi, può
aiutare a trovare un equilibrio. Non a caso si pratica anche l’ortoterapia. È un’espe-
rienza senza vincoli, che possiamo fare alla scuola d’infanzia, alla primaria e nelle
secondarie.
Ho buttato un sasso nello stagno della fretta. Nei capitoli seguenti approfondirò
una a una le varie pratiche qui sopra indicate.
25
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 26
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 27
Viviamo ancora oggi, nel XXI secolo, nella dimensione tempo-spazio, una dimen-
sione trovata dagli antichi filosofi greci: tutto il nostro pensiero è un pensiero ari-
stotelico, un pensiero platonico, e ancora non siamo in grado di guardare oltre, di
andare oltre.
Provo a sintetizzare un pensiero del filosofo Umberto Galimberti. L’uomo è riu-
scito a trovare nuove tecniche per andar sulla luna, ma nella relazione umana sia-
mo fermi a quelle due dimensioni.
Non siamo capaci di trovare nuove “durate”, nuove “arie” per vivere nuove di-
mensioni perché ci troviamo nel vortice tecnologico, economico, dove l’umano è
messo al suo servizio, e il sistema per sostenere quest’equilibrio ha bisogno di tem-
po, di spazio.
Oggi possiamo vedere che anche la relazione ha un suo “tempo”, una sua velocità,
la velocità della relazione, dove si brucia l’esperienza dell’altro. A questo punto fa-
rei una distinzione tra il “tempo uomo” e il “tempo ore”. Nel “tempo uomo” il di-
sabile può vivere perché non ha limitazioni, non ha barriere, è il tempo del ricor-
do, del sogno, della speranza. Nel “tempo ore” non c’è posto per il disabile, per la
carrozzina: è “il tempo” della fretta, della competizione, di chi deve arrivare alla
sua meta. Con un disabile questo non funziona, perché la disabilità stessa lo ob-
bliga a una sua lentezza. Pone a chi si relaziona con una persona disabile un “tem-
po uomo”, una corporeità, e questo nella dimensione della fretta può spaventare;
perché un disabile va toccato, vestito, svestito, accudito, e questo richiede tempo e
calma. Un tempo e una calma che ti porta a una riflessione del tuo “io” a cui ti
hanno insegnato a non dare ascolto.
Se si vuole cercare a tutti i costi una differenza tra il disabile e il normodotato, es-
sa consiste nel fatto che il disabile è costretto a fare i conti con il proprio “sé”, un
“sé” corporeo, limitato.
Spesso mi sono sentito rispondere: “Non ho tempo”. Oppure chiedevo d’andare an-
ch’io con loro a comprare qualcosa, ma la risposta era di stare in casa, perché bi-
sognava fare in fretta, non perdere tempo. La carrozzina è qualcosa che fa perde-
re tempo. E mi chiedo: che cos’è il tempo? (…) Il tempo non è qualcosa che può
discriminare l’uomo, il tempo è nelle persone, è nella singola storia con cui mi re-
27
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 28
Lenta va la tartaruga
La prima volta che ho sentito parlare della logica della lentezza è stato quando nel
mio mangiadischi (ormai oggetto d’antiquariato) ho messo il disco di Bruno Lau-
zi e ho ascoltato La tartaruga. Riascoltandola poi, negli anni, mi son sempre più
convinto che questa canzone è davvero un inno alla lentezza. La tartaruga che un
tempo era un animale che correva a testa in giù e filava via come un siluro, più
28
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 29
29
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 30
30
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 31
31
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 32
crea sicuramente disagio. Se poi, al posto della pioggia, abbiamo un’abbondante ne-
vicata e questa provoca rallentamenti e tratti d’autostrada impraticabili ai mezzi mo-
torizzati, di sicuro a qualcuno verrà in mente di richiedere, al governo di turno, lo
stato di “calamità naturale”.
Eppure tutti sappiamo, a ben riflettere, che per gli agricoltori, per coloro che
quotidianamente attendono a una delle fondamentali attività dell’umanità, cioè col-
tivare prodotti agricoli e quindi produrre beni alimentari, la pioggia è fondamentale,
anzi indispensabile. Non esisterebbero buone produzioni agricole senza piogge e ab-
bondanti nevicate. La tradizione agricola e popolare aveva ben sintetizzato ciò in in-
numerevoli proverbi. Pensiamo a quello estremamente semplice che afferma: “Sotto
la neve, il pane”, a significare che un buon raccolto di grano e di conseguenza farina
per il pane, nasce da una buona nevicata invernale. L’acqua per i contadini è quasi
sempre sinonimo di “benedizione dal cielo”. Ma che ne sarebbe dei nostri acquedot-
ti, che quotidianamente ci portano acqua sia nelle case di campagna che in quelle di
città, senza neve o pioggia? Non possiamo aspettare stagioni caratterizzate da persi-
stenti siccità per ricordarci che la pioggia e la neve sono indispensabili all’umanità.
È bene ricordarsi di questo anche nelle nostre scuole!
Una lunga esperienza educativa negli scout, gli anni da maestro di scuola mater-
na in campagna e le origini contadine mi hanno insegnato che quando piove o nevi-
ca la vita prosegue. È sufficiente attrezzarsi di un buon paio di stivali, un ombrello o
meglio ancora una mantellina o un poncho impermeabili. La vita sotto la pioggia
non si ferma, ma prosegue ed è estremamente interessante vedere il mondo anche da
questo punto di vista. Non esiste quindi un buono o cattivo tempo, ma una buona o
cattiva attrezzatura. E quando ci sono abbondanti nevicate? Credo che la saggezza
popolare ci abbia sempre invitato a fermarci, a rallentare, a sospendere le attività
previste. Sono eventi che, in questo senso, ci condizionano, ma ci educano. E a
scuola, che fare? Beh, se nevica, si può anche sospendere la lezione prevista e corre-
re in cortile a giocare con le palle di neve, costruire un pupazzo o progettare un igloo
eschimese (ne guadagneremo in conoscenze e competenze in campo fisico, scienti-
fico, geografico e storico).
32
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 33
33
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 34
In una società basata sul successo, sul guadagno e sul vincere, abbiamo mai ri-
flettuto sull’importanza e sul valore pedagogico del “perdere”? Perdere tempo, per-
dere una partita, perdere un treno, perdere un oggetto, perdere un appuntamento,
perdere qualcuno, perdere e basta… perdere!
34
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 35
Nel ripensare alla mia esperienza scolastica, aggiungerei che tutti noi che lavo-
riamo quotidianamente nella scuola, dovremmo avere una ”nostra idea” di scuola.
Una scuola ideale che ogni giorno confrontiamo e mediamo con la scuola reale,
quella in cui ci troviamo a lavorare, insieme a bidelli, segreterie, docenti, studenti,
amministratori, colleghi e famiglie. Dopo ventotto anni di lavoro nella scuola (prima
come maestro poi come direttore didattico – preside – dirigente scolastico), ho “in
testa” una mia organizzazione ideale di scuola, con tempi, strutture, programmi e di-
dattiche. Una proposta di scuola, che la rivista pedagogica dell’editrice Giunti Vita
Scolastica, ha definito “la riforma Zavalloni”. Ed ecco i punti della mia proposta di
riforma, che riguarda prevalentemente la cosiddetta “scuola dell’obbligo”.
Nelle società moderne la quasi totalità delle scuole è centrata su alcuni cardini:
l’apprendimento cognitivo, lo studio mnemonico, l’interrogazione-interrogatorio.
Nella stragrande maggioranza dei casi l’apprendimento nelle nostre scuole è quindi
faccenda di memoria e di logica. Ogni persona può esprimere innumerevoli linguag-
35
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 36
1. Il gioco (il piacere) che è lo strumento ideale per apprendere e rispettare le re-
gole e per maturare nelle relazioni sociali;
3. Il lavoro manuale (le competenze) che è la maniera per educare il corpo al-
l’uso di tutti i sensi e per imparare a vivere nel mondo con responsabilità. Tutti i
giorni c’è da spazzare, pulire, preparare le merende o il pranzo, fare acquisti, accu-
dire il cortile, coltivare l’orto scolastico. Perché non farlo con gli studenti stessi?
Il tempo scolastico dovrebbe essere quindi suddiviso in tre parti, un terzo da de-
dicare al gioco, un terzo allo studio, un terzo ai lavori manuali.
36
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 37
37
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 38
questo dovremmo uscire dalla logica delle classi formate per anno scolastico. Pos-
sono cioè diventare “norma” quelle che un tempo erano le eccezioni, ovvero le co-
siddette pluriclassi, che vedono al loro interno bambini di età verticali. In queste
scuole non dovrebbe esistere il ruolo del “dirigente-manager” (come continuano tut-
ti – dai sindacati al ministero – a sostenere) ma la funzione di coordinatori-direttori
che abbiano anche metà del tempo dedicata all’insegnamento. Un modello tuttora
presente in molti paesi europei.
Quanti ragazzi soffrono (e fanno soffrire i docenti!) negli anni delle “superiori”.
Perché non pensare a un “bonus” di anni-scuola da poter far spendere, ai ragazzi che
vogliono “abbandonare” la scuola, in un periodo successivo. Ragazzi che a 17 anni
odiano la scuola poi si ritrovano a 24-25 anni con la voglia e il “desiderio di scuola”.
Perché non offrire loro la possibilità di potersi, a quel punto, rigiocare la carta della
scuola?
Una scuola così concepita è una scuola che non può che avere insegnanti molto
motivati. Quelli che sia Vittorino Andreoli, sia Edgar Morin, sia don Lorenzo Mila-
ni definiscono “insegnanti per missione”. Un buon insegnante, consapevole di non
essere onnipotente, sa – in quella determinata condizione – anche da chi farsi aiuta-
re, senza per questo abdicare ad altri il proprio ruolo. Un ruolo che è sempre, anche
senza volerlo, sia istruttivo che educativo. Forse dovremmo anche noi farci aiutare
da chi la scuola l’ha fatta anche “pensandola”. Mi riferisco in questo momento a fi-
gure come Maria Montessori, Alberto Manzi, Maria Maltoni e la scuola di San Ger-
solè, al maestro Mario Lodi, alla scuola di Barbiana, a Margherita Zoebli e il suo
Centro educativo italo-svizzero. Aggiungerei, infine, l’esperienza di Baden Powell,
fondatore dello scoutismo, a cui devo buona parte della mia formazione.
38
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 39
Uno dei nodi fondamentali da sciogliere della scuola italiana è la situazione che
vivono i ragazzi che la frequentano dagli 11 ai 14 anni. È la stagione della loro ma-
turazione. Germina il loro corpo. Si avverte la fame di relazioni interpersonali
profonde e autentiche. L’amicizia diventa la questione capitale. Si scopre la sessua-
lità. Si vivono i primi conflitti forti con i genitori.
Il gruppo dei pari diventa il vero punto di riferimento. In tale contesto, l’attuale
scuola media italiana (o secondaria di I grado), anello logoro e tagliente, mostra tut-
ta la sua inadeguatezza. I contenuti restano prioritari, diventando perfino la ragion
d’essere di ogni “prova di verifica”.
Prima di conoscere i ragazzi, si prevedono batterie di “prove d’ingresso”. Gli in-
segnanti – loro malgrado – finiscono per ridurre la loro funzione a quella d’informa-
tori. È così che la logica dei contenuti si trasforma nella somministrazione di nozio-
ni e di test di valutazione, specialmente ai ragazzi segnalati dalle certificazioni.
Quale logica? Mentre i ragazzi nuotano nel mare del non-senso, la centralità dei
programmi fa capolino ad ogni proposta riformatrice. La scuola media appare fon-
data sulla frattura fra lezioni e vita reale. I ragazzi non comprendono quale sia l’in-
cidenza – e, dunque, l’importanza – della formazione scolastica per il loro futuro.
La centralità del ragazzo necessita di percorsi rallentati e, soprattutto, di uno
spazio ben più ampio da conferire all’ambito affettivo-relazionale. Non è un caso
che il cosiddetto “bullismo” cresca a vista d’occhio e faccia seguaci principalmente
nella fascia d’età della prima adolescenza e vada a colpire i più deboli.
Non abbiamo dedicato un punto esclusivo per gli alunni disabili, i giovani stra-
nieri, i portatori di culture e religioni diverse, perché, dal punto di vista dell’inclusi-
vità, auspichiamo che tali alunni siano considerati una risorsa e parte attiva del pro-
cesso educativo, il quale non può essere delegato alla sola insegnante di sostegno.
39
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 40
2. A scuola, come nella vita, non possiamo disgiungere l’apprendere dal fare.
S’impara con il cervello, con le mani, con tutti i sensi e con il cuore.
In ogni scuola sono fondamentali i laboratori della manualità da svolgere anche
all’aperto. Il laboratorio non è il luogo “extracurricolare” dove “si fa e si apprende
altro dai saperi e dai programmi”.
5. Gli insegnanti non sono dei tuttologi, ma devono sapere “dove sta di casa la
cultura”.
I libri di testo non sono gli unici sussidi didattici, possono essere sostituiti dagli
incontri diretti con la vita e le persone e poi da una buona biblioteca di classe, voca-
bolari, atlanti, giornale, stazione multimediale, accesso a Internet, collegamento sa-
tellitare, supporti di memorie esterne, videoproiettore digitale e analogico, che com-
plessivamente riducono di una buona percentuale le spese a carico delle famiglie.
40
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 41
10. Si capisce bene cos’è una scuola quando la viviamo come se fosse il luogo
dove si entra competitivi, aggressivi, razzisti e, dopo aver lavorato e studiato insie-
me per bisogni comuni, si esce rispettosi degli altri, amici, tolleranti.
La scuola è un concentrato di esperienze, una “grande avventura” che può esse-
re vissuta come se fosse un viaggio, un libro da scrivere insieme, uno spettacolo tea-
trale, un orto da coltivare, un sogno da colorare.
41
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 42
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 43
La plastica e la tecnologia
Nel mondo della scuola si discute da anni di “grandi sistemi” (pensiamo a quan-
to tempo e quante energie impiegate per pensare riforme) e spesso non ci accorgia-
mo che i cambiamenti veri, quelli che incidono nei modi di vita della gente (e quin-
di dei ragazzi e delle ragazze con cui lavoriamo) avvengono nel quotidiano e ci sfug-
gono. Parlando di tecnologia, anni fa, sul suo libro dal titolo La ragione aveva tor-
to? (Marsilio, Venezia 2003), Massimo Fini ha espresso un concetto estremamente
originale. “È la tecnologia che ha rivoluzionato il mondo, non la borghesia che ne è
solo un prodotto, come il proletariato o la tecnocrazia. La plastica poté più del
marxismo. La tecnologia ha effettivamente accumulato mezzi e ricchezze che però,
invece di liberare l’uomo l’hanno ulteriormente soggiogato. All’antico asservimento
dell’uomo all’uomo, che ha semplicemente cambiato maschera, si è aggiunto l’as-
servimento alla macchina e alla sua potente logica”.
Dal 1996 la scuola italiana si è ininterrottamente interrogata su un’ampia rifles-
sione a proposito del suo senso e sull’organizzazione. Pensiamo a tutta l’attività
messa in moto dal ministro Berlinguer sulla riforma dei cicli e sui saperi essenziali.
Chi non ricorda il lavoro dei quaranta saggi? E poi la riforma cosiddetta “dell’auto-
nomia”. Un atto legislativo che ha inciso profondamente nel clima delle scuole in
quanto ha dimensionato la maggior parte degli istituti scolastici italiani, creando
spesso situazioni conflittuali e difficili da gestire. A questa riforma erano collegati
quindici decreti applicativi. Negli anni seguenti il succedersi dei governi ha portato
a nuove modifiche e innovazioni. L’ultima in ordine di tempo è l’elaborazione di
nuove Indicazioni per il curricolo e il dibattito sui debiti formativi e gli esami di ri-
parazione. Mentre nel parlamento si discute, mentre i governi legiferano a colpi di
decreti, “la plastica invade la scuola e cambia la vita delle nostre scuole”.
Nel 2002, ho fatto un’indagine nella scuola che dirigevo. Ho chiesto ai ragazzi
quanti di loro erano in possesso di un telefonino e quanti no. Su 820 ben 584 posse-
devano tale strumento. In percentuale il 73%. Se ripetessi l’indagine oggi sono più
43
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 44
che sicuro che si raggiungerebbe la percentuale del 99%. Siamo nella scuola secon-
daria di I grado, l’ex scuola media. Il cellulare è un oggetto piccolo, innocuo, che
sfugge alla vista dei professori ma che è presente in classe e soprattutto nella vita di
tutti questi minori. Cambiano i modi di relazionare fra coetanei: ci s’invia piccoli
messaggini con cui ci si da appuntamento in bagno. Si squilla continuamente. A ben
poco servono circolari ministeriali o regolamenti d’istituto. Una collega della secon-
daria di II grado ha persino istituito una piccola cassaforte per ogni classe e all’en-
trata si assiste al rito della consegna dei cellulari e alla loro chiusura nella cassettina.
All’uscita si ripete il rito contrario. Un tempo c’era il rito della preghiera a Dio. Ora
il nuovo Dio è il cellulare. È diminuita l’attenzione ed è aumentata la distrazione. Si
è forse modificato lo stesso cervello dei ragazzi e delle ragazze.
Sicuramente il computer e Internet, cioè la telematica in rete, è la seconda di
queste tecnologie, che, al pari della plastica, “poté più delle ideologie e delle riforme
scolastiche”. Dal punto di vista scolastico se ne constatano gli effetti pratici quando
svolgo la funzione di presidente di commissione d’esame stato alla fine della secon-
daria di I grado. Ho visto ragazzi presentare ricerche (ben fatte esteticamente) dove
era evidente una discreta capacità d’uso dei motori di ricerca di Internet. E poi con
“taglia e incolla” il gioco e fatto. Ma dove sono l’impegno, la tenacia della ricerca, il
cercare per scegliere e poi rielaborare? Dove sono la fatica e le idee dei ragazzi?
Insieme all’informatica e alla telematica, che hanno avuto una diffusione veloce
e recente, c’è stata un altro strumento che a tal proposito ha cambiato i modi di ope-
rare nella scuola: l’uso didattico della fotocopia.
Non c’è ormai scuola che non spenda dai 5000 ai 10.000 euro all’anno in foto-
copie. In merito si veda il capitolo Disegno creativo o fotocopia ripetitiva (pag. 55).
Veniamo invece al Grande Fratello, l’Isola dei famosi e tutta una serie di tra-
smissioni televisive (Amici, Stranamore, Saranno famosi) in cui i protagonisti sono
“gente come noi”. Alcuni anni fa il modello era Ambra, ricordate? Ebbene nell’anno
2000, verso novembre, da buon preside imbranato, entrando in una classe delle me-
die di Pennabilli, ricordo che un ragazzo mi chiese: “Ma lei preside guarda il Gran-
de Fratello?”. Cosa rispondere? Io nemmeno sapevo cosa fosse! Ricordavo solo Il
grande fratello di George Orwell in 1984. Eppure sono bastati pochi anni di queste
trasmissioni televisive per modificare la scala dei valori e i modelli identificativi de-
gli adolescenti. Possono più cento giorni del Grande Fratello di mille ore all’anno di
scuola. La televisione è un mezzo potente e fatta in questo modo appare vera ai ra-
gazzi e quindi veicola modelli, modi di pensare, modi di vestire, modi di consumare.
Abbiamo quindi da una parte ragazzi che passano ore davanti alla televisione in
solitudine, e dall’altra gli stessi ragazzi sono quelli che vengono auto-trasportati dai
genitori fin davanti al cancello della scuola. Il modello è quello della scarsa autono-
44
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 45
mia di movimento e di spostamento. E scopro ogni giorno di più quanto siano inca-
paci di “usare le mani” questi ragazzi. Gli stessi che usano con abilità i tasti del te-
lefonino, del mouse o della Playstation, non sanno poi avviare una trottola, sono
handicappati nel tiro di biglie e nel gioco dei tappini, non siano capaci di lanciare un
sasso con una fionda o una freccia con un arco. Ragazzi che non hanno mai usato un
coltellino per costruirsi un giocattolo di legno o che non hanno mai esplorato con la
loro bicicletta il quartiere della città. Ragazzi che non conoscono i più elementari
strumenti di lavoro: il martello, la pinza, la sega, la raspa. Hanno perso esperienze
fondamentali per la loro formazione umana che difficilmente recupereranno nel cor-
so della vita anche se diventassero grandi fruitori di corsi di bricolage.
Credo che di fronte alla “potenza della plastica” ovvero dei grandi modelli sopra
indicati ci siano – da parte della scuola – alcune vie d’uscita.
Una è sicuramente quella di avere di fronte insegnanti veri, insegnanti che non
simulano, ma che portano una loro personale esperienza viva, la loro vita, le loro
passioni, le loro competenze, le loro debolezze.
La seconda è collegata alla prima. Fare esperienze vive, concrete, non virtuali.
Sono esperienze apparentemente semplici, banali, elementari, ma che spesso sono
bandite dalla vita dei nostri studenti.
45
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 46
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 47
9. LA GITA IN BICICLETTA
Non ci sono limiti spesso alla possibilità di viaggiare. Ed è sempre più frequen-
te che gli studenti effettuino viaggi in paesi europei. Molte terze delle scuole secon-
darie di I grado del nostro territorio hanno fatto in questi anni viaggi di alcuni giorni
con destinazione la sede del Parlamento europeo, a Strasburgo, nel nord della Fran-
cia. Eppure spesso, questi ragazzi, hanno raramente viaggiato e percorso le strade
della centuriazione romana che si snodano nei dintorni della via Emilia, nelle zone
del Rubicone.
47
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 48
48
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 49
49
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 50
Pochi anni fa gli insegnanti della scuola primaria di Rontagnano (FC), una delle
frazioni del comune in cui sono dirigente scolastico, hanno realizzato un’esperienza
unica. Nel corso dell’anno scolastico hanno camminato molto e piano piano hanno
trovato cinque sentieri. In ogni sentiero-spicchio del territorio, hanno individuato
ricchezze caratteristiche: flora o fauna selvatica. Hanno poi aggiunto scritti, disegni
e foto (si veda infratesto alle pagg. 88-89).
Nel lavoro di ricerca, per ogni sentiero hanno ricostruito un racconto: vicende
reali, di vita vissuta, raccontate dai diretti interessati dai parenti o studiate sui libri di
storia. Con l’apporto finale di un amico, esperto illustratore, ne è nato un fascicolo
composto di cinque mappe locali, un eccellente strumento in mano ai cittadini, vian-
danti o turisti.
Altri vantaggi immediati della gita scolastica a piedi li possiamo subito consta-
tare: abbattimento non indifferente di costi, riduzione d’inquinamento, minor consu-
mo di un bene prezioso qual è il petrolio.
Passeggiare
50
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 51
Da metà degli anni Ottanta si diffonde invece l’uso delle fotocopie. E dall’uso si
giunge facilmente all’abuso. Bruno Munari ebbe subito a sperimentare l’uso creati-
vo, fantastico delle fotocopie. Ma c’è stato, e ancora c’è, anche un uso banale della
fotocopia; spesso si giunge al vero e proprio abuso. Durante la mia esperienza di di-
rettore didattico in Val di Fassa, l’amico Stefano Dell’Antonio (stefano.dellanto-
nio@alice.it) allora bibliotecario dell’Istituto Culturale Ladino, mi fece notare pro-
prio l’eccessivo utilizzo della fotocopia: “Arrivano gli scolari delle nostre scuole e
gli universitari. Sfogliano i libri, cercano i capitoli interessanti, leggono alcune righe
e poi mi chiedono di fare delle fotocopie. A volte centinaia di fotocopie. Infine rile-
gano. Ed ecco che la ricerca, la tesi di laurea sono pronte per i docenti. E devo con-
fessarti che molto spesso a usare questo metodo sono anche i professori universitari
non solo gli studenti”.
51
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 52
Per la prima volta, nella storia dell’umanità, c’è la possibilità di avere in “tempo
reale”, una mole quasi infinita d’informazioni. In un’enciclopedia multimediale (del
peso di pochi grammi) è possibile reperire migliaia di pagine di testo, immagini, mu-
sica e video. Ma oggi il compito diviene sicuramente più difficile, estremamente dif-
ficile. Con i motori di ricerca che sfruttano le potenzialità dei database, chiunque
può reperire informazioni su un determinato argomento. Poi è sufficiente seleziona-
re ciò che serve e collegarlo al resto. È quella che io definisco la “didattica del copia
e incolla”, di cui sono esempio le “tesine” o “ricerche” dei ragazzi. Alcuni insegnan-
ti con scarse o nulle competenze informatiche, rimangono sbalorditi e commentano
positivamente gli ottimi lavori svolti. Eppure quando si scava oltre le belle apparen-
ze, si capisce subito che la ricerca è frutto del “copia e incolla”.
52
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 53
È un lavoro lento che somiglia a quello di certi artigiani e che Bruno Munari, in
maniera efficace, ha così ben sintetizzato:
Complicare è facile,
semplificare è difficile.
Per complicare basta aggiungere,
tutto quello che si vuole:
colori, forme, azioni, decorazioni,
personaggi, ambienti pieni di cose.
Tutti sono capaci di complicare.
Pochi sono capaci di semplificare.
Per semplificare bisogna togliere,
e per togliere
bisogna sapere che cosa togliere,
come fa lo scultore quando
a colpi di scalpello toglie dal masso di pietra
tutto quel materiale che c’è in più.
Teoricamente ogni masso di pietra
può avere al suo interno una scultura bellissima,
come si fa a sapere dove ci si deve fermare nel togliere,
senza rovinare la scultura?
Togliere invece che aggiungere
vuol dire riconoscere l’essenza delle cose
e comunicarle nella loro essenzialità.
Questo processo
porta fuori dal tempo e dalle mode...
La semplificazione è il segno dell’intelligenza,
un antico detto cinese dice:
“Quello che non si può dire in poche parole
non si può dirlo neanche in molte”.
53
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 54
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 55
Ciò che accade nella storia degli uomini, accade nella storia di ogni singolo uo-
mo. Se avessimo la pazienza di osservare un bambino dal primo anno di vita alla
maturità, vedremmo ripercorrere nella sua esperienza rappresentativa l’esperienza
dell’umanità. Scarabocchi, graffiti, cerchi, linee, croci, semplici icone... fino ad arri-
vare a un “di-segno” definito e preciso. E avremo così modo di capire che ogni bam-
bino rappresenta la realtà in cui è immerso. Tutti i bimbi e le bimbe con cui ho lavo-
rato in questi anni sono arrivati a ciò. Purtroppo quello che spesso accade nella scuo-
la dell’obbligo è invece un processo inverso. Si passa da una capacità spontanea di
rappresentare il nostro intorno e le nostre fantastiche proiezioni a una costrizione
pittorica che uccide la voglia e il piacere di disegnare. E così la maggioranza degli
adulti giunge ad allontanarsi dal disegno. Molte volte, durante corsi di formazione o
aggiornamento, alla domanda rivolta agli insegnanti sulla loro abilità pittorica, ri-
spondono in maniera lapidaria: “Non sono capace di disegnare”. Quando poi, spon-
taneamente, qualcuno di noi – da adulto – disegna qualcosa su un foglio di carta,
poiché il livello di capacità rappresentativa è rimasta alla fase degli 11-13 anni, ten-
derà a riprodurre quei disegni che faceva da ragazzino. È così che anche in questo
campo – purtroppo spesso grazie alla scuola – nasce una netta distinzione fra il “vol-
go” e il “tecnico”, fra la “gente comune” e gli “artisti”.
55
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 56
56
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 57
Anche per noi adulti è utile fare un itinerario d’avvicinamento al disegno. Abo-
liamo la gomma e il segno a matita che delimita il disegno e prendendo in mano
qualsiasi strumento da disegno, lasciamo viaggiare liberamente la nostra mano. Non
preoccupiamoci della resa. Se ci può essere d’aiuto pensiamo all’esperienza di gran-
di artisti che hanno ripercorso l’itinerario artistico dei bambini: Picasso, Mirò, Cha-
gall, Kandinskj, Pollock, Baj… Passiamo per primi noi educatori e insegnanti attra-
verso quest’esperienza e scopriremo così quanto sia inutile dire a un bambino: “Do-
vevi disegnare così...; ma guarda che hai sbagliato il colore...”. Ci verrà poi sponta-
neo disegnare quanto ci è attorno: case, monti, fiumi, alberi, persone, tramonti, so-
gni. È il disegno dei luoghi di vita in cui siamo immersi.
57
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 58
Rallentare è bello
La dolcezza e la tristezza ci fanno vedere, poi, che abbiamo un gran bisogno di
liberarci dalla frenesia che contraddistingue la civiltà occidentale di questo fine
millennio. Il mito della velocità congiunto a quello dell’‘illimite’, ossia un rap-
porto doppiamente arrogante verso il tempo e verso lo spazio, hanno portato
l’uomo moderno a pensare che la vita ha un senso solo se progredisce lungo una
mitica ascesa verso chi sa quale apice. La scienza ha una lunga storia d’amore
con la velocità, la tecnologia l’ha resa concreta. Basta pensare ai computer, or-
mai parte integrante del nostro quotidiano, e che pensano più velocemente del-
l’uomo stesso! Ma quale vantaggio traiamo da questa conquista del tempo, da
questa dipendenza verso i chilometri orari? Non è diventato chiaro che questo
correre in permanenza porta con sé delle conseguenze disastrose? Quante auto-
strade, e adesso treni ad alta velocità, hanno per sempre distrutto paesaggi un
tempo pacifici? Per di più, non è proprio questo mito della velocità ad averci in-
dotto più di tutto a pensare che non ci sono limiti nella vita? Solo che oggi ap-
pare sempre più chiaro che a un certo punto i meccanismi della velocità e
dell’‘illimite’ continuano da soli, che fuggono al controllo dell’uomo. Ci ritro-
viamo ad essere diventati noi i gadget di questi miti. Allora cerchiamo di rallen-
tare. Nel nostro quotidiano. Nelle nostre abitudini, nei nostri modi di fare, di
guadagnare il pane, nei contatti con gli altri, nel pensiero stesso. Perché solo co-
sì potremo imparare di nuovo il senso del limite. Perché solo così recupereremo
la capacità di apprezzare ogni gesto, di controllare ogni passo, per assicurarsi di
non causare ulteriore danno alla vita che ci circonda. Questo è il senso profondo
del limite: essere responsabile d’ogni sua azione. Voltaire diceva: ‘La libertà de-
gli uni si ferma dove comincia quella degli altri’. Applicata anche alla natura,
questa massima ci permetterebbe di cominciare a intravedere un domani rispet-
toso della vita e degli altri. Rallentare vuole anche dire riscoprire un sacco di co-
se che si stavano sacrificando sull’altare della velocità. Come, per esempio, an-
dare a piedi. O sentire il profumo di un albero. Osservare due gatti che si fanno
la corte. Scambiare qualche battuta con la vecchia vicina di casa. E poi, captare
sul viso di una persona cara uno sguardo fuggente, una smorfia leggera, una la-
crima o un sorriso. Vuole dire anche fare passare gli altri per primi, aspettare gli
ultimi, compartecipare nel cammino comune. In tutti questi momenti, rallentare
ci aiuta a capire che il limite è l’essenza della vita. Che proprio all’interno di
questi limiti, c’è tutto. Anzi, è proprio il mito di una vita senza limiti, che ci con-
danna a non saperla vivere, occupati come siamo ad andare sempre più oltre.
58
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 59
59
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 60
luogo dove poter imparare a usare utensili e realizzare direttamente con le proprie
mani vari oggetti. A tal proposito merita segnalare quello che accade in India.
Il lavoro creativo
Frank Lloyd Wright, invece, racconta nella sua autobiografia, come guidava i
suoi studenti alla gioia.
Nell’utile lavoro creativo; un lavoro nel quale l’energia fisica deve essere a tal pun-
to legata alla mente che nessuno può dire dove l’una cominci e l’altra finisca. Per
un musicista sedentario, dalla formazione unilaterale, provo lo stesso senso di re-
pulsione che m’ispirerebbe, ad esempio, un uomo con braccia dall’enorme musco-
latura inserite in un corpo malnutrito e rachitico. Considererei queste braccia una
deformità spirituale, oltre che una mostruosità fisica. Le “specializzazioni” si svi-
luppano di solito, analogamente, a spese della salute e del benessere dell’uomo
completo. E mi offendono tanto più adesso in quanto ho guidato giovani all’azio-
ne per mezzo della scure, della sega, della pialla, del martello, della vanga e della
zappa. Facendo loro scalpellare la pietra, dipingere le pareti, facendoli cucinare e
lavare i piatti. Solo in un secondo tempo viene la pratica dell’uso della riga, della
squadra, del tavolo da disegno”.
“…per diventare bravi progettisti è importante fare attenzione alle sensazioni del
proprio corpo quando si attraversa uno spazio. Non ci possono essere sani criteri
di progettazione senza questa elementare esperienza fisica. Uno spazio genera sen-
60
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 61
sazioni piacevoli o spiacevoli e io, come architetto, devo essere in grado di capire
da che cosa dipendono: l’altezza del soffitto, la presenza di specchi, la particolare
angolazione delle pareti. Sono proprio queste sensazioni che mi guidano nel pro-
getto”. Se lo spazio ha un effetto sulla psiche e sul corpo, è logico domandarsi qua-
li sono i meccanismi fisiologici che regolano questo processo.
È quindi una grande soddisfazione – per adulti e bambini – poter ammirare i gio-
cattoli realizzati completamente da soli, con le proprie mani, anche se il tempo im-
piegato risulta lungo. Alcuni anni fa con Roberto Papetti abbiamo elaborato, a parti-
re dalla reciproca passione per tutto quanto è abilità manuale e tecnologia semplice,
un Manifesto sull’ importanza didattica delle tecnologie semplici a uso della scuola.
61
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 62
62
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 63
Il coltellino con i suoi mille usi. È lo strumento per una vita avventurosa e all’a-
perto. Bisogna saperlo usare bene, con abilità e attenzione.
Vorrei dare ancora un consiglio ai genitori che si apprestano a fare nelle occa-
sioni più disparate (compleanno, Natale…) un regalo ai propri figli. Le città sono
fornite di ottimi negozi in cui trovare buoni giocattoli: le ferramenta. Intendo dire
che sempre più ci scontriamo con la situazione di bambini e bambine che usano po-
chissimo le loro mani. Bambini e bambine che spesso ritroviamo con disturbi psico-
motori dovuti al ridotto uso del loro corpo per giocare. Un buon paio di pinze, un
buon martello, chiodi, una raspa, una sega, legnetti di recupero, sono strumenti che,
se usati correttamente, sono ottimi per educare alle abilità manuali e alla creatività.
Non c’è bambino che non apprezzi costruire da sé i propri giocattoli. E per chi di-
spone di qualche euro in più, un buon tavolo la lavoro, in legno massiccio, con una
buona morsa, non farebbe assolutamente male.
(Walter Benjamin, Strada a senso unico. Scritti 1926-1927, Einaudi, Torino 1983)
63
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 64
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 65
La freccia e il traguardo
Del grande saggio cinese Tranxu si tramanda questa frase: “Quando un arciere
scocca una freccia senza traguardi agonistici, mette in mostra tutta la sua abilità. Se
c’è in palio una medaglia di bronzo, comincia a diventare nervoso. Se si tratta di una
coppa d’oro, diventa cieco, vede due bersagli e si deconcentra. La sua abilità è sem-
pre la stessa, ma il premio lo rende più preoccupato di vincere che di tirare con l’ar-
co. La tensione della vittoria lo indebolisce”.
Non so spiegare il fenomeno dal punto di vista pedagogico. L’ho però provato
sperimentalmente nella mia esperienza, prima come maestro e oggi come dirigente
scolastico.
Sono stato insegnante di scuola d’infanzia per 16 anni. È una scuola non del-
l’obbligo, in cui i bambini e le bambine hanno la possibilità di “giocare a imparare”.
Per i bambini e le bambine “giocare è la cosa più importante”. Tutte le esperienze
che si fanno alla scuola sono fatte con grande passione. Disegnare, manipolare, co-
lorare, incollare, raccontare, ascoltare: sono tutte azioni fatte senza alcuno scopo
agonistico. Non c’è il miraggio né della medaglia di bronzo né della coppa d’oro. Lo
si fa per il gusto di farla, perché è bello, perché piace. Una volta fatta l’esperienza
forse si potrà rifarla usando un’altra tecnica, aggiungendo una conoscenza in più.
Esempio emblematico per eccellenza è il disegno. I bambini e le bambine della
scuola d’infanzia disegnano con grande libertà, con grande passione, con gusto. Mi-
schiano i colori, fantasticano nei segni, si lasciano trasportare dalla mano e dal pen-
nello, dal gessetto o dal pastello.
Poi c’è il salto. Alla scuola primaria iniziano i primi giudizi, le prime valutazio-
ni. Gli insegnanti iniziano a dare un voto a tutto ciò che prima era fatto per gioco,
con passione. In tutti i quaderni dei bambini iniziano ad apparire parole come “bra-
vo”, “bravissimo”. Oppure compaiono i primi voti che andranno poi a formare il
giudizio della scheda personale di valutazione dell’alunno, la cosiddetta pagella di
fine anno.
65
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 66
Da più di dieci anni il Ministero ha modificato quella che una volta era una valu-
tazione con numeri da 1 a 10 a cinque giudizi: ottimo, distinto, buono, sufficiente e
non sufficiente. Così al bambino o alla bambina vengono attribuiti dei giudizi all’in-
terno di una scala di valutazione che per tanti anni è stata formata da dieci numeri.
Un aneddoto: la valutazione non più con una scala da 1 a 10 ha messo profonda-
mente in crisi gli insegnanti che fra sufficiente, equivalente per loro a 6, e buono,
equivalente a 8, non riuscivano più a trovare il 7. Molti di loro hanno insistito col
sottoscritto, in qualità di dirigente scolastico, per introdurre una via di mezzo come,
ad esempio, “discreto”.
Qualche maestra ha ridotto e addolcito la pillola nei primi anni della primaria
con delle faccine di bambino: un bambino che sorride, un bambino normale e un
bambino che piange. I tre simboli significano bravissimo, bravo, non bravo (insuffi-
ciente).
Le conseguenze derivate da tutto ciò possono essere riassunte in tre atteggia-
menti:
1. I bambini e le bambine iniziano a fare qualsiasi attività non più per piacere,
ma per dovere, con l’aspirazione (che per molti si trasforma in ansia) del “buon”
giudizio; con una tensione verso il risultato che annulla il piacere del compito e del
processo;
2. Gli insegnanti sono travolti da vorticosi e pericolosi periodi di stress per do-
ver fare “prove d’ingresso” e “prove di verifica” che attestino e certifichino il grado
di apprendimento e di prestazione degli alunni, spinti dall’ansia di realizzare una va-
lutazione scientificamente perfetta in un tempo limitato e limitante. Tipico di tutto
ciò è l’espressione che spesso mi capita di dover ascoltare, come: “Quel bambino
non ha raggiunto gli obiettivi di terza”;
3. Fra molti genitori inizia la rincorsa al “buon voto” innescando spesso il feno-
meno della competizione. Quello che fra bambini e bambine potrebbe essere il nor-
male aiutarsi fra amici diviene così una corsa individuale per arrivare prima degli al-
tri compagni.
66
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:38 Pagina 67
67
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 68
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 69
La questione della bocciatura è ritenuta da molte persone uno dei cardini di una
“scuola di qualità”, della scuola quando era seria. Questa personale riflessione av-
viene in un momento di grande rilancio dell’utilizzo di questi strumenti. Oggigior-
no i mezzi d’informazione di massa riescono con una notizia da telegiornale a
“squalificare” l’intera scuola, ed è sufficiente che un insegnante faccia una scioc-
chezza o tenga un atteggiamento non consono con l’etica professionale, che tutta la
classe docente ci rimetta in immagine e perda credibilità. È così che in molte occa-
sioni (dagli scrutini agli esami di stato a conclusione del percorso triennale di scuo-
la secondaria di I grado) ho sentito e sento tuttora recitare questa frase da alcuni do-
centi: “Ma a noi insegnanti, se adesso non possiamo nemmeno bocciare, quali armi
restano?”.
Quello degli insegnanti dovrebbe essere un corpo “smilitarizzato”. Mi è capita-
to di dover troncare una discussione iniziata da un docente in sede di scrutinio, con
questi toni e questi termini. Ho spiegato a lui e ai colleghi che “a scuola non siamo
né in guerra né in battaglia e che proprio per questo non servono armi”.
69
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 70
Ci sono ragazzi a cui è sufficiente un giorno per fare salti e cambiamenti di non po-
co conto. C’è invece chi ha bisogno di linearità e vive la progressione personale co-
me un lento e quotidiano cambiamento.
A poco a poco abbiamo scoperto che questa è una scuola particolare: non c’è né
voti, né pagelle, né rischio di bocciare o di ripetere. Con le molte ore e i molti gior-
ni di scuola che facciamo, gli esami ci restano piuttosto facili, per cui possiamo
permetterci di passare quasi tutto l’anno senza pensarci. Però non li trascuriamo
del tutto perché vogliamo contentare i nostri genitori con quel pezzo di carta che
stimano tanto, altrimenti non ci manderebbero più a scuola.
Comunque ci avanza una tale abbondanza di ore che possiamo utilizzarle per ap-
profondire le materie del programma o per studiarne di nuove più appassionanti.
Questa scuola dunque, senza paure, più profonda e più ricca, dopo pochi giorni ha
appassionato ognuno di noi venirci. Non solo: dopo pochi mesi ognuno di noi si è
affezionato anche al sapere in sé. Ma ci restava da fare ancora una scoperta: anche
amare il sapere può essere egoismo. Il priore ci propone un ideale più alto: cerca-
re il sapere solo per usarlo al servizio del prossimo, per esempio dedicarci da gran-
di all’insegnamento, alla politica, al sindacato, all’apostolato o simili.
Tu bocci? Io sboccio!
70
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 71
1. Banco individuale:
– il materiale base deve essere il legno massello;
– il trattamento di protezione deve essere fatto con uso di colori naturali-biolo-
gici a base vegetale;
– il pianale deve essere inclinato per rispettare la seduta ergonomica;
71
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 72
Costo e durata. Con simili caratteristiche banchi e sedie hanno un costo più alto
di quelli che generalmente si trovano in commercio. Questo prezzo maggiore è co-
munque ripagato da una bassa obsolescenza. Un prodotto del genere deve quindi du-
rare a lungo.
Bellezza. Il legno è un materiale naturale e generalmente caldo. Se poi viene la-
vorato in maniera naturale e vengono evidenziate le venature ha sicuramente una
sua bellezza insita. Il bello in quest’ottica è un valore educativo da proporre ai ra-
gazzi, anche attraverso i luoghi e le attrezzature della scuola.
Compatibilità ecologica. Un banco tradizionale, di quelli comunemente presen-
ti nelle nostre scuole, ha un’altissima percentuale di componenti non naturali. La la-
mina di plastica di cui spesso sono ricoperti, i mastici che sono serviti per incollare,
le vernici a base sintetica con cui sono trattati, sono elementi che risultano tossici sia
nella produzione, sia durante l’uso, sia nell’eventuale smaltimento. Un banco e una
sedia in legno massello possono sempre essere riparati con cura. Inoltre, se un gior-
no si volessero distruggere non creeranno nessun impatto inquinante.
Realizzare un prodotto con una ditta locale. Abbiamo svolto un’indagine fra le
ditte produttrici di sedie e banchi. Per le sedie abbiamo trovato la ditta Stokke che
produce diversi modelli di sedie ergonomiche e fra queste il modello Tripp Trapp,
adatto per le aule scolastiche, e già in uso in diverse scuole italiane.
Per quanto riguarda i banchi abbiamo invece preso atto della non presenza, sul
mercato nazionale, di banchi con le caratteristiche da noi richieste. Ci siamo quindi
72
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 73
indirizzati alla ricerca di una ditta locale che avesse caratteristiche tali da offrire si-
curezza e garanzia di consegna nei tempi dovuti. Abbiamo trovato la disponibilità
della signora Kitty Montemaggi, contitolare della ditta Mobili Montemaggi di Savi-
gnano sul Rubicone (www.montemaggi.com) e madre di un allievo della scuola se-
condaria di I grado. Abbiamo quindi provveduto in stretta collaborazione a progetta-
re tecnicamente il banco, affidando l’incarico a una designer della ditta stessa. Ab-
biamo quindi contattato alcune ditte produttrici di vernici biologiche e fra queste è
stata prescelta la ditta Solas, presente con qualità da anni sul mercato. Realizzato un
prototipo ne abbiamo verificato le compatibilità. È stato così aggiunto un elemento
a scomparsa per appendere nei due lati del banco l’eventuale zainetto. Fatti questi ri-
tocchi e le dovute modifiche relative soprattutto al sistema della ribaltina (incastri,
cerniere, sicurezza…) abbiamo dato il via alla produzione di cinquanta banchi: ven-
ticinque per Savignano e venticinque per Gatteo.
La scuola non è fatta solo di banchi e sedie per gli studenti. Ci sono lavagne, ar-
madietti con spazi singoli per poter riporre libri, sussidi didattici e altre piccole do-
tazioni personali, scaffali di librerie, banchi da lavoro per laboratori. Una scuola len-
ta e nonviolenta ha bisogno d’essere riprogettata tutta, nei minimi dettagli.1
1 Gianfranco Zavalloni, La scuola ecologica, Macro Edizioni, Cesena 1996; id., Educa-
re all’ambiente, Macro Edizioni, Cesena 1998.
73
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 74
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 75
Il tema della ricreazione e dei cortili delle scuole è un aspetto fondamentale nel-
la giornata scolastica. È indubbio che se lasciassimo fare a bambini e bambine nes-
suno di loro oserebbe progettare la permanenza a scuola sullo star seduto quattro ore
(e a volte più) dietro a un banco.
La critica che spesso gli insegnanti della scuola primaria fanno alla scuola
d’infanzia è che arrivano a scuola bambini e bambine che non sanno star seduti.
Ma il bimbo e la bimba “sani” hanno bisogno di movimento, hanno un corpo in
crescita che necessita di azione, di moto. Quando giungono in prima devono accet-
tare per quattro ore una posizione innaturale sottoposti a uno sforzo non indiffe-
rente. Noi stessi, adulti (insegnanti o meno) non riusciamo a seguire una qualsiasi
lezione (vedi ad esempio i corsi d’aggiornamento) rimanendo seduti per più di due
ore. Abbiamo, giustamente, bisogno di una pausa. Ed è molto comune che una pau-
sa di quindici minuti si trasformi, di fatto, in un intervallo di mezz’ora. L’interval-
lo, come la ricreazione è un diritto, uno di quei diritti che giuridicamente potrem-
mo definire naturali. E per essere tale, un diritto ha bisogno anche di essere defini-
to in alcune sue caratteristiche che sintetizzerei in quattro parole: movimento, li-
bertà, tempo, spazio.
Il movimento
75
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 76
La libertà
Il tempo
76
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 77
Lo spazio
Infine c’è la questione del cortile. Ci sono scuole con cortili stupendi sottoutiliz-
zati, con i bambini costretti a trascorrere l’intervallo nei corridoi. E ci sono scuole
con cortili, che a fatica potremmo definire tali, che invece utilizzano ogni spazio e
ogni angolo. Ho visto, in questi cortili, bambini e bambine costruirsi angoli di gioco
affascinanti con legni, cartoni e stoffe d’ogni genere, e attendere nuovamente l’in-
tervallo per tornare a giocare. Ci sono scuole dove, esperti architetti, hanno ignorato
qualunque esigenza di libertà dei bambini e hanno progettato edifici con ridicoli
spazi esterni dove i ragazzi sono costretti a restare nelle stesse aule. Ci sono scuole,
soprattutto al Sud o nei quartieri degradati delle grandi città, dove l’incuria e il mal-
costume dei cittadini residenti rende pericolosi gli stessi cortili. Ci sono scuole dove
la paura degli insegnanti, il loro timore di assumersi troppe responsabilità di fronte
alle leggi della sicurezza, priva gli alunni dell’aria aperta. L’intervallo si dovrebbe
vivere il più spesso possibile in cortile, anche d’inverno. È un rigenerarsi dei polmo-
ni ed è soprattutto il cambiar aria. Anche i carcerati hanno diritto alla loro ora d’aria!
Smog permettendo!
77
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 78
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 79
Nel 1994 in Italia è stato emanato il Decreto Legge 626 per la prevenzione, si-
curezza e salute nei luoghi di lavoro. La filosofia di fondo della Legge 626 è quella
di suggerire i comportamenti da adottare per la protezione e la prevenzione del ri-
schio d’incidenti. Purtroppo l’idea che è passata per la maggiore è quella che con la
626 vengono aboliti “per legge” i rischi e gli incidenti. Da quel momento nella scuo-
la è cambiato il clima. Si è tutti terrorizzati dall’idea che qualcuno ti possa denun-
ciare e nel mio ruolo di dirigente scolastico mi sono spesso sentito rivolgere la do-
manda: “Ma, se succede questo… di chi è la responsabilità?”. In altri termini, si ri-
schia una situazione generalizzata di blocco, non è più possibile fare nulla. Ben ri-
spose alcuni anni fa, a noi dirigenti scolastici della Regione Marche, il presidente
della Corte dei Conti, affermando in maniera chiara che, al di là delle normative
scritte e dei casi specifici e dettagliati, esiste comunque una legge basata sul buon
senso popolare: la legge del “volemmose bene” (vogliamoci bene). Questo per riba-
dire che non è possibile prevedere tutto né legiferare su tutto. A tal proposito, alcuni
anni fa, quando ero dirigente scolastico delle scuole medie del Rubicone (Gatteo -
Savignano - San Mauro Pascoli) ho inviato a tutte le 860 famiglie dei ragazzi una
lettera su questi argomenti. Era un invito a riflettere non solo per i genitori, ma an-
che per tutti coloro che lavorano nella scuola. Le parole si rivolgevano a tutti quelli
che erano nati prima del 1970, cioè alla maggior parte di noi dirigenti scolastici, in-
segnanti e genitori che avevano figli nelle scuole primarie o secondarie.
79
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 80
Ci lanciavamo dalle discese e dimenticavamo di non avere i freni fino a quando non
ci sfracellavamo contro un albero o un marciapiede.
E dopo numerosi incidenti, imparavamo a risolvere il problema... noi da soli!
Uscivamo di casa al mattino e giocavamo tutto il giorno; i nostri genitori non sape-
vano esattamente dove fossimo, nonostante ciò sapevano che non eravamo in peri-
colo.
Non esistevano i cellulari. Incredibile!
Ci procuravamo delle abrasioni, ci rompevamo le ossa o i denti... e non c’erano mai
denunce, erano soltanto incidenti: nessuno ne aveva la colpa.
Ti ricordi degli incidenti?
Avevamo delle liti, a volte dei lividi.
E anche se ci facevano male e a volte piangevamo, passavano presto; la maggior
parte delle volte senza che i nostri genitori lo sapessero mai.
Mangiavamo dei dolci, del pane con moltissimo burro e bevande piene di zucche-
ro... ma nessuno di noi era obeso.
Ci dividevamo una bibita con altri quattro amici, dalla stessa bottiglia, e nessuno
mai morì a causa dei germi.
Non avevamo la Playstation, né il Nintendo, né dei videogiochi.
Né la TV satellitare, né le videocassette, né il PC, né Internet.
Avevamo semplicemente degli amici.
Uscivamo da casa e li trovavamo.
Andavamo, in bici o a piedi, a casa loro, suonavamo al campanello o entravamo e
parlavamo con loro.
Figurati: senza chiedere il permesso! Da soli!
Nel mondo freddo e crudele! Senza controllo!
Come siamo sopravissuti?!
C’inventavamo dei giochi con dei bastoni e dei sassi.
Giocavamo con dei vermi e altri animaletti e, malgrado le avvertenze dei genitori,
nessuno tolse un occhio a un altro con un ramo e i nostri stomaci non si riempirono
di vermi.
Alcuni studenti non erano intelligenti come gli altri e dovevano rifare la seconda ele-
mentare. Che orrore!
Non si cambiavano i voti, per nessun motivo.
I peggiori problemi a scuola erano i ritardi o se qualcuno masticava una cicca in
classe.
Le nostre iniziative erano nostre.
E le conseguenze, pure.
Nessuno si nascondeva dietro a un altro.
L’idea che i nostri genitori ci avrebbero difeso se trasgredivamo a una legge non ci
sfiorava; loro erano sempre dalla parte della legge.
Se ti comportavi male i tuoi genitori ti mettevano in castigo e nessuno li metteva in
galera per questo.
80
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 81
1 Ho avuto questa lettera da un amico, che a sua volta l’ha ricevuta tramite una catena di
email. Non è stato quindi possibile risalire all’autore fino ad ora.
81
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 82
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 83
Della mia esperienza da studente ho diversi ricordi a proposito dei compiti a ca-
sa. Fino alla 2° media ricordo di non aver avuto mai bisogno di studiare né di fare i
compiti. Ero molto curioso e stavo attento alla lezione della maestra o dei professo-
ri. Questo per me era sufficiente. I miei pomeriggi erano momenti felici, vissuti gio-
cando con gli amici vicini di casa o impegnato all’oratorio con gli scout.
Ho invece un brutto ricordo dei compiti assegnati durante le vacanze estive. Ho
sempre vissuto quell’esperienza un po’ come la sigaretta del condannato a morte.
Per me era una pena dover pensare di divertirmi con gli amici, sapendo che poi, ver-
so la fine dell’estate, avrei dovuto passare tante ore a fare compiti che nessuno
avrebbe mai corretto. Chi di noi andrebbe a teatro sapendo che all’uscita ci viene as-
segnato come compito una relazione sullo spettacolo appena visto? Una relazione
che poi, può darsi, nessuno leggerà mai. Proviamo a chiederci a vicenda con quale
interesse si stende una relazione di fine anno sul registro di classe, sapendo che mai
nessuno la leggerà? Qui tocchiamo una prima questione. I compiti non corretti a che
cosa servono? Servono a scoraggiare chi li fa e ad avere così una bassa stima di sé e
dell’insegnante. E d’altronde come può un insegnante, a inizio d’anno scolastico,
correggere i compiti estivi di venticinque ragazzi? Questo per l’estate, ma durante
83
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 84
Credo che il problema sia non tanto quantitativo ma qualitativo. E parto dal fat-
to che oggi i ragazzi sono molto più stimolati di un tempo, hanno molte più occasio-
ni d’apprendimento e forse minori opportunità di “stare insieme agli amici in ma-
niera libera”. Quanto attiene a compiti predefiniti, come ad esempio esercizi e pro-
blemi da risolvere, temi da svolgere e altro, dovrebbe essere svolto completamente
nelle ore di lezione a scuola, soprattutto per le scuole a tempo pieno o che hanno va-
ri rientri. Per le altre situazioni si dovrebbe seguire comunque il buon senso, dando
ai ragazzi indicazioni circa attività culturali che verranno poi riprese in classe. Cre-
do siano interessanti alcuni suggerimenti, dedotti direttamente dalla pratica scolasti-
ca e che vanno nel senso del piacere di fare e dell’attenzione a ciò che ci è intorno.
Ad esempio attività del tipo:
– disegni di tramonti, nuvole, alberi, fiori;
– inchieste, anche in gruppo, con l’uso di mangianastri;
– fotografie da riportare poi in classe;
– giochi di abilità;
– ricerca di materiali;
– raccolta di dati;
– costruzione di modellini, strumenti musicali semplici;
– visione di filmati, telegiornali;
– ascolto di brani musicali;
– lettura di romanzi senza scadenze precise né compiti ulteriori.
Si tratta, in sostanza, di dare veramente spazio alla creatività, non insistendo sul-
la quantità di esercizi da svolgere, ma sul piacere di scoprire il mondo che ci è attor-
84
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 85
no. Ci accorgeremo presto che se i ragazzi vivono con piacere queste esperienze,
non faranno affatto questioni di quantità, ma di “piacere di fare”. A proposito di que-
sto, sarebbe interessante far apprezzare ai ragazzi il gusto che ha ogni buon naturali-
sta di appuntarsi idee, sensazioni, fatti accaduti, animali visti, nel proprio “quaderno
di campagna”. Potrebbe diventare anche una sorta di diario come suggeriva alcuni
anni fa il maestro Mario Lodi a proposito dei compiti per l’estate.
Molto spesso ci capita di paragonare il lavoro di noi adulti allo studio dei ragazzi.
È la maniera che solitamente usiamo per chiedere loro un impegno costante e ri-
petuto. Ora il lavoro, soprattutto là dove è vissuto come un dovere e meno come
un piacere, viene reso più attraente se è alternato a momenti di riposo e di tempo
libero.
Andiamo al dunque. Credo che sarei un dirigente scolastico odiato dai docenti se,
pur sapendo che la normativa lo consente, chiedessi a Voi d’impegnare le giorna-
te di vacanze natalizie e pasquali per incontri, commissioni, programmazioni, re-
cuperi ecc...
Credo pertanto che tale “diritto al riposo” sia legittimo anche per gli studenti... vi-
sta l’equivalenza lavoro (adulti) = studio (bambini)
Pertanto è fatto divieto (è un imperativo esortativo) a tutti gli insegnanti di conse-
gnare compiti da portare al rientro dalle vacanze o comunque nei giorni o setti-
mana successiva.
Si ricomincerà, cioè a dare di nuovo compiti il giorno in cui si rientrerà dalle va-
canze di Pasqua.
Se qualche insegnante intende dare compito (o li ha già dati) è pregato di contat-
tarmi quanto prima. Ci sono, infatti, alcuni lavori che possiamo fare benissimo in-
sieme nel periodo delle vacanze pasquali.
Mi sembra di essere stato chiaro.
Colgo l’occasione per inviarVi un libretto che ho realizzato in questi mesi... dove
troverete motivazioni chiare a questa mia lettera.
Cordialmente il Vostro Preside
85
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 86
86
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 87
Eccoti dunque il mio pensiero: la scuola non può essere che aconfessionale e non
può essere fatta che da un cattolico e non può essere fatta che per amore (cioè non
dallo stato). In altre parole la scuola come io la vorrei non esisterà mai altro che
in qualche minuscola parrocchietta di montagna oppure nel piccolo di una famiglia
dove il babbo e la mamma fanno scuola ai loro figli.
Questo brano è tratto da una delle lettere di don Lorenzo Milani, della scuola di
Barbiana. Sembra contraddittoria la definizione di scuola aconfessionale con l’affer-
mazione poco più avanti in cui si parla di maestro cattolico. Quel “cattolico” è da in-
tendersi come “chiunque abbia una fede”. Credo comunque che l’aspetto significati-
vo di questa frase sia nel fatto che don Milani ritiene fondamentale contestualizzare
la scuola nel territorio, nel proprio ambiente familiare. E lo dice definendo scuola
ideale “la scuola di una minuscola parrocchietta di montagna”.
87
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 88
È da più di venti anni che il maestro Fabio e la maestra Lorella fanno scuola a
Rontagnano, in una piccola scuola della alta valle del fiume Uso, uno spicchio di
Romagna collinare, ai confini con le Marche e la Toscana.
C’è una pluriclasse – esordisce il maestro Fabio – cioè sono insieme le classi pri-
ma, seconda e terza. Poi ci sono la quarta e la quinta. Ci sono 29 bambini e 3 in-
segnanti. Questa scuola, come tutte le scuole di montagna, è un po’ come quegli
animali in via di estinzione: cariche di storie, di vita, di tradizioni. C’è un grande
valore nelle pluriclassi. Quando saranno chiuse ci si renderà conto del capitale per-
duto. Di pluriclassi a 500 metri sul livello del mare, in Italia, ce ne sono poche e
questa è una di quelle.
Sono delle scuole leggere, in grado di entrare e compenetrarsi nel territorio, attra-
verso gli usi e i costumi. In questi anni abbiamo anche lavorato, ad esempio, per va-
lorizzare e conoscere le tradizioni culinarie della zona: gli stridoli, un erba selvatica
che cresce in questi ambienti, é savour, il formaggio di fossa, é bustréng, un dolce
tipico locale...
Qui la scuola è un po’ come un’ultima diga prima dell’alluvione causata dallo
spopolamento del territorio. Per questo le iniziative che vengono fatte in certi perio-
di dell’anno coinvolgono tutta la popolazione.
La festa di Natale è sempre organizzata insieme al Gruppo culturale rontagnane-
se, in un piccolo teatrino che un tempo fu Casa del fascio e poi Casa del popolo. È
una vera e propria festa di paese. So che in questa scuola si pratica molto l’arte del-
lo scrivere poesie. Chiedo agli insegnanti di parlarmene.
La poesia qui è già nel territorio stesso, nell’ambiente circostante. Questo è uno
degli ambienti più poetici della Romagna. Qui si vede il colle di Perticara, di San
Leo, di San Marino, i monti della Carpegna, i calanchi, Montetiffi con la sua Ab-
bazia dell’anno mille. I calanchi sono gialli d’estate, marron grigio in autunno,
bianchi in inverno, verdi in primavera. È una poesia in lingua romagnola, la lin-
88
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 89
gua che molti bambini per fortuna parlano ancora a casa. Viene offerto ai bambi-
ni uno stimolo e loro si esprimono su temi a loro cari: le ginestre, gli uccelli, i ca-
lanchi, la neve… La scuola qui è vissuta anche come riscatto sociale. La scuola di
Barbiana e don Milani sono solo apparentemente lontani nel tempo e nello spazio,
ma ancora tremendamente attuali. Questi bambini portano dentro il lavoro diffici-
le dei loro genitori e dei loro nonni. C’era chi andava a zappare a mano, inizian-
do alle prime luci dell’alba per terminare a notte già avanzata. Questa, poi, era una
zona di miniere di zolfo… e il lavoro dei minatori, insieme a quello dei campi, è
ed è stato sicuramente uno dei più duri. Oggi la scuola è istruzione ma anche espe-
rienza educativa in senso ampio. La scuola è anche luogo d’incontro delle fami-
glie, di gioco pomeridiano dei bambini.
A Rontagnano abbiamo sempre dato spazio al territorio, il nostro mondo, casa no-
stra. In questo studio ininterrotto non è mai venuta a meno l’occasione di nuove
scoperte. Davvero il territorio è l’albero della conoscenza! Scoprire vuol dire im-
parare, crescere, amare e rispettare. Nel corso dell’anno scolastico abbiamo cam-
minato molto e piano piano abbiamo trovato cinque sentieri. In ogni sentiero –
spicchio del territorio – abbiamo individuato ricchezze caratteristiche: flora o fau-
na selvatica. Ci sono poi i nostri scritti, i disegni e le foto dei bambini… pensieri
teneri che volano come le nuvole. I nostri territori sono ricchi di storie che ri-
schiano si andare perdute, sepolte per sempre.
89
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 90
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 91
Sono più che mai convinto (e lo continuerò a ripetere!) che non esiste riforma
scolastica che non possa – di per sé – essere già attuata in una qualsiasi scuola della
penisola. Parafrasando la frase che un tempo si usava spesso e che recitava: “È que-
stione di volontà politica”, oggi direi: “È questione di volontà didattica!”. Valga per
tutti un esempio, quello dei quaderni. Nella scuola primaria italiana l’avvento dei
cosiddetti moduli (diversi insegnanti in due o più classi) ha trascinato con sé due fe-
nomeni fra loro collegati.
Il primo è stato quello della suddivisione in aree, o meglio ambiti, dei diversi in-
segnanti, con relativa settorializzazione e specializzazione. Il secondo è stato quello
della proliferazione del numero dei quaderni.
Siamo cioè passati dai classici due quaderni (uno a quadretti e l’altro a righe) a
una corrispondenza diretta fra il numero di discipline (10) e il numero dei quaderni.
Anzi, a ben vedere, spesso il numero aumenta. Sono riuscito a contarne fino a 19.
Ecco l’elenco esatto:
1. Argomenti
2. Grammatica
3. Prosa
4. Poesia
5. Testi
6. Regole
7. Educazione motoria
8. Scienze
9. Musica
10. Inglese
11. Tedesco
12. Educazione all’immagine
13. Geometria
14. Aritmetica
15. Studi sociali
16. Geografia
17. Religione
91
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 92
Da alcuni anni sostengo che si possa benissimo ritornare ai due famosi quaderni
che – in fondo – se ben organizzati, sono dei buoni “ipertesti”. A tal proposito alcu-
ni genitori e insegnanti, che hanno formulato un interessante progetto per riaprire
una piccola scuola di collina, così hanno riflettuto sui quaderni:
92
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 93
1Per maggiori informazioni sul progetto, contattare l’insegnante Elena Foschi: elena.fo-
schi@scuolecarducci.it
93
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 94
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 95
Nella scuola della cosiddetta autonomia m’immagino che tutti facciano la loro
parte e che insieme si possa costruire una serie di elementi sufficiente a determinare
la vera qualità della scuola, senza necessità di attendere una qualche istituzione che
ci dica come fare per “essere bravi!”.
Ecco un primo elenco di elementi a favore di una vera qualità della scuola.
95
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 96
Presenza di un teatro e di teatrini dei burattini. Il teatro nelle sue varie espres-
sioni è di per sé didattico, terapeutico e socializzante, e coinvolge diversi aspetti del-
le competenze umane.
Autorganizzazione, da parte dei ragazzi, delle gite scolastiche e delle uscite di-
dattiche. L’organizzazione di una gita è un’occasione unica per verificare le compe-
tenze e le padronanze degli allievi. Pensiamo alla scelta degli itinerari, agli orari, ai
contatti, alla stipula di contratti.
96
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 97
Non utilizzo delle fotocopie e riduzione al minimo dei quaderni. Sono due ele-
menti fondamentali per padroneggiare la complessità del sapere, oggi spezzettato
nelle diverse discipline e nelle innumerevoli unità didattiche. Non usare fotocopie
semplifica e utilizzare pochi quaderni aiuta a unificare il sapere (si veda il capitolo
Disegno creativo o fotocopia ripetitiva, pag. 55).
Uso delle metodologie cooperative nel lavoro didattico. Esempi concreti sono la
scrittura collettiva, lo studio di gruppo o la stessa costituzione di vere e proprie coo-
perative o associazioni cooperative all’interno delle classi. A tal riguardo è estrema-
mente interessante l’esperienza che si sta facendo in provincia di Trento con la Fe-
derazione delle cooperative. L’obiettivo di saper lavorare insieme è fondamentale
per una società tutta tesa all’individualismo e che invece ha bisogno sempre più di
“fare insieme”.
Flessibilità oraria e attenzione ai tempi. Ritmi e tempi più lenti e in sintonia con
ritmi personali di ciascun ragazzo sono alla base di un buon apprendimento. Le va-
canze servono per un giusto ozio e per riposare la mente. A che serve fare compiti
tutti i giorni in un periodo di riposo? Non aiuta certo i ragazzi a concentrarsi.
Uso intelligente di energie e risorse naturali. Non possiamo non porre attenzio-
ne al risparmio di risorse, allo spreco e all’uso di energie rinnovabili, all’interno di
locali pensati e costruiti con i metodi della bioarchitettura. Attenzione all’armonia
degli spazi (ad esempio le conoscenze dell’arte orientale del feng shui ci aiutano in
questo).1
97
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 98
98
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 99
99
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 100
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 101
Il lavorare insieme
È il grande tarlo e il vero disagio della scuola d’oggi. E non penso d’esagerare
nell’affermarlo. Sto parlando d’incapacità degli adulti di lavorare insieme, di seder-
si attorno a un tavolo e di dichiarare (come nei giochi delle carte) le proprie disponi-
bilità, i propri interessi, le proprie emozioni. Elementi che restano e che comunque
ci sono, ma che sono vissuti in maniera individualistica. È questa una situazione che
si percepisce molto bene nella scuola secondaria, che in parte è realtà alle scuole pri-
marie e che rischia di contagiare anche la scuola dell’infanzia. Nella scuola d’infan-
zia questo fatto lo si può percepire dalla scelta di lavorare o meno a “sezioni aperte”.
Ma non solo. Se c’è un fatto che contraddistingue la scuola dall’apprendimento in-
dividualistico è proprio questo: fare un cammino insieme, attenti a chi ci sta a fian-
co, e quindi mano nella mano.
Oggi, come dirigente scolastico, ho constatato quanto sia ricca la nostra scuola
di bravi e competenti insegnanti. Docenti motivati, che si aggiornano, che sperimen-
tano, che inventano, ma che fanno spesso tutto questo in una totale solitudine indivi-
dualistica. È un esempio indiretto di “non scuola” che viene proposto agli studenti.
A loro magari si dice: dovete lavorare insieme e poi (noi adulti) lavoriamo da soli.
Dobbiamo contrastare questa tendenza, frutto anche di una società che sempre più
mira all’individualismo e al successo personalistico.
Si tratta di adottare perciò strategie d’impiego diverso dei tempi di lavoro.
L’incontro di “programmazione-progettazione-ideazione” settimanale di classe
non può non diventare un’esigenza di tutti gli insegnanti. Non è possibile, ad esem-
101
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 102
pio, che certi professori s’incontrino insieme sei o sette volte all’anno per discutere
degli allievi e delle attività di una classe con la quale si lavora insieme per almeno
un anno. E questo accade tranquillamente nelle scuole secondarie. Un esempio di
progettazione condivisa, l’ho iniziata anni fa nel collegio docenti in cui lavoravo co-
me maestro di scuola d’infanzia (a me non dispiace chiamarla ancora scuola mater-
na). Ci si ritrova all’inizio d’anno e ognuno di noi dichiara le attività, gli interessi e
le passioni personali. Quattro o cinque per persona. Dal gruppo scaturiscono venti o
trenta idee, che vengono poi declinate nei vari “campi di esperienza” e sintetizzate
in otto o nove argomenti. Poi si mettono insieme una dopo l’altra tutte le proposte. A
quel punto ciascuno può esprimere il proprio eventuale veto. Ma si lascia poi la pos-
sibilità al proponente di replicare e motivare la proposta. Se la risposta è convincen-
te, l’argomento rientra in gioco e diviene parte della progettazione delle scuole d’in-
fanzia di circolo. Una progettazione condivisa da tutto il gruppo. Un po’ come il me-
todo della “scrittura collettiva” usato da don Milani e dai suoi allievi nella scuola di
Barbiana.
Il contesto è dove avviene il tutto. Quanto siamo immersi nel contesto in cui la-
voriamo? Quante sono profonde le nostre radici in quel luogo, in quella situazione?
Non necessariamente dobbiamo essere nati e vissuti nel contesto scolastico in cui la-
voriamo. Ma, per usare termini utilizzati in settori più o meno vicini alla scuola, dob-
biamo “inculturarci” o meglio “incardinarci”. Dobbiamo cioè capire la cultura di un
luogo e legarci a quel luogo così come la porta che è tenuta e ancorata dai cardini.
102
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 103
Non è possibile agire un’educazione asettica, identica in ogni scuola. Non siamo
né fotocopie né cloni. Qui entra in gioco la biodiversità, che è la caratteristica essen-
ziale del mondo. Ogni luogo è diverso da un altro. Non possiamo omologare le no-
stre proposte come fossero bibite gassate o panini inventati da ditte che poi li propi-
nano uguali in tutto il mondo.
Non si può fare scuola senza avere delle idee, senza pensare di rendere più bella
e felice la vita degli uomini e delle donne. In un libro letto alcuni anni fa mi ha col-
pito l’affermazione che “non si può lavorare nella scuola se si è pessimisti”. Io ag-
giungo che non si può lavorare nella scuola se non si ha un’idea chiara sul mondo e
sugli esseri che la abitano. E il mondo è abitato essenzialmente da due tipi di uomi-
ni e di donne: i nomadi e gli stanziali. Potremmo anche suddividerli in pastori o agri-
coltori. A volte queste due condizioni sono in ciascuno di noi, in diversi momenti o
fasi della nostra vita: c’è il tempo per viaggiare, per andare, e c’è il tempo per stabi-
lirsi, per fermarsi. E comunque anche l’andare implica spesso una meta a cui giun-
gere o una Itaca a cui ritornare. Tutto questo si può capire meglio usando e propo-
nendo alcune metafore. Per quanto mi riguarda ne ho sperimentate alcune che trovo
eccellenti per rendere concreta l’idea del progetto. Sono la metafora del viaggio (la
gita scolastica), della realizzazione di un libro, della messa in scena di uno spettaco-
lo teatrale e della coltivazione di un orto biologico a scuola. Sono quattro esperien-
ze che, se vissute insieme ai colleghi e ai ragazzi, mettono in gioco competenze va-
rie, contatti, relazioni interpersonali, documentazioni, raccolta di dati. Sono cioè
esperienze apparentemente semplici, ma di fatto estremamente complesse e concre-
tamente didattiche (nel senso più ampio del termine).
103
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 104
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 105
Le lezioni che Carlo Doglio teneva presso la facoltà di Discipline delle arti, del-
la musica e dello spettacolo (DAMS) di Bologna e da noi frequentate non vedevano
un unico professore. Per sua scelta aveva voluto che su un tema così controverso
105
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 106
qual è quello della Pianificazione territoriale non ci fosse un unico punto di vista.
Lui, anarchico, libertario, nonviolento, aveva voluto accanto l’allora assessore co-
munista all’Urbanistica del comune di Bologna, il professor PierLuigi Cervellati.
Facevano lezione alternandosi nel dialogo, nell’esposizione e nella conversazione.
Sullo stesso argomento emergevano, così, quasi sempre, due punti di vista. Ma non
erano i soli. C’erano anche i rispettivi assistenti, sempre presenti e sempre stimolati
a intervenire. È vero maestro non colui che ti dice qual è la strada da percorrere, ma
colui che ti apre gli occhi e ti fa vedere le tante strade sulle quali tu puoi liberamen-
te inoltrarti.
Qualcuno si sarà sicuramente già chiesto: sì ma poi all’esame, cosa avete fatto?
Non abbiamo sostenuto un esame classico, cioè un’interrogazione fatta di domande
e risposte. L’esame è consistito nella recensione di tre libri a scelta fra quelli consi-
gliati per quella materia. Devo confessare che nel fare quelle “recensioni” ho prova-
to per la prima volta una grande difficoltà, ma anche un grande piacere. Il piacere di
chi non è chiamato solo a conoscere e a ripetere il pensiero e le opinioni di altri, ma
ad esprimere un proprio, personale, individuale giudizio. Doglio non è stato solo un
professore, è stato davvero un educatore, ha cioè aiutato ciascun allievo a venir fuo-
ri, a emergere nelle proprie potenzialità.
106
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 107
Le tracce
Il diario di bordo
Costituisce una sorta di narrazione quotidiana degli eventi e dei vissuti della
classe. È importante, quindi, curare non tanto il “che cosa” e il “quanto”, ma il “co-
me” e il “chi”. Una narrazione qualitativa e non una constatazione quantitativa. A
noi operatori della scuola non interessa classificare soltanto il profitto, misurare un
rendimento, ma aiutare i bambini nella crescita intellettuale, nel confronto con cul-
ture “altre” e in questo confronto crescere come comunità. Il diario di bordo è un’e-
sperienza che, come tutte le esperienze educative, non deve condurre a una replica
del processo educativo, ma deve portare al confronto, alla conoscenza, all’approfon-
dimento e all’arricchimento delle esperienze. Il diario di bordo può puntare alla nar-
razione circa i protagonisti, alla descrizione dell’esperienza svolta, del coinvolgi-
mento dei soggetti (sia studenti che insegnanti), del livello di partecipazione e infine
delle difficoltà.
Intendo riferirmi a quanto viene prodotto nelle diverse scuole e nei diversi gior-
ni dell’anno, e che può sembrare materiale frammentato. Quando parlo di documen-
tazione spicciola intendo:
– le fotografie;
– le diapositive;
– i disegni illustrati e con didascalie;
107
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 108
I progetti didattici
È bene avere una raccolta sistematica e ordinata dei materiali inerenti i progetti
sui quali hanno lavorato le varie classi.
Una cartella di cartone o un raccoglitore a buste può servire per avere tutto rac-
colto in un unico luogo.
Alcune tematiche sono chiaramente trasversali alle varie discipline, come ad
esempio:
– l’educazione alla salute;
– l’educazione stradale;
– l’educazione all’ambiente;
– i progetti di educazione alla multiculturalità, di accoglienza degli stranieri,
dei circensi;
– i progetti teatro;
– i progetti di continuità e orientamento.
Le pubblicazioni
108
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 109
Con buone fotografie, con gli elaborati dei ragazzi e altro materiale è possibile
allestire le mostre nei corridoi o nelle sale incontro delle scuole. Questi materiali
possono poi rimanere ed essere esposti nei vari plessi. Le pareti delle nostre scuole
sono uno strumento d’informazione e documentazione, anche nei confronti dei geni-
tori chiamati agli incontri, alle udienze o ad altro. Ma anche tutti coloro che entrano
nelle nostre scuole ne guardano le pareti. È bene che queste siano curate bene. Bei
cartelloni sono spesso svalorizzati da un modo poco attento di esporli. Pensiamo a
tutti quei cartelloni con piegature, orecchie varie, tagli o comunque rovinati.
109
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 110
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 111
111
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 112
Lo scrivere con pennino e inchiostro sulla carta implica un grande esercizio ma-
nuale, che mira a un’educazione della prensione della mano e della motricità fine,
tese a creare una calligrafia possibilmente bella, elegante. A tal proposito dice Maria
Rita Parsi:
Ritornare alla penna stilografica o alla cannetta e pennino, può sembrare una
follia nell’era del computer; eppure abbiamo voluto fare lo stesso questo esperimen-
to. Ho fatto sì che nell’ambito della formazione rivolta agli insegnanti del mio Isti-
1 Cfr. Maria Rita Parsi in Fil di cuore, rubrica de “Il Resto del Carlino”, 16 febbraio 2006.
112
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 113
tuto Comprensivo sul tema dei “laboratori”, ci fosse una giornata dedicata alla “cal-
ligrafia”. Così, alcune classi delle scuole primarie di Sogliano al Rubicone e di Bor-
ghi dedicano tuttora alcune ore settimanali alla calligrafia. Ci aiuta anche una mam-
ma, di origine francese, la quale mi ha raccontato che la calligrafia è ancora curata in
Francia e che lei deve a ciò la sua professione di calligrafa. In Italia, invece, ci sono
cultori della penna stilografica e collezionisti di pennini. Pochi però si cimentano a
reintrodurre questi eccellenti strumenti didattici nella scuola. Mi raccontava, a tal
proposito, alcuni anni fa, Luciana Pederzoli (lucianapederzoli@hotmail.com) del-
l’associazione Amici di pennino di Reggio Emilia:
113
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 114
Carissimo Gianfranco, tu sai bene che la mia preferita resta la “penna con penni-
no” e difficilmente cambierei idea... Ma rispetto alla penna a sfera sicuramente la
“stilo” è un’ottima alternativa. Nella mia borsetta ce ne sono 4, con punte diverse
e inchiostri colorati. È un oggetto importante: io la ricevetti per regalo il giorno
della Prima Comunione. Era, anzi è, di madreperla bianca, con la carica manuale
in coda. Io provai una grande emozione, perché era “una roba da grandi” e io ave-
vo solo 8 anni. Quell’emozione mi accompagna ancora e ogni volta che uso la sti-
lo, l’odore dell’inchiostro, lo scricchiolio del pennino mi accendono la “memoria”
di un tempo sereno, più lento, scandito con semplici gesti e rituali che accompa-
gnavano il nostro crescere, il nostro diventare grandi.
Non è malinconia la mia, ma una forma di denuncia di mancanza di “rituali edu-
cativi” che aiutino i nostri bambini a una maggiore stima di sé, che valorizzino “le
tappe” raggiunte, che diano tempo e spazio alla consapevolezza. Scrivere con la
stilo dà più “colore” al “segno della scrittura”, della calligrafia personale; scrivere
con la stilo c’invita alla lentezza, all’ascolto della scorrevolezza del pennino, a una
manualità attenta alle “macchie” (comunque benvenute per la nostra fantasia in-
terpretativa). E poi ci sono i colori degli inchiostri, le punte fini, piatte, tagliate ecc.
E poi una stilo non si butta quando non scrive più: ha una storia sicuramente più
lunga davanti a sé rispetto alla penna a sfera.
Sì, credo sia proprio un’altra cosa... e valga la pena proporla ai nostri bambini e
bambine.
114
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 115
Quando alcuni anni fa, durante un incontro fra operatori scolastici, un’insegnan-
te di scuola media superiore, parlando di colleghi, ha usato l’espressione “braccia
rubate all’agricoltura”, ho espresso la mia profonda indignazione ad alta voce. Sono
115
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 116
figlio di contadini (agricoltori) e da anni, quando entro nelle classi delle mie scuole,
sono solito chiedere ai ragazzi chi di loro proviene dalla campagna. Generalmente si
alzano poche mani. Poi quando dico loro che essere figli di contadini è una grande
cosa e che devono essere orgogliosi di ciò, ecco che le mani aumentano. Nel comu-
ne modo di pensare resiste l’idea che essere contadini equivale ad essere ignoranti.
Purtroppo è uno dei pregiudizi che ancora oggi la scuola stessa perpetua. Eppure
l’arte di coltivare la terra, che, storicamente, è stata fra le più disprezzate, ha tanto da
insegnare a tutti noi.
Una piccola riflessione a proposito di orti in ospedale. Prima di morire, mio pa-
dre Giorgio, che per tutta la vita è vissuto in campagna facendo l’agricoltore, ha tra-
scorso quasi due mesi in ospedale. Mi è venuto spontaneo chiedermi: perché in ogni
ospedale non si organizza un orto? Un orto ben curato, con tanti vialetti e tante aiuo-
le di verdure, ortaggi e fiori. Un orto che abbia anche una bella serra di vetro per l’in-
verno e una zona dedicata al compost, elemento essenziale per cibare il terreno. Un
orto ricco di erbe officinali (dette anche medicinali) e piante che favoriscano la ripro-
duzione e la presenza di farfalle. Un orto con tanti alberi da frutto. Frutti per tutti i
mesi dell’anno. Un orto vorrebbe dire, per chi resta pochi o tanti giorni in ospedale,
riconoscersi in un elemento essenziale della propria terra, cioè nel luogo in cui vivia-
mo, fatto di storia, di tradizioni, di cultura, di memoria. E così noi tutti (anche chi non
è costretto in ospedale) potremmo beneficiare sia della semplice visione di questo
piccolo “paradiso terrestre”, sia della possibilità di fare qualche lavoro nell’orto. For-
se così avremmo bisogno di meno medicine e guariremmo più in fretta.
Quanto fin qui detto a proposito della terra mi porta spontaneo al ripensare al
concetto di “cittadinanza attiva”. È ormai giunto il tempo che s’inizi a usare anche
quello di “contadinanza attiva”. Dal Vocabolario della lingua italiana nella versione
Devoto-Oli ecco la definizione del sostantivo femminile “cittadinanza”: “Vincolo di
appartenenza a uno stato, richiesto e documentato per il godimento di diritti e l’as-
soggettamento a particolari oneri”. A livello culturale, a partire dalla Rivoluzione
francese, la parola cittadino è diventata sinonimo di “persona con pari e pieni diritti”.
“Cittadinanza attiva” è oggi sinonimo di un coinvolgimento nella vita della propria
comunità d’appartenenza, assumendo in questa un ruolo di responsabilità e facendo
scelte di condivisione. Nel vocabolario non esiste invece il termine “contadinanza” e
quindi nessuno ha mai parlato di “contadinanza attiva”. Esiste chiaramente il sostan-
tivo maschile “contadino”, che sta per “chi lavora la terra, specificamente per conto
di un padrone. In termini spregiativi: persona rozza e goffa”. Dobbiamo rovesciare
questo clima culturale che, ancora oggi, è presente nel mondo scolastico. Essere abi-
tanti o lavoratori della terra non è qualcosa di spregevole. Siamo tutti “contadini di
questa terra” e abbiamo tutti “diritto alla contadinanza”.
116
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 117
Sui monti non ci possiamo stare. Nei campi siamo troppi. Tutti gli economisti so-
no d’accordo su questo punto. E se anche non fossero? Si metta nei panni dei no-
stri genitori. Lei non permetterebbe che suo figlio restasse tagliato fuori. Dunque
ci dovete accogliere. Ma non come cittadini di seconda buoni solo per manovale.
Ogni popolo ha la sua cultura e nessun popolo ce n’ha meno di un altro. La nostra
è un dono che vi portiamo. Un po’ di vita nell’arido dei vostri libri scritti da gen-
te che ha letto solo libri. Se si sfoglia un sussidiario è tutto piante, animali, sta-
gioni. Sembra che possa scriverlo soltanto un contadino. Invece gli autori escono
dalla vostra scuola. Basta guardare le figure: contadini mancini, vanghe tonde, zap-
pe a uncinetto, fabbri con gli arnesi dei romani, ciliegi con le foglie di susini. La
mia maestra di prima elementare mi disse: “Monta su quell’albero e coglimi due
ciliegie”. Quando lo seppe la mia mamma disse: “O chi le ha dato la patente?”.
Avete dato l’abilitazione a lei e la negate a me che d’albero non gliel’ho mai dato
a nessuno in vita mia. Li conosco per nome uno a uno. Conosco anche i sormen-
ti. Li ho potati, li ho raccolti, ci ho cotto il pane. Lei su un compito m’ha segnato
sormenti come errore. Sostiene che si dice sarmenti perché lo dicevano i latini. Poi
di nascosto va a cercare sul vocabolario cosa sono.
Anche sugli uomini ne sapete meno di noi. L’ascensore è una macchina per igno-
rare i coinquilini.
L’automobile per ignorare la gente che va in tram. Il telefono per non vedere in
faccia e non entrare in casa. Forse lei no, ma i suoi ragazzi che sanno Cicerone di
quanti vivi conoscono la famiglia da vicino? Di quanti sono entrati in cucina? A
quanti hanno fatto nottata? Di quanti hanno portato in spalla i morti? Su quanti
possono far conto in caso di bisogno? Se non ci fosse stata l’alluvione non sa-
prebbero ancora quanti sono nella famiglia al piano terreno. Io con quei compagni
sono stato a scuola un anno e della loro casa non so nulla. Eppure non si chetano
mai. Spesso sovrappongono le voci e seguitano a parlare come se niente fosse. Tan-
to ognuno ascolta solo sé stesso. A lei le rombano sotto le finestre mille motori al
giorno. Non sa chi sono ne dove vanno. Io so leggere i suoni di questa valle per
chilometri intorno. Questo motore lontano è Nevio, che va alla stazione un po’ in
ritardo. Vuole che le dica tutto su centinaia di creature, decine di famiglie, paren-
tele, legami? Lei se parla con un operaio sbaglia tutto: le parole, il tono, gli scher-
zi. Io so cosa pensa un montanaro quando sta zitto e so la cosa che pensa mentre
ne dice un’altra.
Questa è la cultura che avrebbero voluto avere i poeti che lei ama. Nove decimi
del mondo l’hanno e nessuno è riuscito a scriverla, dipingerla, filmarla. Siate umi-
li almeno. La vostra cultura ha lacune grandi come le nostre. Forse più grandi. Cer-
to più dannose per un maestro elementare.
117
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 118
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 119
Ogni villaggio, ogni realtà locale, ha tradizioni, riti, espressioni artistiche, modi di
costruire le case, produzioni culturali, ricette tipiche in cucina con pietanze e sapori le-
gati a quella terra specifica, maniere di vestirsi e costumi propri, una parlata (cioè una
lingua non un dialetto), usata dai viventi e tramandata di generazione in generazione.
Sono poi convinto che – come afferma Gary Lawless in “Lato Selvatico”, una
delle riviste dei bioregionalisti italiani – “ogni territorio del nostro pianeta ha biso-
gno di un poeta che ne apprenda il linguaggio, i ritmi, i cicli e sappia dar voce all’e-
sperienza, affinché quel luogo possa parlare tramite la poesia”. Ma la poesia è solo
una delle tante espressioni artistiche e intellettuali. Come sarebbe possibile un ro-
manzo senza una collocazione spaziale o comunque una contestualizzazione? Gian-
ni Rodari ci ricordava che, comunque sia, la creatività è, di fatto, la combinazione di
più elementi o esperienze vissute. Cioè, per esemplificare, anche un animale fanta-
stico che nasce nella nostra memoria o si sviluppa in un quadro è l’insieme di tante
componenti (occhi, bocca, zampe, coda, corna) provenienti da altrettanti animali.
Animali che vivono in luoghi precisi. Riusciamo a immaginare certi oli di Vincent
Van Gogh senza i paesaggi veri della Provenza, nel sud della Francia? E che ne sa-
rebbe poi di Franz Kafka senza Praga? Poi ci sono gli elementi naturali che hanno
educato alla musica l’uomo e il suo orecchio. Gli uccelli, con i gorgheggi dell’usi-
gnolo, i solfeggi degli allocchi, del gufo, del chiù, il richiamo dell’upupa, lo sfrigo-
lio, il frinire delle cavallette e delle cicale, i barriti del capriolo, l’ululato dei cani o
il gracidare delle rane e delle raganelle negli stagni. È chiaro quindi che ogni am-
biente, ogni luogo (io le chiamo “bioregioni”), offre effetti musicali propri: dalle
spiagge del mare alle cime delle montagne, passando per le caverne e le foreste.
119
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 120
Nel mondo esistono circa 6000 lingue. “Una lingua – come afferma Silvia Car-
rel – è una specie di DNA, il codice genetico di un popolo. È l’essenza, la struttura
stessa di una cultura. Una lingua è molto più di un insieme di suoni, di caratteri, di
parole e di grammatica. Essa contiene la memoria collettiva di una comunità ed è
spesso associata alle varie sfaccettature delle relazioni sociali, dei valori morali, dei
punti di vista politici e delle tradizioni”.1 Altro che inglese come unica lingua inter-
nazionale. La lingua parlata da una comunità è uno degli strumenti primari per por-
re in profondità le proprie radici. Come sarebbero possibili certe espressioni lingui-
stiche locali in inglese? Di fatto, poi, queste espressioni sono intraducibili.
Dal punto di vista economico condivido il pensiero di Wendell Berry, l’ex pro-
fessore universitario americano che ha scelto di vivere da agricoltore e ha redatto il
Manifesto del contadino impazzito. Berry consiglia a tutti noi:
1 Silvia Carrel, Parole chiave. Benvenuti nel mondo delle lingue minoritarie, nuova edizione
120
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 121
Da piccolo
Ho molti ricordi di lotta legati alla mia infanzia. La prima è sicuramente l’espe-
rienza vissuta con i miei fratelli. Era una lotta corpo a corpo, dove ci si misurava con
una forza muscolare e con la capacità di bloccare l’altro a terra. Ricordo che uno dei
modi per concludere la lotta era quello di riuscire a sedermi sulla pancia di mio fra-
tello e, tenendogli i polsi fermi a terra con le mani, appoggiare le ginocchia sugli
avambracci. Era una di quelle posizioni in cui si poteva essere sicuri di aver vinto la
lotta. Ma per arrivare a quella posizione bisognava lottare a lungo e sfinire l’avver-
sario per poi coglierlo in un attimo di distrazione.
Conservo molto nitidi altri ricordi legati alla mia esperienza vissuta nel gruppo
scout. Ricordo in particolare due vicende. La prima è legata alle “lupettiadi”, una
sorta di piccole olimpiadi con giochi tipici d’animazione scout del mio secondo
campo estivo. Si gareggiava all’arma bianca. Si era in equilibrio su una panca di
legno e ci si affrontava a cuscini. Scopo del gioco era far cadere l’avversario, esclu-
sivamente a colpi di cuscino, giù dalla panca. Inaspettatamente io, “zampa tenera”
di terza elementare riuscii a battere tutti e vinsi la medaglia d’oro, cioè di cartone
dorato.
Un secondo ricordo, simile al primo per l’esito finale, è stata l’esperienza dello
scalpo. Lo scalpo è un gioco caratteristico degli scout. Il fatto che l’uniforme scout
preveda un fazzolettone, cioè un foulard, permette di fare questo gioco in qualsiasi
momento. Si tratta di riuscire a strappare il foulard che viene semplicemente infilato
sul dietro della cinta dei calzoni. Naturalmente il gioco ha come regola quella di non
afferrare mai l’avversario ma esclusivamente di aggirarlo con agili movimenti di
sorpresa e sfilargli all’improvviso, con una mano, lo scalpo, cioè il fazzolettone. An-
che in questa disciplina mi sono ritrovato, a prescindere dal mio corpo che in altre
occasioni si dimostrava impacciato e grassottello, abile, agile e... vincitore. È incre-
dibile quanto contribuiscano alla acquisizione di fiducia e all’autostima esperienze
come queste. Soprattutto per chi si sente, in tante altre situazioni, inferiore e meno
capace di altri.
121
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 122
Educatore scout
122
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 123
sue prede. A quel punto partiva l’immancabile reazione dei bambini che tutti insie-
me iniziavano a inseguire e ad affrontare l’orco con un corpo a corpo. La lotta ave-
va termine o con una fuga strategica dell’orco oppure con la sua morte sotto il peso
di 15 o 16 bimbi e bimbe.
Sempre alla scuola d’infanzia ho vissuto l’esperienza della lotta fra bambini.
Avevamo acquistato un grande tappeto di gomma piuma rivestito di solido cotone.
Oltre alle attività libere e quindi alla lotta libera, c’era il gioco della lotta. Si creava
con le panchine, attorno a questo tappeto di circa due metri e mezzo per uno e mez-
zo, una sorta di limite. Su queste panchine si sedevano tutti i bambini/spettatori/lot-
tatori. Poi due alla volta si scendeva in campo per affrontarsi al gioco della lotta.
Uno in un angolo, l’altro nell’angolo opposto. Ci si doveva salutare con le mani
giunte e con un inchino tipicamente orientale. Poi, al via, iniziava la lotta. Anche qui
le regole erano ben precise. Niente morsi, né pugni, né calci. Solo corpo a corpo con
l’obiettivo di “immobilizzare” l’avversario. Si facevano così dei veri e propri tornei
suddivisi per categorie. Le categorie erano create in base all’età ma anche alla staz-
za fisica. Pur essendo, infatti, dello stesso millesimo ci si poteva anche trovar di
fronte a bambini di statura e corporatura molto diversi. Ma a dire il vero una delle
caratteristiche più interessanti di questo tipo di gioco era proprio il desiderio di mi-
surarsi con l’avversario che tutti davano in maniera scontata per sicuro vincitore.
Qui nel gioco della lotta, come in tante altre occasioni (e come l’esperienza c’inse-
gna in tanti momenti della vita), accade l’imprevisto. Il piccolo, il minuscolo, il min-
gherlino abbatte il grande, il gigante, il forte. Ci si ritrova così di fronte a caratteri
che emergono in questa precisa attività didattica. Personalità che già esprimono la
voglia di far venir fuori la loro forza interiore, la loro tenacità, il loro bisogno di mi-
surarsi con “il mondo” che li considera già perdenti. È stata per me una grande le-
zione pedagogica. Un esempio di come, in educazione, non è corretto dare per scon-
tato l’esito finale. È l’imprevisto che spesso ci educa.
Nella mia esperienza scolastica non posso, infine, non citare la recente vicenda
da dirigente scolastico. Anche in quest’occasione mi sono trovato ad avere a che fa-
re con il problema della lotta. In particolare la questione è stata affrontata all’interno
della scuola primaria di Campitello di Fassa, in cui si affrontava nell’ambito del pro-
getto di educazione alla salute un’esperienza sul tema dell’educare alla nonviolenza.
In sostanza la proposta è nata dal bisogno emerso sia da parte dei genitori che degli
insegnanti di conoscere e affrontare le cause che spingono i bambini e le bambine a
comportamenti aggressivi e intolleranti nei confronti dei compagni di scuola. Nella
ricerca di modalità d’intervento, si è scelto un programma di educazione alla non-
violenza basato soprattutto sulla conoscenza e la pratica delle tecniche del Judo. Con
l’aiuto di un esperto abbiamo messo in campo momenti di pratica di lotta “corpo a
corpo” secondo questa disciplina.
123
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 124
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 125
L’amico fraterno Roberto Papetti coordinatore del centro di ecologia “La Lucer-
tola” di Ravenna (lucertolacomra@racine.ra.it), di passaggio a casa mia rimase col-
pito da Bernadette. Così, alla fine di un corso di formazione svoltosi a Piana degli
Albanesi l’idea dell’orsacchiotto è stata rilanciata e rinnovata attraverso due bambo-
le, costruite dai bambini e dalle bambine a scuola. Racconta la collega dirigente sco-
lastica Anna Fileccia, protagonista dell’esperienza:
125
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 126
gnanti, genitori e operatori della scuola. Queste bambole sono state costruite con ma-
teriale povero portato dai bambini e dalle bambine da casa. La costruzione delle bam-
bole è stata preceduta da una fase d’avvio in cui i bambini e le bambine della scuo-
la, organizzati in assemblea, hanno seguito la metodologia del brain storming, per
fare venire fuori le idee e le conoscenze sui giochi. Come si gioca oggi? Come gio-
cavano i genitori e i nonni? Dopo la trascrizione delle ipotesi e una discussione ap-
profondita su queste domande e tematiche, il lavoro è proseguito con la formulazio-
ne di domande da sottoporre ai familiari attraverso un questionario, con la lettura dei
dati e la produzione di cartelloni di raccolta. Durante la discussione è emerso da par-
te dei bambini extracomunitari provenienti dall’Albania che i giocattoli, nel loro pae-
se, erano costruiti da loro stessi con legno, pezzi di stoffa, cotone, carta. Tutti hanno
preso parte attiva al progetto: le bambole hanno coinvolto emotivamente i parteci-
panti e il loro vissuto emotivo ed esperienziale è espresso nel diario che accompa-
gnerà Peppe e Fragolina (questi i nomi delle due bambole) nel loro lungo viaggio.
Oltre a combattere l’omologazione e la stereotipia, con questa originale iniziativa le
scuole di Piana degli Albanesi vogliono far vivere ai bambini e alle bambine quella
gratificazione che deriva dalla soddisfazione di costruire un oggetto con le proprie
mani, con materiale povero: giocattoli caldi, teneri, morbidi, vivi. C’è poi il recupe-
ro delle strategie e delle tecniche usate dai nonni per realizzare i giocattoli per i lo-
ro piccoli. Inoltre si vogliono rivalutare le lingue locali, perché, per ogni tappa, i bim-
bi e le bimbe che terranno le due bambole, scriveranno sul diario che accompagna i
due personaggi i vissuti e le emozioni che verranno fuori con il gioco delle bambo-
le. Si vogliono poi avviare i bambini e le bambine a vivere emozioni e sentimenti
abituandoli a prenderne coscienza, a dominarli, a esprimerli, a gestire – in una paro-
la – la propria vita emozionale.
126
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:39 Pagina 127
1. Ogni scuola che riceve una Valigia della Memoria può tenerla da un minimo
di una settimana a un massimo di un mese.
2. La scuola che riceve la Valigia deve comunicarlo alla scuola d’origine segna-
lando eventualmente la scuola che la riceverà successivamente.
3. Ogni scuola può svolgere attività inerenti la memoria, il rapporto con le gene-
razioni precedenti, la vaccinazione contro la guerra.
4. In particolare ogni scuola dovrebbe cercare di trovare notizie e informazioni
circa avvenimenti, fatti, vicende, che sono accaduti nel proprio territorio durante la
seconda guerra mondiale. Si può inserire documentazione fotografica nell’Album
della Memoria, già iniziato. Eventualmente inserire oggetti significativi o fonti ma-
teriali relative alle tematiche trattate.
5. La scuola contribuirà alla compilazione delle pagine del Diario della memo-
ria come e quando lo riterrà opportuno (risposte a domande già formulate nel diario
suddetto).
6. Indicare indirizzo, nome, partecipanti all’iniziativa, periodo in cui è stata fat-
ta l’attività.
7. La scuola s’impegna a far recapitare direttamente, con corriere o tramite po-
sta la valigia nella scuola successiva.
8. La valigia deve ritornare alla scuola d’origine entro una data fissata.
9. Apporre esternamente sulla valigia, nello spazio indicato la seguente dicitura:
tappa a…..… dal …...… al …....… .
Quelli descritti in questo capitolo sono esempi di come si può far scuola in ma-
niera creativa, coinvolgente, usando il linguaggio spesso fantastico e giocoso dei
bambini.1
1Si consiglia la lettura di Pier Aldo Rovatti - Davide Zoletto, La scuola dei giochi, Bompiani,
Milano 2005.
127
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 128
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 129
Fantozzi e il Powerpoint
Chi non ricorda il buon impiegato Fantozzi che, chiamato a vedere e discutere al
cineforum aziendale per l’ennesima volta il film La corazzata Potëmkin prende co-
raggio, si alza in piedi, e afferma a gran voce il suo giudizio negativo sul film. Quanti
di noi avrebbero il coraggio di fare la stessa cosa, a un convegno o corso di formazio-
ne, nel bel mezzo di una delle tante relazioni presentate da relatori che si avvalgono
dell’aiuto di slide (diapositive) organizzate col programma Powerpoint. Eppure quan-
te volte l’abbiamo pensato. Il motivo è semplice: come nel film di Fantozzi, quello
che doveva essere uno strumento per favorire la comunicazione fra relatore e pubbli-
co, di fatto diventa uno strumento di “tortura intellettuale”, cosicché il pubblico di-
venta la vittima e il relatore il torturatore. Generalmente chi tiene una relazione a un
convegno cerca di dimostrare la sua capacità di stare al passo coi tempi dicendo “…
porto comunque con me la relazione in Powerpoint”. Personalmente mi viene da pen-
sare all’ormai superato proiettore di diapositive a cui il progresso della tecnologia ha
permesso l’aggiunta d’icone, testo, filmati ed effetti speciali. Soluzioni che, in una so-
cietà dell’immagine, inducono i presenti a essere maggiormente attratti dalla relazio-
ne e il relatore a essere più intrigante e attraente.
Ecco le modalità con cui spesso vengono condotte le relazioni con supporto di
Powerpoint.
1. C’è chi si porta dietro un documento in cui sono inserite le venti o trenta frasi
di cui è composta la relazione. Di solito, in questo caso, il relatore legge direttamen-
te sullo schermo le frasi. In sostanza un buon esercizio di lettura in pubblico. Molte
volte capita che il relatore non percepisca che ciò che vede sulla scrivania del com-
puter (standoci seduto di fronte) è esattamente ciò che il pubblico vede nel grande
schermo dietro le sue spalle. E allora si gira mostrando le spalle al pubblico con l’ef-
fetto immediato di allontanarsi dal microfono e di disturbare la comunicazione em-
patica con il pubblico. E così dalla sala molti richiamano il relatore all’uso del mi-
crofono.
129
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 130
2. C’è chi inserisce veri e propri brani di testo o lunghe citazioni. Di solito, in
questo caso, il relatore è portato a leggere tutte le citazioni e a chiedere al pubblico:
“Riuscite a leggere vero?”. Di solito la risposta è ovvia (poiché il pubblico nella sua
quasi totalità non riesce a leggere) e il relatore tranquillizza i presenti sul fatto che
lascerà agli organizzatori il file (il documento) della relazione, che verrà successiva-
mente fotocopiato e consegnato ai partecipanti. Tanto valeva farlo prima! Ho assisti-
to perfino a una conferenza in cui un ispettore ministeriale proiettava sullo schermo
gigante buona parte del testo della sua relazione. La presentazione è stata introdotta
dall’ispettore in questo modo: “Potete leggere da soli!”. Tutti insieme, per circa 15
minuti, a leggere un testo che ogni tanto scorreva sullo schermo bianco. Follia co-
municativa allo stato puro.
3. C’è infine chi usa la propria relazione con Powerpoint come un grande conte-
nitore in cui poter mettere tutto il proprio patrimonio d’immagini. Chi non ricorda
quando qualche amico c’invitava a vedere a casa sua le diapositive dell’ultimo viag-
gio esotico? Lo stile è simile: 100, 200 o 300 slide. A volte ci si rende conto che non
si potrà mai far vedere, con la dovuta calma, tutto quel materiale. Allora inizia una
sorta di filmino sullo stile delle prime comiche in bianco e nero: vengono cioè spa-
rate sullo schermo, una dopo l’altra, le tante immagini prescelte dal relatore. Effetto
sicuro: disorientamento.
130
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 131
Chi lavora nel mondo della scuola partecipa spesso a convegni o corsi d’aggior-
namento. Immancabilmente nel momento dell’accoglienza-iscrizione-registrazione
viene consegnata a tutti una cartellina. Analizziamola. Generalmente è un omaggio
di qualche banca locale agli organizzatori dell’evento. Senza necessariamente copri-
re il marchio dello sponsor, sopra viene incollata un’etichetta con il titolo del conve-
gno o del corso. Dentro la cartellina troviamo una penna a sfera con impressi i rife-
rimenti della banca. Poi, con le stesse caratteristiche, troviamo alcuni fogli o un
blocchetto di pagine per gli appunti. Infine, fotocopiati, il programma e (qualche
volta) le sintesi dei vari interventi. Se tutti noi conservassimo tutte le cartelline rac-
colte nel corso di vari anni, ci troveremmo ad accumularne 50, 60, 100 o 150. A se-
conda della nostra età. Di norma, dopo un primo periodo di conservazione (dovuta al
senso di colpa che ci assalirebbe se la buttassimo subito) ce ne sbarazziamo. Al mas-
simo conserviamo, per un po’ di tempo, le fotocopie delle relazioni.
131
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 132
nendolo in ordine, ma senza aver timore di sbagliare o di non saper disegnare. Quan-
do sarà finito se ne potrà iniziare un altro. Questo vuol dire che stiamo crescendo
nelle nostre conoscenze. Infine consiglio a tutti di conservarlo: sarà un buon compa-
gno di vita.
132
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 133
Vorrei concludere questa mia lunga riflessione sulla pedagogia della lumaca ac-
cennando a due temi apparentemente contrapposti: l’importanza di ridere a scuola e
il tema della morte. Nella mia esperienza di studente ho il ricordo di una scuola per
alcuni aspetti rigida. A scuola non si poteva fischiare e questa è una delle tante cose
che ci hanno impedito di percepire la scuola come un luogo dove ci si potesse diver-
tire. Per me, bambino di campagna, il divieto di fischiare era una cosa inconcepibi-
le. Poi ho imparato a fischiare molto bene, per caso, nei corridoi al liceo. Credo in-
vece di aver imparato quanto sia importante ridere anche dalla mia esperienza pro-
fessionale d’insegnante. Ricordo Giorgia, una bambina di 4 anni, che dopo sei ore
trascorse insieme alla scuola materna, mentre uscivo dopo il primo turno, mi guarda
dall’alto delle scale e mi chiede: “Ma adesso maestro dove vai? A lavorare?”. Stavo
vivendo l’esperienza da maestro con piacere e quindi nessuno di loro aveva capito
che quello era il mio lavoro. Mi resi conto in quel momento di quanto importante
fosse appassionarsi, vivere con gusto e con piacere quell’esperienza.
133
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 134
L’errore creativo
134
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 135
Lo humor è un dono della natura, ma è anche un fatto dello Spirito Santo e delle
virtù teologali: la fede, la speranza e la carità. Chi è provvisto di humor guarda in
modo rilassato il mondo, la gente e i fatti ed è in grado di ridere tanto degli altri
quanto di sé stesso. “Non prenderti troppo sul serio”, pare abbia detto Giovanni
XXIII quando l’onus ecclesiarium, l’onere della chiesa, lo opprimeva. I vescovi in
genere sono troppo seri e privi di humor. Su temi ecclesiali poi non tollerano umo-
rismo di sorta. Non sanno che il riso è una grazia di Dio, come ha mostrato papa
Giovanni. Sono queste le cose che ho imparato dal papa buono e che nella mia lun-
ga vita episcopale – 30 anni – ho cercato di mettere in pratica.
Mi verrebbe da leggere tutto questo dal mio punto di vista. Qui si parla di ve-
scovi, ma inviterei noi dirigenti scolastici a rifletterci sopra. Un aspetto che va colle-
gato all’umorismo, alla comicità, allo star bene a scuola è l’empatia, è il fatto di vi-
vere in maniera piacevole il rapporto con gli altri.
Come educatori non ci resta che l’ottimismo, così come chi fa del nuoto per pra-
ticarlo ha bisogno di un ambiente liquido. Chi non vuole bagnarsi deve abbando-
nare il nuoto, chi prova repulsione per l’ottimismo deve lasciar perdere l’insegna-
mento senza pretendere di pensare in che cosa consista l’educazione, perché edu-
care è credere nella perfettibilità umana, nell’innata capacità di apprendere e nel
suo intrinseco desiderio di sapere, nel fatto che ci sono cose, simboli, tecniche, va-
lori, memorie e fatti che possono essere conosciute e meritano di esserle e che noi
uomini possiamo migliorarci vicendevolmente per mezzo della conoscenza. Di tut-
te queste convinzioni ottimistiche si può ben diffidare in privato, ma nel momen-
to in cui si cerca di educare o di capire in che cosa consista l’educazione non re-
sta che accettarle. Con autentico pessimismo si può scrivere contro l’istruzione ma
l’ottimismo è imprescindibile per potervisi dedicare ed esercitarla. I pessimisti pos-
sono essere bravi domatori ma non bravi maestri.1
Aggiungo, inoltre che chi non ha la capacità di sorridere, di ridere non può esse-
re un bravo maestro, un bravo educatore.
1 Cfr. Fernando Savater, A mia madre, mia prima maestra, Laterza, Roma 1997.
135
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 136
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 137
Usiamo (ammettiamolo) un linguaggio per iniziati. Non c’è maniera più efficace
per tenere distante o allontanare qualcuno da una realtà. Un esempio molto eloquen-
te. Sono a tavola con amici, fra cui un operaio, un padre di famiglia, i cui figli fre-
quentano la scuola materna ed elementare di un piccolo borgo del comune in cui abi-
to. Argomento: la nuova scuola elementare che deve soddisfare il bisogno scolastico
di due frazioni confinanti e che appartengono a due comuni vicini. L’amico ci rac-
conta di essere stato all’incontro che i due sindaci (dei due comuni limitrofi) hanno
voluto con la popolazione locale. Molto saggiamente i due hanno fatto una proposta
unitaria, che è anche l’impegno vero e proprio di costruire in un futuro prossimo la
nuova scuola. Soddisfatto l’amico esordisce rivolto a noi: “State tranquilli, sono an-
dato alla riunione a scuola, e i due sindaci hanno promesso e deciso che l’amplesso
scolastico si farà su una zona verde, a confine fra i due comuni!”.
Un genitore, invece, dovendo trasferire il proprio figlio dalla nostra a un’altra
scuola, mi ha fermato sul cancello d’entrata della presidenza e parlandomi della que-
stione, mi ha riferito che l’ula-op (che in realtà sarebbe il nulla-osta) lo dovevamo
rilasciare noi e non la scuola dove il bambino si sarebbe dovuto trasferire.
E poi c’è anche chi, riferendosi all’assemblea degli insegnanti, l’ha definita in
maniera molto seria “il collegio indecenti”. A dire il vero qualche indecenza a volte
c’è! Ma io ritengo che ci sia anche dell’altro: ci siamo mai preoccupati e abbiamo
mai spiegato ai genitori, che si avvicinano la prima volta alla scuola, cosa sono gli
organi collegiali oppure che cos’è l’organico di diritto o l’organico di fatto? Per i
genitori che lavorano i campi e che sono agricoltori, è sicuramente qualcosa che si
riferisce alla concimazione (c’è il concime chimico o quello “organico”). Per qual-
cuno invece l’organico funzionale di circolo è una malattia infettiva trasmessa nelle
ore di funzionamento del circolo ricreativo.
Chi lavora nella scuola, usa un linguaggio difficile, per addetti, e ciò è all’origi-
ne di molti malintesi o fraintendimenti, soprattutto con coloro che non hanno a che
fare quotidianamente con la scuola.
137
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 138
Spesso è un linguaggio che abbonda di sigle o acrostici: cioè parole che di per sé
hanno un significato preciso. Ma ogni lettera è l’inizio di una parola che, una dopo
l’altra, formano complessivamente una frase che a sua volta, nel nostro caso, serve a
definire un’area d’interesse, un argomento, una ricerca. Ho constatato che l’uso di
acrostici come sigle è direttamente proporzionale all’allontanamento dal lavoro di-
retto coi bambini o con i ragazzi. Insomma sono specialisti di questi soprattutto gli
ispettori o i dirigenti ministeriali. Negli ultimi anni ne sono stati coniati decine: due
fra i più famosi sono ORME e Alice
Plesso scolastico, nulla-osta, organico di diritto, POF, RSU, ATA, Pecup, OSA,
Carta dei servizi, sono alcune delle parole più comunemente usate nella scuola. Po-
tremmo andare anche a scovarne di più moderne. Quelle che ad esempio vanno di
moda dopo il famigerato corso per dirigenti scolastici: l’interfaccia, la mission, il
monitoraggio, il feedback, l’utenza, l’input, il target, la funzione obiettivo, il tutor,
le ore aggiuntive… e siamo soltanto fra quelle più comunemente usate.
Ho l’impressione che il nostro linguaggio scolastico sia spesso un “parlare a
vampera” – come diceva anni fa una bidella – e che forse sarebbe meglio “parlare
come si mangia”. In altre parole vuol dire “eliminare ogni parola che non usiamo
parlando”, una delle raccomandazioni che don Milani faceva a proposito dello scri-
vere. Senza ovviamente fare come quella cuoca che, memore della buone pietanze
offerte ai genitori nella festa finale dell’anno precedente, propose di “supplicare”
(anziché replicare).
Dovremmo rendere più facile e semplificato il linguaggio che usiamo nel rivol-
gerci alle famiglie, a partire dalle comunicazioni e dalle lettere di convocazione in-
viate a casa ai genitori tramite i ragazzi. Per non parlare poi, delle comunicazioni ai
genitori stranieri che non solo hanno una lingua madre diversa dalla nostra, ma an-
che abitudini, consuetudini e scale di valori diverse dalle nostre.
138
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 139
Vorrei infine concludere con uno dei temi più difficili che un insegnante prima o
poi si trova ad affrontare con i propri allievi: la morte. Nella mia esperienza con i
bimbi e le bimbe della scuola materna, l’ho affrontato in maniera molto semplice.
Andavo spesso con loro al cimitero. Nel prato del piccolo cimitero di campagna,
punteggiato dalle lapidi e dai residui di corone di fiori di recenti sepolture, si pas-
seggiava, si correva (a volte qualcuno giocava) nel pieno rispetto di quel luogo e di
quello che esso rappresenta per la comunità locale.
Nel passare in mezzo alle tombe, i bambini spesso riconoscevano anziani dece-
duti da poco o foto del nonno o del parente di famiglia. Il cimitero non è vissuto, in
questo modo, come un luogo estraneo, un luogo tetro, un ambiente da temere o da ri-
fuggire.
Questo approccio mi offre l’occasione per riflettere sull’idea che noi tutti abbia-
mo dei luoghi preposti ad accogliere “coloro che furono” e sull’idea che di questo
luogo spesso noi adulti trasmettiamo ai bambini.
Vorrei premettere che quando vado in un paese straniero mi attirano in partico-
lare tre luoghi: le stazioni, le ferramenta e i cimiteri. Condivido per questo il senso
della scritta che ho recentemente letto e che è posta all’entrata dell’elegante cimite-
ro dell’isola di Ustica, dove si afferma in maniera lapidare: “La civiltà dei popoli si
riconosce dal culto dei morti”. Apprezzo così moltissimo i cimiteri-collina anglosas-
soni, i cimiteri di guerra dolomitici o dei piccoli paesi delle valli alpine, i cimiteri
davanti al mare di molte località nordafricane. Uno dei più bei cimiteri l’ho trovato
in Ungheria, esposto verso il Lago Balaton. Non dispone né di recinto né di cancel-
lo. Una semplice collinetta su cui sono posizionate in ordine sparso lapidi di pietra
locale di varia forma. La maggior parte sono fatte a forma di cuore: sembra una di-
stesa di cuori adolescenziali. Ecco: è qui che viene fuori l’idea del “camposanto”, di
un luogo speciale e per questo “santo”, in cui i vivi pensano ai loro antenati, consa-
pevoli di ciò che i visitatori trovano scritto su un’altra lapide posta nel più grande fra
i cimiteri romani: “Quello che siete fummo, quello che siamo sarete”.
139
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 140
Con l’avvento di un’epoca ecologica, apparirà evidente che il rifiuto, gli scarti non
esistono, nulla muore, tutto continua a vivere, assumendo però altre forme e que-
sta non è una filosofia religiosa, è un dato di fatto. Forte di una concezione erra-
ta, quella del giudizio universale e della risurrezione, la gente crede ancora, come
gli antichi egizi, che conservando una persona nel suo aspetto fisico, essa risorgerà
il giorno del giudizio universale giovane com’era in vita. Ma è una vera assurdità.
Oggi i morti vengono seppelliti in modo particolarmente antiecologico. La salma
imputridisce in una cassa ermeticamente chiusa sotto quattro metri di terra. In que-
sto modo le radici degli alberi non possono operare il processo di rigenerazione.
Inoltre una lastra di cemento e fiori artificiali separano il morto dal cielo e dalla
terra. Un essere umano dovrebbe essere sepolto soltanto a mezzo metro dalla su-
perficie. Poi sulla tomba si dovrebbe piantare un albero. La cassa dovrebbe poter-
si decomporre in modo che la sostanza organica del defunto possa essere utile al-
l’albero che vi cresce sopra. Esso accoglierà in sé qualcosa del morto, lo trasfor-
merà in sostanza vegetale. Quando ci si recherà alla tomba, non si farà visita a un
morto, bensì a un essere vivente che si è trasformato in albero, che continua a vi-
vere nell’albero. Si potrà dire: “Questo è mio nonno, l’albero cresce bene, stupen-
damente”. Si può piantare un bosco magnifico, più bello del solito bosco perché
gli alberi avranno radici nei sepolcri. Il bosco potrà estendersi nel circondario e,
poiché sicuramente non abbiamo abbastanza boschi, permetterà allo stesso tempo
di mantenere, anzi di accrescere il patrimonio forestale. Sorgerà un parco, un luo-
go di cui ci si potrà rallegrare, in cui si potrà vivere e persino andare a caccia. Un
140
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 141
luogo fantastico in cui si potrà restare in contatto ininterrotto con la vita e con la
morte. Non credo che una qualsiasi autorità possa avere qualcosa in contrario. I
morti dovrebbero essere sepolti dappertutto, anche nel proprio giardino. I luoghi
dei morti saranno contemporaneamente anche le foreste della vita. Gli alberi se-
gneranno le tombe. Le persone sceglieranno alberi diversi, per cui non ne risulterà
una monocultura, ma un bosco incredibilmente variegato. Questo luogo si trasfor-
merà in un paradiso, nel giardino dell’Eden.
141
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 142
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 143
APPENDICI
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 144
Appendice 1
Per far sì che la scuola sia una buona scuola, possono essere di aiuto alcuni sug-
gerimenti e consigli pratici, buoni sia per genitori che per studenti. L’esperienza del-
la scuola è, e dovrebbe essere, per tutti noi, un’interessante avventura. Ecco alcuni
consigli (una sorta di decalogo) che possono aiutarci a rendere più bella questa espe-
rienza.
2. Una bella scrittura (calligrafia), cioè scrivere bene e in ordine, ci educa a me-
morizzare con gli occhi quello che abbiamo scritto e anche a saper leggere meglio la
propria scrittura. Per allenarsi ad avere una bella scrittura una volta si usavano can-
netta, pennino e calamaio. Oggi possiamo usare una comoda penna stilografica.
Usandola molto, impareremo a scrivere meglio.
144
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 145
10. I compiti a casa ci vengono assegnati per imparare a studiare da soli. È buo-
na cosa leggere e poi ripetere ad alta voce in sintesi i paragrafi da studiare. Per ve-
dere se abbiamo imparato, proviamo a ripetere l’argomento ad alta voce, cercando di
fare come un piccolo discorso di 2 o 3 minuti. Studiare, infatti, non vuol dire solo fa-
re esercizi scritti. Per concentrarci è importante che non studiamo davanti alla TV o
alla radio “accese” o con l’occhio sempre vicino al cellulare. È bene anche riposarsi
un po’ (una o due ore) prima di fare i compiti. Possiamo anche trovarci con i nostri
compagni di classe e fare i compiti di casa insieme, aiutandoci, se è necessario, a vi-
cenda.
145
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 146
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 147
Appendice 2
1. IL DIRITTO ALL’OZIO
a vivere momenti di tempo non programmato dagli adulti
2. IL DIRITTO A SPORCARSI
a giocare con la sabbia, la terra, l’erba, le foglie, l’acqua, i sassi, i rametti
4. IL DIRITTO AL DIALOGO
ad ascoltatore e poter prendere la parola, interloquire e dialogare
9. IL DIRITTO AL SILENZIO
ad ascoltare il soffio del vento, il canto degli uccelli, il gorgogliare dell’ac-
qua
147
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 148
Questo manifesto nasce nel 1994, a partire da una mia riflessione sui diritti del-
l’infanzia. È stato da allora utilizzato in decine di modi e da alcuni anni si è iniziato
a tradurlo in varie lingue. In occasione dei cinquant’anni della Dichiarazione sui di-
ritti dell’infanzia (1959-2009) vorrei uscire con una traduzione in cento lingue (lo-
cali, regionali e/o nazionali). Chi lo desidera può aiutarmi scrivendo direttamente al
mio indirizzo di posta elettronica: burattini@libero.it
Per trovare le versioni del manifesto nelle diverse lingue già disponibili, consul-
tare la rubrica Diritti naturali sul sito www.scuolaer.it
Sui Diritti naturali di bimbe e bimbi ricevo, da una mamma (Ester Manitto), una
riflessione.
Ieri casualmente su una rivista di yoga ho letto il testo dei diritti naturali dei bim-
bi e bimbe.
È stata una rivelazione: durante la lettura son tornata agli orti dei miei nonni, al
pollaio, alle uova calde tra le mie manine, al letame, alla paglia bagnata, all’odo-
re delle sementi, ai miei vestiti strappati, ai lividi perenni sulle ginocchia, alle re-
cite improvvisate in strada, ai travestimenti, alle tane dei segreti, alle dita sbuccia-
te e sanguinanti mentre grattugiavo il formaggio per fare il pesto, agli animaletti
morti, alle abbuffate di piselli e fave, al profumo del cibo che la signora Tilde pre-
parava per noi nella grande cucina della piccola scuola di campagna...
Alla tenerezza e all’accoglienza che da bimbi offrivamo quando nel nostro picco-
lo paese arrivava uno straniero magari con la pelle scura.
Al sapore della resina dei pini che mangiavo (e appena posso mangio ancora) che
io chiamavo le caramelle al pino.
Alle mattine quando vedevo il sole salire dal monte di Portofino e la sera lo vede-
vo tuffarsi nel mare, alle rane che cantavano nelle serate estive mentre l’autostrada
non copriva ancora col suo rumore la cantilene dei pescatori sui pescherecci.
La piazzetta sopra casa che sembrava immensa.
Alle case dei miei nonni minuscole come tutte le case liguri arroccate in cima al-
le colline, ma al contempo ricche di spazi da scoprire.
Alla stalla dove mio zio allevava cani, al profumo dei pulcini appena nati.
All’odore di segatura e acqua che usavo regolarmente come intruglio da manipo-
lare per ore.
Rapita dai miei pensieri mi scopro felice e quello che desidero davvero di più sa-
rebbe offrire tutto ciò ai miei due bambini, e a tutti i bambini in generale.
Grazie dal profondo del mio cuore.
148
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 149
Bibliografia
149
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 150
150
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 151
Zavalloni G., Le piazze dei giochi e dei diritti naturali di bimbi e bimbe, Macro Edi-
zioni, Cesena 2001.
Zavalloni G. – Papetti R., Giocattoli creativi, Editoriale Scienza, Trieste 2001.
Zavalloni G. – Papetti R., Piccoli gesti di ecologia, Editoriale Scienza, Trieste 2005.
Zavalloni D. – Zavalloni G., Educare all’ambiente. A casa, a scuola, nel territorio,
Macro Edizioni, Cesena 1998.
151
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 152
Sitografia
www.scuolacreativa.it www.mybestlife.com/giocodimenticato
Creatività didattica, ecologia, arte e bu- Sito dedicato ai giochi della tradizione
rattini popolare
www.tecnologieappropriate.it www.viverebeneconlentezza.it
Tecnologie a misura d’uomo Portale italiano del vivere lento
www.scuolaer.it http://idler.co.uk
Portale delle scuole dell’Emilia Roma- Sito inglese dell’ozioso Tom
gna con la rubrica sui diritti Naturali Hodgkinson
www.gentlepeople.it www.camminarelento.it
L’arte dello scrivere e la calligrafia Sito per chi cammina a piedi
www.ceis.rn.it www.boscaglia.it
Una scuola per l’educazione attiva e Associazione che promuove viaggi a
l’inclusione dei bambini disabili piedi
www.racine.ra.it/lucertola www.adagio.it
Gioco, ecologia e arte Sito dedicato al vagabondare nella natu-
ra e fra culture lontane
www.kunsthauswien.com
Arte, architettura ed ecologia del pittore www.vivere-semplice.org
Hundertwasser Il diario di una famiglia che decide di
vivere semplice
www.hundertwasser.it
Sito italiano interamente dedicato a www.vadoalminimo.org
Hundertwasser Sito dedicato a uno stile di vita sobrio e
semplice
www.ortidipace.org
Orti didattici e giardini naturali www.slowfood.it
Sito dedicato al cibo locale e al mangia-
www.compagniadelgiardinaggio.it re lento
Esperienze di giardinaggio
www.cittaslow.net
http://amicidellorto.splinder.com Sito dedicato alle città che scelgono di
Orti biologici e antiche varietà orticole ridurre i ritmi di vita
152
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 153
www.tempiespazi.it www.bamboocraft.net
Sito dedicato alla diffusione di buone Sito dedicato al bambolo. In inglese
pratiche
www.richardlong.org
www.artesella.it Sito di Richard Long, un artista della
Una delle più belle espressioni di natura. In inglese
arte/natura
www.craterre.archi.fr
www.terrevivante.org Architetture e pedagogia con la terra
La campagna, l’orto e le tecnologie sem- cruda. In francese
plici. In francese
www.pensarecolcorpo.it
www.sanftestrukturen.de Testi e articoli sulla relazione tra corpo e
Strutture artistiche in vegetali. In tedesco cultura
www.pontdequeros.com www.resedaweb.org
Intrecciare salici per cesti e strutture Sito di una cooperativa sociale impegna-
viventi ta in progetti ecologici
www.gruppogep.bari.it www.gandhiedizioni.com
Educarsi alla pace con la visione lenta e Il portale italiano sulla nonviolenza
solidale del Sud
www.peacelink.it
Quando la pace e la nonviolenza viag-
giano via etere
153
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:40 Pagina 154
PEDAGOGIA DELLA LUMACA:PEDAGOGIA INTERCULTURALE 30-05-2008 15:41 Pagina 155
CEM MONDIALITÀ
Modalità di abbonamento
- 10 numeri (da gennaio a dicembre) € 28,00
- abbonamento triennale € 75,00
- abbonamento d’amicizia € 75,00
- prezzo di un numero singolo € 4,00
COLLANA MONDIALITÀ
CHRISTOPH BAKER
OZIO LENTEZZA E NOSTALGIA
Decalogo mediterraneo per una vita più conviviale
ANDREA SEGRÈ
ELOGIO DELLO –SPR+ECO
Formule per una società sufficiente